Sentenze recenti anticipo provvigionale

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione Lavoro nelle persone dei seguenti Magistrati: Dott.ssa Susanna MANTOVANI - Presidente rel. Dott.ssa Maria Rosaria CUOMO - Consigliere Avv. Corrado GIOACCHINI - Consigliere GA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza del Tribunale di Varese n. 56/22, est. Dott.ssa Giorgina Manzo, discussa all'udienza collegiale dell'8/2/23 e promossa DA (...) (c.f. (...) ), residente in T. (V.), Via U. (...) n. 2 ed elettivamente domiciliato in Milano, Via (...) presso lo studio dell'Avv. Lo.Si., che lo rappresenta e l'assiste per procura speciale in calce al ricorso in appello APPELLANTE CONTRO (...) S.R.L. CON SOCIO UNICO (P.Iva n. (...)), con sede legale in M., Via G. D. C. n. 8, in persona del Presidente sig. (...), rappresentata e difesa, giusta procura telematica ex art. 83 c.p.c. allegata alla memoria di costituzione di secondo grado, dall'Avv. Al.Me. del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Milano, Piazza (...) APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Varese, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n. 56/22 rigettava il ricorso, ponendo le spese di lite a carico del soccombente (Euro 2.800,00, oltre accessori), proposto da (...) - dall'1/8/13 agente di commercio di (...) s.r.l. con socio unico, in forza del mandato a tempo determinato con scadenza al 31/12/16 "per la vendita ed il noleggio dei beni dalla stessa commercializzati per la zona (in esclusiva) della (...), (...) e per il (...) con un'aliquota provvigionale variabile a seconda dei prodotti e con il rimborso delle spese a carico della preponente", sino al 24/3/15, quando la preponente gli aveva comunicato la risoluzione del rapporto lavorativo "con effetto immediato per (asserito) mancato raggiungimento dei budget degli ultimi 2 anni (per gli "anni 2013 e 2014")" - e, in accoglimento della riconvenzionale svolta dalla citata società, condannava il ricorrente a restituire a questa ultima, per acconti provvigionali anticipatamente percepiti in misura superiore rispetto al dovuto, l'importo di Euro 17.995,04, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e rivalutazione monetaria. Il giudice a quo, richiamati i fatti di causa e la normativa pattizia e legale in materia, riteneva infondate le pretese azionate dallo (...): a) a titolo di rimborso spese (Euro 4.000,00, oltre Iva) per il mese di marzo 2015, in quanto il ricorrente non aveva documentato alcuna spesa (il richiamo documentale in ricorso era al mero contratto di agenzia sottoscritto tra le parti), oltre alla circostanza che il predetto aveva di fatto cessato l'attività in favore della mandante alla fine del 2014; b) a titolo di provvigioni asseritamente dovute (Euro 14.019,71, oltre Iva), in quanto alla luce della documentazione versata in atti (cfr. il mastro relativo al registro IVA, doc. 4 resistente) e delle risultanze testimoniali, era stata dimostrata la vendita da parte dello (...) di sole due macchine nel corso del rapporto lavorativo (una spazzatrice usata al cliente (...) nel 2013 e una spazzatrice alla (...) nel 2014), non essendo stata provata la conclusione di ulteriori affari grazie alla effettiva e concreta attività realizzata dall'agente ("l'aver (meramente) presenziato all'apertura di buste in una gara pubblica, l'aver presenziato ad una dimostrazione pratica dei macchinari, ed ancora l'aver gestito per il preponente preventivi o documentazioni inerenti i contratti costituiscono attività collaterali rispetto ad una determinante partecipazione alla conclusione degli affari"), per cui, in virtù dell'art. 12 del contratto ( "La preponente, dietro presentazione di fattura, ad ogni fine mese si impegna a versare, oltre alle spese indicate nella misura indicata nell'art. 10, l'ulteriore importo di Euro 2.000,00 mensili oltre IVA a titolo di acconto sulle provvigioni indicate nell'allegato "A". In base ad una verifica condotta ogni sei mesi a far data dall'inizio del presente contratto, qualora l'importo degli acconti provvigionali mensili di cui al punto precedente superi l'importo delle provvigioni maturate nel medesimo periodo di tempo dall'agente, quest'ultimo si obbliga a restituire alla preponente la corrispondente differenza tra quanto percepito a tiolo di acconto e il minor eventualmente dovuto dalla Preponente. Qualora, nel medesimo periodo l'agente non abbia promosso la conclusione di alcuna vendita eseguita ex art. 1748 cod civ. dovrà integralmente restituire alla Preponente l'importo ricevuto nel medesimo periodo a titolo di acconto provvisionale"), questo ultimo era tenuto a restituire il compenso erogatogli come acconto; c) a titolo di provvigioni per (...) s.p.a. (Euro 54.792,00), in quanto, in base alla documentazione ed alle testimonianze raccolte, era emerso che la fornitura in oggetto era stata effettuata dalla odierna convenuta a seguito di aggiudicazione di "Gara Pubblica": "non risulta provato alcun contributo concreto del ricorrente per la sua conclusione, se si escludono chiaramente attività meramente esecutive su disposizione della committente, che tuttavia in quanto tali non hanno valenza probatoria ai fini in esame. Risulta altresì dimostrato in giudizio che l'indizione della gara in esame veniva ricavata attraverso T., che la gestione burocratica delle pratiche relative alla partecipazione alla gara era stata effettuata dalla (...) s.r.l., società associata in (...) a (...) con riferimento alla gestione dell'esecuzione dell'appalto (cfr. sul punto le dichiarazioni testimoniali ut supra riportate) e che comunque l'esecuzione della relativa fornitura non veniva portata a compimento a causa dell'intervenuta insolvenza dell'(...) (successivamente R.)."; Per quanto concerneva il recesso operato dalla mandante che si era avvalsa della - legittima (cfr. Cass. n. 22246/21) - clausola risolutiva espressa ex artt. 2 e 15 del contratto, il giudice a quo osservava che "lo (...), per l'anno 2013, ha raggiunto il 50% del target, avendo venduto una sola macchina (sul punto ut supra), raggiungendo per l'anno 2014 una percentuale del target previsto ancora inferiore, avendo parimenti venduto una sola macchina su un minimo previsto di sei. Ebbene, considerate le circostanze fattuali appena richiamate, ritiene questo giudicante che l'inadempimento dello (...) (la cui gravità, in considerazione del target di risultatoindividuato convenzionalmente tra le parti, risulta per tabulas) integri pacificamente una ipotesi di giusta causa, anche in considerazione del fatto che la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro avrebbe ben potuto comportare un prolungamento (ed altresì un aumento) del danno concreto subito dalla società in termini di mancate vendite." Attesa la sussistenza di una giusta causa di recesso, venivano meno le domande aventi ad oggetto la indennità sostitutiva del preavviso, la indennità ex art. 1751 c.c. e la indennità suppletiva di clientela. Riguardo al F., il giudice a quo rilevava "che il rapporto di lavoro tra le parti è durato meno di diciannove mesi, ragione per cui le provvigioni erogate in favore dell'agente risultano altresì parzialmente da restituire", mentre riguardo alla richiesta risarcitoria di Euro 105.000,00 evidenziava "la totale genericità delle allegazioni - e la relativa assenza di prova - con riguardo all'invocato danno patito a seguito del recesso". Per quanto concerneva, invece, la domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la restituzione della somma complessiva di Euro 24.840,04 o in via subordinata, di Euro 17.995,04 in virtù del citato art. 12 del mandato, qualificata ai sensi dell'art. 2033 c.c., il giudice di prime cure disattendeva l'eccezione preliminare della violazione del ne bis in idem sollevata dal ricorrente - per essere stata la medesima domanda svolta da (...) s.r.l. con socio unico nel ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo n. 401/2015 - poiché "nel giudizio richiamato dal ricorrente la (...) aveva a rigore formulato una eccezione di compensazione - espressamente qualificata difatti dal Tribunale come "compensazione impropria" (cfr. sentenza n. 14/2017 emessa dall'intestato Tribunale - dott. P. - allegata alla nota di deposito del 4.12.2017 di parte resistente) - dedotta tuttavia soltanto nelle concesse note autorizzate, con la conseguenza che la stessa non è stata oggetto di vaglio da parte del Tribunale." Ciò precisato, rilevato che non era prevista alcuna sanzione e/o decadenza in ordine al mancato svolgimento della verifica semestrale delle partite di dare/avere da parte della preponente e che gli acconti provvigionali non costituivano un "minimo garantito", atteso il tenore letterale della pattuizione e la condotta della mandante che aveva risolto la collaborazione poco più di un anno dopo la prima verifica, il Tribunale di Varese affermava che il ricorrente era tenuto a restituir la somma complessivo di Euro 17.995,04 - ottenuta dalla differenza della somma erogatagli a titolo di acconto provvigioni (Euro 27.790,04) e la somma dovutagli per le provvigioni maturate (Euro 6.845,00, dovendosi considerare pure i canoni dei contratti di noleggio percepiti da (...) s.r.l. con socio unico) - oltre ad interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo. Con il primo motivo di appello (pag. 6 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha ritenuto legittimo il recesso disposto dalla mandante in forza della clausola risolutiva espressa contrattualmente prevista e comunque in forza dell'art. 2119 c.c. Sostiene, in relazione al primo profilo, che il giudice a quo non ha tenuto conto del fatto che l'atto di risoluzione è giunto ben due anni dopo il presunto mancato raggiungimento degli obiettivi, che mai nulla gli era stato prima contestato e pertanto che già in base a questi elementi il recesso è illegittimo, avendo egli raggiunto l'obiettivo. Sostiene, in relazione al secondo profilo, che il giudice a quo non ha considerato l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, dichiarando l'esistenza di un grave inadempimento dell'agente senza che sia stato mai provato - e nemmeno indicato - l'inadempimento; ed ha ravvisato inadempimenti (inesistenti e mai nemmeno indicati) dell'agente mai posti alla base dell'atto di recesso (violazione dell'obbligo di fiducia). Secondo l'appellante il preteso e generico inadempimento a fondamento del recesso non può integrare giusta causa, in quanto "L'obbligazione principale dell'agente è (e rimane) riferita all'attività di promozione, e non alla conclusione. Nessuna prova è stata offerta da (...) sul punto. E non vi era nemmeno la prova (che è e rimaneva in capo alla preponente) che il "numero" indicato non fosse impossibile da raggiungere alla stregua della situazione fattuale ed economica della zona dell'agente al momento del recesso. Il Giudice ha palesemente errato nella valutazione della natura del recesso effettuato dalla preponente, ricostruendo - sebbene mai richiesto da nessuna delle parti - una sorta di giusta causa di recesso dovuta ad una violazione del più elementare obbligo di correttezza e di fiducia che è alla base del rapporto di agenzia (mai dedotto neppure dalla preponente!). Il capo della sentenza andrà quindi inevitabilmente riformato per vizio di ultrapetizione." Nell'ottica del gravame, il giudice di prime cure ha stravolto il dato testuale (art. 1 del mandato) e la volontà delle parti, essendo documentale che il suo obbligo era quello di promuovere gli affari e non di concluderli. Rileva altresì l'appellante che il Tribunale di Varese ha invertito l'onere probatorio in materia di giusta causa di recesso: "Controparte avrebbe dovuto dimostrare che (a) il "numero" assegnato avesse una base scientifica sulla scorta di un'attività di promozione di normale diligenza (e non un obiettivo solo sperato), (b) nel sistema economico in essere (analizzando l'andamento generale di vendita). (...) avrebbe quindi dovuto dimostrare (ma nulla ha dedotto e/o prodotto, né tanto meno nulla è stata dedotto dal Giudice) di aver fornito ex ante all'agente tutti gli strumenti necessari per poter ritenere raggiungibile l'obiettivo con una prestazione di ordinaria diligenza, al momento della sua accettazione, secondo il livello standard di svolgimento dell'attività resa dall'agente e dimostrare, così, la congruità dell'obiettivo da raggiungere rispetto all'ordinario andamento di vendita." Da ultimo, deduce che "Posto che anche per la stessa preponente il fatto non era così grave da giustificare un recesso in tronco, la clausola dovrà in ogni caso dichiararsi nulla per contrarietà alla disposizione inderogabile di cui all'art. 1750 c.c. in tema appunto di preavviso. Inoltre, si evidenzia che l'eventuale e asserito mancato raggiungimento dell'obbiettivo è dipeso da fatti indipendenti dalla volontà dell'agente. Quindi la condizione - se esiste e se è legittima - non si è comunque avverata per un fatto imputabile a (...)". Con il secondo motivo di appello (pag. 18 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha rigettato le domande relative alla indennità sostitutiva del preavviso, al risarcimento del danno ed alla indennità ex art. 1751 c.c. Assume che il giudice a quo ha errato nel valutare la prova documentale, nell'interpretare l'effettiva volontà delle parti e nell'applicare le norme di diritto. Nell'ottica del gravame, non ha considerato che il mandato era a tempo determinato e che il rapporto, pertanto, proprio alla luce del contratto, non poteva essere risolto prima della scadenza pattuita ( 31/12/16-doc. 1); ha errato poi in punto di onere probatorio, laddove semplicisticamente ha ritenuto che l'agente non avesse dimostrato il danno subito né nell'an né nel quantum, posto che "Basta esaminare gli scritti difensivi del giudizio di prime cure per notare che, sin dal ricorso introduttivo, l'agente precisava, in merito al danno patito, che nel momento in cui si scrive l'agente non ha reperito alcun nuovo incarico nel settore (pag. 19 del ricorso del giudizio di primo grado) e, in merito al quantum, offriva una quantificazione del danno ricorrendo in via analogica al criterio dettato dall'(...) (espressamente richiamato dalle parti in mandato e comunque quale disciplina collettiva valida erga omnes) in merito all'indennità sostitutiva del preavviso"; ha errato nel non riconoscere la indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., cui l'agente ha diritto pure in caso di validità della clausola risolutiva espressa (come peraltro accertato dal giudice a quo) e richiaman al riguardo la difesa articolata in primo grado sulla esistenza nel caso concreto dei presupposti richiesti dal disposto citato. Con il terzo motivo di appello (pag. 28 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha rigettato le domande subordinate relative al F. ed alla indennità suppletiva di clientela. Per quanto concerne la prima, si duole della erroneità del percorso logico-giuridico seguito dal giudice a quo, "il quale ha basato il rigetto della domanda per il sol fatto che il rapporto è durata 19 mesi e dovendo l'agente restituire le provvigioni percepite. La motivazione è giuridicamente incomprensibile."; mentre, per quanto concerne la seconda, ribadisce che il mandato non si è sciolto per fatto a lui imputabile. Con il quarto motivo di appello (pag.29 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha rigettato la domanda avente ad oggetto il rimborso spese per il marzo 2015, osservando che il diritto al pagamento delle spese di agenzia è documentale (art. 10 del mandato) e che non è subordinato alla presentazione di alcun giustificativo. Con il quinto motivo di appello (pag. 30 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha rigettato la richiesta relativa alle provvigioni ancora dovute anche con riferimento al cliente (...) s.p.a. Dopo aver ricordato di avere ricevuto l'ultimo pagamento a settembre 2014, osserva che "Già nella causa in opposizione (sebbene l'onere fosse a carico della preponente!) si era già documentato - e il Giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo l'ha accertato - che l'agente avesse maturato il diritto a provvigioni in misura superiore a quanto ricevuto. Tale circostanza tuttavia non è stata presa in considerazione"; che il giudice a quo non ha considerato il suo diritto, nei contratti a noleggio, di percepire le provvigioni su ogni canone pagato dal cliente; che il giudice a quo ha ignorato le dichiarazioni rese da M.L. (legale rappresentante di (...)) e di M.M., che confermano la conclusione della vendita di due affari tramite il suo intervento. Riporta lo schema riepilogativo degli affari e delle provvigioni che a suo avviso gli spettano. Con riferimento, invece, al cliente (...) s.p.a., evidenzia come il giudice a quo non abbia attribuito valore al documento n. 8, con il quale egli veniva incaricato di curare la trattativa volta alla conclusione della gara di appalto avente ad oggetto la fornitura di 7 spazzatrici meccaniche. Infine, con il sesto motivo di appello (pag. 43 e seg.) (...) impugna la sentenza n. 56/22 là dove il Tribunale di Varese ha accolto la riconvenzionale diretta alla restituzione degli anticipi provvigionali erogati in eccesso, lamentando la non corretta lettura dell'art. 12 del mandato e l'omesso esame delle eccezioni sollevate nei propri scritti difensivi (dal ricorso introduttivo del giudizio di prime cure alle note conclusive): "In particolare, il Giudice si è trincerato (come, del resto controparte) dietro la "banale scusa" che nulla sia dovuto al ricorrente in quanto le vendite dallo stesso procurate sono riconducibili a n. 2 affari e che, pertanto, era stato convenuto di non redigere gli estratti conto provvigionali (!), senza peraltro considerare adeguatamente la povertà delle contestazioni avversarie e dei documenti allegati dalla resistente e rigettando la richiesta di esibizione degli estratti conto provvigionali e dell'estratto delle scritture contabili formulata dall'agente. Né ha tenuto conto delle risultanze istruttorie e della documentazione in atti. Ebbene. Il Giudice ha accolto la domanda di restituzione degli anticipi provvigionali formulata da, sebbene il contratto di agenzia non ammetta la corresponsione di importi che esulano dalle provvigioni (doc. 1). Del resto, il versamento di somme non collegate, né collegabili, al contratto di agenzia, genererebbe attività di finanziamento e, secondo la ricostruzione offerta dalla controparte nessun dubbio può sorgere. Ma tale attività - come noto - è riservata solo a determinati soggetti (e la violazione della disciplina in materia avrebbe persino risvolti di natura penalistica)??. Controparte, inoltre, dimentica che l'"acconto" o "anticipo" riferisce all'erogazione di una somma comunque dovuta al beneficiario. Richiedere, quindi, nella fattispecie, in restituzione una somma di denaro (vuoi che siano anticipo, vuoi che sia acconto) presuppone inevitabilmente la dimostrazione della mancata conclusione dell'affare (che, nella fattispecie, manca del tutto. Deduce, inoltre, che il mancato rispetto del termine semestrale ha comportato la decadenza del diritto a qualsivoglia pretesa e che "La "prova provata" di quanto espresso, nonché della rinuncia e della decadenza è dimostrato dal fatto che la preponente sulle somme da questa pagate all'agente ha trattenuto la ritenuta d'acconto e quella E., versandole all'Erario. Se - come sostenuto dal Giudice - le somme corrisposte fossero "anticipi" non legati al fatturato nessuna ritenuta sarebbe dovuta essere applicata. Del resto, gli oneri fiscali e previdenziali riferiscono unicamente al reddito; se, secondo la logica di controparte, tali somme non erano reddito nessuna detrazione sarebbe dovuta essere applicata". Sostiene, da ultimo, che "Controparte avrebbe dovuto (a) dimostrare di aver pagato le provvigioni di quegli specifici affari che si presume non essere andati a buon fine, (c) dimostrare le ragioni per le quali non si siano perfezionati quegli affari e (d) dimostrare con certezza che il contratto non avrà esecuzione per fatto imputabile al cliente.... Nel giudizio di prime cure tale prova manca del tutto! Non si ha infatti modo di comprendere quali siano gli affari che non hanno avuto esecuzione e le ragioni della loro mancata esecuzione su cui sarebbe stata versata la provvigione di cui oggi si pretenderebbe la restituzione." (...) s.r.l. con socio unico resiste in giudizio, difendendo la sentenza impugnata e replicando puntualmente a tutte le doglianze di controparte. All'udienza dell'8/2/23, all'esito della discussione orale delle parti, la causa è stata decisa con dispositivo pubblicamente letto. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE -Recesso ex art. 2 del mandato o ex art. 2119 c.c. (I motivo) L'art. 2 del mandato prevede espressamente che l'agente si impegna a promuovere la conclusione di affari andati a buon fine per un minimo di 2 macchine della preponente per il 2013, di 6 macchine per il 2014 e di 8 macchine per il 2015; che per valutare il raggiungimento di tale budget si considerano gli ordini trasmessi dall'agente entro l'anno di riferimento e accettati dalla mandante anche successivamente alla scadenza; e che, qualora il budget non venga raggiunto, la preponente ha il diritto di risolvere immediatamente il contratto ex art. 1456 c.c. Nel ricorso ex art. 414 c.p.c. (...) ha unicamente contestato il mancato raggiungimento del budget (cap. n. 4 nella narrativa in fatto e deduzione a pag. 17), assunto che ribadisce - irritualmente - pure nella memoria di replica alla riconvenzionale (pag. 12). Risulta, pertanto, privo di pregio il primo ordine di censure, che contiene tra l'altro allegazioni nuove (per es. non avere raggiunto il budget per fatto imputabile a (...) s.r.l. con socio unico). E' invero stato pattiziamente concordato un minimo di vendite all'anno da concludere per il tramite di (...) e in tal senso va letta la clausola contrattuale, essendo evidente che l'obbligo dell'agente è quello di promuovere la vendita del prodotto, ma solo se l'affare è concluso e quindi è andato a buon fine egli ha diritto alla provvigione: dunque fin dalla stipula del mandato l'attuale appellante era a conoscenza di un obiettivo da perseguire, graduato con il passare degli anni (appunto 2, 6 e 8 macchine). La circostanza che il minimo concordato non sia stato raggiunto è documentale (dal prospetto riepilogativo redatto sulla base del mastro relativo al registro IVA, doc. 4 resistente emerge che lo (...) ha venduto nel 2013 n. 1 spazzatrice usata al cliente (...) e nel 2014 n. 1 spazzatrice alla (...)), per cui è del tutto conforme al tenore letterale ed alla volontà delle parti la condotta di (...) s.r.l. con socio unico che si è avvalsa della (valida) clausola espressa ex art. 1456 c.c., senza che possa avere rilevanza il fatto che la decisione di risolvere in tronco la collaborazione sia avvenuta due anni dopo il mancato raggiungimento del budget (in realtà il recesso del 24/3/15 è basato pure sul mancato raggiungimento del budget per il 2014 e non solo per il 2013) o che non ci siano state preventive contestazioni ad opera della preponente. La decisione del Tribunale di Varese sulla legittima risoluzione del mandato basato sul grave inadempimento dell'agente (che dall'1/8/13 al 24/3/15 ha contribuito alla vendita di due macchine) va pertanto confermata, avendo fatto corretta applicazione della regola sancita dall'art. 2697 c.c. e dei principi di diritto enunciati in materia dalla Suprema Corte. E' ormai consolidato l'orientamento di legittimità che ammette nel rapporto di agenzia la stipulazione della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c. con la conseguenza che, in presenza di tale clausola, il giudice non può compiere alcuna indagine sull'entità dell'inadempimento rispetto all'interesse della controparte, dovendo solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato: la clausola risolutiva espressa attribuisce pertanto al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza (così Cass. n. 7063/87; Cass. n. 4659/92; Cass. n. 4369/97; Cass. n. 8607/02). Anche questa Corte territoriale si è attenuta a detto principio, affermando che "la legittima ed accertata operatività della clausola risolutiva espressa prevista dalle parti da un lato precluda ogni valutazione giudiziale in ordine alla gravità dell'inadempimento, previamente effettuata dalle parti nell'esplicazione della loro autonomia negoziale".(Così CA MI n. 1814/17, Pres. Rel. P.), con conseguente legittimità del recesso comunicato dalla mandante. -Indennità sostitutiva del preavviso, risarcimento del danno, indennità ex art. 1751 c.c. (II motivo) e indennità suppletiva di clientela (parte del III motivo) Sono tutte domande che presuppongono l'illegittimità dell'atto di risoluzione del rapporto (o per la nullità della clausola risolutiva espressa o per il difetto di giusta causa) e perciò risultano assorbite, essendo incompatibili con il recesso conseguente a fatto imputabile all'agente: la indennità sostitutiva del preavviso non è dovuta, essendo il contratto a termine stato risolto ante tempus per giusta causa; la indennità ex art. 1751 c.c. e suppletiva di clientela non spettano nel caso in cui la collaborazione si risolva per inadempimento dell'agente; ugualmente, per i compensi (risarcimento danno) che (...) avrebbe maturato fino alla data di scadenza, essendo valida la interruzione prima di questa ultima in ipotesi di giusta causa. - (...) (III motivo) La censura coglie nel segno perché tale voce va riconosciuta all'agente a prescindere dalle ragioni del recesso. In base a quanto sancito dall'(...) del settore, non essendo il conteggio predisposto dall'appellante stato validamente contestato, in riforma sul punto della sentenza n. 56/22 del Tribunale di Varese, la appellata deve essere per tale ragione condannata a pagare la somma di Euro 1.234,00. -Rimborso spese marzo 2015 (IV motivo) Il mandato prevede (art. 10) che dall'1/1/2015 siano a carico della preponente le spese mensili di agenzia, pari ad Euro 4.000,00 + Iva, non essendo richiesta, contrariamente a quanto rilevato dal giudice a quo, alcuna pezza giustificativa (a differenza degli esborsi per trasferta, vitto, alloggio etc., che dovevano essere anche previamente autorizzati). Quindi, essendo il rapporto cessato il 24/3/15, l'appellante avrebbe diritto al rimborso spese quanto meno per i primi 25 giorni del mese (ca Euro 3.333,33). Egli però non ha aggredito la ulteriore (autonoma) motivazione posta alla base della decisione (ovvero che di fatto (...) ha cessato la attività promozionale a favore della mandante alla fine del 2014) con conseguente formazione di giudicato sul punto. -Provvigioni ancora dovute (V motivo prima parte) Non è stata prodotta (dato che la motivazione non era ancora stata depositata) la sentenza n. 17/17 del Tribunale di Varese che ha definito il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, per cui nulla può dirsi accertato sull'asserito diritto di (...) ad un compenso maggiore di quello percepito (statuizione che comunque dovrebbe essere passata in giudicato). Non corrisponde poi al vero l'assunto in forza del quale il giudice di prime cure non ha valutato le provvigioni relative ai canoni nei contratti a noleggio. In realtà sono state considerate dal Tribunale di Varese, ma solo per gli affari - secondo la decisione qui impugnata - andati a buon fine (tanto è vero, che il compenso per le due macchine vendute è stato quantificato in Euro 6.845,00 e non in Euro 2.950,00, vedi pag. 18 motivazione). Ciò chiarito, è condivisibile il rilievo dell'attuale appellante sulla valutazione delle deposizioni di Milanese e Montinaro, che supportano l'assunto attoreo e cioè che due macchine spazzatrici sono state acquistate da (...) s.p.a. tramite l'attività svolta dallo (...), ma che poi gli ordini non sono stati evasi per colpa di (...) s.r.l. con socio unico ("ADR: Ho conosciuto il ricorrente come rappresentante di case produttrici di attrezzature per nettezza urbana; (...): non so individuare il periodo preciso, più o meno nei primi anni del 2010; ci saremo visti in qualche fiera; nel 2014 - se non ricordo male il periodo - mi ha portato una macchina spazzatrice di fabbricazione (...); (...): l'ho tenuta qualche giorno in prova e poi l'ho comprata; preciso di averne acquistata una nuova, non quella che mi aveva dato in prova;(?) ADR: preciso di aver ordinato un'altra macchina spazzatrice dal ricorrente più o meno l'anno successivo, ma non mi è mai stata consegnata", così Montinaro; ADR - Cap. 1) Sul capitolo 1 per quanto mi risulta (...) ha inoltrato ordine a (...) per la fornitura per l'allestimento di un' auto spazzatrice stradale tramite il sig. (...). Dopo circa sei mesi nulla era stato fatto da (...) per cui, ritirato il telaio, (...) si rivolse ad altra ditta. Ciò avvenne nel 2014. Ci fu un secondo ordine per la fornitura di altra attrezzatura su veicolo simile alprimo successiva al primo. Non ricordo la data. L'ordine fu inoltrato dal Signor (...) e si presentò al titolare di (...) ed entrambi firmarono l'ordine. Anche il secondo ordine di allestimento non fu evaso da (...). Peraltro abbiamo avuto altri problemi nella riconsegna del telaio (...)" - così Milanese). Al contrario, non ha trovato riscontro probatorio la difesa di (...) s.r.l. con socio unico, secondo cui la mancata esecuzione di questi ordini sarebbe imputabile alla cliente (il doc. n. 6 richiamato è una missiva della appellata che comunica alla citata società il suo nulla osta al ritiro del telaio e perciò nulla dimostra; e non viene reiterata in questa sede la prova testimoniale dedotta nella memoria di primo grado). (...) ha quindi diritto all'importo di Euro 2.460,00 e di Euro 2.100,00 per le due vendite avvenute nel 2014 (vendite che non permettono, comunque, di ritenere raggiunto il budget minimo, che era di 6 macchine per il 2014, con la conseguenza che nessuna incidenza ha questo riconoscimento sulla validità del recesso operato dalla mandante ex art. 1456 c.c.). Provvigioni sul cliente (...) s.p.a. (V motivo seconda parte) La doglianza è priva di pregio. La delega a (...) (doc. 8 ricorrente) per partecipare alla celebrazione della gara da tenersi il 24/11/14, conferitagli dal legale rappresentante di (...) s.r.l. con socio unico - così come i rimborsi dei costi delle trasferte sostenute, questi presi invece in considerazione dal giudice a quo - non muta la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Varese, essendo inidonea a dimostrare che l'affare in questione si sia concluso per effetto dell'intervento dello (...) (circostanza peraltro esclusa dalle deposizioni raccolte in relazione alle quali non vi è alcuna censura di malgoverno e/o errato esame). -Domanda riconvenzionale (VI motivo) Le censure sul punto non colgono nel segno. L'art. 12 del mandato così recita: "La preponente, dietro presentazione di fattura, ad ogni fine mese si impegna a versare, oltre alle spese indicate nella misura indicata nell'art. 10, l'ulteriore importo di Euro 2.000,00 mensili oltre IVA a titolo di acconto sulle provvigioni indicate nell'allegato "A". In base ad una verifica condotta ogni sei mesi a far data dall'inizio del presente contratto, qualora l'importo degli acconti provvigionali mensili di cui al punto precedente superi l'importo delle provvigioni maturate nel medesimo periodo di tempo dall'agente, quest'ultimo si obbliga a restituire alla preponente la corrispondente differenza tra quanto percepito a tiolo di acconto e il minor eventualmente dovuto dalla Preponente. Qualora, nel medesimo periodo l'agente non abbia promosso la conclusione di alcuna vendita eseguita ex art. 1748 cod civ. dovrà integralmente restituire alla Preponente l'importo ricevuto nel medesimo periodo a titolo di acconto provvisionale". Ebbene, innanzi tutto è corretta - non lasciando possibilità di equivoci il tenore letterale della pattuizione - l'interpretazione offerta dal giudice di prime cure là dove ha affermato che le somme erogate a titolo di anticipi e/o acconti non costituivano un minimo garantito ovvero un importo svincolato dalla maturazione della provvigione futuri sugli affari andati a buon fine, ma, appunto, anticipi e/o acconti da conguagliare periodicamente. In secondo luogo, non era previsto alcun termine di decadenza, per cui, operando la disciplina dell'indebito ex art. 2033 c.c., dalla tardiva verifica semestrale non può derivare alcuna rinuncia (avrebbe dovuto essere espressamente pattuita una clausola in tal senso). Rilevato che è documentale quanto è stato erogato a (...) a titolo di acconti e quanto gli spetta a titolo di provvigioni maturate, la decisione del giudice a quo va sul punto riformata unicamente a seguito di quanto sopra esposto con riferimento alle provvigioni ancora dovute al predetto, nel senso che, avendo l'attuale appellante diritto alla somma complessiva di Euro 4.560,00 (2.460,00 + 2.100,00) per le due macchine vendute nel 2014, la domanda riconvenzionale deve essere di conseguenza ridotta. -Spese di lite Va ricordato che "in tema di spese processuali, l'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda artico-lata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza de-gli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ." (così Cass. SU n. 32061/22) In applicazione del principio di diritto enunciato, le spese di lite del doppio grado vengono compensate nella misura di un quarto, mentre nella restante misura sono poste a carico dell'appellante, il quale ha formulato diverse domande tra loro autonome (quelle fondate sul recesso e quelle fondate sulla pregressa collaborazione) ed è risultato vittorioso in parte solo su alcuni capi delle stesse. Tenuto altresì presente che "il giudice che deve liquidare le spese processuali relative ad un'attività difensiva ormai esaurita (nella specie, con decisione nel merito), deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l'attività stessa è stata compiuta, sicché, per l'attività conclusa nella vigenza del D.M. n. 127 del 2004, deve applicare le tariffe da questo previste e non i parametri sopravvenuti ai sensi dell'art. 41 del D.M. n. 140 del 2012" (così Cass. n. 2748/16; conf. Cass. n. 17577/18), le stesse vengono determinate ai sensi dei D.M. ratione temporis vigenti, in base al valore della controversia, all'espletamento o meno di istruttoria ed in applicazione della facoltà di riduzione del compenso in ragione delle condizioni soggettive delle parti. P.Q.M. In parziale riforma della sentenza n. 56/22 del Tribunale di Varese, condanna (...) s.r.l. con socio unico a pagare a (...) la somma di Euro 1.234,00 a titolo di F. e la somma di Euro 4.560,00 a titolo di provvigioni, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e conseguentemente condanna questo ultimo a restituire la minor somma dovuta a titolo di acconti provvigionali. Conferma le restanti statuizioni di merito. Liquida le spese del primo grado in Euro 8.000,00 e del secondo grado in Euro 5.000,00, oltre a spese generali, oneri ed accessori di legge, che pone a carico di (...) nella misura di tre quarti e compensa nel resto. Così deciso in Milano l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati: DI SARIO dott.ssa Vittoria - Presidente rel. SELMI dott. Vincenzo - Consigliere CERVELLI dott. Vito Riccardo - Consigliere all'esito dell'udienza del 19.1.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 4048 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019 vertente TRA (...) S.P.A. elett.me dom.ta in Roma, Via (...), presso lo studio degli avv.ti Ol.St., Pa.Go. e Ni.Pe. che la rappresentano e difendono giusta procura depositata in telematico APPELLANTE PRINCIPALE-APPELLATA INCIDENTALE E (...) elett.te dom.to in Roma, via (...), presso lo studio degli avv.ti Ma.Al. e Lu.Al. che lo rappresentano e difendono giusta procura apposta depositata in telematico APPELLATO PRINCIPALE-APPELLANTE INCIDENTALE Oggetto: appello avverso la sentenza n. 853/2019 del Tribunale di Latina depositata il 18.6.2019 RAGIONI DELLA DECISIONE 1. La (...) s.p.a., premesso di aver stipulato in data 25.3.2008 un contratto di agenzia per la promozione di servizi finanziari con (...), il quale con lettera del 3.12.2009 aveva comunicato il proprio recesso in violazione del patto di stabilità di 36 mesi assumendo un'inesistente giusta causa e di avere pertanto diritto al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso (Euro 4136,61), alla restituzione dell'anticipazione provvigionale soggetta a recupero concessa nel maggio 2009 (Euro 13.500,00) al pagamento della penale pattuita (Euro 97.500,00), ha agito in giudizio rassegnando le seguenti conclusioni: - premessa ogni declaratoria del caso in tema di insussistenza di giusta causa di dimissioni, condannare il signor (...) a pagare a (...) s.p.a. la somma complessiva Euro 114.656,91 per i titoli di cui in ricorso, ovvero la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria come per legge. Con il favore delle spese, diritti e onorari di lite. 1.1. Si è costituito in giudizio (...) resistendo al ricorso, avanzando domanda riconvenzionale e rassegnando le seguenti conclusioni: a) accertare e dichiarare che il rapporto di cui è causa si è risolto per fatto e colpa imputabile esclusivamente a (...) spa, costituente anche giusta causa di risoluzione ai sensi dell'art. 2119 c.c.; b) conseguentemente, rigettare, per i motivi esposti nel presente atto, tutte le domande formulate da (...) spa nei confronti di (...) perché infondate in fatto ed in diritto; c) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta, condannare (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) Euro 12.124,46 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, Euro 68.571,42 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c., oppure in subordine di Euro 3.500,00 a titolo di indennità sostitutiva di clientela, o delle maggiori o minori somme che risulteranno di giustizia, anche in via equitativa ex artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c. o previa ammissione di consulenza tecnica contabile, con la rivalutazione monetaria e gli interessi somme via via rivalutate dalla data di decorrenza dei diritti fatti valere sino all'effettivo soddisfo; d) accertare e dichiarare la nullità/annullabilità della dichiarazione di autoriduzione del (...) sottoscritta dal (...) ai sensi degli artt. 1324 e 1427 e seguenti c.c. e degli effetti retroattivi dell'allegato C del 12.06.09; e) in ogni caso, condannare (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) la somma di Euro 47.500,00 a titolo di (...) per i mesi di Aprile 2008 e da Gennaio a Giugno 2009, nonché le ulteriori somme dovute a titolo di provvigioni, premi e bonus maturati e non pagati nei mesi di novembre e dicembre 2009 e FIRR, il tutto da determinare mediante CTU contabile. f) in ogni caso, per i motivi esposti nel presente atto, condannare (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) Euro 30.000,00 o la diversa somma che risulterà di giustizia, se del caso ex art. 2041 c.c., anche a seguito di Consulenza Tecnica di Ufficio in esecuzione degli obblighi economici derivanti dal collocamento del prodotto (...) e dal suo riconoscimento ai fini del calcolo Budget per il mantenimento del minimo provvigionale garantito; g) accertata la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale di (...) Spa per i fatti descritti nella narrativa del presente atto, condannare la medesima, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) la somma di Euro 100.000,00 per il risarcimento del danno o quella maggiore o minore che risulterà di giustizia, anche in via equitativa; h) il tutto con la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme rivalutate dalla data di maturazione fino all'effettivo soddisfo; i) accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia delle clausole penali contenute nell'Allegato C al contratto di agenzia o, in subordine, provvedere alla riduzione dell'importo previsto a titolo di penale ai sensi dell'art. 1384 c.c., per i motivi e secondo le modalità esposte nel presente atto, o secondo le diverse modalità ritenute di giustizia; j) in via subordinata, e salvo gravame, effettuate le compensazioni di legge, determinare l'importo dovuto dall'una o dall'altra parte in causa secondo consulenza tecnica, giustizia ed equità; k) in ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa, oltre IVA e Cap e rimborso forfettario delle spese pari 12,50% delle competenze e degli onorari. 1.2. Il Tribunale di Latina, disposto l'interrogatorio formale del rappresentante legale della (...), ha così disposto: - rigetta il ricorso; - accoglie parzialmente la domanda riconvenzionale del convenuto e per l'effetto condanna parte ricorrente al pagamento di Euro 12.124,46 a titolo di indennità sostituiva del preavviso, oltre interessi legali e rivalutazione; - condanna la (...) S.p.a al pagamento della metà delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 6748,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, dichiarando compensata la restante parte sull'intero sopra determinato. Il primo giudice, i) ha accertato, sulla base delle risultanze dell'interrogatorio formale del legale rappresentante della Banca, delle deposizioni assunte, della documentazione prodotta e acquisita d'ufficio (escluso il doc. 33 come da ordinanza del 30.9.2014), l'inadempimento della Banca agli impegni assunti con l'agente, richiamando la mancata valorizzazione del portafoglio (...) S.p.a. e l'omesso pagamento delle provvigioni relative ai prodotti (...), di indubbia rilevanza ai fini della quantificazione delle (...); ii) ha quindi affermato la sussistenza della giusta causa alla base del recesso dell'agente, affermando come "l'inadempimento emerso nel giudizio ai danni dell'agente sia connotato da una gravità tale, nell'economia generale del rapporto tra le parti, di per sé sola sufficiente a giustificare l'impossibilità della prosecuzione dello stesso"; iii) ha ritenuto pertanto fondata la domanda riconvenzionale dell'agente con riguardo al diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso, anche nel quantum da lui determinato in Euro 12.124,46; iv) ha respinto la domanda volta al riconoscimento dell'indennità di cui all'art. art. 1751 c.c. per difetto di prova delle condizioni previste dalla norma; v) ha parimenti respinto la domanda volta al riconoscimento dell'indennità sostitutiva di clientela di cui all'art. 12 dell'AEC, la cui applicazione risultava espressamente esclusa dal contratto di agenzia; vi) ha ritenuto infondata, poiché generica, la richiesta di risarcimento del danno formulata dall'agente; vii) ha infine ritenuto infondata anche la domanda dell'agente di Euro 47.500,00 a titolo di (...), non sussistendo nella documentazione alcun riscontro circa il numero di polizze assicurative (...) sottoscritte con l'intermediario (...) a mezzo dell'operato dell'agente, ribadendo l'inammissibilità dell'ulteriore ordine di esibizione già affermata con ordinanza del 30.11.2018. 2. Contro detta decisione ha proposto tempestivo appello la (...) s.p.a., lamentando: I) l'errato accertamento della sussistenza di giusta causa di recesso, deducendo che dagli accordi depositati non si evinceva alcun impegno della Banca al pagamento degli (...) per la promozione dei prodotti (...) s.p.a., diversi dai prodotti (...) s.p.a., non previsti tra quelli che l'agente poteva collocare presso il pubblico e nemmeno indicati nella lettera di recesso quale giusta causa, segnalando inoltre l'avvio delle trattative della Banca con (...) solo dopo il recesso dell'agente; con conseguente condanna dell'agente a corrispondere alla Banca l'indennità sostitutiva del preavviso, quantificata in Euro 4.136,61, e la penale per violazione della clausola di stabilità; II) l'omessa pronuncia sulla domanda di condanna alla restituzione degli anticipi provvigionali di Euro 13.500,00 come indicato nella lettera di assegnazione e negli statini provvigionali; III) l'erronea liquidazione dell'indennità sostitutiva del preavviso nella somma di Euro 12.124,46, priva di relativi conteggi e già contestata in primo grado dall'appellante per mancata applicazione alle parti dell'AEC.. 2.1. Si è costituito (...) resistendo al gravame e chiedendone il rigetto; in via incidentale ha lamentato: I) il mancato riconoscimento degli storni provvigionali effettuati dalla Banca, richiesti in primo grado a titolo di inadempimenti al (...); II) il mancato riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 c.c.; III) il mancato riconoscimento del risarcimento del danno, comprensivo di una componente ripristinatoria di Euro 45.516,44 a titolo di storni provvigionali; IV) l'errata liquidazione delle spese di lite sia per aver disposto la parziale compensazione sia per non avere tenuto conto dei medi tariffari. 2.2. Con ordinanza del 23.6.2022 la Corte, rilevata la complessità della vicenda e la non sintetica esposizione degli atti, ha invitato le parti a formulare uno schema riassuntivo delle pretese riproposte con i rispettivi gravami. 2.3. Previ gli incombenti di cui all'art. 437 c.p.c., all'esito della discussione orale la causa è stata decisa come da separato dispositivo. 3. Le reciproche impugnazioni e soprattutto le modifiche dell'appello incidentale impongono preliminarmente l'esatta individuazione di quanto ritualmente devoluto in questo grado e di quanto deve invece ritenersi inammissibile e rinunciato, tenuto anche conto di quanto dedotto dalle parti su invito del Collegio (cfr ordinanza del 26.6.2022). 3.1. Permane in discussione la sussistenza o meno della giusta causa del recesso del (...) dal rapporto che lo legava alla (...) spa con la reciproca pretesa a vedersi riconosciuto il preavviso nell'importo da ciascuna parte indicato; la pretesa del (...) di vedersi riconosciuta l'indennità ex art. 1751 c.c. e la pretesa della (...) di vedersi riconosciuta la penale per anticipata risoluzione del rapporto in violazione del patto di stabilità in assenza di giusta causa; la pretesa di (...) ad ottenere la restituzione di un anticipo provvigionale; la domanda di risarcimento del danno avanzata dal (...) quantificata in Euro 100.000 nella formulazione originaria di cui alla memoria ex art. 436 c.p.c.. 3.2. Le conclusioni rassegnate dal (...) con l'appello incidentale sono in parte difformi da quelle già rassegnate in prime cure con la memoria di costituzione con domanda riconvenzionale per come inequivocabilmente risulta dal confronto tra quanto già riprodotto al 1 e quanto qui di seguito trascritto: In accoglimento dell'appello incidentale proposto con il presente atto ed in parziale riforma dell'impugnata sentenza:?? l) Confermata, anche con diversa motivazione, la sentenza di primo grado in merito alla sussistenza del grave inadempimento della preponente e/o della giusta causa di recesso del (...), condannare (...) spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) Euro 68.571,42 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 1751 c.c. o le maggiori o minori somme che risulteranno di giustizia, anche in via equitativa ex artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c. o previa ammissione di consulenza tecnica contabile, con la rivalutazione monetaria e gli interessi dalla data di decorrenza dei diritti fatti valere sino all'effettivo soddisfo. m) accertata la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale di (...) Spa per i fatti descritti nella narrativa del presente atto, condannare la medesima, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) la somma di Euro 100.000,00 per il risarcimento del danno o quella maggiore o minore che risulterà di giustizia, anche in via equitativa; n) Per i motivi ed i titoli esposti nel presente atto, condannare (...) spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare a (...) i seguenti importi: Euro 45.516,44, oltre interessi e rivalutazione, in relazione al trattamento (...), in quanto si tratta di storni provvigionali privi di titolo e quindi nulli; Euro 9.000,00 a titolo di (...) non pagato ex art. 7.2.2. allegato C del 2008; Euro 741,20 ed Euro 263,93 per le provvigioni di novembre e dicembre 2009 trattenute in compensazione da (...) ed Euro 479,70 a titolo di integrazione del FIRR, come riconosciuto da (...) nel suo doc. 13 ... 3.3. Innanzitutto ai sensi dell'art. 346 c.p.c. devono ritenersi abbandonate, perché non riproposte: la domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità/annullabilità della dichiarazione di autoriduzione del (...) sottoscritta dal (...) ai sensi degli artt. 1324 e 1427 e seguenti c.c. e degli effetti retroattivi dell'allegato C del 12.06.09; la domanda volta ad ottenere il pagamento della somma di Euro 3500,00 a titolo di indennità sostituiva di clientela ex art. 12 AEC del 2002; la domanda volta ad ottenere il pagamento della somma di Euro 30.000,00 a titolo di compenso per il collocamento dei prodotti (...). Per come, poi, precisato dallo stesso (...) con le note del 26.10.2022 è stata abbandonata la domanda volta al "pagamento del (...) da Gennaio a Giugno 2009, dato che il nuovo Allegato C sottoscritto dal (...) il 20 luglio 2009 eliminava, con effetto novativo, il beneficio del (...) con decorrenza retroattiva da aprile 2009, rendendo così inutili le relative rivendicazioni economiche" 3.4. E' palesemente nuova e quindi inammissibile, come eccepito da (...) spa e nonostante il contrario argomentare del (...), la domanda avanzata in questo grado e richiamata alla lett. n). 3.5. Ed invero nella memoria di costituzione di prime cure, contenente la domanda riconvenzionale, il (...) si era limitato a richiedere il pagamento della somma di "Euro 10.000 quale (...) mai corrisposto per il mese di aprile 2008, nonché le ulteriori somme dovute a titolo di (...) per i mesi da gennaio 2009 a giugno 2009 forfettariamente determinata in Euro 37.500,00 (Euro 10.500,00 ad integrazione del (...) ridotto fruito da gennaio a marzo 2009 ed Euro 27.000,00 per i mesi di aprile, maggio e giugno 2009), ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia, se de caso da determinare mediante CTU contabile; nonché provvigioni, premi e bonus maturati e non pagati nei mesi di novembre e dicembre 2009 ed integrazione del FIRR versato dalla preponente in misura ridotta da determinare mediante ctu contabile" (pg 68 ultimo c.pv. e pg 69 primo cpv). 3.6. Queste le uniche allegazioni e deduzioni a supporto della richiesta di condanna della (...) spa al pagamento della somma complessiva di Euro 47.500,00- lettera e) delle originarie conclusioni-, richiesta che per quanto atteneva a "provvigioni, premi e bonus maturati e non pagati nei mesi di novembre e dicembre 2009 ed integrazione del FIRR" risultava assolutamente generica e indeterminata, tale da non consentirne alcuna valutazione né tantomeno alla controparte di prendere specifica posizione. 3.7. Per quanto attiene le somme dovute a titolo di (...), come già sopra evidenziato, la richiesta di pagamento relativa al periodo gennaio-giugno 2009 è stata abbandonata in questo grado, mentre il (...) ha dovuto prendere atto, già nel giudizio di prime cure, che per il mese di aprile 2008 il relativo importo era stato corrisposto dalla Banca, sicché non se ne poteva più lamentare il mancato pagamento e pertanto, mutando causa petendi, qualifica in questa sede il ricevuto come "un anticipo". 3.8. Le allegazioni e deduzioni contenute nell'appello incidentale da pg 43 a pg 59 (relative a storni provvigionali senza titolo su trattamento (...) per Euro 45.516,44, a (...) non pagato ex Art. 7.2.2. All.C del 2008 per Euro 9.000,00, a provvigioni novembre e dicembre 2009 per Euro 741,20 ed Euro 263,93, integrazione FIRR per Euro 479,70) sono palesemente nuove perché estranee alla domanda originaria né può assumere rilievo la circostanza che le stesse fossero state proposte nelle note autorizzate di prime cure, atteso il divieto di mutatio libelli e la necessaria preventiva autorizzazione all'emendatio ex art. 420 comma 1 c.p.c., che nella specie non sussiste (tant'è che nella gravata sentenza non vi è alcun riferimento a dette pretese, omissione che il (...) vorrebbe imputare a un'errata interpretazione della domanda, mentre è l'implicita negazione all'ingresso di qualsiasi modifica della stessa). 3.9. Non è neppure condivisibile il tentativo del (...) di voler ricomprendere le nuove pretese nell'originaria domanda risarcitoria, riproposta in questa sede nell'immodificato importo di Euro 100.000. 3.10 Ed invero, nella memoria di costituzione (pg 54 e 55) tale pretesa risarcitoria era fondata su asseriti "gravi fatti di denigrazione professionale occorsi", sul presupposto che tale pretesa non fosse preclusa dal riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 comma 4 c.c.", invocandosi a supporto della quantificazione "il tipo di professionalità colpita, nonché il danno biologico e alla personalità morale ed esistenziale subito", con la precisazione che i "danni lamentati?sono ulteriori e provengono da fatto illecito contrattuale e/o extra contrattuale" con un non chiaro riferimento alla tutela del credito ex art. 2043 c.c. 3.11 Appare evidente come anche alla domanda risarcitoria, a prescindere da ogni altra considerazione, fosse estranea ogni pretesa relativa a "storni", (...) e provvigioni non pagati e FIRR per come richiesti in questo grado. Infine a escludere la novità delle richieste avanzate in questa sede non sono certo sufficienti le generiche allegazioni della memoria ex art. 436 c.p.c richiamati dal (...) (punto 59 di pag. 20?.. e pag. 37 e 38), prive di alcun ulteriore e puntuale sviluppo deduttivo in punto di rivendicazioni economiche per come formulate nel gravame incidentale. 4. Delimitato correttamente il devolutum, anche ai sensi dell'art. 437 comma 2 c.p.c., va da subito disattesa la contestazione di (...) di "radicale infondatezza dell'appello incidentale avversario" di "infondatezza di ogni avversaria doglianza in quanto fondata su produzioni che non risultano più allegate in causa" sull'assunto che la controparte non avrebbe prodotto in questa sede il proprio fascicolo di parte di primo grado. 4.1. A prescindere da ogni altra considerazione in merito alla sollevata eccezione, va osservato che il fascicolo di parte è presente nel fascicolo d'ufficio del giudizio di prime cure, per come inoltrato dal Tribunale alla Corte, non risultando ritirato dal (...) in quella sede. 5. Passando all'esame del merito, preliminare è il primo motivo dell'appello principale con cui (...) spa impugna la gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto assistite da giusta causa le dimissioni rassegnate dal (...) con comunicazione del 3.12.2009, anteriormente allo scadere del concordato patto di stabilità di 36 mesi. 5.1. Il motivo è infondato. 5.2. Innanzitutto si impone una puntualizzazione: il Tribunale ha ritenuto assorbente nella valutazione della sussistenza della giusta causa la vicenda relativa ai prodotti "(...)" e non certo le altre doglianze mosse dall'agente, per come fatto palese dal tenore della decisione in cui si legge "parte convenuta, oltre ad aver allegato una serie di disagi provocati dalla mancanza di luoghi adeguati nei quali poter operare insieme agli agenti dalla stessa coordinati, ha sostanzialmente dedotto, quale fattore dirimente ai fini della giusta causa di recesso, la condotta scorretta tenuta dalla Banca in merito al computo degli (...) di cui sopra. In particolare, l'Agente ha rappresentato che ai fini del raggiungimento degli obiettivi minimi all'interno del novero dei "prodotti Terzi", importanza fondamentale per i promotori assumeva la raccolta dei prodotti (...)". 5.2.1 La sentenza non contiene alcun accertamento né alcuna valutazione delle altre doglianze del (...), sicché si impone innanzitutto la verifica in questo grado della correttezza o meno delle ragioni della decisione. 5.3. Fatta tale premessa, (...) lamenta innanzitutto che il Tribunale, sulla scorta del principio della "ragione più liquida", avrebbe errato nell'incentrare la propria decisione esclusivamente sulla mancata valorizzazione del portafoglio (...) poiché tale doglianza non era stata indicata dal (...) nella propria comunicazione di recesso (punto 1 e punto ID). 5.3.1 L'eccezione va disattesa, essendo sufficiente sul punto richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità, anche di recente ribadita, per cui " il principio della necessità della contestazione immediata, sia pure sommaria, delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, con la conseguente preclusione di dedurre successivamente fatti diversi da quelli contestati, opera sia per il rapporto di lavoro subordinato che per quello di agenzia - data l'analogia dei due rapporti - ma in relazione solo al recesso del preponente, mentre il recesso per giusta causa (con conseguente diritto all'indennità per mancato preavviso) del lavoratore o dell'agente non è invece condizionato ad alcuna formalità di comunicazione delle relative ragioni, sicché, a tal fine, può tenersi conto anche di comportamenti (del datore di lavoro o del preponente) ulteriori rispetto a quelli lamentati nell'atto di recesso (del lavoratore o dell'agente), Cass. n.30063/19, Cass. n. 23455/04, Cass. n. 3898/99" (Cass. n. 10028/2021). 5.3.2 Il (...) costituendosi nel giudizio di prime cure ha invocato anche l'inadempimento della preponente con riguardo ai prodotti (...), sicché correttamente il Tribunale ha valutato detta doglianza nella verifica della sussistenza della giusta causa. 5.4. Il gravame (punto I.D) contesta altresì la tempestività del recesso, ma anche sotto tale profilo va disatteso. 5.4.1. Innanzitutto va rilevata l'assoluta genericità della contestazione (cfr pg 26), che si limita a rinviare a quanto dedotto in prime cure (pg memoria replica alla riconvenzionale) e a richiamare principi generali senza preoccuparsi di sussumerli al caso concreto. 5.4.2. L''eccezione è anche infondata alla luce delle ragioni ritenute assorbenti nella gravata sentenza, considerato che il rapporto è sorto il 25 marzo 2008 ed è cessato il 3 dicembre 2009 e che le trattative di (...) con il gruppo (...), per come meglio di seguito esposto, sono state avviate quantomeno dallo stesso anno 2008 sfociando negli accordi dello stesso anno e di quelli successivi (in specie con (...) spa accordi 2008 e 2010), sicché il recesso comunicato dal (...) non può ritenersi affatto intempestivo atteso che le problematiche relative ai prodotti di detto gruppo non erano ancora risolte e si erano protratte per un tempo congruo da non consentire oltre la prosecuzione del rapporto. 5.5. Per il resto il gravame (punti I.A e I.B) censura la gravata sentenza per avere ritenuto la sussistenza della giusta causa errando, a suo dire, nella valutazione delle risultanze istruttorie in ordine alla spettanza delle provvigioni sui prodotti (...) e all'esatto calcolo del trattamento c.d. (...). 5.5.1. Anche tali censure, da trattare congiuntamente per evidente connessione, vanno disattese. 5.5.2 La vicenda dei prodotti (...), per come attestano i vari precedenti di merito richiamati dalle parti, compreso uno di questo Collegio, ha generato un ampio contenzioso tra i promotori finanziari, come il (...), transitati a (...) dalla (...) spa, che aveva in carico detti prodotti. 5.5.3. Nel passaggio di detti promotori finanziari la (...) si era impegnata di fatto, anche attraverso il reclutatore (...), già transitato presso la Banca appellante da (...) spa, a garantire ai nuovi promotori finanziari di stipulare accordi con il (...), e quindi anche con (...) spa, così da assicurare agli stessi il mantenimento del portafoglio già in essere presso la B., con ogni conseguenza in ordine al riconoscimento di provvigioni e computo nel minimo garantito ((...)). 