Il funzionario pubblico che, abusando della propria posizione, accetta denaro o altra utilità per compiere o omettere atti del proprio ufficio, commette il reato di corruzione propria, il quale è punito con una pena detentiva commisurata alla gravità della condotta e all'entità del vantaggio conseguito. Tale reato lede il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, minando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La prescrizione del reato di corruzione propria decorre dal momento della sua consumazione e può essere interrotta da specifici atti procedurali, la cui mancanza determina l'estinzione del reato. Nell'applicazione della pena, il giudice deve tenere conto della continuazione tra più reati della stessa specie, aumentando la sanzione in misura adeguata. Tuttavia, l'errore nella qualificazione giuridica del fatto, se non manifesto, non è censurabile in sede di legittimità, essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito la corretta sussunzione del fatto nella fattispecie normativa.