Cassazione penale Sez. III sentenza n. 2400 del 20 gennaio 2003

ECLI:IT:CASS:2003:2400PEN

Massima

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Il giudice dell'esecuzione, nell'accertare l'avvenuta abolitio criminis di un reato, è vincolato ai limiti oggettivi del giudicato e non può ampliare i termini della contestazione originaria, dovendo limitarsi alla presa d'atto degli elementi descrittivi del fatto in imputazione, ormai non più penalmente sanzionato. Pertanto, qualora il reato contestato sia stato successivamente depenalizzato, il giudice dell'esecuzione deve disporre la revoca della sentenza di condanna, senza poter procedere ad una rivisitazione degli atti processuali al fine di configurare una ipotesi criminosa ulteriore o diversa rispetto a quella originariamente giudicata.

Sentenza completa

FATTO E DIRITTO
Con l'ordinanza indicata in premessa, il G.I.P. presso il Tribunale di Treviso, quale giudice dell'esecuzione, rigettava, all'esito di procedura camerale, l'istanza, proposta da B. R., di revoca, ex art. 673 c. p.p., della sentenza 30.9.97 dello stesso G.I.P., con cui era stato condannato per il reato di cui all'art. 4, comma 1 n. 5 l. n. 516/1982 (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti), abolito dall'art. 25 d. l.vo n. 74/2000.
Rilevava, invero il G.I.P. che permaneva l'antigiuridicità della condotta incriminata, perché, essendosi avvalso il B. delle false fatture nella dichiarazione dei redditi successiva, per indicare elementi passivi fittizi, vi era continuità normativa con l'illecito previsto dall'art. 2, comma 1, del decreto del 2000.
Ricorre per cassazione il B., deducendo l'erronea applicazione dell'art. 673 c. p.p., per "violazione del principio di inviolabilità del giudicato …

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