Il contrasto di un intervento edilizio, comportante incremento di superficie e volume, con la disciplina urbanistica e paesaggistica vigente nell'area costituisce ragione sufficiente e assorbente per il rigetto dell'istanza di condono edilizio, anche in assenza di prova certa circa la preesistenza del manufatto rispetto all'imposizione del vincolo. Infatti, il legislatore, con l'art. 32, comma 27, della legge n. 326/2003, ha introdotto una disciplina più restrittiva rispetto alle precedenti, richiedendo, in presenza di abusi realizzati in zone vincolate, il requisito aggiuntivo della conformità urbanistica delle opere realizzate in assenza o in difformità dal prescritto titolo abilitativo. Pertanto, ove l'intervento edilizio risulti in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore generale e del piano territoriale paesistico, il diniego del condono è doveroso e non superabile in sede condonistica, in quanto la mera contrarietà alle norme urbanistico-paesistiche costituisce ragione sufficiente per il rigetto dell'istanza. Inoltre, l'applicabilità delle ordinarie garanzie procedimentali, come il preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis della legge n. 241/1990, è esclusa nei procedimenti condonistici, in ragione della loro specialità, nonché della vincolatezza del provvedimento di rigetto, che non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello adottato.