Il giudice di legittimità, nell'esercizio del sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata, deve limitarsi a verificare l'adeguatezza e la logicità delle argomentazioni utilizzate dal giudice di merito per giustificare il proprio convincimento, senza poter procedere ad una nuova valutazione autonoma delle risultanze processuali. Il vizio di motivazione, denunciabile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., sussiste solo in presenza di macroscopiche contraddizioni o di palesi travisamenti della prova, tali da rendere la motivazione manifestamente illogica o inidonea a sorreggere la decisione. In tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni o abbia fatto ricorso a mere congetture, prive di riscontri empirici. Ai fini della recidiva semplice ex art. 99, comma 1, c.p., è sufficiente che il giudice dia conto della sussistenza di un precedente penale definitivo, senza necessità di un'analitica motivazione in ordine alla sua rilevanza ai fini della valutazione della maggiore pericolosità del reo, essendo tale valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento.