Il reato di omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p., comma 1, si configura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio rifiuta espressamente o implicitamente di compiere un atto del proprio ufficio che avrebbe dovuto essere eseguito senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene e sanità. Tuttavia, l'inerzia o il mero "non facere" non sono di per sé penalmente rilevanti, a meno che non concorrano circostanze che attribuiscano a tali comportamenti un significato univoco di rifiuto, ovvero quando, di fronte a un'urgenza sostanziale che impone l'adempimento dell'atto, l'omissione del soggetto obbligato assuma intrinsecamente valore di rifiuto, integrando così la condotta prevista dalla fattispecie incriminatrice. Il reato di cui all'art. 328 c.p., comma 1, è un reato istantaneo, il cui momento consumativo si realizza con il rifiuto o con l'omissione, senza che abbia rilievo l'eventuale protrazione dell'inattività individuale. Tuttavia, qualora circostanze oggettive, non imputabili al soggetto obbligato, abbiano impedito l'adempimento dell'atto richiesto, non può configurarsi il reato di omissione di atti d'ufficio, in assenza di una manifestazione di volontà negativa, esplicita o implicita, da parte del medesimo soggetto.