Il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) si configura quando la condotta del reo, caratterizzata da reiterati comportamenti molesti e minacciosi, cagiona nella vittima un grave stato di ansia e di paura, compromettendone in modo significativo la qualità di vita e la libertà di autodeterminazione. La prova dell'evento del reato può essere desunta dalle dichiarazioni della persona offesa, purché valutate positivamente dal giudice in relazione alla loro attendibilità e credibilità, anche sulla base di riscontri esterni. Non è necessario che la condotta del reo integri specifiche modalità di aggressione o di minaccia, essendo sufficiente che essa assuma una gravità tale da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità e da alterare in modo rilevante le sue abituali condizioni di vita. Pertanto, anche comportamenti apparentemente lievi, come pedinamenti e molestie reiterate, possono integrare il delitto di atti persecutori qualora siano idonei a cagionare nella vittima un grave stato di ansia e di paura.