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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. GIANLUCA MORABITO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. r.g. 1221/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Fa.Fe., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, come da delega rilasciata nel giudizio di prime cure APPELLANTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. Ma.Fa., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Fara Sabina (RI), (...), come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello APPELLATO CONCLUSIONI I difensori delle parti concludevano come da note scritte ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata) e la causa veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024, avendo le difese rinunciato ai termini per il deposito delle note conclusionali. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) proponeva appello contro la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023, con cui era stata respinta l'opposizione dallo stesso proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 157/21 reso dallo stesso Giudice di Pace e per effetto del quale gli era stato ingiunto di pagare al (...) la somma di Euro 1.681,68, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di oneri condominiali risultanti dal relativo bilancio approvato dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021. Con un primo motivo l'appellante lamentava la "nullità/annullabilità del decreto ingiuntivo sia in via di eccezione che in via di azione" deducendo, tra l'altro: che il decreto ingiuntivo era nullo per mancanza delle condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace nulla aveva rilevato nella sentenza impugnata in merito alle eccezioni sollevate dall'opponente, limitandosi a sostenere che la spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" era stata approvata, come da bilancio, dall'assemblea condominiale in data 13.02.2021; che si trattava, tuttavia, di approvazione di spesa per "Appalto lavori corpo fabbricato A" deliberato nel corso dell'assemblea straordinaria tenutasi in seconda convocazione; che la ragione della nullità della richiamata delibera era da rinvenirsi nel fatto che l'attore, come già argomentato nell'atto di citazione in via riconvenzionale al punto 1, non aveva mai ricevuto alcun atto di convocazione all'assemblea del 13/02/2021 e nemmeno alcuna delibera assembleare, ovvero il computo metrico di ben 22 pagine; che, quindi, l'oggetto della delibera assembleare del (...) del 13/02/2021 non risultava in alcun modo né determinato, né determinabile; che parte convenuta, nell'atto monitorio, non aveva allegato le ricevute di convocazione assembleare per il 12/02/2021 in prima convocazione e del 13/02/2021 in seconda e nemmeno le ricevute di spedizione della delibera assembleare contenente il computo metrico; che, difatti, dalla delibera stessa allegata al ricorso monitorio non era rinvenibile alcun oggetto e, ai sensi del combinato disposto degli l'art. 1418 e 1346 cod. civ., la stessa era affetta da nullità c.d. strutturale; che, altresì, nessuna notifica dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, nessun verbale di assemblea e nessun atto di messa in mora gli erano pervenuti, così risultando carenti le condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.; che il Giudice di Pace non aveva motivato circa la mancata convocazione dell'appellante all'assemblea straordinaria del 13/02/2021 per "Appalto lavori corpo fabbricato A" in quanto la convocazione era stata inviata con raccomandata AR postale del 02/02/2021 n. 15447154568-7 (doc. 10) presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino (RI) (...) Ind, - allegata nella comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022 all'all. 4, pagg. 27 e 28 - non ritirato per compiuta giacenza poiché trasferitosi in (...) in Fara in Sabina in data precedente del 01/12/2020, come risultante da certificato storico del 02/12/2021 del Comune di Fara in Sabina (doc. 11); di non essere altresì venuto a conoscenza nemmeno del verbale di assemblea inviato dal (...) con plico spedito il 17/04/2021, raccomandata AR n. 15447154664-3 presso la medesima residenza in Frasso Sabino (...), - allegato 5 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - non ritirato per compiuta giacenza (doc. 12), plico con raccomandata AR 15447154675-6 presso (...) a Fara in Sabina (RI) (doc. 13) - allegato 6 alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta del 10/03/2022, pagg. 11 e 12 - anch'esso non ritirato per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...) in Fara in Sabina (RI); che il Condominio aveva prodotto la ricevuta di ritorno della raccomandata n. 20138171029-5 del 19/05/2021 (pag. 13 comparsa costituzione e risposta del 10/03/2022) diretta al Sig. (...) alla precedente residenza di Frasso Sabino (RI) alla (...) (doc. 14) dichiarando che la stessa conteneva un sollecito di pagamento, senza però allegarlo, non ritirato anch'esso per compiuta giacenza poiché notificato in residenza diversa dalla propria di (...), in Fara in Sabina (RI); che nell'ipotesi di produzione della delibera nell'ambito della richiesta di un decreto ingiuntivo a carico del condomino, tale produzione o la notifica del decreto ingiuntivo non equivaleva a conoscenza della delibera stessa; che il termine per il condomino per l'impugnazione decorreva quindi dalla comunicazione della delibera all'indirizzo del condomino (cfr. Cass. 16081/2016); in merito alle eccezioni del (...) convenuto in prime cure sulla contestata mancata comunicazione del cambio della propria residenza, che la legge prevedeva l'obbligo per l'amministratore di eseguire delle indagini per reperire la nuova residenza del condomino, addebitando su quest'ultimo le relative spese; che "In subordine al mancato riconoscimento della sopra descritta nullità, in via di azione, (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021)..." l'appellante riproponeva "...l'annullamento del decreto ingiuntivo per lo stesso oggetto e motivazioni sopra esposte ai sensi dell'art. 1137, II comma da intendersi di seguito riportate e trascritte (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021 Con un secondo motivo il sig. (...) prospettava la "...annullabilità della delibera per approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria in via di azione ai sensi dell'art. 1137 comma 2, per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4" evidenziando, tra l'altro, che considerato che ai sensi dell'art. 1137 comma 2 cod. civ. esso appellante non aveva ricevuto alcuna comunicazione per la partecipazione all'assemblea straordinaria del 12/13.02.2021 per l'approvazione di lavori straordinari al corpo del fabbricato "A" del (...) appellato e, quindi, non aveva potuto parteciparvi e considerato, inoltre, che non gli era stata data alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, si doveva ritenere che i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria per chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione (cfr. Cass. S.U. 9839 del 14/04/2021) non fossero ancora decorsi e, comunque, non fossero decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto, che, pertanto, il vizio denunciato determinava l'annullabilità della delibera assembleare per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale; che la delibera in questione non era valida e quindi andava annullata poiché il quorum deliberativo era stato di 444,575, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) Con un terzo motivo l'appellante lamentava, infine, la "annullabilità della delibera assembleare in via di azione per violazione ai sensi dell'art. 1137 comma 2 per violazione dell'art. 1136 VI comma cod. civ. e dell'art. 66 disp. att. cod civ." deducendo, tra l'altro: che la busta contenente la convocazione per l'assemblea del 12-13/02/2021 corredata dal computo metrico afferente i lavori straordinari del corpo di fabbrica "A" risultava essere stata spedita in data 02/02/2021 a mezzo raccomandata postale AR n. 15447154568-7 presso la vecchia residenza dello (...) in Frasso Sabino, (...) e non ritirata dopo la compiuta giacenza; che il Condominio aveva affermato che quella era la sua residenza conosciuta dall'amministratore e che, pertanto, la notifica era regolare; che, tuttavia, la notifica non si era perfezionata, essendo stata inviata nella vecchia residenza a Frasso Sabino in (...) (doc. 10); di non averne avuto conoscenza, non essendo più residente in quel luogo e non avendovi conservato la propria residenza effettiva ed abituale, ovvero alcuna dimora, come risultava anche dal certificato di residenza storico del 02/12/2021 della Città di Fara in Sabina allegato al doc. 3 dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo e dalla circostanza che l'agente notificatore non aveva provveduto a ricercare la residenza effettiva ed abituale, ovvero la dimora del destinatario della notificazione; che conseguentemente la notificazione era tamquam non esset, ovvero inesistente con accoglimento della richiesta di annullamento della delibera del 13/02/2021 del (...) convenuto; che anche a voler ritenere detta notifica regolare, doveva comunque "dichiararsi" l'annullamento ai sensi dell'articolo 1137 comma 2 del codice civile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati ai sensi dell'art. 66 disp. att. cod. civ., come rinnovato nel 2012, secondo cui l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione; che, difatti, come evincibile dalla documentazione postale allegata (doc. 18), la raccomandata postale dell'avviso di convocazione per le adunanze dell'assemblee del 1213/02/2021 risultava giunta all'ufficio postale di Frasso Sabino disponibile al ritiro il 09/02/2021, ovvero solo tre giorni prima non liberi dalla convocazione della prima adunanza per il giorno 12/02/2021 ore 06.00 (doc. 4 allegato memoria cost. del Condominio). Il sig. (...) rassegnava, all'esito, le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale di Rieti adito, in funzione di giudice di Appello, per i motivi esposti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, in riforma della sentenza n. 5 del 03/02/2023 del Giudice di Pace di Poggio Mirteto (doc. A) depositata in cancelleria il 27/02/2023, di cui al R.G.N. 21/2023, non notificata all'appellante: accertare e dichiarare che il decreto ingiuntivo n. 157/2021 - RG N 242/2021 emesso dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, notificato all'opponente il 18/11/2021, è affetto da nullità e/o annullabilità e per l'effetto revocarlo. Si chiede l'acquisizione del fascicolo d'ufficio contenente quello di parte presso la cancelleria del Giudice di Pace di Poggio Mirteto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari dell'odierno giudizio e di quello in prime cure nonché della procedura di mediazione". Il (...) costituitosi in giudizio, contestava integralmente l'appello, concludendo come segue: "Nel merito - Accertare e dichiarare l'infondatezza in fatto e diritto delle domande formulate dal Sig. (...), per tutti i motivi di cui in premessa; E per l'effetto - Confermare integralmente la sentenza di primo grado n. 5 del 03.02.2023, resa tra le parti dal Giudice di Pace di Poggio Mirteto, Dott. (...) (Rg. n. 21/22); In ogni caso - Condannare il Sig. (...) al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio". La causa, di natura documentale, veniva trattenuta in decisione con ordinanza del 30.05.2024 sulle conclusioni rassegnate dalle parti in sede di note autorizzate ex art. 127ter c.p.c. depositate rispettivamente in data 02.05.2024 (parte appellante) e 16.04.2024 (parte appellata), previa rinuncia delle difese ai termini per il deposito di note conclusive. Tanto premesso, il primo motivo di appello è infondato e deve essere respinto. Costituisce, invero, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale sommario procedimento monitorio (ex-art. 633, 644 e ss. c.p.c.), si svolge nel contraddittorio tra le parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell'opposizione ..(..).. è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso. Ne consegue altresì che non può avere alcuna rilevanza, per la validità della pronuncia, né che il giudice non ne dichiari la nullità e non lo revochi, né che non motivi sul punto" (Cass. civ. n. 1184/2007; Cass. civ. n. 13001/2006). Di conseguenza, qualora venga proposta rituale opposizione, ciò a cui in quella sede deve aversi riguardo è, sostanzialmente, la pretesa azionata dall'ingiungente, indipendentemente dai vizi che possano eventualmente avere inficiato il decreto ingiuntivo a suo tempo emesso. Stante quanto sopra, nel caso che ci occupa il lamentato vizio di "nullità" o "annullabilità" del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del sig. (...) giammai sarebbe, in sé, suscettibile di determinare una riforma della gravata decisione di primo grado, dovendosi in ogni caso avere riguardo alla pretesa sostanziale fatta valere dal Condominio in sede monitoria. Ne discende l'inevitabile reiezione del primo motivo di appello. Il secondo motivo di appello è infondato e come tale deve essere respinto. Sostiene il sig. (...): che la delibera avente ad oggetto l'approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria debba essere annullata "...per mancata costituzione dell'assemblea di tutti gli aventi diritto e senza l'approvazione della relativa maggioranza ex art. 1136 comma 2 e 4", non avendo egli ricevuto alcuna comunicazione - stante la "inesistenza" della stessa, in ragione della sua notifica ad indirizzo di residenza dell'appellante non più attuale - in ordine alla data di svolgimento dell'assemblea straordinaria e non avendo, quindi, egli potuto parteciparvi; che, non essendogli stata data - per identiche ragioni - alcuna comunicazione delle deliberazioni assunte nella suddetta assemblea, i termini di 30 giorni per adire l'autorità giudiziaria al fine di chiedere l'annullamento della delibera condominiale in via di azione non siano ancora decorsi e, comunque, non siano decorsi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo opposto; che, pertanto, il vizio denunciato determini l'annullabilità della delibera assembleare "per mancanza sia del quorum costitutivo pari alla totalità degli aventi diritto pari a 1.000,000 in luogo di 785,334, sia di quello deliberativo pari a 500,000 in luogo di 392,667 della maggioranza assoluta dell'assemblea condominiale"; che essendo stato il quorum deliberativo di 444,575 millesimi, come tale inferiore ai 500 millesimi previsti per l'approvazione delle delibere per lavori straordinari anche per l'approvazione dei lavori per una sola parte del (...) la delibera in questione sia, per l'appunto, invalida e debba essere annullata. Sul tema, occorre premettere: che ai sensi dell'art 66, comma 3, disp. att. c.c., l'avviso di convocazione dell'assemblea, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione; che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile, ai sensi dell'articolo 1137 del codice, su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. A