Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 33468 del 9 settembre 2011

ECLI:IT:CASS:2011:33468PEN

Massima

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Il possesso di sostanze stupefacenti, anche se finalizzato alla cessione a terzi, non determina l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal soggetto trovato in possesso, in quanto tali dichiarazioni non rientrano nella previsione dell'art. 63 c.p.p. relativa alle dichiarazioni "indizianti" rese da chi abbia commesso un reato, ma costituiscono piuttosto la realizzazione del fatto tipico del reato di spaccio. Pertanto, le dichiarazioni rese dal soggetto trovato in possesso di stupefacenti, anche se finalizzate alla cessione a terzi, sono pienamente utilizzabili ai fini della prova del reato di spaccio a carico di altri soggetti. Ai fini dell'emissione di una misura cautelare personale, il requisito della "gravità degli indizi di colpevolezza" di cui all'art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, essendo sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli. Pertanto, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito. Ai fini della sussistenza dell'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall'art. 274 c.p.p., lett. c), la pericolosità sociale dell'indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità, potendo le medesime modalità e circostanze del fatto essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente. Il decorso del tempo tra la commissione del fatto e l'applicazione della misura cautelare non è elemento da solo sufficiente ad escludere l'attualità e la concretezza del pericolo di recidiva, essendo necessaria una adeguata motivazione sulla attualità e concretezza di tale pericolo, tanto più adeguata quanto maggiore è il tempo trascorso dalla commissione del fatto. Infine, il mancato rispetto del termine di dieci giorni per il deposito della motivazione dell'ordinanza di riesame, previsto dall'art. 309 c.p.p., comma 10, non determina la perdita di efficacia della misura cautelare, essendo sufficiente che entro tale termine sia stato depositato il solo dispositivo, mentre la motivazione può essere depositata nel termine ordinatorio di cinque giorni dalla deliberazione, senza che il mancato rispetto di tale termine influenzi l'efficacia del provvedimento coercitivo.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALBIATI Ruggero - Presidente

Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) GU. DA. N. IL (OMESSO);

avverso l'ordinanza n. 466/2011 TRIB. LIBERTA' di CATANZARO, del 29/03/2011;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;

sentite le conclusioni del P.G. Dott. STABILE Carmine che chiede dichiararsi inammissibile il ricorso;

udito il difensore avv. IUCLANO Michelangelo in sostituzione che chiede l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

GU. …

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