5.5.4. Il tentativo della Banca di sostenere diversamente è innanzitutto smentito dalla documentazione acquisita in prime cure dalla stessa (...) spa (oggi fusa per incorporazione in (...) spa), la quale ha fatto pervenire al Tribunale "gli incassi riguardanti il periodo dal marzo 2008 al dicembre 2009", con l'indicazione delle "provvigioni ...riconosciute e liquidate a (...) spa", nonché gli accordi sottoscritti con (...) spa l'1.9.2008 (accordo di gestione portafoglio) e il 4.2.2010 (accordo di intermediazione assicurativa). Quindi, all'epoca del reclutamento del (...), (...) spa operava già con il (...), relativamente sia ai prodotti (...) spa (per i quali (...) spa, a dimostrazione della stretta connessione che invece la (...) vorrebbe negare insistendo sull'autonomia e distinzione delle due società, ha fatto pervenire gli accordi del 15.1.2009 per la distribuzione di prodotti assicurativi e il successivo Acc. del 6 agosto 2012) che ai prodotti (...) (di cui agli accordi già sopra citati). 5.5.5. Significativa sul punto risulta la deposizione resa in altro procedimento ( cfr verbali RG n.1374/2013 acquisiti in prime cure) dal teste (...), già dipendente del (...), che ha "condotto le trattative tra (...) e (...)", il quale ha riferito che: "Tale trattativa iniziò nel 2008 e terminò a fine 2008 e solo nel 2009 venne sottoscritto il mandato a (...) per la (...) spa e non di (...) spa. Contemporaneamente fu condotta la trattativa per l'affidamento del portafoglio di polizze emesse dai promotori allora presenti (...) che si stavano trasferendo in (...) e questi prodotti li avevano raccolti per conto di (...). L'accordo relativo ad (...) fu siglato nei primi mesi del 2010. Voglio precisare che nel 2009 informaticamente il prodotto (...) venne gestito amministrativamente dalle divisioni della Compagnia, ma di fatto il prodotto era gestito da (...) ed infatti nel corso del 2009 vennero accantonate le provvigioni sui contratti aventi ad oggetto (...) e gestite dai promotori di (...) e a perfezionamento dell'accordo abbiamo pagato l'arretrato a (...). Da quel momento fu consegnato a (...) il file di tutte le polizze e abbiamo pagato le provvigioni a (...) in arretrato e abbiamo concordato i necessari pagamenti semestralmente per le difficoltà relative alla gestione informatica dell'operatore. Io davo la rendicontazione a (...)". 5.5.6. La richiamata deposizione chiarisce come anche per il prodotto (...) le trattative furono avviate nel 2008 proprio in ragione del passaggio dei promotori finanziari della (...) a (...), promotori che operavano su detti prodotti per averli nel loro portafoglio e che la (...) ha di fatto gestiti, maturando provvigioni, anche prima della formalizzazione dell'accordo di intermediazione del 4.2.2010. 5.5.7. Si tratta di deposizione rilevante, resa da un teste a diretta conoscenza dei fatti di causa, ritualmente introdotta nel presente giudizio attraverso l'acquisizione del relativo verbale d'udienza e pienamente opponibile alla società parte costituita nel giudizio in cui è stata resa, che in questa sede non fornisce alcun elemento di smentita. 5.6. La richiamata testimonianza supporta quella resa, anche nel presente giudizio, da V.C., già dirigente di (...) dal 2008 al 2011 quindi compreso il periodo in contestazione, il quale ha confermato le circostanze dedotte dal (...) e più esattamente: che sia in sede di trattative sia in occasione della sottoscrizione dell'Allegato C era stato espressamente garantito la stipula di un'apposita convenzione con (...) spa e comunque il riconoscimento del portafoglio (...) quale prodotto di case terze, utile al mantenimento del Minino Provvigionale Garantito (cap 32); che il (...) e il gruppo di promotori da questi coordinato ha progressivamente trasferito nel 2008 il portafoglio (...), secondo precisi accordi con (...), da (...) alla Direzione (...) per un valore nominale di ca Euro 6.000.000,00, certificandolo alla casa madre, precisando che "sebbene le polizze siano rimaste sempre intestate ad (...) per non creare disagio ai clienti, le stesse sin dal 2008 sono state trasferite dal portafoglio BPL al portafoglio (...) sulla base di accordi informali raggiunti in apposite riunioni tra (...) e i promotori allora BPL. Preciso altresì che in virtù della convenzione successivamente raggiunta tra (...) e promotori, la (...) riscosse le provvigioni relative alle polizze (...) retroattivamente dal momento dei singoli trasferimenti. Preciso altresì che le polizze suddette, in attesa della formale stipula della convenzione, sono state parcheggiate in un conto (...) in attesa di passare sul portafoglio (...). Il trasferimento dal conto (...) al portafoglio (...) è avvenuto automaticamente. Preciso che conosco la circostanza del pagamento provvigioni (...) da parte di (...) in quanto la (...) mi inviava un listino provvigioni e in quanto le provvigioni risultavano dalle fatture" (cap 33). 5.7. I racconti dei richiamati testi, puntuali e qualificati perché provenienti da soggetti che hanno avuto una diretta conoscenza dei fatti per i ruoli rispettivamente rivestiti in (...) e nel gruppo (...), nonché la documentazione acquisita dalla stessa (...) sono sufficienti a disattendere le ragioni del gravame, tutte incentrate nell'assumere l'estraneità dei prodotti (...) dalle trattative e dagli accordi intercorsi con i promotori finanziari acquisiti dalla (...), cercando di minare la credibilità del teste (...) senza però fornire elementi concreti e non tenendo conto dei riscontri in atti alle dichiarazioni dallo stesso rese anche in altri giudizi, che non hanno affatto messo in discussione la sua attendibilità (cfr la sentenza del Tribunale di Ivrea n. 42/2014 richiamata pure nella sentenza qui gravata e la sentenza di questo Collegio n. 2125/2019). 5.8. Le richiamate risultanze istruttorie trovano ulteriore conforto nella documentazione prodotta dal (...) e in specie nelle numerose email intercorse nel periodo in esame con il (...), tra questi e i promotori finanziari, tra il (...) e lo stesso (...), sentito in libero interrogatorio quale procuratore speciale di (...), nonché con (...) direttore commerciale, email nelle quali sono a tema i prodotti (...), gli accordi raggiunti con il (...), gli impegni presi dalla (...) di riconoscere le "polizze girate dalla Net" ai fini dell'(...) "per ragioni burocratiche non ancora girate a (...)", la comunicazione diretta del 25.9.2009 del Direttore Generale di (...) (...) allo stesso (...) (a dimostrazione del ruolo centrale avuto dal (...) che (...) invece vuole negare per sminuirne la rilevanza della deposizione), l'invito del (...) rivolto al promotore finanziario (...) del 7.9.2009, quindi anteriormente alla formale stipula dell'accordo del febbraio 2010, a "rispettare l'esigenza aziendale di avere budget del prodotto in questione entro il termine previsto", ed il prodotto in questione è espressamente indicato come quello (...). Vi sono poi le email richiamate nella memoria di costituzione del (...) alle quali si rinvia (emali del 10.1.2009, del 28.7.2009, del 4.9.2009 e del 4.12.2009), email che oltre a fornire riscontro alle dichiarazioni testimoniali sopra richiamate, confermano quanto dedotto dal (...) e più esattamente che (...) e (...) si erano accordate affinché le polizze giacenti presso (...) venissero provvisoriamente appoggiate dai consulenti finanziari presso la Direzione di (...), seppure di fatto gestite da (...), con l'impegno di (...), una volta concluso l'accordo di distribuzione, di fornire a (...) adeguata rendicontazione e di pagare a (...) in via retroattiva anche le commissioni a lei spettanti anche per il periodo in cui le polizze erano appoggiate presso la Direzione (...) e con l'impegno di (...) di pagare alla rete dei consulenti finanziari una anticipazione pari all'1,90% delle masse trasferite in (...) (cfr email tutte prodotte sub doc. (...), che la (...) ha contestato genericamente, senza però fornire alcun decisivo elemento idoneo ad inficiarne il contenuto e senza neppure preoccuparsi di farne smentire espressamente il contenuto dal F. o dal B.). 5.10 E' pacifico, perché non smentito da alcuna risultanza contraria e neppure da alcuna allegazione diversa da parte di (...) spa, che quest'ultima nonostante gli impegni presi non abbia tenuto in alcun conto nella valutazione dell'(...) né del riconoscimento di provvigioni dei prodotti (...) spa nonostante risulti ampiamente dimostrato che tali prodotti erano di fatto gestiti dalla stessa sin dal 2008, che ha percepito provvigioni dal (...) e che l'acquisizione dei promotori finanziari da (...) aveva avuto al centro delle trattative anche il portafoglio dei prodotti in discussione che gli stessi gestivano presso quest'ultima. 5.11. Per come affermato dal (...) nella email sopra richiamata "lavorare con unit (...) diventa strategico" sicché è del tutto ragionevole concludere che l'acquisizione dei promotori finanziari, tra i quali il (...), che avevano nel proprio portafoglio detti prodotti, e in specie quelli Previdenza per quanto qui rileva, era fondamentale per la Banca e pertanto non può essere rimasto estraneo alle trattative di acquisizione di detti promotori, come cerca di sostenere l'appellante principale, smentita dalle diverse e puntuali dichiarazioni del (...) e dalla documentazione in atti. 5.12 Non è decisivo a sostenere la tesi difensiva della Banca neppure il richiamo al contenuto degli accordi sottoscritti con il (...) nei cui allegati non compare l'espressa indicazione dei prodotti (...). 5.12.1 Innanzitutto, per come emerge dalla deposizione del teste (...), il prodotto non poteva essere formalmente indicato negli allegati A e C perché l'accordo con (...) è stato formalizzato solo nel febbraio 2010 sebbene la (...) di fatto gestisse detti prodotti sin dal 2008, rimasti solo "informaticamente" in capo alla Divisione della Compagnia. 5.12.2 Gli accordi, però, contemplavano la non meglio specificata categoria dei "prodotti terzi" alla quale i prodotti (...) sarebbero stati ricondotti per come dichiarato dal (...). 5.12.3 Non valgono poi ad escludere l'accertato inadempimento le argomentazioni di (...) in ordine all'effettivo contenuto degli accordi stipulati con (...) atteso che quello del febbraio 2010 è un accordo di intermediazione assicurativa che affida a (...) "la gestione" del portafoglio dei relativi prodotti", portafoglio che va ricordato era in precedenza gestito dai promotori finanziari della (...) poi transitati in (...) e che avevano trasferito i propri portafogli a quest'ultima, la quale ha percepito le relative provvigioni da (...) senza riconoscere alcunché al (...) e senza tenere conto di detti prodotti nella valutazione dei risultati dello stesso. 5.13 Infine le dichiarazioni testimoniali invocate nel gravame principale (...) non risultano affatto convincenti perché in evidente contrasto con le risultanze documentali e con le altre più puntuali e attendibili, perché provenienti da terzi, deposizioni sopra già richiamate. 5.14 In conclusione, per come già ritenuto dal Tribunale, si tratta di un grave inadempimento sufficiente di per sé a supportare la giusta causa del recesso, tenuto conto del ruolo centrale rivestito dai prodotti (...) nel portafoglio dello stesso e nelle trattative che ne avevano determinato il passaggio a (...). 5.14.1 D'altronde lo stesso (...), in sede di libero interrogatorio, ha dovuto riconoscere che il (...) che proveniva da (...) era stato incaricato di reclutare i promotori finanziari, tra i quali il (...), e che lo stesso (...) aveva sollecitato (...) a stipulare accordi di distribuzione con il gruppo (...), sollecitazione, per come attestano le già richiamate emergenze probatorie, prontamente raccolta dalla Banca, da questa coltivata e portata a buon fine, sicché non vale negare il ruolo rivestito dal (...) e in atti documentato così come non vale cercare di privare di rilievo gli aggiornamenti che via via lo stesso forniva ai promotori finanziari reclutati circa la valorizzazione ai fini dei risultati e delle provvigioni dei prodotti del (...) e in specie di quelli di (...). 5.15. Da quanto esposto consegue la conferma della sussistenza della giusta causa del recesso del (...), risultando assorbito l'accertamento delle altre doglianze mosse dallo stesso e delle argomentazioni svolte sul punto sia nel gravame principale che in quello incidentale (solo delle doglianze già dedotte in prime cure, mentre quelle allegate per la prima volta in questo grado sono all'evidenza inammissibili ex art. 437 c.p.c. come eccepito dalla Banca). 5.16 Dalla conferma della giusta causa consegue la conferma del rigetto delle pretese economiche avanzate da (...) e in specie il pagamento a suo favore dell'indennità sostituiva del preavviso e della rivendicata penale per violazione del patto di stabilità, non operante, per espresso accordo, nell'ipotesi di giusta causa. 6. Con il terzo motivo di gravame, da trattare in via prioritaria, la (...) spa contesta nel quantum l'indennità di mancato preavviso liquidata dal Tribunale in Euro 12.124,46 per come indicata dal (...). 6.1. Il motivo è fondato. 6.2. Per come eccepito dalla Banca, erroneamente il Tribunale ha ritenuto "non espressamente contestata" la somma richiesta con la domanda riconvenzionale dal (...) per il titolo in discussione. 6.3. La Banca, agendo in giudizio, aveva essa stessa rivendicato nel ricorso introduttivo il pagamento dell'indennità di mancato preavviso, quantificandola nell'importo di Euro 4.136,61 coma da allegato conteggio (doc. 13); tale importo non era stato contestato dal (...) nella memoria di costituzione, essendosi questi limitato a richiedere in via riconvenzionale al medesimo titolo la maggior somma di Euro 12.124,46 "calcolata ai sensi dell'art. 10 dell'AEC" senza produrre alcun conteggio; nelle note per la discussione la Banca aveva insistito nella propria quantificazione, contestando anche il richiamo agli AEC (pg 18 e 19). La quantificazione dell'indennità in esame era pertanto controversa e affatto pacifica, sicché non poteva farsi ricorso al principio di non contestazione. 6.4. Sulla scorta delle deduzioni delle parti, il Collegio ritiene di rideterminare l'indennità di mancato preavviso nel minore importo di Euro 4.136,61 supportato dai conteggi prodotti dalla Banca, conteggi non puntualmente contestati, mentre non risulta corretta la maggior somma liquidata dal Tribunale poiché: questa non trova conforto in alcun conteggio; è stata quantificata dal (...) secondo gli AEC laddove il Tribunale, con statuizione non contestata, ha escluso l'applicazione al rapporto in causa di questi ultimi, dovendo trovare di contro applicazione la previsione contrattuale (art. 23.7 contratto). 6.5. Da quanto esposto consegue che in parziale riforma della gravata sentenza, la (...) spa deve essere condannata a corrispondere al (...) a titolo di indennità sostituiva del preavviso nell'importo di Euro 4136,61 oltre rivalutazione monetaria e interessi sulle somme annualmente rivalutate dalla maturazione al saldo. 6.6. Consegue, altresì, in accoglimento della domanda restitutoria avanzata dalla Banca e in assenza di contestazioni, che il (...) deve essere condannato a restituire alla prima la differenza tra quanto percepito al medesimo titolo in esecuzione della sentenza di prime cure e quanto riconosciuto in questa sede, oltre interessi dalla data di pagamento al saldo. 7. Deve trovare accoglimento anche il secondo motivo di censura dell'appello principale con cui si lamenta l'omessa pronuncia del Tribunale in ordine alla richiesta restituzione della somma di Euro 13.500,00. 7.1. Si tratta di domanda avanzata nel ricorso introduttivo (punto 2) e supportata dai documenti 8, 13 e 14, sulla quale nulla è stato statuito dal primo giudice. 7.2. In particolare nel doc. 8 si dà atto della concessione di un anticipo provvigionale di Euro 9000,00 con le competenze di maggio 2009 e di Euro 4500,00 con le competenze di giugno 2009, "anticipazione che verrà recuperata da tutti i bonus maturati a suo favore". 7.3. Avverso tale documento nessuna specifica e tempestiva contestazione è stata sollevata dal (...), che costituendosi in giudizio si è limitato ad affermare che "non vi è prova agli atti di causa dalla quale trarre la ragionevole certezza che le somme siano state erogate a titolo di anticipazione", così non mettendo in discussione di avere percepito dette somme, non deducendo un eventuale recupero già effettuato e contestando solo il "titolo" senza però tenere conto del tenore del doc. 8 sopra richiamato. Da quanto esposto consegue che, in parziale riforma della gravata sentenza, il (...) deve essere condannato a restituire alla (...) spa la somma di Euro 13.500,00 oltre interessi dalla data di notifica del ricorso di primo grado, primo atto di richiesta, al saldo. 8. Passando all'esame delle uniche domande dell'appello incidentale che possono ritenersi ritualmente riproposto con tale gravame, non può trovare accoglimento la reiterata richiesta di riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 c.c. 8.1. Sul punto il Tribunale ha osservato che "Secondo i principi generali vigenti in materia di riparto dell'onere della prova (art. 2697 c.c.) colui che intende ottenere il riconoscimento di un diritto deve provarne il fondamento. Il carico probatorio di ciascuna parte va individuato tenendo conto della norma sostanziale applicabile in relazione alla concreta pretesa fatta valere dall'attore. E', invero, la norma sostanziale che, di volta in volta, dà contenuto concreto alla regola generale dell'art. 2697 c.c. Ebbene, con riferimento all'indennità di cui all'art. art. 1751 c.c. la norma prevede che il preponente, all'atto della cessazione del rapporto, è tenuto a corrispondere all'agente medesimo un'indennità se: a) l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; b) il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. In sostanza, si richiede la persistenza - al momento della cessazione del rapporto - di un portafoglio clienti procurato dall'agente, dal quale trae indubbio vantaggio la casa mandante. In quest'ottica, la prima condizione considera il vantaggio che il preponente ricava dalla disponibilità di questo portafoglio; la seconda considera la perdita, in termini di provvigioni, che l'agente subisce dalla cessazione del rapporto. Peraltro, il diritto all'indennità in questione è subordinato alla sussistenza di entrambe le predette condizioni (ossia, l'apporto di clientela e l'equità), considerato che la modifica dell'art. 1751 c.c., introdotta dal D.Lgs. n. 65 del 1999, ha ancorato il menzionato diritto a criteri prettamente meritocratici (cfr. in tal senso Cass. 5467/00). Ebbene, parte resistente non ha in alcun modo argomentato né fornito prova circa la sussistenza delle predette condizioni limitandosi ad asserirne la ricorrenza in modo del tutto apodittico". 8.2. Il gravame incidentale, non tenendo conto di quanto affermato dal Tribunale, si limita a dedurre la sussistenza della giusta causa, l'asserito e indimostrato danno da mancato incasso di provvigioni (...) per Euro 50000, profili irrilevanti rispetto alla previsione normativa in esame; per il resto il (...) assume di avere incrementato il proprio portafoglio personale e di gruppo apportando alla Banca oltre 11 milioni di nuova raccolta (come riconosciuto dal doc. 6 ex adverso prodotto), di avere " trasferito in (...) altre masse non rendicontate e sulle quali non ha percepito provvigioni, come il portafoglio personale e di Gruppo di (...) Spa" e di aver contribuito alla crescita della preponente anche attraverso una cospicua attività di reclutamento di nuovi consulenti. 8.3. Innanzitutto va premesso come si tratti di nuove allegazioni, atteso che nella memoria ex art. 436 c.p.c. la domanda, così come rilevato dal Tribunale, era assolutamente priva di puntuali allegazioni, limitandosi ad affermare "Quanto alla prova della ricorrenza di tutti i requisiti per avere diritto alle indennità in questione è sufficiente richiamare i fatti di cui in premessa, in relazione ai quali deve anche stimarsi equo indicare la misura massima dell'indennità prevista dall'art. 1751 c.c." (pg. 71) 8.4. Quindi non solo si tratta di nuove allegazioni, inammissibili ex art. 437 c.p.c. richiedendo all'evidenza accertamenti in fatto, ma pure generiche e indimostrate, perché contestate, dovendosi ribadire che in base al disposto dell'art. 1751 c.c. è necessaria la dimostrazione non solo di avere procurato nuovi clienti, ma anche che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, presupposto indimostrato così come è indimostrata la perdita. 9. Infine va anche disattesa la riproposta domanda risarcitoria, dovendosi sul punto confermare la gravata sentenza che ne ha già evidenziato l'assoluta genericità "sia con riferimento al danno contrattuale che extracontrattuale, neppure puntualmente allegati oltre che dimostrati nella loro sussistenza". 9.1. Si è già ricostruito al 3 il contenuto originario di detta domanda, il solo che può costituire oggetto di un riesame in questo grado, non potendo trovare ingresso il tentativo dell'appellante incidentale di ampliare e modificare le scarne allegazioni iniziali. 9.2. A parte una certa confusione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, senza tenere conto delle differenze tra le due, le allegazioni sono non solo assolutamente generiche laddove neppure si preoccupano di individuare puntualmente il "fatto illecito", che non può coincidere sic et simpliciter con l'inadempimento contrattuale senza affrontare i profili della responsabilità ex art. 2043 c.c., in primis la colpa e gli oneri probatori, ma pure indimostrate laddove lamentano un danno all'immagine professionale senza tenere conto, per come dedotto da (...) e non contestato, che successivamente all'anticipata cessazione del rapporto il (...) ha proseguito la propria attività professionale, senza che sia stato puntualmente dedotto né tantomeno dimostrato alcun pregiudizio. 9.3. Generico e privo di allegazioni il riferimento alla tutela aquiliana del credito, fondato esclusivamente sul richiamo ad una pronuncia di legittimità (Cass. n. 6460/2000) affatto conferente nel presente giudizio. 9. L'esito complessivo della lite, con la reciproca soccombenza, giustifica la compensazione delle spese di giudizio di entrambi i gradi, così rimanendo assorbito l'ultimo motivo del gravame incidentale. 9.1. In considerazione del tipo di statuizione emessa, deve darsi atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante incidentale richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. P.Q.M. La Corte, respinto l'appello incidentale, in parziale accoglimento dell'appello principale e in parziale riforma della gravata sentenza, nel resto confermata, condanna la (...) s.p.a. a corrispondere a (...) a titolo di indennità di mancato preavviso il minore importo di Euro 4.136,61, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione al saldo, con condanna di quest'ultimo a restituire alla Banca la differenza rispetto al maggiore importo liquidato in prime cure, oltre interessi dalla data di pagamento al saldo; condanna (...) al pagamento in favore della (...) s.p.a. delle anticipazioni provvigionali ricevute, quantificate in Euro 13.500,00, oltre interessi dalla notifica del ricorso di primo grado al saldo; dichiara compensate le spese di lite entrambi i gradi di giudizio; in considerazione del tipo di statuizione emessa, dà atto che sussistono le condizioni oggettive in capo all'appellante incidentale richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Così deciso in Roma il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI PALERMO SEZIONE LAVORO La Corte di Appello di Palermo, sezione controversie di lavoro, previdenza ed assistenza, composta dai Signori Magistrati: 1) Dott. Cinzia Alcamo - Presidente relatore 2) Dott. Carmelo Ioppolo - Consigliere 3) Dott. Claudio Antonelli - Consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 787 R. G. anno 2020 promossa in grado di appello DA (...), rappresentato e difeso dagli Avv.ti El.Ca., Ma.Ca., con studio in Trapani nella Via (...) e dall'avv. Pa.De. con studio in Napoli nella Via (...), elettivamente domiciliato nello studio dei primi due, per mandato steso in calce al ricorso. Appellante CONTRO (...) s.p.a., con sede in S., Piazza S. n. 3, Gruppo IVA (...) in persona dell'Avv. D.P., rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Ma. (detta Lu.) BA. del Foro di Lecce, per mandato in calce alla memoria di costituzione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Lecce nella (...). Appellata OGGETTO: rapporto di agenzia- FATTO E DIRITTO Con ricorso al (...) del Tribunale di Trapani depositato il 16 giugno 2016 la (...) spa, in persona del legale rappresentante (di seguito: la Banca) aveva convenuto in giudizio (...) - già promotore finanziario il cui rapporto era cessato a seguito di dimissioni rassegnate con lettera del 31.01.2014 (v. doc 5) - per ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 189.523,08, di cui Euro 177.589,05 a titolo di restituzione (in forza di "clausola di stabilità") degli anticipi bonus sulla raccolta, già erogati dalla Banca e non consolidati, ed Euro 11.934,03, a titolo di indennità sostitutiva del periodo di preavviso. Aveva dedotto di avere stipulato con il (...) un contratto di agenzia senza rappresentanza con decorrenza 13/06/2011, avente ad oggetto "la promozione ed il collocamento di Prodotti e Servizi" indicati negli allegati B, B1 e B2 del citato contratto (doc. 1), integrato da proposta economica del 31/5/2011, successivamente sottoscritta dall'agente in data 14/6/2011, che prevedeva l'erogazione, da parte della Banca stessa, di ulteriori benefici aggiuntivi rispetto a quelli già garantiti dal contratto standard ed avente la finalità di stimolare l'attività del promotore, favorendone la proficuità, e che includeva, tra l'altro, al punto I una c.d. clausola di stabilità (doc. 2). Si era costituito (...), per contestare la pretesa della Banca, della quale chiedeva il rigetto, previo accertamento dell'invalidità e/o nullità e/o inefficacia e/o inoperatività della clausola di stabilità di cui alla lettera I della proposta della Banca; in via riconvenzionale chiedeva, previo accertamento della sussistenza della giusta causa di recesso dell'agente, la condanna della Banca al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 20.135,75 a titolo di indennità di mancato preavviso, nonché della somma di Euro 107.390,66 a titolo di indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. ovvero, in via subordinata, al pagamento delle seguenti somme a titolo di indennità di cui agli artt. 12 e segg. dell'AEC: Euro 12.892,16 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto, Euro 9.665,16 a titolo di indennità suppletiva di clientela ed Euro 147.803,34 a titolo di indennità meritocratica. Il Tribunale, emessa ingiunzione di pagamento, ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c., della somma di Euro 177.589,05 a titolo di restituzione degli "anticipi bonus" corrisposti all'agente, e disposta CTU contabile, sulla premessa che, a norma dell'art. 1751 c.c., il diritto alle indennità di cessazione del rapporto di agenzia permane solo se il recesso dell'agente è giustificato da circostanze attribuibili al preponente; che nel peculiare rapporto di agenzia la possibilità di recesso per giusta causa è limitata all'inadempimento colpevole e di non scarsa importanza, che leda in misura considerevole l'interesse dell'agente, tale da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, ha rilevato non sussistente la giusta causa di recesso ed ha, quindi, condannato (...) a corrispondere alla (...) S.P.A. la somma di Euro 177.589,05 a titolo di restituzione degli anticipi bonus e la somma di Euro 11.934,03 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, oltre interessi, nonché la (...) S.P.A., a corrispondere a (...) somma complessiva di Euro 4.276,97 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto, oltre Iva ed accessori; accogliendo, quindi, la domanda diretta ad ottenere il pagamento dell'indennità di mancato preavviso formulata dalla Banca e, di conseguenza, respingendo, in parte, la pretesa avanzata in via riconvenzionale, volta ad ottenere l'indennità di cessazione del rapporto (art.1751 c.c.) e le altre indennità di cui agli artt.12 e segg. dell'AEC. Per la riforma della decisione ha proposto appello (...), con ricorso depositato il 4 agosto 2020. Si è costituita la (...) s.p.a., con memoria depositata il 29 aprile 2022, per il rigetto del gravame del quale ha eccepito l'inammissibilità ai sensi dell'art. 342 c.p.c.. Il 12 maggio 2022, a seguito di trattazione ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020, convertito nella L. n. 27 del 2020 come modificato dall'art. 221 L. n. 77 del 2020, e successive proroghe, la causa è stata decisa come da dispositivo, ritualmente comunicato. L'appellante ribadisce, in forma di doglianza, le originarie richieste economiche, articolate con la domanda riconvenzionale, disattese dal Tribunale. Lamenta, con il primo motivo, l'omesso esame e/o erronea interpretazione delle risultanze istruttorie documentali; Motivazione carente e/o insufficiente e/o contraddittoria; Violazione e/ o falsa applicazione degli artt.1751 e segg. c.c. - Censura, in sintesi, l'erronea interpretazione e valutazione della c.d. clausola di stabilità, in quanto il giudice non avrebbe tenuto conto né delle allegazioni né delle argomentazioni sostenute dalla parte ricorrente in primo grado. Sostiene, altresì, con il secondo motivo, che il corredo documentale offerto dia conto della sussistenza dei presupposti della giusta causa di recesso, quanto al progressivo ed irreparabile deterioramento del rapporto fiduciario, avendo egli allegato una serie di circostanze, già rappresentate alla preponente nella comunicazione di recesso per giusta causa del 31.01.2014. Denuncia che il giudice ha inverosimilmente rigettato, con l'ordinanza istruttoria del 16.11.2017, le formulate richieste con particolare riguardo alla prova testimoniale articolata. .. che, assume, avrebbe senz'altro corroborato e confermato quanto già ampiamente dedotto. Entrambi i motivi sono infondati. A confutazione della denunciata validità della clausola di stabilità il Tribunale ha puntualmente argomentato, premettendo che il (...) non avesse, innanzi tutto, disconosciuto di aver incassato a titolo di anticipo provvigionale la somma di Euro 177.589,05 essendosi limitato, invece, ad asserire di nulla dovere a tale titolo in ragione della presunta inefficacia della pattuizione introdotta alla lett. I della proposta integrativa al contratto. Con detta clausola le parti contrattuali avevano concordato un orizzonte minino di permanenza del promotore finanziario presso la Banca preponente pari a 84 mesi, stabilendo che, se prima di detto termine il promotore fosse receduto di propria iniziativa per qualsiasi ragione, ovvero la Banca fosse receduta per giusta causa, l'agente sarebbe stato tenuto a restituire tutte le somme percepite a titolo di Anticipo Bonus di Portafoglio che non risultassero già compensate dalle quote annuali di bonus. Dopo avere richiamato l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che riconosce al lavoratore la facoltà di disporre liberamente del diritto di recesso dal rapporto, ravvisabile anche nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, il decidente ha ritenuto che non sia in contrasto con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all'esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima; che, altresì, tale clausola non rientri neppure in alcuna delle ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 1341 cod. civ., per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto (Cass. n. 17817 del 07/09/2005; Cass. n. 1435 del 11/02/1998). Ha considerato, quindi, che in tema di cd. patto di stabilità nel contratto di lavoro subordinato - la cui validità è ormai riconosciuta anche nei contratti degli agenti operanti nel settore finanziario, v. Cass n. 19300/2015) - fuori dalle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., il lavoratore può liberamente disporre della facoltà di recesso, pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto nell'interesse del datore di lavoro, purché la stessa sia limitata nel tempo e sia previsto un corrispettivo; corrispettività che, tuttavia, va valutata non tanto come contropartita dell'assunzione dell'obbligazione, bensì "in base al complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali, potendo consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, quale una maggiorazione della retribuzione o una obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore". (v. Cass. n. 14457/2017). Con condivisibili assunti, il Tribunale ha, quindi, respinto: - l'eccezione di nullità della clausola, ai sensi dell'art. 1344 c.c., per violazione dell'art. 1750 c.c., formulata dal (...) in ragione della paventata disparità delle parti rispetto alla facoltà di recesso, reputando legittima la previsione di una garanzia di durata minima del rapporto nell'interesse della Banca, considerato il complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali contenute nella proposta contrattuale sottoscritta dall'agente in data 14/6/2011; la validità del patto di stabilità si fondava, infatti, sulla libertà del promotore di disporre della sua facoltà di recesso in cambio del corrispettivo consistente nei benefici aggiuntivi nonché nella possibilità di godere di anticipi provvigionali per fronteggiare l'incertezza connessa all'inizio dell'attività dell'agente; il carattere di corrispettività manifestava anche la differente natura della pattuizione in esame rispetto alla clausola penale che ha, invece, la funzione di predeterminare gli effetti dell'inadempimento; - l'eccezione di invalidità della clausola per il mancato recepimento della proposta integrativa nel successivo contratto di agenzia stipulato tra le parti del 13.06.2011, sol che si consideri come la proposta integrativa costituisce un accordo autonomo, peraltro perfezionatosi in data 14.06.2011; - la denunciata natura vessatoria della clausola di stabilità quinquennale, non rientrando in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, secondo comma c.c. (v. Cass. n. 19300 del 29/09/2015), in quanto la disciplina delle clausole c.d. vessatorie opera a tutela del contraente debole nei soli casi di contratti con "condizioni generali" applicabili a una platea indistinta di contraenti e predisposte da uno dei contraenti, o di stipula mediante sottoscrizione di moduli o formulari, mentre nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie, ove la pattuizione relativa alla clausola di stabilità risulta l'esito dell'espressione della comune volontà delle parti. Ha concluso, quindi, nel senso che alla riscontrata validità della clausola di stabilità, consegue il riconoscimento del diritto della banca alla restituzione degli "anticipi bonus" corrisposti all'agente, quantificabili nella somma non contestata di Euro 177.589,05, ravvisandosi idonea prova del credito nella scrittura privata del 31.5.2011 (all.2 fasc. ricorrente), delle n.(...) fatture le cui causali contengono un espresso e non equivoco richiamo all'anticipo premio portafoglio (all.3) e della lettera di dimissioni del 31.1.2014 (all.5). Non rinviene, invece, la Corte, nelle ragioni dell'appello, che sostanzialmente ripropongono pedissequamente le difese esposte dal (...) nella memoria di prime cure (v pagg 4-6 appello e pagg 6-8- della memoria) specifiche censure all'iter motivazionale con cui il decidente ha risposto alle distinte eccezioni in ordine alla validità del patto di stabilità, avendo il (...), sulla base della supposta omessa valutazione delle allegazioni e degli argomenti da lui sostenuti, reiterato le medesime eccezioni già esaminate dal Tribunale, eccependo ancora una volta : a)la nullità, ex art. 1344 c.c., della clausola di stabilità contenute nella proposta integrativa alla lett. I) per violazione dell'art. 1750, in considerazione della conseguente disparità delle parti rispetto alla facoltà di recesso dal contratto di agenzia; b) la invalidità della clausola perché non recepita nel contratto di agenzia che avrebbe superato la stessa; c) la preclusione per l'agente della facoltà di recesso; d) lo squilibrio tra le parti che sarebbe aggravato dall'obbligo per l'agente di corrispondere, in caso di recesso, le somme ivi contemplate (anticipi provvigionali non consolidati) ma anche l'indennità di preavviso;e) la vessatorietà della predetta clausola ex artt. 1341 e 1342 c.c.; f) la natura di clausola penale con ogni conseguenza in ordine al pagamento di quanto richiesto dalla Banca. Si tratta, quindi, di un motivo di censura inammissibile, ancor prima che infondato. Soltanto per scrupolo di completezza, rileva la Corte che l'assetto di interessi consacrato nella lettera di impegno controversa si manifesta tutt'altro che arbitrario atteso che, a fronte di un accordo liberamente sottoscritto, esso viene incontro alle esigenze, pienamente meritevoli di tutela, di entrambe le parti segnatamente riferite, per l'agente, ad avere un introito certo e cospicuo sin dalla data di instaurazione del rapporto, per la società la ragionevole probabilità di raggiungere risultati predeterminati. Né è data rinvenirsi una condizione potestativa ove solo si consideri che il raggiungimento degli obiettivi contrattualmente prefissati dipendeva, sostanzialmente, dalla attività e dalle capacità dell'agente. Conseguentemente, poiché nella fattispecie non è in contestazione la somma corrisposta al (...) in via di anticipazione, va da sé che l'importo di Euro 177.589,05 deve essere, in linea di coerenza con quanto statuito dal primo Giudice, restituito alla odierna appellata. La sentenza di primo grado, pertanto, deve essere confermata sul punto. Anche la seconda ragione va disattesa. Deve ritenersi, difatti, condivisibile l'analisi del Tribunale, in ordine alle allegazioni circa la giusta causa del recesso del promotore finanziario, che lo ha condotto ad escludere comportamenti della mandante idonei a giustificare la immediata risoluzione del rapporto di agenzia. Con la conseguenza, non solo che è dovuta alla Banca l'indennità di mancato preavviso (nell'importo determinato con la ctu e non contestato), ma che tutte le domande proposte, in via riconvenzionale, dal (...) - eccetto quella relativa all'indennità di risoluzione del rapporto, ai sensi dell'art.13 c.2 dell'AEC, emolumento che il Tribunale ha già riconosciuto in quanto rispondente al criterio di equità - le quali presuppongono variamente l'accertamento della insussistenza della giusta causa del recesso del medesimo dal contratto di agenzia, devono essere rigettate. Fra tali domande devono ritenersi certamente incluse quelle dirette ad ottenere l'indennità di mancato preavviso e l'indennità di cessazione del rapporto, oltre che quelle suppletiva di clientela e meritocratica, previste, in via alternativa e non cumulativa, dall'art. 13 dell'AEC (Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di Agenzia e rappresentanza commerciale del settore del commercio, applicativo della citata norma codicistica), le quali non possono spettare in assenza di una giusta causa di recesso, ossia quando il contratto di agenzia sia risolto per recesso dell'agente, ai sensi dell'art. 1751, comma 2, secondo cpv. c.c., " a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività". Poiché in tale ipotesi il rapporto di agenzia si risolve immediatamente senza necessità di preavviso, non è dovuta la relativa indennità sostitutiva, così come non spettano neppure le altre indennità suddette, connesse alla risoluzione del rapporto, giacché esse, come la prima, presuppongono, anche sensi dell'art. 13 dell'AEC per i rapporti di agenzia, che il contratto non si sciolga per iniziativa dell'agente, salvo che il recesso di quest'ultimo non sia determinato da fatto imputabile alla preponente. Ora, i fatti che hanno determinato il recesso dell'agente dal rapporto contrattuale, pacifici nella prospettazione del (...), sarebbero consistiti in una serie di circostanze che avrebbero ostacolato l'attività da lui svolta e gradualmente ed irrimediabilmente deteriorato il rapporto fiduciario con la Banca, consistenti essenzialmente nella campagna mediatica sulle negative condizioni della (...) spa protrattasi fino ad inizio 2014, nella creazione della nuova Banca on line (...) spa, nonché nei disinvestimenti da parte di taluni clienti, verosimilmente determinati dai timori circa la affidabilità dell'istituto bancario nel gestire gli investimenti. Come osservato dal giudice di prime cure, la numerosa giurisprudenza di merito - richiamata e prodotta dalla Banca - che si è già occupata dell'argomento ha concluso per l'irrilevanza di tali addebiti rispetto alla sussistenza della giusta causa del recesso dal rapporto di agenzia (fra le altre, Trib. Bari 1509/17 conf. in appello; Trib. Torino n. 356 del 2017; Trib. Genova 11 mar. 2016, n. 214; Trib. Nocera Inferiore n. 1903/2016 confermata in appello). Di conseguenza, ha ritenuto il Tribunale, deve escludersi che lo stato di grave difficoltà della Banca costituisce circostanza atta a giustificare la giusta causa di recesso, in quanto il (...) non contesta alla mandante comportamenti o inadempimenti specifici alla stessa imputabili, ma si limita a riferirsi alla situazione di generale crisi, di credibilità e di immagine, in cui versava, all'epoca la Banca, in conseguenza di fatti, genericamente indicati, ma tali elementi, di per sé, non rilevano sullo specifico rapporto di agenzia de quo in modo tale da renderlo assolutamente improseguibile. Ha anche evidenziato il decidente la tardività delle doglianze, atteso che si tratta di vicende certamente antecedenti ed apparse a stampa ben prima della decisione di recedere in tronco. Il fatto che la Banca preponente versasse in una gravissima situazione di difficoltà finanziaria fin dall'anno 2006 può dirsi notorio almeno a partire dall'anno 2013, come emerge dagli stessi articoli di stampa prodotti dal resistente, sicché la circostanza non appariva assolutamente nuova per il (...) né sufficiente a giustificare la risoluzione immediata del contratto di agenzia solo nel gennaio 2014; poiché gli addebiti si riferirebbero ad eventi occorsi molto tempo prima della comunicazione di recesso del promotore risalente al gennaio 2014 la loro rilevanza sullo specifico rapporto di agenzia in modo tale da renderlo assolutamente improseguibile risulta smentita per tabulas dalla stessa condotta concludente dell'agente, che ha proseguito il proprio rapporto di agenzia e ha atteso il gennaio 2014 per comunicare il recesso con effetto immediato senza mai segnalare in precedenza della sua crescente difficoltà e impossibilità di proseguire il rapporto. Si tratta di argomenti confortati dalla giurisprudenza di merito (Trib. La Spezia n. 347/2018) che ha osservato "a fronte della venuta a conoscenza di condotte astrattamente costituenti giusta causa di recesso, la parte che se ne duole deve farle valere con tempestività, non potendo invocarle a distanza di considerevole (o significativo) lasso di tempo (v., per il principio, ricavabile dal contenzioso in materia di lavoro subordinato: Cass. 11 ago. 2015, n. 16683, Id. 1º lug. 2010, n. 15649 ed altre; in materia di agenzia, v. Id. 20 ago. 1983, n. 5446, Id. 11 dic. 1974, n. 4218)". Ha altresì osservato il Tribunale come non sia sufficiente dedurre che alcuni clienti avessero chiesto di disinvestire i prodotti della ricorrente, senza allegare se tali richieste abbiano avuto seguito e quale concreta ripercussione abbiano avuto sul portafoglio dell'agente (cosí già Trib. Genova 20 mag. 2015, in atti prodotta). E su tali corrette osservazioni ha escluso la rilevanza della richiesta di prova testimoniale in quanto la capitolazione dedotta dal convenuto si limita proprio a generiche circostanze, senza che sia fornita alcuna indicazione dell'incidenza negativa che le condotte della Banca (o la sue vicende) abbiano avuto sul portafoglio clienti da lui complessivamente gestito e sul suo fatturato, evidenziando a tale ultimo proposito che le fatture prodotte (all. 14 memoria) attestano importi variabili nel corso del tempo, e addirittura crescenti in prossimità del recesso (v. fattura dicembre 2013), che confermano una tendenza assolutamente non negativa degli affari. In merito alla contestata creazione della banca on line (...), va evidenziata l'indubbia legittimità della riorganizzazione, mirata oltre che ad adeguare l'attività allo sviluppo tecnologico, anche a risolvere (o quanto meno a contenere) la critica situazione nella quale (...) si trovava. Ha concluso nel senso che la scelta di recedere a gennaio 2014, in assenza di una qualsiasi precedente contestazione nei confronti della preponente, a cui è succeduta, dopo un breve termine, la stipula di un contratto di agenzia nei confronti di una altra banca, appare più fondata sull'opportunità di aver trovato un nuovo posto di lavoro che sull'intollerabilità della prosecuzione del rapporto con (...). Ciò premesso, rileva la Corte che, nell'atto di appello, le ragioni prospettate per contrastare la ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso- v. pagg. 10, 11, 12 - costituiscono la pedissequa reiterazione - risultando addirittura sovrapponibili - in forma di doglianza delle censure già articolate nella memoria di prime cure - v. pagg. da 2 a 6 -. Lamentava, difatti, il (...) una serie di circostanze che hanno gradualmente ed irrimediabilmente deteriorato nell'agente signor (...) il rapporto fiduciario, che qui di seguito sono esposte e che vennero puntualmente rappresentate alla preponente nella comunicazione di recesso per giusta causa del 31/01/2014"; circostanze che venivano ricondotte: alle negative condizioni della (...) spa protrattesi nel periodo dal 2013 fino ad inizio 2014, periodo caratterizzato da eventi pesantemente negativi e gravi"; ad una serie di disinvestimenti ovvero manifestazioni di volontà di disinvestire l'intera posizione, conseguenti alla predetta campagna, che avrebbero comportato il sorgere di problemi nello svolgimento dell'ordinaria attività di promozione subendo egli ripercussioni in termini di provvigioni e relazioni clientelari; ai pregiudizi derivati dalla creazione di (...) spa nella quale dovevano confluire tutti i promotori finanziari, circostanza non condivisa dal sig. (...) in quanto diversa e contrapposta alle qualità personali e all'appeal che aveva la preponente banca verso i potenziali investitori; al presunto "illegittimo storno di provvigioni sulle polizze (...) relativamente ai clienti (...), (...), (...)" nonché a taluni disservizi bancari (il mancato riscontro alle richieste in ordine alla "fattibilità di ulteriori operazioni bancarie ") che avrebbero indotto un importante cliente rientrante portafoglio del (...) (il nucleo familiare della (...)) a disinvestire la propria consistente posizione presso il (...). Come su esposto, su tutte dette argomentazioni, riproposte con il gravame quali censure alla sentenza, senza alcuna critica al percorso motivazionale, il Tribunale ha già deciso. Il (...) continua ad allegare, difatti, lo "sgretolamento sia del portafoglio sia dei conseguenti redditi provvigionali, in totale assenza di qualsivoglia intervento da parte della Banca che potesse riportare serenità nell'investitore/risparmiatore" e propone, quale unica censura (che esime la Corte dalla valutazione in termini di inammissibilità anche di tale motivo di gravame) l'omessa ammissione della prova testimoniale e dell'interrogatorio formale del legale rappresentante dell'Istituto che avrebbero, a suo dire, dimostrato che la mala gestio, sottesa agli eventi che hanno colpito la Banca, nonché l'inerzia dell'Istituto aveva gradatamente eroso il rapporto fiduciario tra i clienti rientranti nel portafoglio del promotore e il promotore stesso, rendendo, dunque, impossibile la prosecuzione anche temporanea dell'attività di collocazione. Ribadisce, in proposito, la Corte che tutti i capitoli di prova, reiterati in questa sede, sono formulati in termini generici avendo dovuto i testimoni (tutti clienti del promotore finanziario) riferire in ordine alla loro manifestata volontà di disinvestire l'intera posizione presso (...), temendo perdite a causa della situazione della Banca. Circostanze, tuttavia, ininfluenti a fronte della omessa allegazione (non integrabile attraverso l'esame testimoniale, come preteso dall'appellante) in ordine all'effettivo seguito di tale volontà e, soprattutto, alla concreta ripercussione di tali disinvestimenti sul portafoglio dell'agente. La sentenza va, quindi, confermata. Le spese di questo grado seguono la soccombenza e si liquidano, a carico dell'appellante e in favore dell'appellata, come indicato in dispositivo. Deve, infine, darsi atto della sussistenza a carico della parte appellante principale dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1- quater D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, conferma la sentenza n.241/2209 emessa il 29 maggio 2020 dal Tribunale GL di Trapani. Condanna l'appellante al pagamento, in favore dell'appellata, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.760,00, a titolo di compensi professionali, oltre Iva, Cpa e spese generali come per legge, se dovute. Dà atto della sussistenza a carico della parte appellante dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1- quater D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Palermo il 12 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA composta dai Signori Magistrati Dott. Guido ROSA - Presidente - Dott. Salvatore CASCIARO - Consigliere - Dott.ssa Francesca DEL VILLANO ACETO - Consigliere est. - all'esito della trattazione scritta del 18 novembre 2021 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2434 del Ruolo Generale Affari Contenziosi del 2018, vertente TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Be. in virtù di procura in calce al ricorso in appello, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma via (...) - APPELLANTE - E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Be. in forza di procura allegata alla memoria di costituzione nel giudizio di appello, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Milano corso (...) - APPELLATA - Oggetto: appello avverso la sentenza n. 95/2018 del Tribunale di Tivoli sez. lavoro pubblicata in data 30/01/2018. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con sentenza n. 95/2018, pubblicata in data 30/01/2018 all'esito del proc. n. R.G. 3644/2015, il Tribunale di Tivoli, in funzione di giudice del lavoro, in parziale accoglimento del ricorso proposto da (...), ha condannato la (...) s.p.a. al pagamento, in favore della ricorrente, della somma complessiva di Euro 24.733,38 a titolo di indennità per il patto di non concorrenza, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla cessazione del rapporto al saldo; ha dichiarato inammissibile la domanda di consegna della documentazione contabile; ha rigettato nel resto il ricorso e compensato per la metà le spese di lite, ponendo la restante parte a carico della convenuta. 1.1. In premessa il giudice di prime cure ha rilevato che: a) con ricorso depositato il 16/10/2015, (...) aveva esposto di aver intrattenuto un rapporto di agenzia dal 15/05/1992 con la società convenuta per la promozione e vendita dei prodotti dalla stessa commercializzati, contratto sostituito da una nuova lettera di incarico in data 01/01/1994, cui si era aggiunto in data 28/01/1998 un patto di non concorrenza post-contrattuale; b) la ricorrente lamentava: (i) la mancata consegna di un estratto dei libri contabili in violazione dell'obbligo di cui all'art. 1749 c.c., strumentale alla verifica della correttezza delle provvigioni liquidate; (ii) l'omesso pagamento di uno specifico compenso per l'attività di incasso svolta, da quantificarsi in Euro 5.000 per ciascuno degli ultimi cinque anni del rapporto, per un totale di Euro 25.000; (iii) l'omesso pagamento di un'indennità per il patto di non concorrenza ex art. 1751 bis c.c., da calcolare in base agli AEC in misura pari a Euro 49.466,77; c) pertanto, la (...) aveva chiesto la condanna della società convenuta alla consegna di copia autentica dei libri IVA, delle fatture di vendita e delle ricevute di versamento (...) nel periodo 1992-2015, al pagamento delle provvigioni che risultassero eventualmente dovute, al pagamento della somma di Euro 25.000 a titolo di indennità di incasso, al pagamento della somma di Euro 48.466,77 a titolo di indennità per il patto di non concorrenza; d) la (...) s.p.a., nel costituirsi in giudizio, aveva dedotto: (i) che alla clausola n. 7.3 del contratto di agenzia era espressamente fatto divieto all'agente di riscuotere presso i clienti gli importi delle fatture emesse o degli ordini anche accettati; (ii) che in sede di rinegoziazione delle condizioni contrattuali le parti avevano stipulato un nuovo contratto che prevedeva un "premio di puntualità" in relazione al grado di puntualità del pagamento dei clienti, confermandosi il divieto di incasso già previsto; (iii) che con Acc. del 28 gennaio 1998 le parti avevano convenuto, a modifica delle precedenti pattuizioni, un sistema provvigionale più favorevole e contestualmente un patto di non concorrenza post-contrattuale a titolo gratuito; (iv) che durante il rapporto la ricorrente, che aveva sempre ricevuto la documentazione contabile inerente le provvigioni maturate, non aveva mai lamentato alcunché; (v) che alla cessazione del rapporto avvenuta per pensionamento, la ricorrente aveva percepito Euro 20.988,49 a titolo di FIRR dall'(...) ed Euro 708,99 direttamente dall'azienda per il medesimo titolo; (vi) che, avendo la ricorrente richiesto di proseguire il rapporto con un nuovo incarico, la società le aveva riconosciuto, ancorché non spettante, una indennità suppletiva di clientela pari a Euro 46.484,88; e) la società convenuta aveva, inoltre, eccepito la prescrizione delle provvigioni e/o compensi eventualmente dovuti nel periodo 1992-15/10/2010 (o in subordine al 19/03/2010), non essendo il decorso della prescrizione sospeso in corso di rapporto, nonchè contestato: (i) la genericità della domanda di pagamento di provvigioni soltanto eventualmente dovute all'esito della esibizione di copia autentica dei libri contabili da ritenersi meramente esplorativa, in difetto di allegazione di affari procacciati e conclusi in relazione ai quali la società non avrebbe corrisposto le relative provvigioni; (ii) l'infondatezza della pretesa di corresponsione dell'indennità di riscossione e maneggio denaro, essendo stato fatto espresso divieto alla ricorrente di effettuare attività di incasso e non avendo la stessa mai incassato denaro contante ma al più trasmesso assegni bancari tratti all'ordine della società, unitamente agli ordini sottoscritti, senza comunque assumere alcuna disponibilità del denaro e conseguentemente alcuna responsabilità per errori contabili; (iii) l'infondatezza della domanda di pagamento dell'indennità per il patto di non concorrenza post-contrattuale, considerato che la previsione del patto a titolo gratuito contenuta nella clausola n. 18 della convenzione risaliva al 28/01/1998, in epoca quindi anteriore all'introduzione, ad opera della L. n. 422 del 2000, del secondo comma dell'art. 1751 bis c.c. in tema di onerosità del patto, da ritenersi non applicabile retroattivamente a convenzioni stipulate anteriormente, tenuto anche conto che i criteri di quantificazione sussidiari individuati dalla norma fanno rinvio agli AEC stipulati soltanto nel 2002. 1.2. Ciò posto, il primo giudice ha ritenuto la domanda di (...) parzialmente fondata nei seguenti termini: I) considerata provata - anche per il tramite della prova testimoniale assunta - la circostanza dell'avvenuta trasmissione alla società convenuta degli assegni bancari emessi dai vari clienti, la ricorrente, invero, si è limitata a tale attività, peraltro espressamente vietata dal contratto sottoscritto tra le parti, senza che sulla stessa sia mai gravata una responsabilità per errore contabile, da escludere anche in ragione delle precipue caratteristiche del titolo di pagamento, come previsto dagli AEC con riguardo ai presupposti dell'onerosità dell'incarico di riscossione; II) con riguardo alla domanda di indennità per il patto di non concorrenza post-contrattuale, oltre al contratto sottoscritto in data 28/01/1998, rileva un ulteriore documento contrattuale risalente al 23/05/2002, sottoscritto dalla sola società ed acquisito ex art. 421 c.p.c., riportante modifiche del patto di non concorrenza del 1998 con previsione di un compenso determinato ai sensi dell'art. 1751 bis c.c. e la previsione di una penale aggiuntiva (oltre a quella già prevista nel contratto del 1998) di Euro 50 al giorno per ogni giorno di ritardo nella comunicazione delle attività concorrenziali svolte: tale atto, dunque, legittima la richiesta di ottenere il pagamento del compenso dovuto per il patto di non concorrenza stipulato con la mandante ai sensi dell'art. 1751 bis c.p.c. cui il documento prodotto rinvia; III) tale indennità deve essere quantificata equitativamente dal giudice ai sensi dell'art. 1751 bis c.c., che richiama gli AEC soltanto come parametro per le parti per la determinazione concreta dell'indennità: tenuto conto della avvenuta cessazione dell'attività per pensionamento e della zona contenuta affidata alla ricorrente, il compenso va equitativamente calcolato in misura pari alla metà della somma individuata ai sensi dell'AEC, ossia in Euro 24.733,38; IV) è, infine, inammissibile la domanda di consegna della documentazione contabile della società ex art. 1749 c.c., mentre va rigettata la domanda di pagamento delle provvigioni eventualmente dovute, non avendo la ricorrente dimostrato l'esistenza dell'interesse ad agire, avendo ella sempre regolarmente ricevuto gli estratti conto provvigionali senza mai contestarli nel corso del rapporto perdurato sin dal 1992, e chiesto soltanto in sede di rivendicazione delle indennità per cui è causa, in maniera del tutto esplorativa, l'esibizione della documentazione contabile al fine di verificare l'eventuale sussistenza di errori negli estratti conto provvigionali, senza tuttavia fornire alcuno specifico elemento idoneo ad ipotizzare la sussistenza di un residuo credito a titolo di provvigioni per l'attività prestata. 