Il comportamento persecutorio, per integrare il reato di atti persecutori (stalking), deve concretizzarsi in condotte reiterate, idonee a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima, ovvero a ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, nonché a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. Pertanto, la mera frequentazione di luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché la semplice circostanza di rivolgere sguardi all'altra persona, pur se ripetuti, non integrano di per sé il delitto di atti persecutori, qualora non siano accompagnati da ulteriori comportamenti idonei a determinare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura. Il giudice, nel valutare la sussistenza del reato, deve quindi accertare in concreto se le condotte denunciate, nel loro complesso, abbiano cagionato nella persona offesa un effettivo e perdurante stato di grave turbamento, tale da alterare in modo significativo le sue abitudini di vita.