Il traffico di influenze illecite, sanzionato dall'art. 346-bis c.p. nella formulazione antecedente alla L. n. 3 del 2019, richiede la dimostrazione che l'intermediario, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale, si sia impegnato a far compiere atti contrari ai doveri d'ufficio, dietro la promessa o la dazione di denaro o altro vantaggio patrimoniale. L'accordo illecito deve essere connotato da concretezza e specificità, non essendo sufficiente la mera prospettazione di rapporti privilegiati con il pubblico agente. Analogamente, il reato di collusione militare, di cui all'art. 3 della L. n. 1383 del 1941, postula la prova di un accordo illecito tra il militare e l'estraneo, finalizzato ad attenuare le conseguenze di accertamenti tributari, a prescindere dal conseguimento del risultato su cui si fonda l'intesa collusiva. In entrambi i casi, il giudice di merito deve individuare puntualmente l'atto o gli atti contrari ai doveri d'ufficio che l'imputato si era impegnato a far compiere, valutando criticamente le dichiarazioni dei testi assistiti e correlando tali propalazioni alle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari. Quanto alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 53 della L. n. 689 del 1981, il giudice deve applicare i parametri dosimetrici indicati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della previgente disciplina.