La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il procedimento autorizzativo per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, disciplinato dall'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 e dall'art. 27-bis del D.Lgs. n. 152/2006, è espressione di un principio fondamentale di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, che trova il suo fondamento nella normativa europea e nella giurisprudenza costituzionale. Tale principio impone un bilanciamento tra l'esigenza di potenziare le fonti rinnovabili e la tutela degli interessi pubblici coinvolti, tra cui quelli paesaggistici, storico-culturali e della biodiversità, da effettuarsi nell'ambito del procedimento unico, che costituisce l'unica sede idonea a consentire l'emersione, la prospettazione e la valutazione di tutti gli interessi rilevanti. In tale contesto, il parere negativo della Soprintendenza non può essere considerato come un potere di veto, ma come un "dissenso" qualificato che, ai sensi degli artt. 14-ter e 14-quinquies della L. n. 241/1990, forma oggetto della valutazione ponderale delle posizioni prevalenti espresse dalle Amministrazioni partecipanti, preordinata all'adozione della determinazione conclusiva. Pertanto, l'Amministrazione non può fondare il diniego dell'autorizzazione sulla sola circostanza che l'area interessata ricada in una fascia di rispetto di 500 metri da un bene tutelato, senza una adeguata istruttoria e motivazione che tenga conto della specifica conformazione dell'area e della relazione dell'impianto con il contesto in cui è collocato.