2. Avverso tale pronuncia ha proposto tempestivo appello (...), con atto depositato in cancelleria in data 26/07/2018, deducendo i seguenti motivi: A) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di esibizione della documentazione contabile e rigettato la domanda di pagamento delle provvigioni maturate ed ancora da liquidarsi: afferma l'appellante di aver dimostrato l'esistenza del proprio interesse ad agire, depositando gli estratti conto provvigionali, nonché di aver dedotto come il loro contenuto rendesse impossibile la corretta verifica delle provvigioni maturate dall'agente, atteso che dalle fatture e dagli estratti conto emerge come il maturato provvigionale guadagnato dalla (...) con il proprio lavoro abbia spesso subito decurtazioni ingiustificate; è stata, inoltre, prodotta la lista della partite aperte, ossia di tutti quegli affari conclusi dalla (...), che all'epoca dell'iscrizione del ricorso di primo grado non erano ancora andati a buon fine e sui quali potrebbe essere maturato il diritto alla provvigione in caso di positiva conclusione; dunque, la domanda deve essere accolta ai sensi degli artt. 1749 c.c., 5 e 7 (che prevedono il diritto dell'agente ad ottenere le copie delle fatture nonché il diritto al pagamento delle provvigioni maturate nell'arco di sei mesi dalla cessazione del rapporto) dell'AEC Commercio, richiamato dai contratti sottoscritti tra le parti, e deve altresì essere disposta c.t.u. ai fini della verifica delle provvigioni e delle indennità; B) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di pagamento dell'indennità di incasso: premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità l'indennità di incasso spetta qualora tale attività sia abituale e costante, afferma l'appellante che - come dimostrato dalla documentazione prodotta (doc. 7) - ella ha svolto continuativamente l'attività di riscossione, sostenendone integralmente tutti i costi relativi, quali quelli di spedizione, e assumendone la responsabilità in caso di smarrimento, nonché ritirando anche somme in contanti, come attestato da un verbale di denuncia di furto che si chiede di produrre ex art. 431 comma 2 c.p.c. come prova indispensabile; C) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha quantificato l'indennità per patto di non concorrenza in Euro 24.733,38 e non nella misura di Euro 49.466,67 calcolata ai sensi dell'AEC settore commercio: afferma l'appellante che l'indennità per il patto di non concorrenza va calcolata sulla base di quanto statuito dal vigente AEC, che, in quanto fonte normativa del rapporto di agenzia commerciale intercorso tra le parti, non può essere limitato a mero parametro ma deve costituire il riferimento normativo per il calcolo dell'indennità; in ogni caso, il tribunale non ha fatto alcun cenno alla media dei corrispettivi riscossi dall'agente, né ha considerato che la stessa operava come monomandataria e quindi con vincolo di esclusiva, né ha valutato la durata del patto, mentre la decisione del pensionamento è stata determinata proprio dall'esistenza del patto di non concorrenza e dal carattere peggiorativo delle proposte formulate dalla società per la stipula di un nuovo rapporto di collaborazione; non risponde al vero, infine, che ella operasse su di una zona ridotta, essendo quella di Lazio Sud un'area di centinaia di chilometri; D) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha condannato la società convenuta al pagamento degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002: afferma l'appellante che devono essere corrisposti gli interessi indicati alla luce della natura dei crediti rivendicati; E) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha compensato per metà le spese di lite: a fronte della asserita fondatezza delle proprie domande, l'appellante chiede la modifica della sentenza impugnata con affermazione del diritto alla totale refusione delle spese di lite. 2.1. L'appellante ha, pertanto, concluso chiedendo la condanna della (...) s.p.a. a: a) consegnare - relativamente alla zona ed ai clienti di cui al contratto d'agenzia - copia autentica dei suoi libri IVA, delle fatture di vendita rilasciate alla clientela, e delle ricevute di versamento (...), per il periodo 1992-30/04/2015 (anche ai fini dell'indagine ex art. 1748 c.c.) oppure per diverso periodo ritenuto opportuno; b) pagare le provvigioni maturate e ancora da liquidarsi, come risulteranno all'esito della consegna della documentazione contabile richiesta ex art.1749 c.c. e della espletanda CTU; c) pagare il compenso per l'attività di riscossione incassi continuativamente svolta dal ricorrente, pari ad Euro 25.000,00 o alla diversa misura ritenuta equa e/o di giustizia; d) pagare Euro 49.466,77 come indennità di natura non provvigionale ex artt. 1751 bis c.c. e 8 dell'AEC settore Commercio del 16/02/2009, con vittoria di spese, competenze ed onorari relative al doppio grado di giudizio, oltre interessi anche ex D.Lgs. n. 231 del 2002 e rivalutazione dalle singole scadenze. 3. (...) s.p.a. si è costituita tempestivamente in giudizio con memoria depositata telematicamente in data 24/04/2020, resistendo al gravame e sostenendo quanto segue: I) l'appello è inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., per l'assenza di ragionevoli motivi di accoglimento, nonché ex art. 434 c.p.c., in quanto si limita a riproporre le precedenti argomentazioni; II) il primo giudice, nel respingere la domanda di esibizione della documentazione contabile, ha correttamente interpretato l'art. 1749 c.c., in quanto l'appellante già disponeva di tutte le informazioni e la documentazione necessaria (clienti, ordini, fatture, estratti conto, contabili, pagamenti, ecc.) per poter introdurre ed istruire una domanda ammissibile, riferita a diritti determinati o determinabili; né tantomeno ella aveva compiutamente allegato in ricorso a quali affari realizzati si volesse riferire, a quali clienti, quali provvigioni, quali omessi o parziali pagamenti, né ad alcun specifico ed indispensabile documento relativo da acquisirsi; inoltre, sono inammissibili tutte le nuove circostanze ed allegazioni di fatto, in quanto dedotte per la prima volta in appello, dunque tardive, e comunque generiche e non veritiere; III) è comunque prescritto - come già eccepito in primo grado - il diritto al pagamento di provvigioni e/o differenze provvigionali e/o di compensi e/o indennità per il periodo 1992 - 15/10/2010; IV) è infondata la pretesa attinente l'indennità di incasso, espressamente vietata dal contratto e mai di fatto svolta continuativamente e con responsabilità per eventuali errori contabili: le circostanze in fatto allegate in appello sono nuove, mai allegate e quindi tardive ed inammissibili, così come tardiva ed inammissibile è la richiesta di produzione del nuovo documento: in ogni caso, la pretesa richiesta di liquidazione della somma di Euro 25.000,00 non apparirebbe comunque accoglibile stante la sua indeterminatezza; V) la determinazione dell'indennità per il patto di non concorrenza deve essere operata sulla base dei criteri generali dell'art. 1751 bis c.c. e non in base al mero disposto dell'art. 8 degli A.E.C. settore Commercio del 16 febbraio 2009, mai richiamato dalle parti, in particolare con la scrittura del 2002, e comunque inapplicabile al caso di specie; inoltre, diversamente da quanto prospettato nell'appello, il primo giudice ha operato la propria valutazione equitativa muovendo dai dati di fatturato provvisionale allegati dalla ricorrente, assumendo quale parametro il valore medio dichiarato dei corrispettivi riscossi negli ultimi cinque anni, nonché tenendo conto anche della durata del patto e dell'operatività della ricorrente quale monomandatario, atteso che ha assunto il predetto valore per intero, ossia in misura pari a 24/24 della media provvisionale quinquennale e senza alcuna riduzione, dovendo altrimenti operare la riduzione del 20 % prevista in caso di agenti plurimandatari; ancora, la conclusione del rapporto, come emerso pacificamente in primo grado, è avvenuta unicamente a causa del recesso volontario dell'agente, causa il raggiungimento dei limiti di età, con conseguente sacrificio minimo; quanto, infine, alla zona, comprendente di fatto solo una piccola parte dell'area sud di Roma, la zona dei "Castelli" e le province di Latina e Frosinone, in realtà l'agente era titolare soltanto della clientela procacciata all'interno della stessa, quindi rimaneva libera di svolgere la propria attività non soltanto su tutto il territorio nazionale quanto anche nella zona Lazio Sud, salvo il divieto di contattare la clientela ciò procacciata all'ex proponente; VI) non vi è allegazione né prova circa la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l'applicazione della norma invocata in tema di interessi; VII) infondata è anche l'ultima censura, in quanto il primo giudice ha invero liquidato le spese in misura addirittura eccessiva rispetto all'esito del giudizio, avendo rigettato due delle tre domande ex avverso proposte. 3.1. La società appellata ha, pertanto, concluso chiedendo dichiararsi inammissibile l'appello o comunque il rigetto dello stesso, fatta salva, in via subordinata, la declaratoria di prescrizione di qualsivoglia diritto della ricorrente alla rivendica di compensi e/o provvigioni e/o differenze provvigionali e/o indennità per il periodo dal 15/05/1992 al 15/10/2010 (o in subordine al 19/03/2010). 4. Con decreto del 14/10/2021 è stata disposta la trattazione cartolare, ferma l'udienza già fissata del 18/11/2021, sostituita dallo scambio di note scritte secondo quanto previsto dall'art. 83 comma 7 lett. h) D.L. n. 18 del 2020 e dall'art. 221 comma 4 D.L. n. 34 del 2020 cit.; all'esito della trattazione scritta, depositate le note ad opera di entrambe le parti, la causa è stata decisa come da dispositivo. 5. In via preliminare, ritiene la Corte che siano infondate le eccezioni di inammissibilità dell'appello formulate dalla società appellata. 5.1. Si osserva che, ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., "l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta". Nel caso di specie, non ricorrono le condizioni per affermare la palese infondatezza dell'appello, avendo, da un lato, l'appellante compiutamente indicato ed argomentato le ragioni del gravame e le parti della sentenza impugnata ritenute erronee. Né il gravame appare prima facie infondato nel merito, alla luce dell'oggetto della causa e delle argomentazioni in fatto ed in diritto devolute alla cognizione della Corte, meritevoli di verifica in questa sede. 5.2. E' altresì infondata l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei relativi motivi ex art. 434 c.p.c. Come osservato dalla giurisprudenza di legittimità, "l'art. 434, primo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall'art. 54, comma 1, lettera c) bis del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell'art. 342 cod. proc. civ., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2143 del 05/02/2015; conformi Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 21336 del 14/09/2017, Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 4136 del 12/02/2019). D'altro canto, le Sezioni Unite Civili hanno avuto modo di precisare che "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017; conforme Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018). La mera lettura del gravame, puntualmente articolato nelle plurime censure mosse, smentisce inequivocabilmente l'asserita genericità dello stesso, avendo parte appellante svolto una precisa e ben argomentata critica della decisione impugnata, formulando pertinenti ragioni di dissenso in relazione alla operata ricostruzione dei fatti ed alle questioni di diritto trattate (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 20836 del 21/08/2018). 6. Nel merito, l'appello è infondato e deve essere respinto. 6.1. E' infondato il primo motivo di gravame. In tema di diritto dell'agente all'accesso ed alla documentazione contabile di cui all'art. 1749 c.c., la Suprema Corte ha affermato che tale diritto "è funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennità collegate al rapporto di agenzia, in quanto l'acquisizione della documentazione in possesso del solo preponente deve essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili, sicché incombe alla parte, che agisce al fine di ottenere l'esibizione documentale, dedurre e dimostrare l'esistenza dell'interesse ad agire con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui, innanzitutto, l'invio o meno degli estratti conto e del loro contenuto), e l'indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l'istanza" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 19319 del 29/09/2016), e che lo stesso "può essere fatto valere in giudizio in via autonoma, a prescindere dall'azione giudiziale con cui si facciano valere i diritti patrimoniali cui esso è strumentale, restando viceversa assorbito dalle regole sull'istruzione probatoria quando tale azione sia già iniziata" (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 20707 del 10/08/2018). 6.1.1. Dunque, certamente il diritto all'accesso sussiste anche quando si fanno valere diritti determinabili e può essere azionato in via autonoma, ma l'esercizio di tale diritto presuppone necessariamente l'inadempimento della preponente, di cui non è sufficiente la mera ed indistinta allegazione in quanto, data la struttura sostanziale della fattispecie, fisiologicamente caratterizzata dal periodico succedersi di comunicazioni e pagamenti, è necessario un più "circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui in primis l'invio o meno degli estratti conto e il loro contenuto" (cfr. Cass. n. 20707/2018 cit. che, nella specie, ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata respinta la richiesta di un agente che, avendo agito per le provvigioni e l'indennità di fine rapporto, pretendeva ex art. 1749 c.c. informazioni sul rapporto sulla base di una generica deduzione dell'inadempimento del preponente). 6.1.2. Occorre, pertanto, verificare se, nel caso di specie, l'originaria ricorrente - sulla quale incombeva l'onere di dimostrare il proprio interesse ad agire al fine di ottenere l'esibizione documentale - avesse o meno dedotto, anche a mezzo dei documenti prodotti (che integrano l'atto introduttivo con riferimento all'esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto si cui si fonda la domanda cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 2328 del 15/05/1989), in modo puntuale e circostanziato l'inadempimento della proponente relativo alla mancata informazione con riguardo a vicende rilevanti del rapporto. Orbene, osserva la Corte che il ricorso introduttivo faceva riferimento unicamente a "decurtazioni ingiustificate" evincibili dalle fatture provvigioni e dagli estratti conto; ed, in effetti, visionando le fatture prodotte per gli anni 2014 e 2015 (doc. nn. 18 e 19 del fascicolo di parte appellante) si evincono detrazioni per "anticipi" e per "ant. provv. conguagliabile". Diversamente, nel corso del giudizio di primo grado l'originaria ricorrente nulla ha dedotto in ordine alla c.d. lista delle partite aperte (che corrisponde al documento n. 20 e non n. 15), laddove dalla lettura delle varie elencazioni contenute in tale documento non appare comprensibile quanto oggi allegato soltanto in sede di appello circa la natura di crediti in via di maturazione. 6.1.3. Appare, dunque, condivisibile l'affermazione del giudice di primo grado di insufficienza degli elementi addotti al fine di ottenere l'ordine di esibizione, avendo la parte ricorrente prospettato i propri crediti come soltanto eventuali, a causa di errori nelle fatture, ma senza addurre alcun elemento idoneo a far ritenere effettivamente sussistente un suo credito residuo, e senza, in ogni caso, aver indicato in modo specifico e circostanziato, quanto alle cc.dd. partite aperte, gli ordini sottostanti, la loro effettiva conclusione ed il successivo buon fine con riferimento ad ogni singolo cliente, così da fondare una richiesta di esibizione documentale non meramente esplorativa. E tutto ciò senza aver mai mosso, nel corso del rapporto lavorativo, alcuna contestazione agli estratti conto regolarmente ricevuti, laddove unicamente l'omesso invio degli estratti conto avrebbe giustificato, in quanto inadempimento dell'obbligo di informazione da parte della preponente, la carente indicazione dei relativi dati ai fini della quantificazione giudiziale del proprio credito chiesta dall'agente ed avrebbe legittimato l'ordine di esibizione ed una eventuale consulenza tecnica d'ufficio (Cass. Sez. L, Sentenza n. 21219 del 20/10/2015). 6.1.4. A ciò si aggiunga che, soltanto con la lettera del 18/03/2015 (doc. n. 6 fascicolo di parte appellante), l'agente ha chiesto, tra l'altro in modo del tutto generico, le "provvigioni maturate e ancora da liquidarsi", mentre, con riferimento specifico alle decurtazioni presenti sulle fatture, esse sono agevolmente comprensibili per il tramite della lettura dei contratti prodotti in atti, da cui si evince che: a) il contratto del 15/05/1992 (doc. n. 1 del fascicolo di parte appellante) prevedeva al punto 13) che all'agente venisse corrisposto mensilmente in via di anticipazione "la stessa percentuale della provvigione totale (18 %) sino al raggiungimento del limite massimo di L. 600.000 sul singolo ordine", limite aumentato dapprima a L. 700.000 e quindi a cifre maggiori nel corso degli anni; b) il contratto del 01/01/1994 (doc. n. 2) conferma al punto 13) la corresponsione dell'anticipazione mensile, peraltro nella misura del 16 % degli ordini del mese precedente fino al raggiungimento del limite massimo di L. 950.000, e statuisce che "I saldi delle differenze tra anticipo e provvigioni saranno conteggiati e liquidati nel mese di maggio successivo all'anno di fatturazione"; c) la medesima previsione è contenuta nel contratto del 28/01/1998, al novellato punto 13). 6.2. E' altresì infondato il secondo motivo di impugnazione, con il quale l'appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di pagamento dell'indennità di incasso. Sul punto, osserva il Collegio che la Suprema Corte, con la sentenza richiamata dalla difesa dell'appellante, ha invero affermato che la prova dello svolgimento dell'attività di incasso da parte dell'agente può essere desunta dal comportamento costante delle parti, tuttavia ponendo quale necessario duplice presupposto l'assenza di qualsivoglia previsione contrattuale e l'evidente tacito consenso della preponente: in altri termini, unicamente nell'ipotesi in cui manchi una pattuizione esplicita negoziale per l'attribuzione dell'incarico di riscossione può assumere valenza decisiva il comportamento costante delle parti ai fini del riconoscimento del diritto dell'agente alla remunerazione di tale attività ulteriore (Cass. Sez. L, Sentenza n. 21079 del 16/09/2013). Si consideri, inoltre, che arresti più recenti hanno affermato il principio secondo cui "Lo svolgimento da parte dell'agente di attività di incasso per conto del preponente dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti possono convenire, per cui viene escluso il diritto ad un compenso per la suddetta attività quando manchi una pattuizione negoziale per l'attribuzione di un incarico di riscossione, alla luce dell'art. 6 dell'accordo economico collettivo 19 dicembre 1979 per gli agenti e rappresentanti di commercio di aziende industriali (vigente alla data della nascita del rapporto) che prevede tale compenso solo quando sussista un obbligo particolare e ulteriore dell'agente, e non un'attività meramente facoltativa di riscossione che il medesimo può svolgere nel proprio interesse" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7467 del 26/03/2018). Ancora: "In tema di contratto di agenzia, il conferimento dell'incarico di riscossione all'atto della stipula del contratto fa presumere - attesa la natura corrispettiva del rapporto - che il compenso per tale attività sia compreso nella provvigione pattuita, che va riferita al complesso dei compiti affidati, mentre essa va separatamente compensata se il relativo incarico sia conferito nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto, a meno che non risulti accertata la volontà delle parti di procedere ad una novazione che, prevedendo nuovi obblighi a carico dell'agente, lasci invariati quelli del preponente" (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 17572 del 21/08/2020). 6.2.1. Nel caso di specie, il contratto stipulato fra le parti prevedeva espressamente il divieto per l'agente di "riscuotere presso la clientela gli importi relativi alle fatture emesse dalla Società né quelli relativi agli ordini anche se accettati" (punto 7.3.) del contratto del 15/05/1992): pertanto, l'appellante ha svolto di fatto un'attività di ritiro di assegni presso la clientela, in assenza di responsabilità per errore contabile ai sensi dell'art. 5 AEC, limitandosi a compilare elenchi degli assegni bancari ritirati ed a spedirli alla società appellata, verosimilmente al fine di accelerare le operazioni di registrazione del pagamento delle fatture e, dunque, nel proprio interesse attinente la riscossione delle provvigioni. Non vi è spazio, pertanto, per l'applicazione nel caso di specie dei richiamati principi giurisprudenziali, sia in quanto nel rapporto oggetto di causa vi era una pattuizione negoziale espressa regolatrice dell'attività di incasso - espressamente vietata -, sia alla luce del mancato effettivo svolgimento di una vera e propria attività di incasso collegata ad una responsabilità di tipo contabile. 6.2.2. In ultima analisi, lo svolgimento di attività di riscossione di somme di denaro in contanti è allegato soltanto in grado di appello, e trattasi, pertanto, di nuova e tardiva deduzione: il documento nuovo di cui l'appellante chiede l'acquisizione ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c., non rappresenta, tra l'altro, una prova indispensabile poiché al più dimostrerebbe un unico episodio, completamente isolato ed assolutamente irrilevante. 6.3. Con riguardo al terzo motivo di appello, osserva la Corte che è certamente corretta la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha quantificato l'indennità dovuta all'originaria ricorrente in ragione del patto di non concorrenza. 6.3.1. Il gravame lamenta che l'indennità debba essere calcolata in base all'AEC e non in virtù dei criteri di valutazione equitativa di cui all'art. 1751 bis c.c., tuttavia tale impostazione appare smentita dalla previsione espressa dell'Acc. del 23 maggio 2002 secondo cui "a fronte di tale obbligo la società si impegna a riconoscervi un corrispettivo calcolato ai sensi dell'art. 1751 bis c.c.". 6.3.2. Dunque, il riferimento pattizio per il calcolo dell'indennità è all'art. 1751 bis c.c. e non anche all'AEC, ed, in assenza di una specifica statuizione negoziale, vanno applicati i criteri previsti dalla citata norma ai fini della valutazione equitativa del giudice, ossia: 1) la durata del patto; 2) la natura del contratto di agenzia; 3) l'indennità di fine rapporto; 4) la media dei corrispettivi riscossi dall'agente in pendenza di contratto e la loro incidenza sul volume complessivo d'affari nello stesso periodo; 5) le cause di cessazione del contratto; 6) l'ampiezza della zona assegnata all'agente; 7) l'esistenza o meno di un vincolo di esclusiva per un solo preponente. Posto che la media annuale delle provvigioni percepite negli ultimi cinque anni dalla ricorrente era pari ad Euro 49.466,77, il giudice di prime cure, con valutazione condivisibile, l'ha ridotta della metà tenuto conto del fatto che il contratto era cessato per pensionamento, che la ricorrente aveva rifiutato di proseguire il rapporto con altro accordo - secondo modalità allegate dalla preponente e non contestate nel corso del giudizio di primo grado - e che la zona a lei affidata era contenuta. Argomento quest'ultimo altresì condivisibile, atteso che, come rilevato dalla società appellata, l'agente non era "titolare di una zona, ma della Clientela da lui procacciata limitatamente alla zona" (punto 1.2. del contratto del 15/05/1992), mentre anche l'accordo del 2002 limitava il patto di non concorrenza alla zona ed alla clientela affidata all'agente: dunque, in sostanza il patto di non concorrenza era efficace (solo) nella zona di competenza ma unicamente con riferimento alla clientela già acquisita nello svolgimento della propria attività. D'altro canto, è pacifico che l'appellante abbia cessato definitivamente la propria attività, mediante chiusura della partita Iva e comunicazione di cessazione alla Camera di Commercio, nell'agosto settembre del 2016, ossia prima che si perfezionasse il periodo di due anni dalla data (21/1172014) della comunicazione della cessazione del rapporto (doc. n. 5 del fascicolo di parte appellante). 6.4. Inammissibile è il quarto motivo di impugnazione, con il quale l'appellante lamenta la mancata condanna al pagamento degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, senza peraltro specificare in alcun modo i motivi per i quali la decisione del giudice di prime cure, che si è limitato a pronunciare la condanna al pagamento degli interessi legali, sarebbe errata. 6.4.1. D'altro canto, avendo il primo giudice condannato, seppur genericamente, la odierna appellata anche al pagamento degli interessi nella misura legale, gli interessi vanno computati, appunto, nella misura prevista dalla legge, con particolare riferimento al D.L. n. 132 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 162 del 2014, con cui il legislatore - introducendo i nuovi commi 4 e 5 dell'art. 1284 c.c. - ha stabilito che in materia di obbligazioni pecuniarie, in mancanza di una determinazione delle parti, si applica il saggio di interessi previsto per i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, e cioè quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, che rappresenta, dunque, un vero e proprio tasso legale ("In tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono "interessi legali" non soltanto quelli stabiliti dall'art. 1284 cod. civ., ma anche qualsiasi interesse che, ancorché in misura diversa, sia previsto dalla legge" Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11187 del 04/07/2012). 6.5. E', infine, infondato il quinto motivo di appello, apparendo del tutto corretta la compensazione disposta dal primo giudice per la metà delle spese di lite, in ragione del parziale accoglimento della domanda attinente il pagamento dell'indennità per il patto di non concorrenza e del rigetto delle ulteriori istanze concernenti l'ordine di esibizione, la corresponsione di eventuali provvigioni ancora dovute ed il pagamento dell'indennità di incasso e, dunque, della reciproca soccombenza. 7. Alla luce di tutto quando fin qui illustrato, ed assorbita ogni altra questione, l'appello deve essere, pertanto, rigettato. 8. Dovendo procedersi alla liquidazione delle spese del giudizio di appello tenendo conto dell'esito complessivo del giudizio e non già alla luce dell'isolato esito del giudizio di impugnazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7314 del 03/07/1993, Cass. Sez. L, Sentenza n. 12413 del 23/08/2003, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 383 del 13/01/2021), ritiene la Corte che sussistano i presupposti per la compensazione per metà delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, dovendo la rimanente metà essere posta a carico dell'originaria resistente, risultata infine complessivamente soccombente, seppur in parte. 9. In considerazione del tipo di statuizione emessa, deve infine darsi atto della sussistenza in capo all'appellante delle condizioni richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta l'appello e compensa per la metà le spese di lite del grado, che liquida per l'intero in Euro 3.308,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, ponendo la restante parte a carico della società appellata. Sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma il 18 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE CIVILE SETTORE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maria Beatrice Gigli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, col rito del lavoro, iscritta al n. r.g. 11830/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. PI.AN. elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. PI.AN. RICORRENTE contro (...) S.p.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. VI.MA. elettivamente domiciliato in VIALE (...), 43 20122 MILANO presso il difensore avv. VI.MA. RESISTENTE ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso del 10 dicembre 2019, (...) - informatore scientifico del farmaco - ha agito nei confronti di (...) S.P.A. (già (...) S.p.a.) deducendo la natura simulata del contratto di agenzia concluso il 28 aprile 2017 e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti. In particolare, la ricorrente ha riferito di non aver mai svolto attività di vendita o di promozione della conclusione di contratti, ma solo attività di informazione scientifica; di esser stata retribuita con una provvigione fissa di Euro 3.300 mensili (definito "anticipo provvigionale") calcolato sul fatturato della zona di sua competenza ed un conguaglio determinato in base ai dati IMS; di aver subito a far corso dal luglio 2018 una pesante decurtazione delle provvigioni a seguito della perdita della tutela brevettuale di un farmaco di punta (Vitoryn); che la società ha due linee di vendita, la "BUI" e la "BU2", di cui solo la seconda promuove vendite presso farmacie; di appartenere alla linea BU1 consistente in una squadra di dipendenti e pseudo agenti assoggettati alle medesime direttive dei impartite dai Capi Area; di non avere alcuna autonomia dovendo visitare un numero determinato di medici al giorno ed alla settimana (c.d. "media visite"), attenendosi alle direttive del capo area, ed essendo obbligata a visitare i medici di cui allo schedario fornito dall'azienda; di aver di aver avuto l'obbligo di rendicontazione e di essere stata soggetto a frequenti affiancamenti da parte del capo area; di essere stata obbligata a partecipare a periodiche riunioni di ciclo che si tenevano ogni quattro mesi; di aver rivendicato la subordinazione del rapporto tramite legale comunicando che avrebbe interrotto al prestazione lavorativa fino a quando la mandante non avesse trasformato il rapporto in subordinato con decorrenza dall'inizio del rapporto; che, di riscontro, la preponente rea receduta dal rapporto di agenzia per "giusta causa"; di aver impugnato il recesso in data 5.4.2019; che il recesso dell'azienda doveva e di natura ritorsiva e comunque illegittimo con conseguente diritto alla tutela reintegratoria ex artt. 2 e 3 del D.Lgs. 23/2015; che in via subordinata, laddove il rapporto fosse stato ritenuto effettivamente di agenzia, le spetta il riconoscimento delle competenze di fine rapporto proprie del mandato di agenzia. (...) S.p.A. si è costituita chiedendo il rigetto delle domande avversarie. In via preliminare parte resistente ha eccepito la decadenza della ricorrente dall'azione che, stante la proposizione del tentativo di conciliazione ex L. 183/2010 in data 1/10/2019 e la comunicazione di rifiuto da parte della convenuta dell'11/10/2019, avrebbe dovuto essere proposta entro il 10/12/2019. Poiché quest'ultima è la data di accettazione del ricorso introduttivo da parte del sistema telematico - data di cui la resistente, al momento della costituzione non aveva contezza - è evidente come l'eccezione sia infondata. Nel merito la resistente ha negato la sussistenza degli indici tipici della subordinazione eccependo che la ricorrente, come gli altri agenti, non doveva giustificare le proprie assenze, determinava in autonomia il proprio itinerario di visite giornaliero, non aveva l'obbligo di visitare un certo numero di medici al giorno, né di rendicontazione se non settimanale e per adempiere agli obblighi di cui all'art. 122 del D.lgs. 219/2006 (v. infra); era retribuita a provvigioni non fisse; non aveva diritto a rimborsi spese salvo che per quelle di trasferta previste dal contratto; non aveva auto o telefono aziendali. Il procedimento, fallita la conciliazione e ammesse le prove orali, è stato deciso a seguito di discussione orale. Sull'eccezione di decadenza si è già detto sopra. Venendo al merito. Le parti hanno concluso un contratto di agenzia avente a oggetto la promozione, in regime di autonomia, della conclusione di contratti di vendita e la informazione dei farmaci della convenuta cosicché questi siano prescritti dalla classe medica e venduti a strutture pubbliche o private quali ospedali o farmacie. E' previsto un compenso provvigionale sulla base degli ordini promossi e del fatturato realizzato in relazione a specifici prodotti (v. contratto, doc. 1 ricorrente). Come è noto, il nomen iuris che le parti hanno attribuito al rapporto non è determinante per la sua qualificazione giuridica. Così infatti si è espresso più volte il S.C., secondo cui: "Giova premettere che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, poiché l'iniziale contratto è causa d'un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esprime e lo stesso nomen iuris che utilizza, pur necessari elementi di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti; ed il comportamento posteriore alla conclusione del contratto diventa elemento necessario non solo (per l'art. 1362 secondo comma c.c.) all'interpretazione dello stesso iniziale contratto (Cass. 22 giugno 1997 n. 5520), bensì all'accertamento dello stesso iniziale contratto (Cass. 22 giugno 1997 n. 5520), bensì all'accertamento di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a modificare singole clausole e talora la stessa natura del rapporto di lavoro inizialmente previste; e pertanto in caso di contrasto fra iniziali dati formali e successivi dati fattuali (emergenti dallo svolgimento del rapporto), questi assumono necessariamente un rilievo prevalente." E tuttavia è pur sempre dall'esame della volontà delle parti come consacrata nel contratto che bisogna prendere le mosse, salvo discostarsene laddove emergano plurimi e univoci indici che facciano emergere una realtà diversa da quella descritta nel contratto. Il che è tanto più vero laddove si tratti di fattispecie che possono presentare elementi tipizzanti riconducibili a diversi schemi contrattuali, ossia compatibili tanto con il lavoro subordinato quanto con il lavoro autonomo. A tale riguardo il S.C. così si è espresso: "il riferimento al nomen iuris dato dalle parti al negozio, risulta di maggiore utilità rispetto alle altre in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due (o più) figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui versano le parti al momento della dichiarazione) nonché in forma articolata, si da concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice deve accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti stesse. La valutazione del documento negoziale, tanto più rilevante quanto più labili appaiono i confini tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato" (così, Cass. 18.04.2007 n. 9264))" (v. Corte di Appello di Milano n. 1281/2017). Parte ricorrente ha ritenuto che, nonostante la conclusione di un contratto di agenzia, l'istruttoria orale fosse superflua alla luce del contenuto della documentazione versata in atti. Quest'ultima consiste in e-mail di convocazione a riunioni periodiche inviate "indistintamente" a dipendenti e ad agenti (tra cui Negri) nelle quali venivano impartite indicazioni "correttive" e "linee guida" del Capo Area (v. doc. ti 8, 8 bis, 9, 10) o nelle quali veniva sollecitato l'inserimento di un certo numero di medici negli schedari con monitoraggio costante (v. all. 14 e 16). Parte ricorrente ha altresì prodotto email che comunicano la frequenza media delle visite da tenere (17 bis) nonché comunicazioni via whatsapp che riguarderebbero l'affiancamento del capo area (v. doc. 18). Parte resistente ha replicato che, come in qualsiasi rapporto di agenzia (cfr art. 1746 cc), gli agenti si coordinavano con il proprio capo area. Le riunioni erano trimestrali, ossia 4 all'anno, e venivano calendarizzate ad inizio anno, proprio nel rispetto dell'autonomia dell'agente che gestisce la propria agenda in assoluta autonomia. Le uniche indicazioni (mai imposizioni) inoltrate dalla mandante erano limitate ad un invito a selezionare sul territorio affidato non più di 200 medici generici, 25 ortopedici, 15 fisiatri reumatologi, 10 pneumologi, 20 vascolari, 10 otorini, in quanto numeri superiori non avrebbero consentito un'azione commerciale efficace, e ciò anche in relazione alla composizione del listino farmaci della mandante. Si trattava quindi di una indicazione utile per ottenere l'optimum in termini di risultati di vendita, e quindi di provvigioni. Parte resistente ha altresì specificato che la comunicazione del numero dei sanitari visitati e la specificazione del numero medio di visite effettuate era funzionale all'adempimento previsto dall'art. 122 del D.Lgs. n. 219/2006 secondo cui "L'informazione sui medicinali può essere fornita al medico e al farmacista dagli informatori scientifici. Nel mese di gennaio di ogni anno ciascuna impresa farmaceutica deve comunicare, su base regionale, all'AIFA il numero dei sanitari visitati dai propri informatori scientifici nell'anno precedente, specificando il numero medio di visite effettuate. A tale fine, entro il mese di gennaio di ogni anno, ciascuna impresa farmaceutica deve comunicare all'AIFA l'elenco degli informatori scientifici impiegati nel corso dell'anno precedente, con l'indicazione del titolo di studio e della tipologia di contratto di lavoro con l'azienda farmaceutica". La medesima norma specifica che: "l'attività degli informatori scientifici è svolta sulla base di un rapporto di lavoro instaurato con un'unica impresa farmaceutica" sicché la stessa può essere compatibile sia con un rapporto di lavoro subordinato sia con un rapporto di agenzia. Peraltro, come correttamente osservato da precedente di questo Tribunale richiamato dalla resistente, l'informazione scientifica è una forma di pubblicità per l'azienda farmaceutica, finalizzata alla vendita dei prodotti. Lo si comprende chiaramente dal fatto che all'interno del Codice del Farmaco, la visita degli informatori scientifici presso persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali, è collocata nel Titolo VIII dedicato alla "pubblicità", laddove per "pubblicità", in conformità allo spirito della Direttiva Europea 2001/83/CE, si deve intendere ogni azione diretta alla promozione della vendita del medicinale (v. Tribunale di Milano sentenza del 28/12/2015, est Sa.). Date queste premesse è evidente come l'attività di informatore farmaceutico sia compatibile con la conclusione di un contratto di agenzia che, in effetti, le parti hanno concluso. La documentazione versata in atti dalla ricorrente, poi, non è tale da smentire la genuinità di tale rapporto. Anche l'agente può infatti ricevere indicazioni dalla mandante soprattutto alla luce delle specifiche informazioni da inviare periodicamente all'AIFA. Inoltre le fatture emesse dalla ricorrente indicano importi variabili e non fissi e sono quindi indicative del fatto che il compenso fosse parametrato agli obiettivi raggiunti (v. fatture, doc. 2 resistente). Tali elementi hanno reso necessaria, a parere di questo giudice, l'istruttoria orale al fine di indagare con rigore - vista la forma contrattuale prescelta dalle parti - le concrete modalità di svolgimento del rapporto e la sussistenza degli indici della subordinazione. Si riportano le dichiarazioni dei testi le quali smentiscono che il rapporto di agenzia fosse simulato e simulasse un rapporto di lavoro subordinato. "Mi chiamo (...) nato (...) e residente in Zola Predosa Via (...) 31-6. Indifferente. Lavoro per la convenuta da 10 anni e sono responsabile della BU 1. La ricorrente faceva parte della mia BU. Io sono stato capo area ad interim per circa 3 mesi da gennaio a marzo 2018. Io ho partecipato a una delle riunioni periodiche nelle quali erano presentati i prodotti e i depliant da utilizzare dal medico. Non erano forniti obiettivi ma piuttosto indicazioni. Non vi era alcun obbligo di effettuare una media visite e nessuna conseguenza se gli obiettivi non erano raggiunti. Alle riunioni partecipavano sia nostri dipendenti che informatori con partita IVA. I dipendenti erano sollecitati a fare determinate attività e a raggiungere determinati risultati, gli agenti erano liberi in merito ad es. al numero di viste da effettuare, vi era solo una mera indicazione. Io ho affiancato agenti ma in alcuni casi hanno rifiutato l'affiancamento. Ho affiancato anche la ricorrente, lo scopo è vedere come viene effettuata la visita e il prodotto come è recepito dal medico. Viene dato un consiglio all'informatore o gli si fanno notare eventuali errori nella comunicazione di dati relativi agli studi presentati. Gli agenti dovevano rendicontare il lavoro svolto essendo la società obbligata a comunicare i dati all'AIFA, non certo per controllare la loro attività. Gli agenti non devono chiedere le ferie e sono liberi di assentarsi, a volte nemmeno avvisano. Noi davamo le indicazioni indicate nel capitolo 14 della memoria. Gli agenti erano liberi anche di non lavorare tutti i giorni, non vi era alcun controllo quotidiano. Mi viene mostrato il doc. 17 bis della ricorrente era la sintesi delle visite che poi erano inviate all'AIFA. Era proiettato nelle riunioni trimestrali. Il collaboratore sia dipendente sia agente dal documento poteva evincere se aveva coperto tutta la zona e visitato tutti i medici. Erano gli stessi informatori a richiederlo. Gli informatori hanno la conoscenza delle visite che effettuano ma non ad es. del fatto se hanno o meno visitato tutti i medici, della sintesi. I dati all'AIFA sono trasmessi una volta al mese e bisogna comunicare il numero di visite effettuate e di medici visitati. Vedo il doc. 20 della ricorrente non è mostrato in riunione e nemmeno trasmesso all'AIFA. Per quanto ne so non è mostrato proprio a nessuno. Non ricordo di email inviate indistintamente per quanto mi riguarda a dipendenti e agenti. Non ricordo di email inviate dal capo area con me in copia conoscenza e aventi oggetto quanto sopra". "Mi chiamo (...) ... Lavoro per la convenuta da 7 anni e sono direttore vendite, amministro l'area vendite. Ricordo la ricorrente anche se non in modo particolare perché abbiamo tra agenti e dipendenti 330 collaboratori, circa metà e metà. Io sono a capo della figura del capo area e non ho quindi un rapporto diretto con i collaboratori. Poteva capitare che partecipassi alle riunioni trimestrali, non ricordo se ci fosse anche la Negri. Nelle riunioni si faceva il punto della situazione, prove di comunicazioni, si illustrano studi nuovi. Nelle riunioni sono date indicazioni sulle visite effettuate, a noi più che l'operato del singolo collaboratore interessa il fatturato. Mia figlia è agente per la convenuta. Posso dire che è libera di gestirsi la giornata e il tempo, ovvio che più lavora più guadagna. Sul dipendente posso dire che se non c'è una rendicontazione posso esigerla, dall'altra parte assolutamente no. Il dipendente ha la sua giornata lavorativa e il suo numero di ore lavorate, l'agente assolutamente no. L'agente non deve chiedere l'autorizzazione per andare in ferie. Il dato di numero delle visite effettuate per noi non è così rilevante, quello che conta è il fatturato quindi alle riunioni non è che questo dato fosse così analizzato. Sul doc. 17 bis di parte ricorrente che mi viene mostrato posso dire che personalmente non l'ho mai visto proiettato alle riunioni. Non ho mai scritto indistintamente a tutti i collaboratori dipendenti non di raggiungere determinati obiettivi e di rendicontare secondo determinati standards. L'affiancamento poteva capitar che fosse rifiutato e ad es. ricordo che (...) ha rifiutato. Il dipendente deve garantirmi un certo orario mentre l'agente non ha questo obbligo. Non ho mai mandato una lettera di richiamo a un agente sul punto, a un dipendente sì. Se l'agente non provvedeva, essendo la comunicazione dei dati delle visite effettuate all'AIFA per noi obbligatoria, eravamo costretti a interrompere il rapporto trattandosi di un grave inadempimento. Se il fatturato non è raggiunto ovviamente si fanno altre valutazioni.". Parte ricorrente, nelle note autorizzate e in sede di discussione, ha eccepito la falsità di tali testimonianze riservandosi di sporgere querela nei confronti dei testi in sede penale. Ciò in quanto i testimoni avrebbero negato di aver inviato email aventi, quali destinatari, sia agenti sia dipendenti. Inoltre, i testi avrebbero "falsamente" negato la sussistenza di un obbligo di effettuare una media visite e di raggiungere determinati obiettivi, circostanze smentite dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni del teste Oliva il quale ha affermato: "Io e la ricorrente eravamo membri della stessa squadra, stessa equipe e capo area. Entro il venerdì bisognava rapportare l'attività settimanale e bisognava rispettare una certa media di frequenza delle visite. Il capo area se non si rapportava chiedeva spiegazioni poiché bisognava analizzare i dati settimanali. Le riunioni erano trimestrali, a volte vi era anche la riunione di inter - ciclo. Con il capo area ci sentivamo un paio di volte alla settimana e talvolta veniva con noi durante le visite. Ricevevamo anche email inviate a tutta l'equipe con indicazione dei dati rendicontati e degli obiettivi da raggiungere. Per rispettare la media visite lavoravo circa 8, 10 ore al giorno... Io facevo parte di una equipe cui appartenevano anche dipendenti della convenuta, partecipavamo insieme alle riunioni e la strategia aziendale era uguale per tutti... Le riunioni erano obbligatorie e a me veniva rimborsato il viaggio e l'hotel perché abitavo distante. Nella riunione erano presentati i risultati dell'equipe, di tutti quanti sia miei per intenderci che dei dipendenti...". In primo luogo, con riguardo all'invio delle email si osserva come i testi abbiano semplicemente affermato di non ricordare la circostanza, come appare comprensibile visto i tempo trascorso e la mole di comunicazioni che si inviano e ricevono nel settore di cui è causa. Quanto al fatto che le dichiarazioni siano smentite dalla documentazione in atti, si osserva come tale affermazione non sia condivisibile. Si è già detto che la documentazione allegata in ricorso non è dirimente ai fini dell'accoglimento della domanda ben potendo essere richieste all'agente informazioni dettagliate alla luce delle informazioni da trasmettere all'AIFA. Quanto al contrasto con le dichiarazioni rese da altri testi si osserva che non vi sono elementi da cui possa desumersi l'inattendibilità dei testi i quali hanno reso dichiarazioni sfavorevoli alla ricorrente la quale non ha assolto il proprio onere probatorio. Da ciò deriva il rigetto della domanda formulata in via principale. In merito alla subordinata si osserva come la stessa sia sfornita di adeguato supporto probatorio e non possa quindi essere accolta. Le spese sono compensate in ragione della complessità della questione e della presenza di orientamenti non sempre conformi. P.Q.M. definendo il giudizio, rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di lite. Riserva il termine di giorni trenta per il deposito della motivazione. Così deciso in Milano il 6 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI FIRENZE SEZIONE LAVORO La Corte d'Appello di Firenze, sezione lavoro, composta dai signori Magistrati: Dott.ssa Maria G. D'Amico Presidente rel. Dott.ssa Maria L. Papait Consigliera Dott.ssa Roberta Santoni Rugiu Consigliera nella causa iscritta al n. 559/2020 R.G.L. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv.ta Ma.Fa., RECLAMANTE contro (...) ((...)) S.p.A. rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Ta., RECLAMATA all'esito dell'udienza del 10-11-2020, tenuta camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA Con ricorso depositato l'11-12-2019 (...) adiva il Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, proponendo opposizione, ex art. 1, comma 51 e ss., L. 28-6-2012 n. 92, avverso l'ordinanza n. 207/2019, emessa dall'autorità adita (nelle cause riunite n. 130/2018 R.G. e n. 438/2018 R.G.), di rigetto dei due ricorsi con i quali l'opponente aveva impugnato i due (successivi) atti di recesso intimatigli dalla (...) ((...)) S.p.A. - segnatamente, il recesso con preavviso di 8 mesi, comunicatogli con lettera del 18-7-2017, ed il recesso per giusta causa, comunicatogli (prima del decorso del preavviso, scadente il 31-32018) con lettera del 22-1-2018, per l'asserito omesso svolgimento di attività in favore della società a far tempo dal maggio 2017 (desunto dalla mancata effettuazione di visite ai medici dal 6-5-2017, dall'assenza alle riunioni di ciclo dal 19-5-2017, dalla giacenza di n. 1200 confezioni di campioni gratuiti di medicinali), oltre che (ove sussistente) per il superamento del comporto, a norma dell'art. 12 dell'A.E.C., in relazione al preteso, non comunicato, stato di malattia - chiedendo: nel primo, in via principale, dichiararsi la natura ritorsiva del licenziamento, ex art. 18, comma 1, l n. 300 del 20-5-1970, o, comunque, l'assoluto difetto di giustificazione, ai sensi del comma 4 del predetto art. 18, con conseguenti reintegrazione nel posto di lavoro ed inquadramento come informatore scientifico, livello B1 del C.C.N.L. di categoria, nonché condannarsi il datore di lavoro al pagamento dell'indennità prevista nella misura massima, ovvero, in subordine, accertarsi la violazione delle procedure di cui all'art. 7 l n. 604 del 15-7-1966 e condannarsi il datore di lavoro al pagamento dell'indennità risarcitoria (tra 6 e 12 mensilità) e al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso; nel secondo, dichiararsi la natura ritorsiva del licenziamento, ex art. 18, comma 1, l n. 300 del 1970, o, in subordine, la mancanza di giusta causa, o in via gradata, l'insussistenza di un giustificato motivo, con conseguenti reintegrazione nel posto di lavoro e condanna del datore di lavoro al pagamento dell'indennità prevista nella misura massima, ovvero, in subordine, dichiararsi l'illegittimità del licenziamento e condannarsi il datore di lavoro al pagamento delle indennità di fine rapporto (t.f.r., indennità di preavviso, ferie non godute), oltre a quelle risarcitorie massime previste ex lege. Instauratosi il contraddittorio, la (...) ((...)) S.p.A. contestava la fondatezza dell'opposizione reclamandone la reiezione. Con sentenza n. 415 del 21-7-2020, istruita la causa con acquisizione di documenti, il Tribunale adito respingeva l'opposizione confermando l'ordinanza impugnata. Avverso tale decisione interponeva reclamo (...) che ne invocava la riforma sulla base di tre motivi: dolendosi, in primo luogo, che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto che "aveva (...) certamente una sua autonomia", in quanto avrebbe consentito eventualmente di "accertare un rapporto di lavoro subordinato comunque risolto per giusta causa" che seppure "non avrebbe certamente fatto reintegrare il lavoratore in azienda, (...) avrebbe comportato il diritto di vedersi riconosciuto il diritto agli adeguamenti retributivi, previdenziali e al tfr"; deducendo, in secondo luogo, che il giudice di prime cure - per di più con violazione dell'art. 115 c.p.c. che impone di porre a "fondamento" della decisione i fatti non contestati - aveva ritenuto "sussistente la giusta causa di recesso", obliterando che: a) "l'inerzia deliberatamente tollerata dall'azienda poteva (...) certamente ingenerare nel lavoratore la convinzione che il proprio comportamento fosse accettato serenamente e, anzi, unitamente al mancato invio del masterbook e dei gadgets, fosse proprio una decisione aziendale di allontanamento momentaneo del lavoratore, (...) che, dal canto suo, era ormai stanco di tutto l'ostruzionismo aziendale e attendeva tempi migliori, compresa la revoca del licenziamento intimato per motivi oggettivi, come già avvenuto più volte negli anni passati", b) il recesso per superamento del periodo di comporto "cristallizza(va) il riconoscimento della malattia da parte della resistente e la prova in giudizio della malattia" di esso appellante, c) "la malattia era conseguenza dello stress cui veniva sottoposto proprio da chi conduceva la riunione" a cui non aveva partecipato, d) non era vero che esso appellante "durante lo stato di malattia, si fosse recato presso le farmacie, ma lo stesso aveva ripreso a lavorare terminato lo stato di malattia, proprio dalle farmacie, avendo (...) cercato di prestare attività lavorativa, nonostante l'ostruzionismo palese della mandante", e) "senza il materiale fornito dall'azienda (.) non poteva esercitare l'attività di informazione scientifica", si che si era limitato "all'informazione presso le farmacie" come era dato ricavare dai "tabulati di provvigioni a seguito degli ordini ricevuti nei mesi di maggio 2017, luglio 2017, settembre 2017, ottobre 2017 e novembre 2017", f) era "onere del datore di lavoro fornire al lavoratore gli strumenti necessari al fine e che pretende(va) che lo stesso usi(asse)", g) la raccolta di ordini "è(ra) esigua non perché (...) non avesse voglia di lavorare, ma solo perché detta attività era marginale" (mentr)e era anche da "ipotizzare un braccio di ferro" tra la società ed esso appellante, "licenziato per l'ennesima volta per motivi oggettivi, (.) e ormai esausto per le continue lettere, ricevute negli anni, di licenziamento intimato e poi ritirato non appena (...) ridiventava soldatino", per cui a fronte di "questo clima di pressioni (...) evitava di presenziare alle riunioni di Area", h) pertanto, "i comportamenti contestati non (apparivano) in alcun modo idonei a rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, e in particolare di quello fiduciario, e a giustificare pertanto la massima sanzione disciplinare, anche sotto il profilo della proporzionalità"; adducendo, in terzo luogo, che erroneamente il Tribunale aveva posto a carico di esso appellante le spese processuali che, secondo la regola della soccombenza, per contro, avrebbero dovuto essere liquidate a proprio favore. Resisteva la (...) ((...)) S.p.A. che instava per il rigetto dell'impugnazione. Il reclamo non merita accoglimento essendo la statuizione di rigetto delle proposte domande da mantenere ferma seppure la motivazione sia da integrare nei termini di cui infra. E' da rilevare, preliminarmente, che, come ha avuto modo di affermare la Corte regolatrice (Cass. 30-1-2018 n. 2303; Id., 8-9-2016 n. 17775), la natura giuridica del rapporto di lavoro, così come l'individuazione del soggetto che si assume essere datore di lavoro e destinatario dei provvedimenti di tutela ex art. 18. L. n. 300 del 20-5-1970, risultano tra le questioni che il giudice, adito secondo il c.d. rito Fornero, deve affrontare e risolvere nel percorso per giungere alla decisione di merito sulla domanda, che è appunto quella concernente la legittimità o meno del licenziamento, esprimendo, anche il riferimento all'operatività del rito speciale "quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro", la volontà del legislatore di non precluderne l'utilizzo per le barriere imposte dalla forma assunta dal rapporto. Nella fattispecie che ne occupa, l'accertamento della natura del rapporto si pone come preliminare alla richiesta dichiarazione di illegittimità del licenziamento, e, quindi, non costituisce domanda autonoma, sebbene non è da dubitarsi che l'accertamento sul diritto oggetto di domanda, pure negativo, faccia stato, ex art. 2909 c.c., anche in ordine all'esistenza ed alla validità del rapporto da cui il diritto stesso trae origine, nei limiti delle questioni la cui risoluzione sia stata necessaria ed indispensabile per giungere alla decisione (Cass. 2018 n. 2303, cit.). La natura del rapporto, allorché si alleghi che, pur qualificato diversamente (come lavoro autonomo, parasubordinato, lavoro in associazione in partecipazione, etc.), si configuri in concreto, per le modalità del suo svolgimento, come lavoro subordinato, integra questione che costituisce un presupposto logico-giuridico per l'esame della domanda di illegittimità del licenziamento. Ciò premesso, è da osservare che, se in anni meno recenti, come è stato notato, era dato riscontrare la tendenziale irrilevanza del ricorso all'istituto della simulazione, ponendosi il problema non già di individuare, ai sensi degli artt. 1414 e ss. c.c., quale negozio le parti avessero effettivamente inteso concludere, quanto piuttosto di analizzare i caratteri (voluti o meno che fossero dai contraenti) posseduti da un determinato rapporto, e, ove accertata la subordinazione, di applicare la correlata disciplina (v., Cass. 11-10-1996 n. 8904 la quale ha rimarcato "che, nel rapporto di lavoro, ove sia accertato che la prestazione si è effettivamente svolta secondo determinate modalità, lo stesso rilievo dell'accertamento della simulazione relativa della formale pattuizione di diverse modalità non è condizionante, ma cede all'operatività del principio di corrispondenza del trattamento del lavoratore all'effettiva consistenza del proprio impegno, allorquando (...) si tratti non di verificare le conseguenze che la dissimulazione della situazione reale abbia avuto verso i terzi, ma soltanto di riconoscere i diritti del prestatore di lavoro per la propria attività, in quanto ciò che risulta decisivo non è il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella concreta attuazione dalla quale sorgono siffatti diritti"; v. anche Cass. 14-6-1991 n. 6727; Id., 13-8-1982 n. 4607), per converso, con il progressivo riconoscimento alla volontà delle parti di un ruolo nella qualificazione del rapporto, anche l'istituto della simulazione, nei termini e nei limiti di tale ruolo, ha ricevuto indirettamente legittimazione. Nella fattispecie che ne occupa, tuttavia, in relazione all'accertamento demandato, non risulta "risolutivo" (il ricorso al)l'istituto della simulazione - la quale presuppone la prova (dell'esistenza di) un accordo simulatorio, non fornita in giudizio - rispetto (al ricorso) ai principi di corrispettività ed effettività - strada (tradizionale), quest'ultima, che analizza le concrete modalità della prestazione, e, quindi, procede, ove ne emergano le condizioni, all'applicazione della disciplina che regola il tipo (rapporto di) lavoro subordinato. Com'è noto, le parti, nell'esercizio del potere di autoregolamentazione dei loro interessi, possono ricondurre, agli effetti della disciplina giuridica, prestazioni lavorative di contenuto analogo nell'ambito del lavoro subordinato o di quello autonomo (ogni attività umana economicamente rilevante, invero, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo: v., tra le tante, Cass. 107-1991 n. 7608; più di recente, Cass. 21-10-2014 n. 22289). Con riguardo all'identificazione della fattispecie lavoro subordinato, è, altresì, noto che, sino a tutti gli anni settanta, ha dominato la propensione - attraverso l'utilizzazione del c.d. metodo tipologico (secondo il quale subordinato è il rapporto di lavoro in cui la fattispecie concreta presenta un numero sufficiente di indici di subordinazione tale da consentire di individuare nel complesso, in un giudizio di sintesi, la fattispecie astratta di cui all'art. 2094 c.c.) - ad applicare i criteri di qualificazione desunti dall'art. 2094 c.c. in modo piuttosto elastico si da favorire una progressiva espansione dell'area del lavoro subordinato. A partire dai primi anni ottanta, tuttavia, il giudice di legittimità (v., tra le altre, Cass. 15-5-1987 n. 4515; Id., 29-3-1990 n. 2553; Id., 15-5-1991 n. 5409) - con l'adozione del c.d. metodo sussuntivo (secondo il quale è subordinato il rapporto di lavoro soltanto laddove tutti gli elementi della fattispecie concreta siano perfettamente riconducibili sulla base di un giudizio di tipo sillogistico a quelli della fattispecie astratta) - ha "inaugurato" un più rigoroso orientamento nel procedimento di qualificazione dando progressivamente vita ad una gerarchia di criteri, e, in particolare, individuando il carattere essenziale della subordinazione nell'eterodeterminazione, intesa come assoggettamento personale del lavoratore ai poteri direttivo e disciplinare del datore di lavoro (c.d. indice essenziale interno), da privilegiarsi rispetto ad altri criteri di qualificazione, i cc.dd. indici essenziali esterni (inserimento nell'organizzazione del creditore, continuità della prestazione, collaborazione), o ad indici meramente sussidiari (orario di lavoro, oggetto della prestazione, rischio, modalità della retribuzione; indici i quali rappresentano "solo il riflesso della predetta subordinazione, con funzione di riscontro" - grassetti dell'estensore: così Cass. 26-10-1994 n. 8804; v. anche Cass. 18-2000 n. 10064). L'individuazione della fattispecie, quindi, è da operare, come è stato rilevato, sulla scorta di "un criterio di ordine giuridico, quello della subordinazione tecnico-funzionale del lavoratore alle direttive del datore di lavoro", id est della soggezione del lavoratore al potere del datore di lavoro, si che la caratterizzazione del contratto di lavoro deve essere ricercata "nella coppia "potere/subordinazione"" (è la "subordinazione tecnica e disciplinare" intesa come "esecuzione della prestazione dovuta sulla base di direttive date di volta in volta dal datore di lavoro nell'esercizio del potere gerarchico" a costituire fondamentale elemento di distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo: v., tra le altre, Cass. 11-8-1994 n. 7374; Id., 29-3-1995 n. 3745; Id., Cass. 16-1-1996 n. 326; Id., 17-7-2003 n. 11203; Id., 27-2-2007 n. 4500). Ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, secondo gli approdi esegetici del giudice della nomofilachia, "elementi rilevanti sono l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo (da esplicarsi con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale), organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, da valutarsi con riferimento alla specificità dell'incarico conferitogli e alle modalità della sua attuazione. Lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è, invece, compatibile con ambedue le forme di rapporti, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando per oggetto e per modalità i controlli siano finalizzati all'esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare; altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti al momento della stipulazione del contratto può essere rilevante, ma certamente non è determinante" (Cass. 2003 n. 11203, cit.; v. anche, Cass. 2007 n. 4500, cit., la quale ha chiarito che "non surroga il criterio discretivo della subordinazione neanche il nomen iuris - che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti (c.d. autoqualificazione) - dal quale, tuttavia, in nessun caso si può prescindere (...) ed assume rilievo addirittura decisivo, ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto medesimo (...)"). Ciò che vale a caratterizzare il parametro descritto nel modulo normativo è, dunque, la permanenza dell'obbligo del prestatore di lavoro di mantenere a disposizione del datore l'attività lavorativa nella sua indifferenziata materialità (v., tra le altre, Cass. 15-5-1987 n. 4515) nonché la permanenza del suo assoggettamento al potere direttivo del datore (v., tra le tante, Cass. 4-3-1998 n. 2370), mentre l'inserimento stabile nell'organizzazione aziendale "concretamente risolvendosi in un mero aspetto dell'indicato obbligo e dell'indicato assoggettamento (elementi normativamente necessari al rapporto di subordinazione) (...) non solo non è parametro di qualificazione, bensì non resta idoneo a provare, di per sé solo, questi elementi, e ad esprimere l'esistenza della subordinazione" (grassetti dell'estensore) (Cass. 25-22000 n. 2171): il "collegamento funzionale" si realizza, pertanto, attraverso l'esercizio del potere direttivo, id est il potere del datore di lavoro di conformazione della prestazione dovuta e di determinazione unilaterale delle modalità di esecuzione della stessa (v., di recente, Cass. 23-1-2020 n. 1555; Id., 2-10-2017 n. 22984; Id., 8-6-2017 n. 14296). D'altra parte, accogliendo indicazioni provenienti da parte della dottrina, la giurisprudenza, anche di legittimità, è pervenuta ad assegnare rilievo, in sede di qualificazione del rapporto, alla volontà delle parti, sia pure con qualche divaricazione di approccio, donde, come è stato rilevato, il problema di verificare "come la scoperta e la ricostruzione di tale volontà incida sulla disciplina applicabile, dato che questa disciplina, tassativa nella sua parte preponderante, si applica, in presenza dei presupposti di cui al tipo legale (lavoro subordinato: nota dell'estensore), a prescindere dalla volontà delle parti individuali (ed eventualmente anche contro di essa)" (per tutte v., di recente, Cass. 2020 n. 1555, cit., secondo cui deve, tra l'altro, tenersi conto "del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell'esercizio della loro autonomia contrattuale", si che "quando i contraenti abbiano dichiarato di voler escludere l'elemento della subordinazione, specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili sia con l'uno che con l'altro tipo di prestazione, è possibile addivenire ad una diversa qualificazione solo ove si dimostri che, in concreto, l'elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo"). Con riguardo alle collaborazioni coordinate e continuative, com'è noto, è il requisito della coordinazione a mettere in evidenza il profilo organizzativo del rapporto di lavoro, nel senso che indica il collegamento funzionale tra l'attività del prestatore d'opera e quella del committente. Il suddetto collegamento funzionale - che nel lavoro subordinato si realizza attraverso l'esercizio del potere direttivo, configurato come potere del datore di lavoro di conformazione della prestazione dovuta e di determinazione unilaterale delle modalità di esecuzione della stessa (v. supra) - nel lavoro (autonomo) coordinato si realizza soltanto attraverso l'esercizio del potere del committente di conformazione della prestazione dovuta o nella richiesta di adempimento dell'unica prestazione dedotta in contratto. Ne consegue una differenza di ordine qualitativo e non quantitativo tra il potere direttivo del datore di lavoro nel rapporto di lavoro subordinato e il potere di coordinamento del committente, che si estrinseca soltanto nel potere di conformazione della prestazione convenuta con il lavoratore coordinato. E se è vero che il lavoratore coordinato, come il lavoratore autonomo, non è obbligato a stare a disposizione del datore di lavoro, è altrettanto vero che il lavoratore autonomo può determinare da solo le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro nei limiti, ovviamente, delle condizioni pattuite nel contratto, mentre il lavoratore coordinato si obbliga a eseguire la prestazione convenuta su richiesta del committente secondo modalità di luogo e di tempo pattuite nel contratto o concordate di volta in volta con il committente stesso. Il D.Lgs. 10-9-2003 n. 276, com'è noto, ha dettato una disciplina radicalmente innovativa delle collaborazioni coordinate e continuative stabilendo che esse devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti in autonomia dal collaboratore in funzione del risultato. Il contratto di lavoro a progetto integra, quindi, come sancito dall'art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 2003, una forma particolare di lavoro autonomo caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (Cass. 69-2016 n. 17636). La predetta norma, tuttavia, (ha) fa(tto) salva "la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio". Il contratto di agenzia è caratterizzato, come è stato rilevato, da una "natura anfibia, segnata in parte dalla tradizionale collocazione nell'alveo dei contratti di distribuzione commerciale e, in parte, dalla possibile deducibilità nel proprio schema negoziale della prestazione di lavoro personale, resa in modo coordinato e continuativo, caratteristica della parasubordinazione ex articolo 409 c.p.c." si da proporsi "come figura di confronto e composizione privilegiata di opposte spinte: quelle radicate sulla libertà contrattuale a tutto tondo; quelle marcate dallo stigma lavoristico e, quindi, segnate dalla proposizione di canoni quali la inderogabilità unilaterale (nel segno del favor praestatoris) o la indisponibilità del tipo contrattuale". Anche sul piano delle tecniche di limitazione/controllo e di formalizzazione del recesso è dato riscontrare (in direzione di una "ridislocazione delle tutele"), come è stato ancora osservato, significativi elementi, non solo a ragione della riproposizione della giusta causa come clausola generale, alla quale il legislatore, in sede di "novellazione" dell'art. 1751 c.c., "ha dato ingresso, recependo le suggestioni del diritto vivente, con una scelta lessicale venata da innegabili evocazioni", o della presenza, ben prima della riforma, di un indirizzo giurisprudenziale orientato nel senso della estensibilità analogica della figura di cui erano "invocate" le "consuete direttrici applicative, sensibili al particulare della singola vicenda e fortemente plastiche e modellabili", ma altresì a ragione dell'affermata necessità di tenere conto della "diversa capacità di resistenza" dei contraenti nell'economia dello specifico rapporto. La Corte di legittimità (v., tra le altre, Cass. 23-4-2009 n. 9696; Id., 7-2-2013 n. 2937; di recente, Cass. 5-12-2018 n. 31487), ha più volte affermato che "al fine di distinguere tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di agenzia deve considerarsi che elementi peculiari di quest'ultimo sono rappresentati dall'organizzazione da parte dell'agente di una struttura imprenditoriale, anche a livello soltanto embrionale, e dall'assunzione da parte dello stesso (e non già del preponente) del rischio per l'attività promozionale svolta, che si manifesta nell'autonomia dell'agente nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto - secondo il disposto dall'art. 1746 cod. civ. - delle istruzioni ricevute dal preponente, ancorché con la predeterminazione solo indicativa degli itinerari, mensili o settimanali, da percorrere ovvero del numero di clienti da visitare, e dell'obbligo di giornaliera informazione preventiva" (Cass. 2009 n. 9696, cit.; Id., 12-5-2004 n. 9060; Id., 1-9-2003 n. 12756). Con riguardo all'istituto del recesso per giusta causa previsto dall'art. 2119 c.c., l'orientamento largamente prevalente del giudice della nomofilachia, come già rilevato, è (stato) nel senso di ritenere tale istituto applicabile al rapporto di agenzia (v., tra le tante, Cass. 20-8-1983 n. 5446; Id., 5-11-1997 n. 10852; Id., 15-11-1997 n. 11376; Id., 2-5-2000 n. 5467; Id., 12-12-2001 n. 15661; Id., 16-12-2004 n. 23455; Id., 10-10-2005 n. 19678; Id., 12-1-2006 n. 422; Id., 4-6-2008 n. 14771; Id., 4-5-2011 n. 9779; v. anche, Cass. 16-3-2000 n. 3084, la quale ha rimarcato che "il concetto di giusta causa di cui all'art. 2119 può essere utilizzato, pur nella sostanziale diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica dei due contratti, per stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto o non per un fatto imputabile all'agente, tale da precludere la possibilità di prosecuzione anche temporanea del rapporto"; di recente, v. Cass. 19-1-2018 n. 1376; Id., 12-11-2019 n. 29290, la quale ha ribadito - nel solco già tracciato da Cass. 2008 n. 14771, cit. Id., 2011 n. 9779, cit.; Id., 26-5-2014 n. 11728; 29-9-2015 n. 19300 - che, per la valutazione della gravità della condotta, si deve tener conto che nel contratto d'agenzia il rapporto di fiducia - in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali - assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, si che, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza). Quanto, poi, al(concetto di)la giusta causa - concetto normativo, come è stato osservato, "indeterminato ed elastico, il quale non contiene una puntuale descrizione dei fatti, ma delinea un criterio di valutazione e di selezione dei comportamenti sociali che rinvia all'opera di concretizzazione del giudice" - il Supremo Collegio (v. Cass. 27-11-1987 n. 8847; Id., 25-5-1995 n. 5742) ha progressivamente delineato (abbandonando l'iniziale "accentuata valorizzazione normativa degli elementi personalistici del rapporto di lavoro") una nozione di fiducia, di contenuto rigorosamente "oggettivo" e confini esattamente determinabili, ancorata a comportamenti o fatti oggettivamente gravi e valutabili in concreto, si che, come è stato ancora sottolineato, "l'apprezzamento soggettivo del datore di lavoro non è affatto arbitrario o insindacabile, ma è controllabile dal giudice sotto il profilo della ragionevolezza e del principio di affidamento". La tesi del fondamento "fiduciario" del licenziamento per giusta causa, è stata rielaborata riconducendo la nozione di fiducia in un alveo tipicamente contrattuale, attribuendole un significato di matrice codicistica (art. 1564 c.c.), id est configurandola in guisa di assegnamento rispetto ai successivi adempimenti, e, perciò, destinata a venire meno in presenza di fatti di gravità tale da minare appunto l'affidamento sulla correttezza delle future prestazioni (v., tra le altre, Cass. 8-7-1997 n. 6191; Id., 21-11-2000 n. 15004 ). Con riguardo, infine, al principio dell'immediatezza - da applicare, anche in relazione al contratto di agenzia, con criteri di relatività (Cass. 1983 n. 5446, cit.; v. anche Cass. 12-10-1993 n. 10088; Id., 14-1-1999 n. 368; in generale, tra le tante, v. Cass. 13-42000 n. 4790; Id., 7-7-2001 n. 9253, secondo cui il principio tanto dell'immediatezza della contestazione dell'addebito quanto della tempestività del recesso datoriale - la cui ratio riflette l'esigenza di osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro - è compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un'adeguata valutazione della gravità dell'addebito mosso al dipendente e della validità o meno delle giustificazioni da lui fornite; Id., 19-8-2003 n. 12141) - esso impone che, dopo la contestazione, si proceda ad una immediata estromissione, si che, intervenuta la contestazione dell'addebito, è da escludere che il lavoratore possa continuare a prestare la propria opera. Ciò premesso, dalla documentazione prodotta è dato ricavare: 1) la conclusione di un contratto di lavoro "autonomo" in data 30-1-1997 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 1) avente ad oggetto l'"informazione tecnico-scientifica di tutte le specialità medicinali" messe in commercio dalla committente "allo scopo di far conoscere ed introdurre sul mercato" i prodotti della committente nella zona di L'Aquila (Microaree nn. 1-2-3-4) "senza alcun vincolo di orari, itinerari e subordinazione", con durata di 4 mesi a far tempo dall'1-2-1997, prevedendosi, altresì, l'eventuale affidamento, previa comunicazione scritta, di un mandato di agenzia; 2) l'affidamento, con lettera di incarico in data 27-21997 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 2), del predetto "mandato", in esclusiva, per "promuovere la conclusione dei contratti di vendita di tutte le specialità medicinali" messe in commercio dalla preponente per la zona di L'Aquila (Microaree nn. 1-2-3-4), con "facoltà di svolgere la necessaria azione di propaganda, visitando i medici che debbono prescrivere i prodotti inclusi nell'elenco, le farmacie, i grossisti ecc., dislocati nella zona di competenza (...) (con) piena autonomia e libertà di impiego del tempo, con oneri di spese e di rischio", con durata di 4 mesi a far tempo dall'1-3-1997 e con diritto alla provvigione (calcolata sul fatturato) sulle "vendite dirette e indirette, concluse ed andate a buon fine", e poi "trasformato a tempo indeterminato con decorrenza dal 1 Luglio 1997 (...) alle stesse condizioni" con lettera di incarico in data 26-6-1997 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 3); 3) la conclusione, con scrittura privata in data 5-4-2005 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 6), di un nuovo contratto di agenzia, decorrente dall'1-6-2005, con il quale è stato conferito, con clausola di esclusiva, "senza alcun potere di rappresentanza, l'incarico di svolgere attività di informazione medico scientifica presso la classe medica ed i farmacisti" e di "raccolta degli ordini di acquisto dei prodotti (...) elencati nell'Allegato "B", sui moduli di commissione appositamente prestampati alle condizioni generali e particolari di vendita fissate" dalla preponente "ed ai prezzi indicati nei listini di vendita in vigore", con fissazione ("al fine di assicurare che i medici ed i farmacisti oggetto di visita da parte dell'Agente stesso possano ricevere dal medesimo un'adeguata informazione sui prodotti") dell'obiettivo "di assicurare un livello minimo di visite mensili alla classe medica ed ai farmacisti di volta in volta annualmente fissato, informando settimanalmente (...) per iscritto relativamente ai medici e ai farmacisti giornalmente visitati nell'ambito della (...) attività di informazione medica scientifica ed al numero ed alla specie degli eventuali campioni gratuiti ed altro materiale rilasciati ai medesimi nel rispetto della normativa vigente"; 4) il recesso della preponente, con preavviso di otto mesi decorrenti dall'1-8-2017, dal contratto di agenzia, comunicato con lettera del 18-7-2017 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 11); 5) l'impugnazione del recesso da parte del ricorrente/odierno reclamante, con lettera del 12-9-2017 trasmessa via pec (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 12), in cui - sul presupposto dello svolgimento di fatto del rapporto, "in considerazione delle funzioni esercitate e delle modalità" di esplicazione delle stesse, "con le caratteristiche del rapporto subordinato CCNL industria farmaceutica" - veniva protestato il suo carattere "ingiustificato"; 6) la contestazione da parte della resistente/odierna reclamata, con lettera del 14-12-2017 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 15), che: "dallo scorso 06/05/2017 non (...) risulta(va)no più (...) rendicontate sul software aziendale MIS le visite (...) effettuate ai medici in espletamento del suo incarico di agenzia (...) dallo scorso 19/05/2017 non (...) risulta(va) che lei abbia più preso parte alle periodiche riunioni di ciclo dedicate all'incontro con i vari agenti di zona (...) dal software aziendale MIS risulta(vano) (...) in giacenza circa 800 confezioni di campioni gratuiti di medicinali, a cui (era)no da aggiungere altre 832 confezioni di campioni gratuiti di medicinali (...) consegnat(e) tramite corriere in data 17/07/2017 (...) per un totale di circa 1600 confezioni di campioni gratuiti di medicinali (...) in giacenza (...) ciò, (che) porta(va) a ritenere che lei, dallo scorso mese di maggio 2017 a tutt'oggi non svolga più alcuna sua attività a favore della scrivente società", con invito a fornire "spiegazioni e (.) chiarimenti al riguardo (.) entro e non oltre dieci giorni dal ricevimento" della lettera di contestazione; 7) il recesso della preponente, comunicato con lettera del 22-1-2018 (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 20), per giusta causa "consistente nelle seguenti circostanze (...) giacenza (di) circa 1200 confezioni di campioni gratuiti di medicinali" non consegnate "ai medici nel corso delle visite di informazione scientifica dei farmaci", assenza "alle periodiche riunioni di ciclo dedicate all'incontro con i vari agenti di zona", omessa rendicontazione dal 6-5-2017 "sul software aziendale MIS (del)le visite da lei effettuate ai medici in espletamento del suo incarico di agenzia", circostanze significative del mancato svolgimento dal maggio 2017 di "alcuna sua attività di lavoro a favore della scrivente società"", con la precisazione, altresì, in relazione a quanto evidenziato nelle giustificazioni trasmesse circa un "preteso stato di malattia", che, al di là della carenza di qualsiasi comunicazione in merito, avrebbe dovuto ritenersi "ampiamente superato il periodo di 6 mesi, a norma dell'art. 12 dell'A.E.C. degli agenti del settore industria applicato al (...) rapporto di lavoro, e comunque ogni ragionevole limite di comporto", si che, anche per questo motivo, il rapporto era da considerarsi "legittimamente risolto"; 8) l'impugnazione del recesso da parte del ricorrente/odierno reclamante, con lettera del 2-2-2018 trasmessa via pec (v.ne copia versata nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante sub doc. 21), in cui - ribadita la natura subordinata del rapporto - veniva contestata la sussistenza di una giusta causa " "costruita" ad arte per fatti mai accaduti e laddove accaduti, causati solo ed esclusivamente dalla volontà aziendale" nonché rimarcata "la tempestività dello stesso evidentemente effettuato a ridosso dell'impugnazione del precedente recesso (.) davanti al Tribunale di Firenze, con ricorso depositato in data 15.01.2018 e notificato in data 24.01.2018". Ciò posto, contrariamente a quanto opinato dal reclamante, non è da dubitarsi - sulla scorta del tenore letterale delle clausole nonché del contenuto delle stesse considerate singolarmente e nel loro complesso - della corrispondenza dei contratti, stipulati inter partes e soprarichiamati, al contratto di lavoro autonomo, quanto al primo, e al "tipo" contratto di agenzia - che si caratterizza per la stabile promozione della conclusione di contratti per conto del preponente "nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente" (così, tra le tante, Cass. 246-2005 n. 13629) - quanto al secondo ed al terzo. Con riguardo, in particolare, al contratto di agenzia del 2005 - su cui risultano essenzialmente incentrate le difese del ricorrente/odierno reclamante - militano, tra le altre condizioni, nella direzione sopradetta: a) la prevista attività di informazione medico scientifica presso la classe medica ed i farmacisti "in relazione ai prodotti indicati nell'Allegato "A"" per "conseguire la maggiore conoscenza" degli stessi, concretante attività di propaganda - attività che rientra tra gli atti, di contenuto vario e non predeterminato, preordinati alla promozione della conclusione di contratti in cui consiste la prestazione dell'agente - in una con l'attività "di raccolta degli ordini di acquisto", id est di promozione degli affari in farmacia (come recita la rubrica dell'art. 4, dove, tra l'altro, è contemplata la facoltà "insindacabile" della mandante di "accettare o meno gli ordini di acquisto trasmessi dall'Agente" e in cui è espressamente esclusa la facoltà dell'agente di "concedere sconti, abbuoni, facilitazioni di pagamento": sottolineature dell'estensore); b) la facoltà della preponente, contemplata nell'art. 2 paragrafo 2.3, di concludere "direttamente o tramite CO.DI.FI" contratti "di vendita nella zona di competenza dell'Agente con i farmacisti" (sottolineature dell'estensore); c) gli obblighi, contemplati, ad es., nel paragrafo 1.6 dell'art. 1, "di agire con lealtà e buona fede, adempiendo l'incarico affidato (...) in conformità delle istruzioni ricevute" e "di fornire mensilmente (...) le adeguate informazioni riguardanti la (...) attività e le condizioni del mercato nell'ambito della zona assegnata (...)" nonché, nell'art. 6, di "vagliare" accuratamente "le farmacie clienti" al fine di mettere la preponente "in rapporto con ditte delle quali avrà previamente accertato, in concreto e sul luogo, la solvibilità, monitorandone ogni cambiamento" e di fornire alla mandante "tutte le informazioni utili alla valutazione della convenienza dei singoli affari, nonché le informazioni e le notizie che riguardano le condizioni di mercato" (sottolineature dell'estensore), ed ancora la facoltà, consacrata nell'art. 8, previa autorizzazione, "di incasso o di recupero di insoluti" (sottolineature dell'estensore); d) la previsione a titolo di "corrispettivo dell'attività" svolta di "provvigioni", nelle percentuali indicate nell'allegato "A", da calcolarsi "sul fatturato netto, dedotti gli sconti" e "liquidate mensilmente con un acconto discrezionalmente determinato" dalla mandante "entro il mese successivo" e con conguaglio "sia esso a credito che a debito" da operarsi "entro il 3° mese dall'acconto"; e) lo "accollo" all'agente delle "spese di Agenzia nessuna esclusa, ivi incluse - a titolo semplificativo, ma non esaustivo - le spese postali, telegrafiche, telefoniche, ecc." (sottolineature dell'estensore) (la stabile attività di promozione della vendita dei prodotti della preponente, peraltro, ha trovato conferma anche nell'istruttoria orale espletata, avendo pure il teste (...), indotto dal ricorrente/odierno reclamante, dichiarato: "Il ricorrente, come me svolgeva attività di informatore scientifico del farmaco, promuoveva anche la raccolta degli ordini da parte delle farmacie. La raccolta degli ordini era promossa prima recandosi presso i medici, poi presso le farmacie ove si chiedeva di fare un ordine diretto dei farm(a)ci nel listino, senza passare dal grossista. Le due attività andavano di pari passo, nel senso che l'attività svolta presso i medici determinava la possibilità di raccogliere ordini presso le farmacie" - sottolineature dell'estensore). E' da escludere, pertanto, la denunciata "natura simulata del contratto di agenzia" - senza considerare che, come già rilevato, la simulazione presuppone l'esistenza di un accordo simulatorio di cui è carente, ancora prima che la prova, l'allegazione -, ciò che preclude, altresì, - e a prescindere da ogni ulteriore considerazione - di poter configurare l'invocat(o istituto dell)a conversione del contratto ex art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 10-9-2003. Ciò posto, le risultanze probatorie non consentono di ritenere raggiunta la prova del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro in guisa subordinata, e, anzi, offrono elementi confermativi della sua corrispondenza alla formale strutturazione ad esso data dalle parti. Invero - ribadito che, nel rapporto di lavoro subordinato, il "collegamento funzionale" si realizza attraverso l'esercizio del potere direttivo, id est del potere del datore di lavoro di conformazione della prestazione dovuta e di determinazione unilaterale delle modalità di esecuzione della stessa, mentre il lavoratore autonomo può determinare da solo le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro seppure nei limiti delle condizioni pattuite nel contratto - le emergenze dell'esperita prova per testi, nella carenza di circostanze sintomatiche (della presenza) degli elementi che valgono a caratterizzare il parametro descritto nel modulo normativo, hanno evidenziato la presenza di elementi affatto compatibili con il rapporto di lavoro autonomo. L'istruttoria orale ha, invero, confermato: a) l'assenza di emanazione di direttive intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e l'autonomia di questa anche quanto a numero, sequenza, ordine di priorità e frequenza delle visite a medici e farmacie (v. deposizioni del teste (...) - il quale ha dichiarato: "L'informatore decideva l'ordine, la sequenza e la frequenza delle visite a medici e farmacie (...) Quotidianamente dovevamo visitare medici di base, specialisti ed ospedali, di pari passo erano effettuate le visite presso le farmacie, per sollecitare gli ordini diretti; detta attività era organizzata da ciascuno (...) Non c'era l'indicazione preventiva di un numero minimo di visite da effettuare da parte della società (...)" - e del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Ho affiancato il sig. (...), con il quale ho trascorso l'intera giornata. Qualche volta sono stato da lui chiamato; altre volte l'ho interpellato per programmare l'affiancamento. L'ordine delle visite è stabilita dall'agente. Detto affiancamento è intervenuto con una frequenza di circa quattro o cinque volte l'anno. Di norma avviene in occasione dell'introduzione del nuovo Masterbook e degli aggiornamenti riportati, in quanto supporto l'agente nell'informazione, verifico la completezza della informazione tecnica resa, raccogliendo anche spunti utili che comunico (e) condivido con gli altri agenti o correggendo quelle che rilevo essere delle criticità. Si tratta di una informazione tecnica sulla quale mi sono confrontato con il sig. (...), anche relativamente alla interazione con il medico (...) Sceglieva lui i medici e farmacisti da visitare. Anche l'ordine delle visite è stabilita dall'agente (...) Il numero delle visite quotidiane e la frequenza era decisa dal sig. (...). Non davo alcuna indicazione o valutazione al sig. (...) sul numero delle visite da lui effettuate o da effettuarsi (...) non controllavo il dato quantitativo dell'agente") (sottolineature dell'estensore); b) la carenza di prescrizioni e di controlli sull'orario di lavoro nonché l'assenza (dell'esercizio) di un'assidua attività di vigilanza e di controllo (quanto ai modi e ai tempi di espletamento della prestazione) finalizzata anche all'esercizio (eventualmente) del potere disciplinare (v. deposizioni del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Non doveva essere riportato l'orario delle visite (...) L'orario di lavoro era gestito da ciascuno (...)" - e del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) I programmi sono diversi a seconda della tipologia contrattuale. Il programma del dipendente contiene le informazion(i) relative al rimborso spese (località e chilometri percorsi) e orari delle visite per ciascun medico. Il programma degli agenti non contiene dette informazioni. (...) La consegna dei farmaci gratuiti viene documentata (...) non è indicata l'ora della consegna (...)") (sottolineature dell'estensore); c) l'inesistenza di un obbligo di giustificare e/o certificare malattie o assenze (v. deposizioni del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) In caso di malattia non dovevo presentare il certificato. Comunicavo però l'assenza al capo area (...)" - e del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) L'agente non è tenuto a comunicare l'assenza né ad inviare alcun certificato in caso di malattia (.) L'agente non è tenuto a comunicare i periodi di assenza, di alcun genere (...)") (sottolineature dell'estensore); d) la carenza di preventiva autorizzazione per fruire di ferie (v. deposizioni del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Il capo area disse che era opportuno assentarsi nel periodo di chiusura della azienda in agosto, da fine luglio a fine agosto. E' accaduto che qualche agente abbia comunicato di fruire di un altro periodo, non ci furono conseguenze (...)" - e del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) L'azienda chiude dal 23 dicembre fino al 2 gennaio, e il mese di agosto di norma. L'agente non è tenuto a comunicare i periodi di assenza, di alcun genere. Di fatto gli agenti mi comunicano le assenze per lunghi periodi, per consentirmi di organizzare il mio lavoro. L'azienda non autorizza preventivamente alcuna assenza dell'agente") (sottolineature dell'estensore); e) la remunerazione "a provvigione" (v. deposizioni del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Quanto al corrispettivo, non ricordo come fosse regolato nel contratto; vi era un mensile di Euro 2.000 di anticipo, poi vi era il saldo, circa due mesi dopo, in relazione ai dati delle vendite come elaborati dalla società IMS, liquidato con provvigioni a molecola (da 10% a 18%). Inoltre vi era un extra del 2% per gli ordini diretti degli informatori, che maturava al momento del pagamento da parte della farmacia (...)" - e del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Il sig. (...) è stato remunerato, come previsto dal contratto di agenzia, a provvigioni; c'è un anticipo provvigionale al quale segue un conguaglio. L'anticipo viene corrisposto in quanto i risultati della loro attività pervengono dalla IMS, oggi IQVIA, con una distanza di circa 35 giorni. Detta società fornisce i dati delle vendite a tutte le aziende farmaceutiche ed anche al Ministero della Salute. L'agente sostiene ogni spesa pertanto l'anticipo è una misura di favore. Non c'è alcuna componente fissa nella remunerazione dell'agente (...)") (sottolineature dell'estensore); f) l'obbligo di predisporre i resoconti delle visite effettuate anche e soprattutto per esigenze correlate all'adempimento delle prescrizioni normative (dapprima dell'art. 9 del D.Lgs. n. 541 del 30-12-1992, poi dell'art. 122 del D.Lgs. n. 219 del 24-4-2006 - Codice del Farmaco) relative all'attività degli informatori scientifici del farmaco contenendo essi i dati da inviare al Ministero della Sanità (AIFA) ed alla Regione (v. deposizione del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) L'azienda deve comunicare alla Regione di competenza, di media una volta l'anno, l'attività svolta dagli informatori scientifici farmaceutici: numero di visite, campioni consegnati. Detti dati sono rilevati e organizzati dalla azienda attraverso il MIS. L'agente attraverso il MIS comunica all'azienda i nominativi dei medici visitati; non ricordo se la regione Abruzzo chieda informazioni relative ai farmacisti, richieste certamente dalla regione Lazio. Il MIS è utilizzato a detti fini sia dagli agenti che dai dipendenti che svolgano attività di informazione scientifica farmaceutica. I programmi sono diversi a seconda della tipologia contrattuale (...) L'agente deve rendere le informazioni circa la propria attività attraverso il MIS, con una cadenza libera; deve invece compilare contestualmente, presso il medico, il modulo della consegna saggi (.) Il MIS registra lo scarico saggi (...)") (sottolineature dell'estensore); g) la prevista partecipazione a riunioni programmate per la presentazione, da parte del capo area, dei nuovi prodotti e l'illustrazione delle caratteristiche tecnico-scientifiche o per l'aggiornamento su argomenti strettamente correlati ed essenziali all'espletamento dell'incarico (v. deposizione del teste (...) - il quale ha dichiarato: "(...) Convocavo le riunioni mediante sms; sono otto l'anno, ogni mese e mezzo (...) Non tutte le riunioni sono collegate alla consegna di un nuovo masterbook. Quelle scollegate al masterbook hanno ad oggetto l'analisi del mercato, comunicazioni ministeriali, cambi di scheda tecnica, l'analisi dell'andamento delle classi di farmaci (...)") (sottolineature dell'estensore). Sulla scorta delle superiori risultanze - tenuto conto de: 1) l'irrilevanza, ai fini della prova del vincolo della subordinazione, degli obblighi: a) di riferire periodicamente alla preponente in ordine all'attività svolta e di attenersi a direttive (di massima) circa le modalità di presentazione dei prodotti (a fronte del disposto di cui all'art. 1746 c.c. che impone all'agente di adempiere l'incarico in conformità delle istruzioni ricevute - ciò che implica anche il potere del preponente di controllarne l'operato -, di fornire al preponente le informazioni concernenti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli nonché ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari), b) di avvisare in caso di assenza dal lavoro e c) di effettuare ogni giorno un determinato numero di visite (ove si consideri che la corretta esecuzione della prestazione da parte dell'agente comporta che questi si adoperi con diligenza per ottenere, nell'interesse proprio e del preponente, buoni risultati: a tal fine può rendersi necessario anche il rispetto di un programma di lavoro: v. Cass. 3-1-1995 n. 29, decisione, peraltro, erroneamente richiamata da questa Corte d'Appello - nel precedente invocato e depositato sub doc. 39: App. Firenze, 3-5-2007 n. 483 - a sostegno di una pronuncia di segno contrario); 2) la natura varia dell'attività dell'agente che non richiede, necessariamente, la diretta ricerca del cliente che può anche essere acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo) (Cass. 1-4-2004 n. 6482); 3) la compatibilità del rapporto di agenzia con la soggezione dell'agente a direttive e istruzioni nonché a controlli, amministrativi e tecnici, più o meno penetranti, in relazione alla natura dell'attività ed all'interesse del preponente, e con obblighi dell'agente, quali riferire quotidianamente al preponente e di seguire un itinerario da esso preordinato (Cass. 27-8-2001 n. 11264), presenziare a riunioni, visitare un certo numero di medici in un giorno, lavorare in tutti i mesi tranne che in agosto (caratterizzando la sospensione annuale del lavoro estivo anche le libere professioni), segnalare la necessità di interruzioni per ragioni di salute, effettuare le visite "affiancate" da altro collaboratore, riferire periodicamente per iscritto e ricevere anticipi mensili in misura fissa, in quanto meri indici di coordinazione dell'attività del lavoratore autonomo con le oggettive esigenze dell'impresa e non di assoggettamento al potere direttivo e disciplinare dell'imprenditore (v. Cass. 1-6-2004 n. 10507); 3) la marginalità dell'appartenenza dei mezzi o strumenti di produzione all'una o all'altra delle parti contraenti (Cass. 15-5-2002 n. 7087) - è da escludere un concreto atteggiarsi del rapporto (recte dei rapporti) inter partes con le caratteristiche della subordinazione. Infatti - in disparte che (anche) la volontà dei contraenti si è manifestata nel senso di una loro "regolamentazione" secondo gli schemi del lavoro autonomo e dell'agenzia -, per un verso, non è dato riscontrare elementi in direzione dell'assoggettamento del ricorrente/odierno reclamante al potere gerarchico, di controllo e disciplinare del soggetto cui spettano le scelte fondamentali di gestione e organizzazione dell'impresa, stanti la carenza (di emanazione) di ordini specifici inerenti alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione (che non è di risultato, come nel contratto d'opera, ma mera esplicazione delle energie del lavoratore poste a disposizione del datore) oltre che (dell'esercizio) di un'assidua attività di vigilanza e di controllo finalizzata per oggetto e per modalità all'esercizio del potere direttivo e (eventualmente) del potere disciplinare, e, per altro verso, è dato riscontare elementi affatto "aderenti" ai "formalizzati" rapporti (di lavoro autonomo e di agenzia). L'accertata esclusione della natura subordinata dei rapporti comporta l'infondatezza delle formulate domande anche sotto il profilo dell'affermata insussistenza della giusta causa di recesso, siccome configurato (dal ricorrente/odierno reclamante) sub specie di licenziamento. E' da rimarcare, comunque, che le censure rivolte in parte qua alla decisione impugnata non colgono nel segno. E' da osservare, in primo luogo, che il Tribunale "circa la mancata prova dello stato di malattia", contrariamente a quanto opinato dal reclamante, non ha "viola(to) apertamente i dettami di cui all'art. 115 c.p.c.". E' noto che l'art. 416 c.p.c., contemplando il comportamento del convenuto che intenda resistere alle pretese avversarie (contestandole in tutto o in parte) lo configura come onere di "prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione" e lo riferisce espressamente ai "fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda". L'art. 416 c.p.c., come chiarito dal giudice della nomofilachia (Cass. sez. un., 23-12002 n. 761), imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi della domanda, fa "della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. In altri termini, la mancata contestazione, a fronte di un onere esplicitamente imposto dal dettato legislativo, rappresenta, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto (...) e, quindi, rende inutile provarlo, perché non controverso (...). Tanto, poi, riesce ad accreditare la non contestazione di tendenziale irreversibilità (...)" identificandosi il limite della contestabilità dei fatti costitutivi originariamente incontestati "con quello previsto dall'art. 420, primo comma, cod. proc. civ. per la modificazione di "domande, eccezioni e conclusioni già formulate"" (Cass. sez. un., 2002 n. 761, cit.) superato il quale limite, da collocarsi tra le attività preliminari all'istruttoria vera e propria, "si determina la preclusione della non contestabilità (tardiva) dei fatti (costitutivi del diritto) fino a quel momento non contestati" (Cass. 3-2-2003 n. 1562). La non contestazione costituisce, quindi, un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto. Orbene, nella fattispecie che ne occupa, la convenuta, nella memoria di costituzione depositata il 14-3-2018 (438/2018 R.G.), ha specificamente contestato (pagg. 99 e 100) la sussistenza dello stato di malattia mai "ufficialmente comunicato" né "documentalo) e certificalo)". Quanto alle ulteriori doglianze, correttamente il giudice di prime cure - dopo avere, esattamente, rilevato che la comunicazione del 14-12-2017 non risultava "viziata da tardività, atteso che solo un'inerzia dell'agente ingiustificata e protrattasi per un ampio periodo di tempo avrebbe potuto far venire definitivamente meno la fiducia dell'azienda nel futuro esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell'agente, integrando un inadempimento di gravità tale da giustificare il recesso immediato della preponente dal rapporto" - ha rimarcato che: 1) "ferma l'assenza agli atti del giudizio del benché minimo certificato medico" attestante "l'effettività e la durata dello stato morboso" - da ritenersi, pertanto, non provato - "quand'anche per ipotesi si presupponesse lo stato morboso del ricorrente, sfuggirebbe (...) (in quanto non allegata né, quindi, provata) la ragione (clinica) per la quale le condizioni psicofisiche di (...) sarebbero state compatibil(i) con il recarsi presso le farmacie ma non presso i medici, e, ancora, perché gli avrebbero impedito di prendere parte alla riunione di area del 30 giugno, sussistendo la prova, alla luce del dichiarato intendimento del ricorrente, che egli non versasse in stato di inabilità lavorativa assoluta specifica"; 2) circa l'allegazione "che, dopo essere rientrato dalla malattia ai primi di luglio 2017, "lo stesso non era più potuto andare a fornire l'informazione scientifica ai medici, in quanto, contrariamente a quanto accaduto ai suoi colleghi, a lui non venne consegnato mai il nuovo Masterbook per i medici di famiglia (doc.26) mentre quello per gli specialisti arrivò per posta solo in data 20.11.2017 (doc. 25)", come era dato ricavare dalla deposizione del teste (...) ""... Il masterbook era l'elenco dei farmaci suddiviso per medici specialisti e per medici di base. Era consegnato a ogni riunione di ciclo ed interciclo, sostituiva il precedente. Al momento della consegna dei due masterbook era consegnato un piano di ciclo, contenente la scaletta di intervista dei medici, da seguirsi per il periodo indicato, nonché molecola per molecola, l'andamento delle vendite ed eventuali lavori clinici sulle molecole commercializzate dalla società e da eventuali concorrenti. ... Il masterbook dei medici specialisti per il terzo trimestre del 2017 doveva essere consegnato in una delle due riunioni del terzo trimestre..."", si che "ingiustificata la mancata partecipazione di (...) alla riunione di area del 30 giugno 2017 (...) sarebbe stato onere del ricorrente, gravato dall'obbligo contrattuale di effettuare presso i medici le visite di informazione scientifica, essendo stato (per giunta senza valida giustificazione) assente alle riunioni nelle quali il masterbook gli sarebbe stato consegnato, attivarsi diligentemente per procurarselo dall'azienda mediante modalità alternative alla consegna in sede di riunione", non risultando nemmeno versato in atti "alcun documento nel quale il ricorrente (avesse) diffid(ato) ((messo) in mora), o, almeno, sollecitato) la preponente a fornirgli prontamente il masterbook o, ancora, si (fosse) lament(ato) di non averne la disponibilità", ciò neppure "nelle giustificazioni del 27.12.2017, e, quindi, nell'immediatezza della contestazione" in cui, per contro, aveva denunciato "di non aver per mesi ricevuto gadget"; 3) quanto allo "addebito relativo alla giacenza presso il ricorrente di oltre 1.000(...) campioni gratuiti di farmaci, non consegnati ai medici nelle visite di informazione scientifica" - a parte la generica replica "che la quantità di campioni consegnata fu molto inferiore a quella affermata dall'azienda" non accompagnata dall'indicazione di tale minore quantità - non risulta(va) fornita alcuna prova dell'asserito "non funzionamento del computer" o di "comunicazioni a tale proposito inoltrate all'azienda o, ad esempio, richieste di intervento tecnico etc." malgrado un'affermata protrazione "dal 17 luglio 2017 (...) (al) dicembre 2017" né, ancora, è(ra) dato rinvenire in atti "comunicazioni nelle quali il ricorrente avvert(iv)a l'azienda di non inviargli ulteriori campioni in quanto già in possesso di un notevole quantitativo da smaltire"; 4) con riguardo alla reiterata assenza alle periodiche riunioni di ciclo - non giustificate dall'allegato (ma non provato) stato di malattia "a detta del ricorrente cagionato da non meglio specificate condotte aziendali vessatorie e di mobbing (si veda il capitolato di prova orale articolato da parte attrice), attesa la totale carenza agli atti del giudizio di documentazione sanitaria ad esso relativa, e considerato, in ogni caso, che è(ra) (stato) lo stesso (...) ad allegare in giudizio di aver continuato a raccogliere ordini dalle farmacie fino a novembre 2017" - non risulta(va) senz'altro in grado di "giustificare il mancato svolgimento, a decorrere da giugno 2017, dell'attività di informazione scientifica presso i medici, così come l'assenza alle riunioni periodiche di ciclo, il fatto che la preponente nel luglio 2017 avesse comunicato al ricorrente il proprio recesso con preavviso, permanendo, come noto, in capo alle parti le reciproche obbligazioni fino alla scadenza dello stesso"; 5) quanto "ai gadgets che, secondo le allegazioni del ricorrente, venivano spediti ogni mese circa nell'anno solare, mentre (...) nell'anno 2017 ne avrebbe ricevuti soltanto uno a luglio e l'altro a novembre, da un lato, (...) il teste (...) nulla (aveva) saputo confermare al riguardo, dall'altro (...) l'eventuale indisponibilità dei gadgets in alcuni mesi non pare(va) davvero circostanza idonea a giustificare il mancato svolgimento dell'attività di informazione scientifica presso i medici". Ne consegue che, ancora correttamente, il Tribunale - vieppiù tenuto conto delle ulteriori risultanze probatorie, documentali (segnatamente del documento 18 versato nel fascicolo di primo grado della convenuta/odierna reclamata - da cui è dato ricavare l'assenza di qualsivoglia attività di informazione scientifica, tanto presso la classe medica quanto presso le farmacie, dal 6-5-2017 al 14-12-2017 - e del documento 28 versato nel fascicolo di primo grado del ricorrente/odierno reclamante - da cui è dato ricavare l'attività di promozione di contratti di vendita presso le farmacie in modo affatto sporadico) ed orali (segnatamente delle dichiarazioni del teste (...), il quale ha riferito: "(...) Io non l'ho mai consegnato (il masterbook) al sig. (...) in quanto non ho avuto più modo di sentirlo, né ho avuto ulteriori contatti. Ebbi a mandargli mail, alle quali non rispose. Con sms mi comunicò che non stava bene e si sarebbe preso un periodo di riposo. Non ebbi a svolgere alcun ulteriore affiancamento nei suoi confronti. Il sig. (...) non si è presentato ad alcuna successiva riunione (.) Nel caso l'agente informatore scientifico farmaceutico non abbia l'ultimo masterbook può continuare a lavorare con quello precedente, dal quale differisce per l'ordine dei prodotti e le nuove evidenze scientifiche; in ogni caso contiene la stessa scheda farmaceutica del farmaco approvata dal Ministero (...) Fino a maggio 2017 il sig. (...) ha regolarmente svolto la sua attività relazionando mediante il MIS e compilando lo scarico saggi. Successivamente ha omesso dette attività, è scomparso completamente (...) Ho ricevuto lo scarico saggi relativo al maggio 2017 dal sig. (...) nel successivo luglio 2017, (.) per posta a casa mia. Gli avevo mandato un sms con il quale sollecitavo la consegna dei modelli (...)" - sottolineature dell'estensore) - ha ritenuto le accertate condotte, ascritte al ricorrente/odierno appellante, di gravità tale da integrare la nozione di giusta causa, persino con riguardo ad un - nella specie non provato (v. supra) - rapporto di lavoro subordinato. Priva di pregio, infine, - in disparte che, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, il giudice di seconde cure è tenuto comunque a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese (v., tra le altre, Cass. 24-1-2017 n. 1775) - risulta la doglianza di cui al terzo motivo di gravame, posto che il Tribunale ha correttamente fatto applicazione della regola che vuole addossato alla parte soccombente il "peso" delle spese sostenute dalla controparte. Logico corollario delle superiori premesse è che il reclamo deve essere respinto. In esito alla soccombenza, il reclamante deve essere condannato a rifondere alla reclamata le spese del grado, liquidate, ex d.m. 10-3-2014 n. 55 e d.m. 8-3-2018 n. 37, secondo i parametri minimi per le cause di valore indeterminabile-complessità media - in relazione alle varie fasi, esclusa la fase istruttoria e/o di trattazione siccome non svolta - in complessivi Euro 4.034,00 per compensi ( Euro 1.199,00 per fase di studio, Euro 793,00 per fase introduttiva ed Euro 2.042,00 per fase decisionale), oltre rimborso forfetario del 15% ed accessori di legge. P.Q.M. La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, respinge il reclamo proposto avverso la sentenza n. 415 del 21-7-2020 del Tribunale di Firenze; condanna il reclamante a rifondere alla reclamata le spese del grado che liquida in complessivi Euro 4.034,00 per compensi oltre rimborso forfetario del 15% ed accessori di legge. Si dà atto che sussistono i presupposti di cui all'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. 305-2002 n. 115 per il versamento dell'ulteriore contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-bis del predetto D.P.R. Così deciso in Firenze il 1 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO - PRIMA SEZIONE CIVILE - COMPOSTA DAGLI ILLUSTRISSIMI SIGNORI MAGISTRATI: DOTT. Tiziana MACCARRONE - PRESIDENTE DOTT. Gian Paolo MACAGNO - CONSIGLIERE DOTT. Marco Leone COCCETTI - CONSIGLIERE AUS. REL. HA PRONUNCIATO LA SEGUENTE SENTENZA Nella causa civile di appello n.r.g. 142/2019 PROMOSSA DA Dott. (...), nato ad (...) (A.) il (...) ed ivi residente in Via (...), (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliato in Aosta (AO) Via (...) presso lo studio dell'Avv. Ma.Sc. (C.F. (...)) che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di risposta di primo grado APPELLANTE CONTRO IMMOBILIARE IL (...), (C.F. (...)), in persona del legale rappresentate (...), con sede in C. L. (S.), rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente in forza di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello, dall'avv. Ro.Ro. (C.F. (...)) e dall'avv. Al.Lo. (C.F. (...)) presso il cui studio in Torino - Corso (...) è elettivamente domiciliata APPELLATA Udienza collegiale del 18.2.2020 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. L'Immobiliare (...) S.A.S. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Savona il dr. (...) al fine di sentir dichiarare ed accertare che l'affare relativo alla compravendita dell'immobile sito in C. L. (S.), Via A. n. 25, tra le venditrici (...) e (...) e lo stesso dr. (...) era stato concluso per l'effetto dell'intervento della mediatrice Immobiliare (...) S.A.S. e, quindi, sentire condannare il convenuto a corrispondere all'attrice la somma di Euro 25.000,00, oltre IVA, a titolo di provvigione nella misura del 2% del prezzo effettivamente corrisposto per la conclusione dell'affare. L'attrice deduceva che le proprietarie dell'immobile (...) e (...) avevano incaricato l'Immobiliare (...) S.A.S., nella persona del socio accomandante (...), di ricercare un cliente per la vendita dell'immobile al prezzo di Euro 2.300.000,00; il (...), autorizzato dalle proprietarie, si avvaleva di altre agenzie immobiliari tra le quali l'Immobiliare (...) S.A.S.. (...), socia accomandataria dell'Immobiliare (...) S.A.S., aveva proposto l'acquisto al convenuto, il quale aveva visitato l'immobile nel gennaio e febbraio 2015; il Notaio (...) si era dimostrato interessato all'acquisto ed aveva proposto l'acquisto al prezzo di Euro 1.200.000,00, proposta rifiutata dalle proprietarie che pretendevano per contro quale prezzo minimo la somma di Euro 1.800.000,00 di cui Euro 700.000,00 mediante permuta di immobile di proprietà del Notaio; a distanza di un anno, le proprietarie avevano venduto l'immobile al Notaio (...) al prezzo di Euro 1.250.000,00. Il convenuto si costituiva formulando, in via preliminare, eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Savona per essere competente, invece, il Tribunale di Aosta quale foro del consumatore e contestava nel merito la fondatezza della pretesa attorea. Con ordinanza del 18.01.2017, il Tribunale di Savona accoglieva l'eccezione dichiarando la propria incompetenza per territorio e demandando al Tribunale di Aosta quale Giudice competente la liquidazione delle spese della fase di giudizio regolata con la stessa ordinanza. Parte attrice riassumeva il giudizio innanzi al Tribunale di Aosta. Il Notaio (...) si costituiva nel giudizio riassunto chiedendo innanzitutto che il Giudice adito, competente a decidere la causa nel merito, provvedesse sulle spese della fase di giudizio svoltasti innanzi al Tribunale di Savona condannando parte attrice al relativo pagamento in suo favore. Nel merito, chiedeva rigettarsi la domanda, osservando che l'Immobiliare il (...) non aveva svolto alcun ruolo nella compravendita dell'immobile precisando, in particolare, che era stato il (...) a far vedere l'immobile, nel 2015, al convenuto e che la trattativa finalizzata alla compravendita si perfezionava grazie alla mediazione prestata da (...), con sede in (...), soggetto al quale il Notaio aveva corrisposto la somma di Euro 45.750,00 IVA inclusa, come indicato nell'atto notarile a rogito del Notaio dott. (...). Rilevava altresì il convenuto che, in occasione della visita presso l'immobile, aveva manifestato il suo interessamento ma aveva dichiarato che avrebbe potuto corrispondere la somma massima di Euro 1.200.000,00 a condizione che si fosse venduto anche l'immobile di sua proprietà sito in C. L.. Allegava il dr. (...) che nessuna proposta veniva effettuata e la trattativa non veniva nemmeno avviata tra le parti, posto che il (...) aveva riferito che le proprietarie avevano indicato un prezzo minimo di Euro 1.200.000,00 oltre alla permuta dell'immobile del Notaio (...) del valore Euro 700.000,00 e che, dopo oltre sei mesi da quei fatti, lo (...), agente immobiliare e suo cliente, gli aveva proposto l'acquisto dello stesso immobile di Celle Ligure, da egli già visionato con il (...). Spiegava il convenuto di non essere stato inizialmente disponibile all'acquisto a causa dell'eccessiva onerosità del prezzo e che l'agente immobiliare gli aveva rappresentato che le proprietarie avevano necessità di 'fare cassa", avendo delle difficoltà con la propria banca che aveva minacciato azioni legali. Allegava di aver dichiarato che avrebbe acquistato l'immobile al prezzo di Euro 1.250.000,00 a condizione che si fosse perfezionata la compravendita relativa al cespite di cui era proprietario in Celle Ligure. Formulava, quindi, per il tramite dell'Agenzia immobiliare dello (...), che aveva ricevuto formale incarico dalla proprietà, una proposta di acquisto condizionata alla vendita dell'appartamento di sua proprietà, condizione che poco tempo dopo si avverava. Il 26 febbraio 2016 venivano stipulate le due compravendite, la prima, avente ad oggetto l'immobile del Notaio, la seconda concernente l'immobile per cui è giudizio. Il prezzo era corrisposto integralmente il giorno dell'atto, pagandolo per oltre Euro 514.000,00 direttamente alla Cassa di Risparmio di Asti. Ciò premesso, osservava il convenuto che la conclusione dell'affare non era dipeso né dalla prima visita all'immobile effettuata alla presenza del (...) né da un'attività di mediazione dell'Immobiliare il (...) S.a.s. e che lo svolgimento delle trattative era intervenuto per effetto di iniziative nuove non ricollegabili in alcun modo a quelle poste a fondamento della domanda attorea. Infine, rilevava, quanto al documento 3 attoreo ("foglio annotazioni visite Immobiliare il (...)"), che le sottoscrizioni erano riferibili al Notaio (...), ma che il contenuto del documento non era riferibile alle visite effettuate nel 2015 all'immobile di cui è causa. In particolare, il Notaio deduceva di avere firmato il documento due volte in occasione di due visite effettuate nel 2009, mentre le annotazioni riguardanti le altre visite sarebbero state apposte, dopo la sottoscrizione, da parte dell'Immobiliare il (...), solo per sua comodità e memoria o al fine di documentare con il proprietario l'attività svolta per suo conto. Le due firme si sarebbero riferite ad accessi effettuati nel 2009 con il (...) S.a.s., mentre le annotazioni relative a visite successive, ivi comprese quelle del 2015, sarebbero state inserite a posteriori dall'attrice, posto che in quella data il Notaio (...) non aveva apposto alcuna sottoscrizione sul modulo. La causa è stata istruita a mezzo audizione testimoniale. All'udienza del 26.6.2018 le parti hanno precisato le conclusioni e, dopo breve discussione orale, il Giudice pronunciava sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. 2. Con sentenza n. 187/2018, resa ex art. 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura ed allegazione al verbale di causa in data 26.6.2018, il Tribunale di Aosta, in accoglimento della domanda, condannava (...) al pagamento, in favore de L'Immobiliare il (...) S.A.S., in persona del legale rapp.te p.t., della somma di Euro 25.000,00, oltre iva e interessi in misura di legge dal dovuto al saldo, e compensava le spese di lite nella misura di un terzo. La sentenza non veniva notificata. 3. Con atto di citazione in appello ritualmente notificato il dr. (...) interponeva tempestiva impugnazione contro la predetta decisione per ottenere l'accoglimento delle conclusioni sopra riportate, deducendo che il Tribunale ha errato: a) laddove non ha considerato che l'appellante aveva regolarmente corrisposto la provvigione al mediatore incaricato dalle proprietarie, che il contratto di mediazione che le proprietarie avevano in essere con i precedenti mediatori era scaduto e che l'affare era stato concluso a condizioni diverse rispetto a quelle proposte dal primo mediatore; b) laddove ha ritenuto attendibili i testi escussi ed ha respinto le istanze istruttorie di parte convenuta; c) in via subordinata, laddove non ha fatto applicazione dell'art. 1758 c.c.; d) laddove ha compensato le spese in misura di un terzo. In via istruttoria, l'appellante ha chiesto ammettersi le prove dedotte nella seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. ed ha formulato istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. di tutta la documentazione riguardante l'immobile di Celle Ligure oggetto del presente giudizio ed in particolare degli incarichi conferiti all'agenzia (...) ed alla STR. 4. Costituitasi la Immobiliare il (...) sas ha chiesto, in via preliminare dichiararsi l'inammissibilità del gravame ai sensi del combinato disposto degli artt. 348bis I comma e 348ter I comma c.p.c. per manifesta infondatezza dello stesso e, nel merito, ne ha chiesto il rigetto siccome infondato, con la conferma della sentenza impugnata. 5. All'udienza del 18.2.2020 i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni e la Corte assumeva la causa in decisione, assegnando i termini massimi di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 6. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità del gravame ex art. 348 bis c.p.c. sollevata da parte appellata, che è già stata implicitamente rigettata dalla Corte all'udienza di cui all'articolo 350 c.p.c.. 7. Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha motivato come segue. "Innanzitutto, occorre rilevare che non è sostenibile, in quanto fantasiosa, l'ipotesi che il (...), di professione Notaio, abbia potuto sottoscrivere il foglio delle visite in bianco, né è ipotizzabile che l'Agenzia immobiliare abbia provveduto a falsificare, a distanza di anni, una scrittura privata già sottoscritta da un Notaio. La prova svolta con i testi (...) e (...) sui capi ammessi della memoria attorea ha pienamente confermato le circostanze di fatto dedotte a sostegno della domanda. E così, risulta provato che: il (...) rappresentava alle proprietarie (...) e (...) che, al fine di reperire clienti e promuovere l'affare, si sarebbe avvalso della collaborazione di altre agenzie immobiliari operanti in Celle Ligure; le stesse acconsentivano e così il (...) prendeva contatti con (...), socia accomandataria dell'Immobiliare (...) s.a.s., chiedendole se avesse qualche possibile acquirente per l'immobile di cui si tratta; la (...) ed il (...) pattuivano che, in caso di conclusione dell'affare, ciascuno avrebbe percepito la provvigione spettante e, in particolare, l'Immobiliare (...) S.A.S. da parte acquirente e L'(...) S.A.S. da parte venditrice; la (...) proponeva l'immobile in questione al Notaio (...) in quanto interessato ad appartamenti in zona; la stessa (...) in passato aveva accompagnato il Notaio (...) a visitare altri immobili in Celle Ligure; il 26 gennaio 2015, il (...) ed il (...) si incontravano presso i locali dell' Agenzia (...) S.a.s. e quindi il (...) accompagnava il convenuto a visitare l'appartamento di Via (...) 