Il giudice di legittimità, in presenza di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., può sindacare esclusivamente i motivi di impugnazione tassativamente previsti dall'art. 448 comma 2-bis c.p.p., ovvero la volontà dell'imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l'erronea qualificazione giuridica del fatto e l'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Ogni altro motivo di ricorso, come la violazione di legge o il vizio di motivazione, è dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, in assenza di elementi che escludano ogni profilo di colpa. Tale disciplina, introdotta dalla riforma del 2017, risponde alla finalità deflattiva del procedimento, assicurando un più rapido passaggio in giudicato della sentenza.