Il giudice, nel valutare la validità di un contratto, è tenuto a rilevare d'ufficio la nullità dello stesso solo quando questa rappresenta un elemento costitutivo della domanda giudiziale, e non quando la domanda attenga direttamente alla declaratoria di illegittimità dell'atto. Pertanto, l'accertamento della nullità di un contratto non può essere condizionato dal petitum della controversia, essendo la nullità rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio, ma tale potere del giudice va coordinato con il principio della domanda, per cui egli è tenuto a rilevare d'ufficio la nullità solo quando questa sia elemento costitutivo della domanda e non quando la domanda miri direttamente alla declaratoria di illegittimità dell'atto. Inoltre, l'errore di fatto, come l'erronea presupposizione sulla sussistenza di una procedura espropriativa, non integra un errore di diritto ai sensi dell'art. 1429, n. 4, c.c., e pertanto non costituisce causa di annullamento del contratto per vizio del consenso, essendo tale circostanza stata espressamente esclusa dalla volontà comune delle parti. Il giudice di appello, pertanto, non è tenuto a motivare sulla dedotta sussistenza di un errore di diritto, trattandosi di una questione nuova, estranea ai motivi di appello.