Il tentativo di frode in commercio si configura con la messa in vendita di prodotti non regolamentari, in quanto tale condotta costituisce un aspetto della trattativa negoziale e un'offerta al pubblico, essendo quindi idonea e diretta in modo non equivoco alla conclusione dell'accordo finale e alla consumazione della frode commerciale, a prescindere dall'effettiva conclusione della vendita. Pertanto, la mera esposizione e messa in vendita di prodotti diversi, per origine, provenienza, qualità o quantità, da quelli dichiarati o pattuiti, integra il tentativo di frode in commercio di cui all'art. 515 c.p., a prescindere dall'avvenuta cessione degli stessi a terzi. Il contatto con la clientela non è infatti elemento necessario per la configurabilità del tentativo, essendo sufficiente la condotta di messa in vendita, che si risolve in una proposta contrattuale. Il giudice non può quindi escludere la sussistenza del tentativo di frode in commercio sulla base della mancata conclusione della vendita al momento del controllo, in quanto tale circostanza non costituisce elemento essenziale della fattispecie.