La capacità di intendere e di volere dell'imputato, quale presupposto soggettivo per l'affermazione della sua responsabilità penale, deve essere valutata dal giudice sulla base di una ponderata disamina degli elementi nosografici acquisiti nel processo, senza che assumano rilievo decisivo le mere condizioni di disagio psichico dell'agente, ove queste non siano tali da compromettere in modo rilevante e persistente la sua libertà di autodeterminazione e la sua consapevolezza delle proprie azioni delittuose. Pertanto, il giudice non è tenuto a disporre una nuova perizia psichiatrica, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., qualora gli accertamenti peritali già espletati abbiano escluso l'incidenza delle condizioni psichiche dell'imputato sulla sua capacità di intendere e di volere, in assenza di elementi concreti che rendano necessario un ulteriore approfondimento istruttorio. La valutazione dell'imputabilità, infatti, non si fonda sull'inquadramento nosografico delle anomalie psichiche dell'agente, bensì sulla verifica della sua effettiva capacità di comprendere il disvalore della propria condotta e di autodeterminarsi liberamente, in relazione al fatto di reato contestato.