Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così formulato: Il reato di diffamazione continuata è configurabile quando le espressioni offensive pronunciate dall'imputato, pur avendo un nesso di connessione con vicende pregresse, travalicano il limite della continenza e si risolvono in un attacco gratuito alla dignità e professionalità della persona offesa, non giustificato da alcuna esigenza legata al buon andamento dell'istituzione o all'esercizio di una prerogativa legittima. La scriminante della provocazione non può essere riconosciuta quando il tempo trascorso tra i fatti pregressi e la reazione dell'imputato è tale da escludere il nesso di causalità immediata tra la provocazione e la condotta diffamatoria, la quale risulta piuttosto espressione di sentimenti di odio e rancore a lungo covati. Inoltre, la verità dei fatti affermati dall'imputato non è di per sé sufficiente a integrare la causa di non punibilità di cui all'art. 596 c.p., dovendosi valutare anche le modalità e il contesto in cui le espressioni sono state pronunciate.