La destinazione di un'area a verde privato, operata dalle previsioni dello strumento urbanistico generale, non assume la natura di vincolo espropriativo o assimilabile, ma costituisce espressione del potere conformativo dell'autorità pianificatrice, cosicché non soggiace alla decadenza per inutile decorso del previsto termine quinquennale. Tale limitazione all'esercizio dello ius aedificandi non configura, di per sé, l'imposizione di un vincolo sostanziale ed uno svuotamento incisivo del diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, tale da rendere il suolo inutilizzabile rispetto alla sua naturale vocazione ovvero da diminuirne significativamente il valore di scambio, in quanto non inibisce in radice il godimento del bene da parte del proprietario, ma ne circoscrive soltanto le modalità esplicative, attuabili anche ad iniziativa del medesimo proprietario, purché in conformità alla predetta destinazione a verde. Pertanto, il vincolo conformativo ambientale, gravante su parte di un fondo, costituisce motivazione autosufficiente per il diniego di un permesso di costruire, anche in presenza di ulteriori profili di illegittimità non accertati, in quanto la carenza di interesse del ricorrente all'accoglimento del ricorso determina l'assorbimento di tali ulteriori censure. Inoltre, la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento o dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda di permesso di costruire non incide sulla legittimità sostanziale del provvedimento finale, qualora il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.