Il giudice di legittimità, nell'esercizio del controllo sulla motivazione della sentenza impugnata, non può riesaminare il merito della causa e sostituire la propria valutazione delle risultanze probatorie a quella compiuta dal giudice di merito, il quale gode di un ampio potere discrezionale nell'individuazione delle fonti del proprio convincimento, nel controllo della logica attendibilità e giuridica concludenza delle prove, e nella scelta di quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione. Il sindacato del giudice di legittimità è limitato alla verifica della correttezza del percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito nell'accertamento dei fatti e nell'applicazione delle norme di diritto, senza poter sostituire la propria valutazione a quella del giudice di appello, salvo i casi di prove legali tassativamente previsti dall'ordinamento. La mera prospettazione di una diversa lettura delle risultanze procedimentali, in assenza di vizi logico-formali o di violazioni di legge rilevanti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., è inammissibile in sede di legittimità, in quanto comporterebbe un'indebita trasformazione del giudizio di cassazione in un nuovo grado di merito.