Il pubblico ufficiale che, in cambio di denaro, beni o servizi, compie atti d'ufficio in favore di privati, ovvero omette di compiere gli atti dovuti, commette il reato di corruzione. Affinché tali condotte siano punibili, è necessario accertare l'esistenza di un accordo corruttivo, caratterizzato dal sinallagma tra la prestazione del pubblico ufficiale e il vantaggio patrimoniale ricevuto. L'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche come prova di tali reati è subordinata al rispetto del principio di connessione qualificata tra i reati per i quali le captazioni sono state autorizzate e quelli oggetto del processo, non essendo sufficiente la mera unità formale del procedimento. Ove tale connessione non sussista, i risultati delle intercettazioni sono inutilizzabili, salvo che non emergano come notizie di nuovi reati, tali da giustificare l'emissione di un autonomo decreto autorizzativo. In assenza di idoneo materiale probatorio, al di fuori delle intercettazioni, il giudice è tenuto a procedere alla c.d. "prova di resistenza" del compendio probatorio, al fine di valutarne la complessiva tenuta dimostrativa.