Sentenze recenti amianto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza in data 23/06/2021 del Tribunale di Sassari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macri; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Giordano Luigi, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza in data 23 giugno 2021 il Tribunale di Sassari ha condannato (OMISSIS) alle pene di legge per la contravvenzione dell'articolo 245, comma 2, in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 242 e articolo 257, comma 1, per aver omesso di effettuare la notifica alle adtorita' competenti del rischio di potenziale contaminazione del sito a causa dell'incendio di una discarica. 2. L'imputato, dopo aver ripercorso la testimonianza del tecnico che aveva negato una contaminazione del sito, articola due motivi di appello. Con il primo sostiene la sua estraneita' al reato contestato perche' il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 257 prevede una pena per il responsabile dell'inquinamento mentre lui non era ne' il responsabile, ne' il proprietario del terreno ne' il gestore della discarica. Con il secondo denuncia l'assenza di correlazione tra l'accusa e la condanna. Era emerso in modo incontrovertibile che, in qualita' di legale rappresentante della Ecologica R2, non aveva mai operato sul sito ne' ne aveva mai avuto la disponibilita'. La Corte di appello ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione essendo la sentenza di primo grado inappellabile. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' fondato. E' emerso dall'istruttoria dibattimentale che, dopo l'incendio, il sito non presentava contaminazioni, ma, rispetto a tale dato di fatto, il Tribunale ha valorizzato un elemento assolutamente congetturale ed ipotetico secondo cui ci poteva essere amianto trattandosi di un'antica discarica. Tale asserto non ha alcuna consistenza perche' basato non su una solida prova scientifica bensi' su quanto riferito dal teste che aveva formulato so'lo un'ipotesi. Inoltre, e' emerso sempre dall'istruttoria che l'imputato e' soggetto estraneo all'area in cui si e' verificato l'incendio sia come legale rappresentante della societa' Ecologica R2 S.r.l., secondo quanto contestato nel capo d'imputazione, perche' la sua discarica si trova in altra zona, sia in proprio come presunto erede del sito, qualita' tuttavia non contestata nel capo d'imputazione, perche' il padre non era mai stato proprietario dell'area ma solo il gestore di un'antica discarica comunale dismessa nel 2003. Alla stregua delle considerazioni svolte, s'impone pertanto l'assoluzione del ricorrente dal reato contestato perche' il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il fatto non sussiste.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: sul ricorso di (OMISSIS), in qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l.; avverso l'ordinanza in data 14/11/2022 del Tribunale di Bologna, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macri'; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Luigi Giordano, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con ordinanza in data 14 novembre 2022 il Tribunale del riesame di Bologna ha rigettato l'istanza di riesame proposta da (OMISSIS), in qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., avverso il decreto in data 13 ottobre 2022 del GIP del Tribunale di Bologna di sequestro preventivo di un'area interessata dalla gestione non autorizzata di rifiuti speciali pericolosi di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256. 2. Il ricorrente articola due censure. Con la prima deduce la violazione di legge, di norme processuali e il vizio di motivazione in merito al periculum in mora. Lamenta in particolare che non era stata esclusa la occasionalita' del deposito. Con la seconda denuncia la violazione di legge, di norme processuali e il vizio di motivazione perche' il Tribunale del riesame aveva emesso due decisioni antitetiche, e cioe' nel procedimento instaurato da (OMISSIS), aveva ritenuto il difetto di legittimazione perche' non titolare della porzione di terreno appresa che era invece della societa', mentre nel procedimento instaurato da (OMISSIS) aveva affermato che solo il (OMISSIS) era pregiudicato perche' nella disponibilita' dell'aerea. Contesta altresi' il fumus del reato perche' il Tribunale non aveva distinto tra mero abbandono di rifiuti e discarica. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso e' infondato. Il Tribunale del riesame ha ricostruito in fatto che i Carabinieri avevano sequestrato l'area di pertinenza della (OMISSIS) S.r.l. stante la presenza di venti imballi di pellicola bianca accatastati a cielo aperto in pile da due, all'interno dei quali vi era amianto. Sia (OMISSIS), socio della (OMISSIS), sia (OMISSIS), trasportatore, avevano sostenuto che la merce era stata collocata sul piazzale a titolo di cortesia per il tempo strettamente necessario al (OMISSIS) per riparare il mezzo con cui avrebbe dovuto trasportare l'amianto su commissione di altra societa', la (OMISSIS). Il Pubblico ministero, contestata al (OMISSIS) e al (OMISSIS), la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 3, per la gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi, aveva richiesto al GIP la convalida del sequestro precisando al contempo che si trattava di bene confiscabile e che la sua libera disponibilita' avrebbe potuto aggravare o protrarre le conseguenze del reato, e il GIP aveva convalidato il sequestro preventivo motivando sull'esigenza impeditiva. Il Tribunale del riesame ha quindi rigettato la richiesta di riesame di (OMISSIS), in qualita' di legale rappresentante della Holding, in quanto terzo estraneo al reato e avente diritto alla restituzione di un bene sottoposto a sequestro preventivo impeditivo. In tale qualita' il ricorrente non puo' contestare ne' i presupposti della misura cautelare ne' la qualificazione giuridica del fatto, ma puo' dedurre solo l'inesistenza di collegamenti tra il predetto bene e gli indagati, cosa che invece non ha fatto, perche', del resto, l'area e' della societa' ed e' chiaramente nella disponibilita' anche del socio (OMISSIS), essendo la (OMISSIS) una societa' di ridotte dimensioni e soprattutto a base familiare. La decisione e' in linea con la giurisprudenza di legittimita' che in questi casi ammette che il terzo estraneo ponga solo un problema in termini di effettiva titolarita' o disponibilita' del bene e di inesistenza di un proprio contributo al reato attribuito all'indagato, senza potere contestare l'esistenza dei presupposti della misura cautelare (Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, Pica, Rv. 276700-01). La motivazione resa dal Tribunale del riesame e' quindi ineccepibile. Peraltro, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, i Giudici hanno lungamente argomentato, pur non essendo strettamente indispensabile, come detto, sia in merito al fumus, ritenendo che lo stoccaggio dell'amianto fosse potenzialmente indeterminato nei tempi, sia in merito al periculum, ritenendo la libera disponibilita' dell'area idonea a costituire un pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. Infine, non si ravvisa nella ricostruzione del fatto e nel ragionamento seguito dal Tribunale del riesame un diniego di tutela del ricorrente, a differenza di quanto paventato dallo stesso, perche' i Giudici hanno spiegato in modo puntuale i limiti della sua tutela come terzo e rispetto al sequestro di tipo impeditivo. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'articolo 616 c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), (DECEDUTO) nato a (OMISSIS); inoltre: PARTI CIVILI: (OMISSIS) SPA; (OMISSIS) SPA ( (OMISSIS) SPA); (OMISSIS) -DECEDUTO; avverso la sentenza del 07/10/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BELLINI UGO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo per l'annullamento senza rinvio per (OMISSIS) per morte; annullamento con rinvio per tutte le altre posizioni. uditi i difensori: E' presente l'avv. (OMISSIS) del foro di BUSTO ARSIZIO in difesa della parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) ( (OMISSIS)) NAZIONALE. Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. L'avv. (OMISSIS) e' altresi' presente in sostituzione degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) per le parti civili eredi di (OMISSIS) ved. (OMISSIS) piu' altri, nonche' della CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE CGIL del Verbano Cusio Ossola. Il difensore deposita conclusioni scritte di cui chiede l'accoglimento. E' presente l'avv. (OMISSIS) del foro di ROMA per la parte civile I.N.A.I.L. Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. Per il responsabile civile (OMISSIS) SPA ( (OMISSIS) SPA) e' presente l'avv. (OMISSIS) del foro di PISA che conclude per l'inammissibilita' del ricorso per manifesta l'infondatezza. Per l'imputato (OMISSIS) sono presenti gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) entrambi del foro di Milano. I difensori concludono per l'inammissibilita' del ricorso. Per l'imputato (OMISSIS) sono presenti gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) entrambi del foro di MILANO. I difensori concludono per l'inammissibilita' del ricorso. Per gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono presenti gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) entrambi del foro di MILANO. I difensori concludono per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 7 Ottobre 2021, ha confermato la decisione del Tribunale di Verbania che aveva assolto gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati loro rispettivamente contestati, consistenti in plurime ipotesi di omicidio colposo e di lesioni personali colpose consistite in malattia professionale ai danni di dipendenti dello stabilimento di (OMISSIS) e, in due ipotesi, ai danni di prossimi congiunti di persone esposte all'amianto, derivanti da esposizione domestica e ambientale. In particolare l'assoluzione interveniva perche' "il fatto non sussiste" in relazione ai decessi e alle lesioni personali derivate da carcinoma polmonare, adeno-carcinoma polmonare ed asbestosi e "per non avere commesso il fatto" in relazione ai decessi e alle lesioni personali da mesotelioma pleurico, placche pleuriche ed ispessimenti pleurici. 2. Gli imputati erano chiamati a rispondere delle suddette violazioni per la posizione di garanzia assunta all'interno della azienda (OMISSIS) s.p.a., in particolare (OMISSIS) quale componente del consiglio di amministrazione dal 7 Aprile 1972 al 9 Dicembre 1973, (OMISSIS) quale amministratore delegato dal 30 Aprile 1977 al 29 Giugno 1981 e successivamente quale presidente del consiglio di amministrazione dal 20 Giugno 1981 al 1988, (OMISSIS) e (OMISSIS) in qualita' di direttori dello stabilimento di (OMISSIS) rispettivamente dal 28 Novembre 1975 al Novembre 1976 il primo a dal novembre 1976 al luglio 1983 il secondo. Era loro contestata la colpa generica e comunque di avere omesso accorgimenti e presidi organizzativi, tecnici, strutturali ed igienici, pure imposti dalla normativa prevenzionale specifica che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sarebbero valse a tutelare la integrita' fisica dei prestatori di lavoro operanti all'interno del suddetto stabilimento; in particolare del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 377 commi 1 e 2, articolo 387, nonche' del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 3030, articolo 4, 19 e 21 in relazione ai rischi relativi alle malattie professionali, alla silicosi e all'asbestosi, omettendo di fornire mezzi personali di protezione appropriati al rischio dagli stessi ingenerato, sia per la esposizione diretta che per esposizione indiretta di inalazione di polveri-fibre di amianto, minerale diffusamente impiegato nel luogo di lavoro, in particolare per la coibentazione di tubazioni e rivestimenti e piu' in generale a protezione delle strutture degli impianti di produzione, omettendo di mettere a disposizione dei lavoratori maschere respiratorie e altri dispositivi di protezione idonei ovvero di esigerne l'effettivo impiego (ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 4 lettera c), ed del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 4, lettera c) e d), non attuando le misure di igiene ivi previste e non rendendo i lavoratori edotti del rischio specifico di inalazione di polveri-fibre di amianto (Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 4 lettera b)); omettendo di fare eseguire in ambienti separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporre senza necessita' i lavoratori al rischio di inalazione delle sostanze nocive, non adottando le misure tecniche atte a impedire o a ridurre efficacemente e la dispersione e la diffusione nell'ambiente di lavoro delle polveri di amianto in relazione agli interventi che davano luogo alla formazione o alla dispersione di quelle polveri (interventi di de-coibentazione consistenti nella rottura, sfaldatura e rimozione dei rivestimenti in amianto); ne' adottando e facendo adottare gli accorgimenti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 3030, articolo 21 commi 2, 3 e 4, in relazione alle dimensioni e alla concentrazione nell'ambiente di polveri di amianto. 3. La motivazione della sentenza del giudice di primo grado si muove sul fronte del rapporto di causalita' in relazione alle diversificate patologie che avevano colpito i lavoratori e, in relazione alle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS) i prossimi congiunti conviventi con soggetti (l'imputato (OMISSIS) e (OMISSIS)) esposti alla inalazione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro. Veniva appunto operata una distinzione tra le patologie che avevano nella relazione con le polveri-fibre di amianto una matrice sostanzialmente univoca (quali l'asbestosi, il mesotelioma pleurico e, in larga misura le placche pleuriche e gli inspessimenti della pleura), rispetto a patologie che, pur rientrando nel novero di malattie multifattoriali, dall'inalazione delle polveri di amianto sul luogo di lavoro avrebbero potuto ricevere un apporto sinergico rispetto a concorrenti fattori di induzione (precedenti o successive esperienze lavorative, tabagismo). 3.1 Il Tribunale di Verbania riportava partitamente tutti contributi scientifici offerti dai consulenti tecnici del pubblico ministero e delle parti private, massimi esperti del mondo scientifico in campo epidemiologico, biologico, nello studio delle malattie professionali, autori di pubblicazioni scientifiche in materia di patologie asbesto correlate, autori di studi di settore e di coorte in ambiente di lavoro e piu' in generale di approfondimenti a livello geografico-lavorativo nella individuazione degli ambienti lavorativi e professionali maggiormente esposti alle patologie asbesto correlate e, in relazione al Dott. (OMISSIS) medico chirurgo consulente del PM, esperto in cancerogenesi industriale il quale, presso l'Istituto Ramazzini aveva proceduto a studi sperimentali relativi alla somministrazione su animali di fibre di amianto. 3.2 Richiamate le relazioni depositate agli atti, le deposizioni rese in aula dai C.C.T.T. e la documentazione tecnico scientifica depositata, ravvisava una posizione di garanzia per ciascun imputato in relazione all'arco temporale in cui era stato investito di poteri apicali all'interno della societa' (OMISSIS), al fine del riconoscimento di una personale responsabilita' per i decessi ovvero per le malattie professionali occorse ai lavoratori in coincidenza con l'assunzione di tale veste; riconosciuta una eziogenesi delle patologie riscontrate nelle persone offese certamente riconducibile alla inalazione di polveri di amianto con riferimento alle patologie pleuriche, e verosimilmente sinergica con altri fattori in relazione ai tumori polmonari, escludeva peraltro la ricorrenza del rapporto di causalita' materiale tra le condotte ascritte agli imputati con le morti ovvero con le malattie professionali riscontrate sulla base di una valutazione fondata sulla causalita' individuale, evidenziando la ricorrenza di concorrenti ed alternativi fonti di induzione (quanto ai tumori polmonari) e, in relazione al mesotelioma pleurico e alle altre sofferenze pleuriche (pleurite, inspessimenti, placche) l'assenza di una legge di copertura scientifica in grado di assicurare, in assenza di riscontri obiettivi, la riconducibilita' dell'insorgenza della patologia alla posizione di garanzia dei singoli imputati. 3.3 In particolare veniva esaminata la questione, ampiamente dibattuta dalla scienza medica e trattata anche dalla giurisprudenza del Supremo collegio e da quella di merito, che assume invero rilievo fondamentale nel processo patologico del mesotelioma pleurico asbesto correlato, se la ricorrenza di una prolungata fase di latenza (anche oltre 40 anni dall'inizio della esposizione), consenta di formulare un giudizio di incidenza causale delle condotte omissive riconducibili ai titolari di obblighi di garanzia che avevano assunto la loro posizione in epoca significativamente successiva a quella in cui ha avuto inizio la esposizione di ciascun lavoratore poi colpito dalla patologia. Sul punto il giudice di primo grado evidenziava le criticita' di una tesi scientifica che assume il processo patogenico come riconducibile ad un fenomeno multistadio fondato sul teorema "dose risposta" e cioe' sulla rilevanza di tutto il periodo di esposizione dell'organismo alle nocive immissioni di amianto con il rischio di contrarre, sviluppare e rafforzare i processi invasivi e metastitici del mesotelioma pleurico, quantomeno in termini di accelerazione del meccanismo patologico ovvero di restringimento del periodo di latenza. 3.4 Assumeva in particolare che lo stato dell'arte sulla subiecta materia non consentiva di riconoscere rilievo di legge universale, ovvero di legge scientifica di rilievo probabilistico frutto di una ampia condivisione del mondo scientifico, alla teoria della dose dipendenza (nelle varie accezioni di dose-risposta e di dose-correlazione), che faceva derivare come corollario la teoria della equivalenza delle dosi ai fini dell'inveramento della patologia tumorale, riconoscendo rilevanza causale, quantomeno in termini di accelerazione del processo patogenico, anche alle esposizioni maturate in corso di progressione della trasformazione cellulare e a quelle successive al termine dell'induzione. Evidenziava che in assenza di una legge universale sul punto, non poteva farsi neppure riferimento ad una copertura scientifica su base epidemiologica, in grado di dimostrare come il perdurare dell'esposizione professionale sia in grado di anticipare la verificazione dell'evento morte, in quanto da un lato tali evidenze si limitano a dare conto della maggiore incidenza dell'evento letale in proporzione alla durata e alla intensita' dell'esposizione limitatamente a studi di corte, ovvero su studi relativi a specificita' professionali (per esempio minatori), e non ai lavoratori impegnati in ambienti quali quelli che vengono qui in considerazione e non sono neppure in grado di asseverare la ragione per cui il lavoratore sia morto in un dato momento, perche' e' stato esposto piu' a lungo. Rilevava ancora che neppure potevano ritenersi concludenti i conforti di natura sperimentale, in quanto eseguiti con modalita' differenti rispetto al caso umano laddove le cavie erano state trattate per via iniettiva e non anche per via inalatoria e comunque non ne era derivata una validazione dell'effetto acceleratore poiche' il periodo di latenza, misurato in settimane, non era diminuito per la maggiore esposizione alla dose iniettata. 3.5 A fronte di tale incertezza scientifica in ordine al momento di completamento della fase di induzione del processo cancerogenetico, corrispondeva la incertezza sulla rilevanza causale della condotta di ogni singolo imputato rispetto all'evento lesivo per mesotelioma, tenuto conto che l'inizio della esposizione all'amianto dei singoli lavoratori deceduti per mesotelioma pleurico aveva preceduto di molti anni l'epoca in cui i singoli imputati avevano assunto cariche apicali all'interno dell'azienda e degli stabilimenti della societa' (OMISSIS). 3.6 Quanto alle contestazioni di lesioni colpose connesse a malattie professionali (placche pleuriche, pleuriti e ispessimenti pleurici) il giudice di primo grado, pure avendo constatato la intervenuta prescrizione delle fattispecie, in quanto clinicamente accertate tra gli anni 2008 e 2010 se non in epoca anteriore, nondimeno pronunciava assoluzione degli imputati nel merito per ragioni del tutto analoghe a quelle che avevano condotto all'assoluzione dei prevenuti in relazione alle morti per mesotelioma pleurico laddove, pure trattandosi di malattie direttamente correlate alla esposizione ad amianto e alla durata della stessa, di esse non era dato conoscere ne' l'epoca di insorgenza, ne' la dose eziologicamente rilevante, per cui non era possibile affermare, in assenza di leggi di copertura in termini causalmente rassicuranti, l'attribuzione delle malattie in oggetto alle condotte degli imputati. 3.6 Quanto ai due episodi di carcinoma polmonare (che aveva colpito i lavoratori (OMISSIS) e (OMISSIS)) il Tribunale di Verbania si poneva a valutare il prospettato effetto sinergico ai fini del processo cancerogenetico della combinazione dei fattori rappresentati dall'abitudine al fumo e dell'esposizione all'amianto. In relazione al lavoratore (OMISSIS) rilevava che la verifica della causalita' individuale portava a dubitare fortemente della riconducibilita' della patologia tumorale alla esposizione all'amianto, sia pure in termini sinergici, rispetto a fattori causali alternativi e concorrenti, in ragione della brevita' del periodo di esposizione rispetto ad altre realta' professionali che pure avrebbero potuto esporlo a fattori patogeni (edilizia autostradale) e al tabagismo, trattandosi di forte fumatore, e, in relazione ad entrambi i lavoratori (anche il (OMISSIS) risultava essere stato un assiduo fumatore) poneva in rilievo che la esposizione all'amianto non era stata diretta, in quanto non erano impegnati in attivita' di coibentazione, che non vi erano evidenze di asbestosi, che non risultavano essere stati eseguiti studi epidemiologici presso lo stabilimento di Verbania, che l'esposizione combinata al tabacco e all'amianto costituiva un aumento di rischio in termini additivi alla cancerogenesi e che non ricorrevano leggi scientifiche in grado di consentire la risoluzione del problema causale della pluralita' delle cause di riferimento ai tumori polmonari in grado di attribuire le la suddetta patologia a interazioni o sinergie tra i due fattori cancerogeni. Pronunciava pertanto assoluzione perche' il fatto non sussiste. 3.7 Quanto infine all'unica patologia di asbestosi (lavoratore (OMISSIS)) il Tribunale di Verbania, ritenuta la correttezza delle censure svolte dal consulente tecnico della difesa alle considerazioni del medico del lavoro, consulente tecnico del pubblico ministero, con particolare riferimento alla attendibilita' degli esami radiografici, strumentali e spirometrici eseguiti sul paziente a partire dall'anno 2008 e in particolare sulla metodica seguita e sul rispetto degli standard ILO, escludeva la responsabilita' dell'imputato per insussistenza del reato. 4. Avverso la sentenza del Tribunale di Verbania hanno proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania e le parti civili (OMISSIS) e l' (OMISSIS). 4.1 Il Procuratore della Repubblica ha contestato l'esito assolutorio per non essere stato riconosciuto il rapporto di causalita' materiale tra le condotte omissive e commissive ascritte ai prevenuti rispetto alle morti dei lavoratori colpiti da mesotelioma pleurico e da carcinoma polmonare, oltre che da asbestosi, con particolare riferimento ai criteri con cui aveva inteso interpretare il sapere scientifico in tema di eziopatogenesi delle patologie asbesto correlate, veicolato dai consulenti tecnici di parte, nonche' omesso di valutare la decisiva documentazione prodotta, in particolare dei documenti conclusivi dei Consensa, che costituivano la massima espressione dello stato del dibattito scientifico sulla incidenza della esposizione all'amianto sulla induzione e progressione del mesotelioma pleurico. Con distinte articolazione si doleva di una errata o omessa valutazione della rilevanza causale della esposizione all'amianto con riferimento a singoli lavoratori, in particolare (OMISSIS), per avere totalmente e immotivatamente svalutato le considerazioni del consulente tecnico di parte e di avere al contrario valorizzato le osservazioni del tecnico della difesa in relazione alla mancata effettuazione di "stime di esposizione cumulative", per essersi affidato a stime di misurazione delle esposizioni del tutto errate e per non avere riconosciuto la rilevanza causale esclusiva di un altro fattore, a fronte del rilievo sinergico della abitudine al fumo. Denuncia totale omissione di motivazione in relazione alla persona offesa (OMISSIS) la quale, pure deceduta per altra causa, era stata riscontrata affetta da mesotelioma pleurico. Lamenta infine una erronea valutazione delle emergenze processuali laddove ha ritenuto non plausibile la diagnosi di asbestosi per il lavoratore (OMISSIS). Assume infine la omessa considerazione della posizione della persona offesa (OMISSIS), deceduto per placche ed ispessimenti pleurici. 4.1 Il Procuratore della Repubblica e le difese delle parti private hanno depositato memorie difensive ai sensi dell'articolo 121 c.p.p.. Le parti civili hanno altresi' depositato ampia documentazione scientifica. 5. La Corte di Appello di Torino preliminarmente escludeva di doversi procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale mediante l'assunzione di una perizia, riconoscendo di potere decidere allo stato degli atti e non ricorrendo ipotesi di erronea valutazione di una prova tecnica, bensi' di mera critica al percorso logico giuridico del giudice di primo grado nel ritenere preferibile una determinata fonte probatoria rispetto ad un'altra. Le contrapposte tesi scientifiche erano state adeguatamente e diffusamente veicolate nel processo e interpretare secondo i canoni del giudizio penale, di talche' sarebbe risultato inutile disporre una perizia volta a confortare l'una o l'altra delle prospettazioni, in funzione di validazione del migliore sapere scientifico, tenuto conto dei limiti della scienza attuale circa l'influenza sul corpo umano dell'esposizione all'amianto laddove, in assenza di una legge di copertura che sia in grado di accertare il momento in cui il processo di induzione cancerogenetico si e' perfezionato nelle patologie asbesto correlate, non e' possibile prescindere dall'approfondito studio della causalita' individuale per accertare la valenza causale delle condotte dei diversi imputati. 5.1 Quanto ai motivi di ricorso del Procuratore della Repubblica, la Corte di Appello di Torino ha escluso la rilevanza dimostrativa del metodo sperimentale sulle cavie al fine di superare i limiti del modello epidemiologico fondato su studi di coorte, sia in quanto il modello sperimentale si presta alle medesime censure che il mondo scientifico ha avanzato alla teoria della dose risposta, quando si e' proposta di ricondurre l'effetto acceleratore dell'evento morte a tutte le esposizioni (e quindi alle dosi di amianto inalate), benche' successive al completamento della induzione della proliferazione di cellule tumorali, sia in quanto la metodica seguita non prevedeva l'inalazione, bensi' la inoculazione del fattore patogeno. 5.1.1 In ogni caso, la sperimentazione operata presso l'istituto Ramazzini, seppure in una prospettiva di rafforzamento dell'evidenza epidemiologica, non era in grado di superare la prova logica, che spettava al giudice della cognizione di verificare ed escludere l'incidenza di fattori causali alternativi come nella patologie caratterizzate da una multifattorialita' come per i tumori polmonari, in relazione ai quali il giudice di primo grado non aveva potuto pervenire ad un giudizio di colpevolezza in ragione della elevata propensione al fumo dei due lavoratori deceduti per tale patologia e la modestia dei tempi di esposizione all'amianto di uno dei due lavoratori ( (OMISSIS)) e delle mansioni lavorative di entrambi che non li esponevano in maniera intensa e diretta al rischio relativo, nonche' per l'assenza di evidenze cliniche in grado di collegare la patologia di cui risultavano affetti a derivati dell'amianto. Riconosceva altresi' la correttezza della motivazione della sentenza di primo grado in relazione alla patologia occorsa al lavoratore (OMISSIS), nella parte in cui aveva escluso l'affidabilita' della diagnosi di asbestosi. Escludeva poi che una rilettura degli approdi scientifici cui si era addivenuti nelle conferenze tematiche tenutesi a Torino nel 2011 e a Bari nel 2015, potesse condurre a diversi risultati sul piano processuale, a fronte della esigenza di pervenire ad una verifica della causalita' sul piano individuale, operazione che il primo giudice aveva compiuto in relazione alla progressione patologica sofferta dal lavoratore (OMISSIS), deceduto per carcinoma polmonare. In relazione al decesso di (OMISSIS), che si era ammalata di mesotelioma pleurico, valevano considerazioni analoghe a quelle svolte in via generale dal primo giudice in ordine alla impossibilita' di ricondurre l'insorgenza della patologia, nel suo irreversibile percorso che culmina nella evidenza clinica, ad un momento preciso cui agganciare la posizione di garanzia rivestita da taluno degli imputati. Analoghe considerazioni andavano svolte in relazione alle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai quali, pure a volere ritenere fondate le censure avanzate dalla pubblica accusa in ordine ai profili motivazionali della sentenza impugnata, era mancata la prova della causalita' individuale a fronte di patologie pleuriche per cui rileva, ai fini della verifica del rapporto di causalita', l'esatta individuazione dell'insorgenza della patologia, non piu' reversibile, ovvero la rilevanza dell'ulteriore esposizione. 6. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per la cassazione la Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino prospettando un unico articolato motivo di ricorso con il quale assume violazione delle disposizioni delle norme (40 e 41 c.p.) che presiedono l'accertamento del rapporto di causalita' materiale in relazione a quella parte della motivazione riservata all'esame dei motivi di impugnazione del P.M.. Deduce inoltre una carenza motivazionale in relazione a tutte le doglianze articolate in appello anche con riferimento alle specifiche posizioni di alcune persone offese rispetto alle quali si era denunciato una motivazione assente o carente. 6.1 Le critiche si concentrano innanzi tutto sulla preliminare valutazione del giudice di appello di non disporre una integrazione della istruttoria dibattimentale mediante l'assunzione della perizia sul presupposto della completezza dei contributi scientifici veicolati dai consulenti delle parti, laddove la stessa non avrebbe apportato nuovo sapere scientifico in grado di dirimere i contrasti sull'abbreviazione dei tempi di latenza della prolungata esposizione al fattore patogeno esistenti nel mondo scientifico, quanto piuttosto a validare una tesi piuttosto che un'altra, senza che un siffatto contributo potesse effettivamente costituire una nuova fonte di ispirazione per il giudizio di responsabilita', a fronte dei limiti comunque palesati dal dibattito tecnico sui modi e sui tempi di insorgenza del processo cancerogeno non piu' suscettibile di arresto. Richiamando i principi giurisprudenziali ormai condivisi (risalenti alla pronuncia Cozzini n. 43786/2010) era obbligo del giudice, fruitore e non creatore del sapere scientifico, attingere allo stesso per dirimere questione tecniche di difficile soluzione, potendo utilizzare, in mancanza di una legge di copertura universale, una prospettazione scientifica ampiamente condivisa, anche fondata su generalizzazioni esplicative, pure di carattere epidemiologico quando la stessa, per la serieta' degli studi, la completezza delle indagini, il rispetto dei canoni di validazione e sottoposta a prove di falsificazione, per la identita', autorita' e indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, sia in grado di attrarre un rilevante consenso nel mondo scientifico. Critica pertanto l'argomentare della corte di appello laddove aveva del tutto omesso di riconoscere rilievo ai numerosi studi richiamati dagli appellanti, ai "consensa" formulati nelle conferenze tematiche di studiosi ed esperti del settore, alle pubblicazioni e alle riviste scientifiche che avevano riconosciuto validita' all'effetto acceleratore della esposizione all'amianto, in proporzione alla intensita' e alla durata della stessa, determinando una maggiore incidenza dei casi mortali e conseguentemente, in relazione alla coorte oggetto di studio, una anticipazione dell'evento morte. Del tutto immotivata riteneva poi la svalutazione del dato sperimentale, pure sottoposto all'attenzione dei giudici di merito quale elemento di corroborazione del dato epidemiologico, ravvisando un vizio di motivazione apparente che si celava nella ritenuta necessita' di procedere ad una valutazione fondata sull'analisi della causalita' individuale laddove la valorizzazione della causalita' generale era limitata ad un approccio civilistico fondato sull'assioma del "piu' probabile che non", trascurando che anche nel processo penale risulta indispensabile il doppio accertamento, sia deduttivo che induttivo che il giudice e' chiamato a svolgere e che non e' possibile procedere al giudizio predittivo se prima non si siano individuati gli antecedenti causali dell'evento mediante un giudizio esplicativo fondato su regole generali e generalizzazioni esplicative. Del tutto carente deve poi ritenersi la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, esclusa surrettiziamente la ricorrenza di una legge di copertura generale, su base probabilistica, idonea a spiegare compiutamente il meccanismo della insorgenza e della proliferazione del processo tumorale per esposizione all'amianto, si pone alla verifica della causalita' individuale in relazione ai lavoratori colpiti da patologie asbesto correlate con riferimento alla individuali evidenze professionali, cliniche e di stile di vita, essendo mancata alcuna valutazione sul piano soggettivo-individuale e facendosi generico riferimento a fattori causali alternativi senza entrare nel merito delle singole storie professionali e della esposizione ad alternative fonti di rischio disapplicando principi generalmente acquisiti nella giurisprudenza di legittimita' sulla necessita' di individuare e valorizzare specificamente eventuali fattori alternativi di attivazione del processo cancerogenetico. 6.2 Tale vizio era particolarmente evidente con riferimento alle due ipotesi di tumore polmonare (lavoratori (OMISSIS) e (OMISSIS)) che il giudice distrettuale aveva esaminato come se le possibili cause di innesco della patologia (esposizione all'amianto e tabagismo) operassero in via alternativa e non, come evidenziato dagli esperti, in forma sinergica se non rafforzativa, nonche' nell'avere trattato le patologie asbesto correlate del mesotelioma pleurico e delle placche pleuriche, che invece integrano una malattia professionale, con gli stessi termini argomentativi, richiamando il periodo di latenza senza procedere ad alcuna caratterizzazione del caso concreto. 6.3 Con una distinta articolazione del medesimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la totale pretermissione da parte del giudice di appello delle critiche sollevate nei motivi di appello alle valutazioni operate dal Tribunale di Verbania in ordine alla diagnosi di "asbestosi" formulata nei confronti del lavoratore (OMISSIS), riportando altri stralci del contraddittorio dibattimentale da cui emergeva che il consulente tecnico della difesa, le cui argomentazioni tecniche erano state accolte dal giudice di merito, non aveva visionato reperti radiografici essenziali per la formulazione della diagnosi. 6.4 Con ulteriore articolazione si criticano le considerazioni svolte dalla Corte di Appello con riferimento alla patologia tumorale occorsa al lavoratore (OMISSIS) rispetto alla quale i giudici di merito avevano riconosciuto la impossibilita' di ricondurla alla lunga esposizione all'amianto, in presenza di altro fattore patogenetico (abitudine al fumo), assenza di evidenze cliniche, mancanza di uno studio di settore e bassa intensita' della esposizione, rappresentando la totale pretermissione dei contributi tecnici del consulente del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), in ordine agli studi scientifici sulla combinazione tra esposizione all'amianto e fumo ai fini dell'insorgenza del mesotelioma e di tutte le ulteriori considerazioni, compresa quella relativa alle stime cumulative di settore, che deponevano per il riconoscimento della causalita' individuale. 6.5 In relazione alle posizioni che avevano gia' formato oggetto di censura in appello relative alla insorgenza di malattie professionali ai lavoratori (OMISSIS) e al prossimo congiunto di uno degli imputati ( (OMISSIS)) riconosceva una sostanziale rinuncia alla impugnazione delle statuizioni assolutorie, per carenza di interesse trattandosi di reati di lesioni colpose, ormai prescritte. 7. Hanno depositato memorie difensive la difesa della parte civile Medicina Democratica, argomentando nella prospettiva dell'accoglimento del ricorso e la difesa di (OMISSIS) s.p.a in fallimento concludendo per la pronuncia di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La Corte di appello e' pervenuta a confermare la pronuncia assolutoria degli imputati che aveva esaminato i profili della causalita' generale e della ricorrenza di leggi scientifiche idonee a corroborare la prospettazione accusatoria in termini di accelerazione all'evento per tutto il tempo di esposizione del lavoratore all'amianto, a fronte di cicli lavorativi che avevano avuto inizio almeno 15-20 anni prima che gli odierni imputati assumessero vesti apicali all'interno della societa' (OMISSIS), a fronte di patologie che si erano manifestate dopo oltre trent'anni dalla cessazione dell'esposizione sul luogo di lavoro. Esclusa la ricorrenza di una legge universale, ovvero di una teoria scientifica ampiamente condivisa che riconoscesse, quantomeno a livello statistico probabilistico, la plausibilita' e l'affidabilita' della teoria dell'effetto acceleratore, i giudici di merito escludevano la ricorrenza della causalita' materiale a seguito di una valutazione della causalita' individuale in relazione alle patologie tumorali multi fattoriali ovvero, in relazione a quelle certamente collegate alla esposizione all'amianto, in ragione della brevita' e della scarsa intensita' delle esposizioni presso il luogo di lavoro della societa' (OMISSIS), tenuto conto delle possibili concorrenti occasioni di esposizione lavorativa al fattore patogeno, rigettando al contempo l'istanza di rinnovazione dibattimentale. Dava quindi atto delle discordi tesi scientifiche portate nel processo rispettivamente dai consulenti tecnici del P.M. e da quelli degli imputati, in ordine alla relazione tra l'insorgenza e la progressione della malattia e la durata dell'esposizione professionale all'agente cancerogeno (mentre condivisa e' la tesi della relazione di proporzionalita' tra frequenza di malattia e intensita' della dose) e della valenza eziologica di tutte le esposizioni; dell'esistenza del cd. effetto acceleratore, ovvero di una relazione di proporzionalita' inversa tra dose cumulativa (concetto che fa riferimento insieme alla intensita' e alla durata della esposizione) e latenza, tale che all'aumentare della dose o della durata dell'esposizione diminuisce la latenza della malattia. Concludeva quindi la Corte di appello nel senso della persistente incertezza scientifica al riguardo della incidenza della durata dell'esposizione sull'incremento di frequenza della malattia, fermo restando che anche a ritenere acquisita siffatta relazione se ne sarebbe potuto inferire unicamente un aumento del rischio di ammalarsi e non la prova rispetto alla singola malattia; manifestava la impossibilita' di escludere, in presenza di diversi periodi di esposizione corrispondenti a diversi imputati, che le esposizioni intervenute prima dell'assunzione delle posizioni di garanzia fossero state da sole sufficienti a innescare la malattia e a determinare la morte o la malattia professionale, stante l'assenza di adeguate e condivise conoscenze circa l'inizio, le cadenze evolutive e la fine del processo morboso. 2.1 In particolare afferma il collegio distrettuale che la teoria dell'effetto acceleratore non rappresenta, allo stato dell'arte, una legge statistico-probabilistico e non fornisce nel mondo scientifico una condivisa dimostrazione dell'esistenza di tale effetto; sotto diverso profilo ha escluso il rapporto di rapporto di causalita' a seguito di una meditata e non illogica verifica in relazione ai singoli casi controversi, in presenza di fattori causali alternativi (preesistenti esposizioni, cause concorrenti dotate di maggiore rilevanza eziologica, come il tabagismo, assoluta incertezza sulla natura della patologia contratta dal dipendente (OMISSIS)). 3. Cio' premesso, il ricorso si appalesa inammissibile. 4. Giova rammentare che secondo la previsione dell'articolo 608 c.p.p., comma 1-bis, inserita dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 69, il pubblico ministero, nel caso di cd. "doppia conforme assolutoria", puo' proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera a), b) e c) e, pertanto e' escluso il ricorso per vizio di motivazione (lettera e)). In assenza di una disciplina transitoria, tale disciplina e' stata ritenuta applicabile ai ricorsi la cui data di presentazione e' successiva all'entrata in vigore della predetta disposizione, atteso che e' con la presentazione dell'impugnazione che si determina il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilita' dell'impugnazione (Sez. 3, n. 54693 del 04/10/2018, Rv. 274132). Nel caso di specie la sentenza impugnata e' stata emessa il 7 Ottobre 2021; il ricorso e' stato depositato il 18 Maggio 2022, dopo l'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 (3.8.2017). La nuova disciplina non propone profili di dubbia costituzionalita'; come e' stato considerato, la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilita' per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimita'; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalita', di un'asimmetrica distribuzione delle facolta' processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito dal giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza. (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Rv. 280631, che ha escluso ricorrano le condizioni per una denuncia della previsione al Giudice delle leggi in relazione agli articoli 111 e 112 Cost.). Per contro, la giurisprudenza ha cominciato a delineare i precisi contorni della limitazione, escludendo che essa comprenda il caso di sentenza di inammissibilita' dell'appello ritenuto non conforme alle prescrizioni dell'articolo 581 c.p.p., trattandosi di una pronuncia "in rito" che non puo' essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento (Sez. 1, n. 8549 del 03/12/2019, dep. 2020, Rv. 278626); ed escludendo, altresi', che si applichi anche al ricorso della parte civile (Sez. 5, n. 5697 del 18/01/2019, Rv. 275136) In termini del tutto analoghi si e' pronunciata questa sezione con sentenza n. 6561 del 8/11/2021 depositata il 16/02/2023, PG Milano/Cenzato/Ansaldo). 5. Orbene, nel caso che occupa, va in primo luogo rilevato che la (sola) titolazione del motivo di ricorso evoca in modo erroneo la violazione di legge chiamando in causa gli articoli 40 e 41 c.p., ovvero una totale assenza di motivazione rilevante ai sensi dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, in relazione ad una riconosciuta mancanza di confronto sulle doglianze formulate nei motivi di appello dal rappresentante della pubblica accusa. In realta' i motivi di impugnazione, al di la' della formula utilizzata per delineare il vizio contestato, si concentrano su un difetto di motivazione con riferimento alla esclusione del rapporto di causalita' materiale tra l'esposizione e le patologie sofferte dalle persone offese. 5.1 Invero gia' dall'incipit del relativo motivo di ricorso (pag.11 primo capoverso) appare palese il vulnus della sentenza impugnata di cui il ricorrente denuncia la ricorrenza al giudice di legittimita', cosi' da affermare "il percorso motivazionale qui censurato appare ancora piu' contrastante con le regole ermeneutiche che dovrebbero presiedere all'accurata verifica, assegnata al giudice di merito, sui presupposti dell'accertamento del nesso di condizionamento" e a pag. 13 si stigmatizza "la lacunosa trama argomentativa", tesa a escludere la nota relazione lineare fra dosi di cangerogeno inalate continuativamente e risposta neoplastica. "La motivazione e' dunque gia' in questo delicato passaggio iniziale del percorso giustificativo, totalmente carente, se non assente" (pag.14). Alla sentenza impugnata viene poi ascritta una "visione non condivisibile della prospettiva di ricostruzione del processo logico-giuridico attraverso il quale si dovrebbe procedere...alla verifica del rapporto di causalita'" (pag.19) nonche' la a-specificita' dell'intero ragionamento del giudice distrettuale e il mancato confronto (reale) con le ragioni esposte nell'atto di appello del Pubblico Ministero (pag.22 e 28), in relazione alla rilevanza degli studi sperimentali (pag.13), al potenziamento reciproco fumo/amianto (pag.28), alla mancata valorizzazione della portata delle consensus conferences (pag.35) e alla specialistica valutazione della neoplasia che ha condotto a morte (OMISSIS) (pag.43) e determinato la malattia professionale di (OMISSIS) nella parte in cui aveva riconosciuto piu' attendibili le valutazioni operate dal consulente tecnico della difesa (pag.34). 6. Cio' posto, il ricorso, le cui ragioni di doglianza sono state riportate quasi integralmente, e' articolato su ripetute prospettazioni meramente avversative alle argomentazioni dei giudici di merito, unico essendo il punto che puo' con qualche verosimiglianza dare corpo ad una censura motivazionale; ovvero l'aver applicato erroneamente il giudizio causale: cio' si traduce pero' nella manifesta illogicita' della motivazione. Vizio che non poteva essere dedotto ai sensi dell'articolo 608 c.p.p., comma 1 bis e che comunque risulta del tutto assente, essendo piuttosto il ricorso animato da un assunto erroneo, ovvero che la Corte di appello abbia finito per il negare, affrontando l'impegno dell'accertamento della causalita' individuale, proprio quella legge esplicativa di carattere generale che il giudice distrettuale ha ritenuto non utilizzabile, quantomeno in relazione al caso in oggetto, attraverso una serie di argomenti logico giuridici puntuali e privi di fratture. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CANANZI Frances - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PERUGIA; nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SPA; avverso l'ordinanza del 19/07/2022 del TRIB. LIBERTA' di PERUGIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CANANZI FRANCESCO; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. EPIDENDIO TOMASO, che si e' riportato alla requisitoria scritta e ha insistito per il rigetto del ricorso; uditi i difensori, gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che hanno rispettivamente insistito il primo per il rigetto del ricorso proposto dalla Procura della Repubblica e il secondo, riportandosi alla memoria depositata, per l'inammissibilita' del ricorso e, in subordine, per il rigetto; nonche' l'avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS) SPA, che si e' riportato alla memoria depositata e ha insistito per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Perugia, nell'ambito del procedimento nei confronti di (OMISSIS) nonche' (OMISSIS) Spa in relazione al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, con l'ordinanza emessa il 19 luglio 2022, confermava il decreto del Gip dello stesso Tribunale che aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a. della somma di Euro 253.837,93, individuata quale profitto di una pluralita' di condotte, tutte commesse in violazione degli articoli 515 e 48, 479 c.p., articolo 61 c.p., comma 1, n. 2, essendo contestato a (OMISSIS), quale rappresentante legale della predetta societa', l'immissione in commercio di olio dichiarato extravergine di oliva, come indicato nella fattura di vendita e nella dichiarazione presentata dallo spedizioniere all'ufficio delle dogane di Perugia, e cosi' etichettato pur non avendone i requisiti indicati all'allegato I punto 2 del Reg. CEE 2568/91, essendo in realta' olio di oliva vergine; condotta, questa, commessa mediante la presentazione di documenti commerciali e fiscali, nonche' mediante l'etichettatura dei prodotti, inducendo in errore i funzionari della Dogana di Perugia che attestavano falsamente nella bolletta doganale la qualita' dell'olio. 2. Il Tribunale del riesame, con l'ordinanza impugnata, rilevava come il fumus commissi delicti dovesse, nel caso di specie, valutarsi anche in ragione della conclusione delle indagini, e dunque della impossibilita' di ulteriori evoluzioni significative delle stesse. Essendo l'ipotesi accusatoria fondata sugli esiti del cd. panel test, il Tribunale perugino ne rilevava la sostanziale insufficienza, in ragione del margine di soggettivita' mediante assaggio delle qualita' organolettiche dell'olio, pur a fronte della previsione del metodo da parte del regolamento Cee 1638/1998. D'altro canto, l'ordinanza impugnata non negava il valore potenzialmente probatorio del cd. panel test, pur richiedendo l'esistenza di ulteriori elementi che potessero integrarlo, nel caso di specie mancanti. Il Tribunale, inoltre, rilevava la contraddizione negli esiti dei vari test in relazione ai medesimi lotti, essendo giunti alcuni degli assaggiatori del panel a conclusioni diverse, ovvero essendo differenti gli esiti del test svolto prima e dopo le controanalisi. Da tale incertezza il Tribunale traeva il convincimento di un margine di fallibilita' del 33% dell'accertamento. Lo stesso Tribunale del riesame richiamava, poi, ulteriori elementi depotenzianti l'ipotesi di accusa: la predisposizione, prima degli accertamenti penali, di un sistema di autocontrollo interno all'azienda produttrice ad opera di laboratori accreditati anche presso l'Agenzia delle Dogane, con notevoli costi sostenuti, ben maggiori del profitto ipotizzato; la modestia del numero di contestazioni rispetto al totale del prodotto commercializzato; l'acquisto della materia prima a costi conformi se non superiori a quelli di mercato. Ne conseguiva, per il Tribunale del riesame, l'assenza di fumus commissi delicti sia quanto al profilo oggettivo, sia anche in merito al profilo soggettivo, ben potendo aversi buona fede dell'indagato, tanto piu' che non era comprovato se il vizio contestato fosse conseguenza della qualita' delle olive acquistate ovvero determinato dal processo di produzione e stoccaggio. 2. Il ricorso per cassazione proposto dal Pubblico ministero della Procura presso il Tribunale di Perugia consta di unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il motivo deduce violazione dell'articolo 321 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 231 del 2011, articoli 19 e 53, anche in riferimento al Reg. Cee 11 luglio 1991, n. 2568/1991 e vizio di motivazione. Il Tribunale del riesame avrebbe errato nel ritenere che gli esiti del cd. panel test non siano adeguati a comprovare il fumus del reato, come anche ritenuto di recente dalla Corte di legittimita', anche in sede civile, non potendo per altro farsi dipendere l'attendibilita' maggiore o minore degli esiti dell'accertamento dalla richiesta (o meno) di controanalisi. Inoltre, sarebbe da censurare l'ordinanza perche' si e' parametrata sulla gravita' indiziaria e non sul fumus del reato. 4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge 127 del 2020, articolo 23, comma 8, - con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso, non riscontrandosi illogicita' manifesta o contraddittorieta' nel provvedimento impugnato. 5. Le difese dell'indagato hanno depositato memorie con le quali hanno eccepito l'inammissibilita' del ricorso per cassazione per aspecificita', in quanto concentrato solo sulla attendibilita' del panel test e non anche sulla circostanza che il Tribunale argomentava la necessita' di una valutazione complessiva del materiale probatorio, che nella sua globalita' non integrava un quadro indiziario sufficiente, anche tenendo in conto lo stato di avanzamento del procedimento e l'intervenuta notifica dell'avviso di conclusione delle indagini. Inoltre, il ricorso sarebbe anche inammissibile in quanto non si confronterebbe con le valutazioni del Tribunale del riesame in ordine ai difetti rilevati nel campionamento e in merito al modello organizzativo. 6. Il ricorso e' stato trattato con l'intervento delle parti, a seguito di tempestiva richiesta dei difensori, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. Le parti concludevano come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Va evidenziato in premessa come il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e' ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Conf. Sez. U, 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto; Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). 3. In relazione al motivo di ricorso, rileva questa Corte come l'ordinanza del Tribunale del riesame non e' certamente affetta da vizi motivazionali cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo mancante o del tutto privo di coerenza, cosi' da non consentire la comprensione delle ragioni del provvedimento. A tal riguardo, quindi, deve da subito rilevarsi come il vizio di motivazione, come dedotto, sia assolutamente non consentito, essendo il motivo di ricorso diretto a censurare l'illogicita' manifesta e la contraddittorieta' della motivazione. 4. Per altro il Tribunale del riesame non ha disatteso i principi in tema di sequestro, ponendosi anzi in linea con l'orientamento che il "fumus commissi delicti" per l'adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'articolo 273 c.p.p., necessiti comunque dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato (sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep., Gheri, Rv. 278152 - 01), dovendosi verificare non solo la astratta configurabilita' del reato, ma anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, sia gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, sia le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilita' e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Morabito, Rv. 274693 - 01). Di questi principi di diritto ha fatto buon governo il Tribunale del riesame, per altro tenendo in conto che la valutazione da parte del giudice del "fumus commissi delicti" e' contenutisticamente differenziata in ragione dei diversi stadi di accertamento dei fatti e del materiale probatorio prodotto, che va esaminato nella sua interezza (Sez. 2, n. 10231 del 08/11/2018, dep. 2019, Pollaccia, Rv. 276283 - 01). In tal senso il Tribunale del riesame, sia in relazione allo sviluppo delle indagini, e dunque all'assenza di possibili ulteriori evoluzioni, parametrando l'affidabilita' del panel test non in astratto, ma nel caso concreto, con un risultato probatorio giudicato fallibile nel 33% dei casi, lo ha ritenuto non suscettibile di ulteriori accertamenti, perche' non piu' praticabili, e quindi insufficiente. Rilevanti sono stati ritenuti anche altri elementi valutati "a discarico" dal Tribunale del Riesame - in cio' il ricorso risulta generico per non aver "attaccato" il provvedimento impugnato su tali punti - quali l'esistenza di un sistema di autocontrollo e di controllo esterno gia' predisposto dall'azienda, come anche il riferimento al vuoto probatorio relativamente a quale sia stata la causa della alterazione dell'olio messo in commercio, se esterna, in quanto collegata alla qualita' delle olive acquistate, o interna, perche' connessa al processo di produzione o stoccaggio del prodotto, evidentemente l'uno e l'altro incidenti sia sul profilo oggettivo che su quello soggettivo dei reati in contestazione. E' dunque non consentito, per difetto di specificita', il motivo perche' che si e' limitato alla critica di una sola delle diverse "rationes decidendi" poste a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448 - 01; conf. N. 30021 del 2011 Rv. 250972 - 01). 5. Pertanto la valutazione complessiva operata dal Tribunale del riesame risulta in linea con i principi di diritto fin qui richiamati, il che esclude la dedotta violazione dell'articolo 321 c.p.. Ne' tantomeno puo' ritenersi intervenuta la violazione di legge in relazione alla normativa Eurounitaria, che disciplinando il procedimento del cd. panel test, fondato su una doppia controanalisi, rispetto alla prima analisi che abbia riscontrato la difformita' in ordine alla denominazione, in caso di conferma impone l'applicazione di sanzioni (articoli 2 e 3, Reg. Cee 11 luglio 1991, n. 2568). Da tale previsione non puo' farsi derivare un automatismo probatorio, che evidentemente, nella prospettiva del giudizio penale, andrebbe a ledere, quale prova legale, i principi del libero convincimento del giudice, sancito dall'articolo 192 c.p.p., comma 1, e della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall'articolo 533 c.p.p., comma 1. Infatti, il vigente sistema processuale penale non subisce i limiti di prova stabiliti dalle leggi extrapenali, eccettuati quelli afferenti lo stato di famiglia e la cittadinanza (articolo 193 c.p.p.), e non conosce ipotesi di prova legale anche nei settori in cui sussistono indicazioni normative di specifiche metodiche di verifica, ben potendo il relativo accertamento essere dato con qualsiasi mezzo di prova (cfr. Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017, dep. 2018, Cirocco, Rv. 273096 - 01 in tema di patologie asbesto correlate, ha ritenuto che l'esistenza e l'entita' dell'esposizione ad amianto possa essere dimostrata non solo attraverso quanto previsto dalle specifiche metodiche ma anche attraverso la prova testimoniale). D'altro canto, in casi di concreta applicazione degli esiti del panel test in relazione alla disciplina doganale, la natura di prova legale e' stata esclusa anche da questa Corte in sede civile, e con essa si e' affermata la impossibilita' di configurare violazione di legge (Sez. 5 Civ., n. 18749 del 2020; Sez. 5 Civ., n. 18748 del 2020; Sez. 5 Civ., n. 13474 del 2020; Sez. 5, n. 33314 del 2019). Il che accade anche nel caso in esame. 6. Ne consegue che in tema di frode nell'esercizio del commercio, ai sensi dell'articolo 515 c.p., l'esistenza di specifiche metodiche di accertamento normativamente previste non introduce prove legali, non consentite nel nostro ordinamento dal principio del libero convincimento del giudice e della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, ben potendo la prova della diversa qualita' del prodotto, essere liberamente tratta anche da fonti eterogenee. Pertanto, manifestamente infondato risulta il motivo quanto alla dedotta violazione di legge in riferimento al Regolamento comunitario. 7. Ne consegue l'inammissibilita' complessiva del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/03/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FERRANTI DONATELLA. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha confermato l'affermazione di responsabilita' penale pronunciata dal Tribunale di Venezia il 29.01.2020 confronti di (OMISSIS) previa riduzione della pena ad anni uno e mesi tre di reclusione, mentre ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione il reato nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) confermando le statuizioni civili e condannando gli imputati in solido alle spese di costituzione della parte civile. L'imputazione riguardava l'articolo 590 c.p., comma 1, 2 e 3, commesso in (OMISSIS), con riferimento alla lesioni personali patite da (OMISSIS) dipendente in nero della " (OMISSIS) s.r.l." di (OMISSIS), il quale, impegnato in lavori di rimozione del tetto in cemento amianto, dove era salito tramite un ponteggio, per la assenza di presidi di sicurezza idonei a impedire la caduta dall'alto, quali l'imbracatura, parapetti, la realizzazione di una linea di sicurezza cui agganciare i cavi delle imbracature, come previsto nel piano del coordinatore del cantiere e in quello predisposto dalla ditta esecutrice (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS), ma solo una linea trasversale distante sei metri dal punto di caduta, precipitava al suolo da un'altezza di sei metri e riportava politrauma scomposta di femore destro e frattura chiusa alla volta cranica con emorragia subaracnoidea e malattia di durata di giorni 60. (OMISSIS) era imputato quale coordinatore per la sicurezza, (OMISSIS) quale titolare dell'impresa affidataria (OMISSIS) srl, (OMISSIS) datore di lavoro dell'impresa esecutrice (OMISSIS) sas e (OMISSIS) datore di lavoro della vittima, titolare della ditta (OMISSIS) s.r.l.. Risulta dalla ricostruzione in, fatto operata dai Giudici di merito che la Committente fili, (OMISSIS) proprietaria del capannone, aveva commissionato le opere di rimozione dell'amianto e installazione del fotovoltaico alla (OMISSIS) di (OMISSIS) che a sua volta aveva subappaltato le opere di rimozione amianto e bonifica alla (OMISSIS) di (OMISSIS), che aveva le autorizzazioni necessarie e aveva fatto le comunicazioni alla (OMISSIS); a sua volta (OMISSIS) e' risultato che aveva subappaltato parte dei lavori di rimozione amianto alla (OMISSIS) s.l. (OMISSIS) azienda non abilitata e non iscritta all'albo per il trattamento dell'amianto ((fol 3 sentenza di primo grado). (OMISSIS) committente aveva nominato coordinatore per l'esecuzione e la sicurezza (OMISSIS) il quale secondo la ricostruzione operata dai Giudici di merito non ha svolto con diligenza i compiti di coordinamento e vigilanza. 2. L'Avv. (OMISSIS) ha presentato ricorso nell'interesse di (OMISSIS) articolando un unico motivo con cui deduce l'interruzione del nesso di causa non solo per la condotta irresponsabile del lavoratore che non adottava misure minime di sicurezza salendo sul tetto senza imbracatura e senza assicurarsi alla linea salvavita che era stata predisposta su un percorso preciso; ma anche per la condotta del coimputato (OMISSIS) che aveva affidato in subappalto, senza dargliene comunicazione, i lavori di rimozione delle lastre di amianto ad una ditta la (OMISSIS) che non aveva alcuna autorizzazione specifica per il trattamento dell'amianto. Ha presentato memoria difensiva con cui ha ribadito i motivi del ricorso; 3. (OMISSIS) ha presentato ricorso a mezzo dell'Avv. (OMISSIS) e l'Avv. (OMISSIS) articolando i seguenti motivi: 1) Con il primo motivo deduce vizio di motivazione; errata valutazione degli elementi a discarico e omessa valutazione di elementi decisivi. In particolare afferma che l'istruttoria ha evidenziato che l'incarico alla (OMISSIS) era limitato all'istallazione della nuova copertura e non prevedeva l'intervento di smantellamento; quindi il lavoratore persona offesa non era addetto alla rimozione delle lastre di amianto; verosimilmente si era recato in cantiere per effettuare i lavori di preparazione dell'istallazione della nuova copertura; i dipendenti della GDF erano addetti alla rimozione delle lastre. E' comunque determinante il concorso di colpa del lavoratore che si e' introdotto nel cantiere accompagnato dal suo datore di lavoro alle quattro del mattino e non ha indossato le imbracature. Non era prevedibile nemmeno il comportamento del (OMISSIS) che operava con i propri addetti su una parte della copertura priva di misure di sicurezza; 2) Vizio di motivazione per la mancata applicazione dell'articolo 131 bis c.p., in quanto poteva ritenersi lieve la colpa del ricorrente che aveva provveduto a garantire la sicurezza del cantiere nella parte interessata dalle opere di smaltimento, gestite in via esclusiva dai propri dipendenti; 3) Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta recidiva e alla eccessivita' della pena comminata stante la mancanza della concessione delle attenuanti generiche della sospensione della pena. Il ricorrente ha riportato solo due condanne per violazione dell'articolo 590, comma 3 l'una nel 1994 e l'altra il nel 2005; mentre l'ulteriore reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2 e' risalente nel tempo e di indole diversa dal reato contestato. La difesa del ricorrente ha presentato conclusioni scritte chiedendo l'annullamento della sentenza. 4. Il Procuratore Generale in sede ha presentato conclusioni scritte chiedendo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Alcune considerazioni di premessa giovano ad una piu' spedita trattazione dei motivi di ricorso appena riassunti. 1.1. Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unita' produttiva della stessa, nonche' nell'ambito del ciclo produttivo dell'azienda medesima. Giova richiamare a tal proposito che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che, se sono piu' i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (Sez.4 n. 46849 del 3.11.2011 rv 252149; Sez. 4 n. 8593 del 22.01.2008 rv.238936). E, ancora, che, quando l'obbligo di impedire un evento ricade su piu' persone che debbano intervenire o intervengano in momenti diversi, il nesso di causalita' tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi un concorso di cause ex articolo 41 c.p., comma 1 (Sez. 4 n. 244455 del 22.04.2015 rv 263733-01;Sez. 4 n. 37992 del 11.07.2012 rv 254368-01; sez. 4 n. 1194 del 15.11.2013, rv. 258232). 1.2. Si e' poi precisato che, ai fini della attivita' di valutazione di coordinamento e cooperazione connessa al rischio interferenziale, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 (ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26), occorre avere riguardo inoltre, non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro -contratto di appalto, d'opera o di somministrazione-, ma all'effetto che da tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza e coesistenza - nella specie operazioni di scarico e carico della carne- di piu' organizzazioni, che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni (Sez. 4 n. 44792 del 17.06.2015 rv 264957-01). Tale coinvolgimento, funzionale nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude poi la necessita' di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non risultino inefficaci o dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro (Sez. 4 n. 18200 del 7.01.2016 rv 266640-01). Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti a norma del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26 sui datori di lavoro rappresentano la "cifra" della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro responsabilita'. L'assolvimento di tali obblighi risponde all'esigenza antinfortunistica - avvertita come primaria anche dal legislatore Europeo-di gestire preventivamente tale categoria di rischio. La vigente tutela penale dell'integrita' psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attivita' lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonche' su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attivita' lavorativa, dovendosi cosi' ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. La identificazione dell'area di rischio e dei soggetti deputati alla sua gestione serve ad arginare la potenziale espansivita' della causalita' condizionalistica, consentendo di imputare il fatto solo a coloro che erano chiamati a gestire il rischio concretizzatosi. Parimenti, in tema di aggravante speciale della violazione di norme antinfortunistiche va altresi' ricordato che in materia di reati colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilita' dell'aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche (rilevante per la procedibilita' di ufficio in caso di lesioni gravi e gravissime e per il raddoppio della prescrizione ai sensi dell'articolo 157 c.p.) non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, giacche' per l'addebito di colpa specifica, e' sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione del citato articolo 2087, che fa carico all'imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrita' fisica e la personalita' morale dei lavoratori (Sezione 4, del 4 luglio2006, Civelli). Infatti, il datore di lavoro e gli altri soggetti investiti della posizione di garanzia devono in proposito ispirare la loro condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. In sintesi, sussiste una posizione di garanzia a condizione che: un bene giuridico necessiti di protezione, poiche' il titolare da solo non e' in grado di proteggerlo; una fonte giuridica anche negoziale - abbia la finalita' di tutelarlo; tale obbligo gravi su una o piu' persone specificamente individuate sulla base di un'investitura formale o l'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante; queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato(Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 262440; Sez 4,n. 2536 de123/10/2015, Rv. 265797; Sez.4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849). Con la conseguenza che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perche' possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, e' necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.. 2. Va premesso, per quanto attiene alle doglianze avanzate dal (OMISSIS) sull'interruzione del nesso causale che sono inammissibili in quanto gia' peraltro esposte nei motivi di appello, vagliate dalla sentenza impugnata (fol. 8) che, in uno con la sentenza di primo grado, affronta motivatamente ed esaurientemente tutti i punti attinti dal ricorso, mentre le censure aspecifiche e generiche sostanzialmente attengono al fatto e non si raffrontano con le argomentazioni puntuali contenute a fol. 9 della sentenza impugnata sul mancato assolvimento dei compiti di controllo e vigilanza del coordinatore per la sicurezza con riferimento al mancato allestimento delle rete di sicurezza, dallo stesso consentito in sede di avvio dei lavori finalizzato ad una maggiore speditezza dei lavori e un minor disagio per la committenza a discapito della sicurezza degli operai, e cio' nonostante tale misura fosse prescritta nel piano di lavoro; oltre alla mancata predisposizione di parapetti. Il tutto in un contesto di illegittimita' diffusa e di estesa omessa vigilanza che ha contribuito a determinare l'evento infortunio con l'introduzione nel cantiere di maestranze inidonee, non formate, non dotate di dispositivi di sicurezza, non corrispondenti ai nominativi del personale comunicati all'inizio dei lavori, consentendo quindi l'ingresso e il lavoro in cantiere da parte operai di una ditta diversa di quella risultante quale subappaltatrice e risultante dalle comunicazioni formali allo (OMISSIS). In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Rv. 281489 - 01) 3. Quanto al primo motivo dedotto dal (OMISSIS) va rilevato che il ricorrente critica in definitiva la vicenda per come ricostruita dai giudici, ritenendola frutto di una erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura, secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimita', stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901). 3.1 Inoltre, nel caso che occupa, ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione. Cio' tanto piu' ove, come nel caso di specie, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle -determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita' (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv.25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101). 3.2. Con particolare riferimento alla ricostruzione della vicenda va, peraltro, ribadito quanto argomentato dalla Corte di appello a fol. 6 e 7 sulla base del materiale probatorio (fonti dichiarative testimoniali in particolare teste (OMISSIS) dello (OMISSIS) e documentali) che ha evidenziato come il mancato allestimento della rete di sicurezza al di sotto dell'area interessata dai lavori, peraltro oggetto di una specifica prescrizione richiesta da parte della ULSS 13 Sez (OMISSIS) era da collegarsi causalmente alla caduta rovinosa del lavoratore mentre era intento a lavorare in quota su una porzione friabile (fol 7). Il (OMISSIS) inoltre, come evidenziato dal Giudice di primo grado, aveva concluso un contratto di sub appalto con un'azienda non abilitata per trattare l'amianto, e nella comunicazione allo (OMISSIS) aveva omettesso di indicare i dipendenti della (OMISSIS) srl. Era pertanto concretamene prevedibile che si potesse verificare un incidente, come poi si e' verificato, anche a causa del mancato coordinamento tra l'attivita' in corso nel cantiere e la predisposizione di adeguate misure di sicurezza. 3.3. Va ribadito che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409), deriva dalla condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento e' "interruttivo" non perche' "eccezionale" ma perche' eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante e' chiamato a governare (Sez. 4, n. 15124 del 13.12.2016, Rv. 269603). In tema di rapporto di causalita', ai sensi dell'articolo 41 c.p., comma 3, il nesso di causalita' non resta escluso inoltre dal fatto altrui, cioe' quando l'evento e' dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiche' il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per se' rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento. La Corte territoriale, correttamente cosi' come il primo Giudice, ha escluso che possa discutersi di responsabilita' (o anche solo di corresponsabilita') del lavoratore per l'infortunio quando, come nel caso di specie, il sistema della sicurezza approntato presenti gravi criticita' (Sez.4, n. 22044 del 2.05.2012,n. m; Sez.4, n. 16888, del 7/02/2012, Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n. m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962). Nel caso di specie, infatti, come gia' accertato e motivato dai giudici di merito, con motivazione logica ed esente da vizi logico-giuridici, il subappalto che l'imputato (OMISSIS) fa alla ditta (OMISSIS) srl ha a riguardo non solo l'installazione della nuova copertura, come afferma la difesa dell'imputato, ma anche la rimozione dell'amianto presente sul tetto del capannone - attivita' alla quale la ditta (OMISSIS) srl non e' abilitata. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere predisposto dall'appaltatore, gravano su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, che e' tenuto ad adottare misure di prevenzione e protezione contro tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attivita' lavorativa, pur nel caso in cui questi siano dovuti a interferenze con l'attivita' di altre imprese e l'organizzazione del luogo di lavoro resti comunque sottoposta ai poteri direttivi generali dell'appaltatore o del committente (Sez. 3, n. 5907 del 11/01/2013, Rv. 284187 - 02). 3.4. Logica e immune da vizi di rilievo in questa sede e' la motivazione della sentenza impugnata anche in punto di trattamento sanzionatorio, in quanto il Giudice ha argomentato alla luce delle plurime precedenti condanne la insussistenza di elementi per il riconoscimento delle attenuanti generiche e la congruita' della pena in considerazione della gravissime lesioni subite dalla persona offesa e in relazione al grado di colpa rilevante alla pericolosa modalita' di consuzione dell'attivita' imprenditoriale incurante dei fondamentali elementi di sicurezza per i lavoratori. Il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logico-giuridici, fa riferimento ad una successiva condanna per violazione delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per fatti commessi nel 2018, che denotano un comportamento incurante delle norme antinfortunistiche. 3.6. Parimenti logica e coerente e' la motivazione che esclude l'applicazione dell'articolo 131 bis c.p. in considerazione della gravita' delle lesioni riportate egli elevati postumi di invalidita' permanete che precludono una valutazione di lieve offensivita' (fol. 8). Le Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 Ud. (dep. 06/04/2016) Rv. 266590 01 hanno statuito il principio che ai fini della configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto, prevista dall'articolo 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entita' del danno o del pericolo. Nel caso di specie, il giudice di merito fa riferimento all'entita' del danno subito dal lavoratore, in particolare fa riferimento "agli elevati postumi di invalidita' permanente" che precludono il riconoscimento della causa di esclusione della punibilita'. 4. Alla dichiarazioni di inammissibilita' dei ricorsi segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA - sezione Lavoro Composta dai Magistrati: Dr. Annalisa MULTARI - Presidente Dr. Piero LEANZA - Consigliere Dr. Lorenzo PUCCETTI - Consigliere rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella cause promosse in appello con ricorsi depositati in data 31 luglio 2018 e 1 agosto 2018, da (...) S.P.A. (C.F. e P.I. (...)), di seguito anche la "Società", con sede in M., Viale C., 249, con gli amministratori (...) c.f. (...) e (...) c.f. (...) nominati con delibera assembleare del 24.06.20 rappresentata e difesa dall'avv. Be.Pa. del foro di Taranto con domicilio professionale in Taranto al Corso (...) (C.F. (...), PEC (...)), in virtù di procura allegata, appellante principale/appellato incidentale contro (...) e ((...)) e (...) (c.f. , rappresentati e difesi, come da mandato in calce al ricorso ex art. 414 c.p.c. di primo grado dagli avv.ti Ma.Ti. (...) e Si.Bi. (...) del Foro di Verona, che dichiarano di voler ricevere le comunicazione al seguente indirizzo P.E.C. (...) o al seguente numero di fax (...), ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Verona, via (...). appellati e contro (...) S.p.a. in Amministrazione Straordinaria (p.iva (...)), con sede legale in V., L. A. G. n. 21, in persona del Commissario giudiziale - legale rappresentante pro tempore, ing. (...), rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Ra.De. del Foro di Napoli (PEC (...)) nonché dagli Avv.ti Fr.To. del Foro di Milano (PEC (...)) An.Bo. (PEC (...)) e Ma.Mo. del foro di Venezia (PEC (...)), appellato/appellante incidentale Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Verona n. 166/2017 e 167/2017 d.d. 05.02.2017, non notificate.- In punto: risarcimento danno esposizione ad amianto di origine professionale placche pleuriche- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con le impugnate sentenze il giudice del lavoro di Verona, in accoglimento della domanda risarcitoria azionata da (...) dipendente con mansioni di verniciatore dal 09.06.1969 al 11.12.1980 di (...) (d'ora in poi per brevità (...) attuale (...) s.p.a.) e dal 12.12.1980 al 24.01.1995 delle (...) in amministrazione straordinaria (d'ora in poi per brevità (...)) nonché da (...) dipendente con mansioni di allestitore dal 10.04.1970 al 11.12.1980 di (...) e dal 12.12.1980 al 31.03.1999 di (...), ritenuto che le placche pleuriche accertate dal consulente tecnico fossero riconducibili alla attività lavorativa svolta tanto presso OFH che (...) (chiamata in causa da (...)) e fossero state provocate dalla mancata osservanza delle norme di sicurezza in materia di amianto, dichiarava entrambe responsabili nella misura percentuale del 50% ciascuna della malattia professionale patita dai lavoratori ricorrenti e condannava la sola (...) al risarcimento del danno biologico (determinato nel 2%) a favore dei lavoratori nella misura di Euro 3.212,00 ciascuno. Compensava le spese per 1/3 fra i ricorrenti e (...) e condannava quest'ultima a pagare i residui 2/3. Compensava integralmente le spese di lite fra (...) e (...). Il giudice di primo grado, valorizzati gli esiti istruttori e le emergenze del processo penale avviato nei confronti dei responsabili delle due società dagli eredi dei lavoratori deceduti per amianto, considerava che il periodo di latenza della malattia di 15-30 anni è correlato alle dimensioni delle lesioni e all'entità dell'esposizione, quindi non può essere individuato un preciso periodo in cui si sia verificata l'esposizione decisiva e debbono pertanto ritenersi rilevanti entrambi i periodi lavorativi. 2. Avverso le sentenze proponeva appelli separati (...) che insisteva per la riforma delle impugnante decisioni. 3. Si costituivano (...) e (...) che insistevano per la reiezione dell'appello e in subordine in caso di nuova consulenza tecnica, o prove orali, chiedevano di dare ingresso alle prove non ammesse dal giudice di primo grado. 4. (...) svolgeva appello incidentale con il quale ribadiva la propria estraneità nella genesi delle patologie accertate e riproponeva le eccezioni processuali già sollevate in primo grado avverso l'evocazione in giudizio realizzata da (...), dopo l'interruzione del giudizio di primo grado. Insisteva, comunque, per l'accertamento della responsabilità esclusiva di (...) nella causazione delle placche pleuriche. 5. La Corte di Appello di Venezia, dopo una serie di rinvii della controversia per riordino del ruolo e trattazione congiunta con altro contenzioso pendente, disposta la sostituzione dell'originario relatore non più in servizio, tentata con esito negativo la conciliazione della lite, richiesti chiarimenti alle parti in merito agli esiti del contenzioso penale richiamato dal tribunale, concesso rinvio per consentire alle parti di munirsi di nuovi difensori, riunita la causa n. 670/2018 alla n. 666/2018 ex art. 274 c.p.c., all'esito della discussione, all'udienza del 9 marzo 2023 ha deciso la causa come da separato dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE 6. Con l'appello principale (...) censura le decisioni di cui assumeva l'erroneità per avere il primo giudice valorizzato gli esiti di un processo penale in cui non era parte; rilevava che il giudice non aveva tenuto conto della autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale e che dalle emergenze istruttorie del giudizio del lavoro era provato che l'esposizione rilevante avrebbe al più riguardato il periodo post-1980 in cui il ramo di azienda era passato nella competenza della società (...); invocala riforma delle pronunce; evidenzia di aver eseguito le sentenze. Osserva che trattandosi di placche pleuriche, tenuto conto dei tempi di latenza, risultava provata la riconducibilità della patologia all'attività lavorativa svolta presso la società (...) e non nel periodo di lavoro antecedente alle dipendenze di (...). Invoca la prova documentale ove era emerso che due commesse (nel 1987 e nel 1993), riguardavano carrozze che presentavano amianto e quindi insisteva per la riforma della sentenza di primo grado, o quanto meno l'accertamento della responsabilità concorrente e in solido, della società (...) chiamata in garanzia già nel giudizio di primo grado. Censura la sentenza anche nel capo delle spese per non aver condannato anche (...) al pagamento delle spese dei ricorrenti. Evidenzia di aver eseguito la sentenza e pertanto instava per la restituzione di quanto corrisposto in caso di accoglimento dell'appello. 7. Nel costituirsi in giudizio in giudizio (...) e (...) concludono per la conferma della sentenza alla luce dei precedenti emessi dal Tribunale di Verona e degli esiti del giudizio penale che comunque aveva riguardato i vertici (...) e (...). In via subordinata insistono per le istanze istruttorie già formulate anche in primo grado. 