Cassazione penale Sez. V sentenza n. 10641 del 14 marzo 2002

ECLI:IT:CASS:2002:10641PEN

Massima

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Il giudice di legittimità, nel valutare la legittimità di una misura di prevenzione personale e patrimoniale applicata a un soggetto ritenuto appartenente ad un'associazione di tipo mafioso, deve verificare se la motivazione della decisione di merito sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, senza poter sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. In particolare, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione personale, è sufficiente che il giudice accerti, sulla base di un contesto indiziario univoco, l'esistenza di un collegamento stabile tra il soggetto e l'associazione criminale, senza necessità di provarne la formale partecipazione. La valutazione della pericolosità sociale del soggetto deve fondarsi su una complessiva valutazione della sua personalità e del suo tenore di vita, desumibile da elementi oggettivi come precedenti penali, frequentazioni, movimentazioni bancarie e patrimonio sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati. Quanto alla misura patrimoniale della confisca, essa può essere applicata anche ai beni acquisiti anteriormente all'entrata in vigore della relativa disciplina normativa, in quanto le misure di prevenzione non soggiacciono al principio di irretroattività della legge penale. La sproporzione tra il patrimonio del soggetto e i suoi redditi leciti, ovvero la presunzione di illecita provenienza dei beni, legittima l'applicazione della confisca, salva la possibilità per l'interessato di dimostrarne la legittima provenienza.

Sentenza completa

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il decreto impugnato la Corte d'appello di Messina confermò l'applicazione a L. S. della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per quattro anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e con la confisca di alcuni beni mobili e immobili intestati a lui, alla moglie M. S. e ai figli G. S., F. S., G. R. S. e C. S.
Nel disattendere i quattro motivi d'impugnazione proposti dagli interessati, i giudici d'appello rilevarono:
a) quanto al presupposto dell'attuale pericolosità sociale del proposto, elementi concludenti in tal senso si desumono dall'affermazione in primo grado della sua responsabilità per un reato di usura commesso tra il 1990 e il 1991, successivamente dichiarato estinto per prescrizione in appello, dagli stretti suoi rapporti con il cognato L. S., capo di un clan mafioso dedito all'usura e abituale frequentatore con i suoi uomini del circolo ricreativo gestito da L. S., d…

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