Il reato di minaccia si configura solo quando l'agente abbia agito con la cosciente e volontaria intenzione di incutere timore nella vittima, prospettandole in modo credibile un male ingiusto. Pertanto, ove le espressioni utilizzate, pur essendo censurabili sul piano sociale, risultino prive di intrinseca attitudine a minacciare e siano invece espressione di un momentaneo risentimento, non può ritenersi integrato l'elemento soggettivo del reato, con conseguente assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste. La formula assolutoria "perché il fatto non costituisce reato", in tal caso, deve essere interpretata in senso favorevole all'imputato, come equivalente alla più ampia formula "perché il fatto non sussiste", in considerazione della motivazione della sentenza che esclude la sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato. L'imputato, pertanto, non ha interesse a impugnare la sentenza di assoluzione per ottenere la formula più favorevole "perché il fatto non sussiste", atteso che la motivazione della pronuncia impugnata conduce comunque all'esclusione della responsabilità penale.