Cassazione penale Sez. V sentenza n. 3944 del 28 gennaio 2003

ECLI:IT:CASS:2003:3944PEN

Massima

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Il falso in bilancio, quale reato di pericolo astratto, tutela l'affidamento dei destinatari alla veridicità delle comunicazioni sociali, sanzionando l'esposizione di fatti materiali non corrispondenti al vero ovvero l'omissione di informazioni imposte dalla legge, con l'intento di ingannare i soci o il pubblico e conseguire un ingiusto profitto, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari. La nuova formulazione dell'art. 2621 c.c., pur introducendo una soglia di punibilità parametrata alla rilevanza quantitativa della falsa rappresentazione, non ha determinato una discontinuità strutturale rispetto alla precedente fattispecie, configurandosi un fenomeno di successione normativa in rapporto di specialità, con la conseguenza che i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della riforma possono essere sussunti nella nuova fattispecie solo ove ne ricorrano tutti gli elementi costitutivi, tra cui il nesso di causalità con il dissesto della società, altrimenti ricorrendo l'ipotesi di abolitio criminis. Inoltre, la relazione del consulente tecnico del pubblico ministero, quale mera elaborazione di dati documentali acquisiti ed immodificabili, non riveste carattere di atto irripetibile, la cui acquisizione al dibattimento mediante semplice lettura non è pertanto consentita.

Sentenza completa

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 17.10.2000, il Tribunale di Rossano dichiarava P. T. -quale socia accomandataria della s.a.s. "G. della S.", con sede in Corigliano Calabro, dichiarata fallita in data 21.6.1994- responsabile: a) delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante omessa registrazione di parte dei ricavi delle vendite (attribuendo contabilmente alle stesse un ricarico lordo inferiore a quello reale); b) del delitto di cui all'art. 223 comma 2 n. 1 l.f., per esposizione nei bilanci di fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche della società, con riferimento ai redditi lordi, le rimanenze e le esposizioni debitorie; e, per l'effetto, condannava l'imputata, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione fra i delitti, alla pena (sospesa) di anni 2 e mesi 6 di reclusione.
Adita sul gravame dell'imputata, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 3.12.2001, confermava la pronuncia di primo grado…

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