8. Radicatosi il contradditorio anche nei confronti di (...), questa propone appello incidentale con il quale ribadisce le eccezioni di inammissibilità e improponibilità della domanda dei lavoratori nei propri confronti e l'inammissibilità di quella di garanzia azionata da (...) in quanto tardiva; rilevava che anche in primo grado aveva sollevato le eccezioni di litispendenza e improcedibilità che il primo giudice aveva erroneamente rigettato. Conclude nel merito per la riforma della sentenza nella parte in cui aveva accertato la propria responsabilità nella causazione della malattia, evidenziando in ogni caso che l'amianto, dopo il 1980, era stato utilizzato in percentuale minima, e che gli allestitori operavano in ambiente separato, mentre la coibentazione era realizzata da ditte specializzate. In merito alle spese ritiene corretta la liquidazione operata dal primo giudice nei rapporti con (...) essendo l'appellante principale l'unica titolare del rapporto processuale con i ricorrenti 9. I motivi di appello principali svolti da (...) sono infondati mentre è fondato il terzo motivo di appello incidentale di (...), nella parte in cui ha erroneamente accertato nei rapporti con (...) anche la sua responsabilità nella causazione delle placche pleuriche ai ricorrenti (con conseguente assorbimento di tutti gli ulteriori motivi di appello incidentale). 9.1. Il primo ed il secondo motivo di appello principale relativo all'erronea valutazione delle risultanze istruttorie con riferimento all'esposizione all'amianto e all'asserita nocività dell'ambiente lavorativo presso (...) ora (...) nel periodo dal 1969 al 1980, da valutare unitamente al sesto motivo (relativo alla responsabilità esclusiva di (...) nell'insorgenza della malattia) - nonché al terzo motivo di appello incidentale (con il quale (...) si duole, al contrario, della sentenza nella parte in cui ha dichiarato anche la sua responsabilità, senza considerare che dagli atti di causa emerge, invece, il mancato utilizzo di amianto dopo il 1980 da parte di (...) e che i lavoratori del settore ferroviario delle Fonderie (...) sono stati significativamente esposti solo dal 1969/1970 al 1979/1980) - sono infondati. 9.1.1. In fatto, per quanto emerge dagli atti e non contestato dalle parti, (...) e (...) avevano operato alle dipendenze della società (...) rispettivamente dal 09.06.1969 e dal 10.04.1970 come verniciatore delle carrozze ferroviarie (il primo) e come allestitore (il secondo); attività che fino al 1980 era stata realizzata per conto della società (...), cui era subentrata, per incorporazione, (...) s.p.a. in data 31.12.1998; i ricorrenti dal 1980 alla cessazione del rapporto di lavoro, erano stati dipendenti della società (...) (attuale (...)), cui la società (...) - nel dicembre 1980 - aveva ceduto il ramo di azienda inerente l'attività di costruzione delle carrozze ferroviarie appaltata dalla allora società (...) s.p.a. I lavoratori in primo grado, alla luce delle determinazioni Ministeriali (cfr. atto di indirizzo del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale di cui al doc. 10 di parte ricorrente in primo grado e doc. 12), avevano ottenuto il riconoscimento sia dei benefici previdenziali di esposizione ad amianto, rientrando il primo come "verniciatore" ed il secondo "come allestitore" nella categoria di professionalità riconosciute dal Ministero, sia l'accertamento della malattia professionale, riconosciuta come" placche pleuriche da amianto" dall'INAIL. Pertanto avevano convenuto in giudizio sia la società (...) s.p.a. che la società (...), all'epoca in bonis, al fine di ottenere il risarcimento del danno, imputando alle datrici di lavoro la violazione quanto meno dell'art. 2087 c.c., essendo stati esposti, nell'attività di costruzione e manutenzione delle carrozze ferroviarie, alle fibre di amianto, in assenza di disposizioni di protezione adeguate e di accorgimenti di sicurezza idonei a prevenire il pericolo cui era stato sottoposto nello svolgimento delle mansioni lavorative. 9.1.2. In diritto il primo giudice, esaminate tutte le emergenze istruttorie introdotte dalle parti e consistenti negli esiti del procedimento penale a carico dei vertici delle due società imputati delle morti dei lavoratori dipendenti provocati dall'amianto, nelle prove documentali e orali formate in giudizio, nei verbali dei giudizi promossi dai colleghi dei ricorrenti per i benefici previdenziali di amianto, nelle consulenze tecniche ambientali e medico legali realizzate anche in altri processi, ha ritenuto provata la loro esposizione all'amianto. Il primo giudice riteneva, altresì, che la patologia di cui erano portatori e riscontrata dal primo consulente tecnico, fosse riconducibile non solo al periodo i cui avevano operato per (...) ma anche a quello successivo svolto al servizio di (...), perdurando un'esposizione rilevante all'amianto, valorizzando la sentenza n. 28/2016 del Tribunale penale di Verona dalla qual emerge che non vi sia stata una netta censura tra un periodo di massiccio e diffuso utilizzo dell'amianto nella costruzione delle carrozze ferroviarie e un periodo di totale sostituzione dell'amianto mediante materiali alternativo. 9.1.3. Il capo della sentenza è attaccato tanto da (...) che ritiene non accertata la propria responsabilità quanto da (...) sotto il duplice profilo dell'esclusione della propria responsabilità per difetto di prova e comunque per essere l'occorso esclusivamente imputabile a responsabilità di (...). 9.1.4. Sul punto evidenzia la Corte che dai documenti versati nel giudizio di primo grado acquisiti al giudizio tramite le produzioni delle parti (cfr. sentenza n. 28/2016 del Tribunale penale di Verona dimessa con la memoria autorizzata dalla parte (...) d.d. 07.09.2016) si evince che la situazione ambientale esistente presso (...) e in epoca antecedente presso (...) è stata ricostruita in maniera assai precisa dal Giudice del Tribunale penale di Verona nella sentenza depositata in data 11.4.2016 n. 28/2016. Alle risultanze di quel processo si farà qui più volte riferimento. (...) si era opposta alla acquisizione degli atti di tale processo, non avendovi preso parte. Il giudice di merito può utilizzare anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata costituisce documentazione. In altre parole il giudice di merito può utilizzare per la formazione del suo convincimento anche le prove raccolte in un diverso processo tra le stesse parti o altre parti, sempre che siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito. Non necessariamente le parti del giudizio devono essere quindi le medesime. Al contrario di quanto si legge in sentenza, infatti, da una semplice lettura degli atti del predetto procedimento penale emerge con tutta chiarezza il mancato utilizzo di amianto dopo il 1980 da parte di (...). 9.2. Il terzo motivo relativo all'erronea interpretazione dell'art. 13 comma 8 della L. n. 257 del 1992 e dell'atto di indirizzo del Ministero del Lavoro è infondato. I lavoratori in primo grado, a fondamento della propria pretesa, avevano prodotto l'atto di indirizzo del Ministero del lavoro e della Previdenza sociale da cui emergeva l'esposizione a fibre ad amianto per concentrazioni superiori ai valori soglia di cui all'art. 13 L. n. 257 del 1992 per numerose figure professionali, tra cui anche gli allestitori delle carrozze ferroviarie come (...) e (...) (cfr. doc. 10 parte ricorrente cit.). Trattasi di prova atipica o quanto meno indiziaria dalla quale si desume, unitamente a tutti gli altri elementi valorizzati anche in questa sede, in ordine all'origine professionale della malattia e all'insorgenza della medesima durante il periodo di servizi prestato a favore di (...). I ricorrenti aveva prodotto anche i verbali delle deposizioni testimoniali raccolte nei giudizi previdenziali (doc. 11, 22) e le relative consulenze tecniche nella quali il ctu ambientale, aveva accertato l'utilizzo dell'amianto e l'assenza di misure protettive idonee sia nella fase di costruzione che di manutenzione delle carrozze ferroviarie presso lo stabilimento (...). In via ulteriore avevano prodotto la certificazione Inail di esposizione ad amianto ai fini previdenziali (cfr. doc. 12); certificazioni aventi una certa rilevanza probatoria, come ritenuto di recente anche dalla Suprema Corte di Cassazione in giudizio di risarcimento del danno per malattia professionale da amianto. Così Cass. sez. L. ordinanza 678/23 secondo cui:"? In materia di risarcimento danni causati da malattia professionale, l'onere della prova del nesso causale tra prestazione lavorativa e danno, incombe su colui che ne chiede il riconoscimento, che potrà a tal fine avvalersi anche delle certificazioni I.N.A.I.L. - nello specifico riferite all'esposizione all'amianto e all'origine professionale della malattia - la cui rilevanza probatoria, sia pure non dirimente, non è subvalente rispetto all'accertamento giudiziale, una volta che detti documenti siano entrati a far parte, nel contraddittorio tra le parti, del materiale probatorio utilizzabile ex art. 115 c.p.c., comma 1.". I dati documentali avevano trovato conferma anche nelle deposizioni testimoniali raccolte nel presente giudizio; i testimoni avevano confermato l'esposizione dei ricorrenti all'amianto, sia diretta che indiretta, trattandosi di lavoratori impiegati prevalentemente nell'allestimento delle carrozze ferroviarie nuove, ma anche nella riparazione di carrozze "vecchie": in tal senso vanno valorizzate le deposizioni di (...) (allestitore), ma anche (...), i quali avevano confermato l'esposizione nonché COLTRO (sentito in primo grado solo nella causa r.g. 1157/2012 ric. (...)). Prove orali che avevano riferito l'utilizzo diretto di amianto, e - in ogni caso - l'esposizione indiretta, derivante anche dalle operazioni di spruzzatura dell'amianto poste in essere al fine di isolare le carrozze; attività che anche se realizzate da personale esterno, erano poste in essere nello stesso ambiente, senza precauzioni di isolamento o divisioni, mentre i ricorrenti e i loro colleghi svolgevano le mansioni ordinarie; ciò quanto meno fino a tutto il 1980, periodo in cui, per quanto dichiarato da alcuni testimoni, l'amianto era utilizzato in modo intenso e senza particolari precauzioni. A ciò si aggiunga che, per quanto emerso in causa e nel processo penale valorizzato dal giudice, le (...) con circolare del 16.10.1980 avevano bandito espressamente l'utilizzo dell'amianto dalle proprie commesse, sia nelle riparazioni, sia nelle nuove costruzioni. Rispetto alla critica dell'appellante va evidenziato che l'accertamento e la limitazione temporale di esposizione rilevante fino al 1980, ritenuta dal tribunale di Verona, ha trovato conferma nella sentenza passata in giudicato della Corte di Appello di Venezia penale dimessa dalle parti (confermativa della sentenza di primo grado n. 28/16 valorizzata anche dal primo giudice). Premesso che in quel processo la Corte aveva rinnovato sia le prove orali che gli accertamenti tecnici, all'esito dell'istruttoria i giudici penali davano atto che " con riferimento alla costruzione di nuovi rotabili tutti i testimoni in sede di rinnovazione istruttoria hanno concordemente ribadito che, negli anni precedential 1979 /1980 in azienda veniva utilizzata- per la coibentazione delle nuove carrozze ferroviarie destinate al trasporto passeggeri, costruite per le (...) -amianto che veniva spruzzato da una ditta esterna, la Siri. Tale attività avveniva senza nessun tipo di precauzione nei medesimi locali in cui erano presenti anche le maestranze che intervenivano successivamente sui convogli per effettuarne l'allestimento. Le testimonianze escusse sia in primo che il secondo grado, indicano la fine di tale attività proprio a ridosso degli anni 79 /80 facendo riferimento alle circolari delle (...) che, in quegli anni, ne vietarono l'utilizzo introducendo materiali sostitutivi.". La Corte penale rilevava che il dato testimoniale era stato confermato anche dalla consulenza tecnica espletata in sede civile. Quanto al periodo post 1980, i giudici penali avevano evidenziato che rispetto alle nuove carrozze l'utilizzo dell'amianto - per modeste quantità e con impiego residuale e limitato (al più da parte degli elettricisti), -era definitivamente cessato nel 1983. Quanto poi alla questione delle commesse e delle riparazioni valorizzato dalla parte appellante, i giudici penali osservavano trattarsi di elenco realizzato dalla società (...), su richiesta delle parti sindacali e in ragione di dichiarazioni rese dai dipendenti; prova documentale cui attribuivano pertanto una efficacia dimostrativa limitata rispetto alle prove raccolte in giudizio. In particolare per la commessa di 50 carrozze vicinali semipilota n. 2560, i giudici di appello penale, evidenziavano che trattavasi di carrozze che possedevano piccole quantità di amianto (zona fasciatura cavi del sottocassa) e ciò in piena coerenza con la circostanza che soltanto gli elettricisti fino al 1983 avrebbero utilizzato ancora piccole quantità di amianto in via residuale. Parimenti con riferimento alle commesse 9233 dal 1984-1987 e 9615 del 1987 ( le carrozze ferroviarie tedesche), il Collegio si esprimeva in tal senso :":.. Il dato testimoniale valutato complessivamente, sia con riferimento alle dichiarazioni rese in primo grado che a quelle rinnovate in sede di appello, non esclude quindi contatti dei lavoratori con la sostanza cancerogena dopo il 1980, ma si tratta di contatti del tutto occasionali in quanto le riparazioni dopo il 1980avevano riguardato carrozze previamente decoibentate in appositi siti, o in qualche caso, carrozze non previamente decoibentate, ma sulle quali non dovevano essere effettuati interventi direttamente coinvolgenti amianto o per le quali i lavori erano stati subito sospesi in seguito al rinvenimento della sostanza". Accertamento confortato anche dal dato scientifico (consulenze di dott.ri R. e C.) e da quello medico legale, atteso che il collegio peritale nominato in quella sede aveva concluso per il venir meno delle criticità connesse all'esposizione dei lavoratori ad asbesto dopo il 1980, rilevando come la mera presenza dell'amianto non fosse sufficiente a ritenere provata l'esposizione. In particolare era evidenziata la conclusione dei periti secondo cui:":.. Non si basa su evidenze scientifiche il dedurre che la presenza di manufatti in amianto, in un ambiente di lavoro, sia stata inevitabilmente seguita dalla dispersione aerea delle fibre di quei manufatti nell'ambiente e poi dal loro ingresso nell'apparato respiratorio dei lavoratori presenti in quegli ambienti". 9.3. Del pari non merita accoglimento il quarto motivo sul nesso causale tra la patologia e l'attività lavorativa e la conseguente riconducibilità medico legale delle placche pleuriche riscontrate sia dal consulente tecnico nominato dal tribunale di Verona, che dal medico dell'Inail (cfr. certificazione dimessa dai ricorrenti in primo grado), al periodo di competenza (...). (...) ha criticato (in relazione alla posizione di entrambi i ricorrenti) il giudizio probabilistico valorizzato dal primo giudice assumendo che, a fronte della natura multifattoriale delle placche pleuriche: "... potrebbe essere stato uno di questi fattori ( provocabile anche da fibre artificiali sostitutive dell'amianto o da infezioni/infiammazioni (TBC o altro)" (a determinare la patologia riscontrata. Inoltre assumeva che visto l'epoca della diagnosi, tenuto conto del periodo di latenza medio 15/30, per ciò solo doveva escludersi che detta malattia fosse riconducibile al periodo di lavoro prestato alle dipendenze di (...)."( cfr. ricorso in appello). Trattasi di critiche che non hanno pregio. Il consulente tecnico nominato le cui conclusioni non sono state criticate dalla parte appellante, non aveva ravvisato l'esistenza di cause diverse dall'amianto; né tanto meno fattori (es. tabagismo) dipendenti da cause extralavorative idonee di per se stesse a far cessare il nesso causale. Nei giudizi risarcitori, infatti, trova applicazione l'art. 40 c.p. con onere della parte convenuta di provare il fattore idoneo ad interrompere la causalità. In tal senso va richiamato precedente di questa Corte, passato in giudicato ed emesso in giudizio analogo di risarcimento del danno (placche pleuriche) nei confronti di (...) (r.g. n. 670/2019, sentenza n. 527/2021, irrevocabile), ove questa Corte, in un caso del tutto speculare in cui la diagnosi era intervenuta nel 2011, in punto nesso causale così rilevava: "... Peraltro, il richiamo alla giurisprudenza di legittimità svolto dall'appellante (Cass. Pen n. 16715/2018 e n. 25532/2019) è inconferente trattandosi di pronunce relative al possibile concorso tra tabagismo ed esposizione ad amianto ed altra e diversa patologia (tumore al polmone e non placche pleuriche). Mentre altri arresti (cfr. Cass. Pen. n. 49815/2012 e mutatis mutandis Cass. Pen. n. 30206/2013) hanno evidenziato il carattere monofattoriale delle placche pleuriche e del mesotelioma pleurico (in cui possono degenerare le placche pleuriche). In materia di responsabilità civile è stato osservato (cfr. Cass. n. 24217/2017) che "...la prova del nesso causale consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, ossia del "più probabile che non..." (Cass. n. 17334/2012 cit.). Tale principio la Corte territoriale ha ritenuto di far rivivere nel caso in esame essendo risultato dalla CTU medica che l'esposizione subita dal contro ricorrente era stata "...sufficiente a causare la comparsa di placche pleuriche documentate dalla Tac del 2000 e successive e che il tempo di latenza tra l'inizio della prima e presunta esposizione (1968) e la diagnosi della malattia (2000) di trentadue anni... (era stato altresì) ... sufficiente a produrre le predette placche pleuriche" (pp. 15 -16 della sentenza). Inoltre, va evidenziato (cfr. Cass. n. 27952/2018) che "in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola dell'art. 41 c.p., con la conseguenza che il rapporto causale tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, potendosi escludere l'esistenza nel nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito - fondata sull'accertamento che la riduzione dell'intensità di esposizione del lavoratore alle polveri di amianto avrebbe evitato o ritardato l'insorgere della patologia mortale - poiché tale circostanza implicava la sussistenza del nesso causale tra l'esposizione in concreto verificatasi e l'insorgenza o la latenza della malattia). Tanto premesso, osserva la Corte che non emerge nella fattispecie la presenza di fattori di rischio lavorativi (altre o più esattamente precedenti attività) o extralavorativi ai quali ricondurre la patogenesi della malattia.". Considerazioni valide anche nel caso di specie in cui il ctu aveva ricondotto le riscontrate placche pleuriche al fattore di rischio lavorativo (amianto, cfr. elaborato peritale), con una riduzione dell'integrità fisica del 2%, escludendo l'esistenza di ulteriori fattori extralavorativi idonei a determinare la patologia per cui è causa. Per quanto riguarda, specificamente, l'abitudine al tabagismo di cui sarebbero stati affetti il (...) e il (...), osserva la Corte che di tale abitudine nulla risulta nella ctu e negli atti di causa per quanto riguarda il (...). In relazione alla posizione del (...) risulta solo nell'anamnesi che il lavoratore "afferma di aver fumato 6-7 sigarette/die per 6-7 anni e che le abitudini tabagiche sono cessate molti anni or sono" per cui il ctu non ha fatto nessuna valutazione nessuna sull'origine della malattia anche da fumo quando invece, si ribadisce, numerosi arresti della Suprema Corte (cfr. Cass. Pen. n. 49815/2012 cit. e mutatis mutandis Cass. Pen. n. 30206/2013 cit.) hanno evidenziato il carattere monofattoriale delle placche pleuriche e del mesotelioma pleurico (in cui possono degenerare le placche pleuriche). Non potendosi attribuire efficienza causale al tabagismo a fortiori non è possibile attribuire al medesimo fattore di rischio valenza concausale. Pertanto il motivo va rigettato 9.4. Il quinto motivo di appello riguarda la colpa e la ritenuta violazione dell'art. 2087 c.c. Secondo l'appellante avrebbe errato il primo giudice a ritenere provata la violazione delle norme di sicurezza ritenuto il periodo di lavoro (dal 1970 al 1980) e il riferito utilizzo di mascherine di carta e l'assenza di norme che impedissero l'utilizzo dell'amianto, il cui uso a dosi non elevate era lecito; secondo l'appellante, all'epoca, non era nota la pericolosità dell'amianto a basse dosi. Il Collegio ritiene infondata la critica: a fronte della provata esposizione dei lavoratori nel periodo di lavoro per conto di (...) (cfr. atto di indirizzo ministeriale citato, prove orali sopra riportate), era onere della parte datoriale provare il rispetto delle norme di sicurezza e di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare essi fossero esposti alla sostanza nociva. Prova che non era stata assolta tenuto conto che i testimoni (vedi (...), (...), (...)) avevano dichiarato che l'utilizzo di mascherine, la separazione degli ambienti, e la sottoposizione a sorveglianza sanitaria erano misure adottate dalla datrice di lavoro, in modo sistematico e generalizzato, soltanto dopo il 1980. Peraltro anche sul piano delle allegazioni la società (...) non aveva rispettato il proprio obbligo probatorio limitandosi a ad affermare che: "...a quanto consta (...) ha sempre provveduto a informare i propri dipendenti sui rischi e sui pericoli per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa e a vigilare sull'osservanza delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori dotandoli altresì di tutti gli strumenti di protezione necessari"; allegazione generica e non sufficiente a superare le prove introdotte dal lavoratore. D'altra parte esistevano disposizioni normative (cfr. tra le altre art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956) che prima ancora della L. n. 257 del 1992 che aveva introdotto il divieto di utilizzo dell'amianto negli ambienti di lavoro, rendevano nota all'imprenditore, la pericolosità dell'amianto indipendentemente dalle dosi di concentrazioni. Quanto esposto trova conferma nell'autorevole precedente, che viene richiamato ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c. della Corte di Cassazione sentenza n. 24217/17, nella quale i giudici di legittimità avevano affermato che la disciplina esistente già dagli anni 40 consentiva di ritenere nota al datore di lavoro la pericolosità dell'amianto indipendentemente dalle dosi di concentrazione con conseguente necessità di predisporre, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c., adeguate misure di protezione individuali e ambientali. (cfr. anche Cass. n. 15763/2019 ric. (...) s.p.a.). 9.5. Il settimo ed ottavo motivo sono assorbiti per effetto dell'accertamento della responsabilità esclusiva di (...) nella causazione delle placche pleuriche ai lavoratori e dell'assenza di responsabilità di (...) in liquidazione. 10. Alla luce di quanto esposto vanno dunque rigettati i motivi di appello proposti da (...) nei confronti dei lavoratori ricorrenti e nei confronti di (...) e va invece accolto l'appello incidentale proposto da (...) contro (...) siccome la Corte ritiene che non sussista prova sufficiente della responsabilità di quest'ultima nella causazione della malattia cagionata ai ricorrenti, come invece richiesto ed accertato in primo grado con la domanda di chiamata in causa svolta da (...) nei confronti di (...) in liquidazione. 11. Le spese del presente grado, liquidate secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e delle successive modificazioni (fascia 5200-26000) sono poste a carico di (...) nei confronti dei lavoratori (...) e (...) e distratte a favore dei difensori antistatari. Per contro tra (...) e (...) appare opportuna la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio ritenuta la sopravvenienza di giudicato penale a conforto della complessa ricostruzione in fatto operata dal primo giudice nonché in questa sede di gravame. 12. Per il rigetto integrale dell'appello principale deve darsi atto che sussistono i presupposti processuali richiesti dall'art. 13, comma 1- quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato a carico di (...) s.p.a.. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nelle cause in epigrafe riunite, rigettata ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così decide: 1) rigetta gli appelli principali; 2) in parziale accoglimento degli appelli incidentali ed in parziale riforma delle impugnate sentenze, rigetta le domande proposte da (...) s.p.a. nei confronti di (...) s.p.a.; 3) compensa integralmente fra (...) s.p.a. e (...) s.p.a. le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio; 4) condanna (...) s.p.a. al pagamento in favore di (...) e (...) delle spese di giudizio del grado, liquidate in Euro 1.830,00 per ciascuna parte per compensi oltre rimborso forfetario spese generali ex lege, IVA e CPA; 5) ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dell'appellante principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, per ciascuna delle cause riunite, pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Venezia il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA- sezione Lavoro Composta dai Magistrati Dr. Annalisa Multari - Presidente rel. Dr. Roberta Poirè - Consigliere Dr. Silvia Burelli - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa promossa in appello con ricorso depositato in data 22 settembre 2021 Da (...) (C.F.: (...)) nato a C. (P.) il (...) e residente in V. Viale S. L. 73, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi.Ca. (C.F.: (...)) da Vicenza, Contra' (...) (per comunicazioni e avvisi: p.e.c.: (...); fax (...)), con domicilio eletto presso lo studio del medesimo procuratore, giusta mandato in calce al presente atto appellante Contro (...) S.P.A., (P.IVA (...)), con sede in (...) 00161 Piazza della C. (...) 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, e contro (...) SPA ora (...) SPA, (P.I. (...)), con sede in (...) 00161 Piazza (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, e contro (...) SPA, (P.IVA (...)), con sede in (...) 00161 Piazza della C. (...) 1, tutte in persona dell'Institore Avv. (...), a mezzo del suo difensore e procuratore Avv. Ma.Ca. (C.F. (...)), il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al seguente indirizzo di posta elettronica (...), elettivamente domiciliate presso il suo Studio in Venezia-Mestre, Via (...), giusta mandati in calce alla memoria di costituzione telematica, appellate Oggetto: appello avverso la sentenza di Tribunale Vicenza n.241/20 del 25.03.21 non notificata In punto: risarcimento danno iure proprio e iure hereditatis SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con la sentenza impugnata il giudice del lavoro del Tribunale di Vicenza rigettava per prescrizione quinquennale le domande risarcitorie azionate in primo grado dall'odierno appellante, figlio del dott. (...) deceduto in data 24.10.2006, il quale negli anni 1974 e 1975 aveva svolto attività libero professionale di medico competente, per conto delle (...), all'interno dell'officina grandi riparazioni di Vicenza. Il giudice, valorizzando la natura autonoma del rapporto di collaborazione che intercorreva tra le società convenute in giudizio e il professionista, trattandosi di opera realizzata in periodo temporale in cui non era prevista l'estensione della responsabilità dell'imprenditore anche nei confronti dei collaboratori autonomi ( tutela introdotta con L. n. 626 del 1994), escludeva nel caso di specie l'applicabilità della tutela contrattuale di cui alle norme di sicurezza e da ultimo art. 2087 c.c.. Rilevava che, come eccepito dalle convenute costituite in giudizio, alla fattispecie fosse applicabile la responsabilità risarcitoria di cui all'art. 2043 c.c., con conseguente decorso del termine quinquennale. Termine maturato sia rispetto al danno azionato dal ricorrente come erede del de cuius ( pro quota), che in proprio ( come danno derivante dalla morte del congiunto), atteso che l'unico atto interruttivo era stato notificato alle resistenti in data 5.09.12. Infatti la patologia che avrebbe condotto al decesso del padre si era manifestata in data 15.02.06, mentre il decesso era sopravvenuto in data 24.10.06; pertanto secondo il giudicante il termine prescrizionale era maturato al momento della interruzione. A sostegno della pronuncia e inapplicabilità dell'art. 2087 c.c. richiamava giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. 9614/01 e 7128/13). Ritenute prescritte le domande risarcitorie, rigettava il ricorso con compensazione delle spese di lite. 2. Avverso la sentenza proponeva appello il (...) che instava per la riforma integrale della decisione e l'accoglimento delle domande azionate in primo grado. Si costituivano tardivamente le società convenute in primo grado insistendo per il rigetto della impugnazione. 3. La Corte di Appello di Venezia, dopo alcuni rinvii della controversia per ragioni di riordino del ruolo, concesso alla parte appellante termine per replicare in forma scritta alla memoria di costituzione tardiva della parte appellata, all'esito della discussione, all'udienza del 16 marzo 2023 ha deciso la causa come da separato dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE 4. Con unico articolato motivo l'appellante censurava la decisione per avere il giudice accolto l'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalle parti convenute. Rilevava l'appellante che il padre aveva svolto attività di medico competente per conto della società (...) spa, attuale (...), e per (...) s.p.a., considerato che all'epoca le premenzionate erano un unico soggetto sociale, visitando gli operai che lavoravano nella officina grandi riparazioni di Vicenza. Eccepiva che l'attività libero professionale era stata prestata dal 25.02.1974 al 31.12.1975, nello studio medico collocato all'interno degli ambienti di lavoro; attività svolta a contatto con le fibre di amianto, poiché i lavoratori- dipendenti delle società premenzionate- che visitava periodicamente, presentavano fibre di amianto sugli indumenti e tute da lavoro ; inoltre in Vicenza, il (...) svolgeva attività di medico di base presso un ambulatorio ubicato nel quartiere dei ferrovieri di Vicenza, ed aveva come pazienti numerosi operai i quali uscivano dal lavoro con le tute e gli indumenti, talvolta, ancora sporchi di amianto. Eccepiva che negli anni 70 e 80 l'amianto fosse utilizzato senza alcuna protezione ; soltanto alla fine degli anni 70 le parti sociali e il governo, come pure le società delle (...), avevano iniziato a porsi il problema dell'amianto e del suo utilizzo. Lamentava che il padre avesse subito l'esposizione nociva all'amianto poiché gli operai per essere visitati dovevano togliersi gli indumenti sporchi anche di amianto e doveva effettuare visite e sopralluoghi presso i reparti della OGR ( Officine Grandi Riparazioni di Vicenza); evidenziava che anche l'ambulatorio ove operava all'interno del luogo di lavoro era ambiente non salubre. A sostegno della pretesa risarcitoria invocava esiti di procedimenti penali che avevano visto alle volte imputato lo stesso (...) il quale era stato assolto nel 2001 da responsabilità per pneumoconiosi di operai per inosservanza di leggi e regolamenti. La sentenza penale aveva riconosciuto l'inidoneità delle strutture ove il (...) svolgeva le mansioni di curante; il de cuius come lavoratore autonomo doveva visitare il personale, sottoporlo ai controlli periodici con esami anche radiografici per la prevenzione della pneumoconiosi. Osservava che in più come medico di base operava nell'ambulatorio sito nel quartiere dei ferrovieri. A fronte di ciò il (...) contraeva il mesotelioma pleurico che lo conduceva al decesso come da documentazione medica in atti. Decesso intervenuto in data 24.10.06; rilevava che l'atto interruttivo stragiudiziale era stato notificato alle controparti in data 5.9.12. Impugnava pertanto la sentenza ritenendo erronea l'applicazione del termine quinquennale poiché ai sensi dell'art. 2947 comma terzo c.c. il termine di prescrizione era di 6 anni ( cfr. infatti il reato di omicidio colposo si prescrive in 6 anni); assumeva che dalle proprie allegazioni emergeva la piena responsabilità della insalubrità degli ambienti e dei luoghi ove aveva operato il (...) e che pertanto era provata la responsabilità penale delle società convenute del decesso del padre; decesso intervenuto per mesotelioma da amianto di origine professionale come da consulenze mediche in atti. Trattandosi di morte dovuta in astratto a reato omissivo delle società il termine applicabile non era di cinque anni, ma sei; pertanto all'epoca della ricezione dell'atto interruttivo , con riferimento al decesso dell'ottobre 2006, non era ancora maturato il termine.. Censurava altresì la decisione nel punto in cui il primo giudice aveva ritenuto inapplicabile la norma di cui all'art. 2087 c.c., nonostante la giurisprudenza di legittimità prevedesse una responsabilità contrattuale della impresa anche rispetto a lavoratori non subordinati( cfr. Cass.n. 24538/15). Eccepiva che controparte non avesse assolto al proprio onere probatorio, in ragione del meccanismo di inversione di cui all'art. 2087 c.c.; rilevava che la giurisprudenza riconosceva una responsabilità risarcitoria per l'ipotesi di mancata adozione di misure di prevenzione idonee ad evitare l'inalazione di fibre nocive da parte del professionista. Riproponeva pertanto la domanda di risarcimento del danno come erede del de cuius, pro quota (essendo viventi anche la madre e altri 4 fratelli) pari ad Euro 147.364,81 oltre al danno proprio, da perdita del congiunto, in ragione dei criteri contenuti nelle tabelle di Milano; danno che quantificava in Euro 250.279, 50. 5. Nella memoria di costituzione tardiva le società resistenti contestavano l'appello e evidenziavano che il rapporto di lavoro professionale intrapreso con l'azienda autonoma (...) negli anni dal 1974 al 1975 dal de cuius era un rapporto di lavoro autonomo e quindi trattandosi di rapporto libero professionale non erano applicabili le normative in materia di sicurezza tipiche del rapporto di lavoro subordinato; pertanto eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva, trattandosi di rapporto di lavoro autonomo e riproponevano anche ex articolo 346 c.p.c., l'eccezione di difetto di legittimazione passiva di (...) spa e di (...) s.p.a., in quanto società che erano sorte a seguito di scissione e di cessione di ramo d'azienda dell'allora ente pubblico economico, azienda autonoma (...); soggetti costituiti successivamente alla cessazione del rapporto libero professionale per cui è causa. Insistevano sia (...) che (...) spa, per il proprio difetto di legittimazione passiva con conseguente rigetto delle domande attoree. In via preliminare riproponevano l'eccezione di prescrizione ritenuta fondata dal primo giudice, evidenziando che anche ad applicare il termine di sei anni, come sostenuto dall'appellante, tenuto conto della data del decesso del de cuius intervenuta il 24 ottobre 2006, in ogni caso il termine era irrimediabilmente decorso al momento della ricezione del primo atto interruttivo. Eccepivano che l'atto interruttivo del 5 settembre 2012 era stato ricevuto soltanto da (...) e (...) spa e non da (...) s.p.a., unico legittimo contradditore; pertanto, anche a ritenere corretta la prospettazione avversaria comunque il termine prescrizionale era definitivamente spirato per tutte le domande attoree, al momento della notifica del ricorso di primo grado nel 2017. Rilevavano che ai fini del decorso del termine dei sei anni, come previsto dalla giurisprudenza per fattispecie di reato, mancavano tutte quelle allegazioni in fatto, sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo, utili a far ritenere responsabile penalmente le società convenute rispetto alla patologia multifattoriale del mesotelioma. Nel merito riproponevano tutte le difese che avevano azionato in primo grado; la mancanza di responsabilità delle società per la malattia professionale, trattandosi di soggetto che operava per sole sei ore la settimana, in un ambulatorio che era ubicato anche fisicamente, in ambiente diverso da quella dell'Officina Grandi Riparazioni: Eccepivano che avevano contestato che le tute fossero sporche d'amianto, tenuto conto che c'erano spogliatoi con bagni e docce e che la società provvedeva anche alla pulizia delle tute. Dal punto di vista della normativa rilevavano che non esistevano obblighi prevenzionali rispetto all'amianto; contestavano quindi la propria colpevolezza ed anche che le allegazioni attoree fossero sufficienti a provare i danni così come quantificati e richiesti in giudizio. 6.Il proposto appello va rigettato per le ragioni che seguono. In via preliminare di rito va considerata l'eccezione sollevata dalla parte appellante nelle note autorizzate in merito all'eccezione di difetto di legittimazione passiva e prescrizione delle domande risarcitorie di cui alla memoria di costituzione tardiva delle società appellate. L'eccezione è infondata con riferimento al difetto di legittimazione passiva poiché le società, come si evince anche dalla sentenza di primo grado che aveva dichiarato assorbita la questione esaminando- per il principio della ragione più liquida- l'eccezione pregiudiziale di prescrizione, avevano già sollevato la questione, che pertanto, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., potevano riproporre senza vincoli formali ( cfr. in tema di modalità e limiti di riproposizione vedi Cass. sez.U. civ. 7940/19). Per contro questo Collegio condivide la difesa del (...) di novità con riferimento all'eccezione proposta dalle società e relativa alla inidoneità dell'atto interruttivo del 5.09.12 a interrompere il termine di prescrizione rispetto alla società (...) s.p.a. ( unico soggetto legittimato , nella prospettazione delle parti convenute in giudizio), in quanto circostanza non sollevata in primo grado. Il giudice di primo grado nell'accogliere l'eccezione di prescrizione aveva comunque ritenuto che l'atto stragiudiziale del 5.09.12 ricevuto dalle convenute fosse un atto efficace anche se tardivo rispetto al termine quinquennale ( cfr. doc. 30 parte ricorrente in primo grado). A fronte di ciò la questione della efficacia interruttiva di questo atto rispetto a (...) s.p.a., è questione nuova e comunque inammissibile, a fronte della tardiva costituzione delle parti appellate; eccezione propria soggetta alla decadenza prevista dal rito lavoro. 7. Superate le questioni processuali la domanda risarcitoria azionata dal (...), come evidenziato dalle parti, ha ad oggetto il danno subito dal de cuius, (...), deceduto in data 24.10.06 per mesotelioma pleurico, che per quanto accertato da esami citologici e diagnosi in atti era stato diagnosticato e ricondotto a pregressa esposizione ad amianto già in data 15.02.06 ( cfr. doc. 29 parte appellante e doc. 16 parte appellata ). Il (...) - per quanto allegato dalle parti- aveva operato come medico di impianto " provvisorio" dell'allora Azienda (...) dal 25.2.1974 al 31.12.1975 presso l'OGR di Vicenza, con compiti di sorveglianza sanitaria e visita di idoneità dei lavoratori che operavano nell'impianto. Rapporto libero professionale di natura autonoma( cfr. docc. 3,4,5 parte appellata). Trattavasi di attività libero professionale articolata in sei ore di prestazione la settimana; attività esercitata nell'ambulatorio medico ubicato all'interno della palazzina uffici ( doc. 8 parte appellata in particolare palazzina 7). 7.1.Questa Corte ritiene corretta la conclusione del primo giudice che ha applicato un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità ( cfr. Cass. 7128/13; 9614/01)ed ha concluso per l'applicabilità della norma di cui all'art. 2043 c.c , non ravvisando nel caso di specie- tenuto conto della professionalità specifica del (...) e della limitazione temporale della prestazione svolta- un obbligo di protezione analogo a quello tipico del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Valutazione non superata dal precedente di legittimità invocato dall'appellante nel motivo di appello, sia perché il precedente riguardava periodo temporale in cui era vigente la normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, non applicabile, invece ratione temporis, al caso di specie, sia perché inerente a fattispecie del tutto diversa dalla presente, in cui si controverte della sussistenza o meno di un obbligo di protezione del libero professionista; soggetto del tutto competente e -visto il ruolo assunto- consapevole delle norme vigenti in materia di sicurezza. Nel caso specifico, pertanto, non era adombrabile l'obbligo generale di prevenzione contrattuale dell'imprenditore, invocato dalla parte appellante, trattandosi di soggetto che aveva assunto liberamente l'incarico e che era in grado di valutare la salubrità o meno degli ambienti ove era tenuto ad operare, sottraendosi se necessario ad eventuali situazioni di pericolo. 8. Peraltro anche ad aderire alla prospettazione attorea della necessità di applicare il termine più lungo di cui all'art. 2947 comma terzo c.c. di cui al motivo di appello, comunque trattavasi di termine già maturato alla data del 5.09.12; infatti per quanto documentato in atti la diagnosi della patologia e la sua riconducibilità all'esposizione professionale era già nota alla parte istante in data 15.2.2006. Consapevolezza comprovata nel caso specifico, anche dalla particolare professionalità rivestita da (...). In merito ex art. 118 disp. att. c.p.c. va richiamata la sentenza della Corte di Cassazione n. 9802/2020 (che ha confermato la sentenza n. 378/2020 di questa Corte d'Appello), con cui i Giudici di legittimità hanno ribadito il consolidato orientamento secondo cui la decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno nell'ambito delle malattie professionali va individuata nel momento in cui l'interessato ha avuto consapevolezza dell'esistenza della malattia e della sua origine professionale; consapevolezza da intendersi nei termini oggettivi della sua conoscibilità, a prescindere dagli aspetti soggettivi inerenti al grado di conoscenza e cultura effettivi del danneggiato. La Suprema Corte, nella fattispecie in questione, respingeva il ricorso affermando che "ai fini della prova della conoscibilità dell'eziologia professionale, pur richiedendosi qualcosa di più della semplice manifestazione della patologia, occorre pur sempre restare in un ambito di oggettività scientifica, nel senso che la conoscibilità da un lato va intesa in senso diverso dalla conoscenza vera e propria, dall'altro postula la possibilità che un determinato elemento (l'origine professionale della malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, restando invece irrilevante, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività, il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia" (cfr. anche Cass. 2486/2019 e Cass. 19355/2007, richiamate in detta sentenza, nonché, ex multis, Cass. 2022/2015). Ne consegue che anche a voler accogliere la doglianza dell'appellante secondo cui il termine applicabile per il risarcimento del danno iure hereditatis sarebbe stato di anni sei, comunque, all'epoca della notificazione del 5.09.12, trattavasi di termine già maturato. 