ciò deve aggiungersi che per pacifico insegnamento della Suprema Corte (ex multis, Cassazione civile, sez. II, sentenza 25/03/2019 n. 8275) l'avviso di convocazione, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, segue la comune regola fissata dall'art. 1335 c.c., secondo il quale la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Nel caso che ci occupa il sig. (...) sostiene, peraltro, che tanto l'avviso di convocazione dell'assemblea, quanto il verbale della stessa assemblea non gli siano stati regolarmente comunicati, gli stessi essendo stati inviati ad indirizzo non corrispondente a quello di residenza anagrafica attuale. L'assunto non può essere condiviso, per le ragioni di seguito esposte. Ed invero, l'introduzione del registro dell'anagrafe condominiale ex art. 1130, n. 6, c.c. ha posto a carico dell'amministratore l'obbligo di annotare in esso le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprensivi dei dati ad essi inerenti anche in caso di variazioni: è quindi compito dell'amministratore provvedervi direttamente, ovvero a spese del condomino qualora questi non provveda di sua spontanea volontà a comunicare i dati richiesti. Il legislatore ha previsto, altresì, come ogni variazione dei dati vada comunicata all'amministratore in forma scritta, entro sessanta giorni, prevedendosi, altresì, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, non solo la possibilità che l'amministratore richieda, con lettera raccomandata, le informazioni necessarie all'aggiornamento del registro di anagrafe, ma anche, nell'ipotesi di omessa o incompleta risposta nel termine di trenta giorni dalla richiesta, la facoltà, per costui, di acquisire personalmente le informazioni necessarie, addebitandone il relativo costo al condomino. In ogni caso, va tenuto presente che se l'amministratore del condominio ha il dovere di regolare tenuta ed aggiornamento costante del registro di anagrafe condominiale, il condomino ha a sua volta l'obbligo di comunicare tempestivamente all'amministratore il proprio eventuale trasferimento in altro e diverso domicilio: in caso contrario, la comunicazione all'indirizzo di residenza risultante dall'anagrafe condominiale, ancorché non più attuale, dovrà ritenersi regolarmente perfezionata e la mancata ricezione dell'avviso sarà necessariamente addebitabile al solo condomino negligente (in termini Trib. Palermo n. 4179/22), non essendo ragionevolmente esigibile in capo all'amministratore una continua e costante verifica in ordine all'esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell'obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell'indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo. Tornando al caso che ci occupa, i plichi contenenti la convocazione per l'assemblea e la successiva comunicazione del relativo verbale sono stati pacificamente inoltrati all'indirizzo del sig. (...) presente nel registro dell'anagrafe condominiale e cioè Frasso Sabino (RI), (...) (circostanza pacifica tra le parti), né dagli atti di causa risulta che l'appellante abbia provveduto a comunicare all'amministratore del condominio, precedentemente alla ricezione dell'avviso, la variazione della propria residenza anagrafica. Nello specifico, la raccomandata a/r contenente la convocazione dell'assemblea condominiale per il 13.02.2021 è stata recapitata dal postino presso l'indirizzo di residenza del sig. (...) presente nell'anagrafica condominiale, posto che, per giurisprudenza, con l'avviso di giacenza immesso nella cassetta postale (esito attestato nella specie dall'agente postale) l'atto di convocazione all'assemblea condominiale si presume conosciuto dal destinatario (v., tra le altre, Cass. civ. n. 20001/2020). Identiche considerazioni valgono con riferimento alla comunicazione del verbale di assemblea, inoltrato a identico indirizzo con esito di compiuta giacenza. Ne discende che dovendo entrambe le comunicazioni ritenersi - per le ragioni tutte di cui sopra - validamente effettuate (in entrambi i casi il plico non è stato ritirato per compiuta giacenza), risulta inesorabilmente spirato il termine perentorio di trenta giorni di cui all'art. 1137, II co., c.c. per proporre ricorso avverso la delibera assembleare avente ad oggetto l'approvazione dei lavori straordinari e della relativa spesa oggetto di ingiunzione. Le superiori considerazioni comportano l'inevitabile reiezione del secondo motivo di appello, non essendo consentito al (...) - stante la scadenza del termine di cui sopra, previsto a pena di decadenza - far valere alcun vizio di annullabilità della delibera assembleare de qua. Per le stesse ragioni deve essere, infine, respinto il terzo motivo di appello, con il quale il sig. (...) lamenta un ulteriore profilo di annullabilità della delibera (omessa ricezione dell'avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data dell'assemblea) il cui scrutinio è precluso in questa sede, stante la scadenza del termine perentorio per proporre ricorso avverso la delibera medesima. In definitiva, l'appello nel suo complesso dovrà essere respinto, siccome giuridicamente infondato. Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto dell'assenza di fase istruttoria e di note conclusionali Dovrà, infine, condannarsi parte appellante al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1quater, D.P.R. n. 115/02, trattandosi di rigetto di impugnazione. P.Q.M. il Tribunale in composizione monocratica, ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così provvede: - respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Poggio Mirteto n. 2/2023 del 03.02.2023; - condanna l'appellante a rifondere al (...) le spese del presente giudizio di appello, che liquida nell'importo complessivo di Euro 1.276,00 a titolo di compensi professionali, oltre alle spese forfettarie ex art. 2 D.M. n. 55/14 e oltre a IVA e CPA come per legge; - condanna il sig. (...) al pagamento di un ulteriore importo pari all'ammontare del contributo unificato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/02. Così deciso in Rieti l'1 giugno 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, pronunzia la presente SENTENZA nel proc. n. 7663/2021 RG promosso da (...), residente a Padova, (...), residente a Padova, (...), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) con domicilio eletto presso il loro studio del primo in Dolo (VE), (...) e con domicilio digitale eletto ai sensi dell'art. 16 sexies D.L. 179/2012 agli indirizzi pec: (...) contro (...) (...), entrambi residenti in Padova (PD), (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al presente atto, dagli avv.ti (...) del Foro di Padova, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi di posta elettronica certificata (...) nonché contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il di lui studio in Padova (...) con l'avv. (...) con la chiamata in causa di Condominio (...) contumace OGGETTO: risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in edificio condominiale - responsabilità dell'amministratore MOTIVAZIONE 1. (...) comproprietari di un appartamento con annesso garage al piano terra sito in Padova, (...) facente parte del complesso di abitazioni denominato "Condominio (...)", amministrato da (...) espongono che il 19 dicembre 2019 si accorgevano dell'improvviso allagamento del loro garage. L'acqua scendeva abbondante a rivoli dal soffitto e si riversava all'interno del box, inzuppando i beni in esso contenuti, quali attrezzi dei figli, vestiti, scarpe ed effetti personali nonché una moto Harley Davidson. (...) cercava di porre al riparo i propri beni e avvertiva l'amministratore del Condominio (...), nonché i proprietari dell'appartamento sovrastante (...) e (...). Dopo alcuni giorni, gli attori scoprivano che le infiltrazioni d'acqua erano state generate dalla rottura di una tubazione idrica (lo scarico della vasca da bagno) dell'appartamento posto al piano superiore di proprietà dei predetti (...) e (...) riparata da una squadra di idraulici inviata dall'amministratore (...). Quest'ultimo li rassicurava, informandoli che avrebbe aperto un sinistro sulla polizza condominiale che presentava garanzia sottoscritta a tutela dei danni da acqua condotta al fabbricato e al contenuto delle singole unità abitative e che quindi nulla vi era da preoccuparsi per quanto concerneva il ristoro dei danni subiti. La Compagnia di assicurazione (...), a seguito della denuncia dell'amministratore del Condominio, apriva il sinistro n. (...) e veniva eseguito il sopralluogo esplorativo da parte del perito incaricato. Tuttavia, la stessa Compagnia, con raccomandata del 2.10.2020, comunicava il diniego dell'indennizzo in quanto la polizza decorreva solo dalle ore 24 del 20.12.2019. Gli attori venivano in tal modo a sapere che l'amministratore non aveva adempiuto a quanto deliberato dall'assemblea del 23.10.2019 di approvazione del bilancio preventivo di gestione ordinaria dall'1.07.2019 al 30.06.2020, ove era stata prevista la voce di spesa per la stipula (rectius rinnovo) dell'assicurazione polizza globale fabbricati. Ciò premesso, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio sia (...) e (...) (...) sia (...), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi euro 15.000,00. (...) e (...) resistono ed hanno chiesto di essere manlevati da (...) chiedendo anche la sua condanna al pagamento delle spese condominiali poste a loro carico nei bilanci 2019/2020 e 2020/2021 sempre per il ripristino delle parti comuni e private necessitato dalla predetta perdita d'acqua per la complessiva somma di euro 1.595,00, oltre ad euro 697,60 per spese di mediazione, chiedendo che l'accertamento fosse effettuato anche nei confronti del Condominio, che è stato così chiamato in causa, rimanendo contumace. Anche (...) resiste. La causa è stata istruita mediante l'assunzione delle deposizioni dei testi (...), (...) (v. udienza 28.02.2023), e con il deposito di ctu estimativa dei danni del p.i. (...). Precisate le conclusioni e scaduti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., la causa passa ora in decisione. 2. Dalle concordi deposizioni di (...) e di (...) risulta che la perdita d'acqua è stata causata dalla vasca del sovrastante appartamento dei convenuti (...) (...) e (...) Il danno è stato dal ctu quantificato in complessivi euro 5.266,40 (iva compresa). (...) e (...) vanno pertanto condannati in solido a pagare tale somma agli attori (...) e (...). 3. Sussiste anche la responsabilità dell'amministratore (...) poiché è pacifico che egli non ha provveduto a stipulare l'assicurazione deliberata dall'assemblea il 2223.10.2019. Non ha alcuna rilevanza che (...) e (...) fossero morosi nel pagamento delle spese condominiali, né che l'assicurazione fosse destinata a coprire anche parti private dei singoli condomini. Nessuna di tali circostanze esimeva l'amministratore dall'adempiere a quanto deciso dall'assemblea condominiale, come conferma il fatto che il giorno dopo il sinistro l'amministratore ha provveduto a stipulare la polizza richiesta. 4. Lo stesso amministratore (...) deve tenere indenne anche i predetti convenuti, in quanto anche nei loro confronti è inadempiente all'obbligo di stipulare la polizza nascente dalla cit. delibera condominiale. Egli deve anche restituire loro la somma di euro 1.595,00 dagli stessi pagata quali spese condominiali a loro addebitate sempre a causa della predetta perdita d'acqua, senza che rilevi la mancata attivazione della mediazione (v. Cass., sez. un., 7.02.2024, n. 3452), né il fatto che (...) e (...) con abbiano impugnato i bilanci 2019/2020 e 2020/2021 che tali spese hanno approvato, poiché si tratta di res inter alios. 5. Si impongono quindi le declaratorie di cui in dispositivo. Le spese di giudizio, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza. P Q M definitivamente pronunziando, condanna (...) e (...) nonché (...) tutti in solido, a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 5.266,40 con interessi legali dalla data odierna al saldo, oltre agli interessi legali sulla stessa somma, devalutata alla data del 19.12.2019 e quindi rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat. Condanna (...) tenere indenne (...) e (...) a quanto saranno costretti a pagare a (...) e (...) per capitale, interessi e spese. Condanna inoltre (...) a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 1.595,00 con interessi legali dalla prima messa in mora al saldo. Condanna (...) e (...) e (...) in solido, a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio, liquidate in euro 237,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Condanna (...) a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio (comprensive della fase della mediazione), liquidate in euro 98,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Pone infine le spese di ctu definitivamente a carico di (...). Padova, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40905/2017 promossa da: (...) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) MILANO presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) MILANO presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. Att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalla impugnativa della delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg (per numerosi motivi sia procedurali che sostanziali) svolta dagli attori con atto di citazione ritualmente notificato con il quale convenivano in giudizio il (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e deduzione, previa sospensione dell'efficacia esecutiva ex art. 1137 c.c., così giudicare: Nel merito: dichiarare nulla o, comunque, annullare l'impugnata delibera assembleare, relativamente ai punti n. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'ordine del giorno dell'assemblea del 14/03/2017 del (...), per i motivi di cui al presente atto. Con vittoria di spese e competenze di legge." Alla prima udienza del 21.12.2017 si costituiva in giudizio il (...) convenuto contestando ogni deduzione avversaria e chiedendo: "Respingere le domande tutte avanzate dagli attori nell'atto di citazione nei confronti del (...), in persona dell'Amministratore pro tempore in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e delle spese del procedimento di mediazione". Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva rinviata per la discussione sull'ammissione dei mezzi istruttori all'udienza del 7.5.2018 Alla fissata udienza il Giudice -su specifica richiesta congiunta delle parti anche al fine di valutare ipotesi conciliative- disponeva CTU contabile, nominando il dott. (...) e rinviando per il giuramento del CTU e la formulazione del quesito. All'udienza del 18.6.2018 il CTU Dott. (...) accettava l'incarico e prestava il giuramento di rito sul quesito posto ed il Giudice rinviava per verificare l'esito del deposito dell'elaborato. Nelle more, a seguito di istanza del CTU, con ordinanza del 15.11.20218 veniva fissata udienza al 21.1.2019 ove le parti concordavano di integrate il quesito posto al CTu nel seguente modo "verranno esaminati su accordo delle parti i punti emersi in corso di operazioni peritali sono ad ora effettuate estrapolando tra questi quelli che saranno oggetto di specifico esame sulla base dei criteri statistici individuati dal CTU" In data 20.5.2019 il CTU depositava elaborato finale ed all'udienza del 20.6.2019 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la stessa per la discussione all'udienza del 25.11.2019 concedendo termine per il deposito di note conclusive sino al 15/11/19. Nelle more con istanza congiunta del 13.11.2019 le parti chiedevano differimento dell'udienza in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata all'udienza del 20/02/20, con termine per il deposito di note conclusive sino al 10/02/20. Con istanza congiunta del 03/02/20, le parti domandavano un ulteriore sempre in pendenza di trattative. Il Giudice, vista la suddetta istanza congiunta, a modifica dell'ordinanza del 25/11/19 rinviava l'udienza del 20/02/20 al 25/02/20, sospendendo i termini per il deposito di note conclusive. La causa veniva poi differita, per impedimento d'ufficio, all'udienza del 27/02/20. Le parti, sempre al fine di coltivare le trattative volte a trovare una soluzione conciliativa, domandavano una serie di rinvii. Il giudizio veniva dapprima rinviato all'udienza del 05/06/20 e poi a quella del 21/10/20, ove su richiesta delle parti il Giudice rinvia per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15.12.2020. Alla fissata udienza le parti, ritenendo ancora possibile il raggiungimento di un accordo transattivo, domandavano un rinvio in pendenza di trattative ed il Giudice rinviava così la causa all'udienza del 13/04/21. All'udienza del 13/04/21, le parti davano atto del fallimento delle trattative e il Giudice, su richiesta delle parti rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 14/12/21. Le parti, in considerazione della nomina di un nuovo amministratore, sempre al fine di raggiungere una conciliazione, domandavano un ulteriore rinvio in pendenza di trattative: la causa veniva dapprima rinviata all'udienza del 03/03/22, poi all'11/07/22 e, infine, per impedimento d'ufficio del Giudice al 15/09/22. In data 12/09/22, le parti depositavano una nuova istanza di differimento udienza sempre in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata al 28/11/22, poi al 20/03/23, 02/10/23 e, infine, al 26/02/24. All'udienza del 26/02/24 le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ed il Giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13/03/24, all'esito della quale la stessa veniva rinviata per la discussione con temine alle parti per il deposito di note conclusive. All'udienza del 31.5.2024 in esito alla discussione viene data lettura della sentenza. Quale primo motivo di impugnazione della delibera del 14.3.2017 il condomino (...) in proprio e non quale legale rappresentante della (...) lamenta la mancata convocazione all'assemblea de quo. Il condominio convenuto eccepisce che il (...) proprietario di immobile nello stabile unitamente con la di lui madre Sig.ra (...) non poteva non sapere della convocazione in quanto destinatario di tre avvisi di convocazione uno inviato a (...) di cui è legale rappresentante (convocazione non ritirata); uno inviato alla madre (...) ed uno al fratello (...). Come noto, è ormai consolidato in giurisprudenza che: 1) l'assemblea deve esser convocata a mezzo di comunicazione scritta che deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione (art.66 disp.att.c.c.,ultimo comma) 2) la convocazione deve essere fatta a tutti gli aventi diritto 3) l'inosservanza di una di tali prescrizioni comporta la annullabilità della delibera, che può esser fatta valere entro 30 giorni, dalla delibera per i dissenzienti e dal ricevimento del verbale assembleare per gli assenti. (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) A ciò si aggiunga che l'art. 66 disp. att. c.c. comma II così come novellato dalla riforma del 2012, e nel caso de quo pienamente applicabile posto che la delibera oggetto di impugnativa è del 14.3.2017 prevede che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Ne consegue che in caso di vizi della convocazione, la delibera può essere contestata (cioè il vizio relativo al difetto di convocazione) solo da coloro che hanno subito direttamente il pregiudizio e non da altri soggetti (Cass. civ. sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082). Deve ritenersi che la novella del 2012 abbia inteso codificare il diritto soggettivo del condomino di partecipare all'assemblea in maniera informata (a tutela del quale è anche previsto un termine entro il quale l'avviso di convocazione deve pervenire a tutti i condomini), in mancanza del quale la delibera deve ritenersi invalida. Orbene, nel caso in esame il condominio conferma di non aver inviato al condomino (...) l'avviso di convocazione ma ne eccepisce la presunzione di conoscenza attesa la regolare convocazione della madre (...) comproprietaria e della (...) del quale il (...) è legale rappresentante Sul punto osserva questo Tribunale che la Suprema Corte (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) qualifica l'avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari - quale atto unilaterale recettizio- per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all'indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza. Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma. Ed infatti giurisprudenza condivisa ha chiarito sul punto, che l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice di merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia" (Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830) Pertanto, seppur vero che ai fini della validità delle delibere assembleari è necessario che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, in caso di comproprietari tale requisito può ritenersi soddisfatto qualora l'avviso sia inviato ad uno solo degli aventi diritto, purché si abbia ragionevole certezza di ritenere che anche il comproprietario sia stato reso edotto." La validità della convocazione per la riunione dell'assemblea condominiale di uno dei comproprietari pro indiviso di piano o di porzioni di piano di un condominio può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione stessa." (Cassazione civile, sez. II, 16/02/1996 , n. 1206) Ciò detto in punto di diritto, nei fatti per cui è causa risulta indiscusso il ricevimento della relativa convocazione e del successivo verbale di assemblea da parte di un solo dei comproprietari, ed esattamente di (...) (...). Dalle evidenze istruttorie non sono emersi elementi di conflittualità tra i comproprietari (...) tali da poter escludere una presunzione di conoscenza ed informazione circa la convocazione per l'assemblea del 14.3.2017, con la conseguenza che si deve ritenere che il sig. (...) sia stato reso edotto della convocazioni ricevute dalla madre e per l'effetto deve essere rigettata la domanda di annullabilità azionata per difetto di convocazione. Con il secondo motivo di impugnazione gli attori lamentano la nullità della delibera del 14.3.2017 per eccesso di potere dovuto alla mera reiterazione di 5 delibere impugnate ed in particolare le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6. Non è contestato che con la delibera del 14.3.2017 l'assemblea abbia reiterato quanto già deliberato in occasione delle assemblee sopra elencate senza nulla aggiungere né togliere. E' stato chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che affinché una delibera possa legittimamente sostituirsi a quella già impugnata, è necessario un riesame della precedente decisione, da effettuarsi attraverso un nuovo apprezzamento degli interessi da perseguire e comporre, eliminando eventuali vizi, finalizzato ad un concreto risultato gestorio a tutela della collettività condominiale; che se, invece, l'assemblea si limita semplicemente a confermare quanto già deciso in precedenza, la seconda deliberazione non può considerarsi "legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante assembleare", configurandosi, al contrario, un eccesso di potere che determina l'invalidità della seconda deliberazione (cfr. Cass.civ. 20.4.2001, n 5889); Infatti secondo la Suprema Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità. Orbene atteso che la delibera del 14.3.2017 nei punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg ha provveduto sui medesimi argomenti ratificando espressamente il contenuto della delibera le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6, va ritenuto sussistente l'eccesso di potere sotto il profilo della ravvisabilità in detta ultima assemblea del fine unico di eludere la definizione dei giudizi già pendenti. Ne consegue l'accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della delibera de quo. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ponendo definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU attesa la richiesta congiunta delle parti al solo scopo di verificare la possibilità di percorrere l'ipotesi transattiva. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede: - dichiara nulla la delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg resa dal (...) convenuto, come in motivazione. - Condanna il (...) convenuto a pagare in favore degli attori, in solido tra di loro, le spese e competenze di lite e di mediazione, che liquida in Euro. 585,00 per spese e Euro.3.500,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, cpa e Iva di legge. - pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU come in motivazione. Milano, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 846 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento, previa sospensione: 1) dell'informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina - Antimafia - prot. Interno n. -OMISSIS-del 08/02/2024 unitamente a tutti gli altri atti connessi, presupposti e/o conseguenziali, ivi compreso, il parere reso dal Gruppo Interforze; 2) delle richieste di informazione antimafia non conosciute perché non citate; 3) delle "informazioni rese dagli Organi di Polizia", non meglio specificate per data e numero di protocollo, come genericamente richiamate nella citata interdittiva; 4) del provvedimento - non conosciuto - di sospensione dall'erogazione dei contributi comunitari mediante apposizione di anomalia D12 di sospensione nel procedimento amministrativo telematico di AGEA; 5) di ogni altro atto presupposto, connesso o, comunque, conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo Messina, dell'A.G.E.A. e dell'Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ditta ricorrente è un'impresa agricola individuale con sede a -OMISSIS-il cui titolare è il sig. -OMISSIS-. Con comunicazione del 28 agosto 2023 la Prefettura di Messina comunicava che dall'istruttoria svolta era emerso il pericolo di infiltrazione della criminalità sulla base di diversi elementi riconducibili: a) alle vicende giudiziarie del titolare; b) alle vicende giudiziarie della coniuge convivente; c) ai rapporti di parentela con 4 diversi soggetti (fratello e 3 nipoti) a vario e diverso titolo coinvolti in procedimenti penali per criminalità organizzata; d) alle frequentazioni con soggetti controindicati; e) a specifiche cointeressenze economiche nell'ambito della famiglia. Con nota del 18 settembre 2024, l'interessato presentava le proprie osservazioni precisando che: - le segnalazioni a carico del titolare risalenti ad oltre 30 anni fa, analogamente a quelle più recenti per reati di truffa, non sono mai sfociate in procedimenti penali; - le condanne per il reato di favoreggiamento personale risalgono al 1993 e al 1997; - i rapporti parentali sarebbero insufficienti a supportare il rischio di infiltrazione e comunque l'amministrazione non avrebbe considerato che uno dei nipoti citati nel provvedimento (arrestato nell'ambito dell'operazione -OMISSIS-) sarebbe stato successivamente assolto; - le cointeressenze familiari sarebbero state determinate dal fatto che i terreni sono il cespite dell'eredità del padre defunto. Con provvedimento dell'8 febbraio 2024 il Prefetto di Messina riteneva le osservazioni inidonee ad incidere sui numerosi e convergenti elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria che valutati complessivamente evidenziavano l'esistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art 91 del Codice Antimafia. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, l'interessato ha chiesto l'annullamento della citata misura interdittiva per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 92 comma 2 bis del D.lgs. n. 159/2011 sotto il duplice profilo: a) della violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato; b) dell'omesso riscontro delle osservazioni difensive della parte ricorrente. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 94 bis del D.lgs. 159/2011, difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla mancata valutazione dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione collaborativa. 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost con riferimento alla libertà economica e alla imparzialità della P.A.; violazione dell'art. 84 del D.lgs. n. 159/2011; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento alle seguenti circostanze: - le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il titolare dell'impresa sono tutte collegate a reati di pascolo abusivo e non costituiscono "reati spia", né fattispecie di "maggiore allarme sociale"; - le condanne per favoreggiamento del titolare risalgono a 30 anni fa. 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85 e 91 del D.lgs. n. 159/2011 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione alla mancata esternazioni delle modalità con le quali i parenti indicati nel provvedimento sarebbero in grado di condizionare la gestione dell'impresa. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha puntualmente controdedotto ai motivi di ricorso; ha, inoltre, depositato gli atti dell'istruttoria tra cui le informazioni rese dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Partendo dalle contestazioni di ordine procedimentale va osservato che: - il termine di sessanta giorni di cui all'art. 92 comma 2 bis invocato dalla parte ricorrente si riferisce espressamente alla durata complessiva della fase (infra)procedimentale del contraddittorio e non al termine di definizione del procedimento che rimane regolato dalle disposizione dell'art. 92, comma 2° del D.lgs. n. 159/2011 (e che, peraltro, rimane sospeso durante la fase del contraddittorio tra le parti, cfr. in termini: Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2024, n. 2260; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 10 maggio 2024, n. 1749); - in ogni caso, in mancanza di una espressa qualificazione dei termini come "perentori", essi vanno intesi come termini sollecitatorio o ordinatori, sicché il loro eventuale superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. in termini, C.G.A. 5 giugno 2023, n. 388); - non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione dell'art. 92, comma 2bis per la ritenuta omessa valutazione delle memorie di parte ricorrente atteso che alle pag. 6 e segg. del provvedimento sono esternate le ragioni della ritenuta inidoneità delle osservazioni a modificare la valenza del quadro fattuale e indiziario. Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso. 3. Quanto alle censure mosse dal ricorrente circa la presunta insussistenza a carico dello stesso delle condizioni per l'adozione di un provvedimento interdittivo, il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 91 e 94 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione - per come disciplinato dal Codice Antimafia - si presenta come "binario", inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia la valutazione "atipica" di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. I presupposti per l'emanazione di un provvedimento interdittivo costituiscono, quindi, un cata aperto da cui l'Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all'apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all'art. 84, comma 4° del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei "concreti elementi" di cui all'art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011. 3.1 Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell'attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il "tentativo di infiltrazione" deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere raggiungere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate" richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali). 3.2 Venendo alla fattispecie oggetto di giudizio, gli elementi su cui il provvedimento interdittivo ha fondato la sua prognosi indiziaria sono costituiti: - da varie vicende giudiziarie del ricorrente e della coniuge convivente; - dalle frequentazioni, tutte recenti (v. pag. 5 del provvedimento), con soggetti pregiudicati; - dai rapporti di parentela con soggetti coinvolti a vario titolo in procedimenti penali per associazione di tipo mafioso (pagg. 2 e segg. del provvedimento) e dalle cointeressenze economiche con i membri della famiglia derivanti dai numerosi contratti di affitto indicati alle pagg. 5-6 del provvedimento. In particolare, il ricorrente è : 1) fratello di -OMISSIS-(attualmente detenuto, come riferito dallo stesso ricorrente), rimasto coinvolto nell'ambito nelle operazioni di polizia denominate -OMISSIS- (per il reato di associazione di tipo mafioso, riqualificato, con apposita Ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Palermo, nel reato di favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso) e -OMISSIS- (in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato; 2) zio di -OMISSIS- (figlio del fratello sopra indicato) socio amministratore insieme ad altro soggetto di impresa agricola operante nel medesimo territorio e già destinataria, nel 2018, di provvedimento interdittivo; 3) zio di -OMISSIS-, titolare di altra impresa destinataria, nel 2021, di interdittiva; 4) zio di -OMISSIS- (anch'egli figlio del fratello indicato sub 1) arrestato nel 2019 nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per i reati di concorso in associazione di tipo mafioso, concorso in truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori; 5) zio di -OMISSIS- (figlio di altro fratello del ricorrente): a) segnalato, tra l'altro, nel 2016 per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con esponenti del mandamento mafioso di -OMISSIS- e condannato, per tali reati, nel 2019 (sentenza del 2019 indicata nel provvedimento) alla pena di anni 6 di reclusione e 4.000,00 euro di multa; b) coinvolto, sempre nel 2016, nel procedimento penale convenzionalmente denominato -OMISSIS-per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis commi 1,3, 4, 5 e 6 c.p.), quale appartenente alla famiglia mafiosa inserita nel mandamento di -OMISSIS-, successivamente arrestato, nel 2018, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare e, infine, assolto nel 2019 "per non avere commesso il fatto"; di tale assoluzione da espressamente atto il provvedimento impugnato precisando che la circostanza non elide la contiguità ai contesti malavitosi comunque ritraibili dalle dinamiche relazioni emerse dall'ordinanza di custodia cautelare (pag. 7 del provvedimento); c) segnalato, nel 2018, e successivamente sottoposto, unitamente ad altri 3 familiari (-OMISSIS-), a misure cautelari nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- poiché responsabili, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l'organizzazione mafiosa e concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; - citato nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione denominata -OMISSIS-da cui emerge l'inserimento in un contesto criminale dedito principalmente alla commissione di estorsioni in danno di imprese edili. Risultano, infine, indicati 5 contratti di affitto di fondi rustici (uno risalente al 2015, gli altri molto più recenti) tra il ricorrente e altri fratelli in qualità di dante causa con controparti appartenenti alla medesima famiglia; tra questi soggetti figurano, tra gli altri, i soggetti indicati sub 1), 2), 3) e 4.c). 3.3 Ciò premesso il Collegio ritiene che i riferiti elementi, complessivamente valutati, danno vita ad un quadro indiziario sufficiente per ritenere correttamente formulato il giudizio del Prefetto circa l'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività economica ed imprenditoriale riconducibile alla ditta del ricorrente, ove si consideri la funzione di tutela sociale significativamente anticipatoria assegnata dal legislatore alle misure previste dalla normativa antimafia. Non si può disconoscere che un ruolo centrale nell'impianto motivazionale è costituito dai rapporti parentali che - come più volte affermato anche da questo TAR - da soli e astrattamente considerati non avrebbero potuto sostenere un'informazione interdittiva, dato che la pericolosità sociale non si trasferisce automaticamente da un parente all'altro essendo comunque necessario un concreto rischio che dalla parentela possa scaturire un pericolo di condizionamento. Invero, il solo legame parentale, nella sua mera esistenza, non si presta - in mancanza di ulteriori elementi idonei ad attribuirgli concreta rilevanza indiziaria nella prospettiva della valutazione antimafia - a fondare il pericolo di condizionamento, ciò in quanto il rapporto familiare, genericamente inteso, in quanto ontologicamente esistente in una dimensione non solo extra-criminale, ma anche extra-imprenditoriale, può alternativamente costituire, dal punto di vista della valutazione interdittiva, un elemento "inerte" o neutrale, in quanto privo di concreto significato ai fini preventivi e confinato esclusivamente nella sfera personale, ovvero un elemento "dinamico" e rilevante, in quanto idoneo ad innescare il flusso inferenziale che fa da sfondo alla ricostruzione indiziaria del pericolo di condizionamento. A determinare il passaggio "qualitativo" del vincolo parentale dall'una all'altra dimensione valutativa è la specifica caratterizzazione dello stesso, soprattutto in determinati contesti socio economici nella doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico" che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, con la conseguenza che il vincolo parentale unitamente al contesto ambientale e sociale nel quale opera l'impresa attinta da informativa possono rilevare quali elementi sintomatici accessori tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l'impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori (cfr. in termini, C.G.A. 6 novembre 2023, n. 762; 6 marzo 2023, n. 200; Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2022, n. 2167; 17 marzo 2022, n. 1935; 7 marzo 2022, n. 1622). Orbene, nel caso di specie, ciò che assume profonda valenza in chiave prognostica, non è solo il coinvolgimento dei familiari del ricorrente in vari procedimenti penali anche per reati associativi, risultando determinanti anche le cointeressenze economiche comprovate dall'affitto dei fondi rustici (alcuni dei quali con familiari già destinatari di interdittive) in uno specifico contesto socio economico e in un limitato ambito territoriale (caratterizzato da una pervasiva presenza del fenomeno mafioso espressione della regia clanico-familiare delle attività in agricoltura) ove il pericolo di contaminazione mafiosa assume connotazioni più pregnanti. 3.4 A ciò si aggiunga il fatto che altro elemento indiziario è costituito da una serie di recenti frequentazioni con soggetti fortemente controindicati con pregiudizi, tra gli altri, per sequestro di persona a scopo di estorsione, concorso in associazione di tipo mafioso, rapina e truffa aggravata. Anche i predetti elementi, esaminati nelle loro specifica consistenza e valutati nel contesto territoriale e sociale in cui opera l'impresa agricola sono idonei a sorreggere, in una logica di prevenzione, l'impianto dei due provvedimenti in termini di indici sintomatici dell'infiltrazione mafiosa. 3.5 Quindi, il Collegio - tenuto anche conto dei limiti di sindacato su un provvedimento assistito dalla lata discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto per parametri quali l'irragionevolezza, l'arbitrarietà, il travisamento del fatto, elementi questi che non connotano la fattispecie - ritiene che risultino persuasivamente ricostruiti i rapporti familiari connotati da cointeressenze economiche e gli ulteriori rapporti tra il ricorrente e soggetti pregiudicati per reati gravi che consentono appieno di ritenere soddisfatto il requisito del "più probabile che non" dato che non vi è stata un'automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l'apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell'impresa. 4. Gli elementi sopra richiamati, per le loro oggettive caratteristiche, la continuità nel tempo e per il loro significato in termini prognostici esprimono, inoltre, un pericolo di infiltrazione avente una natura e dimensione tale, anche in relazione alle caratteristiche del soggetto economico in questione, da non potere essere adeguatamente fronteggiate da strumenti diversi da quello interdittivo, sicché la scelta della Prefettura di ricorrere all'informativa interdittiva (in luogo delle misure di collaborazione preventiva) risulta formalmente coerente all'impianto motivazionale posto a fondamento dell'atto. 5. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza, nei rapporti tra la parte ricorrente e il Ministero dell'Interno - UTG di Enna, secondo la liquidazione operata in dispositivo tenendo anche conto dell'immediata definizione del giudizio in sede cautelare. Le spese sono, invece, compensate con le altre parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell'Interno - UTG di Enna che liquida nella somma complessiva di Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese con le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e delle generalità delle altre persone fisiche citate del provvedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Agnese Anna Barone - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI Sesta Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Roberta De Luca, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti; rilevato che ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 19005 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2023, avente ad oggetto: consegna elenco condomini morosi vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.La., presso il cui studio in Napoli alla (...) ha eletto domicilio; - RICORRENTE - CONTRO (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore avv. Cl.D., C.F. P.IVA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Cl.D., che ne ha la facoltà ai sensi dell'art. 82 c.p.c., e dall'avv. Pa.Ca., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli alla (...) - RESISTENTE - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.12.2023 (...) premesso di essere condomino dello stabile ubicato in Napoli alla (...), ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a ricevere la consegna della copia dell'estratto conto corrente del (...) relativamente ai seguenti periodi: 01.01.2017/31.12.2017 - 01.01.2018/31.12.2018 - 01.01.2020/31.12.2020 - 01.01.2021/31.12.2021, condannando il (...), nella persona dell'amministratore in carica, alla consegna della copia conforme dei suddetti documenti, fissando una sanzione ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo e con vittoria di spese di procedura. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituito il CP1 resistente eccependo la continenza ovvero la litispendenza con altro procedimento avente n. 10033/2022 R.G.A.C., pendente dinanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto la consegna di ulteriore documentazione condominiale, nonché l'improcedibilità della domanda per parcellizzazione delle richieste di consegna. Ha contestato, nel merito, la fondatezza della domanda. Instaurato il contraddittorio e rinviata la trattazione al fine di consentire la consegna della documentazione richiesta dal ricorrente, nel corso dell'udienza odierna, previa discussione orale, la causa è stata discussa e decisa. Deve, in primo luogo, essere disattesa l'eccezione di litispendenza in quanto nel giudizio iscritto al n. 10033/2022 R.G.A.C. è stata richiesta la consegna di documentazione diversa ed ulteriore rispetto a quella richiesta con il presente giudizio e, segnatamente, di copia dei registri di contabilità dal 2017 al 2021; dei verbali assembleari relativi al medesimo arco temporale; dell'ultimo bilancio consuntivo approvato; del regolamento e dell'anagrafe condominiale. Com'è noto, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.p.c. occorre che le domande abbiano identità di petitum e di causa petendi. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della domanda per violazione dell'obbligo di buona fede e per il frazionamento della domanda, va rimarcato che le sezioni unite della Cassazione hanno affermato che: "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., ord. n. 17893 del 06.07.2018; in senso conforme Cass. civ., sent. 6591 del 07.03.2019). Ne consegue che, essendovi interesse del ricorrente all'acquisizione della documentazione richiesta e potendo l'interesse a richiedere documentazione bancaria essere sorto dopo, se non in conseguenza, della richiesta di consegna della documentazione di cui al giudizio avente n. 1033/2022 R.G.A.C., indipendentemente dalla proposizione di due autonomi giudizi non si è incorsi in alcuna inammissibilità della domanda. Passando all'esame, nel merito, della domanda, deve, conformemente alle conclusioni rassegnate, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la documentazione richiesta è stata consegnata in corso di causa. Secondo la giurisprudenza di legittimità la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è, in sostanza, un rigetto per sopravvenuta infondatezza della domanda e/o per sopravvenuta carenza di interesse - che, essendo una condizione dell'azione, deve sussistere al momento di adozione della pronuncia -. Tale dichiarazione si adotta, quindi, quando viene a mancare ogni posizione di contrasto tra le parti per essere sopraggiunti nel corso del processo eventi estintivi della controversia (Cass. 3690/1988) oppure quando, pur sopravvivendo formalmente un contrasto o comunque una domanda di parte, sono intervenute situazioni sostanziali che abbiano privato la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. 8219/1996; 2970/1993; 4792/1991; 46/1990), come nei casi in cui vi sia stata una transazione, il riconoscimento della pretesa, la rinuncia all'azione, la morte della parte in azioni intrasmissibili o - come nel caso in esame - la soddisfazione della pretesa. Passando all'esame della disciplina delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale, occorre premettere, in termini generali, che gli obblighi informativi e di rilascio di copie, gravanti sull'amministratore del condominio e normativamente sanciti, sono: quello, di cui all'art. 1129, II comma, c.c., di far prendere gratuitamente visione, previa richiesta all'amministratore, e di far ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata dall'amministratore del registro dell'anagrafe condominiale, del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; quello, di cui all'art. 1130 n. 9) c.c., di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso"; quello, di cui all'art. 1130 bis c.c., di far prendere visione ai condomini "dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese". Il diritto, normativamente sancito, ad ottenere copia integrale degli estratti di conto corrente condominiale non è perciò stabilito dalla legge ma, in ogni caso, rientra nel più ampio obbligo di rendicontazione proprio dell'amministratore di condominio, dovendo dare conto della propria gestione anche con riferimento alla movimentazione delle somme afferenti alla gestione condominiale sul conto corrente a ciò dedicato. Né, tantomeno, il (...) resistente in alcun modo ha contestato l'interesse del ricorrente ad ottenere la suddetta documentazione. Non può, peraltro, essere adottato alcun ordine di consegna a carico del (...) resistente, dovendo esserne rilevato, d'ufficio, il difetto di legittimazione passiva. Trattandosi di decisione fondata su di una questione processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà "ex ante" di esercitare ampiamente il contraddittorio, non occorreva sottoporre la questione al previo contraddittorio fra le parti in causa (cfr Cass. civ., sent. n. 24312 del 16.10.2017; in senso conforme Cass. civ., ord. n. 12978 del 30.06.2020), pur essendo le parti state espressamente invitate a tanto con ordinanza di fissazione dell'odierna udienza. Com'è noto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'istante, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. La titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. civ., sent. n. 14468 del 30.05.2008; Cass. civ., sent. n. 355 del 10.01.2008; Cass. civ., sent. n. 11321 del 16.05.2007; Cass. civ., sent. n. 4796 del 06.03.2006). Di conseguenza, il difetto di titolarità deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito, mentre il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. civ., sent. n. 20819 del 26.09.2006). La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell'azione, una condizione per ottenere cioè dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa. Appartiene, invece, al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ciò premesso, la condanna alla consegna di documentazione è stata formulata non già nei confronti dell'amministratore in proprio, bensì nei confronti del (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con conseguente evocazione in giudizio dell'ente di gestione. Orbene, nell'ambito dei rapporti interni fra condomini mandanti ed amministratore, gli obblighi di consegna della documentazione condominiale sono assunti dall'amministratore in proprio, rispondendo costui contrattualmente nei confronti dei singoli condomini dell'inadempimento delle obbligazioni derivanti per legge dall'incarico professionale conferitogli (cfr Trib. Napoli, sez. VI, ord. 15.02.2019, in Condominioelocazione.it, 9 dicembre 2019). È solo nei rapporti esterni con i terzi creditori, invece, che l'obbligazione di consegna trova quale suo titolare passivo il condominio, in persona del suo amministratore, non già l'amministratore persona fisica (cfr Corte di Appello di Napoli, sent. n. 3015 del 28.06.2022, riferita all'obbligazione di consegna di cui all'art. 63 disp. att. c.c.). Nei confronti dei terzi, infatti, gli obblighi che gravano sull'amministratore sono l'espressione del suo potere di rappresentanza del (...) e, quindi, ove inadempiuti, non comportano una sua responsabilità diretta e personale verso i terzi creditori del (...), bensì una immediata responsabilità dell'ente di gestione che egli rappresenta. Nei rapporti interni all'ente di gestione, invece, l'amministratore risponde in proprio dell'inadempimento alle obbligazioni da lui contrattualmente assunte e, del resto, nel caso in cui l'inadempimento all'obbligazione di consegna sia posto a fondamento di una domanda di revoca giudiziale, legittimato passivo rispetto alla stessa è l'amministratore di condominio, in proprio, non già l'ente di gestione da costui rappresentato. Sarebbe, del resto, non equo riversare sull'intera compagine condominiale gli oneri ed i costi dell'inadempimento dell'amministratore alle obbligazioni di consegna di documentazione in favore di uno dei condomini. In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del (...) resistente rispetto alla domanda azionata dalla ricorrente, con assorbimento della domanda di cui all'art. 614 bis c.p.c., evidenziandosi che è solo il soggetto "obbligato", ovvero il destinatario della domanda, non già un differente soggetto, che può essere condannato al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione, inosservanza o ritardo nell'adempimento del provvedimento di condanna. Stanti i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito in ordine al soggetto passivo della domanda di consegna di documentazione CP3 sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 28/2010, infine, il (...) il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione del 18/09/2023, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando, letti gli atti del procedimento iscritto al n. 19005/2023 R.G.A.C., ogni altra domanda, eccezione e difesa disattesa, così provvede: a) dichiara la cessazione della materia del contendere; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite; c) condanna il (...) sito in Napoli alla (...) al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Napoli, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. Scarl INI E.V.S. - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PICARDI ANTONIETTA, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13 luglio 2022, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile l'appello proposto nell'interesse di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Roma che l'aveva ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, consumata quale amministratore della srl (OMISSIS), dichiarata fallita (OMISSIS). 1. La Corte d'appello osservava come l'impugnazione del (OMISSIS) difettasse di specificita', posto che, in essa, l'imputato si era solo genericamente lamentato dell'assenza di una motivazione che ne giustificasse la condanna e dell'applicazione di una pena superiore al minimo edittale. 2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo, con l'unico motivo, la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alle censure articolate dal prevenuto nell'atto di appello. Nel primo motivo ci si era doluti della condanna nonostante si fosse affermato, nell'atto di gravame, come non vi fosse prova della consegna della contabilita' da parte del precedente amministratore. Il Tribunale aveva ritenuto la responsabilita' del prevenuto nonostante l'assenza di prove della stessa e nonostante il medesimo fosse solo un prestanome. 3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Antonietta Picardi, conclude, con nota scritta, per l'inammissibilita' del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente inviava una nota scritta di conclusioni chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato e' inammissibile. 1. Dalla diretta lettura dell'atto di appello si evince che, come aveva osservato la Corte territoriale, ci si era limitati a lamentare il vizio di motivazione senza pero' citare alcun argomento concreto che confutasse il percorso argomentativo seguito dal Tribunale (non vi era traccia alcuna delle osservazioni, spese soltanto con l'odierno ricorso, circa la carenza della prova della consegna all'imputato delle scritture contabili ed il suo ruolo di prestanome). Altrettanto generiche erano state le doglianze sulla misura della pena, di cui si lamentava toltanto la "eccessiva onerosita'" (la pena, peraltro, era stata fissata ai minimi edittali). 2. Ne consegue l'inammissibilita' del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro 3.000, versando il medesimo in colpa, alla Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) SRL IN PERS. DEL RAPPR. PROC. (OMISSIS) avverso la sentenza del 08/09/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' dei ricorsi. uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS), difensore delle parti civili, deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta; chiede rigetto dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso; nelle more eccepisce l'intervenuta prescrizione. L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), legale rappresentante della (OMISSIS) srl, si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Genova, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Massa il 14.6.2019, ha condannato (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione e 7000 Euro di multa in relazione ai reati di contraffazione di alcuni rotoli di nastri da bomboniere e da confezione, tra quelli contestati e sequestrati, riproducenti marchi figurativi dei brand di lusso "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" (attraverso la ditta individuale tessile denominata " (OMISSIS)", di cui era titolare), e di commercializzazione sistematica di tali prodotti contraffatti (attraverso la " (OMISSIS). s.r.l.", di cui era amministratore unico); sono state riconosciute, nei confronti dell'imputato, le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante di cui all'articolo 474-ter c.p.; la sentenza d'appello ha anche dichiarato, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la responsabilita' amministrativa della societa' " (OMISSIS). s.r.l.", applicando all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 200 quote del valore di Euro 300 ciascuna, nonche' la sanzione interdittiva prevista dagli articoli 5, 25-bis e 9, comma 1, n. 2, dello stesso decreto legislativo per la durata di mesi sei, ordinando la pubblicazione della sentenza per estratto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18. 1.1. L'assoluzione era stata fondata dal giudice di primo grado su alcuni argomenti principali: a) i disegni impressi sui nastri sequestrati erano diversi rispetto a quelli oggetto di registrazione da parte delle due case di moda (OMISSIS) e (OMISSIS) e non era rinvenibile nemmeno la presenza di segni distintivi delle predette griffe che permettessero di confondere i rispettivi prodotti (cfr. pag. 4 e ss della sentenza di primo grado) con cio' escludendosi la contraffazione laddove i marchi venissero considerati di tipo "debole"; b) qualora i marchi fossero ritenuti di tipo "forte" non ricorrevano comunque quei requisiti enunciati dalla giurisprudenza di legittimita' per determinare la tutela penale ed identificabili nel riferimento al nucleo ideologico caratterizzante il messaggio proveniente dal marchio; nell'affinita' tra prodotti e nel "rischio di associazione" ai prodotti originali, che determinerebbero un vulnus al segno oggetto di tutela, tenuto conto della destinazione merceologica dei prodotti della ditta individuale " (OMISSIS)" esclusivamente al settore delle bomboniere, assai diverso da quello oggetto interesse delle case di moda coinvolte; c) il marchio "(OMISSIS) check" non sarebbe oggetto di tutela in qualsivoglia colore declinato, ma solo per quella combinazione di colori oggetto di registrazione nella domanda specificamente depositata (ovvero marrone chiaro, beige, rosso, bianco e nero); d) quanto al nastro ricondotto a (OMISSIS), l'aspetto del nastro sarebbe talmente comune da non potersi collegare univocamente alla nota griffe fiorentina, stante anche l'assenza di elementi ulteriori che vanno a comporre il marchio nell'insieme, quali, ad esempio, il monogramma o la staffa. E questo dato e' confortato dalla documentazione prodotta dalla difesa dell'imputato all'udienza del 14 giugno 2019 volta ad evidenziare come l'impiego dei colori del nastro, tra loro accostati nella medesima sequenza "verde-rosso-verde", sia proprio, ad esempio, di altra identita', quale l'ordine cavalleresco al merito del lavoro ovvero sia addirittura presente in opere d'arte figurativa del XV secolo, che riproducono personaggi abbigliati con tessuti a strisce "verde-rosso-verde" (vedi pagina 5 della sentenza). Infine, ad avviso del Tribunale, nessun significato penale di ammissione del reato poteva essere ricondotto all'atto di transazione sottoscritto nel 2010 da (OMISSIS) con la "(OMISSIS)". 1.2. La sentenza d'appello ha ribaltato, sostanzialmente, le affermazioni della pronuncia assolutoria, complessivamente ritenendo provato il reato sulla base principalmente dei seguenti argomenti: a) il marchio "(OMISSIS)" sarebbe registrato anche come marchio "figurativo" in bianco e nero, con copertura della tutela per tutte le declinazioni di colori; b) sono stati sequestrati alla ditta (OMISSIS) anche nastri pedissequamente riproduttivi del disegno grafico e della colorazione "(OMISSIS)" di (OMISSIS) (nastro (OMISSIS)) o estremamente somigliante (nastri (OMISSIS)); c) la tutela penale investe il marchio e non il prodotto, sicche' non ha rilievo il settore merceologico delle bomboniere cui si dedicava l'attivita' d'impresa dell'imputato, tanto piu' che i nastri potevano avere anche altre destinazioni; d) il diritto di preuso riconosciuto in qualche modo all'imputato dal primo giudice si riferisce, al piu', solo alle colorazioni del check diverse da quella classica, poiche' quest'ultima avrebbe avuto gia' una sua notorieta' al momento dell'utilizzo da parte della " (OMISSIS)"; e) non sarebbe credibile la tesi difensiva secondo cui il nastro contraffatto riproduttivo del marchio (OMISSIS) con colorazione verde-rosso-verde era solo un prodotto semilavorato e da completare con caratteri che ne avrebbero impedito l'assimilazione al marchio figurativo piu' famoso oggetto di tutela. 2. Avverso la citata sentenza ricorrono sia l'imputato che l'ente, tramite distinti ricorsi. 3. Il ricorso di (OMISSIS), proposto dal difensore di fiducia, eccepisce sette diversi motivi. 