La persona offesa da reato commesso con violenza alla persona non è legittimata ad impugnare, nemmeno con ricorso per cassazione, l'ordinanza che abbia disposto la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, diversa dal divieto di espatrio o dall'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in violazione del diritto di intervento per mezzo di memorie riconosciutole dall'art. 299 c.p.p., comma 3, ma può chiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione ai sensi dell'art. 572 c.p.p. Ciò in quanto, nell'assetto normativo vigente, la persona offesa non riveste la qualifica di "parte" nel procedimento cautelare, non essendole riservato in esso un ruolo partecipativo "ad ampio spettro", né in quello principale, ove il diritto all'informazione e il diritto alla presentazione di memorie e di indicazione di elementi di prova (artt. 90 e 121 c.p.p.) "non strutturano un ruolo di parte", ma di "soggetto processuale la cui partecipazione non condiziona la progressione processuale". La persona offesa diventa "parte" solo quando si costituisce parte civile, mentre nell'ordinamento interno lo strumento processuale per garantire che le sue deduzioni siano prese in considerazione si rinviene nell'art. 572 c.p.p., a norma del quale sia la parte civile che la persona offesa non costituitasi parte civile - oltre che gli enti e le associazioni intervenute ai sensi degli artt. 93 e 94 - possono proporre al pubblico ministero richiesta motivata di impugnazione ad ogni effetto penale.