25; il 6 febbraio 2015, il (...), unitamente ai suoi genitori, accompagnato dal (...), effettuava un'ulteriore visita all'appartamento in questione; in occasione delle visite dei giorni 26 gennaio 2015 e 6 febbraio 2015, il (...) sottoscriveva il modulo - dichiarazione di avvenuta visita come espressamente confermato dai testi; nei mesi successivi, il (...) si recava, unitamente a sua moglie ed accompagnato dal (...), a visitare l'immobile in vendita; il (...) dichiarava il suo interesse per l'affare proposto e proponeva, in parziale pagamento del prezzo richiesto, la permuta di un alloggio di sua proprietà sito in C. L.; qualche tempo dopo, le sig.re (...) e (...), unitamente al marito di quest'ultima ed alla figlia, ed il (...), accompagnati dal (...), si recavano a visitare l'appartamento di proprietà del convenuto, al fine di valutare la possibilità di accettare la proposta di permuta. I testi hanno altresì precisato che la richiesta iniziale della venditrice era di Euro 2.300.000, poi "scesa" a Euro 2.000.000, di cui Euro 800.000 imputabile al valore dell'immobile proposto in permuta, come precisato dal (...). In ogni caso, la stessa parte convenuta ha ammesso di aver effettuato le visite nel 2015, cui partecipava anche il (...), ed inoltre non ha negato di aver riconosciuto l'alloggio in questione, al momento in cui gli fu riproposto, avendolo visitato precedentemente per il tramite dell'agenzia (...) S.A.S. Pertanto, è pacifico che il convenuto ha visitato l'immobile e che il primo contatto tra le parti è avvenuto per il tramite dell'agenzia (...) S.A.S. La messa in relazione delle parti e la fase iniziale delle trattative sono state opera de (...) S.A.S. Ed invero, in occasione delle prime visite, erano pacificamente avviate le trattative, come peraltro confermato dall'istruttoria. AI riguardo, lo stesso (...) ha allegato di aver immediatamente manifestato interesse per l'acquisto e di aver proposto, in permuta e a parziale pagamento, un alloggio di sua proprietà sito in C. L.. Successivamente, come emerso in istruttoria, le trattative proseguivano ed infatti il convenuto, accompagnato dal (...), faceva visionare l'appartamento di sua proprietà alle sig.re (...) e (...) al fine di consentire alle venditrici di valutare la proposta di permuta. Le proprietarie, tuttavia, per stessa allegazione del convenuto, ritenevano di non accettare l'offerta formulata verbalmente dal Notaio (...). Non è quindi sostenibile che la conclusione dell'affare sia indipendente dalla mediazione posta in essere dalla società attrice. La Suprema Corte ha peraltro riconosciuto che "in tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente, che il mediatore - pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo - abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata" (Cassazione civile, sez. III, 09/12/2014, n. 25851). La domanda va quindi accolta. Le spese vanno compensate in misura di un terzo, considerato che l'attrice ha inizialmente convenuto il (...) innanzi a giudice dichiaratosi incompetente. La restante parte va posta a carico del convenuto secondo soccombenza (liquidazione secondo i valori medi dello scaglione di riferimento in relazione al valore della causa)". 7.1 Con il primo motivo di gravame il dr. (...) oppone alla sentenza impugnata le censure sub 3.a), precisando che il Tribunale non avrebbe ponderato alcuni elementi fondamentali ai fini della formulazione del giudizio, ed in particolare: 1) la circostanza che l'appellante allorquando aveva sottoscritto il contratto di compravendita relativo all'immobile di Celle Ligure aveva regolarmente corrisposto la provvigione al mediatore incaricato dalle proprietarie; 2) la circostanza che il contratto di mediazione che le proprietarie avevano in essere con i precedenti mediatori (ovvero l'(...)) era scaduto; 3) la circostanza che l'affare era stato concluso a condizioni tutt'affatto diverse rispetto a quelle proposte dal primo mediatore. Secondo parte appellante, se il Tribunale avesse considerato tali circostanze, avrebbe rigettato la domanda avversaria poiché, dopo una prima fase di trattative avviate con l'intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti erano successivamente pervenute alla conclusione dell'affare per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. In altri termini, il diritto del mediatore alla provvigione consegue non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell'affare e qualora si sia susseguita l'opera di più mediatori, sarebbe necessario ponderare all'attività di quale mediatore sia ricollegabile dal punto di vista eziologico la positiva definizione dell'affare. Il Tribunale avrebbe del tutto omesso tale verifica causale: la conclusione dell'affare di cui si tratta sarebbe in realtà ascrivibile in via esclusiva all'attività del secondo mediatore, poiché l'accordo sarebbe stato raggiunto tra le parti con modalità e termini differenti rispetto a quelli originariamente proposti dal primo mediatore. Dunque il Tribunale non avrebbe correttamente interpretato le norme di cui all'art. 1754 e 1755 c.c., avendo omesso di accertare che qualora si sussegua l'opera di diversi mediatori, ciascuno incaricato dalla venditrice in tempi successivi e dopo la scadenza del contratto, debba essere corrisposta la provvigione solo e soltanto al mediatore che ha concluso l'affare in vigenza del contratto. Il fatto che fossero state avviate in origine delle trattative con la società il (...) sas, incaricata dal (...), socio accomandante della società che aveva ricevuto l'incarico di mediazione delle proprietarie, sarebbe un dato irrilevante ai fini del decidere: nel caso di specie da un lato le trattative svolte dalla prima agenzia non avrebbero avuto il carattere della "completezza" posto che l'affare si era concluso a condizioni diverse rispetto a quelle proposte dalla medesima e dall'altro l'attività della prima agenzia non aveva assunto rilievo causale nella conclusione del contratto (utilizzando i parametri della conditio sine qua non). 7.1.1 Ritiene la Corte che il motivo di gravame sia infondato e non meritevole di accoglimento. Il Tribunale, con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, ha rilevato che il dr. (...) ha ammesso di aver effettuato le visite dell'immobile nel 2015, cui partecipava anche il (...), ed inoltre non ha negato di aver riconosciuto l'alloggio in questione, al momento in cui gli fu riproposto, avendolo visitato precedentemente per il tramite dell'agenzia (...) S.A.S. Pertanto, risultava pacifico che il convenuto avesse visitato l'immobile e che il primo contatto tra le parti fosse avvenuto per il tramite dell'agenzia (...) S.A.S., così che la messa in relazione delle parti e la fase iniziale delle trattative erano state opera de (...) S.A.S. Infatti, in occasione delle prime visite, erano pacificamente avviate le trattative, come peraltro confermato dall'istruttoria: nei mesi successivi, il (...) si recava, unitamente a sua moglie ed accompagnato dal (...), a visitare l'immobile in vendita. Il dr. (...) aveva allegato di aver immediatamente manifestato interesse per l'acquisto e di aver proposto, in permuta e a parziale pagamento, un alloggio di sua proprietà sito in C. L.: successivamente, come emerso in istruttoria, le trattative proseguivano ed infatti il convenuto, accompagnato dal (...), faceva visionare l'appartamento di sua proprietà alle sig.re (...) e (...) al fine di consentire alle venditrici di valutare la proposta di permuta. Le proprietarie, tuttavia, per stessa allegazione del convenuto, ritenevano di non accettare l'offerta formulata verbalmente dal Notaio (...). Su queste premesse, il Tribunale ha riconosciuto il diritto alla provvigione della odierna appellata, rilevando che la conclusione dell'affare fosse in rapporto causale con l'attività della stessa parte appellata, che aveva messo in relazione le parti ed aveva quindi realizzato l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata. Il gravame non ha la forza di contrastare l'apparato motivazionale, preciso e lineare, della sentenza di prime cure: infatti le argomentazioni dell'appellante non appaiono tali da incrinare il fondamento logico-giuridico di quelle contenute nella sentenza impugnata. In tema di mediazione, presupposto essenziale del diritto al compenso non è necessariamente il conferimento espresso dell'incarico, quanto piuttosto la circostanza che il mediatore abbia di fatto svolto un'attività utile per la conclusione dell'affare, che di tale attività le parti fossero consapevoli e da essa abbiano tratto vantaggio (cfr. Cass. Civ. n. 4830/2012). Dunque non qualsiasi attività di mediazione dà diritto alla provvigione, ma solo quella legata da un nesso di causalità alla conclusione dell'affare: invero non è necessario che il ruolo sia esclusivo, niente impedendo che abbia più modesta portata e cioè che l'attività del mediatore si inserisca come semplice concausa nel processo formativo dell'affare medesimo. Il riconoscimento del contributo causale minimo si fonda sull'art. 1755 c.c. che pone come requisito necessario affinché maturi il diritto alla provvigione che il contratto si sia concluso "per effetto dell'intervento del mediatore". Detta attività può intervenire inoltre in qualsiasi momento, all'inizio segnalando l'affare - sempre che la segnalazione costituisca, come nel caso di specie, il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore - oppure nel corso delle trattative, senza che sia quindi necessario che si protragga dall'inizio fino alla conclusione dell'affare, essendo infatti pacifico il principio secondo cui è mediatore chi mette in relazione le parti interessate ad un affare, se questo è poi concluso, indipendentemente dalla partecipazione attiva del mediatore a tutte le fasi successive alla messa in contatto dei soggetti. In altri termini, il mediatore ha diritto alla provvigione se la conclusione dell'affare si trova in diretto rapporto causale con la sua attività ed un tale rapporto ricorre anche quando il mediatore si limiti a porre in relazione le parti, purché tanto rappresenti l'antecedente necessario per pervenire alla conclusione dell'affare, sia pure attraverso fasi e vicende successive. Quello che è indispensabile è che, in qualsiasi momento intervenga o con qualsiasi altro fattore causale concorra, l'attività del mediatore costituisca un antecedente necessario della conclusione dell'affare: pertanto se si può sostenere che senza l'attività di messa in relazione svolta dal mediatore l'affare non si sarebbe realizzato, il diritto alla provvigione può dirsi sorto. Sotto diverso profilo, il nesso di causalità può dirsi interrotto nel caso di trattative abbandonate e poi riprese, ma solo qualora la ripresa delle trattative intervenga successivamente, per effetto di iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate (cfr. Cass. Civ. 18.3.2005, n. 5952; Cass. Civ. 2.8.2001, n. 10606). Nel caso di specie le visite del dr. (...) all'immobile di cui causa sono datate gennaio e febbraio 2015, a cui fecero seguito le visite dell'immobile da parte del (...) accompagnato dalla moglie, le visite dell'immobile proposto in permuta, e dunque si instaurarono trattative tra le parti, che vennero poi interrotte poiché le proprietarie non accettarono la proposta del Notaio: poco tempo dopo, nel mese di agosto 2015, il sig. (...) propose al dr. (...) l'acquisto dello stesso immobile (cfr. pag. II atto di citazione in appello, punto n. 5). In linea generale, si è affermato che non costituiscono circostanze di per sé idonee ad interrompere il nesso di causalità né il fatto che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico (cfr. Cass. 18.09.2008, n. 23842; Cass. 11.04.2003, n. 5762), né l'intervallo di tempo tra la conclusione del contratto e le prime trattative, né il successivo interessamento anche di altri soggetti (cfr. Cass. 21.11.2000, n. 15014). Come correttamente ritenuto dal Tribunale, nel caso di specie non può dirsi che abbia interrotto il nesso causale nemmeno la differenza di prezzo tra l'affare proposto e quello effettivamente concluso: infatti sarebbe illogico escludere rilievo causale alla messa in relazione tra le parti, pacificamente operata dalla Immobiliare (...), e che ha consentito di stabilire il contatto, che è poi evoluto verso la conclusione dell'affare. Come già detto, per aversi mediazione non è necessario un incarico, essendo sufficiente che l'opera del mediatore non sia rifiutata e questa opera consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare; sicché, quando il mediatore allega che l'affare concluso è frutto del suo intervento presso le parti, per negare che ne sia stata raggiunta la prova non può darsi alcun rilievo ad elementi di contorno afferenti ai comportamenti delle parti, come quello delle venditrici che prima hanno rifiutato l'offerta del dr. (...), e che pochissimi mesi dopo hanno invece deciso di abbassare il prezzo (avendo necessità di "fare cassa" essendo in difficoltà con la propria Banca che aveva minacciato azioni legali, cfr. pag. III atto di citazione in appello, punto n. 7), rivolgendosi ad altro mediatore. In questo contesto, come ritenuto dal Tribunale, non può certo dirsi interrotto il nesso causale tra l'attività di mediazione svolta dalla Immobiliare il (...) (che ha certamente costituito l'antecedente indispensabile, secondo i principi della causalità adeguata) e la successiva conclusione dell'affare: in altri termini, nel caso di specie non è stata raggiunta la prova che la conclusione dell'affare sia intervenuta per effetto d'iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore. Non essendosi in presenza di una nuova ed indipendente operazione di mediazione, che abbia escluso l'utilità dell'originario intervento della parte odierna appellata, a questa va quindi riconosciuto il compenso provvigionale. 7.2 Con il secondo motivo di gravame il dr. (...) oppone alla sentenza impugnata le censure sub 3.b), precisando che il Tribunale, nonostante l'eccezione di inammissibilità dei testi escussi innanzi al Giudice del Tribunale di Savona, avrebbe erroneamente ritenuto provati i fatti confermati dai testimoni (...) e (...), socia accomandante della società attrice, figlia dell'accomandataria della società stessa. Erroneamente il teste è stato ritenuto ammissibile, poiché il socio accomandante ha un interesse nella causa promossa dalla società per ottenere il pagamento della provvigione: l'eventuale ricavo si riflette direttamente sul patrimonio del socio che partecipa agli utili societari. Il medesimo potrebbe altresì dispiegare un intervento adesivo e quindi partecipare attivamente al processo "in aiuto" della società e con l'intento di assicurare il positivo esito della controversia a cui conseguirebbe il ricavo e l'utile societario. In ogni caso, il teste sarebbe inattendibile non solo perché socio accomandante e figlio dell'accomandataria ma anche perché "preparato" sui fatti di causa e sugli atti processuali, tanto da conoscere in anticipo le domande che il Giudice gli avrebbe posto (conoscenza diretta del contenuto della memoria istruttoria) Le medesime considerazioni varrebbero per il teste (...): anch'egli è socio accomandante della società L'(...) s.a.s., e per di più è il medesimo che ha accompagnato il Notaio a visitare l'immobile, condotta questa certamente riferibile all'amministratore. Il socio di capitali di una società non ha alcun potere gestorio e men che meno quello di porre in essere attività riconducibili all'oggetto sociale. Ciò significa che il (...) si comportava da amministratore e come tale non avrebbe potuto essere sentito come teste; tra l'altro il Giudice non ha considerato la missiva 18.02.2018 prodotta in giudizio a firma di (...) che trasmetteva atto di citazione con il quale identico giudizio rispetto a quello regolato dalla sentenza qui impugnata era stato intrapreso dalla (...). Subordinatamente il Tribunale di Aosta non avrebbe dovuto considerare la sua testimonianza come attendibile: essere accomandante e comportarsi da accomandatario sono circostanze tali da far ritenere non attendibile la testimonianza resa. Dunque il Giudice avrebbe formato il proprio convincimento su fatti privi di prova: difetterebbe del tutto la prova dell'attività posta in essere dalla società (...) nella conclusione dell'affare. Parte appellante chiede poi, in riforma dell'ordinanza 18.12.2017, l'ammissione delle prove dedotte nella propria seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e, visto l'art. 210 c.p.c., chiede che venga ordinata alle signore (...) e (...) ed alla S.S. SAS DI S.G. la produzione in giudizio di tutta la documentazione riguardante l'immobile di Celle Ligure oggetto del presente giudizio ed in particolare gli incarichi conferiti all'agenzia (...) ed alla STR. 7.2.1 Ritiene la Corte che il motivo di gravame sia privo di pregio. L'eccezione di incapacità a testimoniare dei testi di parte (...) S.a.s. (A.I. e (...)) escussi in prova delegata davanti al Tribunale di Savona all'udienza del 21 febbraio 2018), formulata in sede di udienza prima dell'escussione dei testi, non risulta essere stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado (in cui parte appellante si è limitata a richiamare quelle della comparsa costitutiva, cfr. verbale di udienza 26.6.2018), e pertanto deve intendersi implicitamente rinunciata. La nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 cod. proc. civ., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ.; qualora detta eccezione venga respinta, l'interessato ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (cfr. Cass. Civ. Sez. Un. 23 settembre 2013 n. 21670; Cass. n. 23896/2016, cit.). Il motivo di gravame, sul punto, è pertanto inammissibile. Circa l'eccepita inattendibilità dei testi, le argomentazioni offerte da parte appellante a sostegno di tale tesi risultano estremamente generiche. La teste I., per quanto accomandante della società appellata e figlia dell'accomandataria, ha fornito una ricostruzione puntuale (ripresa anche nella sentenza impugnata) dello svolgimento dei contatti tra il Notaio (...), l'agenzia (...) ed il (...) nonché delle visite presso l'appartamento in questione e l'appartamento di proprietà dell'appellante. Si tratta, in ogni caso, di circostanze pacifiche, poiché il dr. (...) ha riconosciuto che il primo contatto tra le parti avvenne ad opera dell'agenzia il (...) e di avere manifestato interesse per l'acquisto, proponendo in permuta un immobile di sua proprietà in Celle Ligure. Per valutare l'attendibilità della teste, le cui dichiarazioni hanno trovato piena conferma in quelle del (...), non può attribuirsi alcuna rilevanza alla circostanza prospettata da parte appellante secondo cui la stessa fosse a conoscenza del numero dei capitoli di prova a lei demandati. Ne consegue la piena attendibilità della teste I., e la stessa considerazione vale per il teste (...), di cui parte appellante ha eccepito l'inattendibilità perché essendo accomandante della Società (...) s.a.s. si sarebbe comportato da accomandatario (avendo fatto visionare l'immobile al Notaio). L'argomentazione non è condivisibile, non potendosi certo configurare come attività gestoria quella diretta a fare visionare un immobile a terzi. Parte appellante censura anche l'ordinanza ammissiva delle istanze istruttorie resa in data 18.12.2017, e ne chiede la riforma con l'ammissione delle prove articolate nella seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.. Anche tale censura è inammissibile. Com'è noto, se le richieste istruttorie formulate da una parte non sono state accolte, dette richieste vanno reiterate al momento della precisazione delle conclusioni. In mancanza di reiterazione, dette richieste non possono essere riproposte in appello perché si ritiene che la parte abbia voluto rinunciarvi. Affinché possano essere considerate reiterate, non è sufficiente il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi (cfr. Cass. Civ. n. 19352/2017; n. 22709/2017, richiamate da Cass. Civ., n. 15029/2019). E ciò in considerazione del fatto che "la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il "thema" sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste - istruttorie e di merito - definitivamente proposte (cfr. Cass. Civ. n. 16290/16; Cass. Civ. n. 25157/08). Dunque la parte interessata ha l'onere di riproporre l'istanza di revoca di un'ordinanza anche in sede di precisazione delle conclusioni: l'eventuale omissione equivale alla rinuncia della stessa, con conseguente sanatoria per acquiescenza. Come già sopra evidenziato, il dott. (...) all'udienza del 26 giugno 2018 si limitava a richiamare le conclusioni assunte in comparsa costitutiva, senza fare alcun cenno alla reiterazione delle proprie istanze istruttorie e dunque alla revoca della ordinanza che non le aveva ritenute rilevanti ai fini del decidere. Resta solo da dire che, alla luce di quanto esposto in relazione al primo motivo di gravame, l'istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. formulata da parte appellante risulta del tutto inconferente. 7.3 Con il terzo motivo di gravame il dr. (...) oppone alla sentenza impugnata le censure sub 3.c), precisando che, in via di estremo subordine nella denegata ipotesi in cui la Corte d'Appello non ritenesse di condividere i rilievi di cui al primo motivo di gravame, sussisterebbero quanto meno i presupposti per applicare l'art. 1758 c.c. Se la Corte d'Appello ritiene che la Società il (...) abbia avuto un apporto causale nella conclusione dell'affare, dovrebbe applicarsi l'art. 1758 c.c. con conseguente rideterminazione del compenso, considerando che il Notaio (...) ha già versato ad altro mediatore la somma di Euro 45.000,00. Pertanto la somma dovuta alla società appellata dovrebbe essere rideterminata apparendo quella di Euro 25.000,00 oltre IVA eccessiva (2% del valore pagato). 7.3.1. Ritiene la Corte che anche in questo caso il motivo di gravame sia inammissibile. La domanda proposta in via subordinata da parte appellante (per l'ipotesi in cui si ritenesse che l'attività di mediazione della Agenzia Immobiliare (...) sas abbia avuto rilevanza causale nella conclusione dell'affare), e diretta a richiedere l'applicazione dell'art. 1758 c.c. con la riduzione della somma spettante a titolo provvigionale è del tutto nuova, siccome non proposta nel primo grado di giudizio, e dunque inammissibile. A mente dell'art. 345 c.p.c., nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Nella comparsa di costituzione e risposta depositata in primo grado il dr. (...) aveva chiesto il rigetto di tutte le domande avversarie, in quanto infondate, chiedendo di essere mandato assolto da ogni domanda svolta nei suoi confronti, senza proporre alcuna domanda subordinata. Circa il quantum debeatur, parte appellata ha quantificato l'importo provvigionale richiesto nella percentuale del 2% del valore corrisposto da parte acquirente (sulla base degli Usi depositati presso la Camera di Commercio di Savona), e sul punto non risulta contestazione. 7.4. Con il quarto motivo di gravame parte appellante oppone le censure di cui sub 3.d), lamentando che il Tribunale di Aosta avrebbe erroneamente compensato le spese nella misura di 1/3 sulla scorta del rilievo che l'attrice era risultata soccombente nel giudizio tenutosi innanzi al Tribunale di Savona, poi regolato con la pronuncia di incompetenza. La sentenza avrebbe dovuto invece regolare le spese di giudizio diversamente, ovvero avrebbe dovuto condannare la società attrice a rifondere integralmente al convenuto le spese di giudizio tenutosi innanzi al Tribunale di Savona. 7.4.1. La censura è infondata. Risulta che davanti al Tribunale di Savona, a seguito della costituzione in giudizio, l'odierna appellata ha aderito all'eccezione di incompetenza sollevata dal dr. (...). Il principio che opera nella fattispecie è dunque quello secondo cui l'adesione all'eccezione di incompetenza territoriale comporta che venga escluso ogni potere del giudice adito di pronunciarsi sulle spese processuali relative alla fase svoltasi davanti a lui, dovendo invece provvedervi il giudice al quale la causa è rimessa (cfr. Cass. Civ. n. 25180/2013). Detto ciò, in considerazione della unitarietà del procedimento, il Giudice di prime cure ha fatto buon governo dei principi compensando per un terzo le spese di lite, proprio in virtù del fatto che il giudizio era stato iniziato davanti a Giudice poi dichiaratosi incompetente. In quella sede risulta che la causa si è arrestata dopo una sola udienza, senza nemmeno la concessione dei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c., così che risulta del tutto corretta, anche sotto il profilo del quantum, la compensazione delle spese di lite in misura di un terzo. 8. L'appello deve quindi essere respinto, con la condanna dell'appellante alla rifusione, a parte appellata, delle spese del presente grado che si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa (ricompresa nello scaglione da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00), delle fasi di studio, introduttiva e decisionale nei loro valori medi nei seguenti importi: per fase di studio Euro 1.960,00, per fase introduttiva Euro 1.350,00, per fase decisoria Euro 3.305,00 e così in complessivi Euro 6.615,00 per compensi oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA e IVA sull'imponibile se non detraibile dalla parte vittoriosa. Dagli atti non risultano spese vive documentate. Ai sensi dell'art. 13 T.U. 30.5.2002 n. 115, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, sussistono i presupposti di cui al comma 1-quater della citata norma ossia del versamento da parte del dr. (...) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la presente causa. P.Q.M. La Corte d'Appello di Torino, Sezione Prima Civile, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, respinge l'appello proposto dal dr. (...) e per l'effetto conferma la sentenza n. 187/2018 del Tribunale di Aosta, pronunciata nella causa iscritta al n. 386/2017 RG, pubblicata in data 26.6.2018; dichiara tenuto e condanna il dr. (...) a rimborsare a parte appellata le spese del giudizio di secondo grado liquidate in Euro 6.615,00 oltre al rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA; dichiara che sussistono i presupposti di cui al comma 1 quater dell'art. 13 T.U. 30.5.2002 n. 115 ossia del versamento da parte del dr. (...) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la presente causa. Così deciso in Torino - Milano nella Camera di Consiglio del 9 settembre 2020 della Sezione Prima Civile della Corte d'Appello di Torino svolta da remoto tramite l'applicativo teams Microsoft in base alle disposizioni di cui al D.L. n. 18 del 2020 relative alle misure da adottare negli uffici giudiziari per il contenimento della diffusione del virus COVID-19. Depositata in Cancelleria il 17 settembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRAPANI Il Giudice del Lavoro dott. Dario Porrovecchio, nella causa iscritta al n.1143/2016 R.G.L. promossa da (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Lu.Ba. - ricorrente - Contro (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dagli avv.ti El.CA., Ma.CA. e Pa.DE. - resistente - ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato in data 16.6.2016, la ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio (...) e, avendo premesso di avere stipulato con lo stesso un contratto di agenzia senza rappresentanza con decorrenza 13/06/2011, avente ad oggetto la promozione ed il collocamento di Prodotti e Servizi indicati negli allegati B, B1 e B2 del citato contratto (doc. 1), integrato da proposta economica del 31/5/2011 successivamente sottoscritta dall'agente in data 14/6/2011 che prevedeva l'erogazione, da parte della Banca stessa, di ulteriori benefici aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dal contratto standard ed avente la finalità di stimolare l'attività del promotore, favorendone la proficuità e che prevedeva tra l'altro al punto I una c.d. clausola di stabilità (doc. 2), chiedeva la condanna del proprio ex promotore finanziario al pagamento della somma di Euro 189.523,08, di cui Euro 177.589,05 a titolo di restituzione (in forza della citata clausola di stabilità) degli anticipi bonus sulla raccolta già erogati dalla Banca e non consolidati, ed Euro 11.934,03, a titolo di indennità sostitutiva del periodo di preavviso. Costituitosi in giudizio, (...) deduceva l'infondatezza delle domande formulate dalla ricorrente chiedendone il rigetto, previo accertamento dell'invalidità e/o nullità e/o inefficacia e/o inoperatività della clausola di stabilità di cui alla lettera I della proposta della Banca; in via riconvenzionale chiedeva, previo accertamento della sussistenza della giusta causa di recesso dell'agente, condannare la ricorrente al pagamento in favore del resistente della somma di Euro 20.135,75 a titolo di indennità di mancato preavviso, nonché della somma di Euro 107.390,66 a titolo di indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. ovvero in via subordinata condannarsi la ricorrente al pagamento delle seguenti somme a titolo di indennità di cui agli artt. 12 e segg. dell'AEC: Euro 12.892,16 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto, Euro 9.665,16 a titolo di indennità suppletiva di clientela, Euro 147.803,34 a titolo di indennità meritocratica. Con ordinanza del 16.11.2017 veniva emessa ingiunzione di pagamento ex art. 186 ter c.p.c. della somma di Euro 177.589,05 a titolo di restituzione degli "anticipi bonus" corrisposti all'agente e veniva disposta CTU contabile. Espletata la stessa, la causa perveniva alla discussione finale che avveniva mediante scambio di note di trattazione scritta ai sensi dell'art. 83 D.L. n. 18 del 2020. Le domande avanzate in via principale dalla banca ricorrente e in via riconvenzionale dall'agente convenuto vanno accolte nei limiti che seguono. I punti cruciali della controversia vertono, da un lato, sulla eccezione di nullità ed inoperatività della clausola di stabilità che il (...) oppone alla domanda di restituzione degli anticipi avanzata dalla banca e, per altro verso, sulla contestazione da parte dell'agente dell'inadempimento da parte della banca preponente del contratto di agenzia, quale presupposto della giusta causa del recesso dell'agente. Clausola di stabilità Con riferimento al primo aspetto relativo alla clausola di stabilità, occorre premettere che il (...) non disconosce di aver incassato a titolo di anticipo provvigionale la somma di Euro 177.589,05, né contesta la parziale compensazione operata dalla Banca trattenendo l'importo di Euro 4.454,00 giusta fattura n. (...), limitandosi ad asserire di nulla dovere a tale titolo in ragione della presunta inefficacia della clausola di stabilità di cui alla lett. I della proposta integrativa al contratto. Detta clausola prevedeva un orizzonte minino di permanenza del promotore finanziario presso la banca preponente pari a 84 mesi, stabilendo che se prima di detto termine il promotore fosse receduto di propria iniziativa per qualsiasi ragione, ovvero la banca fosse receduta per giusta causa, l'agente sarebbe stato tenuto a restituire tutte le somme percepite a titolo di Anticipo Bonus di Portafoglio che non risultassero già compensate dalle quote annuali di bonus. In giurisprudenza è riconosciuta la possibilità per il lavoratore subordinato di disporre liberamente della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso. Non contrasta pertanto con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all'esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima. La medesima clausola non rientra neppure in alcuna delle ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 1341 cod. civ., per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto (Cass. n. 17817 del 07/09/2005; Cass. n. 1435 del 11/02/1998). In tema di cd. patto di stabilità nel contratto di lavoro subordinato, fuori dalle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., il lavoratore può liberamente disporre della facoltà di recesso, pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto nell'interesse del datore di lavoro, purché la stessa sia limitata nel tempo e sia previsto un corrispettivo; la corrispettività, tuttavia, non va valutata atomisticamente, come contropartita dell'assunzione dell'obbligazione, bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali, potendo consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, quale una maggiorazione della retribuzione o una obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore (Cass. n. 14457/2017). La validità dei patti di stabilità è ormai riconosciuta anche nei contratti degli agenti operanti nel settore finanziario sia dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 19300 del 29/09/2015) sia dalla giurisprudenza di merito (Trib. Torino n. 356/2017 conf. App. Torino n. 189/2019; Trib. La Spezia 22/11/2018; Trib. Napoli 8/10/2015; Trib. Velletri 29/12/2015). Nel caso di specie, va respinta l'eccezione di nullità ex art. 1344 c.c. della clausola per violazione dell'art. 1750 c.c. sollevata dal (...) in ragione della paventata disparità delle parti rispetto alla facoltà di recesso. Deve infatti ritenersi legittima la previsione di una garanzia di durata minima del rapporto nell'interesse della banca alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali contenute nella proposta contrattuale sottoscritta dall'agente in data 14/6/2011. La validità della clausola di stabilità si fonda infatti sulla libertà del promotore di disporre della sua facoltà di recesso in cambio del corrispettivo consistente nei benefici aggiuntivi nonché nella possibilità di godere di anticipi provvigionali per fronteggiare l'incertezza connessa all'inizio dell'attività dell'agente. La descritta corrispettività che caratterizza la pattuizione in esame disvela anche la differente natura della clausola di stabilità rispetto alla clausola penale che ha, invece, la funzione di predeterminare gli effetti dell'inadempimento. Va parimenti respinta l'eccezione di invalidità della clausola per il mancato recepimento della proposta integrativa nel successivo contratto di agenzia stipulato tra le parti del 13.06.2011, sol che si consideri come la proposta integrativa costituisce un accordo autonomo, peraltro perfezionatosi in data 14.06.2011. Deve, infine, essere esclusa la denunciata natura vessatoria della clausola di stabilità quinquennale, non rientrando in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, secondo comma c.c. (Cass. n. 19300 del 29/09/2015). La disciplina delle clausole c.d. vessatorie opera, infatti, a tutela del contraente debole nei soli casi di contratti con "condizioni generali" applicabili a una pletora indistinta di contraenti e predisposte da uno dei contraenti, o di stipula mediante sottoscrizione di moduli o formulari, e nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie, ove la pattuizione relativa alla clausola di stabilità risulta l'esito dell'espressione della comune volontà delle parti. Alla riscontrata validità della clausola di stabilità, consegue il riconoscimento del diritto della banca alla restituzione degli "anticipi bonus" corrisposti all'agente, quantificabili nella somma non contestata di Euro 177.589,05, ravvisandosi idonea prova del credito nella scrittura privata del 31.5.2011 (all. 2 fasc. ricorrente), delle n. 12 fatture le cui causali contengono un espresso e non equivoco richiamo all'anticipo premio portafoglio (all. 3) e della lettera di dimissioni del 31.1.2014 (all. 5). Giusta causa Passando ad esaminare l'ulteriore aspetto problematico della controversia relativo alla sussistenza della giusta causa di recesso, funzionale alla fondatezza o meno delle ulteriori domande rispettivamente azionate dalle parti, deve preliminarmente richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2011, n. 3869; Cass. civ. sez. II, 15 aprile 2009, n. 8948; Cass. civ. sez. lav. 25 luglio 2008, n. 20497; Cass. civ. sez. III, 12 gennaio 2006, n. 422) secondo cui nel contratto di agenzia per stabilire se lo scioglimento del contratto stesso sia avvenuto o meno per fatto imputabile al preponente o all'agente, tale da impedire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, può essere utilizzato il concetto di giusta causa di cui all'art.2119 cod. civ., dettato per il lavoro subordinato, stante l'evidente analogia che sussiste tra entrambi i rapporti, egualmente fondati sulla prevalente rilevanza dell'elemento fiduciario. In particolare, la giusta causa di recesso dell'agente può essere identificata solo con l'inadempimento, colpevole e di non scarsa importanza, del preponente, che leda in misura considerevole l'interesse del primo e renda impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto (Cass. civ., sez. II, 15 aprile 2009, n. 8949; Cass. civ., sez. lav., 25 luglio 2008, n. 20497; Cass. civ. sez. lav., 10 ottobre 2005, n.19678). Nel caso concreto, va escluso che il recesso del promotore finanziario dal rapporto di agenzia sia stato assistito da giusta causa, non ricorrendo condotte della mandante idonee a giustificare la risoluzione immediata del contratto. In particolare, il (...) indica una serie di circostanze che avrebbero ostacolato l'attività da lui svolta e gradualmente ed irrimediabilmente deteriorato il rapporto fiduciario con la banca, consistenti essenzialmente nella campagna mediatica sulle negative condizioni della (...) spa protrattasi fino ad inizio 2014, nella creazione della nuova Banca on line (...) spa, nonché nei disinvestimenti da parte di taluni clienti determinati dai timori circa la affidabilità dell'istituto bancario nel gestire gli investimenti. La giurisprudenza di merito che si è già occupata dell'argomento ha concluso per l'irrilevanza di tali addebiti rispetto alla sussistenza della giusta causa del recesso dal rapporto di agenzia (fra le altre, Trib. Bari 1509/17 conf. in appello; Trib. Torino n. 356 del 2017; Trib. Genova 11 mar. 2016, n. 214; Trib. Nocera Inferiore n. 1903/2016 conf. in appello). Deve anzitutto escludersi che lo stato di grave difficoltà della Banca costituisce circostanza atta a giustificare la giusta causa di recesso. Il resistente non contesta alla mandante comportamenti o inadempimenti specifici alla stessa imputabili, ma si limita a riferirsi alla situazione di generale crisi, di credibilità e di immagine, in cui versava, all'epoca la Banca, in conseguenza di fatti, genericamente indicati, ma tali elementi, di per sé, non rilevano sullo specifico rapporto di agenzia de quo in modo tale da renderlo assolutamente improseguibile. Va poi messa in evidenza la tardività delle doglianze, atteso che si tratta di vicende certamente antecedenti ed apparse a stampa ben prima della decisione di recedere in tronco. Il fatto che la Banca preponente versasse in una gravissima situazione di difficoltà finanziaria fin dall'anno 2006 può dirsi notorio almeno a partire dall'anno 2013, come emerge dagli stessi articoli di stampa prodotti dal resistente, sicché la circostanza non appariva assolutamente nuova per il (...) né sufficiente a giustificare la risoluzione immediata del contratto di agenzia solo nel gennaio 2014. Gli addebiti si riferirebbero ad eventi occorsi molto tempo prima della comunicazione di recesso operata dal resistente nel gennaio 2014 sicché la loro rilevanza sullo specifico rapporto di agenzia in modo tale da renderlo assolutamente improseguibile risulta smentita per tabulas dalla stessa condotta concludente dell'agente, che ha proseguito il proprio rapporto di agenzia e ha atteso il gennaio 2014 per comunicare il recesso con effetto immediato senza mai segnalare in precedenza della sua crescente difficoltà e impossibilità di proseguire il rapporto. Come osservato da condivisibile giurisprudenza di merito (Trib. La Spezia n. 347/2018) "a fronte della venuta a conoscenza di condotte astrattamente costituenti giusta causa di recesso, la parte che se ne duole deve farle valere con tempestività, non potendo invocarle a distanza di considerevole (o significativo) lasso di tempo (v., per il principio, ricavabile dal contenzioso in materia di lavoro subordinato: Cass. 11 ago. 2015, n. 16683, Id. 1 lug. 2010, n. 15649 ed altre; in materia di agenzia, v. Id. 20 ago. 1983, n. 5446, Id. 11 dic. 1974, n. 4218)". E' poi del tutto insufficiente allegare che alcuni clienti avessero chiesto di disinvestire i prodotti della ricorrente, senza allegare se tali richieste abbiano avuto seguito e quale concreta ripercussione abbiano avuto sul portafoglio dell'agente (così già Trib. Genova 20 mag. 2015, in atti prodotta). Queste osservazioni sono pienamente calzanti anche nel caso di specie, atteso che la capitolazione dedotta dal convenuto si limita proprio a generiche circostanze, senza che sia fornita alcuna indicazione dell'incidenza negativa che le condotte della Banca (o la sue vicende) abbiano avuto sul portafoglio clienti da lui complessivamente gestito e sul suo fatturato. A tal proposito, le fatture prodotte (all. 14 memoria) attestano importi variabili nel corso del tempo, e addirittura crescenti in prossimità del recesso (v. fattura dicembre 2013), che confermano una tendenza assolutamente non negativa degli affari. Quanto poi alla creazione della banca on line (...), va evidenziata l'indubbia legittimità della riorganizzazione, mirata oltre che ad adeguare l'attività allo sviluppo tecnologico, anche a risolvere (o quanto meno a contenere) la critica situazione nella quale (...) si trovava. In definitiva, come già osservato dalla giurisprudenza di merito in altri casi analoghi (cfr. Trib. Torino n. 356 del 2017) la scelta di recedere a gennaio 2014, in assenza di una qualsiasi precedente contestazione nei confronti della preponente, a cui è succeduta, dopo un breve termine, la stipula di un contratto di agenzia nei confronti di una altra banca, appare più fondata sull'opportunità di aver trovato un nuovo posto di lavoro che sull'intollerabilità della prosecuzione del rapporto con Montepaschi. Alla luce di tali osservazioni, l'invocata giusta causa non è ravvisabile. Indennità di mancato preavviso Proprio in considerazione della assenza della giusta causa di recesso, va anzitutto riconosciuta alla banca e non all'agente (che la domandava in via riconvenzionale) l'indennità di mancato preavviso che, seppur quantificata dal CTU nella superiore somma di Euro 18.606,22, va liquidata entro i limiti della domanda in Euro 11.934,03. Indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. Passando ad esaminare le ulteriori pretese economiche di (...), alla riscontrata insussistenza della giusta causa del recesso dell'agente consegue altresì il rigetto della domanda riconvenzionale dell'agente di corresponsione dell'indennità di cessazione del rapporto di cui all'art. 1751 c.c. Com'è noto, infatti, l'indennità di scioglimento del contratto ex art. 1751 c.c. spetta, nel caso di recesso dell'agente, solo se giustificato da circostanze attribuibili al preponente (Cass. n. 16388/2008; Cass. n. 16507/2015). Pertanto, avendo escluso la sussistenza di una giusta causa di recesso, non ricorrono le condizioni per riconoscere al (...) il diritto a percepire tale indennità. Indennità artt. 12 e segg. dell'AEC Passando ad esaminare la domanda subordinata di pagamento delle indennità di risoluzione del rapporto ex artt. 12 e segg. dell'aec, deve premettersi che le suddette indennità traggono la loro fonte contrattuale negli artt.12 e 13 AEC, contenendo il contratto di agenzia sottoscritto dalle parti all'art.14 un esplicito richiamo alle norme del vigente CCNL di categoria, da individuarsi per l'appunto nell'Accordo Economico Collettivo per gli agenti di commercio 2009. Il richiamato art. 13, con l'espresso proposito di dare piena ed esaustiva applicazione all'art. 1751 cod. civ. anche in riferimento alle previsioni dell'art. 17 della Direttiva CEE n. 86/653, individuando con funzione suppletiva modalità e criteri applicativi, particolarmente per quanto attiene alla determinazione in concreto della misura dell'indennità in caso di cessazione del rapporto, e introducendo nel contempo condizioni di miglior favore per gli agenti e rappresentanti di commercio, contempla i presupposti e i criteri di quantificazione di tutte le indennità dovute in caso di scioglimento del rapporto, compreso il F., anche per quanto attiene il limite massimo da attribuire in relazione a quanto stabilito dall'articolo 1751, 3 co., cod. civ. In particolare, il comma 2 dell'art. 13 prevede che "l'indennità in caso di cessazione del rapporto sarà composta da tre emolumenti: - il primo, denominato "Indennità di risoluzione del rapporto", viene riconosciuto all'agente o rappresentante anche se non ci sia stato da parte sua alcun incremento della clientela e/o del fatturato, e risponde principalmente al criterio dell'equità; - il secondo, denominato "Indennità suppletiva di clientela", sarà riconosciuto ed erogato all'agente o rappresentante secondo le modalità di cui al successivo capo II. Anche tale emolumento risponde al principio di equità, e non necessita per la sua erogazione della sussistenza della prima condizione indicata nell'art. 1751, I co., c.c.; - il terzo, denominato "Indennità meritocratica" risponde ai criteri indicati dall'art. 1751 c.c., relativamente alla sola parte in cui prevede come presupposto per l'erogazione l'aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l'acquisizione di nuovi clienti". Al successivo comma 4 viene ulteriormente stabilito che le predette indennità di scioglimento del contratto vanno computate su tutte le somme, comunque denominate, percepite dall'agente nel corso del rapporto, nonché sulle somme per le quali, al momento della cessazione del rapporto, sia sorto il diritto al pagamento in favore dell'agente o rappresentante, anche se le stesse non siano state in tutto o in parte ancora corrisposte. Ciò premesso, va anzitutto riconosciuta l'indennità di risoluzione del rapporto, disciplinata dall'art. 13 capo I, a mente del quale "All'atto della cessazione del rapporto, spetta all'agente o rappresentante una indennità, calcolata sulla base delle provvigioni maturate e liquidate fino al momento della cessazione stessa, secondo le misure di seguito riportate". La suddetta indennità va riconosciuta nella misura quantificata dal CTU e pari alla somma di Euro 4.276,97 oltre Iva ed accessori, calcolata dal CTU ponendo correttamente a base di calcolo tutte le provvigioni desumibili dagli atti di causa ritualmente prodotti in sede di costituzione in giudizio dalle parti, ed in particolare le fatture allegate al fascicolo dell'agente, tenuto conto della mancata produzione agli atti di causa dei versamenti eseguiti presso il fondo F., avendo il CTU potuto solo accertare un riferimento negli atti processuali (per quanto non documentato) della somma di Euro. 1.423,39 indicata dalla ricorrente (...) come non versata al (...) (cfr. pp. 5 e 17 relazione in atti). I predetti conteggi vanno ritenuti corretti poiché correttamente il CTU non ha acquisito d'ufficio e preso in considerazione documentazione non prodotta in allegato, trattandosi comunque di documentazione nella disponibilità della parte, di formazione preesistente alla costituzione in giudizio. Né potrebbe sopperirsi alla lacuna probatoria della parte tramite l'attivazione dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c., atteso che tali poteri non possono essere utilizzati per sopperire alle decadenze e preclusioni già maturatesi. È invece infondata la richiesta di pagamento della indennità suppletiva di clientela. Tale indennità, disciplinata dall'art. 13 capo III dell'AEC 2009, per quanto qui interessa, in caso di risoluzione del rapporto di Agenzia, non spetta all'agente l'indennità sostitutiva di clientela ove il rapporto sia cessato per volontà ed iniziativa dell'agente, salvo i casi espressamente previsti; sarà corrisposta anche in caso di dimissioni dell'agente, se dovute, fra l'altro, a circostanze attribuibili al preponente. Ma poiché s'è visto come il recesso unilaterale non è attribuibile al preponente, attesa l'insussistenza della giusta causa di dimissioni dell'agente, ne consegue che a quest'ultimo non spetta l'indennità suppletiva di clientela. Va infine respinta la domanda relativa all'indennità meritocratica. Va evidenziato come quest'ultima indennità sia finalizzata a premiare la professionalità dell'agente, individuando come presupposto l'aumento del fatturato con la clientela esistente, l'acquisizione di nuovi clienti, oltreché il prolungarsi degli effetti afferenti gli affari conclusi in termini di aumento del fatturato a beneficio del preponente. Nel caso di specie non ricorrono i presupposti per il riconoscimento di tale indennità, dal momento che l'art. 13 prevede espressamente che l'indennità meritocratica non sia dovuta quando l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività, tutte circostanze insussistenti nel caso di specie. Inoltre, la predetta indennità non può essere riconosciuta anche perché l'agente non ha provato né ancor prima allegato l'incremento e la fidelizzazione della clientela per suo merito. A tal riguardo, la domanda dell'agente risulta carente in punto di allegazione, in quanto non fornendo nono solo i dati iniziali del fatturato, neppure i dati finali del fatturato e la clientela dallo stesso procurata e fidelizzata, limitandosi alla mera allegazione delle fatture senza alcuna estrapolazione di dati e riferimenti specifici, non consente. Sotto tale aspetto si evidenzia come neppure risultano articolate richieste istruttorie orali, limitandosi l'agente a richiedere l'esperimento di una CTU con finalità evidentemente esplorative. Le spese del giudizio vanno compensate per un terzo, tenuto conto della parziale soccombenza reciproca, e condanna il convenuto al pagamento dei restanti due terzi liquidati come in dispositivo. Le spese di CTU vanno poste a carico del convenuto, in ragione della prevalente soccombenza. P.Q.M. Così definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa: - condanna (...) a corrispondere alla (...) S.P.A. la somma di Euro 177.589,05 a titolo di restituzione degli anticipi bonus e la somma di Euro 11.934,03 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, oltre interessi; - condanna la (...) S.P.A., a corrispondere a (...) la somma complessiva di Euro 4.276,97 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto, oltre Iva ed accessori; - compensa per un terzo le spese di lite e condanna il convenuto al pagamento dei restanti due terzi che liquida in Euro 4.000,00, oltre iva, cpa e spese generali come per legge; - condanna il convenuto al pagamento delle spese di CTU liquidate con separato decreto. Così deciso in Trapani il 29 maggio 2020. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ROMA SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA La Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro, 5 collegio, composta dai seguenti magistrati: dott. Giorgio Poscia - Presidente dott. Carlo Chiriaco - Consigliere dott. ssa Sabrina Mostarda - Consigliere rel. all'udienza del 10.5.19 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al n.3302/17 vertente tra: BI. in liquidazione In persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Ta., Fa.Pa., Ma.Mu. APPELLANTE E FONDAZIONE (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Sa. APPELLATO Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 2735/17 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La Bi. propone appello avverso la sentenza del tribunale di Roma di rigetto del ricorso in opposizione proposto dalla società al decreto ingiuntivo n. 9503/2015 ottenuto da (...) per il pagamento di Euro 138.701,77 a titolo di omissioni contributive relative al periodo II trim 2009/II trim 2013. I contributi erano stati richiesti da (...) sulla base del verbale ispettivo del 19.11.13 con riferimento alla posizione dei collaboratori (...), (...) e (...) sul presupposto che i contratti di procacciamento di affari dissimulassero un rapporto di agenzia, e con riferimento alla posizione degli agenti (...) e (...), sul presupposto che il rapporto di agenzia decorresse rispettivamente dall'ottobre 2010 e settembre 2010, anziché dal 1.1.2011. Il tribunale, richiamata la giurisprudenza in materia di differenze fra agente e procacciatore d'affari, ha affermato che dalla documentazione risultava che il rapporto fra la società ed i collaboratori (...), (...) e (...) si era sviluppato continuativamente dal 2009 sino alla visita ispettiva del novembre 2013, che i collaboratori avevano sempre emesso fatture con cadenza mensile, in ordine piuttosto progressivo e per importi di consistente e/o comunque non irrilevante entità. Queste fatture venivano emesse non già all'esito della conclusione di un singolo affare, bensì di più affari conclusi; inoltre i collaboratori percepivano un fisso mensile, a titolo di anticipo provvigioni. Questi elementi fattuali, ed in particolare la pattuizione di un anticipo provvigionale corrisposto con cadenza fissa mensile, in assenza di prova contraria, erano chiari indici non solo della assiduità e continuità della prestazione e, dunque, della non episodicità dell'attività di promozione svolta dal singolo collaboratore, ma anche della stabilità del vincolo. Per quanto poi atteneva agli agenti (...) e (...) correttamente gli ispettori avevano ritenuto di dover retrodatare detti rapporti, rispettivamente al settembre ed ottobre 2010, in considerazione del fatto che le fatture emesse nel periodo anteriore alla formale iscrizione erano identiche rispetto a quelle emesse successivamente al gennaio 2011, riportando tutte la medesima dicitura "acconto provvigioni" ed il medesimo importo di Euro 4.000,00 mensili. La Bi. ha proposto appello lamentando l'errata motivazione in ordine alle differenze tra contrato di agenzia e contratto di procacciamento d'affari. La differenza, afferma parte appellante, non potrebbe dipendere esclusivamente dall'intensità dell'attività svolta, la cui fatturazione periodica sarebbe solo una conseguenza di questo aspetto quantitativo della prestazione. L'unica distinzione oggettiva sarebbe che mentre la prestazione dell'agente è stabile avendo egli l'obbligo di svolgere attività di promozione, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa. L'occasionalità si afferma, si riferisce solo al tipo di incarico e non alla cadenza o alla periodicità. Il flusso regolare e continuo di trasmissioni di proposte di contratto non permette di qualificare il procacciatore nei termini di agente ogni volta in cui l'attività è resa non in forza di un dovere assunto ma in maniera spontanea. Con un secondo motivo d'appello parte appellante lamenta l'erronea valutazione della prova documentale. La fatturazione mensile non sarebbe in grado di provare che i collaboratori abbiano agito in adempimento di un obbligo. Il fatto che le fatture fossero emesse non all'esito del singolo affare ma per più affari conclusi non è elemento dirimente. Anche l'erogazione di un anticipo fisso mensile non snaturerebbe la natura del contratto di procacciamento. L'onere della prova gravava inoltre su (...) ed era rimasto inadempiuto. Con un terzo motivo d'appello parte appellante lamenta l'erronea valutazione delle risultanze documentali quanto alla posizione di (...) e (...). Resiste (...) chiedendo il rigetto dell'appello. All'odierna udienza la causa è stata decisa, previa concessione di termine per note, con pubblica lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE I primi due motivi d'appello sono infondati. Il tribunale si è correttamente attenuto alla giurisprudenza della Cassazione in ordine alla differenza fra agente e procacciatore d'affare, operata avendo riguardo principalmente al criterio della stabilità ed alla natura dell'incarico e secondo la quale un'attività promozionale può rientrare nello schema del mandato (e quindi del procacciamento d'affari) e non dell'agenzia solo se è episodica ed occasionale (Cass. n. 2828/16). Il rapporto di procacciamento d' affari è infatti episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l' attività promozionale stabile di conclusione di contratti. La Suprema Corte afferma:: "secondo la consolidata interpretazione di questa Corte, i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente (art. 1742 c.c.), realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto del procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa (così Cass. n. 19828 del 28/08/2013, Cass. n. 13629 del 24/06/2005). Ne consegue che il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento di affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento d' affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l' attività promozionale stabile di conclusione di contratti..........In merito agli elementi che identificano il contratto di agenzia, differenziandolo dal mandato, si è affermato che, diversamente dal mandatario, il quale compie atti giuridici per conto del mandante, l'agente si limita verso corrispettivo, a promuovere la conclusione di affari tra preponente e terzi nell'ambito di una zona determinata, salvo che, come previsto dall'art. 1752 cod. civ., gli sia stato attribuito (anche) il potere di stipulare i contratti in rappresentanza di colui che gli ha affidato l'incarico: in relazione a questa possibilità la riconduzione del rapporto all'uno o all'altro schema va operata avendo riguardo ad altri criteri, tratti dalla disciplina positiva, e, principalmente,a quello della stabilità la quale è caratteristica del rapporto di agenzia e comporta che l'incarico sia stato dato per una serie indefinita di affari (v. Cass. n. 10265 del 1998; Cass. sent. n.2675 del 1967; n.3890 del 1969; n.2011 del 1974 ; n. 4942 del 1985). Si aggiunge che mentre nel mandato l'incarico può essere relativo al compimento di una serie indeterminata di atti giuridici, l'incarico relativo alla promozione della conclusione di affari costituisce la causa tipica del contratto di agenzia, sicché solo l'attività promozionale compiuta con le caratteristiche del procacciamento d'affari può rientrare nello schema del mandato, diversamente dovendo ritenersi sussistente un contratto di agenzia (Cass. cit.) Afferma la Cassazione quanto alle differenze fra le due tipologie contrattuali agenzia e procacciamento d'affari: "Caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa. (Cass. n. 12276/12; Cass. n. 19828/13) Sono elementi sintomatici della presenza di un vincolo stabile la continuità del rapporto, la stabilità, la coordinazione, l'erogazione di acconti fissi mensili con conguagli a fine mese, il riferimento a tutti i possibili affari perseguiti e non ad un singolo affare: secondo la Cassazione il giudice di merito deve tener conto "ai fini di riconoscere od escludere la sussistenza dei rapporti di agenzia, della presenza o della assenza dei connotati della "stabilità" e "continuità"" e quindi considerare se i collaboratori interessati siano "preposti a tutti gli affari di una certa specie per un certo tempo, in coordinazione con l'attività del preponente.... Tali elementi, unitamente alla circostanza dell'erogazione di acconti fissi mensili con conguagli a fine anno ed alla considerazione che l'incarico era riferito a tutti i possibili affari perseguiti e non già ad un singolo e determinato affare, non sono stati adeguatamente presi in esame dal giudice a quo, nonostante la loro potenziale idoneità a dimostrare l'esistenza di un rapporto di agenzia, in quanto incompatibili con un rapporto di procacciamento di affari, che - secondo l'univoco indirizzo giurisprudenziale - deve essere caratterizzato da una collaborazione professionale autonoma "in via del tutto episodica" (tra le tante, Cass. 24 giugno 2005 n. 13629; Cass., 5 giugno 1998, n. 5569 e Cass. 9686/2009). Né può essere valorizzata la circostanza che il preponente fosse libero di accettare o meno gli affari procurati procedendo direttamente alla conclusione dei contratti con i clienti nel caso in cui decidesse di accettarli, costituendo il rapporto di agenzia con rappresentanza un'ipotesi del tutto peculiare ed essendo, al contrario, connaturale con il rapporto di agenzia la mancanza in capo agli agenti del potere di impegnare la società nei confronti di terzi (Cass. cit.) Alla luce di questi elementi si deve affermare che la sola omessa previsione contrattuale dell'obbligo di promuovere gli affari non costituisce elemento decisivo per la qualificazione dei rapporti perché occorre considerare la continuità e stabilità dei rapporti quale indice sintomatico dell'assunzione nel concreto del suddetto obbligo. A tal fine va rilevato che i rapporti di cui è causa sono durati anni, sono continuativi (sia nel senso temporale, sia di flusso economico), relativi ad affari non episodici nel mese e nell'anno ed affatto limitati a contatti sporadici ovvero a singoli affari determinati ed occasionali e quindi non limitata ad una mera "segnalazione" di clienti ovvero ad una "sporadica raccolta di ordini". I rapporti si sono poi svolti con l'attribuzione di una determinata "zona" a ciascun collaboratore, elemento non decisivo ma certamente sintomatico della stabilità del rapporto. Quanto alle modalità dei compensi vi è un'unica fatturazione mensile anche se relativa a più affari nel mese e con previsione cumulativa e per alcuni collaboratori anche progressiva, sicuramente per affari non occasionali e quindi incompatibile, in via astratta, con l'occasionalità ed episodicità delle prestazioni. Nelle fatture è previsto un rimborso spese in misura fissa ed un "acconto", che secondo gli ispettori costituisce elemento sintomatico di un obbligo, e quindi di una aspettativa della società dell'esecuzione della prestazione di lavoro (per cui si anticipa il pagamento), ed è quindi acconto che, secondo la giurisprudenza sopra menzionata, costituisce indice del rapporto di agenzia. In alcuni atti aziendali, rilevano gli ispettori, il rapporto viene definito di agenzia (es. atto di cessione d'azienda, modelli 770), mentre tutti i collaboratori erano iscritti all'(...). In presenza di questi elementi probatori correttamente gli ispettori hanno qualificato d'agenzia i rapporti di collaborazione in atti, valutazione da confermare in questa sede senza che dall'istruttoria siano emersi elementi di contrario avviso. con gli accertamenti effettuati ma soprattutto con la documentazione in atti (...) ha assolto al proprio onere probatorio, con conseguente assorbimento del secondo motivo d'appello. L'ultimo motivo d'appello è infondato. Prima della stipulazione del contratto di agenzia i due agenti (...) e (...) hanno lavorato con le modalità di cui sopra, con conseguente configurabilità di un rapporto di agenzia. Oltre ai motivi sopra esposti va inoltre rilevato, quale ulteriore indizio dell'esistenza di un rapporto di agenzia già evidenziato dal tribunale, che le fatture emesse per i due collaboratori (poi divenuti agenti) nel periodo sotto copertura del contratto di agenzia e quelle emesse nel periodo antecedente sono del tutto identiche. Tale elemento probatorio permette di affermare, a maggior ragione, l'identità della tipologia contrattuale di fatto in essere fra le parti nel corso del tempo. Con riferimento al nome iuris è vero che non si deve prescindersi dalla volontà dei contraenti e, che va tenuto presente il "nomen iuris" utilizzato dalle parti, ma questo non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi conto altresì, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto (Cass.n.12276/12); d'altro canto pur anche sotto questo aspetto, va rilevato che la stessa (...) spa in alcuni documenti si è riferita ai suoi collaboratori quali "agenti". Alla luce di questi elementi e considerando che la giurisprudenza afferma che alcune caratteristiche del rapporto sono indici evidenti di un'attività promozionale di conclusioni dei contratti, quando l'attività del preposto sia continuativa (sia nel senso temporale sia di flusso economico), di durata non limitata nel tempo e non ristretta ad una episodica collaborazione per singoli affari determinati ed occasionali e quindi non limitata ad una mera "segnalazione" di clienti ovvero ad una "sporadica raccolta di ordini", deve ritenersi che sono proprio gli elementi indicati dal tribunale ("l'erogazione di provvigioni fatturate periodicamente e quindi non in relazione al singolo affare ma raggruppando in periodi gli affari procurati (ogni trimestre, ogni semestre), l'entità e misura delle provvigioni corrisposte") che costituiscono indice del rapporto di agenzia. Tali elementi, considerati unitariamente alla considerevole durata dei rapporti ed alla tipologia del rapporto con la società, che legava a sé i collaboratori con l'impegno contrattuale riservandosi la revoca, sono indici sufficienti per il riconoscimento del rapporto di agenzia. Le spese processuali del doppio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. - rigetta l'appello; -condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado liquidate in Euro 4.757,00, oltre spese forfettarie al 15%, iva e cap; -si dà atto che sussistono le condizioni per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228. Così deciso in Roma il 10 maggio 2019. Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 14301/2015 promossa da: (...) SRL (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. DE.ST. e dell'avv. PE.DI. ((...)) VIA (?) 20135 MILANO; BO.MI. ((...)) VIA (?) 40126 BOLOGNA; , elettivamente domiciliato in VIA (?) 20135 MILANO, presso il difensore avv. DE.ST. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CA.FA. e dell'avv. , elettivamente domiciliato in VIA (?) 61300 ASCOLI PICENO, presso il difensore avv. CA.FA. CONVENUTO/I OGGETTO Opposizione a decreto ingiuntivo numero 3109 del 2014 R.G. del Tribunale di Bologna. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione in riassunzione ex artt. 38, 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., la (...) s.r.l. (in seguito, solo (...), ovvero (...), ovvero (...)) riassumeva il processo avverso (...) (successivamente, solo (...) avanti al Tribunale Ordinario di Bologna, in seguito alla dichiarazione di incompetenza del Giudice del Lavoro cui la causa era stata originariamente devoluta. In data 17 ottobre 2014 era emesso dal Tribunale di Bologna, sezione Lavoro, decreto ingiuntivo n. 1371/2014=3109/2014 R.G., con cui si ingiungeva a (...) di pagare a (...) la somma di Euro 6.344,00, oltre a interessi e rivalutazione monetaria. L'ingiunta si opponeva e presentava diverse domande riconvenzionali. Così deduceva in riassunzione. Il 24 gennaio 2013 (...) e (...) sottoscrivevano un contratto di agenzia con cui la seconda si impegnava a promuovere la conclusione di contratti aventi ad oggetto spazi pubblicitari nella zona del Centro-Sud Italia. Il giorno stesso le parti concludevano altresì un accordo di coordinamento, causalmente e funzionalmente collegato al contratto di agenzia. Un anno dopo, il 28 marzo 2014, (...) recedeva dal contratto (con raccomandata ricevuta da (...) il 2 aprile 2014) perché, a suo dire, (...) non aveva ben adempiuto alle obbligazioni assunte contrattualmente. Nella medesima data, anche l'accordo di coordinamento era risolto, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto di agenzia. (...) assegnava il termine di preavviso pattuito: di tre mesi per il contratto di agenzia e di un mese per l'accordo di coordinamento. Tuttavia, parte opponente lamentava che (...) non avrebbe rispettato il predetto termine e avrebbe iniziato un rapporto di collaborazione con una società concorrente di (...), la (...) s.r.l., in violazione del dovere di esclusiva concordato. Il 30 giugno 2014 (...) inviava a (...) la fattura n. (...) di importo pari ad Euro 6.344,00, per rimborso spese e premio semestrale, non contrattualmente previsti. (...) rifiutava il pagamento di tale fattura, sicché nell'ottobre dello stesso anno (...) ricorreva per il decreto ingiuntivo, qui opposto. Pertanto, nella propria opposizione, (...) chiedeva, in primo luogo, la revoca del decreto ingiuntivo perché avente ad oggetto somme non nascenti da alcuna obbligazione, contrattualmente pattuita. Non era, infatti, mai stato stipulato alcun accordo scritto avente ad oggetto il rimborso delle spese nonché i sistemi di incentivazione semestrale. In ordine alla prova della debenza di dette somme, (...) evidenziava che la fattura commerciale di cui al decreto ingiuntivo, in quanto contestata, non costituiva di per sé prova sufficiente nel giudizio di cognizione, trattandosi di atto a formazione unilaterale. In via riconvenzionale chiedeva: 1) la restituzione delle provvigioni anticipate e non maturate per 30.035,66 euro. Infatti, della somma inizialmente anticipata di 112.751,08, (...) affermava esserle state restituiti unicamente 82.715,24 euro; 2) la restituzione di 7.654,85 euro a fronte dell'erogazione di complessivi Euro 10.940,59 a titolo di acconto (un primo acconto di 5.940,59 oltre IVA e un secondo acconto di 5.000,00 oltre IVA); 3) il risarcimento del danno, nella misura di Euro 198.296,00, per violazione del dovere di esclusiva da parte di (...) derivante dall'aver (...) effettuato prestazioni a favore della società (...) s.r.l., svolgente attività concorrente a quella della attrice. Con memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c., contenente domanda riconvenzionale, si costituiva in giudizio (...) la stessa contestava, in fatto e in diritto, le deduzioni di controparte. Parte convenuta affermava che il recesso dal contratto fosse, in realtà, avvenuto solo il 24 aprile 2014. Secondo la difesa di (...), tale recesso era operato per giusta causa, identificabile nel fatto che il 7 aprile 2014 (...) aveva provveduto a ritirare materiali posseduti della opposta e necessari per la prosecuzione dell'incarico affidatole, rendendo di fatto impossibile l'ulteriore prosecuzione del rapporto di collaborazione. Inoltre, (...) precisava che la somma ingiunta era richiesta in base a un titolo contrattuale risultante dalla modificazione/integrazione del contratto, stipulato il 24 gennaio 2013, come emergeva da una mail del 30 gennaio 2013, con cui (...) riconosceva a (...) un compenso di coordinamento. Quanto alle domande riconvenzionali di parte opponente, (...) eccepiva che: 1) la richiesta di restituzione delle anticipazioni provvigionali sarebbe fondata limitatamente alla somma di Euro 21.764,32 ma che, in ogni caso, le somme non sarebbero nemmeno dovute perché la restituzione dell'anticipazione poteva essere corrisposta solo in caso di storno totale del contratto o di ritardo superiore a novanta giorni nel pagamento da parte dello sponsor; 2) parimenti, sarebbe infondata la richiesta di restituzione degli acconti perché l'importo di Euro 5.940,59 oltre IVA era stato interamente restituito, in seguito allo storno effettuato sulle fatture emesse, mentre l'importo di 5.000,00 oltre IVA non era mai stato corrisposto da parte di (...); 3) nessuna violazione del dovere di esclusiva si sarebbe verificato in quanto (...) non avrebbe mai assunto mandati di agenzia per società concorrenti in costanza di rapporto con la (...) e che, comunque, la ricorrente le aveva conferito un mandato di agenzia plurimandatario. In via riconvenzionale, (...) chiedeva condannarsi la società (...) alla corresponsione in favore della resistente dell'importo relativo alle provvigioni maturate dalla società nei mesi di marzo e aprile 2014 nonché al pagamento delle indennità di mancato preavviso, di fine rapporto, suppletiva di clientela e meritocratica nella misura complessiva di Euro 104.241,55, o nella diversa somma maggiore e minore ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione. Sempre in via riconvenzionale, (...) chiedeva condannarsi la opponente al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del comportamento della ricorrente nell'importo da determinarsi eventualmente secondo equità, oltre interessi e rivalutazione. In data 13 maggio 2015, stante la domanda riconvenzionale proposta da (...), il giudice differiva la udienza di discussione al giorno 23 settembre 2015. Veniva depositata memoria di replica alla riconvenzionale avversa, nell'interesse di (...), la quale, in via preliminare, rilevava come dovesse considerarsi inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata da controparte: (...), infatti, rivestendo la posizione di attore sostanziale nel giudizio de quo, non poteva proporre tale domanda, in quanto al di fuori dell'emendatio libelli. Successivamente, l'opponente contestava le deduzioni rese da controparte. All'udienza del 23 settembre 2015, il giudice, dato atto di deposito telematico non autorizzato da parte di (...), espungeva dal fascicolo la memoria non autorizzata; dichiarava l'incompetenza funzionale del Giudice del Lavoro; disponeva la trasmissione del fascicolo al Presidente del Tribunale di Bologna. In data 30 settembre 2015 il fascicolo veniva iscritto al R.G. 14301/2015 del registro contenzioso civile del Tribunale Ordinario di Bologna ed assegnato alla sezione seconda (civile ordinario, non più sezione lavoro), in persona del giudice (...). Il giudice, rilevato che doveva procedersi ai sensi dell'art. 427 c.p.c., fissava la udienza del giorno 26 maggio 2016; disponeva che tale udienza avesse valore di prima udienza; disponeva che parte attrice riassumesse il processo, notificando atto, avente contenuto di citazione, nonché il presente decreto, entro l'ordinario termine a comparire; disponeva che parte attrice, nel caso in cui intendesse semplicemente riferirsi al ricorso, confermasse lo stesso con un semplice atto di richiamo; disponeva che parte convenuta si costituisse entro l'ordinario termine a comparire. Riassunto il processo ad opera di (...), (...) si costituiva con comparsa di costituzione e risposta e spiegava domanda riconvenzionale, riportandosi integralmente a quanto dedotto ed argomentato nella memoria di costituzione ex art. 416 c.p.c. con domanda riconvenzionale. Pertanto, (...) domandava concedersi, in via preliminare, la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non essendo l'opposizione avversaria fondata su prova scritta, né di pronta soluzione; sussistendo altresì il pericolo di pregiudizio nel ritardo; respingersi, in via principale e nel merito, tutte le domande spiegate nei confronti della concludente, in quanto infondate in fatto ed in diritto; per l'effetto, confermarsi il decreto ingiuntivo opposto e comunque condannarsi l'opponente al versamento, in favore di (...), della somma di Euro 6.344,00 oltre accessori, rivalutazione monetaria ed interessi; volersi condannare, in via riconvenzionale e nel merito, la società (...) al pagamento, in favore di controparte, dell'importo relativo alle provvigioni maturate dalla società nei mesi di marzo e aprile 2014, al pagamento di quanto accantonato in costanza di rapporto pari al 10% delle provvigioni mensilmente corrisposte nonché al pagamento delle indennità di mancato preavviso, indennità di fine rapporto, indennità suppletiva di cliente ed indennità meritocratica, FIRR nella misura complessiva di Euro 249.618,03, o e nella diversa somma maggiore e minore ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione; condannarsi, in via riconvenzionale, la opponente al pagamento delle provvigioni spettanti alla convenuta per i contratti conclusi dalla stessa opponente nei sei mesi successivi alla risoluzione del contratto di agenzia nella misura ritenuta di giustizia, eventualmente secondo equità o sulla base della risultanze istruttorie; condannarsi, sempre in via riconvenzionale, (...) al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del comportamento dalla stessa tenuto, nell'importo da determinarsi eventualmente secondo equità, oltre interessi e rivalutazione. All'udienza del 26 maggio 2016, (...) chiedeva la provvisoria esecuzione nonché i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.; (...) si opponeva alla richiesta di provvisoria esecuzione. Si associava alla richiesta dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. All'esito, il giudice si riservava. A scioglimento della riserva, il giudice concedeva provvisoria esecutività al decreto opposto; disponeva che la provvisoria esecuzione fosse sottoposta alla condizione sospensiva non retroattiva della cauzione, le cui caratteristiche erano specificate nella ordinanza de quo; disponeva che fino alla prestazione della cauzione il decreto non fosse considerato esecutivo, nemmeno ai fini fiscali; ordinava alla cancelleria, nel caso in cui la cauzione fosse stata prestata, che il fascicolo fosse immediatamente sottoposto al giudice per farne constatare la esecutività; che fosse disposto l'esperimento del procedimento di mediazione delegata; avvisava che la mancata partecipazione personale della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo poteva essere valutata ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.; avvisava le parti che il mancato avvio del procedimento mediatorio avrebbe comportato la improcedibilità definitiva della opposizione; avvisava che, in quest'ultimo caso, il decreto ingiuntivo sarebbe divenuto definitivo ed irrevocabile; avvisava che, in caso di improcedibilità definitiva della opposizione, le spese della opposizione stessa sarebbero rimaste regolate dalle norme di legge; autorizzava le parti, dopo il termine dei quindici giorni, in caso di mancato avvio della procedura di mediazione, a richiedere al giudice una fissazione anticipata di udienza, al fine di far constare la improcedibilità definitiva. Contestualmente, concedeva i termini di cui all'articolo 183 c.p.c, decorrenti dal giorno 9 novembre 2016, come se la prima udienza si fosse ivi svolta; invitava le parti nelle prime memorie 183, comma 6, c.p.c. a chiarire e specificare taluni termini dalle stesse utilizzati nei precedenti atti prodotti; rinviava alla udienza del giorno 10 febbraio 2017, per decisione sulle prove. Veniva depositata prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. nell'interesse della società (...), la quale ribadiva integralmente quanto già argomentato e richiesto nella comparsa di costituzione e risposta. Veniva depositata prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. nell'interesse di (...), la quale, in ottemperanza alla ordinanza del 26 maggio 2016, chiariva il significato dalla stessa attribuito ai termini ivi indicati. (...) precisava, inoltre, come (...), nella propria comparsa di costituzione e risposta, avesse aggiunto un'ulteriore domanda riguardante l'indennità ex art. 1751 c.c.; come tale richiesta non fosse supportata da alcune prova sulla sussistenza dei relativi presupposti; come, infine, tale domanda dovesse considerarsi alternativa e non cumulabile alle domande di indennità di scioglimento del rapporto fondate sugli AEC. Veniva depositata seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. nell'interesse di (...), la quale indicava i mezzi di prova di cui intendeva avvalersi nel giudizio de quo. In particolare, richiedeva che fosse ammessa prova testimoniale; che fosse disposto l'interrogatorio formale del legale rappresentante della (...) che fosse disposto un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. nei confronti dell'opposta, avente ad oggetto le scritture contabili e tutta la documentazione relativa al rapporto contrattuale intercorrente tra (...) e (...) s.r.l., dalla costituzione di tale ultima società, avvenuta in data 04.04.2014, fino al decreto ingiuntivo del 17 ottobre 2014. Veniva depositata seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. nell'interesse della società (...), che contestava la asserita non ammissibilità della domanda riconvenzionale dalla stessa formulata in sede di deposito della propria costituzione in giudizio. Segnatamente, evidenziava che la suddetta domanda era stata correttamente formulata; che le argomentazioni e richieste formulate da controparte nel proprio atto introduttivo avevano determinato un ampliamento del thema decidendum, non essendosi quest'ultimo limitato a contestare quanto dedotto in sede monitoria; che, alla luce di ciò, non poteva negarsi alla convenuta il diritto di difesa in giudizio; che, nel caso de quo, si trattava di c.d. reconventio reconventionis, pacificamente ammessa e ammissibile nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Successivamente, ingiungente opposta esponeva le proprie richieste istruttorie. In particolare, domandava che fosse disposta l'emanazione, nei confronti di parte attrice, dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., meglio sopra descritto; che fosse ammesso l'interrogatorio formale del legale rappresentante della (...), nonché prova testimoniale dei testi e sui capitoli di prova dettagliatamente riportati in atti; che fosse, infine, ammessa consulenza tecnica d'ufficio per il calcolo delle effettive spettanze della stessa. In data 20 gennaio 2017, il giudice rinviava alla udienza del 17 febbraio 2017. Veniva depositata terza memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell'interesse di (...), la quale contestava l'ammissione delle istanze istruttorie formulate da controparte. Veniva depositata terza memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell'interesse di (...), che si opponeva all'ammissione delle prove testimoniali ex adverso formulate. All'udienza del 17 febbraio 2017, chiamata per decisione sulle prove, le parti insistevano sui rispettivi mezzi di prova, quali dedotti nelle seconde memorie 183 c.p.c.. (...) insisteva sull'ordine di esibizione, sulla C.T.U. nonché su tutte le prove orali; (...) insisteva sulle proprie prove orali, nonché sull'ordine di esibizione formulato. All'esito, il giudice si riservava. A scioglimento della riserva, ammetteva e non ammetteva le prove orali, per le ragioni di cui alla motivazione, cui si rinvia; disponeva, in ordine alle prove testimoniali, che esse fossero assunte con un massimo di due testimoni a capitolo per diretta ed uno a contraria; respingeva l'ordine di esibizione articolato dalla convenuta; ordinava a (...) di esibire quanto richiesto da controparte nella seconda memoria 183 c.p.c.; si riservava sulla C.T.U. Contestualmente, fissava per la assunzione delle prove orali la udienza del giorno 2 maggio 2017, udienza in cui la causa era rinviata; disponeva, per tale data, libero interrogatorio e tentativo di conciliazione; a tal fine, ordinava alle parti di essere presenti personalmente; avvisava le parti che una loro eventuale assenza sarebbe stata valutata ai sensi degli artt. 88, 92, 96, 116, 117 c.p.c.; autorizzava le parti, in casi di impossibilità a presenziare, a farsi sostituire, purché da persona adeguatamente informata e munita di pieni poteri a transigere e conciliare. All'udienza del 2 maggio 2017, il giudice sentiva i testi ammessi, i quali rispondevano come in atti. Successivamente, rilevava che il teste (...), sebbene regolarmente intimato, non era comparso. Per questi motivi, lo stesso veniva condannato al pagamento della pena pecuniaria di Euro 200,00. Contestualmente, rinviava alla udienza del 30 maggio 2017, per la sua escussione. All'udienza del 30 maggio 2017, il teste (...) veniva interrogato sui capitoli di prova di cui agli atti. Esibiva, inoltre, comunicazione attestante il proprio impedimento a presenziare all'udienza del 2 maggio 2017. Perciò, il giudice revocava la pena pecuniaria comminata al teste. Rinviava alla udienza del 21 settembre 2017. All'udienza del 21 settembre 2017, il giudice procedeva al libero interrogatorio delle parti. Le stesse, non escludendo possibile conciliazione, chiedevano una sospensione di tre mesi ex art. 296 c.p.c. All'esito, il giudice concedeva la richiesta sospensione; rinviava alla udienza del 18 gennaio 2018, per interrogatorio del sig. (...). All'udienza del 18 gennaio 2018, il giudice prendeva atto del ricovero del sig. (...) presso una struttura ospedaliera. Parte convenuta insisteva sull'ordine di esibizione e sulla C.T.U. Rinnovava, inoltre, la richiesta di ammissione di taluni mezzi istruttori rigettati dal giudice con la ordinanza del 27 febbraio 2017. Parte attrice si opponeva. Al termine, il giudice rinviava alla udienza del primo febbraio 2018, per interrogatorio formale; si riservava su C.T.U. All'udienza dell' 1 febbraio 2018, il giudice procedeva all'interrogatorio del sig. (...), amministratore unico della attrice. Il giudice invitava le parti a discutere sulla opportunità di C.T.U.: parte convenuta vi insisteva, parte attrice si opponeva. All'esito, il giudice ordinava a parte attrice la esibizione dei contratti, relativi al periodo marzo/aprile 2014, entro il giorno 30 aprile 2018; nominava consulente tecnico d'ufficio; fissava per il conferimento di incarico la udienza del giorno 10 maggio 2018; concedeva al C.T.U. acconto di Euro 3.500,00, oltre IVA e Cassa, il cui pagamento veniva provvisoriamente posto a carico di parte convenuta; avvisava la parte interessata che il mancato pagamento poteva essere valutato come mancanza di interesse alla C.T.U., determinandone la revoca. All'udienza del 10 maggio 2018, preliminarmente, parte opposta rilevava come non vi fosse produzione integrale della documentazione da parte dell'opponente. Quest'ultima riservava di integrare i documenti mancanti. Parte opposta nulla opponeva all'integrazione, anche se tardiva. Successivamente, il consulente prestava il giuramento di rito. All'esito, il giudice rinviava alla udienza del 10 gennaio 2019, per precisare le conclusioni. Con istanza del 27 giugno 2018, il C.T.U. rilevava che, con riferimento al pagamento dell'acconto concessogli dal giudice, (...) aveva già provveduto ad effettuare il bonifico di Euro 1.000,00 in data 20 giugno 2018; che la restante somma di Euro 2.640,00 sarebbe stata saldata in tre successive rate, sino al termine ultimo del 30 settembre 2018. Alla luce di quanto premesso, il C.T.U. domandava se le modalità di pagamento indicate da (...) rispettassero i termini disposti dal giudice, ovvero se la rateizzazione determinasse la revoca della C.T.U. Con ordinanza del 28 giugno 2018, il giudice, vista la istanza di cui sopra, pregava il consulente di voler procedere. All'udienza del 10 gennaio 2019, il C.T.U. dichiarava di non essere stato integralmente pagato, nemmeno nelle modalità indicate sopra. Parte opposta rassicurava che il pagamento sarebbe stato imminente. Il consulente domandava di essere sostituito, per ragioni di impegni pregressi. Parte opponente insisteva per la revoca della C.T.U.; chiedeva pronta fissazione della udienza di precisazione delle conclusioni. Parte opposta dichiarava, per economia processuale, di essere disposta a transitare prontamente a decisione. Si richiama il verbale. Al termine, il giudice revocava la nomina del C.T.U., il quale provvedeva alla restituzione dell'acconto incassato. Contestualmente, fissava la udienza del 31 gennaio 2019, per precisare le conclusioni. Veniva depositato foglio di precisazione delle conclusioni, nell'interesse di (...), che si riportava integralmente a quanto già dedotto ed eccepito nei precedenti atti di parte. Veniva depositato foglio di precisazione delle conclusioni, nell'interesse di (...), la quale ribadiva le proprie argomentazioni. All'udienza del 31 gennaio 2019, le parti concludevano come da rispettivi fogli di precisazione delle conclusioni. All'esito, il giudice tratteneva: concedeva 40 giorni per conclusionali e 20 giorni per repliche. Veniva depositata comparsa conclusionale, nell'interesse di (...), la quale insisteva per l'accoglimento delle conclusioni già precisate. Veniva depositata comparsa conclusionale, nell'interesse di (...), che ribadiva quanto già precedente dedotto ed argomentato nei suoi precedenti atti. Venivano depositate, infine, le memorie di replica nelle quali ciascuna parte si richiamava integralmente a quanto precedentemente esposto. Lo svolgimento del processo può essere integralmente omesso, alla luce del novellato articolo 132 del codice di procedura civile. A maggior ragione, lo svolgimento del processo può limitarsi ai profili che precedono. Per quanto qui non narrato, si fa riferimento agli atti ed ai documenti di causa, da ritenersi richiamati. MOTIVI DELLA DECISIONE Sulla domanda riconvenzionale della (...). In via preliminare occorre dichiarare l'inammissibilità della domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta opposta (...) Nella precisazione delle conclusioni, quest'ultima ha domandato l'accertamento e la dichiarazione della giusta causa di recesso da parte della medesima dal contratto di agenzia e, per l'effetto, la condanna della società (...) al pagamento in suo favore dell'importo corrispondente alle provvigioni maturate dalla società nei mesi di marzo e aprile 2014 e delle somme accantonate in costanza di rapporto nella misura di Euro 12.531,90 (pari al 10% delle provvigioni maturate fino alla data di cessazione del rapporto di agenzia); inoltre, ha domandato l'accertamento e la dichiarazione del proprio diritto alla liquidazione delle indennità di preavviso, dell'indennità suppletiva di clientela e dell'indennità di fine rapporto. Parte opponente ha eccepito l'inammissibilità di tale domanda, atteso che essa non può configurarsi quale ammissibile reconventio reconventionis. L'eccezione processuale, sollevata dall'opponente, è fondata. La riconvenzionale su riconvenzionale di parte opposta è dunque inammissibile; esce dal tema del decidere di questa sentenza. Sul piano generale deve preliminarmente rilevarsi che - nel giudizio di cognizione ordinario che si instaura con la proposizione di una domanda mediante atto di citazione - l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione. Tale principio si inserisce in un insieme di regole, tese a regolare in modo rigoroso le nuove allegazioni; secondo gli originari principi di matrice chiovendiana, abbandonati con la nota contro-riforma del 1950 e reintrodotti nel sistema in epoca più recente. In particolare, la norma cui fare riferimento è l'articolo 183, comma 5., c.p.c. A tale principio può derogarsi solo qualora l'attore, per effetto di una domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto, venga a trovarsi in una posizione processuale di convenuto: in tal caso, rispetto a tale nuova e più ampia pretesa della controparte, l'attore può opporre - a sua volta - altra riconvenzionale: la c.d. reconventio reconventionis (cfr. già, in tal senso, Cass. civ. 2076/1964, pur nell'articolato previgente; nonché, fra le altre: Cass. civ. 3639/2009). Bisogna tuttavia sottolineare che tale reconventio reconventionis non è assimilabile tout court alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto ai sensi degli artt. 36 e 167 c.p.c.: la reconventio reconventionis, infatti, può essere introdotta esclusivamente per l'esigenza di rispondere ad una riconvenzionale del convenuto, ossia per assicurare all'attore un'adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale, ovvero alle eccezioni del convenuto. Ed è questa la ragione per cui l'art. 183, comma 5, c.p.c. prevede che la cd. reconventio reconventionis debba essere formulata in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Tale meccanica processuale può poi essere applicata e trasfusa nel processo, che inizia con il decreto ingiuntivo. Alle conclusioni di cui sopra, può infatti pervenirsi nel procedimento per ingiunzione, come nel caso di specie: in tale procedimento solo l'opponente, nella sua posizione di convenuto in senso sostanziale, può proporre domande riconvenzionali. L'opposto, invece, rivestendo la posizione di attore in senso sostanziale, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione, a meno che l'opponente spieghi domanda riconvenzionale per la quale l'opposto deve prendere posizione. In altri termini, quindi, poiché l'opposto è attore in senso sostanziale, la domanda riconvenzionale avanzata da quest'ultimo, ai fini della sua ammissibilità, deve essere conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dall'opponente (Cass. civ. n. 26782 del 2016: "L'attore contro il quale il convenuto abbia proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella del convenuto, né trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c., atteso che la cd. "reconventio reconventionis" non è un'azione autonoma, ma può essere introdotta esclusivamente per assicurare all'attore un'adeguata difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e deve essere consequenziale rispetto ad esse"). In modo analogo alla regola, appunto, stabilita dal quinto comma dell'articolo 183 cit.. Il caso di specie. Calando tale regola nell'attuale procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la qualità di attore in senso sostanziale è rivestita dalla convenuta (in senso processuale) (...). Ciò comporta che la domanda riconvenzionale di quest'ultima, per essere ammissibile, avrebbe dovuto essere conseguenza della riconvenzionale avanzata dalla (...) Deve rilevarsi, tuttavia, che essa assurge a domanda nuova ed autonoma: da un lato, essa è diversa rispetto quella fatta valere con l'ingiunzione; dall'altro, non è conseguenza della domanda riconvenzionale dell'opponente. Infatti, la domanda di accertamento della giusta causa di recesso, ovvero, della condanna alla liquidazione delle indennità richieste, non costituiscono esplicazione ed esercizio del diritto di difesa dell'opposta, atteso che quest'ultima non si è limitata a prendere posizione rispetto quanto domandato dall'opponente (restituzione anticipazioni provvigionali e acconti); ha mutato, con tale costituzione, il centro del processo, spostando il thema decidendum su profili diversi. Né, tantomeno, la domanda alla condanna della società (...) al pagamento in favore della convenuta opposta (...) dell'importo corrispondente alle provvigioni maturate dalla società nei mesi di marzo e aprile 2014 e delle somme accantonate in costanza di rapporto nella misura di Euro 12.531,90 può definirsi conseguenza della domanda riconvenzionale della parte opponente; l'opposta avrebbe dovuto avanzare tale domanda in sede monitoria; ovvero, con ordinario giudizio di cognizione o, in subordine, specificare su quale titolo fosse basata la sua pretesa (contratto o accordo accessorio - atteso che la riconvenzionale dell'opponente aveva a fondamento esclusivamente quest'ultimo). Non rileva, naturalmente, la ragione per cui questo non sia avvenuto; ad esempio, perché non vi era su tali domande prova scritta ex 633 c.p.c. e dunque, intanto, la parte ha inteso procedere in via monitoria; ovvero, per altre ragioni. Le domande in via riconvenzionale di (...) non sono conseguenza della riconvenzionale avversa. Alla corta. Con il decreto ingiuntivo, la opposta ben avrebbe potuto richiedere quanto poi ha richiesto, costituendosi. Le domande esperite in sede di costituzione non sono dunque affatto connesse causalmente alla riconvenzionale, contenuta nell'atto di opposizione. Vi è solo una connessione, per così dire, remota e di sfondo; costituita dal fatto che tutte le domande nascono dal contratto di agenzia o dall'accordo; il che non crea il nesso di dipendenza, richiesto per rendere ammissibile la reconventio reconventionis. La domanda è dunque inammissibile. Come da punto 3 del dispositivo. E' appena il caso di sottolineare come la declaratoria di inammissibilità, essendo una pura declinatoria in rito, non costituisce alcun giudicato sulle domande stesse. Stante, infatti, l'inammissibilità della domanda di (...) , tale domanda (rectius: tali domande composite) potr/anno allora essere spiegata/e in un successivo giudizio; ovvero con diverse vicende (pagamento spontaneo; transazione). E' infatti possibile che l'opponente decida di eseguire spontaneamente parte della prestazione obbligatoria de quo. In breve, per tutte le domande riconvenzionali della opposta, inammissibili, non vi è vincolo di giudicato e le parti si regoleranno come ritengono: con una transazione, con una successiva causa, pagando spontaneamente. A tal proposito, occorre rilevare che, con riferimento alla domanda di Euro 12.531,90, limitatamente alla condanna al pagamento delle somme accantonate in costanza di rapporto (10%), sembra che - in sede di istruttoria - non ne sia stata contestata la fondatezza da parte della (...) (ed infatti le dichiarazioni rese dal rapp.te legale della (...), Sig. (...), in sede di interrogatorio formale del 21 settembre 2017, sembrano aver confermato quanto sostenuto dall'opposta). In ogni caso, questo giudice non può prendere posizione in alcun modo su tali domande, in quanto inammissibili in questa sede. Come da punto 4 del dispositivo. Ciò premesso, stante l'inammissibilità della domanda riconvenzionale de quo, deve restringersi il thema decidendum alle domande che sèguono. Sul decreto ingiuntivo n. 1371/2014 emesso dal Tribunale di Bologna, Sez. Lavoro, in data 17.10.2014 La causa trae origine dall'opposizione al decreto ingiuntivo n. 1371/2014 spiegata dall'attore-opponente (...) contro la convenuta-opposta (...) Per il tramite del suddetto decreto, veniva ingiunto alla (...) il pagamento della somma di Euro 6.344,00 (oltre interessi e rivalutazione, oltre spese e competenze) a favore di (...), stante l'asserita mancata corresponsione di un "compenso utenze uffici rimborso spese del mese di marzo 2014" e di un "premio semestrale calcolato su quattro mesi dicembre 2013 - gennaio, febbraio, marzo 2014", cui la (...) sarebbe tenuta in virtù del contratto di agenzia e dell'accordo accessorio di coordinamento, entrambi conclusi in data 24 gennaio 2013. Tale dunque la prima domanda su cui occorre decidere; domanda, appunto, esperita dalla opposta in forme monitorie. L'attore-opponente, per le motivazioni sopra precisate, ha domandato l'accertamento e la dichiarazione della non debenza della somma ingiunta e, per l'effetto, la revoca del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione. La difesa dell'attore è fondata e merita accoglimento, per i motivi che di sèguito si precisano. Preliminarmente, occorre sottolineare che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non si assiste ad alcuna inversione dell'onere probatorio: il creditore, seppur convenuto in senso formale è, a tutti gli effetti, attore in senso sostanziale. Anche nel caso di specie, infatti, si decide di una domanda della opposta, nei confronti della opponente. Ciò comporta la piena applicazione della regola generale secondo cui "il creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento" (Cass. civ., Sez. Unite, sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001); che è poi la regola aurea di cui all'articolo 2697 c.c.. Calando la suddetta regola nel caso di specie, si rileva che la (...) - in qualità di attore in senso sostanziale - non ha soddisfatto il proprio onere probatorio. La pretesa creditoria avanzata dalla (...), infatti, troverebbe fondamento: nella fattura n. (...) (avente ad oggetto la somma di cui al successivo D.I. opposto); nella mail "ordinaria" (non pec) del 30.01.2013 inviata dalla (...) (con cui sarebbero state riconosciute alla convenuta le somme per cui è in causa); nelle ulteriori dodici fatture aventi come causale "compensi per coordinamento" e due fatture per "premio semestrale" (all. n. 17 convenuta). Quanto prodotto dalla convenuta (attrice in senso sostanziale) non può ritenersi sufficiente ai fini della conferma del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione; cioè ai fini della prova della pretesa da essa agita in forme monitorie. In primo luogo, le fatture commerciali - seppur costituiscano prove idonee ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo - hanno evidentemente valore di prova scritta, ai limitati fini della concessione del decreto ingiuntivo. Instaurata la opposizione, esse, quali documenti di parte di formazione unilaterale, in via generale non possono costituire prova in favore di chi le emise. La fattura, quindi, nel giudizio di merito - ed anche in quello di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto in base a essa - non può assurgere a prova idonea della certezza, liquidità ed esigibilità del credito dichiaratovi, né può valere ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa (Cass. Civ. n. 8549 del 3 aprile 2008). La fatturazione della parte opposta, dunque, scompare dall'orizzonte conoscitivo del giudice. In secondo luogo, la mail allegata da parte convenuta del 30.01.2013 inviata dalla (...) (inserendo in copia conoscenza -Cc- (...)) non è sufficiente ai fini dell'ampliamento dell'oggetto del contratto originariamente concluso tra le parti, sicché essa non è idonea a far sorgere in capo alla (...) un'ulteriore prestazione a favore della (...). Non può non rilevarsi, infatti, che nel contratto di agenzia del 24 gennaio 2013 sottoscritto dalle parti non vi è alcun riferimento all'obbligo da parte dell'opponente di corrispondere somme a titolo di "rimborso spese" o "premio semestrale". Né tale obbligo è desumibile dall'accordo accessorio di coordinamento laddove, per lo più, si rinviene nell'art. 4 (compensi e provvigioni), comma 6, che "le spese inerenti lo svolgimento delle attività di cui al presente Accordo Accessorio, comprese quelle di viaggio, soggiorno, corrispondenza, telefono e quant'altro sono a carico dell'Agente Coordinatore, salvo diverso accordo scritto tra le Parti". Giova rilevare, ancora, che le parti - nel contratto di agenzia e nell'accordo accessorio - hanno fatto espresso rinvio all'Accordo Economico Collettivo (AEC) del 16 febbraio 2009, al cui art. 6 (Spese) è previsto che "L'agente o rappresentante non ha diritto al rimborso delle spese connesse con l'esercizio dell'attività svolta ai sensi dell'art. 1 del presente Accordo, salvo patto contrario; (co. 2) Il patto in contrario non potrà determinare il rimborso di spese o concorso alle spese in forma percentuale". Ed inoltre, secondo quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 1748 c.c. "L'agente non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia". Dunque, sulla base della contrattualistica in atti - sia essa direttamente sottoscritta dalle parti, ovvero richiamata per accordi collettivi - nonché sulla base della norma di legge deve escludersi il diritto della opposta a tali somme. Rilevato quanto sopra, deve osservarsi che non emerge nemmeno un patto contrario, cioè un accordo in tale senso (che, in quanto tale, potrebbe essere perfettamente valido, in quanto derogatorio, rispetto agli accordi collettivi ed alla legge; nonché novativo, del precedente contratto inter partes). Tale patto non risulta. Ogni modifica, in quanto modificazione e/o integrazione al contratto (atteso che avrebbe avuto ad oggetto prestazioni non originariamente pattuite in sede di conclusione del contratto e dell'accordo), avrebbe tuttavia richiesto una specifica pattuizione per iscritto ad substantiam. Sul punto, infatti, le parti hanno convenuto contrattualmente che qualsiasi modificazione e/o integrazione del contratto di agenzia (art. 19) "dovrà avvenire, a pena di nullità per iscritto e a firma dei legali rappresentanti delle Parti o di procuratori muniti dei necessari poteri; (co.2) il presente contratto annulla o sostituisce qualsiasi eventuale precedente accordo, scritto o verbale, o qualsivoglia rapporto intercorso fra le Parti avente il medesimo oggetto". Ed hanno convenuto, altresì, nell'accordo accessorio (art. 8 comma 2) che "... qualsiasi modifica e/o integrazione al presente Accordo Accessorio dovrà avvenire, a pena di nullità, per iscritto a firma della parti". Si è dunque, con certezza, in presenza di un contratto normativo ai sensi dell'articolo 1352 c.c.; dunque, ogni patto che non risponda a tale forma è invalido, per l'articolo 1352 cit.. Ciò prima ed indipendentemente della regola di cui all'articolo 2723 c.c., che comunque impedirebbe l'ingresso, sul piano probatorio, di patti contrari. La clausola in questione, prima ancora, rende nullo, sul piano sostanziale, qualsiasi patto non stipulato per iscritto, nel rapporto di agenzia. Vi è, infine, da aggiungere che, anche ove le parti non avessero pattuito la forma scritta ad substantiam¸ l'art. 1742 comma 2 c.c. prevede che il contratto di agenzia debba rivestire la forma scritta ad probationem. Di tale patto aggiuntivo - che doveva essere redatto per iscritto (a pena di nullità, ai sensi dell'articolo 1352 c.c.) e, comunque, provato per iscritto, per norma di legge - non vi è traccia. Nel caso di specie parte convenuta ha prodotto una e-mail del 30.01.2013, la quale dovrebbe, a suo dire, assurgere a prova dell'intervenuta integrazione contrattuale. Parte convenuta ritiene, infatti, che risulti "per tabulas che le parti hanno proceduto concordemente e per iscritto alla integrazione degli orginali contratti ed in particolar modo intercorsi con la (...)" indicando l'allegato n. 16, ossia la mail del 30.01.2013. Tale elemento è carente, sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo probatorio. L'e-mail, oltre ad essere "disconosciuta" dall'attore (nei termini specificati nella memoria ex art. 183, co.6, n.1, c.p.c.), non rispecchia i requisiti di forma e sostanza pattuiti convenzionalmente dalle parti (art. 19 contratto di agenzia; art. 8 accordo accessorio; art. 1352 cod.civ.) ed è invalida, quindi inefficace, atteso che le parti hanno pattuito la forma scritta ad substantiam. Né essa risulta essere inviata da un soggetto munito dei necessari poteri per addivenire ad un tale accordo: deve rilevarsi, infatti, che la l'e-mail in questione è stata inviata dal Sig. (...) della (...) (e non della (...) S.r.l.) al Sig. (...); seppur parte convenuta abbia sostenuto che la (...) e la (...) non siano due società autonome e distinte, vi è comunque da precisare che dalla visura camerale della società (...), il Sig. (...) risulta essere stato nominato procuratore speciale (con i poteri di cui alla procura speciale a rogito notaio Dott. (...) (...)) in data (...), ossia successivamente alla mail in oggetto. Tenuto conto di tali due aspetti, ossia la carenza della forma convenzionalmente pattuita (e comunque prevista dalla legge) e la carenza di legittimazione in capo al Sig. (...), alla mail in oggetto non può essere riconosciuta alcuna valenza di patto aggiuntivo. Escluso dunque valore alla mail in questione, è del tutto superfluo verificare se vi sia stata una "accettazione" della opposta, in forma tacita. Una eventuale "prassi integrativa", pure invocata da parte opposta, urta, per quanto detto, contro il disposto dell'articolo 1352 c.c. Per le motivazioni sopra esposte, attesa la non debenza della (...) nei confronti della (...), deve essere accolta la opposizione (come da punto 1 del dispositivo) e revocato il decreto ingiuntivo n. 1371/2014, emesso dal Tribunale di Bologna, sez. Lavoro, in data 17.10.2014 (come da punto 2 del dispositivo). La revoca, nel merito, del decreto ingiuntivo, esime da ogni ulteriore valutazione sulla difesa di parte opponente - peraltro, espressa solo nelle ultime difese, dunque tardiva - per cui il decreto andrebbe revocato, in quanto proposto ad un giudice incompetente, giudice incompetente che la parte (...) individua nel Tribunale di Bologna, sez. Lavoro, invece che nel Tribunale di Bologna. Difesa che, prescindendo dalla sua esile e tardiva presentazione, è comunque assorbita dalla revoca in merito del decreto. Sulla domanda riconvenzionale della (...) s.r.l.: a) restituzione delle anticipazioni provvigionali La (...), ha domandato - in via riconvenzionale - la condanna della (...) alla restituzione della somma di Euro 30.035,66 (oltre oneri fiscali e previdenziali ed interessi dal dovuto al saldo o alla minor somma riconosciuta in corso di causa), ad essa corrisposta a titolo di anticipazione sulle maturande provvigioni. La domanda dell'opponente è fondata; pertanto deve essere accolta, nei termini che si precisano. La pretesa restitutoria dell'opponente si fonda su quanto convenzionalmente pattuito tra le parti nel contratto di agenzia e nell'accordo accessorio di coordinamento. In tali accordi è previsto che la (...) poteva corrispondere temporaneamente anticipazioni sulle maturande provvigioni (art. 10 del contratto di agenzia e art. 5 dell'accordo accessorio di coordinamento), la cui maturazione definitiva era poi subordinata alla conclusione dell'affare (ossia a "proposte contrattuali perfezionate ed accettate"), dovendosene altrimenti restituire l'ammontare precedentemente anticipato (art. 10.8 contratto agenzia e 5.2. accordo). Le anticipazioni di cui chiede la restituzione l'opponente attengono, però, all'attività di coordinamento degli agenti (accessoria e funzionale rispetto al contratto principale di agenzia); su tale aspetto l'opposta eccepisce che secondo quanto stabilito dall'art. 5.2. dell'accordo accessorio "L'Agente Coordinatore è tenuto a restituire integralmente l'anticipazione eventualmente corrisposta su ciascun Ordine in caso di storno totale del contratto o di ritardo superiore a 90 giorni nel pagamento di detto ordine. In caso di insolvenza parziale l'anticipo recuperato è proporzionale alla quota insoluta dell'ordine". L'eccezione - eccezione rispetto alla riconvenzionale della opponente - è infondata. In primo luogo, deve ritenersi applicabile al caso di specie quanto stabilito dall'art. 11.5 del contratto di agenzia, il quale prevede che "in caso di cessazione del Contratto per qualsiasi motivo, l'Agente sarà tenuto a restituire a (...), entro i successivi 30 giorni ed in un'unica soluzione, tutti gli importi di cui essa è creditrice nei confronti dell'Agente". Tale applicabilità è desumibile dall'art. 6 dell'accordo: le parti hanno convenzionalmente previsto che l'accordo, poiché "accessorio", è causalmente e funzionalmente collegato al contratto (principale) di agenzia sicché, un'eventuale "cessazione del contratto di agenzia, intervenuta per qualsiasi motivo, comporterà la cessazione immediata anche del presente accordo accessorio" (art. 6.4.). In secondo luogo, la corresponsione della provvigione - come in ogni contratto a prestazioni corrispettive - è giustificata/subordinata all'esecuzione della prestazione (quindi alla conclusione dell'affare); la sua mancata esecuzione, invece, comporta la ripetibilità/ripetizione di quanto corrisposto (a solo titolo di anticipo), stante il carattere altrimenti indebito della prestazione, attesa la sopravvenuta mancanza di causa (artt. 1458 e 2033 c.c.). Atteso che la restituzione delle somme anticipate è - comunque - prevista contrattualmente, deve valutarsi se effettivamente tali anticipi siano stati corrisposti, in che misura e se essi costituiscano indebito. L'opponente ha precisato che nel corso dell'intero rapporto contrattuale intercorso tra la (...) e la (...), quest'ultima ha ricevuto provvigioni per Euro 112.750,90 oltre oneri fiscali e previdenziali. Prosegue, poi, sostenendo che alla data del 18.01.2015 erano giunte a maturazione provvigioni per Euro 82.715,24 e che, pertanto, non sono maturate provvigioni per Euro 30.035,66 (112.750,90 - 82.715,24) Di tale ultima somma chiede la restituzione. Quest'ultima eccepisce che, contrariamente a quanto asserito da parte attrice, sarebbero maturate provvigioni (per le proposte perfezionate ed accettate) per una somma di Euro 90.986,76 e non 82.715,24. Ne consegue che, secondo parte opposta, a fronte di un anticipo provvigionale pari ad Euro 112.750,90, l'anticipazione non dovuta ammonterebbe ad euro 21.764,14 (si noti che le cifre indicate dalla parte opposta sono a volte leggermente difformi, per quanto riguarda i centesimi), anziché 30.035,66 (essendo diverso e maggiore, per parte opposta, il complesso delle provvigioni effettive, dunque da sottrarre dalla somma anticipata). Si deve rilevare, quindi, che essa non ha contestato l'intero ammontare di Euro 112.750,90, ma si è limitata a contestare parte del quantum. Sicché, non avendo l'opposta negato tout court l'esistenza di tale debito, ma avendo esclusivamente preso posizione sul quantum, in conformità al principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.) rimane controversa - esclusivamente - la restante somma di Euro 8.271,34. Ovvero, in altri termini, incontroverso il pagamento di Euro 112.750,90, rimane controverso solo l'ammontare delle provvigioni, che da tale somma di Euro 112.750,90 andrà sottratta. Va accolta la domanda di parte opponente. Va infatti rilevato come la fattispecie costitutiva sia quella del versamento, da parte della opponente (...), della somma di Euro 112.750,90. Per quanto sopra detto, tale somma è indebita. Dunque, la fattispecie che la opponente doveva provare, era quella del versamento; tale profilo non è contestato. Rispetto ad essa, la parte opposta (...) doveva provare un fatto estintivo o modificativo (nel senso di parzialmente estintivo). Era suo onere, infatti, provare che il versamento di Euro 112.750,90 fu in tutto od in parte giustificato da provvigioni dovute. Tali provvigioni sono tuttavia fattispecie impeditive/modificative/estintive, rispetto al diritto di (...) ad ottenere la restituzione dell'indebito. Ora, la parte (...) ha provato provvigioni sono per la minor somma di Euro 82.715,24. La prova, invero, è stata raggiunta per ammissione esplicita di (...). In relazione alle maggiori provvigioni, non ammesse da (...), la prova sarebbe stata in capo alla parte opposta; che non è riuscita a dare prova di tali provvigioni. Segue quanto ai punti 5 e 6 del dispositivo. Sulla domanda riconvenzionale della (...) S.r.l.: b) sulla restituzione degli acconti Parte opponente chiedeva di accertare e dichiarare che la (...) aveva ricevuto da (...), a titolo di acconto, la somma di Euro 10.940,59, oltre IVA, parzialmente restituita per Euro 3.285,74 oltre IVA e per l'effetto condannarla alla restituzione della somma di Euro 7.654,85 oltre IVA ed interessi dal dovuto al saldo, o alla minor somma che verrà riconosciuta in corso di causa. La domanda di parte opponente è fondata. Come emerge da pagina 18 del ricorso in opposizione presentato nell'interesse di (...), gli acconti erano erogati da (...) nelle fasi di start up dell'attività agenziale o di difficolta dell'agente. Tra il dicembre 2012 e il dicembre 2013 (...) erogava, a titolo di acconto, a (...) la somma complessiva di 10.940,59, oltre IVA, sulla base di due fatture emesse da (...) stessa. La prima di queste due fatture è la n. 12/2012 (allegato n. 13 degli allegati di parte opponente) ed è stata emessa da (...) in data 12 dicembre. L'importo di Euro 5.940,59 era richiesto per l'avviamento iniziale dell'attività che (...) avrebbe svolto in ragione della vicina formalizzazione del conferimento dell'incarico da parte di (...) Il giorno stesso l'importo di 6.000 euro indicato in fattura (maggiorato dell'IVA e ridotto del 20% per ritenute) era bonificato da parte di (...) a (...) (allegato n. 12 degli allegati di parte opponente). L'acconto erogato era, poi, parzialmente restituito da (...) mediante l'effettuazione di storni parziali in successive fatture (tutte allegate sotto il numero 14.2 delle produzioni di parte opponente): nella fattura n. (...) era stornato l'importo di 850,00 euro; successivamente, con la fattura n. (...) la somma di 1.000,00 euro; con la fattura n. (...) la somma di 500,00 euro; con la fattura n. (...) la somma di 300,00 euro; con la fattura (...) la somma di 320,00 euro; infine con la fattura n. (...) la somma di 315,74. Pertanto, dei 5.940,59 euro (senza IVA e ritenute) era complessivamente restituita la somma di 3.285,74 (senza IVA e ritenute). Sicché, nella prospettiva di parte attorea, (...) deve ancora restituire la somma di 2.654,85 euro, oltre IVA. La (...) si difende sostenendo che l'importo di Euro 5.940,59 è stato interamente restituito. Prova dell'avvenuta integrale restituzione dell'acconto oggetto della fattura n. (...) si rinverrebbe nella mail del 24 ottobre 2013 (doc. 31 delle produzioni di parte opposta) nella quale, su espressa domanda di (...), (...) parrebbe confermare che con la fattura n. (...) è stato recuperato l'acconto versato il 12 dicembre 2014. La difesa di (...) sostiene che la mail avrebbe valore indubbiamente ed indiscutibilmente confessorio e che non è stata mai contestata e/o disconosciuta. Ebbene, questa mail del 24 ottobre 2013 non costituisce prova dell'avvenuta estinzione del debito. Ciò nonostante non può essere presa in considerazione perché non è neppure corroborata da alcuna documentazione comprovante l'intervenuto pagamento dell'ulteriore somma di 2.654,85 euro, oltre IVA. Stante, quindi, l'accertamento della corresponsione della somma di Euro 5.940,59 a titolo di acconto da parte di (...) a favore di (...) e la mancata prova dell'estinzione totale di tale debito, la (...) è tenuta alla ripetizione di quanto ancora indebitamente trattenuto, ossia della somma di Euro 2.654,85 oltre IVA. Il secondo acconto di cui parte attrice chiede la restituzione sarebbe quello erogato in base alla fattura n. (...) di Euro 5.000,00, oltre IVA. La fattura è allegata al punto 14.3 delle produzioni di parte opponente. Parte opposta sostiene che la corresponsione di tale acconto non sia mai avvenuta. Ciò è puntualmente contraddetto dalla difesa di (...) alle pagine 65 e 66 dell'atto di citazione in riassunzione. Il 22 novembre 2013 (...) emetteva due fatture la numero 28 e la numero 30 (doc. 14.3 allegato all'atto di costituzione di (...)) la prima di importo 10.653,30 (comprensivo d'IVA e deduzioni per ritenute); la seconda di 5.000,00 euro che, maggiorata d'IVA (22%), risultava essere di 6.100,00 euro. La somma delle due fatture era di 16.178,30 euro, comprensiva d'IVA e ritenute. Lo stesso 22 novembre 2013 la (...) bonificava a (...) la somma di 10.128,30 euro quale saldo per le fatture nn. (...) e (...) poiché dalla complessiva somma di 16.178,30 euro era dedotta la quota di 6.050,00 euro oggetto di cessione del credito (doc. 12 allegato delle produzioni di parte opponente). Detta cessione del credito, avente ad oggetto la somma di 6.050,00 euro, avveniva il 31 ottobre 2013, mediante scrittura privata, tra (...) e (...) (doc. 42 allegato delle produzioni di parte opponente). Dunque, un mese prima l'emissione della fattura numero (...) del 22 novembre 2013 da parte di (...). Tale profilo non è contestato (nel senso che non è contestata la circostanza che si tratti di un credito pro solvendo non onorato; ovvero la inesistenza del credito; o simili). Il 31 ottobre 2013 (...) cedeva a (...) il credito che vantava nei confronti di (...), mamma di (...), legale rappresentante di (...) Infatti, senza che tali circostanze siano contestate dalla difesa di (...), emerge in atti che il 21 novembre 2012 (...) emetteva fattura a (...) per il pagamento dell'importo di 5.000 euro, a titolo di acconto su future prestazioni, che, maggiorato IVA (21%), diveniva 6.050,00 euro. L'effettiva erogazione di tale somma da parte di (...) alla (...), per quanto non sorretta da alcuna prova documentale, non è stata contestata da parte della difesa di (...) Pertanto, è possibile affermare che (...) ha regolarmente pagato la somma di 6.050,00 euro a (...). Con successiva fattura del 25 ottobre 2013 la somma era integralmente stornata da parte di (...) mediante nota di credito n. 1 del 2013 (doc. 41 allegato all'atto di costituzione di (...)). Tuttavia, (...) non corrispondeva effettivamente la somma di 5.000 euro a (...) continuando, pertanto, a rimanere debitrice della società (...). Questi i fatti alla base della cessione del credito avvenuta il 31 ottobre 2013 tra (...) e (...) Dunque, il 22 novembre 2013 (...) erogò a (...) la minor somma di 10.128,30 euro quale saldo per le fatture nn. (...) e (...) in ragione dell'avvenuta cessione del credito vantato nei confronti di (...). Tuttavia, l'esborso della (...) è per la maggior somma; infatti, la minor somma di Euro 10.128,30 teneva conto di tale diversa operazione di cessione del credito. (...) avrebbe dovuto ricevere la somma di 5.000,00 euro non da (...) ma da (...). Del fatto che (...) non abbia mai ricevuto i 5.000,00 euro da (...) non può essere chiamata a rispondere (...) che, anzi, trasferendo la propria qualità di creditrice della somma di 6.050,00 euro a (...), non ha più ricevuto tale somma né da parte della (...) (perché divenuta debitrice di (...)) ma nemmeno da parte di (...) stessa. Il fatto che il credito sia stato ceduto non ha fatto venire meno l'obbligo da parte di (...) di restituire a (...) la somma versata a titolo di acconto. L'eventuale avvenuta restituzione dell'acconto di 5.000,00 euro da parte di (...) a (...) non è minimamente provata in atti. Deve, dunque, concludersi che (...) deve ottenere la restituzione dell'acconto di 5.000,00 euro da parte di (...) in una con la somma di Euro 2.654,85. Come da punto 7 del dispositivo. Sulla domanda riconvenzionale della (...) S.r.l.: c) sulla violazione del dovere di esclusiva Parte opponente chiedeva di accertare e dichiarare che la (...) s.a.s. di (...) violava il diritto di esclusiva in costanza del periodo di preavviso in favore di (...) S.r.l., per i motivi esposti nella narrativa del ricorso in opposizione avanti al Giudice del Lavoro e nell'atto di riassunzione del 26 maggio 2016 avanti il Giudice Civile e per l'effetto condannare la (...) s.a.s. di (...) a pagare alla (...) S.r.l. la somma di Euro 198.296,00 oltre ad interessi dal dovuto al saldo, o la minor somma che verrà riconosciuta in corso di causa, a titolo di risarcimento del danno. La domanda di parte opponente non è fondata. L'opponente agiva in ragione del contratto di agenzia stipulato con (...) in data 24 gennaio 2013 rispetto il quale il "diritto di esclusiva delineato dall'articolo 1743 del codice civile (che per l'agente comporta il divieto di trattare per lo stesso ramo di affari nell'interesse di più imprese in concorrenza fra loro), investendo la stessa funzione contrattuale, costituisce un elemento naturale del contratto di agenzia che, in quanto tale, deve ritenersi presente in assenza di contraria pattuizione" (Cass. civ., sez. L, Sentenza n. 8053 del 24/07/1999 (Rv. 528949 - 01), nella quale si parla di "elemento naturale" del contratto). A parere dell'opponente, la violazione del diritto di esclusiva si sostanzierebbe, in primo luogo, nella conclusione di tre progetti da parte di (...) per conto di (...) s.r.l. (società che svolgeva attività del tutto simile a quella di (...)) riguardanti la consegna in comodato gratuito di 3 Fiat Ducato nei Comuni di Ardea, Castelfidardo e San Benedetto del Tronto. L'onere di allegazione di questo inadempimento, posto a carico dell'opponente, non è stato soddisfatto. La sua allegazione è del tutto generica e non è possibile ricavare alcuna specifica circostanza atta a integrare l'inadempimento di (...) s.a.s. Quanto al progetto concluso presso il Comune di San Benedetto del Tronto la prova dell'inadempimento si fonderebbe su un filmato caricato su youtube (che, ad oggi, non sembra comunque più reperibile) di cui sono stati prodotti i fotogrammi. In base all'allegato n. 25 delle produzioni di parte opponente, parrebbe che il 28 aprile 2014, (...) avesse presenziato alla cerimonia di consegna di furgoncini essendo presente la sua immagine con in mano il cartello (...) ((...)) s.r.l.. Nei fotogrammi non compare mai la sigla di (...) s.a.s., ma solo il padre di (...), (?), che contrattualmente figurava quale collaboratore della stessa. Sono stati prodotti anche fotogrammi relativi alla cerimonia di consegna di furgoncini all'ANFFAS di Castelfidardo (AN), sempre recanti la scritta (...) e sempre ritraenti (...). In questo caso, l'allegato n. 28 delle produzioni di parte opponente non consente nemmeno di risalire alla data nella quale questa cerimonia si sarebbe effettivamente svolta: da questa lettera, inviata da (...) al Comune di Castelfidardo, è possibile dedurre unicamente che il periodo di comodato gratuito sarebbe terminato il 14 maggio 2014. Che la cerimonia di consegna si sia svolta il 15 maggio di tale anno, come sostiene parte opponente, non è verificabile dal momento che, come detto, i filmati non sono più in rete. Del terzo progetto concluso ad Ardea non è stata data alcuna prova. Il documento n. 27, infatti, reca semplicemente un avviso, di medesimo contenuto di quello inviato al Comune di Castelfidardo, con cui (...) comunicava al Comune che il 6 marzo 2014 il periodo di concessione in comodato del veicolo sarebbe scaduto. Ma non vi è prova alcuna che, terminato detto periodo di comodato concesso da (...), il Comune avrebbe concluso, per opera dell'intermediazione di (...), un nuovo contratto con (...) Inoltre, parte opponente produceva il registro delle fatture di vendita di (...) per il periodo da aprile a giugno 2014 da cui emergerebbe l'emissione di fatture nei confronti di (...) a far data dal 30 maggio 2014 (allegato n. 26 alle produzioni di parte opponente). Difatti, in ottemperanza all'ordine di esibizione intimato dal giudice a (...) con ordinanza del 27 febbraio 2017, (...) depositava copia delle fatture emesse nei confronti di (...)S (già allegate al documento 37 degli allegati alla comparsa di costituzione e risposta di (...)). La prima n. 14/2014 del 30 maggio sotto la voce "rimborso spese sostenute per vostro conto" reca importo 656,56 euro, oltre IVA. La seconda n. 15/2014 del 15 giugno reca la somma di 639,34 euro, oltre IVA. La terza fattura, di importo più consistente recante somma di 2.400 euro, oltre IVA, è del 30 giugno, successiva al termine del periodo di preavviso che, come indicato, da parte opponente terminava il 28 giugno 2014 (come affermato da parte opponente a pagina 12 dell'atto di citazione in riassunzione). Queste due fatture, oltre ad essere di importo estremamente basso per la tipologia di attività svolta da (...), non sono di sufficiente idoneità descrittiva, in ordine alla asserita violazione del dovere di esclusiva. Già la mancata allegazione di un qualsivoglia inadempimento da parte di (...) condurrebbe perciò solo al rigetto della domanda. Tuttavia, deve evidenziarsi come anche il lamentato danno, nelle sue componenti del danno emergente e lucro cessante, sia del tutto sprovvisto di prova. (...) chiede, a titolo di risarcimento, la somma di 198.296,00 euro che corrisponderebbe alle provvigioni, dovute nella misura del 45%, per la raccolta pubblicitaria completata su 3 pulmini che si sarebbe sostanziata in 440.880,00 (All. nr. 30). In primo luogo, questa voce di danno non può certo ritenersi, ai sensi dell'articolo 1223 del codice civile, conseguenza immediatezza e diretta dell'asserito inadempimento, atteso che i Comuni di Ardea, Castelfidardo e San Benedetto del Tronto, come rilevato poco sopra, ben avrebbero potuto concludere il contratto di comodato, giunto a scadenza, con altre società aventi medesimo oggetto sociale di (...) e (...) In altri termini, è come se la parte attrice chiedesse una reversione degli utili; ipotizzando che tutto l'utile, goduto da altri, sarebbe pervenuto alla stessa (...). E' noto che il principio di reversione degli utili non è un criterio automatico (se non in campi limitati, come la materia brevettuale); non è dunque possibile inferire una causalità di tal tipo: "tutto quanto fu fatturato ad altri, sarebbe stato fatturato a me"; in mancanza di altri elementi di prova. Inoltre, se davvero (...) avesse operato in violazione del dovere di esclusiva e, dunque, avrebbe concluso i contratti presso i tre Comuni citati per conto di (...), non è nemmeno stato dimostrato che (...) abbia ricevuto da (...) le provvigioni che (...) chiede in via risarcitoria. Sulle spese di lite Tenuto conto del parziale accoglimento della domanda dell'attore opponente, le spese processuali sono parzialmente compensate e parte soccombente (...) s.a.s. dovrà rifondere a (...) dette spese nella misura della metà, restando a carico dell'attore il residuo. Le spese sono liquidate in dispositivo secondo i parametri del D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale di Bologna, sezione seconda, in persona del Giudice Dott. (...), definitivamente pronunciando sulla causa che reca n. 14301/2015, ogni contraria istanza, eccezione, o deduzione respinta, così provvede: 1. ACCOGLIE la opposizione al decreto ingiuntivo. 2. REVOCA il decreto ingiuntivo n. 1371/2014 emesso dal Tribunale di Bologna, sez. Lavoro, in data 17.10.2014. 3. DICHIARA INAMMISSIBLE la domanda riconvenzionale formulata dalla (...) s.a.s., in sede di costituzione. 4. DICHIARA che su tutte le domande proposte da (...) s.a.s., in sede di costituzione, non vi è vincolo di giudicato. Vi è vincolo di giudicato esclusivamente sulla domanda proposta con il decreto ingiuntivo, che è respinta, come da punti 1 e 2 del dispositivo. 5. ACCOGLIE la domanda riconvenzionale formulata dalla (...) S.r.l. e, per l'effetto, 6. CONDANNA la (...) s.a.s. alla corresponsione della somma di Euro 30.035,66, oltre oneri fiscali e previdenziali, a favore della (...) S.r.l., a titolo di restituzione delle anticipazioni provvigionali non maturate; oltre interessi di cui all'articolo 1284, penultimo comma, c.c., dalla data del giorno 19 gennaio 2015 fino al saldo. 7. CONDANNA la (...) s.a.s. alla corresponsione della somma di Euro 7.654,85 (oltre IVA, da determinarsi nella aliquota al momento della fatturazione), a favore della (...) s.r.l., con interessi come al precedente punto. 8. RIGETTA la domanda riconvenzionale formulata dalla (...) S.r.l. sulla violazione del dovere di esclusiva. 9. DICHIARA le spese di lite compensate per un mezzo. 10. CONDANNA la convenuta opposta (...) s.a.s. al pagamento di un mezzo delle spese processuali sostenute da parte attrice; spese che si liquidano nell'intero (dunque, dovuto un mezzo di quanto in appresso) in: Euro 13.430,00 per compensi; spese generali pari al 15% della somma che immediatamente precede; spese specifiche pari ad Euro 406,50. Infine, IVA e CPA. 11. DISPONE che il costo di c.t.u. resti a carico di chi ebbe ad anticiparlo. Così deciso in Bologna il 29 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO Composta da Dott. Laura Trogni - Presidente Dott. Benedetta Pattumelli - Consigliere Dott. Andrea Onesti - Giudice Ausiliario relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello avverso la sentenza del Tribunale di Como n. 27/2017, estensore Dott. Giovanni Luca Ortore promossa da (...) con il patrocinio dell'avv. CO.GI., elettivamente domiciliato in VIA (...) 22060 CANTU' presso il difensore APPELLANTE CONTRO F.LLI (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore (...), con il patrocinio dell'avv. CO.MA. elettivamente domiciliata in VICOLO (...) 20834 NOVA MILANESE presso il difensore APPELLATA MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di appello del 4.4.2017 (...) ha impugnato la sentenza del Tribunale di Como n. 27/2017, che ha rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo del medesimo Tribunale, con cui era stato ingiunto al (...) di pagare alla F.lli (...) (d'ora in poi, per brevità, anche (...)) la somma di Euro 29.563,85 a titolo di restituzione di anticipo provvigioni. Fra le parti, dal 26.3.2009 al 15.11.2012 era intercorso un contratto di agenzia, avente ad oggetto la promozione dei tutti i prodotti della società (macchinari ed utensili industriali) in un'area indicata in una cartina allegata al contratto. Il 15.11.2012 il rapporto era cessato per recesso senza preavviso da parte della preponente. La società, come da contratto, nel corso del rapporto aveva corrisposto un anticipo provvigionale fisso di Euro 1.500,00 mensili, da conguagliare con le provvigioni effettivamente maturate. La (...) aveva prodotto in sede monitoria riepiloghi periodici del dare-avere sottoscritti da (...), in cui veniva indicato il fatturato riferibile al medesimo, la provvigione (sempre del 5%) e l'importo corrisposto come anticipo provvigioni. La differenza risultava sempre a credito della società e veniva riportata a nuovo ogni anno; alla fine del rapporto -secondo la documentazione prodotta dalla società- la (...) risultava a credito verso il (...) dell'importo richiesto in via monitoria. In sede di opposizione (...) aveva disconosciuto la propria firma in calce ai riepiloghi degli anni 2011 e 2012; aveva inoltre contestato il contenuto di tutti i prospetti, lamentando che la convenuta opposta non gli aveva messo a disposizione la documentazione inerente a tutti gli affari conclusi nella sua zona nel periodo di causa, ed a tale proposito chiedeva l'esibizione dela documentazione fiscale attestante il fatturato per gli anni 2009-2013. Chiedeva anche la condanna della società al pagamento in suo favore dell'indennità ex art. 1751 c.c. Esperita CTU grafologica, che aveva riconosciuto come autentiche le firme in calce ai riepiloghi, il Tribunale ha integralmente rigettato l'opposizione ed ogni domanda del (...), ritenendo in primo luogo che le firme in calce ai prospetti, per quanto riferibili all'opponente, non possano costituire un'accettazione dei conteggi, limitandosi sostanzialmente ad una attestazione di avere ricevuto i documenti. Ciononostante, il comportamento dell'opponente, che non aveva mai contestato nella fase stragiudiziale la debenza delle somme indicate dalla società, costituiva un comportamento concludente, indicativo non contestazione di quanto risultante dai riepiloghi; inoltre risultava prodotto in causa da parte della società un elenco di fatture per gli anni 2009 e 2012 ed un terzo elenco parziale per l'anno 2010 da abbinare alle fatture emesse verso i clienti (parimenti prodotte) da cui risultava che non erano state emesse altre fatture nell'anno di riferimento. Le prime due scritture erano firmate dal (...) ed il Giudice ha ritenuto che tali elenchi, anche per diversa grafia rispetto ai conteggi della società, fossero verosimilmente scritti di sua mano. (...), inoltre, non ha dedotto né richiesto di provare ulteriori affari da lui conclusi oltre quelli indicati nei documenti acquisiti in causa, di talché -essendo incontestate le somme ricevute come anticipo provvisionale - risultava provato il suo debito della somma richiesta in restituzione dalla società opposta. Il Tribunale ha inoltre rigettato la domanda di pagamento dell'indennità di fine rapporto in quanto proposta oltre il termine annuale di prescrizione di cui all'art. 1751 c.c. ed ha condannato l'opponente al pagamento delle spese di lite. L'appello, dopo la ricostruzione della vicenda processuale, rileva che il primo Giudice ha aderito alla tesi dell'opponente, secondo cui la firma in calce ai prospetti prodotti non era significativa della accettazione del loro contenuto, ma solo della ricezione del documento. L'ulteriore sviluppo della motivazione della sentenza, quindi, si riduce a deduzioni soggettive prive di fondamento probatorio; in particolare non ha alcun significato la mancata contestazione dei prospetti e la mancata rivendicazione stragiudiziale di compensi ulteriori, dal momento che la domanda era poi stata proposta in giudizio entro il termine prescrizionale. Infatti il (...) in primo grado aveva rassegnato conclusioni per la verifica dei conteggi del dovuto ai sensi del contratto, che prevedeva anche le provvigioni indirette, e la condanna dell'opposta al pagamento delle eventuali differenze a proprio favore. L'appellante critica anche l'ulteriore parte della motivazione, basata sugli elenchi delle vendite (doc. 13, 17 e 15 dell'odierna appellata), i primi due sottoscritti dal (...) e scritti con una grafia diversa da quella dei riepiloghi aziendali, rilevando una contraddizione con la precedente parte della motivazione, laddove il Tribunale riteneva prive di valore negoziale le firme in calce ai prospetti aziendali. Altra censura rivolta alla sentenza è quella di omessa pronuncia sulla domanda proposta in primo grado, tendente al ricalcolo delle provvigioni spettanti per contratto sugli affari ulteriori rispetto a quelli indicati nei prospetti riepilogativi; l'appellante rileva a tale proposito che non è esatta l'affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui il medesimo (...) non avrebbe richiesto di provare gli affari ulteriori rispetto a quelli indicati nei prospetti, come dimostra l'istanza di esibizione, reiterata in appello, della documentazione fiscale attestante le vendite degli anni dal 2009 al 2013. Tale istanza trova il suo fondamento nell'art. 1749 c.c. secondo cui il preponente deve periodicamente comunicare all'agente gli estratti provvigionali, cosa che la (...) non aveva mai fatto, con ciò violando i principi di buona fede nell'esecuzione del contratto. Con memoria difensiva del 18.1.2019 la (...) si è costituita in giudizio eccependo in via preliminare l'inammissibilità dell' appello. Nel merito l'appellata sostiene la correttezza della sentenza e ripropone la propria ricostruzione della vicenda, basata sui riepiloghi provvigionali posti a fondamento della domanda in sede monitoria, dai quali si evince che il (...) ha approvato i conteggi della società cui, come giustamente rilevato dal primo Giudice, egli stesso ha apportato aggiunte di suo pugno, rivelando così di avere approvato senz'altro il risultato finale riportante il credito della società. L'appellata richiama peraltro il contenuto del contratto fra le parti che prevede l'approvazione tacita del conto delle provvigioni in mancanza di contestazione entro sessanta giorni dalla ricezione del medesimo. L'appellata infine osserva che, anche se non si tenessero in alcun conto i riepiloghi contestati, il medesimo risultato si trarrebbe dall'esame delle fatture e degli ordini riferibili al (...), che la società aveva prodotto nel giudizio di opposizione, in quanto i dati corrispondevano esattamente a quanto riportato nei riepiloghi periodici prodotti. A tale proposito l'appellata contesta l'ammissiilità dell'istanza di esibizione proposta dall'appellante in primo grado e reiterata in appello, in quanto puramente esplorativa, visto che il medesimo non ha in alcun modo allegato ulteriori ordini da lui procurati rispetto a quelli per cui è stata riconosciuta la provvigione. All'udienza del 30.1.2019 la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo riportato in calce. L'appello è infondato. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del gravame avanzata dall'appellata ai sensi dell'art. 434 c.p.c., sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al novellato art. 434 c.p.c. . Secondo Cass. SSUU n. 27199/2017 "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal (...) 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado". Rispondendo l'atto di appello ai requisiti come sopra individuati, come risulta dalla precedente esposizione dei motivi, l'eccezione è rigettata. Occorre però precisare che, per quanto sia riportata la relativa domanda nelle conclusioni dell'atto di gravame, nessun motivo di appello è stato svolto nei confronti della parte della sentenza che ha rigettato la domanda di condanna della società al pagamento dell'indennità di fine rapporto. Nel merito, il Collegio rileva che i riepiloghi provvigionali sono stati consegnati al (...) con cadenza periodica annuale, salvo che per l'anno 2010 in cui sono stati elaborati due conteggi, uno del 22.9.2010 (l'unico in cui le provvigioni maturate superano gli acconti corrisposti) e uno del 31.12.2010. Considerato l'esiguo numero degli affari conclusi, mai superiore a dieci ogni anno, può giustificarsi che non siano stati redatti riepiloghi mensili, anche in considerazione del fatto che veniva corrisposto un anticipo provvigionale fisso e pertanto non vi era la necessità di un conteggio mensile delle provvigioni effettivamente maturate. Si può convenire con l'appellante circa il fatto che la differenza di grafia dei riepiloghi non abbia significativa valenza, nel senso di indurre a ritenere che tali riepiloghi contengano parti scritte dal medesimo. Tuttavia è innegabile che tali prospetti siano stati consegnati al medesimo, come risulta dalle sottoscrizioni dal medesimo apposte ai riepiloghi redatti a mano (per gli anni 2009 e 2012) ed alle comunicazioni contenenti i consuntivi globali (per tutti gli anni del rapporto). Pertanto, ad avviso del Collegio, non si può ritenere che la parte preponente abbia omesso di trasmettere gli estratti relativi agli affari procurati dall'agente, ben potendo ritenersi i documenti prodotti parificabili nella sostanza ad estratti conto di cui all'art. 1749 c.c., sia pure redatti in modo assai informale e non comunicati con cadenza trimestrale, come previsto dalla norma. Pertanto deve ritenersi operante la clausola contrattuale che onerava l'agente della contestazione dei conti entro sessanta giorni dalla ricezione dei medesimi (art. 12 secondo comma). Sulla validità e sull'applicabilità della clausola contrattuale alla fattispecie in oggetto nulla è stato contestato da parte appellante. Risulta in definitiva condivisibile l'affermazione del primo Giudice, secondo cui il (...) ha sostanzialmente approvato i conteggi del dare-avere presentatigli dalla società. Con riferimento ad eventuali affari ulteriori rispetto a quelli contenuti nei riepiloghi consegnati a (...), il Collegio rileva che, a fronte della produzione da parte dell'appellata delle fatture relative agli affari conclusi da (...), dei mastrini annuali per cliente e, per l'anno 2012, anche delle copie degli ordinativi, l'appellante non ha svolto alcuna allegazione in fatto tale da consentire l'esperimento di una istruttoria che non sia meramente esplorativa, anche perché manca del tutto negli atti dell'appellante un elenco dei clienti e un'indicazione precisa della zona di competenza, individuata solo tramite il richiamo alla cartina geografica allegata al contratto. A fronte delle produzioni della società le allegazioni di parte opponente in primo grado ed i rilievi svolti in sede di appello si manifestano quindi del tutto generici ed insufficienti, così come non può essere ammessa l'esibizione di documenti contabili richiesta dall'appellante. Infatti la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'esibizione degli estratti contabili sia un diritto sostanziale dell'agente, ma tale diritto deve essere esercitato nell'ambito dell'esecuzione del contratto secondo buona fede. Si consideri ad es. Cass. n. 19319/2016 secondo cui "L'art. 1749 c.c., come modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 65 del 1999, ha imposto al preponente lo specifico obbligo di mettere a disposizione dell'agente la documentazione e le informazioni necessarie all'espletamento dell'incarico e di consegnare, quanto meno ogni trimestre, un estratto conto, quanto più dettagliato, delle provvigioni dovute. L'agente è, dunque, titolare di un vero e proprio diritto all'accesso ai libri contabili in possesso del preponente che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza. Ne deriva che la richiesta di esibizione documentale avanzata in giudizio dall'agente non può essere considerata generica ed inidonea a colmare un'eventuale lacuna probatoria, atteso che, trattandosi di documenti nell'esclusiva disponibilità del preponente ed indispensabili ai fini previsti dagli artt. 1748 e 1751 c.c., il preponente ha comunque l'obbligo, in ossequio al dovere di lealtà e buona fede, anche indipendentemente dall'ordine del giudice, di porli a disposizione dell'agente che deve, tuttavia, dedurre e dimostrare l'interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto e l'indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l'istanza." Ebbene, poiché la preponente, come sopra visto, ha messo a disposizione dell'agente le informazioni essenziali sugli affari conclusi, tali da consentire il conteggio delle provvigioni effettivamente maturate, l'agente avrebbe dovuto dimostrare, mediante idonee allegazioni, di avere un preciso interesse all'esibizione delle scritture contabili. L'odierno appellante, invece, si è limitato a lamentare la mancata comunicazione delle fatture e dei mastrini delle vendite andate a buon fine nel suo territorio (pag. 4 dell'atto di opposizione), ma non ha neppure specificamente dedotto che vi sarebbero stati affari ulteriori conclusi grazie alla sua attività dopo la cessazione del rapporto, né che la società abbia violato il suo diritto di esclusiva. L'appello quindi merita integrale rigetto. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in base al D.M. n. 55 del 2014, tenendo conto dell'attività difensiva effettivamente svolta. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. Respinge l'appello avverso la sentenza n. 27/2017 del Tribunale di Como. Condanna l'appellante a rifondere all'appellata le spese di lite del grado di appello liquidate in Euro 3.300,00 oltre spese generali e oneri di legge. Sussistono i presupposti per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, così come modificato dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228 Così deciso in Milano il 30 gennaio 2019. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Laura Trogni Presidente rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 2667/2016 - est. (...) discussa all'udienza collegiale del l'08/05/2018 e promossa DA (...) S.r.l. (...), rappresentata e difes a da gli avv.ti (...), ed elettivamente domiciliata presso il loro studio, sito in CORSO (...) 20122 MILANO APPELLANTE CONTRO (...) (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, sito in VIA (...) 20122 MILANO APPELLATO Oggetto: Rapporto di agenzia e altri rapporti di collaborazione ex art. 409, n. 3 c.p.c. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con ricorso depositato in data 3 maggio 2017, S.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 2667/2016 del Tribunale di Milano che ha accolto il ricorso avanzato dal sig. (...), diretto ad accertare la carenza di giusta causa del recesso intimatogli con lettera del 10 aprile 2015 da (...) S.r.l. e, per l'effetto rivolto ad ottenere la condanna di quest'ultima al pagamento dell'importo di Euro 5.000,00, o della diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, o comunque a titolo di risarcimento del danno, nonché la condanna della stessa al pagamento dell'importo di Euro 12.000,00, o della diversa somma ritenuta di giustizia anche secondo equità, a titolo di differenze sull'indennità di cessazione del rapporto di agenzia ex art. 1751 c.c., o in subordine e in ogni caso, diretto ad ottenere la condanna della società resistente al pagamento dell'importo di Euro 420,00, o nella dive rsa somma ritenuta di giustizia, a titolo di FIRR, nonché di Euro 315,00 a titolo di indennità suppletiva di clientela, e di Euro 11.265,00, o nella diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di indennità c.d. meritocratica. Il tutto oltre alle spese di lite, accessori di legge, rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze al saldo. Il Giudice di prime cure, esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, all'esito delle prove orali ha ritenuto pacifica la sussistenza tra le parti di un contratto di agenzia in esclusiva, a tempo indeterminato per la zona di Milano e Provincia con decorrenza 26 maggio 2014, successivamente risolto per giusta causa sulla base di un inadempimento da parte dell'agente, relativo ai risultati dell'attività di promozione. Inoltre, sulla base dell'art. 1 0 del contratto di agenzia, nonché, avuto riguardo alla lettera di recesso del 14 aprile 2015, il Giudice di prime cure ha ritenuto pacifico che (...), nel corso del rapporto, precisamente dal giugno 2014, avesse corri sposto al ricorrente la somma mensile di Euro 1.000,00 a titolo di anticipi provvigionali, interrompendo successivamente, a partire dal mese di febbraio 2015, il versamento di tale somma. Nonostante, con la missiva dell'aprile 2015, (...) avesse contestato all'agente ricorrente l'insufficienza dei risultati conseguiti "...ben al di sotto di quelli conseguiti da altri agenti che operano in zone limitrofe", il primo Giudice ha rilevato come la stessa società resistente, limitandosi ad evidenziare uno standard medio di produttività degli altri agenti, non aveva di fatto dimostrato l'effettiva esistenza di una evidente difformità di risultati tra il ricorrente e gli altri colleghi. Sul punto, il Giudice di prime cure, richiamando la disciplina prevista in tema di recesso per giusta causa nel contratto di agenzia, ha evidenziato che, in assenza di uno specifico obiettivo (target) concordato inizialmente tra le parti, sarebbe stato onere del proponente provare l'anomala diminuzione degli affari dell'agente. Il primo Giudice ha poi ravvisato nella previsione dell'anticipo provvigionale disposto da (...), al fine di garantire in favore dell'agente un guadagno minimo per un arco temporale di due anni, la consapevolezza della stessa società della necessità di un certo arco temporale per permettere a quest'ultimo di impadronirsi del territorio assegnatogli. Ha poi rilevato come dall'esame del fatturato riconducibile al ricorrente fosse emerso che, nel periodo da giugno ad ottobre 2014, i volumi delle vendite erano triplicati, escludendo pertanto una possibile condotta inadempiente dello stesso. Sul punto, inoltre, il primo Giudice, alla luce delle dichiarazioni rese dal teste (...), superiore diretto del ricorrente, ha rilevato come la stessa società resistente, in precedenza, non avesse mai comunicato al superiore del sig. (...) doglianze inerenti il carente lavoro svolto, escludendone, dunque, la sussistenza di una giusta causa del recesso. Pertanto, il Giudice di prime cure ha dichiarato l'insussistenza della giusta causa di recesso da parte di (...), riconoscendo al ricorrente l'indennità sostitutiva del preavviso, equivalente, in base al disposto dell'A.E.C., a cinque mesi, trattandosi di rapporto monomandato. In particolare, a fronte di un minimo annuo garantito di Euro 12.000,00, sulla base di una interpretazione secondo buona fede del la clausola n. 10 del contratto, ha ritenuto spettante all'ex agente un'indennità sostitutiva del preavviso pari ad Euro 5.000,00. In ordine all'indennità di cessazione del rapporto di cui all'art. 1751 c.c., il primo Giudice, ritenuti sussistenti nel caso di specie sia il procacciamento di nuovi clienti da parte dell'agente, sia i sostanziali vantaggi apportati da quest'ultimo in favore della società resistente, ha condannato (...) S.r.l. al pagamento in favore del sig. (...) dell'importo di Euro 12.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Da ultimo ha condannato la società convenuta al pagamento delle spese di lite sostenute dal ricorrente, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA2. Con il primo motivo di appello, parte appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il primo Giudice, sulla base dei documenti prodotti e all'esito delle prove orali, ha erroneamente ritenuto insussistente la giusta causa di recesso. Parte appellante, preliminarmente, ha ribadito come la società (...) in data 14.4.2015 avesse comunicato all'agente il recesso dal contratto di agenzia a causa dei risultati di fatturato da questi conseguiti nel corso del rapporto, insufficienti rispetto alle aspettative e all'operato degli altri agenti assegnati a zone limitrofe. Sul punto, parte appellante, contestando l'argomentazione del giudice di prime cure, ha evidenziato che con la previsione dell'anticipo provvigionale, (...) aveva inteso favorire la fase di start up del rapporto, confidando nel fatto, che l'agente (...) avrebbe maturato provvigioni superiori o quantomeno pari agli anticipi. Dunque, parte appellante, sulla base del numero di clienti procurati dal sig. (...) nel 2014 e 2015, ha sostenuto di aver avuto modo di accertare nell'arco di 10 mesi, l'inidoneità dello stesso, per scarsi risultati o scarso impegno, a svolgere l'attività affidatagli. Allo stesso modo, ha censurato l'argomentazione del primo giudice laddove, sulla base di un errato calcolo del numero delle vendite riconducibili al periodo da giugno a ad ottobre 2014, ha dedotto l'insussistenza di una condotta inadempiente dell'agente. Ancora, parte appellante, richiamando le dichiarazioni rese dal teste (...), ha evidenziato come lo stesso avesse affermato di aver sollecitato il sig. (...) ad "aumentare il numero dei clienti e il pacchetto dei prodotti venduti, a trovare nuovi clienti come si fa abitualmente con tutti i nostri venditori quando i risultati sono scarsi". Parte appellante, insistendo a sostenere l'inadempimento del sig. (...), ha inoltre precisato come lo stesso agente a fronte di un target di zona risultante d alla banca dati Cerved pari a 7.450 esercizi commerciali, quali potenziali clienti, presenti nella zona di Milano e provincia assegnatagli, avesse procurato alla (...) il numero esiguo di 30 clienti, producendo una media provvigioni mensile pari a EUR 346,13. Pertanto, sulla base dei documenti prodotti (doc. 7 fasc. primo grado), parte appellante, contrariamente a quanto rilevato dal primo Giudice, ha dedotto di aver allegato tutti gli elementi idonei a dimostrare sia la decorrenza dei rapporti di agenzia di tutti gli agenti della" Rete Nord "sia il divario esistente, mese per mese, tra i dati reddituali del ricorrente e quello dei suoi colleghi. Inoltre, richiamando la giurisprudenza di legittimità in ordine al rapporto di agenzia, ha sostenuto come quest'ultimo debba essere qualificato come obbligazione di risultato, pertanto evidenziando come, nel caso di specie, a fronte di un riconoscimento anticipato delle provvigioni in favore dell'agente, fosse da considerare di maggiore valenza l'obbligazione di ris ultato assunta dal sig. (...) (Cass. Civ. sez. lav. 28.03.2000 n. 3783). Nella denegata ipotesi di conferma della sentenza impugnata, con il secondo motivo di appello, parte appellante ha censurato quest'ultima nella parte inerente alla quantificazione dell'indennità di mancato preavviso e dell'indennità di fine rapporto, poiché erroneamente calcolate dal primo Giudice sulla base degli anticipi provvigionali fissi corrisposti mensilmente dalla preponente e non sulle provvigioni effettivamente maturate d all'agente, tralasciando di considerare il principio c.d. meritocratico e di equità di cui all'art. 1751 c.c. Sotto il profilo strettamente quantitativo, parte appellante ha precisato che, a fronte di un importo pari a Euro 3.883,78 di provvigioni maturato d al signor (...) in 10,5 mesi di rapporto, l'indennità sostitutiva del preavviso debba ammontare ad Euro 1.849,41 mentre l'indennità di fine rapporto, nella misura massima ex art. 1751 c.c., ad Euro 4.438,60. In ulteriore subordine, nella denegata ipotesi in cui venisse confermata sia la insussistenza della giusta causa di recesso sia la quantificazione dell'indennità di fine rapporto sulla base del c.d. minimo garantito, parte appellante, con l'ultimo motivo di gravame ha censurato la quantificazione della citata indennità nella misura massima. Con memoria depositata in data 3 gennaio 2017, il sig. (...) si è costituito nel presente giudizio resistendo e chiedendo, in via preliminare, la declaratoria di inammissibilità dell'appello ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter e, in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui la Corte ritenesse di miglior favore la disciplina di cui all'A.E.C., la condanna di (...) S.r.l., previa eventuale riduzione di quanto ricevuto a tale titolo, al pagamento in favore del sig. (...) di EUR 420,00 a titolo di FIRR, di EUR 315,00 a titolo di indennità suppletiva di clientela e di EUR 11.265,00 a titolo di indennità meritocratica. All'udienza del 16 gennaio 2018, il Collegio, ritenutane la necessità ai fini della decisione, ha invitato le parti a produrre il conteggio analitico dell'indennità meritocratica sulla base dei parametri indicati dall'art. 13 A.E.C. Agenti di Commercio 2009, già prodotto in causa. All'udienza del l'8 maggio 2018, in esito alla discussione orale, la causa è stata decisa con pubblica lettura del dispositivo. 3. Non può trovare accoglimento il primo motivo di appello relativo alla affermata insussistenza della giusta causa di recesso. La analiticamente motivata e condivisibile sentenza del primo giudice sarà ripercorsa alla luce dei motivi di appello. Quanto al rapporto tra minimo garantito (Euro 1000 mensili) e provvigioni effettivamente maturate (medi a di Euro 346,13 mensili), si osserva che è stata la stessa società, al momento della conclusione del contratto, a determinare l'importo del minimo garantito, per un periodo limitato di due anni, valutato idoneo, come rilevato dalla stessa società, a "favorire la fase di start up del rapporto". Premesso che il recesso è intervenuto dopo 10 mesi dall'inizio del rapporto di agenzia (3 giugno 2014 - 14 aprile 2015), caratterizzati, dalla triplicazione del volume di vendite da giugno a ottobre 2014 e dalla successiva riduzione della metà nei successivi quattro mesi da ottobre a febbraio 2015, si conviene con il primo giudice che tale periodo è troppo breve ai fini della valutazione di un comportamento inadempiente dell'agente tale da giustificare il recesso per giusta causa. Né può essere necessario parametro, come vorrebbe l'appellante, importo del minimo garantito che, si è detto, risponde a finalità diverse e non sarebbe garantito se dovesse in realtà corrispondere all'importo prevedibile ed esigibile delle provvigioni. A fronte delle già evidenziate risultanze delle dichiarazioni dei testi Ro. e Ba., dalle quali non emerge che nel periodo in questione la società avesse manifestato al signor (...) malcontento o invito ad un maggiore impegno professionale, anche la dichiarazione del teste (...), capoarea di (...), evidenziata con l'atto d'appello, non fa riferimento a specifiche doglianze per l'operato della signor (...), avendo il teste riferito di avere fatto affiancamento con il ricorrente circa 8 - 10 volte per l'intera giornata di lavoro e di averlo sollecitato "a documentare la numerica dei clienti e il pacchetto dei prodotti venduti, a trovare nuovi clienti, come si fa abitualmente con tutti i nostri venditori quando i risultati sono scarsi". Si tratta di dichiarazioni generiche, inidonee a configurare una specifica contestazione di un inadempimento talmente grave da giustificare, dopo un periodo così breve del rapporto, un recesso per giusta causa. Quanto al rilievo del primo giudice secondo cui non è individuabile uno standard medio di produttività mediante un semplice confronto con l'operato degli altri" agenti del Nord", in assenza di dati più precisi relativi al periodo a decorrere dal quale gli stessi operavano nel territorio e se avessero o meno acquisito clientela dagli agenti che li avevano preceduti nella zona, l'appellante ha evidenziato che i testi hanno riferito, da un lato che tutti gli agenti operanti in Lombardia non avevano "ereditato" clientela dall'azienda o d ai precedenti agenti, ma, dall'altro, che cinque agenti avevano iniziato il rapporto di agenzia nel febbraio 2014, mentre il contratto di agenzia di (...) aveva decorrenza giugno 2014 (come confermato anche dal teste (...)). Sotto questo profilo non si tratta dunque di dati omogenei. L'appellante cita poi i dati di agenti operanti in altre zone (Ma., Pe., Gi.), quindi non comparabili, mentre il dato relativo all'unico altro agente per la zona della Lombardia portato come riferimento (doc. 7), quello relativo al sig. (...), non può essere dirimente come unico elemento comparativo, tenuto conto, anche, che il sig. (...), il cui rapporto di agenzia è cessato a giugno 2015, sentito come testimone ha dichiarato di avere "un contenzioso pendente ...con (...) avente lo stesso og getto di quello del ricorrente". Ritiene dunque collegio, con il primo giudice, la insussistenza di una giusta causa di recesso. 4. Anche il secondo profilo di appello, nella parte in cui si contesta la quantificazione dell'indennità sostitutiva del preavviso nella misura di Euro 5000, 00, non può trovare accoglimento. Si ritiene corretto che il primo giudice abbia computato l'indennità sostitutiva del preavviso di cui all'art. 10 AEC assumendo come parametro di riferimento mensile Euro 1000,00, vale a dire il minimo garantito, piuttosto che le provvigioni effettivamente maturate. Recita l'art. 10 AEC: "L'indennità sostitutiva del preavviso va computata su tutte le somme corrisposte in dipendenza del contratto di agenzia, anche a titolo di rimborso o concorso spese o di premio". Appare coerente con la lettera del contratto collettivo e con la ratio dell'istituto che l'indennità sostitutiva del preavviso sia computata utilizzando come base di calcolo tutte le somme corrisposte in dipendenza del con tratto di agenzia, e quindi anche quelle percepite a titolo di minimo garantito provvigionale, nel caso in esame pari a Euro 1000 mensili. 5. La sentenza deve trovare invece parziale riforma nella parte in cui ha riconosciuto a titolo di indennità di cessazione del rapporto di agenzia di cui all'articolo 1751 c.c. la somma di Euro 12.000,00. Premesso che non c'è contestazione specifica sull'an della pretesa, si osserva che l'art. 1751 c.c. prevede: "All'atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti". .....L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione". L'attuale art. 1751, 3 comma, c.c. fissa solo il tetto massimo, pari a una indennità annua, che deve essere calcolata, sulla base della media annuale delle provvigioni percepite negli ultimi cinque anni, o sulla media di quelle comunque percepite nel periodo lavorato, se è inferiore ai cinque anni. Si condividono i rilievi dell'appellante in ordine al carattere meritocratico di tale indennità e sulla circostanza dunque che nel computo, fra il minimo e il massimo, di tale indennità si debba no avere come parametro di riferimento le provvigioni effettivamente maturate in quanto indicative della entità degli affari conclusi con i clienti procurati. Poiché l'art. 1751 c.c. fissa espressamente solo il tetto massimo della stessa, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che, alla luce delle normativa e giurisprudenza dell'Unione Europea, il riferimento al criterio dell'equità serve non solo ad individuare quando sorge il diritto all a indennità, ma anche a quantificarla, essendo prevalente sulla contrattazione collettiva tutte le volte in cui la sua concreta applicazione porti ad un risultato più favorevole all'agente. Si legge, da ultimo, "In tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, il comma 3 dell'art. 1751 c.c. delinea soltanto il limite massimo consentito dalla legge per la sua determinazione in via equitativa, da commisurarsi con riferimento alla media annuale delle retribuzioni percepite dall'agente nell'ultimo quinquennio, ovvero, se il contratto di agenzia è stato di durata inferiore, alla media del corrispondente minor arco temporale; detto limite insuperabile non è connotato dall'inderogabilità, prevista esclusivamente per il limite minimo regolato dal successivo comma 6; quest'ultimo, infatti, al fine di assicurare all'agente il risultato migliore, prevede che l'importo determinato dal giudice deve prevalere su quello, eventualmente inferiore, spettante in applicazione di altri criteri diversamente pattuiti (Sez. L, Sentenza n. 15375 del 21/06/2017); "In tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, a seguito della sentenza della CGUE, 23 marzo 2006, in causa C - 465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della stessa, nel regime precedente l'AEC del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l'"indennità meritocratica", ove l'agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell'art. 1751, comma. 1, c.c., è necessario verificare - non secondo una valutazione complessiva "ex ante" dell'operato dell'agente, ma secondo un esame dei dati concreti "ex post" - se, fermi i limiti posti dall'art. 1751, comma 3, c.c., l'indennità determinata secondo l'accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l'agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità" (Sez. L, Sentenza n. 486 del 14/01/2016). Al settimo comma viene precisato che "le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell'agente". Sulla base di quest'ultima disposizione va risolta la questione, posta dalle parti, della relazione esistente tra l'istituto di cui all'art. 1751 c.c., nel testo di recepimento della Direttiva 86/853/CE E, e l'indennità suppletiva di clientela disciplinata già dall'AEC del 30.10.92 e riproposta nell'accordo del 2002 (e 2009). I giudici della Cassazione hanno ritenuto che l'art. 1751 c.c., nel testo vigente, imponga l'applicazione della disciplina che "assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore". L'inderogabilità prevista dalla norma comporta, cioè, la prevalenza dell'importo determinato sulla base del criterio legale su quello, inferiore, spettante in applicazione della disciplina pattizia. Quest'ultimo finisce dunque per rappresentare un "trattamento minimo garantito". La Corte, all'udienza del 16 gennaio 2018, ha invitato le parti a produrre un conteggio analitico dell'indennità meritocratica sulla base dei parametri indicati dall'articolo 13 AEC Agenti Commercio 2009, prodotto in causa, tenuto conto della durata del contratto di agenzia sino a 12 mesi. Le parti hanno prodotto i rispettivi conteggi e all'udienza hanno dato atto che tale indennità ammonta a Euro 4438,60 se si considerano le provvigioni effettivamente maturate e in Euro 11.265,00 considerato invece l'importo fisso di Euro 1000,00 x 12 corrisposto a titolo di minimo garantito come valore massimo dell'indennità ex art. 1751 c.c. La Corte, per i motivi sopra esposti ritiene che l'indennità cui dall'articolo 13 AEC Agenti Commercio debba avere come parametro di riferimento il fatturato effettivamente prodotto e le relative provvigioni maturate, a differenza di quanto ritenuto in materia di indennità sostitutiva del preavviso. In questo caso tale indennità, che ammonta a Euro 4438,60, costituisce comunque il limite minimo ai sensi dell'articolo 1751 settimo comma c.c. e deve ritenersi, ad avviso della Corte, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, la somma da liquidarsi secondo equità ai sensi della citata normativa legale. Spetta pertanto a (...), a titolo di indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c., la somma di EUR 4438,60, maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria. 7. Concludendo, la sentenza appellata deve essere parzialmente riformata nel senso di cui in motivazione. L'esito del giudizio giustifica la compensazione per metà delle spese di appello, a norma dell'art. 92 c.p.c. La residua quota è liquidata come da dispositivo, in considerazione del valore della controversia e del suo grado di complessità, nonché dell'assenza di attività istruttoria nella presente fase del giudizio, in ragione delle tabelle dei compensi professionali di cui al DM n. 55 del 10 marzo 2014, da distrarsi a favore del procuratore antistatario. Si dà atto che per mero errore materiale nel dispositivo letto in udienza (...) S.r.l. è stata condanna la a rifondere all'appellante, invece che all'appellato (...) la metà delle spese del grado di appello. P.Q.M. in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano n. 2667/2016, ridetermina l'importo capitale dovuto ai sensi dell'art. 1751 c.c. in EUR 4438,60; conferma nel resto. Dichiara compensate tra le parti la metà delle spese del giudizio di appello e condanna (...) S.r.l. a rifondere all'appellante la restante metà, che liquida, già nella quota, in Euro 1.200,00, oltre spese generali e accessori di legge, da distrarsi a favore del procuratore antistatario. Così deciso in Milano l'8 maggio 2018. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GENOVA Il Giudice Monocratico - Sezione del Lavoro in persona della dott.ssa Simona Magnanensi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa r.g. n. 4809/2015 promossa da: (...) s.p.a, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del ricorso introduttivo, dagli avv.ti St.De. e An.Co., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo opponente CONTRO (...), rappresentata e difesa, in forza di procura in calce al ricorso ex art. 633 ss. c.p.c. r.g. n. 3921/2015, dagli avv.ti Ca.Ol. e An.Mo., ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo opposta MOTIVI DELLA DECISIONE A seguito di ricorso ex art. 633 ss. c.p.c., (...), premesso di aver intrattenuto con (...) s.p.a. un rapporto di agenzia a far data dal 01.09.2014, otteneva dal Tribunale di Genova decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1397/2015 con cui veniva ingiunto alla predetta società il pagamento della somma di Euro 2.545,80, oltre alla rivalutazione e agli interessi dalle scadenze, a titolo di provvigioni asseritamente maturate dall'agente per i mesi di maggio e giugno 2015. Con ricorso depositato in data 02.12.2015, la società ha formulato opposizione al provvedimento monitorio, chiedendone in via preliminare e cautelare la sospensione della provvisoria esecutività e, in via principale, la revoca. (...) ha inoltre proposto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna di (...) al pagamento della somma di 16.108,89. L'opponente, a sostegno della propria pretesa, ha dedotto: - Che, con accordo datato 04.06.3015, (...) aveva conferito ad (...) l'incarico di emettere a suo nome e per suo conto le fatture e le note di credito inerenti alle prestazioni da lei svolte a favore della società preponente; - che, estintosi il rapporto a seguito del recesso dell'agente esercitato in data 10.07.3015, la società, in esecuzione del predetto incarico, aveva emesso e inviato a (...) documenti contabili con cui, a chiusura complessiva dei reciproci rapporti di debito - credito, le chiedeva il pagamento della somma di Euro 16.108,89, risultato della sottrazione fra i crediti asseritamente vantati dalla società nei confronti dell'agente e le somme da questa dovute a titolo di provvigione; - che, in particolare, il credito vantato dalla preponente era generato - per la somma di Euro 14.554,99 - dall'applicazione delle condizioni di pagamento previste dall'allegato E del contratto di agenzia, in base alle quali, nel caso di estinzione anticipata del contratto concluso tra (...) e cliente per effetto dell'opera dell'agente, dall'ammontare a questi corrisposto a titolo di provvigioni occorreva sottrarre un importo calcolato in relazione al numero di mensilità mancanti alla scadenza naturale del vincolo contrattuale oggetto della predetta estinzione; - che il residuo credito era invece rappresentato dal compenso dovuto dall'agente per i servizi erogati dal preponente nei mesi da maggio a luglio 2015 - per complessivi Euro 1.000,00 - e per un ammanco di cassa rilevato in sede di chiusura del rapporto (per complessivi Euro 553,90). - che l'agente, ricevuta la nota di credito, non ne aveva contestato il contenuto, sicché, decorso il termine di 60 giorni stabilito a pena di decadenza dall'art. 6.6 del contratto per compiere ogni contestazione in ordine ai documenti contabili, (...) aveva approvato tacitamente gli importi indicati nella nota di credito stessa. Con memoria difensiva depositata in data 13.03.3016, (...) si è costituita nel presente giudizio, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto, il rigetto della domanda riconvenzionale di (...) e formulando, in via principale, la richiesta di condanna della preponente al pagamento della somma di Euro 36.976,70 a titolo di indennità ex art. 1751 c.c. L opposta ha chiesto la reiezione della domanda riconvenzionale, sostenendo l'invalidità e/o l'inefficacia della clausola contrattuale posta a suo fondamento; ha altresì contestato la validità del termine decadenziale sancito nel contratto per far valere contestazioni circa i documenti contabili emessi dalla preponente. La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto è stata sospesa Rilevato che la costituzione di parte opposta è avvenuta in data 13.03.2016, e dunque oltre il decimo giorno prima dell'udienza di discussione, fissata per il 33.03.3016, il Giudice ha dichiarato la tardi vita della predetta costituzione (cfr. Cass. Civ., sent n. 14767/3014) con la conseguente decadenza della parte dalle deduzioni istruttorie e dal deposito di documenti ulteriori rispetto a quelli allegati al ricorso monitorio, e con l'altrettanto conseguente inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta con l'atto introduttivo (cfr. ordinanza a verbale di udienza del). Così chiarito l'iter processuale, deve innanzitutto ribadirsi che, per le ragioni appena menzionate, la domanda riconvenzionale proposta da (...) è inammissibile. Il ricorso in opposizione è invece fondato nei limiti che seguono. Onde analizzare compiutamente le questioni giuridiche poste dal caso di specie, risulta necessario ricostruire preliminarmente la disciplina negoziale chiamata a regolare il rapporto controverso. In particolare, si tratta di verificare, da un lato, la validità della clausola che prevede lo storno dei compensi dovuti all'agente in caso di estinzione anticipata dei contratti tra (...) e clienti e, dall'altro, la validità e gli effetti prodotti dal termine di decadenza sancito dalle parti per la contestazione dei documenti contabili emessi; all'esito di queste indagini, si potranno verificare le rispettive posizioni di debito e credito. Sulla validità delle clausole relative alle condizioni di pagamento contenute nell'all. E contratto di agenzia. L'allegato E del contratto di agenzia contiene la disciplina relativa alle provvigioni spettanti all'agente per le operazioni concluse. Il documento è suddiviso in due sezioni: la prima, (A) relativa al "Piano dei compensi consumer", la seconda (B) relativa al "Piano dei compensi business". Entrambe contengono - la sezione A agli artt. 1 e 3 e la sezione B agli artt. 1, 3 e 3 - una descrizione dei compensi spettanti all'agente in ragione del tipo di contratto concluso e delle operazioni effettuate. Con disposizioni di identico tenore testuale, gli artt. 3.5, 3.6 e 3.7 della sezione A e gli artt. 4.5 e 4.6 e 4.7 della sezione B dispongono: "Lo storno dei compensi di cui ai punti 1.1 e 2.1 lett. b) sarà effettuato pro rata in relazione al momento temporale (mese di riferimento rispetto all'ultimo mese di vincolo previsto dal contratto di abbonamento del cliente) in cui avverrà la disattivazione della USIM, ad opera di (...), per fatto o colpa imputabile al cliente, e/o recesso e/o risoluzione del cliente (...). In particolare, il calcolo di cui al punto 3.5, verrà effettuato mediante storno, calcolato, in misura pari al numero di mesi che mancano alla scadenza del vincolo contrattuale/contratto concluso/cliente attivo a titolo esemplificativo: se il cliente interrompe il rapporto al quarto mese e l'offerta/contratto prevede un vincolo a 30 mesi, verranno stornati 26 trentesimi del totale di compenso eventualmente erogato, pari al numero di mesi che mancano alla fine del vincolo (30mesi). Di conseguenza, i compensi riconosciuti all'agente di cui sopra si intendono sottoposti alla condizione sospensiva di contratto concluso consumer/Cliente attivo, ed ove eventualmente erogati, si intendono a titolo di anticipo su un diritto che si intenderà perfezionato, in relazione ai singoli ratei mensili (ratei di compenso), a seguito del verificarsi, mese per mese, di ognuna delle singole condizioni indicate nel presente allegato". Mediante la previsione contrattuale testé riportata, la misura della provvigione spettante all'agente viene influenzata dalle vicende relative all'esecuzione del contratto concluso grazie al suo operato: infatti, maggiore sarà la durata del vincolo, maggiore sarà la somma che gli spetterà a titolo di provvigione. Si tratta di comprendere, dunque, se questo meccanismo contrasti con la disciplina relativa al diritto alla provvigione o se, viceversa, sia con esso compatibile. In base all'art. 1748 c. 1 c.c., "Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l'agente ha diritto alla provvigione quando l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento." L'attuale testo della disposizione in esame, introdotto dal D.Lgs. n. 65 del 1999 attuativo della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, innovando rispetto al previgente dettato normativo, àncora la genesi della provvigione non più ali esecuzione del contratto stipulato, bensì alla sua conclusione. La ratio della disposizione è quella di assicurare una maggiore protezione al patrimonio dell'agente, il quale, in base alla previgente versione della norma, prima dell'esecuzione del contratto, era titolare non già di un diritto al compenso, ma di una mera aspettativa. Tuttavia, benché il diritto alla provvigione sorga in concomitanza con il momento genetico dell'operazione conclusa dal preponente, il momento dinamico del contratto procurato dall'agente continua ad influire sulla possibilità per questi di azionare il suo credito. In tal senso depongono il c. 4 dell'art. 1748 c.c., in base al quale "Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all'agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all'agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico"; il c. 5 dell'art. 1748 c.c., secondo cui "Se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l'agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità; il c. 6 della medesima norma codicistica, il quale recita: "L'agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. È nullo ogni patto più sfavorevole all'agente. In definitiva, l'esecuzione continua ad incidere sensibilmente sul diritto alla provvigione. In particolare, da una lettura abbinata del c. 1 e del c. 4 dell'art. 1748 c.c. è possibile dedurre che il legislatore distingua tra il momento di acquisizione del diritto alla provvigione e il momento della sua esigibilità: il primo coincide con la conclusione dell'operazione, il secondo con quello della sua esecuzione o con quello in cui questa sarebbe dovuta avvenire (cfr. in proposito Cass. Civ., sent. n. 5467/2000; Cass. Civ., sent. n. 9539/2011). La perdurante rilevanza assegnata alla fase esecutiva del contratto funge da elemento di contatto tra il diritto alla provvigione e l'utilità economica che il preponente consegue grazie all'opera dell'agente; depone in tal senso quanto affermato dalla Corte di cassazione in ordine al significato del termine "esecuzione", da intendersi, secondo il giudice di legittimità, come "il risultato economicamente utile conseguito dal preponente a seguito dell'esecuzione del contratto concluso con il terzo" (così Cass. Civ., sent. n. 12668/1997). A fronte di quanto precede, deve dunque affermarsi che, in tema di contratto d'agenzia, nulla osta a che in sede contrattuale le parti convengano che, fermo restando che il diritto alla provvigione sorge al momento della conclusione del contratto, particolari aspetti attinenti al compenso - quali la sua esigibilità o la sua esatta quantificazione - dipendano dalle vicende relative all'esecuzione dell'accordo, trattandosi di pattuizione, da un lato, in linea con le indicazioni emergenti dalla complessiva disciplina in materia e, dall'altro, coerente con i profili di rischio connaturati all'attività dell'agente. Calando questa considerazione nel caso concreto, si giunge ad affermare la validità delle clausole esaminate supra. Le stesse, infatti, si collocano all'interno di un contesto negoziale in cui, in base alle norme di entrambi i piani di compenso contenuti nell'allegato E, all'agente sono riconosciuti, da un lato, compensi "base" per le diverse tipologie di contratto concluso e, dall'altro, compensi aggiuntivi che valorizzano specifiche modalità di perfezionamento dell'accordo (si pensi, ad es., alla maggiorazione del compenso riconosciuta in caso di pagamento da parte del cliente con addebito su carta di credito o su conto corrente), nonché, con riguardo alla sezione A, la fedeltà del cliente con cui l'agente abbia concluso l'accordo medesimo. Con particolare riferimento a quest'ultimo profilo, deve infatti sottolinearsi che, a mente dell'art. 1.2 del "Piano di compensi consumer", la preponente riconosce all'agente semestralmente, a partire dal 18 al 60 mese (5 anni) e per ogni usim postpagata consumer (senza terminale), una percentuale sui ricavi netti conseguiti. Si tratta, a ben vedere, di una disposizione che, prevedendo importi destinati a sommarsi ai compensi "base" stabiliti, tende a beneficiare l'agente nel caso in cui l'esecuzione contratto (...)