9. Residua la questione del danno azionato dal (...) iure proprio: il ricorrente in primo grado aveva agito anche per il risarcimento del danno subito come figlio. Nulla quaestio sulla natura della responsabilità: trattavasi di danno da fatto illecito e quindi di responsabilità aquiliana. Seguendo l'interpretazione del primo giudice- corretta non essendo provata, per quanto di dirà in prosieguo, una responsabilità penale delle società convenute in giudizio- il termine quinquennale era definitivamente spirato all'epoca dell'atto interruttivo del 2012 , ritenuto che il decesso era intervenuto in data 25.10.06. 9.1.Tuttavia anche per questo diritto risarcitorio va esaminata l'invocata applicazione dell'art. 2947 c.c. lamentando la parte appellante che il decesso del padre, quale conseguenza di responsabilità omissiva delle società appellate, sarebbe stato ascrivibile, in linea astratta, alla norma di cui all'art. 589 c.p. , con conseguente applicazione del termine di 6 anni che per questo danno non sarebbe maturato. Infatti il (...) era deceduto in data 25.10.2006 e quindi l'atto interruttivo del 5 settembre 2012 avrebbe interrotto utilmente il termine decorrente da tale evento. 9.2.Trattasi di motivo comunque infondato. Infatti per poter applicare il terzo comma dell'art. 2947 c.c., in ipotesi di fattispecie di reato, è necessario che, anche in assenza di querela o di procedimento penale, il giudice civile accerti la sussistenza oggettiva e soggettiva del reato ( vedi sezioni Unite n. 27337/08). Nel caso di specie le allegazioni del ricorrente erano state contestate dalle società costituite che avevano evidenziato come l' ambulatorio dove il medico aveva prestato la propria attività, fosse collocato in palazzina diversa da quella dei luoghi di lavoro e soprattutto i controlli nei reparti ove si svolgeva l'attività lavorativa della Officina di Riparazione ( luoghi in cui nella prospettazione dell'attore almeno fino agli anni 80 i lavoratori avevano utilizzato amianto senza precauzioni e limiti), erano stati del tutto rari e sporadici. 10. Questa Corte ritiene fondate le eccezioni sollevate in primo grado dalle società convenute rispetto alla sporadicità delle presenze del (...) negli ambienti in cui avrebbe potuto venire a contatto con le fibre di amianto: è in atti la sentenza del tribunale penale n. 32/01, che aveva assolto (...) dal reato di omessa sorveglianza sanitaria nei confronti dei dipendenti delle (...): nella statuizione passata in giudicato rispetto al (...) le considerazioni del giudice penale evidenziavano come la presenza del medico in ambienti " nocivi" erano state nel tutto limitate e sporadiche. Nella statuizione dimessa dalle società convenute sub. (...) si legge quanto segue:".. "(...) è stato medico d'impianto presso le OGR dal 25-02-1974 al 31-12-1975- Non è stato possibile procedere al suo interrogatori non essendosi presentato né al corso delle indagini preliminari né al dibattimento. Dalle testimonianze e dalla documentazione acquisite risulta comunque che nel periodo in cui rivestì la carica di medico d'impianto non assunse alcuna iniziativa, facendosi vedere saltuariamente in officina, omettendo ogni contatto con i lavoratori,non accennando mai a problemi di igiene e di prevenzione né con la direzione tecnica di Vicenza né con la direzione sanitaria di Verona. La sua condotta fu pertanto negligente e riprovevole, e il giudizio che può essere dato sul modo di intendere il ruolo ricoperto, del tutto negativo. Sussistono però forti dubbi che una condotta doverosamente diversa, più diligente e attenta ai problemi dell'ambiente e dei lavoratori, avrebbe contribuito ad evitare il decesso di P.R. e le lesioni di (...). Inoltre le società appellate, quanto alle tute da lavoro, avevano allegato e provato che gli indumenti da lavoro erano lavati dall'azienda e che esisteva un divieto per i dipendenti di portare con sé, a casa, questi indumenti ( cfr. docc. 20-21). Trattasi di eccezioni che non sono state superate dalla parte appellante che si è limitata a descrivere una situazione di contatto del padre con lavoratori che indossavano indumenti " sporchi di amianto"( cfr. punto 6 del ricorso; punti da 12 a 15 del ricorso in appello); neppure rispetto alle cosiddette visite in reparto l'appellante era stato in grado di allegare e provare la frequenza o la periodicità delle stesse, così da consentire all'organo giudicante di apprezzare la continuità necessaria e sufficiente per ritenere configurabile la responsabilità risarcitoria azionata nei confronti delle (...). Né le prove richieste in giudizio erano sufficienti a superare le lacune delle allegazioni del ricorso in punto responsabilità delle committenti per fatto illecito. Le allegazioni del (...) in punto esposizione di amianto- in termini di continuità del contatto, concentrazione di amianto- sono state così generiche da impedire pertanto di ritenere assolto l'onere della prova del fatto illecito gravante sull'istante, considerato che l'accertamento penale - utilizzabile come elemento probatorio- consente di ritenere che la sua presenza negli ambienti ove erano riparate o costruite le carrozze ferroviarie fosse stata del tutto limitata. In ogni caso le prove richieste dall'appellante erano finalizzate a dimostrare soltanto che fino al 1980 nella costruzione e riparazione delle carrozze ferroviarie gli operai utilizzavano amianto in grandi quantità. Circostanza del tutto neutra rispetto alla situazione personale del (...) il quale, per quanto esposto, aveva operato presso lo stabilimento per un periodo temporale limitato a sole sei ore la settimana, dal mese di febbraio del 1974 al mese di dicembre 1975; inoltre il medico non era presente tutti i giorni negli ambienti esposti. Né rispetto agli indumenti è provato che fosse costretto a respirare le fibre posate sugli indumenti dei lavoratori. 10.1.Peraltro non si può imputare alle società convenute una responsabilità risarcitoria anche rispetto al luogo in cui il medico aveva svolto la propria attività di medico di base, come medico convenzionato e dipendente della azienda sanitaria locale. La circostanza che l'ambulatorio si trovasse " nel quartiere dei ferrovieri", non può certo essere posta a carico delle società appellate che non avevano imposto l'utilizzo dello studio medico per cui è causa, né comunque avevano titolo e competenza per verificare lo stato dei luoghi in cui il (...) operava per conto di altro soggetto committente. Ritenuta altresì la natura multifattoriale della patologia che ha condotto al decesso del (...), non sussistono pertanto elementi sufficienti per ascrivere la morte al periodo di attività libero professionale svolta per conto delle (...), né per ritenere provato che il (...) avesse operato in un ambiente insalubre a causa delle società committenti. 11. Le considerazioni che precedono consentono di rigettare anche il secondo aspetto del motivo di appello relativo alla responsabilità contrattuale delle società appellate, con riferimento al danno subito dal de cuius. Infatti, anche a voler ritenere, per mera ipotesi, visto che si trattava di lavoratore autonomo per il quale questa Corte ha già ritenuto non applicabile la responsabilità contrattuale, il disposto normativo di cui all'art. 2087 c.c., nel caso di specie, per quanto argomentato nei punti motivazionali che precedono, va ritenuto che le difese articolate dalle società e il difetto di allegazioni del (...), consentano di escludere la prova dello svolgimento di attività libero professionale in ambiente insalubre e pericoloso, ritenuta anche l'ubicazione separata dell'ambulatorio dai luoghi di lavoro e soprattutto il limitato contatto del (...) con gli ambienti asseritamente nocivi. 12. Al rigetto dell' appello consegue la conferma della sentenza e l'onere delle spese del grado a carico dell'appellante; spese che sono liquidate in ragione dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche e in ragione della fascia di valore dichiarata dall'appellante ( 397.644,31); criteri minimi in ragione del contenuto degli atti processuali del tutto riproduttivo degli atti del precedente grado e della peculiarità della questione trattata. Deve darsi atto che sussistono i presupposti processuali per porre a carico della parte appellante l'ulteriore onere del contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002. PER QUESTI MOTIVI Ogni contraria istanza eccezione domanda disattesa od assorbita, definitivamente pronunciando: - Rigetta l'appello; - Condanna l'appellante a rifondere alle società appellate le spese del grado che liquida in complessivi Euro 4997,00 per compensi, oltre a rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; - Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso in appello a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Venezia il 16 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. RICCI Anna L.A. - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/07/2021 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Firenze con sentenza del 15 luglio 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze di condanna alla pena di mesi 4 di reclusione nei confronti di (OMISSIS), nella qualita' di Amministratore delegato della (OMISSIS) srl, in ordine al delitto di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del dipendente 2Lotti Ferdinando. 1.2. I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. Il 3 marzo 2016 all'interno della ditta (OMISSIS) srl, nella zona di stoccaggio temporaneo dei pancali dei prodotti confezionati ove avevano accesso sia i pedoni con i transpallet utilizzati per movimentare i pancali, sia i carrelli elevatori impiegati per prelevare i prodotti confezionati e trasportarli in magazzino, il dipendente (OMISSIS) nel manovrare a piedi un transpallet era indietreggiato ed era stato investito da un carrello elevatore condotto dal dipendente (OMISSIS), il quale stava procedendo a marcia in avanti con una pila di pancali vuoti sulla forche e quindi con la visuale coperta. A causa dell'impatto (OMISSIS) aveva riportato la frattura pluriframmentata scomposta della diafisi distale della tibia e del perone della gamba sinistra con una prognosi di durata della malattia superiore a 40 giorni. 1.3 L'addebito di colpa nei confronti dell'imputato e' stato individuato nella violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro ed in particolare dell'articolo 64 Decreto Legislativo n. 9 aprile 2008 n. 81 per non avere egli provveduto a tracciare nell'area di stoccaggio temporaneo dei bancali di prodotti imbottigliati le vie di circolazione. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto la contraddittorieta' della motivazione quanto al contenuto e alla portata della delega di funzioni in atti rilasciata dall'imputato (OMISSIS) all'amministratore delegato e direttore di stabilimento (OMISSIS). La Corte di Appello aveva ritenuto che con la delega in questione fossero state attribuite funzioni relative alla osservanza ed alla applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e non gia' funzioni relative alla organizzazione ed alla gestione dell'impresa in materia di sicurezza con attribuzione di illimitata facolta' di spesa. Secondo il difensore la Corte, nel ribadire le argomentazioni del giudice di primo grado, non si era confrontata con i motivi di appello con cui era stato evidenziato che la delega in atti al direttore di stabilimento (persona esperta e qualificata) era relativa alla organizzazione, gestione e controllo dell'impresa; che (OMISSIS) era amministratore delegato e direttore di stabilimento con cui si rapportavano sia i lavoratori, sia le altre figure aziendali anche in tema di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro; che la mancata indicazione nella delega in atti dei poteri di spesa era irrilevante, posto che gli interventi che secondo lo (OMISSIS) avrebbero dovuto essere adottati erano costati solo poche migliaia di Euro. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in merito alla dinamica dell'incidente. La Corte avrebbe ritenuto che il muletto fosse in transito, mentre in realta' stava operando nello stesso luogo in cui l'infortunato conduceva a mano il transpallet, sicche' la presenza dei percorsi sarebbe stata irrilevante. Il difensore rileva che l'allegato cui rimanda l'articolo 63 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, a sua volta richiamato dall'articolo 64, distingue fra vie di circolazione e vie di transito e solo per le prime prevede il tracciato per distinguere il percorso dei pedoni da quello dei mezzi, mentre per le seconde prevede solo che non debbano presentare buche e sporgenze e che siano tenute in condizioni tali da rendere sicuro il movimento delle persone e dei mezzi di trasporto. Il giudizio controfattuale porterebbe, quindi, a concludere che anche in presenza dei tracciati l'evento si sarebbe verificato in quanto quest'ultimo era da imputare unicamente alla manovra incauta di (OMISSIS) che aveva caricato il muletto in modo da non avere la visuale libera. 2.3. Con il terzo motivo ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale. La Corte non avrebbe adeguatamente replicato rispetto al motivo di appello con cui si era evidenziato che la causa dell'incidente doveva essere imputata alla condotta di (OMISSIS), il quale aveva proceduto a marcia avanti e non gia' indietro come avrebbe dovuto, contravvenendo alle piu' elementari regole di diligenza e prudenza che devono essere osservate nella guida del carrello elevatore e che egli ben conosceva. 3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Giuseppina Casella, ha chiesto il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto con riferimento al primo assorbente motivo, relativo alla individuazione del soggetto investito della posizione di garanzia in relazione all'infortunio verificatosi e alla portata della delega rilasciata dal Consiglio di Amministrazione della societa' al consigliere di amministrazione (OMISSIS). 2. Al fine di meglio inquadrare il tema della individuazione del soggetto titolare della posizione di garante, occorre muovere dalla disamina del contenuto della delega di cui si discute. Sono stati allegati al ricorso due verbali: -con il primo, verbale del Consiglio di amministrazione datato 2 gennaio 2012, si approva la delibera che determina il seguente assetto societario: (OMISSIS) viene nominato presidente del Consiglio di Amministrazione e assume anche la veste di amministratore delegato con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; (OMISSIS) viene nominato amministratore delegato con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; (OMISSIS) viene nominato amministratore delegato con i poteri di sovraintendere alla gestione e al coordinamento degli impianti produttivi, nonche' i poteri e le responsabilita', compresa la legittimazione passiva, inerenti all'osservanza e alla applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro stabilita' dal Decreto Legislativo n. 9 aprile 2008 n. 81, nonche' tutti i provvedimenti integrativi collegati o modificati, delle norme stabilite dai Decreto del Presidente della Repubblica n. 547/55- 302/56-303/56 (inerenti la prevenzione infortuni sul lavoro), Decreto del Presidente della Repubblica n. 304 del 10 settembre 1991 (inerenti la normativa sui carrelli elevatori), Decreto del Presidente della Repubblica n. 493 del 14 agosto 1996 (inerenti alla normativa sula segnaletica di sicurezza sul posto di lavoro); - con il secondo, verbale dell'Assemblea Generale Ordinaria del 3 luglio 2014, si delibera di nominare per il triennio 2014/2016 fino all'approvazione del bilancio al 31/12/2016 i seguenti membri del consiglio di amministrazione: (OMISSIS), Presidente del Consiglio di Amministratore, Amministratore delegato con poteri di ordinaria e di straordinaria amministrazione; (OMISSIS), Consigliere e Amministratore delegato con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; (OMISSIS) Consigliere e Amministratore delegato con poteri di sovraintendere alla gestione e al coordinamento degli impianti produttivi, nonche' i poteri e le responsabilita', compresa la legittimazione passiva, inerenti all'osservanza e alla applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro stabilita' dal Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, nonche' tutti i provvedimenti integrativi collegati o modificati, delle norme stabilite dai Decreto del Presidente della Repubblica n. 547/55- 302/56-303/56 (inerenti la prevenzione infortuni sul lavoro), Decreto del Presidente della Repubblica n. 304 del 10 settembre 1991 (inerenti la normativa sui carrelli elevatori), Decreto del Presidente della Repubblica n. 493 del 14 agosto 1996 (inerenti alla normativa sula segnaletica di sicurezza sul posto di lavoro). Dai verbali in atti emerge, dunque, che il consiglio di amministrazione della Tuscani 011io e Vinegar s.r.l presieduto da (OMISSIS) ha nominato (OMISSIS) amministratore delegato con poteri inerenti la materia della sicurezza sul lavoro. 3.La Corte di Appello ha ritenuto che tale delega rilasciata dal ricorrente (OMISSIS), datore di lavoro, ad (OMISSIS) non fosse liberatoria, in quanto con la stessa erano stati attribuiti compiti inerenti l'osservanza e l'applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e non gia' la posizione di garanzia riferita ai poteri di organizzazione e gestione dell'impresa in materia di sicurezza e, soprattutto, senza attribuzione di una illimitata facolta' di spesa, in relazione a tutto cio' che e' necessario per dotare l'impresa dei mezzi idonei per la tutela della incolumita' e della salute dei lavoratori e dei terzi. In ogni caso - ha proseguito la Corte- nel caso di specie era evidente l'assenza di controllo e vigilanza da parte di (OMISSIS) sull'attivita' svolta da (OMISSIS), solo che si consideri che il collega che aveva cagionato le lesioni al dipendente infortunatosi non era stato adeguatamente formato riguardo ai rischi presenti sui luoghi di lavoro e non aveva ricevuto una formazione generale in materia di salute e sicurezza; la mancanza di segnaletica che delimitasse le aree percorribili a piedi, rispetto a quelle ove si muovevano i carrelli elevatori, costituiva una violazione di tipo strutturale inerente all'organizzazione del luogo di lavoro, in ordine alla quale (OMISSIS), quale amministratore delegato aveva il preciso obbligo di adoperarsi. Il ricorrente si duole di tale ricostruzione e osserva che il documento in atti era a tutti gli effetti una delega di funzioni rilasciata dall'imputato (OMISSIS) all'amministratore delegato (OMISSIS): tale delega in quanto conforme ai requisiti previsti dall'articolo 16 Testo Unico n. 81/2008, se non per il dato della mancata indicazione del potere di spesa, peraltro irrilevante in ragione del modesto costo degli interventi che avrebbero dovuto essere adottati e che erano stati omessi, avrebbe dovuto essere considerata liberatoria. 4. Il richiamo al contenuto dei verbali consente di affermare che la delega della cui portata si discute e' conferita dal consiglio di amministrazione ad un consigliere ed ha, pertanto, in astratto le caratteristiche delle delega gestoria contemplata dal diritto societario all'articolo 2381 c.c. Mentre nel caso della delega di funzioni contemplata dall'articolo 16 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 viene in rilievo la traslazione di alcuni poteri e doveri di natura prevenzionistica, nel caso della delega gestoria vengono in rilievo criteri di ripartizione dei ruoli e delle responsabilita' tra gli amministratori in ambito societario caratterizzato da strutture piu' o meno articolate. Non di rado, peraltro, come si dira', anche nella giurisprudenza della Suprema Corte la differenza fra i due tipi di delega non e' stata sufficientemente enucleata, con conseguente confusione di piani che invece vanno tenuti distinti. Posto che la diversita' di struttura ontologica dei due tipi di delega comporta ricadute in ordine al loro contenuto ed in ordine ai residui doveri in capo all'organo delegante, nella materia del diritto penale del lavoro in relazione al delicato compito di individuazione del soggetto responsabile cui e' chiamato il giudice penale, soprattutto in presenza di strutture societarie complesse, la corretta individuazione della delega che di volta in volta viene in rilievo e' passaggio essenziale. Vale la pena, dunque, soffermarsi su una breve ricognizione della disciplina normativa della delega di funzione da un lato e della delega gestoria dall'altro. 5.La delega di funzioni di cui all'articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008 e' lo strumento con il quale il datore di lavoro (e non anche il dirigente, pure investito a titolo originario come il preposto dal TUSL di compiti a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro) trasferisce i poteri e responsabilita' per legge connessi al proprio ruolo ad altro soggetto: questi diventa garante a titolo derivativo, con conseguente riduzione e mutazione dei doveri facenti capo al soggetto delegante. Il primo riconoscimento della legittimita' della delega di funzioni da parte del legislatore si rinviene nel Decreto Legislativo n. 626/94 che, peraltro, si limitava ad elencare le attivita' non delegabili, ammettendo cosi' implicitamente la facolta' del datore di lavoro di utilizzare tale strumento in tutti gli altri casi non espressamente interdetti. La disciplina legale dell'istituto e' stata introdotta, invece, per la prima volta dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 che all'articolo 16 ne ha dettato i requisiti, peraltro con ampio recepimento della elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza del Decreto Legislativo n. 626/94. In ossequio al principio per cui, al fine di assicurare un efficace sistema di tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la traslazione dei poteri deve essere presidiata con la previsione di regole formali e sostanziali, il legislatore ha previsto una serie di limiti e condizioni. La norma richiede che la delega risulti da atto scritto recante data certa, che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalita' ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate, che sia accettata dal delegato per iscritto (articolo 16 comma 1). La delega per essere operativa deve essere resa conoscibile mediante adeguata e tempestiva pubblicita' (articolo 16 comma 2). Permane in capo al datore di lavoro delegante l'obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e tale obbligo si intende assolto in caso di adozione ed attuazione efficace del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30 comma 4(articolo 16 comma 3). Infine con la disposizione successiva si prevede che non siano delegabili alcuni obblighi che ineriscono l'essenza della figura del datore di lavoro e della sua posizione di garante all'interno del contesto produttivo, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo ovvero la valutazione dei rischi, la redazione del relativo documento che resta nella sua responsabilita' anche quando venga conferito ad altri l'incarico della materiale stesura, giacche' "il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia...": cfr. Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Rv. 270355) e la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (articolo 17). 5.1 Sul ruolo della delega si sono soffermate le Sezioni Unite con la sentenza n. 383423 del 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv 261108 nella quale si e' affermato che la delega "nei limiti in cui e' consentita dalla legge, opera una traslazione dal delegante al delegato di poteri che sono propri del delegante medesimo. Questi, per cosi' dire, si libera di poteri e responsabilita' che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega quindi ridetermina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilita'. Residua, in ogni caso, tra l'altro, come articolo 16 T.0 ha chiarito un obbligo di vigilanza alta che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma cio' che qui maggiormente rileva e' che non vi e' effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all'ambito delegato. In breve la delega ha senso se il delegante (perche' non sa, perche' non puo', perche' non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri". In altro passo le Sezioni Unite hanno ribadito che "e' invero principio basilare, consolidato della prassi e da ultimo recepito con la disciplina di sistema, che la delega per produrre l'effetto liberatorio che la caratterizza, deve trasferire insieme ai doveri tutti i poteri necessari all'efficiente governo del rischio. Il trasferimento puo' avere ad oggetto un ambito definito e non l'intera gestione aziendale, ma in tale circoscritto territorio il ruolo del soggetto delegato deve essere caratterizzato da pienezza di poteri, in primo luogo di quelli di spesa. Il trasferimento dei poteri, inoltre, molte deve essere effettivo e non meramente cartolare". 5.2 In caso di delega ex articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008 permane, comunque, in capo al datore di lavoro delegante un preciso dovere di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e prima ancora un preciso dovere di individuare quale destinatario dei poteri e delle attribuzioni un soggetto dotato delle professionalita' e delle competenze necessarie. Sul piano della responsabilita' significa che il soggetto delegante potra' essere chiamato a rispondere degli eventi illeciti in caso di culpa in eligendo o di culpa in vigilando che abbia avuto un ruolo eziologico rispetto agli accadimenti. Peraltro, nella individuazione della responsabilita' del datore di lavoro delegante, al fine di non incorrere nel rischio di configurare responsabilita' di posizione del datore di lavoro che sarebbe in contrasto, fra l'altro, con la stessa previsione dell'istituto della delega, si e' sostenuto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che la vigilanza deve riguardare non il merito delle singole scelte, bensi' il complessivo adempimento del debito di protezione e controllo affidato al delegato (Sez 4, n. 10702 del 1/02/2012, Mangone, Rv 242675; Sez 4 n. 22837 del 21/04/2016, Visconti, Rv 267319). 6.L'istituto della delega gestoria, invece, come detto, attiene alla ripartizione delle attribuzioni e delle responsabilita' nelle organizzazioni complesse ed e' preordinato ad assicurare un adempimento piu' efficiente della funzione gestoria (in quanto evidentemente piu' spedita) ed al contempo la specializzazione delle funzioni, tramite valorizzazione delle competenze e delle professionalita' esistenti all'interno dell'organo collegiale. Nelle societa' di capitali piu' semplici, in cui figura un amministratore unico titolare della ordinaria e straordinaria amministrazione, questi assume anche la posizione di garanzia datoriale. Nelle societa' di capitali in cui, invece, l'amministrazione sia affidata ad un organo collegiale quale il consiglio di amministrazione, l'individuazione della posizione datoriale e' piu' complessa, anche in ragione della molteplicita' di possibili modelli di amministrazione offerti dalla normativa societaria. La Corte di Cassazione in proposito con orientamento costante afferma che nell'ipotesi in cui non siano previste specifiche deleghe di gestione l'amministrazione ricade per intero su tutti i componenti del consiglio e tutti i componenti del consiglio sono investiti degli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti dalla legislazione a carico del datore di lavoro (sez. 4 n. 8118 dell'01/02/2017, Ottavi, Rv. 269133; n. 49402 de113/11/2013, Bruni, Rv. 257673). Di frequente accade, tuttavia, che il consiglio di amministrazione deleghi le proprie attribuzioni o solo alcune di esse ad uno o piu' dei suoi componenti o ad un comitato esecutivo (c.d. board) attraverso la c.d. delega gestoria disciplinata dall'articolo 2381 c.c. Tale ultima norma detta le condizioni per accedere al modello in esame, i limiti entro cui e' possibile ricorrevi e gli effetti che l'adozione del modello determina nel rapporto fra delegati e deleganti. In particolare: - la decisione di ricorrere alla delega deve essere autorizzata dai soci o deve essere prevista dallo statuto (articolo 2381 comma 2); - in presenza di detta autorizzazione il consiglio di amministrazione puo' delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o piu' dei suoi componenti; in tal caso deve determinare il contenuto, i limiti e le eventuali modalita' di esercizio della delega; puo' sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a se' operazioni rientranti nella delega; sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della societa'; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della societa'; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione (articolo 2381 comma 3); -sono indicale alcune attribuzioni non delegabili, ovvero quelle indicate negli articoli 2420 ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501 ter e 2506 bis c.c.: si tratta della delibera inerenti emissione di obbligazioni convertibili, della redazione del bilancio di esercizio, delle delibere inerenti gli aumenti di capitale, delle delibere di riduzione del capitale in ipotesi di grave sofferenza, della redazione di progetti di scissione e fusione in cui vengono in rilievo attribuzioni di tipo organizzativo. (articolo 2381 comma 4); -gli organi delegati, infine, devono curare che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa e devono riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicita' fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonche' sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla societa' e dalle sue controllate (articolo 2381 comma 5). Ciascun amministratore puo' chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della societa' (articolo 2381 comma 6). 6.1. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai fini della individuazione della figura datoriale in presenza di deleghe gestorie, si pone l'accento sulla necessita' di verificare in concreto la effettivita' dei poteri di gestione e di spesa dei consiglieri delegati. Cosi' le Sezioni Unite nella sentenza Espenhahn gia' richiamata, dato atto che "nell'ambito di organizzazioni complesse, d'impronta societaria, la veste datoriale non puo' essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l'organizzazione dell'istituzione, l'individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura" hanno confermato la correttezza della attribuzione della qualifica di datore di lavoro all'intero board, ovvero di un comitato esecutivo composto dall'amministratore delegato della societa' e da altri consiglieri delegati riconoscendo "l'effettivita' dei poteri di gestione e di spesa" esercitati anche da tali soggetti che valeva ad attribuire loro la qualifica di datori di lavoro unitamente all'amministratore delegato. Nel caso concreto si era accertato che il board, pur formalmente dismesso, era stato coinvolto in tutte le decisioni gestionali e finanziarie di fondo che trascendevano dalla materia dalla sicurezza e riguardavano la complessa organizzazione aziendale. Analoga impostazione, anche se a contrario, si rinviene in altra sentenza relativa alla responsabilita' di alcuni ex dirigenti dell'industria meccanica-elettromeccanica (OMISSIS) s.p.a. in relazione al reato di omicidio colposo in danno di lavoratori esposti ad amianto: la Corte, muovendo dall'assunto che i componenti del comitato esecutivo (c.d. Board) possano assumere posizioni di garanzia ove sia ravvisabile la loro reale partecipazione ai processi decisori con particolare riferimento alle condizioni di sicurezza del lavoro, ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che aveva assolto i componenti del comitato esecutivo sia perche' questo non si era mai riunito, sia perche' attribuzione e poteri erano stati di fatto delegati dall'amministratore delegato ad altri soggetti non componenti del comitato esecutivo, ne' membri del consiglio di amministrazione (Sez 4 n. 5505 del 10/11/2017, Pesenti, Rv 271719). L'accento posto dalla giurisprudenza sulla effettivita' dei poteri di gestione e di spesa del soggetto delegato (o del board composto di soggetti delegati) e' correlato alla definizione di datore di lavoro, in senso prevenzionistico, contenuta nell'articolo 2 comma 1 lettera b) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, a norma del quale e' datore di lavoro "il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o comunque il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attivita', ha la responsabilita' dell'organizzazione stessa o dell'unita' produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa". Se, dunque, in senso prevenzionistico e' datore di lavoro il soggetto che, in quanto investito dei poteri decisionali e di spesa, ha la responsabilita' dell'organizzazione o della unita' produttiva, il giudice penale anche in presenza di una formale delega gestoria che riguardi la materia della sicurezza dovra' interrogarsi se e come i soggetti delegati siano stati messi in condizione di partecipare ai relativi processi decisori. 6.2.Nel caso della delega gestoria il dovere di controllo che permane in capo ai membri del cda non delegati deve essere dunque ricondotto agli obblighi civilistici di cui agli articoli 2381 comma 3 c.c. e 2932 comma 2 c.c. cosi' come modificato dalla riforma del diritto societario attuata con il Decreto Legislativo n. 6 del 2003 che ha abolito il generale dovere di vigilanza di tutti gli amministratori sul generale andamento della societa'. Sulla base di tali disposizioni il consiglio di amministrazione nel suo complesso oltre a determinare il contenuto della delega, conserva la facolta' di impartire direttive ed e' tenuto sulla base delle informazioni ricevute a valutare l'adeguatezza dell'assetto della societa' e a valutare sulla base delle relazioni informative dei delegati il generale andamento della gestione (articolo 2381 comma 3 c.c.); tutti gli amministratori, inoltre, sono solidalmente responsabili se essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (articolo 2932 comma 2 c.c.). In dottrina si e' sostenuto che la delega in esame non abbia carattere abdicativo e che l'affidamento di determinate attribuzioni agli organi delegati venga a creare una sorta di competenza concorrente tra delegati e deleganti, come reso evidente dalla espressa previsione di cui all'articolo 2381 comma 3 c.c. per cui il consiglio "puo' sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a se' operazioni rientranti nella delega". Con riferimento all'ambito del diritto penale del lavoro, tuttavia, si deve ritenere che alla concentrazione d.ei poteri e delle attribuzioni in capo ad alcuni soggetti, giustificata dalla necessita' di un piu' proficuo esercizio, debba corrispondere in via generale una esclusiva responsabilita', sempre che si accerti che il consiglio delegante abbia assicurato il necessario flusso informativo ed esercitato il potere dovere di controllo sull'assetto organizzativo adottato dal delegato. Nell'ottica di accrescimento della tutela del lavoratore, nella giurisprudenza di legittimita' si e' affermato che a seguito della delega gestoria l'obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato, rimanendo in capo al consiglio di amministrazione residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo (Sez. 4, n. 4968 del 06/12/2013 dep. 2014, Vascellari, Rv. 258617; Sez 4 n. 988 del 11/07/2002, dep. 2033, Macola, Rv.227001 nella quale si e' precisato che il residuo dovere di controllo non deve essere riferito agli aspetti minuti della gestione, ma alla complessiva gestione aziendale della sicurezza). 7. La delega di funzioni prevista dall'articolo 16 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 presuppone un trasferimento di poteri e correlati obblighi dal datore di lavoro verso altre figure non qualificabili come tali e che non lo divengono per effetto della delega. La delega di gestione, anche quando abbia ad oggetto la sicurezza sul lavoro, invece, nel caso di strutture societarie complesse, consente di concentrare i poteri decisionali e di spesa connessi alla funzione datoriale, che fa capo ad una pluralita' di soggetti (ovvero i membri del consiglio di amministrazione), su alcuni di essi. Con la delega ex articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008 si opera il trasferimento di alcune funzioni proprie del ruolo datoriale; i delegati vengono investiti di poteri e di doveri dei quali sono privi a titolo originario. Di contro fra soggetti che sono a titolo originario titolari della posizione di datore di lavoro non e' concepibile il trasferimento della funzione, ma solo l'adozione di un modello organizzativo tale per cui taluni poteri decisionali e di spesa -se del caso anche quelli relativi alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori- vengono affidati alla gestione di alcuni tra i datori. Il fatto che nel primo caso venga in rilievo il trasferimento di alcune funzioni e nel secondo caso la concentrazione dell'esercizio (rectius: della gestione) della funzione, determina conseguenze in ordine al contenuto della delega, nonche' in ordine alla modulazione dei rapporti fra deleganti e delegati. Sotto il primo profilo, ad esempio, mentre nella disciplina dettata dall'articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008, il conferimento del potere di spesa e' requisito essenziale della delega di funzioni e deve essere adeguato in relazione alle necessita' connesse allo svolgimento delle funzioni delegate, nella disciplina della delega gestoria, che, si ricorda, e' rilasciata ad un soggetto gia' investito della funzione datoriale e dei relativi poteri ivi compreso quello di spesa, non vi e' analogo riferimento. Mentre non sono delegabili da parte del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008 gli obblighi che costituiscono l'essenza della funzione datoriale e della sua preminente posizione di garante, ovvero la valutazione del rischio, preordinata alla pianificazione e predisposizione delle misure necessarie, e la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione, la delega gestoria permette che tali adempimenti vengano eseguiti dal delegato, mutando il contenuto del dovere prevenzionistico facente capo ai deleganti. Infatti, l'attivita' di vigilanza richiesta dall'articolo 16 comma 3 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 e' differente dal dovere di controllo imposto ai membri del consiglio di amministrazione deleganti, che, come visto, deve essere ricondotto agli obblighi civilistici di cui agli articoli 2381 comma 3 c.c. e 2932 comma 2 c.c. In tale ultimo caso, stante la concentrazione dell'esercizio dei poteri in capo ad una figura che e' gia' datore di lavoro, a riguardo dei deleganti si potra' configurare un dovere di verifica sulla base del flusso informativo, dell'assetto organizzativo generale e un vero e proprio potere di intervento anche con riferimento alla adozione di singole misure specifiche nel caso in cui vengano a conoscenza di fatti pregiudizievoli, id est di situazioni di rischio non adeguatamente governate. In conseguenza della violazione di tali obblighi, potranno essere ritenuti responsabili di violazione alla normativa antinfortunistica e di eventi di danno occorsi ai lavoratori nell'esercizio dell'attivita' lavorativa. 8. Come si e' detto, non di rado nella elaborazione giurisprudenziale relativa alla materia della sicurezza sul lavoro, peraltro, si usa il termine delega di funzioni anche quando si fa riferimento a deleghe gestorie (cosi' in Sez. 4, n. 4968 del 31/01/2014 cit., laddove si legge: "in sostanza, in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilita' di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilita' dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione...In definitiva, anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o piu' amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a cio' che attiene alle scelte aziendali di livello piu' alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilita' del datore di lavoro"), ovvero, ai fini della individuazione del datore di lavoro, quale soggetto responsabile della sicurezza, si opera un generico riferimento alla possibilita' che nelle societa' di capitali, sia rilasciata una delega "validamente conferita", senza specificazioni ulteriori (si veda Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, Ottavi, Rv. 269133; Sez. 4, n. 49402 del 13/11/2013, Bruni e altri, Rv. 257673). 9. Per tornare alla vicenda che ci occupa, la Corte di Appello non si e' soffermata adeguatamente sulla natura della delega in atti e sulla sua eventuale portata liberatoria. I giudici, nel ritenere che l'imputato ricorrente non avesse "delegato la posizione di garanzia" (pag. 6 della sentenza) riferita ai poteri relativi alla organizzazione e gestione della impresa in materia di sicurezza e nel negare conseguentemente il potere liberatorio della delega in atti, sembrano aver fatto ricorso alle "categorie" proprie della delega di funzioni ex articolo 16 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008. Nella motivazione della sentenza impugnata si fa un improprio riferimento alla mancata indicazione del "potere illimitato di spesa" e si introduce, cosi', come requisito necessario ai fini della portata liberatoria della delega, un elemento che non e' previsto neanche dall'articolo 16 cit., il quale richiede l'attribuzione al soggetto delegato della autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Nella motivazione, inoltre, si afferma che erano stati delegati compiti relativi all'osservanza e alla applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro e non gia' compiti organizzativi e che in ogni caso non era stato esercitato adeguatamente da parte del ricorrente il potere di vigilanza: a prescindere dalla terminologia, piu' o meno impropria, utilizzata nella descrizione del tipo di poteri conferiti, la Corte non ha valutato che la delega di cui ai verbali del consiglio di amministrazione della societa' (OMISSIS) era stata conferita dal consiglio di amministrazione della societa' ad un componente del consiglio stesso (l' (OMISSIS)) con astratta concentrazione su tale ultimo soggetto delle attribuzioni in materia di sicurezza. La Corte, dunque, nel valutare la eventuale portata liberatoria della delega rispetto ai soggetti deleganti, avrebbe dovuto prendere in esame le sue caratteristiche; verificare se sussistevano le condizioni di operativita' e l'effettivita' dell'esercizio da parte del delegato dei poteri e delle attribuzioni conferite; chiarire se detta delega valesse a concentrare la funzione datoriale in senso prevenzionistico in capo all'amministratore delegato in materia di sicurezza, se e quali doveri di controllo permanessero in capo ai deleganti ed eventualmente come in concreto quei doveri fossero stati esercitati. 