3.1. Il primo argomento di censura evidenzia il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata, in relazione alla sussistenza del reato di contraffazione ex articolo 473 c.p. in capo all'imputato. La tesi difensiva e', in sintesi, basata sulla constatazione che i giudici d'appello hanno solo apoditticamente affermato la notorieta' e la natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, superando il difetto di qualsiasi registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente e, quindi, determinando una violazione della disposizione penale incriminatrice che esplicitamente prevede - dopo la novella del 1999 - l'inciso "potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprieta' industriale", a significare la necessita', per la proprieta' industriale e per la tutela penale, della brevettazione e registrazione del marchio. La sentenza d'appello, con l'interpretazione "estensiva" della tutela penale ad un "marchio di fatto", avrebbe violato i principi di tassativita' della norma penale che, come riconosciuto anche in dottrina, ritiene la registrazione del marchio l'elemento essenziale ed il presupposto dell'integrazione del reato. 3.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia mancanza e manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata, ancora una volta stigmatizzando il concetto di marchio "notorio" antecedente alla registrazione formale del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS), sotto il profilo del difetto argomentativo ex articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p.: nel processo ed in sentenza non vi sono tracce di prova di tale notorieta' in epoca antecedente all'uso da parte del ricorrente dei nastri incriminati, dedicati, peraltro, ad un settore merceologico ben preciso, quello delle bomboniere, completamente estraneo all'interesse della casa di moda inglese, che ha registrato il marchio "classico" (cammello, nero, bianco e rosso) nel 1986 solo per le classi merceologiche "pelletteria, tessuti e abbigliamento" (classi 18, 24 e 25; mentre i nastri per confezioni appartengono alla classe 16); il disegno "(OMISSIS)", peraltro, ancora nella giurisprudenza civile della Cassazione del 1999, non era univocamente ritenuto espressivo di marchio piuttosto che di decoro figurativo. Inoltre, il ricorrente propone la seguente questione in tema di interpretazione dell'articolo 473 c.p.: il marchio registrato riconoscerebbe un'esclusiva limitata ai prodotti e servizi rivendicati nella domanda, ovvero circoscritta al settore merceologico di riferimento; di conseguenza la sua tutela penale deve essere limitata alla classe merceologica rispetto alla quale viene registrato il marchio o segno distintivo (tanto e' vero che il marchio "(OMISSIS)" puo' essere registrato per due aziende completamente differenti: auto e spumanti): ecco perche' la stessa (OMISSIS) ha registrato numerosi marchi per lo stesso segno "classico" in relazione a diversi prodotti. Nel caso di specie, quindi, la registrazione non afferisce al settore "nastri per confezioni". 3.3. La terza censura attiene al travisamento delle prove in relazione alla parte della condotta di contraffazione riferita al nastro per bomboniere ritenuto pedissequa copia del segno (OMISSIS) (nastro verde-rosso-verde): la sentenza impugnata ha ignorato le emergenze istruttorie dalle quali era evidente che il prodotto sequestrato non era ancora ultimato ne' destinato alla vendita. La polizia giudiziaria ha attestato di aver trovato i nastri "pseudo-(OMISSIS)" solo presso la ditta individuale del ricorrente e non presso la societa' che avrebbe dovuto commercializzarli, a riprova che il nastro fosse una produzione ancora da elaborare, come sostenuto dall'imputato e dal commercialista aziendale; la Corte d'Appello ha equivocato il luogo del ritrovamento del nastro, abbinandolo alla societa' (OMISSIS). s.r.l. e le dichiarazioni del teste (OMISSIS). 3.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 473 c.p. avente ad oggetto il nastro riproduttivo dei colori di (OMISSIS), facendo leva sull'argomento della riconducibilita' del disegno a bande "verde-rosso-verde" anche alla decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS), disciplinata espressamente dalle leggi n. 199 del 1952 e n. 194 del 1986, che prevedono una croce d'oro piena sorretta da un nastro listato da una banda proprio identica a quella utilizzata dalla griffe, specificando che il nastro puo' essere portato senza la decorazione, a riprova della sua qualita' di nastro-emblema di Stato. La difesa evidenzia che, pur senza voler sindacare la possibile nullita' del marchio riproduttivo di un emblema di Stato (ai sensi della Convenzione di Parigi del 20.3.1883 e successive modifiche, che sancisce la nullita' di marchi industriali che riproducono stemmi, bandiere e altri emblemi di Stato, nonche' del Regolamento UE 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio), non e' stato provato che l'imputato non avesse intenzione di destinare la produzione di nastri all'impiego nell'investitura dei (OMISSIS), perfettamente sovrapponibile tanto piu' per il settore merceologico di utilizzo del nastro, vale a dire bomboniere per cerimonie. 3.5. La quinta ragione di ricorso eccepisce vizio di motivazione del provvedimento di riforma, che non ha corrisposto ai canoni argomentativi giurisprudenziali della cd. "motivazione rafforzata", in particolare omettendo di confrontarsi con le considerazioni del primo giudice circa l'assenza di un effettivo rischio di confondibilita' tra i prodotti, sia per il settore merceologico di riferimento, sia per le caratteristiche intrinseche del nastro e le divergenze rispetto al marchio (OMISSIS) (una "tramatura" giudicata molto "comune"). 3.6. Si denuncia anche, in punto di dosimetria sanzionatoria, la mancata attestazione della pena nel minimo edittale, nonostante la valutazione di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante ex articolo 474-ter c.p., ritenuta sussistente pur se i marchi contraffatti costituivano solo una minima parte della produzione della ditta individuale ed ancorche' la disciplina aggravatrice sia stata voluta per reprimere fenomeni di attivita' di contraffazione organizzata, certamente estranei al ricorrente. 3.6. Un ultimo motivo di ricorso impugna l'ordinanza del 17.11.2020 della Corte d'Appello ed eccepisce vizio di mancanza e contraddittorieta' della motivazione: i giudici hanno rinnovato solo parzialmente la prova dichiarativa, riascoltando un solo teste tra i tredici dipendenti e tecnici tessili presenti nella lista difensiva, nonche' uno solo dei tre agenti di rappresentanza indicati in lista, senza neppure farsi carico di spiegare le ragioni dell'operata selezione, con cio' ledendo il diritto di difesa del ricorrente. 4. Il ricorso proposto per conto dell'ente - la " (OMISSIS). s.r.l.", in persona del suo procuratore speciale (OMISSIS), evidenzia diversi profili di censura, raccolti in due macroaree: la prima, dedicata a contestare l'an della responsabilita' dell'ente; la seconda, incentrata sui vizi determinativi delle sanzioni inflitte all'ente. 4.1. Quanto alle censure che afferiscono alla stessa affermazione di responsabilita' della persona giuridica, un primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato presupposto della responsabilita' amministrativa dell'ente, richiamandosi la difesa alla motivazione della pronuncia di primo grado, che non sarebbe stata superata adeguatamente da quella d'appello. La Corte territoriale ha riconosciuto la notorieta' del marchio di fatto "(OMISSIS)", ritenendo che i prodotti in relazione ai quali e' intervenuta condanna lo riproducessero pedissequamente, senza tener in conto del diritto di preuso, sin dagli anni ottanta (ex articolo 2571 c.c.) riconoscibile al ricorrente, e della mancanza dei presupposti su cui ritenere operante, in assenza di registrazione formale del marchio in epoca precedente al diritto di preuso, un diritto di privativa della societa' londinese derivante dalla asserita rinomanza del suo logo. Inoltre, si sottolinea come il primo marchio vantato come "classico" da (OMISSIS) (con i colori cammello, nero, bianco e rosso), registrato il (OMISSIS) era riferito alle classi merceologiche "pelletteria", "tessuti", "abbigliamento", con esclusione, quindi, dei "nastri per confezione", non ricompresi sino all'anno 1992. La circostanza, evocata dai giudici d'appello, che la tutela penale si accorderebbe al "segno" e non al "prodotto" prova troppo, visto che, se fosse possibile ritenere un marchio tutelato a prescindere dal settore merceologico in cui viene registrato, non vi sarebbe allora necessita' di registrarlo nuovamente per ogni segmento di prodotti. Mancherebbe, altresi', la prova dell'elemento soggettivo del reato, come dimostrerebbe la liceita', riconosciuta dagli stessi giudici di merito, della condotta del ricorrente di produzione di nastri a disegno "scozzese" con colorazioni diverse da quelle tipiche del marchio (OMISSIS). Si invoca, altresi', l'insussistenza del reato di contraffazione di marchi anche per la riproduzione dei nastri con colorazione e disegno "(OMISSIS)" (bande verde-rosso-verde): la difesa sostiene che si trattasse di prodotti merceologici non ancora ultimati, dei "semilavorati", tanto che non vi e' prova della loro commercializzazione (come risulta dallo stesso esame dei testi di polizia giudiziaria e di un operaio della ditta tessile). Inoltre, si rappresenta che il marchio (OMISSIS), in realta', sfrutta un disegno cromatico gia' disciplinato dalla L. n. 1999 del 1952 e dalla L. n. 194 del 1986 per la decorazione della croce di nomina dei (OMISSIS), sicche' il nastro listato da una banda di colore rosso fra due bande verdi e' gia' un "segno" d'interesse pubblico sin da prima della nascita del marchio (OMISSIS) e non avrebbe potuto essere registrato a scopi commerciali, anzi potrebbe essere oggetto di domanda di nullita' ai sensi della Convenzione di Parigi per la protezione della proprieta' industriale del 20.3.1883 e successive modifiche. In ogni caso, tale circostanza, come anche confermato dalla sentenza di primo grado, comporta che non puo' escludersi che i nastri prodotti dalla ditta " (OMISSIS)" potevano essere destinati all'uso per cerimoniale collegato all'investitura dei (OMISSIS). I giudici d'appello, con riguardo alle considerazioni da ultimo svolte, non hanno speso alcuna motivazione, ne' al riguardo potrebbe mai invocarsi una motivazione implicita, poiche' gli argomenti utilizzati a sostegno della condanna non assorbono e superano la questione relativa alla riconducibilita' del marchio all'ordine di rilievo pubblicistico. Si denuncia anche violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata rispetto alle considerazioni del giudice di primo grado relative al fatto che la trama comune del nastro, unita alla circostanza della netta diversita' del settore merceologico di destinazione del prodotto rispetto alla registrazione (OMISSIS), impedivano qualsiasi confusione del marchio. 4.2. Il secondo argomento difensivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al necessario presupposto per giungere all'affermazione della responsabilita' amministrativa dell'ente: il reato deve essere stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica (Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5); al riguardo, la sentenza d'appello non da' alcuna argomentazione se non la tautologica asserzione che la posizione apicale rivestita da (OMISSIS) in entrambe le societa' e il ripetuto acquisto del materiale sono aspetti tali da dimostrare che egli avrebbe agito non nell'interesse esclusivo personale ma anche nell'interesse o a vantaggio della societa' rappresentata, ignorando gli elementi di prova contraria presenti nel processo. In altre parole, non vi e' prova di una politica d'impresa volta all'illecito, tanto piu' che l'attivita' di vendita relativa ai prodotti in contestazione era marginale per la (OMISSIS). s.r.l. e la dimensione irrisoria degli introiti dovuti a tali operazioni commerciali, l'irrilevanza sul suo fatturato (inferiore all'10/0, dimostrata dalla difesa con le produzioni documentali all'udienza del 17.5.2021), lo confermano. 4.3. La terza censura si incentra sull'affermazione di responsabilita' dell'ente (OMISSIS). s.r.l. relativamente alla produzione del nastro ritenuto contraffacente il marchio (OMISSIS). La difesa sottolinea che il sequestro del nastro e' avvenuto solo presso la ditta individuale, poiche' nella societa' condannata non e' stato rinvenuto che il solo nastro (OMISSIS): pertanto, non vi sarebbe prova dell'illecita commercializzazione del prodotto contraffatto da parte dell'ente, che sarebbe stato coinvolto, per tale aspetto del reato, solo per la coincidenza soggettiva tra il titolare della ditta individuale produttrice e l'amministratore legale della persona giuridica. E la stessa imputazione non reca traccia della commercializzazione da parte di (OMISSIS). s.r.l. dei prodotti a marchio contraffatto (OMISSIS), ma si limita a contestare alla persona fisica (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale " (OMISSIS)", la produzione illecita, senza che sia coinvolta la societa' poi condannata anche per questa porzione di condotta (riguardo alla contestazione delle violazioni rilevanti ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, il GUP aveva gia' prosciolto in udienza preliminare la ditta individuale dell'imputato, inizialmente imputata, per l'inapplicabilita' della legislazione a tale tipologia di ente: l'imputazione non e' stata mai modificata, peraltro, sicche' la condanna e' stata emessa anche in violazione delle norme del codice di rito a tutela della coerenza tra accusa e sentenza). In altre parole, la tesi difensiva e' che la persona fisica autrice del reato non ha neppure formalmente impegnato l'ente nel compimento di un'attivita' destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica, sicche' la condanna per tale parte di condotta relativa alla commercializzazione del prodotto con marchio contraffatto (OMISSIS) sarebbe stata emessa in violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 66. 4.4. Un ulteriore motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'ordinanza emessa il 17.11.2020 dalla Corte d'Appello, con cui si e' disposta la rinnovazione delle prove dibattimentali, senza spiegare sulla base di quale valutazione esse siano state selezionate. In particolare, si lamenta la revoca di alcune prove gia' ammesse in primo grado e la conseguente limitazione del diritto dell'ente alla difesa (testimonianze di operai, agenti di rappresentanza). 