Il ricorso proposto avverso una sentenza penale deve essere dichiarato inammissibile quando l'imputato vi abbia rinunciato, ai sensi dell'articolo 591, comma 1, lettera d), del codice di procedura penale. In tal caso, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma equitativamente determinata, in applicazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000, in relazione ai profili di colpa ravvisati nell'impugnazione. Il rigetto del ricorso per inammissibilità, a seguito di rinuncia dell'imputato, non comporta l'esame del merito della decisione impugnata, ma determina unicamente la condanna del ricorrente alle spese e all'ammenda, quale conseguenza della rinuncia all'impugnazione proposta. Tale principio si fonda sull'esigenza di assicurare il corretto e razionale esercizio del diritto di impugnazione, evitando l'abuso dello stesso, e di garantire l'effettività della decisione giurisdizionale, impedendo che il processo possa essere strumentalmente protratto oltre i limiti di ragionevolezza. La declaratoria di inammissibilità del ricorso, pertanto, rappresenta una sanzione processuale commisurata alla condotta del ricorrente che, avendo rinunciato all'impugnazione, non può sottrarsi agli oneri economici conseguenti, a tutela dell'ordinato e celere svolgimento del processo penale.