Il pubblico ufficiale che, nell'esercizio delle proprie funzioni, accetta indebitamente utilità economiche da un privato, realizza il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p., a prescindere dall'individuazione di uno o più atti contrari ai doveri d'ufficio, in quanto tale fattispecie incriminatrice si configura come reato di pericolo che sanziona l'asservimento della funzione pubblica all'interesse privato. L'elemento psicologico del reato è integrato dalla consapevolezza dell'agente di accettare la dazione o promessa indebita in ragione delle proprie funzioni, senza che sia necessario l'accertamento di un fine specifico di conseguire utilità. Ai fini della confisca del profitto del reato, il giudice è tenuto a verificare la sussistenza della responsabilità penale dell'imputato secondo lo standard probatorio di cui all'art. 533 c.p.p., anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, mentre per le statuizioni civili il giudice deve procedere ad una compiuta valutazione degli elementi di prova, senza poter prescindere dalle deduzioni difensive.