Cassazione penale Sez. V sentenza n. 6037 del 25 gennaio 1999
ECLI:IT:CASS:1999:6037PEN
Massima
Massima ufficiale
In materia di reati contro la fede pubblica, mentre l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 469 c.p. presuppone una falsificazione dell'impronta del sigillo di un pubblico ufficio, attuata, di volta in volta, con i più diversi mezzi, il reato previsto dall'art. 468 c.p. presuppone invece che si abbia la disponibilità di uno strumento idoneo non ad una sola, ma a tante riproduzioni della stessa impronta, facilmente attuabili mediante la semplice apposizione del sigillo sul documento falsificato. La registrazione ed utilizzazione delle dichiarazioni rese ad un terzo da persona successivamente imputata sono legittime perché non riconducibili nell'ambito delle intercettazioni irrituali né in quello delle dichiarazioni indizianti rese da persona non indiziata né indagata, rispettivamente inutilizzabili a norma degli articoli 63 e 271 c.p.p.. Ed invero non si è in presenza di intercettazioni, cioè di occulta conoscenza da parte di terzi e mediante congegni particolari, di comunicazioni riservate; ma di registrazione di un colloquio ad opera di uno degli interlocutori, attività riconducibile ad una memorizzazione di notizie procurate lecitamente. (La Corte nella specie ha ritenuto che le registrazioni suddette sono acquisibili ed utilizzabili in dibattimento come documenti). Il reato di cui all'art. 468 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui lo strumento contraffatto viene creato ad opera del suo autore, o di chi per lui, senza che occorra, ai fini della perfezione del reato stesso, che di tale strumento venga fatto uso. L'uso (eventuale) o anche continuato dello strumento, da parte dell'autore della contraffazione, costituisce, pertanto, un post factum non punibile, con la conseguenza che contraffazione ed uso sono previste come condotte alternative e non possono concorrere.
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