Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: L'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reiterate truffe in danno di soggetti determinati, come i sacerdoti, può essere desunta dalla pluralità, frequenza e rilevanza dei singoli reati-scopo, i quali sono idonei a far presumere l'esistenza di un accordo criminoso preventivo, permanente o comunque stabile tra i partecipi, finalizzato al compimento di una serie indeterminata di delitti di truffa. Tali elementi, unitamente alle dichiarazioni confessorie del concorrente, consentono di ritenere provata la sussistenza dell'associazione a delinquere, anche in assenza di un'ampia operatività temporale del sodalizio, purché vi sia una sufficiente stabilità e programmazione dell'attività delittuosa. I vizi motivazionali e le doglianze sulla determinazione della pena, se generiche e meramente riproponenti questioni già esaminate dai giudici di merito, sono inammissibili in sede di legittimità, non potendo il giudice di cassazione riesaminare il merito della vicenda processuale. Parimenti infondata è l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 606 c.p.p., se non supportata da specifiche e concrete censure in ordine alla sottrazione di atti e documenti rilevanti per la difesa.