Il magistrato che, al di fuori dell'esercizio delle funzioni, strumentalizzi la propria qualità per conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri, integra l'illecito disciplinare di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 109 del 2006, anche quando l'uso implicito della qualifica non sia accompagnato dalla sua esplicita spendita, essendo sufficiente che l'interlocutore sia a conoscenza della posizione rivestita dal magistrato. La valutazione circa la scarsa rilevanza del fatto, ai sensi dell'art. 3-bis del medesimo decreto legislativo, deve essere compiuta tenendo conto sia della lesione al bene giuridico tutelato dalla specifica norma disciplinare, sia dell'effettiva compromissione dell'immagine del magistrato e del prestigio di cui deve godere nell'esercizio dell'attività giudiziaria, anche in relazione alle ricadute ragionevolmente prevedibili della condotta abusiva posta in essere al di fuori delle funzioni, come la risonanza mediatica dell'episodio. La credibilità del magistrato e la sua capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica, sicché il dovere di non servirsi del proprio ruolo per ottenere un trattamento di privilegio si estende anche alla vita privata del magistrato, al fine di salvaguardare l'immagine di terzietà, di cura dell'interesse generale e di indipendenza sia nella collettività che nell'ambiente in cui egli opera.