10. La mancata valutazione, da parte della Corte, della delega in atti alla luce delle precisazioni supra indicate, si riflette, come detto, sul contenuto della posizione di garanzia assunta nella vicenda in esame dal ricorrente (OMISSIS). Poiche' solo dalla esatta individuazione del ruolo rivestito discende la individuazione delle condotte doverose, l'accoglimento del primo motivo con giudizio di rinvio risulta assorbente rispetto alla disamina delle ulteriori doglianze dedotte con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, attinenti alla sussistenza della condotta colposa e della violazione della regola di cautela. L'esatta perimetrazione del ruolo del ricorrente, in ragione della delega conferita ad un componente del consiglio di amministrazione, e' necessariamente preliminare e da tale perimetrazione discendono conseguenze anche in ordine al contenuto della sua posizione di garanzia (quale datore di lavoro che ha rilasciato una delega di funzioni ex articolo 16 Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ovvero quale datore di lavoro che ha adottato una delega gestoria ex articolo 2381 c.c. con concentrazione dei poteri in capo ad un consigliere). Solo all'esito di tale operazione, che dovra' essere effettuata dal giudice di merito sulla base dell'apprezzamento delle risultanze istruttorie, sara' possibile operare la verifica della idoneita' delle regole cautelari violate ad impedire l'evento. 11. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, che nel nuovo giudizio dovra' valutare la delega in atti, chiarire se ed in che termini tale delega possa rilevare ai fini della individuazione del datore di lavoro in senso prevenzionistico ed individuare cosi' il perimetro dei doveri di controllo che residuino in capo al delegante secondo quanto supra indicato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente Dott. DOVERE Salvato - rel. Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. BRUNO Maria Rosari - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); inoltre: INAIL; REGIONE LOMBARDIA; FIOM-CGIL; ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO; MEDICINA DEMOCRATICA; COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO; (OMISSIS); (OMISSIS) SPA; avverso la sentenza del 19/01/2021 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni: degli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso e, in subordine, rigettarsi il medesimo; dell'avv. (OMISSIS), difensore del responsabile civile (OMISSIS) s.p.a., che ha chiesto rigettarsi il ricorso; - dell'avv. (OMISSIS), difensore della parte civile FIOM-CGIL di Milano, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; - dell'avv. (OMISSIS), difensore della parte civile INAIL, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; - dell'avv. (OMISSIS), difensore delle parti civili MEDICINA DEMOCRATICA MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE ONLUS, ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO, COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGJ DI LAVORO E NEL TERRITORIO, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato quella emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di una pluralita' di imputati, alcuni dei quali sono stati mandati assolti dal reato loro ascritto, di seguito meglio indicato, per non aver commesso il fatto o per l'insussistenza del fatto, mentre per altri e' stato dichiarato non doversi procedere per essere estinto il reato per morte del reo. Tutti gli imputati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)), quali, taluni, di componenti del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) spa, altri, di componenti del consiglio di amministrazione dell' (OMISSIS) Elettromeccanica spa, poi (OMISSIS) spa, e pertanto quali i datori di lavoro, erano stati tratti dal giudizio per rispondere della morte di undici lavoratori ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) In particolare, ai predetti imputati era stato contestato di aver esposto i predetti lavoratori a polveri di amianto all'interno dello stabilimento sito in (OMISSIS) al (OMISSIS) omettendo di adottare le misure che sarebbero valse a tutelarne l'integrita' fisica, sicche' undici lavoratori si erano ammalati di mesotelioma; due lavoratori si erano ammalati di carcinoma polmonare, un ultimo di asbestosi. 2. Il giudice di primo grado era pervenuto alla decisione assolutoria ritenendo insussistente la prova del nesso di causalita' tra le esposizioni professionali, ritenute accertate, e gli eventi tipici. Aveva cioe' ritenuto accertata la natura della patologia conducente a morte (o concretante lesione personale); la significativa e perdurante esposizione dei lavoratori a fibre aerodisperse di amianto (utilizzato come componente di manufatti coibentanti); la efficienza causale dell'esposizione presso lo stabilimento in questione nella produzione delle morti e delle lesioni hic et nunc. Per contro, non era accertato che avesse avuto efficienza causale l'esposizione avutasi durante lo specifico segmento temporale durante il quale i diversi imputati avevano esercitato le funzioni datoriali o dirigenziali e cio' perche' non era stata acquisita al giudizio il dato dell'esistenza di una affidabile legge scientifica per la quale il protrarsi nel tempo dell'esposizione accorcia il periodo di latenza della malattia. In ogni caso, non era possibile accertare se l'abbreviazione della latenza si era verificato nel singolo specifico caso. La Corte di appello ha confermato tale impianto argomentativo pur a fronte dei rilievi mossi dal Pubblico Ministero (appellante solo per le posizioni del (OMISSIS), dello (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS)). 3. Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano, compendiato in un unico motivo e attinente alle statuizioni concernenti i decessi del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS), del (OMISSIS) e le lesioni patite dal (OMISSIS) (nel frattempo deceduto). Titolando con riferimento alla erronea applicazione degli articoli 192 e 533 c.p. (articolo 606, comma 1 lettera e) c.p.p.) e al vizio di contraddittorieta' ed illogicita' della motivazione, il ricorrente ha osservato quanto segue. La Corte di appello non ha dato risposta ai rilievi in tema di logicita' della motivazione che erano stati elevati con l'atto di appello. In particolare, alla questione inerente al passaggio dalla causalita' generale a quella individuale. il Tribunale era incorso in evidenti fraintendimenti sia in ordine alla legge di copertura impiegata, sia alle risultanze probatorie emerse nel corso del processo. Infatti, non risulta chiaro dalla motivazione della sentenza se il primo giudice abbia fatto propria o meno la suddetta legge di copertura e con quale formulazione, considerando che i risultati cui e' pervenuto si pongono in netto contrasto con gli stessi assunti teorici posti alla base di quest'ultima. Vi e' stato, quindi, un erroneo governo della legge di copertura, nonche' un modus operandi viziato dalla commistione fra i diversi profili attinenti a distinti saperi scientifici: quello statistico- epidemiologico e quello biologico. Pertanto, e' sulla scorta di tali errori che i giudici sono giunti a negare la stessa validita' della legge di copertura e non gia' a negarne la ricorrenza nei singoli casi concreti di decesso. Il Tribunale sembra non aver colto completamente il significato della legge epidemiologica inerente all'anticipazione del tempo all'evento, travisandone il contenuto. Dalla sentenza non e' dato evincere in maniera chiara e precisa la motivazione in ordine all'assoluzione degli imputati con riguardo al decesso del (OMISSIS) causato da carcinoma polmonare. Avendo in tal modo segnalato i profili piu' critici della motivazione della sentenza impugnata con l'appello, il ricorrente ha svolto alcune considerazioni sul ruolo che la giurisprudenza attribuisce al modello esplicativo epidemiologico a partire dalla nota sentenza Franzese. Ha osservato che quel modello costituisce la cosiddetta legge di copertura in senso razionale penalistico, come d'altronde riconosciuto anche dalla sentenza impugnata. La questione e', quindi, quella della verifica di come tale modello sia stato applicato ai singoli casi di decessi. Al riguardo ha rilevato il ricorrente che la legge di copertura non puo' essere interpolata con elementi afferenti ad altro aspetto del giudizio penale, ovvero il cosiddetto giudizio controfattuale. Invero, la relazione dose-risposta conduce ad una sola constatazione: tutte le esposizioni sono casualmente rilevanti ai fini della concretizzazione del rischio. Il giudizio controfattuale puo' condurre il giudice ad escludere che ad un determinato periodo di esposizione sia applicabile nel caso specifico il modello esplicativo adottato. Puo' quindi rendere inoperante la legge di copertura nel singolo caso ma non confutarne la stessa attendibilita' scientifica. Alla stregua di quanto hanno detto i consulenti tecnici nel presente procedimento, tutte le esposizioni sono rilevanti secondo il modello individuato dall'epidemiologia (giudizio di causalita' generale); la legge non si applica per le esposizioni intervenute nel periodo di evoluzione della malattia che si indica come fase preclinica (causalita' concreta). Nel caso di specie, non e' dato comprendere quale sia il convincimento della Corte di appello circa il modello esplicativo adottato poiche' si pone in dubbio implicitamente la validita' della relazione matematica dose-risposta e si ricerca un altro modello esplicativo, fondato su un'altra relazione tra esposizione e risposta. Altro errore, per il ricorrente, e' stato compiuto a proposito del cosiddetto effetto acceleratore. Ad avviso del ricorrente, il procedimento induttivo di corroborazione dell'ipotesi esplicativa, quindi l'accertamento della causalita' individuale, non puo' essere svolto alla luce delle sole considerazioni biologiche, volte alla ricerca di un sub-evento definito âEuroËœeffetto acceleratore', di cui non e' data alcuna valenza empirica. Un dato epidemiologico e quindi statistico non puo' ricevere una conferma secondo un modello prettamente causalistico-deterministico. Non e' infatti mistero che spesso cio' che noi chiamiamo leggi statistiche-probabilistiche in realta' celano un'ignoranza di fondo in relazione alle reali dinamiche causali sottese a un determinato fenomeno. In questa prospettiva, non e' dato discorrere di un alquanto ipotetico effetto acceleratore, inteso come sub-evento determinabile a livello spazio-temporale. Gli esperti hanno riferito che non si' conosce la durata del periodo di induzione; il quale, comunque, si misura in anni o meglio in decenni e per il quale non vi e' alcuna seria ragione scientifica e clinica perche' lo si collochi in termini ragionevolmente vicini alla prima esposizione. L'inizio del processo di iniziazione puo' avvenire a notevole distanza temporale dall'inizio dell'esposizione. Tuttavia, considera il ricorrente, l'impossibilita' scientifica di una sua misurazione non puo' tradursi in un difetto di prova in ordine all'accertamento eziologico individuale. Poiche' non e' scientificamente possibile collocare con precisione tale lasso temporale, come unanimamente riconosce la comunita' scientifica, ove si affermi che per tale ragione non e' possibile determinare con certezza l'esposizione eziologicamente rilevante si opererebbe una indebita commistione tra diversi piani di lettura. Infatti, la certezza che si richiede nel giudizio controfattuale induttivo e' di natura processuale e non gia' scientifica, in caso di leggi probabilistiche. Se si operasse diversamente la legge di copertura probabilistica non troverebbe mai applicazione proprio per la sua natura piu' predittiva che strettamente esplicativa. Ne verrebbe sterilizzata la portata, rendendola di fatto inutile e inadatta a svolgere il suo ruolo. Sostanzialmente, non la si rende inoperante soltanto nel singolo concreto caso, ma anche in tutti gli altri eventuali, poiche' mai raggiungerebbe quell'utopico grado di certezza scientifica che per natura non e' in grado di fornire. Cio' e' quanto avvenuto nel presente giudizio, laddove si e' sostenuta la mancata prova del nesso di causalita' individuale non alla luce di un'attenta e critica disamina motivata in ordine agli elementi di fatto emersi dalla dialettica processuale, idonea a mettere in crisi l'operativita' nei singoli casi la legge di copertura, bensi' sulla base della mancata prova in ordine alla conclusione del procedimento di induzione. Questo modo di procedere confonde il piano delle diverse leggi in questione e conduce a esiti paradossali, perche' arriva in sostanza a negare valenza eziologica alle successive esposizioni in ogni caso in cui ci sia anche un solo avvicendamento da parte dei soggetti garanti, pur se realizzato in un brevissimo lasso temporale. La corretta regola di giudizio che deve guidare il giudicante nel ragionare sulla causalita' del caso individuale e' la seguente: posto che tutte le esposizioni intervenute nel periodo di induzione sono rilevanti e che in campo epidemiologico si tende a escludere, con valutazione collegata alla biologia del tumore, le esposizioni che sono avvenute meno di 10 anni prima della manifestazione clinica della malattia, allora il giudice dovra' ritenere applicabile la legge probabilistica di copertura nel caso concreto soltanto alle esposizioni ragionevolmente lontane dalla manifestazione. Quale sia questo giudizio di lontananza ragionevole va verificato caso per caso, alla luce delle risultanze probatorie emerse nel processo al fine di corroborare o meno l'abduzione. Tale operazione va condotta tenendo presenti i diversi parametri, quali la lunghezza della latenza convenzionale, la cosiddetta clearance, il tempo di cessazione dell'esposizione, il tipo di fibre inalate, il tipo di esposizione, le conoscenze scientifiche e ogni altro aspetto che consenta di dare risposta alla domanda: le esposizioni considerate nel processo sono coperte dal modello esplicativo generale- Sulla scorta di premesse il ricorrente sostiene che se la fibra e' quella meno nociva si deve considerare la minore biopersistenza nel polmone e la piu' facile eliminazione; che la III Conferenza di Consenso ha esaminato il fenomeno della riduzione del rischio di incidenza che si e' verificato in corti osservate fino a 45-50 anni dall'inizio dell'esposizione; che comincia a delinearsi una promettente direzione di ricerca che mostra dubbi consistenti sul fatto che la linea dell'incidenza debba crescere in modo costante a notevole distanza di tempo dall'inizio dell'esposizione. Molti modelli epidemiologici escludono le esposizioni fino a 10-15 anni dalla fine della latenza in senso stretto; le stime effettuate del tempo intercorrente dalla fine dell'induzione alla manifestazione clinica del mesotelioma in base ai tempi di raddoppiamento cellulare individuano tale periodo in circa 22 anni; altri studi lo individuano in 14 anni nell'80% dei casi. Alla luce di queste premesse il ricorrente sviluppa alcune osservazioni con riferimento alle posizioni alle persone offese (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La conclusione e' che il giudizio controfattuale cosi' come delineato nell'atto di ricorso non e' stato affrontato dalla Corte di appello perche' ritenuto inutile alla luce dell'incertezza del dato biomedico circa l'induzione. Quindi il giudice non si e' confrontato con le sollecitazioni provenienti sotto il profilo della carcinogenesi in particolare dal dottor (OMISSIS); ha posto due quesiti di dubbia utilita' inerenti al momento in cui puo' ritenersi compiuto in modo irreversibile il processo di carcinogenesi e l'incidenza che il protrarsi dell'esposizione ha sul processo patogenetico. Per il ricorrente si tratta di una ricerca destinata al fallimento perche' la scienza non e' in grado di dare una risposta precisa in ordine al singolo individuo; ma cio' non significa che riformulando correttamente le predette domande non si possa raggiungere un'adeguata risposta positiva o negativa, senza stravolgere la legge di copertura. Non ci si deve chiedere quando si ultimi il periodo di induzione o se nel singolo caso si sia realizzato l'effetto acceleratore, ma se sia possibile sussumere il singolo episodio con un elevato grado di credibilita' razionale sotto la serie di classi di eventi descritti dalla legge epidemiologica che si intende corroborare. Ossia, se le esposizioni fino a un dato momento siano da ritenersi rilevanti o meno va accertato sulla base di un giudizio controfattuale di tipo induttivo, basato su sicuri indici fattuali come quelli sopra richiamati. Con particolare riferimento al (OMISSIS), deceduto a causa di un carcinoma polmonare, poiche' si tratta di un soggetto non fumatore al cui riguardo non sono stati acquisiti elementi per dire che hanno operato fattori causali alternativi all'amianto, deve affermarsi l'esistenza di un rapporto eziologico tra questa esposizione e l'insorgenza del tumore. La Corte di appello, con una motivazione del tutto sovrapponibile a quella dei diversi casi di mesioteloma, ha escluso la responsabilita' degli imputati anche per tale vicenda, appiattendosi sulle posizioni del consulente della difesa, non individuando in alcun modo le altre possibili cause alternative che possono essere intervenute nel caso concreto. Appare palese la rinnovata negazione del modello dose-risposta, pur formalmente accolto, perche' il giudice si e' limitato a dare rilevanza alle esposizioni precedenti a quella per cui e' processo, senza addentrarsi nell'esame degli argomenti portati dall'accusa. 3. Hanno presentato memorie gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), il responsabile civile (OMISSIS) s.p.a. e la parte civile Inail, concludendo come riportato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per una pluralita' di cause, tra le quali assume valore pregiudiziale ed assorbente l'essere il ricorso fondato esclusivamente su asseriti vizi della motivazione. Giova rammentare che secondo la previsione dell'articolo 608, comma 1-bis, c.p.p., inserita dall'articolo 1, comma 69, della L. 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero, nel caso di cd. "doppia conforme assolutoria", puo' proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo 606, comma 1, c.p.p. e, pertanto e' escluso il ricorso per vizio di motivazione (lettera e)). In assenza di una disciplina transitoria, tale disciplina e' stata ritenuta applicabile ai ricorsi la cui data di presentazione e' successiva all'entrata in vigore della predetta disposizione, atteso che e' con la presentazione dell'impugnazione che si determina il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilita' dell'impugnazione (Sez. 3, n. 54693 del 04/10/2018, Rv. 274132). Nel caso di specie gia' la sentenza impugnata e' stata emessa il 15.1.2021; il ricorso e' stato depositato il 28.12.2021, dopo l'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 (3.8.2017). La nuova disciplina non propone profili di dubbia costituzionalita'; come e' stato considerato, la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilita' per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimita'; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalita', di un'asimmetrica distribuzione delle facolta' processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito dal giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza. (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Rv. 280631, che ha escluso ricorrano le condizioni per una denuncia della previsione al Giudice delle leggi in relazione agli articoli 111 e 112 Cost.). Per contro, la giurisprudenza ha cominciato a delineare i precisi contorni della limitazione, escludendo che essa comprenda il caso di sentenza di inammissibilita' dell'appello ritenuto non conforme alle prescrizioni dell'articolo 581 c.p.p., trattandosi di una pronuncia "in rito" che non puo' essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento (Sez. 1, n. 8549 del 03/12/2019, dep. 2020, Rv. 278626); ed escludendo, altresi', che si applichi anche al ricorso della parte civile (Sez. 5, n. 5697 del 18/01/2019, Rv. 275136). 2. Orbene, nel caso che occupa, va in primo luogo rilevato che la (sola) titolazione del motivo di ricorso evoca in modo erroneo la violazione di legge chiamando in causa gli articoli 192 e 533 c.p.p., posto che, secondo un principio costantemente ribadito da questa Corte, la violazione dell'articolo 192, comma 3, c.p.p., non puo' essere dedotta ne' quale violazione di legge ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., ne' ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. non essendo prevista a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza, pertanto puo' essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (ex multis, Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Rv. 278196). Principio che, stante l'assenza di previsioni di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' o decadenza per violazioni dell'articolo 533 c.p.p., ha valore anche per questa seconda disposizione. Cio' posto, il ricorso, il cui testo e' stato supra riportato quasi integralmente, e' articolato su ripetute prospettazioni meramente avversative alle argomentazioni dei giudici di merito, unico essendo il punto che puo' con qualche verosimiglianza dare corpo ad una censura motivazionale; ovvero l'aver applicato erroneamente il giudizio causale: cio' si tradurrebbe nella manifesta illogicita' della motivazione. Vizio che pero' e' del tutto assente, risultando piuttosto il ricorso animato da un assunto erroneo, ovvero che la Corte di appello abbia finito per il negare, affrontando l'impegno dell'accertamento della causalita' individuale, proprio quella legge esplicativa di carattere generale che ha assunto di adottare. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Anna Mantovani - Presidente dr. Irene Lupo - Consigliere rel. dr. Francesca Vullo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione ritualmente notificato DA (...) S.R.L., elettivamente domiciliato in VIA (...) LODI presso lo studio dell'avv. Cr.Ga., che la rappresenta e difende come da delega in atti -APPELLANTE CONTRO FALLIMENTO (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in VIA (...) CODOGNO presso lo studio dell'avv. ST.MA., che la rappresenta e difende come da delega in atti- APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato il Fallimento (...) s.r.l. in liquidazione conveniva in giudizio (...) s.p.a. chiedendo, a mente degli artt. 2901 c.c. e 66 l.f., la declaratoria di inefficacia delle seguenti operazioni negoziali poste in essere dalla società (...) in bonis e da (...): vendita da parte di (...) del capannone di (...) al prezzo di Euro 1.258.597,52 in data 7.8.2012; stipula in data 25.8.2012 di un contratto di locazione con canone annuo pari a Euro 100.000,00 avente ad oggetto il predetto immobile concesso in locazione a (...); vendita in data 13.12.2012 da (...) a (...) della partecipazione sociale nella (...) s.r.l. Sosteneva l'attore che mediante tali atti la società (...) in bonis, nel corso dell'anno 2012, avesse compiuto una sistematica dismissione del proprio patrimonio in favore di (...) e in pregiudizio delle proprie ragioni creditorie . In particolare, il Fallimento deduceva che: - in data 22.7.2010 (...) aveva acquistato da (...) s.r.l. il capannone sito in (...) B. d'A., via P. n. 44, per un prezzo di 1.050.000 (di cui Euro 950.000,00 con somma ricevuta a titolo di mutuo dal (...) ed Euro 100.000,00 da versare alla venditrice entro 30.9.2010); - nel contratto di compravendita le parti avevano dato atto dei necessari interventi di manutenzione e di ristrutturazione degli immobili; - acquisita la proprietà del capannone, (...) aveva effettuato sull'immobile interventi di manutenzione straordinaria, incrementando il valore dell'immobile a Euro 1.170.023,14; - in data 7.8.2012 (...) aveva venduto il capannone di (...) a (...) al prezzo di Euro 1.384.457,27 (di cui Euro 908.597,52 mediante accollo da parte dell'acquirente del debito residuo gravante sulla venditrice per la restituzione del mutuo ipotecario concesso da (...) ed Euro 475.859,75 a mezzo di assegni bancari); - quanto all'accollo in capo a (...) del mutuo concesso a (...) 5, (...) (...) spa (di seguito (...)) aveva dichiarato espressamente in data 23.8.2012 di non liberare (...) dall'obbligo di restituzione degli importi erogati, riservandosi ogni valutazione circa la proposizione di azione revocatoria; - gli assegni bancari del valore complessivo di Euro 475.859,75 non erano mai stati incassati da (...), di contro venivano effettuati da (...) pagamenti differenti e per importi inferiori complessivamente pari a Euro 194.500,00, residuando una differenza di Euro 281.359,75 non pagati; - in data 25.8.2012 (...) aveva poi concesso in locazione a (...) il capannone oggetto di causa pattuendo un canone annuo di Euro 100.000,00, con esclusione dei tetti di copertura del capannone che la locatrice aveva riservato per sé in via esclusiva; - il contratto di locazione prevedeva che il pagamento delle prime due annualità del canone di locazione sarebbe stato effettuato anticipatamente mediante compensazione con parte del corrispettivo prezzo fissato per la compravendita; - il contratto di locazione prevedeva un termine di 24 mesi per comunicare il mancato rinnovo del contratto e pari termine di preavviso per l'esercizio del diritto di recesso; - il contratto di locazione prevedeva inoltre che in caso di ritardato pagamento per un periodo di 20 giorni rispetto alla scadenza anche solo di una parte di una singola rata del canone, la locatrice avrebbe potuto risolvere il contratto per inadempimento della conduttrice, applicando una penale pari all'intero ammontare dei canoni di locazione calcolati fino alla scadenza naturale del contratto; - terminato il biennio di anticipato pagamento dei canoni, (...) non era più riuscita a sostenere il gravoso peso economico del contratto di locazione e (...) le aveva intimato lo sfratto per morosità avvalendosi della clausola risolutiva del contratto di locazione, dichiarato risolto dal Tribunale di Lodi con sentenza n. 218/2017 del 22.3.2017; - in data 28.11.2011 (...) aveva acquistato il 70% delle partecipazioni di (...) srl al prezzo di Euro 147.000,00, contestualmente divenendo cessionaria di un credito finanziamento soci pari a Euro 110.037,90; - in data 13.12.2012 (...) aveva venduto la propria quota societaria in (...) a (...) per un importo di Euro 64.400,00; - con il medesimo atto (...) aveva acquistato il restante 30% delle partecipazioni di (...), così divenendo unica proprietaria del capitale sociale della società; -tale atto di vendita non aveva tuttavia previsto la cessione a favore di (...) dei crediti da finanziamento soci, rimasti in capo ai cedenti, fra cui (...); - il pagamento del prezzo pattuito è stato corrisposto con modalità differenti rispetto a quelle indicate e in un periodo successivo all'atto dispositivo. Si costituiva (...) e chiedeva il rigetto delle domande formulate dal Fallimento deducendo che: - in data 22.7.2010 veniva stipulato mutuo ipotecario tra (...) e (...) per l'importo di 1 milione di Euro, con iscrizione ipotecaria di importo pari a Euro 1.800.000,00; - a fronte dell'esborso più di Euro 200.000,00 circa sostenuta per l'acquisto del bene (di cui Euro 100.000,00 versati da (...) alla precedente venditrice (...), oltre rate di mutuo), (...) incassava dalla vendita a (...) l'importo di Euro 475.859,75 che veniva interamente corrisposto con le seguenti modalità: Euro 194.500,00 a mezzo bonifici bancari; Euro 39.359,75 a mezzo pagamento direttamente a mani di (...) di 4 rate di mutuo; Euro 25.000,00 tramite bonifico in data 23.1.2013; Euro 10.000,00 mediante assegno in data 1.2.2013; i residui Euro 242.000,00 ponendo in compensazione il controcredito di (...) nei confronti di (...) a titolo di canoni di locazione; - dopo aver acquisito l'immobile, (...) faceva rimuovere la copertura eternit e rifaceva il tetto e (...), conduttrice del lastrico solare, faceva installare un impianto fotovoltaico; - in data 25.5.2014 (...) ha stipulato con (...) s.r.l. (poi (...) s.r.l.) contratto di affitto del ramo di azienda esercitato nel capannone di (...), senza darne notizia alla proprietaria (...), con cui le parti hanno previsto la sublocazione di una porzione dell'intero immobile, dietro il pagamento di un canone - (...) tuttavia non versava alcun canone di locazione alla proprietà, costringendo (...) a proporre procedimento di sfratto per morosità; - con la sentenza n. 218/2017 del 28.4.2017 il Tribunale di Lodi accertava l'inadempimento della conduttrice per la somma di Euro 75.000,00 oltre IVA, nonché l'intervenuta risoluzione di diritto del contratto di locazione sin dal 21.5.2015; - nessuna somma a titolo di canoni di locazione veniva mai versata a (...) né il bene immobile e rientrava nella disponibilità della proprietaria; - in data 18.10.2016 (...) veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Lodi; - con domanda del dicembre 2016 (...) chiedeva di essere ammessa la passivo del Fallimento in via privilegiata ex artt. 2764 e 2758 comma 2 c.c. per la somma di Euro 95.957,40 oltre IVA a titolo di canoni di locazione mai ottenuti dal settembre 2014 a giugno 2015, in prededuzione ex art. 111 l.f. per la somma di Euro 134.340,65 oltre IVA a titolo di canoni/indennità di occupazione senza titolo mai versate dal Fallimento dal giugno 2015 al marzo 2017 e in prededuzione per le somme corrispondenti all'occupazione senza titolo dal marzo 2017 al rilascio, mai avvenuto, del capannone; - il (...) escludeva il credito vantato da (...) che promuoveva opposizione allo stato passivo R.G. 1210/17, nell'ambito del quale la Curatela si costituiva svolgendo eccezione revocatoria; - (...) aveva continuato a versare regolarmente (ad oggi Euro 310.695,60) le rate di mutuo a (...); - Per quanto attiene alla vendita delle partecipazioni sociali di (...), (...) aveva conseguito un guadagno di Euro 28.400,00, avendo venduto a (...) le proprie quote al prezzo di Euro 64.400,00 a fronte di un valore delle stesse pari a circa Euro 36.000,00 (tenuto conto del mancato trasferimento a (...) dei crediti ceduti); -L'ulteriore 30% delle quote di (...) era stato acquisto da (...) a prezzi analoghi. Il Tribunale di Lodi con sentenza n.74 del 2021, in accoglimento delle domande attoree, ritenuti sussistenti i presupposti di cui agli art.2901 c.c. e 66 l.f., dichiarava inefficaci nei confronti del Fallimento di (...) in liquidazione : l'atto di compravendita (...) Srl alla (...) Srl avente ad oggetto l'immobile sito in (...) B. (...) (L.), Via P. 44, capannone con sovrastante lastrico solare e con annessi fabbricati accessori ed area di pertinenza; il contratto di locazione stipulato tra (...) srl e (...) srl in data 25.08.2012, e registrato ad Acireale in data 23/10/2012 al n.002800, con il quale la società (...) Srl aveva concesso in locazione alla (...) srl l'immobile sito in (...) B. d'A., Via P. 44; la scrittura privata autenticata con la quale (...) srl aveva venduto a (...) srl la quota del 70% della partecipazione sociale della società (...) srl. Avverso tale decisione proponeva appello (...), chiedendone la riforma, mentre il Fallimento, costituendosi, eccepiva l'inammissibilità del gravame e ne chiedeva, comunque, il rigetto. La Corte, fatte precisare le conclusioni, come in epigrafe trascritte, decorsi i termini assegnati alle parti per il deposito degli scritti conclusionali, ha trattenuto la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare si osserva come sia allo stato superata la richiesta, formulata dagli appellati, di applicazione del disposto di cui all'art. 348 bis c.p.c., in quanto già assorbita dalla stessa preferenza assegnata alla pronuncia di sentenza ordinaria a cognizione piena, non limitata ad un giudizio di tipo probabilistico, avendo la Corte ritenuto di non avvalersi della sua discrezionale facoltà di decidere a norma della disposizione citata: invero l'articolazione della materia controversa mal si conciliava con il giudizio meramente probabilistico previsto dall'art. 348 bis c.p.c., rendendo perciò opportuna la delibazione della causa con cognizione piena. Deve inoltre essere disattesa l'eccezione d'inammissibilità dell'appello sollevata dall'appellata ex art. 342 c.p.c., dal momento che, alla luce dell'ampia interpretazione, ispirata a criteri di conservazione processuale, fornita di tale norma dalla Suprema Corte (cfr., per tutte, Cass. S.U. 27199/2017), deve ritenersi che l'atto introduttivo, letto nel suo complesso, contenga gli elementi indispensabili a consentire un esame del merito, nel rispetto dei vincoli dettati dalla norma citata, risultando da esso desumibile quali parti della sentenza di primo grado si intendano censurare, quali siano le modifiche richieste, nonché l'indicazione delle circostanze da cui deriverebbe la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Venendo, dunque al merito del gravame, con riferimento alla domanda revocatoria azionata, in via generale si osserva che, siccome il patrimonio del debitore costituisce per il creditore garanzia generica per il soddisfacimento delle obbligazioni gravanti sul debitore medesimo (art. 2740 c.c.), al fine di impedire che il patrimonio del debitore subisca diminuzioni che vadano a modificare qualitativamente o quantitativamente la garanzia medesima, l'ordinamento attribuisce al creditore un rimedio volto ad assicurarne la conservazione mediante l'azione revocatoria ordinaria - o pauliana (disciplinata dall'artt. 2901 e ss. c.c. e dall'art. 66 l. fall. qualora venga esercitata dal curatore del fallimento del debitore). In particolare, l'art. 66, co. 1, l. fall. stabilisce che il curatore può agire in revocatoria per la ricostruzione dell'attivo fallimentare affinché "siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile" (art. 2901 c.c.). L'azione può promuoversi anche se il credito non è certo, liquido ed esigibile, oggetto di contestazione in diverso giudizio o soggetto a condizione o a termine, dal momento che l'accertamento giudiziale del credito non costituisce l'antecedente indispensabile della pronuncia sulla domanda di revocatoria. Dopo l'apertura del fallimento, legittimato all'esercizio dell'azione è il solo curatore fallimentare, il quale agisce come sostituto processuale della massa (azione di massa). L'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria è subordinato alla esistenza del requisito soggettivo, rappresentato dalla consapevolezza della lesione della garanzia patrimoniale generica che deve essere nota tanto al debitore fallito (scientia fraudis) quanto al terzo contraente per gli atti a titolo oneroso (partecipatio fraudis). Il presupposto oggettivo dell'azione (eventus damni), è rappresentato dalla lesione della garanzia patrimoniale, da intendersi anche come maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nel recupero coattivo del credito (Cass. n. 12144/99 e Cass. n. 2971/99), sussistendo cioè tale lesione anche quando il patrimonio subisca nella sua consistenza una variazione solo qualitativa ( Cass. n. 31654/19 Cass. n. 2792/2002 e Trib. Milano 7.11.12) e non anche quantitativa. E', pertanto, sufficiente il pericolo di danno, non essendo necessario il danno effettivo. Quanto all'onere probatorio, il curatore che agisce in revocatoria deve provare, che tutti o solo alcuni dei crediti ammessi al passivo già esistevano al momento della formazione dell'atto revocando, e che l'atto revocando ha comportato una maggior incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del ceto creditorio. 1. Esaminando dunque attraverso il prisma dei principi generali sottesi all'azione revocatoria sin qui delineati, i motivi di appello, con il primo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale, nonostante l'intervenuta risoluzione del contratto di affitto, ha affermato la revocabilità del contratto di locazione del capannone stipulato tra la società (...) in bonis e (...), riconoscendo in capo al Fallimento l'interesse ad agire in relazione all'esperita azione ex artt. 2901 c.c. e 66 l.f. Sostiene, a tale riguardo, che il primo giudice abbia erroneamente applicato il principio di diritto desumibile da Cass. 23016/2004, ritenendo ammissibile la revocatoria di un contratto risolto (nella fattispecie dichiarata, con effetto dal 21/5/2015, con sentenza passata in giudicato nel procedimento di sfratto per morosità) alla data di proposizione della domanda. Deduce infatti che l'azione non sarebbe esperibile a fronte di un contratto i cui effetti sono definitivamente cessati, né potendosi rinvenire l'interesse ad agire dalla circostanza che (...) abbia proposto dall'istanza di insinuazione al passivo; ciò in quanto tale domanda attiene a crediti vantati dall'odierna appellata nei confronti del Fallimento relativi al mancato versamento di somme canoni non pagati e occupazione sine titulo, i quali non rappresenterebbero effetti perduranti del contratto ma deriverebbero dall'inadempimento di controparte. La censura è fondata. Infatti, il contratto di locazione, non determina alcun effetto traslativo del bene, e, pertanto, in via generale non pregiudica la garanzia patrimoniale generica del creditore, salvo che si tratti di locazioni ultranovennali : queste, viceversa, sono soggette all'azione revocatoria, qualora ne ricorrano gli estremi, in quanto, pur non essendo traslative del bene, limitano, anche indirettamente, nella loro lunga durata, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore (Cass. n. 25854/2020). Nel caso si specie dalla documentazione versata in atti risulta che il contratto di locazione del capannone stipulato il 25.08.2012 tra la società (...) in bonis e (...) per la durata di sei anni era stata dichiarato giudizialmente risolto alla data del 21/5/2015 per inadempimento della conduttrice e, dunque, in data anteriore alla dichiarazione del Fallimento, intervenuta il 18.10.2016. Alla luce delle suddette circostanze, contrariamente a quanto statuito dal giudice di prime cure, deve ritenersi che nessun interesse ad agire poteva riconoscersi in capo al Fallimento al momento della proposizione della domanda revocatoria, atteso che la garanzia patrimoniale generica dei creditori non è stata pregiudicata da un contratto non traslativo della proprietà né idoneo a vincolare la proprietà per lunga durata e comunque risolto. L'accoglimento del motivo di appello assorbe le censure di cui al quarto motivo inerente la congruità del prezzo di locazione. 2. Con il secondo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistenti i requisiti normativamente previsti per l'esperibilità dell'azione revocatoria, ovvero a) la preesistenza di crediti di (...) in bonis rispetto agli atti di disposizione patrimoniali impugnati e b) il grave pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori. Sub a), con riguardo all'anteriorità dei crediti, l'appellante deduce la mancata prova, da parte del Fallimento, della sussistenza dei crediti indicati, precisando che il credito vantato da (...) non rileva in quanto l'istituto di credito non avrebbe chiesto di essere insinuato al passivo del Fallimento. Sub b) con riferimento alla natura pregiudizievole degli atti dispositivi oggetto di causa, l'appellante lamenta l'erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistente l'eventus damni anche in assenza di prova da parte del Fallimento della circostanza che il patrimonio relitto a seguito della vendita di capannone e quote sociali non fosse idoneo a soddisfare i crediti a quell'epoca sussistenti. Ritiene la Corte che il motivo non sia fondato. Invero, sub a) quanto alla consistenza del passivo fallimentare e alla preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole, dalla documentazione versata in atti e puntualmente richiamata dal Tribunale (doc. 19, 26-29, 32-26 e 38bis ), già nell'anno 2012 la società (...) risultava debitrice dei seguenti importi: -euro 267.047,11 nei confronti del (...), come riconosciuto da (...) (pag 16 atto di appello) nell'agosto 2012 aveva comunicato a (...) l'accoglimento della proposta di pagamento rateale dell'intera esposizione debitoria di Euro 267.047.11 (doc. 6 Fallimento) -euro 111 .272,38 nei confronti di U., quale importo derivante dalla revoca dell'affidamento e contestuale recesso dal conto corrente n.(...) della società effettuato in data 05/06/2012 (doc.36 fasc. Fall) e riportato nel ricorso e pedissequo decreto ingiuntivo del 26/02/2016 (doc 28/b fasc. Fall). -euro 5.147,00, nei confronti di (...), (docc.27/a; 27/b) quale importo dovuto a saldo delle seguenti fatture: n.(...) del 13/03/2012 (euro 3.234,32), relative al periodo ottobre - dicembre2011; n.(...) del 28/05/2012 (euro 1.912,68), relative al periodo gennaio 2012 - marzo 2012. Si tratta di fatture rimaste impagate anche all'epoca del trasferimento dei beni oggetto di azione revocatoria come risulta dalla lettura del ricorso per decreto ingiuntivo del 06/11/2013 (doc. 27/c); -euro 6.868,59 nei confronti di Equitalia (doc.29), relative a crediti esattoriali relativi al periodo 2009-2011; -euro 151.452,48 nei confronti dell'Inps, credito che trae titolo dal verbale di accertamento del 14.2.2012 (doc. 29 bis e doc. 35/a fasc. Fallimento). In ordine a quest'ultimo importo non rileva la circostanza- evidenziata dall'appellante- che tale credito fosse "sub iudice" atteso che, come chiarito dalla Suprema Corte, e come già detto, anche un credito litigioso può essere tutelato ai sensi dell'art. 2901 cod. civ.; ciò in quanto tale norma "ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore"( Cass. Civ., Sez.3, n.22859/2019). Sub b) con riferimento al grave pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori, il Fallimento ha provato che il soddisfo delle ragioni creditorie fosse divenuto, per i creditori sociali all'epoca esistenti, oggettivamente più difficoltosa tant'è che, come risulta da ispezione catastale e visura dei RRII (prodotta quale doc, 30 fasc. Fallimento), residuavano in capo alla società, poi fallita, beni dal valore complessivo di Euro 10.000,00 e, dunque, del tutto incapienti rispetto al soddisfacimento dei creditori. Sempre con riferimento all'eventus damni, con il terzo motivo di gravame l'appellante lamenta l'erroneità della pronuncia impugnata per aver il Tribunale, valutato non correttamente gli atti di causa. Sostiene a tale riguardo che nessuna delle circostanze considerate dal Tribunale in ordine alla predetta operazione negoziale sia idonea a fornire dimostrazione della lesione delle ragioni creditorie. In particolare, l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui il giudice di prime cure ha affermato: a) la non congruità del prezzo della vendita dell'immobile (euro 1.258.597,52) rispetto al valore effettivo del bene (euro 1.805.000,00); b) l'anomalia delle modalità di pagamento del prezzo della vendita pattuite nell'atto di compravendita, stante la natura non liberatoria dell'accollo da parte dell'acquirente (...) del mutuo stipulato dalla società (...) con il (...) ; c) il mancato versamento dell'intero prezzo della compravendita alla società venditrice (...) in bonis; d) l'irrilevanza della presenza di ipoteche sull'immobile trasferito ad escludere il requisito del pregiudizio per il creditore chirografario e l'interesse di questi a proporre l'azione revocatoria. In particolare: a. con riferimento al prezzo della compravendita (...) evidenzia che il Tribunale erroneamente valutando le risultanze della Ctu svolta in seno al procedimento di primo grado ha considerato quale valore effettivo dell'immobile oggetto della vendita l'importo di Euro 1.585,031,25 in luogo di quello 1.335.031,25, ritenendo provata la circostanza dell'assenza di fibre di amianto all'atto dell'avvenuta stipula. Sostiene a tale riguardo come le spese per la rimozione dell'eternit, pari a Euro 200.000,00 Euro siano stati sostenute da (...) dopo aver acquisito l'immobile, in accordo con (...), conduttrice del lastrico solare, che successivamente aveva fatto installare un impianto fotovoltaico. b. In ordine alle pattuite condizioni di pagamento del prezzo l'appellante deduce che non possa venire in rilievo la circostanza che l'accollo del mutuo stipulato con il (...) avesse natura non liberatoria per la società venditrice (...), in quanto condizione del tutto indipendente dall'appellante; né possa considerarsi pregiudizievole per i creditori la compensazione di parte del prezzo (Euro 200.000,00 oltre IVA) con il canone di locazione dei primi due anni, dalla quale, piuttosto, la società (...) avrebbe tratto esclusivamente benefici di natura fiscale, quali il recupero dell'Iva e la deduzione del canone versato in via anticipata. c. Con riguardo al mancato versamento del prezzo della vendita da parte di (...), l'appellante osserva che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale che ha affermato come a fronte dell'importo di Euro 475.859,75 ne sono stati pagati (in un periodo di tempo successivo) solo Euro 194.500,00, l'intera somma della compravendita è stato corrisposto secondo le seguenti modalità -Euro 194.500,00 a mezzo di bonifici bancari/assegno nei mesi immediatamente successivi alla vendita - Euro 242.000,00 ponendo in compensazione il controcredito di (...) nei confronti della (...) a titolo di canoni di locazione per i primi due anni ; -Euro 39.359,75 con pagamento diretto a mani del (...) di 4 rate di mutuo (da aprile a luglio 2012) la cui componente relativa agli interessi per Euro 9.363,19 andava imputata al prezzo dell'immobile in quanto non di competenza dell'acquirente ma di (...); -Euro 25.000,00 con bonifico in data 23/1/2013 (la causale riportata nell'estratto c/c è errata visto che le quote risultano già integralmente pagate) - ed infine Euro 10.000,00 con assegno circolare dell'1/2/2013. d. Con riferimento all'ipoteca iscritta sull'immobile venduto, evidenzia che la presenza della stessa, sul capannone, del valore di Euro 1.800.000,00, per un debito residuo che tanto al momento della compravendita quanto oggi consentirebbe il soddisfo del solo creditore ipotecario (il mutuo residuo al maggio 2018 ammontava ancora a più di Euro 674.000,00 doc. 21 ed oggi ammonta in sorte capitale ad Euro 596.260,00 circa), rende la sua vendita a (...) del tutto irrilevante nei confronti dei creditori chirografari i quali non avevano allora e non avrebbero oggi la possibilità di ricavare alcunché dalla vendita forzata dell'immobile. Anche questo motivo di appello è infondato. Infatti, quanto ai punti sub a,b,c) come si è detto, l'eventus damni può consistere anche in un atto dispositivo che, senza diminuire il patrimonio del debitore, determini una variazione anche solo qualitativa del patrimonio dello stesso tale da rendere più incerto o più difficile il soddisfacimento del credito. Infatti, il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito. Nella specie, la circostanza che il prezzo di acquisto dell'immobile fosse o meno congruo rimane dunque assorbita nel pregnante rilievo che l'eventus damni è , per quanto sopra detto, di per sé ravvisabile nella variazione qualitativa del patrimonio del debitore laddove il bene immobile, per sua natura facilmente aggredibile dai creditori, è stato sostituito da denaro bene per antonomasia volatile e quindi più facilmente disperdibile. Per quanto riguarda poi il punto sub d) ossia la presenza sul capannone, di ipoteca del valore di Euro 1.800.000,00, per un debito residuo tale da assorbirne l'intero valore, la stessa secondo la giurisprudenza della Cassazione non è comunque idonea ad escludere l'eventus damni. Infatti, "in tema di azione revocatoria ordinaria, l'esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l'intero valore, non esclude la connotazione di quell'atto come "eventus damni" (presupposto per l'esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria" (Cass n. 11892 / 13). Peraltro, deve aggiungersi che, nella specie, la previsione della natura non liberatoria dell'accollo del mutuo ipotecario in capo alla venditrice (...) (doc. 6 Fall.) ha determinato una dismissione del bene immobile a fronte della permanenza in capo alla stessa dell'obbligazione di pagamento dell'importo di Euro 908.597,52: circostanza che, oltre a denotare un'anomala modalità di versamento del prezzo della compravendita, costituisce una eclatante compromissione della garanzia patrimoniale della società (...) in pregiudizio dei creditori della medesima. 3. Con il quinto motivo di gravame l'appellante si duole della pronuncia impugnata laddove il Tribunale, ha affermato la natura pregiudizievole della vendita a (...) da parte di (...) della quota del 70% della propria partecipazione sociale della (...) srl. Sostiene, a tale riguardo, che contrariamente a quanto statuito dal giudice di prime cure in adesione alle risultanze della CTU contabile disposta, non vi fosse alcuna sproporzione tra il valore delle suddette partecipazioni sociali e il prezzo di vendita delle stesse. Anche questo motivo di appello non è fondato. Infatti, le medesime considerazioni sopra svolte vanno ribadite anche in ordine alla sussistenza dell'eventus damni con riferimento all'avvenuta cessione a (...) delle quote societarie della (...) da parte della società L.. Invero anche l'atto di trasferimento delle quote, peraltro intervenuto a pochi mesi dalla compravendita del capannone, ha determinato una variazione qualitativa nel patrimonio del debitore, atteso che, come già detto, mentre il denaro è bene distraibile per eccellenza, le quote societarie, invece, sono bene infungibile, soggette a registrazione e pignorabili a norma dell'art. 2471 c.c. e, pertanto caratterizzate da una minor volatilità del denaro che come tale rende più incerto e difficoltoso il soddisfacimento del credito. 4. Con il sesto e settimo motivo di gravame l'appellante contesta la scientia damni in capo al debitore. Deduce, a tale riguardo, che tali operazioni hanno consentito alla società (...) di proseguire nella propria attività d'impresa alleggerita da gravami fiscali ed agevolata dall'aumento di liquidità e che, quindi, il debitore fosse non consapevole di arrecare ai creditori un danno attraverso il compimento dell'atto dispositivo. In particolare, attraverso l'operazione negoziale complessivamente considerata, la società (...) aveva intenzione di appianare le proprie passività ; decidendo di "monetizzare alcuni dei propri beni (capannone e quote D.), vendendoli sul libero mercato e ricavando in questo modo indubbiamente DI PIÙ di quanto i creditori avrebbero potuto ottenere aggredendoli in via esecutiva" (così pag. 53 atto di appello). La censura è infondata. Risulta dalla documentazione versata in atti che a decorrere dal 5.05.2012 U. aveva revocato i fidi bancari concessi in bonis alla (...) in relazione allo scoperto di conto corrente n.(...) per la somma pari ad euro111 .272,38, e che nel luglio 2012 la società aveva conferito mandato legale per la proposizione di un concordato stragiudiziale. Tali circostanze, indicative della consapevolezza della situazione di insolvenza nella quale versava la debitrice, poi, fallita, unitamente considerate alle modalità con le quali la stessa società nei mesi immediatamente successivi (agosto- dicembre 2012) ha compiuto atti dispositivi attraverso i quali, sostituendo beni facilmente aggredibili in via esecutiva con beni , quali il denaro, facilmente distraibili dall'azione esecutiva, costituiscono idonea prova, della scientia damni in capo a L.. 5. Con l'ottavo motivo di gravame l'appellante censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato il consilium fraudis in capo a (...). Sostiene a tale riguardo che le circostanze valorizzate dal giudice di prime cure a tal fine siano insussistenti e, comunque, inidonee a provare la consapevolezza dell'odierna appellante dello stato di insolvenza della (...) e del pregiudizio arrecato ai creditori della medesima attraverso le operazioni negoziali compiute. La censura è infondata. In via generale va detto che la valutazione del profilo soggettivo in termini di c.d. scientia damni, ossia di consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio arrecato al creditore, può essere provata anche tramite presunzioni, l'apprezzamento delle quali è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (tra le tante, Cass., 17 agosto 2011, n. 17327; Cass., 5 marzo 2009, n. 5359). In questo senso assumono rilievo anche le qualità delle parti, le modalità e tempistiche del negozio, rispetto alle pretese del creditore ( Cass. n. 25016/08). Inoltre, ai fini della valutazione del profilo soggettivo nel terzo acquirente è sufficiente la consapevolezza, che, mediante l'atto di disposizione, il debitore diminuisca il proprio patrimonio e, quindi, la garanzia spettante ai creditori, ai sensi dell'art. 2740 c.c., in modo tale da recare pregiudizio alle ragioni di costoro. Tanto premesso, come osservato dal giudice di primo grado la consapevolezza da parte de terzo acquirente (...) del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie mediante l'operazione commerciale posta in essere con (...), si desume, anzitutto, dalla commistione tra debitore e terzo , in quanto l'avvocato (...) di Lentini, incaricato da (...) in data 26.7.2012 proprio per la gestione della crisi aziendale, deteneva il 34% della (...) ed era associato con il legale rappresentante della (...) (P.M.) nello studio legale "(...) avvocati e commercialisti associati" ; nonché dalla contiguità temporale tra il conferimento dell'incarico (luglio 2012) e il compimento degli atti dispositivi del patrimonio (agosto e dicembre 2012) . Circostanze alla luce delle quali, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, risultano idonee a provare il consilium fraudis di (...). Del resto le stesse modalità della vendita dell'immobile con la previsione della natura non liberatoria dell'accollo denotano l'anomalia dell'operazione avvalorata ulteriormente dalla contiguità temporale del trasferimento delle quote sociali e quindi dello spoglio della (...) in un momento di crisi conclamata che (...) per quanto sopra detto non poteva certo ignorare. Infatti, (...) Srl, oltre a essere pagata in quota-parte mediante accollo non liberatorio del mutuo ipotecario e oltre a privarsi di ulteriore liquidità anticipando alla locatrice (...) due annualità del canone di locazione, si privava anche della residua quota-parte corrisposta in forma "liquida" (pari Euro 475.859,75) consegnando gli assegni bancari all'Avv. (...) ( come detto, legale e socio della parte acquirente) e rimettendo la disponibilità di tali somme al consenso scritto della parte acquirente (...) Srl. Viene, inoltre, previsto "che sia la soc. (...) Srl ad effettuare, su mandato scritto della soc. (...) Srl, il pagamento diretto nei confronti di alcuni creditori della ridetta soc. venditrice" ( verbale 7-8-2012 sottoscritto dai legali rappresentanti di (...) e di (...) doc 62 mem 183 n. 2 deposito integrativo fasc I grado). Questa modalità di pagamento non fisiologica rende manifesta la sussistenza del consilium fraudis in capo a (...). 6. Con il nono motivo di gravame l'appellante censura l'omessa pronuncia da parte del Tribunale della domanda subordinata di (...) volta a limitare il diritto del Fallimento a soddisfarsi sul ricavato della vendita forzosa del capannone e delle quote (...), detratto l'importo residuo del mutuo (...) di cui (...) continuerebbe ad essere debitrice (circa Euro 600.000,00 al gennaio 2021), oltre ai costi di ripristino/sistemazione del tetto del capannone. La censura è destituita di fondamento. Sebbene in giudice di prime cure non abbia motivato in ordine a tale domanda, deve osservarsi come essa risulti inammissibile, atteso che il credito in esame, costituendo una quota- parte del prezzo versato per la compravendita del capannone dall'odierna appellante alla società (...) in bonis, dovrà essere accertato secondo le norme del capo V l. fall. e cioè nell'ambito della verifica dello stato passivo e del giudizio di opposizione già pendente. Le medesime considerazioni valgono in ordine alla domanda ulteriormente subordinata di condanna del fallimento a versare all'appellante l'indennità di occupazione senza titolo dell'immobile per il periodo dal settembre 2014 sino al rilascio del bene avvenuto in data 14-3-18. Dunque si tratta di domande improcedibili in questa sede, e per tale ragione vengono rigettate. L'appello è, dunque, accoglibile limitatamente al capo della sentenza relativo alla revoca del contratto di locazione, dovendosi per il resto confermare la sentenza di primo grado. 8. Venendo, quindi, alla disciplina delle spese di lite, è consolidato il principio di diritto secondo cui ex art. 336 c.p.c. comma 1 "la riforma della sentenza di primo grado, anche parziale, ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata ( cosiddetto effetto espansivo interno) e determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice di appello, di provvedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse"(Cass.n. 13059/17). Nel caso di specie, considerato l'esito complessivo della lite che ha visto revocare due atti rispetto ai tre richiesti dal fallimento, la nuova regolazione delle spese alla luce della soccombenza finale comporta tra il Fallimento (...) srl e (...) srl la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio e di ctu in ragione del 30%, e la condanna (...) al pagamento del residuo 70% a favore dell'appellata, che si liquidano come da dispositivo sulla base del valore della lite, delle questioni trattate e delle tariffe professionali vigenti. P.Q.M. La Corte di appello di Milano, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ed assorbita ogni diversa istanza ed eccezione, in parziale accoglimento dell'appello proposto da (...) s.r.l. avverso la sentenza n. 74 del 2021 del Tribunale di Lodi così provvede: - Rigetta la domanda di Fallimento (...) di revoca del contratto di locazione stipulato tra (...) srl e (...) srl; - conferma nel resto la sentenza impugnata; - compensa le spese di lite tra le parti per entrambi i gradi di giudizio nella misura del 30%, e condanna (...) srl al pagamento del residuo 70%, liquidate per l'intero in complessivi Euro 14.100,00 oltre iva e c.p.a. e rimborso forfetario spese generali per il primo grado, oltre spese di CTU come liquidate, e in complessivi Euro 10.000,00 oltre iva e c.n.p.a. e rimborso forfetario spese generali per il presente grado. Così deciso in Milano il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/1/2022 della Corte d'appello di Cagliari, Sezione staccata di Sassari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giovanni Liberati; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 26 gennaio 2022 la Corte d'appello di Cagliari, Sezione staccata di Sassari, ha respinto l'impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 16 dicembre 2019 del Tribunale di Sassari, con la quale lo stesso era stato dichiarato responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 3, (ascrittogli per avere, quale proprietario e utilizzatore di un terreno della superficie di circa 500 mq., realizzato una discarica non autorizzata di rifiuti, almeno in parte pericolosi, depositando sul suolo in modo incontrollato lastre e frammenti di eternit, tubature e materiale plastico e metallico, residui di demolizioni, pneumatici usati, elettrodomestici dismessi e parti di ricambio di automobili), venendo condannato alla pena di un anno di arresto e 6.000,00 Euro di ammenda, con la confisca dell'area, di cui l'imputato era stato condannato a eseguire a proprie spese il ripristino e la bonifica. 2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi. 2.1. In primo luogo, ha denunciato l'inosservanza e l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 192, comma 1, articolo 255, comma 1 e articolo 256, commi 2 e 3, a causa della affermazione della realizzazione nel proprio fondo di una discarica abusiva, in quanto la presenza dei rifiuti non aveva interessato tutta l'area, della superficie di 500 mq., ma solo una porzione di essa, essendo emerso dall'istruttoria che i rifiuti erano prevalentemente concentrati all'interno, o in prossimita' o nei dintorni delle costruzioni ivi esistenti, e altri erano stati inglobati in tali fabbricati venendo utilizzati per il completamento delle strutture, mentre la restante parte dell'area o non era interessata dalla presenza di rifiuti o lo era in minima parte, essendo sparsi e in numero esiguo. Tanto premesso, stante l'assenza di una attivita' di gestione dei rifiuti, ha affermato che la condotta, in considerazione delle dimensioni dell'area occupata e della quantita' di rifiuti ivi depositati, avrebbe dovuto essere qualificata come di deposito incontrollato di rifiuti, richiamando la sentenza n. 25548 del 2019, con la conseguenza che, non essendo il ricorrente titolare di imprese ne' responsabile di enti, la condotta avrebbe dovuto essere qualificata come illecito amministrativo ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 192, comma 1, e articolo 255, comma 1. 2.2. In secondo luogo, ha lamentato la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione, determinanti travisamento di prove decisive, costituite dalle fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi e dalle dichiarazioni del Maresciallo dei Carabinieri (OMISSIS), travisamento che aveva condotto alla erronea qualificazione della condotta, in quanto dalle fotografie dello stato dei luoghi che offrivano una visuale piu' ampia e che ne estendevano la panoramica si ricavava che i rifiuti erano concentrati o ammassati in una sola porzione dell'area, o all'interno dei fabbricati, o al di sopra di essi, o intorno a essi poggiati sui relativi muri, o, infine, integrati nelle strutture degli stessi, concentrati in una sola porzione dell'area e non per la sua intera estensione; il Maresciallo (OMISSIS), inoltre, aveva riferito che i copertoni per auto erano per lo piu' utilizzati per fissare le coperture dei fabbricati e gli altri rifiuti erano disseminati nell'area, ossia sparpagliati, e non accumulati, come erroneamente ritenuto sia dal Tribunale sia dalla Corte d'appello, che aveva anche, altrettanto erroneamente, affermato che i rifiuti erano coperti di ruggine, benche' cio' non emergesse dalle fotografie acquisite, tra l'altro in bianco e nero, e da erbacce, posto che tale ultimo aspetto riguardava solo una piccola parte dei rifiuti. 2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera t), e articolo 256, commi 2 e 3, a causa della omessa considerazione dell'esistenza di una attivita', seppure rudimentale, diretta al riutilizzo dei rifiuti, circostanza che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a qualificare la condotta come deposito incontrollato di rifiuti anziche' come discarica abusiva, in quanto una parte dei materiali presenti nel fondo del ricorrente erano stati riutilizzati come materiale da costruzione ed erano stati inglobati nei fabbricati ivi esistenti. 2.4. Con il quarto motivo ha lamentato la violazione e l'erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera a), e articolo 256, commi 2 e 3, e della L. n. 257 del 1992, articolo 2, comma 1, lettera c) e articolo 15, a causa della qualificazione come rifiuti delle lastre di amianto utilizzate come copertura dei fabbricati rurali presenti nel fondo di proprieta' del ricorrente, in quanto tale destinazione funzionale ne escludeva la qualificabilita' come rifiuti, che richiede la volonta' o l'obbligo di disfarsi degli oggetti, tenendo conto del fatto che non era stata accertata la pericolosita' delle lastre di amianto in riferimento alla eventualita' del rilascio di fibre aerodisperse nell'ambiente. 2.5. Con il quinto motivo ha denunciato una ulteriore violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera bb), e articolo 256, commi 2 e 3, sempre con riferimento alla esclusione della qualificabilita' della condotta come deposito incontrollato di rifiuti, avendo erroneamente la Corte d'appello fatto riferimento al deposito temporaneo. 2.6. Anche con il sesto motivo ha lamentato la violazione e l'errata applicazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, commi 2 e 3, sempre con riferimento alla esclusione della configurabilita' di un deposito incontrollato di rifiuti, non essendo stata adeguatamente considerata la pluralita' dei conferimenti ripetuti nel tempo, che e' elemento costitutivo anche del deposito incontrollato di rifiuti e lo distingue dall'abbandono. 2.7. Con un settimo motivo ha lamentato un vizio della motivazione nella considerazione della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, fondata sulla qualificazione della condotta come volta alla realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti, e della ordinanza di rigetto di tale richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, che non aveva condiviso tale qualificazione ritenendo configurabile una discarica abusiva, e anche della sentenza n. 203 del 2021 del Tribunale di Sassari, relativa alla contestazione di condotta analoga ad altri soggetti proprietari di un fondo limitrofo nel quale pure erano stati depositati in modo incontrollato rifiuti, in quanto i contrasti interpretativi desumibili da tali provvedimenti avrebbero dovuto indurre a escludere la responsabilita' dell'imputato. 2.8. Infine, con l'ottavo motivo, ha denunciato la violazione e l'errata applicazione dell'articolo 163 c.p., comma 1, articolo 164 c.p., comma 4, e articolo 167 c.p., comma 1, a causa della esclusione del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, fondata sul precedente riconoscimento del medesimo beneficio da parte del Tribunale di Sassari con sentenza del 8 ottobre 1985, irrevocabile il 23 gennaio 1986, e sul fatto che le pene inflitte con le due sentenze superano il limite di due anni stabilito dall'articolo 163 c.p., non essendo stato considerato che tale beneficio avrebbe potuto essere concesso una seconda volta ai sensi dell'articolo 164 c.p., comma 4, essendosi estinto il reato oggetto della precedente condanna (si richiama la sentenza n. 22872 del 2018). Ha, inoltre, eccepito la sopravvenuta estinzione per prescrizione del reato ascrittogli, essendo decorso il relativo termine quinquennale il 21 marzo 2022, ovvero, al piu' tardi, considerando il sequestro dell'area, disposto con ordinanza del 27 marzo 2017, il 27 marzo 2022. 3. Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte per l'inammissibilita' del ricorso, sottolineando la correttezza della qualificazione come discarica abusiva dell'area oggetto delle condotte del ricorrente, per la presenza di numerosi elementi sintomatici di tale reato, quali l'accumulo (piu' o meno sistematico), ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata, l'eterogeneita' dell'ammasso dei beni accantonati, la condizione di degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali (promiscui, pericolosi e non pericolosi, con tracce di ruggine e con erbacce, non rimossi e accumulati indistintamente, con evidente dismissione senza alcuna possibilita' di riutilizzo), e anche del diniego del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, per il precedente penale ostativo, per la rilevata pervicacia del proposito criminoso e per la mancata bonifica del terreno interessato dalla condotta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, peraltro pressoche' riproduttivo dell'atto d'appello, i cui motivi sono stati tutti adeguatamente e correttamente considerati dalla Corte territoriale, e' manifestamente infondato. 2. Il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto con essi e' stata denunciata la violazione di disposizioni di legge penale e il travisamento delle prove sempre nella prospettiva che tali violazioni e travisamenti avrebbero erroneamente determinato la qualificazione giuridica della condotta come di realizzazione di una discarica abusiva anziche' come deposito incontrollato di rifiuti, da ricondurre nel caso specifico all'illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 192, comma 1 e articolo 255, comma 1, sono tutti manifestamente infondati, in quanto tendono, attraverso la prospettazione di violazioni di disposizioni di legge penale e di vizi della motivazione, a conseguire una indebita rilettura e riconsiderazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di pervenire a una diversa qualificazione della condotta, che, invece, e' stata correttamente valutata e qualificata dai giudici di merito, sulla base di una lettura non manifestamente illogica delle risultanze istruttorie, non suscettibile di rivisitazione nel giudizio di legittimita'. La Corte d'appello, nel disattendere gli analoghi rilievi proposti dall'imputato con l'atto di gravame, ha ribadito la configurabilita' di una discarica abusiva sottolineando la trasformazione dei luoghi realizzata dal ricorrente attraverso plurimi conferimenti di rifiuti di vario genere (lastre in eternit, una canna fumaria pure in eternit, frammenti del medesimo materiale, tubature in ferro, sanitari dismessi, lavabi, materiale plastico e ferroso, una batteria esausta per automobili, pneumatici usati, frigoriferi e congelatori dismessi, materiale di risulta di cantieri edili e tegole), sparsi dappertutto e alla rinfusa nel fondo di proprieta' dell'imputato per una estensione di circa 500 mq., non solamente in corrispondenza dei fabbricati rurali ivi insistenti, alcuni poggiati sul suolo e altri a lato o sopra i manufatti, in completo stato di abbandono, parzialmente ricoperti di erbacce o di ruggine. Si tratta di considerazioni che costituiscono corretta applicazione dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza di legittimita' per poter ritenere configurabile una discarica abusiva, che il ricorrente ha censurato esclusivamente sul piano della valutazione delle risultanze istruttorie, contestando l'occupazione di tutta l'area e la sua trasformazione per effetto e in conseguenza dei plurimi conferimenti di rifiuti nella stessa effettuati dal ricorrente, in tal modo proponendo una non consentita rivisitazione di dette risultanze. La valutazione dei giudici di merito risulta, infatti, pienamente coerente con la definizione normativa di discarica e con l'insegnamento della giurisprudenza di legittimita' secondo cui "ai fini della configurabilita' del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, e' sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitivita', in considerazione delle quantita' considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attivita' di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata" (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918; nonche' Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Cotto, Rv. 269914, nella quale e' stato chiarito che ai fini della configurabilita' del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata e' sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitivita', in considerazione delle quantita' considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attivita' di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata; e, in precedenza, Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996, e Sez. 3, n. 27296 del 12/05/2004, Micheletti, Rv. 229062). Nel caso in esame e' stata, quindi, correttamente affermata la configurabilita' di una discarica abusiva, per la presenza di plurimi elementi sintomatici, come l'accumulo (piu' o meno sistematico), ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata e per un'ampia estensione della stessa; l'eterogeneita' dell'ammasso dei beni accantonati; la condizione di degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali (promiscui, pericolosi e non pericolosi, con tracce di ruggine e con erbacce, non rimossi e accumulati indistintamente, con evidente dismissione senza possibilita' di riutilizzo). La valutazione, concorde, dei giudici di merito circa la concludenza e l'univocita' di detti elementi, ai fini della configurabilita' di una discarica abusiva, che e' stata ritenuta desumibile sulla base di quanto emergente dalle deposizioni degli operanti, dai rilievi fotografici e dal verbale di sequestro, costituisce giudizio di fatto non sindacabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimita', come invece inammissibilmente proposto dal ricorrente (che ha anche richiesto una non consentita rivalutazione di quanto emergente dalle fotografie dello stato dei luoghi allegate al ricorso), e le conclusioni che ne sono state tratte, sul piano della qualificazione della condotta, risultano corrette in diritto, cosicche' le censure del ricorrente, che ha sostenuto la riconducibilita' della propria condotta all'ipotesi del deposito incontrollato di rifiuti, risultano, sotto questo profilo, manifestamente infondate. In tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attivita' di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell'area occupata e sulla quantita' dei rifiuti depositati (Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 276009, nonche' Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384, che ha chiarito la configurabilita' di una discarica abusiva nell'ipotesi di abbandono di rifiuti reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi). Nel caso in esame la Corte di appello ha correttamente escluso la ricorrenza del deposito incontrollato evidenziando le caratteristiche, l'eterogeneita', l'apprezzabile quantitativo dei rifiuti in rapporto alla estensione dell'area, la ripetizione nel tempo delle condotte di abbandono, la trasformazione e il degrado dell'area (desunta dalla corrosione dalla ruggine e dalla presenza di sterpaglie). Deve, dunque, concludersi per l'inammissibilita' delle censure formulate dal ricorrente con il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso, sia a causa del loro contenuto non consentito, per essere volte a conseguire una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non essendosi in presenza di travisamenti delle prove (ossia di prove che non esistono o di risultati di prova incontestabilmente diversi da quello reale), sia a cagione della loro manifesta infondatezza, quanto alla qualificazione giuridica della condotta. 3. Il quarto motivo, relativo alla errata qualificazione come rifiuto delle lastre di amianto utilizzate come copertura dei fabbricati rurali presenti nel fondo di proprieta' del ricorrente, e' manifestamente infondato, essendo volto, anch'esso, a censurare un accertamento di fatto che e' stato logicamente motivato dalla Corte d'appello, sottolineando l'improprio riutilizzo da parte del ricorrente di lastre di amianto (chiaramente abbandonate e di cui dunque l'originario detentore si era disfatto, con la conseguente qualificabilita' delle stesse come rifiuti ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, comma 1, lettera a), come copertura di detti fabbricati rurali, in assenza di qualsiasi operazione finalizzata al recupero di dette lastre, la cui pericolosita', per la idoneita' alla dispersione di fibre di amianto, si ricava, senza necessita' di indagini tecniche o di accertamenti specifici da parte della ASL o dell'ARPA, dalle modalita' del loro improprio riutilizzo da parte del ricorrente e dalle loro condizioni di conservazione. Va, infatti, ricordato che la classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, potendo legittimamente fondarsi anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri (Sez. 3, n. 33102 del 07/06/2022, Bartucci, Rv. 283417; conf.: Sez. 3, n. 7705 del 28/06/1991, De Vita Rv. 187805), e che l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimita', se, come nel caso in esame, sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (cfr. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schpis, Rv. 276009, citata, e Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012, Fiorenza, Rv. 252445). 4. L'ottavo motivo, relativo al diniego della sospensione condizionale della pena, e' manifestamente infondato, in quanto la riconoscibilita' di tale beneficio e' stata esclusa sulla base della negativa prognosi di non recidivanza formulata sul conto del ricorrente, fondata, in modo logico e non censurabile sul piano delle valutazioni di merito, sulla reiterazione delle condotte (chiaramente ripetute nel corso del tempo, come si ricava dalla pluralita' di rifiuti presenti nel fondo del ricorrente e dalle condizioni dello stesso) e sulla mancata bonifica del terreno, benche' imposta con ordinanza sindacale del 26 settembre 2017, con la conseguente irrilevanza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della possibilita' di ottenere per una seconda volta tale beneficio, anche in considerazione della estinzione del reato di cui alla precedente condanna (che peraltro non e' stato neppure indicato). 5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza e il contenuto non consentito di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. L'inammissibilita' originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado ed eccepita dal ricorrente, giacche' detta inammissibilita' impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita', e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche' Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966). Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente Dott. AMBROSI Irene - Consigliere Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 38195-2019 R.G. proposto da: (OMISSIS) S.p.A., in persona dell'Amministratore delegato e rappresentante legale, (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), dall'avvocato (OMISSIS) e dall'avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest'ultimo, (OMISSIS); - ricorrente - contro PROVINCIA DI NOVARA, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS) e dall'avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest'ultimo, via (OMISSIS); - controricorrente - e nei confronti di (OMISSIS) S.r.L.; (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS); - intimati - avverso la sentenza n. 1648-2019 della Corte d'Appello di Torino, depositata in data 10 settembre 2019, notificata in data 17 settembre 2019. Udita la relazione del consigliere Marilena Gorgoni. Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore Giovanni Battista Nardecchia, che si e' riportato alle conclusioni scritte con cui aveva chiesto il rigetto del ricorso. Udito l'avvocato (OMISSIS) per (OMISSIS) S.p.A.; Udito l'avvocato (OMISSIS), su delega dell'avvocato (OMISSIS), per la Provincia di Novara. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) S.p.A. ricorre, affidandosi a sette motivi, illustrati con memoria, per la cassazione (parziale) della sentenza n. 1648-2019 emessa dalla Corte d'Appello di Torino, resa pubblica il 10/10/2019, notificata il 17/09/2019. Resiste con controricorso la Provincia di Novara. Nessuna attivita' difensiva e' svolta in questa sede da (OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rimasti intimati. La ricorrente rappresenta, nella descrizione del fatto, di essere la societa' mandataria dell'associazione temporanea di imprese alla quale, con contratto del 7 gennaio 2002, (OMISSIS) aveva affidato i lavori di manutenzione straordinaria delle linee ed impianti ferroviari dell'unita' territoriale infrastrutture Linee Torino Nodo e Nord est, compresi gli interventi di rigenerazione e di risanamento della massicciata ferroviaria, e di essere stata, in tale qualita', convenuta, dinanzi al Tribunale di Novara, dalla Provincia di Novara che lamentava che grossi quantitativi del pietrisco ferroviario rimosso, durante l'esecuzione dei lavori, dalla massicciata della via ferroviaria Arona-Alessandria, anziche' essere smaltito attraverso una ditta specializzata, fosse stato ceduto, attraverso la (OMISSIS) S.r.L., a diversi agricoltori della zona che lo avevano utilizzato per opere di riempimento e di manutenzione delle strade interpoderali vicinali situate nei comuni di Vespolate e di Nibbiola. La Provincia sosteneva di aver dovuto provvedere alla realizzazione delle opere di risanamento e di bonifica dei territori interessati dall'uso del materiale di risulta, rivelatosi, a seguito di esame analitico, un rifiuto pericoloso, perche' conteneva amianto in misura superiore a 1000 mg/kg, e chiedeva che l'odierna ricorrente, (OMISSIS), all'epoca capo cantiere di (OMISSIS) S.p.A., la (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentante legale della (OMISSIS), fossero condannati, anche in solido, al risarcimento del danno, muovendo dall'assunto che il contratto di appalto con (OMISSIS)na avesse previsto l'obbligo dell'appaltatrice di provvedere allo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla realizzazione delle opere commissionate. (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati gia' condannati dal Tribunale penale di Novara, con la sentenza n. 599/2007, per i reati loro ascritti ed erano stati altresi' condannati, in solido con (OMISSIS) S.p.A. e con (OMISSIS), nella veste di responsabili civili, a risarcire la Provincia di Novara, costituitasi parte civile, dei danni, patrimoniali e non, da liquidarsi, previo svolgimento di ulteriori approfondimenti istruttori, in separato giudizio ed al pagamento di una provvisionale di Euro 100.000,00. La Corte penale d'Appello di Torino, con la sentenza n. 18705/2010, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), per essere i reati per i quali era stata pronunciata condanna in primo grado estinti per prescrizione, ma aveva confermato le statuizioni civili della sentenza di prime cure. Costituendosi nel giudizio civile dinanzi al Tribunale di Novara, (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano chiesto, senza ottenerla, l'autorizzazione a chiamare in causa (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), gli agricoltori cui sarebbe stato ceduto il materiale di risulta, il rigetto della domanda nonche', in via subordinata, la determinazione dell'entita' delle responsabilita' di ciascuno dei convenuti. (OMISSIS) S.p.A. aveva chiesto il rigetto di tutte le domande formulate nei suoi confronti. Riassunto il giudizio nei confronti degli eredi di (OMISSIS), nelle more del giudizio deceduto, il Tribunale di Novara, con la sentenza n. 133/2018, condannava in solido (OMISSIS), gli eredi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a corrispondere alla Provincia di Novara la somma complessiva di Euro 1.522.207,20. La Corte d'Appello di Novara, con la sentenza oggi impugnata, ha accolto parzialmente il gravame della societa' ricorrente ed ha ridotto l'importo spettante alla Provincia di Novara, a titolo risarcitorio, di Euro 100.000,00, corrispondente alla provvisionale accordatale in esito al giudizio penale, ha confermato le restanti statuizioni ed ha provveduto a regolare le spese di lite. Si da' preliminarmente atto che con ordinanza interlocutoria n. 91/22, in considerazione della necessita' di esaminare questioni di rilevanza nomofilattica, questa Corte ha rimesso la trattazione del ricorso alla pubblica udienza che si e' svolta in data odierna con discussione orale, come richiesto da (OMISSIS) S.p.A. Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore Giovanni Battista Nardecchia, ha chiesto il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con il primo motivo la societa' ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'articolo 342 c.p.c.. Oggetto di censura e' la statuizione di rigetto del primo motivo di gravame, nella parte in cui: a) era stato lamentato che il giudice di prime cure avesse omesso ogni accertamento circa la sussistenza del fatto dannoso, avendolo ritenuto gia' accertato in sede penale e coperto da giudicato, e avesse erroneamente applicato la giurisprudenza di questa Corte - Cass. n. 2083/2013 - secondo la quale nel giudizio civile e' possibile contestare l'esistenza e l'entita' del pregiudizio risarcibile ed il giudice civile puo' giungere a conclusioni diverse in ordine all'an ed al quantum debeatur; b) era stato dedotto che il Tribunale avrebbe dovuto rivalutare tutto il materiale probatorio versato in atti e pronunciarsi sia sull'an sia sul quantum. La sentenza impugnata ha affermato che "quanto all'impugnazione della parte della sentenza che si e' pronunciata in ordine all'efficacia in sede civile delle due sentenze penali che si sono occupate della vicenda... il motivo di appello si concretizza nella mera riproposizione delle difese svolte in primo grado circa l'inesistenza di un "giudicato penale" che possa avere rilievo in sede civile ex articolo 652 c.p.p.". La Corte territoriale ha aggiunto, pero', che il Tribunale aveva ritenuto non pertinente la disposizione di cui all'articolo 652 c.p.p., "atteso che in caso di costituzione di parte civile nel processo penale la sentenza di condanna anche solo generica al risarcimento danno (o ancora la sentenza che condanni al pagamento di una provvisionale come avvenuto nel caso concreto) integra una vera e propria statuizione civile contenuta nella sentenza penale che da' luogo a tutti gli effetti a un "giudicato civile" (sebbene formalmente contenuto in una sentenza penale) e come tale e' vincolante in ogni altro giudizio civile tra le stesse parti in cui si verta delle obbligazioni risarcitorie e/o restitutorie conseguenti al fatto accertato". La conclusione della sentenza impugnata e' stata che (OMISSIS) S.p.A., insistendo sul fatto che nel caso di sentenza penale che dichiari estinto il reato per prescrizione non vi sarebbe un giudicato penale e fondando la propria censura sull'autonomia del giudizio civile da quello penale, non ha colto la ratio decidendi della decisione del Tribunale (pp. 15-16 della sentenza). Di qui l'inammissibilita' di questa parte del motivo di appello. La pronuncia n. 1648-2019 ha dichiarato inammissibile anche la seconda parte del motivo di gravame - quella in cui veniva contestato che il Tribunale non avesse correttamente applicato la giurisprudenza di legittimita' in ordine alla rivalutabilita' da parte del giudice civile dell'an e del quantum del danno - perche' il Tribunale aveva illustrato le ragioni che lo avevano persuaso a superare l'indirizzo giurisprudenziale invocato da (OMISSIS) S.p.A. e a ritenere coperto da giudicato anche l'an debeatur: tale specifica ragione sottesa alla decisione del Tribunale e' stata ritenuta dalla Corte territoriale non impugnata. La strategia difensiva della societa' ricorrente e' cosi' articolata: a) la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile il motivo per violazione dell'articolo 342 c.p.c.; b) avrebbe errato anche quando si e' pronunciata nel merito del motivo di appello, essendosi spogliata della sua potestas iudicandi nel momento in cui aveva dichiarato il motivo di gravame inammissibile; la decisione di merito sarebbe stata resa solo ad abundantiam, senza alcun riflesso sulla decisione, con conseguente difetto di un onere o di un interesse ad impugnarla. 1.1.) In primo luogo, si osserva che parte ricorrente non coglie nel segno quando afferma che la Corte distrettuale ha giudicato inammissibile il motivo di appello, ex articolo 342 c.p.c., perche' invece la pronuncia di inammissibilita' non e' dipesa dalla aspecificita' del motivo di gravame, cosi' come inteso da (OMISSIS) S.p.A., cioe' dalla mancanza di compiute argomentazioni che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata ne incrinassero il fondamento logico-giuridico, bensi' dal fatto che la censura mossa alla pronuncia del Tribunale non ne avesse colto la ragione giustificativa, proponendo anzi riproponendo argomentazioni non pertinenti e inidonee a confutarla. E (OMISSIS) S.p.A. continua ad errare, quando invoca l'applicazione del principio giurisprudenziale, secondo il quale il giudice, pronunciandosi per l'inammissibilita', si libera della potestas iudicandi e se aggiunge a quella di inammissibilita' una statuizione di rigetto nel merito del motivo di impugnazione lo fa ad abundantiam, senza che detta statuizione assurga a ratio decidendi impugnabile. Infatti, la decisione di secondo grado ha riservato la pronuncia di inammissibilita' anche ad un'altra delle parti in cui si articolava il motivo di gravame, quello con cui si imputava al Tribunale di non aver correttamente applicato la giurisprudenza di legittimita' in merito all'estensione degli effetti della pronuncia penale sull'esistenza del danno e sul nesso causale con l'illecito contrastato, perche' ha giudicato non censurata la ratio decidendi con cui il Tribunale aveva ritenuto che la giurisprudenza di legittimita' in ordine ai limiti del giudicato civile contenuto nella sentenza penale potesse essere superata nel caso concreto, assumendo che la sentenza penale non si era limitata a ritenere sussistente una generica potenzialita' lesiva del reato, ma era andata ben oltre, perche' aveva positiva-niente accertato l'esistenza dei danni dedotti, il nesso causale con l'illecito contestato. E' evidente, dunque, che la Corte di Torino, partendo dalla premessa che il motivo di gravame si articolasse in piu' "punti" (cfr. p. 17, II cpv. della sentenza), ha ritenuto i primi due inammissibili, concludendo, quindi, per la incontroverti-bilita' della decisione di prime cure quanto alla sussistenza della responsabilita' penale degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e della responsabilita' civile indiretta per fatto altrui delle societa' (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.r.L., all'insussistenza di esimenti nonche' alla ricorrenza del danno. Cosi' ricostruito l'iter logico-argomentativo di questa parte della sentenza di appello, il Collegio rileva innanzitutto che la strategia difensiva di parte ricorrente - riaffermata con pervicacia nella memoria e nel corso della discussione orale, ove (OMISSIS) ha inteso ribadire "con forza" che il giudice di secondo grado "non sarebbe neppure dovuto pervenire, stante la preliminare declaratoria di inammissibilita' del motivo di impugnazione" ad affermare la ricorrenza di un giudicato sull'accertamento dell'an debeatur - non ha colto appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata. (OMISSIS) S.p.A., a p. 15 del ricorso, riproduce, infatti, ma allo scopo di dimostrare di non essere incorsa nella violazione dell'articolo 342 c.p.c., il motivo di appello nella parte in cui contestava che il Tribunale avesse fatto corretta applicazione della pronuncia di questa Corte n. 2083/2013; li' si rinviene l'affermazione "ad una piu' attenta lettura, detta decisione non corroborava affatto l'iter argomentativo del Tribunale, ma enunciava un principio contrario a quello che il giudice intendeva affermare e cioe' che la sentenza penale, la quale, nel dichiarare estinto per amnistia il reato, pronunci condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidare in separato giudizio, spiega effetto vincolante nel giudizio civile quanto alla sussistenza del fatto reato nonche' quanto alla declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma non in merito all'esistenza ed all'entita' del pregiudizio concretamente risarcibile". Sostanzialmente - cioe' prescindendo dalla tecnica argomentativa adoperata il Collegio rileva che le contestazioni mosse alla sentenza di prime cure attraverso il primo motivo di appello convergevano su questo punto: il Tribunale civile di Novara avrebbe errato ritenendo provato l'an debeatur; le ulteriori argomentazioni difensive - circa la violazione del giudicato - erano strumentali a far si' che la Corte d'Appello rilevasse l'error iuris contenuto nella regola applicata dal Tribunale. Anche cosi' ricostruito, il motivo di ricorso non merita accoglimento. Deve darsi seguito all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "Nel caso di sentenza penale che, accertando l'esistenza del reato e la sua estinzione per prescrizione, abbia anche condannato in via definitiva al risarcimento dei danni verso la parte civile, rinviando al giudizio civile la liquidazione degli stessi, in quella sede ha effetto vincolante, in relazione alla declaratoria iuris, di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessita' dell'accertamento, in sede civile, dell'esistenza e dell'entita' delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come "potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione casuale tra questo e i pregiudizi lamentato dai danneggiati (cfr., tra le decisioni piu' recenti, Cass. 04/10/2022, n. 28714; Cass. 02/08/2022, n. 23960; Cass. 05/05/2020, n. 8477). L'effetto della statuizione civile contenuta nella sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni comporta, una volta divenuta irrevocabile, il definitivo accertamento della responsabilita' civile dell'imputato, ostando a qualunque ulteriore valutazione sull'an della responsabilita' stessa innanzi al giudice civile. Qualunque sia la qualificazione giuridica attribuibile al fatto potenzialmente lesivo, anche alla luce della consolidata giurisprudenza sovranazionale in termini di idem factum, l'accertamento compiuto in sede penale fa si' che il giudice possa esclusivamente verificare la sussistenza della derivazione causale delle conseguenze pregiudizievoli allegate dai danneggiati ai fini della corretta definizione del danno risarcibile. La decisione assunta in sede penale non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla qualificazione del danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacita' lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilita' - di un nesso di causalita' tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato l'accertamento, riservato al giudice civile, in ordine al quantum del danno da risarcire. Entro tali limiti, detta condanna, una volta divenuta definitiva, ha effetti di giudicato sulla azione civile e portata onnicomprensiva, riferendosi ad ogni profilo di pregiudizio scaturito dal reato, ancorche' non espressamente individuato nell'atto di costituzione di parte civile o non fatto oggetto di pronunce provvisionali, che il giudice non abbia formalmente dichiarato di escludere nel proprio dictum (Cass. n. 4318/2019). Questa Corte, proprio con riferimento ad una vicenda processuale nella quale era stata invocata la sent. n. 14921/2010, la stessa richiamata ed applicata dal Tribunale di Novara, ha affermato quanto segue: "Sulla base di quest'ultima giurisprudenza deve concludersi nel senso che, quando si afferma che l'esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, implicito nell'accertamento del "fatto-reato", e' il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalita' materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l'indagine da compiere e' quella del nesso di causalita' giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (articolo 1223 c.c.)": cosi' Cass. n. 8477/2020, cit. Il fatto che vi sia stata la condanna al pagamento di una provvisionale conferma tale conclusione perche', come questa Corte, a Sezioni unite, sent. 14/10/2022, n. 29862, ha avuto occasione, di recente, di ribadire, "il presupposto per la pronuncia d'una condanna provvisionale e' la formulazione d'una domanda di condanna generica", essendo riconosciuta al giudice "la potesta' di pronunciare una condanna sommaria, nei limiti in cui, anche a prescindere dall'attivita' assertiva delle parti, la prova del danno sia comunque rifluita nel giudizio"; cio' che resta controverso in altri termini e' la quantificazione del danno, su cui manca la decisione, ma non la ricorrenza dello stesso. Deve, pertanto, concludersi che la sentenza penale aveva accertato la potenzialita' dannosa tanto del reato di danno quanto del nesso di causalita' materiale tra questo e la condotta dei responsabili, senza pronunciarsi, del tutto correttamente, sul nesso di causalita' giuridica che legava quell'evento di danno alle conseguenze dannose dell'illecito, ex articolo 1223 c.c., per l'accertamento delle quali aveva ritenuto necessaria di un'ulteriore indagine, rimessa al giudice civile chiamato ad effettuare altri accertamenti istruttori, circa la consistenza delle conseguenze pregiudizievoli dell'evento (al fine di procedere alla relativa liquidazione). Il motivo va, dunque, rigettato. 2) Con il secondo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d'Appello, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'articolo 342 c.p.c., per avere ritenuto inammissibili le sue istanze istruttorie, perche' vertenti su questioni coperte da giudicato e per non aver formulato uno specifico motivo di impugnazione avente ad oggetto le istanze istruttorie non ammesse in primo grado. Ancora una volta, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe giudicato erroneamente inammissibili le istanze istruttorie, valutandole nel merito e giudicandole vertenti su questioni coperte da giudicato, anziche' dichiararle non accoglibili, incorrendo nella violazione dell'articolo 342 c.p.c., perche', di fronte ad una statuizione di inammissibilita' del gravame, non avrebbe dovuto svolgere valutazioni di merito sulle istanze istruttorie, essendosi spogliata della potestas iudicandi. Ulteriore motivo di censura attiene al fatto che la Corte territoriale abbia sostenuto che non aveva specificamente censurato il mancato ingresso, nel giudizio di primo grado, delle istanze istruttorie dedotte in quella sede; la ricorrente ripropone la parte del suo atto di appello in cui aveva insistito perche' il giudice ammettesse una CTU, onde accertare l'esatto quantitativo di pietrisco prelevato dalla massicciata ferroviaria ed eventualmente distribuito sulle strade interpoderale interessate dall'intervento di risanamento e di bonifica in rapporto ai materiali lapidei gia' presenti in natura in dette aree, e quella in cui aveva ribadito la richiesta di prova testimoniale; lo scopo e' quello di dimostrare che le istanze istruttorie erano state riproposte in maniera specifica, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la quale, quindi, non avrebbe correttamente applicato l'articolo 342 c.p.c. Il Collegio rileva che la sentenza impugnata ha fondato su due autonome rationes decidendi la inammissibilita' delle istanze istruttorie: i) esse avevano ad oggetto questioni coperte da giudicato; ii) non era stato formulato uno specifico motivo di impugnazione avente ad oggetto le istanze istruttorie non ammesse in primo grado. Il ragionamento di parte ricorrente e' viziato dalla premessa erronea che la Corte d'Appello, giudicandole inammissibili per la ragione di cui alla lettera ii), si sia spogliata della propria potestas iudicandi, pronunciandosi sul merito delle istanze con una statuizione resa ad abundantiam. Detta premessa ha indotto parte ricorrente ad impostare in modo non adeguato la propria strategia difensiva, limitandosi, cioe', a confutare la ratio decidendi di cui alla lettera ii), mentre invece avrebbe dovuto confutarle entrambe. E' ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l'impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralita' di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l'uno dallo altro, e ciascuno, di per se' solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell'idoneita' al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 19/05/2021, n. 13595). Si tratta di una ragione sufficiente per ritenere inaccoglibile il motivo con assorbimento della censura relativa all'altra ratio decidendi della sentenza impugnata: ratio decidendi che, comunque, va corretta, giacche' non e' necessaria la proposizione di un motivo di appello per censurare il rigetto da parte del giudice di prime cure delle istanze istruttorie, bastando la riproposizione delle stesse (cfr. Cass. 4/07/2022, n. 10767, secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiche', diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all'ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilita' del vizio scaturente dall'asserita illegittimita' del diniego quale motivo di ricorso per cassazione). 3) Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, invocando l'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., comma 1, e degli articoli 2043 e 2697 c.c.. In particolare, (OMISSIS) S.p.A. deduce che la Corte d'appello avrebbe errato nell'interpretare ed esaminare il secondo motivo di appello, perche', contrariamente a quanto rilevato dal giudice a quo, esso non riguardava il principio di non contestazione, bensi' l'applicazione del principio dispositivo, tant'e' che il motivo era epigrafato "Violazione degli articoli 2697 e 2043 c.c. e dell'articolo 115 c.p.c., comma 1 sul quantum debeatun". Altro errore della Corte di secondo grado risiederebbe nell'aver ritenuto che la sua contestazione non avesse riguardato l'esecuzione dei lavori di bonifica e di risanamento, ossia una circostanza rilevante ai fini della quantificazione del danno; a tal proposito la ricorrente sostiene che la sua contestazione era stata ben piu' radicale avendo investito l'ali della pretesa risarcitoria e, quindi, in applicazione del principio secondo il quale la contestazione dell'an debeatur si estende al quantum, la Corte avrebbe dovuto ritenere contestato anche il quantum. Per finire, la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente equiparato l'accertamento circa la sussistenza del reato ambientale contenuta nella sentenza penale di condanna con l'accertamento dei requisiti per ritenere sussistente l'illecito aquiliano. E' necessario muovere da una premessa: le censure in cui si articola questo motivo hanno un fondamento comune, essendo volte a confutare la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto coperto dal giudicato penale l'an della pretesa risarcitoria. Il motivo e' dunque assorbito dal mancato accoglimento del primo motivo. 4) Con il quarto motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'articolo 1655, comma 5, e dell'articolo 2043 c.c.. La Corte territoriale, pur riconoscendo che la Provincia di Novara non aveva prodotto i mandati di pagamento relativi ai costi di bonifica e di risanamento, quindi, in assenza di prove attestanti la effettiva perdita patrimoniale subita, statuendo che il danno patrimoniale si era concretizzato per il solo fatto che i lavori appaltati fossero stati in tutto o in parte eseguiti, le avrebbe accordato il diritto al risarcimento del danno, in violazione del principio di postnumerazione, formalizzato dall'articolo 1655 c.p.c., comma 5, secondo cui, salvo diversa pattuizione o patto contrario, l'appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l'opera e' accettata. La Corte territoriale avrebbe violato il principio di postnumerazione anche quando ha disatteso il secondo motivo di appello, con cui veniva lamentato il fatto che il Tribunale avesse riconosciuto alla Provincia di Novara la somma di Euro 1.014.442,63, a ristoro dei costi per i lavori di bonifica affidati alla (OMISSIS) S.p.A., la quale, raggiunta da un'interdittiva antimafia, non aveva portato a compimento i lavori che le erano stati commissionati. In particolare, la sentenza impugnata, riconoscendo alla Provincia di Novara, il suddetto importo, anziche' quello di Euro 1.335.250,33, previsto quale corrispettivo dei lavori di bonifica, allo scopo di tener conto del fatto che era stata provata l'esecuzione parziale dei lavori commissionati alla (OMISSIS) S.p.A., avrebbe violato l'articolo 1665 c.c., comma 5, perche' gli anticipi sui lavori appaltati, sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, non costituiscono la prova del credito dell'appaltatore e specularmente non determinano l'insorgenza di un obbligo di pagamento a carico del committente. Ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata con il motivo qui scrutinato e' quella di avere violato l'articolo 2043 c.c., perche' se l'obbligo di pagamento del corrispettivo a favore dell'appaltatore non sorge in assenza del collaudo e dell'accettazione dell'opera, a maggior ragione non poteva dirsi insorto il danno patrimoniale a carico della Provincia. Innanzitutto, bisogna chiarire che un discorso e' contestare la ricorrenza della prova del danno e/o contestarne la quantificazione - ad esempio assumere che sia stato chiesto il pagamento di costi per interventi che esulavano da quelli strettamente necessari per rimuoverei danni cagionati - tutt'altro e' mettere in discussione che la Provincia di Novara abbia correttamente proceduto al pagamento dei lavori commissionati con la stipulazione del contratto d'appalto, adducendo che non avrebbe dovuto farlo. Il motivo, pertanto, per come formulato, e' immeritevole di accoglimento, non essendo stata censurata in maniera conducente la violazione del principio secondo cui il ristoro pecuniario del danno patrimoniale deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione, dovendo rimuovere il pregiudizio economico subito dal danneggiato, restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione e restituire al patrimonio del medesimo la consistenza che avrebbe avuto senza il verificarsi del fatto stesso. 5) Con il quinto motivo la societa' ricorrente deduce la violazione dei principi e delle norme in materia di contabilita' pubblica, di cui il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articoli 152, 183, 184 e 185 e successive modifiche, recepiti dal regolamento di contabilita' della Provincia di Novara, nonche' la violazione dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 115 c.p.c.. La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che le determine di spesa e le determine di liquidazione contengono un impegno di spesa, il pagamento si ha solo con l'esecuzione del mandato di pagamento, percio', esonerando la Provincia dall'obbligo di dimostrare gli effettivi pagamenti effettuati avrebbe violato l'articolo 2697 c.c. e l'articolo 115 c.p.c. nella parte in cui dispone che il giudice debba porre a fondamento della propria decisione le prove offerte dalle parti. Un motivo denunciante la violazione dell'articolo 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev'essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioe' attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo postuli che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso e' inammissibile come motivo in iure ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, (se si considera l'articolo 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l'articolo 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell'essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell'articolo 360 n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato (cfr. Cass. 10/06/2016, 11892, che rirende un principio di diritto gia' espresso in motivazione da Cass. Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598 e ribadito da Cass., Sez. Un., n. 24/09/2020, n. 20087). Neppure puo' fondatamente ritenersi violato l'articolo 115 c.p.c., non avendo l'attivita' argomentativa ed illustrativa del motivo dimostrato che il giudice abbia giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe' dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe' giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio. 6) Con il sesto motivo la ricorrente sostiene che la Corte d'Appello di Torino abbia violato l'articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c. e articolo 1282 c.c., ai sensi dell'articolo 1282 c.c.. Raggiunta da censura e' la statuizione con cui la Corte d'Appello ha ritenuto inconferente ed inammissibile il motivo di appello incentrato sulla condanna da parte del Tribunale, oltre che al pagamento della somma capitale, alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali sulla somma capitale via via rivalutata anno per anno dalla data dei diversi esborsi, perche', non essendovi prova certa del momento in cui gli esborsi erano avvenuti, sarebbe risultato impossibile calcolare rivalutazione e interessi. Oltre a ribadire che non vi era prova che la Provincia avesse subito un danno patrimoniale e, quindi, ad insistere sulla avvenuta violazione dell'articolo 2697 c.c., la sentenza gravata avrebbe violato l'articolo 1282 c.c. che prevede che solo i crediti liquidi ed esigibili producono interessi. Il motivo e' assorbito dal mancato accoglimento di quello precedente, stante che ne condivide la premessa errata, cioe' che non vi fosse la prova del danno patrimoniale subito dalla Provincia. 8) Con il settimo motivo si rimprovera ai giudici d'Appello di aver violato del Decreto Legislativo n. 52 del 2006, articolo 312, articolo 1227 c.c., comma 2, di avere omesso l'esame di un fatto decisivo discusso tra le parti, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, Il motivo investe la statuizione con cui la sentenza di secondo grado ha affermato che il danno non poteva ritenersi aggravato per il fatto che il responsabile civile non fosse stato messo al corrente ne' avesse partecipato al procedimento amministrativo volto alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito inquinato, perche' non era stato indicato in che termini la partecipazione del responsabile civile al procedimento amministrativo avrebbe determinato una riduzione o un non aggravamento nell'an e nel quantum del danno. Secondo la ricorrente, la Provincia aveva l'obbligo, previsto dal codice dell'ambiente, di renderle possibile la partecipazione al procedimento amministrativo, ove avrebbe potuto interloquire sulle modalita' e gli esiti del procedimento di verifica ambientale e farsi parte diligente nell'esecuzione degli interventi di bonifica. Altrettanto censurabile, perche' basata su una motivazione meramente apparente, sarebbe la statuizione con cui il ritardo della Provincia che aveva attesto quattro anni dal verificarsi dei fatti prima di avviare un'iniziativa giudiziaria e sette anni prima di indire la gara d'appalto per la bonifica del sito inquinato era stato ritenuto irrilevante sia in ordine alla causazione del danno sia in ordine all'aggravamento dello stesso. Il motivo non e' meritevole di accoglimento. Le censure non incrinano la statuizione del giudice a quo che, con una motivazione del tutto intellegibile e scevra da errori logico-giuridici, ha escluso che la Provincia di Novara abbia concorso con il suo comportamento ad aggravare il danno: non individuano l'error iuris in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, perche' l'error iuris consiste in un'erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura e' possibile, in sede di legittimita', attraverso il vizio di motivazione; si pongono al di fuori dei limiti entro i quali e' possibile dedurre la violazione dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si sostanziano, dunque, in una richiesta di rivalutazione dei fatti di causa che hanno portato la Corte territoriale ad escludere che alla Provincia di Novara potesse imputarsi un comportamento causativo di un aggravamento del danno. Del tutto priva di fondamento e' la censura con cui la societa' ricorrente lamenta il mancato rispetto delle prescrizioni del Codice dell'ambiente, inapplicabile ratione temporis ai fatti di causa. 8) Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. 9) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Seguendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si da' atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. RANALDI Alessandr - rel. Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/01/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RANALDI ALESSANDRO; lette le conclusioni del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21.1.2021, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado (emessa il 16.12.2016), previa concessione all'imputato (OMISSIS) delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato ascritto di omicidio colposo perche' estinto per prescrizione; per il resto, ha confermato le statuizioni civili a carico dell'imputato, in relazione alla ritenuta responsabilita' colposa del (OMISSIS), quale legale rappresentante della S.p.a. (OMISSIS), per la morte di (OMISSIS), lavoratore dipendente della societa' menzionata nel periodo dal 1969 al 1992, a seguito di mesotelioma pleurico determinato dalla inalazione delle polveri di amianto nell'ambiente di lavoro (decesso avvenuto il (OMISSIS)). 2. Avverso la prefata sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1) quanto segue. 1) Vizio di motivazione, in relazione alla individuazione del periodo di esposizione rilevante alle polveri di asbesto che la persona offesa si assume abbia subito nei corso delle diverse mansioni espletate durante la sua esperienza lavorativa alle dipendenze della (OMISSIS) S.p.a.. 2) Violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale fra la condotta contestata all'imputato e l'evento morte in modo non conforme alle norme sostanziali di riferimento e all'interpretazione che di esse e' stata data dalle recenti sentenze della Corte regolatrice proprio in materia di malattia asbesto-correlata. 3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. 4. Il ricorrente ha depositato motivi aggiunti, con cui si denuncia inosservanza della legge processuale, con particolare riferimento all'articolo 578 c.p.p. quanto alla cognizione del giudice penale sulle statuizioni civili in conseguenza della declaratoria di prescrizione del reato antecedente l'accertamento di primo grado. In proposito, viene richiamato il principio affermato dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 39614/2022, secondo cui il giudice di appello che dichiari l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' fondata ed assorbente la censura con cui il ricorrente denuncia la inosservanza della legge processuale, con particolare riguardo all'articolo 578 c.p.p., laddove la sentenza impugnata ha statuito sulle questioni civilistiche pur avendo riconosciuto che il reato per cui si procede si era prescritto in data antecedente l'emissione della sentenza di primo grado. 2. Sul punto, si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte, affermando il principio per cui, in tema di decisione sugli effetti civili ex articolo 578 c.p.p., comma 1, il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione del reato, pervenga alla conclusione - sia sulla base della semplice "constatazione" di un errore nel quale il giudice di prime cure sia incorso, sia per effetto di "valutazioni" difformi - che la causa estintiva e' maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute (Sez. U, n. 39614 del 28/04/2022, Di Paola, Rv. 283670 - 01). 3. Nel caso di specie, e' indubbio che il reato si e' estinto per prescrizione in data antecedente l'emissione della sentenza di primo grado (datata 16.12.2016), come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, che nel riconoscere la prevalenza delle attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p. sulla contestata aggravante, ha dichiarato estinto il reato per decorso del termine massimo di prescrizione, pari ad anni 7 e mesi 6 a decorrere dal 20 luglio 2008 (data del decesso della persona offesa), termine maturato prima della pronuncia del Tribunale (il calcolo iniziale del termine conduce al 20.1.2016, cui vanno aggiunti i 7 mesi e 11 giorni di sospensione previsti dal Decreto Legge n. 74 del 2012, relativo al terremoto avvenuto in Emilia-Romagna, per cui si arriva alla data del 31.8.2016). 4. Ne discende che, come stabilito dalle citate Sezioni Unite n. 39614/22, in siffatta ipotesi vengono meno due dei presupposti fondamentali di applicabilita' dell'articolo 578 c.p.p., ossia quello della "sopravvenienza" della causa estintiva del reato e quello della previa condanna "validamente emessa". Infatti, se il primo giudice, rispetto alla medesima regiudicanda, avesse operato una valutazione identica a quella del giudice dell'impugnazione che lo avesse condotto a rilevare l'estinzione del reato, la condanna non sarebbe stata emessa e, conseguentemente, non sarebbero state adottate le statuizioni sui capi civili. Sotto questo profilo, le Sezioni Unite citate hanno avuto modo di sottolineare che l'articolo 578 c.p.p. e' norma di stretta interpretazione, la quale deroga al principio di accessorieta' delle statuizioni civili alla condanna penale, enunciato dall'articolo 538 c.p.p.. Ne deriva che non puo' esservi distinzione, quanto agli effetti, tra una prescrizione dichiarata dal giudice dell'appello che rilevi un errore di calcolo del primo giudice e una prescrizione che venga dichiarata "ora per allora" per effetto di una diversa valutazione degli elementi che valgono il termine prescrizionale. La conclusione e' che l'articolo 578 c.p.p. non e' applicabile in tutti i casi in cui la pronuncia del giudice dell'impugnazione comporti il decorso dei termini di prescrizione del reato in epoca antecedente la sentenza di condanna pronunciata nel precedente grado di giudizio, sentenza non "validamente" emessa per effetto della successiva riforma ad opera del giudice del gravame. 5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio nella parte in cui ha statuito sulle questioni civilistiche, non potendo trovare applicazione nel caso di specie la norma derogatoria di cui all'articolo 578 c.p.p., non essendo stata pronunciata in primo grado una valida sentenza di condanna penale, in quanto il reato si era estinto antecedentemente per prescrizione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti civili, con revoca delle statuizioni civili.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/10/2021 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso i ricorsi; sentita la relazione svolta dal Consigliere MENGONI Enrico; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MASTROBERARDINO Paola, che ha chiesto il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS), per morte dell'imputato; udite le conclusioni dei difensori delle parti civili, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi; udite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultima in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19/10/2021, la Corte di appello di Lecce, pronunciandosi in sede di rinvio, confermava - per quanto qui di interesse - la pronuncia del 23/5/2014 con la quale il Tribunale di Taranto aveva dichiarato (OMISSIS) ed (OMISSIS) colpevoli del delitto di omicidio colposo plurimo (ad eccezione, quanto ad (OMISSIS), di quello relativo a (OMISSIS)), condannandoli alle pene di cui al dispositivo. 2. Propongono ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: (OMISSIS): Con tre censure attinenti alla motivazione, distinte ma di fatto assimilabili, si contesta che la Corte di appello si sarebbe pronunciata, aderendo alla tesi del perito (OMISSIS), come se il dibattito scientifico in materia si fosse concluso in termini di certezze, e non fosse - come invece e' - tuttora aperto e connotato da risultati provvisori e suscettibili di mutamento. La sentenza, in particolare, avrebbe si' richiamato i principi espressi dalla nota pronuncia (OMISSIS) di questa Corte (n. 43786 del 2010), ma non ne avrebbe fatto corretta applicazione, trascurando che entrambi gli esperti escussi in appello (il citato perito ed il consulente della difesa (OMISSIS)) avrebbero concordato su molteplici limiti insiti nei lavori scientifici alla base della teoria sostenuta dal perito (tra i quali il numero esiguo dei casi alla base degli studi o la pregressa selezione dei pazienti da inserire negli stessi), e che il (OMISSIS) avrebbe escluso la possibilita' di individuare un tempo di latenza medio dotato di effettiva capacita' rappresentativa. Non corrisponderebbe al vero, dunque, che quest'ultimo specialista non avrebbe offerto soluzioni alternative a quelle del perito, dato che - per come si legge nella stessa sentenza - il (OMISSIS) avrebbe affermato l'attuale impossibilita' di individuare termini affidabili di latenza; con la conseguenza che la Corte - posta l'esigenza di decidere - avrebbe accolto acriticamente la tesi che offriva comunque una soluzione, senza valutarne l'affidabilita', anziche' concludere per l'assoluzione del ricorrente, quantomeno ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2. (OMISSIS): Carenza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione all'individuazione della legge di copertura da parte del perito; violazione dell'articolo 627 c.p.p., comma 3. La Corte di appello, pur richiamando formalmente i principi affermati dalla sentenza rescindente, se ne sarebbe discostata, non indicando le ragioni per le quali la tesi del perito (OMISSIS) - che avrebbe indicato una legge di copertura - dovrebbe trovare accoglimento. La pronuncia, inoltre, avrebbe affermato che il consulente della difesa, prof. (OMISSIS), non avrebbe offerto soluzioni alternative, ma cio' sarebbe smentito dalle trascrizioni (allegate) del suo esame e del confronto con il perito. Ancora, e muovendo dal presupposto che ad oggi sarebbe ancora impossibile accertare con rigore il momento dell'insorgenza biologica del mesotelioma, il ricorso osserva che il prof. (OMISSIS) avrebbe esposto sul punto una teoria basata su un'ipotesi di calcolo, sull'elaborazione di dati forniti da altri studi non accompagnati da unanime consenso, cosi' giungendo alla tesi per cui il mesotelioma sarebbe una malattia dose-dipendente; tale teoria, tuttavia, non sarebbe adeguatamente validata, dato che gli studi a suo fondamento non sarebbero riferibili alla stessa patologia e, comunque, presenterebbero tutti profili di complessiva criticita' per il caso in esame, ben esposti dal prof. (OMISSIS), tanto da potersi ridurre a meri tentativi di produrre una formula utile. Ebbene, le censure mosse dallo stesso consulente della difesa non sarebbero state esaminate, e la Corte avrebbe' apoditticamente scelto la tesi del perito al solo fine di fornire una "soluzione" ad un problema, tuttavia, ad oggi irrisolto; in particolare, la sentenza non avrebbe esaminato le critiche mosse dal prof. (OMISSIS) ai cd. punti forti della tesi del prof. (OMISSIS), ossia il principio della dose cumulativa ed il periodo di rilevanza causale, che non godrebbero di ampio consenso nella comunita' scientifica. Ancora, la Corte di appello non avrebbe considerato che il consulente della difesa, contrariamente a quanto si legge nella sentenza, avrebbe sostenuto con argomenti una tesi contrapposta, evidenziando l'impossibilita' di individuare con precisione il completamento del periodo di induzione e, quindi, il termine del tempo eziologicamente rilevante. Ancora, il (OMISSIS) avrebbe affermato che il mesotelioma sarebbe una malattia non dose-correlata, ma sul punto la motivazione risulterebbe assente. Altro aspetto molto discusso riguarderebbe, poi, l'ipotesi che l'aumento della dose possa causare un accorciamento della latenza, comportando un anticipo del momento del decesso. Ancora - ulteriore argomento sostenuto dal prof. (OMISSIS) e neppure citato in sentenza - si contesta il cd. effetto acceleratore delle dosi successive. Le posizioni dei due tecnici, quindi, sarebbero insanabilmente divergenti, tanto che la Corte avrebbe dovuto nominare un collegio di periti; specie alla luce di una motivazione apparente, che non terrebbe conto delle tesi di segno diverso, anche quanto al sorgere della "latenza vera", abbracciando quella del prof. (OMISSIS) solo perche' piu' "convincente". A fronte - si ribadisce - di un quadro scientifico ancora fumoso ed incerto, che renderebbe impossibile accertare quanto si collocherebbe l'insorgenza biologica del mesotelioma; lo stesso vizio di motivazione, con violazione dell'articolo 41 c.p., comma 2, colpirebbe poi la sentenza con riguardo ai fattori causali alternativi, che - pur non esclusi in astratto neppure dal perito - la Corte non avrebbe valutato affatto; si lamenta, infine, la carenza di motivazione quanto all'entita' della pena, al bilanciamento delle circostanze ed al beneficio della non menzione della condanna. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Con riferimento, innanzitutto, al ricorso di (OMISSIS), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per estinzione dei reati dovuta a morte dell'imputato, in data 5 aprile 2022, come da certificato emesso dal Comune di Lavagna, in atti. 4. Il ricorso di (OMISSIS), invece, risulta infondato e non merita accoglimento, ad eccezione del motivo relativo alla non menzione della condanna; da questa decisione, inoltre, segue l'annullamento senza rinvio della sentenza con riguardo a due dei decessi contestati, per intervenuta prescrizione, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la rideterminazione della pena. 5. Con riguardo, in primo luogo, ai motivi nn. 1, 2 e 3, da esaminare congiuntamente, occorre muovere dal contenuto della sentenza rescindente n. 45935/19, emessa da questa Corte Suprema il 13/6/2019, con la quale e' stata annullata con rinvio la prima sentenza di appello - quanto ai due ricorrenti limitatamente agli omicidi in danno di (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 6. Tanto premesso, il Collegio ritiene che la sentenza di rinvio abbia adeguatamente colmato tali lacune, senza riproporre affatto lo stesso vizio argomentativo gia' censurato con la sentenza n. 45935 della Corte di legittimita', come invece denunciato. 