Il diritto di critica, quale espressione della libertà di manifestazione del pensiero, è legittimamente esercitato quando ricorrono i seguenti requisiti: a) la verità oggettiva (o putativa) dei fatti riferiti, che non sussiste quando vengano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti strettamente connessi in grado di mutarne il significato, ovvero quando i fatti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi idonei a creare false rappresentazioni della realtà; b) l'interesse pubblico all'informazione, ossia la pertinenza; c) la forma "civile" dell'esposizione e della valutazione dei fatti, vale a dire la continenza. Il giudice di merito, nell'accertare la legittimità dell'esercizio del diritto di critica, deve valutare la sussistenza di tali requisiti sulla base di un apprezzamento complessivo delle circostanze del caso concreto, la cui motivazione è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente argomentata, senza che il giudice di legittimità possa sostituire la propria valutazione alternativa a quella del giudice di merito.