Cassazione penale Sez. V sentenza n. 21540 del 4 giugno 2002

ECLI:IT:CASS:2002:21540PEN

Massima

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Il reato di ingiuria sussiste anche in assenza di animus iniuriandi, essendo sufficiente l'uso consapevole di espressioni il cui valore sociale sia obiettivamente offensivo, indipendentemente dal fatto che siano o meno precedute, accompagnate o seguite da altre frasi, e a prescindere dalle personalità degli interlocutori. Ai fini della configurabilità del reato, non è necessario il dolo specifico di offendere l'onore o il decoro altrui, essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale. L'offensività dell'espressione utilizzata va valutata secondo il significato che essa assume nella comune percezione sociale, senza che rilevino le particolari condizioni soggettive degli interlocutori o il contesto relazionale in cui le parole sono state pronunciate.

Sentenza completa

Il PG di Catanzaro ricorre avverso la sentenza in epigrafe riportata, con la quale l'imputato è stato assolto dal delitto di cui all'art. 594 c.p. perché il fatto non sussiste.
Il ricorrente deduce erronea applicazione di legge ed afferma che ha male interpretato la norma incriminatrice il Tribunale col sostenere che l'epiteto "infame", rivolto dal C. ad una condomina, costituisca una semplice manifestazione di inimicizia e di cattiva educazione, ma che tuttavia sia espressione penalmente neutra, anche perché non preceduta, accompagnata o seguita da altre frasi. Il giudicante inoltre ha richiamato -senza alcuna attinenza, a giudizio del PG- le personalità "fortemente istintive" dell'imputato e della P., per dedurne una sostanziale irrilevanza del fatto.
Il ricorso è fondato e va accolto. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla competente Corte di appello.
Il capo di imputazione recita: "art. 594 c.p., per ave…

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