Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il reato di corruzione attiva per l'esercizio della funzione (artt. 110, 321, 318 c.p.) si configura quando vi sia un accordo corruttivo tra un privato e un pubblico ufficiale, a prescindere dall'iniziativa assunta dal pubblico ufficiale, purché manchi nel soggetto privato una posizione di soggezione che varierebbe la qualificazione giuridica del fatto in una delle fattispecie di cui agli artt. 317 o 319-quater c.p. La valutazione della prova, inclusa l'attendibilità delle dichiarazioni dei coimputati, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, la cui decisione non può essere sindacata in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione. La determinazione della pena, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, la cui decisione è censurabile in cassazione solo in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza.