Sentenze recenti affido condiviso

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACIERNO Maria - Presidente Dott. MELONI Marina - Consigliere Dott. DI MARZIO Mauro - rel. Consigliere Dott. MARULLI Marco - Consigliere Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27564/2020 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - controricorrente - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA n. 10/2020 depositata il 18/09/2020; Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20/01/2023 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO. FATTI DI CAUSA 1. - Con sentenza del 18 settembre 2020, la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato i reclami nei confronti della sentenza del 16 marzo 2019 del locale Tribunale per i minorenni, che aveva dichiarato lo stato di adottabilita' della minore (OMISSIS), nata il (OMISSIS), reclami presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) (zii paterni della minore), (OMISSIS) (padre naturale della minore), (OMISSIS) (madre della minore), (OMISSIS) (nonna paterna della minore) e (OMISSIS) e (OMISSIS) (la prima germana della nonna paterna della minore, con il di lei coniuge). 2. - La Corte di appello di Reggio Calabria, dopo avere disposto consulenza tecnica di ufficio al fine di valutare l'idoneita' educativa dei reclamanti, ad eccezione dei genitori naturali della minore (che avevano chiesto entrambi che la propria figlia fosse affidata alla coppia (OMISSIS) - (OMISSIS)), ha precisato che nel giudizio non era in discussione la declaratoria di decadenza della responsabilita' genitoriale, avverso la quale non era stato proposto reclamo, quanto la dichiarazione di adottabilita' della minore. 3. - I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto, alla luce delle risultanze peritali acquisite, la non idoneita' degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei prozii (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' della nonna paterna (OMISSIS), evidenziando che la minore, dal (OMISSIS) era stata affidata ad una coppia di coniugi che aveva dimostrato la volonta' di proseguire la strada di un legame familiare definitivo, nonche' la positivita' della dimensione familiare in cui la minore era inserita e dei legami affettivi significativi nel frattempo instaurati con gli affidatari. 4. - Per la cassazione della sentenza (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto separati ricorsi per affidati a due motivi. 5. - (OMISSIS), nella qualita' di tutore e di curatore speciale della minore, ha depositato separati controricorsi. 6. - Sono state depositate memorie ed il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi. 7. - Con ordinanza del 5 gennaio 2021 la causa, gia' fissata ad adunanza camerale, e' stata rimessa in pubblica udienza al fine di chiarire, tenuto conto dei motivi spiegati, l'ambito di applicazione della nullita' disposta dalla L. n. 184 del 1983, articolo 5, sul rilievo che, nella giurisprudenza di legittimita', detta norma non aveva avuto una applicazione univoca, tenuto conto delle diverse forme di affidamento previste dalla stessa legge. 8. - La causa e' cosi' pervenuta all'odierna udienza pubblica. RAGIONI DELLA DECISIONE 9. - I ricorsi contengono i seguenti motivi. Ricorso (OMISSIS). i) Con il primo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1993, articolo 5, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, stante l'omessa convocazione, innanzi la Corte di appello di Reggio Calabria, dei genitori affidatari nell'ambito del procedimento d'appello. ii) Con il secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1983, articoli 1 e 8, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ritiene legittimo il giudizio in ordine allo stato di abbandono della minore e l'inidoneita' dei parenti entro il quarto grado a ricevere l'affidamento, cosi' violando il diritto di ogni bambino di crescere nella propria famiglia di origine, non considerando che entrambi i genitori avevano intrapreso percorsi riabilitativi presso strutture specializzate nel trattamento delle dipendenze; che nessun intervento di sostegno era stato posto in essere nei confronti dei genitori della minore e nulla era stato dichiarato in merito al percorso riabilitativo che gli stessi avrebbero dovuto affrontare e ai tempi di recupero della loro capacita'; e non era stata operata una valutazione sull'attualita' della situazione di abbandono perche' i giudici di secondo grado si erano attenuti alla consulenza d'ufficio espletata in primo grado, senza considerare il recupero delle capacita' genitoriali della ricorrente e che non assumevano rilievo i legami affettivi significativi che la minore aveva creato con gli affidatari; che la minore avrebbe potuto essere affidata agli zii paterni tenuto conto della consulenza tecnica di ufficio svolta in secondo grado e dell'inconferente richiamo della giurisprudenza citata dalla Corte d'appello che si riferiva ad un caso in cui erano stati fatti dei tentativi di affido endo-familiare che avevano riscontrato l'inidoneita' dei parenti entro il quarto grado; che era assente ogni autonoma valutazione da parte dei giudici di secondo grado che si erano limitati a riproporre il ragionamento offerto dal giudice di primo grado; la Corte non aveva valutato in termini di attualita' i rapporti attualmente in essere tra gli zii paterni e i genitori e che gli zii non avevano piu' avuto alcun contatto con questi ultimi, cosi' essendo infondati i timori evidenziati dal Tribunale in ragione della mancanza di obiettivita' nella valutazione delle condotte poste in essere da (OMISSIS). Ricorso (OMISSIS). i) Con il primo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1993, articolo 5, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, stante l'omessa convocazione, innanzi la Corte di appello di Reggio Calabria, dei genitori affidatari nell'ambito del procedimento d'appello. ii) Con il secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1983, articoli 1 e 8, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ritiene legittimo il giudizio in ordine allo stato di abbandono della minore e l'inidoneita' della coppia a riceverne l'affidamento; la Corte non aveva considerato la presenza di parenti entro il quarto grado e il diritto della minore a vivere e crescere nella famiglia d'origine, ne' aveva formulato un giudizio attuale sulla situazione di abbandono della stessa, ne' rilevavano i legami affettivi significativi stretti con gli affidatari; la Corte non aveva valutato i rapporti attualmente in essere tra il ricorrente e la coppia e che questi ultimi non avevano avuto piu' alcun contatto coni genitori della minore; che nessun intervento di sostegno era stato posto in essere nei confronti dei genitori della minore e nulla era stato detto sul percorso riabilitativo che gli stessi avrebbero dovuto affrontare; la Corte, inoltre, aveva operato un richiamo ai contenuti della consulenza d'ufficio, senza alcuna valutazione autonoma; la Corte non aveva valutato la capacita' genitoriale della coppia, gia' genitori, e non aveva nemmeno ascoltato, a tali fini, la figlia, cosi' come richiesto con le deduzioni inoltrate al consulente in data (OMISSIS). Ricorso (OMISSIS). i) Con il primo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1993, articolo 5, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, stante l'omessa convocazione, innanzi la Corte di appello di Reggio Calabria, dei genitori affidatari nell'ambito del procedimento d'appello. ii) Con il secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1983, articoli 1 e 8, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ritiene legittimo il giudizio in ordine allo stato di abbandono della minore e l'inidoneita' dei parenti entro il quarto grado a ricevere l'affidamento, non avendo la Corte presa in considerazione la possibilita' dell'affidamento della minore ai parenti entro il quarto grado e omettendo ogni valutazione prognostica che considerasse le circostanze fattuali in termini di attualita'; ne' aveva rilievo il fatto che la minore avesse stretto dei legami affettivi significativi con gli affidatari, tenuto conto del preminente principio di fare crescere la minore nella famiglia d'origine; che nessun intervento di sostegno era stato posto in essere nei confronti dei genitori della minore e nulla era stato detto sul percorso riabilitativo che gli stessi avrebbero dovuto affrontare. Ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS). i) Con il primo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1993, articolo 5, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, stante l'omessa convocazione, innanzi la Corte di appello di Reggio Calabria, dei genitori affidatari nell'ambito del procedimento d'appello. ii) Con il secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 184 del 1983, articoli 1 e 8, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ritiene legittimo il giudizio in ordine allo stato di abbandono della minore e l'inidoneita' della coppia a riceverne l'affidamento, avendo la Corte di appello, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio espletata nel giudizio di secondo grado, ritenuto i ricorrenti inidonei per la mancanza di obiettivita' manifestata a piu' riprese dalla coppia richiedente in relazione alle gravi problematiche del padre della minore, senza tenere in considerazione che i parenti non hanno esitato a chiedere l'intervento della forza pubblica, quando il comportamento dei genitori si era manifestato allarmante e che la madre e il fratello del (OMISSIS) avevano presentato numerose denunce nei confronti di quest'ultimo, sicche' l'argomento dissimulatorio dei parenti appariva del tutto destituito da ogni fondamento; che, in ogni caso, esisteva un profondo legame affettivo tra i prozii e il (OMISSIS) e che questo non aveva alcuna attinenza con l'inidoneita' all'affidamento pronunciata dalla Corte; era inconferente il richiamo della giurisprudenza operato dalla Corte d'appello che si riferiva ad un caso in cui erano stati fatti dei tentativi di affido endo-familiare che avevano riscontrato l'inidoneita' dei parenti entro il quarto grado; la Corte, inoltre, aveva operato un richiamo ai contenuti della consulenza d'ufficio, senza alcuna valutazione autonoma; la Corte non aveva valutato la capacita' genitoriale della coppia, gia' genitori, e non aveva nemmeno ascoltato, a tali fini, la figlia, cosi' come richiesto con le deduzioni inoltrate al consulente in data (OMISSIS); la Corte non aveva considerato la presenza di parenti entro il quarto grado e il diritto della minore a vivere e crescere nella famiglia d'origine, ne' aveva formulato un giudizio attuale sulla situazione di abbandono della stessa, ne' rilevavano i legami affettivi significativi stretti con gli affidatari; la Corte non aveva valutato i rapporti attualmente in essere tra il ricorrente e la coppia, e che questi ultimi non avevano avuto piu' alcun contatto con i genitori della minore. 10. - I ricorsi vanno respinti. 10.1. - E' infondato il primo mezzo comune a tutti i ricorsi. Tutti i ricorrenti, con esso, hanno dedotto la violazione della L. n. 184 del 1983, articolo 5, per la mancata audizione, nel giudizio di appello, degli affidatari, presso i quali la minore risultava collocata con decreto del Tribunale per i minorenni del 10 luglio 2018, depositato in data 27 luglio 2018. 10.1.1. - Occorre dunque anzitutto chiedersi se detti affidatari dovessero essere sentiti, per il che vale rammentare che l'ordinamento conosce diverse ed eterogenee forme di affidamento. In particolare: -) l'affidamento preadottivo e' disciplinato della L. n. 184 del 1983, articolo 22, comma 6, articoli 23 e 24: si tratta, in buona sostanza, del secondo momento della procedura di adozione, giacche', a seguito della dichiarazione di adottabilita' pronunciata dal Tribunale per i minorenni, e prima della dichiarazione definitiva di adozione, il minore viene collocato presso una coppia in possesso dei requisiti di cui alla L. n. 184 del 1983, articolo 6; tale affidamento ha la durata massima di un anno, prorogabile a due, ed ha lo scopo di avvicinare il minore adottando ai potenziali genitori adottivi al fine di saggiare la positivita' e la riuscita dell'abbinamento; -) l'affidamento temporaneo o familiare e' previsto della L. n. 184 del 1983, articoli 2 e segg., ed e' disposto nei confronti del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, attraverso l'inserimento in un diverso nucleo familiare per il tempo necessario alla sua famiglia di origine a recuperare la capacita' di occuparsi di lui, anche grazie all'intervento ed al sostegno delle istituzioni a cio' preposte; -) l'affidamento provvisorio e' disposto in applicazione dell'articolo 10 della stessa Legge, secondo cui il Tribunale puo' disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunita' di tipo familiare; -) gli articoli 330 e 333 c.c., che disciplinano i provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilita' genitoriale, contemplano anch'essi il potere del giudice di ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare, e tali norme sono richiamate in entrambe le ultime precedenti ipotesi, affidamento temporaneo o familiare ed affidamento provvisorio, articolo 4 e articolo 10 della legge sull'adozione, di guisa che anche detti provvedimenti consentono l'affidamento nei termini previsti dalle disposizioni che li richiamano; -) l'affidamento familiare e' pure contemplato dall'articolo 337 ter c.c., ove, con riferimento ai giudizi previsti dall'articolo 337 bis c.c., e' stabilito che il giudice puo' disporre "in caso di temporanea impossibilita' di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare", sulla scia del previgente articolo 155 c.c., riguardante il procedimento di separazione personale dei genitori, e della L. n. 898 del 1970, articolo 6, comma 8, secondo cui nel detto frangente il Tribunale poteva procedere all'affidamento familiare di cui alla L. n. 184 del 1983, articolo 2. Occorre ancora precisare che l'affidamento preadottivo, L. n. 184 del 1983, articolo 22, tende talora nella pratica a confondersi e sovrapporsi all'affidamento temporaneo o familiare, dal momento che la durata dei procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilita' ha prodotto la prassi del cosiddetto affidamento "a rischio giuridico", con anticipazione della comparazione tra le coppie aspiranti all'adozione e la successiva tendenziale conferma, in sede di affidamento preadottivo, della coppia gia' selezionata. Orbene, la semplice lettura della norma introdotta dalla L. n. 173 del 2015, mostra che l'intento del legislatore e' consistito nel prevedere l'obbligo di convocazione di coloro che, in qualita' di affidatari o di collocatari, tengano presso di loro un minore nell'ambito di procedimenti che coinvolgano la famiglia di origine del medesimo: sicche' tra le persone che devono essere convocate non rientrano coloro che abbiano il minore in affidamento preadottivo, disposto dopo la dichiarazione di adottabilita', avendo tale istituto presupposti diversi dall'affidamento familiare ed essendo volto a sperimentare la possibilita' di adozione piena in situazione di irreversibile abbandono morale e materiale del minore, e dunque di recisione del legame con la famiglia di origine (v. per diverse ipotesi Cass. 9 aprile 2021, n. 9456; Cass. 2 settembre 2021, n. 23799, Cass. 2 settembre 2021, n. 23795; Cass. 2 settembre 2021, n. 23803; Cass. 4 maggio 2022, n. 14077). Quanto alle altre ipotesi di affidamento, diverse dall'affidamento preadottivo, ricorre invece l'esigenza di sentire gli affidatari nei termini seguenti: -) con riguardo all'affidamento familiare previsto dall'articolo 337 ter c.c., e' la stessa Relazione illustrativa del Decreto Legislativo n. 154 del 2013, a chiarire che la disposizione e' mutuata della L. n. 898 del 1970, previgente articolo 6, comma 8, il quale, a sua volta, richiamava espressamente l'affidamento familiare di cui alla L. n. 184 del 1983, articolo 2 (Cass. 11 giugno 2021, n. 16569, ove si chiarisce che il Tribunale deve dare procedere all'ascolto del minore); -) con riguardo all'affidamento familiare disposto in pendenza o a conclusione dei procedimenti sulla responsabilita' genitoriale, si deve tenere presente che, come si diceva, la stessa disciplina dell'affidamento familiare, della L. n. 184 del 1983, articolo 4, rinvia al disposto degli articoli articoli 330 c.c. e segg., sicche' ricorre parimenti l'esigenza dell'audizione (Cass. 11 giugno 2021, n. 16569; Cass. 4 novembre 2019, n. 28257); -) con riguardo al collocamento provvisorio del minore in pendenza del giudizio per la dichiarazione dello stato di adottabilita', ai sensi dell'articolo 10 della legge sull'adozione, e' ancora una volta la stessa norma a rinviare agli articoli 330 c.c. e segg., e del resto tale misura e' stata gia' riguardata come sottospecie di affidamento familiare disciplinato della L. n. 184 del 1983, articoli 2 e segg. (Cass. 14 febbraio 2022, n. 4797). Si deve allora reputare necessaria la convocazione in discorso non solo degli affidatari o collocatari nominati ex articoli 2 e segg., della citata legge, ma anche quelli designati a seguito di affidamento provvisorio nel corso dei giudizi sulla dichiarazione di adottabilita' e quelli nominati nei giudizi sulla responsabilita' genitoriale e sull'affidamento del minore: difatti, se si tiene conto della ratio della previsione, non v'e' dubbio che la stessa esigenza di conoscere la situazione del minore, mediante la convocazione degli affidatari ricorra anche nelle altre ipotesi di affidamento diverse da quello preadottivo. Resta da dire che la L. n. 184 del 1983, articolo 5, comma 1, laddove prevede l'obbligo di convocazione degli affidatari e dei collocatari, non si applica al caso in cui il minore sia affidato ad un ente o a una comunita' (Cass. 14 settembre 2021, n. 24723; Cass. 2 settembre 2021, n. 23795), mentre ritorna in auge nei confronti dei collocatari previsti dalla L. n. 184 del 1983, articolo 5 bis, in caso di affidamento ai servizi sociali. In conclusione, l'obbligo di convocazione va escluso nei confronti di coloro che abbiano in affidamento preadottivo il minore disposto a seguito di una pronuncia di adottabilita', nonche' nei confronti dell'ente, dell'istituto o della comunita' familiare affidataria; detto obbligo sussiste invece negli altri casi prima elencati. Sicche', dal momento che nel caso in esame, per quanto riesce ad intendersi dal ricorso, non sembra si versi ipotesi di affidamento preadottivo susseguente a dichiarazione di adottabilita', l'obbligo di sentire gli affidatari deve considerarsi in astratto sussistente. 10.1.2. - Il motivo va tuttavia respinto, in applicazione del principio, medio tempore affermato da questa Corte, e che qui si ribadisce, secondo cui: "In tema di adozione di minori di eta', la L. n. 184 del 1983, articolo 5, comma 1, ultimo periodo (come sostituito dalla L. n. 173 del 2015, articolo 2), il quale prevede l'obbligo di audizione della famiglia collocataria, trova applicazione anche in grado di appello ove l'adempimento ivi previsto sia stato omesso dal tribunale per i minorenni in prime cure, altrimenti spettando al giudice dei gradi successivi di verificare se l'incombente debba essere rinnovato, in presenza di ulteriori, fondate e sopraggiunte ragioni evidenziate dalle parti, oppure se le dichiarazioni gia' rese dall'affidatario o dalla famiglia collocataria, completate dalle relazioni dei servizi sociali, possano essere ritenute esaustive senza necessitare di aggiornamenti" (Cass. 9 dicembre 2022, n. 36092). Ed invero, gli affidatari sono stati nel caso di specie sentiti in primo grado, ed i ricorsi tacciono del tutto sulle ragioni in forza delle quali essi avrebbero dovuto essere nuovamente sentiti. 10.2. - Gli ulteriori motivi spiegati dai ricorrenti in precedenza indicati possono essere anch'essi simultaneamente esaminati, e sono palesemente inammissibili. Va rammentato che la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) sono stati dichiarati decaduti dalla potesta' genitoriale e non hanno impugnato il provvedimento di decadenza disposto dal Tribunale per i minorenni il 27 luglio 2018, prestandovi acquiescenza, mentre entrambi hanno dedotto in appello l'illegittima valutazione dello stato di abbandono e del conseguente stato di adottabilita' della minore. La valutazione giuridica, a loro dire, sarebbe fondata sull'erroneo presupposto della inadeguatezza e della pericolosita' di entrambi i genitori naturali della minore (OMISSIS), nonche' della inidoneita' dei richiedenti l'affido. In contrario, la Corte di Appello ha richiamato le risultanze peritali che hanno posto in evidenza l'inadeguatezza ed incapacita' dei genitori di garantire alla minore assistenza morale e materiale. La stessa Corte ha, poi, condiviso la valutazione negativa, gia' effettuata dal Tribunale, circa il percorso di recupero da parte dei genitori biologici, evidenziando l'assenza di atti concreti al fine di garantire lo sviluppo armonioso della medesima. Si tratta di una pronuncia che aderisce motivatamente alla decisione del Tribunale, esaminando l'intero materiale probatorio, per giungere a conclusioni proprie anche in riferimento alla mancanza di volonta' della (OMISSIS) di recuperare il rapporto genitoriale, ed anzi viene recepita l'osservazione dell'ausiliare che i genitori "hanno continuato a nascondere il loro stato di dipendenza da alcol e da sostanze stupefacenti e a mistificare la realta'". La Corte di Appello ha poi ampiamente motivato il rigetto della impugnazione della nonna paterna (OMISSIS) ai fini dell'affido, osservando che l'istruttoria svolta nel giudizio di primo grado aveva evidenziato, in capo alla stessa, l'assenza di consapevolezza del vuoto esistenziale intorno alla bambina, oltre alla contemporanea negazione della realta' del degrado in cui la minore era costretta a vivere. A cio' la Corte ha aggiunto, richiamandosi alla CTU, che la nonna (OMISSIS) e' iperprotettiva e non in grado di creare un ambiente che permetta alla minore di prepararsi ad una futura indipendenza. Quanto alla richiesta di affidamento avanzata dalla coppia (OMISSIS) e dal marito (OMISSIS) la Corte ha segnalato, sulla base della CTU, condotte anomale e pericolose, avendo essi assunto un atteggiamento volto a minimizzare e/o giustificare i comportamenti dei genitori permettendo che la bambina continuasse a vivere in un ambiente nocivo e degradato, rischioso per il suo sviluppo e la sua incolumita' fisica. In sostanza la Corte di appello ha ritenuto, sulla base di motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, che il contesto parentale non offrisse figure che potessero costituire una valida risorsa per la crescita della bambina e che la soluzione piu' idonea fosse l'affido ad una coppia di coniugi esterna, che ha dimostrato di perseguire la strada di un legame familiare definitivo. A fronte di cio', i ricorsi mirano a rimettere in discussione l'accertamento operato dal giudice di merito, in violazione del principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita' non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facolta' di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato e' tuttora consentito dell'articolo 360 c.p.c., vigente n. 5, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilita' e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita' dei fatti ad essi sottesi, dando cosi' liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). Ne' il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu' attendibili, e' tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662). 11. - L'incertezza sull'ambito di operativita' dell'obbligo di audizione degli affidatari induce a compensare interamente le spese del giudizio di legittimita'. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Si dispone l'oscuramento dei dati. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e compensa le spese. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita' di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA Il Tribunale di Vicenza, Sezione Seconda Civile, riunito in camera di consiglio in persona dei Signori Magistrati: dott.ssa Elena Sollazzo - Presidente rel. dott. Gabriele Conti - Giudice dott.ssa Aglaia Gandolfo - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5344 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, promossa da (...), nata a (...) il (...), rappresentata e difesa dall'avvocato St.BA. contro (...), nato ad (...) il (...), rappresentato e difeso dall'avvocato Li.BE. e con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza. In punto: Cessazione degli effetti civili del matrimonio. FATTO E DIRITTO Con ricorso in data 15.9.2020 (...), premesso di aver contratto matrimonio con (...) in Arezzo il 19.10.2002; che dall'unione erano nate le figlie (...) ((...)) e (...) ( (...)); che il matrimonio era entrato in irreversibile crisi e che, con decreto del 29.1.2015 il Tribunale di Vicenza aveva omologato la separazione consensuale dei coniugi; che le condizioni della separazione prevedevano l'affido condiviso delle figlie minori, il collocamento prevalente delle stesse presso la madre, la regolamentazione del diritto di visita del padre nei week end, secondo la regola dell'alternanza, nelle sere del martedì e del giovedì, nonché durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive, l'assegnazione della casa coniugale ad essa ricorrente, l'obbligo in capo a (...) di contribuire al mantenimento delle figlie minori e della moglie con la somma mensile di Euro 900 e di Euro 300 rispettivamente; che (...) si era disinteressato delle figlie e non aveva rispettato gli accordi economici della separazione, costringendo essa ricorrente a sporgere denuncia nei suoi confronti ed anche a lasciare la casa coniugale condotta in locazione per trasferirsi con le figlie in provincia di Verona; di aver svolto varie attività lavorative con contratti a tempo determinato e talvolta in modo irregolare e di percepire, da marzo 2019, il reddito di cittadinanza, inizialmente pari a 480 Euro mensili e poi ridotto a 280 Euro mensili; chiedeva fosse dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'affidamento esclusivo delle figlie minori, nonché la conferma delle condizioni economiche della separazione. Con comparsa in data 21.12.2020 si costituiva in giudizio (...), aderendo alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma contestando la richiesta di affido esclusivo delle figlie avanzata dalla controparte; lamentava che la F. avesse tenuto condotte volte ad ostacolare il suo rapporto con le minori, in relazione alle quali invocava l'emissione di provvedimenti sanzionatori ex art. 709 ter c.p.c.; rappresentava inoltre che le proprie condizioni economiche fossero drasticamente peggiorate dal tempo della separazione e chiedeva che il contributo a proprio carico per il mantenimento delle figlie fosse ridotto a 400 Euro mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie; instava infine per il rigetto della domanda di assegno divorzile svolta dalla ricorrente. All'udienza del 12.1.2021 i coniugi comparivano personalmente avanti il Presidente del Tribunale, rendendo le dichiarazioni riportate a verbale. Con ordinanza in data 12.1.2021 il Presidente, in via provvisoria ed urgente, affidava le figlie minori ad entrambi i genitori secondo la regola dell'affido condiviso e le collocava in via prevalente presso la madre; regolamentava il diritto di visita del padre nei week end, secondo la regola dell'alternanza, il mercoledì pomeriggio fino al mattino seguente, nonché durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive; determinava in Euro 100 mensili la misura dell'assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. dovuto dal resistente in favore della moglie ed in Euro 500 mensili il contributo a carico dello stesso in favore delle due figlie. Instauratasi la fase contenziosa di merito, con sentenza parziale n. 646/2021, il Tribunale dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Con ordinanza in data 28.9.2021 il Giudice Istruttore non ammetteva le prove orali richieste dalla ricorrente e disponeva la presa in carico del nucleo familiare da parte dei (...) territorialmente competenti, incaricandoli di verificare la condizione delle figlie minori delle parti, la capacità genitoriale di (...) e di (...) ed indicare il regime di affidamento / collocamento / frequentazione del genitore non convivente con le minori maggiormente rispondente al loro interesse. All'esito del deposito della relazione dei (...), all'udienza del 26.1.2023 la causa era rimessa al Collegio per la decisione sulle conclusioni delle parti e del Pubblico Ministero in epigrafe riportate. La cessazione degli effetti civili del matrimonio è già stata dichiarata con sentenza parziale n. 646/2021. Restano dunque da esaminare le questioni afferenti il regime di affidamento delle figlie minori delle parti e quelle di natura economica. Preliminarmente deve in questa sede ribadirsi il giudizio di inammissibilità espresso dal Giudice Istruttore con l'ordinanza datata 28.9.2021 relativamente alle prove orali richieste dalla ricorrente (che ha reiterato le proprie istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni), in quanto i capitoli 1, 2, 3, 36, 37 attengono a circostanze non contestate, i capitoli 4, 31, 34 attengono a circostanze irrilevanti, i capitoli 5, 16, 17, 19, 20, 21, 27, 35, 39, 40, 41, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 51 sono formulati in termini generici e tali da non consentire l'articolazione di prova contraria, i capitoli 6, 7, 8, 9, 10, 11 sono formulati in termini generici ed attengono a circostanze irrilevanti, i capitoli 12, 13, 14, 15, 18, 22, 24, 25, 26, 28, 30, 42, 47, 52, 53, 55, 56 attengono a circostanze da documentare, i capitoli 23, 50 sono valutativi ed i capitoli 29, 32, 33, 38, 54 sono volti a provare fatti negativi. Le minori (...) e (...) vanno affidate in modo condiviso ad entrambi i genitori i quali, nell'esercizio della responsabilità genitoriale, prederanno di comune accordo le decisioni di maggiore interesse relative alla loro istruzione, educazione e salute, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni. In proposito va rimarcato che la decisione di affidamento condiviso dei figli minori, oltre a essere rispettosa delle disposizioni normative e dei principi ermeneutici introdotti dalla L. n. 54 del 2006 (che ha stabilito il diritto del minore alla cosiddetta bigenitorialità) risulta avvalorata anche dal contenuto della relazione redatta dai (...) di Grezzana, depositata in data 20.9.2022. In detta relazione, infatti, se da un lato viene evidenziata l'esistenza di rapporti altamente conflittuali tra i coniugi (per ragioni prevalentemente economiche e con ricadute, seppur indirette, sulle figlie), dall'altro è sottolineato che le minori non manifestano significativi disagi, hanno maturato chiarezza riguardo al percorso di vita disgiunto dei genitori e sono adeguatamente seguite ed accudite nel contesto familiare materno. I Servizi Sociali non hanno rilevato particolari carenze delle capacità genitoriali delle parti e, pur dando atto dell'interruzione delle visite di (...) con il padre (dovute alla difficoltà della ragazza di rapportarsi con la compagna del (...)), hanno segnalato che la minore esprime comunque sentimenti positivi verso il padre, nonché il desiderio di riallacciare i rapporti con lui, e che il genitore, benché penalizzato dalla distanza, si è dimostrato collaborativo e disponibile nell'agevolare gli incontri con le figlie e molto dispiaciuto per l'interruzione dei suoi rapporti con la primogenita. In tale situazione ritiene pertanto il Collegio che la strada della condivisione genitoriale sia necessaria alla tutela del benessere psicoaffettivo delle minori ed anche l'unica che può sortire l'effetto di salvaguardare il loro diritto, disciplinato dalle norme codicistiche, alla bigenitorialità. Del resto, l'esistenza di una situazione di conflittualità tra i genitori non può costituire ostacolo insuperabile all'applicazione dell'affidamento condiviso del figlio minore, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (Cassazione n. 16593/2008; Cassazione n. 21591/2012), potendosi derogare al regime legale di affidamento solo nel caso in cui la sua applicazione risulti pregiudizievole per l'interesse del minore. Quanto al collocamento delle figlie, le parti concordano sul fatto che questo debba essere presso la madre ed in tal senso si sono pure espressi i (...), evidenziando come la ricorrente risulti adeguata nelle funzioni affettive e di responsabilità verso le minori e sia presente ed attiva nell'offrire attività di svago ed intrattenimento alle figlie. Le frequentazioni padre/figlie vanno regolamentante tenendo conto della distanza di (...) dal luogo di residenza delle minori e delle richieste del resistente, essendosi (...) rimessa sul punto alle determinazioni del Tribunale. Pertanto, (...) e (...) staranno con il padre nei fine settimana, secondo la regola dell'alternanza dal venerdì alle ore 18 fino alla domenica alle ore 21,30, con obbligo di (...) di prelevarle dal luogo in cui si trovano e di riaccompagnarle a casa della madre al termine del proprio turno di responsabilità genitoriale; un pomeriggio / sera durante la settimana, previo accordo con la madre; sette giorni durante le vacanze natalizie, comprendenti ad anni alterni il giorno di (...) e quello di (...); tre giorni durante le vacanze pasquali, comprendenti ad anni alterni il giorno di Pasqua ed il Lunedì dell'Angelo; due settimane, anche non consecutive, durante le vacanze estive (con pari diritto della madre) in periodo da concordare tra i genitori entro il 30 Maggio di ogni anno. Va inoltre dato incarico ai (...) di monitorare ancora per sei mesi il nucleo familiare verificando il rispetto dei provvedimenti adottati con la presente sentenza e di tentare di riallacciare i rapporti della figlia (...) con il padre. Non ricorrono le condizioni per emettere a carico di (...) i provvedimenti sanzionatori di cui all'art. 709 ter c.p.c. invocati dalla difesa di (...), non emergendo dagli atti e tanto meno dalla relazione dei (...), riscontro alcuno delle condotte materne asseritamente ostacolanti il rapporto padre / figlie e lesive del diritto alla bigenitorialità di queste ultime. Quanto alle questioni economiche, il thema decidendum è circoscritto a verificare se (...) abbia diritto a vedersi riconoscere un assegno divorzile a carico di (...) ed a quantificare il contributo da quest'ultimo dovuto per il mantenimento delle figlie minori. La decisione della prima di tali questioni non può che prendere le mosse dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287/2018 che ha diffusamente trattato proprio il tema dell'assegno divorzile, discostandosi dalla precedente sentenza n. 11504/2017, già recepita da questo Tribunale. Il rispetto della funzione nomofilattica della Suprema Corte impone senza dubbio al Tribunale di applicare il principio di diritto sancito nella pronuncia in esame. Le SS.UU. partendo dalla considerazione che "... lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare ..." hanno ritenuto di riconoscere all'assegno divorzile una funzione composita sia di natura assistenziale (fondata sui parametri delle "condizioni dei coniugi" e del "reddito di entrambi") sia di natura compensativa- perequativa (considerando il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi i partner), sia di natura risarcitoria (rilevando le ragioni della decisione) criterio quest'ultimo che, seppure evocato nella motivazione della decisione, sembra, comunque, assurgere ad un ruolo meno rilevante, stante la mancata sua riproduzione nel principio di diritto enunciato nella parte finale della decisione. Il fondamento di tale conclusione è da rinvenire, secondo il Collegio di legittimità, nella necessità di mantenere rilevanza, anche nella fase dello scioglimento del matrimonio al principio di pari dignità dei coniugi "...dovendo procedersi all'effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune ed alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l'entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costituzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all'assolvimento dei doveri indicati nell'art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l'espressione tipica dell'autodeterminazione e dell'autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio ...". Viene così superata la tradizionale scissione tra i criteri per la valutazione sull'an dell'assegno divorzile e quelli per la (eventuale) determinazione del quantum (affermata dalla giurisprudenza di legittimità sin dagli anni novanta) affermando che "..il parametro sulla base del quale deve essere fondato l'accertamento del diritto ... ha natura composita, dovendo l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata, degli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5 c. 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza...". Partendo da questo principio la Suprema Corte, pur ritenendo definitivamente superato il criterio del tenore di vita goduto o fruibile durante la vita matrimoniale condividendo i passaggi della citata sentenza n. 11504/2017, laddove erano stati posti in luce il principio di autoresponsabilità e la valorizzazione delle scelte personali, ha sottolineato che l'art. 2 della Carta Costituzionale "...colloca il principio di autodeterminazione all'interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità dell'individuo..." rilevando che "...l'autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche unilaterale di sciogliersi dal vincolo ma preesiste a tale determinazione e connota tutta la relazione ed, in particolare, la definizione e la condivisione dei ruoli endofamiliari. Ugualmente l'autoresponsabilità costituisce il cardine dell'intera relazione matrimoniale, su di essa fondandosi l'obbligo di assistenza e di collaborazione nella vita familiare così come tratteggiati nell'art. 143 cod. civ. ..." precisando che "...la conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile. Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico patrimoniale dell'ex coniuge al momento della cessazione dell'unione matrimoniale ...". Per questi motivi la Suprema Corte ha conferito "...preminenza alla funzione equilibratrice-perequativa dell'assegno di divorzio..." sottolineando la necessità di accertare, nei casi in cui vi sia uno squilibrio tra le condizioni economiche delle parti, se tale squilibrio sia da "...ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all'età del richiedente...". Per la decisione sulla domanda di assegno divorzile si deve, quindi, assumere come punto di partenza della valutazione della domanda, l'analisi dell'attuale situazione economico reddituale delle parti (comprensiva delle potenzialità dell'ex coniuge richiedente assegno di avere adeguati mezzi propri o di essere capaci di procurarli), finalizzata alla comparazione tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti per verificare l'esistenza di un eventuale squilibrio. Compiuto tale accertamento si dovrà poi accertare se la disparità economico reddituale e lo squilibrio rilevato siano frutto delle scelte condivise assunte in costanza di matrimonio alla luce del contributo dato da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e all'evolversi della situazione reddituale e patrimoniale dell'altro, considerando la durata del vincolo coniugale, chiave di lettura di tutti gli altri criteri di valutazione, che assume una rilevanza pregnante. E' infatti di immediata evidenza che maggiore sarà stata la durata del matrimonio, più sarà stato rilevante l'apporto di ciascuno alla formazione delle sostanze comuni e allo sviluppo delle capacità reddituali dell'altro coniuge, in una valutazione che impone la piena equiordinazione tra il lavoro domestico, di cura e di accudimento dell'altro e della casa familiare, allo stato privo di concreto riconoscimento reddituale, e il lavoro prestato all'esterno del nucleo familiare. Giova sottolineare, peraltro, che avendo le stesse SS.UU. eliminato il criterio del tenore di vita l'assegno divorzile non può avere la funzione di "pareggiare" le condizioni degli ex-coniugi laddove esse sarebbero comunque state diverse in assenza delle nozze. Diversamente opinando si attribuirebbe al matrimonio un compito del tutto incompatibile con la natura dell'istituto, a favore di scelte matrimoniali basate sulla convenienza economica, e si darebbe legittimità a quella "locupletazione ingiustificata" che le stesse Sezioni Unite hanno censurato quando hanno sottoposto a critica serrata il criterio del tenore della vita matrimoniale. Del resto, se si accedesse a una visione dell'assegno divorzile correttiva della situazione economico-sociale, verrebbe superata la funzione compensativa dell'assegno stesso, posto che quest'ultimo non servirebbe a ristorare la parte che, sulla base delle scelte della coppia, ha sacrificato le proprie ambizioni personali di realizzazione lavorativa, ma attribuirebbe invece alla parte medesima un vantaggio superiore a tale sacrificio. Pertanto laddove la Suprema Corte afferma che l'assegno divorzile deve tendere a consentire "....un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente...." si pone il problema di formulare un giudizio ex ante relativo alle aspettative sacrificate rispetto alla situazione che si crea con il divorzio e ciò in quanto le Sezioni Unite hanno sottolineato che "....è necessario procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi...." e che "...la funzione equilibratrice dell'assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo forniti dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale....". Ancor più recentemente la Suprema Corte ha precisato che "....al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba essere riconoscersi l'invocato assegno divorzile, il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso ed alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, nè al parametro della autosufficienza economica, ma in misura taleda garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato" (Cassazione 23.4.2019 n. 11178). Tenendo dunque conto di quanto sin qui esposto deve essere esaminato il caso di specie, evidenziando di seguito le circostanze di fatto rilevanti per la decisione, quali risultano dal fascicolo processuale. (...) e (...) si sono sposati nell'ottobre del 2002, quando, sia il marito che la moglie, avevano compiuto 32 anni. Il matrimonio è durato 13 anni e non costano ragioni per imputare il venir meno del sodalizio coniugale ad uno dei due coniugi, in quanto la separazione è stata pronunciata senza addebito. (...) non ha contestato le allegazioni di controparte relative alle attività lavorative dalla medesima svolte, con contratti a tempo determinato, durante la convivenza matrimoniale, quale dipendente dell'IPAB di Vicenza, operaia e rappresentante nel settore orafo, barista e colf. Al tempo dell'udienza presidenziale era disoccupata e percepiva solo il reddito di cittadinanza di 280 Euro mensili. Successivamente, durante il corso del giudizio, ha svolto varie attività lavorative (fotografa a matrimoni ed eventi, collaboratrice domestica, bracciante agricola) in modo irregolare e precario. Attualmente lavora come colf, regolarmente assunta, due mattine a settimana, verso una retribuzione netta mensile di poco più di 200 Euro, con la quale deve far fronte al pagamento del canone di locazione di 350 Euro mensili della casa di Grezzana (VR), dove vive con le due figlie. (...), durante il matrimonio, lavorava come operaio con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della società (...) s.r.l. e provvedeva in via prevalente al mantenimento della famiglia, nonché al pagamento del canone di locazione della casa coniugale. Nell'aprile del 2018 ha perso il lavoro e, dopo un periodo di disoccupazione, durante il quale ha percepito l'indennità NASPI e subito lo sfratto per morosità relativamente all'immobile sito in (...) via X. (...) che aveva destinato a propria abitazione, ha ripreso a lavorare, dapprima come venditore a domicilio per la società (...) s.r.l. e poi come operaio con contratti a tempo determinato. Al tempo dell'udienza presidenziale era occupato come magazziniere presso la società cooperativa (...), verso una retribuzione netta mensile di circa 1.400 Euro e tutt'ora svolge tale attività. Vive con la sua nuova compagna e non ha documentato spese abitative. È innegabile, alla luce dei dati sopra riportati, che sussista tra le parti un'apprezzabile sperequazione economica, in favore del resistente (...). Quest'ultimo infatti svolge un'attività lavorativa a tempo pieno adeguatamente retribuita e non ha spese abitative, mentre (...) lavora come colf per poche ore alla settimana, è gravata del pagamento di un canone di locazione ed ha aspettative pensionistiche sicuramente più limitate di quelle dell'ex marito. Deve escludersi che (...) abbia diritto ad un assegno divorzile con funzione compensativa - perequativa, non avendo la stessa allegato, e tanto meno provato, di aver contribuito alla formazione delle capacità professionali e di reddito del marito o limitato le proprie chances lavorative, nonché le proprie aspettative professionali e reddituali, mancando anche solo di indicare a quali aspirazioni professionali ella avrebbe rinunciato in favore della famiglia per effetto di scelte condivise con il coniuge. Tuttavia, ritiene il Collegio che la ricorrente possa legittimamente aspirare a vedersi riconoscere da (...) un assegno divorzile con funzione assistenziale. È infatti evidente che (...), pur dotata di capacità lavorativa generica, difficilmente riuscirà a reperire un'occupazione che le consenta di produrre un reddito autosufficiente, considerata la sua età (54 anni), il titolo di studio di cui è in possesso (licenzia media), la marginalità dell'attività lavorativa svolta durante il matrimonio e successivamente alla separazione, la necessità di accudire in via largamente prevalente due figlie ancora minori. Tale assegno, tenuto conto della condizione reddituale dell'obbligato e del perdurare dell'onere di contribuzione a suo carico in favore delle figlie, va determinato nella misura minimale di 100 Euro mensili. Venendo alla quantificazione del contributo dovuto da (...) per il mantenimento delle figlie (...) e (...), vanno considerati, oltre alla capacità contributiva dei due genitori, di cui si è sin qui dato conto, anche i tempi di permanenza delle figlie presso ciascuno di essi, nonché le esigenze delle minori correlate alla loro età. Tutto ciò considerato, stimasi equo determinare tale contributo in Euro 500 mensili (oltre al 50% delle spese straordinarie) in conformità a quanto stabilito dal Presidente del Tribunale con i provvedimenti provvisori. Le spese attesa la reciproca soccombenza vanno integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Vicenza, definitivamente pronunciando tra le parti, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede: a) affida le minori (...) e (...) ad entrambi i genitori secondo la regola dell'affido condiviso, con residenza e collocamento prevalente delle stesse presso la madre; b) dispone che (...) possa vedere e tenere con sé le figlie secondo le seguenti modalità: -un week end ogni 15 giorni, dal venerdì alle ore 18 fino alla domenica alle ore 21,30, con obbligo di prelevarle dal luogo in cui si trovano e di riaccompagnarle a casa della madre al termine del proprio turno di responsabilità genitoriale; -un pomeriggio / sera durante la settimana, previo accordo con la madre; -sette giorni durante le vacanze natalizie, comprendenti ad anni alterni il giorno di (...) e quello di (...); -tre giorni durante le vacanze pasquali, comprendenti ad anni alterni il giorno di Pasqua ed il Lunedì dell'Angelo; -due settimane anche non consecutive durante le vacanze estive (con pari diritto della madre), in periodo da concordare tra i genitori entro il 30 Maggio di ogni anno; c) demanda ai (...) territorialmente competenti in ragione del luogo di residenza delle minori di monitorare ancora per sei mesi il nucleo familiare, verificando il rispetto dei provvedimenti adottati con la presente sentenza e di tentare di riallacciare i rapporti della figlia (...) con il padre; d) fa obbligo a (...) di corrispondere a (...), entro il giorno 5 di ogni mese, a titolo di assegno divorzile, la somma di Euro 100, annualmente rivalutabile in base agli indici ISTAT; e) fa obbligo a (...) di corrispondere a (...), entro il giorno 5 di ogni mese, a titolo di contributo al mantenimento delle figlie, la somma di Euro 500 (euro 250 per ciascuna figlia), annualmente rivalutabile in base agli indici ISTAT e di sostenere al 50% le spese straordinarie relative alla prole, come regolamentate dal protocollo del Tribunale di Vicenza; f) rigetta ogni altra domanda; g) compensa le spese. Così deciso in Vicenza il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, Prima Sezione Civile, composto dai Sigg. Magistrati: Dott. Stefania D'ERRICO - Presidente rel. Dott. Federica ROTONDO - Giudice Dott. Marzia MINGIONE - Giudice ha emesso la seguente: SENTENZA nel procedimento civile di primo grado iscritto al n. 1655 del R.G. Affari Civili Contenziosi relativo all'anno 2022, avente ad oggetto: "Divorzio contenzioso - Cessazione effetti civili" e riservato per la decisione all'udienza del 02.02.2023; TRA (...), nata a T. (T.) il (...) e residente in S. (T.) alla via T. All'O., Sc.B, rappresentato e difeso dall'avv. St.Ca., come da procura allegata al ricorso per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio depositato il 17.03.2022 ed elettivamente domiciliata in Taranto v.le (...), presso lo studio dell'avv. St.Ca.; - RICORRENTE E (...), nato a T. (T.) il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Da.Ca. con studio professionale in Statte (TA) alla via (...) presso il quale elegge domicilio, in virtù di mandato reso in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - RESISTENTE - NONCHE' Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Taranto - INTERVENUTO - MOTIVI DELLA DECISIONE - FATTO E DIRITTO 1. LE RAGIONI DELLE PARTI E LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio 17.03.2022, depositato in pari data, la sig.ra (...) adiva il Tribunale di Taranto premettendo di aver contratto matrimonio concordatario con il sig. (...) in S. (T.) il 03.09.2010 e che dall'unione era nato il figlio (...), in data 22.10.2011; che con Provv. del Tribunale di Taranto in data 12 febbraio 2021 n. 5814/20 è stato omologato il verbale di separazione consensuale tra i due coniugi; che l'udienza presidenziale si è svolta il 13.01.2021 e da tale data i coniugi hanno sempre vissuto separati; che l'unione familiare non può più essere ricostituita; pertanto, chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio, alle condizioni riportate nell'atto introduttivo. La sig.ra (...) chiedeva, segnatamente, al Tribunale adito di revocare il vigente affido condiviso e disporre l'affido esclusivo del figlio minore in capo alla stessa, disponendo che il minore dovesse vivere stabilmente presso la madre. Tale decisione era motivata dal disinteresse mostrato dal sig. (...) nei confronti del figlio minore, per il quale non versa neanche il mantenimento, e dall'atteggiamento ossessivo nei confronti della sig.ra (...), motivo per cui la stessa era stata costretta a rivolgersi più volte all'autorità giudiziaria per ottenere tutela, sporgendo nei confronti del marito le denunce depositate in atti, che avevano determinato il rinvio a giudizio del sig. (...) con procedimento penale ancora pendente. La ricorrente riferiva di avere una occupazione lavorativa, non richiedeva pertanto assegno divorzile ma un contributo al mantenimento del piccolo (...) pari almeno a Euro 150,00 oltre AU e al 50% delle spese straordinarie come da vigente Protocollo del 17.07.2017 in uso presso il Tribunale adito e che tale contributo al mantenimento venisse erogato con versamento diretto da parte del datore di lavoro del sig. (...). Chiedeva, infine, l'assegnazione della casa coniugale sita in S. alla via T. All'O. con tutti gli arredi presenti. Letti gli atti del procedimento civile R.G. 1655/2022 promosso da (...) nei confronti di (...), il Presidente Delegato, con decreto del 29.03.2022, fissava l'udienza per la comparizione personale dei coniugi in data 21.06.2022, ore 11,30, assegnando alla parte ricorrente il termine di quarantacinque giorni prima della predetta udienza per la notifica del ricorso unitamente al ridetto decreto al sig. (...) ed assegnando a quest'ultimo il termine di quindici giorni prima dell'udienza indicata per il deposito di memorie difensive e documenti. Con comparsa di costituzione e risposta in data 03.06.2022, si costituiva nel presente giudizio il sig. (...), il quale si associava alla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata dalla ricorrente essendo venuta meno l'affectio coniugalis, impugnando gli altri punti del ricorso e contestando quanto segue: 1. In relazione alla condotta posta in essere dalla sig.ra (...) circa la gestione dei rapporti personali con il sig. (...) e quanto al diritto di visita del genitore non collocatario, lamentava una strumentalizzazione da parte della ricorrente del figlio minore in senso punitivo nei confronti del resistente; 2. Evidenziava il comportamento ossessivo della sig.ra (...), non disposta a separarsi dal figlio minore, e la ripetuta comunicazione della stessa circa la decisione del figlio (...) di non voler vedere il padre, seguita da impedimenti posti in essere dalla ricorrente al diritto del padre di frequentare il figlio, giungendo a non consentire neanche contatti telefonici; 3. Che la sig.ra (...) svolge attività lavorativa presso una parafarmacia, con rientro a casa dopo le ore 20:00 e che, dunque, il minore viene accudito dai nonni materni presso la loro abitazione senza possibilità neanche in tale circostanza, da parte della sig.ra (...), dell'esercizio del diritto di visita da parte del resistente secondo la calendarizzazione prevista nelle condizioni di separazione; 4. Che diversamente da quanto esposto dalla controparte, il sig. (...) si è sempre dimostrato attento e premuroso nei confronti del figlio (...), nonostante l'impossibilità di far fronte con regolarità al versamento del contributo al mantenimento a causa della cessata attività lavorativa; 5. Contestava la richiesta di affidamento esclusivo del minore avanzata dalla ricorrente, poiché non sussistenti le motivazioni per derogare al principio dell'affidamento condiviso e del rispetto della bigenitorialità; Tutto ciò premesso, il sig. (...) chiedeva al Tribunale di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio; disporre circa l'affidamento condiviso del figlio minore (...), con collocamento dello stesso presso la madre e con la disciplina dell'esercizio del diritto di visita da parte del ricorrente, secondo modalità ritenute congrue; disporre a suo carico l'obbligo di versamento dell'assegno mensile a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore nella misura di Euro 150,00, oltre al 50% delle spese sanitarie, scolastiche ed extrascolastiche previamente concordate dai genitori. All'udienza del 21.06.2022, dinanzi al Giudice Delegato nella persona della Dott.ssa (...), sono comparse personalmente le parti. La sig.ra (...) così dichiarava: "Sono e mi chiamo (...), nata a T. il (...), professione magazziniera (parafarmacia). A.d.r. mi riporto al ricorso e ne chiedo l'accoglimento. Dal momento della separazione non mi sono più riconciliata con mio marito, mio marito dopo la separazione ha assunto un comportamento persecutorio, presentandosi sotto casa e sul posto di lavoro, nonché contattando più volte al giorno me e il bambino, ma solo per controllare i miei spostamenti. Il (...) non versa regolarmente il mantenimento". Introdotto il convenuto costituito, lo stesso dichiarava: "sono e mi chiamo (...), nato a T. il (...), professione Disoccupato. Non ho motivo di oppormi all'istanza di cessazione degli effetti civili/scioglimento del matrimonio. Effettivamente viviamo separati senza soluzione di continuità. Dal momento della separazione mi sono stati frapposti impedimenti agli incontri con mio figlio. Sono disponibile ad intraprendere un percorso di mediazione familiare per dimostrare le mie ragioni di padre e la mia affidabilità nel rapporto con mio figlio". Il Giudice esperiva il tentativo di riconciliazione che riusciva vano. I procuratori delle parti si riportavano ai propri scritti difensivi. Il (...), dunque, riservava di provvedere. Con ordinanza del 22.06.2022 il (...) scioglieva la riserva formulata all'udienza del 21.06.2022, adottando provvedimenti provvisori con i quali disponeva "l'intervento del (...) territorialmente competente con compiti di assistenza psicologica e sociale ? attraverso colloqui con le parti e con il minore, acquisizione di informazioni e monitoraggio degli incontri padre-figlio". Confermava per il resto i provvedimenti di cui alla separazione. Successivamente, perveniva alla Dott.ssa D. un aggiornamento del C.A.F. del Comune di Statte, datato 25.07.2022, in merito alla richiesta del Tribunale di Taranto di attivare gli incontri in spazio neutro padre-figlio, in cui si riportava quanto segue: "si sono convocate le parti, signor (...) e signora (...) ? al fine di dare avvio agli incontri tra il padre e il figlio (...) la madre, si dichiara disponibile a tali incontri pur riferendo della poca volontà del bambino ad incontrare il padre. Non è stato ancora possibile effettuare un colloquio conoscitivo con il signor (...) in quanto il legale dello stesso riferisce a mezzo PEC l'impossibilità del suo assistito a recarsi a colloquio con le scriventi in quanto ricoverato in ospedale per effettuare un intervento chirurgico". All'udienza del 29.09.2022 l'avv. (...), per la sig.ra (...), si riportava ai propri scritti richiedendo l'accoglimento di quanto richiesto per la sua assistita. Impugnava e disconosceva tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto e concluso richiedendone il rigetto poiché totalmente infondato. L'avv. (...) faceva presente che la sig.ra (...) aveva aderito alla chiamata dei Servizi Sociali competenti per la mediazione, mentre il sig. (...) si rendeva irreperibile e continuava a non versare il mantenimento. Era, inoltre, presente il sig. (...), con l'avv. Causo, il quale si rimetteva al Giudice. Il Giudice Istruttore riservava la decisione. Con ordinanza del 14.10.2022 a scioglimento della riserva pronunciata all'udienza del 29.09.2022, il Giudice Istruttore decidendo sulle istanze di parte ricorrente di modifica dei provvedimenti presidenziali, così decideva: "DISPONE l'affido esclusivo del figlio minore (...) alla madre, sig.ra (...), in tal senso modificando l'ordinanza provvisoria del 22 giugno 2022; DISPONE che il diritto ed il dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...) sia esercitato sotto il controllo dei Servizi Sociali territorialmente competenti che ne regolamenteranno l'espletamento (con incontri mensili per almeno tre mesi per poi fissare incontri settimanali) in considerazione della necessaria gradualità nell'approccio con la figura paterna, mandando la Cancelleria per darne comunicazione; CONCEDE alle parti i termini di cui all'art. 183, 6 comma, c.p.c., a decorrere dal g. 01/11/2022; FISSA l'udienza del 02.02.2023, ore 11,00, per la valutazione delle istanze istruttorie". All'udienza del 02.02.2023 l'Avv. (...), pur avendo depositato nei termini le memorie autorizzate, chiedeva di poter precisare le conclusioni. L'avv. Causo si rimetteva al Giudice. Il P.I. invitava le parti a precisare le conclusioni al momento, ritenuta la causa matura per la decisione. Le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai propri scritti difensivi; l'avv. (...) chiedeva dell'ultimo provvedimento provvisorio vigente del 14.10.2022. Il P.I. riservava la decisione concedendo alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. IL MERITO DELLA CONTROVERSIA. Preliminarmente, si dichiara la competenza dell'adito Tribunale a decidere sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio intervenuto tra i sigg.ri (...) e (...). Difatti, a mente dell'art. 4 L. n. 898 del 1970 "La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio". Rilevato che il sig. (...) è residente in S. (T.) e che quindi questo Tribunale è competente in ragione della residenza/domicilio del convenuto, si ritiene correttamente radicata la competenza dinanzi al Tribunale di Taranto. La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio è fondata e merita accoglimento. Dalla prospettazione comune delle parti e dalla documentazione prodotta risulta invero che i coniugi (...) e (...) hanno contratto matrimonio nel Comune di Statte (TA) in data 03.09.2010; che la separazione consensuale di cui al proc. n. 5814/2020 R.G. è stata omologata con provvedimento del Tribunale di Taranto in data 12.02.2021 e che l'udienza Presidenziale si è svolta il 13.01.2021; che dalla data dell'udienza presidenziale di comparizione personale dei coniugi, gli stessi vivono separati. Deve, pertanto, ritenersi in presenza delle condizioni di legge di cui all'art. 3 n. 2 lett. b) L. n. 898 del 1970 e succ. mod. che sia ormai venuta meno in modo irreversibile la comunione di vita spirituale e materiale tra gli stessi coniugi. Va, quindi, pronunziata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti, con conseguente ordine all'Ufficiale dello Stato Civile competente di procedere alle relative annotazioni. Quanto al regime di affido e di collocamento prevalente del figlio minore (...) si rileva che: con ordinanza del 22.06.2022 è stato disposto l'intervento del (...) per l'avvio e il monitoraggio di incontri tra i genitori e il figlio minore (...); in ottemperanza a tale richiesta, il (...) territorialmente competente ha comunicato a questo Tribunale che, dopo aver convocato le parti, solo la sig.ra (...) si è dichiarata disponibile a tali incontri, riferendo altresì la scarsa volontà del bambino ad incontrare il padre; il sig. (...), impossibilitato a recarsi al colloquio fissato presso i servizi sociali di Statte a causa di un intervento chirurgico, di cui però non ha fornito adeguata documentazione, si rendeva invece irreperibile. Il (...), inoltre, continua a non versare alcunché per il mantenimento del proprio figlio minore. In punto di diritto, occorre osservare che l'art. 155 c.c. ha individuato nell'affido condiviso il modello legale privilegiato derogabile solo in presenza di situazioni eccezionali in cui risulti comprovata la condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori e/o comunque una situazione tale da rendere l'affidamento congiunto in concreto pregiudizievole per il minore, tenuto conto, ad esempio, delle anomale condizioni di vita del genitore, dell'insanabile contrasto con il figlio, della obiettiva lontananza, ecc. (cfr. Trib. Varese 21.01.2013, che rinvia a Cass. Civ. 19 giugno 2008 n. 16593; Cass. civ., sez. VI, ordinanza 7 dicembre 2010 n. 24841; v. anche Cass. 24526/2010). In mancanza di una tipizzazione normativa delle circostanze ostative all'affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa al prudente apprezzamento del Giudice che dovrà motivare, in negativo, in ordine alle peculiarità della fattispecie che giustifichino, in via di eccezione, l'affidamento esclusivo (Cass.26587/2009), dovendosi, dunque, esprimere in merito all'inidoneità educativa del genitore escluso dal pari esercizio della responsabililtà genitoriale (cfr., in tal senso, Cass. 18 giugno 2008, n. 16593). L'affido monogenitoriale postula, dunque, un duplice accertamento circa l'idoneità del genitore affidatario e l'inidoneità del genitore non affidatario, in funzione in ogni caso della tutela dell'interesse prevalente del minore. Nella sentenza 16593/2008, la Corte di Cassazione ha individuato due circostanze ostative all'applicazione dell'affidamento condiviso consistenti nella violazione del dovere di mantenimento dei figli e nella discontinuità nell'esercizio del diritto di frequentazione degli stessi, essendo due condotte fortemente sintomatiche della inidoneità del genitore che le pone in essere di prendersi cura del proprio figlio e di affrontare le maggiori responsabilità derivanti dall'affidamento ad entrambi i genitori. Altre ipotesi significative in cui è stato ritenuto pregiudizievole per il minore l'affido condiviso attengono a casi di violenza da parte di uno dei genitori nei confronti del figlio e/o nei confronti dell'altro genitore in presenza del minore, la violazione degli obblighi di assistenza, l'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti da parte del genitore, ovvero anche una situazione di conflittualità tra i genitori talmente accesa da alterare o porre in pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psicofisico del minore (cfr. per tale ultima ipotesi Cass. 5108/2012). Nella fattispecie in esame, si ritiene, pertanto, che sussistano i presupposti per disporre l'affidamento esclusivo del figlio minore (...) alla madre, tenuto conto di quanto è emerso nel corso dell'istruttoria e dalla relazione redatta dai Servizi Sociali incaricati. La ricorrente, infatti, ha lamentato un totale disinteresse morale ed economico da parte del (...) nei confronti del figlio minore, deducendo come i rapporti tra padre e figlio siano ulteriormente peggiorati a causa del comportamento del padre, che si è estraniato dai compiti genitoriali e non ha mostrato alcun interesse nei confronti del figlio. Nel caso che ci occupa è evidente il disinteresse mostrato dal sig. (...) nei confronti del figlio minore, tenuto conto della perdurante sottrazione del padre all'obbligo di mantenimento nonché della mancata volontà di costruire un rapporto con il figlio minore, essendo venuto meno anche al proposto percorso di mediazione familiare e allo svolgimento degli incontri padre-figlio presso il Consultorio familiare, rendendosi del tutto irreperibile, anche successivamente alla verosimile cessazione dell'impedimento addotto, ovvero la sottoposizione ad un intervento chirurgico nel periodo estivo, circostanza di cui non ha peraltro fornito adeguata documentazione. Inoltre, la pendenza di un procedimento penale a carico del genitore per condotta persecutoria nei confronti della moglie costituisce un ulteriore indizio per escludere l'affidamento condiviso, in quanto per un verso la accesa conflittualità tra i genitori comporta di fatto l'impossibilità di assumere congiuntamente scelte educative per il figlio minore, con grave pregiudizio per quest'ultimo, e per altro verso non possono trascurarsi i negativi riflessi della condotta illecita - seppure non posta in essere direttamente in danno del minore - del padre sotto il profilo educativo. Alla luce della documentazione agli atti (tra cui segnatamente la relazione dei servizi sociali incaricati e il decreto di giudizio immediato emesso in data 30.5.2022 per il reato di cui all'art. 612-bis comma 2 c.p. in danno della moglie), emerge, per le ragioni sopra indicate, in modo certo ed evidente, l'inidoneità genitoriale dello stesso. Pertanto, si devono confermare i provvedimenti di cui al Provv. giudiziale del 14 ottobre 2022 disponendo: - l'affido esclusivo del figlio minore (...) alla madre, sig.ra (...) con collocamento presso l'abitazione della stessa con cui vivrà stabilmente; - che il diritto ed il dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...) sia esercitato sotto il controllo dei Servizi Sociali territorialmente competenti, che ne regolamenteranno l'espletamento in uno spazio neutro, con incontri settimanali, salvo valutare il progressivo miglioramento del rapporto e consentire l'intrattenimento con modalità autonome, in considerazione della necessaria gradualità nell'approccio del bambino con la figura paterna; Infine, in ordine alla casa coniugale, sita in S. alla via T. All'O., con annessi arredi, in ragione della esigenza di preservare la prole sotto il profilo abitativo, se ne dispone l'assegnazione in favore della sig.ra (...). In merito alle pronunce di carattere economico, la ricorrente dichiara di svolgere attività lavorativa, pertanto nulla si dispone a titolo di assegno divorzile, in ragione di carenza di domanda e stante la dedotta autonomia economica di ciascuna parte. A carico del sig. (...), attualmente privo di redditi, grava invece l'obbligo di corrispondere in favore della sig.ra (...), a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore, assegno mensile nella misura di Euro 150,00, che verrà percepito dalla sig.ra (...) oltre AU e al 50% delle spese straordinarie come da vigente Protocollo in uso presso questo Tribunale. Non vi è luogo a provvedere sulla istanza di pagamento diretto, in quanto il (...) risulta allo stato disoccupato. 3. LE SPESE Ricorrono, infine, giustificati motivi, in considerazione dell'oggetto del procedimento, del tenore e delle ragioni della decisione, nonché dell'effettiva attività svolta, per pronunciare l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente procedimento. P.T.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nella causa promossa da (...) contro (...), con l'intervento del P.M. in sede, così dispone: 1) Dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in Statte in data 03.09.2010 da (...), nata a T. il (...), e (...), nato a T. il (...), trascritto al n. 31 parte II serie A dei registri dell'Ufficio di Stato Civile del Comune di Statte dell'anno 2010; 2) Ordina all'Ufficiale di Stato Civile competente di procedere all'annotazione della presente sentenza; 3) Dispone l'affidamento esclusivo alla madre (...) del figlio minore (...), con diritto e dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...), secondo le modalità di cui alla parte motiva; 4) Dispone l'assegnazione della casa familiare sita in S. alla via T. All'O., con annessi arredi, alla attrice sig.ra (...); 5) pone a carico del sig. (...) l'obbligo di corrispondere in favore della sig.ra (...), in via anticipata il giorno 1 di ogni mese, a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore, la somma mensile di Euro 150,00, con successiva annuale ed automatica rivalutazione secondo indici ISTAT, oltre AU, nonché al 50% delle spese straordinarie, sanitarie, scolastiche e ludico ricreative, come individuate da protocollo adottato da questo Tribunale; 6) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Taranto il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MONZA QUARTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona dei seguenti magistrati: dott. Carmen Arcellaschi - Presidente dott. Claudia Bonomi - Giudice dott. Camilla Filauro - Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 248/2021 R.G. promossa da: (...) (C.F.(...)) nato a S. (M.) il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Il.Ro. ed elettivamente domiciliato presso e nello studio del difensore sito in Seregno, Viale (...), giusta procura in calce al ricorso; RICORRENTE contro: (...) (C.F.(...)) nata a G. (M.) l'(...), rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Ma., ed elettivamente domiciliato presso e nello studio del difensore sito in Seregno (MB) via (...), giusta procura in calce alla costituzione; RESISTENTE e con l'intervento obbligatorio del PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Monza INTERVENUTO Oggetto: separazione giudiziale RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I. Con ricorso depositato in data 13.02.2021, (...) chiedeva che il Tribunale pronunciasse la separazione giudiziale da (...), con il quale aveva contratto matrimonio in Giussano il 20.05.2004 e dalla cui unione è nato il figlio (...) il 04.11.2005. Il ricorrente, più nello specifico, chiedeva la separazione giudiziale dalla moglie, l'affidamento esclusivo del figlio minore con collocamento prevalente presso il padre, la regolamentazione del diritto di visita materno, l'assegnazione della casa coniugale e che fosse posto a carico della resistente l'obbligo di concorrere al pagamento del 50% delle spese straordinarie del figlio. All'udienza presidenziale del 18.05.2021 il Presidente f.f., impossibilitato a esperire un tentativo di conciliazione a fronte della mancata comparizione della resistente, ritenuto necessario acquisire il fascicolo del Tribunale dei Minorenni di Milano avente ad oggetto il nucleo familiare in questione (r.g.vol. 1468/2017), fissava nuova udienza dinnanzi a sé per il 22.06.2021. A tale udienza parte ricorrente depositava il fascicolo del Tribunale dei Minorenni e il giudice adottava i provvedimenti provvisori e urgenti ai sensi dell'art. 708 c.p.c. con ordinanza resa in data 24.06.2021, la cui parte dispositiva si riporta di seguito per maggiore chiarezza espositiva: I. Autorizza i coniugi a vivere separati con l'obbligo del mutuo rispetto; II. Affida il figlio minore (...) all'Ente territorialmente competente in relazione alla sua residenza anagrafica, al momento Seregno, al quale sarà rimessa l'adozione delle scelte più importanti per il minore, precisamente istruzione, educazione, salute e residenza; III. Dispone che (...) sia collocato presso il padre; le visite tra (...) e la madre saranno regolamentate da parte dei Servizi Sociali già incaricati di monitorare il nucleo familiare tenuto conto dell'andamento dei colloqui con le parti e della soluzione abitativa reperita dalla madre; IV. Incarica i Servizi Sociali di Seregno di proseguire l'attività di monitoraggio del nucleo familiare di (...), verificando la situazione personale e abitativa dei genitori, anche mediante accessi domiciliari, e di garantire la prosecuzione di tutti gli interventi anche di sostegno psicologico posti in essere a favore del minore del minore e dei genitori; i Servizi Sociali dovranno altresì verificare l'andamento del percorso scolastico di (...) mediante colloqui con gli insegnanti; i Servizi Sociali dovranno altresì, per il tramite dei Servizi specialistici della (...) competente per territorio, effettuare valutazioni psicodiagnostiche sui genitori al fine di indagarne la capacità genitoriale e, all'esito, indicare la migliore modalità di affidamento e collocamento del minore; V. Dispone che i Servizi Sociali di Seregno trasmettano a questa Autorità Giudiziaria nonché ai legali delle parti una relazione circa l'esito degli accertamenti delegati entro il giorno 1 dicembre 2021; VI. Assegna la casa coniugale a (...) con tutti i mobili in essa presenti affinché la occupi con il figlio minore (...), assegnando a (...) termine fino al giorno 1 settembre 2021 per il rilascio e l'asportazione dei propri effetti personali; VII. Pone a carico di (...) l'obbligo di contribuire direttamente al mantenimento ordinario e straordinario del figlio (...); VIII. Nomina giudice istruttore sé stessa; IX. Fissa per la comparizione dei soli legali delle parti innanzi al predetto magistrato l'udienza del giorno 16 dicembre 2021 alle ore 10,00, riservando al giudice istruttore la fissazione di eventuale udienza per la comparizione personale delle parti; X. Fissa termine perentorio a (...) per la notifica della presente ordinanza a (...) con l'osservanza dei termini di cui all'art. 163 bis cod. proc. civ. ridotti alla metà; XI. Assegna a (...) termine sino a trenta giorni liberi prima dell'udienza per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, avente il contenuto di cui all'art. 163 terzo comma, n. 2), 3), 4),5) e 6); XII. Assegna termine a (...) sino a dieci giorni liberi prima dell'udienza per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167 primo e secondo comma cod. proc. civ., nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio; XIII. A.(...) che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all'art. 167 cod. proc. civ. e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. Si costituiva con memoria depositata in data 03.12.2021 (...), la quale aderiva alla domanda di separazione mentre chiedeva, a parziale modifica dell'ordinanza presidenziale, la conferma dell'affidamento del figlio minore all'ente con collocamento prevalente dello stesso presso il padre, l'assegnazione della casa coniugale, la regolamentazione delle visite materne e la determinazione in Euro 500,00 del contributo che il ricorrente doveva ritenersi obbligato a corrisponderle per il proprio mantenimento. Con ordinanza resa in data 20.12.2021 a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 16.12.2021, tenutasi con modalità cartolare, il giudice, a parziale modifica dell'ordinanza presidenziale, così provvedeva: I) Revoca l'assegnazione della casa familiare a (...); II) Pone a carico di (...) l'obbligo di versare entro il giorno 10 di ogni mese a (...) la somma di Euro 300,00 con decorrenza dal mese di dicembre 2021 (somma rivalutabile annualmente secondo indici Istat); III) Rigetta la domanda di (...) di assegnazione della casa familiare; IV) Incarica i Servizi Sociali di Seregno di proseguire l'attività di monitoraggio del nucleo familiare di (...), verificando la situazione personale e abitativa dei genitori, anche mediante accessi domiciliari, e di garantire la prosecuzione di tutti gli interventi anche di sostegno psicologico posti inessere a favore del minore del minore e dei genitori; i Servizi Sociali dovranno altresì verificare l'andamento del percorso scolastico di (...) mediante colloqui con gli insegnanti; i Servizi Sociali dovranno altresì, per il tramite dei Servizi specialistici della (...) competente per territorio, effettuare valutazioni psicodiagnostiche sui genitori al fine di indagarne la capacità genitoriale e, all'esito, indicare la migliore modalità di affidamento e collocamento del minore; dovranno altresì favorire l'accesso di (...) al CPS competete per territorio; V) Dispone che i Servizi Sociali di Seregno trasmettano a questa Autorità Giudiziaria all'indirizzo di posta elettronica [email protected] una relazione circa l'esito degli accertamenti delegati entro il giorno 28 marzo 2022; Letto ed applicato l'art. 183 comma 6 c.p.c. Vista l'istanza delle parti, concede i seguenti termini perentori con decorrenza dal 10 gennaio 2022: 1) termine di trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria. Alla successiva udienza del giorno 06.04.2021 le parti insistevano per l'ammissione delle istanze istruttorie articolate nelle proprie memorie e si opponevano all'ammissione delle prove articolate da controparte. Con ordinanza resa in pari data il Giudice rigettava le istanze istruttorie delle parti e disponeva il proseguimento degli interventi di sostegno a favore del minore da parte dei Servizi Sociali del Comune di Seregno fissando per l'esame della relazione dei Servizi Sociali l'udienza del 06.10.2022. A tale udienza, ritenuta la necessità di acquisire la relazione circa la valutazione psicodiagnostica effettuata sui genitori, il giudice rinviava per l'esame della relazione ETIM all'udienza del 17.11.2022. Alla successiva udienza del 17.11.2022 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 26.01.2023 da tenersi con modalità cartolare. Le parti precisavano quindi le conclusioni trascritte in epigrafe con fogli depositati telematicamente in data 23.01.2023 e la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione previa assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. II. Tanto premesso in fatto, la domanda di separazione deve essere accolta, in quanto fondata. Le parti hanno contratto matrimonio concordatario in Giussano in data 20.05.2004 (trascritto presso gli atti dello Stato civile del Comune di Giussano (anno 2004, atto n. 14, parte II, Serie A); Dalla loro unione è nato il figlio (...) il 04.11.2005. Dagli atti è emerso il venir meno della comunione materiale e spirituale fra i coniugi in questione, essendosi verificate circostanze tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza fra gli stessi e da recare pregiudizio all'educazione della prole. Né occorre espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare se la convivenza sia divenuta realmente intollerabile. Infatti, in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, la convivenza (in termini cfr. Cass. Civ., sez. I, sentenza 30 gennaio 2013 n. 2183). Orbene, nel caso di specie è emerso, sulla base delle circostanze come riferite ed evidenziate dai coniugi nei rispettivi atti introduttivi, che la convivenza matrimoniale è divenuta intollerabile e improseguibile. Va, dunque, pronunciata la separazione personale. III. Deve, a questo punto, essere decisa la domanda di affidamento di (...) ai genitori. Al riguardo è noto come è prioritaria la modalità di affido condiviso della prole minore di età a entrambi i genitori, dovendosi sempre tutelare, ove possibile, il diritto alla c.d. bigenitorialità. Se questa è la regola, l'art. 337 quater c.c. consente al giudice di disporre l'affido esclusivo dei minori a un genitore quando l'affido all'altro sia contrario al superiore interesse del minore, interesse che deve ispirare ogni decisione del giudice nell'ambito dei procedimenti riguardanti minori e che trova la propria copertura normativa a livello primario, nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (art. 8) e nella Costituzione (artt. 2, 30 e 31). La regola generale dell'affido condiviso, pertanto, è derogabile solo ove seriamente pregiudizievole per il minore. In tale logica, ove il Tribunale non abbia elementi sufficienti per formulare una prognosi favorevole circa l'idoneità di entrambi i genitori all'esercizio della responsabilità genitoriale, ben potrà adottare provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale (art. 333 c.c.) o, in ultima analisi, la decadenza dalla stessa (art. 330 c.c.). In particolare, l'art. 333 c.c. dispone che ove la condotta di uno o di entrambi i genitori sia pregiudizievole per il figlio minore - ancorché non sia tale da poter dare luogo, quanto meno nell'immediato, a una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale - il Tribunale può adottare gli opportuni provvedimenti che limitino l'esercizio della responsabilità genitoriale, quale l'attribuzione a un soggetto terzo - di regola Comune del luogo di residenza abituale dei minori - del potere di adottare le scelte ordinarie, o eventualmente anche quelle più importanti, nell'interesse dei minori stessi. Nel corso del presente procedimento sono stati svolti accertamenti istruttori per il tramite dei Servizi Sociali del Comune di Seregno competenti in virtù della residenza del minore. I Servizi Sociali nella relazione del 14.12.2021 depositata in data 20.12.2021 (prot. n. (...)) hanno evidenziato la situazione del nucleo familiare che vedeva la (...) viere nella propria autovettura a far data dall'uscita dalla casa coniugale a seguito del rifiuto da parte della stessa di trasferirsi presso l'abitazione dei genitori o in un bed and breakfast a causa di problemi legati agli odori presenti in quegli ambienti. I servizi sociali hanno riferito di avere provato a tenere contatti costanti con la (...) e di averla anche indirizzata al CPS competente, interventi tutti che la resistente ha rifiutato sostenendo di non sentirne la necessità. La madre si è dichiarata preoccupata per la situazione del figlio (...), nondimeno ha dimostrato scarsa capacità di sintonizzarsi sui bisogni del figlio e sulle conseguenze della vicenda separativa sul suo benessere. Quanto al ricorrente, i servizi sociali di Seregno hanno evidenziato come lo stesso dopo essersi provvisoriamente trasferito presso la casa dei suoi genitori per essere aiutato nella gestione di (...), abbia deciso di trasferirsi in via definitiva presso tale abitazione, situazione abitativa che gli operatori dei servizi sociali hanno ritenuto rispondente agli interessi del minore dopo essersi recati a effettuare una visita domiciliare. I Sevizi Sociali hanno quindi concluso sostenendo che la collocazione del minore con il padre presso la casa dei nonni sia una scelta adeguata, confermando la necessità che la resistente sia presa in carico dal CPS ("Alla luce di quanto sopra riportato il servizio scrivente, in qualità di Ente Affidatario, ritiene che il collocamento di (...) con il padre presso la casa dei nonni paterni sia una soluzione adeguata che possa garantire un ambito di vita idoneo per lo sviluppo psicofisico del minore. Il signor (...) si è dimostrato collaborativo e capace di mantenere un dialogo di confronto con il servizio scrivente per il benessere di (...) e capace di rapportarsi con lui, mettendosi spesso in discussione. La signora (...), come sopra ampiamente evidenziato, vive una complessa situazione sociale e psicologica che le rende difficile sia riorganizzare la sua vita personale sia relazionarsi adeguatamente con il figlio A.. Il servizio scrivente ritine importante che la signora avvii una presa incarico presso il CPS di zona ovvero che intraprenda una presa in carico con una valutazione psichiatrica e supporto psicoterapeutico. La regolamentazione del diritto di visita tra (...) a la signora (...) così come organizzata in questi mesi, ovvero libera nel weekend e per un tempo che il minore valuta idoneo per i suoi bisogni emotivi ma anche di vita, come lo studio e lo sport, è risultata idonea e adeguata per A.. Il ragazzo ha mostrato buone capacità di portare al servizio scrivente il proprio stato d'animo e di criticizzare le difficoltà circa il rapporto con la madre; ha instaurato con le scriventi un rapporto di fiducia in cui sentirsi libero di ricercare confronto e supporto."). In data 22.03.2022 i Servizi Sociali di Seregno hanno trasmesso una relazione nella quale hanno rappresentato che la situazione del nucleo familiare risultava invariata rispetto alla precedente relazione; in particolare la (...) continuava a vivere nella propria autovettura e persisteva nel rifiutare l'aiuto dei Servizi Sociali e l'attivazione del percorso di sostegno alla genitorialità ("Entrambi presentano una situazione sociale immutata rispetto a quanto riportato nella nostra precedente relazione del 14.12.2021 -nostro protocollo n. (...) del 20.12.2021-. Il signor (...) sta proseguendo il percorso di supporto alle genitorialità attivato presso il Consultorio di Seveso. La signora (...) ha condiviso nell'ultimo colloquio di continuare a vivere nella sua automobile e di non necessitare né dei servizi sociali né dell'attivazione di un percorso di sostegno psicologico. Il Servizio Scrivente ha presentato la situazione dei genitori al servizio competente per la valutazione psicodiagnostica."). Nella successiva relazione del 30.09.2022, depositata in data 03.10.2022, i Servizi Sociali hanno riferito di avere continuato a monitorare il nucleo familiare anche mediante accessi domiciliari; hanno rappresentato che la situazione abitativa del minore e del (...) risulterebbe immutata e che lo stesso (...) sarebbe felice della coabitazione con i nonni paterni; l'anno scolastico si sarebbe concluso per il minore in modo positivo sia per il rendimento che per l'inserimento sociale dello stesso ("Dai colloqui svolti con il sig. (...) la situazione abitativa permane immutata rispetto a quanto precedentemente relazionato; lo stesso (...) si dice soddisfatto della coabitazione con i nonni paterni: ha una camera che sente rispondente ai propri bisogni, racconta con piacere della possibilità di invitare al proprio domicilio anche amici e di essere vicino di casa del suo migliore amico. Il precedente anno scolastico si è concluso in modo positivo e con soddisfazione dello stesso (...) con tutte le materie di studio sufficienti e con un buon inserimento nel gruppo classe"). Quanto alla resistente, i Servizi hanno dato atto che la stessa ha interrotto ogni tipo di comunicazione con gli stessi e che le visite fra il minore e la madre sarebbero gestite in autonomia fra le parti. Nella relazione si legge infatti che "La sig.ra (...) ha dichiarato di non gradire recarsi presso gli Uffici competenti interrompendo di fatto il contatto con le scriventi. Per quanto riferito dal sig. (...) e confermato dal figlio, la donna continuerebbe a vivere in auto sopravvivendo grazie alla somma di denaro che riceve come mantenimento, cosi come stabilito dal provvedimento in essere. Stante il negarsi della donna, ad oggi, la possibilità che questa possa essere accompagnata ad una adeguata presa in carico presso il CPS territoriale risulta nulla. (?) I rapporti con la madre vengono descritti da (...) come buoni seppur abbia compreso le difficoltà della signora che possono rendere le uscite con questa non sempre piacevoli "..ripete sempre le stesse cose ma io le dico di si e va bene cosi" (...) e la madre decidono in autonomia quando incontrarsi e lo stesso (...) sostiene sia la miglior soluzione in quanto gli consente di declinare o accettare l'invito in funzione dei propri impegni ma anche del desiderio di incontrare la genitrice.". L'Ente affidatario ha poi concluso sostenendo l'utilità di mantenere l'affido all'Ente in considerazione dell'assenza di dialogo fra i coniugi ("a parere del Servizio scrivente, il collocamento presso il padre continua ad essere la migliore soluzione per una adeguata crescita di A.. Si ritiene utile proseguire in regime di affido all'Ente considerata l'assenza di dialogo tra i due genitori, seppur ad oggi il padre stia dimostrando di essere in grado di rispondere in modo adeguato alle esigenze di crescita del figlio."). In seguito a precisa richiesta del Tribunale, in data 24.10.2022 sono state depositate le valutazioni ETIM sulla capacità genitoriale delle parti. Quanto a (...), dai test somministrati è emerso che il (...) "si è posto nel corso della valutazione in modo collaborativo, apparendo molto teso a difendere la scelta di separarsi ritenendola l'unico strumento possibile per la tutela del (...), con il quale riferisce un rapporto positivo. Si delinea un funzionamento semplice, caratterizzato da una maggior attenzione ad aspetti concreti ma in cui l'uomo appare capace di registrare le emozioni che gli eventi suscitano. Si ipotizza sia poco a suo agio nelle situazioni nuove, ambigue e poco comprensibili, mentre sarebbe decisamente capace di comprendere e muoversi nei contesti strutturati, si descrive infatti come un uomo "concreto" Sembra essersi approcciato in modo semplificatorio ad alcuni aspetti della vicenda esistenziale degli ultimi anni, in modo da riuscire a finalizzare la propria decisione presumibilmente limitando laddove possibile vissuti dolorosi e di colpa nei confronti della ex moglie.". Quanto a (...) dai test somministrati è emerso che "La Sig.ra (...) si è approcciata alla valutazione in assetto formalmente collaborativo, mostrando una certa preoccupazione. Ha fornito una rappresentazione di sé caratterizzata dalla sensazione di essere oggetto di sopruso a vari livelli, e poco accolta da un esterno ostile. Riferisce una idiosincrasia per i profumi, gli odori e le puzze non meglio chiarita, tale da impedirle di accedere a servizi quali Il dormitorio preferendo passare la nottein macchina dopo la separazione dal marito. Potrebbe essere utile un'indagine psichiatrica al fine di approfondire gli aspetti emersi emersi." Ritiene il Tribunale che tenuto conto della perdurante assenza di comunicazione fra le parti, del rifiuto da parte della resistente di qualsivoglia intervento da porre nei suoi confronti volto al miglioramento delle capacità genitoriali, del percorso di sostegno alla genitorialità intrapreso dal ricorrente e tenuto conto del prossimo raggiungimento della maggiore età da parte di Andre, ed in adesione alle conclusioni dell'Ente affidatario e del quadro come emerso dalle valutazioni ETM sopra riportare, debba essere confermato l'affidamento di Andre ai Servizi Sociali del Comune di residenza, cui è rimessa la facoltà di assumere le decisioni più importanti per il minore incluse quelle in materia di salute, istruzione, educazione e residenza, in caso di contrasto tra i genitori. I Servizi Sociali dovranno mantenere il minore collocato in misura prevalente presso il padre nella casa dei nonni paterni, in quanto trattasi della soluzione maggiormente rispondente ai suoi interessi morali e materiali, tenuto conto altresì della concorde richiesta delle parti sul punto e del fatto che la madre vive ancora nella sua autovettura. I servizi sociali dovranno riferire di eventuali situazioni di pregiudizio per i minori al Giudice Tutelare competente. Quanto ai diritti di visita materni, tenuto conto del fatto che (...) è ormai prossima alla maggiore età e di quanto emerso dalle relazioni dell'ente affidatario sopra riportate - ed in particolare della volontà del minore di gestire liberamente le visite con la madre in autonomia così da poterle gestire in relazione alle sue esigenze ed impegni ("i rapporti con la madre vengono descritti da (...) come buoni seppur abbia compreso le difficoltà della signora che possono rendere le uscite con questa non sempre piacevoli "..ripete sempre le stesse cose ma io le dico di si e va bene cosi" (...) e la madre decidono in autonomia quando incontrarsi e lo stesso (...) sostiene sia la miglior soluzione in quanto gli consente di declinare o accettare l'invito in funzione dei propri impegni ma anche del desiderio di incontrare la genitrice - cfr. relazione dei Servizi Sociali del Comune di Seregno del 30.09.2022 depositata in data 3.10.2022) - la regolamentazione dei rapporti tra la madre ed (...) deve essere rimessa ai liberi accordi tra la madre e il figlio. IV. Quanto all'assegnazione della casa coniugale, con ordinanza resa in data 20.12.2021 ne è già stata disposta la revoca in virtù del trasferimento del (...) e del figlio minore presso l'abitazione dei nonni paterni. V. Quanto al mantenimento del minore, è noto come ai sensi dell'art. 337 ter c.c. ciascun genitore deve contribuire al mantenimento dei figli minori in misura proporzionale al proprio reddito e che il giudice può stabilire un assegno periodico a favore di un genitore al fine di realizzare il principio di proporzionalità (c.d. assegno perequativo). Nel determinare la misura di tale assegno il giudice dovrà prendere in considerazione, in particolare, le esigenze attuali del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza dei genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore e le risorse economiche di entrambi i genitori. Ove il figlio sia collocato in misura prevalente presso uno dei due genitori, in particolare, il genitore non collocatario non potrà ritenersi sollevato in tutto o in parte dell'obbligo di corrispondere l'assegno per il tempo in cui il minore si trovi presso di lui ed egli provveda in modo esclusivo al suo mantenimento, dal momento che "il contributo al mantenimento dei figli minori, quantificato in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario, non costituisce, in mancanza di diverse disposizioni, il mero rimborso delle spese sostenute da quest'ultimo nel mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale. (...) nell'anno di imposta 2019 (CU 2020) ha esposto redditi lordi annui di Euro 36.532,91 pari, al netto delle ritenute fiscali e rapportati su dodici mensilità, a circa Euro 2.290,00 netti mensili; nell'anno di imposta 2020 (CU 2021) redditi lordi annui di Euro 37.106,30 pari, al netto delle ritenute fiscali e rapportati su dodici mensilità, a circa Euro 2.340,00 netti mensili. Lo stesso ha dichiarato di essere dipendente con contratta tempo indeterminato presso (...) S.p.A., e di percepire l'importo annuo pari ad Euro 31.495,94, pari ad Euro 1.561,00 rapportato su 14 mensilità. Il ricorrente vive presso l'abitazione dei suoi genitori ed ha dichiarato di contribuire alle spese abitative versando la somma di Euro 650 mensili (cfr. doc. 12 ricorrente); in virtù dei provvedimenti presidenziali provvede interamente al mantenimento del figlio minore (...), non ha chiesto un contributo al mantenimento del figlio e non ha documentato altri oneri mensili fissi. (...), per concorde affermazione delle parti, è priva di occupazione e di redditi e si sostenta solo grazie all'assegno di mantenimento posto a capo del marito da parte del Tribunale; dall'estratto conto corrente a sé intestato, prodotto in atti, risulta avere un saldo attivo alla data del 21.03.2023 pari ad Euro 106,42 (cfr. doc.9 resistente). La stessa vive nella sua autovettura sin dalla data di allontanamento dalla casa coniugale ed è in attesa di ricevere un alloggio popolare. Alla luce di quanto precede, precisamente della condizione di assoluta indigenza in cui versa la madre e della disponibilità manifestata dal ricorrente di farsi interamente carico delle esigenze del figlio, nulla deve essere posto a carico della madre a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore. VI. Quanto alla domanda di (...) di percepire un assegno di mantenimento per sé a carico del coniuge, giova rammentare che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. n. 12196 del 16.05.2017). Dagli atti di causa e dai dati reddituali sopra esposti è emerso che tra i coniugi esiste un'evidente disparità reddituale e che tale disparità non è imputabile all'inerzia della resistente nella ricerca di una occupazione; la resistente infatti ha dichiarato, senza che il ricorrente abbia mai specificatamente contestato tale circostanza, di aver lavorato sino al 2006, anno in cui i coniugi avrebbero deciso in comune accordo che la stessa si sarebbe occupata esclusivamente del figlio minore e della cura della casa coniugale. La resistente risulta esse attualmente priva di un'abitazione e di un'attività lavorativa, sostenendosi solo grazie al contributo al mantenimento posto in capo al marito dall'ordinanza presidenziale del 20.12.2021. La condizione di salute della resistente - che, come emerso dalle relazioni dei Servizi Sociali e del servizio ETIM, necessiterebbe di cure presso il competente servizio psichiatrico ma che proprio in dipendenza della sua patologia la stessa rifiuta - non le consente d'altronde di reperire alcuna occupazione. In un simile quadro, considerata la disparità reddituale dei coniugi, la permanenza del dovere di solidarietà coniugale legato alla vicenda separativa e la necessità di assicurare al coniuge dotato di minori risorse della possibilità di godere di un tenore di vita tendenzialmente equivalente a quello goduto in costanza di matrimonio, deve essere riconosciuto a favore di (...) un assegno di mantenimento a carico del coniuge. (...), d'altronde, si è reso disponibile a versare a titolo di contributo al mantenimento del coniuge una somma mensile pari ad Euro 300,00. Nella quantificazione di tale importo si deve tenere conto del fatto che il ricorrente provvederà interamente al mantenimento del figlio (...) e sarà pertanto gravato dei relativi oneri e della deducibilità dell'importo dell'assegno dai redditi del coniuge obbligato. Alla luce di tali elementi, può determinarsi come in dispositivo l'importo dell'assegno di mantenimento a carico di (...) e a favore di (...), tenuto altresì conto della rivalutazione maturata dal mese di giugno 2021 (data dei provvedimenti presidenziali). VII. Deve essere dichiarata inammissibile in quanto estranea al petitum e alla causa petendi del presente giudizio la domanda di (...) affinchè ciascun coniuge mantenga l'utilizzo esclusivo dell'autoveicolo/motoveicolo a sé intestato facendosi carico di ogni relativa spesa manutentiva, tassa imposta, bollo, sanzione, onere. Ed invero l'articolo 40 c.p.c. consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione cosiddette "per subordinazione" o "forte" stabilendo che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario salvo l'applicazione del rito speciale qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale e quindi esclude la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell'articolo 33 o dell'articolo 103 c.p.c. e soggette a riti diversi (Cass.civ.sez.1 sentenza n. 20638 del 22.10.2004 e sentenza n. 9915 del 24.04.2007) VIII. Le spese di lite, tenuto conto della reciproca soccombenza delle parti rispetto alle domande proposte, devono essere interamente compensate tra le parti stesse. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle conclusioni assunte dalle parti nella controversia civile n. 248/2021, ogni diversa domanda, eccezione, deduzione, istanza anche istruttoria, disattesa così statuisce: I) Dichiara la separazione personale di (...) e (...) che hanno celebrato matrimonio concordatario a Giussano in data 20.05.2004 (anno 2004, atto n. 14, parte II, Serie A); II) Manda il Cancelliere a trasmettere copia autentica del dispositivo della presente sentenza all'Ufficiale di stato civile del Comune di Giussano, dopo il suo passaggio in giudicato, per le annotazioni e le ulteriori incombenze di legge; III) Affida il figlio minore (...) all'Ente competente in relazione alla sua residenza, ovverosia Seregno, con collocazione prevalente presso il padre nella casa dei nonni paterni; IV) Incarica i Servizi Sociali del Comune di Seregno di: - Proseguire tutti gli interventi in corso a favore del minore, avviando/proseguendo tutti gli interventi necessari o anche solo opportuni di supporto socio-educativo per il minore e di supporto genitoriale per entrambi i genitori, ove vi acconsentano e siano disponibili, che consentano loro di riflettere sul loro passato e aprire un dialogo più costruttivo; - svolgere un'attenta e marcata attività di monitoraggio sul nucleo familiare e sulla situazione del minore segnalando in ogni caso immediatamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, Autorità Giudiziaria competente, eventuali situazioni di grave pregiudizio per il minore; V) Dispone che le visite tra il figlio minore e la madre siano lasciate all'autonomia delle parti; VI) Conferma la revoca dell'assegnazione della casa coniugale a (...); VII) Pone a carico di (...) l'obbligo di versare entro il giorno 10 di ogni mese a (...) la somma di Euro 350,00 con decorrenza dal mese di aprile 2023 (somma rivalutabile annualmente secondo indici Istat); VIII) Dichiara inammissibile la domanda di (...) affinchè ciascun coniuge mantenga l'utilizzo esclusivo dell'autoveicolo/motoveicolo a sé intestato facendosi carico di ogni relativa spesa manutentiva, tassa imposta, bollo, sanzione, onere. IX) Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite. Così deciso in Monza 19 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati dott.ssa Federica Abiuso - Presidente Rel. dott. Nicola Del Vecchio - Giudice dott. Marco Pesoli - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 2854/2019 promossa da (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. CA.SU., come da procura in atti; PARTE ATTRICE Nei confronti di (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso dall'avv. BE.MA., come da procura in atti; PARTE CONVENUTA Pubblico Ministero- Parte intervenuta MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso del 04.12.2019, notificato unitamente al decreto di fissazione udienza il 08.01.2020, la sig.ra (...) chiedeva all'intestato Tribunale di pronunciare la separazione personale dal marito (...) - con il quale si era unita in matrimonio il 04.01.2012 regolarmente trascritto in Italia e dalla cui unione è nato il (...) il figlio (...) - con domanda di addebito allo stesso, atteso il comportamento gravemente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio che questi aveva mantenuto durante la convivenza. Chiedeva, inoltre, di ottenere l'affido esclusivo del figlio minore e l'assegnazione della casa familiare a sé medesima nonché condanna del resistente a versare un assegno di mantenimento per il figlio di Euro 800,00 mensili oltre al contributo per le spese straordinarie. A sostegno delle proprie domande, la ricorrente ha allegato che: -dal matrimonio il 12.07.2013 nasceva a (...) (P.) il figlio della coppia (...), precisando che la (...) ha altri due figli avuti da precedenti relazioni: (...) (nata a (...) (R. D.) il (...)) e (...) (nato a (...) (R. D.) il (...)), dei quali il sig. (...) era al corrente e che pure vivevano con la famiglia in Italia; -la stessa era venuta a conoscenza soltanto dopo il matrimonio dei plurimi vizi di dipendenza del marito (alcol, droghe, slot machine, pornografia), oltre alla partecipazione dello stesso ad episodi delittuosi commessi in passato, quali rapina, che comportò la detenzione in carcere per un anno del (...); -che il (...) spesso rientrava a casa con fare alterato e rivolgeva insulti alla moglie e ai figli, o in loro presenza; -che il (...) aveva anche usato violenza fisica verso la moglie, che aveva sporto nei suoi confronti una querela, trovando dapprima accoglienza in un centro anti-violenza, procedendo in seguito a ricostituire con il marito un'unione familiare, e accudendolo nel momento in cui il (...) aveva scoperto di essere affetto da tumore, e determinando quindi la ripresa della convivenza dell'intero nucleo familiare; -che dopo un periodo di relativa serenità, il (...) tornava ad assumere condotte e toni di offesa e di aggressione, non solo verso la moglie, ma verso il figlio della stessa, (...), rendendo necessario l'intervento dei carabinieri; - in seguito, nell'anno 2019, il resistente proponeva alla ricorrente un viaggio nella sua terra d'origine per tutta la famiglia e la stessa accettava, felice di rivedere i parenti. Il (...) prometteva sarebbe cambiato se fossero tornati insieme ma chiedeva alla moglie di lasciare il figlio (...) con la nonna in Repubblica Dominicana. La ricorrente accettava a malincuore, per salvaguardare il figlio. (...) in Italia, la famiglia si ritrovava senza dimora, poiché il (...) aveva disdetto l'appartamento condotto in locazione che era stato la casa famigliare e non aveva provveduto a reperire una nuova sistemazione, né a saldare le utenze. Così la moglie trovava un appartamento e il resistente tornava a vivere dai genitori, trascorrendo i fine settimana con il figlio (...); -anche dopo la separazione di fatto dei coniugi le tensioni non si riducevano, con frequenti ipotesi di intervento delle forze dell'ordine. La ricorrente, da ultimo, ha specificato di lavorare saltuariamente come collaboratrice domestica, e che il (...) lavorava come dipendente, con reddito mensile di 1.800,00 Euro. Si è costituito in giudizio (...), chiedendo l'addebito della separazione alla moglie, l'affidamento condiviso del figlio e il collocamento prevalente del minore presso di sé. Lo stesso ha allegato: - di aver conosciuto la moglie tramite un sito d'incontri, di essersi recato in Repubblica Dominicana appositamente per incontrarla e di aver acconsentito, dopo il matrimonio, a che la stessa portasse con sé in Italia i figli avuti da precedenti relazioni; -che la coppia spesso discuteva, poiché la ricorrente era refrattaria alle regole, non lavorava e faceva leva sul figlio (...) per ottenere denaro dal marito, ma il (...) sopportava per il bene della famiglia, essendo i frequenti litigi dovuti dalla presunta condotta poco consona del figlio maggiore della ricorrente, (...); -confermava il viaggio svolto dalla famiglia in Repubblica Dominicana, specificando, tuttavia, che al rientro la ricorrente non aveva accettato di trasferirsi con il marito e il figlio presso l'abitazione dei genitori del marito; -che la moglie, quindi, procedeva a recarsi in Spagna con la figlia, dove rimaneva per due mesi, lasciando il figlio minore (...) alle cure del padre; -che dopo qualche mese, la ricorrente chiedeva aiuto al marito, affermando di essere nei guai perché ricercata da narcotrafficanti in seguito alla perdita di una partita di droga e chiedeva di poter tornare, promettendo di lasciare il figlio (...) alla madre in Repubblica Dominicana. Una volta rientrata in Italia e ottenuta la cittadinanza, tuttavia, la (...) faceva tornare anche il figlio maggiore (...), non ben voluto dal (...); -che l'intero nucleo familiare era già stato seguito dai servizi sociali competenti. Svolta l'udienza di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente in data 30.06.2020, e adottati con ordinanza del 7.07.2020 i provvedimenti provvisori ed urgenti, con affidamento del minore (...) ai servizi sociali della (...), il Presidente ha nominato sé medesimo giudice istruttore. Svolta l'udienza ex art. 183 c.p.c., la causa è stata istruita mediante deposito di documenti, assegnazione dei termini ex art. 183, 6 co. c.p.c., delega ai servizi sociali di svolgere plurime relazioni di aggiornamento sulla situazione del nucleo familiare e ammissione di una Consulenza tecnica d'ufficio. Il Giudice disponeva altresì il deposito della documentazione reddituale delle parti e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni con trattazione scritta mediante scambio di note all'udienza del 30.11.2022. Con nota del 10.11.2022 i servizi sociali depositavano relazione di aggiornamento. Con nota del 15.11.2022 il SERD depositava relazione relativa al resistente. Le parti provvedevano al prescritto deposito della documentazione reddituale e, precisate le rispettive conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali dirette e di replica. Tutto ciò premesso, si osserva quanto segue. Preliminarmente, alla luce dell'istruttoria compiuta, delle plurime relazioni depositate dai servizi sociali, e delle reciproche allegazioni delle parti, oltre che non contestazioni, si rigettano le istanze istruttorie avanzate dalle parti, da ritenersi superflue, generiche, valutative e non rilevanti ai fini del giudizio. La domanda di separazione giudiziale è fondata e merita, pertanto, accoglimento. Le risultanze processuali hanno ampiamente comprovato una crisi del rapporto coniugale di tale gravità da escludere, secondo ogni ragionevole previsione, la possibilità di ricostituzione di quell'armonica comunione di intenti e di sentimenti che di quel rapporto costituisce l'indispensabile presupposto. In particolare, la gravità delle accuse che un coniuge ha rivolto all'altro, l'indifferenza ad ogni sollecitazione verso una conciliazione, che pure avrebbe dovuto palesarsi opportuna, nonché la perdurante cessazione della convivenza, sono tutti elementi che lasciano agevolmente presumere che tra i coniugi sia cessato ogni interesse, con il conseguente venire meno di ogni forma di comunione materiale e spirituale. Entrambe le parti hanno proposto, reciprocamente, domanda di addebito della separazione all'altro coniuge. La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che l'irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, e cioè, che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14840). Inoltre, ai fini dell'addebitabilità della separazione, l'indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell'altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass. civ., Sez. I, 14 novembre 2001, n. 14162). Ai fini dell'addebito della separazione, in altri termini, deve risultare che la frattura del rapporto coniugale - intesa come crisi della unione tra i coniugi, siano riconducibili alle violazioni degli obblighi nascenti dal matrimonio oggetto di contestazione (v. obblighi di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione, di coabitazione, ecc.), quali indefettibili conseguenze della condotta trasgressiva di uno o di entrambi i coniugi. Deve quindi emergere dagli atti la presenza di un autentico rapporto di causalità tra questo comportamento ed il verificarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza, fino ad allora inesistente. Solo nel caso in cui si raggiunga la prova che la inosservanza di tali obblighi sia stata la causa (esclusiva o prevalente) della frattura del rapporto, e non che questa sia avvenuta quando era già maturata una situazione di crisi del vincolo coniugale o per effetto di essa, dovrà pronunciarsi la separazione con addebito, non avendo alcuna rilevanza le condotte trasgressive successive, o comunque conseguenti, al verificarsi di una situazione di insostenibilità della convivenza in atto. Nel caso di specie, le gravi allegazioni reciproche compiute dai coniugi nell'ambito del presente procedimento, e la complessiva, strutturata e radicata situazione di crisi del nucleo familiare, già sorta e stabilizzatasi a partire dall'anno 2015, quindi dopo soli tre anni dal matrimonio del 2012, non consentono di attribuire in via esclusiva ad uno solo dei coniugi, la responsabilità nella causazione della rottura del vincolo coniugale. Difatti, la stessa ricorrente descrive una dinamica familiare che fin dall'anno 2015 8si badi dopo soli tre anni dal matrimonio del 2012), era connotata da crisi, litigi e incomprensioni. In ogni caso, l'allegata scoperta da parte della moglie nel corso del matrimonio (non avendo specificato la ricorrente il momento esatto in cui sarebbe avvenuta tale scoperta) degli smodati vizi del marito, e dell'inserimento dello stesso in passato in una comunità di recupero dall'abuso di alcol e stupefacenti, non ha comportato, da parte della ricorrente, una immediata interruzione della convivenza familiare, proseguendo la stessa nella conduzione della vita familiare con il (...), il figlio minore avuto dallo stesso, e gli altri due figli della stessa, avuti da precedenti relazioni, ed inizialmente accettati come parte della famiglia anche dal T.. Le allegazioni operate sul punto dalla ricorrente, dal tenore generico, non hanno consentito di individuare, nella scoperta del passato del (...), la causa determinante della rottura della comunione familiare. Ancora, a fronte della querela sporta dalla ricorrente verso il resistente e risalente al 20.03.2015, la stessa ha ammesso in prima persona, in seguito, di aver tentato e dato corso più volte alla ripresa dalla convivenza e alla ricostruzione della serenità familiare, procedendo ad accudire il (...) durante il periodo di malattia dello stesso (successivo alla predetta querela), svolgendo con lo stesso e l'intera famiglia nel novembre 2018 un viaggio nel suo paese d'origine, la Repubblica Dominicana, e procedendo a condurre in locazione un appartamento ove dimorare con il marito e i figli. Inoltre, la ricorrente non ha dato conto dell'avviamento di eventuali procedimenti o condanne penali a carico del (...), ed in conseguenza delle querele dalla stessa sporte verso lo stesso. Da ultimo, per quanto attiene alle condotte tenute dal (...) successivamente alla data di deposito del ricorso per separazione giudiziale, ossia il 5.12.2019, come noto le stesse non possono essere tenute in considerazione ai fini della verifica di addebitabilità della separazione al marito. Si ripete che, nel complesso della complicata e grave situazione familiare della coppia, non si individua nella condotta del (...), come descritta dalla ricorrente, l'unica ed esclusiva causa della crisi familiare, anche tenendo in considerazione le condotte della ricorrente, la quale in prima persona ha allegato "Nel marzo- aprile 2019 la ricorrente peraltro dopo un ulteriore periodo di riavvicinamento, trovava un appartamento a (...) (PD) ed ivi andava a vivere con i figli", indicando, quindi come, anche in seguito alle condotte descritte negli anni del matrimonio dal (...), la stessa nell'anno 2019 aveva accettato e proceduto ad un'ulteriore periodo di riavvicinamento al marito, accettando anche di svolgere con lo stesso un viaggio nel suo paese d'origine nell'anno 2018. Da ultimo, la ricorrente non ha contestato di essersi allontanata per un paio di mesi con la figlia (...), sempre nell'anno 2019, recandosi dalla sorella in Spagna, e lasciando il minore (...) alle cure del padre. Per quanto riguarda, per contro, la domanda di addebito della separazione alla moglie, proposta dal resistente (...), la stessa risulta del tutto destituita di fondamento, innanzitutto in quanto esposta in via generica. Inoltre, occorre considerare che la condotta della ricorrente di allontanamento dalla casa familiare della primavera 2019, per recarsi dalla sorella in Spagna, si inserisce un radicato e complessivo clima di profonda crisi familiare, ammesso dallo stesso (...); ancora, lo stesso resistente ha confermato di aver più volte tentato in prima persona di ricostituire l'unione coniugale, proponendo egli stesso alla moglie di svolgere un viaggio all'estero nell'anno 2018, e proponendo alla ricorrente di condurre un nuovo appartamento in locazione, oppure di recarsi insieme a vivere dai suoi genitori. Inoltre, e tanto appare dirimente, nessuna delle condotte violative contestate appare - alla stregua di quanto precede - munita della necessaria efficacia dal punto di vista causale. In effetti, dall'istruttoria espletata non emergono adeguati riscontri circa l'effettiva riconducibilità della riscontrata crisi coniugale ai comportamenti della ricorrente, tenuto conto anche delle contestazioni che la stessa ha formulato nei propri scritti difensivi. Le reciproche domande, di addebito della separazione all'altro coniuge, non meritano quindi accoglimento. Nel merito delle questioni afferenti all'affidamento, al collocamento e alle visite verso il figlio minore (...), occorre porre in evidenza le risultanze delle plurime relazioni depositate dai servizi sociali del Comune di Stanghella e della (...), nel corso del presente procedimento, oltre alle valutazioni svolte dal Consulente tecnico incaricato di valutare la condizione del minore, unitamente a quella dei genitori. In particolare, i servizi sociali hanno evidenziato quanto segue. Nella relazione del 27.11.2020 e del 1.12.2020, è stata constatata un'elevata conflittualità fra i genitori e la necessità per (...) di seguire una dieta adeguata, data la sua condizione di sovrappeso, tendente all'obesità. Nella relazione del 15.01.2021, gli operatori hanno evidenziato l'elevatissima conflittualità fra i genitori, sfociata - anche in presenza degli stessi operatori - in liti furibonde. (...) spesso descrive negativamente il contesto famigliare materno, usando espressioni non genuine. Il (...) svaluta la moglie e tende a dipingere sé stesso come vittima, dimostrandosi inconsapevole delle proprie responsabilità come padre e incapace di proteggere il figlio dall'elevata conflittualità con la madre. La (...) riferisce un'infanzia difficile e relazioni sfortunate. Gli operatori, quindi, hanno indicato come opportuno il mantenimento dell'affidamento del piccolo (...) ai servizi sociali. Nella relazione del 9.02.2021 viene esposto che gli insegnanti della scuola primaria riferiscono che il rendimento di (...) è complessivamente buono, talvolta risulta agitato, distratto e disordinato, ma svolge puntualmente i compiti per casa e dimostra interesse per tutte le materie. Il padre cerca un appoggio nei servizi sociali, cui non perde occasione di elencare le rimostranze verso la madre, anche in presenza del figlio. La (...) appare premurosa ma talvolta incapace di fornire a (...) il supporto necessario, specie per i compiti scolastici. Nella relazione del 17.04.2021, gli operatori hanno dimostrato una elevata preoccupazione per la salute psico-fisica del bambino che, da un lato, nonostante le raccomandazioni dei professionisti, fra le reciproche accuse dei genitori, non segue una dieta adeguata e continua ad aumentare di peso (42 kg a 7 anni), dall'altro, viene "sessualizzato" e narra di avere accesso a materiale pornografico sui cellulari della madre e del fratello maggiore, nonché di sentire questi ultimi praticare attività sessuali. A quel punto, i servizi sociali hanno ritenuto necessario indagare se i racconti di (...) fossero reali o soltanto frutto del condizionamento paterno. Inoltre, durante gli incontri con l'educatrice, il (...) ha costantemente ribadito l'inadeguatezza materna; la (...), dal canto suo, ha riferito che il (...) è ossessionato, le manda continuamente messaggi e attribuisce a lei e al figlio (...) comportamenti sbagliati solo per metterli in cattiva luce con (...) e con l'autorità, così da ottenere l'affidamento esclusivo del bambino e compiere una vendetta amorosa nei suoi confronti. In particolare, nella relazione dei servizi sociali del 1.02.2022, gli operatori avevano indicato l'opportunità di valutare la necessità di collocare (...) al di fuori del contesto famigliare. I genitori, infatti, non risultavano capaci di mettere da parte le questioni personali per il bene del figlio e non trovavano un accordo, neanche quando si trattava di stabilirne la dieta, lo sport o le cure dentistiche, con inevitabile ripercussione sulla salute psico-fisica del minore. Ancora, nell'aggiornamento del 10.11.2022, i servizi sociali del Comune di Stanghella hanno evidenziato che il (...) li ha contattati ripetutamente per mezzo di telefonate ed e-mail, allo scopo di svilire la madre di suo figlio e contesta la mancanza di reale interesse da parte degli operatori nei confronti di (...), minacciando di denunciare chiunque. L'andamento scolastico di (...) risulta complessivamente buono, il bambino è interessato a tutte le materie e si impegna nello svolgimento dei compiti a casa. La dieta non viene ancora seguita in modo puntuale. In data 14.11.2022, il SERD presso la (...), dipartimento dipendenze, ha depositato una relazione di aggiornamento, esponendo la situazione in essere con riferimento al resistente (...), ossia indicando che alla data l'8.05.2017 il (...) risultava in fase di remissione con riguardo all'uso di sostanze stupefacenti, mentre alla data del 28.01.2021, il medico di riferimento dott. (...), ha dichiarato che negli ultimi quattro anni non risultavano da parte del (...) ricadute, mantenendo il contatto con il SERD per fornire gli psicofarmaci necessari per il disturbo di personalità che allora risultava nel (...) in condizione di compenso. In data 10.10.2022 il (...) ha chiesto la prescrizione del farmaco Disulfirma (avversivante), che ha detto di assumere "al bisogno" come profilassi da una ricaduta con l'alcol, in quanto "gli dava un senso di sicurezza". A questo punto, occorre illustrare le valutazioni compiute dal Consulente tecnico d'ufficio, incaricato nel corso del procedimento, le cui conclusioni verranno recepite dal Collegio, essendo adeguatamente motivate, approfondite e prive di vizi logici o motivazionali. Il CTU, con riferimento al (...), ha esposto che: "E' talmente orientato a "denunciare" le inadeguatezze della moglie e a portare avanti il suo intento rivendicativo che sembra ignorare, nella sostanza, il principale motivo per cui il giudice ha disposto CTU, inconsapevole del fatto che il suo atteggiamento potrebbe legittimare e avvallare l'indicazione dei servizi sociali di un affidamento extra-familiare. (...) La capacità di ascolto del punto di vista altrui è pressoché inesistente. Il pensiero è debordante e logorroico. Dal punto di vista del contenuto emerge una spiccata tendenza interpretativa a valenza persecutoria e rivendicativa, incentrata prevalentemente sugli aspetti della sessualità e diretta nella fattispecie contro la sig.ra (...) e il figlio (...), investiti di un tale rancore da diventare il fulcro di ogni suo pensiero e il fine ultimo di ogni sua azione; il livore che si coglie nei loro confronti è "irreparabile" e i pensieri ad esso sottesi sono inscalfibili e "fuori discussione", asserviti unicamente allo scopo di ottenere giustizia". In particolare, nel corso della CTU, e dei colloqui del consulente con il minore (...), lo stesso ha riferito quando segue: "E.: "io voglio andare dalla mamma". CTU: "tu vuoi andare dalla mamma, beh... dopo mi spieghi cosa vuol dire anche con questa cosa qua, però ecco ad esempio tu dici "voglio andare dalla mamma" cosa vuol dire per te stare con la mamma?" (...) (...): "vuol dire... vuol dire... secondo me vuol dire... vuol dire che io voglio stare con lei perché io le voglio tanto bene e mio papà fa delle cose che a me non piacciono...". CTU: "chi? Non ho capito chi fa delle cose che a te non piacciono". (...): "mio papà". CTU: "cioè cosa fa?". (...): "eh tipo a volte si ubriaca, tipo la scorsa settimana si è ubriacato, è andato a prendermi a (...) e ha girato tantissime volte" (...). (...): "vuole sapere di tutto... ma tua mamma è tranquilla o nervosa.... e mi dice anche di dire cose false, un anno fa mi ha fatto vedere un film brutto e ha detto di dire che questo lo fa la mamma, quando sono andato alle visite scorse, cioè come questa scorsa, hai capito?". (...), inoltre, ha riferito alla CTU che alcuni mesi addietro, il padre, ha gettato via un cappello, le scarpe da calcio e un vestito che erano state acquistate al minore dalla madre, dicendogli che avrebbe dovuto cambiarsi e mettersi altri vestiti, non conoscendo il motivo per cui il padre avesse compiuto un tale gesto. Il minore, in particolare, ha riferito che vorrebbe passare la maggior parte del tempo con la madre, anche se non vorrebbe troncare definitivamente il rapporto con il padre, che vorrebbe vedere una volta a settimana. Infatti, ha riferito "eh dillo al giudice...che io voglio stare dalla mamma punto e basta", poi aggiunge che lui non "l'ha mia vista ubriaca" se non un a volta per colpa di suo papà, in quanto "mio papà gli ha dato qualcosa e si è ubriacata per colpa sua". In seguito, ripete più volte che non vuole stare dal padre, né vuole essere mandato in casa-famiglia dove ci è stato da piccolo e pur non essendosi fatto un'idea della struttura, lo definisce un "posto di cacca" anche influenzato dai racconti del padre che gli ha descritto la casa-famiglia come un luogo dove si viene picchiati e maltrattati. Sempre per quanto riguarda l'esame della condizione del padre del minore, il CTU evidenzia che la maestra di (...), lo descrive come un bambino "molto dolce" ed "educato", riferendo che ci sono periodi in cui è stato più disordinato, distratto, con qualche difficoltà nella gestione dei materiali, ma "né piu né meno di altri bambini"; aggiunge che nell'apprendimento non ha mai dimostrato spiccate problematiche che potessero far pensare ad una situazione famigliare particolarmente preoccupante. Ad oggi (...) "sta bene" ed "è proprio contento di stare a scuola", "è bravo" e "si fa interrogare", partecipa sempre molto e alza spesso la mano; è diventato molto più autonomo e anche responsabile; quando gli capita di non aver fatto un compito (come capita ad altri bambini) lo fa presente spontaneamente. (...) il signor (...) aveva tenuto al telefono per molto tempo la maestra, esponendole sempre le solite preoccupazioni; la telefonata si concluse bruscamente in quanto la maestra Martina gli disse: "senta, posso dirle che (...) è un bravo bambino che sta bene" "è un bambino tranquillo". Il sig. (...) replicò dicendo alla maestra che non era in grado di fare il suo lavoro in quanto non si era accorta che (...) aveva qualcosa che non andava. Nell'ambito della consulenza, inoltre, è stato illustrato che la signora (...) ha fatto presente che nell'ultimo periodo il bambino non è molto motivato ad andare agli allenamenti di calcio; chiedo ad (...) per quale motivo e il bambino, guardando la mamma, dice: "posso dirlo mamma?" e subito dopo spiega che il papà continua a dirgli che "è troppo grasso" e che "non ha la grinta" necessaria per giocare; la stessa cosa gli direbbe anche per il ciclismo (gli dice cioè che "non ha il fisico"). Lo esorto a passare oltre a questi commenti, invitandolo a seguire le sue passioni e le sue inclinazioni, alludendo al fatto che a volte i compagni di squadra fanno commenti fuori luogo; (...) mi corregge e mi dice che non sono i compagni di squadra a dirglielo, bensì il papà. Per quanto riguarda le capacità genitoriali del (...), il CTU ha indicato che: "Dal punto di vista del quadro psichico il sig. (...) presenta un marcato disturbo del pensiero, che lo induce ad una lettura persecutoria e a tratti bizzarra della realtà.". Ciò è confermato dall'esame psichico, dalla valutazione testistica e dal colloquio con la dr.ssa (...) del (...) di (...). Anche la dr.ssa (...) nella sua relazione del 20.10.2021 aveva evidenziato tale funzionamento ("Il padre in particolare rappresenta la realtà in modo forte, reiterando l'attitudine alla mistificazione della stessa, che rappresenta in modo incongruo e contraddittorio). La dr.ssa (...), pur precisando di non aver mai fatto una approfondita valutazione psichiatrica (seguendo il sig. (...) solo per la problematica dell'abuso alcolico) ha riferito che nella cartella clinica più volte si fa riferimento ad un disturbo di personalità, a suo dire di tipo paranoide, caratterizzato da logorrea, disforia, marcata impulsività e ideazione prevalente centrata su torti subìti dalla moglie (con una descrizione delle sue condotte così eccessiva da destare più di qualche perplessità) e dai (...) di lavoro (per mobbing). (...) Le sue esperienze appaiono strane, peculiari e bizzarre per il verificarsi di fenomeni frequenti nelle condizioni dissociative, quali idee di riferimento, derealizzazione, pensieri intrusivi ed esperienze sensoriali inquietanti (BIZ2). Malgrado la natura inusuale delle esperienze e delle convinzioni riportate, il quadro non raggiunge l'entità di un disturbo francamente psicotico (BIZ2; BIZ1). Malgrado le risorse di cui dispone, il periziando non si sente sicuro di fronteggiare il disagio emotivo che sta attraversando. La rigidità del pensiero e del suo modo di porsi gli rende difficile la risoluzione dei problemi, anche in presenza di un aiuto psicoterapeutico (Es). (...) All'esame psichico il pensiero è risultato debordante, incalzante e logorroico. Dal punto di vista del contenuto emerge una spiccata tendenza interpretativa a valenza persecutoria e rivendicativa, infarcita di tematiche a carattere sessuale e diretta nella fattispecie contro la sig.ra (...) e il figlio (...), investiti di un tale rancore da diventare il fulcro di ogni suo pensiero e il fine ultimo di ogni sua azione; il livore che si coglie nei loro confronti è "irreparabile" e i pensieri ad esso sottesi sono inscalfibili e "fuori discussione", per lo più asserviti al suo desiderio di ottenere giustizia e scarsamente congrui con un'autentica preoccupazione per il figlio". La CTU, in riferimento al (...) ha quindi rimarcato che: "A partire da tale assetto psichico le capacità genitoriali del sig. (...) risultano gravemente compromesse. Egli non è in grado di avere del figlio una visione scevra dalle proprie proiezioni, che a loro volta risultano pesantemente inquinate da come egli si rappresenta la sig.ra (...). Non solo quindi non è in grado di tenerlo al riparo dal rancore che nutre verso l'ex-moglie (come evidenziato anche dai servizi sociali) ma, ancor prima, non è in grado di riconoscere che i pensieri e i sentimenti di (...) verso la madre sono altra cosa rispetto ai suoi. La bontà della sua relazione con (...) è direttamente proporzionale a quanto il bambino corrisponde alle sue aspettative e a quanto conferma l'immagine perversa e degradata che egli ha della moglie e del di lei figlio. (...) Preoccupanti inoltre sono apparse le verbalizzazioni di (...) su alcuni presunti comportamenti paterni, ossia il fatto che sarebbe stato il padre a dirgli di attribuire alla madre alcune scene sessuali che invece gli aveva mostrato lui (E. ha cioè riferito che il papà gli ha fatto vedere per intero un film pornografico dicendogli di dire che era la mamma a fare quelle cose). Preoccupante è apparso anche il racconto relativo al fatto che il papà l'avrebbe portato in auto ubriaco e l'avrebbe obbligato a registrare alcune frasi ("mi dispiace nonna non ho detto la verità") atte a dimostrare che i suoi racconti in CTU fossero bugie. Tali dichiarazioni del bambino sono risultate congrue con lo stato emotivo con cui le ha espresse e coerenti con i comportamenti che ha mostrato nei confronti del padre (di timore e di imbarazzo). Per quanto riguarda la (...), il CTU ha evidenziato che: "Dal punto di vista del quadro psichico la sig.ra (...) non presenta aspetti psicopatologici. Ciò è confermato sia dalla valutazione testistica (...), che dall'esame psichico. (...) Rispetto alle lacune nella cura segnalate dai (...), per esempio in relazione alla scarsa assiduità nell'accompagnarlo a calcio o all'incontro con l'educatrice in biblioteca, non si ritengono tali lacune di una portata tale da compromettere la capacità di accudimento. (...) Credo non si possa trascurare che la sig.ra (...) appartiene ad una cultura diversa dalla nostra, dove i figli maggiori si prendono cura dei fratelli minori e dove alle cose e agli spazi viene dato un valore molto diverso. E' vero che sarebbe l'ideale che ogni figlio avesse a disposizione uno spazio a sé dedicato, tuttavia non credo che la ristrettezza deglispazi abitativi possa essere ritenuto un elemento di inadeguatezza". Il CTU in ogni caso, ha osservato come nel corso della perizia la madre sia stata conciliante, mentre il padre aggressivo. In ogni caso, la situazione relativa al benessere psico-fisico del minore è risultata essere la seguente: "E. è un bambino molto dolce, intelligente, educato, dotato di una spiccata sensibilità. E' molto legato alla madre e ai suoi fratelli e vuole bene anche al padre, sebbene viva con estremo disagio le sue pressioni, che percepisce a piu livelli: (...) Nel corso di entrambi i colloqui (...) è stato molto chiaro e diretto nel dire di voler stare con la madre esprimendo un forte timore nei confronti del padre e verbalizzando di sentirsi pressato nella direzione di dover mentire e aderire all'idea (svalutata) che lo stesso gli propone della madre. In varie occasioni il bambino ha espresso la preoccupazione che il padre potesse venire a conoscenza delle sue dichiarazioni. (...) Nella relazione con il padre (...) manifesta un atteggiamento ipercompiacente, adesivo nei confronti delle sue richieste a fronte del timore di incorrere nella sua disapprovazione o di poterlo deludere; nel momento in cui prova ad opporsi per dire la propria verità (c.f.r le sue dichiarazioni in CTU) sperimenta importati vissuti di colpa che amplificano dentro di lui la paura di perdere il papà o di incorrere nella sua rabbia. In questi momenti il bambino assume una posizione forzata e regressiva, cerca in tutti i modi di rifuggire i "richiami" paterni a sé (mostrando fastidio e imbarazzo), senza tuttavia riuscirvi." (...) "Tale modalità relazionale paterna rappresenta un motivo di forte pregiudizio per (...), indotto a confondere il proprio mondo interno con quello del padre e costretto, per non incorrere nella sua disapprovazione, ad operare una grossolana distorsione della realtà, esterna (per esempio attraverso la menzogna) e interna (negando i propri bisogni e rischiando di sviluppare in futuro un Falso Sé compiacente). Ad oggi (...) percepisce come rassicurante solo il contesto materno e cerca di rifuggire in tutti i modi quello paterno, pur ribadendo di essere legato a lui da profondo affetto". Il CTU, nella parte conclusiva della sua relazione ha quindi indicato che: "Alla luce di quanto precedentemente argomentato non ritengo che l'affidamento a terzi sia la soluzione da preferirsi innanzitutto perché la situazione di disagio in cui verte (...) non è la risultanza di un conflitto mantenuto allo stesso modo da entrambi i genitori né tantomeno l'espressione di una pari incapacità genitoriale. Madre e padre, come già detto precedentemente, posseggono capacità genitoriali qualitativamente molto diverse e ciò era stato osservato anche dai (...). Le criticità dell'uno e dell'altro quindi non possono essere messe sullo stesso piano. La madre è capace di una discreta capacità riflessiva ed è in grado di favorire l'accesso del figlio all'altro genitore. Anche la funzione di accudimento pare sufficientemente garantita compatibilmente con il fatto che appartiene ad una cultura diversa, che non può contare su una rete familiare di riferimento e che non dispone di grandi risorse economiche. Il padre invece, in virtù di un disturbo del pensiero riconducibile a sua volta ad un profilo di personalità disfunzionale, non è in grado di operare alcun pensiero riflessivo sul figlio e insiste nel veicolargli l'immagine di un materno totalmente svalutato, al quale ogni volta gli chiede di aderire. Tale funzionamento espone il bambino ad un forte pregiudizio inducendolo, a seconda delle circostanze, a mentire, a sentirsi in colpa, a rinunciare ai suoi bisogni, a distorcere i propri pensieri e i propri sentimenti. E' chiaro che, a fronte di tali dinamiche genitoriali, non può che esservi una situazione di conflitto. Va da sé tuttavia che il disagio di (...) non sembra originare dal conflitto di per sé quanto piuttosto dalla pressante richiesta del padre di schierarsi dalla sua parte (...) Sicuramente (...) si trova in una posizione scomoda; credo tuttavia che vi siano altri modi per sollevarlo da questo ruolo disfunzionale, senza che sia il bambino a pagarne le conseguenze. (...) è ben inserito nel contesto materno e ha un buon legame sia con la madre che con i fratelli; privarlo delle sue relazioni significative, in questo momento, sortirebbe su di lui un effetto destabilizzante e disgregante." (...) "A fronte di ciò ritengo opportuno che (...) rimanga collocato prevalentemente presso la madre". Circa le modalità di affidamento del minore, il CTU ha concluso così: "Per quanto riguarda l'affidamento, è opportuno che rimanga in capo ai (...) territorialmente competenti che potranno così monitorare l'andamento della situazione attraverso colloqui periodici con i due genitori e fungere da raccordo tra i vari servizi coinvolti ((...), (...), Servizio (...))". In tale quadro complessivo, relativo ad un nucleo familiare con connotazione di notevole complessità e di marcata conflittualità, ritiene il Collegio che la misura più idonea e più tutelante per (...) sia quella dell'affidamento dello stesso ai servizi sociali del Comune di Stanghella, che già stanno attuando l'affidamento del minore sin dall'emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti del 7.07.2020, e che hanno evidenziato nel corso dell'intero procedimento tutte le ipotesi di maggiore disfunzionalità del nucleo familiare, essendo già a conoscenza da tempo delle problematiche di tale famiglia. L'indicazione della CTU tale per cui la stessa non ha reputato opportuno l'affidamento del minore a terze persone, nel complesso delle valutazioni compiute dallo stesso CTU; deve ritenersi riferito alla valutazione di non opportunità di un collocamento del minore al di fuori della residenza della madre, ma non si è spinta fino ad indicare, nell'attualità, l'opportunità che il minore resti affidati in via esclusiva alla madre, come richiesto dalla stessa ricorrente. Difatti, sulla madre il CTU ha evidenziato che: "La madre è capace di una discreta capacità riflessiva ed è in grado di favorire l'accesso del figlio all'altro genitore. Anche la funzione di accudimento pare sufficientemente garantita compatibilmente con il fatto che appartiene ad una cultura diversa, che non può contare su una rete familiare di riferimento e che non dispone di grandi risorse economiche". In ogni caso, alla luce della complessiva situazione del nucleo familiare, come suggerito dallo stesso CTU; risulta allo stato maggiormente tutelante per il minore la previsione del suo affidamento ai servizi sociali del Comune di Stanghella, anche alla luce di quella ancora aperte carenze materne nella gestione del minore, e che ben potranno essere implementate dalla madre nel tempo. Occorre quindi disporre il collocamento del minore presso la residenza materna, con assegnazione alla stessa della casa familiare, ove la (...) risiede assieme ai figli, in forza di contratto di locazione alla stessa intestato. Per quanto riguarda (...), come indicato dal CTU e anche nell'ultima relazione depositata dai servizi sociali del 15.11.2022, è necessario disporre che il minore venga preso in carico dal servizio di NPI dell'(...) della (...) 6 (...) e prosegua un percorso con uno psicologo, con incontri una volta ogni due settimane, al quale potrà riferire sull'andamento delle sue relazioni nei due contesti di riferimento, e rafforzare il pensiero personale di rielaborazione dei propri vissuti. Per quanto riguarda le indicazioni del CTU in riferimento al padre (...), ossia la sua presa in carico dal Centro di Salute mentale e dal SERD di riferimento, come noto, il Tribunale non può prescrivere a soggetti adulti percorsi terapeutici, essendo rimessa ogni valutazione sul punto alla libera volontà del resistente (...). In ogni caso, i servizi sociali, nella relazione del 10.11.2022, hanno esposto l'evoluzione della situazione anche successivamente al deposito della CTU nell'ambito del presente procedimento, evidenziando che: - i dialoghi del (...) con il figlio sono sempre degli interrogatori pagina 4 relazione); -lo stesso registra telefonate del figlio che i servizi ricevono dal (...) continuamente, telefonate e registrazioni che i servizi non hanno richiesto e che sono volte solo al tentativo di screditare la figura materna mentre la madre si rivolge in maniera sempre pacata al figlio riferendo e tranquillizzandolo nei modi indicati dal Tribunale e dai servizi (pg 4-5 relazione); -sollecita il figlio a riferire cose che confermerebbero le paranoie del padre (a sfondo sessuale o svalutative della madre) (pg 4 relazione); - (...) viene volontariamente messo dal signor (...) nelle condizioni di portare avanti per suo tramite le richieste del padre, senza che il padre abbia alcuna consapevolezza del disagio e danno creato nel figlio; - il sig. (...) crea continue aspettative nel figlio che ben sa non potersi avverare - Anche la nonna paterna partecipa alla modalità del figlio di screditare la figura materna; - quando è con il papà e la nonna il (...) recita quanto loro vogliono e solo quando non si sono riferisce" bene ora possiamo tornare a parlare di quanto stavamo parlando" (pagina 5); - Il bambino prosegue il percorso di supporto psicologico a cui viene accompagnato puntualmente dalla madre (pagina 6 relazione) - L'aspetto relazione scuola- famiglia è cambiato in quanto non si mantiene positivo e costante solo con la mamma, i compiti assegnati sono più precisi e l'esposizione orale nelle materie di studio risulta più soddisfacente (relazione scuola riportata a pagina 7 relazione); - La relazione continua evidenziando che la conflittualità si perpetua mediante il costante svilimento della figura materna da parte del padre di fronte al figlio e ai professionisti; - Il (...) evidenzia che il sig. (...) " relativamente al contenuto del pensiero, accanto a contenuti verosimili si è evidenziata una lettura della realtà a tratti alterata e distorta con vissuti persecutori e sentimenti percepiti di ostilità da parte del mondo esterno (pagina 8/29 relazione) ad esempio il (...) riferisce che la psicologa non scolta (...) si mette le cuffiette e addirittura avrebbe messo un cerotto sulla bozza di (...): circostanze queste evidentemente non vere ma che il padre ritiene veritiere e riferisce come dette da (...) (fine pagina 8-9 relazione). Per quanto riguarda le visite tra padre e figlio, il CTU aveva indicato quanto segue: "fintantoché il (...) e il (...) non avranno avviato la presa in carico terapeutica, egli frequenti (...) alla presenza dei nonni paterni a weekend alterni dal sabato ore 10.00 alla domenica sera ore 19.00 e, nella settimana in cui non ha il weekend, il mercoledì fuori da scuola fino alla sera ore 19.00. La nonna materna, pur mantenendo un atteggiamento collusivo col figlio, sembra comunque essere una figura autorevole ai suoi occhi, in grado di "supervisionare" sulle sue condotte e quindi di preservare il nipote da eventuali eccessi paterni". In ogni caso, si rileva che nell'ultima relazione i servizi sociali del Comune di Stanghella del 10.11.2022, depositata in giudizio, gli hanno riferito, con riferimento al (...), che lo stesso abbia avviato un percorso terapeutico presso il Centro di salute mentale prescelto, dimostrando tuttavia un atteggiamento oppositivo verso gli operatori dei servizi sociali. Viene difatti esposto che: "lo screditamento verso l'ex-moglie viene riversato in modo incessante ai servizi, tranne al centro di salute mentale. Nei confronti degli operatori incaricati dell'affidamento del figlio e alla valutazione sua e dei genitori stessi (Il (...)) riversa screditamento, offese e minacce continue: si è rivolto ai vertici dell'Azienda (...) segnalando all'URP la non professionalità degli operatori consultoriali; addita la CTU che non ha fatto il suo lavoro ma si è fatta ingannare dalla madre di (...) e sai suoi discorsi; accusa il servizio EE-NPI di non ascoltare il bambino; ha contattato infine il Sindaco del Comune di Stanghella, asserendo che non viene ascoltato. Dichiara di voler denunciare tutti, nessuno escluso". In particolare, con riferimento alle modalità di frequentazione tra padre e figlio, i servizi sociali nella relazione del 10.11.2022 espongono che: "si ritiene, in accordo con i servizi coinvolti, che lafrequentazione di (...) con il padre deve essere rimodulata in base al percorso psichiatrico del signor (...) che a tutt'oggi non ha dato alcun segnale di cambiamento nei pensieri ansiosi e ridondanti che riversa agli operatori e al figlio, che necessitano di essere analizzati ed elaborati nel percorso di presa in carico specialistica presso il Centro di Salute mentale. Si è riscontrata l'importanza della presenza dei nonni durante le visite del bambino al padre, ma al contempo si rileva che la loro presenza non è sufficientemente tutelante, perché anche in loro presenza vengono affrontati e riportati episodi e liti tra i genitori. In accordo tra professionisti si propone pertanto, fintantoché il percorso psichiatrico avviato dal Signor (...) presso il (...) non dimostrerà un cambiamento significativo nella modalità comunicativa dello stesso in esito all'aderenza del percorso intrapreso presso il servizio psichiatrico, ravvisabile nella maggiore attenzione a non esporre direttamente (...) nelle recriminazioni contro la madre, di limitare il tempo che il bambino trascorre con il padre e di avviare visite solo in modalità protetta, ossia alla presenza di un educatore professionale, e quindi di limitarle nel tempo, così da permettere ad (...) di vivere più serenamente i momenti in cui vede il padre". Ritiene quindi il Collegio che, alla luce della critica situazione sopra descritta in relazione all'attuale situazione del padre del minore, le visite di (...) con il padre debbano essere svolte in luogo neutro alla presenza di un operatore dei servizi sociali, secondo un calendario dagli stessi stabilito. Per ciò che riguarda le domande di tipo economico, occorre valutare la situazione reddituale dei coniugi. Preliminarmente, sul punto, com'è noto il dovere genitoriale di mantenere i propri figli è sancito dall'art. 147 c.c., oltre che dall' art. 315 bis c.c. Tale obbligo impone ad entrambi i genitori un generico dovere di provvedere economicamente alle esigenze di vita e di crescita della prole. Trattasi di un dovere molto ampio: esso infatti non si esaurisce nell'obbligo di prestare ai propri figli le minime cure legate alla convivenza, ma include altresì il soddisfacimento di tutte quelle esigenze di secondaria importanza, quali, per esempio, quelle legate alla vita di relazione o alla realizzazione della personalità. Per quanto riguarda la misura del contributo di ciascun genitore al mantenimento delle figlie, non è inutile ricordare che il dovere di mantenere i figli, sancito dall'art. 147 c.c., oltre che dall' art. 315 bis c.c., impone ad entrambi i genitori l'obbligo di provvedere economicamente non solo alle esigenze di vita primarie, ma anche al soddisfacimento di quelle legate alla vita di relazione o alla realizzazione della personalità. Ai fini della determinazione della misura di tale contributo, occorre fare riferimento a quanto stabilisce l'art. 337-ter c.c., per cui "nella determinazione dell'assegno di mantenimento a carico del genitore non collocatario, proporzionato alle sue sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo, devono considerarsi le esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, le risorse economiche dei genitori, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti" (Cass. civ. ord., sez. VI, 10-10-2018, n. 25134). La norma, quindi, fa riferimento, non solo al reddito e al patrimonio di ciascun genitore, ma anche alla loro capacità di lavoro e quindi alla loro potenzialità reddituale. Nel merito, la ricorrente, ha svolto a partire dall'estate del 2022 attività come dipendente presso il Castello ortofrutta con buste paga dal giugno 2022, con reddito mensile di 1.300,00 e 1.800,00 Euro al mese, oltre ad attività saltuaria come colf e baby sitter, percependo per l'anno 2021 Euro 6.100,00 totali, comprensivi delle somme percepite dal (...) a titolo di mantenimento del figlio minore, e nell'anno 2022 complessivi Euro 6.229,14, sempre compreso l'assegno di mantenimento per il figlio. La stessa sostiene un canone di locazione di 350,00 Euro mensili, convivendo con i figli minori (...), (...) e (...), studenti. Il resistente, invece, è dipendente presso (...) s.r.l., con retribuzione mensile di circa 1.700,00-1.800,00 Euro, e reddito netto complessivo per l'anno 2021 pari a circa 19.000,00 Euro, sostenendo rata mensile di Euro 248,72 per un finanziamento (l'altro finanziamento indicato per rata di circa 500,00 Euro al mese allo stato è estinto), convivendo con i genitori pensionati. Alla luce della suddetta complessiva situazione reddituale e debitoria delle parti, dell'età del minore (9 anni), della disposizione di integrale percepimento da parte della madre dell'assegno unico per il nucleo familiare, e della circostanza per cui il padre del minore, vivendo con i genitori, non sopporta canoni locativi, si reputa opportuno prevedere a carico del padre (...) un assegno di 350,00 Euro entro il giorno 5 di ogni mese, annualmente rivalutabile sulla base degli indici Istat. Il padre, inoltre, sosterrà il 50% delle spese straordinarie, per tali intendendosi le spese mediche non coperte dal SSN, le spese scolastiche ed extrascolastiche, ludiche, e le spese per lo svolgimento di un'attività sportiva. Si dispone inoltre che la madre del minore percepisca al 100%, quindi per l'intero, l'assegno unico per il nucleo familiare, con autorizzazione alla presentazione della relativa domanda anche in assenza di consenso da parte del padre del minore, (...). Da ultimo, il resistente ha domandato la condanna della ricorrente al risarcimento dei danni anche ex art. 2059 c.c. quantificato nella somma di Euro 30.000,00, per i motivi di cui alla parte motiva della comparsa di risposta, in considerazione della presunta condotta della madre del minore, gravemente lesiva dei diritti di (...). La domanda, oltre che infondata in quanto sfornita di prova alla luce delle chiare valutazioni del Consulente tecnico nominato e dei servizi sociali incaricati, è prima ancora, inammissibile, trattandosi di domanda risarcitoria soggetta al rito a cognizione ordinaria, come tale connessa ai sensi dell'art. 33 c.p.c., sicché, difettando la connessione c.d. qualificata di cui agli art. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., non opera la trattazione unitaria prevista dall'art. 40 co. 3 c.p.c. Inoltre, come visto, non solo la consulenza tecnica svolta, ma anche le plurime e dettagliate relazioni depositate dai servizi sociali, hanno confermato come l'atteggiamento non tutelante per il minore, sia quello del padre, e non quello della madre odierna ricorrente, con palese infondatezza della domanda di risarcimento dei danni dallo stesso proposta. Inoltre, occorre considerare che la condotta della ricorrente di allontanamento dalla casa familiare della primavera 2019, per recarsi dalla sorella in Spagna, si inserisce un radicato e complessivo clima di profonda crisi familiare, ammesso dallo stesso (...), rilevandosi che l'allontanamento della madre è stato limitato ad un periodo di tempo del tutto limitato e che, alla luce delle relazioni dei servizi sociali e della CTU svolta, tale condotta non ha arrecato danno alcuno al minore, attualmente sereno. Sul punto, il (...) non ha dimostrato quali sarebbero stati i comportamenti illegittimi della moglie né l'entità del danno subito o la sua correlazione con tali comportamenti. Le stesse considerazioni conducono al rigetto dell'ulteriore domanda avanzata dal resistente (...) ossia "Accertate le condotte inadempienti e/o il compimento di atti pregiudizievoli ai danni del figlio minore e del padre per i motivi esposti in parte motiva degli scritti difensivi e anche dell'atto di costituzione e da intendersi integralmente richiamati e trascritti, condannare ex art. 709 ter c.p.c. la ricorrente (...) al risarcimento del danno a favore del padre (...) e del figlio, quantificato nella somma di Euro 5.000,00 ciascuno o in altra somma maggiore o minore che si determinerà in corso di causa o ritenuta di giustizia". Visto l'esito del procedimento, e l'interesse di entrambe le parti alla pronuncia sullo status, si reputa opportuno disporre la compensazione delle spese nella misura del 50%. Il (...), risultato soccombente, dovrà essere condannato a versare all'Erario la quota residua delle spese (50%), considerata l'ammissione della ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Le stesse si liquidano in dispositivo come da D.M. n. 55 del 2014, in base all'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo, definitivamente decidendo, ogni diversa domanda respinta o assorbita, così provvede: -Dichiara la separazione giudiziale dei coniugi (...) e (...), uniti in matrimonio in data 4.01.2012 in Cotui, Repubblica Dominicana, con atto trascritto nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di San Pietro Viminario (PD), Anno 2012, numero 2, parte II, serie C; - ordina all'Ufficiale dello stato civile di procedere all'annotazione della presente sentenza nell'atto di matrimonio; - Rigetta le reciproche domande di addebito della separazione all'altro coniuge proposte dalle parti; -Dispone l'affidamento del figlio minore (...) ai servizi sociali del Comune di Stanghella, con collocamento dello stesso presso la residenza materna; -Assegna la casa coniugale alla madre (...), immobile dalla stessa, condotto in locazione; -prescrive ai servizi sociali l'attuazione di percorso di sostegno piscologico per il minore (...), presso il servizio di Neuro psichiatria infantile dell'U. 6 (...); -Dispone che le visite di (...) con il padre (...) si svolgano in luogo neutro alla presenza di un operatore dei servizi sociali, secondo un calendario dagli stessi stabilito; -condanna (...) a versare entro il giorno 5 di ogni mese a (...), a titolo di contributo al mantenimento del figlio (...), la somma di Euro 350,00 mensili, da rivalutarsi annualmente in base agli indici Istat; -Condanna (...) a sopportare il 50% delle spese straordinarie per il minore, per tali intendendosi le spese mediche non coperte dal SSN, le spese scolastiche ed extrascolastiche, ludiche, e le spese per lo svolgimento di un'attività sportiva, precisandosi che il rimborso di esse avverrà alla fine di ogni mese previa esibizione delle pezze giustificative. -Dispone che la madre del minore (...) percepisca al 100%, quindi per l'intero, l'assegno unico per il nucleo familiare, con autorizzazione alla presentazione della relativa domanda anche in assenza di consenso da parte del padre del minore, (...); -Dichiara inammissibile la domanda del resistente di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni allo stesso arrecati anche ex art. 2059 c.c., e comunque, ne dichiara il rigetto; -Rigetta la domanda avanzata dal resistente di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni ex art. 709ter c.p.c.; -Dichiara compensate per il 50% le spese di lite tra le parti; -Condanna (...) a versare all'Erario la quota residua delle spese di lite (50%), spese che si liquidano qui per l'intero (100%) in Euro 5.000,00. Si comunichi alle parti e ai servizi sociali del Comune di Stanghella. Così deciso in Rovigo il 18 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/07/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Carmine Russo; udito il Procuratore Generale, Marco Dall'Olio, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i motivi di ricorso; uditi i difensori che concludono nei modi indicati di seguito: L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso e in subordine raccoglimento del motivo subordinato. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo raccoglimento dei motivi di ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'Avv. (OMISSIS) conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 ottobre 2019 il Tribunale di Crotone, in rito ordinario, ha condannato, per cio' che rileva ai fini di questo giudizio: (OMISSIS) alla pena di 7 anni ed 8 mesi di reclusione per i reati degli articoli 74 d.p.r 9 ottobre 1990, n. 309 (capo n. 15 della imputazione) e 73 stesso decreto (capo n. 36); (OMISSIS) alla pena di 12 anni di reclusione per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. (capo n. 1); (OMISSIS) alla pena di 16 anni e 9 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 16 anni e 9 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 14 anni di reclusione per i reati dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15), degli articoli 73 stesso decreto (capi nn. 31, 32, 33); (OMISSIS) alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per i reati dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15) e dell'articolo 73 stesso decreto (capo n. 32); (OMISSIS) alla pena di 20 anni di reclusione e 4.000 Euro di multa per i reati degli articoli 416-bis c.p. (capo n. 1) e degli articoli 56 e 629 c.p. (capi nn. 12 e 14); (OMISSIS) alla pena di 18 anni di reclusione per il reato dell'articolo 416-bis c.p. (capo n. 1); (OMISSIS) alla pena di 2 anni di reclusione e 2.000 Euro di multa per il reato degli articoli 56 e 629 c.p. (capo n. 12); (OMISSIS) alla pena di 6 anni e 6 mesi di reclusione e 10.000 Euro di multa per i reati dell'articolo 73 d,p.r. n. 309 del 1990 (capi nn. 24 e 25); (OMISSIS) alla pena di 9 anni di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15); (OMISSIS) alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per il reato dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (capo n. 15). Con sentenza del 21 luglio 2021 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in 17 anni di reclusione, e nei confronti di (OMISSIS) in 1 anno, 5 mesi e 23 giorni di reclusione e 1.333 Euro di multa, concedendo a quest'ultimo la sospensione condiz39Ionale, e confermato per il resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo deduce error in procedendo e travisamento delle conclusioni della perizia in punto di capacita' di partecipare al processo e di imputabilita' della imputata al momento del fatto; si evidenzia che il perito ha concluso per l'esistenza di un disturbo di personalita' borderline e per la vulnerabilita' della imputata che la rendevano potenzialmente soggetto passivo di sollecitazioni esterne; i risultati della perizia sarebbero confortati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che e' stato amante, e che si e' assunto le responsabilita' di averla coinvolta nel crimine. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo del capo n..15, in quanto la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla partecipazione ad un unico reato-fine, ed in quanto la imputata non avrebbe avuto coscienza di partecipare ad una organizzazione stabilmente finalizzata al commercio di stupefacenti. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato di spaccio di cui al capo n. 36, in quanto la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla mera partecipazione della imputata al viaggio in auto con cui lo stupefacente fu portato a (OMISSIS), ma in quel viaggio il soggetto incaricato del trasporto era (OMISSIS) e nessun incarico illecito aveva ricevuto la imputata, cui puo' essere contestata al piu' una connivenza passiva non punibile. Con il quarto motivo -deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di mancata rilevazione della imputabilita' per vizio totale di mente, e si torna sugli argomenti esposti nel primo motivo, evidenziando che l'imputata era in terapia psichiatrica, ha posto in essere tentativi di suicidio, e nel periodo dei fatti abusava anche di alcool e stupefacenti. 2.2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); sono stati depositati due atti di ricorso. 2.2.1 Nel primo atto di ricorso in ordine temporale si deduce quanto segue. Con il primo motivo erronea applicazione della legge penale in punto di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo n. 1, di cui, a giudizio del ricorrente, non sussisterebbero gli elementi costitutivi per l'occas39Ionalita' della condotta dell'imputato e la sua estraneita' rispetto a contesti associativi; in particolare, si spiega che e' vero che l'imputato ha avvicinato i capi del locale di (OMISSIS) ma lo ha fatto per chiedere aiuto per un problema concreto che aveva avuto con un socio in affari, ma alla richiesta di mettersi a disposizione ha sempre dato risposta negativa; e' anche vero che in alcune conversazioni intercettate l'imputato si sarebbe vantato di disporre di macchinette per le bonifiche da microspie e schede telefoniche coperte, ma si tratterebbe di vanterie; in definitiva, non vi sarebbe prova di alcun contributo causale all'efficienza dell'associazione dato dall'imputato, evidenziando anche che nonostante la ritenuta qualifica di esperto finanziario della consorteria nessun investimento ha effettuato la consorteria tramite l'imputato. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di mancata riqualificazione del fatto in concorso esterno nel reato associativo, atteso che al piu' dovrebbe ritenersi che l'imputato abbia fornito un contributo causale dall'esterno di un sodalizio cui non e' mai stato legato da affectio societatis, purche', pero', si provi che vi sia stato un contributo causale dell'imputato accertato ex post. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dei commi 4 e 5 per la natura armata dell'associazione, aggravante applicata all'imputato in modo meccanicistico senza che vi sia prova che lo stesso avesse consapevolezza dell'esistenza in capo agli associati di armi di alcun tipo. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di diniego delle attenuanti generiche, motivate con un riferimento generico alla gravita' dei fatti, e senza prendere in esame tutti i parametri di valutazione, tra cui verrebbe in rilievo la marginalita' della posizione del ricorrente. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di applicazione all'imputato della formulazione dell'articolo 416-bis coda pen. successivo alla riforma della L. 27 maggio 2015 n. 69, laddove avrebbe dovuto essergli applicato il testo antecedente piu' favorevole attesa, in presenza di una imputazione a contestazione aperta, la mancanza di condotte post entrata in vigore della legge, non avendo rilievo le intercettazioni valorizzate dal giudice in sentenza relative all'agosto 2015 che non hanno rilievo criminale. 2.2.2. Nel secondo atto di ricorso in ordine temporale si deduce quanto segue. Nel primo motivo si propone la questione della insussistenza della partecipazione all'associazione criminosa. Nel secondo motivo si deduce l'insussistenza in ogni caso dell'elemento soggettivo del reato. Nel terzo motivo ci si lamenta della mancata concessione all'imputato delle attenuanti generiche. 2.3. Ricorso nell'interesse. di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che la responsabilita' e' stata ricavata senza che all'imputato sia contestato neanche un reato fine; che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), ma tali dichiarazioni avrebbero la caratteristica di essere estremamente generiche, anche con riferimento ai periodi in cui sarebbe avvenuta la collaborazione all'associazione, periodi che in parte si sovrapporrebbero con periodo di detenzione del ricorrente; in ogni caso, il collaboratore difetterebbe di credibilita' intrinseca, avendo iniziato a collaborare in periodo di detenzione e con riferite fragilita' psicologiche, mancherebbero anche i riscontri esterni, tali non essendo la certa conoscenza e frequentazione tra i due, in quanto si puo' essere vicini ad una persona senza essere coinvolti nei suoi traffici criminali, e non essendo un riscontro neanche la conversazione intercettata del 22 febbraio 2011 che non ha comunque un contenuto criminale, in ogni caso, si evidenzia che i contatti sono stato documentati solo con l' (OMISSIS), e non con gli altri soggetti asseritamente associati; dell'associazione mancherebbe in ogni caso un organigramma, una indicazione. della linea di comando, e sarebbe sfuggente anche il ruolo specifico del ricorrente, indicato come fornitore/acquirente delle partite di stupefacente, essendo anomalo che una persona acquisti da una associazione di cui fa parte e poi rivenda per conto proprio. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva (riconosciuta soltanto in virtu' del precedenti penali e senza alcuna valutazione della maggiore capacita' criminale), mancata valutazione delle attenuanti generiche per il ruolo marginale (in ipotesi cada la preclusione dovuta alla recidiva), e pena applicata in concreto (in quanto il giudice e' partito da una pena base di 10 anni, molto superiore al limite edittale, senza adeguata motivazione). 2.4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che le dichiarazioni non sono riscontrate, se non da due intercettazioni dal contenuto comunque equivoco, che anzi le dichiarazioni del collaboratore sono smentite dalle dichiarazioni di persone vicine a lui come (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno escluso di conoscere il ricorrente; che non risulta contatto con alcuno dei sodali diversi dal collaboratore, se non per un dialogo nell'auto di (OMISSIS), che in ogni caso manca qualsiasi prova di un programma generico volto alla commissione di un numero indeterminato di reato di spaccio e manca la prova della consapevolezza del ricorrente di partecipare ad una associazione. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva, atteso che e' stata ritenuta la recidiva infraquinquennale in ragione di una sentenza di condanna (quella dell'8 luglio 2015) che pero' non era ancora intervenuta al momento di commissione del reato. 2.5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando l'omessa motivazione o la motivazione apparente della Corte d'appello sulla ricostruzione alternativa del materiale investigativo proposto dalla difesa nei motivi di appello, in cui si evidenziava che la ricorrente era tossicodipendente ed aveva acquistato stupefacente in ragione di questa sua condizione, senza pero' che vi fosse prova della destinazione allo spaccio di quanto acquistato; la prova sarebbe stata ricavata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che riferiva che la ricorrente vendeva per conto del gruppo criminale, ma queste dichiarazioni sono generiche, non sono riscontrate dal riconoscimento fotografico operato dalla compagna di (OMISSIS), (OMISSIS), in quanto la stessa si limita a riconoscere la ricorrente come persona che operava nel mondo dello stupefacente, il che e' incontestato attesa la tossicodipendenza, e perche' gli specifici fatti di spaccio accertati nei capi da n. 31 a 33 sono commessi nel corso di un solo mese, il che sarebbe in contrasto con la tesi della stabilita' del rapporto associativo. Con il secondo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, evidenziando che, anche con riferimento ai reati-fine, la responsabilita' e' stata tratta da conversazione con (OMISSIS) di per se' equivoca, perche' da' conto del fatto che la ricorrente abbia acquistato stupefacente ma non che l'abbia venduto, perche' la frase in cui la stessa chiedeva una consegna urgente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona" non e' prova di spaccio in mancanza di riscontro successivo sull'avvenuta traditio. La difesa precisa anche espressamente di non impugnare la condanna per i capi nn. 32 e 33. Con il terzo motivo lamenta omessa motivazione sulla richiesta di riqualificare i fatti nella fattispecie dell'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in quanto la risposta della Corte d'appello che si tratterebbe di "notevoli quantitativi" e' una mera clausola di stile. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante del comma 3 dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, atteso che non e' possibile imputare al tossicodipendente l'aumento di pena previsto per chi utilizza dei tossicodipendenti nella struttura dell'associazione, tale aumento e' stato ritenuto in giurisprudenza applicabile solo ai non tossicodipendenti, e quindi non alla ricorrente. 2.6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della sussistenza del reato associativo del capo n. 15, evidenziando che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sono inattendibili, e che le intercettazioni costituiscono prova solo dei reati-fine, che di per se' non sono sufficienti a ritenere provata anche l'associazione, di cui mancherebbero sufficiente stabilita' (lo stesso (OMISSIS) lascerebbe trapelare la totale disorganizzazione della struttura) e programma criminoso (si tratterebbe di mera "droga parlata"). Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancato riconoscimento della ipotesi lieve del comma 6 dell'articolo 74 per il reato associativo del capo n. 15, evidenziando che lo stesso collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha parlato di quantita' di stupefacente di qualche chilogrammo alla volta, nella stessa imputazione si parla di quantita' imprecisate, la associazione aveva una scarsa struttura utilizzando autovetture occas39Ionali, l'unica modalita' di vendita provata era quella al minuto, indice di scarsa capacita' criminale, mancava una cassa comune, mancava la capacita' di incidere sul territorio di (OMISSIS) ove erano operanti ben altre organizzazioni. In ipotesi di derubricazione, si evidenzia l'avvenuta prescrizione del reato. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della partecipazione del ricorrente all'associazione del capo n. 15, evidenziando che risulta dagli atti che il ricorrente ha avuto rapporti con alcuni dei coimputati solo per un periodo breve di circa cinque mesi tra dicembre 2010 e maggio 2011, insufficiente a ritenere la stabilita' della collaborazione con l'associazione, che i viaggi in (OMISSIS) di cui e' accusato avevano finalita' private perche' di essi ne parlava con la figlia, mentre non ne ha mai parlato con gli associati, che la sua conoscenza con il collaboratore di giustizia (OMISSIS) deriva dall'averlo ospitato in (OMISSIS) soltanto per fare un favore al suo amico (OMISSIS) che glielo aveva chiesto, che le dichiarazioni del collaboratore a suo carico che lo dipingono come una persona che, a richiesta, si prestava ad andare.a minacciare e picchiare per recuperare crediti, sono generiche ed inattendibili, si tratta di un collaboratore gia' giudicato inattendibile in altri processi, che dalle conversazioni intercettate non emergono riscontri, atteso che tali non sono il suo essersi prestato a difendere il suo amico (OMISSIS) da una minaccia essendosi limitato a riappacificare gli animi ed il suo essersi prestato ad aiutare la (OMISSIS) a recuperare un credito di 3.000 Euro che puo' avere altre spiegazioni. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' per il reato di spaccio del capo n. 32, in quanto sulla base degli indici dettati dalla giurisprudenza in tema di c.d. âEuroËœdroga parlata', non puo' dirsi pienamente provata ne' la disponibilita' della sostanza stupefacente in capo alla (OMISSIS), ne' l'effettiva consegna della stessa. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata derubricazione del fatto di cui al capo n, 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti che lo stupefacente âEuroËœspacciato sia cocaina, come scritto in imputazione; la Corte d'appello avrebbe tratto la prova dal fatto che si parla di "assaggi" ma qualsiasi stupefacente puo' essere assaggiato. In caso di derubricazione in Gomma 4, si deduce l'intervenuta prescrizione. Con il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti, oltre che della tipologia, anche della quantita' dello stupefacente spacciato, e quindi, in mancanza di prova, avrebbe dovuto essere applicata la ipotesi piu' favorevole del comma 5. Con il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, evidenziando che a sostegno depongono la condotta di vita anteatta, immune da precedenti, e la marginalita' del ruolo del ricorrente. 2.7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo vizio di motivazione con riferimento alla identificazione del ricorrente nell'interlocutore di alcune delle telefonate intercettate; il Tribunale, infatti, si e' limitato a dare incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito anche incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti; e' vero che il precedente difensore aveva in primo grado dato il consenso all'utilizzo delle schede della polizia giudiziaria sulla identificazione dei chiamanti, ma il consenso non puo' riguardare il metodo con cui la stessa polizia giudiziaria era arrivata alla identificazione che era errato, illogico ed aberrante. Si censura anche una annotazione integrativa redatta il 17 aprile 2018, giorno successivo alla annotazione sui criteri di identificazione, ed in cui in modo improbabile un vice ispettore di polizia riferisce di aver riconosciuto in quella dell'imputato una voce di una conversazione di cinque anni prima. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di esistenza di una associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. che e' stata ricavata dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che la Corte ha ritenuto riscontrate da quelle dell'altro collaboratore (OMISSIS) e da quelle della compagna di (OMISSIS), (OMISSIS), in contrasto con le dichiarazioni dei capi storici della âEuroËœndrangheta corleonese che riferiscono di non riconoscere in (OMISSIS) il capo della locale di (OMISSIS); va anche aggiunto che lo stesso (OMISSIS) riferisce che non ricorda se il ricorrente fu battezzato, in ogni caso non sarebbe dimostrato il vincolo associativo e la presenza di una struttura stabile. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., perche' l'associazione e' stata ritenuta armata nonostante non vi fosse prova della disponibilita' di armi. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza di un ruolo apicale in seno all'associazione, anziche' di mero partecipe alla stessa, ruolo apicale desunto dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e del collaboratore (OMISSIS), ruolo apicale in definitiva non confermato da nessun riscontro. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 12, perche' non si comprende quale sia stata in concreto la condotta commessa dal ricorrente nel contesto dell'episodio estorsivo, la stessa persona offesa riferisce che quando il ricorrente frequentava il locale pagava regolarmente, per cui in definitiva il ricorrente e' condannato per responsabilita' da posizione. Inoltre, al piu' i fatti andavano riqualificati in danneggiamento. Con il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 14, perche' questo tentativo di estorsione sarebbe rimasto allo stato sotto la soglia del tentativo punibile, essendo stata recapitata solo una proposta di assunzione di una persona, proposta rifiutata. Inoltre, non si comprende quale comportamento abbia tenuto il ricorrente, di cui nessuno riferisce. Con il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente oggettiva, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in' quanto non si comprende da cosa sia stata desunta posto che non e' stato usato un linguaggio mafioso, che manca un comportamento propriamente intimidatorio, e l'estorsore ha anche risarcito i danni. Con l'ottavo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente finalistica, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto il dolo di favorire l'associazione deve essere diretto, non potendo rilevare vantaggi indiretti o lo scopo di favorire un esponente della cosca. Con il nono motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante dell'articolo 628, comma 3, n. 3.c.p., in quanto all'epoca dei fatti il ricorrente non era persona sospettabile di âEuroËœndrangheta. o' Con il decimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza della recidiva, desunta soltanto dai precedenti penali, in particolare per estorsione, senza un giudizio individualizzal:o sulla maggiore capacita' criminale. 2.8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo nullita' della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva costituita dall'assunzione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), collaboratore che aveva reso dichiarazioni nei confronti di (OMISSIS), dichiarazioni non credibili, avendo sbagliato anche altezza dell'imputato e sua residenza, in separato procedimento per la vicenda dell'omicidio (OMISSIS), che costituisce l'unico comportamento attribuito al ricorrente nel contesto dell'associazione. Con il secondo motivo deduce nullita' della sentenza per erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, perche' la Corte d'appello ha ritenuto convergenti sulla posizione del ricorrente le chiamate dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), ma in esse in realta' vi sono divergenze in quanto sul mandante dell'omicidio (OMISSIS) si e' attribuito la paternita' della decisione mentre (OMISSIS) individua il mandante in tale (OMISSIS), sul movente (OMISSIS) indica la necessita' di evitare contrasti con i cirotani, mentre (OMISSIS) riferisce di una sovrapposizione delle piazze di spaccio, sul coesecutore che avrebbe affiancato il ricorrente (OMISSIS) indica tale (OMISSIS) e (OMISSIS) tale (OMISSIS), le dichiarazioni sono convergenti soltanto sul fatto che entrambi indicano il ricorrente come l'autore del reato che avrebbe esploso i colpi da arma da fuoco; i due collaboratori, inoltre, non renderebbero dichiarazioni autonome perche' proveniente dalla stessa fonte, che e' lo stesso ricorrente che ha riferito loro di ritorno dalla Calabria. Con il terzo motivo lamenta nullita' della sentenza per motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo, atteso che il ricorrente non e' mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e pasi limitrofi nel periodo dei fatti, e' sconosciuto all'autorita' di polizia del posto, e' sconosciuto anche a (OMISSIS) che pure e la convivente del collaboratore (OMISSIS), non vi sono riscontri negli aeroporti vici lo a (OMISSIS) di sue partenze per la (OMISSIS) al momento dei fatti, il ricorrente vive a (OMISSIS) e non risulta avere conoscenza degli organigrammi criminali della zona dei fatti. 2.9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato di tentata estorsione, in quanto sarebbe stata svalutata la dichiarazione della stessa vittima che riferisce che il ricorrente ha compiuto il danneggiamento mentre era ubriaco e chiedeva comunque di entrare nel locale, dichiarazione confortata da quella della moglie (OMISSIS) che effettuava il servizio di controllo degli ingressi al night club del marito, e non sarebbe stato tenuto in conto che nelle telefonate intercettate risulta che' fu il ricorrente a ricevere reiterate richieste di pagamento dalla vittima per il risarcimento dei danni cagIonati. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, perche' non si comprende da quale elemento probatorio sia stato ricavato la circostanza che il ricorrente avesse ricevuto un mandato estorsivo. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di mancata applicazione della disciplina della desistenza ex articolo 56, comma..3, c.p., che la Corte d'appello ha escluso perche' il reato non si sarebbe perfezionato per intervento di (OMISSIS) ed un altro soggetto che avevano il ruolo di protettori della vittima, ma non risulta alcun intervento di (OMISSIS) e la desistenza risulta dalle intercettazioni da cui emerge che il ricorrente era richiesto di pagare i danni. 2.10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e di norma processuale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 24 in quanto di lui non parlano ne' il collaboratore di giustizia (OMISSIS) che ha fatto rinvenire lo stupefacente, ne' le conversazioni intercettate, mentre in ordine a quattro telefonate utilizzate come prova nei suoi confronti non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e di norma processuale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 25 in quanto, relativamente alle tre telefonate utilizzate come prova nel suoi confronti, non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche che sarebbero state dovute per contributo marginale e comportamento processuale. 2.11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS). Con unico motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, in quanto la responsabilita' si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che la Corte di appello ha ritenuto riscontrate da quelle della compagna (OMISSIS), che pero' e' un riscontro debole essendo persona vicina allo stesso collaboratore, e dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che pero' si limita a riferire che il ricorrente fosse persona dedita al traffico di stupefacenti, il che pero' e' irrilevante, in quanto non dice che si tratti proprio di quella associazione che gli e' stata contestata. Inoltre, i soggetti esterni all'associazione indicati nella imputazione come riferimenti del ricorrente (tali (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) non sono mai stati attinti da contestazioni o sono stati assolti. La stessa telefonata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) in cui si parlerebbe del ricorrente e' neutra perche' in essa si parla di un (OMISSIS) che pero' non e' detto sia il ricorrente e comunque non si parla esplicitamente di droga. 2.12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e processuale, in quanto la sentenza di primo grado riporta a pagina 4 anche il capo di imputazione per il reato dell'articolo 41.6-bis cod. pen per cui non vi era stato rinvio a giudizio, non si tratterebbe di svista casuale ma del segno evidente di un pregiudizio che ha portato di fatto il ricorrente ad essere processato anche per l'articolo 416-bis cod. pen pur senza che sia mai stato vocato in ius per questo titolo; la circostanza che non sia stato condannato per tale reato e' marginale. Con il secondo motivo deduce mancata assunzione di prova decisiva, perche' la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione un documento prodotto dalla difesa che dimostra che il ricorrente era stato condannato in (OMISSIS) alla pena di 4 anni di reclusione nel novembre 2007, da esso dovrebbe desumersi la latitanza del ricorrente in (OMISSIS) sino all'avvenuto arresto del (OMISSIS), la latitanza in (OMISSIS) renderebbe poco credibile le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che attribuisce al ricorrente proprio il ruolo di corriere con il (OMISSIS) che sarebbe stato un comportamento rischioso, inoltre pretermette la battaglia del ricorrente per ottenere l'affido della figlia in (OMISSIS). Con il terzo motivo lamenta mancata assunzione di prova decisiva, perche' la Corte d'appello avrebbe respinto la richiesta di assunzione di due interrogatori resi dal collaboratore (OMISSIS) il 23 aprile 2012 ed il 16 maggio 2012, perche' avrebbero dovuto essere usati nell'esame e controesame, ma lo standard di decisione della o' rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. avrebbe dovuto essere quello della incapacita' di decidere allo stato degli atti. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, in quanto la stessa e' stata desunta da dichiarazioni rese in dibattimento dal collaboratore (OMISSIS), che pero' nell'interrogatorio reso in indagini preliminari escludeva che il ricorrente trafficasse in stupefacenti, perche' nell'unica telefonata intercettata usata come prova non si parla mai di stupefacenti in quanto l'oggetto e' soltanto una richiesta di aiuto per un lavoro di buttafuori in un locale notturno, perche' in dibattimento il collaboratore (OMISSIS) fa del ricorrente anche un affiliato alla âEuroËœndrangheta, e perche' il riscontro fornito dalla compagna del collaboratore 3itaru (OMISSIS) costituito dal riconoscere il ricorrente in una foto segnaletica e ricordare che lo stesso era andato in (OMISSIS) a prendere cocaina e' generico, perche' la stessa mai riferisce che lo stesso avrebbe avuto addosso cocaina ne' l'abbia mai visto consegnarla ne' sa dove e quando lo stesso l'avrebbe comprata. Con il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dl manciata riqualificazione della condotta nel reato di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. 2.13. Motivi nuovi nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo si torna sulla questione della responsabilita' per il reato dell'articolo 416-bis c.p. e si ritiene di aggiungere argomenti alla luce della sentenza delle sezioni unite Modaffari, rilevando che il coinvolgimento del ricorrente e' determinato da un singolo episodio, la questione (OMISSIS), e non puo' ritenersi sufficiente ad integrare la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa la collaborazione episodica, richiedendosi, invece, un'attivita' di carattere continuativo e fiduciario idonea a fornire un contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale. Con il primo motivo si torna sulla questione della mancata concessione delle attenuanti generiche, e si sostiene che la motivazione della Corte d'appello e' una clausola di stile, e che l'imputato le avrebbe meritate per incensuratezza, ruolo marginale, e comportamento dopo la commissione del reato. 2.14. Motivi nuovi nell'interesse di (OMISSIS) Con il primo motivo si torna sulla questione della condanna per il ruolo apicale, e non come semplice partecipe, dell'associazione ma non vi sarebbero elementi dai quali e' possibile desumere che l'odierno ricorrente abbia contribuito alla potenzialita' pericolosa del gruppo, egli non ha provocato ad esempio l'adesione di terzi all'associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma, ne' che abbia compiuto funzioni decis39Ionali, e che il richiamo generico alle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia (OMISSIS) che lo ha definito âEuro˜âEuroËœil numero uno" della organizzazione criminale di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non possono giustificare una condanna per la condotta apicale. 3. Le difese degli imputati hanno chiesto la discussione orale. Il Procuratore generale, Dott. Marco Dall'Olio, ha concluso per il rigetto dei ricorsi. I difensori degli imputati, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), tramite sostituto processuale, per (OMISSIS), avv. (OMISSIS), tramite sostituto processuale, per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) ed (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto E' fondato il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS); tutti gli altri ricorsi, invece, sono infondati. 1. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 1.1. Il primo ed il quarto motivo, dedicati entrambi all'asserito vizio della sentenza impugnata per illogica motivazione sulla sussistenza della capacita' di intendere e di volere della imputata al momento del fatto, sona infondati. Nei motivi di ricorso si evidenzia che il perito nominato nel corso del giudizio ha concluso per l'esistenza nella imputata di un disturbo di personalita' borderline, nonche' per la vulnerabilita' della stessa, circostanze che la rendevano soggetto passivo di potenziali sollecitazioni esterne idonee ad indirizzare il suo comportamento; si sostiene anche che i risultati della perizia sarebbero confortati dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che e' stato amante della imputata, e che si e' assunto la responsabilita' di averla coinvolta nel crimine. Nel quarto motivo si precisa anche che la imputata era dipendente da alcool e droghe al momento in cui avvenivano i fatti, il che ha ulteriormente contribuito a menomarne la capacita' di comprendere i crimini in cui era stata coinvolta dall'amante. La Corte d'appello ha risposto a questi argomenti proposti a suo tempo gia' nell'atto di appello, affermando che: "l'indicato disturbo, per sua natura e per come emerge dagli atti processuali, non integrava una infermita' che ha inciso sulle capacita' intellettive e volitive della donna menomandone o compromettendone le facolta' di giudizio e di discernimento. Anzi, le conversazioni intercettate rimandano l'immagine di una donna dotata di assoluto discernimento, pienamente consapevole delle proprie condotte ed assolutamente capace di autodeterminarsi". La risposta della Corte d'appello e' conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalita', che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermita'", purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilita', deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalita' che non presentino i caratteri sopra indicati, nonche' agli stati emotivi e pass39Ionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccez39Ionalmente, in un quadro piu' ampio di "infermita'" (Sez. U, Sentenza n. 9163 del 25/01/2005, (OMISSIS), Rv. 230317; per una riproposizione piu' recente della medesima sistematica v. Sez. 1, Sentenza n. 35842 del 16/04/20193ilazzeo, Rv. 276616: in tema di imputabilita', ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, possono rientrare nel concetto di "infermita'" anche i disturbi della personalita' o comunque tutte quelle anomalie psichiche non inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere e di volere, escludendola o facendola scemare grandemente, e sussista un nesso eziologico tra disturbo mentale e condotta criminosa, mentre nessun rilievo deve riconoscersi ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalita' prive dei caratteri predetti, nonche' agli stati emotivi e pass39Ionali che non si inseriscano, eccez39Ionalmente, in un quadro piu' ampio di infermita'). La Corte d'appello, quindi, non oblitera l'esistenza del disturbo di personalita', ma lo ritiene non di consistenza tale da integrare una condizione patologica che incida sulla capacita' di intendere e di volere al momento del fatto, secondo un giudizio che, come visto, e' ammesso dalla giurisprudenza di legittimita'. Inoltre, del tutto correttamente la motivazione della sentenza impugnata derubrica a "stati emotivi e pass39Ionali" inidonei ad incidere sulla capacita' di intendere e di volere la dipendenza della imputata dalla relazione affettiva con il collaboratore o quella da sostanze stupefacenti o alcooliche (Sez. 6, Sentenza n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389: la situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacita' di intendere e di volere e' solo quella che, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilita' di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioe' una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte a una vera e propria malattia psichica"). Ne' costituisce passaggio illogico della motivazione la circostanza che la Corte d'appello abbia ricavato la sua conclusione, oltre che dalle affermazioni del perito, anche dagli ulteriori elementi di prova acquisiti in giudizio, ed, in particolare, dalle conversazioni intercettate, da cui ha tratto, dalla coerenza delle frasi pronunciate dall'imputata e dalla congruenza delle stesse con il contesto di fatto e le affermazioni dei suoi interlocutori, elementi di giudizio nel senso che la stessa fosse capace di comprendere cio' in cui era coinvolta e di volere i comportamenti che il suo amante (OMISSIS) le chiedeva di volta in volta di porre in essere. La valutazione del giudice sulla imputabilita' puo', infatti, essere tratta da tutto il materiale probatorio a sua disposizione. In definitiva, posto che nella decisione impugnata non s rinvengono i vizi logici dedotti in ricorso, va ricordato che "l'accertamento della capacita' di intendere e di volere dell'imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimita' se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo. (Sez. 1, Sentenza n. 11897 del 18/05/2018, dep. 2019, P., Rv. 276170), ed i motivi di ricorso che ne hanno riproposto la questione anche in sede di ricorso per cassazione devono, pertanto, essere giudicati infondati. 1.2. Non e' fondato neanche il secondo motivo, dedicato alla responsabilita' dell'imputata per il reato associativo di cui al capo n. 15, che sarebbe stata desunta dalla partecipazione ad un unico reato-fine. Nel motivo si sostiene, inoltre, che la imputata non avrebbe avuto coscienza di partecipare ad una organizzazione stabilmente finalizzata al commercio di stupefacenti. La giurisprudenza di legittimita' ha, in realta', piu' volte precisato che la partecipazione ad una associazione, purche' vi sia un contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso, puo' avvenire anche quando risulti il coinvolgimento dell'imputato in un solo specifico reato-fine (Sez. 1, Sentenza n. 43850 del 03/07/2013, Durand, Rv. 257800: L'elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e' incompatibile con l'affermata partecipazione dell'agente all'organizzazione di cui si e' consapevolmente servito per commettere il fatto. Fattispecie relativa al coinvolgimento in o' un unico episodio di programmato trasporto di un apprezzabile quantitativo di droga; conformi Sez. 3, Sentenza n. 36381 del 09/05/2019, Cruzado Ocaris, Rv. 276701; Sez. 6, Sentenza n. 1343 del 04/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890). La Corte d'appello ha in modo corretto tratto il contributo al rafforzamento del sodalizio evidenziando la presenza continua di (OMISSIS) nelle trattative per il commercio di stupefacente di fianco al suo amante (OMISSIS), ed aggiungendo che l'imputata "mette a disposizione del capo della associazione e dei suoi collaboratori la sua autovettura che e' praticamente il luogo sicuro in cui la medesima organizzazione stabilmente opera, atteso che al suo interno si svolgono le trattative, si contattano fornitori e acquirenti, si incontrano i sodali, si decidono le strategie di espansione del gruppo". Questa risposta e' coerente con gli esiti dell'istruttoria, in quanto a carico della imputata non e' stata ricostruita soltanto la vicenda del singolo trasporto di stupefacente a (OMISSIS) con (OMISSIS) per cui la stessa e' stata destinataria di specifica contestazione di reato-fine, ma anche i contatti prolungati con gli altri coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che usavano lei per fare da tramite con (OMISSIS). Ed, infatti, coerentemente con gli esiti istruttori la Corte d'appello conclude che "la (OMISSIS) fosse in grado di decodificare alla perfezione senza sforzo anche i termini criptici e convenz39Ionali adoperati dagli altri associati" (si pensi, a titolo di esempio, alla richiesta rivolta all'imputata "digli che servono giubbotti pesanti"). Si tratta di argomenti di prova da cui in modo del tutto logico la Corte d'appello ha tratto la conclusione dello stabile coinvolgimento della stessa in un gruppo criminale organizzato, e della sua consapevolezza, anche soggettiva, di farne parte, gruppo in cui la imputata aveva un ruolo, per quanto subordinato, di esecutore di ordini o di tramite tra gli associati, che ne fanno comunque un soggetto che con la propria presenza ed i propri comportamenti ha rafforzato la operativita' dell'associazione. 1.3. E' infondato anche il terzo motivo, dedicato alla responsabilita' della imputata per il reato-fine di cui al capo n. 36. In esso si sostiene che la responsabilita' sarebbe stata desunta dalla mera partecipazione della imputata al viaggio in auto con cui lo stupefacente in disponibilita' dell'organizzazione fu trasportato a (OMISSIS), ma che in quel viaggio il soggetto incaricato del trasporto era (OMISSIS), mentre nessun incarico illecito aveva ricevuto la imputata, cui puo' essere contestata al piu' una connivenza passiva non punibile. La Corte d'appello risponde in modo molto articolato a questa deduzione difensiva, riportando alle pagine da 89 a 97 le fonti di prova esistenti sulla vicenda del trasporto di stupefacente a (OMISSIS), che consentono di delimitare bene i ruoli di ciascuno dei protagonisti della stessa, e conclude, quindi, nel senso della insostenibilita' della tesi della mera connivenza passiva, affermando che: "dalle intercettazioni sopra riportate e dalla ricostruzione dei fatti cosi' come operata attraverso le indagini tecniche egli accertamenti di p.g., non emerge una presenza meramente passiva della (OMISSIS), che secondo la difesa avvalorerebbe la tesi secondo cui il soggetto incaricato da (OMISSIS) del trasporto e del recupero del corrispettivo fosse il solo (OMISSIS), quanto piuttosto un ruolo attivo ed operativo della donna che si reca con il sodale (OMISSIS) su incarico dell' (OMISSIS) fino a (OMISSIS) mettendo a disposizione dell'associazione la propria autovettura da utilizzare per gli spostamenti ed il trasporto dello stupefacente". La risposta della Corte d'appello e', in effetti, coerente con le risultanze probatorie e non denota alcun travisamento del fatto, ne' per invenzione, ne' per omissione, essendo riportate in sentenza alcune conversazioni in cui parla (OMISSIS) in prima persona che mostra un interesse al buon esito della vendita ("speriamo che paga almeno quello che ha fatto ieri"; "prima magari di dargliela altra in mano") ed altre da cui e' legittimo inferire che a (OMISSIS) sia stato affidato il compito di riportare in (OMISSIS) i soldi ad (OMISSIS) (ad esempio, le conversazioni sempre riportate in sentenza, in cui (OMISSIS) dice "domani se non mi dai soldi...che quella martedi'...deve andare via", in cui la persona citata e' sicuramente l'imputata, perche' poi si aggiunge anche che le si deve pagare l'albergo, e dalle conversazioni riportate in sentenza risulta che in quei giorni a (OMISSIS) in camera d'albergo era sistemata proprio l'imputata). In definitiva, la risposta della Corte della presenza di un ruolo attivo, sia pure subordinato alle direttive di (OMISSIS), dell'imputata nella vicenda del trasporto e vendita di stupefacente e' congruente con le risultanze dell'istruttoria ed e' esente da vizi logici. 2. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' fondato. 2.1. Sono fondati, in particolare, il primo ed il secondo motivo di ricorso che devono essere letti e valutati congiuntamente. Nel primo motivo si deduce, infatti, che non sussisterebbero gli elementi costitutivi della partecipazione del ricorrente all'associazione a delinquere di tipo mafioso denominata locale di (OMISSIS) per l'occas39Ionalita' della frequentazione dell'imputato con alcuni dei suoi componenti e estraneita' dello stesso rispetto al contesto associativo, e nel secondo motivo si aggiunge che, al piu', il comportamento tenuto dall'imputato avrebbe dovuto essere scrutinato sotto il profilo del concorso esterno, di cui, pero', a quel punto la sentenza avrebbe dovuto farsi carico di verificare l'esistenza di tutti gli elementi costitutivi, tra cui quello della effettivita' del contributo causale fornito dall'esterno al sodalizio criminale. La sentenza impugnata, dopo una preliminare ricostruzione delle ragioni per cui (OMISSIS) ha ritenuto di avvicinare alcuni esponenti di vertice del clan di âEuroËœndrangheta operante nel territorio in cui viveva e dei contatti che questi ha intrattenuto con essi, ragioni che sono pacifiche perche' riportate in modo ampio nello stesso ricorso, ha tratto le conclusioni dal materiale probatorio a sua disposizione e ritenuto l'imputato responsabile della partecipazione all'associazione mafiosa con la seguente motivazione: "il (OMISSIS) deve ritenersi organicamente inserito nella cosca quale sodale, perfettamente a conoscenza delle logiche e delle dinamiche criminali dell'organizzazione, che ha lucidamente accettato, sia pure inizialmente per conseguire un utile personale, di instaurare con la cosca un rapporto sinallagmatico in virtu' del quale, in cambio di protezione e tutela, ha messo la propria persona e le sue conoscenze in materia finanziaria a disposizione della stessa organizzazione e dei suoi vertici, per conto dei quali, come sostanzialmente confessato al Pantusa, ha gestito e amministrato capitali e risorse finanziarie, compito di rilevanza fondamentale per l'intera organizzazione della quale ha certamente rafforzato le capacita' operative e le prospettive di accumulare e reinvestire illeciti profitti. Non puo', pertanto, procedersi alla richiesta riqualificazione della condotta dell'imputato nella fattispecie di cui agli articoli 110, 416 bis c.p., stante la acclarata compenetrazione organica dell'appellante nella cosca e, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la non occas39Ionalita' della condotta.". La sentenza della Corte d'appello, pertanto, ha ricostruito l'elemento oggettivo del reato associativo che ha ritenuto provato a carico dell'imputato nella instaurazione con la cosca di un rapporto sinallagmatico che lo ha portato a gestire ed amministrare capitali e risorse finanziarie per conto della stessa. Questa parte del percorso logico-argomentativo della Corte d'appello non resiste alle censure di illogicita' e contraddittorieta' che le sono state mosse. L'aver postulato, infatti, un rapporto di tipo sinallagmatico tra l'imputato e l'associazione indica, infatti, l'alterita' tra l'imputato e la cosca, e non la "compenetrazione organica dell'appellante nella cosca", come, invece, argomentato in sentenza; l'alterita' e' una caratteristica del concorso esterno, e non della partecipazione all'associazione criminale (cfr., per argomento in questo senso, Sez. 1, Sentenza n. 47054 del 16/11/2021, Coppola, Rv. 282455; Sez. 6, Sentenza n. 32384 del 27/03/2019, Putrino, Rv. 276474; Sez. 5, Sentenza n. 30133 del 05/06/2018, Bacchi, Rv. 273683; Sez. 5, Sentenza n. 47574 del 07/10/2016, Falco, Rv. 268403; Sez. 1, Ordinanza n. 11613 del 04/02/2005, Micari, Rv, 231630). E' vero che il percorso logico della pronuncia impugnata prosegue aggiungendo che il comportamento dell'imputato "ha certamente rafforzato le capacita' operative e le prospettive di accumulare e reinvestire illeciti profitti", ma di per se' il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione e' compatibile sia con la partecipazione dell'intraneus che con il concorso esterno. La sentenza si pone, in realta', il problema della possibile sussumibilita' del fatto sub articolo 110 e 416-bis c.p., ma, per escluderla, fa leva sulla "acclarata compenetrazione organica dell'appellante nella cosca" e sulla "non occas39Ionalita' della condotta", ma, posto che la prima espressione e' tautologica, la motivazione della esclusione del concorso esterno si regge allora essenzialmente sulla non occasIonalita' della condotta. La non occas39Ionalita' della condotta e' senz'altro un parametro di valutazione da cui inferire la stabilita' della partecipazione ad una associazione a delinquere (nel senso che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizzi per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione v., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889), ma di per se' non e' un parametro decisivo, perche' anche il concorso esterno puo' configurarsi come reato non occas39Ionale, o "di durata" (Sez. 5, Sentenza n. 35100 del 05/06/2013, Matacena, Rv. 255769; Sez. 5, Sentenza n. 15727 del 09/03/2012, Dell'Utri, Rv. 252329), talche' la non occas39Ionalita' e' compatibile anche con esso. La distinzione tra la partetipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno alla stessa, infatti, non dipende dalla durata dei rapporti, che sono solo un indice da valutare, ed ha natura qualitativa, e non quantitativa (Sez. 2, Sentenza n. 34147 del 30/04/2015, PG in proc. Agostino, Rv. 264625), dipendendo, come detto, dalla organicita' o alterita' del rapporto tra il singolo e la consorteria. I confini tra la partecipazione all'associazione ed il concorso esterno sono stati delimitati dalla giurisprudenza di legittimita' che ha precisato che "assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell"âEuroËœaffectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "(OMISSIS)", di un suo particolare settore e ramo di attivita' o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima. In motivazione la Corte, rilevando come la efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisca elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, ha specificato che non e' sufficiente una valutazione "ex ante" del contributo, risolta in termini di mera probabilita' di lesione del bene giuridico protetto, ma e' necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", l'elevata credibilita' raz39Ionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condiz39Ionante della condotta atipica del concorrente" (Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671) mentre " la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funz39Ionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. In motivazione la Corte ha osservato che la partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi e precisi - tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e pero' significativi "facta concludentia" -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall'imputazione" (ancora Sez. Unite n. 33748, Mannino, citata, rv. 231670). L'indagine sul dolo del concorrente esterno dovra', a sua volta, essere condotta alla luce della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "ai fini della configurabilita', sul piano soggettivo, del concorso esterno nel delitto associativo non si richiede, in capo al concorrente, il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di far parte dell'associazione e nella volonta' di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si e' prefissa, bensi' quello generico, consistente nella coscienza e volonta' di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell'associazione" (Sez. LI, Sentenza n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202904), e che ha precisato poi successivamente che "ai fini della configurabilita' del concorso esterno occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volonta' di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio. In motivazione la Corte ha precisato che deve escludersi la sufficienza del dolo. eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio di verificazione dell'evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenz39Ionalmente perseguiti (Sez. Unite n. 33748, Mannino, citata, rv. 231672; conforme Sez. 5, Sentenza n. 18256 del 10/01/2019, S.e.d.s. srl, Rv. 276768; nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilita' del dolo, occorre che l'agente, pur in assenza dell'"affectio societatis" e, cioe', della volonta' di far parte dell'associazione, sia consapevole dell'esistenza della stessa e del contributo causale recato dalla propria condotta alla sua conservazione o al suo rafforzamento, agendo con la volonta' di fornire un apporto per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio, dovendo escludersi la sufficienza del dolo eventuale inteso come mera accettazione da parte del concorrente del rischio del verificarsi, insieme ad altri risultati intenz39Ionalmente perseguiti, dell'evento, ritenuto invece solamente probabile o possibile" v. Sez. 5, Sentenza n. 26589 del 23/02/2018, V., Rv. 273356; nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilita' del dolo diretto occorre che l'agente, pur in assenza delraffectio societatis" e, cioe', della volonta' di far parte dell'associazione, sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonche' dell'efficacia causale della propria attivita' di sostegno per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensi' certo, o comunque altamente probabile, della propria condotta. In motivazione, la Corte ha affermato che, ai predetti fini valutativi, si deve tener conto anche delle massime di esperienza desumibili, fra l'altro, dai rapporti intrattenuti con i membri del sodalizio a fini elettorali, dalla sua conoscenza del ruolo che i suddetti membri ricoprivano nell'ambito della cosca, nonche' dalle connotazioni qualitative e quantitative dell'attivita' prestata in favore dei singoli sodali o del sodalizio" (Sez. 2, Sentenza n. 18132 del 13/04/2016, PM in proc. Trematerra, Rv. 266907); nel senso che "in tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, il rafforzamento del sodalizio cosi' come connotato dal suo programma delinquenziale, integrante l'evento del contributo causale del concorrente, e' oggetto di dolo generico, che deve atteggiarsi come diretto e non come meramente eventuale, nel senso che lo stesso puo' non aver rappresentato l'obiettivo unico o primario della condotta dell'imputato, ma questi deve averlo previsto, accettato e perseguito come risultato non sola possibile o probabile, bensi' certo o comunque altamente probabile della medesima condotta" (Sez. 5, Sentenza n. 15727 del 09/03/2012, Dell'Utri, Rv. 252330). La sentenza impugnata, che ha concluso nel senso della esistenza della partecipazione all'associazione, non si e' posta a quel punto il problema di sottoporre a verifica il compendio indiziario acquisito nei confronti di (OMISSIS) anche sotto il profilo della eventuale esistenza degli elementi costitutivi del concorso esterno, individuati dalla giurisprudenza di legittimita' consolidata, che ritiene che il concorrente esterno di un'associazione mafiosa sia "il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa e privo dell'affectio societatis (...), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (...) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima" (Sez. U, Sentenza n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 236584). Stabilendo che l'accertamento sul rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione deve essere effettuato ex post, la sentenza Mannino ha, infatti, agganciato il concorso esterno allo statuto della causalita'. Trattandosi di un accertamento processuale che svolge una funzione di carattere selettivo delle condotte penalmente rilevanti, e', infatti, necessario che il contributo atipico sia considerato effettivamente idoneo ad aumentare la probabilita' o il rischio di realizzazione del fatto di reato, escludendone la rilevanza laddove si riveli "ininfluente o addirittura controproducente per la verificazione dell'evento lesivo" (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, cit.). Il confine tra le fattispecie della partecipazione all'associazione e del concorso esterno e' stato ulteriormente precisato con riferimento al caso, quale quello in esame, del contributo del professionista, che dovra' essere valutato alla luce del principio secondo cui "integra la condotta di "concorso esterno" l'attivita' del " professionista che fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacita' operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso" (Sez. 5, Sentenza n. 18020 del 10/02/2022, PG in proc. Laudani, Rv. 283371 - 02), con la precisazione che "In tema di concorso esterno in associazione mafiosa, l'efficienza causale del contributo arrecato dal professionista che, non inserito stabilmente nel tessuto organizzativo del sodalizio, presti la propria attivita' nell'interesse di esso, non richiede la compiuta realizzazione del risultato illecito finale perseguito, dall'associazione, assumendo rilievo la mera messa a disposizione dei sodali delle proprie competenze profess39Ionali e l'esecuzione puntuale delle prestazioni richieste, trattandosi di attivita' che comunque consolida e rafforza le capacita' operative dell'organizzazione" (Sez. 6, Sentenza n. 32902 del 23/06/2021, (OMISSIS), Rv. 281841). Quello che, pertanto, assume rilievo, ai fini della valutazione dell'atteggiamento dell'esponente del mondo profess39Ionale con cui il sodalizio criminale si rapporta, e' la valutazione della sua adesione al progetto di controllo illecito del territorio, per il quale e' indispensabile che il dolo del concorrente esterno "investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell'agente alla conservazione o al rafforzamento dell'associazione, agendo l'interessato nella consapevolezza e volonta' di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio" (ancora Sez. U, n. 33478 det12/07/2005, Mannino, cit.). La Corte di rinvio dovra' valutare non solo l'esistenza del contributo concorsuale, ma anche l'ipotesi partecipativa contestata. Nel caso in esame, l'accertamento compiuto dalla Corte di appello, che si e' fermato alla constatazione della esistenza della partecipazione all'associazione a delinquere, non si e' esteso a verificare ex post l'esistenza di questo contributo funz39Ionale di (OMISSIS) - alla luce del rapporto personale sicuramente esistente tra l'indagato e gli esponenti del locale di (OMISSIS) con cui si rapportava - mediante una verifica probatoria eseguita sull'efficienza causale del suo apporto concorsuale, effettuata mediante le regole tipiche dell'argomentare processuale. Nel giudizio di rinvio la Corte d'appello dovra', pertanto, compiere tale verifica congrua sulla rilevanza causale del contributo fornito da (OMISSIS) agli scopi illeciti e agli obiettivi strategici del sodalizio criminale, verifica da eseguire attraverso una valutazione del collegamento funz39Ionale dei comportamenti profess39Ionali, ed anche non strettamente profess39Ionali (si veda, ad esempio, la riferita disponibilita' di strumenti in grado di effettuare bonifiche' da microspie o la riferita disponibilita' di schede telefoniche intestate a prestanomi), dell'indagato con la sfera di operativita' del gruppo di âEuroËœndrangheta oggetto dell'accertamento giurisdiz39Ionale. La verifica sara' aperta in primo luogo alla possibilita' di individuare nel comportamento accertato la contestata condotta di partecipazione all'associazione criminale, partecipazione da valutare in base agli elementi caratteristici della stessa individuati dalla giurisprudenza di legittimita' sopra richiamata. Dalle considerazioni esposte consegue la fondatezza dei primi due motivi di ricorso, e l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul capo e sui profili critici segnalati, che dovra' svolgersi in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimita', anche con riferimento alle specifiche censure del ricorrente, colmando, nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito le indicate lacune e discrasie della motivazione. Gli ulteriori motivi, contenuti nei due atti di ricorso, sono assorbiti. 3. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 3.1. Il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di riconoscimento della responsabilita' dell'imputato per il reato associativo del capo n. 15. II motivo sostiene che la responsabilita' e' stata ricavata soltanto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), di cui si censura la credibilita' intrinseca, avendo questi iniziato a collaborare in un periodo di detenzione e con riferite fragilita' psicologiche, e che, inoltre, mancherebbero i riscontri esterni individualizzanti idonei a corroborare tali dichiarazioni, in quanto la certa conoscenza e frequentazione trai due non e' un riscontro. La questione della credibilita' intrinseca del collaboratore (OMISSIS) e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni e' stata esaminata sia dalla sentenza di primo grado che da quella di appello. La Corte d'appello ha ritenuto che il materiale probatorio, costituito da intercettazioni e sequestri, che supporta le dichiarazioni del collaboratore "rende estremamente semplice la verifica del giudizio di intrinseca credibilita' delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), fornendo il medesimo, si ripete, una molteplicita' di dati univoci e chiari che disvelano con chiarezza l'esistenza della struttura organizzativa descritta dal collaboratore e, al contempo, permettono di assegnare a ciascuno degli odierni imputati quegli stessi ruoli e compiti indicati dal collaboratore di giustizia". La Corte d'appello spiega comunque che il collaboratore supera lo standard di credibilita', attesa l'assenza di motivi di astio nei confronti dei chiamati in correita', la circostanza che lo stesso abbia fornito elementi nuovi e sconosciuti, il fatto che si sia accusato nel corso della collaborazione di numerosi e gravissimi fatti delittuosi, la circostanza che, attraverso le sue dichiarazioni, sia stato possibile interpretare in modo coerente alcuni elementi, acquisiti prima dell'inizio della collaborazione, in particolare attraverso le attivita' di intercettazione svolte. A sostegno della credibilita' del collaboratore, inoltre, il giudice di primo grado aveva gia' evidenziato il modo in cui lo stesso ha risposto all'esame dibattimentale, in particolare la esposizione "chiara, precisa, puntuale, circostanziata, logica a tutte le domande rivoltegli", "la grande pacatezza", nonche' sul piano soggettivo la mancanza di atteggiamento di astio o rancore nei confronti delle persone coinvolte nelle dichiarazioni, l'essere stato valutate positivamente le dichiarazioni in altri giudizi, l'essere state riscontrare da intercettazioni, sequestro di armi e droga rinvenuti nei luoghi indicati dal collaboratore. Nella verifica della credibilita' il giudice di primo grado fa riferimento, da ultimo, anche alla prova dichiarativa costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS), altro collaboratore che riferisce della locale di (OMISSIS) per fatti relativi allo stesso periodo storico, e da quelle della compagna del collaboratore (OMISSIS), che riferisce delle conoscenze private dello stesso. Le conclusioni dei giudici del merito su credibilita' ed attendibilita' di (OMISSIS) sono conformi alle indicazioni della giurisprudenza di legittimita'. (OMISSIS) e', infatti, un chiamante in correita' che riferisce per lo piu', per cio' che interessa le posizioni coinvolte in questo processo, per conoscenza diretta, e non de relato; si tratta, quindi, della figura soggettiva che nella sistematica della pronuncia Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145, gode dello standard di credibilita' maggiore. Il giudizio di credibilita' soggettiva e di attendibilita' oggettiva del collaboratore e', inoltre, correttamente motivato sul piano logico con la circostanza che le sue dichiarazioni abbiano trovato riscontro nei diversi sequestri cli stupefacente ed armi ottenuti grazie alle sue dichiarazioni. E' ulteriore argomento logico che sostiene il giudizio di credibilita' del collaboratore la circostanza che parte delle stesse vicende narrate da (OMISSIS) fossero gia' state acquisite alla investigazione perche' oggetto delle conversazioni intercettate. Ne' sono stati spesi argomenti in ricorso per contrastare la tesi dell'assenza di motivi di astio o rancore del collaboratore verso le persone coinvolte nelle dichiarazioni, talche' sotto questo rilevante profilo il ricorso si palesa parziale ed aspecifico. In definitiva, sul piano del giudizio di credibilita' del collaboratore le sentenze di entrambi i gradi del merito resistono alle critiche che sono state loro rivolte. Il motivo non e' fondato neanche in punto di asserita mancanza di riscontri individualizzanti a carico di (OMISSIS). La Corte d'appello ha ritenuto che le dichiarazioni di (OMISSIS) siano riscontrate in modo individualizzante nei confronti di (OMISSIS) dalla conversazione registrata in data 22 febbraio 2011, alle ore 17.45, all'interno dell'autovettura in uso ad (OMISSIS) intercorsa fra questi, (OMISSIS) ed il ricorrente (chiamato compare (OMISSIS)) e in seguito anche con il nipote di quest'ultimo chiamato espressamente (OMISSIS) o (OMISSIS), riportata alle pagg. 263 e 264 della sentenza di primo grado, il cui tenore, in effetti, e' inequivoco, trattandosi di uno spostamento effettuato con l'evidente fine di provvedere alla fornitura di sostanze stupefacenti le cui trattative erano in corso, come risulta dal riferimento a quantitativi, alla qualita' della sostanza, al costo della stessa. Nel motivo di ricorso la difesa del ricorrente sostiene che i giudici del merito si siano fatti accecare da questa conversazione, e non abbiano valutato che le dichiarazioni del collaboratore siano parzialmente smentite da due periodi di detenzione che ha affrontato il ricorrente. L'argomento, pero', non e' decisivo, perche' dalla stessa prospettazione del ricorso i periodi di detenzione del ricorrente vanno dal 1991 al 2002 e dal maggio 2009 al giugno 2010, e non toccano quindi i fatti per cui e' processo che sono successivi. E' vero che nelle sue dichiarazioni (OMISSIS) accenna anche ad attivita' criminali avvenute nel 2001, ma il rapido accenno del collaboratore ("quando mi hanno preso a maggio del 2001, a lui lo avevo lasciato fuori") non semplice, peraltro, da contestualizzare, non e' illogico non abbia avuto nel giudizio della Corte d'appello, attesa la lontananza temporale dal nucleo centrale dei fatti contestati, rilievo prevalente rispetto alla conversazione intercettata di cui si e' riportato sopra il riferimento, in cui e' lo stesso (OMISSIS) che parla di commercio di stupefacente, e che gia' di per se', piu' che mero elemento di riscontro, costituisce prova a carico nei suoi confronti. A differenza di quanto sostenuto in ricorso, non e' rilevante, inoltre, che la conversazione non abbia portato alla contestazione di un reato-fine, il che non inficia sul piano logico la circostanza che essa sia stata riconosciuta come indice chiaro del (Ndr: testo originale non comprensibile) coinvolgimento del ricorrente nel commercio di stupefacenti gestito dall'associazione. Ne' e'rilevante la mancanza o il numero limitato di contatti con sodali diversi da (OMISSIS), perche' non e' elemento necessario per la configurabilita' del reato associativo che gli associati si conoscano necessariamente tra loro (Sez. 6, Sentenza n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232: Per la configurabilita' dell'associazione dedita al narcotraffico non e' richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volonta' di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volonta', ad una societa' criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale; Sez. 6, Sentenza n. 14223 del 03/06/1989, Spadano, Rv. 182338: Per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di associazione per delinquere, previsto dall'articolo 75 della L. 22 dicembre 1975 n. 685, e' richiesta la consapevolezza e la volonta' di far parte dell'organizzazione, condividendone le finalita', con netta autonomia materiale e psicologica rispetto ai reati programmati. E' necessario e sufficiente che l'adesione si manifesti con contributi del singolo innestati nella struttura associativa, in vista del perseguimento dei suoi scopi, mentre non e' richiesto da parte di ogni partecipe la conoscenza di tutti i particolari della struttura organizzativa dell'associazione (persone e mezzi) e delle attivita' realizzate (quantitativi e ricavi dello spaccio); Sez. 2, Sentenza n. 4976 del 17/01/1997, P.M. e Accardo, Rv. 207845: La condotta di partecipazione all'associazione per delinquere di cui all'articolo 416-bis c.p. e' a forma libera, nel senso che il comportamento del partecipe puo' realizzarsi in forme e contenuti diversi, purche' si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile alla realizzazione degli scopi dell'organismo: in questo modo, infatti, si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo assunto dall'agente nell'ambito dell'associazione; ne consegue che la condotta del partecipe puo' risultare variegata, differenziata, ovvero assumere connotazioni diverse, indipendenti da un formale atto di inserimento nel sodalizio, sicche' egli puo' anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con la consapevolezza che il risultato viene perseguito con l'utilizzazione di metodi mafiosi). E non e' un elemento di illogicita' della sentenza la circostanza che non esistesse un organigramma della organizzazione, non essendo questo un elemento necessario di una struttura criminale. Non inficia, da ultimo, sul piano logico la sentenza impugnata l'aver costruito il ruolo del ricorrente come procacciatore dello stupefacente, ed a volte acquirente e rivenditore in proprio dello stesso, perche' la circostanza che l'imputato rivendesse anche in proprio non comporta l'estraneita' dello stesso alla struttura criminale essendo logicamente sostenibile la presenza anche di un profitto in proprio, e non soltanto come quota di quello del gruppo criminale. 3.2. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di recidiva (riconosciuta soltanto in virtu' dei precedenti penali e senza alcuna valutazione della maggiore capacita' criminale), mancata valutazione delle attenuanti generiche per il ruolo marginale (in ipotesi cada la preclusione dovuta alla recidiva), e pena applicata in concreto (in quanto il giudice e' partito da una pena base di 10 anni, molto superiore al limite edittale, senza adeguata motivazione). Il motivo non e' fondato. In punto di recidiva la motivazione della pronuncia impugnata e' la seguente "l'imputato e' gravato da piu' condanne definitive per reati gravissimi e della stessa indole di quello per cui si procede, che, posti in correlazione a quello oggetto di giudizio, la partecipazione ad una pericolosissima associazione che, dotata di una stabile struttura organizzativa che, sotto la guida del capo (OMISSIS), ha per anni operato con profess39Ionalita' nel settore del traffico degli stupefacenti, manifestano indubbiamente una sua maggiore pericolosita' sociale". La motivazione e', pertanto, rispettosa dello standard motivaz39Ionale previsto dalla pronuncia Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010, P.G. in proc. Celibe, Rv. 247838, perche' da' adeguatamente conto dell'incremento di capacita' criminale conseguenza dei reati per cui l'imputato aveva riportato condanna. In punto di attenuanti generiche, la motivazione della sentenza impugnata sulla mancata concessione e' la seguente: "la gravita' dei fatti in contestazione ed i precedenti penali dell'imputato, non consentono il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, comunque, non sono rilevabili elementi di segno positivo idonei a determinare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ". La motivazione e' stata ancorata, quindi, a parametri che trovano in effetti aggancio normativo nell'articolo 133, commi 1 e 2, c.p.. In punto di pena applicata in concreto, la motivazione della pronuncia di appello e' la seguente: "l'omessa illustrazione di motivi che indichino le ragioni per le quali la sanzione inflitta dal giudice di primo grado non sia conforme ai criteri indicati dall'articolo 133 c.p., rende Impossibile raccoglimento della richiesta di contenimento della pena inflitta all'imputato nel minimo edittale, avanzata dalla difesa, ritenendosi, d'altronde, del tutto congrua la pena irrogata dal primo giudice". Si tratta di motivazione conforme ai principi generali in punto di contenuto necessario dell'atto di appello, correttamente ritenuto generico, al fine di radicare il rapporto processuale di secondo grado (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823), e che preclude l'ulteriore esame della censura in sede di legittimita'. 4. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 4.1. Il primo motivo e' dedicato alla responsabilita' dell'imputato per il reato associativo del capo n. 15. In esso si deduce che il giudizio di responsabilita' e' stato fondato soltanto sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che le dichiarazioni non sono riscontrate, se non da due intercettazioni dal contenuto comunque equivoco, e che anzi le dichiarazioni del collaboratore sono smentite dalle dichiarazioni di persone vicine a lui come (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno escluso di conoscere il ricorrente; non risulterebbero, d'altronde, contatti con sodali diversi dal collaboratore, se non per un dialogo nell'auto di (OMISSIS), in ogni caso mancherebbe qualsiasi prova di un programma generico volto alla commissione di un numero indeterminato di reato di spaccio e mancherebbe la prova della consapevolezza del ricorrente di partecipare ad una associazione. La motivazione della sentenza impugnata su questi argomenti gia' proposti in sede di appello e' la seguente: "l' (OMISSIS) ha reso nei confronti dell'appellante dichiarazioni precise, puntuali, circostanziate, costanti la cui intrinseca credibilita' oggettiva e soggettiva e' stata positivamente valutata dal primo giudice con giudizio pienamente condiviso da questa Corte. Quelle dichiarazioni sono riscontrate in modo individualizzante dalle emergenze delle intercettazioni (riportate e richiamate alle pagg. 252-257 della sentenza impugnata) e, in primo luogo, nella conversazione n. 173 captata il 5 febbraio 2011 a bordo dell'autovettura di (OMISSIS) all'interno della quale vi erano anche (OMISSIS) e (OMISSIS) (conversazione RIT 46/11, progr. n. 173, trascritta in forma peritale)". Nella individuazione dei riscontri esterni la sentenza impugnata richiama anche le "conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS), quelle tra (OMISSIS) e (OMISSIS) aventi ad oggetto un contrasto insorto tra il (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al mancato pagamento di una fornitura di droga e per risolvere il quale viene incaricato da (OMISSIS) proprio (OMISSIS)". Si tratta di motivazione che resiste-alle censure che le vengono mosse nel ricorso. La correttezza sul piano logico del giudizio di credibilita' intrinseca ed attendibilita' estrinseca delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) formulato dai giudici del merito e' stata gia' esaminata nel paragrafo 3.1. di questa sentenza, che affronta l'analogo motivo di ricorso proposto nel ricorso (OMISSIS), si fa rinvio, pertanto, a quanto osservato esaminando tale motivo dl ricorso. La circostanza, poi, che la (OMISSIS) non conoscesse l'imputato non e' idonea a disarticolare il percorso logico della pronuncia impugnata, perche' dimostra soltanto che lo stesso non frequentava il collaboratore nella vita privata, o che lo frequentava in altri ambiti della vita privata del collaboratore ( (OMISSIS) aveva conosciuto l'amante del collaboratore, (OMISSIS)r pure imputata in questo giudizio). E', invece, del tutto irrilevante che non lo conoscesse neanche (OMISSIS), che non e' neanche coimputato nel medesimo reato. In ogni caso, il giudizio della Corte d'appello ha una solida base nella conoscenza e nell'esistenza di accordi commerciali tra il collaboratore e (OMISSIS), che e' attestata dalle conversazioni intercettate in cui gli stessi colloquiano, talche' la deduzione di inattendibilita' del collaboratore perche' l'imputato (OMISSIS) non e' conosciuto da persone a lui vicine si scontra comunque con il dato obiettivo della esistenza di rapporti tra i due soggetti provato da altra fonte di prova. La circostanza poi che non risultino contatti con associati diversi dal collaboratore e da (OMISSIS) non e' di per se' decisivo, in quanto le organizzazioni criminali possono essere strutturate anche secondo modelli in cui il vertice della stessa intrattiene rapporti separati con i diversi associati fungendo da collante ed organizzatore dell'apporto fornito da ciascuno di essi (v. Sentenze n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi n. 14223 del 03/06/1989, Spadano Sez. 2, Sentenza n. 4976 del 17/01/1997, P.M. e Accardo, citate sopra nel paragrafo 3.1.). Il motivo non e' fondato neanche nella parte in cui sostiene l'inesistenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del collaboratore sulla posizione di (OMISSIS). Si e' detto che la Corte d'appello ha ricavato l'esistenza di tali riscontri individualizzanti da diverse conversazioni intercettate, riportate dettagliatamente in sentenza. In ricorso si sostiene che tali conversazioni sono equivoche, ma, in realta', non si ritiene illogico che la Corte d'appello abbia considerato un riscontro individualizzante, ad esempio, la intercettazione ambientale del 5 febbraio 2011 in cui partecipano alla conversazione, oltre a (OMISSIS), il collaboratore e (OMISSIS), nella cui autovettura si svolge la scena, perche' i termini utilizzati dai conversanti sono palesemente quelli di una trattativa commerciale ("pagamento a uno e quattro"; "a seconda, a seconda la quantita'"; "ma mille e quattro e' assai"), per di piu', trattativa commerciale di una merce illecita (perche' per lo scambio viene formulata la proposta di non andare "all'(OMISSIS)...perche' troppe telecamere..."); La circostanza poi che la Corte d'appello abbia valorizzato anche il ruolo specifico che svolgeva (OMISSIS) nel contesto associativo, come soggetto deputato a tenere i profitti del reato (secondo le dichiarazioni del collaboratore), o incaricato della risoluzione delle controversie sui pagamenti (secondo alcune conversazioni intercettate), oltre che rendere evidente il ruolo di (OMISSIS) di fiduciario del capo della organizzazione, rende del tutto logica la conclusione che la Corte trae della consapevole stabile appartenenza dello stesso ad una organizzazione criminale. 4.2. Il secondo motivo e' dedicato alla recidiva. In esso si sostiene che e' stata ritenuta la recidiva infraquinquennale in ragione di una sentenza di condanna, quella dell'(OMISSIS), che pero' non era ancora intervenuta al momento di commissione del reato. Il motivo e' infondato, perche' fraintende il precedente penale di riferimento su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di esistenza della infraquinquennalita' della recidiva. Infatti, nella motivazione della sentenza si legge che "l'appello puo' accolto limitatamente alla ritenuta recidiva che puo' configurarsi soltanto come recidiva infraquinquennale e non anche specifica, posto che alla data del commesso reato l'imputato non aveva ancora riportato condanne in materia di stupefacenti". Proprio perche' la Corte d'appello ha scritto che "alla data del commesso reato l'imputato non aveva ancora riportato condanne in materia di stupefacenti", cio' vuoi dire che la condanna cui ha fatto riferimento per fondare una recidiva infraquinquennale, ma non specifica, non puo' essere quella cui si riferisce il ricorso, ma altra condanna con un oggetto diverso dai reati in materia di cessione di stupefacenti. Ed, in effetti, nel certificato penale dell'imputato si rinviene una condanna del Tribunale di Milano del 24 marzo 2009, irrevocabile il 1 ottobre 2009, per il delitto dell'allora vigente articolo 9, comma 2 L. 27 dicembre 1956; n. 1423, che, in ragione della data in cui si collocano le condotte attribuite all'imputato in questo processo, si presta a fondare un giudizio di infraquinquennalita' (Sez. 2, Sentenza n. 32785 del 13/07/2021, Amadasi, Rv. 281860: ai fini del riconoscimento della recidiva aggravata infraquinquennale il calcolo dei cinque anni va effettuato considerando come "dies a quo" non gia' la data di commissione dell'ultimo delitto antecedente a quello espressivo della recidiva, bensi' quella relativa al passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto il medesimo reato presupposto), ma non un giudizio di specificita' della recidiva, quale quello che, in effetti, la Corte d'appello - rettificando la conclusione cui era giunto il giudice di primo grado che aveva valorizzato la sentenza in materia di spaccio per ritenere la recidiva non solo infraquinquennale ma anche specifica - ha correttamente tratto. 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 5.1. Il primo motivo, dedicato alla responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15, e' infondato. In esso si deduce che vi e' prova che la ricorrente abbia acquistato stupefacente, ma non che lo abbia destinato allo spaccio, in quanto la prova della destinazione allo spaccio consisterebbe soltanto nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), dichiarazioni generiche, e non riscontrate, e si deduce che comunque gli specifici fatti di spaccio contestati alla imputata nei capi da n. 31 a 33 sono commessi nel corso di un solo mese, il che sarebbe in contrasto con la tesi della stabilita' del rapporto associativo. La risposta della Corte d'appello a queste deduzioni difensive e' stata la seguente: "l'impianto probatorio fonda, in primo luogo, sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che l'ha definita persona che "vendeva per noi, per il locale di (OMISSIS) e la maggior parte si riforniva da noi e in piu' era una persona di fiducia", precisando che la (OMISSIS), detta âEuroËœ (OMISSIS)' prendeva la cocaina per rivenderla agli spacciatori, per quelli che âEuroËœspacciavano poi al dettaglio". La sentenza impugnata poi aggiunge che "il collaboratore ha reso nei confronti dell'appellante dichiarazioni precise, puntuali, circostanziate, costanti la cui intrinseca credibilita' oggettiva e soggettiva deve essere positivamente valutata. Quelle dichiarazioni sono riscontrate in modo individualizzante dalle dichiarazioni rese nei confronti dell'imputata da (OMISSIS) che l'ha riconosciuta in foto e l'ha inditata come soggetto che si occupava del settore degli stupefacenti. Ulteriori e plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore sono costituiti dalle intercettazioni effettuate prima che l' (OMISSIS) iniziasse il suo percorso collaborativo e che sono poste anche a fondamento delle contestazioni dei reati fine di cui al capi 31), 32) e 33) della rubrica. Dunque, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, l'adesione dell'imputata al sodalizio non fonda soltanto sull'accertata commissione dei reati fine, quanto su un molto piu' vasto ed articolato materiale probatorio che denota il pieno ed organico inserimento dell'imputata nella associazione in oggetto, l'apporto da lei fornito alla attuazione del programma delinquenziale della associazione medesima e la piena adesione al programma delittuoso". La risposta della sentenza impugnata e' priva di vizi logici ed esente da censure di travisamento delle evidenze probatorie. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' del collaboratore (OMISSIS) e' stato gia' scrutinato al punto 3.1. di questa sentenza, cui, pertanto, si fa rinvio. I riscontri individualizzanti relativi alla posizione di (OMISSIS), individuati dalla sentenza impugnata nelle dichiarazioni di (OMISSIS) ed in alcune conversazioni intercettate, sono esenti dalle censure formulate in ricorso, perche' le dichiarazioni della (OMISSIS) che definisce (OMISSIS) come una persona che si occupava di stupefacenti, oltre che essere certamente individualizzanti, perche' a lei senza alcun dubbio si riferiscono, hanno' un contenuto sufficientemente specifico per essere considerato un riscontro (un riscontro non deve essere una prova autonoma; la prova nei confronti di (OMISSIS) continua ad essere la chiamata in correita' del collaboratore, le dichiarazioni di (OMISSIS) servono soltanto a confermare dall'esterno questa chiamata). Inoltre, le conversazioni intercettate, tra cui soprattutto quella valorizzata dalla sentenza impugnata in cui la imputata pressa il suo interlocutore per ottenere subito la consegna dello stupefacente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona", in base ai canoni della logica, in modo del tutto corretto, sono state ritenute dalla sentenza impugnata prove di una condotta di acquisto nello stupefacente finalizzata alla successiva rivendita senza che, a tal fine, sia necessaria anche la prova della avvenuta traditio. In ordine alla questione del periodo molto breve in cui durano i contatti della (OMISSIS) con gli associati, il che denoterebbe - a giudizio del ricorso - mancanza di stabilita' del rapporto con l'associazione, va osservato che si tratta di una circostanza che, dipendendo, in realta', anche da fattori esterni quali la durata della investigazione e della osservazione della imputata, in modo non illogico e' stata ritenuta non decisiva, atteso che in ogni caso "in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell'"affectio" di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato" (Sez. 6, Sentenza n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122). In definitiva, il giudice della Corte d'appello di credibilita' del collaboratore, attendibilita' delle sue dichiarazioni ed esistenza di riscontri esterni individualizzanti alle sue dichiarazioni sulla posizione di (OMISSIS) e' esente da vizi logici, ed il motivo di ricorso deve essere rigettato. 5.2. Il secondo motivo, dedicato, a quanto e' dato di capire, alla responsabilita' per il reato-fine del capo n, 31 (il ricorso non indica in modo chiaro il capo della decisione impugnato, ma lo si puo' desumere a contrario dalla circostanza che la difesa precisa espressamente di non impugnare la condanna per i capi nn. 32 e 33), e' infondato. In esso si riprende un argomento gia' proposto nel precedente motivo di ricorso, e si sostiene che la responsabilita' per questo singolo episodio e' stata tratta da una conversazione di per se' equivoca, che da' conto del fatto che la ricorrente abbia acquistato stupefacente ma non che lo abbia anche venduto, perche' la frase in cui la stessa chiedeva una consegna urgente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona" non e' prova di spaccio in mancanza di riscontro successivo sull'avvenuta traditio. Come si e' gia' detto al punto precedente, una conversazione, quale quella valorizzita dalla sentenza impugnata, in cui la imputata pressa il suo interlocutore per ottenere subito la consegna dello stupefacente perche' "tra un'ora mi viene qua la persona", in base ai canoni della logica, in modo del tutto corretto e' stata ritenuta dalla sentenza impugnata prova di una condotta di acquisto dello stupefacente finalizzata alla successiva rivendita, in presenza, peraltro, di dichiarazioni del collaboratore che riferisce che la imputata vendeva per conto dell'organizzazione, talche' la conclusione della sentenza impugnata che le conversazioni abbiano "univoco e chiarissimo significato e dimostrano, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che la (OMISSIS) ha trattato con (OMISSIS) l'acquisto di sostanza stupefacente destinata alla cessione a terzi e di cui l'imputata aveva la disponibilita'" e' esente da vizi logici. 5.3. Il terzo motivo lamenta omessa motivazione sulla richiesta di riqualificare i fatti nella fattispecie dell'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in quanto la risposta della Corte d'appello che si tratterebbe di "notevoli quantitativi" e' una mera clausola di stile. Il motivo e' manifestamente infondato. La motivazione della pronuncia di appello sul punto e' la seguente: "non puo' essere ritenuta l'ipotesi del comma 5 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 in considerazione del fatto che si e' trattato di una pluralita' di condotte, concentrate in un ristretto ambito temporale e geografico e connotate da identiche modalita' operative, di cessione di sostanze i cui notevoli quantitativi erano gestiti da una rete di soggetti che facevano capo, quale referente, all'imputata che, secondo le dichiarazioni dell' (OMISSIS) si approvvig39Ionava dalla locale di (OMISSIS) e vendeva la droga disponendo, sostanzialmente, di una rete di spacciatori al dettaglio". Il motivo di ricorso aggredisce questa parte della sentenza sostenendo che il controllo del giudice avrebbe dovuto concentrarsi sulle imputazioni contestate a (OMISSIS), ne avrebbe concluso che si tratta di vendita di piccole quantita' di stupefacente al dettaglio. In realta', non e' illogico che la pronuncia impugnata abbia valutato la condotta della ricorrente inserendola all'interno del contesto organizzativo in cui era inserita, e quindi alla sua vicinanza all'organizzazione criminale che le forniva lo stupefacente, nonche' alla sua capacita' di creare una rete organizzata di rivenditori al dettaglio per provvedere allo smercio dello stesso. Sul punto la pronuncia ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimita' che attribuisce rilievo ai fini del riconoscimento del reato di cui all'articolo 73, comma 5 alle relazioni dell'agente con il mercato di riferimento ed alla rete organizzativa in cui lo stesso e' inserito (Sez. 4, Sentenza n. 476 del 25/11/2021, dep. 2022, Quaranta, Rv. 282704: In tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della qualificazione dei singoli reati scopo come ipotesi di lieve entita' di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, puo' tenersi conto del dato quantitativo relativo agli approvvig39Ionamenti del gruppo, quale indice della finalizzazione degli stessi alla commissione di fatti non riconducibili allo spaccio di lieve entita', fatta salva l'autonomia della valutazione complessiva della pericolosita' delle singole condotte di cessione sulla base di tutti gli altri indici disponibili; Sez. 3, Sentenza n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera, Rv. 269149: In materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralita' di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entita', entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dall'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che e' legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita' qualora la singola cessione di una quantita' modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'autore di diffondere in modo non episodico, ne' occas39Ionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita' della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita' volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu' ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva). 5.4. Il quarto motivo, dedicato all'aggravante del comma 3 dell'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e' infondato. In esso si sostiene che non e' possibile applicare anche al tossicodipendente partecipe di una associazione ex articolo 74 l'aumento di pena previsto per chi utilizza dei tossicodipendenti nella struttura dell'associazione. La sentenza impugnata risponde a tale motivo di appello sostenendo che: "detta aggravante e' configurabile anche nei confronti dell'associato tossicodipendente, in quanto il requisito oggettivo di applicabilita' della circostanza e' esclusivamente costituito dal fatto che tra i partecipanti all'associazione vi siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti, in considerazione della maggiore pericolosita' sociale di un'organizzazione criminosa che si avvalga della partecipazione di tossicodipendenti". La risposta della Corte d'appello e' conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto che "in materia di associazione finalizzata al traffico di droga, l'aggravante prevista dall'articolo 74, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e' configurabile anche nei confronti dell'associato tossicodipendente, in quanto il requisito oggettivo di applicabilita' della circostanza e' esclusivamente costituito dal fatto che tra i partecipanti all'associazione vi siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti, in considerazione della maggiore pericolosita' sociale di un'organizzazione criminosa che si avvalga della Partecipazione di tossicodipendenti" (Sez. 6, Sentenza n. 13749 del 24/02/202, FeiMeri, Rv. 281499; Sez. 2, Sentenza n. 48924 del 11/10/2016, Adduci, Rv. 268527). La motivazione della Corte di appello resiste, pertanto, alle censure che le sono rivolte ed il relativo motivo di ricorso deve essere giudicato infondato. 6. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 6.1. Il primo motivo e' dedicato alla responsabilita' per il reato associativo del capo n. 15. In esso si evidenzia che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) sono inattendibili, che le intercettazioni costituiscono prova solo dei reati-fine, che di per se' non sono sufficienti a ritenere provata anche l'associazione, di cui mancherebbero sufficiente stabilita' e programma criminoso. Il motivo non e' fondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' ed attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e' stato gia' vagliato al punto 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. La Corte d'appello ha poi risposto anche alla deduzione contenuta nel motivo di appello, e riproposta in quello di ricorso, secondo cui le dichiarazioni di (OMISSIS), le intercettazioni e gli ulteriori elementi di prova non restituirebbero comunque la prova dell'esistenza di una struttura associativa, ma, al piu', soltanto di reati-fine. La sentenza impugnata risponde nella parte generale, dedicata alla preliminare ricognizione dell'esistenza o meno di una struttura associativa, ed afferma che "dall'istruttoria dibattimentale e' emerso che il programma delittuoso della "locale" di (OMISSIS) comprendeva anche il traffico di sostanze stupefacenti, di varia natura e tipologia, che veniva svolto in maniera stabile e profess39Ionale attraverso una struttura organizzativa a cio' preposta, la quale si sovrapponeva, distinguendosene, dalla parallela associazione âEuroËœndranghetistica di cui costituiva, appunto, una diversa forma di manifestazione, aventi precise e peculiari caratteristiche, oltre che uno specifico campo di azione. Tale struttura operava, infatti, non solo in quella porzione del territorio calabrese soggetta alla influenza del locale di (OMISSIS) (e quindi nell'area geografica c.d. (OMISSIS), a. cavallo tra le provincie di (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma anche in Lombardia e precisamente nel Comune di (OMISSIS) ove, per lungo tempo, (OMISSIS) ha vissuto ed operato, nonche' nella citta' di (OMISSIS)". E' una conclusione coerente con le risultanze dell'istruttoria; e' vero, infatti, che da esse si puo' correttamente desumere che l'organizzazione era incentrata su (OMISSIS) e sulle persone che gli ruotavano attorno, ma, come rileva in modo del tutto logico la stessa Corte d'appello, un'associazione finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti non richiede una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevole disponibilita' economica e di imponenti strumenti operativi, essendo sufficiente l'esistenza di strutture sia pure rudimentali deducibili dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune. Nel caso in esame, nel senso della esistenza di una struttura organizzativa non e' illogico siano stati valorizzati nelle sentenze dei giudici del merito la durata prolungata dei contatti tra gli associati, l'esistenza o' di piu' fonti di approvvig39Ionamento, l'esistenza di piu' luoghi di spaccio, l'esistenza di diversi corrieri, la centralizzazione della destinazione dei proventi che finivano al contabile deputato a tenere i soldi. In questo contesto non e', pertanto, illogico che la sentenza impugnata abbia ritenuto rag (OMISSIS) la prova dell'esistenza di una stabile struttura organizzativa. 6.2. Il secondo motivo e' dedicato al mancato riconoscimento della ipotesi lieve del comma 6 dell'articolo 74 per il reato associativo del capo n. 15. In esso si deduce che lo stesso collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha parlato nelle dichiarazioni rese di quantita' di stupefacente che di volta in volta erano pari a qualche chilogrammo, e che nella stessa imputazione si parla di quantita' imprecisate; si aggiunge che la associazione aveva una scarsa struttura utilizzando autovetture occas39Ionali, che l'unica modalita' di vendita provata era quella al minuto, indice di scarsa capacita' criminale, che mancava una cassa comune, che mancava la capacita' di incidere sul territorio di (OMISSIS) ove erano operanti ben altre organizzazioni. Il motivo non e' fondato. La motivazione della sentenza impugnata sul punto respinge l'analogo motivo di appello "in considerazione della capacita' operativa, dell'articolata organizzazione, della capacita' di approvvig39Ionamento continuo e sistematico di sostanze stupefacenti di diversa qualita', dell'articolato organigramma del gruppo, della posizione di controllo del mercato evidenziate dall'associazione in esame". La motivazione e' conforme alla giurisprudenza di legittimita', ed e' anzi sovrabbondante rispetto a cio' che richiede la stessa, che ammette l'attenuante del comma 6 solo per le associazioni che trafficano soltanto quantita' di stupefacente che rientrino nei limiti del comma 5 dell'articolo 73, ovvero, in definitiva, piccole strutture organizzate di spacciatori al dettaglio (Sez. 6, Sentenza n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, PG in proc. Degli Angioli, Rv. 278098: "in tema di stupefacenti, la fattispecie associativa prevista dall'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e' configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che., in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per l'associazione minore, evidenziando che il sodalizio si riforniva di eroina, sempre presso gli stessi fornitori, per quantitativi non eccedenti i 100 gr. per volta, in quanto non aveva capacita' finanziaria per acquisti maggiori, che non spacciava sostanze di tipo diverso, che non aveva, sul territorio di riferimento, una posizione di controllo del mercato, che presentava un organigramma estremamente ridotto e che gli associati erano gia' stati condannati in primo grado per fatti di droga di lieve entita'; conformi Sez. 3, Sentenza n. 44837 del 06/02/2018, Caprioli, Rv. 274696; Sez. 4, Sentenza n. 53568 del 05/10/2017, PG in proc. Perdo, Rv. 271708). Nel caso in esame, le quantita' di stupefacente che, secondo la stessa prospettazione contenuta nelle dichiarazioni di (OMISSIS) evidenziate in ricorso, si risolvevano in qualche chilogrammo alla volta sono gia' di per se' incompatibili con il riconoscimento della ipotesi lieve, che appare correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata del tutto estraneo al gruppo criminoso oggetto di esame. 6.3. Il terzo motivo contesta il giudizio della Corte d'appello di riconoscimento della partecipazione del ricorrente all'associazione del capo n. 15. In esso si sostiene che risulta dagli atti che il ricorrente ha avuto rapporti con alcuni dei coimputati solo per un periodo breve di circa cinque mesi tra dicembre 2010 e maggio 2011, insufficiente a ritenere la stabilita' della collaborazione con l'associazione, che le dichiarazioni del collaboratore a suo carico sono generiche ed inattendibili, che si tratta di un collaboratore gia' giudicato inattendibile in altri processi, che dalle conversazioni intercettate non emergono riscontri. Il motivo non e' fondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' ed attendibilita' delle dichiarazioni del collaboratore e' stato gia' scrutinato in altra parte della sentenza, paragrafo 3.1., cui si fa rinvio. La sentenza resiste anche alla censura di genericita' delle dichiarazioni del collaboratore su (OMISSIS), perche' in presenza di dichiarazioni quali quelle indicate in sentenza (lo stesso "faceva da corriere", "era a disposizione sempre di noi, in, qualunque occasione, all'occorrenza lo mandavamo a chiamare" "sapevo che macchine sue non ne aveva, macchine sue non ne ha mai avute.. Ha sempre avuto macchine o di (OMISSIS) o mie o via dicendo. Le mettevamo noi a disposizione"), non e' illogico che la Corte d'appello le abbia considerate sufficientemente specifiche per fondare un giudizio di responsabilita'. Il ricorso contesta poi che sulla posizione di (OMISSIS) vi siano riscontri individualizzanti. La Corte d'appello ha ritenuto, invece, l'esistenza di tali riscontri, in particolare affermando che: "plurimi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore sono costituiti dalle intercettazioni effettuate e poste a. fondamento delle contestazioni dei reati fine di cui al capo 32) per il quale l'imputato e' stato condannato, ed al capo 34) per il quale e' stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione"; la sentenza impugnata aggiunge che riscontri individualizzanti si rinvengono anche nelle intercettazioni che dimostrerebbero "gli organici collegamenti del (OMISSIS) con altri componenti di rilievo del sodalizio e fra questi con (OMISSIS), indicato dall' (OMISSIS) come il sodale con cui il (OMISSIS) era solito relaz39Ionarsi, con (OMISSIS), con (OMISSIS), detto (OMISSIS), con (OMISSIS) e con (OMISSIS) le cui posizioni sono state definite con il rito abbreviato, con (OMISSIS)", nonche' "nei viaggi fatti dal (OMISSIS) in (OMISSIS) e in (OMISSIS) e dei quali ha riferito il collaboratore (OMISSIS), emergono dalle intercettazioni, in particolare dalle conversazioni captate il 23 ed il 25 febbraio 2011". In ricorso si sostiene che i viaggi in (OMISSIS) di cui l'imputato e' accusato avevano, in realta', finalita' private perche' di essi ne parlava con la figlia, mentre non ne ha mai parlato con gli associati, ma si tratta di deduzione che non e' in grado di scalfire le considerazioni effettuate nella sentenza impugnata; se il collaboratore dichiara che l'imputato si recava in (OMISSIS) per rifornire l'organizzazione di stupefacente, la circostanza che sia provato che il collaboratore effettivamente si e' recato in (OMISSIS) nel periodo indicato costituisce riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni del collaboratore, qualunque fosse lo scopo del viaggio, che peraltro poteva avere anche una doppia natura, personale e collegata agli scopi associativi. In ricorso si sostiene che la conoscenza di (OMISSIS) con il collaboratore di giustizia (OMISSIS) deriva dall'averlo ospitato in (OMISSIS) soltanto per fare un favore al comune amico (OMISSIS), ma si tratta di affermazione a sua volta non in grado di incidere sull'impianto accusatorio, perche' non e' importante quale sia stata l'origine del rapporto personale, costituendo riscontro, invece, la circostanza che le due persone si siano effettivamente conosciute e frequentate nei luoghi in cui vengono indicate essere state poste in essere le condotte criminose. In ricorso si sostiene che non e' un riscontro della partecipazione alla struttura associativa l'essersi prestato in una circostanza a difendere il suo amico (OMISSIS) ed in un'altra ad aiutare (OMISSIS) a recuperare un credito di 3.000 Euro, ma, in realta', si tratta di ulteriori circostanze idonee ad essere utilizzate come riscontri, in quanto nella sistematica della citata pronuncia delle Sezioni Unite Aquilina gli elementi che possono essere assunti come riscontro esterno sono liberi; in essa si legge, infatti, che "quanto alla tipologia e all'oggetto dei riscontri, la genericita' dell'espressione "altri elementi di prova" utilizzata dall'articolo 192, comma 3, c.p.p. legittima l'interpretazione secondo cui, in subiecta materia, vige il principio della "liberta' dei riscontri", nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualita', possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialita' logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma". In definitiva, non e' illogico che nel percorso argomentativo della Corte di appello siano state valorizzate come riscontro esterno alle dichiarazioni eteroaccusatorie di (OMISSIS) le conversazioni captate nel corso delle intercettazioni in cui e' lo stesso (OMISSIS) a parlare ed a pronunciare frasi, quali, ad esempio, "e' una merda questa roba te l'avevo gia' detto" "Ti porto l'altra", o la conversazione captata sulla Mercedes Classe A targata (OMISSIS) in uso ad (OMISSIS), in cui (OMISSIS) riferisce di essere stato fermato dalla polizia in Germania per un controllo assicurativo, il che e' ulteriOre conferma delle dichiarazioni di (OMISSIS) sul fatto che (OMISSIS) facesse da corriere e che usasse autovetture messe a disposizione dall'organizzazione. La conclusione della sentenza impugnata sulla partecipazione di (OMISSIS) alla associazione e', pertanto, immune da vizi logici e supera le censure che le sono state mosse. 6.4. Il quarto motivo e' dedicato al riconoscimento della responsabilita', in concorso, per il reato-fine del capo n. 32. In esso si deduce che sulla base degli indici dettati dalla giurisprudenza in tema di c.d. âEuroËœdroga parlata', non puo' dirsi pienamente provata ne' la disponibilita' della sostanza stupefacente, ne' l'effettiva consegna dello stesso. Il motivo non e' fondato. La Corte d'appello risponde a questo argomento difensivo, affermando che: "dalle conversazioni intercorse tra la (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge con chiarezza che i due facevano riferimento a transazioni positivamente concluse, comprovando il loro pregresso possesso di quantitativi destinati allo spaccio; cio' si desume agevolmente dalle interlocuzioni utilizzate e dal tenore volutamente, quanto inutilmente, criptico delle conversazioni nelle quali si parlava di "quarantino", di qualita', di assaggi, di soldi, in un contesto al quale non puo' attribuirsi nessun significato diverso da quello posto a base dell'impostazione accusatoria". Si tratta di una conclusione che e' conforme alle regole di valutazione della prova di cui all'articolo 192 c.p.p.; la circostanza che gli interlocutori parlino di "assaggi" vuole, infatti, dire che hanno avuto reale disponibilita' della sostanza; la circostanza che parlino di denaro vuol dire anche che l'hanno venduta, perche' il fornitore deve essere poi pagato in qualche modo. Pur nella condivisibilita' dell'impostazione su cui e' fondato il motivo di ricorso che evidenzia la natura indiziaria di questa accusa che dipende essenzialmente dalle intercettazioni, e che non trova riscontro in consequenziali sequestri dello stupefacente, non e' illogico che, in conformita' d'altronde ad indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. 2, Sentenza n. 53615 del 20/10/2016, Buonvi.cino, Rv. 268710: la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti puo' essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche dal contenuto di conversazioni intercettate), la sentenza impugnata abbia ritenuto questo materiale probatorio costituire gli indizi gravi, precisi e'concordanti dell'articolo 192, comma 2, c.p.p., da cui ha desunto la responsabilita' dell'imputato anche per questo reato-fine. Il motivo e', pertanto, infondato. 6.5. Il quinto motivo contesta la mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti che lo stupefacente oggetto di spaccio sia proprio cocaina, come scritto in imputazione. Il motivo e' infondato. La motivazione della sentenza impugnata e' la seguente: "il riferimento a soldi, qualita' e "quarantino" sono tutti elementi che non lasciano dubbi in ordine al fatto che i contatti tra i due soggetti avessero ad oggetto sostanza stupefacente che, dal prezzo indicato nelle conversazioni medesime, era evidentemente droga pesante della natura indicata nel capo di Imputazione". In ricorso si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe tratto la prova dal fatto che si parla di "assaggi" anche se qualsiasi stupefacente puo' essere assaggiato, e che anche il riferimento al denaro non e' univoco, mentre non si comprende da quale elemento probatorio derivi la conclusione che si tratta di cocaina. In realta', l'elemento decisivo da cui la sentenza impugnata ha desunto la natura della sostanza e' il prezzo pagato ("dal prezzo indicato nelle conversazioni medesime era evidentemente droga pesante") e dedurre la natura di una sostanza stupefacente dal prezzo del denaro cui viene contrattato non e' una conclusione illogica, mentre resta questione di fatto che esula dai poteri del giudice di legittimita', per il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (per una riproposizione recente v. Sez.,5, Sentenza n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370), la rilettura della valutazione della Corte d'appello sul prezzo dello stupefacente, in quanto elemento di fatto posto a fondamento della decisione. 6.6. Il sesto motivo contesta la mancata derubricazione del fatto di cui al capo n. 32 nella ipotesi degli articoli 73, commi 1 e 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, evidenziando che non vi e' prova in atti, oltre che della tipologia, anche della quantita' dello stupefacente oggetto di spaccio, e quindi, in mancanza di prova, avrebbe dovuto essere applicata la ipotesi piu' favorevole del comma 5 dell'articolo 73. Il motivo e' infondato. La sentenza impugnata aveva escluso la possibilita' di riconoscere il fatto di lieve entita' sostenendo che "si e' trattato di una pluralita' di condotte, concentrate in un ristretto ambito temporale e geografico e connotate da identiche modalita' operative, di cessione di sostanze i cui notevoli quantitativi erano gestiti da una rete di soggetti che facevano capo, quale referente, anche all'imputato che, secondo le dichiarazioni dell' (OMISSIS) si approvvig39Ionava all'estero di grossi quantitativi di sostanza stupefacente di tipo pesante". Si tratta di risposta che e' congruente con le risultanze dell'istruttoria, e, quindi non suscettibile di essere censurata per travisamento, in quanto che si tratti di una pluralita' di condotte, e non di un singolo fatto di spaccio, emerge con evidenza dalle intercettazioni che riguardano diverse giornate e diverse contrattazioni. In un contesto di questo tipo non e', pertanto, illogica una motivazione quale quella della pronuncia impugnata che ha escluso la possibilita' che si trattasse di quantitativi o comunque di condotte idonee a rientrare nella lieve entita'. 6.7. Il settimo motivo e' dedicato al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. In ricorso si evidenzia che a sostegno della richiesta deporrebbero la condotta di vita anteatta, immune da precedenti, e la marginalita' del ruolo del ricorrente. La sentenza impugnata ha ritenuto di non riconoscere le attenuanti in quanto "non sono rilevabili elementi di segno positivo idonei a determinare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche richieste". In ricorso si individuano questi motivi nella marginalita' del ruolo del ricorrente, che pero' e' autoriferito, in quanto (OMISSIS), quale corriere che andava a prelevare droga all'estero, svolgeva una funzione essenziale nel contesto della operativita' della organizzazione. Inoltre, la condotta di vita anteatta non e' un parametro di valutazione sufficiente alla concessione delle attenuanti generiche in presenza di una norma quale quella dell'articolo 62-bis, comma 3, c.p. che prevede la impossibilita' di Motivare la concessione delle attenuanti generiche soltanto per la mancanza di condanne penali. In definitiva, il motivo di ricorso e' infondato. 7. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 7.1. Il primo motivo deduce vizio di motivazione cori riferimento alla identificazione del ricorrente nell'interlocutore di alcune delle telefonate intercettate; in esso si sostiene che il Tribunale si sarebbe limitato a dare incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito anche incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti, e che, pur se e' vero che il precedente difensore aveva in primo grado dato il consenso all'utilizzo delle schede della polizia giudiziaria sulla identificazione dei chiamanti, il consenso non puo', pero', riguardare il metodo con cui la stessa p.g. era arrivata alla identificazione, che era errato, illogico ed aberrante. Si censura anche una annotazione integrativa redatta il 17 aprile 2018, giorno successivo alla annotazione sui criteri di identificazione, ed in cui un vice ispettore di polizia riferisce di aver riconosciuto in quella dell'imputato una voce di una conversazione di cinque anni prima. Il motivo e' inammissibile. Dalla lettura dello stesso ricorso si comprende che il Tribunale ha dato incarico per la trascrizione delle conversazioni ma non ha conferito incarico per la perizia fonica per la identificazione dei chiamanti, perche' la difesa dell'imputato aveva accettato le schede di identificazione redatte dalla polizia giudiziaria. A seguito del cambiamento del difensore, nel corso della discussione in appello (quindi, non come motivo di appello, ma in una fase inoltrata del giudizio di appello) il nuovo difensore aveva chiesto di introdurre una consulenza fonica per sostenere che la voce che si ascoltava nelle intercettazioni non era quella dell'imputato. La Corte d'appello ha respinto la richiesta di acquisizione della consulenza fonica con la seguente motivazione: "nel giudizio di primo grado il difensore ha prestato il consenso all'acquisizione della nota n. 359/207-8-2008 del 31.3.2019 dei Carabinieri procedenti contenente l'indicazione, nelle varie conversazioni trascritte in forma peritale, dei nomi dei soggetti parlanti gia' identificati con le schede acquisite e cio' al fine di rendere maggiormente intellegibile il contenuto dell'elaborato peritale (v. pag. 33 della sentenza appellata); dunque, la difesa non ha mai contestato l'identificazione dei conversanti effettuata dalla polizia giudiziaria, ne' ha richiesto una perizia fonica nel giudizio di primo grado, ne' in quello di appello, anzi, ha acconsentito all'acquisizione delle schede redatte dalla p.g. e relative alle voci dei conversanti prestando, in tal modo, il consenso all'identificazione effettuata dalla p.g., ne' ha sollevato eccezioni nel corso delle operazioni peritali di trascrizione delle intercettazioni svolte nel contraddittorio tra le parti". Nel motivo di ricorso la richiesta di acquisizione della consulenza fonica presentata in appello si e' trasformata in vizio della pronuncia di secondo grado per travisamento delle risultanze probatorie in punto di identificazione del ricorrente come uno degli interlocutori delle conversazioni contestate. Il motivo, pero', e' inammissibile, perche' non proposto contro la sentenza di primo grado, che a questo punto doveva, secondo lo stesso percorso logico della difesa, essere portatrice del medesimo vizio. Ne' un motivo di appello non presentato a suo tempo puo' essere recuperato attraverso una richiesta di ingresso nel giudizio di appello di una prova quale la consulenza fonica in esame (ed il rigetto della stessa), perche' il rigetto della richiesta di acquisizione e' neutro ai fini del travisamento, peraltro predicato in modo del tutto generico ed apodittico, che, se vi e' stato, risale a questo punto al giudizio di primo grado. In ogni caso, va osservato che "nel giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia puo' essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Fattispecie relativa alla richiesta di rinnovazione della perizia sulla capacita' del testimone ex articolo 196 c.p.p., in cui la S.C. ha precisato che la valutazione discrez39Ionale del giudice di appello sulla predetta richiesta, se logicamente e congruamente motivata, e' incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto" (Sez. 3, Sentenza n. 7259 del 30/11/2017, dep. 2018, S., Rv. 273653). 7.2. Il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in punto di esistenza di una associazione di cui all'articolo 416-bis c.p. e di partecipazione alla stessa del ricorrente. La esistenza di una associazione criminale in (OMISSIS), come articolazione locale di âEuroËœndrangheta, e' stata ricavata dalla Corte d'appello dalle sentenze gia' passate in giudicato che l'hanno attestata. La sentenza impugnata Scrive che: "sono numerose le sentenze, oggi definitive, prodotte dal P.M. nel giudizio di primo grado che hanno riconosciuto la nascita a partire dagli anni âEuroËœ80 e l'esistenza fino all'anno 2005 del sodalizio di âEuroËœndrangheta stanziato sul territorio di (OMISSIS) e comuni limitrofi ((OMISSIS)) inizialmente denominato "(OMISSIS)", con a capo (OMISSIS), con il quale si pone in continuita' quello operante negli anni successivi denominato "Locale di (OMISSIS)" con a capo (OMISSIS)". La pronuncia di primo grado e' piu' dettagliata e riferisce delle sorti di questo locale di (OMISSIS) dagli anni âEuroËœ80 sotto la guida di (OMISSIS), della successiva violenta faida che aveva portato il locale ad essere prima sospeso e poi riattivato sotto la guida di (OMISSIS). Il motivo di ricorso ritiene, invece, che (OMISSIS) non sia mai stato un capo della locale e sostiene siano state sottovalutate le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) che non riconoscono (OMISSIS) come capo di questo locale. La Corte d'appello risponde a questo motivo mediante il rinvio alla parte generale della sentenza impugnata, in cui evidenzia che la riattivazione di una locale in (OMISSIS) guidata da (OMISSIS) e' attestata, in particolare, dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 18 luglio 2013, irrevocabile il 17 febbraio 2015. In questo contesto non e' illogico che la sentenza impugnata abbia attribuito rilievo subvalente alle dichiarazioni dei due collaboratori citati nel motivo di ricorso. Va aggiunto che (OMISSIS) inizia a collaborare dopo essere stato attinto da ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti in data 20 dicembre 2011 dal Tribunale di Catanzaro proprio per associazione ex articolo 416-bis c.p. quale capo locale della locale di (OMISSIS), cio' ad evidenziare che la prospettazione dell'esistenza di un locale a (OMISSIS) con a capo (OMISSIS) precede la collaborazione e non dipende solo dalle dichiarazioni del collaboratore. Va anche aggiunto che, almeno nel percorso logico della sentenza di primo grado, sono assunti come riscontri esterni alle dichiarazioni di (OMISSIS) anche i numerosi sequestri che portano a rinvenire in un casolare in un agro collinare, in due abitazioni, diverse armi comuni da sparo, una anche con matricola abrasa, una con il calcio tagliato all'altezza dell'impugnatura, e numerose cartucce, anche a pallettoni. Nel percorso logico della pronuncia sia di primo che di secondo grado, inoltre, hanno il rilievo di riscontri all'esistenza dell'associazione anche le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che con un ruolo diverso pure ha confermato l'esistenza nel periodo in esame nel territorio di competenza di una struttura organizzativa criminale della tipologia di quelle di âEuroËœndrangheta. Il motivo di ricorso evidenzia che (OMISSIS) fatica a riconoscere in fotografia (OMISSIS), ma questo non incide sul percorso logico.della pronuncia impugnata, che valorizza la conoscenza che (OMISSIS) ha delle attivita' criminali del gruppo oggetto di investigazione (" (OMISSIS), organicamente inserito proprio nella âEuroËœndrina di (OMISSIS) e, quindi, a perfetta conoscenza di tutte le attivita' criminali svolte dall'imputato in seno a tale sodalizio, il quale ha riconosciuto l'importanza e il ruolo apicale ricoperto dall'appellante in seno al "gruppo dei (OMISSIS)" (pag. 31). Fa parte del percorso logico della sentenza impugnata anche la circostanza che (OMISSIS) abbia riferito in giudizio "delle attivita' di imposizione dei "servizi di ordine e sicurezza" poste in essere dallo (OMISSIS), unitamente a suo fratello (OMISSIS)" (sempre pag. 31 della sentenza), e "dei rapporti che l'imputato manteneva con gli (OMISSIS) di (OMISSIS)" (ancora pag. 31 della sentenza). Il motivo di ricorso si sofferma anche sulla questione della presenza dello (OMISSIS) alla riunione di (OMISSIS), sostiene che essa era indetta non per riti di affiliazione ma per risolvere problematiche insorte sul territorio, e che (OMISSIS) potrebbe essersi recato ad essa solo quale accompagnatore, aggiunge anche che il collaboratore (OMISSIS) ha riferito di non ricordare se in quell'occasione (OMISSIS) sia stato o meno battezzato. In realta', la circostanza che la riunione di (OMISSIS) sia stata indetta per risolvere problematiche insorte sul territorio e' introdotta in ricorso in violazione del principio di autosufficienza, cosi' come quella che (OMISSIS) possa essersi recato ad essa quale accompagnatore. La circostanza che in essa sia stato battezzato e' affrontata dalla pronuncia di appello che risponde a questo rilievo, rilevando "che il collaboratore (OMISSIS) ha riferito anche della formale affiliazione dello (OMISSIS) avvenuta nel corso di una riunione in (OMISSIS)" (pag. 33 della sentenza). Il motivo di ricorso evidenzia che (OMISSIS) abbia definito lo (OMISSIS) come un "bravo ragazzo", ma si tratta di rilievo non sufficiente a contrastare le considerazioni espresse dalla pronuncia impugnata, che sul punto evidenzia che "anche le dichiarazioni rese dalla testimone (OMISSIS) sono perfettamente convergenti con le accuse di "azionista e sodale di estrema fiducia" mosse all'imputato dall' (OMISSIS), in particolare con riferimento alla cena svoltasi dopo l'omicidio (OMISSIS) alla quale aveva preso parte anche lo (OMISSIS)" (pag. 31 della sentenza impugnata), dichiarazione che il ricorso illogicamente svaluta affermando sia stata effettuata solo dopo contestazione del pubblico ministero, e che la pronuncia impugnata mette in relazione con una conversazione intercettata "nel corso della quale il (OMISSIS) individuava nello (OMISSIS) il killer che aveva ucciso, insieme ad (OMISSIS), il (OMISSIS)" (sempre pag. 31). Il motivo di ricorso contesta anche che vi sia stata messa a disposizione del ricorrente nei confronti della struttura criminale, ma l'argomento non e' coerente con il contenuto della motivazione della pronuncia della Corte d'appello, che non parla mai di messa a disposizione con riferimento a (OMISSIS), soggetto che, almeno nella prospettazione recepita dalle pronunce di merito, era la persona che teneva i rapporti con i clan territoriali limitrofi, che riceveva il provento delle estorsioni nel territorio di competenza, che e' stato chiamato a collaborare alla realizzazione di un omicidio, e che piu' che essersi semplicemente messo a disposizione ha preso concretamente parte in modo stabile alle attivita' dell'organizzazione criminale. Nella sentenza impugnata vi sono, inoltre, alcuni ulteriori passaggi della motivazione che pure sostengono la decisione, e che non sono aggrediti in ricorso, quale il riferimento alla "conversazione del 23 dicembre 2008, intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (sodale gia' condannato anche per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p. nel separato giudizio abbreviato) conversazione nel corso della quale lo (OMISSIS), al tempo detenuto, viene chiaramente indicato come il sodale piu' autorevole di (OMISSIS), tanto e' vero che (OMISSIS) dice ad (OMISSIS) che avrebbe atteso la sua scarcerazione prima di riorganizzare le attivita' sul territorio" (pag. 32 della sentenza impugnata), o il riferimento alle "intercettazioni relative alle vicende estorsive di cui ai capi 12) e 14) e che confermano la fattiva commissione da parte dell'imputato di azioni finalizzate ad attuare i programmi delinquenziali delle associazioni, programmi che prevedevano, fra l'altro, proprio l'imposizione del servizio di security ai titolari di locali ubicati sul territorio" (pag. 32 della sentenza impugnata), nonche' il riferimento ad "ulteriori conversazioni dalle quali emerge, come lo (OMISSIS) fosse ritenuto sul territorio di (OMISSIS) il capo assoluto, l'autorita' alla quale appellarsi per risolvere problemi di varia natura ed origine" (sempre pag. 32), nonche' il riferimento alle "risultanze di alcune specifiche attivita' di-o.c.p. e di video sorveglianza, sulle quali hanno riferito in dibattimento i testi di p.g., eseguite nella fase delle indagini e che hanno permesso di documentare, non solo un importante summit di mafia verificatosi nel mese di luglio del 2013 nella zona (OMISSIS) denominata Localita' (OMISSIS), ma anche di seguire in diretta quelle visite agli (OMISSIS) e quegli incontri con (OMISSIS) e con altri esponenti dell'omonima cosca, riferiti da (OMISSIS), che lo (OMISSIS) era solito effettuare presso il bar di (OMISSIS)" (sempre pag. 32). Non confrontandosi in modo completo con il contenuto della pronuncia impugnata, il motivo di ricorso deve essere, pertanto, per questa parte, giudicato inammissibile per difetto del requisito di specificita'. 7.3. Il terzo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., perche' l'associazione e' stata ritenuta armata nonostante non vi fosse prova della disponibilita' di armi. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ha risposto a questo motivo rilevando che l'organizzazione disponeva sicuramente di armi, in quanto nella conversazione ambientale intercettata tra (OMISSIS) Saverio e (OMISSIS) si e' fatto riferimento all'imputato quale esecutore materiale dell'efferato omicidio (OMISSIS) e che il collaboratore (OMISSIS) e la testimone di giustizia (OMISSIS) hanno indicato lo (OMISSIS) come uno dei sodali preposti all'esecuzione dei piani omicidiari dell'associazione capeggiata dall' (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si contesta che (OMISSIS) possa essere associato all'omicidio in questione, e che comunque nelle intercettazioni non vi e' traccia dell'utilizzo di armi ad opera dell'organizzazione. Il motivo non e' fondato, perche' la disponibilita' di armi in capo all'organizzazione e' provato in modo diretto dalle perquisizioni e sequestri, descritti partitamente nella sentenza di primo grado alle pagine 68 e 69 in cui, nei luoghi indicati da (OMISSIS), sono state rinvenute effettivamente delle armi da sparo e delle cartucce. La disponibilita' di armi in capo all'organizzazione e' anche provato in modo indiziario dalla commissione ad opera della stessa di fatti di sangue, in particolare dagli omicidi di cui si e' autoaccusato (OMISSIS) quale esecutore materiale o quale mandante, a nulla rilevando che ad esso sia associabile o meno (OMISSIS), posto che, ai fini del giudizio di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p., cio' che rileva e' la disponibilita' delle armi in capo alla struttura criminale, non in capo al singolo partecipante. 7.4. Il quarto motivo ed il motivo nuovo deducono erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza di un ruolo apicale in seno all'associazione, ruolo apicale che sarebbe stato desunto dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e del collaboratore (OMISSIS), che parlano della disponibilita' del ricorrente ad effettuare omicidi per conto dell'organizzazione, ma smentito dalla circostanza che mai il ricorrente e' stato iscritto per omicidio nel registro notizie di reato, ruolo apicale che in definitiva non e' confermato da nessun riscontro. Nel motivo nuovo si aggiunge che il ricorrente non ha provocato ad esempio l'adesione di terzi all'associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del programma, ne' che abbia compiuto funzioni decis39Ionali, e che il richiamo generico alle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia (OMISSIS) che lo ha definito "il numero uno" della organizzazione criminale di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non puo' giustificare una condanna a titolo di organizzatore. La sentenza di appello ha attribuito a (OMISSIS) la qualifica di cui al comma 2 dell'articolo 416-bis c.p., considerandolo responsabile della `ndrina di (OMISSIS). La fonte di questa attribuzione sono le dichiarazioni di Olivetti, riscontrate da quelle del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che la Corte di appello considera particolarmente attendibile su (OMISSIS) perche' organicamente inserito proprio nella âEuroËœndrina di (OMISSIS). La Corte di appello aggiunge poi che c'e' un ulteriore riscontro alla apicalita' della posizione di (OMISSIS) nel gruppo criminale nella intercettazione di una conversazione di (OMISSIS), il riconosciuto capo della âEuroËœndrina di (OMISSIS), che individuava nello (OMISSIS) il killer che aveva ucciso, insieme ad (OMISSIS), il (OMISSIS); la Corte d'appello indica un ulteriore riscontro a questa posizione apicale del ricorrente anche in una ulteriore conversazione in cui (OMISSIS) dice ad (OMISSIS) che avrebbe atteso la scarcerazione di (OMISSIS) prima di riorganizzare le attivita' sul territorio. Secondo un percorso logico sostanzialmente conforme, nella pronuncia di primo grado il Tribunale di (OMISSIS) aveva ritenuto che, sulla posizione apicale di (OMISSIS), il primo elemento di accusa era costituito dalla chiamata in correita' di (OMISSIS), che chiama (OMISSIS) il numero uno della âEuroËœndrina di (OMISSIS) a partire dalla morte dello zio (OMISSIS). Il Tribunale di (OMISSIS) aveva aggiunto che la chiamata era riscontrata da (OMISSIS), che pure attribuisce a (OMISSIS) un ruolo egemone nel gruppo dei sangiovannesi di cui fa parte anche il fratello di (OMISSIS), ed aveva richiamato anche la conversazione progressivo 4931 del 24 giugno 2014 in cui (OMISSIS), che era il capo della âEuroËœndrina di (OMISSIS), riferisce che (OMISSIS) era in predicato per assumere definitivamente la direzione della âEuroËœndrina di (OMISSIS). Sulla partecipazione all'omicidio (OMISSIS) il giudice di primo grado riporta, invece, le dichiarazioni di (OMISSIS) che dice che si trovarono a sera. con (OMISSIS), (OMISSIS) ed altri e da quello che i presenti dicevano capi' che stavano festeggiando la uccisione del macellaio (OMISSIS) e che (OMISSIS) faceva i complimenti a (OMISSIS) per il ruolo che aveva svolto, nonche' la conversazione intercettata progressivo 4027 del 20 dicembre 2013 tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS) in cui il primo autorizza (OMISSIS) a tenere un'attivita' di vendita ambulante di generi alimentari a condizione che acquisti i prodotti da un soggetto indicato dallo stesso (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si contesta che da questo materiale probatorio risultino comportamenti concreti in cui si sarebbe sostanziato questo ruolo di organizzatore dell'imputato. Il motivo e' sviluppato fondamentalmente in diritto senza una specifica contestazione degli elementi probatori da cui la sentenza impugnata ha tratto il giudizio di responsabilita' sulla posizione apicale di (OMISSIS) nella organizzazione criminale. Il motivo non prende posizione, infatti, sulla circostanza che (OMISSIS) sia stato indicato da (OMISSIS) come la persona che in occasione di una serie di furti avvenuti nel territorio di (OMISSIS) si e' recato ad (OMISSIS) a chiedere la cessazione del fenomeno ad una cosca che controllava il territorio cui apparteneva il soggetto che era accusato di averli perpetrati; il tenere contatti esterni con i gruppi criminali dei territori limitrofi e', infatti, una attivita' che e' indice di un ruolo apicale, cosi' come lo e' la circostanza, pure valorizzata in sentenza, che si chieda a (OMISSIS) l'autorizzazione a tenere un'attivita' di vendita ambulante di generi alimentari nel territorio di competenza, che e' una risposta anche al motivo nuovo laddove si dice che l'attivita' di (OMISSIS) non avrebbe provocato l'ingresso di altri soggetti nell'associazione, ma, in realta', ne ha comunque rafforzato la capacita' attrattiva nel momento in cui (OMISSIS) autorizza una persona a svolgere l'attivita' ambulante soltanto se si rifornira' da persona indicata dallo stesso. L'intenzione di attendere la scarcerazione di (OMISSIS) per ricostruire le attivita' criminali nel territorio che (OMISSIS) riferisce ad (OMISSIS) e', a sua volta, conferma della dichiarazione di (OMISSIS) sul ruolo apicale del ricorrente. Il ricorso non prova ad attaccare queste parti della pronuncia, e quindi non si confronta, in realta', pienamente con il percorso argomentativo del giudice del merito, che resiste, pertanto, alle critiche le sono state mosse, e che induce a ritenere manifestamente infondato il motivo di ricorso. - 7.5. Il quinto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 12, perche' non si comprende quale sia stata in concreto la condotta commessa dal ricorrente nel contesto dell'episodio estorsivo, la stessa persona offesa riferisce che quando il ricorrente frequentava il locale pagava regolarmente, per cui in definitiva il ricorrente e' condannato per responsabilita' da posizione. Inoltre, al piu' i fatti andrebbero riqualificati in danneggiamento. Il motivo e' infondato. Nel rispondere a questo motivo di appello, poi divenuto motivo di ricorso, la Corte d'appello rimanda ampiamente alla sentenza di primo grado, e spiega che nell'episodio contestato il ruolo di (OMISSIS) e' quello del mandante, in quanto (OMISSIS) commise il fatto di danneggiamento non perche' ubriaco ma perche' inviato da (OMISSIS) e (OMISSIS) che per tale azione gli avevano dato carta bianca. La sentenza di primo grado conferma e specifica ricostruendo il percorso della progettata estorsione al locale (OMISSIS) attraverso le conversazioni intercettate, da cui si comprende bene, senza che sul punto la sentenza possa essere tacciata di travisamento delle risultanze probatorie, che (OMISSIS) era âEuroËœstato inviato nel locale con un mandato specifico. In particolare, la pronuncia di primo grado evidenzia che alle 2.30 della notte del 28 luglio 2013 e' stata intercettata una conversazione in cui tale (OMISSIS) ricorda ad (OMISSIS) che ha avuto carta bianca, ed (OMISSIS) risponde che glielo ha detto lui quello che devo fare, e che poi alle 3.56 (OMISSIS) chiama (OMISSIS) e gli dice che e' stato cacciato fuori e chiede come si deve comportare e (OMISSIS) gli dice che deve fare come era stato deciso, ed alle 4.36 (OMISSIS) chiama sempre (OMISSIS) e dice che un tale (OMISSIS) dice che vuole vedere (OMISSIS). Nel percorso della sentenza impugnata emerge anche che dopo alcune ore alle 19.33 (OMISSIS) chiama sempre (OMISSIS) che gli chiede se lo ha detto a (OMISSIS), ed (OMISSIS) dice di si' e (OMISSIS) gli ha detto che ne risponde lui, e che (OMISSIS) chiama poi (OMISSIS) lo mette a conoscenza delle richieste di denaro di (OMISSIS) e (OMISSIS) gli risponde che va bene ma che non avrebbe corrisposto il denaro richiesto ("l'avanza"). Inoltre, come ulteriore elemento a carico la pronuncia di primo grado riporta anche le dichiarazioni di (OMISSIS) che riferisce di aver lavorato nel locale proprio su disposizione di (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si sostiene che il (OMISSIS) di cui parlano gli interldcutori al telefono nella conversazione n. 6046 non e' (OMISSIS), ma, in realta', nella stessa sentenza e' scritto espressamente che il (OMISSIS) della telefonata n. 6046 e' (OMISSIS), ma cio' non incide sul percorso logico della decisione, in cui per la individuazicine di (OMISSIS) e' ritenuto decisivo che, come riportato sopra, quando il proprietario del locale ha chiesto di essere risarcito, (OMISSIS) chiami (OMISSIS) (nel ricorso non vi e' contestazione sulla circostanza che l'interlocutore sia proprio (OMISSIS) nella conversazione in esame) e lo metta a conoscenza delle richieste di denaro, e (OMISSIS) gli risponde che va bene e che "l'avanza" (pag. 84 della sentenza di primo grado). Non e' illogico che da questo materiale probatorio la pronuncia di primo grado, e poi quella confermativa della Corte d'appello, abbiano tratto la conclusione che il (OMISSIS) di cui si parla come mandante dell'azione criminosa sia proprio (OMISSIS). Non e' illogico, inoltre, che, a fronte del materiale probatorio costituito dalle conversazioni intercettate da cui si evince con evidenza che (OMISSIS) ha seguito la notte dei fatti un piano programmato su cui ha riferito prontamente al telefono ai suoi mandanti, la motivazione della sentenza impugnata abbia attribuito un rilievo subvalente alle dichiarazioni del titolare del locale e della moglie dello stesso sulla causa che avrebbe determinato (OMISSIS) a compiere il danneggiamento. La prova costituita dalle conversazioni intercettate restituisce, infatti, una fotografia degli eventi di quella notte che collide apertamente con la versione fornita dal titolare del locale e dalla moglie. La ponderazione degli elementi di prova, e la prevalenza dell'uno rispetto all'altro, e' apprezzamento di fatto che appartiene al giudice del merito, ma non e' in ogni caso illogico che nel caso in esame i giudici del merito, in doppia conforme, abbiano attribuito rilievo prevalente ad una prova (quella restituita dalle conversazioni intercettate) che fotografa la realta' degli eventi di quella notte in modo oggettivo rispetto ad una prova (quella delle dichiarazioni della vittima e della moglie) che passa attraverso un preliminare scrutinio di credibilita' soggettiva ed oggettiva di persone che, pur non essendosi costituite parte civili, avevano un interesse civilistico nella vicenda, interesse che hanno soddisfatto rivolgendosi direttamente alla controparte contro cui poi sono state chiamate a testimoniare. Non e', inoltre, illogico che alla luce del materiale probatorio evidenziato nella sentenza impugnata non sia stata accolta la richiesta di riqualificazione del fatto in danneggiamento, sia alla luce delle conversazioni intercettate da cui emerge il progetto criminoso come percepito dalla stessa vittima, sia alla luce delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), pure riferite in sentenza, che inserisce la questione del danneggiamento nella non accettazione della sua presenza come dipendente del locale. 7.6. Il sesto motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per il reato del capo 14, perche' questo ulteriore tentativo di estorsione sarebbe rimasto allo stato sotto la soglia del tentativo punibile, essendo stata recapitata al locale solo una proposta di assunzione di una persona, proposta che e' stata rifiutata senza conseguenze per chi ha manifestato il rifiuto. Inoltre, secondo il motivo di ricorso, non si comprenderebbe quale comportamento abbia tenuto il ricorrente, di cui nessuno riferisce. Il motivo e' infondato. La sentenza di secondo grado effettua un ampio rinvio alla pronuncia di primo grado, che specifica che la tentata estorsione al (OMISSIS) e' stata ricostruita tramite le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che riferisce in correita' di circostanze che conosce personalmente per esserne stato parte, nonche' tramite le intercettazioni, da cui emerge anche l'intervento in prima persona di (OMISSIS). Nel motivo di ricorso si sostiene che vi e' stata soltanto una proposta di effettuare un servizio di vigilanza che e' stata rifiutata, ma in realta' il percorso logico della sentenza di primo grado comprende anche degli elementi di prova su cui non si prende posizione in ricorso, quali l'intervento di un altro gruppo criminale che avrebbe dato protezione al locale contro la richiesta che era stata rivolta, intervento che si comprende da altra conversazione in cui (OMISSIS) riferisce a (OMISSIS) che il locale si e' messo sotto protezione di quelli di sotto; nel percorso logico della pronuncia di rimo grado trova posto anche il post factum costituito dalla conversazione in cui (OMISSIS), scontento dell'esito della vicenda, riferisce a (OMISSIS) che avrebbe richiesto comunque il compenso come se avesse svolto il servizio, pretesa che e' una evidente espressione di logica criminale e di rapporti di forza, e che in alcun modo puo' essere letta come una mera vicenda relativa ad un appalto di servizi assegnato ad altri, come pretende il ricorrente. 7.7. Il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-6/5.1 c.p. nella sua componente oggettiva, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto non si comprende da cosa sia stata desunta posto che non e' stato usato un linguaggio mafioso, che manca un comportamento propriamente intimidatorio, e l'estorsore ha anche risarcito i danni. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ritiene l'esistenza dell'aggravante per "il ruolo riconosciuto allo (OMISSIS) nell'associazione di âEuroËœndrangheta per cui si procede e perche' le vicende in esame sono connotate da un indubbio metodo mafioso e finalizzate ad agevolare le attivita' della âEuroËœndrina operante in (OMISSIS) della quale l'imputato faceva parte con ruolo apicale". In ricorso si sostiene che e' mancata una condotta propriamente intimidatoria causalmente connessa alla realizzazione del fatto-reato, ma nell'episodio sub 12 la condotta intimidatoria e' stata individuata dai giudici del merito ed e' il danneggiamento prodromico alla richiesta estorsiva (cfr. pagina 85 della sentenza di primo grado in cui, tirando le conclusioni sul materiale probatorio, si sostiene che esso "con assoluta certezza dimostra che (OMISSIS) si e' recato presso il night club di Pignanelli, ove ha posto in essere una pacifica condotta di danneggiamento") mentre nell'episodio sub 14 la condotta intimidatoria e' stata puntualmente individuata nelle pronunce di merito nella "imposizione della forzosa assunzione di (OMISSIS) come buttafuori" (pag. 95 della sentenza di primo grado), i giudici del merito hanno- ritenuto che "tale condotta, seppure non portata a compimento, e quindi correttamente contestata nella forma tentata, e' stata certamente in grado di incidere fortemente ed in maniera definitiva sulla liberta' d'impresa e sulla connessa liberta' di individuazione del personale dipendente che nel caso di specie ove il reato si fosse consumato, non sarebbe stato selez39Ionato secondo i criteri che regolano tali scelte nel mondo imprenditoriale, in ossequio a parametri di economicita', produttivita' e redditivita', ma esclusivamente in ragione delle condotte di intimidazione e costrizione poste in essere" (sempre pag. 95 citata). In modo non illogico, pertanto, sia il giudice di primo grado che quello d'appello sono pervenuti al giudizio di responsabilita' anche in ordine alla sussistenza dell'aggravante. 7.8. L'ottavo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta responsabilita' per l'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p. nella sua componente finalistica, riconosciuta sia per il reato del capo 12 che per il reato del capo 14, in quanto il dolo di favorire l'associazione deve essere diretto, non potendo rilevare vantaggi indiretti o lo scopo di favorire un esponente della cosca. Il motivo e' infondato. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che "possono sussistere plurimi motivi che determinano all'azione che, ove accertati, non depotenz ano la funzione intenz39Ionale della condotta richiesta dalla norma specifica" e che "essenziale alla configurazione del dolo intenz39Ionale e' la volizione da parte dell'agente, tra i motivi della sua condotta, della finalita' considerata dalla norma" (Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734; cfr., sul punto, anche Sez. 6, Sentenza n. 24883 del 15/05/2019, Crocitta, Rv. 275988: In tema di favoreggiamento personale, e' configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa solo qualora risulti provato che la condotta sia caratterizzata dalla coscienza e volonta' di favorire, unitamente ai singoli indagati, anche le rispettive cosche di appartenenza; Sez. 5, Sentenza n. 28648 del 17/03/2016, Zindato, Rv. 267300: Ai fini della sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella L. 12 luglio 1991, n. 203, e' necessario che la condotta di agevolazione sia finalizzata a far si' che l'associazione mafiosa nel suo insieme tragga beneficio dall'attivita' svolta, non essendo sufficiente che serva gli interessi dei singoli associati, pur se collocati ai vertici del sodalizio criminale). I giudici del merito hanno fatto buon governo di tali principi ritenendo che, a prescindere dalla circostanza che il beneficiario diretto del reato possa anche essere una singola persona fisica, i fatti accertati siano "espressione della pretesa di controllo delle attivita' economiche del territorio nutrita dallo (OMISSIS) quale esponente apicale del gruppo dei sangiovannesi" (pag. 87 della sentenza di primo grado). Infatti, favorire un esponente della associazione mafiosa significa in ogni caso favorire l'associazione in quanto tale, perche' cio' contribuisce alla assunzione di potere, di capacita' di contatti, ed, in qualche caso, anche di risorse finanziarie per l'organizzazione, ed, in ogni caso, in una logica di rapporti di forza che e' propria dell'equilibrio tra i gruppi criminali ed e' anche lo strumento attraverso cui i gruppi criminali riescono ad imporre la propria presenza sul territorio, rafforza l'immagine del gruppo e ne aumenta la capacita' attrattive nei confronti di altri potenziali sodali che possono essere tentati di affidarsi all'organizzazione per vedere realizzate le loro aspirazioni, in questo caso, di sistemazione lavorativa. 7.9. Il nono motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza dell'aggravante dell'articolo 628, comma 3, n. 3 c.p., in quanto all'epoca dei fatti il ricorrente non era persona sospettabile di âEuroËœndrangheta. Il motivo e' infondato. Non e' rilevante che alla data in cui e' commesso il fatto il ricorrente fosse stato o meno gia' condannato per un delitto di criminalita' organizzata, perche' la norma si applica non a chi e' condannato, ma a chi "fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis". Nel motivo di ricorso si dice che alla data in cui e' commesso il fatto il ricorrente non fosse neanche sospettato di far parte dell'associazione di cui all'articolo 416bis c.p., ma l'accertamento sull'essere o meno sospettato di tale reato lo effettua la stessa sentenza di primo grado che prende posizione su questa aggravante e precisa che essa si puo' applicare a (OMISSIS) perche' con la stessa sentenza egli viene condannato per il reato di associazione mafiosa. In questo modo la pronuncia fa, in effetti, corretta e pedissequa applicazione dell'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che ha ritenuto che "ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante prevista dall'articolo 628, comma 3, n. 3, c.p., non e' necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma e' sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante". (Sez. 2, Sentenza n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850). Il motivo, pertanto, deve essere respinto. 7.10. Il decimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta esistenza della recidiva, desunta soltanto dai precedenti penali, in particolare per estorsione, senza un giudizio individualizzato sulla maggiore capacita' criminale. Il motivo e' infondato. Al di la' del fatto che in concreto la recidiva non ha esplicato effetto sulla pena principale, perche' e' ritenuta solo con riferimento alle tentate estorsioni, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimita' ha ammesso che il giudizio sulla recidiva possa "essere adempiuto anche implicitamente" (Sez. 6, Sentenza n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803) "ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore" (Sez. 6, Sentenza n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130). Nel caso in esame, la sentenza impugnata contiene riferimenti alle "indiscusse capacita' criminali del ricorrente" (pag. 101 della sentenza di primo grado) o al suo "rilevante ruolo" ricoperto nell'organizzazione criminale (pag 35 della sentenza di secondo grado). 8. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 8.1. Con il primo motivo si deduce nullita' della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva che sarebbe costituita dall'assunzione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), collaboratore che aveva reso dichiarazioni nei confronti di (OMISSIS), in separato procedimento per l'omicidio (OMISSIS) che costituisce l'unico comportamento attribuito al ricorrente nel contesto dell'associazione. La Corte d'appello aveva risposto alla istanza difensiva di sentire il collaboratore (OMISSIS) nel seguente modo: "deve, innanzitutto, essere rigettata la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale poiche' l'esame del collaboratore (OMISSIS) non appare rilevante ai fini della decisione. Dal verbale dell'interrogatorio reso dal (OMISSIS), il cui stralcio e' allegato ai motivi di appello, non solo non emerge l'estraneita' del (OMISSIS) al duplice omicidio (OMISSIS)/ (OMISSIS), atteso che il collaboratore lo indica tra i mandanti dell'omicidio, quanto non e' ravvisabile neppure contraddittorieta' rispetto al ruolo di mandante autoattribuitosi dall' (OMISSIS). Si tratta, invero, di dichiarazioni de relato del tutto generiche su fatti che il collaboratore avrebbe appreso da suo fratello mentre si trovava detenuto, e che non sono, comunque, inconciliabili con il ruolo di esecutore materiale dell'omicidio attribuito dall' (OMISSIS) al (OMISSIS), posto che il primo aveva inviato dal nord Italia in (OMISSIS) proprio il (OMISSIS) per informare (OMISSIS) della decisione presa di eliminare il (OMISSIS), ed il (OMISSIS) a sua volta aveva convocato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per studiare il piano delittuoso; di talche' la presenza del (OMISSIS) in (OMISSIS) e le informazioni da questi passate ai soggetti indicati poteva ben essere stata intesa, e quindi riferita al collaboratore (OMISSIS), come ordine impartito per l'esecuzione dell'omicidio senza essere a conoscenza del coinvolgimento, in qualita' di mandante, anche dell' (OMISSIS) che all'epoca dei fatti viveva al nord". Il motivo di ricorso attacca questa decisione, sostenendo che (OMISSIS) sia poco credibile, perche' sbaglia completamente l'altezza del 8Tassone (lo indica come 1.80, mentre sarebbe 1.60) e lo indica come residente a (OMISSIS) (mentre, in realta', vive ormai da anni in Lombardia). Queste deduzioni non contrastano la decisione della Corte d'appello, ed anzi in un certo senso rafforzano la conclusione della sentenza impugnata della l'inutilita' di sentire (OMISSIS). Il motivo di ricorso conforta la decisione della Corte d'appello nel momento in cui sostiene che (OMISSIS) sia anche poco credibile nel momento in cui attribuisce l'omicidio a (OMISSIS), mentre la tesi che, proprio perche' il collaboratore ne individua come autore una persona molto alta e residente in (OMISSIS), egli si possa riferire ad altra persona che ha conosciuto con il nome sbagliato, introduce un elemento che, piu' che congetturale, e' di mera confusione, e rende la prova costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS) inidonea ad essere sussunta sotto il paradigma della mancata assunzione di prova decisiva, che, per giurisprudenza consolidata, e' una "prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. (Sez. 3, Sentenza n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670; circa la svalutazione della prova dichiarativa quale prova decisiva ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p. v. anche Sez. 5, Sentenza n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035: la prova decisiva, la cui mancata assunzione puo' essere dedotta in sede di legittimita' a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera d), c.p.p., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non puo' consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato e' destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente). 8.2. Il secondo motivo deduce nullita' della sentenza per erronea applicazione della legge penale e motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, perche' la Corte d'appello ha ritenuto convergenti sulla posizione del ricorrente le chiamate dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), ma in esse, in realta', vi sarebbero divergenze perche', quanto al mandante dell'omicidio, (OMISSIS) si e' attribuito la paternita' della decisione mentre (OMISSIS) individua il mandante in tale (OMISSIS), sul movente (OMISSIS) indica la necessita' di evitare contrasti con i cirotani, mentre (OMISSIS) riferisce di una sovrapposizione delle piazze di spaccio, sul coesecutore che avrebbe affiancato il ricorrente (OMISSIS) indica tale (OMISSIS) e (OMISSIS) tale (OMISSIS). Le dichiarazioni sarebbero convergenti solo sul fatto che entrambi indicano il ricorrente come l'autore del reato che avrebbe esploso i colpi da arma da fuoco; i due collaboratori, inoltre, non renderebbero dichiarazioni autonome, perche' entrambi riferiscono, sia pure in modo diverso, quanto hanno appreso dalla stessa fonte, che e' lo stesso ricorrente. Il motivo e' infondato. La Corte d'appello ha risposto a questi argomenti rilevando che non vi sono reali contrasti tra le dichiarazioni dei due collaboratori e tra le due versioni del coinvolgimento di (OMISSIS) nell'omicidio: "entrambi i collaboratori hanno dichiarato che era stato il (OMISSIS) ad esplodere i colpi d'arma da fuoco all'indirizzo delle vittime e che l'omicidio era stato deliberato per contrasti insorti con esponenti di spicco della locale criminalita' e perche' il (OMISSIS), nonostante le raccomandazioni dell' (OMISSIS), aveva continuato a comportarsi con assoluta autonomia, mentre le difformita' evidenziate dalla difesa in ordine all'indicazione del mandante non sono di per se' idonee a privare della natura di riscontro individualizzante le dichiarazioni del (OMISSIS)". Il motivo di ricorso non riesce a scalfire il percorso argomentativo della Corte d'appello. Il fondamento della responsabilita' di (OMISSIS) per il reato associativo e' stato, infatti, individuato nelle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che si autoattribuisce il ruolo di mandante dell'omicidio (cio' che in ricorso viene definita in modo piu' edulcorato come "imbasciata" ai soggetti in loco affinche' essi fossero resi edotti che era favorevole all'eliminazione di (OMISSIS), e che nella sostanza e' un mandato aperto o, se si preferisce, un mandato preliminare ad uccidere) ed indica in (OMISSIS) la persona cui lo ha commiss39Ionato. Il giudice di primo grado ha ritenuto tale comportamento idoneo a costituire prova della partecipazione di (OMISSIS) all'associazione in base alla regola di esperienza per cui un delitto di questo tipo da eseguire per conto dell'organizzazione mafiosa non viene affidato ad un componente estraneo all'organizzazione stessa. Questa chiamata di correo di (OMISSIS) e' stata ritenuta riscontrata dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che riferisce di sapere, sia pure de relato, del coinvolgimento di (OMISSIS) nell'omicidio. Il motivo di ricorso censura che si verrebbe ad avere un riscontro che proviene dalla stessa fonte della chiamata in correita', perche' sia (OMISSIS) che (OMISSIS) riferiscono circostanze apprese da (OMISSIS), ma questo in realta' non e' del tutto vero, perche' (OMISSIS) riferisce per scienza diretta di aver incaricato (OMISSIS) dell'omicidio e delle sue causali, mentre riferisce de relato solo i particolari relativi all'esecuzione che ha appreso dallo stesso (OMISSIS). Il motivo di ricorso sostiene che vi sarebbero contraddizioni tra la chiamata in correita' di (OMISSIS) e la chiamata in reita' di (OMISSIS), ma le contraddizioni vertono su aspetti di dettaglio dell'esecuzione del crimine, che nel giudizio oggetto della sentenza impugnata sono del tutto irrilevanti, posto che in questo giudizio (OMISSIS) e' chiamato a rispondere di associazione a delinquere, e quindi cio' che rileva e' soltanto se egli ha ricevuto effettivamente il mandato omicidiario da (OMISSIS), come lo stesso collaboratore riferisce, perche' e' questo mandato che ne radica l'appartenenza all'associazione. Sulla esistenza del mandato, pur se aperto o preliminare, vi e' la chiamata in correita' di (OMISSIS), riscontrata dalla dichiarazione di (OMISSIS) che riferisce della confessione stragiudiziale ricevuta dallo stesso (OMISSIS) di essere stato l'autore dell'omicidio (dalla sentenza di primo grado si comprende, peraltro, che (OMISSIS) riferi' a (OMISSIS) anche di essere un appartenente alla âEuroËœndrangheta), e la ricostruzione della logica della sentenza impugnata resiste, pertanto, alle censure che le sono state mosse. 8.3. Il terzo motivo lamenta nullita' della sentenza per motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di responsabilita' per il reato associativo, atteso che il ricorrente non e' mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e paesi limitrofi nel periodo dei fatti, e' sconosciuto all'autorita' di polizia del posto, e' sconosciuto anche a (OMISSIS) che pure e' la convivente del collaboratore (OMISSIS), non vi sono riscontri negli aeroporti vicino a (OMISSIS) di sue partenze per la (OMISSIS) al momento dei fatti, il ricorrente vive a (OMISSIS) e non risulta avere conoscenza degli organigrammi criminali della zona dei fatti. Il motivo e' inammissibile, perche' e' eccentrico rispetto al contenuto della sentenza impugnata che ha motivato la condanna di (OMISSIS) per il delitto associativo non per effetto di condotte connesse al controllo del territorio della cosca, ma in virtu' della partecipazione dello stesso all'omicidio (OMISSIS). Non rileva, pertanto, che il ricorrente non sia mai stato avvistato o fermato a (OMISSIS) e paesi limitrofi nel periodo dei fatti o che sia sconosciuto all'autorita' di polizia del posto o che non risultino partenze per la (OMISSIS), perche' questi argomenti non si confrontano con il contenuto della pronuncia impugnata. Ha un rilievo, invece, la circostanza che lo stesso non sia conosciuto da (OMISSIS), perche' cio' sta ad Indicare senz'altro che il rapporto del ricorrente con (OMISSIS) non e' passato attraverso una frequentazione continuativa, perche' altrimenti la compagna avrebbe conosciuto questa persona, ma si tratta in ogni caso di un elemento probatorio non decisivo, posto che l'appartenenza ad una associazione criminale non chiede necessariamente la frequentazione continuativa di uno o piu' dei suoi appartenenti, pur potendo la stessa costituirne un riscontro (Sez. 2, Sentenza n. 31541 del 30/05/2017, Abbamundo, Rv. 270468). 9. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 9.1. Il primo motivo ed il secondo motivo, dedicati entrambi a contestare la responsabilita' per il reato di tentata estorsione in danno del locale (OMISSIS), e che devono essere esaminati con (OMISSIS)mente, sono infondati. Nel primo motivo si sostiene che sarebbero state svalutate le dichiarazioni rese in giudizio dal titolare del locale e dalla moglie di questi, che effettuava il servizio di controllo degli ingressi al night club del marito; entrambi hanno sostenuto in giudizio che il danneggiamento commesso da (OMISSIS) sarebbe stato dovuto al rifiuto di far entrare l'imputato a causa del suo stato di ubriachezza. Nel motivo si deduce anche che la sentenza non avrebbe tenuto in conto che nelle telefonate intercettate risulta che fu il ricorrente a ricevere reiterate richieste di pagamento dalla vittima per il risarcimento dei danni cag39Ionati. Nel secondo motivo si sostiene che manchino elementi probatori a sostegno della tesi che il ricorrente avesse ricevuto un mandato estorsivo. In realta', nessuno di questi argomenti e' idoneo a disarticolare il percorso logico della sentenza di secondo grado (la cui motivazione -sul punto effettua un ampio rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, di cui sono citate espressamente anche le pagine che si intendono richiamate) in punto di ritenuta esistenza del tentativo di estorsione. Il giudizio sulla logicita' della ricostruzione operata dalla Corte d'appello della vicenda della tentata estorsione al locale (OMISSIS) e' stato effettuato nell'affrontare l'analogo motivo di ricorso presentato dal coimputato (OMISSIS) al paragrafo 7.5 di questa sentenza, cui pertanto si fa rinvio in punto di accertata esistenza di un mandato estorsivo. Non e' illogico, inoltre, che - a fronte del materiale probatorio costituito dalle conversazioni intercettate da cui si evince che (OMISSIS) ha seguito la notte dei fatti un piano programmato sulla cui attuazione riferiva prontamente al telefono ai suoi mandanti - la motivazione della sentenza impugnata abbia attribuito un rilievo subvalente alle dichiarazioni del titolare del locale e della moglie dello stesso in punto di scaturigine del danneggiamento. La prova costituita dalle conversazioni intercettate restituisce, infatti, una fotografia degli eventi di quella notte che collide apertamente con la versione fornita dal titolare del locale e dalla moglie. La ponderazione degli elementi di prova, e la prevalenza dell'uno rispetto all'altro, e' apprezzamento di fatto che appartiene al giudice del merito, ma non e' in ogni caso illogico che nel caso in esame i giudici del merito, in doppia conforme, abbiano attribuito rilievo prevalente ad una prova (quella restituita dalle conversazioni intercettate) che fotografa la realta' degli eventi di quella notte in modo oggettivo rispetto ad una prova (quella delle dichiarazioni della vittima e della moglie) che passa attraverso un preliminare scrutinio di credibilita' soggettiva ed oggettiva di persone che, pur non essendosi costituite parte civili, avevano un interesse civilistico nella vicenda che hanno soddisfatto rivolgendosi direttamente alla controparte contro cui poi sono state chiamate a testimoniare. - 9.2. Il terzo motivo censura la mancata applicazione alla vicenda del tentativo di estorsione della disciplina della desistenza di cui all'articolo 56, comma 3, c.p. In esso si deduce che la Corte d'appello ha escluso la desistenza, perche' l'estorsione non si sarebbe perfez39Ionata per intervento di (OMISSIS) ed un altro soggetto che avevano il ruolo di protettori della vittima, ma, in realta', non risulterebbe alcun intervento di (OMISSIS), ed anzi l'abbandono del proposito criminoso emergerebbe dalle intercettazioni. Il motivo e' infondata. Il giudizio sulla logicita' e congruenza con le risultanze istruttorie della ricostruzione in fatto dell'episodio operata dalla Corte d'appello e' stato effettuato nell'affrontare il motivo di ricorso presentato dal coimputato (OMISSIS) al punto 7.6. di questa sentenza, cui si fa rinvio. Una volta riconosciuta come logica la conclusione della Corte d'appello sull'esistenza di un intervento di terzi a protezione del locale che ha ostacolato l'azione criminosa, la successiva conclusione del giudice del merito sulla impossibilita' di applicare la norma sulla desistenza di cui all'articolo 56, comma 3, c.p. e' coerente con le risultanze della istruttoria, che disegnano un quadro che, piu' che abbandono del progetto criminoso, e' quello di non riuscita dello stesso (si ricorda, a conferma della inesistenza della desistenza, la conversazione intercettata gia' evidenziata al paragrafo 7.6., in cui il correo (OMISSIS), ancora dopo la serata in cui doveva essere svolta la prestazione lavorativa, sostiene che si fara' pagare come se avesse fatto il servizio). La desistenza, infatti, "deve essere il frutto di una scelta volontaria dell'agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volonta' o necessitata da fattori esterni" (Sez. 3, Sentenza n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, T., Rv. 275647; in particolare, con riferimento al reato di tentata estorsione v. Sez. 2, Sentenza n. 3793 del 11/09/2019, dep. 2020, Fichera, Rv. 277969: "in tema di estorsione va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza quando la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non abbia avuto luogo non per autonoma volonta' dell'imputato, bensi' per la ferma resistenza opposta dalla vittima"). 10. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 10.1. Il primo motivo contesta la ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 24. In esso si evidenzia che di (OMISSIS) non parla mai il collaboratore di giustizia (OMISSIS) che ha fatto rinvenire lo stupefacente che ha originato poi il capo di imputazione, mentre in ordine alle conversazioni ambientali utilizzate come prova nei suoi confronti non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite allo stesso. Il motivo e' infondato. Non e' illogico che la pronuncia di appello non abbia attribuito rilievo decisivo alla circostanza che di (OMISSIS) non parti il collaboratore (OMISSIS), perche' (OMISSIS) gia' in primo grado era stato assolto dall'accusa di essere uno dei componenti dell'associazione, (OMISSIS) e' rimasto coinvolto nel processo soltanto per la detenzione a fini di spaccio dei quantitativi di stupefacente indicati nei capi nn. 24 e 25; egli non ha, d'altronde, un collegamento diretto con (OMISSIS), ma soltanto con (OMISSIS), che aveva, invece, il contatto con (OMISSIS), ed, a quanto risulta dalle conversazioni intercettate, ne aveva anche favorito la latitanza ospitandolo con documenti falsi presso un suo agriturismo. L'attribuibilita' alla voce di (OMISSIS) delle conversazioni ambientali intercettate nell'autovettura di (OMISSIS) e' molto contestata dalla difesa, che afferma di non avere avuto sul punto adeguata risposta dalla Corte d'appello. La sentenza impugnata, in effetti, da' per scontata la attribuibilita' a (OMISSIS) di tali conversazioni e si appoggia sul punto alle conclusioni di quella di primo grado, di cui riporta diversi passaggi per esteso. La sentenza di primo grado e' piu' dettagliata e da' conto delle ragioni del coinvolgimento del (OMISSIS) nella vicenda riportando anche conversazioni telefoniche intrattenute tra questo e (OMISSIS) nel periodo in esame. Le conversazioni telefoniche intercettate sono, in effetti, piu' anodine rispetto alle ambientali, che sono, invece, molto piu' esplicite; al telefoni), infatti, (OMISSIS) e (OMISSIS) si limitano a prendere accordi per incontrarsi di persona, il che, peraltro, e' coerente con le loro preoccupazioni, che pure emergono dagli atti, secondo cui gli stessi avrebbero interesse a dispositivi per la bonifica delle conversazioni. Queste anodine conversazioni telefoniche, su cui la difesa, pero', non muove rilievi in ordine alla identificazione di (OMISSIS) come uno dei due interlocutori sono, pero', utili nella prospettiva accusatoria accolta dal giudice di primo grado, e poi confermata dal giudice di appello, di attribuire a (OMISSIS) anche le conversazioni ambientali che avvenivano nell'auto di (OMISSIS), atteso che il servizio di ascolto di una intercettazione ambientale comporta l'associazione di una voce ignota ad un nome tramite gli elementi noti a disposizione, tra cui vi e' senz'altro l'aver ascoltato la stessa voce in una conversazione telefonica attribuibile con certezza ad una persona identificata, o l'aver ascoltato in una conversazione telefonica tra due interlocutori riferimenti certi al contenuto di una conversazione ambientale intercettata o accordi per incontrarsi seguiti dall'incontro. In questo contesto, pertanto, non e' illogico che il giudice di primo grado, che ha assolto (OMISSIS) dalla contestazione del reato associativo sulla base delle stesse intercettazioni con cui gli ha attribuito, con giudizio confermato dalla Corte d'appello, i reati fine dei capi nn. 24 e 25 abbia ritenuto essere proprio (OMISSIS) il soggetto coinvolto in tali conversazioni ambientali, mentre la âEuroËœvalutazione nel merito delle fonti di prova resta estranea al giudizio di legittimita'. Una volta attribuite a (OMISSIS) le conversazioni ambientali intercettate, la deduzione della Corte d'appello sulla imputabilita' anche allo stesso della detenzione dello stupefacente rinvenuto in Castel(OMISSIS) occultato in alcuni fusti in acciaio e', pur se il terreno in cui era stato rinvenuto non dl proprieta' dello stesso, congruente con il contenuto di tali conversazioni, che sono in effetti sul punto molto esplicite. 10.2. Il secondo motivo e' dedicato alla ritenuta responsabilita' del ricorrente per il reato del capo 25 in quanto, relativamente alle tre telefonate utilizzate come prova nei suoi confronti, non e' noto quale sia il criterio in forza del quale sono state attribuite al ricorrente. Il motivo e' speculare al precedente, si differenzia solo per essere riferito al capo n. 25 della imputazione. Per esso valgono le stesse considerazioni appena espresse al punto 10.1, cui, pertanto, si fa rinvio. 10.3. Il terzo motivo contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche che sarebbero state dovute per contributo marginale e comportamento processuale. Il motivo non e' fondato. La Corte d'appello ha ritenuto di non concedere le attenuanti generiche sull'assunto che non siano rilevabili elementi di segno positivo idonei al loro riconoscimento. Si tratta di un giudizio che non presenta profili di illogicita'. Nel motivo di ricorso si sostiene che gli elementi di segno positivo sarebbero il contributo marginale dell'imputato riconosciuto dalla stessa sentenza di primo grado che ha assolto (OMISSIS) dalla contestazione associativa (pag. 15 del ricorso) ed il comportamento processuale, ma la assoluzione dalla fattispecie associativa non comporta come consequenziale sul piano logico l'apprezzamento della marginalita' nel contributo causale dato ai due reati per cui (OMISSIS), invece, e' stato condannato, su cui in ricorso non sono spesi argomenti; la correttezza del comportamento processuale e', poi, una deduzione che nel caso in esame ha anche una vaghezza che la rende difficilmente apprezzabile, non essendo stato specificato in ricorso a cosa, in particolare, si riferisca. 11. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. Nell'unico motivo si censura la ritenuta responsabilita' per il reato del capo 15, evidenziando che la responsabilita' si fonderebbe essenzialmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), non sufficientemente riscontrate; si evidenzia anche che i soggetti esterni all'associazione indicati nella imputazione come riferimenti del ricorrente non sono mai stati attinti da contestazioni o sono stati assolti, e che la stessa telefonata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) assunta come indizio a carico non avrebbe un significato esplicito. Il motivo e' infondato. Il giudizio sulla valutazione della Corte d'appello in punto di credibilita' del collaboratore (OMISSIS) ed attendibilita' delle sue dichiarazioni e' gia' stato effettuato al paragrafo 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. Il motivo di ricorso contesta l'esistenza di riscontri individualizzanti sulla posizione del ricorrente. La sentenza impugnata individua l'esistenza di tali riscontri nella parte in cui afferma che: "la chiamata in correita' dell' (OMISSIS) in ordine alla partecipazione al traffico da parte dell'imputato ha trovato riscontro nelle convergenti dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che in un ampio compendio intercettivo, anche il collaboratore di giustizia (OMISSIS), infatti, ha parlato del (OMISSIS) definendolo come un soggetto dedito allo spaccio di erba e fumo. La (OMISSIS), ha ricordato, invece, in cio' confermando appieno il racconto dell' (OMISSIS), di essere andata a (OMISSIS) casa di un tale (OMISSIS), detto âEuroËœ (OMISSIS)' e di avere li' trovato il (OMISSIS); da tale luogo, ha aggiunto, l' (OMISSIS), (OMISSIS), detto âEuroËœ (OMISSIS)' e (OMISSIS) erano poi partiti alla volta della Germania. Ulteriori elementi di riscontro sono, poi, costituti dalle intercettazioni poste a fondamento dei reati di cui ai capi 20) e 21) della rubrica". La motivazione della sentenza impugnata non presenta i profili di illogicita' censurati in ricorso. Non e' un profilo di illogicita' della pronuncia la circostanza che le dichiarazioni di (OMISSIS) siano un riscontro debole perche' provengono da persona vicina al collaboratore, in quanto (OMISSIS) riferisce un fatto (l'aver incontrato (OMISSIS) nella occasione precisata) di cui ha conoscenza diretta, e non per riferito dal collaboratore. Non e' un profilo di illogicita' della pronuncia la circostanza che (OMISSIS) parli del ricorrente come un soggetto genericamente coinvolto in attivita' di spaccio senza pero' indicare specificamente il collegamento con l'associazione. Come gia' precisato sopra, il riscontro esterno funge soltanto da parametro di conferma di una dichiarazione eteroaccusatoria proveniente da uno dei soggetti di cui all'articolo 192, comma 3, c.p.p., ma non deve avere il contenuto di una prova autonoma, perche' altrimenti sarebbe esso stesso prova; pertanto, nel caso in esame, posto che la fonte dl prova a carico del (OMISSIS) sono le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), la circostanza che il collaboratore (OMISSIS) ricordi il (OMISSIS) come una persona coinvolta nello spaccio di stupefacenti sono un riscontro sufficiente alle dichiarazioni del primo collaboratore secondo lo standard, gia' riferito sopra della piu' volte citata pronuncia delle Sezioni Unite Aquilina. Peraltro, nel caso in esame la Corte d'appello ha evidenziato anche l'ulteriore elemento di riscontro costituito dalle conversazioni intercettate in cui si parla del ricorrente, atteso che il " (OMISSIS), quello del lavaggio" di cui parlano (OMISSIS) ed (OMISSIS) e', in base all'utilizzo dei criteri della logica, associabile a (OMISSIS), persona che pacificamente i due interlocutori conoscono e di cui in atti si dice essere titolare di un autolavaggio in (OMISSIS). In questo contesto l'ulteriore censura contenuta in ricorso in cui si evidenzia che le persone che in imputazione si assumeva collegate a (OMISSIS) siano state prosciolte, pur corretta, non e' sufficiente a disarticolare il percorso logico-argomentativo della pronuncia impugnata. Il motivo e', pertanto, infondato. 12. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS); Il ricorso e' infondato. 12.1. Il primo motivo sostiene che la sentenza di primo grado riporta a pagina 4 anche il capo di imputazione per il reato dell'articolo 416-bis cod. pen per cui non vi era stato rinvio a giudizio; non si tratterebbe, a giudizio del ricorrente, di una svista casuale ma del segno evidente di un pregiudizio che ha portato di fatto il ricorrente ad essere processato anche per l'articolo 416-bis cod. pen pur senza essere mai stato vocato in ius e condannato per questo titolo. Il motivo e' inammissibile. La sentenza impugnata non contiene condanna del ricorrente per il reato dell'articolo 416-bis c.p., come lo stesso ricorso, peraltro, ammette. Ne consegue che manca qualsiasi interesse all'impugnazione, perche' dall'eventuale accoglimento il ricorrente non trarrebbe alcun beneficio. Per il vero, vi e' un ulteriore profilo di inammissibilita' del motivo di ricorso; manca anche, infatti, a monte il capo della sentenza impugnato con questo motivo, posto che nessun capo della decisione e' dedicato alla condanna del ricorrente per la fattispecie penale indicata, e gia' di per se' la mancata indicazione del capo della decisione che viene aggredito con l'impugnazione costituisce causa autonoma di inammissibilita' del ricorso ex articolo 581 c.p.p.. 12.2. Il secondo motivo deduce che la sentenza impugnata non avrebbe preso in considerazione un documento prodotto dalla difesa, allegato anche al ricorso, in una versione in lingua fiamminga, ed in una versione in lingua italiana redatto âEuroËœda traduttore giurato. Questo estratto della decisione giudiziaria della Corte di appello di Anversa del 29 giugno 2007 documenterebbe che in quella data la Corte d'appello ha ordinato l'arresto immediato di (OMISSIS). (OMISSIS) era in quel periodo processato in (OMISSIS) e la condanna alla pena di 4 anni di reclusione era divenuta irrevocabile per effetto della reiezione del.ricorso in Cassazione il 27 novembre 2007, circostanza che si apprende sempre dai documenti allegati al ricorso. Da questi documenti dovrebbe desumersi la latitanza del ricorrente in (OMISSIS) tra il giugno 2007 e sino all'avvenuto arresto del (OMISSIS), il che renderebbe, nella prospettazione del ricorrente, poco credibile le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) che attribuisce al ricorrente proprio il ruolo di corriere con il (OMISSIS). Il motivo e' infondato. In esso si censura nella sostanza non una mancata assunzione di prova decisiva, perche' la prova, secondo la stessa prospettazione del ricorso, e' stata assunta, ma un travisamento per omissione, con riferimento alla mancata valutazione dei documenti del processo belga introdotti dalla difesa. Va osservato che il travisamento assume rilievo soltanto quando attiene a circostanza di fatto idonea, per la sua forza, a disarticolare il percorso logico della decisione impugnata. E, se si legge la sentenza impugnata, si puo' notare come il giudice del merito abbia attribuito a (OMISSIS) soprattutto il ruolo di organizzatore dei viaggi di stupefacente proveniente dal (OMISSIS) grazie ai contatti, anche familiari, di cui disponeva in quel paese e grazie alla copertura della sua attivita' di commercio di autovetture usate. La sentenza impugnata, infatti, a pag. 18 precisa il ruolo di (OMISSIS) in questi termini: "abitava a (OMISSIS) e aveva il fratello, i nipoti e anche parecchi cugini al confine dell'(OMISSIS), in (OMISSIS) ove parlano fiammingo", si occupava in genere di macchine di grossa cilindrata, anche rubate o a leasing che mandava all'estero, in particolare in (OMISSIS) e in (OMISSIS). Egli era, dunque, in grado di fare arrivare dal (OMISSIS) e dall'(OMISSIS) grossi quantitativi di stupefacente e, infatti, ha detto testualmente il collaboratore, "la maggior parte della droga la faceva arrivare lui". E' vero che la stessa pronuncia aggiunge a pag. 20 che il collaboratore (OMISSIS) ha indicato (OMISSIS) come "il sodale che, oltre a procurare i contatti con canali esteri di approvvig39Ionamento, era preposto alle funzioni specifiche di corriere, con il compito di portare in Italia rilevanti quantitativi di droga, prelevati in (OMISSIS) e (OMISSIS)", e che, pertanto, nell'impianto della sentenza impugnata (OMISSIS) non avrebbe soltanto il ruolo dell'organizzatore dei trasporti, ma anche quella di corriere. Anche se poi a pag. 74 della motivazione si torna a ritagliare a (OMISSIS) il ruolo dell'organizzatore del trasporto dall'estero, attribuendo il ruolo del corriere al coindagato (OMISSIS) ("il (OMISSIS) era in contatto con il coimputato (OMISSIS) che fungeva da corriere"). Il giudizio della Corte d'appello quantomeno sul ruolo di organizzatore dei trasporti dello stupefacente non e' Scalfito sul piano della congruenza logica dalle vicende giudiziarie dell'imputato in (OMISSIS), vicende che non gli hanno, peraltro, impedito di recarsi in Germania (un altro dei paesi coinvolti nel traffico, ove fu controllato (OMISSIS) in occasione di uno dei trasporti gia' valutati al punto 6.3 di questa sentenza) dove poi, in base agli stessi documenti prodotti in allegato al ricorso, emerge che egli fu arrestato il (OMISSIS), per poi essere estradato in (OMISSIS) il 10 luglio 2015. 12.3. Il terzo motivo lamenta mancata assunzione di prova decisiva, perche' la Corte d'appello avrebbe respinto la richiesta di assunzione di due interrogatori resi in fase di indagini dal collaboratore (OMISSIS) il 23 aprile 2012 ed il 16 maggio 2012. Il ricorso censura la motivazione della Corte d'appello, secondo cui essi avrebbero dovuto essere usati nell'esame e controesame, sostenendo che lo standard di decisione della rinnovazione dibattimentale ex articolo 603 c.p.p. avrebbe dovuto essere quello della incapacita' di decidere allo stato degli atti. Il motivo e' manifestamente infondato. La decisione della Corte d'appello e' corretta. L'interrogatorio reso in fase di indagini non e' un documento acquisibile ex articolo 234 c.p.p., ma un atto del procedimento, che non entra nel fascicolo del dibattimento ex articolo 431 c.p.p., salvo i casi previsti dagli articoli 503, 512 e 513 c.p.p., o salvo il consenso delle parti. La risposta della Corte d'appello e', quindi, che vi fosse una preclusione all'ingresso dell'atto nel fascicolo per il dibattimento che dipende dalla tipologia di atto che si chiede di acquisire, preclusione che sul piano logico viene prima della decisione ex articolo 603 c.p.p. sulla utilita' o meno dell'atto ai fini della decisione su cui e' impostato il motivo di ricorso, risposta che, come si e' esposto, e' perfettamente conforme al sistema processuale. 12.4. Il quarto motivo censurala valutazione della prova effettuata dalla Corte d'appello nel ritenere il ricorrente responsabile del reato associativo del capo 15. In esso si deduce che la responsabilita' e' stata desunta da dichiarazioni rese in dibattimento dal collaboratore (OMISSIS), che pero' nell'interrogatorio reso in indagini preliminari escludeva che il ricorrente trafficasse in stupefacenti, perche' nell'unica telefonata intercettata usata come prova non si parla mai di stupefacenti, in quanto l'oggetto e' soltanto una richiesta di aiuto per un lavoro di buttafuori in un locale notturno, perche' in dibattimento il collaboratore (OMISSIS) fa del ricorrente anche un affiliato alla âEuroËœndrangheta, e perche' il riscontro fornito dalla compagna del collaboratore (OMISSIS) costituito dal riconoscere il ricorrente in una fotosegnaletica e ricordare che lo stesso era andato in 13elgio a prendere cocaina e' generico, perche' la stessa mai riferisce che lo stesso avrebbe avuto addosso cocaina ne' l'abbia mai visto consegnarla ne' sa dove e quando lo stesso l'avrebbe comprata. Il motivo e' infondato. Il giudizio della Corte d'appello di credibilita' delle dichiarazioni rese dal collaboratore (OMISSIS) e' gia' stato scrutinato al paragrafo 3.1. di questa sentenza, cui si fa rinvio. L'argomento contenuto nel ricorso della parziale diversita' delle dichiarazioni rese dal collaboratore nell'interrogatorio reso durante le indagini e' processualmente non spendibile, perche' si tratta di atto non entrato nel fascicolo del dibattimento; se, invece, il verbale di interrogatorio e' stato usato per le contestazioni, nel motivo di ricorso avrebbe dovuto essere indicato in modo specifico quali sono le contestazioni rivolte al dichiarante nel corso dell'esame in dibattimento che ne avrebbero inficiato la credibilita'. I riscontri individualizzanti sulla posizione di (OMISSIS) sono stati individuati dal giudice d'appello nelle intercettazioni riportate nella sentenza di primo grado alle pagg. 206-207 e 272-277, e richiamate per relationem in quella di appello, e su cui peraltro non ci sono specifiche deduzioni nel motivo di ricorso. Il motivo di ricorso si e' soffermato molto sulla conversazione in cui (OMISSIS) chiede aiuto ad (OMISSIS) nel suo lavoro di buttafuori di un locale notturno, che la difesa legge come la prova dell'innocenza di (OMISSIS) che mai avrebbe potuto accettare un lavoro oneroso e poco pagato come quello del buttafuori se fosse stato realmente un trafficante internaz39Ionale di stupefacenti, e che la Corte d'appello ha considerato, invece, non incompatibile con quello di componente di una associazione ex articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La risposta della Corte d'appello non ha soddisfatto la difesa, che la apostrofa con una espressione colorita ed atecnica, insistendo per la sua censura. Va osservato, peraltro, che la conclusione della Corte d'appello non ha nulla di illogico, perche' proprio non si riesce a comprendere perche' lo svolgere un lavoro dipendente piuttosto faticoso (in questo caso, quello del buttafuori) dovrebbe essere incompatibile con l'attivita' criminale, posto che, secondo l'id quod plerumque accidit, molte persone dedite al crimine hanno anche una attivita' lavorativa lecita. E' in ogni caso un riscontro individualizzante sulla posizione del ricorrente anche la circostanza che (OMISSIS) abbia riconosciuto (OMISSIS) in individuazione fotografica precisando di sapere sul suo conto che questi era andato in (OMISSIS) a prendere della cocaina, circostanza non attaccata sotto questo profilo in ricorso, mentre non e' logico pretendere ai fini della natura individualizzante, come si sostiene in ricorso, che la dichiarante abbia visto (OMISSIS) con lo stupefacente tra le mani. 12.5. Il quinto motivo censura il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata riqualificazione della condotta nel reato di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Il motivo e' inammissibile per mancanza del requisito della specificita' estrinseca dei motivi di ricorso (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gaitelli, Rv. 268823), in quanto esso e' meramente assertivo, e non contiene critiche al rag39Ionamento svolto dalla Corte d'appello nella sentenza con il cui contenuto non prova neanche a confrontarsi. 13. Ai sensi dell'articolo 616, comma 1, c.p.p., alla decisione consegue la condanna dei ricorrenti diversi da (OMISSIS) al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GIORDANO Emilia A. - Consigliere Dott. VIGNA M. Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 9 novembre 2020 emessa dalla Corte di appello di Messina; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cimmino Alessandro, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l'avvocato (OMISSIS), in qualita' di sostituto dell'avvocato (OMISSIS), che, nell'interesse della parte civile, ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado; udito l'avvocato (OMISSIS), che nell'interesse dell'imputata, ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Messina ha tratto a giudizio (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 388 c.p., comma 2, in quanto, impedendo a (OMISSIS) di esercitare il diritto di visita nei confronti della loro figlia minorenne, avrebbe eluso l'esecuzione del decreto emesso dal Tribunale civile di Messina in data 9 febbraio 2016; fatto commesso in (OMISSIS) (data dell'ultima querela). 2. Il Giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Messina, con sentenza emessa in data 12 dicembre 2019, all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, ha assolto l'imputata dal delitto alla medesima ascritto perche' il fatto non costituisce reato. 3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dal Procuratore generale e dalla parte civile, ha dichiarato Giusi (OMISSIS) colpevole del reato ascrittole e l'ha condannata alla pena sospesa di venti giorni di reclusione e al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio; la Corte di appello ha anche condannato l'imputata, al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita. 4. L'avvocato (OMISSIS), nell'interesse dell'imputata, ha presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza e ne ha chiesto l'annullamento, deducendo due motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 388 c.p. e, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la contraddittorieta' della motivazione in ordine alla prova del reato contestato. Deduce il difensore che la Corte di appello non avrebbe considerato le circostanze che avevano obiettivamente ostacolato l'esercizio del diritto di visita del padre valorizzate dalla sentenza di primo grado (il disinteresse del padre, l'inizio di una nuova relazione sentimentale da parte del medesimo, i seri problemi psicologici della bambina) e che, invece, avrebbero indotto a ritenere insussistente la volonta' dell'imputata di impedire al padre l'esercizio del diritto di visita alla propria figlia. Come rilevato nella sentenza di primo grado, infatti, non essendo stati l'imputato e la parte civile capaci di scindere la loro compromessa relazione di coppia dai profili di gestione della responsabilita' genitoriale, avrebbero tenuto entrambi comportamenti che avevano tradito lo spirito e il significato dell'affido condiviso, inducendo il Tribunale ad affidare la minore al Servizio Sociale del Comune di Messina. La Corte di appello di Messina avrebbe, dunque, illogicamente ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado, che si era espressa in termini piu' equilibrati e motivati. La Corte di appello, inoltre, avrebbe contraddittoriamente posto a fondamento del proprio apprezzamento stralci del decreto del Tribunale civile che era stato emesso nel mese di aprile 2019 e, dunque, in data successiva al lasso temporale oggetto della contestazione (dal (OMISSIS)). 4.2. Con il secondo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 62-bis, 69 e 133 c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione in ordine aula sussistenza degli elementi ostativi alla concessione delle attenuanti generiche. Deduce il difensore che la Corte di appello, nel negare le attenuanti generiche, si sarebbe limitata al generico e apodittico rilievo dell'assenza di elementi positivi; l'incensuratezza della (OMISSIS) e il suo comportamento processuale, "volto sempre alla collaborazione con l'autorita' giudiziaria" erano, tuttavia, elementi positivi valutabili dalla Corte di appello e rimasti immotivatamente disattesi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso debba essere accolto per le ragioni di seguito precisate. 2. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, in quanto la Corte di appello di Messina ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di una valutazione delle prove opposta nei suoi risultati rispetto a quella del giudice di primo grado, senza, tuttavia, procedere alla prescritta rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. L'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 ("Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario"), tuttavia, prevede l'obbligo della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento "per motivi attinenti alla valutazione delle prove dichiarativa". Nel caso di specie, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si imponeva, in quanto il concetto di "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" accolto dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, non e' limitato alla sola questione della attendibilita' strettamente considerata, posto che il discrimine e' costituito, piuttosto, dalla "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative (ex plurimis: Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, 0., Rv. 276987 - 01). Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimita', infatti, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilita' dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma e' talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne da' il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, anch'esso pertanto mediato (ex plurimis: Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425 - 01; Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, 0., Rv. 276987 - 01; Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018 Ud. (dep. 28/11/2018) Rv. 274593 - 01). 3. La violazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, non e', invero, stata espressamente dedotta con il ricorso per cassazione in esame, ma questa Corte ritiene che si tratti di una questione comunque rilevabile d'ufficio ai sensi dell'articolo 609 c.p.p., comma 2. 3.1. E' riscontrabile, invero, sul punto un contrasto nella giurisprudenza di legittimita' sin da prima dell'introduzione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis. Secondo un primo orientamento, infatti, in sede di giudizio di legittimita', non sarebbe rilevabile d'ufficio la questione relativa alla violazione dell'articolo 6 CEDU, per avere il giudice di appello riformato la sentenza di assoluzione di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilita' di testimoni di cui non procede a nuova escussione, trattandosi di questione riconducibile, con adattamenti, alla nozione di "violazione di legge", di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), e, dunque, da farsi valere, ai sensi e nei limiti disposti dall'articolo 581 c.p.p., mediante l'illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno (in questo senso, tra le altre, Sez. 1, n. 26860 del 09/06/2015, Bagarella, Rv. 263961; Sez. 4, n. 18432 del 19/11/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 261920; Sez. 5, n. 51396 del 20/11/2013, Basile, Rv. 257831). Un orientamento opposto ha, invece, sostenuto che e' rilevabile d'ufficio anche in sede di giudizio di legittimita', la questione relativa alla violazione dell'articolo 6 CEDU, cosi' come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 4 giugno 2013, nel caso Hanu c. Romania, posto che le decisioni della Corte EDU, quando evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna con la Convenzione Europea, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell'ambito del quale sono state pronunciate (in questo senso, tra le altre, Sez. 1, n. 24384 del 03/03/2015, Mandarino, Rv. 263896; Sez. 3, n. 11648 del 12/11/2014, dep. 2015, 13.., Rv. 262978; Sez. 3, n. 19322 del 20/01/2015, Ruggeri, Rv. 263513; e, sia pur con rifermento alla violazione di altre norme della CEDU, Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, Grieco, Rv. 277167; e Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019, Cancelli, Rv. 277363). Le Sezioni unite di questa Corte hanno optato per questa ultima interpretazione, rilevando che la previsione contenuta nell'articolo 6, par.3, lettera d) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non puo' riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilita' penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487). Questo principio, come noto, e' stato successivamente ritenuto operante anche ove l'appello sia stato proposto dalla parte civile, essendosi affermato che il giudice di appello che riformi ai soli fini civili la sentenza assolutoria di primo grado emessa all'esito di giudizio abbreviato, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilita' di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, e' obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787). 3.2. La questione della rilevabilita' di ufficio del divieto di riformare la sentenza assolutoria di primo grado per un diverso apprezzamento delle prove orali assunte in difetto di previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si e' riproposta invero anche in seguito all'introduzione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, nella trama sistematica del codice di procedura penale. La giurisprudenza di legittimita', con orientamento che si sta progressivamente consolidando, ritiene che sia rilevabile di ufficio nel giudizio per cassazione, ai sensi dell'articolo 609 c.p.p., comma 2, l'omessa rinnovazione della istruzione dibattimentale da parte del giudice di appello che abbia riformato la sentenza assolutoria resa in primo grado e condannato l'imputato - sia pure ai soli effetti civili - sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa decisiva, poiche' la regola processuale posta dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis configura una garanzia fondamentale dell'ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge (Sez. 6, n. 14062 del 16/03/2021, A., Rv. 281661 - 01; conf., ex plurimis: Sez. 5, n. 45678 del 21/09/2002, non massimata; Sez. 2, n. 23931 del 4/05/2022, non massimata; Sez. 2, n. 20681 del 10/03/2022, non massimata; Sez. 5, n. 15285 dell'08/02/2022, non massimata; Sez. II, n. 12011 dell'11/01/2022, non massimata). 3.3. Tale soluzione interpretativa appare condivisibile, e cio' per due ordini di ragioni. La disposizione in argomento costituisce espressione di un principio direttamente desumibile dall'articolo 6 CEDU, che connota strutturalmente il giusto processo ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. La Corte Edu ha, infatti, affermato in plurime sentenze che non assicura l'equita' del processo un giudizio di appello che, dopo una assoluzione dell'imputato in primo grado, si concluda con una sentenza di condanna, se le prove dichiarative poste a fondamento della sentenza siano le stesse che hanno condotto il giudice di primo grado a pronunciare sentenza di assoluzione e non siano state nuovamente assunte davanti al giudice di appello. Secondo il principio costantemente affermato dalla Corte Edu, pertanto, integra la violazione dell'articolo 6, par. 1, della Convenzione la sentenza di appello che conduca ad una radicale modifica peggiorativa della decisione di primo grado, in assenza di qualsivoglia attivita' istruttoria, in quanto "qualora un giudice d'appello sia chiamato ad esaminare un caso in relazione ai fatti di causa e alla legge, e a fare una valutazione completa della questione relativa alla colpevolezza o all'innocenza del ricorrente, non puo', per una questione di giusto processo, adeguatamente stabilire questi problemi senza una valutazione diretta delle prove" (Corte Edu, 4 giugno 2013, Hanu c. (Romania; 4 giugno 2013, Kostecki c. Polonia; Corte Edu, 28 febbraio 2017, Manoli c. Moldavia; Corte Edu, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia; Corte Edu, 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; Corte Edu, 24 novembre 1986, Unterpertinger c. Austria; Corte Edu, 7 luglio 1989, Bricmont c. Belgio). Secondo l'affermazione ricorrente della Corte Europea, infatti, "coloro che hanno la responsabilita' di decidere la colpevolezza o l'innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilita'" (Corte Edu, 27 novembre 2007, Popovici c. Moldavia, § 68). La valutazione dell'attendibilita' di un testimone ("the assessment of the trustworthiness of a witness") e' un compito complesso che generalmente non puo' essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate ("by a mere reading of his or her recorded words"), anche nella ipotesi in cui ne' l'imputato ne' il suo difensore abbiano sollecitato una nuova escussione dei testimoni (Corte Edu, 15 settembre 2015, Moinescu c. Romania; Corte Edu, 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; e, ancor prima, Corte Edu, 9 aprile 2013, n. 17520/04, Fluera5 c. Romania; Corte Edu, 8 marzo 2007, Dkila' c. Romania; Corte Edu, 19 febbraio 1996, Botten c. Norvegia). La Corte costituzionale (v., tra le molte, C. Cost., n. 43 del 2018; e C. Cost. n. 49 del 2018), ha, peraltro, reiteratamente affermato che il giudice italiano ha l'obbligo di interpretare le norme dell'ordinamento nazionale - compresa quella "strumentale" dettata dall'articolo 609 c.p.p., comma 2, concernente la rilevabilita' d'ufficio di questioni nel giudizio di legittimita' - in maniera conforme alle disposizioni della CEDU e dei suoi protocolli addizionali e al significato loro attribuito dalla giurisprudenza della Corte EDU: disposizioni che, costituendo altrettante norme interposte rispetto al principio costituzionale dettato dall'articolo 117 Cost., comma 1, diventano parametro di riferimento anche per una esegesi delle norme interne che risulti costituzionalmente orientata. 3.4. E' vero che la sentenza di assoluzione di primo grado emessa dal Tribunale di Messina nei confronti dell'imputata e' stata pronunciata all'esito del giudizio abbreviato e che la Corte Edu in alcune occasioni ha ritenuto che, quando il giudizio di primo grado sia stato celebrato nelle forme del rito abbreviato, la mancata rinnovazione della prova in appello non determina alcuna violazione dell'articolo 6 della Convenzione, in quanto, in questo caso, costituisce una naturale conseguenza della libera scelta degli imputati di rinunciare all'oralita' del processo (ex plurimis: Corte Edu, 25 marzo 2021, Di Martino e Molinari c. Italia; Corte Edu, 26 settembre 2017, Fornataro c. Italia). La giurisprudenza di questa Corte ha, tuttavia, ritenuto che l'obbligo del giudice di appello di rinnovare la prova dichiarativa in caso di ribaltamento della sentenza di primo grado operi anche nel caso in cui la sentenza di primo grado sia stata pronunciata all'esito del giudizio abbreviato. Nella gia' citata sentenza Patalano del 2017, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, statuito che e' affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilita' dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nei giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785 - 01). Le Sezioni unite hanno, infatti, affermato che la decisione liberatoria di primo grado travalica ogni pretesa esigenza di automatica "simmetria" tra primo e secondo grado di giudizio, imponendo in appello il ricorso al metodo di assunzione della prova caratterizzato da oralita' e immediatezza, in quanto incontestabilmente piu' affidabile per l'apprezzamento degli apporti dichiarati In questa pronuncia le Sezioni Unite hanno, inoltre, precisato che "il dovere del giudice di appello, in vista di un ribaltamento del proscioglimento in condanna, di rinnovare, anche d'ufficio, l'esame delle fonti di prova dichiarative ritenute decisive in primo grado discende non tanto e non solo dalla necessita' di una interpretazione adeguatrice rispetto ai principi della CEDU, come espressi dalla Corte di Strasburgo, ma, prima ancora, dal rispetto del criterio "generalissimo" ispiratore della decisione del giudice penale, che implica l'obbligo di escludere che possa reputarsi superato il dubbio ogniqualvolta, di fronte ad una diversa valutazione della prova dichiarativa che conduca ad un risultato peggiorativo nei confronti dell'imputato, il giudice di appello non abbia provveduto, in attuazione dei canoni di oralita' e immediatezza, alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale dinanzi a se', nei casi di difforme valutazione delle dichiarazioni ritenute decisive dal primo giudice ai fini dell'assoluzione". 3.5. In tale prospettiva, dunque, la regola processuale in argomento, espressione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, finisce per rappresentare una delle garanzie fondamentali del processo penale, al pari del principio di presunzione di innocenza dell'imputato, di quello dell'onere della prova a carico esclusivo dell'accusa e, ancora, dell'obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie. L'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, ha codificato, dunque, un principio fondamentale immanente nel nostro sistema processuale penale: con la conseguenza che, ai fini della rilevabilita' nel giudizio di legittimita', le altre regole in materia di impugnazione devono cedere di fronte ad un parametro che fonda l'esercizio stesso della giurisdizione penale, posto che la mancata osservanza di quel principio finisce per qualificare la relativa sentenza di condanna come una pronuncia adottata al di fuori dei casi consentiti dalla legge, assimilabile, per certi versi, ad una sentenza che abbia applicato una pena illegale (in questo senso, sia pur con riferimento ad altre materie, Sez. 4, n. 2147 del 13/01/2021, Macellaro, Rv. 280482; Sez. 6, n. 47445 del 19/11/2019, Zarotti, Rv. 277565). 3.6. Non ignora il Collegio che il testo del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 603 c.p.p., comma 3-bis e' stato modificato dall'articolo 34, comma 1, lettera i), n. 1 e, nella formulazione vigente, prevede che "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articolo 438, comma 5, e articolo 441, comma 5". Tale disposizione, tuttavia, secondo quanto disposto dal medesimo Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 99-bis, comma 1, aggiunto dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 6, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, opera per i giudizi di appello a decorrere dal 30 dicembre 2022 e non gia' per quelli anteriormente celebrati. L'imputata e' stata, dunque, illegittimamente privata dalla Corte di appello di Messina del diritto alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che le spettava secondo la formulazione all'epoca vigente dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, cosi' come interpretate dal diritto vivente. 3.7. Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, l'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente conforme dell'articolo 609 c.p.p., comma 2, impone di ritenere che la violazione del disposto dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, sia rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimita'. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Messina. 4. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Messina.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Presidente Dott. SESTINI Danilo - Consigliere Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere Dott. ROSSETTI Marco - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 30979-19 proposto da: -) (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato all'indirizzo PEC dei propri difensori, difeso dagli avvocati Alberto Stagno d'Alcontres e Nicola de Luca in virtu' di procura speciale apposta in calce al ricorso; - ricorrente - contro -) (OMISSIS)Lloyd's (OMISSIS) sottoscrittori delle polizze nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), in persona del Rappresentante Generale per l'Italia, elettivamente domiciliato all'indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall'avvocato Alessandro Giorgetti in virtu' di procura conferita con atto pubblico; - controricorrente - nonche' (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato all'indirizzo PEC dei propri difensori, difeso dagli avvocati Niccolo' Abriani, Bruno Giuffre' e Antonio Briguglio in virtu' di procura speciale allegata al ricorso; - controricorrente e ricorrente incidentale - nonche' -) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati all'indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dagli avvocati Gerardina Riolo e Giacomo Falcone, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso; - controricorrenti e ricorrenti incidentali - nonche' -) (OMISSIS); - intimata - avverso la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria 8 aprile 2019 n. 301; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 novembre 2022 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso della (OMISSIS); uditi l'Avvocato Nicola de Luca per la (OMISSIS); l'Avvocato Marco Ianigro (per delega) per i (OMISSIS); l'Avvocato Irene Della Rocca per (OMISSIS) ed altri; l'Avvocato Antonio Briguglio per la (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. Nel 1997 la (OMISSIS), dovendo consegnare valori alla societa' (OMISSIS) s.p.a., li affido' per il trasporto alla societa' (OMISSIS) s.p.a. La societa' (OMISSIS) aveva stipulato a copertura dei rischi derivanti dal trasporto una assicurazione con i (OMISSIS) of London. 2. La (OMISSIS) s.p.a. affido' a sua volta il trasporto alla societa' (OMISSIS) s.p.a.. I valori affidati dalla (OMISSIS) al vettore ammontavano a 9.682.700.000 lire. La societa' (OMISSIS) aveva stipulato a copertura dei rischi derivanti dal trasporto una assicurazione con la societa' (OMISSIS) (che in seguito mutera' ragione sociale in (OMISSIS), e come tale sara' d'ora innanzi indicata). 3. La societa' (OMISSIS) per l'esecuzione del trasporto si avvalse di una terza societa', la (OMISSIS) s.a.s.. Anche la societa' (OMISSIS) a copertura dei rischi derivanti da trasporto aveva stipulato una assicurazione con la societa' (OMISSIS). 4. Il (OMISSIS) il furgone col quale la societa' (OMISSIS) stava eseguendo il suddetto trasporto venne assaltato e rapinato a mano armata sull'autostrada (OMISSIS); tutti i valori trasportati furono trafugati. In conseguenza della rapina, gli assicuratori dei (OMISSIS) nel 1998 indennizzarono la (OMISSIS) in nome e per conto della (OMISSIS), e chiesero stragiudizialmente alla (OMISSIS) la rifusione di quanto pagato. 5. Nel 1999 la (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Palmi la societa' (OMISSIS), la (OMISSIS) ed i (OMISSIS), chiedendo che le prime due fossero dichiarate tenute a sollevarla dalle pretese dei (OMISSIS), ovvero rifonderle quanto fosse stata costretta a pagare ad essi. 6. I (OMISSIS) si costituirono e, in via riconvenzionale, chiesero la condanna della (OMISSIS), della (OMISSIS) e della (OMISSIS) alla rifusione di quanto pagato alla (OMISSIS). 7. La (OMISSIS) si costitui' eccependo l'inoperativita' della polizza e la non spettanza dell'indennizzo sia ai sensi dell'articolo 1892 c.c., sia ai sensi dell'articolo 1898 c.c.. 8. La (OMISSIS) si costitui' invocando l'esimente della forza maggiore. 9. Con sentenza 13.3.2006 n. 149 il Tribunale di Palmi: -) condanno' la (OMISSIS) al pagamento in favore dei (OMISSIS) della somma di Euro 4.845.760,14; -) condanno' la (OMISSIS) a tenere indenne la (OMISSIS); -) rigetto' la domanda proposta dalla (OMISSIS) nei confronti del proprio assicuratore della responsabilita' civile, la (OMISSIS); -) accolse la domanda proposta dalla (OMISSIS) contro il proprio assicuratore (anche in questo caso la (OMISSIS)), ma condanno' quest'ultimo a pagare direttamente alla (OMISSIS) l'indennizzo contrattualmente dovuto alla (OMISSIS), in esecuzione della "clausola di vincolo" inserita nella polizza stipulata tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS). 10. La sentenza venne impugnata dalla (OMISSIS) in via principale, e da tutte le altre parti in via incidentale. Pendente il giudizio d'appello la societa' (OMISSIS) venne cancellata dal registro delle imprese. La domanda proposta dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) venne tuttavia coltivata nei confronti degli ex soci di quest'ultima. Nel corso del giudizio di appello la (OMISSIS) chiese ed ottenne un provvedimento di sequestro conservativo su tutti i beni mobili ed immobili degli ex soci della (OMISSIS). 11. Con sentenza 8 aprile 2019 n. 301 la Corte d'appello di Reggio Calabria rigetto' tutti gli appelli. Per quanto in questa sede rileva, la corte d"appello ritenne che: -) il contratto stipulato tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) copriva soltanto "i beni" trasportati dalla (OMISSIS), ma non quelli dati in consegna da quest'ultima ai subvettori; -) il contratto stipulato tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) non copriva la responsabilita' civile del subvettore (OMISSIS); -) la (OMISSIS) non poteva sottrarsi all'obbligo di tenere indenne la (OMISSIS) (con vincolo a favore della (OMISSIS)) ne' ai sensi dell'articolo 1892 c.c., ne' ai sensi dell'articolo 1898 c.c.: infatti l'assicuratore, pur conoscendo le condizioni del trasporto (valori per 9 miliardi di lire caricati su un solo furgone, e non su piu' mezzi come le ordinarie precauzioni avrebbero suggerito) non si era avvalso della facolta' di domandare l'annullamento del contratto (ex articolo 1892 c.c.), ne' di quella di recedere da esso (ex articolo 1898 c.c.). Nella medesima sentenza, infine, la Corte d'appello affermo' che il sequestro conservativo accordato dalla Corte d'appello di Reggio Calabria si era convertito ope legis in pignoramento, "in modo illimitato per quanto concerne la socia accomandataria, mentre invece in proporzione delle rispettive quote sociali per quelli accomandanti". 12. La sentenza d'appello e' stata impugnata per cassazione: -) in via principale dalla (OMISSIS) con ricorso fondato su sette motivi; -) in via incidentale dalla (OMISSIS) con ricorso fondato su un solo motivo; -) in via incidentale da alcuni degli ex soci della (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), con ricorso fondato su tre motivi. Gli assicuratori dei (OMISSIS) hanno resistito con controricorso. (OMISSIS) e' rimasta intimata. 13. Il ricorso, gia' fissato per l'esame ex articolo 380 bis c.p.c. nella camera di consiglio del 2.2.2022, con ordinanza 28.3.2022 n. 10089 e' stato rinviato alla pubblica udienza. 14. La (OMISSIS), la (OMISSIS) e gli Assicuratori dei (OMISSIS) hanno depositato memoria prima della camera di consiglio del 2.2.2022. La (OMISSIS), la (OMISSIS) e gli ex soci della "(OMISSIS)" hanno depositato memoria prima dell'udienza pubblica del 16.11.2022. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo rigettarsi il ricorso principale, con assorbimento dell'incidentale. Nulla ha osservato sul ricorso incidentale proposto dagli ex soci della (OMISSIS). RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo ed il settimo motivo del ricorso principale ( (OMISSIS)). Col primo motivo del proprio ricorso la (OMISSIS) lamenta la violazione degli articoli 1201 e 1916 c.c.. Deduce che erroneamente la Corte d'appello ha accolto la domanda proposta dai Lloyds, ritenendo che questi ultimi si fossero surrogati ai crediti della (OMISSIS) verso la (OMISSIS). Sostiene questa censura con la seguente argomentazione: -) i (OMISSIS) avevano assicurato la societa' (OMISSIS); -) l'assicuratore che paga l'indennizzo e' surrogato nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile; -) la (OMISSIS) non era il soggetto assicurato, e di conseguenza i (OMISSIS) non potevano surrogarsi nei crediti vantati dalla suddetta (OMISSIS) nei confronti dei terzi responsabili. L'illustrazione del motivo prosegue sostenendo che i (OMISSIS) non avrebbero potuto esercitare in via di surrogazione neanche i diritti di credito vantati da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). Infatti, poiche' in primo grado venne accertato che responsabile del danno fu solo la societa' (OMISSIS), e non la societa' (OMISSIS), la (OMISSIS) avrebbe potuto esercitare il regresso (e quindi trasferire il relativo diritto di surrogazione) solo nei confronti della (OMISSIS). 1.1. Col settimo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell'articolo 112 c.p.c.. Secondo la lettura che la societa' ricorrente da' della sentenza d'appello, quest'ultima avrebbe ritenuto che il rappresentante per l'Italia dei (OMISSIS) abbia agito in giudizio surrogandosi nei diritti vantati verso la (OMISSIS) sia dalla (OMISSIS) (mittente), sia dalla (OMISSIS) (vettore e dante causa della (OMISSIS)), mentre i (OMISSIS) avevano sempre dichiarato di agire surrogandosi nei diritti della sola (OMISSIS). 1.2. Ambedue i suddetti motivi, relativi al rapporto tra (OMISSIS) e i (OMISSIS), sono divenuti inammissibili nelle more del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse. Infatti nelle rispettive memorie ex 380 bis c.p.c. depositate prima della camera di consiglio del 2.2.2022, la (OMISSIS) e i (OMISSIS) hanno dichiarato di avere transatto la lite tra essi pendente, e chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere. 2. I motivi dal secondo al sesto del ricorso principale ( (OMISSIS)). I motivi dal secondo al sesto del ricorso (OMISSIS) sono rivolti contro la (OMISSIS) (ex (OMISSIS)). Essi vanno esaminati congiuntamente, perche' contengono censure in parte identiche, in parte connesse. 2.1. Col secondo motivo la (OMISSIS) lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1228, 1362, 1363, 1365 e 1370 c.c.. Il motivo investe la statuizione con cui la Corte d'appello ha escluso l'operativita' del contratto di assicurazione della responsabilita' civile stipulato dalla (OMISSIS) con la societa' (OMISSIS). La Corte d'appello, sostiene la (OMISSIS), ha escluso l'operativita' del contratto in base al presupposto che questo coprisse soltanto il rischio di danni causati dalla societa' assicurata a terzi in conseguenza del fatto proprio o dei propri dipendenti; e non invece in conseguenza del fatto dei terzi di cui la societa' assicurata si fosse avvalsa nell'esecuzione del trasporto. Sostiene la societa' ricorrente che questa interpretazione sarebbe erronea perche': -) viola l'articolo 1362 c.c., in quanto l'articolo 1 del contratto copriva la responsabilita' derivante alla (OMISSIS) nella sua veste di "vettore o subvettore", nonche' "la responsabilita' assunta a contratto o altri patti". Dinanzi a questo chiaro testo, la Corte d'appello ha invece da un lato ammesso che la polizza copriva la responsabilita' contrattuale, e poi escluso che coprisse la responsabilita' ex articolo 1228 c.c., che della responsabilita' contrattuale costituisce un genus (pp. 21-24); -) viola l'articolo 1363 c.c., in quanto la polizza da un lato era espressamente denominata "polizza di assicurazione di tutti i rischi valori", e dall'altro elencava una serie di esclusioni esplicite di copertura, tra le quali non rientrava l'ipotesi della responsabilita' dell'assicurata ex art:. 1228 c.c.; -) e' opinione unanime della dottrina giuridica che le polizze cosiddette "all risks" non prevedano altre esclusioni che i rischi non assicurabili, o rischi catastrofali. 2.2. Col terzo motivo la societa' ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 1362, 1363, 1367, 1891 c.p.c.. Nella illustrazione del motivo si sostiene una tesi giuridica cosi' riassumibile: -) il contratto stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) era un'assicurazione per conto di chi spetta, avente ad oggetto anche la copertura della responsabilita' civile dei subvettori eventualmente incaricati da (OMISSIS); -) la Corte d'appello ha escluso che il contratto coprisse la responsabilita' dei subvettori incaricati da (OMISSIS), in base al rilievo che il contratto prevedeva che i diritti da esso scaturenti potessero essere esercitati solo dal contraente; -) cosi' decidendo la Corte d'appello avrebbe violato l'articolo 1 del contratto, interpretandolo in modo difforme dal suo contenuto letterale, e comunque avrebbe violato l'articolo 1369 c.c.. 2.3. Col quarto motivo la societa' ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1891, 1904 c.c.. Nella illustrazione del motivo si espone una tesi giuridica cosi' riassumibile: -) l'articolo 1 del contratto copriva sia il rischio di danni alle cose trasportate, sia il rischio di responsabilita' civile della (OMISSIS); -) la Corte d'appello, confondendo i due rischi, ha ritenuto che il contratto in esame fosse un'assicurazione per conto proprio e non per conto altrui, desumendo tale conclusione da due previsioni: a) la previsione secondo cui era coperto solo il danno alle cose trasportate dal contraente; b) la previsione secondo cui i diritti spettanti ai terzi assicurati potevano essere fatti valere solo dal contraente; -) cosi' giudicando, la Corte d'appello ha adottato una interpretazione non coerente con lo scopo e con l'oggetto del contratto, in quanto l'assicurazione di cose stipulata dal vettore non puo' che essere un'assicurazione necessariamente per conto altrui, in quanto il vettore di norma non e' il proprietario delle cose trasportate; l'assicurazione di responsabilita' civile, invece, era un'assicurazione per conto proprio, e copriva la responsabilita' del contraente sia per fatto proprio sia per fatto altrui, dal momento che il contratto non prevedeva limitazioni tal senso. 2.4. Col quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 1370 c.c.. Deduce che, dinanzi ad un testo contrattuale ambiguo, la Corte d'appello avrebbe comunque dovuto interpretarlo in senso sfavorevole al predisponente, cioe' la (OMISSIS). 2.5. Col sesto motivo, infine, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 1228, 1369 e 1891 c.c.. Nella illustrazione del motivo si sostiene una tesi cosi' riassumibile: -) il contratto di assicurazione della responsabilita' civile tra (OMISSIS) e (OMISSIS) venne stipulato dopo che la (OMISSIS) aveva stipulato il contratto di trasporto con la (OMISSIS), e l'esistenza di quest'ultimo contratto era nota all'assicuratore; -) di conseguenza la sentenza della corte d'appello e' erronea, per avere interpretato il contratto "non in coerenza della ragione pratica, conosciuta da entrambe le parti, ma distorcendo il significato letterale delle parole". 3. Le eccezioni preliminari sollevate della (OMISSIS). 3.1. La (OMISSIS) ha sollevato due eccezioni preliminari di rito. Con la prima sostiene che la sopravvenuta transazione tra la (OMISSIS) e i (OMISSIS) ha fatto cessare la materia del contendere anche tra la prima e la (OMISSIS). Con la seconda sostiene che l'impugnazione proposta dalla (OMISSIS), nella parte in cui censura l'interpretazione del contratto adottata dalla Corte d'appello, e' inammissibile perche' investe un accertamento riservato al giudice di merito. 3.2. A fondamento della prima delle suddette eccezioni la (OMISSIS) espone una argomentazione cosi' riassumibile: la (OMISSIS) (subvettore) ha chiesto alla (OMISSIS) (assicuratore del trasporto) di essere tenuta indenne dalle pretese dei (OMISSIS) (assicuratore del vettore (OMISSIS)) che aveva indennizzato il mittente ( (OMISSIS)). L'oggetto della domanda formulata dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) era dunque rappresentato dall'accertamento dell'operativita' della polizza con riferimento al pregiudizio economico causato dalla rapina del furgone portavalori. Per effetto della transazione, la (OMISSIS) e' divenuta debitrice dei (OMISSIS) non piu' per effetto del contratto di trasporto, ex articolo 1693 c.c.; ma per effetto della transazione stipulata tra le parti, ex articolo 1965 c.c.. In conseguenza della transazione, dunque, sarebbe venuto a "mutare il titolo si cui si fonda l'operativita' della polizza" stipulata tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), e tale cambiamento comporterebbe, se esaminato nel merito, un inammissibile mutamento della domanda originariamenl:e proposta dalla (OMISSIS). 3.2.1. L'eccezione e' infondata. Sul piano del diritto sostanziale, nell'assicurazione della responsabilita' civile il "titolo" del credito vantato dall'assicurato nei confronti dell'assicuratore non muta se il primo transiga la lite col terzo danneggiato: esso infatti resta pur sempre il contratto di assicurazione. E' da questo, e non dalla transazione, che scaturisce il credito dell'assicurato verso l'assicuratore. Ne' rileva la circostanza - pure invocata dalla (OMISSIS) - che l'assicuratore sia rimasto estraneo alla suddetta transazione. Delle due, infatti, l'una: -) se la transazione e' stata vantaggiosa per l'assicurato, essa avra' costituito adempimento dell'obbligo di salvataggio di cui all'articolo 1914 c.c., e l'assicuratore se ne giovera'; -) se la transazione dovesse risultare rovinosa per l'assicurato, essa sara' inopponibile all'assicuratore. Infatti, proprio perche' la fonte dell'obbligazione di quest'ultimo e' la polizza e non la transazione, qualsiasi ammissione o concessione dell'assicurato verso il terzo danneggiato non potra' mai nuocere all'assicuratore, e la misura dell'indennizzo restera' sempre parametrata al danno effettivamente causato dall'assicurato al terzo, e non agli obblighi assunti dal primo nei confronti del secondo (cfr., per l'ipotesi dell'inopponibilita' all'assicuratore della confessione resa dall'assicurato al terzo danneggiato, Sez. U, Sentenza n. 10311 del 05/05/2006). Nell'un caso come nell'altro, pertanto, l'assicuratore non ha interesse a dolersi della mancata partecipazione all'accordo transattivo stipulato dall'assicurato, ne' perde per cio' solo le eccezioni a quegli opponibili. 3.2.2. Del pari infondata e' l'eccezione sul piano processuale. La (OMISSIS) nel presente giudizio ha domandato che fosse accertato l'obbligo della (OMISSIS) di tenerla indenne dalle pretese dei (OMISSIS). Fatto costitutivo di tale pretesa era l'esistenza d'un contratto di assicurazione valido ed efficace, e tale fatto non e' mutato per effetto della sopravvenuta transazione tra l'assicurato ed il terzo. L'accordo transattivo non ha ampliato, dunque, l'oggetto del cognoscere; potrebbe al massimo avere inciso sulla misura dell'indennizzo, ma tale incidenza, investendo solo l'oggetto del pronuntiare, non costituisce mutamento di domanda (Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015). 3.3. La (OMISSIS) ha poi eccepito, come anticipato, che il ricorso principale andrebbe dichiarato inammissibile, perche' le censure in esso contenute investono una questione di puro merito, quale e' l'interpretazione del contratto. Tale eccezione risultera' infondata alla luce di quanto si sta per dire circa la fondatezza del ricorso principale, e cioe' - in sintesi - che l'interpretazione del contratto assicurativo compiuta dalla Corte d'appello non era "una tra la molte possibili", come tale incensurabile in sede di legittimita'. L'interpretazione adottata dalla Corte d'appello e' stata, invece, un'interpretazione che - travisando la chiara lettera del contratto - ha trasformato un contratto di assicurazione della responsabilita' civile in un contratto di assicurazione contro i danni, snaturandone la causa. 4. Il giudizio della Corte. I motivi dal secondo al sesto del ricorso proposto dalla (OMISSIS) sono fondati, nei limiti di cui si dira'. L'articolo 1 del contratto di assicurazione stipulato dalla (OMISSIS) con la (OMISSIS) cosi' recitava: "la presente assicurazione, salvo tutte le disposizioni che seguono e le esclusioni di cui all'articolo 6, copre tutti i rischi inerenti al trasporto delle cose assicurate (ivi compresa la responsabilita' in veste di vettore o subvettore comune o specializzato e la responsabilita' assunta a contratto o altri patti), per ogni danno e/o perdita materiale delle cose stesse, anche durante la loro custodia o il loro trattamento anche in caso di errore, omissione o infedelta' dei dipendenti dell'assicurato. La presente polizza e' stipulata dal contraente in nome proprio e nell'interesse di chi spetta, in caso di sinistro pero' i terzi interessati non avranno alcuna ingerenza nella nomina dei periti ne' azioni per impugnare la perizia, convenendosi delle azioni, le ragioni e i diritti soggetti all'assicurazione stessa non possono essere esercitati dal contraente". La polizza era completata da una clausola (n. 3) la quale stabiliva quali fossero le "cose assicurate"; ivi elencava una serie di beni di vario tipo (denaro, titoli, metalli preziosi), e concludeva stabilendo che i danni a tali cose sarebbero stati coperti a condizione che si trattasse di cose "trasportate dallo stesso assicurato". 4.1. La Corte d'appello era chiamata a stabilire se questo contratto coprisse o non coprisse la responsabilita' civile della (OMISSIS) per la perdita dei beni ad essa affidati, avvenuta durante il trasporto eseguite da un subvettore (la (OMISSIS)). La Corte d'appello ha concluso per l'inoperativita' della polizza, motivando la propria decisione con sette osservazioni, nessuna delle quali appare condivisibile, perche' tutte mutuate da un errore originario: avere confuso e mescolato, a fronte di una polizza multirischio, la copertura contro i danni con quella della responsabilita' civile. Cio' per le ragioni che seguono. 4.2. La Corte d'appello ha innanzitutto affermato che "il contratto copriva la responsabilita' della (OMISSIS) in veste di vettore solo per le cose dalla stessa trasportate" (p. 25, primo capoverso, della sentenza). Questa affermazione costituisce palese violazione della lettera del contratto, e quindi dell'articolo 1362 c.c.. Il testo contrattuale sopra trascritto, infatti, copriva indiscutibilmente due rischi: a) il rischio di danno alle cose: e in questa parte era una assicurazione contro i danni alle cose trasportate; b) la responsabilita' del vettore: e in questa parte era un'assicurazione della responsabilita' civile. La polizza, dopo avere stabilito che essa copriva sia i danni alle cose, sia la r.c. del vettore, stabiliva all'articolo 3 (trascritto a p. 14, nota 6, del controricorso (OMISSIS)) quali fossero le "cose assicurate". In questa clausola, rubricata per l'appunto "COSE ASSICURATE", dopo l'elenco dei beni oggetto di copertura, si aggiungeva che i danni a tali beni sarebbero stati coperti solo se trasportati dall'assicurato. La Corte reggina ha dunque valorizzato questa clausola, per rigettare la domanda della (OMISSIS). Deve pero' in contrario osservarsi che nell'assicurazione di responsabilita' civile non ci sono, ne' sono concepibili, "cose assicurate". L'assicurazione di responsabilita' civile e' un'assicurazione di patrimoni, non di cose. E sarebbe ovviamente surreale supporre che taluno possa "trasportare con se'" il proprio patrimonio. Pertanto l'articolo 3 del contratto, la' dove elencava le "cose assicurate", e stabiliva che i danni alle stesse sarebbero stati coperti solo se trasportate direttamente dall'assicurato, era una clausola che per diritto poteva riferirsi solo ed esclusivamente alla copertura contro i danni, non anche alla copertura della responsabilita' civile. 4.3. La Corte d'appello ha affermato che "la copertura della responsabilita' civile derivante dall'attivita' di subvettore era prevista dal contratto solo a favore del contraente, non a favore di eventuali altri terzi subvettori" (p. 25, secondo capoverso, della sentenza). Anche questo rilievo della Corte d'appello non puo' essere condiviso. Esso infatti mescola e confonde problemi distinti, e quindi viola effettivamente gli articoli 1362, 1363 e 1369 c.c.. Una cosa, infatti, e' stabilire quale sia l'attivita' dell'assicurato potenzialmente fonte di danno a terzi, e come tale coperta dal contratto di assicurazione della responsabilita' civile. Altra cosa e' stabilire quali siano i soggetti che possano invocare d'una copertura assicurativa stipulata per conto dii chi spetta. Dire, pertanto, che la responsabilita' dei subvettori nor era coperta dal contratto, equivale a dire che questi non avrebbero potuto Invocare la polizza direttamente nei confronti dell'assicuratore. Ma cio' lasciava irrisolto l'altro problema, e cioe' stabilire se la polizza, indiscutibilmente stipulata dal vettore a copertura della propria responsabilita', fosse limitata alla responsabilita' diretta ex articolo 1218 c.c., o coprisse anche quella c.d. "indiretta" ex articolo 1228 c.c.. A tale ultimo riguardo va rammentato che l'assicurazione di responsabilita' civile puo' essere stipulata per conto proprio o per conto altrui (articolo 1891 c.c.). L'assicurazione di responsabilita' civile stipulata per conto proprio copre il rischio di impoverimento del contraente; quella per conto altrui copre il rischio di impoverimento di persone diverse dal contraente, a prescindere dal fatto che quest'ultimo debba rispondere del loro operato. La distinzione tra assicurazione per conto proprio ed assicurazione per conto altrui non ha nulla a che vedere con quella tra assicurazione della responsabilita' civile per fatto proprio e assicurazione della responsabilita' civile per fatto altrui. La distinzione tra assicurazione per conto proprio e per conto altrui si fonda sulla sussistenza o meno, in capo al medesimo soggetto, della qualita' di contraente e di assicurato. Si ha assicurazione "per conto altrui" ex articolo 1891 c.c. quando il contraente non e' il titolare dell'interesse esposto al rischio, ai sensi dell'articolo 1904 c.c., mentre si ha assicurazione per conto proprio quando il contraente della polizza e' altresi' titolare dell'interesse assicurato. La distinzione tra assicurazione (della responsabilita' civile) per fatto proprio e per fatto altrui si fonda sul titolo della responsabilita' dedotta ad oggetto del contratto. Nel primo caso (assicurazione della r.c. per fatto proprio) l'assicuratore copre il rischio di impoverimento derivante da una condotta tenuta personalmente dall'assicurato; nel secondo caso (assicurazione della r.c. per fatto altrui) l'assicuratore copre il rischio di impoverimento dell'assicurato derivante da fatti commessi da persone del cui operato quello debba rispondere. L'assicurazione della responsabilita' civile si dira' dunque per conto proprio od altrui a seconda di quale sia l'interesse assicurato; si dira' invece per fatto proprio o per fatto altrui a seconda di quale sia il rischio assicurato. In virtu' della distinzione strutturale tra i due tipi di assicurazione della responsabilita' civile appena ricordati, essipossono tra loro cumularsi. E' dunque possibile stipulare: (-) una assicurazione della responsabilita' propria (sia per fatto proprio che per fatto altrui); (-) una assicurazione della responsabilita' altrui (sia per fatto dell'assicurato, che per fatto di persone del cui operato l'assicurato debba rispondere) (per questa tassonomia dei contratti assicurativi si vedano Sez. 3, Sentenza n. 4936 del 12.3.2015; Sez. 3, Sentenza n. 8401 del 24.4.2015; Sez. 3, Sentenza n. 30314 del 21.11.2019; Sez. 3, Sentenza n. 10825 del 5.6.2020). 4.3.1. Un vettore, in conclusione, potrebbe teoricamente assicurare: (a) la responsabilita' propria, tanto per fatto proprio (ad es., scaturente da deficit organizzativi: e questa sarebbe assicurazione della r.c. per conto proprio e per fatto proprio); quanto se dipendente da colpa dei dipendenti o degli incaricati, ivi compresi i subvettori (e questa sarebbe una assicurazione della r.c. per conto proprio e per fatto altrui, espressamente prevista dall'articolo 1900, comma 2, c.c.); (b) la responsabilita' civile dei subvettori (e questa sarebbe un'assicurazione della r.c. per conto altrui, ex articolo 1891 c.c..). Nel caso di specie pertanto la Corte d'appello, esclusa l'ipotesi sub (b), non poteva per cio' solo ritenere esclusa anche l'ipotesi sub (a), non essendovi alcun nesso di implicazione reciproca tra l'una e l'altra forma di copertura. Fu dunque violazione dell'articolo 1362 c.c. ritenere che, poiche' la polizza non copriva la responsabilita' civile della (OMISSIS), per questa ragione non potesse coprire nemmeno la responsabilita' civile della (OMISSIS) per il fatto della (OMISSIS). 4.4. La Corte d'appello ha affermato che il contratto, nel definire pattiziamente quali soggetti dovessero ritenersi i "dipendenti" dell'assicurato (articolo 4), "non includeva tra essi i subvettori di cui quest'ultimo si fosse avvalso" (p. 25, terzo capoverso, della sentenza d'appello). Anche questa affermazione viola gli articoli 1362 e 1369 c.c., perche' confonde l'assicurazione di cose e l'assicurazione di responsabilita' civile. Il contratto infatti stabiliva all'articolo 1 che avrebbe formato oggetto di copertura "ogni danno alle cose (...), anche in caso di infedelta' dei dipendenti dell'assicurato", e poi all'articolo 4 stabiliva a chi dovesse attribuirsi la qualifica di "dipendente" dell'assicurato. La definizione di "dipendenti" aveva dunque lo scopo di delimitare il rischio della copertura contro i danni (ex articolo 1900 c.c.), ma non anche la copertura della responsabilita' civile. Tale conclusione era l'unica consentita non solo dalla lettera del contratto, ma anche dalla legge. La clausola suddetta infatti equiparava ai "dipendenti" dell'assicurato, per i fini assicurativi, anche Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza. Tuttavia, mentre e' concepibile che un danno alle cose trasportate possa essere arrecato dalle Forze dell'ordine (ad es., in caso di sequestro, dissequestro, confisca, ispezione), e' inconcepibile che il vettore possa essere chiamato a rispondere ex articoli 1228 o 2049 c.c. della condotta delle Forze dell'ordine. Anche sotto questo aspetto, quindi, la Corte d'appello ha adottato una interpretazione diversa dall'unica possibile. 4.5. La Corte d'appello ha affermato che la copertura della responsabilita' della (OMISSIS) per il fatto del subvettore doveva escludersi perche' nella polizza erano analiticamente indicati i furgoni impiegati dell'assicurato per la sua attivita' di vettore, mentre non erano indicati quelli di eventuali subvettori (p. 25, ultimo capoverso). Anche questo rilievo della Corte d'appello trascura la distinzione tra assicurazione contro i danni e assicurazione della responsabilita' civile (e quindi viola l'articolo 1369 c.c.). L'indicazione analitica dei mezzi impiegati per il trasporto, infatti, poteva riguardare solo l'assicurazione contro i danni. Come gia' detto, soltanto per la copertura "danni" la polizza limitava la garanzia ai soli danni "alle cose trasportate direttamente" dalla (OMISSIS): era dunque coerente e naturale rispetto a tale clausola che il contratto indicasse i mezzi normalmente impiegati dall'assicurato-contraente: se la cosa danneggiata non si fosse trovata su un furgone dell'assicurato, non la si sarebbe potuta ritenere "direttamente trasportata" da questi. Le cose vanno diversamente pero' nell'assicurazione di responsabilita' civile: rispetto a tale copertura, come gia' detto, il contratto non prevedeva limitazioni, ed era dunque superfluo - oltre che surreale - esigere che il contratto indicasse tutti i mezzi, di tutti i potenziali subvettori, del cui operato l'assicurato avrebbe potuto essere chiamato a rispondere. 4.6. La Corte d'appello ha affermato che la copertura della responsabilita' della (OMISSIS) per il fatto del subvettore doveva escludersi perche' "assicurato era solo la (OMISSIS)", e non anche il subvettore (OMISSIS). Ha aggiunto che cio' era dimostrato dal fatto che il contratto, pur formalmente stipulato "per conto di chi spetta", attribuiva solo alla (OMISSIS) il potere di gestire le trattive finalizzate alla liquidazione dell'indennizzo, escludendone "i terzi interessati" (p. 26, secondo capoverso, della sentenza d'appello). Anche tali affermazioni sono erronee in punto di diritto sostanziale, e da tale errore e' derivata per secundam la violazione delle regole sull'interpretazione dei contratti, e segnatamente gli articoli 1362 e 1369 c.c.. Ancora una volta, infatti, la Corte d'appello mostra di confondere l'assicurazione contro i danni per conto di chi spetta, con l'assicurazione della responsabilita' civile propria per fatto altrui. Come gia' detto, il contratto copriva indiscutibilmente due rischi: i danni alle cose e la responsabilita' civile del vettore. Richiamato a tal riguardo quanto gia' detto ai precedenti §§ 4.3 e 4.3.1, bastera' qui rilevare che nell'assicurazione della r.c. (tanto per fatto proprio, quanto per fatto altrui) non ci sono ne' possono esserci "terzi interessati", in quanto l'unico interesse esposto al rischio e' quello dell'assicurato. Pertanto la previsione contrattuale che escludeva i "terzi interessati" dalla partecipazione all'attivita' di liquidazione del sinistro non poteva che riferirsi unicamente alla copertura "danni", e non anche alla copertura "responsabilita' civile". La Corte d'appello con il passaggio sopra riassunto ha dunque commesso due errori: -) da un lato ha - ancora una volta - confuso l'ipotesi della assicurazione della r.c. altrui, di cui all'articolo 1891 c.c. (nella specie non ricorrente), con quella dell'assicurazione della r.c. propria per fatto altrui, ex articolo 1900 c.c. (nella specie indubitabilmente esistente); sicche' esclusa la prima, ne ha fatto inammissibilmente discendere l'insussistenza anche della seconda; -) dall'altro lato ha valorizzato, al fine di rigettare la domanda della (OMISSIS), una previsione contrattuale chiaramente ed indiscutibilmente dettata solo per la copertura contro i danni, ed irrilevante invece al fine di delimitare l'ambito della copertura della responsabilita' civile. 4.7. Infine, la Corte d'appello ha affermato che la copertura della responsabilita' della (OMISSIS) per il fatto del subvettore doveva escludersi poiche' se davvero la polizza avesse coperto la responsabilita' civile della (OMISSIS) per il fatto del subvettore, non si spiegherebbe la scelta della (OMISSIS) di pretendere dalla (OMISSIS) la stipula di una polizza di assicurazione della responsabilita' civile di quest'ultima, vincolata a favore della (OMISSIS). Ma di fronte alla chiara lettera contrattuale, questo argomento non poteva essere preminente, ne' era decisivo: ed infatti nulla vieta all'assicurato di stipulare piu' polizze a copertura del medesimo rischio (articolo 1910 c.c.), e certamente dalla scelta di stipulare assicurazioni plurime non e' consentito trarre la conclusione che la polizza stipulata per ultima copra necessariamente rischi non coperti da quelle precedentemente sottoscritte. 4.8. Resta solo da aggiungere come le deduzioni svolte dalla difesa della (OMISSIS) nella memoria ex articolo 380 bis c.p.c. (e replicate nella memoria ex articolo 378 c.p.c.) non colgono nel segno, la' dove deducono che la societa' ricorrente non avrebbe prospettato, se non a livello di declamazione, la violazione dell'articolo 1369 c.c.. Questa Corte, infatti, ha gia' ripetutamente affermato che, in virtu' del principio jura novit curia, un motivo di ricorso puo' essere accolto anche per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata (Sez. 3, Sentenza n. 19132 del 29/09/2005; Sez. 3, Sentenza n. 20328 del 20/09/2006; Sez. 5, Sentenza n. 24183 del 13/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 6935 del:22/03/2007; Sez. 3, Sentenza n. 4994 del 26/02/2008; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 10841 del 17/05/2011; Sez. 6 - 3, Sentenza n. 3437 del 14/02/2014; Sez. 3 -, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26991 del 05/10/2021). E nel caso di specie l'illustrazione del ricorso contenuta nelle pp. 37-43 e 5051 rende palese la volonta' della ricorrente di sostenere l'incompatibilita' dell'interpretazione adottata dal giudice di merito con lo scopo del contratto. 4.9. In conclusione, il ricorso e' fondato nella parte in cui lamenta la violazione, da parte della Corte d'appello, degli articoli 1362 e 1369 c.c., per avere la Corte d'appello: a) fatto leva su clausole contrattuali dettate e concepibili solo con riferimento all'assicurazione contro i danni, per interpretare la copertura della responsabilita' civile, prevista nella medesima polizza; b) confuso l'assicurazione della r.c. altrui ex articolo 1891 c.c., con l'assicurazione della r.c. propria per fatto altrui, e fatto discendere l'insussistenza della seconda dall'accertata mancanza della prima. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria, la quale, esaminato ex novo l'appello della (OMISSIS), e sanate le mende sopra rilevate, applichera' il seguente principio di diritto: "un'interpretazione del contratto di assicurazione della responsabilita' civile, in virtu' della quale la copertura e' esclusa se la responsabilita' dell'assicurato dovesse sorgere dal fatto del terzo ex articolo 1228 c.c., non e' coerente con lo scopo del contratto, a meno che quest'ultimo non contenga una espressa clausola di esclusione della copertura in caso di responsabilita' dell'assicurato "per fatto altrui" di cui all'articolo articolo 1228 c.c.". 4.10. Completezza impone di dar conto che non sono fondate, ne' restano assorbite dalla motivazione che precede, le censure con cui la (OMISSIS) ha lamentato: -) la violazione dell'articolo 1891 c.c. (terzo motivo); tale censura e' inammissibile per difetto di interesse, dal momento che se davvero il contratto stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS) dovesse intendersi nel senso che esso copriva anche la responsabilita' diretta del subvettore (OMISSIS), quest'ultima e non la (OMISSIS) sarebbe il soggetto legittimato a pretendere l'indennizzo; -) la violazione dell'articolo 1370 c.c. (quinto motivo); tale censura e' inammissibile in quanto presuppone l'accertamento di un fatto (la predisposizione unilaterale del contratto) senza precisare se e quando tale accertamento fu compiuto dal giudice di merito. 5. Il ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS): Con l'unico motivo di ricorso incidentale la (OMISSIS) lamenta la violazione degli articoli 1892, 1893 e 1898 c.c.. La (OMISSIS) sostiene che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto operante la polizza e dovuto l'indennizzo, sul presupposto che la (OMISSIS) non si avvalse dei rimedi dell'annullamento della polizza o del recesso da essa, previsti dagli articoli 1892 e 1898 c.c.. Deduce che tali norme consentono all'assicuratore sia di domandare l'annullamento del contratto o recedere da esso, sia di rifiutare il pagamento dell'indennizzo, quando la reticenza dell'assicurato o l'aggravamento del rischio siano conosciuti dopo l'avverarsi del sinistro, ovvero (nel caso di aggravamento del rischio) quando il sinistro si verifichi dopo la conoscenza dell'aggravamento, ma prima che sia decorso il termine per l'esercizio del diritto di recesso. 5.1. Il motivo e' fondato. Dinanzi ad una eccezione di reticenza dell'assicurato ex articolo 1892 c.c., il giudice di merito avrebbe dovuto accertare innanzitutto in punto di fatto se reticenza vi fu, e poi avrebbe dovuto accertare quando l'assicuratore venne a conoscenza di essa. Se, infatti, il mendacio fosse stato scoperto dopo il sinistro, l'assicuratore non aveva alcun onere di impugnare il contratto, per rifiutare il pagamento dell'indennizzo. Lo stesso dicasi per l'eccezione di aggravamento del rischio ex articolo 1898 c.c.: l'assicuratore non aveva alcun onere di recedere dal contratto, se l'aggravamento - ammesso che vi fosse - fu conosciuto dopo l'avverarsi del sinistro. 5.2. La sentenza impugnata va dunque cassata anche su questo punto, affinche' il giudice di rinvio proceda ad accertare in punto di fatto sia se vi fu mendacio od aggravamento del rischio; sia il momento in cui tali circostanze divennero note all'assicuratore, traendone poi le conseguenze stabilite dagli articoli 1892, 1893 e/o 1898 c.c.. 6. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS): Col primo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione dell'articolo 2313 c.c.. Sostengono una tesi cosi' riassumibile: -) i soci accomandanti di una societa' in accomandita semplice, dopo lo scioglimento della societa', rispondono nei limiti della quota di liquidazione; -) il 29 dicembre 2014 la societa' (OMISSIS) era stata sciolta, senza alcun riparto tra i soci del patrimonio sociale, a causa dell'insussistenza di attivo; -) il giudice d'appello, quindi, aveva errato sia nel concedere il sequestro dei beni personali dei soci accomandanti, sia nel dichiarare che il sequestro si era convertito in pignoramento "in proporzione delle quote sociali" di ciascun ex socio accomandante. Infatti, con lo scioglimento della societa', e con l'accertata mancanza di attivo, mancava il presupposto stesso per azionare qualsiasi pretesa nei confronti dei soci ex accomandanti. 6.1. Il motivo e' inammissibile. Nel corso del procedimento di appello la (OMISSIS) propose istanza di sequestro conservativo dei beni degli ex soci della (OMISSIS), in data 27.3.2018. La Corte d'appello lo concesse con ordinanza del 26.4.2018. Ivi stabili': "va disposto il sequestro conservativo di tutti i beni (...) della ex socia accomandataria, in via illimitata, e di quelli degli ex soci, in proporzione delle rispettive quote sociali, fino alla concorrenza della somma di Euro 4.845.760,14". Non risulta, ne' e' mai stato dedotto dagli interessati, che tale ordinanza sia stata reclamata. Con la sentenza conclusiva del giudizio d'appello, infine, la Corte reggina si e' limitata a dare atto che il suddetto sequestro si era convertito ope legis in pignoramento "per i beni indicati" nell'ordinanza di sequestro. Questi essendo i fatti processuali, osserva la Corte che il sequestro conservativo costituisce una anticipazione degli effetti del pignoramento, e come questo ha lo scopo di imprimere un vincolo d'indisponibilita' sui beni che ne sono colpiti. Se dunque il sequestro e' concesso in corso di causa contro persone non obbligate, su beni insequestrabili o in misura non legittima, il rimedio a disposizione del debitore puo' essere: a) l'impugnazione della sentenza, nella parte in cui ha riconosciuto il diritto a garanzia del quale fu concesso il sequestro; b) il reclamo ex articolo 669 terdecies c.p.c.., oppure: c) una tempestiva eccezione di nullita', ex articolo 157 c.p.c., qualora il provvedimento cautelare sia concesso in corso di causa. 6.2. Nel caso di specie i ricorrenti non hanno impugnato la statuizione che ha accertato il credito vantato dal creditore sequestrante. Hanno, invece, impugnato soltanto la misura in cui e' stato concesso il sequestro. Tuttavia, il sequestro conservativo disposto dalla Corte d'appello non risulta avere formato oggetto di reclamo, ne' risulta che le persone da esso attinte abbiano, nel grado di appello, tempestivamente prospettato ragioni di nullita' del sequestro. Da cio' consegue una duplice ragione di inammissibilita' del primo motivo del ricorso incidentale proposto dagli ex soci della (OMISSIS). La prima ragione di inammissibilita' e' che esso e' rivolto contro una statuizione contenuta non gia' nella sentenza impugnata, ma nel provvedimento cautelare. La sentenza, infatti, nulla ha statuito - ne' avrebbe potuto - in merito al sequestro, limitandosi a dar conto che esso si era convertito per legge in pignoramento. La seconda ragione di inammissibilita' e' che non e' possibile far valere col ricorso per cassazione errori che si assumono contenuti non gia' nella sentenza d'appello, ma in un provvedimento di sequestro pronunciato in corso di causa e non reclamato. Infatti, una volta cristallizzato il provvedimento di sequestro per mancanza di reclamo, null'altro doveva statuire sul punto la sentenza che riconosceva le ragioni del creditore sequestrante, e la conversione del sequestro in pignoramento - nella misura indicata dal provvedimento cautelare - fu un effetto non della sentenza, ma dell'articolo 686 c.p.c.. 7. Il secondo motivo di ricorso incidentale (OMISSIS) ed altri. Col secondo motivo i ricorrenti incidentali lamentano, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell'articolo 671 c.p.c. Sostengono i ricorrenti incidentali che tale norma sarebbe stata violata perche' la corte d'appello ha convertito "in pignoramento un sequestro sul falso presupposto circa la qualifica di ‘debitori' dei ricorrenti". 7.1. Il motivo e' inammissibile per le medesime ragioni indicate ai §§ 6.1 e 6.2 che precedono. 8. Il terzo motivo di ricorso incidentale (OMISSIS) ed altri. Col terzo motivo i ricorrenti incidentali lamentano la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Deducono che la Corte d'appello abbia concesso il sequestro anche sui beni immobili dei soci accomandanti della "(OMISSIS)", nonostante la (OMISSIS) avesse chiesto, nei confronti di questi ultimi, soltanto il sequestro di crediti. 8.1. Il motivo e' inammissibile per le ragioni gia' esposte: essendo il sequestro un provvedimento cautelare impugnabile con reclamo, e non risultando che l'ultrapetizione sia stata censurata col rimedio di cui all'articolo articolo 669 terdecies c.p.c., la questione non puo' essere riproposta in questa sede. 9. Le spese del presente giudizio di legittimita' sono cosi' regolate: -) nel rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno interamente compensate, merce' la sopravvenuta transazione; -) nel rapporto tra (OMISSIS) e gli ex soci della (OMISSIS) vanno compensate, in considerazione del fatto che il ricorso incidentale proposto da questi ultimi non ha verosimilmente comportato maggiori o piu' rilevanti oneri difensivi a carico della prima; -) nei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) le spese del presente giudizio di legittimita' saranno liquidate dal giudice del rinvio. Per questi motivi la Corte di cassazione: (-) dichiara cessata la materia del contendere tra (OMISSIS) s.p.a. e gli (OMISSIS) indicati in epigrafe; (-) accoglie il ricorso principale della (OMISSIS) s.p.a. nei limiti di cui in motivazione; (-) accoglie il ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS); (-) dichiara inammissibile il ricorso proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); (-) cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Reggio Calabria, in diversa composizione; (-) dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimita' tra la (OMISSIS) s.p.a. e gli (OMISSIS) indicati in epigrafe; (-) dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimita' tra la (OMISSIS) s.p.a. da un lato, e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dall'altro; (-) demanda al giudice di rinvio di provvedere sulle spese del giudizio di legittimita' relativamente al rapporto fra la (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS); (-) ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali (OMISSIS) ed altri, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - rel. Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16 dicembre 2019 della Corte di appello di Messina; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera Dott.ssa DI NICOLA TRAVAGLINI Paola; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso e per l'annullamento con rinvio della sentenza, dovendo qualificarsi le condotte ai sensi dell'articolo 612-bis c.p.. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Messina ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva condannato (OMISSIS), previa applicazione delle attenuanti generiche, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato di cui all'articolo 572 c.p., commesso ai danni di (OMISSIS), durante e dopo la fine della loro relazione sentimentale, da cui era nato un figlio, fino al 14 luglio 2018. Il ricorrente e' stato condannato in quanto, come riferito dalla persona offesa, e riscontrato dai certificati medici attestanti le lesioni (trauma facciale, ecchimosi e stato d'ansia), dal verbale di arresto di (OMISSIS) e dalle testimonianze del Vice brigadiere (OMISSIS) e di un'amica della (OMISSIS), e' risultato che il giovane nell'arco dell'intera relazione affettiva, intervenuta gia' da minorenni, l'aveva sempre gravemente maltrattata. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore, deducendo tre motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli articoli 125, 192 c.p.p. e all'articolo 572 c.p., in quanto la Corte di appello ha qualificato il fatto come maltrattamenti nonostante dagli atti risulti che non vi sia stata mai alcuna convivenza tra il ricorrente e la persona offesa. Questi, infatti, avevano intrapreso una relazione sentimentale nel 2010, quando avevano rispettivamente l'eta' di (OMISSIS), finche' nel 2016 avevano avuto un figlio, ma ciascuno era rimasto a vivere nella propria famiglia, condividendo soltanto la genitorialita'. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza argomentare e senza tenere conto del profilo soggettivo del ricorrente. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte di appello ha confermato un trattamento sanzionatorio in misura di gran lunga superiore al minimo edittale in assenza di motivazione. 3. Il giudizio di cassazione si e' svolto con trattazione scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale e il Procuratore generale ha depositato le conclusioni in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo del ricorso e' fondato. 2. La sentenza impugnata, in conformita' a quella di primo grado, di cui conferma l'intero contenuto, condanna (OMISSIS) per maltrattamenti aggravati ai danni di (OMISSIS), consistiti in botte, forme di controllo coercitivo, tentativi di strangolamento, minacce di morte e di portarle via il figlio, denigrazioni e insulti per il modo in cui si vestiva e si truccava, per le amicizie e le frequentazioni che aveva, per il suo ruolo di madre. Dette condotte risultano commesse nel corso della relazione sentimentale avviata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) dall'anno 2010, quando avevano rispettivamente (OMISSIS), e ciascuno viveva presso le proprie famiglie, senza avere mai coabitato neanche dopo la nascita del loro bambino, avvenuta nel (OMISSIS). 3. La questione di diritto, posta dal ricorrente, riguarda la qualificazione giuridica della condotta illecita posta in essere da un partner ai danni dell'altro in assenza di stabile convivenza, pur a fronte di una situazione di condivisa genitorialita' e, dunque, il discrimine tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori aggravati. La Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021, si e' occupata della linea di demarcazione tra articolo 572 c.p. e articolo 612-bis c.p., comma 2, a partire proprio dal caso delle violenze perpetrate nell'ambito di una coppia, legata sentimentalmente da pochi mesi, che conviveva solo nei fine settimana. Il Giudice delle leggi si e' posto il problema dell'interpretazione estensiva, operata dal giudice rimettente, della nozione di "convivenza" - contenuta nel piu' grave delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi e ha ritenuto che il giudice di merito, seguendo un'interpretazione teleologica, da un lato non si fosse misurato con il dato letterale, che fissa il limite estremo della legittima interpretazione della norma penale, con riferimento ai requisiti alternativi "persona della famiglia" e "persona comunque (...) convivente" con l'autore del reato; dall'altro lato avesse omesso di "confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall'articolo 14 preleggi nonche' - implicitamente - dall'articolo 1 c.p., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalita' di cui all'articolo 25 Cost., comma 2, (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998)". La Corte costituzionale ha affermato, dunque, in termini molto netti, e proprio con riferimento al reati di maltrattamenti, che "Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce cosi' un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo.... sicche' non e' tollerabile che la sanzione possa colpirlo (il consociato) per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore". Inoltre, la ratio della riserva assoluta di legge in materia penale sarebbe svuotata se si consentisse al giudice di "assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura" 4. Anche alla luce di quanto affermato dalla sentenza sopracitata, occorre verificare la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici di merito in una fattispecie che concerne una coppia di non conviventi, con figlio. 5. Il reato previsto dall'articolo 572 c.p. punisce: "Chiunque... maltratta una persona della famiglia...". Si tratta di un delitto che nel Codice Zanardelli era contro la persona e nel Codice Rocco e' stato collocato nel Titolo 11 "Dei delitti contro la famiglia" (sub capo 5 "Dei delitti contro l'assistenza familiare") nella prospettiva di tutelare proprio l'istituzione-famiglia, definita nella Relazione sui Libri 2 e 3 del Progetto definitivo di un nuovo codice penale "centro di irradiazione di ogni civile convivenza", mantenendo fermo lo ius corrigendi del pater familias nei confronti di moglie e figli. 5.1. La L. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica della Convenzione di Lanzarote (Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minorenni contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale), al fine specifico che qui interessa, ha inserito "il convivente" tra i soggetti attivi e passivi del reato, cosi' adattando la fattispecie penale al risalente approdo di questa Corte (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563) e della Corte EDU (Emonet + altri contro Svizzera, 13 dicembre 2007; Merckx contro Belgio, 13 giugno 1979) con l'obiettivo di estendere la tutela penale, in risposta all'evoluzione sociale e nel rispetto di una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie, anche all'interno di stabili legami affettivi. Dalla lettura della norma si evince che la "famiglia" e la "convivenza" delineano l'ambito relazionale in cui si sviluppano precisi rapporti interpersonali ed individuano, sinteticamente, coloro che del reato di maltrattamenti possono essere autori e persone offese (cosi' come avviene con il richiamo alle altre relazioni fondate su rapporti di autorita' e affidamento) e che, per la natura e l'intensita' stessa del legame, dal lato passivo rende difficile sottrarsi alle violenze e, dal lato attivo, rende facile perpetrarle. La riforma legislativa del 2012, inserendo tra le persone tutelate anche il/la "convivente", genera un effetto evolutivo di estremo rilievo sotto diversi profili: adegua la norma alla mutata realta' sociale dei rapporti di coppia e cosi' depotenzia l'anacronistica collocazione sistematica della fattispecie penale tra i delitti contro la famiglia; consente, proprio a partire dal dato testuale dell'assimilazione tra familiare e convivente, l'abbandono dell'impostazione pubblicistica e funzionale della famiglia fondata sul matrimonio, delineando l'oggetto giuridico del reato e dei beni che esso garantisce secondo un'esegesi costituzionalmente (articoli 2, 3, 32 Cost.) e convenzionalmente orientata (la CEDAW, con l'articolo 16; la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle liberta' fondamentali, detta CEDU, con gli articoli 3 e 14; la Convenzione di Istanbul, con l'articolo 3) individuandoli nell'integrita' fisica e morale, oltre che nella dignita' e nell'autodeterminazione, della persona (Sez. 6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez. 6, n. 29542 del 18/09/2020; G., Rv. 279688; Sez. 6 n. 2625 del 12/01/2016, G., Rv. 266243). Questa interpretazione e' ulteriormente avvalorata dalla riformulazione parziale della rubrica dell'articolo 572 c.p., avvenuta sempre con la L. n. 172 del 2012, che da "maltrattamenti in famiglia" e' divenuta "maltrattamenti contro familiari e conviventi" tanto da rovesciare, in modo inequivoco, la prospettiva di tutela della norma che passa dall'istituzione-famiglia alla protezione dei suoi componenti dalle violenze, fisiche e psicologiche, che vi si compiono. 5.2. La lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'unico verbo (maltrattare) che descrive la condotta, fornita dalla giurisprudenza di questa Corte (a partire da Sez. U, n. 10959 del 29 gennaio 2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893), ha consentito un pieno adeguamento alla Convenzione di Istanbul in quanto qualificata come l'insieme di comportamenti vessatori che, pur singolarmente considerati, possono anche non costituire reato, senza dunque richiedere la reiterazione di atti di violenza (tra le altre Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270; Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962). Cio' che caratterizza un comportamento come maltrattante, in un quadro di insieme e non parcellizzato della relazione tra autore e vittima, e' che gli atti coercitivi, anche solo minacciati o di minimale apparente portata lesiva, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico), siano volti a ledere la dignita' della persona offesa, umiliandola o limitandone la sfera di liberta' anche rispetto a scelte minimali del vivere quotidiano, affinche', stante la struttura abituale del reato, si sviluppi, fino a consolidarsi, un assetto di potere discriminatorio. L'accertamento, dunque, deve appuntarsi esclusivamente sulla condotta dell'autore, unico elemento oggettivo e descrittivo della fattispecie penale, non assumendo alcuna valenza, sotto il profilo della qualificazione giuridica del fatto e della sussistenza della illiceita' penale, ne' la capacita' reattiva della persona offesa (da ultimo Sez. 6, n. 30340 dell'08/07/2022, S., non mass.), ne' l'eventuale reciprocita' delle condotte, ne' la concreta idoneita' delle violenze di ottenere l'annientamento o la subordinazione della vittima (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, V.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M.). 6. La nozione di convivente non e' delineata nel codice penale o processuale penale perche', storicamente, il rapporto di convivenza, considerato un fenomeno deviante e poi a contenuto minore rispetto al matrimonio, ha assunto progressivamente diverso rilievo, di pari passo con l'evoluzione sociale e culturale, oltre che con il riconoscimento dei diritti dei conviventi e dei loro figli. 