Il tentativo di omicidio si configura quando l'agente pone in essere atti diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della vittima, anche se l'evento letale non si verifica per cause indipendenti dalla sua volontà. Ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice deve valutare complessivamente tutti gli elementi fattuali, senza una parcellizzazione degli stessi, considerando le circostanze di tempo, luogo e modalità dell'azione, nonché la capacità lesiva del mezzo utilizzato e gli atteggiamenti psicologici dell'agente, desumibili anche da precedenti condotte violente e minacciose. Ove tali elementi siano ritenuti idonei a dimostrare l'univocità degli atti e la consapevolezza e volontà dell'agente di cagionare la morte o, quantomeno, il grave ferimento della vittima, nella forma del dolo alternativo, il giudice può disporre la misura cautelare della custodia in carcere, in presenza di concreti e attuali pericoli di reiterazione del reato, desumibili dalla personalità violenta e dalla mancanza di freni inibitori dell'indagato, anche in considerazione di precedenti penali e di condotte aggressive nei confronti di prossimi congiunti e vicini di casa.