7. La decisione impugnata ha innanzitutto preso atto delle divergenze emerse in dibattimento - e confermate nell'integrazione istruttoria - tra il prof. (OMISSIS) ed il consulente della difesa prof. (OMISSIS), con particolare riguardo al tempo di induzione (dall'inizio dell'esposizione alle fibre di amianto all'insorgenza biologica del tumore, in cui il processo cancerogenetico risulta irreversibile), penalmente rilevante, e a quello di cd. latenza vera (dall'inizio biologico della malattia alla diagnosi della stessa), nel corso del quale l'esposizione alle fibre risulta ormai irrilevante per il profilo che qui rileva. In particolare, la Corte di appello: a) ha richiamato le "classi" temporali individuate dal perito (OMISSIS) (e fatte proprie dalla prima sentenza di appello), che collocano l'insorgenza biologica del mesotelioma pleurico in un arco compreso tra 6 e 20 anni prima della diagnosi. Cosi' sostenendo che tutte le esposizioni precedenti di almeno 20 anni la diagnosi sono rilevanti sul piano causale; quelle degli ultimi 6-10 anni sono irrilevanti; per quelle intermedie, l'effetto e' plausibile con criterio probabilistico; b) ha precisato che le conclusioni del perito non erano da considerare il frutto di una sua personale teoria, ma che questi "si era limitato a mettere in ordine" evidenze fornite da studi pubblicati, con pieno carattere di ufficialita', cosi' da escludere che si potesse parlare di "scienza nuova" (Newhouse&Berry del 1976; Greengard del 1987; Bach del 2007; Charg del 2020). Con particolare riguardo a questi lavori, peraltro, il Collegio osserva che non possono essere accolte le considerazioni del ricorso (pagg. 12-15) che ne contestano l'attendibilita' scientifica o l'affidabile riferibilita' alla patologia del mesotelioma pleurico: la censura - che analizza partitamente le varie pubblicazioni - e' mossa, infatti, con caratteri di puro merito, propri della sola fase di cognizione e non consentiti in sede di legittimita'; c) ha evidenziato il difforme parere raggiunto dal prof. (OMISSIS), che aveva mosso specifiche critiche agli studi appena citati, riscontrandone profili di inattendibilita' o non affidabile aderenza alla patologia in esame; d) ha diffusamente riportato il confronto tra i due specialisti (pagg. 6-8), cosi' palesando le varie tematiche di contrasto, compreso il rapporto tra la teoria della dose-grilletto (per cui e' indifferente la dose di esposizione alle polveri, in quanto anche una breve o molto limitata esposizione aziona il processo di cancerogenesi), non esclusa dal (OMISSIS), e quella della dose cumulativa (per la quale sono causalmente rilevanti tutte le esposizioni del lavoratore alle polveri, sino al compimento dell'induzione), che e' risultata riscuotere il piu' motivato riscontro scientifico, con incidenza sulla durata e sulla intensita' dell'esposizione; e) ha infine aderito alla tesi sostenuta dal perito prof. (OMISSIS), basata sul principio della dose cumulativa e sull'individuazione del periodo di rilevanza causale delle esposizioni, peraltro a fronte di un contraddittore - prof. (OMISSIS) - che non avrebbe offerto soluzioni alternative, ma soltanto contestato la fondatezza della tesi dell'altro professionista. 7.1. La sentenza - ancora in ottemperanza al contenuto della pronuncia rescindente - ha poi verificato questa tesi alla luce dei criteri di attendibilita' scientifica fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, a muover dalla sentenza (OMISSIS) (Sez. 4, n. 43786 del 17/9/2010, Rv. 248943). Con questa pronuncia, in particolare, si e' affermato che "per valutare l'attendibilita' di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L'ampiezza, la rigorosita', l'oggettivita' della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l'elaborazione dello studio, focalizzata sia sui fatti che mettono in discussione l'ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate. L'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica. Ancora, rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunita' scientifica. Infine, dal punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, e' di preminente rilievo l'identita', l'autorita' indiscussa, l'indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalita' per le quali si muove". Si e', poi, aggiunto che "il primo e piu' indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilita' delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo e' costituito dall'apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all'indipendenza di giudizio dell'esperto" (successivamente, tra le altre, Sez. 4. n. 44943 dell'8/7/2021, Cirielli, Rv. 282717). 7.2. Ebbene, proprio con riguardo a questi criteri, la Corte di appello ha sottolineato: 1) la "certa risonanza internazionale" degli studi citati, che avevano individuato formule poi solo "messe in ordine" dal perito; 2) la conferma che il principio della dose cumulativa aveva trovato riscontro a livello nazionale, nella Seconda e Terza Consensus Conference organizzate dalla Associazione Italiana di Oncologia Medica ("massima espressione dell'oncologia medica in Italia"), ossia nei contesti che riassumono, in un certo momento storico, i risultati raggiunti dal consesso degli scienziati che vi partecipano, conseguente ad un'analisi dei problemi e delle soluzioni proposte, come riportate in autorevoli pubblicazioni scientifiche, formulando, per l'appunto, il "consenso" raggiunto; 3) il fatto che il prof. (OMISSIS) si era isolatamente dissociato da queste conclusioni "per un profondo dissenso sulla questione della c.d. dose cumulativa, ma anche per questioni forse meno nobili legate alla mancata valorizzazione nelle Consensus Conference di lavori della propria scuola accademica". 7.2.1. Con maggior precisione, la sentenza di appello ha evidenziato che tali consessi scientifici "si erano espressi sulla relazione dose-risposta, privilegiando chiaramente la teoria della dose cumulativa rispetto a quella della dose grilletto, di cui era stato escluso il fondamento scientifico". Questa conclusione - ha ancora sottolineato la Corte di appello - si riversava poi, evidentemente, sulla causalita' della condotta del soggetto detentore della posizione di garanzia, essendo nel secondo caso (cd. trigger dose) rilevante solo il contributo di colui cui compete la prevenzione nel momento dell'assunzione dell'unica dose considerata fatale, in quanto autonomamente innescante la patologia; nel primo caso, invece, rilevando la condotta di tutti i soggetti succedutisi nel periodo dell'esposizione quantomeno sino al termine della fase di induzione, essendo tutte le esposizioni successive alla prima aggressione cellulare concausa dell'evento. 7.3. Ancora in punto di attendibilita' della tesi proposta, la sentenza ha poi rilevato che il perito era studioso di "indiscutibile autorevolezza quantomeno a livello nazionale"; che lo stesso professionista era dotato di assoluta indipendenza di giudizio, poiche' attualmente in quiescenza, senza peraltro aver mai mostrato, neppure in passato, interessi confliggenti con un approccio scientifico obbiettivo; che la tesi sostenuta "soddisfa anche la logica, apparendo decisamente piu' convincente che esposizioni reiterate e continuative all'amianto accrescano il rischio di contrarre il mesotelioma fino a quando ulteriori esposizioni appaiono ormai neutre." Fino a concludere, dunque, che la tesi della dose cumulativa "soddisfa tutti o gran parte dei criteri indicati dal Supremo Collegio", sopra riportati. 8. Cosi' richiamata per punti la sentenza impugnata, questa Corte rileva che il vizio motivazionale denunciato - nei termini dell'apparenza e della manifesta illogicita' - non e', in realta', ravvisabile. 8.1. Il Giudice di appello, infatti, si e' adeguatamente conformato alle prescrizioni contenute nella sentenza rescindente ed ha, in primo luogo, citato in modo ampio le posizioni scientifiche del prof. (OMISSIS), critico gia' con riguardo alla tematica della cd. dose cumulativa; queste posizioni dissonanti sono state poi superate con un argomento non manifestamente illogico, in favore della teoria sostenuta dal prof. (OMISSIS) (che ha fatto propri gli studi gia' richiamati e le Consensus Conference citate), sul presupposto che il primo si sarebbe limitato a contestare le conclusioni dell'altro, senza offrire soluzioni alternative. Si tratta, all'evidenza, di una valutazione in fatto, criticata nel ricorso ma che questa Corte non e' ammessa a sindacare, specie mediante la lettura dell'esame del consulente e del confronto con il perito (le cui trascrizioni sono allegate all'atto). 8.2. A cio' si aggiunga che il giudice, nell'individuare la legge scientifica di copertura da porre a base del ragionamento inferenziale, puo' discostarsi dalle conclusioni raggiunte da una "conferenza di consenso", che segna il grado di convergenza della comunita' scientifica in un dato momento storico, solo mediante un'approfondita analisi degli studi e delle basi fattuali su cui si fonda la tesi antagonista, valutandone l'eventuale formulazione successiva al raggiungimento dell'accordo, l'indipendenza dei soggetti che hanno contribuito alla ricerca e l'eventuale diffusa condivisione scientifica susseguente alla sua enunciazione (Sez. 4, n. 44943 del 2021, cit., con cui la Corte ha ritenuto insufficiente a smentire le conclusioni raggiunte da una conferenza di consenso, che ha validato la tesi della "dose correlata" quale causa di insorgenza del mesotelioma pleurico, la formulazione di una isolata opinione difforme, espressa all'interno del consesso da uno dei suoi partecipanti, che ricollegava l'innesco irreversibile della malattia alla inalazione in un determinato momento della "trigger dose", quantita' non definibile di fibra di asbesto, ricollegando solo un effetto acceleratore alla successiva esposizione alle polveri nocive). Ebbene, il ricorso non sostiene affatto di aver sottoposto alla Corte di appello elementi in tal senso, a validazione della tesi sostenuta dal prof. (OMISSIS), ne' che questi siano comunque emersi, ma si limita a ribadire in se' le posizioni del consulente, gia' adeguatamente valutate dalla Corte di merito nel raffronto con le altre, di differente tenore. 8.3. Ancora con riguardo alla teoria ritenuta affidabile, peraltro, non puo' trovare accoglimento neppure l'affermazione - espressamente indicata nel ricorso - secondo la quale la Corte di appello avrebbe voluto comunque individuare una legge di copertura nel rapporto tra esposizione all'amianto e mesotelioma pleurico, pur in un contesto scientifico ancora pacificamente incerto e del tutto privo di apporti condivisi; in senso contrario, infatti, con la motivazione impugnata la sentenza ha dimostrato di non voler accogliere in ogni caso una tesi che affermasse l'esistenza di una legge di copertura, quand'anche incerta, ma ha individuato la legge medesima con un argomento rigoroso, rilevando ed argomentando la maggiore affidabilita' scientifica degli studi che sono giunti a sostenere la natura dose-correlata della malattia in esame, cosi' da concludere per un giudizio di responsabilita' penale. 8.4. D'altronde, ed ancora in tema di attendibilita' della teoria oggetto di censura, occorre ribadire - con la sentenza rescindente n. 45935/2019 - che il giudice, quale peritus peritorum, e' tenuto a verificare, per l'appunto, l'attendibilita' della teoria avanzata rispetto alle altre emerse dagli atti, non avendo egli l'autorita' - ne' la competenza - per assegnare patenti di fondatezza scientifica all'una o all'altra, ne' tantomeno per creare lui stesso una legge scientifica; ebbene, una tale valutazione di attendibilita' della tesi sostenuta dal (OMISSIS) (mancante nella prima decisione di appello) e' stata compiuta dalla Corte in sede di rinvio, nei termini appena richiamati, facendo adeguata applicazione dei criteri della sentenza " (OMISSIS)", affermati gia' in sede rescindente e ritenuti qui riscontrati in misura adeguata e con solido argomento in fatto, proprio della sola fase di cognizione e che a questo Collegio non e' consentito censurare. Senza alcuna necessita', dunque, di nominare un collegio di periti, come sollecitato dal ricorso, dato che la sentenza non risulta affatto aver scelto "la soluzione che ha ritenuto piu' comoda e che, a differenza di quanto sostenuto, non gode dell'ampio consenso che le si vuole attribuire". 8.5. A queste considerazioni si aggiunga poi, ancora in tema di causalita' alternativa, che la citata pronuncia " (OMISSIS)" afferma con chiarezza che il ragionamento esplicativo che riconduce l'evento ad uno piuttosto che ad un altro fattore eziologico risulta concludente quando e' possibile attribuire, sulla base di affidabili informazioni scientifiche, rilevanza causale al fattore considerato; e non vi sono elementi concreti che consentano di ipotizzare plausibilmente, ragionevolmente, la riconducibilita' dell'evento stesso ad un distinto fattore oncogeno. 8.6. Ebbene, proprio a quest'ultimo riguardo, oggetto di censura, il ricorso dell' (OMISSIS) risulta generico, non indicando neppure un elemento - eventualmente provato, offerto ai Giudici di merito e non valutato - che consentisse di sostenere che i decessi dei singoli lavoratori fossero, in realta', da attribuire a cause differenti dalla inalazione di fibre di amianto, con un giudizio di attendibilita' scientifica tale anche solo da consentirne un raffronto con la tesi accolta dal Tribunale e dalla Corte di appello. La censura sollevata, in particolare, si limita a lamentare il totale difetto di motivazione con riguardo non gia' all'esistenza di specifici fattori causali alternativi, di cui l'istruttoria avrebbe dato conto, ma alla possibile esistenza di astratti fattori causali alternativi, neppure ipotizzati (con riferimento alle varie persone offese) in alcun termine, fattuale o scientifico. D'altronde, affermare come si legge nel ricorso - che neppure il perito (OMISSIS) avrebbe escluso "in termini assoluti decorsi causali alternativi" comporta, per un verso, l'introduzione di un elemento di merito che questa Corte non e' ammessa a verificare, e, per altro verso, la prospettazione di un elemento talmente congetturale (oltre che privo di ogni individuazione e riscontro) da non potersi confrontare con la tesi scientifica accolta dalla sentenza in oggetto. 9. Deve essere qui confermato, dunque, il principio in forza del quale in tema di rapporto di causalita' tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore, in mancanza di una legge scientifica di copertura universale, la legge di copertura statistica in base alla quale taluni eventi possono essere ricondotti, con elevata probabilita', a determinati antecedenti causali, rappresenta un grave indizio a sostegno del nesso eziologico, la cui rilevanza e' rapportata alla significativita' dei dati e alla persuasivita' degli studi su cui si fonda e la cui ricorrenza va verificata dal giudice nel caso concreto, mediante l'esclusione, con alta probabilita' logica, dell'esistenza di fattori causali alternativi (tra le altre, Sez. 3, n. 32860 del 7/4/2021, Cirocco, Rv. 282081); ebbene, proprio in questi termini si e' espressa la sentenza impugnata, valorizzando con adeguato argomento la legge di copertura scientifica individuata, ampiamente motivata, anche in ragione dell'assenza di fattori eziologici alternativi, dei quali l'istruttoria - si ribadisce - non ha espresso alcun segno, per quanto si ricava dallo stesso ricorso in esame. 10. Le prime tre censure, dunque, devono essere giudicate infondate, quindi rigettate, e l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) deve essere dichiarata irrevocabile. 11. Ne consegue che - nei confronti dello stesso ricorrente - la sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai contestati omicidi di (OMISSIS) ((OMISSIS)) ed (OMISSIS) ((OMISSIS)), per esser gli stessi estinti per intervenuta prescrizione (anche considerati i 38 giorni di sospensione, indicati in sentenza alla pag. 10), e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello per la rideterminazione della pena (rimanendo qui assorbite le relative censure). In quella sede saranno liquidate le spese sostenute nel grado dalle parti civili costituite. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche' i reati sono stinti per morte dell'imputato. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente agli omicidi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per essere i reati estinti per prescrizione, e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, demandando alla Corte medesima la liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili costituite nel presente giudizio di legittimita'. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS). Visto l'articolo 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilita' della sentenza in ordine all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluig - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. ROSATI M. - rel. Consigliere Dott. PATERNO' RADDUSA Benedett - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/10/2021 della Corte di appello di Napoli; letti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Epidendio Tomaso, che ha concluso per l'annullamento della sentenza senza rinvio, perche' il fatto non sussiste, in relazione ai delitti di corruzione, e perche' i reati sono estinti per prescrizione, relativamente ai delitti di turbata liberta' degli incanti; uditi i difensori degli imputati, avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) ed avv.ti (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha confermato quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa citta' del 14 giugno 2019, con la quale, all'esito di processo svoltosi con il rito abbreviato, (OMISSIS) e' stato condannato per due episodi di corruzione aggravata e di correlata turbata liberta' degli incanti aggravata (articoli 319 e 319-bis c.p. e articolo 353 c.p., commi 1 e 2; capi A, C, D ed F dell'imputazione), mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) sono state condannate, in relazione ad uno di quegli episodi, quali soggetti corruttori e concorrenti nella relativa turbativa d'asta (capi E ed F dell'imputazione). Le due vicende riguardano le gare d'appalto per l'esecuzione di lavori d'impiantistica presso una caserma dell'Esercito a Santa Maria Capua Vetere (capi A e C) e di rimozione e smaltimento di manufatti in amianto presso altra caserma sita a Nocera Inferiore (capi D, E, F). Secondo l'accusa, in entrambi i casi, (OMISSIS), nella sua qualita' di comandante della stazione appaltante e di responsabile del procedimento, in concorso con altri militari a lui gerarchicamente sottordinati e separatamente giudicati, avrebbe ottenuto ricompense in denaro per assegnare gli appalti alle ditte poi risultate aggiudicatarie, quindi omettendo un'effettiva valutazione delle offerte concorrenti. Le imputate (OMISSIS) e (OMISSIS), invece, erano, rispettivamente, la rappresentante legale ed il direttore tecnico della " (OMISSIS)" s.r.l., aggiudicataria dell'appalto per i lavori presso la caserma di Nocera Inferiore. Ricorrono per cassazione tutti e tre gli imputati, con separati atti a firma dei rispettivi difensori. 2. Il ricorso di (OMISSIS) evidenzia preliminarmente come, per altri episodi analoghi emersi nel corso della medesima indagine ma giudicati in separato processo, egli sia stato mandato assolto per non aver commesso i fatti, con sentenza irrevocabile della stessa Corte di appello del 2018. 2.1. Tanto premesso, con il primo motivo, egli denuncia essenzialmente vizi cumulativi di motivazione, relativi, in generale, all'affermazione della sua colpevolezza, rilevando, in sintesi: - che la sentenza impugnata gli attribuisce soltanto una responsabilita' da posizione, indicandolo come vertice di una situazione generalizzata di corruttela presente in quell'ufficio; - che tale affermazione e' tuttavia smentita dagli esiti di questo e del precedente processo, nei quali egli e' stato ritenuto colpevole soltanto di due dei sei episodi contestatigli; - che dagli atti emergerebbe, al piu', una sua consapevolezza di condotte illegali tenute dai suoi sottoposti; - che le dichiarazioni di due di costoro, tali (OMISSIS) e (OMISSIS), sui cui si fonda la sentenza impugnata, sono le stesse ritenute inaffidabili dalla precedente sentenza irrevocabile nonche', in questo stesso processo, per altre imputazioni; - che la decisione avversata omette completamente di considerare quanto affermato dal corruttore (OMISSIS), titolare di fatto della " (OMISSIS)", il quale ha negato qualsiasi patto corruttivo per i lavori alla caserma di Nocera, mentre nel precedente processo ha reso dichiarazioni confessorie in relazione ad altri appalti; - che le circostanze da cui la Corte d'appello ha desunto il coinvolgimento di esso ricorrente in quei fatti (ovvero l'aver egli partecipato ad una riunione con i suoi colleghi nel cortile della caserma, per discutere della notizia della sospetta installazione di microspie in quegli uffici, e l'essersi quindi attivato presso un suo privato conoscente per far eseguire un controllo) non sono concludenti, non essendo dimostrato che, in quell'incontro, i sottoposti coinvolti nelle vicende corruttive vi abbiano fatto riferimento, ed essendo state comunque tali risultanze gia' esaminate nel precedente processo e, evidentemente, ritenute insignificanti; - che analogamente insignificanti sono le rilevate anomalie delle procedure di gara, anch'esse invece valorizzate in sentenza, non potendo comunque da esse desumersi ii suo coinvolgimento nelle stesse. 2.2. Con il secondo motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente contesta l'affermazione della Corte d'appello per cui la piattaforma probatoria del presente processo sarebbe differente da quella del processo definito con assoluzione irrevocabile, in quanto arricchitasi di due informative di polizia specificamente relative ai fatti oggetto delle imputazioni in rassegna ed altresi' perche' - specificano quei giudici - le intercettazioni e le dichiarazioni dei coindagati, benche' analoghe, riguardano comunque varie vicende tra loro distinte. Obietta la difesa: che si tratterebbe di vicende diverse, ma tutte relative ad attivita' corruttive dell'imprenditore (OMISSIS) finalizzate ad aggiudicarsi appalti banditi dalla medesima amministrazione facente capo al (OMISSIS); che dichiarazioni e conversazioni non sono semplicemente analoghe, ma sono proprio le stesse; che le informative di polizia erano gia' presenti nel fascicolo investigativo al momento della separazione dei processi. 2.3. La terza doglianza consiste nell'insufficienza e nell'illogicita' della motivazione in punto di valutazione del precedente giudicato assolutorio, acquisito ex articolo 238-bis c.p.p.. Quella decisione, infatti, costituisce prova dei fatti con essa accertati e si sarebbe potuta superare, pertanto, soltanto attraverso una motivazione rafforzata, capace di confutare le criticita' probatorie ivi evidenziate - inattendibilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS), assenza di riscontri al loro narrato sulla specifica posizione del (OMISSIS) - e di dimostrare il personale e diretto coinvolgimento di quest'ultimo in quel contesto illegale. Ne' puo' essere sufficiente, a tal fine, il comportamento da questi tenuto in relazione alla vicenda delle microspie, riguardando esso, semmai, i complessivi rapporti con (OMISSIS) e gli altri imprenditori, ma non in via esclusiva le gare oggetto del presente processo, in merito alle quali, dunque, nulla avrebbe potuto aggiungere. 2.4. Il quarto motivo denuncia l'erronea interpretazione della disciplina sugli appalti pubblici. Spie della condotta corruttiva - secondo la Corte d'appello - sarebbero: per la gara relativa ai lavori di S. Maria Capua Vetere, l'indicazione a penna della percentuale di ribasso nell'offerta della ditta aggiudicataria, per il resto dattiloscritta; mentre, per la gara riguardante i lavori di Nocera Inferiore, la successiva autorizzazione al subappalto, non prevista nel capitolato tecnico. Replica la difesa: che il codice degli appalti non prevede requisiti di forma per la redazione delle offerte; che l'articolo 170 del codice degli appalti consente sempre il subappalto, il quale, nello specifico, non era vietato dal bando di gara, che era l'unico documento rilevante nei rapporti tra le parti dell'appalto. 2.5. Con il quinto motivo, si denuncia l'inutilizzabilita' di una conversazione del ricorrente con il sottordinato e coindagato Mautone, intercettata all'interno dell'autovettura di quest'ultimo, non tenuta in considerazione dalla sentenza di primo grado ed invece valorizzata da quella impugnata. Diverse sarebbero le ragioni per cui essa sarebbe inutilizzabile: a) nel relativo decreto d'urgenza, il Pubblico ministero non ha indicato gravi indizi del reato di corruzione, limitandosi piuttosto ad un'ipotesi investigativa esplorativa; b) nel correlato decreto di convalida, il Giudice per le indagini preliminari ha omesso d'indicare i gravi indizi di reato, limitandosi ad una motivazione per relationem ("come emerge dall'informativa"), senza tuttavia dar conto dell'iter cognitivo e valutativo seguito; c) le intercettazioni sono state autorizzate per quaranta giorni, con decreto dell'11 agosto 2014, e, dovendosi presumere che esse abbiano avuto inizio subito, vista l'adozione della procedura d'urgenza, deve ritenersi, in mancanza di proroghe, che la conversazione in questione sia stata (illegittimamente captata, essendo avvenuta il successivo 29 ottobre. In ogni caso - aggiunge la difesa - la sentenza impugnata ha omesso qualsiasi motivazione sul punto; inoltre, la citata sentenza irrevocabile di assoluzione ha esaminato detta conversazione, reputandola non significativa del coinvolgimento dell'imputato in quel sistema illegale; e, infine, in essa gli interlocutori non fanno alcun riferimento alle gare oggetto di questo giudizio. 2.6. L'ultima lamentela riguarda i vizi di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. Piu' precisamente, la motivazione del diniego delle attenuanti generiche sarebbe contraddittoria, perche' comunque ha dato atto dell'incensuratezza e del buon comportamento processuale dell'imputato, ed altresi' carente, perche' ha omesso di considerare altri elementi favorevoli: eta' avanzata, avvenuto pensionamento, quarantennale carriera militare brillante, plurimi riconoscimenti e tre lauree. La Corte d'appello, inoltre, ha valorizzato il "ruolo di vertice" dell'imputato, ma lo ha mandato assolto dalla maggior parte degli addebiti; e ne ha stigmatizzato il comportamento processuale non collaborativo, che tuttavia e' espressione di un diritto dell'accusato. Quanto alla misura della pena, non si comprendono le ragioni per le quali essa non sia stata contenuta nel minimo, non venendo specificate le modalita' dell'azione. Inoltre, essa e' stata determinata in misura superiore a quella di altri imputati, pur maggiormente gravati. 2.7. La difesa ha depositato motivi aggiunti, deducendo l'intervenuta prescrizione delle turbative d'asta (capi C, F) nelle more della presente impugnazione. 3. (OMISSIS) rassegna quattro motivi di ricorso. 3.1. Con il primo, denuncia violazione di legge e vizi di motivazione quanto al giudizio di colpevolezza nei suoi confronti, con riferimento ad entrambi i reati. Esso si fonda sostanzialmente sulla ritenuta consapevolezza di costei del fatto che la " (OMISSIS)", per la quale ella lavorava, si fosse aggiudicata l'appalto soltanto in virtu' dell'accordo corruttivo tra il titolare (OMISSIS) ed i pubblici ufficiali; consapevolezza - secondo i giudici d'appello - gia' presente all'atto dello svolgimento della gara, avvenuto nel 2013. Obietta, pero', la sua difesa: - che tale consapevolezza risalisse gia' all'epoca dell'espletamento della gara e' palesemente smentito dalle risultanze processuali: ella, infatti, non compare mai negli atti del procedimento, ne' alcuno vi fa riferimento in dichiarazioni rese o conversazioni intercettate prima dell'ottobre del 2014, allorche', cioe', emerge il problema della mancanza di autorizzazione, da parte della "Casertana", allo smaltimento dell'amianto ed ella, quindi, nell'esercizio del suo ruolo tecnico, si adopera per ovviarvi mediante il subappalto ad altra ditta; - che la semplice consapevolezza dell'altrui patto corruttivo, laddove conseguita in epoca successiva al perfezionamento del medesimo ed all'aggiudicazione della gara, esclude la configurabilita' del concorso in entrambi i reati. 3.2. Il secondo motivo censura l'erronea interpretazione della legge sugli appalti pubblici, sulla base delle medesime considerazioni prospettate nel ricorso del coimputato (OMISSIS). 3.3. Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in punto di misura della pena, giudicata eccessiva, sproporzionata rispetto al ruolo eventualmente attribuibile all'imputata nell'economia del reato e pregiudizievole per il suo reinserimento sociale, ove si abbia riguardo anche alla sua condizione di incensurata ed alla sua leale partecipazione al processo. 3.4. L'ultima doglianza riguarda l'intervenuta prescrizione della turbativa d'asta successivamente alla sentenza impugnata. 4. (OMISSIS) impugna sulla base di tre motivi. 4.1. I primi due posso essere trattati congiuntamente, afferendo al giudizio di colpevolezza per il delitto di corruzione, di cui lamenta la contrarieta' alla legge e la contraddittorieta' della motivazione, sulla base sostanzialmente di un unico argomento: quello, cioe', per cui non risponde di concorso in corruzione il soggetto che, quand'anche consapevole dell'altrui accordo corruttivo, sia estraneo ad esso ed intervenga solo nella fase esecutiva, adoperandosi per la realizzazione del medesimo. Proprio la condotta, ovvero, che la sentenza impugnata delinea a carico dell'imputata, attivatasi soltanto nel corso dell'esecuzione dell'appalto, a circa un anno dalla sua aggiudicazione, anch'ella per ovviare, tramite il subappalto, alla mancanza di titolo della societa' da lei rappresentata per lo smaltimento dell'amianto rimosso: non v'e' prova, infatti, di qualsiasi accordo tra costei ed i pubblici ufficiali, e nemmeno che ella fosse al corrente dell'accordo corruttivo fra (OMISSIS) e i militari, anch'ella comparendo nelle indagini solo a lavori in corso. 4.2. Con riferimento al correlato delitto di turbata liberta' degli incanti, il ricorso rileva: a) considerando che la turbativa della gara e' stata il prodotto dell'accordo corruttivo e che l'imputata si e' attivata soltanto nella fase esecutiva dell'appalto, ne discende la sua estraneita' anche a tale reato, il quale si perfeziona al piu' tardi con l'aggiudicazione della commessa; b) il reato sarebbe comunque prescritto, ancor prima della sentenza d'appello; c) manca del tutto la motivazione in ordine all'applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 114 c.p., espressamente invocata con l'atto d'appello. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'opinione del Collegio e' che tutti e tre i ricorsi meritino accoglimento, non ritenendosi raggiunta la dimostrazione del concorso degli imputati nella realizzazione dei reati loro contestati, con quel grado di elevata probabilita' logica che permette di ritenere superata la soglia del dubbio ragionevole, fissata dall'articolo 533 c.p.p., quale presupposto inderogabile di una pronuncia di condanna. 2. Tanto si ritiene anzitutto - trattando delle posizioni dei singoli secondo il medesimo ordine seguito in narrativa - per l'imputato (OMISSIS). 2.1. I giudici del merito fondano il giudizio di colpevolezza di questo imputato essenzialmente sulle seguenti circostanze: a) l'adozione degli atti di sua competenza nell'a'mbito delle procedure d'appalto oggetto di patti corruttivi; b) la comunicazione a lui, da parte dei suoi sottoposti sicuramente partecipi di quegli accordi illegali, della notizia della possibile presenza di microspie all'interno dei loro uffici; c) l'essersi egli prontamente attivato per l'individuazione delle stesse, rivolgendosi a tal fine ad un imprenditore compiacente e tacendo, invece, la circostanza non solo agli organi giudiziari ma anche ai suoi superiori; d) il fatto che le pagine del registro d'ingresso ai medesimi uffici, in concomitanza dell'avvenuta "bonifica", siano state strappate; e) l'aver egli sollecitato il medesimo imprenditore, gia' destinatario di commesse da parte dell'amministrazione da lui diretta, a chiedere informazioni sulle ragioni di un'acquisizione documentale compiuta dalla Guardia di finanza presso i suoi uffici; f) una conversazione intercettata tra lui ed il capo-ufficio Mautone (anch'egli suo sottoposto e parte rilevante degli accordi corruttivi con gli imprenditori aggiudicatari degli appalti in questione), in cui il ricorrente parla di altri lavori e fa riferimento a somme che essi daranno a terzi ("alla (OMISSIS) - una caserma - non lo so, sicuramente sara' o (OMISSIS), (OMISSIS) o la (OMISSIS) e (OMISSIS) quindi va bene lei, gli diamo mille cosi' se li ripartiscono in tre"); g) le dichiarazioni dei suoi sottoposti - ed originari coimputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), secondo cui, sostanzialmente, egli sovrintendeva a tale diffuso sistema corruttivo, rendendone possibile la realizzazione. 2.2. Ritiene il Collegio che la Corte d'appello, cosi' come il primo giudice, sia incorsa in un errore di prospettiva. Tutte le circostanze appena evidenziate, infatti, si presentano certamente idonee a legittimare l'inferenza per cui il (OMISSIS), comandante di quel reparto militare in cui allignava una diffusa corruttela, ne fosse a piu' o meno a conoscenza, l'abbia tollerata e comunque abbia omesso di compiere quanto in suo potere - e dovere - per contrastarla. Nessuna, pero', nemmeno all'interno di una valutazione complessiva, consente di affermare, con quel grado di elevata credibilita' razionale che e' necessario per giungere ad un'affermazione di responsabilita' penale, che egli sia stato parte degli accordi corruttivi relativi proprio alle vicende oggetto d'imputazione, non necessariamente come percettore delle utilita' date o promesse dai privati beneficiari, ma anche soltanto come promotore o facilitatore. La sua inerzia nell'ostacolare quella generalizzata situazione d'illegalita' nei suoi uffici, come pure, in ipotesi, il suo possibile coinvolgimento in qualche maniera nella stessa (quali certamente si possono ricavare dai dati probatori valorizzati dalla sentenza impugnata), potrebbero semmai sorreggere un giudizio di responsabilita' penale a diverso titolo (probabilmente per abuso d'ufficio, che comunque sarebbe prescritto e che, percio', e' inutile approfondire); ma non consentono di ritenere logicamente dimostrato il suo contributo materiale o morale negli specifici episodi corruttivi dei quali e' imputato. 2.3. Ovviamente, considerando la stretta correlazione funzionale tra gli accordi corruttivi e gli esiti delle correlate gare d'appalto, le considerazioni appena espresse conducono all'annullamento della condanna anche per le turbative d'asta. Ritiene il Collegio che non possano legittimare una diversa decisione gli atti compiuti dal ricorrente nell'ambito delle relative procedure, trattandosi di adempimenti a lui demandati in ragione del suo ruolo istituzionale di direzione dell'ufficio, e non potendosi percio' escludere che egli li abbia compiuti nell'inconsapevolezza del sottostante patto corruttivo stretto tra uno o piu' dei suoi sottoposti e gli imprenditori interessati. 2.4. Al lume di tanto, le ulteriori doglianze rassegnate con il ricorso debbono intendersi evidentemente superate, talche' non e' necessario esaminarle. 3. Anche per quel che riguarda l'imputata (OMISSIS), la motivazione con cui la Corte d'appello ne assume il coinvolgimento nei delitti di corruzione e di turbata liberta' degli incanti addebitatile presenta un'irrimediabile cesura logica. 3.1. Correttamente il suo ricorso richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non integra gli estremi del concorso di persone nel delitto di corruzione la condotta del terzo che, dopo la conclusione di un accordo corruttivo rispetto al quale e' rimasto estraneo e senza che sia intervenuto un nuovo patto con effetti novativi, si adoperi per la realizzazione, in fase esecutiva, di tale accordo (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555; Sez. 6, n. 46404 del 29/10/2019, Genco, Rv. 277308). Principio, questo, che anche in questa sede dev'essere ribadito, tuttavia con la precisazione per cui una responsabilita' concorsuale dev'essere comunque riconosciuta al soggetto che, pur non essendo stato parte dell'accordo corruttivo, ne abbia avuto conoscenza, anche soltanto successivamente, ed abbia consapevolmente e volontariamente offerto il proprio contributo nel reperire, creare o mettere a disposizione del funzionario infedele il prezzo della corruzione, oppure, qualora agisca a supporto del soggetto pubblico corrotto, si sia adoperato per assicurare al privato corruttore il conseguimento del profitto da questi avuto di mira: in tali casi, infatti, non si tratta di un'attivita' meramente esecutiva della pattuizione illecita, quanto piuttosto di una frazione delle relative condotte tipiche, che peraltro vale ad integrare il momento di massima estrinsecazione dell'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma (in questo senso, per l'ipotesi del terzo che si sia curato del procacciamento del prezzo della corruzione in favore dell'agente pubblico, Sez. 6, n. 28988 del 31/05/2022, Cirillo, Rv. 283494). 3.2. La sentenza impugnata rivela, dunque, la sua insuperabile debolezza logica, nel momento in cui, pur dando atto che l'accordo corruttivo e' stato antecedente al coinvolgimento dell'imputata, giunge ad affermarne la colpevolezza perche', nel suo ruolo di direttore tecnico della societa' appaltatrice ed in sinergia con gli altri soggetti interessati al buon esito del patto, ella si e' adoperata per "modificare il contratto gia' predisposto, al fine di portare a termine il risultato e gli utili venissero raggiunti" (pag. 33). Non si cura, pero', la Corte d'appello di spiegare le ragioni per cui si debba ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'imputata fosse consapevole del patto corruttivo siglato tra (OMISSIS), titolare di fatto della societa', ed i militari, ne' tanto si puo' ricavare altrimenti dalla ricostruzione dei fatti operata in sentenza. La (OMISSIS), infatti, stando alle risultanze probatorie ivi esposte, interviene nella vicenda soltanto ad appalto gia' assegnato ed in corso di esecuzione, allorche' sorge il problema dell'indisponibilita', da parte della societa', dell'autorizzazione per smaltire l'amianto rimosso; e, coerentemente con il suo ruolo all'interno dell'azienda, si adopera per aggirare l'ostacolo, in particolare suggerendo l'espediente del ricorso al subappalto (secondo l'accusa, non consentito). Ma, anche a voler considerare la natura apicale della posizione da lei ricoperta nell'organigramma tecnico della societa', nonche' la sua sicura conoscenza dell'assenza, da parte della societa' medesima, di un titolo essenziale per aspirare legittimamente all'aggiudicazione della commessa, e pur a voler ipotizzare che ella avesse generica contezza di "agganci" del titolare della societa' all'interno dell'amministrazione appaltante (profilo che, per il vero, la sentenza neppure prende in considerazione), tanto non sarebbe sufficiente per dedurre, con il necessario rigore logico, che costei sia stata consapevole del fatto che l'aggiudicazione proprio di quello specifico appalto derivasse da un accordo corruttivo, stretto tra altri ma rispetto al quale ella, sin dall'origine od anche solo a vicenda in corso, abbia offerto la propria disponibilita' a fare quanto eventualmente necessario per "portare a termine il risultato e gli utili per tutti venissero raggiunti". 3.3. L'intervento a gara d'appalto ormai conclusa e ad aggiudicazione effettuata, nell'assenza di dimostrazione di una preventiva disponibilita', quanto meno, a fare quanto eventualmente occorrente per il perfezionamento degli accordi illegali stretti dal dominus effettivo della societa', espone alle medesime censure il giudizio di colpevolezza dell'imputata anche per la turbativa d'asta contestatale sub F). Ai fini della configurazione del delitto di turbata liberta' degli incanti, infatti, non rilevano le condotte successive all'aggiudicazione della gara (Sez. 1, n. 46546 del 11/11/2005, Castiglione, Rv. 232960). 3.4. Pure per questa imputata, infine, quanto sin qui esposto rende superfluo l'esame degli ulteriori motivi di ricorso. 4. Osservazioni sostanzialmente analoghe debbono rassegnarsi per l'imputata (OMISSIS), che, come la (OMISSIS), occupava una posizione di vertice all'interno " (OMISSIS)", essendone addirittura la rappresentante legale, e che, pero', al pari della sua coimputata, ha svolto un ruolo attivo nella vicenda soltanto dopo l'aggiudicazione della gara e la stipula del contratto, quando si e' manifestato il problema dello smaltimento dell'amianto. Le ragioni poste dalla Corte d'appello a fondamento del giudizio di colpevolezza nei suoi confronti, per entrambi i reati ascrittile, sono sostanzialmente le stesse di quelle riguardanti la (OMISSIS): la consapevolezza del fatto che la societa' non disponesse delle autorizzazioni necessarie; il ruolo attivo nella predisposizione del subappalto, anche mediante personali e diretti contatti con i responsabili della stazione appaltante; l'illegittimita' del subappalto medesimo (pagg. 33, 41). Pure per lei, pero', la sentenza omette completamente di porsi - e di risolvere - la questione della consapevolezza, quanto meno, della riconducibilita' dell'aggiudicazione dell'appalto ad un patto corruttivo, alla cui conclusione anch'ella certamente e' rimasta estranea. Ne', per lei, puo' condurre a conclusioni diverse l'ulteriore circostanza di fatto valorizzata in sentenza nei suoi confronti, vale a dire il rinvenimento, presso la sua abitazione, di due differenti versioni del contratto d'appalto in questione, l'una senza la previsione del subappalto, l'altra, invece, con la relativa clausola. Tale fatto puo' senza dubbio dimostrare - come si legge nella stessa sentenza - che ella fosse consapevole dell'illegittimita' dell'appalto (pag. 42), ma non anche della riconducibilita' della relativa aggiudicazione ad un accordo corruttivo. Ne', a maggior ragione, dalla disponibilita' di quei documenti puo' desumersi, se non con un inaccettabile salto logico, un contributo, materiale o morale, da costei offerto al perfezionamento del patto illegale od anche soltanto al reperimento od alla consegna dei fondi per la remunerazione dei funzionari corrotti. Anche nei suoi confronti, in definitiva, le motivazioni del giudizio di colpevolezza non possono reputarsi persuasive. 5. Da tutto quanto sin qui argomentato, discende l'annullamento della sentenza impugnata per tutti i ricorrenti. Non emergendo spazi per possibili approfondimenti istruttori ne' l'esigenza di chiarimento di alcuni passaggi argomentativi della decisione, non v'e' necessita' di rinviare il processo al giudice di merito per un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per non avere commesso il fatto.

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