6.1. Per definire il termine convivente contenuto nell'articolo 572 c.p. e' necessario tenere conto della giurisprudenza costituzionale e delle leggi che, in vari ambiti, lo richiamano. La giurisprudenza costituzionale (a partire da Corte Cost., sent. n. 237 del 18 novembre 1986), condivisa ed assunta dalla giurisprudenza di legittimita' (da ultimo Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574), riconduce la convivenza alle "formazioni sociali" meritevoli di protezione giuridica, in virtu' dell'articolo 2 Cost., quando si fonda su una relazione affettiva, nell'ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle aggregazioni menzionate dalla norma costituzionale, fonte di doveri morali e sociali anche al di la' della filiazione. L'ordinamento contiene da anni numerose disposizioni (normative, regolamentari, ecc.) che si riferiscono al "convivente" e, per quello che interessa in questa sede, gia' dal 2001 la L. n. 154 ha introdotto gli ordini di protezione contro gli abusi familiari di cui all'articolo 342-bis c.p.c., e s.s. "pur se commessi da conviventi o in danno di conviventi" proprio per incrementare il catalogo delle persone offese dal reato e, di conseguenza, degli autori, al di fuori della famiglia fondata sul matrimonio. In questo modo non solo si prende atto della progressiva equiparazione nel nostro ordinamento, per via normativa o giurisprudenziale, tra famiglia e convivenza, ma anche di un'interpretazione che costituiva diritto vivente gia' dagli anni âEuroËœ60 (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563) ovverosia l'esistenza di condotte violente e maltrattanti anche nell'ambito delle cd "famiglie di fatto", per tali intendendosi le relazioni sentimentali che, per la consuetudine dei rapporti creati, implicassero l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale nonche' a ogni consorzio di persone tra le quali la relazione stretta avesse creato rapporti di solidarieta' per un apprezzabile periodo di tempo (Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Gatto, Rv. 236757; Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, B., Rv. 239726). 6.2. Questo percorso evolutivo, che ha attraversato tutti gli ambiti del diritto per decenni, ha avuto un approdo utile, ai fini dell'ermeneusi del termine convivente contenuto nell'articolo 572 c.p., con l'unica norma che, per la prima volta, ne introduce nell'ordinamento la nozione legale ovvero la L. 20 maggio 2016, n. 76, articolo 1, comma 36, ("Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze") secondo cui sono "... conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.". Occorre chiedersi se la disposizione contenuta nell'articolo 572 c.p. possa attingere alla citata definizione di "convivente" visto che la L. n. 76 del 2016, articolo 1, comma 36, premette che la nozione legale e' enucleata "ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 36 a 67". La risposta deve essere affermativa, non solo alla luce dei criteri ermeneutici delineati dalla Corte costituzionale nelle sopra richiamate sentenze (Corte Cost. sent. n. 25 del 2019 e n. 172 del 2014), ma anche perche' la L. n. 76 del 2016, per quanto rileva in questa sede, ha preso atto del diritto vivente formatosi in materia di "convivenza di fatto" (definizione criticabile che, peraltro, non ha piu' ragion d'essere stante l'introduzione di una specifica disciplina che regola, in parte, i contenuti e le caratteristiche di questa condizione di coppia), come si desume dalle Relazioni al disegno di legge, secondo cui la finalita' della disciplina e' volta a "recepire nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali gia' consolidate nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi". L'intenzione del legislatore, dunque, e' stata quella di accreditare, nel diritto positivo, la definizione di "convivente" elaborata dalla giurisprudenza, secondo una nozione condivisa e a vocazione generale riferibile al "senso comune", invocato dalla Corte costituzionale nella sentenza 98 del 2021, che costituisce un preciso riferimento anche per il diritto penale nel rispetto del canone interpretativo a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Va ricordato che il Decreto Legislativo n. 6 del 2017 con l'articolo 1, lettera b) ha introdotto l'articolo 574-ter c.p. ("Costituzione di un'unione civile agli effetti della legge penale") che, a chiusura del Titolo 11 ("Dei delitti contro la famiglia"), stabilisce una generale equiparazione tra le parti delle unioni civili e i coniugi, senza menzionare i conviventi. Detta omissione, ai fini dell'interpretazione dell'articolo 572 c.p., non assume alcuna valenza proprio grazie all'estensione testuale avvenuta con la precedente L. n. 172 del 2012. 6.3. Ulteriore e definitiva conferma della definizione di "convivente" enucleata, si trae, infine, sia dalla Legge Delega 27 settembre 2021, n. 134 che all'articolo 1, comma 18, lettera b), delega il Governo a definire, nell'ambito dei programmi di giustizia riparativa, il "familiare", qualificando il convivente come "la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare in modo stabile e continuo"; sia dall'articolo 42, lettera d) del decreto delegato (Decreto Legislativo n. 150 del 2022), che riprendendo la Direttiva 2012/29/UE, ha tradotto il criterio menzionato ed equiparato "il coniuge, la parte di un'unione civile ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76, articolo 1, comma 1, il convivente di fatto di cui all'articolo 1, comma 36, della stessa legge, la persona che e' legata alla vittima o alla persona indicata come autore dell'offesa da un vincolo affettivo stabile, nonche' i parenti in linea retta, i fratelli, le sorelle e i familiari a carico della vittima o della persona indicata come autore dell'offesa". Cio' che e' certo e' che il convivente, in quanto tale, non acquisisce uno status perche' quello che lo connota e' l'avere creato uno stretto legame affettivo di coppia (che prescinde anche dall'appartenenza di sesso, diversamente da quanto previsto per le unioni civili e per il matrimonio), la cui definizione sfugge a schemi predefiniti, in quanto la convivenza e' fondata su intime e personalissime scelte, differenti per ciascuna relazione, anche orientate da valutazioni economiche, culturali, sociali o religiose sempre piu' soggette a cambiamenti. 6.4. A questo punto e' possibile delineare la definizione di convivenza, giuridicamente rilevante ai sensi dell'articolo 572 c.p., che proietta il rapporto, cioe' la volonta' di coppia, in una dimensione di impegno e di progetto di vita, al di la' che poi in concreto la stabilita' si realizzi (Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358), come nel caso in cui, assunta la decisione di vivere insieme, la convivenza cessi, ad esempio, proprio per le violenze. In sostanza cio' che qualifica detto tipo di rapporto e' la spontaneita' della decisione, liberamente revocabile, volta ad una comunione materiale e spirituale di vita (Sez. 6, n. 17888 dell'11/02/2021, O., Rv. 281092) che si differenzia da altre forme di condivisione, quali il matrimonio o l'unione civile, solo per la mancata adesione a vincoli giuridici da cui conseguono differenti soglie di tutela a seconda delle scelte operate di volta in volta dal legislatore (Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574 che al par. 4.2. richiama le sentenze della Corte EDU che gia' dal 1979 riconducono nella sfera applicativa dell'articolo 8 CEDU, sulla protezione della vita familiare, anche i vincoli affettivi discendenti dalla convivenza di fatto). Dalla nozione delineata discende che la convivenza non puo' essere esclusa quando sia sospesa o segnata da intervalli purche', pero', restino intatti gli altri aspetti, materiali e spirituali, della comunione di vita e della volonta' di condivisione. Questi andranno accertati dal giudice di merito in chiave fattuale tenendo conto anche della flessibilita' che caratterizza questa dimensione affettiva rispetto al contesto sociale, lavorativo e alle scelte intime che muovono le condotte umane. 6.5. Sono diversi gli indicatori della convivenza elaborati nei decenni dalla giurisprudenza (civile e penale) quali: la coabitazione, cioe' la vita in un alloggio comune in cui investire affettivamente (Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120); la condivisione di un'intimita' che si traduce in un legame sentimentale stabile; la riconoscibilita' come coppia da parte di contesti sociali e familiari; la scelta di avere figli; la responsabilita' genitoriale (Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697); la reciproca assistenza economica con la messa a disposizione di un patrimonio comune (conto corrente, pagamento comune di alcune voci di spesa, mutuo, leasing ecc.) o di beni (auto, case, ecc.) o servizi (badante, baby-sitter, dog sitter ecc.) o intestazione di utenze; lo svolgimento di un'attivita' lavorativa comune (impresa, negozio, ecc.). Si tratta di indicatori che, seppure singolarmente sforniti di valenza indiziaria, potrebbero acquisirla ove valutati congiuntamente, in quanto ognuno puo' rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. Infatti, la volontaria e reciproca partecipazione dell'uno alla vita dell'altro, che costituisce il nucleo del rapporto di convivenza, spesso e' priva di elementi formali la cui esistenza richiede un accertamento in concreto che, al di la' del foro interno dei partner, va svolto dal giudice attraverso una valutazione complessiva, e mai atomistica, di tutti gli elementi utili. 6.6. La coabitazione puo' essere un indice importante per individuare una convivenza affettiva stabile in quanto vi e' una casa comune all'interno della quale si svolge il programma di vita condiviso, ma non e' un requisito che la connota, visto che sempre piu' costituisce un dato recessivo (Cass. civ., Sez. 1 ord. 14151 del 04/05/2022, B./F., Rv. 664954; Cass. civ., Sez. 3 ord. 9178 del 13/04/2018, S., Rv. 648590). Infatti, la coabitazione puo' mancare per ragioni economiche, per condizioni oggettive, per scelte individuali, per necessita' di assistenza di altri parenti, per esigenze lavorative e aspettative di studio o di carriera (come nel caso di partner che svolgono attivita' in citta' differenti e lontane o quando e' la stessa natura della professione svolta a non permettere una continuativa coabitazione). Anche la Corte EDU ha ritenuto di non ravvisare "alcun fondamento per tracciare la distinzione... tra i ricorrenti che convivono e coloro che - per motivi professionali e sociali - non lo fanno... poiche'... il fatto di non convivere non priva le coppie interessate della stabilita' che le riconduce nell'ambito della vita familiare ai sensi dell'articolo 8" (Corte EDU, Vallianatos e altri contro Grecia, 7 novembre 2013, p. 73). Al contrario, la coabitazione o la convivenza meramente anagrafica possono esistere in assenza di convivenza affettiva duratura quando dipendono da esigenze di mera opportunita', di cura, di amicizia o utilita' economica (si pensi agli studenti o ai colleghi di lavoro che condividono le spese di un appartamento, ai parenti lontani che abitano nella stessa casa di famiglia, ecc.). 6.7. La condotta costitutiva del reato di maltrattamenti appare indirizzata non genericamente contro una persona con cui si vive, ma contro chi ha una consuetudine di vita in comune con l'agente in una relazione intima che, attraverso condotte maltrattanti, genera un rapporto gerarchico e non paritario. Si tratta, in sostanza, di un legame strutturato su una volonta' di "dominio" nel quale e' dirimente soprattutto il condizionamento psicologico e manipolatorio, fondato su ricatti affettivi o economici, in cui la relazione sentimentale e/o genitoriale costituiscono una precondizione che agevola la condotta sopraffattoria dell'autore sulla persona offesa. E' proprio il rapporto di intimita', di fiducia e di affidamento, a prescindere dal legame formale, ad esporre alle vessazioni maltrattanti. In conclusione, l'argomento letterale acquisisce una indiscutibile valenza dimostrativa allorche' vede nel termine "convivenza" l'idea della condivisione di vita intesa sia nella componente materiale (comune gestione e organizzazione dei figli, del tempo, dello spazio abitativo, delle amicizie o delle attivita' di ciascuno dei conviventi), sia nella componente affettiva. 7. La matrice relazionale propria del reato di maltrattamenti e' riscontrabile anche nell'articolo 612-bis c.p., che va qualificato delitto per motivi di genere, in forza della denominazione delle leggi e dei Preamboli che lo hanno introdotto prima e modificato poi. 7.1. La condotta e' integrata da minacce o molestie reiterate da cui consegue per la vittima almeno uno dei tre seguenti eventi: un perdurante e grave stato di ansia o di paura; un fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; un'alterazione delle abitudini di vita. Si tratta di tre eventi che violano la liberta' morale della persona offesa perche' la costringono in una posizione difensiva per la debordante invasivita' degli atti vessatori posti in essere dall'agente (Sez. 3, n. 9222 del 16 gennaio 2015, P.C., Rv. 262517). Inizialmente, la distinzione con il reato di maltrattamenti era chiara perche', al di la' del tipo di condotta e dell'essere il reato di evento, ruotava intorno al dato, sia formale che fattuale, dell'attualita' o meno del vincolo (di coniugio o affettivo): era configurabile l'articolo 572 c.p. per le condotte consumate con relazione in atto, mentre era configurabile l'articolo 612-bis c.p., comma 2, per le condotte consumate dopo la cessazione del vincolo o a conclusione della convivenza. La fattispecie penale in esame e' stata piu' volte modificata per renderla adeguata sia alle condotte lesive, che alla tutela delle vittime. La piu' rilevante, che interessa il caso in esame, e' quella di cui al Decreto Legge n. 93 del 2013, conv. dalla L. n. 119 del 2013 che ha esteso l'applicazione dell'aggravante anche agli atti persecutori commessi in costanza "di relazione" (coniugale, di convivenza o affettiva) determinando, per quanto si vedra' oltre, una vera e propria sovrapposizione con il delitto di maltrattamenti, tanto da ingenerare notevoli difficolta' interpretative sia per la natura emergenziale degli interventi (avvenuti sempre con decreto legge), sia per l'assenza di un disegno organico e coerente tra le diverse norme (sostanziali e processuali) di contrasto alla violenza contro le donne che non viene mai ne' nominata (se non nei titoli delle leggi), ne' definita. 7.2. Sia l'articolo 612-bis c.p., comma 2, che l'articolo 572 c.p. risultano oggetto di numerosi interventi normativi, sempre dettati dall'adempimento dell'Italia agli obblighi sovranazionali, che hanno portato all'attuale sovrapposizione, attraverso la progressiva estensione della tutela delle donne in qualsiasi tipo di relazione affettiva, che costituisce ontologicamente un fattore di pericolo capace di favorire la violenza, allorche' vi si esprima una cultura discriminatoria e sopraffattoria, per ragioni di genere, dell'autore. L'espansione e' avvenuta con la parificazione della violenza commessa in contesto familiare e di convivenza, con quella esercitata tra attuali o precedenti partner, al di la' della coabitazione. 7.3. La modifica normativa che ha riguardato l'articolo 612-bis c.p., comma 2, prevede che ogni rapporto, sia che venga formalizzato o meno dal coniugio, sia che risulti cessato o attuale, meriti un aumento sanzionatorio per la grave insidiosita' delle condotte e la maggiore pericolosita' dell'autore. Questi, infatti, proprio approfittando del legame sentimentale e dell'intimita' (presente o passata) con la persona offesa, oltre che dell'abbassamento delle sue difese, e' agevolato nella commissione del delitto essendo a conoscenza delle sue abitudini di vita, dei suoi comportamenti, dei suoi affetti piu' cari, delle sue conoscenze, dei suoi dati sensibili (numero di telefono, mail, luogo di studio o di lavoro, tragitto percorso, veicoli utilizzati per gli spostamenti, profili social, eccetera). Ad oggi, dunque, gli interventi legislativi, senza fissare precisi criteri di orientamento per l'individuazione della linea di confine, hanno pressoche' sovrapposto l'ambito di operativita' delle due norme che, nate in contesti storici differenti, costituiscono i piu' significativi strumenti per contrastare forme di violenza nel contesto familiare ed affettivo. I profili del rapporto interpersonale che lega autore del reato e persona offesa, la struttura abituale delle fattispecie, l'elemento oggettivo e quello soggettivo dei due delitti (comportamenti, anche privi del requisito dell'illiceita', inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione della volonta' di un partner sulle scelte libere e autonome dell'altro) nel tempo sono venuti via via ad avvicinarsi, non costituendo piu' valore dirimente l'argomento, sino ad oggi utilizzato, della distinzione dell'oggetto giuridico protetto. 7.4. Ai fini dell'esegesi delle norme in esame, utile per distinguerle, ulteriore approfondimento merita la definizione di "relazione affettiva" contenuta nell'articolo 612-bis c.p., comma 2, e piu' volte richiamata nel codice penale, anche attraverso le modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2019, perche' i vari tipi di vincolo previsti normativamente (coniugio, unione di fatto, separazione di fatto, separazione legale, divorzio, ecc.) sono accomunati dalla precondizione della relazione affettiva che e' in corso o li ha preceduti. Per "relazione affettiva" deve intendersi un legame sentimentale derivante da un rapporto di reciproco affidamento che facilita il delitto, in quanto l'autore sfrutta la fiducia che la vittima ripone in lui e ne approfitta per accedere violentemente o abusivamente nella sua sfera piu' intima (Sez. 3, n. 42424 del 06/02/2018, L., Rv. 274518), senza che vi sia ne' una stabile condivisione di vita ovvero di una convivenza attuale o cessata (Sez. 3, n. 11920 del 09/01/2018, B., Rv. 272383), ne' che vi siano frequentazioni ancorche' episodiche (Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018, S., Rv. 273746). La formula "relazione affettiva" utilizzata dal legislatore consente ampi margini di valutazione che rimettono sostanzialmente all'interprete l'individuazione della nozione e dello specifico rapporto, tenendo conto non solo del contesto in cui questo si inscrive, ma soprattutto dell'appartenenza di genere dell'autore del reato e della persona offesa da cui origina la riproduzione di un rapporto sopraffattorio e controllante dell'uno sull'altra. 8. Alla luce di quanto precede e' possibile individuare proprio nell'assenza o nella fine della convivenza il confine tra i due reati in esame, in piena attuazione del precetto costituzionale di cui all'articolo 25 Cost., comma 2. 8.1. La distinzione appare netta quando i fatti illeciti sono commessi dopo la chiusura del vincolo da parte dell'ex coniuge (divorzio), con conseguente applicazione della sola forma aggravata di cui all'articolo 612-bis c.p., comma 2. In questa ipotesi, infatti, sulla base dei criteri sopra indicati non e' piu' in atto la "convivenza". Quando, invece, le condotte sopraffattorie e violente proseguono anche dopo la cessazione della convivenza e sono commesse "dal coniuge, anche separato...., o da persona che e' o e' stata legata da relazione affettiva alla persona offesa", si pone il problema, dal momento che il delitto potrebbe essere punito sia dall'articolo 612-bis c.p., comma 2, sia dall'articolo 572 c.p.. Il concorso apparente di norme e' risolto dal principio di specialita', richiamato dalla clausola di sussidiarieta' contenuta nell'articolo 612-bis c.p., comma 1, e spetta al giudice di merito delineare le ragioni, di fatto e di diritto, di applicazione dell'una o dell'altra norma. 8.2. La questione e' di agevole soluzione, secondo l'interpretazione costante di questa Corte, quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, siano commesse ai danni del coniuge separato perche' in questo caso si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l'unione civile la persona resta comunque "familiare", presupposto applicativo dell'articolo 572 c.p.. La separazione coniugale, infatti, da un lato e' una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status acquisito; dall'altro lato dispensa dagli obblighi di convivenza e fedelta', lasciando integri quelli discendenti dall'articolo 143 c.c., comma 2, (reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione), cosicche' il coniuge separato resta "persona della famiglia" come peraltro si evince anche dalla lettura dell'articolo 570 c.p. (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R.). A questo dato formale si aggiunge un indicatore di comune esperienza, esplicitato anche dalle Convenzioni internazionali, secondo cui la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, e' una forma di violenza che non solo continua, ma spesso si aggrava, proprio per la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione che costituisce, infatti, atto di affermazione di autonomia e liberta' negate nella relazione di coppia (in questi termini p. 42 della Relazione esplicativa della. Convenzione di Istanbul). Detta interpretazione e' ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poiche', in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli e l'esercizio del diritto di visita a costituire, per l'agente, l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa. 8.3. Ritiene il Collegio che il discrimine, nei casi di cessazione o assenza della convivenza, imponga un approfondito accertamento di fatto volto a verificare se tra l'autore del reato e la persona offesa non vi sia consuetudine di vita, tale da escludere un'incombente e continuativa presenza del primo nell'esistenza della vittima e una modalita' relazionale in piena discontinuita' rispetto alla fase della convivenza, ove questa vi sia stata. 8.4. Per compiere una corretta qualificazione giuridica delle condotte illecite, il giudice di merito deve operare un doppio accertamento della situazione di fatto al momento della consumazione delle violenze: quello preliminare circa l'esistenza di una "convivenza" o di una "relazione affettiva", in base agli indicatori di cui ai paragrafi 6.1 e ss.; quello successivo circa l'effettiva interruzione o assenza di convivenza. Questo secondo requisito, cioe' l'effettiva interruzione o assenza di convivenza, e' cruciale in quanto dalla sua esistenza deriva l'applicazione dell'articolo 612-bis c.p., comma 2, e, di converso, l'esclusione del reato di maltrattamenti. La verifica non sempre e' agevole proprio per la fluidita' e la complessita' delle relazioni di coppia, specie quando fondate su una sopraffazione normalizzata o vi siano figli piccoli e provvedimenti giudiziari, civili o minorili, che impongono una loro gestione comune; oppure per la necessita' di un tempo di assestamento ai fini della definizione dei pregressi rapporti affettivi quando siano stati prolungati e la chiusura sia recente (ricerca di un'abitazione o di una fonte di sostentamento, divisione di beni comuni o di conti cointestati, ecc.); o, ancora, per i riavvicinamenti e gli allontanamenti, anche a brevi e continuativi intervalli, conseguenti a ricatti morali o a forme manipolatorie o a tentativi di ricostruzione della precedente condizione di vita. Tutto questo potrebbe far permanere modalita' relazionali e abitudini di vita assai simili a quelle precedenti (mangiare nella stessa casa o passare le feste o le vacanze insieme o imporre all'ex convivente di sbrigare le faccende domestiche nell'appartamento del partner) per le piu' svariate ragioni come rendere graduale la separazione nell'interesse dei figli o assecondare il maltrattante per non aggravare ulteriormente la violenza. In questi casi, dunque, potrebbe proseguire una condizione di convivenza per la quale non basta accertare l'assenza di coabitazione, ma possono soccorrere altri indicatori volti a dimostrare che la convivenza sia cessata o non vi sia mai stata, come, ad esempio: la mancata disponibilita' da parte dell'autore del reato delle chiavi di casa in cui vive la persona offesa e, dunque, l'impossibilita' di accesso incondizionato ed incontrollato ai luoghi in cui questa abita o la non condivisione della responsabilita' genitoriale (nel caso di affido esclusivo o super esclusivo alla sola persona offesa). Si tratta in sostanza di stabilire, con accertamento puntuale della specifica situazione di fatto se, al di la' dell'affermazione dell'imputato o della persona offesa di avere cessato o di non avere mai avuto una convivenza, questo sia davvero avvenuto o, al contrario, permangano condizioni controllanti con tutti i meccanismi, oggettivi e soggettivi, che le connotano, tanto da rendere meramente astratta, o solo ambita, la decisione di interrompere la convivenza o di non intrattenerla. E', dunque, necessario verificare se la persona offesa abbia effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante nel qual caso ricorre la cessazione o l'assenza di convivenza e, dunque, si applica la fattispecie di cui all'articolo 612-bis c.p., comma 2, oppure continui ad esserne totalmente privata, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuita', nel qual caso si applica la fattispecie di cui all'articolo 572 c.p.. 9. Alla luce di questo percorso interpretativo e visti, a titolo meramente esemplificativo, gli indicatori di cui al paragrafo 6.5., e' preliminare accertare se, al momento della consumazione delle violenze interne alla coppia vi fosse una "convivenza" o una "relazione affettiva". Dalla lettura delle sentenze di merito, tra loro convergenti, emerge come il rapporto sentimentale fosse sempre stato caratterizzato dalle violenze, fisiche e psicologiche, del ricorrente nei confronti di (OMISSIS) e connotate da una pericolosa escalation. Nel corso degli anni i comportamenti illeciti si erano sempre sviluppati al di fuori di una continuativa vita in comune e i due giovanissimi, anche in ragione della loro eta' e degli impegni scolastici, pur avendo una frequentazione quotidiana e un figlio in comune, erano rimasti ciascuno nel proprio contesto familiare, con i rispettivi genitori, in appartamenti diversi, con una vita autonoma. A cio' si aggiunge che dalle motivazioni delle sentenze non risulta che la nascita del bambino della coppia avesse intensificato la presenza di (OMISSIS) nell'esistenza di (OMISSIS), per condividere la responsabilita' genitoriale. Si tratta di elementi di fatto che, a prescindere dalla mancanza di coabitazione tra l'autore e la vittima, escludono la sussistenza di una "convivenza", nei termini sopra indicati, ritenendo invece ravvisabile una "relazione affettiva". In ordine all'elemento oggettivo concernente la condotta contestata, nel dibattimento (OMISSIS) ha riferito la modalita' controllante adottata da (OMISSIS), volta a limitarne liberta' e dignita' in relazione al suo modo di vestire, di truccarsi e di intessere amicizie, fino a picchiarla pubblicamente, persino a scuola e alla presenza degli insegnanti, "per darle una lezione", appellandola con termini dispregiativi e umilianti per il genere femminile quando non soggiaceva alle sue regole (pag. 2 e 3 della sentenza di primo grado), minacciandola dopo la presentazione della denuncia. Il comportamento persecutorio di (OMISSIS), cosi' descritto, e' stato ricondotto dalla persona offesa, legata affettivamente al ricorrente, ad una morbosa gelosia, sebbene detto sentimento non abbia nulla a che vedere con le condotte contestate che rientrano in una inequivoca e deliberata attivita' persecutoria volta a privare la vittima di qualsiasi minimale forma di autonomia e da inscrivere soltanto nella deliberata volonta' prevaricatoria di (OMISSIS). La sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo, puntualmente descritti nelle sentenze di merito, consente a questa Corte di provvedere alla diversa qualificazione giuridica del fatto, ai sensi dell'articolo 612-bis c.p., comma 2, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina per la sola rideterminazione della pena. 10. Il secondo motivo di ricorso e' generico. Le circostanze attenuanti generiche, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, sono state riconosciute dalla sentenza di primo grado, proprio alla luce dell'incensuratezza e della giovane eta' del ricorrente, e confermate da quella impugnata, tanto da rendere il motivo di ricorso privo di qualsiasi fondamento. 11. Il terzo motivo di ricorso, relativo alla quantificazione della pena, e' assorbito nell'accoglimento del primo. P.Q.M. Qualificati i fatti ai sensi dell'articolo 612-bis c.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Messina per la sola rideterminazione della pena. In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. VIGNA Maria S. - Consigliere Dott. PATERNO' R. Benedetto - Consigliere Dott. TRAVAGLINI D.N. Paol - rel. Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/11/2021 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini; sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola Lettieri, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; sentito l'avvocato Francesco Saggioro, difensore di (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso contestando il contenuto della requisitoria del Pubblico Ministero. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Reggio Emilia aveva condannato (OMISSIS) alla pena di due anni e due mesi di reclusione per il reato di cui all'articolo 572 c.p. (Capo A) per avere maltrattato la convivente (OMISSIS) con violenze fisiche e psicologiche nonche' con minacce gravi alla persona, fatti aggravati dalla condizione di gravidanza della donna e dalla presenza dei figli minorenni (commessi da febbraio a (OMISSIS)); nonche' per lesioni aggravate connesse al delitto di maltrattamenti (Capo B). (OMISSIS) e (OMISSIS), legati da una relazione sentimentale, nel novembre del 2016 avevano avviato una convivenza. Dopo pochi mesi, cioe' nel gennaio del 2017, l'uomo aveva iniziato ad esercitare violenza sulla giovane, con insulti e schiaffi fino a quando, nel marzo del 2017, alla presenza del figlio (OMISSIS), di pochi mesi (nato il (OMISSIS)), aveva tentato di strangolarla. (OMISSIS) era andata a vivere dalla madre, senza denunciare i fatti, e per questo era stata minacciata dal compagno di impedirle di rivedere il bambino se non fosse tornata, cosa che la giovane aveva fatto nell'aprile dello stesso anno. Durante la nuova convivenza, mentre la donna era incinta di due gemelli (nati il (OMISSIS)), e sempre alla presenza di (OMISSIS), le violenze dell'uomo erano proseguite con minacce, schiaffi e spintoni. A seguito dell'intervento dei carabinieri e dei servizi sociali nel luglio 2017 la situazione era migliorata per poi precipitare nel marzo del 2019 quando (OMISSIS), scoperto dalla convivente di intrattenere una relazione con un'altra donna, aveva ripreso le violenze nei confronti di (OMISSIS), minacciandola, schiaffeggiandola e colpendola con pugni in diverse occasioni tanto da determinarla a trasferirsi con i bambini prima dalla madre e dal gennaio 2020 per conto proprio. Nonostante la separazione (OMISSIS) aveva insistito con le violenze ai danni della donna, presentandosi sul luogo di lavoro, controllandola, impedendole di truccarsi e vestirsi come voleva, ingiuriandola anche con sms, pretendendo di vedere i figli, minacciando di ucciderla e di toglierle i bambini, picchiandola con schiaffi, pugni e ginocchiate in tre occasioni. L'ultimo episodio, all'esito del quale era stata emessa una misura cautelare non custodiate, era avvenuto il 7 febbraio del 2020 quando l'uomo alle ore 23:00 era entrato nell'abitazione della (OMISSIS), accompagnato dalla nuova compagna, (OMISSIS), e dopo avere malmenato la ex compagna, che lo implorava di smetterla anche per la presenza del figlio (OMISSIS) che piangeva disperato, aveva tentato di defenestrarla, non riuscendoci per l'intervento della (OMISSIS). Dallo sgabuzzino dell'appartamento (OMISSIS), amica della (OMISSIS), chiamata in aiuto dalla donna aveva sentito tutto e aveva visto parte dell'aggressione. I fatti erano stati confermati dagli sms inviati dal (OMISSIS), dal tenore gravemente minaccioso e ingiurioso; dalla madre della persona offesa; dalla teste (OMISSIS) e dalle certificazioni mediche acquisite. Sulla base di questi elementi, i giudici di merito hanno concluso che il ricorrente fosse responsabile del reato di maltrattamenti aggravati, sia dall'essere stati commessi su donna in stato di gravidanza, sia dalla presenza dei figli minorenni, con riferimento all'intero periodo in contestazione (dal febbraio 2017 al luglio 2017 e dal marzo 2019 al 20 febbraio 2020), ritenendo che anche per le condotte successive alla convivenza (dopo il mese di maggio 2019) dovesse applicarsi detta norma alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che valorizza "la situazione di condivisa genitorialita'" (in questi termini e' stata richiamata la sentenza Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697). 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo due motivi. 2.1. Vizio di motivazione, per contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere la Corte territoriale rigettato, con argomenti apodittici, la richiesta, gia' invano avanzata in primo grado con il rito abbreviato condizionato, di escussione della testimone (OMISSIS), nuova compagna del (OMISSIS) e presente all'ultimo episodio di violenza - consistito nel tentativo di defenestramento della (OMISSIS) avvenuto il 7 febbraio 2020 - la cui dichiarazione, mai assunta neanche in fase investigativa, benche' la sua presenza risultasse dalla denuncia, avrebbe comprovato l'assenza, nell'occasione, della testimone (OMISSIS) che aveva confermato il fatto. In particolare, la sentenza impugnata, a fronte della specifica richiesta di esaminare la (OMISSIS), non aveva attivato i sollecitati poteri di cui all'articolo 603 c.p.p. ritenendo erroneamente che la difesa dell'imputato, in sede di udienza preliminare, nel formulare istanza subordinata di rito abbreviato, anche in difetto di integrazione probatoria, avesse accettato il rito abbreviato non condizionato. 2.2. Vizio di omessa motivazione in quanto la Corte distrettuale non aveva esaminato la richiesta di escludere l'aggravante della presenza dei figli minorenni o definirne l'ambito temporale, collocandola sino al maggio del 2019, cioe' prima degli inasprimenti sanzionatori disposti dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 e dell'introduzione dell'aggravante di cui all'articolo 572, comma 2, c.p. Cio' aveva determinato l'esclusione sia della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante la remissione di querela della persona offesa, sia della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'articolo 656, comma 9, c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito indicati. 2. La Corte di appello, sulla base di una puntuale ricostruzione del rapporto tra il ricorrente e la persona offesa, facendo anche propri gli argomenti del giudice di primo grado, ha ritenuto di qualificare le condotte illecite tenute da (OMISSIS) nei confronti della compagna, avvenute alla presenza dei figli minorenni e protrattesi, nell'arco di oltre tre anni, sia durante che dopo la convivenza, ai sensi dell'articolo 572 c.p.. 3. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, con argomenti completi e coerenti, non ha accolto l'istanza proposta nell'interesse di (OMISSIS) di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale dando atto che la difesa, in sede di udienza preliminare, aveva formulato istanza subordinata di rito abbreviato anche in difetto di integrazione probatoria. A fronte del rigetto del giudice di primo grado di darvi luogo, la difesa del ricorrente aveva concluso chiedendo l'assoluzione dell'imputato, cosi' accettando il rito abbreviato nei termini in cui esso si era svolto. Peraltro, la sentenza impugnata, nel disattendere i diversi motivi di appello, ha dato conto della completezza del materiale probatorio anche con riguardo all'unico episodio su cui avrebbe dovuto vertere l'esame testimoniale di (OMISSIS) (il defenestramento della persona offesa alla presenza del figlio minorenne) e pertanto della sua non necessita'. Inoltre, nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori essendo rimessa la valutazione dell'assoluta necessita' dell'integrazione probatoria al giudice che vi provvede solo quando non possa decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820; Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv. 280504). 4. Il secondo motivo di ricorso, relativo all'aggravante del delitto di maltrattamenti avvenuto in presenza dei figli minorenni, e' in parte reiterativo ed in parte tardivo. 4.1. La censura sull'omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine alla precisa collocazione temporale dell'aggravante, agli effetti della L. n. 69 del 2019, per come proposto in questa sede costituisce motivo nuovo in quanto nell'atto di appello la questione di diritto e' stata posta in termini generici e comunque la Corte di merito, come il giudice di primo grado, ha descritto in modo puntuale l'epoca in cui il piccolo (OMISSIS) aveva assistito alle violenze del padre sulla madre. Inoltre, al ricorrente sono state applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, tra le quali, oltre a quella oggetto di esame, vi e' quella di aver commesso le condotte maltrattanti ai danni di donna in stato di gravidanza, fatto non posto in dubbio dal ricorso, cosicche' il motivo e' privo di qualsiasi effetto giuridico. 4.2. Il ricorso ha riproposto, negli stessi termini e in modo generico, l'assenza di prova dell'aggravante dei maltrattamenti, senza in alcun modo misurarsi con gli argomenti, logici e non contraddittori, correttamente adottati dalle pronunce di merito che ne hanno richiamato le convergenti prove dichiarative che la comprovano (denuncia-querela di (OMISSIS), testimonianze di (OMISSIS) e di (OMISSIS)). 5. Il Collegio ritiene di sollevare di ufficio, in quanto non dedotto nel ricorso, il tema della qualificazione giuridica del fatto, accertato dalle sentenze di merito, con specifico ed esclusivo riferimento alle condotte poste in essere dal (OMISSIS) nel segmento temporale successivo alla cessazione della convivenza con la persona offesa. La lettura congiunta delle pronunce consente, infatti, di scindere l'affermazione di responsabilita' del ricorrente in due diversi momenti: uno relativo ai maltrattamenti perpetrati durante la convivenza con (OMISSIS), per i quali vi e' ampia e congrua motivazione; l'altro relativo alle condotte poste in essere "dopo la fine della relazione (e quindi della convivenza) con la (OMISSIS) - e piu' precisamente dopo il mese di maggio 2019". 6. La questione di diritto, che si pone nella specie, riguarda la qualificazione giuridica della condotta illecita posta in essere da un partner ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza, pur a fronte di una situazione di condivisa genitorialita', e dunque il discrimine tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori aggravati. La Corte costituzionale con la sentenza n. 98 del 2021, si e' occupata della linea di demarcazione tra articolo 572 c.p. e articolo 612-bis, comma 2, c.p. a partire proprio dal caso delle violenze perpetrate nell'ambito di una coppia, legata sentimentalmente da pochi mesi, che conviveva solo nei fine settimana. Il Giudice delle leggi si e' posto il problema dell'interpretazione estensiva, operata dal giudice rimettente, della nozione di "convivenza" - contenuta nel piu' grave delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi e ha ritenuto che il giudice di merito, seguendo un'interpretazione teleologica, da un lato non si fosse misurato con il dato letterale, che fissa il limite estremo della legittima interpretazione della norma penale, con riferimento ai requisiti alternativi "persona della famiglia" e "persona comunque (...) convivente" con l'autore del reato; dall'altro lato avesse omesso di "confrontarsi con il canone ermeneutico rappresentato, in materia di diritto penale, dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall'articolo 14 delle preleggi nonche': - implicitamente - 1 c.p., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalita' di cui all'articolo 25, comma 2, Cost. (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998)". La Corte costituzionale ha affermato, dunque, in termini molto netti, e proprio con riferimento al reati di maltrattamenti, che "Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce cosi' un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo....sicche' non e' tollerabile che la sanzione possa colpirlo (il consociato) per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore". Inoltre, la ratio della riserva assoluta di legge in materia penale sarebbe svuotata se si consentisse al giudice di "assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura" 7. Anche alla luce di quanto affermato dalla sentenza sopracitata, occorre verificare la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici di merito in una fattispecie che concerne una coppia di conviventi, con figli, poi separatasi. 9. Il reato previsto dall'articolo 572 c.p. punisce: "Chiunque... maltratta una persona della famiglia...". Si tratta di un delitto che nel Codice Zanardelli era contro la persona e nel Codice Rocco e' stato collocato nel Titolo XI "Dei delitti contro la famiglia" (sub capo V "Dei delitti contro l'assistenza familiare") nella prospettiva di tutelare proprio l'istituzione-famiglia, definita nella Relazione sui Libri II e III del Progetto definitivo di un nuovo codice penale "centro di irradiazione di ogni civile convivenza", mantenendo fermo lo ius corrigendi del pater familias nei confronti di moglie e figli. 9.1.La L. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica della Convenzione di Lanzarote (Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minorenni contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale), al fine specifico che qui interessa, ha inserito "il convivente" tra i soggetti attivi e passivi del reato, cosi' adattando la fattispecie penale al risalente approdo di questa Corte (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563) e della Corte EDU (Emonet + altri contro Svizzera, 13 dicembre 2007; Merckx contro Belgio, 13 giugno 1979) con l'obiettivo di estendere la tutela penale, in risposta all'evoluzione sociale e nel rispetto di una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie, anche all'interno di stabili legami affettivi. Dalla lettura della norma si evince che la "famiglia" e la "convivenza" delineano l'ambito relazionale in cui si sviluppano precisi rapporti interpersonali ed individuano, sinteticamente, coloro che del reato di maltrattamenti possono essere autori e persone offese (cosi' come avviene con il richiamo alle altre relazioni fondate su rapporti di autorita' e affidamento) e che, per la natura e l'intensita' stessa del legame, dal lato passivo rende difficile sottrarsi alle violenze e, dal lato attivo, rende facile perpetrarle. La riforma legislativa del 2012, inserendo tra le persone tutelate anche il/la "convivente", genera un effetto evolutivo di estremo rilievo sotto diversi profili: adegua la norma alla mutata realta' sociale dei rapporti di coppia e cosi' depotenzia l'anacronistica collocazione sistematica della fattispecie penale tra i delitti contro la famiglia; consente, proprio a partire dal dato testuale dell'assimilazione tra familiare e convivente, l'abbandono dell'impostazione pubblicistica e funzionale della famiglia fondata sul matrimonio, delineando l'oggetto giuridico del reato e dei beni che esso garantisce secondo un'esegesi costituzionalmente (articoli 2, 3, 32 Cost.) e convenzionalmente orientata (la CEDAW, con l'articolo 16; la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle liberta' fondamentali, detta CEDU, con gli articoli 3 e 14; la Convenzione di Istanbul, con l'articolo 3) individuandoli nell'integrita' fisica e morale, oltre che nella dignita' e nell'autodeterminazione, della persona (Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez.6, n. 29542 del 18/09/2020, G., Rv. 279688; Sez. 6 n. 2625 del 12/01/2016, G., Rv. 266243). Questa interpretazione e' ulteriormente avvalorata dalla riformulazione parziale della rubrica dell'articolo 572 c.p., avvenuta sempre con la L. n. 172 del 2012, che da "maltrattamenti in famiglia" e' divenuta "maltrattamenti contro familiari e conviventi" tanto da rovesciare, in modo inequivoco, la prospettiva di tutela della norma che passa dall'istituzione-famiglia alla protezione dei suoi componenti dalle violenze, fisiche e psicologiche, che vi si compiono. 9.2. La lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'unico verbo (maltrattare) che descrive la condotta, fornita dalla giurisprudenza di questa Corte (a partire da Sez. U, n. 10959 del 29 gennaio 2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893), ha consentito un pieno adeguamento alla Convenzione di Istanbul in quanto qualificata come l'insieme di comportamenti vessatori che, pur singolarmente considerati, possono anche non costituire reato, senza dunque richiedere la reiterazione di atti di violenza (tra le altre Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270; Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962). Cio' che caratterizza un comportamento come maltrattante, in un quadro di insieme e non parcellizzato della relazione tra autore e vittima, e' che gli atti coercitivi, anche solo minacciati o di minimale apparente portata lesiva, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico), siano volti a ledere la dignita' della persona offesa, umiliandola o limitandone la sfera di liberta' anche rispetto a scelte minimali del vivere quotidiano, affinche', stante la struttura abituale del reato, si sviluppi, fino a consolidarsi, un assetto di potere discriminatorio. L'accertamento, dunque, deve appuntarsi esclusivamente sulla condotta dell'autore, unico elemento oggettivo e descrittivo della fattispecie penale, non assumendo alcuna valenza, sotto il profilo della qualificazione giuridica del fatto e della sussistenza della illiceita' penale, ne' la capacita' reattiva della persona offesa (da ultimo Sez. 6, n. 30340 dell'08/07/2022, S., non mass.), ne' l'eventuale reciprocita' delle condotte, ne' la concreta idoneita' delle violenze di ottenere l'annientamento o la subordinazione della vittima (Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, V.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M.). 10. La nozione di convivente non e' delineata nel codice penale o processuale penale perche', storicamente, il rapporto di convivenza, considerato un fenomeno deviante e poi a contenuto minore rispetto al matrimonio, ha assunto progressivamente diverso rilievo, di pari passo con l'evoluzione sociale e culturale, oltre che con il riconoscimento dei diritti dei conviventi e dei loro figli. 10.1. Per definire il termine convivente contenuto nell'articolo 572 c.p. e' necessario tenere conto della giurisprudenza costituzionale e delle leggi che, in vari ambiti, lo richiamano. La giurisprudenza costituzionale (a partire da Corte Cost., sent. n. 237 del 18 novembre 1986), condivisa ed assunta dalla giurisprudenza di legittimita' (da ultimo Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574), riconduce la convivenza alle "formazioni sociali" meritevoli di protezione giuridica, in virtu' dell'articolo 2 Cost., quando si fonda su una relazione affettiva, nell'ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle aggregazioni menzionate dalla norma costituzionale, fonte di doveri morali e sociali anche al di la' della filiazione. L'ordinamento contiene da anni numerose disposizioni (normative, regolamentari, ecc.) che si riferiscono al "convivente" e, per quello che interessa in questa sede, gia' dal 2001 la L. n. 154 ha introdotto gli ordini di protezione contro gli abusi familiari di cui agli articoli 342-bis c.p.c. e ss. "pur se commessi da conviventi o in danno di conviventi" proprio per incrementare il catalogo delle persone offese dal reato e, di conseguenza, degli autori, al di fuori della famiglia fondata sul matrimonio. In questo modo non solo si prende atto della progressiva equiparazione nel nostro ordinamento, per via normativa o giurisprudenziale, tra famiglia e convivenza, ma anche di un'interpretazione che costituiva diritto vivente gia' dagli anni âEuroËœ60 (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563) ovverosia l'esistenza di condotte violente e maltrattanti anche nell'ambito delle cd "famiglie di fatto", per tali intendendosi le relazioni sentimentali che, per la consuetudine dei rapporti creati, implicassero l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale nonche' a ogni consorzio di persone tra le quali la relazione stretta avesse creato rapporti di solidarieta' per un apprezzabile periodo di tempo (Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Gatto, Rv. 236757; Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, B., Rv. 239726). 10.2. Questo percorso evolutivo, che ha attraversato tutti gli ambiti del diritto per decenni, ha avuto un approdo utile, ai fini dell'ermeneusi del termine convivente contenuto nell'articolo 572 c.p., con l'unica norma che, per la prima volta, ne introduce nell'ordinamento la nozione legale ovvero l'articolo 1, comma 36, della L. 20 maggio 2016, n. 76 ("Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze") secondo cui sono "...conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.". Occorre chiedersi se la disposizione contenuta nell'articolo 572 c.p. possa attingere alla citata definizione di "convivente" visto che L. n. 76 del 2016 articolo 1, comma 36, premette che la nozione legale e' enucleata "ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 36 a 67". La risposta deve essere affermativa, non solo alla luce dei criteri ermeneutici delineati dalla Corte costituzionale nelle sopra richiamate sentenze (Corte Cost. sent. n. 25 del 2019 e n. 172 del 2014), ma anche perche' la L. n. 76 del 2016, per quanto rileva in questa sede, ha preso atto del diritto vivente formatosi in materia di "convivenza di fatto" (definizione criticabile che, peraltro, non ha piu' ragion d'essere stante l'introduzione di una specifica disciplina che regola, in parte, i contenuti e le caratteristiche di questa condizione di coppia), come si desume dalle Relazioni al disegno di legge, secondo cui la finalita' della disciplina e' volta a "recepire nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali gia' consolidate nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi". L'intenzione del legislatore, dunque, e' stata quella di accreditare, nel diritto positivo, la definizione di "convivente" elaborata dalla giurisprudenza, secondo una nozione condivisa e a vocazione generale riferibile al "senso comune", invocato dalla Corte costituzionale nella sentenza 98 del 2021, che costituisce un preciso riferimento anche per il diritto penale nel rispetto del canone interpretativo a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Va ricordato che il Decreto Legislativo n. 6 del 2017 con l'articolo 1, lettera b) ha introdotto l'articolo 574-ter c.p. ("Costituzione di un'unione civile agli effetti della legge penale") che, a chiusura del Titolo XI ("Dei delitti contro la famiglia"), stabilisce una generale equiparazione tra le parti delle unioni civili e i coniugi, senza menzionare i conviventi. Detta omissione, ai fini dell'interpretazione dell'articolo 572 c.p., non assume alcuna valenza proprio grazie all'estensione testuale avvenuta con la precedente L. n. 172 del 2012. 10.3. Ulteriore e definitiva conferma della definizione di "convivente" enucleata, si trae, infine, sia dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134 che all'articolo 1, comma 18, lettera b), delega il Governo a definire, nell'ambito dei programmi di giustizia riparativa, il "familiare", qualificando il convivente come "la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare in modo stabile e continuo"; sia dall'articolo 42 lettera d) del decreto delegato (Decreto Legislativo n. 150 del 2022), che riprendendo la Direttiva 2012/29/UE, ha tradotto il criterio menzionato ed equiparato "il coniuge, la parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 1, L. 20 maggio 2016, n. 76, il convivente di fatto di cui all'articolo 1, comma 36, della stessa legge, la persona che e' legata alla vittima o alla persona indicata come autore dell'offesa da un vincolo affettivo stabile, nonche' i parenti in linea retta, i fratelli, le sorelle e i familiari a carico della vittima o della persona indicata come autore dell'offesa". Cio' che e' certo e' che il convivente, in quanto tale, non acquisisce uno status perche' quello che lo connota e' l'avere creato uno stretto legame affettivo di coppia (che prescinde anche dall'appartenenza di sesso, diversamente da quanto previsto per le unioni civili e per il matrimonio), la cui definizione sfugge a schemi predefiniti, in quanto la convivenza e' fondata su intime e personalissime scelte, differenti per ciascuna relazione, anche orientate da valutazioni economiche, culturali, sociali o religiose sempre piu' soggette a cambiamenti. 10.4. A questo punto e' possibile delineare la definizione di convivenza, giuridicamente rilevante ai sensi dell'articolo 572 c.p., che proietta il rapporto, cioe' la volonta' di coppia, in una dimensione di impegno e di progetto di vita, al di la' che poi in concreto la stabilita' si realizzi (Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358), come nel caso in cui, assunta la decisione di vivere insieme, la convivenza cessi, ad esempio, proprio per le violenze. In sostanza cio' che qualifica detto tipo di rapporto e' la spontaneita' della decisione, liberamente revocabile, volta ad una comunione materiale e spirituale di vita (Sez. 6, n. 17888 dell'11/02/2021, O., Rv. 281092) che si differenzia da altre forme di condivisione, quali il matrimonio o l'unione civile, solo per la mancata adesione a vincoli giuridici da cui conseguono differenti soglie di tutela a seconda delle scelte operate di volta in volta dal legislatore (Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, Fialova, Rv. 280574 che al par. 4.2. richiama le sentenze della Corte EDU che gia' dal 1979 riconducono nella sfera applicativa dell'articolo 8 CEDU, sulla protezione della vita familiare, anche i vincoli affettivi discendenti dalla convivenza di fatto). Dalla nozione delineata discende che la convivenza non puo' essere esclusa quando sia sospesa o segnata da intervalli purche', pero', restino intatti gli altri aspetti, materiali e spirituali, della comunione di vita e della volonta' di condivisione. Questi andranno accertati dal giudice di merito in chiave fattuale tenendo conto anche della flessibilita' che caratterizza questa dimensione affettiva rispetto al contesto sociale, lavorativo e alle scelte intime che muovono le condotte umane. 10.5. Sono diversi gli indicatori della convivenza elaborati nei decenni dalla giurisprudenza (civile e penale) quali: la coabitazione, cioe' la vita in un alloggio comune in cui investire affettivamente (Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, P., Rv. 283120); la condivisione di un'intimita' che si traduce in un legame sentimentale stabile; la riconoscibilita' come coppia da parte di contesti sociali e familiari; la scelta di avere figli; la responsabilita' genitoriale (Sez. 6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv. 276697); la reciproca assistenza economica con la messa a disposizione di un patrimonio comune (conto corrente, pagamento comune di alcune voci di spesa, mutuo, leasing ecc.) o di beni (auto, case, ecc.) o servizi (badante, baby-sitter, dog sitter ecc.) o intestazione di utenze; lo svolgimento di un'attivita' lavorativa comune (impresa, negozio, ecc.). Si tratta di indicatori che, seppure singolarmente sforniti di valenza indiziaria, potrebbero acquisirla ove valutati congiuntamente, in quanto ognuno puo' rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. Infatti, la volontaria e reciproca partecipazione dell'uno alla vita dell'altro, che costituisce il nucleo del rapporto di convivenza, spesso e' priva di elementi formali la cui esistenza richiede un accertamento in concreto che, al di la' del foro interno dei partner, va svolto dal giudice attraverso una valutazione complessiva, e mai atomistica, di tutti gli elementi utili. 10.6. La coabitazione puo' essere un indice importante per individuare una convivenza affettiva stabile in quanto vi e' una casa comune all'interno della quale si svolge il programma di vita condiviso, ma non e' un requisito che la connota, visto che sempre piu' costituisce un dato recessivo (Cass. civ., Sez. 1 ord. 14151 del 04/05/2022, B./F., Rv. 664954; Cass. civ., Sez. 3 ord. 9178 del 13/04/2018, S., Rv. 648590). Infatti, la coabitazione puo' mancare per ragioni economiche, per condizioni oggettive, per scelte individuali, per necessita' di assistenza di altri parenti, per esigenze lavorative e aspettative di studio o di carriera (come nel caso di partner che svolgono attivita' in citta' differenti e lontane o quando e' la stessa natura della professione svolta a non permettere una continuativa coabitazione). Anche la Corte EDU ha ritenuto di non ravvisare "alcun fondamento per tracciare la distinzione... tra i ricorrenti che convivono e coloro che - per motivi professionali e sociali - non lo fanno... poiche'... il fatto di non convivere non priva le coppie interessate della stabilita' che le riconduce nell'ambito della vita familiare ai sensi dell'articolo 8" (Corte EDU, Vallianatos e altri contro Grecia, 7 novembre 2013, § 73). Al contrario, la coabitazione o la convivenza meramente anagrafica possono esistere in assenza di convivenza affettiva duratura quando dipendono da esigenze di mera opportunita', di cura, di amicizia o utilita' economica (si pensi agli studenti o ai colleghi di lavoro che condividono le spese di un appartamento, ai parenti lontani che abitano nella stessa casa di famiglia, ecc.). 10.7. La condotta costitutiva del reato di maltrattamenti appare indirizzata non genericamente contro una persona con cui si vive, ma contro chi ha una consuetudine di vita in comune con l'agente in una relazione intima che, attraverso condotte maltrattanti, genera un rapporto gerarchico e non paritario. Si tratta, in sostanza, di un legame strutturato su una volonta' di "dominio" nel quale e' dirimente soprattutto il condizionamento psicologico e manipolatorio, fondato su ricatti affettivi o economici, in cui la relazione sentimentale e/o genitoriale costituiscono una precondizione che agevola la condotta sopraffattoria dell'autore sulla persona offesa. E' proprio il rapporto di intimita', di fiducia e di affidamento, a prescindere dal legame formale, ad esporre alle vessazioni maltrattanti. In conclusione, l'argomento letterale acquisisce una indiscutibile valenza dimostrativa allorche' vede nel termine "convivenza" l'idea della condivisione di vita intesa sia nella componente materiale (comune gestione e organizzazione dei figli, del tempo, dello spazio abitativo, delle amicizie o delle attivita' di ciascuno dei conviventi), sia nella componente affettiva. 11. La matrice relazionale propria del reato di maltrattamenti e' riscontrabile anche nell'articolo 612-bis c.p., che va qualificato delitto per motivi di genere, in forza della denominazione delle leggi e dei Preamboli che lo hanno introdotto prima e modificato poi. 11.1. La condotta e' integrata da minacce o molestie reiterate da cui consegue per la vittima almeno uno dei tre seguenti eventi: un perdurante e grave stato di ansia o di paura; un fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; un'alterazione delle abitudini di vita. Si tratta di tre eventi che violano la liberta' morale della persona offesa perche' la costringono in una posizione difensiva per la debordante invasivita' degli atti vessatori posti in essere dall'agente (Sez. 3, n. 9222 del 16 gennaio 2015, P.C., Rv. 262517). Inizialmente, la distinzione con il reato di maltrattamenti era chiara perche', al di la' del tipo di condotta e dell'essere il reato di evento, ruotava intorno al dato, sia formale che fattuale, dell'attualita' o meno del vincolo (di coniugio o affettivo): era configurabile l'articolo 572 c.p. per le condotte consumate con relazione in atto, mentre era configurabile l'articolo 612-bis, comma 2, c.p. per le condotte consumate dopo la cessazione del vincolo o a conclusione della convivenza. La fattispecie penale in esame e' stata piu' volte modificata per renderla adeguata sia alle condotte lesive, che alla tutela delle vittime. La piu' rilevante, che interessa il caso in esame, e' quella di cui al Decreto Legge n. 93 del 2013, conv. dalla L. n. 119 del 2013 che ha esteso l'applicazione dell'aggravante anche agli atti persecutori commessi in costanza "di relazione" (coniugale, di convivenza o affettiva) determinando, per quanto si vedra' oltre, una vera e propria sovrapposizione con il delitto di maltrattamenti, tanto da ingenerare notevoli difficolta' interpretative sia per la natura emergenziale degli interventi (avvenuti sempre con decreto legge), sia per l'assenza di un disegno organico e coerente tra le diverse norme (sostanziali e processuali) di contrasto alla violenza contro le donne che non viene mai ne' nominata (se non nei titoli delle leggi), ne' definita. 11.2. Sia l'articolo 612-bis, comma 2, c.p. che l'articolo 572 c.p. risultano oggetto di numerosi interventi normativi, sempre dettati dall'adempimento dell'Italia agli obblighi sovranazionali, che hanno portato all'attuale sovrapposizione, attraverso la progressiva estensione della tutela delle donne in qualsiasi tipo di relazione affettiva, che costituisce ontologicamente un fattore di pericolo capace di favorire la violenza, allorche' vi si esprima una cultura discriminatoria e sopraffattoria, per ragioni di genere, dell'autore. L'espansione e' avvenuta con la parificazione della violenza commessa in contesto familiare e di convivenza, con quella esercitata tra attuali o precedenti partner, al di la' della coabitazione. 11.3. La modifica normativa che ha riguardato l'articolo 612-bis, comma 2, c.p. prevede che ogni rapporto, sia che venga formalizzato o meno dal coniugio, sia che risulti cessato o attuale, meriti un aumento sanzionatorio per la grave insidiosita' delle condotte e la maggiore pericolosita' dell'autore. Questi, infatti, proprio approfittando del legame sentimentale e dell'intimita' (presente o passata) con la persona offesa, oltre che dell'abbassamento delle sue difese, e' agevolato nella commissione del delitto essendo a conoscenza delle sue abitudini di vita, dei suoi comportamenti, dei suoi affetti piu' cari, delle sue conoscenze, dei suoi dati sensibili (numero di telefono, mail, luogo di studio o di lavoro, tragitto percorso, veicoli utilizzati per gli spostamenti, profili social, eccetera). Ad oggi, dunque, gli interventi legislativi, senza fissare precisi criteri di orientamento per l'individuazione della linea di confine, hanno pressoche' sovrapposto l'ambito di operativita' delle due norme che, nate in contesti storici differenti, costituiscono i piu' significativi strumenti per contrastare forme di violenza nel contesto familiare ed affettivo. I profili del rapporto interpersonale che lega autore del reato e persona offesa, la struttura abituale delle fattispecie, l'elemento oggettivo e quello soggettivo dei due delitti (comportamenti, anche privi del requisito dell'illiceita', inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione della volonta' di un partner sulle scelte libere e autonome dell'altro) nel tempo sono venuti via via ad avvicinarsi, non costituendo piu' valore dirimente l'argomento, sino ad oggi utilizzato, della distinzione dell'oggetto giuridico protetto. 11.4. Ai fini dell'esegesi delle norme in esame, utile per distinguerle, ulteriore approfondimento merita la definizione di "relazione affettiva" contenuta nell'articolo 612-bis, comma 2, c.p. e piu' volte richiamata nel codice penale, anche attraverso le modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2019, perche' i vari tipi di vincolo previsti normativamente (coniugio, unione di fatto, separazione di fatto, separazione legale, divorzio, ecc.) sono accomunati dalla precondizione della relazione affettiva che e' in corso o li ha preceduti. Per "relazione affettiva" deve intendersi un legame sentimentale derivante da un rapporto di reciproco affidamento che facilita il delitto, in quanto l'autore sfrutta la fiducia che la vittima ripone in lui e ne approfitta per accedere violentemente o abusivamente nella sua sfera piu' intima (Sez. 3, n. 42424 del 06/02/2018, L., Rv. 274518), senza che vi sia ne' una stabile condivisione di vita ovvero di una convivenza attuale o cessata (Sez. 3, n. 11920 del 09/01/2018, B., Rv. 272383), ne' che vi siano frequentazioni ancorche' episodiche (Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018, S., Rv. 273746). La formula "relazione affettiva" utilizzata dal legislatore consente ampi margini di valutazione che rimettono sostanzialmente all'interprete l'individuazione della nozione e dello specifico rapporto, tenendo conto non solo del contesto in cui questo si inscrive, ma soprattutto dell'appartenenza di genere dell'autore del reato e della persona offesa da cui origina la riproduzione di un rapporto sopraffattorio e controllante dell'uno sull'altra. 12. Alla luce di quanto precede e' possibile individuare proprio nella fine della convivenza il confine tra i due reati in esame, in piena attuazione del precetto costituzionale di cui all'articolo 25, comma 2, Cost. 12.1. La distinzione appare netta quando i fatti illeciti sono commessi dopo la chiusura del vincolo da parte dell'ex coniuge (divorzio), con conseguente applicazione della sola forma aggravata di cui all'articolo 612-bis, comma 2, c.p. In questa ipotesi, infatti, sulla base dei criteri sopra indicati non e' piu' in atto la "convivenza". Quando, invece, le condotte sopraffattorie e violente proseguono anche dopo la cessazione della convivenza e sono commesse "dal coniuge, anche separato...., o da persona che e' o e' stata legata da relazione affettiva alla persona offesa", si pone il problema, dal momento che il delitto potrebbe essere punito sia dall'articolo 612-bis, comma 2, c.p., sia dall'articolo 572 c.p.. Il concorso apparente di norme e' risolto dal principio di specialita', richiamato dalla clausola di sussidiarieta' contenuta nell'articolo 612-bis, comma 1, c.p. e spetta al giudice di merito delineare le ragioni, di fatto e di diritto, di applicazione dell'una o dell'altra norma. 12.2. La questione e' di agevole soluzione, secondo l'interpretazione costante di questa Corte, quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, siano commesse ai danni del coniuge separato perche' in questo caso si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l'unione civile la persona resta comunque "familiare", presupposto applicativo dell'articolo 572 c.p.. La separazione coniugale, infatti, da un lato e' una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status acquisito; dall'altro lato dispensa dagli obblighi di convivenza e fedelta', lasciando integri quelli discendenti dall'articolo 143, comma 2, c.c. (reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione), cosicche' il coniuge separato resta "persona della famiglia" come peraltro si evince anche dalla lettura dell'articolo 570 c.p. (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., non mass.). A questo dato formale si aggiunge un indicatore di comune esperienza, esplicitato anche dalle Convenzioni internazionali, secondo cui la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, e' una forma di violenza che non solo continua, ma spesso si aggrava, proprio per la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione che costituisce, infatti, atto di affermazione di autonomia e liberta' negate nella relazione di coppia (in questi termini § 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul). Detta interpretazione e' ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poiche', in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli e l'esercizio del diritto di visita a costituire, per l'agente, l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa, come avvenuto anche nel caso di specie. 12.3. Ritiene il Collegio che il discrimine, nei casi di cessazione della convivenza, imponga un approfondito accertamento di fatto volto a verificare se tra l'autore del reato e la persona offesa non vi sia piu' quella consuetudine di vita che connotava il precedente rapporto, tale da escludere un'incombente e continuativa presenza del primo nell'esistenza della vittima e una modalita' relazionale in piena discontinuita' rispetto alla fase della convivenza. 