Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La continuazione tra reati associativi, anche di natura mafiosa o di criminalità organizzata, richiede la dimostrazione che, al momento dell'adesione al primo sodalizio, l'agente avesse già la rappresentazione e la volontà di realizzare la serie di reati successivi, almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente la mera contiguità spaziale e temporale tra le diverse associazioni, né la parziale sovrapposizione dei partecipanti o l'evoluzione dell'una nell'altra, in quanto tali elementi non sono indicativi della programmazione unitaria iniziale. L'accertamento dell'unità di disegno criminoso è rimesso al giudice di merito, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che non risulti manifestamente illogica o priva di adeguata motivazione. In assenza di allegazioni concrete da parte del condannato circa l'esistenza di tale unità di programma, il giudice dell'esecuzione non può che basarsi sulle risultanze delle sentenze di condanna, le quali, nel caso di specie, hanno escluso la continuazione tra i due distinti reati associativi contestati.