/cliente prosegua con successo. Ciò considerato, appare dunque coerente che le parti, mediante le clausole di cui agli artt. 3.5, 3.6 e 3.7 della Sezione A e 4.5, 4.6 e 4.7 della Sezione B, abbiano corrispondentemente valorizzato anche il caso opposto, ossia quello in cui il contratto si estingua prima della sua naturale scadenza, prevedendo in tal caso che il compenso "base" venga decurtato in proporzione ai mesi mancanti (e, per questa via, in proporzione al mancato guadagno del preponente). Il meccanismo condizionante così congegnato rientra in una logica negoziale non solo equilibrata, ma anche compatibile e adesiva alla disciplina generale precedentemente ricostruita. D'altra parte, neppure sussistono i profili di invalidità invocati da (...) in merito a un asserito contrasto tra la clausola in commento e l'invocata libertà di recesso attribuita all'utente in materia di servizi di telefonia: premesso che questa non viene in alcun modo scalfita dal contratto per cui è causa, da essa non possono certamente discendere limiti all'autonomia negoziale dell'agente e del preponente. Parimenti infondata è la tesi di (...) secondo cui la clausola de qua, facendo ricadere sull'agente le conseguenze della condotta del cliente senza alcuna valutazione dell'operato di (...), configurerebbe un'ipotesi atipica di responsabilità oggettiva contrastante con il principio generale forgiato dall'art. 3043 c.c.. Premesso che la clausola si riferisce ad ipotesi d'estinzione che presumono la mancanza di arbitrio di (...), ponendo piuttosto l'accento su una responsabilità o una mera scelta del cliente, il fatto che, nei limiti sopra analizzati, l'agente partecipi, nel bene e nel male, alle sorti dei contratti conclusi con la sua partecipazione non è incompatibile ma, a ben vedere, coerente, con la disciplina del contratto d agenzia. Infine, deve anche escludersi l'adombrata inefficacia delle clausole ai sensi dell'art. 1341 c. 3 c.c.: tale ipotesi di vizio è plasticamente smentita dal fatto che le clausole sono state oggetto di specifica approvazione per iscritto. Pertanto, si deve conclusivamente ribadire che la disciplina contrattuale posta a fondamento della pretesa di (...) risulta senz'altro valida. Sul termine di decadenza a carico dell'agente sancito dall'art. 6.6 del contratto di agenzia e s.m. per la contestazione dei documenti contabili emessi da (...). Giova premettere all'analisi che segue la circostanza per cui la fatturazione delle provvigioni spettanti all'agente e l'emissione delle note di credito per gli storni da applicare ai compensi è stata compiuta, in nome e per conto dell'agente, da (...), a ciò legittimata da (...) in forza di apposito incarico conferito con la scrittura privata del 04.06.3015 (di seguito, anche, "mandato"). Tenuto conto che (...) ha emesso le note di credito indicanti gli importi di cui chiede il pagamento in epoca successiva all'estinzione del contratto - l'estinzione si è verificata con il recesso del 10.07.3015, mentre la nota di credito è stata trasmessa il 04.09.3015 - è, altresì, opportuno precisare che l'incarico in questione aveva portata "ultrattiva", mantenendo, infatti, vigore anche successivamente all'estinzione del contratto d'agenzia cui era accessorio. Si legge all'art. 6.3 del mandato che "Resta inteso che, in caso di cessazione per qualunque causa del Contratto principale, (...) sarà autorizzata a proseguire l'attività di fatturazione oggetto del presente (...), purché detta attività di fatturazione sia, in ogni caso, riferita alle Prestazioni poste in essere durante la vigenza del Contratto Principale medesimo." Trattasi di clausola contrattuale oggetto di specifica approvazione per iscritto da parte dell'agente (cfr. doc. 3 (...)). A tale meccanismo di fatturazione si lega la clausola del contratto d'agenzia che sancisce un termine di decadenza per contestare la documentazione contabile emessa da (...). Infatti, l'art. 6.6 del contratto di agenzia, come modificato dalle parti a seguito del conferimento del mandato (cfr. doc. 3 e 4 di (...)), dispone che "Trascorsi 60 (sessanta) giorni senza che l'agente abbia contestato gli importi comunicati da (...), tali importi si intenderanno definitivamente approvati e l'agente decadrà dal proprio diritto di sollevare eccezioni e contestazioni". Poiché nel caso concreto una parte del credito vantato da (...) è rappresentata dall'importo di Euro 17.383,90 indicato nella nota di credito emessa dal preponente in esecuzione del mandato (doc. 8), nota non contestata da (...) nel termine de quo, bisogna comprendere quali siano gli effetti della clausola in esame e, in particolare, quali profili diventino insuscettibili di eccezioni e contestazioni in ragione del silenzio serbato dall'agente. Indicazioni utili a questo scopo provengono dalla Corte di cassazione, la quale ha affermato che "qualora un contratto di agenzia contenga una clausola secondo cui il conto provvigionale si intende approvato se non contestato entro trenta giorni, l'approvazione dell'estratto conto non preclude l'impugnabilità della validità e dell'efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti"; secondo la Corte, infatti, quest'approvazione non è "idonea a esprimere la rinuncia a diritti diversi da quelli inerenti alle provvigioni classificate e percepite" e non dimostra "la consapevolezza dell'esistenza di altri diritti e la convinzione di abdicare ad essi" (Cass. Civ., sent. n. 14767/3000). Si tratta di una pronuncia espressiva di un principio sovrapponibile a quello costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in merito all'interpretazione dell'art. 1833 c.c. e alla mancata contestazione dell'estratto conto ivi disciplinata; in questo caso la Suprema Corte è infatti solita affermare che "ai sensi dell'art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (Cass. Civ., sent. n. 33431/3016; Cass. Civ., sent. n. 11636/3011; Cass. Civ., sent. n. 3574/2011; Cass. Civ., sent. n. 9647/3004). Le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità conducono dunque ad affermare che la mancata contestazione dell'estratto provvigionale nel termine convenzionalmente pattuito determina un implicito assenso in ordine alle operazioni indicate nella documentazione contabile e in merito ai fatti storici da cui queste operazioni hanno tratto causa. Ciò che, invece, resta impregiudicata, a prescindere dalla contestazione nel termine convenzionale, è la possibilità di azionare diritti di credito per operazioni non contemplate nell'estratto conto, nonché di sindacare la validità delle disposizioni negoziali in base alle quali dai fatti materiali considerati nel documento contabile si traggono determinate conseguenze giuridiche. Calando queste indicazioni nel caso concreto, si giunge alla conclusione che, ferma restando la possibilità di contestare la validità delle clausole contrattuali - validità in effetti sindacata dall'agente con l'esito di cui s'è dato conto - la mancata contestazione della nota di credito e delle fatture nel termine di 60 giorni implica l'approvazione di quanto in essa documentato, tanto con riguardo ai fatti storici determinanti il credito in favore di (...) (i fatti costitutivi degli storni operati), quanto sotto il profilo contabile inerente alla loro quantificazione (il calcolo degli importi da sottrarre ai compensi). A tale conclusione non osta il fatto che (...), con la lettera di recesso del 10.07.3015 (cfr. doc. 5 (...)) abbia, seppur genericamente, contestato che gli storni operati dalla preponente nel corso del rapporto fossero ingiustificati. A tale affermazione - che, si ribadisce, è non circostanziata e del tutto generica - non può infatti riconoscersi l'effetto di rendere automaticamente contestati tutti gli storni operati successivamente dalla preponente. In altri termini, il fatto che nella lettera di recesso (...) si fosse lamentata della clausola sugli storni e del suo funzionamento non ha paralizzato il diritto e il dovere di (...) di emettere ulteriori fatture su provvigioni e note di credito su storni e, specularmente, non ha fatto venir meno il diritto e l'onere di (...) di contestarle. È in ragione di ciò che deve ritenersi legittimo il fatto che (...), estintosi il contratto, abbia emesso i documenti contabili a chiusura delle reciproche pendenze; è altrettanto in ragione di ciò che, alla mancanza di contestazioni sul punto da parte di (...), deve riconoscersi l'effetto di approvare questi documenti nel senso e nei limiti sopra specificati. Tenuto conto che la difesa di (...) in sede di discussione ha invocato la nullità ex art. 3965 c.c. della decadenza stabilita all'art. 6.6 del contratto, deve inoltre, ed infine, precisarsi che il termine di 60 giorni fissato dalla clausola - peraltro oggetto di specifica approvazione per iscritto da parte dell'agente - non rendeva eccessivamente difficile la formulazione delle contestazioni sui documenti contabili; trattasi infatti di un arco di tempo senz'altro sufficiente a porre l'interessato nella condizione, quantomeno, di rilevare la pretesa ingiustificatezza degli storni operati e chiederne così conto alla preponente mediante un'apposita richiesta di informazioni, assimilabile, negli effetti, ad una contestazione/mancata approvazione. Sulla quantificazione del credito di (...). Chiarito quanto sopra, si può dunque verificare a quanto ammonti il credito di (...) nei confronti di (...). A questo scopo bisogna ricordare che, come già accennato in precedenza, l'importo rivendicato da (...) è composto dalle seguenti voci: - Euro 17.383,90 relativi agli storni operati in base all'allegato E contratto di agenzia (cfr. doc. 8 (...)); - Euro 1.000,00 quali compensi per i servizi erogati in favore dell'agente per i mesi di maggio e luglio 3015 (cfr. doc. 10 e 11 (...)); - Euro 553,90 corrispondente all'ammanco di cassa rilevato in sede di chiusura del rapporto (cfr. doc. 7 (...)). Orbene, in applicazione dei principi sopra esposti in merito al meccanismo di cui all'art. 6.6 del contratto d'agenzia, deve rilevarsi che la prima voce corrisponde a un credito nella titolarità di (...). Quanto alla seconda voce, riferita ai servizi erogati dalla preponente, riguarda una pretesa creditoria che non è stata oggetto di contestazione da parte dell'agente; anch'essa, dunque, concorre integralmente a formare il credito complessivo in capo ad (...). Non così per la terza voce, ossia quella relativa all'ammanco di cassa. Dal verbale di riconsegna redatto congiuntamente dalle parti (doc. 7 (...)), risulta che 1 agente abbia puntualmente contestato l'asserzione di (...) in ordine alla sussistenza dell'ammanco: vi si legge infatti la dichiarazione sottoscritta da (...) - sottoscrizione confermata dall'agente in sede di interrogatorio libero - secondo cui "l'agente ritiene allo stato attuale di non dover nulla ad eccezione del fondo cassa di Euro 200, fatto salvo esito da verifica contabile". In mancanza di elementi ulteriori da cui dedurre che l'effettiva consistenza del credito è quella allegata da (...), deve dunque ritenersi che alla preponente spetti solo la minor somma oggetto della dichiarazione di (...). Per quanto precede, l'ammontare degli importi dovuti ad (...) è pari ad Euro 18.483,90. A tale importo vanno sottratte le somme che la stessa (...) riconosce di dovere a (...), vale a dire la somma di Euro 3.545,80 (relativa alla provvigioni di cui al decreto ingiuntivo) e quella di Euro 183,11 (relativa a ulteriori provvigioni riconosciute dalla preponente, doc. 13 (...)), per l'importo complessivo di Euro 3.738,91. Quindi, procedendo alla sottrazione dei predetti fattori, si giunge alla conclusione che (...) è creditrice della somma di Euro 15.754,99. Da ciò consegue la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna di (...) al pagamento dell'importo de quo. In mancanza di profili suscettibili di essere valorizzati ai sensi dell'art. 93 c. 3 c.p.c., le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando: - revoca il decreto ingiuntivo opposto; - dichiara tenuta e conseguentemente condanna (...) a corrispondere ad (...) s.p.a. la somma complessiva di Euro 15.754,99, oltre interessi legali dalle scadenze al saldo; - dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da (...); - condanna (...) a rifondere ad (...) spa le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, più 15% per spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a. Così deciso in Genova il 6 febbraio 2018. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MATERA Lina - Presidente Dott. FEDERICO Guido - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 7486-2013 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se medesimo; - ricorrente - contro (OMISSIS) SAS, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 1070/2012 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/07/2012; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega dell'Avvocato (OMISSIS) per il ricorrente; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato la societa' (OMISSIS) s.a.s. conveniva in giudizio (OMISSIS) al fine di sentirlo condannare al pagamento della somma di Lire 6.210.000 oltre interessi come per legge sino al saldo. Parte attrice assumeva di aver svolto attivita' di mediazione avente ad oggetto la compravendita di un immobile sito in (OMISSIS), mettendo in contatto la societa' proprietaria del bene ed il convenuto (OMISSIS), interessato all'acquisto; che l'affare era stato concluso con la stipulazione tra di essi di un contratto preliminare di vendita in data (OMISSIS); che il promissario acquirente aveva provveduto alla corresponsione della somma di Lire 6.210.000 corrispondente alla meta' della provvigione dovuta per la mediazione, complessivamente concordata tra l'attrice ed il convenuto nella misura del 3% del corrispettivo per la futura compravendita; che la residua meta' della provvigione avrebbe dovuto essere versata al momento della stipula del contratto definitivo di compravendita; che la prominente venditrice e il promissario acquirente decidevano di risolvere consensualmente il contratto preliminare, essendo emerso che l'immobile non era provvisto di certificato di abitabilita'. Il convenuto (OMISSIS) si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto delle domande attoree; formulava a sua volta domanda riconvenzionale di condanna della parte attrice alla restituzione dell'anticipo versato nonche' al risarcimento dei danni. A tal fine assumeva che la provvigione suddetta non fosse assolutamente dovuta in quanto non era stato poi stipulato un contratto definitivo, e comunque il mediatore si era reso inadempiente rispetto all'obbligo di corretta informazione cui all'articolo 1759 c.c. Il Tribunale di Bologna con sentenza n. 2241/2005 accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto al pagamento della residua somma dovuta a titolo di compenso provvigionale, compensando le spese processuali. Avverso la suddetta decisione proponeva appello (OMISSIS) chiedendo l'integrale riforma della sentenza impugnata. Si costituiva l' (OMISSIS) s.a.s., chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, svolgendo appello incidentale con riguardo alla compensazione delle spese di lite. La Corte di Appello di Bologna con la sentenza n. 1070/2012 (dep. il 25.07.2012) rigettava sia l'appello principale sia quello incidentale, con condanna dell'appellante alla rifusione delle spese di lite per il secondo grado. A sostegno della propria decisione la corte territoriale utilizzava in sintesi due argomentazioni: 1. che il diritto del mediatore alla provvigione derivava dal fatto che l'opera prestata aveva portato alla conclusione dell'affare tra le parti, ritenendo sufficiente a tali fini la stipulazione del contratto preliminare, indipendentemente dal fatto che successivamente le parti avevano o meno stipulato un contratto definitivo. 2. che la configurabilita' di una responsabilita' in capo al mediatore per la violazione dell'obbligo di corretta informazione secondo il criterio della diligenza professionale ex articolo 1759 c.c., si identifica in presenza delle sole ipotesi di contitolarita' del bene in capo a piu' soggetti, in caso di esistenza di opzioni e prelazioni sul bene, nonche' per la sussistenza di trascrizioni pregiudizievoli a carico del bene, ma non anche in caso di mancanza di conformita' edilizia del bene, sicche' il diritto del mediatore alla provvigione va riconosciuto anche in caso di contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene immobile privo di concessione edificatoria e non regolarizzabile sul piano urbanistico. Affermava percio' che l'ignoranza della mancanza di abitabilita' da parte del promissario acquirente, non rientrando essa tra le informazioni dovute dal mediatore ai sensi dell'articolo 1759 c.c., non poteva addebitarsi al mediatore e dunque non poteva assurgere a fonte di responsabilita' del medesimo. Avverso la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione (OMISSIS) formulando due distinti motivi. Resisteva in giudizio l' (OMISSIS) s.a.s. con apposito controricorso illustrato anche da memorie ex articolo 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo il ricorrente eccepisce il vizio di motivazione circa l'esatta e corretta ricorrenza dei requisiti e presupposti per il riconoscimento del diritto alla mediazione in capo alla societa' appellata ex articolo 1755 c.c. In particolare afferma che al fine della maturazione del diritto alla provvigione, occorre che l'opera di mediazione porti alla creazione di validi presupposti per la conclusione di un valido contratto, che corrisponda agli interessi delle parti. Tale diritto rimane valido ed intangibile a prescindere dal fatto che successivamente le parti stesse provvedano o meno alla consacrazione definitiva dei loro accordi. Al contrario invece, ove la mancata stipula di un valido contratto definitivo tra le parti dipenda dalle errate e negligenti informazioni prospettate dal mediatore, questi non puo' vantare alcun diritto alla provvigione proprio perche' incorre nella responsabilita' prevista dall'articolo 1759 c.c., ed in alcuni casi incorre anche nell'obbligo del risarcimento dei danni provocati. Con il secondo motivo lamenta la violazione ed errata applicazione degli articoli 1759, 1175 e 1176 c.c., della L. n. 39 del 1989, in particolare evidenziando che la mancanza del certificato di abitabilita' e di conformita' edilizia e' una circostanza fondamentale di indubbio rilievo per procedere alla stipula di un contratto che preveda l'acquisto di un immobile. Ragione per cui incombeva in capo al mediatore l'obbligo di corretta informazione sul punto, secondo il criterio della diligenza professionale previsto dalle norme citate. Entrambi i motivi di ricorso si riferiscono al diritto del mediatore alla provvigione in relazione al contenuto dell'obbligo di diligenza che incombe su di lui, in particolare con riferimento al dovere di informare la parte (nella specie il promissario acquirente) di circostanze rilevanti ai fini della conclusione con contratto definitivo e possono essere congiuntamente esaminati. Sul punto ritiene il Collegio di dover dare continuita' all'orientamento che nel delineare la responsabilita' del mediatore professionale, esclude che la responsabilita' dello stesso possa estendersi ad indagini di carattere tecnico, quale quella nella specie consistente nella verifica delle condizioni per il rilascio del certificato di abitabilita' che esulano obiettivamente dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza. In tal senso appare condivisibile quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 6926/2012, a mente della quale il mediatore immobiliare e' responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilita' si affianca a quella del venditore e puo' essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione. Nella stessa sentenza si precisa altresi' che, in relazione ai possibili benefici fiscali legati alla categoria catastale posseduta dal'immobile compravenduto, la verifica da parte del mediatore deve correlarsi solo ad una espressa richiesta del cliente. Trattasi peraltro di orientamento che ha i suoi precedenti in Cass. n. 6219/1993, a mente della quale l'obbligo del mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare si riferisce non solo alle circostanze accertate ma anche a quelle di cui il mediatore abbia avuto semplicemente notizia, e cio' con specifico riferimento alla verifica dell'esistenza del certificato di abitabilita' dell'appartamento compravenduto (conf. in punto di limitazione degli obblighi di informativa alle circostanze di cui il mediatore sia a conoscenza, Cass. n. 5777/2006, nonche' Cass. n. 15274/2006, in tema di accertamento, previo esame dei registri immobiliari, della liberta' dell'immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, nonche' Cass. n. 16382/2009 citata dalla sentenza gravata). In tale ottica appare convincente quanto affermato da Cass. n. 8374/2009 specificamente in tema di certificato di abitabilita', nella quale, con l'escludere la responsabilita' del mediatore, si e' ribadito che la prestazione caratterizzante l'attivita' di quest'ultimo e' pur sempre quella di mettere in relazione due o piu' parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicche' non viene meno l'obbligo del mediatore di compiere l'attivita' demandatagli in modo esauriente e funzionale all'interesse della parte alla conclusione dell'affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalita', ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilita') influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poiche' in tal caso puo' essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l'incarico abbia ricevuto un'accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell'affare". In dettaglio poi vale osservare che la mancanza del certificato di abitabilita', sebbene legittimi la parte promissaria acquirente a non ritenere suo interesse obbligarsi alla stipula dell'atto, quanto meno alle condizioni predisposte (Cass. 15969/2000), anche in relazione al rischio che l'abitabilita' non sia ottenuta o al tempo occorrente per il suo rilascio, non incide sulla validita' del preliminare concluso che conserva quindi la sua efficacia, benche' se ne possa richiedere la risoluzione. In tal senso quindi deve reputarsi, analogamente a quanto sostenuto per la conclusione di preliminari aventi ad oggetto immobili privi di concessione edilizia, che stante la validita' del contratto stesso, che l'affare sia stato concluso e che anzi sia proprio la sua vincolativita' a giustificare l'eventuale domanda risarcitoria della parte adempiente, domanda che ben puo' includere anche la pretesa ad ottenere il rimborso della provvigione comunque dovuta al mediatore. In definitiva, reputa il Collegio che una responsabilita' del mediatore possa porsi, in ordine alla mancata informazione circa la conseguibilita' del certificato di abitabilita', nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico (cfr. a tal fine Cass. n. 16623/2010, a mente della quale la responsabilita' del mediatore si ravvisa per la mancata informazione del promissario acquirente sull'esistenza di una irregolarita' urbanistica non ancora sanata relativa all'immobile oggetto della promessa di vendita, nelle ipotesi in cui il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi). Tale affermazione peraltro non puo' dirsi che contrasti con quanto sempre di recente affermato da Cass. n. 18140/2015, che ha invece ravvisato la responsabilita' del mediatore, posto che nella vicenda si trattava di una ipotesi nella quale il mediatore aveva fornito alla parte interessata alla conclusione dell'affare delle informazioni sulla regolarita' urbanistica dell'immobile, omettendo di controllare la veridicita' di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), essendosi appunto ribadito in motivazione che non risulta assolto l'obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l'obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicche' e' responsabile per i danni sofferti dal cliente. Poiche' nella fattispecie non si imputa alla societa' di avere fornito informazioni inveritiere o di non avere assolto ad uno specifico incarico di verifica (non potendosi reputare che tale obbligo scaturisca dal solo conferimento dell'incarico di mediazione e cio' anche nel caso in cui si verta in un'ipotesi di mediazione unilaterale ovvero atipica con mandato questione di diritto questa che si palesa comunque come inammissibile in quanto mai dedotta nei precedenti gradi di merito), i motivi di ricorso si palesano come infondati e devono pertanto essere rigettati. Al rigetto consegue altresi' la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, come da dispositivo che segue. Poiche' il ricorso e' stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e' rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di legittimita' che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. La presente sentenza e' stata redatta con la collaborazione dell'Assistente di Studio, Dott. (OMISSIS).

  • TRIBUNALE DI TREVISO   Sezione lavoro   REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO     Il Giudice del Lavoro R. Poirè ha pronunciato la seguente   SENTENZA   Nella causa iscritta al n. 254/2012 R .G. tra   (Omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (Omissis) del foro di Treviso presso il cui studio ha eletto domicilio RICORRENTE   CONTRO (Omissis) spa in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. (Omissis) del foro di Brescia e (Omissis) del foro di Treviso presso il cui studio ha eletto domicilio RESISTENTE   MOTIVI DELLA DECISIONE   1. (Omissis) ha esposto di avere ricevuto mandato di agenzia per procurare la conclusione di contratti di leasing dalla (Omissis) spa alle condizioni di cui alle scritture 16 gennaio 1996 e 18 giugno 1998, venendogli altresì assegnate le funzioni di capo area per il Veneto. Quale corrispettivo le parti avevano pattuito: - la provvigione dello 0,70% sugli affari conclusi personalmente o attraverso la rete di agenti, accettati dalla Preponente ed andati a buon fine, fino ad un massimo di investimenti di 52 miliardi di lire; - lo 0,20% del valore dei contratti per l’ipotesi di raggiungimento di un determinato budget di area (c.d. “rappel”); ai fini di tale provvigione erano considerati anche gli affari segnalati e conclusi dalle banche del gruppo dell’Area Veneto; -lo “spuntato in più” con riferimento ai singoli affari conclusi dall’agente o dalla rete di agenti da lui seguita; il pagamento avveniva in misura di 30 milioni di lire mensili a titolo di acconto, con saldo eventuale entro trenta giorni dal termine di ciascun bimestre. Da giugno 2004 le parti avevano modificato il regime di cui sopra, determinando la provvigione dello 0,50% sugli affari fino ad un massimo di 50 milioni di euro oltre al rappel; l’acconto provvigionale era stato concordato in misura di € 20.833,33. Sempre con la scrittura del giugno 2004 le parti avevano previsto di non risolvere il rapporto per 6 anni dalla data della scrittura medesima, salva l’ipotesi di grave inadempimento, e che la parte recedente in violazione del suddetto impegno avrebbe dovuto pagare, quale penale e salvo il risarcimento del maggiore danno, € 300.000,00. Era stato, altresì, pattuito che l’agente potesse recedere con preavviso di 30 giorni e senza penale nel caso in cui la mandante avesse organizzato l’area di competenza con figure professionali non gradite all’agente, poste in posizione paritetica o superiore allo stesso, con penale di € 300.000 a carico della mandante. Con lettera del 4 aprile 2011, ricevuta dall’agente l’11 aprile, (Omissis) aveva comunicato che a partire dall’1 ottobre 2011 sarebbe stato applicato un nuovo modello contrattuale che prevedeva che: – il ricorrente “non presterà più assistenza alle Banche” (così da perdere il Rappel sul fatturato derivante dai clienti procurati dalle banche); - i clienti erano obbligati, successivamente alla conclusione del leasing, ad aprile un conto corrente presso una banca del gruppo (così da determinare la perdita dei clienti non disponibili a stipulare contratti di conto corrente con le banche del gruppo); - i clienti diretti diventavano tutti clienti della banca (così da imporre all’agente di procacciare nuovi clienti per raggiungere il budget fisso sui clienti diretti). Inoltre, con la circolare del 4 marzo 2011, la (Omissis) aveva inibito ai propri agenti di stipulare contratti di leasing con privati consumatori. L' Accordo Economico Collettivo del 2009 prevedeva che le variazioni delle condizioni contrattuali di “sensibile entità” (e, cioè, che “comportano modifiche superiori al 20% delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno solare precedente la variazione, ovvero nei 12 mesi antecedenti la variazione qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per l’intero”) potevano essere disposte “previa comunicazione scritta all’agente o rappresentante di commercio con un preavviso non inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto” e che “qualora l’agente comunichi, entro 30 giorni, di non accettare le variazioni che modificano sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante”. Le variazioni comunicate il 4-11 aprile 2011 determinavano una variazione delle provvigioni in misura superiore al 20% (del 33%) e, pertanto, (Omissis) con raccomandata 22 aprile 2011 aveva comunicato di non accettare il nuovo modello commerciale e che, in mancanza di sua accettazione, il contratto di agenzia sarebbe stato regolato fino a cessazione dal contratto del 1998, come modificato ed integrato nel 2004. Con successiva raccomandata 9-11 maggio 2011, (Omissis) aveva precisato che la mancata accettazione delle nuove condizioni “costituisce, ai sensi dei vigenti accordi economici collettivi. preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia.ad iniziativa della casa mandante”. Con raccomandata 19 settembre 2011 (Omissis) aveva contestato che la variazione costituisse sensibile modifica delle condizioni contrattuali ed aveva comunicato che il rapporto si sarebbe concluso l’1 ottobre 2011. Un tanto esposto, l’Agente ha rilevato che, stante la variazione sensibile delle condizioni contrattuali pregresse imposta dalla mandante il 4-11 aprile 2011 e la conseguente legittima “non accettazione” da parte dell’agente, lo scioglimento del rapporto era, alla luce delle previsioni dell'AEC, avvenuto per iniziativa della Mandante. La Mandante era,quindi, tenuta a pagare le provvigioni sugli affari conclusi fino all’1 ottobre 2011 nonché, ai sensi del secondo comma dell’art. 1748 c.c., “sugli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta”; il tutto per l’ammontare di € 187.500,00. La Mandante era tenuta a pagare l’indennità di mancato preavviso; il preavviso era di otto mesi, secondo l’AEC, e tale periodo avrebbe dovuto decorrere dal 28 aprile 2011 con scadenza al 28 dicembre 2011, mentre la cessazione del rapporto era stata imposta all’1 ottobre 2011; residuavano, quindi, 88 giorni di preavviso, pari ad € 126.228,00. Alternativamente, poteva ritenersi che (Omissis) fosse receduta con comunicazione del 19 settembre 2011 ed a far data dall’1 ottobre 2011 e, quindi, senza alcun preavviso, da cui il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva per l’intero periodo, pari ad € 365.660,00. (Omissis) aveva diritto all’indennità di cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 1751 c.c. o, in subordine, alle indennità di fine rapporto previste dall’AEC. Sussistevano i presupposti per l’indennità ex art. 1751 c.c. in quanto l’agente aveva procurato nuovi clienti alla mandante, aveva sviluppato affari con i clienti esistenti e la preponente riceveva ancora sostanziali vantaggi da detti affari; l’indennità era equa e doveva essere conteggiata nel massimo previsto tenuto anche conto del comportamento serbato da (Omissis); a tale titolo (Omissis) doveva, pertanto, corrispondere € 715.368,80. In alternativa, (Omissis) doveva percepire il FIRR del 2011, l’indennità suppletiva di clientela per € 325.423,00, l’indennità meritocratica per € 140.457,00. Il ricorrente aveva, infine, diritto di percepire la penale contrattualmente prevista per il recesso della mandante di € 300.000,00. La convenuta si è difesa assumendo: -le modifiche introdotte con decorrenza 1 ottobre 2010, e con raccomandata 4/4/11, non costituivano il descritto peggioramento delle pregresse condizioni contrattuali; con il mandato del 1998, con il quale era stato nominato Capo Area, era stato, infatti previsto che le provvigioni maturavano su “tutti gli affari comunque conclusi anche direttamente dalla Mandante” nell’intero Veneto, così come ai fini del “rappel”, che maturava al raggiungimento di un determinato budget, venivano presi in considerazioni tutti gli affari, diretti ed indiretti, conclusi da (Omissis) nel Veneto; anche dopo le modifiche introdotte da ottobre 2011 il ricorrente avrebbe continuato a maturare le provvigioni su tutti gli affari comunque conclusi nell’area dalla mandante, sicché l’eliminazione dell’obbligo di prestare assistenza alle banche non avrebbe causato alcun detrimento economico all’agente; - che l’obbligo per i clienti di aprire un conto corrente con le banche del gruppo – clausola introdotta con le modifiche da ottobre 2011 - avrebbe causato la perdita di clienti era una mera supposizione del (Omissis), non supportata da alcun dato oggettivo; -la risoluzione del rapporto non era, pertanto, addebitabile alla Banca bensì derivante dal rifiuto di accettazione della modifica da parte dell’agente, pure in assenza della giustificazione prevista dall’AEC del 2009; - poiché lo scioglimento del rapporto era imputabile al recesso dell’agente, non era dovuta né l’indennità di cui all’art. 1751 c.c. (della quale mancavano, peraltro, anche i presupposti) né le indennità di risoluzione del rapporto, ad eccezione del residuo FIRR pari ad e 2098,83; - il rapporto era stato risolto per effetto del recesso di (Omissis) del 24 aprile 2011, data dalla quale cominciava a decorrere il preavviso di durata, però, di sei mesi in quanto (Omissis) era agente plurimandatario; il rapporto avrebbe, quindi dovuto concludersi il 24 ottobre ma, avendovi la convenuta posto fine l’1 ottobre, al ricorrente era dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso di 24 giorni, pari ad € 39.136,47; - quanto alle provvigioni, vi era un solo contratto ((Omissis) srl) per il quale il ricorrente aveva maturato la provvigione di € 12.000,00; per i restanti contratti indicati trattavasi o di rapporti non conclusi, o non andati a buon fine, o non accettati da (Omissis) nell’esercizio della propria legittima facoltà. 2. L’art. 2 dell’AEC che è invocato dal ricorrente onde fondare l’addebitabilità al mandante della risoluzione del rapporto per quanto qui interessa recita: ”le parti concordano sull’opportunità di pattuire strumenti di flessibilità durante lo svolgimento del rapporto di agenzia, con particolare riferimento alle variazioni del contenuto economico del contratto derivanti da variazioni di zona e/o di prodotti e/o di clienti e/o della misura delle provvigioni. Le variazioni di zona e/o di prodotti e/o di clienti e/o della misura delle provvigioni si considerano …di sensibile entità quando comportano modifiche superiori al 20% delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno solare precedente la variazione…” Le variazioni di sensibile entità potranno essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente con un preavviso non inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto. Qualora l’agente comunichi entro 30 giorni di non accettare le variazioni che modificano sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia …ad iniziativa della casa mandante”. Come risulta dal tenore letterale della clausola della contrattazione collettiva riportata, essa ha riguardo alle variazioni del contratto individuale, attinenti alla zona, o alla misura della provvigione, o ai clienti o ai prodotti, e stabilisce che, qualora la variazione di zona e/o di prodotti e/o di clienti e/o della misura delle provvigioni disposta dal mandante causi la riduzione delle provvigioni in misura superiore al 20%, la non accettazione da parte dell'agente equivale a preavviso di recesso per iniziativa della mandante. Il “Nuovo Modello Commerciale” comunicato dalla mandante nell’aprile 2011 non contiene alcun riferimento al contratto individuale stipulato dall’agente essendo rivolto indistintamente a tutti gli agenti e consistendo in una riorganizzazione globale delle modalità commerciali della (Omissis). Il CTU, esaminando il “Nuovo Modello Commerciale”, ha precisato che esso riguardava l’intera rete agenziale (e, quindi, i capo area (Omissis) ed i sei agenti costituenti la rete) e ne ha individuato i punti salienti nella parte in cui prevede che l’agente” non presterà più assistenza alle banche..; percepirà una commissione in caso di procacciamento di nuovi rapporti presso le Banche del Gruppo; Sarà il destinatario delle segnalazioni commerciali derivanti dagli accordi con (Omissis) che (Omissis) sta avviando nel territorio nazionale; Potrà essere incaricato di offrire prodotti anche diversi dal Leasing .con maggiore fidelizzazione dei propri clienti; aggiuntivi introiti provvisionali relativi alle apertura di conto corrente procacciate. La rete agenziale potrà intercettare sul mercato nuove operazioni di leasing sulla propria attuale clientela captive e su clienti extra captive. con l’obbligatorietà di apertura, contestuale o immediatamente successiva, del conto corrente presso una Banca del Gruppo”. Ha, quindi, precisato che, così come rilevato dalla resistente, l’eliminazione dell’attività di assistenza alle banche non avrebbe determinato alcuna variazione alle provvigioni del (Omissis) in quanto lo stesso godeva di compensi su tutti i contratti stipulati nel Veneto, conclusi sia dalle banche che (Omissis) che dalla Rete agenziale. Ha, tuttavia, rilevato che la modifica avrebbe inciso sulle provvigioni dei sei agenti sottoposti al (Omissis), che gli agenti si erano dimessi dopo la variazione disposta da (Omissis), che la rete non era stata ricostituita e che, quindi, per effetto della assenza della rete di agenti, nonché della significativa contrazione anche dei contratti stipulati dalla rete bancaria e della non accettazione o annullamento di molti contratti da parte della Mandante, il volume del fatturato si sarebbe, nel 2012, di gran lunga ridotto, con la conseguenza che le provvigioni di (Omissis) avrebbero visto un decremento senz’altro superiore al 20%. Il CTU ha, quindi, concluso che il “Nuovo Modello Commerciale” non avrebbe causato alcuna perdita economica solo nel caso in cui la “mandante stessa non avesse profondamente modificato la sua strategia commerciale e fosse rimasta in vita la rete agenziale veneto che promuoveva la totalità dei compensi diretti nell’area Veneto sul cui volume erano stati calcolati i compensi provvisionali del Capo Area sig. (Omissis)”. L’analisi effettuata dal CTU è senz’altro economicamente corretta, ma essa non attribuisce fondatezza alla domanda attorea. L’art. 2 dell’AEC consente all’agente di sciogliersi dal contratto, con addebito della risoluzione al Mandante, solo nel caso in cui vengano variate le condizioni del contratto individuale e, come detto anche dal CTU, il "Nuovo Modello Commerciale" si è posto al di fuori del perimetro del contratto tra le parti, non comportando nessuna variazione delle condizioni contrattuali dell'agente (Omissis). Il "Nuovo Modello Commerciale" ha, invece, variato il contenuto del contratto degli agenti costituenti la rete agenziale (che perdevano le provvigioni sui contratti conclusi dalle banche a cui gli stessi non prestavano più assistenza a seguito della innovazione), ma l'incidenza della variazione in capo agli agenti nei confronti del Capo Area (Omissis), oltre a non essersi verificata al momento in cui (Omissis)  aveva dichiarato di non accettare il nuovo modello operativo (le dimissioni degli agenti sono state, infatti, rassegnate in un momento successivo) non è conseguenza immediata e diretta della modifica, in quanto essa non si sarebbe verificata se, ferma la modifica, gli agenti non si fossero dimessi o anche se essi fossero stati sostituiti. E, soprattutto, l'art. 2 invocato consente la non accettazione -con le conseguenze dette- delle modifiche che riguardano il contratto proprio, senza che nessun appiglio testuale consenta una interpretazione estensiva alle ipotesi di modificazioni riguardanti contratti altrui, o l'organizzazione commerciale generale, neanche in presenza di una aspettativa di ricadute negative indirette sulle proprie provvigioni (e fatta salva la valutazione di una eventuale giusta causa di recesso che, però, nella presente sede non è stata fatta valere né era obiettivamente individuabile al momento in cui il ricorrente ha dichiarato la propria non accettazione, cioè anteriormente alle dimissioni degli agenti ed alla mancata ricostituzione della rete agenziale). Non può, poi, omettere di osservarsi che ciò che il CTU espressamente individua come causa della prevedibile contrazione di provvigioni a favore del (Omissis) è la "profonda modifica della sua strategia commerciale" e, in particolare, la decisione di non ripristinare la rete agenziale, ossia qualcosa di diverso e di successivo rispetto al "Nuovo Modello Commerciale", e corrispondente a scelte imprenditoriali di fondo di cui l'art. 2 AEC non consente il sindacato da parte dell'agente nella parte in cui esse non si traducano in modifiche del contratto che riguardano l'agente medesimo. E ciò è tanto vero che il ricorrente non ha lamentato di avere subito detrimento dalla generale modifica della strategia commerciale dell'imprenditore, ma dalle specifiche clausole del Nuovo Modello Commerciale che, secondo la propria prospettazioni, avrebbero determinato una diretta riduzione delle provvigioni in quanto non più calcolabili anche sui clienti delle banche; sicché, una volta risultato smentito tale assunto (in quanto le provvigioni dell'agente capo area avrebbero continuato ad essere calcolate su tutti i contratti conclusi ed andati a buon fine nella zona Veneta, così come anteriormente alla modifica, a prescindere dall'individuazione del soggetto effettivo intermediatore dell'affare), la prospettazioni del C.T.U. risulta – ulteriormente - essersi fondarsi su fatti e prospettive che neanche il ricorrente aveva allegato ed introdotto come possibili temi di indagine. Fatti e prospettive, inoltre, esulanti dal tema delle modifiche del contratto stipulato con (Omissis), per essere leggibili solo come manifestazione della globale nuova visione commerciale, non solo sotto l'aspetto della mancata ricostituzione della rete agenziale -dimessasi dopo le modifiche che avevano riguardato direttamente le condizioni pattuite con gli agenti, e non con il capo area- ma anche sotto l'aspetto della diminuzione "sensibile" manifestata dalla "rete banca" della "sua capacità storica di stipulare contratti sui quali il ricorrente maturava provvigioni", aspetto che il C.T.U. ha più volte evidenziato quale causa della riduzione prevedibile dei guadagni di (Omissis) e che, evidentemente, nulla ha a che fare con il rapporto contrattuale con il ricorrente. Da escludersi, pertanto, che il "Nuovo Modello Commerciale" abbia concretato una modifica alle condizioni contrattuali del (Omissis) atto a consentirgli la non accettazione con gli effetti propri dell'art. 2 AEC, che la lettera del 22 aprile 2011 a firma (Omissis) abbia concretato la dichiarazione di recesso risulta dalla successiva missiva, sempre proveniente dal ricorrente, del 9 maggio 2011. Ed infatti, sebbene la prima lettera non consacri, in effetti, la espressa volontà di recedere dal rapporto, (in quanto in essa si legge: "Vi comunico…di non accettare tali variazioni…il rapporto di agenzia tra noi intercorrente continuerà ad essere regolato, fino a cessazione, dal contratto di data 18.06.1998, come modificato ed integrato con scrittura del 2004…"), la seconda lettera fornisce la spiegazione del significato della prima in termini non equivoci, in quanto essa recita "..Vi rammento che la mia mancata accettazione (qui confermata) delle nuove condizioni di rapporto di agenzia costituisce, ai sensi dei vigenti accordi economici collettivi, preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia…ad iniziativa della casa mandante"…In conseguenza di ciò, dalla data di Vostro ricevimento (28.04.2011) della mia comunicazione sopra richiamata io sono, appunto, in preavviso sino alla data di cessazione effettiva del rapporto, come determinata applicando le norme contrattuali collettive ed individuali vigenti relative". A fronte di tali missive, la lettera di (Omissis) del 19 settembre 2011 costituisce, pertanto, una semplice presa d'atto dell'altrui recesso; essa, infatti, recita: "in considerazione della sua decisione ..di non accettare la modifica contrattuale ..decisione di cui contestiamo la fondatezza in quanto non è vero che la variazione abbia comportato una sensibile modifica, il rapporto di agenzia si concluderà in data 1/10/2011" e da tale testo, rapportato a quelli precedenti, non è evincibile null'altro che il riscontro all'altrui decisione di recedere dal contratto, all'evidenza irrilevante l’attribuzione della responsabilità alla mandante, in quanto fondatesi su un convincimento soggettivo risultato, invece, non fondato. Quanto all'indennità di mancato preavviso, è contestato tra le parti la durata del preavviso, in quanto, incontestata la durata del rapporto, il ricorrente ritiene applicabile durata di otto mesi, come previsto per l'agente monomandatario, mentre il resistente assume la durata di sei mesi come previsto per l'agente plurimandatario. In merito si rileva che il mandato del 1996 stabiliva, all'art. 3, che (Omissis) fosse "agente mono-mandatario; conseguentemente l'Agente non potrà trattare nella zona assegnata, né in qualsiasi altra, prodotti finanziari offerti da altri soggetti, o comunque, procacciare affari di nessun altro genere, anche diversi da quelli offerti dalla Mandante se non autorizzato dalla stessa". Diversamente, il mandato 18 giugno 1998 (che ha conferito il ruolo di capo area al ricorrente per l'intero Veneto) all'art. 3, titolato "divieto di concorrenza", statuisce "a) l'Agente non può svolgere la propria attività, in qualsivoglia forma, anche per interposta persona o intermediari, fiduciari etc., a favore di società o ditte che operino in concorrenza con la Mandante, o che comunque svolgano in qualsiasi forma attività nell'ambito del credito e del risparmio; b) l'agente si obbliga altresì a non acquisire quote di partecipazione né cariche anche solo rappresentative in seno a società che si trovino in posizione anche latamente concorrenziale con la Mandante; c) l'Agente si impegna a comunicare alla Mandante l'eventuale acquisizione di altri mandati non in concorrenza". La differenza tra la clausola 3 del mandato del 1996 e la clausola 3, lettera c del mandato del 1998 (non modificato nel 2004) evidenzia che, da tale data, (Omissis) poteva esercitare l'attività di agente anche per altri mandanti, purché non operanti nel settore del credito e risparmio, e, pertanto, che non era più monomandatario. Il ricorrente ha, in contrario, prodotto la lettera di (Omissis) 21 settembre 2011 con la quale la mandante chiede spiegazioni all'agente in relazione alla numerazione non continuativa delle fatture emesse nei propri confronti e nella quale si legge "visto che in forza del vincolo di monomandatarietà previsto nel mandato di agenzia del 18/7/1998 non le è consentito di svolgere attività collaborativa a favore di terzo, la invitiamo a fornirci ..copia delle suddette fatture onde poterne verificare l'oggetto". Il ricorrente ha, altresì, prodotto le fatture non emesse nei confronti della mandante (ed emesse, invece, nei confronti dell'affittuario di un immobile di proprietà del ricorrente medesimo e relative al pagamento dei canoni) ed ha prodotto altra documentazione dalla quale risulta che (Omissis) aveva versato all'Enasarco contributi conteggiati considerando l'agente come monomandatario. Tali documenti sono obiettivamente idonei a fare ritenere che, a dispetto delle pattuizioni contrattuali, la mandante avesse considerato il (Omissis) quale monomandatario, conformemente a quanto previsto anteriormente alla modifica del 1998. Tale considerazione non incide, però, sulla situazione giuridica oggettiva del (Omissis) come derivante dal contratto del 1998 e, cioè, sulla possibilità, per l'agente, di acquisire mandati anche da altri preponenti purché non agenti nello stesso settore della (Omissis) e con obbligo di darne comunicazione alla mandante per la verifica del rispetto del patto di non concorrenza. Per altro verso, non è superabile l'eccezione, espressamente formulata dalla resistente (cfr. memoria autorizzata resistente del settembre 2012), di tardività della produzione documentale sopra riportata (docc. 27 e 28). Trattasi, infatti, di documenti prodotti successivamente al ricorso introduttivo pur essendo di formazione precedente e pur essendo inerenti ad un fatto costitutivo della domanda di indennità sostitutiva del preavviso, sotto il particolare profilo dei criteri di quantificazione della stessa; senza neanche potersi affermare che la necessità di produzione sia sorta da esigenze difensive non sussistenti anteriormente alla memoria di costituzione, atteso che la differenza di formulazione delle clausole 3 dei mandanti, rispettivamente, 1996 e 1998, metteva, fin dalla proposizione del ricorso, in luce la problematicità della qualificazione del rapporto di agenzia, se in regime di mono e pluri mandato. Deve, pertanto, concludersi che il periodo di preavviso va individuato in sei mesi, come da previsione per l'agente plurimandatario con la durata del rapporto corrispondente a quella di (Omissis). L'art. 12 del contratto del 1998 prevede che, in ipotesi di recesso, il preavviso inizi a decorrere dal giorno successivo al ricevimento della disdetta. La lettera 22 aprile 2011 è stata ricevuta il 28 aprile e, pertanto, il periodo di preavviso avrebbe avuto scadenza al 28 ottobre, mentre la (Omissis) ha anticipato la conclusione del rapporto all'1 ottobre 2011. Considerando quanto ricostruito dal C.T.U. circa le provvigioni dell'anno solare precedente alla risoluzione del rapporto (€ 595.200,51), l'art. 10 dell'AEC (secondo cui la indennità sostitutiva del preavviso corrisponde a tanti dodicesimi delle provvigioni dell'anno solare precedente quanti sono i mesi di preavviso dovuti), e l'ammontare giornaliero corrispondente al dodicesimo delle provvigioni dell'anno precedente, come determinato dal C.T.U. (in assenza di contestazioni), la indennità di mancato preavviso per 28 giorni risulta di € 45.659,32. Per quanto concerne le provvigioni, le allegazioni - abbastanza precise da potere essere considerate- riguardano i contratti procurati dagli agenti ma di cui (Omissis) ha, nel 2011, rifiutato la stipula ed i contratti conclusi con tre clienti ((Omissis) s.r.l., (Omissis) e (Omissis) Italia) dopo il recesso ed a seguito di attività svolta precedentemente. Quanto alla prima allegazione, la circostanza è storicamente vera, ma essa corrisponde all'esercizio di una legittima facoltà del mandante, anche contrattualmente prevista. Quanto ai contratti con i tre clienti specificati, è pacifica la spettanza all'agente di € 12.000,00 per il contratto con (Omissis) s.r.l. Il C.T.U. ha accertato la già avvenuta liquidazione delle spettanze del (Omissis) per i contratti (Omissis) Italia. Quanto al contratto (Omissis) il C.T.U., dopo avere in prima battuta escluso le spettanze all'agente, ha, aderendo alle osservazioni di parte convenuta, rilevato che il contratto in esame, concluso il 19 ottobre 2011, era una integrazione ad un "contratto madre" del 2008 stipulato in pool con altra società di leasing; il cliente era di Bolzano -e quindi esterno alla rete di (Omissis) - ma dalla contabilità di (Omissis) era risultata la avvenuta liquidazione ad un agente della rete sulla quale (Omissis) esercitava le funzioni di capo area delle provvigioni su due contratti del cliente stesso. Il C.T.U. ha, quindi, ritenuto che, trattandosi dell'integrazione di un contratto promosso dall'agente facente parte della rete supervisionata da (Omissis), allo stesso spettino le relative provvigioni calcolate sul 50% dell'importo; il 50% dell'importo era pari ad € 1.660.227,00, da cui la provvigione era da quantificarsi, "con piccolo arrotondamento" in € 8300,00. Sul punto il ricorrente ha, altresì, allegato la propria diretta partecipazione agli affari conclusi dal cliente (Omissis), producendo, sub 23 bis, una mail del 26 maggio 2011 proveniente da (Omissis) che avvalora la allegazione (la mail ha ad oggetto "incontro con (Omissis) " e recita: "come sai lunedì p.v. è stato organizzato un incontro con la controparte in oggetto per chiarire alcuni aspetti operativi …Credo che tu voglia accompagnare il cliente all'incontro e per noi nulla osta…"). Non sussistono i presupposti per il riconoscimento, a favore dell'agente, della penale di € 300.000,00 richiesta. Il ricorrente fonda la pretesa sulla "appendice modificativa ed integrativa al mandato di agenzia del 18/6/98" del 2004 che, in coda, prevede" ad integrazione dell'art. 13) Clausola risolutiva espressa, l'agente potrà recedere dal presente contratto con preavviso di 30 gironi senza dover corrispondere alcuna penale qualora la Mandante dovesse organizzare l'area di competenza con figure professionali non gradite all'Agente, poste in posizione paritetica o superiore allo stesso. In caso di eventuale nuova organizzazione, in disaccordo con l'Agente, la mandante corrisponderà allo stesso la penale prevista dall'articolo 12". A sua volta, l'art. 12 vieta alle parti di recedere, salvo il grave inadempimento, per 6 anni ed il pagamento, a titolo di penale salvo il maggiore danno, di € 300.000,00 per l'ipotesi di violazione. Diversamente da quanto assume il resistente, la clausola qui invocata integra l'art. 13 del contratto del 1998 e, pertanto, non può dirsi temporalmente limitata ai sei anni successivi alla stipula della modifica del 2004 ( limite temporale che, invece, riguarda solo il divieto di recesso al di fuori del grave inadempimento previsto dall'art. 12); né è ravvisabile una qualche nullità, posto che il disaccordo rispetto ad un eventuale progetto riorganizzativi espresso in un ambito professionale è da presumersi essere il frutto di una ragionata ed espressa, in contraddittorio, valutazione di dati oggettivi e di oggettive convenienze, e non di irrazionali e capricciose manifestazione di gusti; tanto è vero che la clausola ancora la facoltà di recesso, e la penale, alla manifestazione di recesso espressa dall'agente in relazione al mutamento di organizzazione non concordata, e limitatamente al caso in cui la nuova organizzazione si sostanzi nell'introduzione di una figura superiore o paritetica all'agente, oltre a prevedere espressamente che il recesso deve, in tale ipotesi, essere manifestato con l'anticipo di trenta giorni . E', però, da rilevarsi che (Omissis) non ha storicamente esercitato il recesso in relazione all'introduzione, nella organizzazione, di una figura professionale paritetica o superiore alla propria, avendolo invece esercitato, pacificamente, a seguito dell'introduzione del "Nuovo Modello Commerciale" di cui sopra (che nessuna figura nuova prevedeva), ritenendo che lo stesso, per comportare una modifica delle proprie provvigioni superiore al 20%, legittimasse il meccanismo di cui all'art. 2 AEC 2009. Il testo delle missive con le quali è stato esercitato il recesso, sopra riportate, non menzionano alcuna figura nuova ma si esprimono nei termini sopra detti ed il recesso non è stato annunciato con trenta giorni di preavviso, tanto che il ricorrente ha chiesto l'indennità sostitutiva del preavviso per il periodo ordinario. D'altra parte il recesso è stato esercitato addirittura prima dell'assunzione, da parte di (Omissis), del quadro che in sede di ricorso il ricorrente ha individuato quale figura paritetica o superiore non gradita, sicché è evidente che la richiesta della penale di cui alla scrittura del 2004 si fonda su una rivalutazione postuma delle ragioni sottese al recesso come realmente esercitato, laddove il recesso è stato esercitato, storicamente, per ragioni e con modalità del tutto estranee alla clausola ora invocata. L'attribuzione a (Omissis) del recesso, senza che esso risulta giustificato da circostanze attribuibili al proponente nei termini di cui alle allegazioni processuali (e, quindi, alle circostanze di cui all'art. 2 AEC) comporta l'insussistenza del diritto alle indennità di cui all'art. 1751 c.c. e dell'indennità suppletiva di clientela ex art. 12 AEC ("se il contratto di scioglie ad iniziativa della casa mandante. Sarà corrisposta una indennità suppletiva di clientela") e, conseguentemente, dell'indennità meritocratica (di cui, peraltro, il C.T.U. ha escluso anche i presupposti interni). Quanto all'indennità di risoluzione del rapporto, essa è stata calcolata dal C.T.U. in €97.196,72 di cui 94.959,39 già versati all'Enasarco ed € 2237,33 ancora da versarsi. Conclusivamente, (Omissis) è creditore di € 2237,33 per indennità di risoluzione del rapporto, € 45.659,32 per indennità sostitutiva del mancato preavviso, € 20.300,00 per provvigioni, per un totale di € 68.196,65. Nelle more del processo (Omissis) ha versato € 2098,83 quale FIRR ed € 46.128,24 all'udienza del 3 luglio 2012; residuano, pertanto, € 19.969,58. Le spese di causa, che si liquidano, quanto ai compensi relativi alla difesa tecnica, alla luce dei parametri normativi relativi al valore della causa valutato in base al deciso, seguono la soccombenza   P.Q.M.   decidendo definitivamente, ogni diversa domanda rigettata   - condanna la resistente al pagamento a favore del ricorrente di € 19.969,58 oltre rivalutazione ed interessi dalla domanda al saldo; - condanna la resistente al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente che liquida in € 5131,00 oltre oneri di legge per competenze professionali. - pone a carico della resistente le spese di C.T.U.   Treviso,19 gennaio 2017 Il G.L.

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