12.4. Per compiere una corretta qualificazione giuridica delle condotte illecite, il giudice di merito deve operare un doppio accertamento della situazione di fatto al momento della consumazione delle violenze: quello preliminare circa l'esistenza di una "convivenza" e non di una "relazione affettiva", in base agli indicatori di cui ai paragrafi 10.1 e ss.; quello successivo circa l'effettiva interruzione della convivenza. Questo secondo requisito, cioe' l'effettiva interruzione della convivenza, e' cruciale in quanto dalla sua esistenza deriva l'applicazione dell'articolo 612-bis, comma 2, c.p. e, di converso, l'esclusione del reato di maltrattamenti. La verifica non sempre e' agevole proprio per la fluidita' e la complessita' delle relazioni di coppia, specie quando fondate su una sopraffazione normalizzata o vi siano figli piccoli e provvedimenti giudiziari, civili o minorili, che impongono una loro gestione comune; oppure per la necessita' di un tempo di assestamento ai fini della definizione dei pregressi rapporti affettivi quando siano stati prolungati e la chiusura sia recente (ricerca di un'abitazione o di una fonte di sostentamento, divisione di beni comuni o di conti cointestati, ecc.); o, ancora, per i riavvicinamenti e gli allontanamenti, anche a brevi e continuativi intervalli, conseguenti a ricatti morali o a forme manipolatorie o a tentativi di ricostruzione della precedente condizione di vita. Tutto questo potrebbe far permanere modalita' relazionali e abitudini di vita assai simili a quelle precedenti (mangiare nella stessa casa o passare le feste o le vacanze insieme o imporre all'ex convivente di sbrigare le faccende domestiche nell'appartamento del partner) per le piu' svariate ragioni come rendere graduale la separazione nell'interesse dei figli o assecondare il maltrattante per non aggravare ulteriormente la violenza. In questi casi, dunque, potrebbe proseguire una condizione di convivenza per la quale non basta accertare l'assenza di coabitazione, ma possono soccorrere altri indicatori volti a dimostrare che la convivenza sia cessata, come, ad esempio: la mancata disponibilita' da parte dell'autore del reato delle chiavi di casa in cui vive la persona offesa e, dunque, l'impossibilita' di accesso incondizionato ed incontrollato ai luoghi in cui questa abita o la non condivisione della responsabilita' genitoriale (nel caso di affido esclusivo o super esclusivo alla sola persona offesa). Si tratta in sostanza di stabilire, con accertamento puntuale della specifica situazione di fatto se, al di la' dell'affermazione dell'imputato o della persona offesa di avere cessato la convivenza, questo sia davvero avvenuto o, al contrario, permangano le medesime condizioni controllanti su cui questa si fondava, con tutti i meccanismi, oggettivi e soggettivi, che la connotavano, tanto da rendere meramente astratta, o solo ambita, la decisione di interromperla. E', dunque, necessario verificare se la persona offesa abbia effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante nel qual caso ricorre la cessazione della convivenza e, dunque, si applica la fattispecie di cui all'articolo 612-bis, comma 2, c.p. oppure continui ad esserne totalmente privata, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuita', nel qual caso si applica la fattispecie di cui all'articolo 572 c.p.. 13. Alla stregua di tali rilievi la motivazione della sentenza impugnata risulta deficitaria nella parte relativa alla puntuale descrizione dell'elemento oggettivo del reato con riferimento all'effettiva cessazione della convivenza per il periodo successivo al maggio 2019, visto peraltro che la condotta di tentato defenestramento dell'autore e' avvenuta proprio a casa della persona offesa. Se si accerta che le violenze si sono consumate in una situazione di autonomia della vita della persona offesa, il fatto dovra' essere qualificato ai sensi dell'articolo 612-bis c.p., eventualmente in continuazione con l'accertata condotta di maltrattamenti, posta in essere in epoca precedente al maggio 2019 a cui non potra' applicarsi ne' l'inasprimento sanzionatorio del minimo edittale dell'articolo 572, comma 1, c.p. di cui alla L. n. 69 del 2019; ne' l'aggravante di cui all'articolo 572, comma 2, c.p. introdotta da tale disciplina, ma solo l'aggravante comune di cui all'articolo 61, n. 11-quinquies, c.p.; con conseguente rideterminazione della pena relativa a quel segmento. 14. Alla luce delle motivazioni esposte la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla qualificazione giuridica della condotta illecita posta in essere dal ricorrente nei confronti di (OMISSIS) successivamente al maggio 2019, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che potra', eventualmente, anche utilizzare i propri poteri integrativi nel caso dovesse ritenere di non poter decidere allo stato degli atti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovan - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI P. - Consigliere Dott. SGADARI Giusep - Consigliere Dott. ARIOLLI Giovan - Consigliere Dott. SARACO A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/07/2021 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SARACO; sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale MARIAEMANUELA GUERRA, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore, impugna la sentenza del 02/07/2021 della Corte di appello di Catania, che ha confermato la sentenza in data 30/06/2020 con cui il G.u.p. del Tribunale di Catania lo aveva assolto dai reati di estorsione pluriaggravata e maltrattamenti in famiglia perche' non imputabile per totale incapacita' di intendere e di volere. Deduce: 1.1. Difetto della notifica all'imputato del decreto di citazione in appello. Il ricorrente premette che l'imputato aveva eletto domicilio presso la portineria di uno stabile di Catania, limitandosi a indicare il luogo, senza attribuire ad alcuno il ruolo di domiciliatario. La censura si rivolge alla decisione della Corte di appello, che ha rigettato l'eccezione di nullita' della notifica assumendo che eleggendo domicilio presso la portineria dello stabile l'imputato ha indicato il luogo in cui ricevere la notifica, cosi' che questa doveva reputarsi ritualmente perfezionata, a nulla rilevando la mancata indicazione dello specifico soggetto che in quel momento svolgeva la funzione di portinaio. La difesa sostiene che -invece- la sola indicazione del luogo dove l'adempimento andava effettuato non e' sufficiente a rendere valida la notifica, essendo altresi' necessario indicare anche la persona fiduciariamente prescelta. Deduce, quindi, la nullita' della notifica, con conseguente invalidita' del giudizio di appello. 1.2. "Violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in ordine alla natura e all'entita' della misura di sicurezza applicata". Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che i giudici di merito non hanno dato adeguata motivazione sulla scelta della misura di sicurezza piu' severa, ossia il ricovero presso una R.E.M.S., previsto dall'articolo 222 c.p., pur a fronte di una perizia psichiatrica che aveva sottolineato che la pericolosita' sociale era scemata e che suggeriva un percorso terapeutico che prevedeva l'affido presso i servizi psichiatrici di zona e non il ricovero in una struttura intramoenia. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La denuncia di nullita' della notifica del decreto di citazione in appello e' infondata. Per sciogliere la questione sollevata dal ricorrente occorre premettere la distinzione tra la nozione di elezione di domicilio e quella di dichiarazione di domicilio. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che "in tema di notificazioni all'imputato, il domicilio eletto si distingue dal domicilio dichiarato perche', oltre al luogo in cui gli atti devono essere notificati, viene indicata anche la persona fiduciariamente prescelta per la loro ricezione, mentre nel caso della dichiarazione di domicilio viene fornita la mera indicazione del luogo in cui gli atti devono essere notificati, essendo in essa insita l'effettiva esistenza di una relazione fisica tra l'imputato ed il luogo dichiarato", (Sez. 6, n. 30873 del 18/09/2020, D'Antino, Rv. 279850 - 01). La sentenza ora menzionata, in motivazione, ha spiegato che "a differenza ad es. dell'articolo 159, (notificazioni in caso di irreperibilita'), il concetto di residenza anagrafica non trova menzione nell'articolo 157 c.p.p., che disciplina la prima notificazione all'imputato non detenuto; quel che rileva, infatti, in caso di mancata notifica a mani proprie, e' in prima battuta la casa di abitazione e in seconda il luogo in cui l'imputato esercita abitualmente l'attivita' lavorativa (comma 1); seguono la temporanea dimora o un qualsiasi recapito (comma 2) presso cui sia reperibile. L'ordine dei luoghi dove puo' essere effettuata la prima notificazione puo' essere, pero', derogato nel caso in cui l'imputato dichiari o elegga altrove il luogo di domicilio (articolo 161 c.p.p.). Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, va rilevato come nel caso in esame si versi nell'ipotesi della dichiarazione di domicilio, giacche' e' lo stesso ricorrente che puntualizza di avere indicato solo il luogo presso cui intendeva ricevere le notifiche, senza assegnare anche a una specifica persona -nominativamente indicata- il compito fiduciario di ricevere tali notificazioni. A cio' si aggiunga che l'imputato, scegliendo la portineria dello stabile sito in Viale (OMISSIS) quale luogo deputato alla ricezione degli atti a lui destinati, ha cosi' manifestato l'esistenza di una relazione fisica tra lui stesso e il luogo cosi' prescelto. La notificazione, dunque, e' stata correttamente effettuata nel domicilio dichiarato dall'imputato che, conseguentemente, non si puo' dolere di una notifica esattamente eseguita nel luogo da lui stesso indicato proprio al fine di ricevere gli atti a lui destinati. 1.2. Anche il secondo motivo di ricorso e' infondato. Entrambi i giudici di merito hanno spiegato le ragioni per cui hanno ritenuto necessaria l'applicazione della misura del ricovero presso una Residenza per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza. In particolare, i magistrati dell'appello, nel fare cio' -diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente- non sono andati in contrasto con le conclusioni raggiunte dal perito, giacche', anzi, tali conclusioni hanno condiviso nella parte in cui sottolineavano come la pericolosita' sociale di (OMISSIS) -pur scemata in ragione del trattamento farmacologico- necessitasse di un progetto riabilitativo che avesse il carattere della obbligatorieta', cosi' tracciando una direttrice affatto compatibile con la misura di sicurezza poi applicata. La Corte di appello -inoltre- ha osservato come tale indicazione -valutata insieme alle stesse modalita' dei fatti, manifestatisi con una serie di condotte senza soluzione di continuita' e alla gravita' dei disturbi mentali accusati dallo (OMISSIS)-portasse a ritenere che la pericolosita' sociale dell'imputato potesse essere adeguatamente contenuta con il suo ricovero presso una REMS. La presenza di siffatta motivazione, in quanto adeguata, logica, non contraddittoria e non contrastante con le conclusioni peritali, dimostra l'infondatezza della doglianza. 2. Quanto esposto comporta il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 24-11-2021 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tocci Stefano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 novembre 2021, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, all'esito di udienza camerale (celebrata dopo che una precedente decisione era stata annullata senza rinvio da questa Corte per carenza di contraddittorio), rigettava la richiesta avanzata nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), aventi causa di (OMISSIS), nelle more deceduto, volta a ottenere la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di patteggiamento del 2 luglio 1998, divenuta irrevocabile il 23 settembre 1998, con cui il Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, aveva applicato a (OMISSIS) la pena concordata dalle parti in relazione al compimento di illeciti edilizi accertati in Bacoli il 28 dicembre 1993. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale partenopeo, (OMISSIS) e (OMISSIS), tramite il loro comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo, la difesa deduce la violazione della L. n. 47 del 1985, articolo 31, n. 3, articolo 38, n. 5 e della L. n. 724 del 1994, articolo 39, n. 8 osservando che, nel caso di specie, i figli del condannato, (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno presentato due istanze di sanatoria ai sensi della L. n. 724 del 1994, per ciascuno dei due appartamenti oggetto di contestazione, venendo a entrambi rilasciati i permessi in sanatoria dal Comune di Bacoli, nel 2013 e nel 2014. Entrambi i permessi richiamavano il parere favorevole della Commissione edilizia integrata, l'autorizzazione paesaggistica e la nota della Soprintendenza che decideva di non proporre l'annullamento delle sanatorie ad essa sottoposte, per cui la L. n. 724 del 1994, articolo 39, comma 8 doveva ritenersi rispettato, a cio' aggiungendosi che la legittimazione a presentare l'istanza di condono riguarda un numero di soggetti piu' ampio di quelli legittimati a presentare il permesso di costruire, fino a comprendere chiunque vi abbia interesse. Nel caso di specie, le due domande sono state presentate nella qualita' formale di figli del proprietario, ma con il titolo sostanziale di comodatari dei beni adibiti ad abitazione principale della famiglia, dovendosi escludere in ogni caso che vi sia stato alcun frazionamento elusivo, posto che e' lo stesso capo di imputazione che individua, ab origine, due autonome unita' abitative, essendo stata emessa la sentenza in relazione a due distinti appartamenti realizzati prima del 1993. Con il secondo motivo, e' stata eccepita sia l'inosservanza della L. n. 848 del 1955, articolo 2 in relazione agli articoli 6 e 8 della C.E.D.U., per violazione del principio del legittimo affidamento, di non contraddittorieta' dell'ordinamento giuridico e di proporzionalita' della sanzione, sia l'erronea applicazione dell'articolo 1 prot. 1 della C.E.D.U. per violazione del diritto di proprieta'. Si evidenzia in particolare che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno legittimamente confidato nell'azione dello Stato, il primo presentando istanza di condono nel 1995 quale parente di primo grado del proprietario e sostanziale possessore dell'immobile, versando gli oneri di oblazione, pagando negli anni l'ici e conseguendo nel 2014 il permesso di costruire in sanatoria, e la seconda acquistando a titolo oneroso nel 2014 il cespite oggetto di permesso, indebitandosi con un istituto di credito, pianificando entrambi le proprie scelte economiche e la vita di relazione, oltre che l'affido dei figli, sulla base della prima casa che e' stata valutata ai fini degli accordi di separazione tra i due coniugi. Con il terzo motivo, i ricorrenti contestano infine l'inosservanza degli articolo 173 c.p. e 7 della C.E.D.U., rilevando che l'ordine di demolizione in materia edilizia deve qualificarsi, in ragione della sua natura repressiva e delle sue gravi ripercussioni sugli interessi del condannato, come sanzione penale a ogni effetto, con conseguente applicazione del regime della prescrizione, dovendo in tal senso richiamarsi i canoni interpretativi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, a partire dalla sentenza "Engel contro Paesi Bassi" del 1976. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono infondati. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che, con considerazioni pertinenti, il giudice dell'esecuzione ha escluso la legittimita' del condono ex lege n. 724 del 1994 rilasciato ad (OMISSIS) e (OMISSIS), figli di (OMISSIS), destinatario della sentenza di patteggiamento per gli abusi edilizi riferiti all'immobile poi oggetto dell'ordine di demolizione, dovendosi sul punto innanzitutto premettere che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Rv. 277668), ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimita' del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, la tempestivita' della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilita' dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonche' la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili. Cio' posto, e' stato infatti osservato che nel caso di specie non poteva ritenersi rispettato il limite di condonabilita' quantitativo fissato in 750 mc., a nulla rilevando che l'opera abusiva per cui si e' proceduto era stata suddivisa in due unita' immobiliari per essere oggetto di due distinte domande di condono e di due differenti procedimenti di sanatoria, uno relativo alla domanda n. 867 per 616,97 mc e uno relativo alla domanda n. 855 per 499,38 mc.; si e' infatti osservato al riguardo che tale operazione di suddivisione delle istanze non puo' essere ritenuta corretta, posto che uno stesso soggetto non puo' utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il volume di volumetria, dovendo le richieste essere valutate in maniera unitaria quando, come nella vicenda in esame, si riferiscono alla stessa costruzione, cui si riferisce peraltro il titolo di condanna. Orbene, tale impostazione deve ritenersi immune da censure, in quanto coerente con il condiviso orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Rv. 269280 e Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 2014, Rv. 259292), secondo cui, in materia di condono edilizio disciplinato dalla L. 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilita' della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unita' che compongono tale edificio devono riferirsi a una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso. Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva, risultando la questione sul mancato rispetto sostanziale del limite volumetrico di 750 mc. (limite eluso artatamente mediante la presentazione di due autonome istanze riferite a un medesimo complesso edilizio abusivo), assorbente rispetto all'ulteriore tema, pure evocato nell'ordinanza impugnata, circa la carenza di legittimazione attiva dei richiedenti il condono, i quali hanno presentato le istanze di condono nella loro veste, invero irrituale, di "parenti di primo grado del proprietario". 2. Al di la' di ogni approfondimento, in questa sede non necessario, circa la legittimazione formale dei figli del condannato a presentare la richiesta di condono, il coinvolgimento di (OMISSIS) nella procedura di sanatoria, come si e' visto illegittima, consente comunque di superare le censure difensive circa l'asserita violazione del principio di affidamento del ricorrente, oltre che della consorte (OMISSIS), avendo l'ordinanza impugnata ragionevolmente osservato sul punto che gli immobili in esame sono stati acquistati da persone perfettamente a conoscenza della loro condizione giuridica, non solo per il rapporto di stretta familiarita' con l'autore degli abusi, ma anche perche' nei titoli di acquisto, in cui sono intervenuti a vario titolo entrambi i ricorrenti, era stato chiaramente esplicitato il peculiare status delle unita' immobiliari in esame, per cui doveva escludersi la buona fede dei ricorrenti, e cio' a prescindere dal rilascio di provvedimenti di sanatoria rivelatisi illegittimi, stante la sostanziale elusione del limite volumetrico previsto dalla normativa sul condono del 1994. A cio' deve solo aggiungersi che, come chiarito piu' volte da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368 e Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024), in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'articolo 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perche' casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettivita' a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato. Piu' di recente, e' stato altresi' affermato (cfr. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950 e Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270) che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria, consapevolezza nel caso di specie e' stata ritenuta sussistente dal giudice dell'esecuzione all'esito di un percorso argomentativo non manifestamente illogico e dunque non sindacabile in sede di legittimita'. 3. Da ultimo, va disattesa l'eccezione di prescrizione dell'ordine demolitorio. In ordine alla rilevanza del decorso del tempo ai fini della operativita' dell'ordine di demolizione, questa Corte ha infatti piu' volte affermato (cfr. Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02 e Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736), che l'ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma, diversamente, una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, infatti, non e' quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio cosi' verificatasi e ripristinando quell'equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti - ciascuno per la propria competenza - hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall'Autorita' giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'Autorita' amministrativa, ferma restando la necessita' di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva; da cio' consegue che, essendo privo di finalita' punitive, l'ordine di demolizione non e' soggetto alla prescrizione stabilita dall'articolo 173 c.p. per le sanzioni penali, ne' alla prescrizione stabilita dalla L. n. 689 del 1981, articolo 28 che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalita' punitiva. Sotto tale profilo, e' stato escluso che la sottrazione dell'ordine di demolizione al regime della prescrizione delle pene si ponga in contrasto con la Costituzione o con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre evidenziare che questa Corte (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977) ha gia' ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 117 Cost., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 rispetto alla mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, osservando che la differente natura della sanzione amministrativa ripristinatoria della demolizione, rispetto alla finalita' rieducativa delle sanzioni penali, alla quale e' connessa l'estinzione per prescrizione, gia' integra una situazione diversa, idonea giustificare il differente regime giuridico; l'imprescrittibilita' dell'ordine di demolizione, infatti, deriva da una scelta legislativa rientrante nei limiti dell'esercizio ragionevole del potere legislativo, non sindacabile in sede di vaglio della legittimita' costituzionale sotto il profilo della pretesa irragionevolezza, in quanto fondata su differenti natura e finalita' rispetto alle sanzioni penali soggette a prescrizione. Quanto al secondo aspetto, allo stesso modo, e' stato ribadito che l'ordine di demolizione non si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in quanto non puo' essere qualificato come una pena. L'intervento del giudice penale si colloca, infatti, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilita' soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni; l'intervento del giudice penale, peraltro, non e' neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l'ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 2655409). Cosi' ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, la doglianza difensiva risulta priva di fondamento, ponendosi l'ordinanza impugnata nel solco delle premesse ermeneutiche appena richiamate. 4. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze proposte e in sintonia con le conclusioni del Procuratore generale, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere rigettati, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA PRIMA SEZIONE CIVILE riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Carla Fazzini - Presidente dott.ssa Luisa Poppi - Consigliere Relatore dott.ssa Annarita Donofrio - Consigliere all'esito dell'udienza del 20 gennaio 2022 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. .../2022 promossa da: YY con il patrocinio dell'Avv. ... APPELLANTE contro XX con il patrocinio dell'Avv. ...e dell'Avv. ... APPELLATO e con il Procuratore Generale della Repubblica INTERVENUTO avente ad oggetto "appello avverso la sentenza definitiva di separazione giudiziale fra i coniugi n. .../2021 pronunciata in data 3.11.2021 dal Tribunale Civile di Bologna" La Corte udita la relazione della causa fatta dal Consigliere dott.ssa Luisa Poppi; udita la lettura delle conclusioni prese dai procuratori delle parti; letti ed esaminati gli atti e i documenti del processo, ha così deciso: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso per separazione giudiziale XX adiva il Tribunale di Bologna affinché venisse dichiarata la separazione giudiziale dal marito YY con addebito allo stesso; chiedeva che i figli minori K, W e J le venissero affidati in via esclusiva, che il padre potesse incontrare i figli in forma protetta e alla presenza del Servizio Sociale incaricato, che il marito contribuisse al mantenimento dei minori tramite il versamento mensile della somma di euro 750,00 rivalutabile Istat oltre al rimborso del 100% delle spese straordinarie e versasse l'ulteriore contributo per il mantenimento della moglie sino al reperimento di una attività lavorativa con la somma mensile di euro 250,00 rivalutabile Istat, con vittoria di spese competenze e onorari. La ricorrente deduceva che si era dovuta allontanare dall'abitazione familiare nell'agosto del 2016 con W e J senza farvi più ritorno trasferendosi prima dalla madre a (omissis), (Ferrara), poi nell'abitazione di A. M. a (omissis), (Modena), a causa dei maltrattamenti fisici e verbali posti in essere dal marito. YY si costituiva in giudizio chiedendo, viceversa, che il Tribunale accertasse la violazione dell'obbligo di fedeltà e di coabitazione da parte della moglie addebitandole la separazione, autorizzasse i coniugi a vivere separati, affidasse in via esclusiva i figli minori K, W e J al padre, rigettasse la domanda di contributo al mantenimento avanzata dalla ricorrente, con condanna della stessa al versamento di un contributo di mantenimento per i figli pari ad euro 600,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie e rigetto della richiesta di addebito da lei avanzata. Fondava la propria richiesta di addebito sulla relazione extraconiugale da tempo intrapresa da XX con A. M., allenatore di calcio del figlio K, presso il quale si era trasferita poco dopo l'allontanamento dalla casa coniugale. YY deduceva anche che si era rivolto al Tribunale per i Minorenni di Bologna al fine di ottenere una pronuncia provvisoria e urgente diretta ad obbligare XX a riconsegnargli i bambini, ma poiché ella aveva già iscritto a ruolo il procedimento di separazione giudiziale presso il Tribunale Ordinario, il Tribunale per i Minorenni aveva dichiarato la propria incompetenza. In data 22/5/2017 veniva emessa l'Ordinanza presidenziale con cui il Presidente disponeva: la riunione del procedimento .../2016 con il ...2016 sub 1 (già riunito con il RG .../2016 sub 2), autorizzava i coniugi a vivere separati, affidava i minori in via condivisa ad entrambi i genitori disponendo la loro collocazione presso il padre, assegnava la casa coniugale a YY, disponeva incontri protetti tra la madre e i figli due volte alla settimana, mandando ai Servizi Sociali competenti per le determinazioni più specifiche delle loro modalità, respingeva le rispettive richieste di contributi. Veniva disposta CTU sulla capacità genitoriale delle parti da cui, tra l'altro, emergeva: "Per ciò che concerne le dinamiche intercorrenti fra i genitori, vi è un'indubbia conflittualità, esacerbata dalle vicende (anche penali) che hanno coinvolto la persona con cui la madre ha avuto una relazione e con la quale ha vissuto per un periodo insieme ai due figli minori. La comunicazione fra i genitori è indubbiamente carente e necessita della mediazione del Servizio perché possa risultare efficace nell'interesse dei minori. In base a quanto sopra descritto, si ritiene opportuno che i minori siano affidati al Servizio Sociale e che rimangano collocati presso il padre. Si ritiene che il Servizio possa utilmente valorizzare e supportare (anche concretamente) il padre, sul quale grava il maggior carico della prole. Tale modalità di lavoro si ritiene possa andare a beneficio dei minori e della loro stabilità. La figura paterna necessita infatti di essere rinforzata e rassicurata, in modo che possa esprimere al meglio le sue potenzialità genitoriali.". Nel corso del giudizio YY produceva il decreto di archiviazione (confermato dalla Corte di Cassazione) relativo ai presunti maltrattamenti subiti da XX. Con la sentenza qui impugnata, il Tribunale di Bologna così disponeva: "...pronuncia la separazione personale tra i coniugi (...) dispone l'affido dei figli al Servizio Sociale competente per territorio; dispone la loro collocazione presso il padre; dispone che la madre veda e frequenti i figli secondo il seguente calendario. (...) Con decorrenza dalla domanda pone a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla moglie, a titolo di contributo al suo mantenimento, la somma mensile complessiva di 250 Euro annualmente rivalutabili, da versare entro il giorno 5 di ciascun mese; con decorrenza dalla domanda pone a carico della madre l'obbligo di corrispondere al marito, a titolo di contributo al mantenimento dei tre figli minori, la somma mensile complessiva di 300 Euro (pari a 100 Euro per ciascun figlio) annualmente rivalutabili, da versare entro il giorno 5 di ciascun mese; pone a carico di entrambi i genitori le spese straordinarie per la prole: nella misura del 75% a carico del padre e del restante 25% a carico della madre. (...) monitoraggio del Servizio Sociale in corrispondenza con l'affido dei minori allo stesso servizio. spese di lite interamente compensate tra le parti.". YY proponeva appello chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza e per l'effetto: "- addebitare la già pronunciata separazione dei coniugi alla moglie XX; - affidare in via esclusiva i figli minori K, W e J al padre che provvederà alla loro cura, educazione, istruzione e mantenimento, - revocare il contributo di mantenimento in favore della moglie pari a euro 250,00 mensili, - condannare XX a versare un contributo di mantenimento per i figli pari a 600 euro complessivi oltre al 50% delle spese straordinarie mediche non mutuabili, scolastiche e sportive previamente concordate e documentate ovvero regolamentandole secondo il protocollo adottato dal Tribunale di Bologna, - condannare XX alla refusione delle spese e onorari di lite". Il particolare l'appellante, premesso che K, nel frattempo, è divenuto maggiorenne, deduceva che il figlio J fino a qualche mese fa vedeva la madre per due pomeriggi infrasettimanali fuori da scuola senza mai pernottare presso la sua abitazione, e ciò a causa della frequenza della stessa con il compagno A. M. (nonostante il divieto di frequentazione alla presenza dei bambini), mentre il figlio W si reca regolarmente dalla madre anche oltre il calendario previsto in sentenza. Lamentava che XX non versa con regolarità il mantenimento per i tre figli minori tanto da costringere YY a denunciarla per inosservanza degli obblighi di mantenimento, essendo nel frattempo maturato un debito pari ad Euro 3.200,00 (calcolato al momento del deposito dell'appello). Di fatto, dunque, il mantenimento complessivo dei figli sarebbe quasi integralmente sostenuto dal padre, il quale indicava un reddito annuo pari a circa Euro 19.000,00 e, dunque, rappresentando una situazione di seria difficoltà economica. D'altro canto, XX risulterebbe avere un reddito di circa 7.000 Euro annui, pur essendo una donna sana, di circa quarant'anni, con piena capacità lavorativa e una qualifica di cuoca - il che le permetterebbe di rendersi economicamente autonoma - e, in ogni caso, potendo contare su ulteriori entrate derivanti dalla attività di pulizie in nero. Concludeva, dunque, l'appellante rappresentando che il contributo a carico della madre per il mantenimento dei figli sarebbe insufficiente (con richiesta di aumento, coerentemente alla domanda introduttiva, ad 600,00 euro mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie), mentre assolutamente privo di giustificazione sarebbe il riconoscimento dell'assegno a favore della moglie. L'appellata, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'appello formulato da YY, nonché, in via incidentale, la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva stabilito l'affido dei minori al Servizio Sociale, chiedendo viceversa l'affido condiviso di W e J, con prevalente collocazione presso di sé, nonché la riforma della sentenza nella parte in cui prevedeva la corresponsione di un contributo al mantenimento per i figli, chiedendo il mantenimento diretto dei due figli minori, essendo nel frattempo K divenuto economicamente autonomo. Chiedeva, inoltre, la riforma della sentenza di primo grado ritenendo che il regime di visita dei due figli minori fosse divenuto ormai superato, in considerazione della loro età, rappresentando piuttosto l'opportunità di una frequentazione paritaria ed alternata con ciascuno dei genitori. Il Procuratore Generale concludeva per "il rigetto dell'appello". Con note autorizzate depositate il 10 gennaio 2023 la parte appellante produceva decreto del 3/5/2022 con il quale il Tribunale Civile di Bologna, in seguito al ricorso R.G. n. sub 6-... /2016 presentato da YY in corso del giudizio di separazione e deciso successivamente alla sentenza di separazione giudiziale, ammoniva XX in quanto inadempiente rispetto ai provvedimenti già emessi nel corso della causa, condannandola al pagamento di Euro 500,00 a favore della Cassa delle Ammende e al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.800 oltre accessori. Inoltre, dava atto che il figlio K, maggiorenne, "...lavora regolarmente da circa un anno ma continua a vivere presso il padre senza contribuire alle spese e alle utenze di casa che restano a carico del padre, mentre J incontra la madre saltuariamente e solo di pomeriggio senza pernottare né pranzare o cenare con la stessa, e W all'opposto permane presso la madre dal lunedì al venerdì mentre il fine settimana viene spesso riportato presso il padre.". Nel corso dell'odierna udienza trovava conferma la circostanza relativa alla concreta frequentazione dei figli minori con la madre. 1- Ritiene la Corte di rigettare la richiesta di addebito formulata dall'appellante, con conseguente conferma, sul punto, della pronuncia di primo grado. Le considerazioni del Giudice di prime cure, infatti, in relazione alla mancata dimostrazione dell'esistenza di una relazione extraconiugale dell'appellata da porsi in rapporto causale con la rottura del vincolo matrimoniale, devono trovare conferma, in quanto, per quanto la XX nel corso della CTU abbia ammesso di aver avuto una relazione sentimentale con A. M. (allenatore di calcio del figlio), essa non è stata temporalmente collocata ed è stato dimostrato che si è inserita in un rapporto sicuramente già molto conflittuale e compromesso. 2- Parimenti, non possono trovare accoglimento i motivi di impugnazione attinenti al regime di affido dei figli W e J, chiesto con modalità esclusiva dal padre con l'appello principale, e con modalità condivisa dalla madre con l'appello incidentale. Tanto dalle numerose relazioni inviate dai Servizi Sociali, quanto dalla CTU redatta dalla dott.ssa ...in primo grado, emerge una conflittualità tra i genitori che rischia di compromettere la loro capacità genitoriale e che non pare essere scemata negli anni. L'apporto dei Servizi Sociali, pertanto, appare tuttora indispensabile per assicurare ai minori una crescita equilibrata. 3- Deve trovare accoglimento, invece, la richiesta della madre di regolare diversamente la collocazione e il regime di visita dei figli minori. Secondo quanto dichiarato dalla stessa parte appellante, infatti, W attualmente rimane presso la madre dal lunedì al venerdì, mentre trascorre spesso il fine settimana con il padre; J, al contrario, incontrerebbe la madre solo alcuni pomeriggi la settimana. Avendo il Collegio sollecitato le parti nel corso dell'odierna udienza ad interloquire sul punto, è emerso che non vi è contestazione sul fatto che la situazione attuale sia quella rappresentata - ovvero affatto diversa rispetto a quella stabilita dal Tribunale in primo grado -, il che, in assenza di contestazioni specifiche, rende opportuna la parziale modifica della sentenza impugnata per adeguare il regime di collocamento e di visita dei minori in modo coerente con la situazione di fatto, sostanzialmente condivisa tra le parti. Tale diversa prevalente collocazione, tra l'altro, appare in linea con quanto suggerito dai Servizi Sociali affidatari i quali, nella relazione inviata nel marzo 2022 al Tribunale che stava istruendo il procedimento ex art. 709 ter c.p.c. dopo l'emissione della sentenza di primo grado, hanno chiesto di valutare l'opportunità di "...scindere il percorso educativo e relazionale dei due fratelli...". Appare, inoltre, opportuno - anche in ragione dell'età dei minori, rispettivamente di 12 e 13 anni - che il regime di frequentazione di ciascuno dei minori con il genitore non collocatario rimanga liberamente stabilito dalle parti, regime la cui organizzazione, in caso di disaccordo, viene delegata ai Servizi Sociali affidatari. In ogni caso, l'attuale pendenza del procedimento penale presso il Tribunale di Modena in cui la madre e A. M. (suo compagno, almeno all'epoca dei fatti) sono indagati per abusi sessuali commessi nei confronti dei minori, rende indispensabile la conferma del divieto della loro frequentazione del co-indagato A. M., già stabilito dal Tribunale Civile di Bologna con ordinanza 11.05.2019 e richiamato nella sentenza di primo grado impugnata, divieto che XX risulta avere reiteratamente violato (da cui l'ammonizione ex art. 709 ter c.p.c.). 4- Dalla diversa prevalente collocazione dei figli discende, necessariamente, una diversa suddivisione degli oneri di mantenimento tra i genitori. Innanzitutto, la Corte prende atto della raggiunta indipendenza economica del figlio maggiorenne K, il quale attualmente svolge l'attività di manovale: a tale riguardo l'argomentazione sviluppata dalla difesa dell'appellante secondo cui la circostanza non dovrebbe incidere sugli oneri della madre perché il padre presso cui il figlio abita continuerebbe a mantenerlo ("lavora regolarmente da circa un anno ma continua a vivere presso il padre senza contribuire alle spese e alle utenze di casa che restano a carico del padre"), non appare condivisibile, in quanto la scelta del padre di non coinvolgere il figlio nelle spese domestiche non può incidere negativamente sugli oneri di mantenimento della madre. La Corte, pertanto, revoca l'obbligo di mantenimento in favore del figlio maggiorenne K. Per quanto riguarda i due figli minori, invece, a fronte della prevalente collocazione dell'uno presso la madre e, dell'altro, presso il padre, non rimane che stabilire il mantenimento diretto di ciascun genitore, accogliendo, sul punto, la domanda dell'appellata. Viceversa, deve confermarsi la suddivisione delle spese straordinarie (75% e 25%) stabilita dalla sentenza di primo grado, a fronte della diversa capacità reddituale dei genitori. 5- A tale riguardo, deve essere esaminata la domanda dell'appellante di ottenere la revoca dell'assegno di mantenimento posto a suo carico ed in favore di XX. A fronte di un reddito annuale di circa Euro 19.000,00 annui di YY (dipendente del Comune di (omissis), (Bologna), con la qualifica di manutentore stradale), l'appellata ha prodotto documentazione che attesterebbe un reddito medio mensile di circa Euro 550,00 (dipendete part-time della (omissis)). Tuttavia, la Corte osserva che la XX è in possesso della qualifica di cuoca che nel corso degli anni le avrebbe potuto permettere di aumentare l'orario di lavoro: la scelta di lavorare part-time per provvedere all'accudimento dei figli non appare convincente, alla luce sia della loro prevalente collocazione presso il padre stabilita dalla sentenza di primo grado, sia in ragione dell'attuale età dei figli che non giustifica più un loro costante accudimento. A ciò si aggiunga che la prevalente collocazione di W presso di lei comporterà la percezione degli assegni familiari e della sua pensione di invalidità (il minore, infatti, è affetto da diabete) da parte del genitore collocatario. Tali considerazioni portano la Corte ad accogliere, sul punto, l'appello principale e revocare, a decorrere dalla data della presente sentenza l'obbligo a carico di YY di contribuire al mantenimento della moglie. 6- L'accoglimento solo parziale sia dell'appello principale che dell'appello incidentale e, dunque, la reciproca soccombenza, portano la Corte a compensare tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte, sull'appello proposto da YY nei confronti di XX avverso la sentenza definitiva di separazione giudiziale fra i coniugi n. .../2021 pronunciata in data 3.11.2021 dal Tribunale Civile di Bologna, così provvede: - accoglie parzialmente sia l'appello principale che l'appello incidentale e, conseguentemente, confermato l'affido dei figli minori W (nato il (omissis)...(omissis)...2009) e J (nato il (omissis)...(omissis)...2010) ai Servizi Sociali territorialmente competenti - e revocato l'affido di K, maggiorenne -, stabilisce la prevalente collocazione di W presso la madre e di J presso il padre, disponendo che il regime di visita del genitore non collocatario rimanga liberamente stabilito dalle parti, salvo, in caso di disaccordo, la delega per l'organizzazione degli incontri ai Servizi Sociali affidatari; rimane fermo il divieto di frequentazione tra i minori e A. M.; - dispone che i genitori provvedano al mantenimento diretto dei due minori (dichiarata l'indipendenza economica di K), confermando la suddivisione delle spese straordinarie (75% a carico del padre e 25% a carico della madre) stabilita dalla sentenza di primo grado; - revoca l'assegno di mantenimento in favore di XX a decorrere dalla data della presente sentenza; - compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 20 gennaio 2023.

  • CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA I Sezione Civile La Corte D'Appello di Bologna, Prima Sezione Civile, in persona dei magistrati: dott. Carla Fazzini - Presidente dott. Luisa Poppi - Consigliere dott. Annarita Donofrio - Consigliere relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado tra YY, assistito e difeso dall'Avv....., con domicilio eletto in via...., Reggio Emilia, - appellante - e XX, ammessa al Patrocinio a Spese dello Stato con delibera Consiglio dell'Ordine degli Avvocati del 04/01/2023, assistita e difesa dall'Avv. ...con domicilio eletto in via... - appellato - PUBBLICO MINISTERO - intervenuto - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.- Con ricorso depositato il 09.07.2019 presso il Tribunale di Reggio Emilia, il signor YY, premesso di aver contratto matrimonio concordatario con la signora XX in data (omissis).(omissis).1994, matrimonio dal quale sono nati i figli J ((omissis).(omissis).1995) e W ((omissis).(omissis).2002), e che con sentenza n. 125/2017 il Tribunale di Reggio Emilia ha dichiarato la separazione sulla base delle conclusioni congiunte presentate dalle parti, assegnando la casa familiare alla madre e ponendo in capo al padre l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli mediante la corresponsione di un assegno mensile di Euro 350,00, oltre il 50% delle spese straordinarie, chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio, con affido condiviso della figlia minore W, residenza preferenziale presso la madre e onere di contribuire al mantenimento della sola figlia minore mediante assegno mensile di Euro 175,00, oltre al 50% delle spese straordinarie, da corrispondersi direttamente alla figlia, ed eliminazione di qualsiasi obbligo di mantenimento del figlio ormai economicamente autosufficiente. Si costituiva in data 06.12.2019 XX, aderendo alla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma chiedendo disporsi l'onere in capo al YY di contribuire al mantenimento del figlio J - maggiorenne ma non autosufficiente - mediante l'assegno mensile di Euro 175,00 e al mantenimento della figlia minore W mediante l'assegno mensile di Euro 300,00, oltre le spese straordinarie. Chiedeva infine disporsi in suo favore l'assegno divorzile di Euro 300,00 e di confermare l'assegnazione della casa familiare. Con sentenza n. 4/2022, pubblicata il 04/01/2022, il Tribunale di Reggio Emilia dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio; riconosceva la maggiore età ed autosufficienza economica raggiunta da entrambi i figli nel corso del procedimento, figli non più conviventi con la madre, ed escludeva qualsiasi obbligo di mantenimento in loro favore; fissava in Euro 300,00 mensili un assegno divorzile in favore della moglie. Il Tribunale, all'esito di un esame comparato della situazione reddituale delle parti, ha constatato la sussistenza di una palese disparità tra i coniugi, tenuto conto che il ricorrente lavora come guardia giurata a tempo indeterminato alle dipendenze di (omissis) Soc. Coop. dal 18.06.2003, con redditi annui dichiarati pari ad Euro 21.500,00 (2016), Euro 20.705,00 (2017) ed Euro 20.000,00 (2018), corrispondenti ad una media mensile pari a circa Euro 1.700,00, mentre la moglie è disoccupata ed è attualmente ospite presso l'abitazione del figlio. Ha altresì precisato che, ai fini della determinazione della posizione reddituale del YY, non può tenersi conto del decremento economico subito dall'esecuzione forzata azionata dalla moglie per il recupero di somme dovute a titolo di mantenimento dei figli, né il resistente ha documentato esborsi a titolo di canoni di locazione per la propria sistemazione abitativa. Il Tribunale ha poi osservato che la signora XX è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, è disoccupata e non ha una propria fonte di reddito, avendo svolto, durante il matrimonio, soltanto lavori saltuari con contratti a tempo determinato, che le hanno garantito un reddito mensile estremamente modesto (l'ultima occupazione, circa Euro 500,00 mensili), non idoneo a garantirle l'autosufficienza economica. Peraltro, l'età della XX (54 anni) e il suo titolo di studio (licenza media inferiore), portano, a parere del Tribunale, ad escludere che la stessa possa reperire occupazioni lavorative che le consentano di percepire redditi adeguati a garantirle indipendenza economica, né la sua condizione lavorativa è destinata a migliorare fino a quando potrà accedere al pensionamento. Tenuto conto, infine, della durata del matrimonio - 21 anni - della disparità reddituale tra le parti e della circostanza che il ricorrente non deve più versare l'assegno di mantenimento dei figli, il Collegio ha quantificato in Euro 300,00 l'assegno divorzile posto in capo al signor YY, precisando trattarsi di assegno con funzione assistenziale. Il Tribunale ha compensato le spese di lite alla luce della soccombenza reciproca delle parti. 2.- Con citazione regolarmente notificata, YY ha impugnato detta sentenza limitatamente all'assegno divorzile, deducendo che il Tribunale avrebbe attribuito alla XX l'assegno con funzione assistenziale, senza alcuna prova della riconducibilità dell'inadeguatezza dei mezzi propri e dell'incapacità di procurarseli a scelte endofamiliari condivise con il coniuge e ad aspettative professionali ed economiche sacrificate. Il Tribunale avrebbe indebitamente operato un'inversione dell'onere probatorio e fondato il proprio convincimento su una presunzione semplice, non fondata su indizi gravi, precisi e concordanti, secondo cui "..la XX, in costanza di matrimonio, nei 17 mesi che vanno dal 28.02.2014 sino al momento in cui, in data 05.08.2015, i coniugi di fatto si sono separati, è rimasta disoccupata sicché è ragionevole presumere che il ricorrente, durante tale periodo, avesse implicitamente accettato e tollerato che la moglie non lavorasse, in mancanza di allegazioni o prove di segno contrario.". Il Tribunale, lamenta il YY, sarebbe giunto a tale conclusione omettendo di considerare circostanze del tutto pacifiche: l'intollerabilità dell'unione matrimoniale a partire dal 28.02.2014 fino alla data della separazione, con l'inizio della relazione con una nuova compagna da parte del YY; lo svolgimento continuo da parte della XX di lavori modesti a tempo determinato durante il matrimonio; l'essere stato il suo percorso formativo dettato da sue scelte personali, rifiutando anzi, nel 2008, di conseguire il certificato di qualifica professionale di OSS, con conseguente cessazione del rapporto di lavoro con l'Arcispedale Sanata Maria Nuova di Reggio Emilia; l'aver sempre sostenuto l'appellata spese mensili per canone di locazione e utenze, verosimilmente pagate con proventi di lavoro irregolare, non essendo a tal fine sufficiente il mantenimento di Euro 300,00 versato dal marito per i figli. In definitiva, la XX non avrebbe dimostrato di trovarsi incolpevolmente priva di stabile occupazione lavorativa, essendosi solo limitata a dedurre la propria disoccupazione, senza nemmeno indicare le ragioni della risoluzione del contratto di lavoro a tempo determinato stipulato nell'ottobre 2018 e mai più rinnovato e senza nulla provare, con riguardo al periodo successivo, in ordine alla ricerca di una diversa occupazione ovvero alle ragioni per cui le sarebbe precluso lavorare. Pertanto, il YY chiede alla Corte d'Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza n. 4/2022 del Tribunale di Reggio Emilia, la revoca della statuizione dell'assegno divorzile. 3.- Con comparsa di costituzione e risposta dep. 16.1.2023 si è costituita in giudizio XX, chiedendo il rigetto dell'appello. L'appellata, anzitutto, assume di essere stata costretta a rinunciare a percorsi formativi proprio a causa della condizione di precarietà e ristrettezza in cui versava e che, pertanto, non corrisponde al vero che il proprio percorso lavorativo sia stato precluso da scelte personali, non avendo ella mai avuto la possibilità economica di conseguire il certificato di qualifica professionale di OSS. Rappresenta, inoltre, di essersi dovuta trasferire nel frattempo presso l'abitazione del figlio J, non disponendo di mezzi sufficienti per reperire un'autonoma abitazione e di essere quindi costretta a chiedere aiuto al figlio anche per i bisogni primari. Precisa che, a causa dei problemi di salute e di un intervento chirurgico subito alla mano, ad oggi non riesce a svolgere lavori implicanti manualità. Ribadisce di essere disoccupata dal 2015, che la sua condizione anagrafica (55 anni) e formativa non è tale da garantirle redditi adeguati e che la sua situazione lavorativa, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure, non è destinata a migliorare. Rappresenta, infine, di aver sporto denuncia-querela in data 27.07.2022 nei confronti dell'ex coniuge per violazione degli obblighi assistenziali art. 570 c.p. e 388 c.p. 4.- All'ultima udienza del 3.2.2023 le parti si sono riportate agli atti. Il Pubblico Ministro ha concluso per il rigetto dell'impugnazione. 5.- La sentenza Cassazione Sezioni Unite n. 18287/2018 ha statuito che "..ai sensi della L. n. 898/1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico - patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.". La ratio dell'attribuzione dell'emolumento in questione è da individuare nella solidarietà post coniugale ove, in presenza di una marcata disparità tra le condizioni economico-reddituali delle parti, l'assegno svolge una funzione equilibratrice dei redditi, finalizzata non già alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale. Superando la rigida distinzione sviluppatasi nel tempo tra criteri attributivi e criteri determinativi dell'assegno divorzile, le Sezioni Unite hanno quindi rimarcato la necessità di una valutazione equiordinata di tutti gli indicatori di cui all'art. 5 L. Div. (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico alla vita familiare, reddito delle parti, durata del matrimonio, età del richiedente), evidenziando le plurime funzioni proprie dell'assegno, ovvero assistenziale (in considerazione dell'assenza di reddito e di mezzi adeguati in capo al richiedente e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), compensative-perequative (considerata la necessità di riconoscere un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento di un'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione del patrimonio comune e individuale, sulla base di scelte condivise, considerato il legame tra le capacità professionali e reddituali del coniuge forte e l'apporto fornito e i sacrifici sopportati dall'altro in costanza di matrimonio anche in rapporto alla sua durata e all'età del richiedente) e risarcitoria (in considerazione dell'eventuale responsabilità del coniuge "forte" nella definitiva crisi del rapporto coniugale). Nello stesso solco si pongono le pronunce successive ed in particolare l'ordinanza Cass. n. 5603/2020 secondo la quale l'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Alla luce dei principi sopra enunciati l'assegno divorzile potrà essere riconosciuto solo qualora dagli atti di causa risulti che l'esistenza dello squilibrio reddituale fra i coniugi sia imputabile ai sacrifici effettuati dal richiedente in nome della vita familiare, in ossequio al criterio perequativo-compensativo, oppure a una condizione personale dello stesso riguardante l'età, la salute o la capacità lavorativa come previsto dal criterio assistenziale. In altri termini, i parametri a cui deve fare riferimento il giudice per riconoscere il diritto al mantenimento a favore di una parte, in sede di divorzio, sono: la durata del matrimonio, il contributo fornito alla conduzione familiare, le future potenzialità reddituali e l'età del richiedente. Nel caso di specie, il matrimonio è durato 23 anni e dagli atti risulta che in sede di separazione, pronunciata su conclusioni congiunte, le parti non avevano previsto alcun assegno in favore della moglie, che pure all'epoca era disoccupata. Non risulta minimamente provato che il patrimonio familiare e personale del YY sia frutto anche del sacrifico di aspettative professionali della moglie concordate nel corso del matrimonio. Il Tribunale ha peraltro espressamente riconosciuto all'assegno funzione assistenziale, senza tener conto che la moglie ha sempre lavorato nel corso del matrimonio, con lavori consoni ai suoi titoli di studi, non ha sacrificato le sue aspettative professionali per scelte condivise e non ha avanzato alcuna richiesta di mantenimento in sede di separazione, ove la causa si è chiusa su conclusioni congiunte. La stessa ha oggi 55 anni e non risultano documentate specifiche inabilità al lavoro. Né è condivisibile il rilievo dato dal Tribunale al periodo di disoccupazione della XX da circa un anno e mezzo al momento della separazione, sia alla luce della precarietà che ha sempre caratterizzato la sua vita lavorativa, sia in relazione soprattutto alla mancata richiesta di assegno in sede di separazione. Per tutti tali motivi merita accoglimento la domanda dell'appellante volta alla parziale riforma della sentenza impugnata, con revoca dell'assegno di mantenimento per la moglie. La totale soccombenza complessiva della XX rispetto all'intero giudizio di primo e secondo grado induce alla sua condanna come in dispositivo per la soccombenza, considerati valori bassi per la scarsa complessità della causa e la mancanza della fase di trattazione e di scritti conclusivi per l'appello. PQM La Corte definitivamente pronunciando, così provvede: in parziale riforma della sentenza impugnata revoca l'assegno divorzile ivi disposto in favore di XX; condanna XX alle spese di lite in favore di controparte che liquida per compensi in Euro 3.972,00 per il primo grado e in Euro 2.554,00 per il secondo grado, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge. Così deciso nella camera di consiglio della Prima sezione civile il 3 febbraio 2023.

  • CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Prima Sezione Civile riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Carla Fazzini - Presidente dott.ssa Luisa Poppi - Consigliere Relatore dott.ssa Annarita Donofrio - Consigliere all'esito dell'udienza del 20 gennaio 2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. .../2022 promossa da: XX con il patrocinio dell'avv. ... APPELLANTE contro YY con il patrocinio dell'avv. ... APPELLATO e con Procuratore Generale della Repubblica INTERVENUTO Avente ad oggetto "appello avverso la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio n. .../2021 pubblicata il 23/12/2021 nel giudizio R.G. .../2019 del Tribunale di Bologna" La Corte udita la relazione della causa fatta dal Consigliere dott.ssa Luisa Poppi; udita la lettura delle conclusioni prese dai procuratori delle parti; letti ed esaminati gli atti e i documenti del processo, ha così deciso: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale di Bologna pronunciava, con sentenza non definitiva n. 650/2020, lo scioglimento del matrimonio fra i coniugi YY e XX e, in data 15 dicembre 2021, definitivamente pronunciando, disponeva: "..l'affidamento condiviso del figlio minore J ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, nella casa coniugale di Bologna, sita via (omissis) n. (omissis), nella quale già convivono. Dispone che la casa coniugale sia assegnata alla sig.ra XX, che ne usufruirà quale genitore collocatario del figlio minore. Dispone che il sig. YY versi a titolo di contributo in favore del figlio minore J la somma mensile di euro 700 (settecento/00), rivalutabili su base Istat e da corrispondere entro il giorno 5 di ogni mese alla signora XX; dispone che il diritto di visita padre-figlio venga esercitato con le seguenti modalità: (...) Dispone, in merito al mantenimento dei figli maggiori, W e K, che il sig. YY versi a titolo di mantenimento dei figli maggiori la somma di 750 (settecentocinquanta/00) euro al mese per ciascun figlio, somma che verrà corrisposta (per ognuno) in due parti distinte nel rapporto di 2/3 e 1/3, delle quali: una parte, corrispondente a 1/3 dell'assegno di mantenimento originariamente dovuto, continuerà ad essere corrisposta alla sig.ra XX; l'altra parte, corrispondente ai 2/3 di detto assegno, verrà versata direttamente ai figli. Dispone che le spese straordinarie sostenute per i figli vengano ripartite tra le parti nella misura del 70% a carico del sig. YY e del 30 % a carico della sig.ra XX. Per l'individuazione delle spese straordinarie, le parti si rimettono al Protocollo in uso presso il Tribunale di Bologna, di seguito riportato (...) Rigetta la domanda di parte convenuta avente ad oggetto il riconoscimento ad un assegno di divorzio. Compensa le spese per 1/3 tra le parti. Condanna la convenuta al pagamento dei restanti 2/3 che si liquidano in complessivi Euro.4.800, oltre accessori come per legge.". Avverso tale sentenza XX proponeva appello, per i seguenti motivi: 1. Erronea e falsa applicazione dell'art. 337 septies, 1° co. c.c. - Erronea e omessa valutazione di elementi di fatto e di diritto di valenza dirimente in merito al mantenimento diretto per i figli maggiorenni: secondo la parte appellante il Tribunale avrebbe errato in punto di fatto nello stabilire il regime economico che prevede il versamento diretto ai figli maggiorenni di parte del contributo al loro mantenimento, innanzitutto con riferimento all'elemento della coabitazione dei figli maggiorenni con la madre, che contrariamente a quanto affermato in sentenza, persisterebbe tuttora. Inoltre, in punto di diritto, il Giudice di prime cure, avrebbe violato il principio consolidato in tema di mantenimento dei figli maggiorenni non ancora autonomi, secondo il quale il genitore obbligato non ha alcuna autonomia di scelta in merito al soggetto nei confronti di cui adempiere, in virtù della legittimazione attiva concorrente del figlio (in quanto titolare del diritto al mantenimento) e del genitore con lui convivente (in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dall'altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede). 2. Erronea e/o omessa valutazione di elementi di fatto e di diritto sulla capacità contributiva del genitore contribuente - Erronea e contraddittoria applicazione dell'art. 337 ter c.c.: La sentenza non avrebbe adeguatamente motivato la decisione in ordine al contributo al mantenimento straordinario per i figli da parte di YY, limitandosi ad affermare che la capacità contributiva di quest'ultimo si attesterebbe sui redditi da lavoro autonomo dai 4.500,00 ai 5.700 euro mensili circa. 3. Erronea e/o omessa valutazione di elementi di fatto e di diritto sul ruolo endofamiliare della signora XX - Omessa valutazione di elementi istruttori di valore probatorio assorbente: il Tribunale avrebbe negato all'odierna appellante l'assegno divorzile affermando che, nonostante l'innegabile disparità reddituale, l'appellante non avrebbe adeguatamente provato che il suo ruolo domestico le abbia impedito di raggiungere i suoi obiettivi professionali. L'appellante chiedeva, dunque, la riforma della sentenza di primo grado ed altresì formulava istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza. Tale istanza veniva parzialmente accolta con decreto del 17.6.2022 con il quale la Corte d'Appello così statuiva: "In parziale accoglimento dell'istanza, dispone la sospensione parziale del provvedimento impugnato disponendo che il "sig. YY corrisponda alla signora XX a titolo di contributo al mantenimento ordinario per i figli, la somma di Euro. 2.200,00 (di cui Euro. 750,00 per W, Euro. 750,00 per K e Euro. 700,00 per J) oltre rivalutazione istat annuale, entro il giorno 5 di ogni mese tramite bonifico bancario sul conto corrente di quest'ultima e con assegnazione della casa coniugale, in Bologna, Via (omissis) n. (omissis), alla signora XX in quanto genitore convivente con i figli.". Si costituiva YY con comparsa del 3.1.2023 chiedendo il rigetto dell'appello e conseguente rigetto di ogni eventuale attività istruttoria. In particolare, poneva in rilievo come la decisione interinale assunta dalla Corte d'Appello nella fase di sospensiva fosse frutto di una modifica della situazione di fatto, e non di una riforma, in quanto al momento dell'emissione della sentenza di primo grado i figli maggiorenni della coppia erano domiciliati per motivi di studio in Scozia e tale circostanza non era stata contestata; solo successivamente - per come anche dichiarato in sede di udienza - W e K avevano sospeso la loro formazione scolastica all'estero rientrando nell'ex domicilio familiare, in attesa di riprendere gli studi in diversa sede universitaria. Conseguentemente affermava che "..la statuizione di primo grado era adeguata alla situazione familiare accertata al momento dell'emissione della sentenza impugnata e dovrà essere ripristinata in caso di trasferimento ragazzi in sedi universitarie fuori da Bologna, secondo l'attuale giurisprudenza della Cassazione.". Il Procuratore Generale con intervento dell'1.6.2022 concludeva per "..il rigetto del reclamo.". La Corte, in relazione al primo motivo d'appello, relativo al regime economico che prevede il versamento diretto ai figli maggiorenni di parte del contributo al loro mantenimento, confermando quanto argomentato in sede di sospensiva, ritiene che, anche a prescindere dalla valutazione dei presupposti di fatto (che, per quanto emerso anche nel corso dell'odierna udienza, confermano l'attuale permanenza dei figli in Italia) sia principio consolidato in tema di mantenimento dei figli maggiorenni non ancora autonomi che esista la legittimazione attiva concorrente del figlio (titolare del diritto al mantenimento) e del genitore con lui convivente (titolare del diritto a ricevere il contributo dall'altro genitore), il che esclude che il genitore obbligato abbia autonomia di scelta in merito al soggetto nei confronti di cui adempiere. In questo caso, pur avendone la legittimazione, i figli maggiorenni non sono intervenuti in giudizio per far valere il proprio diritto al mantenimento e, pertanto, deve escludersi la possibilità del padre di versare parte del contributo al mantenimento direttamente ai figli maggiorenni. In questi limiti, pertanto, la sentenza impugnata deve essere riformata. La Corte, invece, rileva come gli ulteriori motivi di impugnazione debbano essere rigettati. L'appellante, infatti, con il secondo motivo di appello chiede di essere integralmente esonerata dal pagamento delle spese straordinarie, sul presupposto che il divario tra i redditi dei genitori sia talmente elevato da giustificare - come peraltro avvenuto in sede di separazione - la decisione di porre a carico del padre l'intero onere delle spese straordinarie. Ritiene, invece, la Corte che la disparità reddituale costituisca il legittimo presupposto per la differente ripartizione degli oneri (in coerenza con il principio secondo cui "..il concorso dei genitori (...) non va necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti.." cfr. Cass. ord. n. 35710 del 19/11/2021 e Cass. 14/12/2016, n. 25723), senza tuttavia legittimare la totale estraneità di uno dei genitori rispetto agli oneri straordinari. Entrambi i genitori, infatti, sono chiamati agli obblighi di mantenimento della prole, di cui le spese straordinarie costituiscono una componente, e l'appellante non si trova certamente in una posizione di indigenza tale da giustificare la sua assoluta estraneità a tale voce di spesa. XX è titolare di un reddito mensile da lavoro dipendente pari a circa Euro 2.000, è assegnataria della casa familiare (di proprietà esclusiva della parte resistente), è proprietaria di un altro immobile - situato sempre a Bologna - ed è titolare di un'assicurazione integrativa. Deve, altresì essere rigettato il terzo motivo di impugnazione. Con sentenza di separazione personale n. 332/19 il Tribunale di Bologna aveva rigettato la domanda formulata da XX di ottenere l'assegno di separazione. Con la sentenza qui impugnata non è stato riconosciuto il suo diritto all'assegno divorzile. A conferma della decisione - e, dunque, rigetto del motivo di appello - la Corte richiama i principi recentemente ribaditi dalla Corte Cassazione (sent. n. 23583 del 28 Luglio 2022) secondo cui, richiamati i principi della celeberrima sentenza 18287 del 2018 delle Sezioni Unite: "..la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del "tenore di vita matrimoniale", non è decisiva, isolatamente considerata, ai fini della determinazione dell'assegno perché l'entità del reddito dell'altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234/2019). Lo squilibrio rileva "come precondizione fattuale" (Cass. 32398/2019), quando risulti che esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (Cass. 21926/2019). L'assegno divorzile è quindi dovuto o nell'ipotesi in cui l'ex coniuge non sia economicamente autosufficiente o in quella in cui "il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale divenuto ingiustificato ex post dall'uno all'altro coniuge", spostamento patrimoniale che, in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo- perequativa." (Cass. 24250/2021). Dunque, l'assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata anzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge, secondo un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l'onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021). Dunque, la valutazione dei presupposti dell'assegno divorzile comporta doversi accertare l'effettiva mancanza della "indipendenza o autosufficienza economica" di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa. Tali considerazioni portano certamente al rigetto della domanda di corresponsione di un assegno divorzile in favore dell'appellante. La Corte, inoltre, dà atto che il figlio J (nato il (omissis).(omissis).2004) è, nelle more del giudizio, divenuto maggiorenne, con conseguente sopravvenuta necessità della revoca delle disposizioni riguardanti il suo affido. L'appello, pertanto, deve essere accolto limitatamente al primo motivo di impugnazione. Par. Secondo il principio della prevalente soccombenza (valutate le domande avanzate nei due gradi di giudizio), il compenso di avvocato deve essere posto a carico della parte appellante XX ed in favore di YY nella misura dei 2/3, compensandosi tra le parti per il restante terzo. Avuto riguardo al valore indeterminabile (bassa complessità) della controversia e ai parametri di cui al DM 147/22, applicati i compensi minimi, il compenso può essere liquidato come segue: per il primo grado complessivamente Euro. 3.800,00 per l'intero; per il secondo grado (esclusa la fase istruttoria), può liquidarsi il compenso per un totale di Euro. 3.500,00 per l'intero. Tali somme, dunque, sono poste per i 2/3 (Euro 4.867) a carico dell'appellante, in favore dell'appellato. Spettano, inoltre, il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso liquidato, e gli accessori di legge. P.Q.M. La Corte, sull'appello proposto da XX avverso la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio n. 3093/2021 pubblicata il 23/12/2021 nel giudizio R.G. 11003/2019 del Tribunale di Bologna, così provvede: - dà atto che il figlio J (nato il (omissis).(omissis).2004) è, nelle more del giudizio, divenuto maggiorenne, e, conseguentemente, revoca le disposizioni riguardanti il suo affido; - accoglie parzialmente l'appello e, pertanto, dispone che YY corrisponda alla signora XX a titolo di contributo al mantenimento ordinario per i figli, la somma di Euro. 2.200,00 (di cui Euro. 750,00 per W, Euro. 750,00 per K e Euro. 700,00 per J) oltre rivalutazione istat annuale, entro il giorno 5 di ogni mese tramite bonifico bancario sul conto corrente di quest'ultima e con assegnazione della casa coniugale, in Bologna, Via (omissis) n. (omissis), alla signora XX in quanto genitore convivente con i figli; - rigetta per il resto l'appello; - condanna XX al pagamento in favore di YY dei 2/3 delle spese di lite liquidate nella somma complessiva di Euro 4.867, oltre spese generali, IVA e CPA, compensando tra le parti il restante terzo. Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 20 gennaio 2023.

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