Il procedimento disciplinare a carico di magistrato, a norma dell'art. 18 del R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511, per fatti o comportamenti che lo rendano immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che compromettano il prestigio dell'ordine giudiziario, si pone su un piano autonomo ed indipendente rispetto al processo penale, atteso che l'eventuale configurabilità, in quei fatti o comportamenti, anche di estremi di reato non interferisce sulla promuovibilità del procedimento stesso e l'irrogabilità delle previste sanzioni, salvo l'obbligo del rapporto, ai sensi dell'art. 3 cod. proc. pen., e l'autorità degli accertamenti contenuti nel giudicato penale. Pertanto, pure in ipotesi di rilevanza penale dei fatti imputati nel procedimento disciplinare, manifestamente non è configurabile un contrasto fra le norme che regolano tale procedimento e gli artt. 3, 24, 25 e 102 della costituzione, tenuto conto che le norme medesime non sottraggono il magistrato al giudice naturale penale, né creano un giudice penale speciale, né interferiscono sul principio della legalità e tassatività delle fattispecie criminose (posto dall'art. 25 secondo comma della costituzione con esclusivo riguardo al processo penale), e che inoltre assicurano all'incolpato, in sede disciplinare, il diritto di difesa di cui all'art. 24 della costituzione (il quale non prescrive che la sua tutela debba essere assicurata con un doppio grado di giurisdizione).