4.5. Passando ad esaminare il blocco di eccezioni relative alla determinazione delle sanzioni, una prima ragione difensiva denuncia la dosimetria della sanzione pecuniaria inflitta alla (OMISSIS). s.r.l., con riguardo alla misura delle quote societarie. Nonostante l'affermazione dei giudici d'appello di non particolare gravita' del fatto ascritto all'ente, la determinazione del numero di quote in cui si concretizza la sanzione pecuniaria non e' stata contenuta nel minimo (che e' 100, con massimo edittale di 500 quote ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis), bensi' in una misura che e' pari quasi alla meta' della forbice edittale, con violazione dei parametri commisurativi dettati dagli articoli 10 e 11 del medesimo decreto legislativo (che prescrive di confrontarsi con le condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, valutazione del tutto omessa dalla Corte d'Appello, che non ha tenuto conto delle piccole dimensioni imprenditoriali della (OMISSIS). s.r.l.) e delle stesse premesse argomentative anteposte alla sanzione. Si contesta, altresi', la mancata applicazione dell'attenuante ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 12, comma 1, priva di motivazione, nonostante sussistessero i due requisiti previsti: a) l'interesse minimo dell'ente al fatto di reato e l'interesse prevalente della persona fisica; b) il danno patrimoniale cagionato di particolare tenuita'. La concedibilita' dell'attenuante avrebbe potuto determinare anche la condizione ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, comma 3, ostativa all'inflizione delle sanzioni interdittive e quella ostativa alla pubblicazione della sentenza di condanna (articolo 18 del citato decreto legislativo), sanzioni che, pertanto, risultano inflitte al di fuori delle disposizioni di legge. 4.6. La seconda, complessa, ragione di censura afferente al trattamento sanzionatorio denuncia violazione di legge in relazione all'applicazione della sanzione interdittiva all'ente, in assenza della prova dei presupposti richiesti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 13, nonche' violazione dell'articolo 59 del medesimo decreto, che prescrive che la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che puo' comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative (vale a dire, a giudizio della difesa, i caratteri concreti che denotano il deficit organizzativo-preventivo, la natura dell'interesse o vantaggio dell'ente), con l'indicazione del reato da cui l'illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova: il deficit dell'imputazione determinerebbe la sua nullita' per violazione dell'articolo 178, comma 1, lettera c) e del diritto di difesa (articoli 24, 111 Cost; articolo 6 CEDU). Quanto all'assenza dei presupposti ex Decreto Legislativo n. 231, articolo 13, la difesa rileva che non si ricade nel presupposto della lettera a (poiche' il fatto non e' grave), ne' in quello della lettera b (poiche' gli illeciti non sono reiterati: la societa' non e' mai stata imputata o condannata prima del presente processo). Infine, un ultimo argomento difensivo evidenzia la violazione dei criteri previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 11 e 14, in relazione alla scelta di applicare anche la sanzione interdittiva, senza tener conto che la seconda disposizione citata impone una valutazione di proporzionalita' complessiva dell'intervento sanzionatorio nei confronti dell'ente, mentre i giudici d'appello, nel caso di specie, hanno applicato tutte le sanzioni previste dall'articolo 9 del decreto 231, automaticamente e senza motivare sulla loro scelta ne' sul criterio della loro commisurazione. Si rappresenta, in proposito, che il comma 4 del richiamato articolo 14 consente il ricorso all'interdizione dell'attivita' solo se le altre sanzioni risultino inadeguate, poiche' la misura interdittiva costituisce una extrema ratio, data la sua afflittivita' e l'incidenza sulla vita giuridica ed economica dell'ente; la Corte d'Appello, contraddittoriamente ed immotivatamente, ha applicato la sanzione interdittiva, peraltro senza specificare le ragioni della durata stabilita, pur qualificando l'illecito come non di particolare gravita' e non ha indicato le attivita' o le strutture sulle quali deve avere incidenza la sanzione, come invece prescritto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 69, comma 2: da qui il vizio di omessa motivazione. 4.7. Il terzo motivo di ricorso, attinente alle sanzioni inflitte all'ente, ruota intorno alla condanna alla pubblicazione della sentenza ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 18, considerata dai giudici d'appello alla stregua di un effetto automatico dell'affermazione di responsabilita' dell'ente, laddove, invece, il legislatore la prevede come facoltativa, con necessita' di valutazione da parte del giudice della sua necessita' (evidente per l'utilizzo dell'espressione normativa "La pubblicazione della sentenza di condanna puo' essere disposta quando nei confronti dell'ente viene applicata una sanzione interdittiva"); per di piu', la sua applicazione e' subordinata alla riscontrata gravita' della condotta, senza dubbio esclusa nel caso di specie dalla stessa sentenza impugnata. Vi sarebbe, pertanto, sia un vizio di omessa motivazione che di motivazione manifestamente illogica. 5. Il Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao d'Aquino ha chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi. 6. Ha depositato memoria la parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", evidenziando con ampie argomentazioni le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso; in particolare, si mette in risalto l'assoluta non confondibilita' tra il disegno (OMISSIS) a nastro verde-rosso-verde e il simbolo dei (OMISSIS); tale carattere di distinguibilita' da parte del pubblico rende l'utilizzo del marchio legittimo, tanto che e' stato registrato sia in Italia sia in Europa. Inoltre, si aggiunge che vi sarebbero elementi per ritenere che il settore merceologico di utilizzo nei nastri da parte dell'imputato sia stato anche quello dell'abbigliamento (come emerge dalla transazione della ditta (OMISSIS) con la (OMISSIS) ltd, agli atti del processo) e la totale infondatezza della prospettiva difensiva secondo cui il nastro "(OMISSIS)" poteva essere destinato a quell'uso limitatissimo del conferimento dell'onoreficenza di (OMISSIS), ovvero fosse un prodotto semilavorato non commercializzabile (il quantitativo ritrovato sarebbe di ostacolo a tale ultima conclusione). 7. Ha proposto memoria anche la parte civile "(OMISSIS) ltd", sostenendo la correttezza della decisione di condanna, che contiene una motivazione rafforzata ed esatta dal punto di vista dell'applicazione giurisprudenziale in tema di contraffazione di marchi; si rappresenta, altresi', che la rinnovazione della prova dichiarativa in appello, sfrondando le liste testi, sia stata assunta di comune accordo tra le parti e i giudici. Nel merito, la parte civile evidenzia, quanto alla tesi difensiva sul preuso del marchio (che la memoria ritiene, peraltro, non adeguatamente provata poiche' basata solo su incerte prove testimoniali), come i giudici d'appello hanno correttamente osservato che non vi potesse essere un preuso lecito da parte dell'imputato rispetto alla registrazione del 1986, se gia' da prima di tale anno il marchio era gia' in uso a (OMISSIS) e noto ai consumatori. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso dell'imputato (OMISSIS) non e' inammissibile, sicche' deve rilevarsi l'intervenuta prescrizione del reato, fissata al 19.10.2021 ai sensi degli articoli 157 e 161 c.p., tenuto conto della data dei fatti (contestati al 1.2.2013) e pur computati i periodi di sospensione rilevabili dagli atti. Rileva il Collegio che in particolare, i due motivi di censura proposti dal ricorrente per vizi di natura processuale (il quinto ed il sesto motivo dell'impugnazione di legittimita'), pur infondati, superano la soglia di ammissibilita', di talche' il ricorso e' idoneo - diversamente dai casi di inammissibilita' per manifesta infondatezza delle censure - ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d'ufficio ex articolo 609, comma 2, c.p.p. una causa di non punibilita' nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Ed infatti, non e' fondata l'obiezione (quinto motivo) relativa al mancato rispetto dell'obbligo, gravante sul giudice d'appello, di delineare le linee portanti del proprio, alternativo ragionamento decisionale, compendiato nell'endiadi sintetica utilizzata dal ricorrente della violazione dell'obbligo di "motivazione rafforzata" - obbligo che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice da tempo indica come lo standard motivazionale necessario per superare la pronuncia di primo grado (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679 e Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430), vieppiu' quando il ribaltamento riguardi una sentenza assolutoria. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato sui punti di contrasto tra il proprio convincimento e quello del giudice di primo grado, supportando la motivazione con riferimenti puntuali alle prove raccolte nel processo, in particolare alla struttura dei prodotti con marchio ritenuto contraffatto di "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" ed alle ragioni giuridiche in base alle quali ha ritenuto che fosse integrato il reato previsto dall'articolo 474 c.p. (secondo quanto meglio si dira' di seguito per valutare la sentenza impugnata agli effetti civili). Anche la censura espressa nell'ultimo motivo di ricorso e' priva di fondamento, poiche', se e' vero che non sono stati ascoltati tutti i testi indicati nelle liste ammesse in primo grado, e' altrettanto indubbio che il Tribunale non abbia svolto alcuna istruttoria, avendo pronunciato sentenza di assoluzione sulla base delle sole prove documentali e fotografiche relative ai sequestri dei prodotti con marchi ritenuti contraffatti ed all'esito di un esame della giurisprudenza di legittimita' sia civile che penale. Viene meno, dunque, l'esigenza stessa di ragionare in termini di rinnovazione in contraddittorio orale della prova dichiarativa in caso di overturning di condanna, dettata dal nuovo articolo 603, comma 3-bis, c.p.p. e desunta dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr., per tutte, Sez. U, n. 11586 del 30/9/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808, che, in motivazione, ha riepilogato il percorso ermeneutico sul tema, disegnato dalle Sezioni Unite, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267490, in linea con la giurisprudenza della Corte EDU): nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna assunzione in contraddittorio di testimonianze poi non rinnovate in appello ne' vi e' stata alcuna indicazione motivazionale relativa ad una valutazione di prove testimoniali o della loro attendibilita'. Pertanto, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perche' il reato e' estinto per prescrizione. 1.1. La declaratoria di prescrizione non esime il Collegio dall'esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l'imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore delle societa' "(OMISSIS) ltd" e "(OMISSIS) s.p.a." (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito e' intervenuta condanna, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p., il giudice d'appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato secondo quanto previsto dall'articolo 129 c.p.p. (cfr., per il giudizio d'appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonche', tra le tante, in ordine al giudizio di legittimita', in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonche' Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D'Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresi', Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 - 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 - 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 - 01). Secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte Cost.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'articolo 578, comma 1, c.p.p., dovra' basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilita', vale a dire il canone valutativo del "piu' probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilita' logica (ovvero dell-oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilita' della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in sede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 4902 del 16/1/2023, Rv. 284101). 1.2. Orbene, le censure di merito relative alla sussistenza del reato di contraffazione nei riguardi della "(OMISSIS) ltd" e della "(OMISSIS) s.p.a." sono prive di pregio, alla stregua della suddetta verifica, e complessivamente anche formulate secondo direttrici di critica inammissibili dinanzi alla Cassazione, poiche' declinate come ricostruzione alternativa degli elementi di prova in atti. Il Collegio premette che la tutela penale accordata alla protezione marchi, riconosciuta nell'ambito di fattispecie di reati cd. "di pericolo", discende dalla necessita' di offrire adeguata garanzia al bene giuridico della fede pubblica, direttamente coinvolto, pur implicando, al fondo, evidenti ragioni di garanzia degli interessi economici sottesi. Le figure tipiche dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., pertanto, sono costruite secondo lo schema normativo dei reati di pericolo, sicche' cio' che rileva e' la mera attivita' di contraffazione o alterazione dell'altrui marchio in quanto foriera dell'immissione sul mercato di beni suscettibili di ledere la fede pubblica e ingenerare confusione, nuocendo all'affidamento dei consumatori (Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Shi, Rv. 260751; Sez. 5, n. 27743 del 30/4/2019, Campo, Rv. 276772; Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253240). Tanto cio' e' vero che, secondo la giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte regolatrice, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo neppure la configurabilita' della contraffazione grossolana, considerato che l'articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non gia' la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno, non ricorrendo, quindi, l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanita' della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilita' che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., per tutte, la piu' recente sentenza massimata sul punto: Sez. 2, n. 16807 del 11/1/2019, Assane, Rv. 275814). Quanto alla configurabilita' oggettiva del reato, ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli articoli 473 e 474 c.p., un marchio si intende contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioe' all'insieme degli elementi salienti, grafici, fonetici o visivi, tenendo, altresi', presente che, ove si tratti di un marchio "forte", sono illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l'identita' sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Sez. 2, n. 40324 del 7/6/2019, D'Ospina, Rv. 277049). Inoltre, l'oggettiva e inequivocabile possibilita' di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore forma oggetto di un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicita' (Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). La giurisprudenza della Cassazione civile - necessario specchio ermeneutico di quella penale in materia di tutela dei marchi - anche recentemente ha ricordato come la qualificazione del segno distintivo quale marchio "debole" non incide sull'attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull'intensita' della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio "forte", in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identita' sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilita' anche lievi modificazioni od aggiunte (Sez. 1, n. 8942 del 14/5/2020, Rv. 657905). E sull'amplissima tutela che la giurisprudenza accorda ai marchi cd. "forti", basti rammentare il costante orientamento che evidenzia la punibilita' di riproduzioni di personaggi di fantasia a marchio registrato, ancorche' non fedeli, ma espressive di una forte somiglianza, che renda possibile la confusione delle immagini tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9362 del 13/2/2015, Iervolino, Rv. 262841; Sez. 2, n. 20040 del 20/4/2011, Ferrantino, Rv. 250157; Sez. 5, n. 25147 del 31/1/2005, Bellomo, Rv. 231894). Si rammenta, altresi', nella medesima ottica, la punibilita' della contraffazione dei cd. modelli ornamentali, indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato; in tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato (Sez. 5, n. 8758 del 22/6/1999, ROSSI, Rv. 214652, che ha segnalato, come, quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato e' necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacita' identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell'articolo 473, comma 2, c.p.). La natura di marchio "forte" si accompagna quasi sempre alla "notorieta'" del marchio, che, in quanto tale, puo' prescindere anche dalla necessita' della registrazione a fini di tutela. E difatti, ai fini della configurabilita' del reato di commercio di prodotti con segni falsi, e' sufficiente e necessaria l'idoneita' della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell'acquisto, bensi' alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l'illiceita' dell'uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro "notorio anteriore" utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorche' al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorieta' del secondo (Sez. 5, n. 40170 del 1/7/2009, Bogoni, Rv. 244750). Naturalmente, allorche' si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione, pur non essendo richiesta la prova della registrazione, e' comunque indispensabile la previa acquisizione di elementi attestanti la rinomanza del marchio e la notoria sua riferibilita' alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che contraddistingue, tale da giustificarne la tutela, con conseguente onere, per l'incolpato, di fornire la prova contraria (Sez. 2, n. 46882 del 3/12/2021, Huang, Rv. 282404). Infine, aspetto di fondamentale rilievo interpretativo nell'analisi della fattispecie sottoposta al Collegio, la notorieta' del marchio, la sua fama risalente ed estesa determinano la dimensione del campo applicativo dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.. Sin d'ora si intende ribadire, infatti, che integra il delitto di cui all'articolo 473 c.p., ovvero quello di cui all'articolo 474 c.p., la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali per effetto di attivita' di "merchandising", non costituendo tale circostanza, di per se' sola, motivo di sospetto (Sez. 5, n. 35235 del 18/5/2022, Lelli, Rv. 283796, nella specie, si trattava di marchi di case automobilistiche apposti su capi di vestiario e "gadget"). 1.3. Anche alla luce del tessuto ermeneutico delineato al paragrafo precedente, risulta l'infondatezza delle ragioni di ricorso relative alla contraffazione dei nastri riportati al marchio notorio e registrato "(OMISSIS)", nelle quali si evocava la sovrapponibilita' tra il disegno a bande "verde-rosso-verde", caratterizzante il marchio famoso, con il nastro costituente la decorazione per l'onoreficenza dell'ordine dei (OMISSIS) e, in ogni caso, l'impiego del nastro in prodotti futuri personalizzati. Infatti, al di la' della questione, comunque ampiamente superata dalla sentenza impugnata, che ha sottolineato - con ragioni in fatto non sindacabili da questa Corte di legittimita', poiche' del tutto plausibili - come il nastro sequestrato all'imputato sia in tutto identico al marchio notorio ampiamente utilizzato e registrato dalla famosa casa di moda (sulla cui notorieta', cosi' come su quella della azienda "(OMISSIS)", la sentenza si e' spesa, apparendo la motivazione al riguardo priva di qualsiasi aporia, al di la' dell'immediata riconoscibilita' delle due "griffes" nel sentire comune), rimane, altresi', nel campo della mera, assertiva prospettazione difensiva, priva di elementi di fatto che la sostengano, la circostanza relativa sia all'uso che di tali nastri si faccia nell'ambito della disciplina dell'onoreficenza citata, sia alla loro destinazione a lavori inerenti all'investitura di "(OMISSIS)" ovvero a lavori non ancora ultimati, nonche' alla natura di semilavorato dei nastri in sequestro, che, una volta completati, avrebbero avuto caratteristiche non confondibili con l'originale. La sentenza impugnata ha enucleato vari indicatori della contraffazione punibile, tra questi: la quantita' di prodotto, confezionato gia' in bobine di grandi dimensioni; l'assenza di campionario o documentazione che prevedesse segni di personalizzazione del nastro, con apposizione di altre figure; la riproduzione cosi' pedissequa del marchio/disegno, da non aver rilievo la tesi difensiva del diverso settore merceologico di utilizzo, essendo compromessa comunque l'identificabilita' del prodotto, come proveniente dalla (OMISSIS). 1.3. Eguale sorte di manifesta infondatezza tocca ai motivi di ricorso dedicati a contestare la responsabilita' del ricorrente per il reato di contraffazione ex articolo 474 c.p. in relazione ai nastri abbinati alla contraffazione del marchio (OMISSIS). La Corte d'Appello ha spiegato, anche con esempi (sia per (OMISSIS) che per (OMISSIS)) le ragioni di fatto e quasi "storiche" sulla base delle quali ha ritenuto il marchio in esame "forte" e notorio, assegnandogli la tutela estesa gia' richiamata, esponendo con argomenti insindacabili, poiche' non manifestamente illogici, il proprio convincimento su tale aspetto - del resto di immediata percezione anche secondo il senso medio di comune percezione - e sulla pedissequa riproduzione ovvero sulla forte similitudine dei prodotti sequestrati, messi a confronto con il disegno "a scacchi" (declinato nel colore classico o in diversi colori) del "brand" famoso. Rimane, pertanto, del tutto infondata la tesi difensiva, che denunciava l'apodittica affermazione della notorieta' e della natura di "marchio di fatto" del figurativo "(OMISSIS)" di (OMISSIS) gia' in epoca precedente al preuso da parte dell'imputato, nonche' della necessita' di registrazione del marchio in esame che fondasse il diritto di privativa formalmente, per il settore merceologico di interesse (non rileva, peraltro, il richiamo difensivo ad un'unica, isolata e risalente pronuncia della giurisprudenza civile, in cui sembra trovare spazio una tutela meno ampia del disegno "(OMISSIS)" - Sez. 1 civile, n. 5243 del 29/5/1999, Rv. 526838 - poiche' la Cassazione, in quella sede, ha preso atto dei limiti del sindacato di legittimita' proprio in relazione alla valutazione del giudice di merito relativa alla prevalente funzione estetica del disegno "check" in esame). Come si e' gia' evidenziato, infatti, integra il delitto di cui all'articolo 474 c.p. la contraffazione di marchi celebri pur se apposti su prodotti appartenenti a un settore merceologico diverso da quello tradizionale posto che il bene della fede pubblica e' leso dalla confondibilita', secondo il giudizio del consumatore medio, del marchio originale con quello contraffatto, quand'anche utilizzato in ambiti non tradizionali e non ricompresi nella produzione di quest'ultimo, come nel caso di specie, in cui il marchio "forte" costituito dal disegno "(OMISSIS)" e' stato pedissequamente riprodotto in nastri di tessuto, destinati al settore delle bomboniere da cerimonia. La tutela penale di marchi celebri, quindi, deve essere estesa anche a settori merceologici completamente estranei all'interesse del brand oggetto della riproduzione pedissequa, allorche' si rischi, secondo il giudizio del consumatore medio, la confondibilita' dell'attribuzione del prodotto riproduttivo del marchio, del disegno o del modello ornamentale originali e "forti" perche' "ampiamente notori". In altre parole, cio' che conta e' la capacita' del disegno, della forma o del modello ornamentale di rappresentare un "segno distintivo", la cui contraffazione pone in pericolo il bene della fede pubblica. Significative, al riguardo, sono le affermazioni della giurisprudenza civile di legittimita', che ha recentemente evidenziato come possa essere registrato e tutelato come marchio di forma quel prodotto la cui pubblicizzazione e commercializzazione ne abbiano favorito la diffusione tra il pubblico al punto da comportare la generalizzata riconducibilita' di quella determinata forma dell'oggetto ad una specifica impresa, consentendo l'acquisto, tramite il c.d. "(OMISSIS)", di capacita' distintiva del marchio che ne era originariamente privo (Sez. 1 civile, ord. n. 30455 del 17/10/2022, Rv. 666037). La stessa giurisprudenza Europea ha osservato che "non si puo'.. escludere che l'aspetto estetico di un marchio (...) che assume (una determinata) forma (...) possa essere tenuto in considerazione, tra gli altri elementi, per accertare uno scostamento dalla norma e dagli usi del settore, purche' tale aspetto estetico sia inteso come richiamante l'effetto visivo oggettivo e inusuale del design specifico del marchio suddetto (sentenza del 12 dicembre 2019, Euipo/Wajos, C-783/18, p. 32; Tribunale UE, 14 luglio 2021, T488/20, p. 43 e 44); di conseguenza, "la presa in considerazione dell'aspetto estetico del marchio (...) mira a verificare (...) se tale aspetto e' idoneo a suscitare un effetto visivo oggettivo e inusuale presso il pubblico di riferimento" (i richiami alla giurisprudenza Europea ed una piu' ampia analisi del tema sono contenuti nella citata ordinanza Sez. 1 civ., n. 30455 del 2022). Del resto, lo stesso percorso storico che ha legato l'azienda del ricorrente con la societa' "(OMISSIS)" fa da sfondo utile a quanto sinora affermato: gia' in passato, infatti, era stato siglato un accordo di "non concorrenza sleale" tra la casa di moda inglese e la " (OMISSIS)", con riguardo alla produzione di un prodotto di abbigliamento (gambaletti), decorati con un nastro riportante il marchio contraffatto prodotto dalla societa' dell'imputato. Anche in questo caso, infine, cosi' come gia' evidenziatosi per il brand "(OMISSIS)", sono insindacabili le ragioni di accertamento che hanno condotto la Corte d'Appello a ritenere del tutto sovrapponibile il disegno dei prodotti sequestrati con quello del marchio originale (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), concludendo per la contraffazione di questo e, nel caso di alcuni nastri, per l'imitazione pedissequa anche del colore (OMISSIS) nelle sue ben note sfumature di colore, sicche' non assume rilievo la destinazione ad un settore merceologico (quello delle bomboniere per cerimonie e occasioni speciali) che non vede operativo il colosso del lusso inglese. In ogni caso, il preuso evocato dal ricorrente e' rimasto privo di elementi di fatto utili a ritenerlo esistente, e rilevante secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 5, n. 28956 del 8/5/2012, Mugnolo, Rv. 253239), essendo stato, anzi, espressamente escluso dalla Corte d'Appello, che ha evidenziato la risalenza del marchiom (OMISSIS) come marchio notorio (in tal senso devono leggersi anche le lunghe memorie di parte civile). 1.4. In relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS), quindi, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione; il ricorso, invece, deve essere rigettato agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili, da liquidarsi in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. 2. Sono, invece, fondate le ragioni di ricorso proposte dall'ente, la societa' " (OMISSIS) s.r.l.", coinvolta nel processo sulla base della prospettazione di un vantaggio derivato all'ente dalla commissione del reato. 2.1. Anzitutto, deve essere chiarito che, in tema di responsabilita' degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilita' amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, pero', non puo' prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255369; Sez. 4, n. 22468 del 18/4/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; vedi anche Sez. 4, n. 38363 del 23/5/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320-03). La responsabilita' dell'ente sussiste, infatti, anche quando il reato "presupposto" si estingue per una causa diversa dall'amnistia (cosi', espressamente, il Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, articolo 8, comma 1, lettera b)). Si tratta di una delle ipotesi, espressamente contemplate dalla legge, in cui l'inscindibilita' tra le vicende processuali delle persone fisiche e quelle dell'ente puo' venire meno, con la conseguenza che l'accertamento della responsabilita' amministrativa della societa' nel cui interesse o per il cui vantaggio il reato e' stato commesso puo' e deve proseguire attraverso un percorso processuale autonomo, nella sede propria del processo penale voluta dal legislatore della "L. 231", pur non potendosi prescindere da una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato. In situazioni del genere, dunque, il potere cognitivo del giudice penale resta immutato, dovendo egli comunque procedere all'accertamento della sussistenza del reato cd. presupposto. In altre parole, per il principio di autonomia della responsabilita' dell'ente (articolo 8 cit.), la prescrizione del reato presupposto nei confronti della persona fisica autrice, anche se dichiarata nello stesso processo in cui e' imputato l'ente, non fa venir meno la sussistenza della sua eventuale responsabilita' (ed e' irrilevante che vi sia stata anche una pronuncia ex articolo 578 c.p.p. nei confronti della persona fisica. Il differente regime di prescrizione previsto normativamente per l'ente-imputato e' stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali da Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267047). 2.2. Nel percorso motivazionale dell'impugnata pronuncia non risultano, tuttavia, adeguatamente illustrati, se non con una formula del tutto generica, inidonea a dar conto delle ragioni giustificative dell'esito decisorio, i criteri oggettivi attraverso cui la Corte di merito e' pervenuta all'affermazione della responsabilita' dell'ente. Al riguardo, la Corte d'Appello si e' limitata a riportare, del tutto tautologicamente, l'interesse dell'ente alla posizione apicale di (OMISSIS), quale legale rappresentante sia della ditta produttrice dei prodotti con marchio contraffatto - la ditta individuale " (OMISSIS)" di (OMISSIS) - sia dell'ente stesso - la " (OMISSIS). s.r.l." - che commercializzava i prodotti contraffatti: da questa identita' personale e dall'oggetto delle attivita' di impresa si e' desunto del tutto apoditticamente il vantaggio dell'ente, in ragione del quale si attiva la responsabilita' ex L. n. 231 del 2001. Non sono stati presi in considerazione elementi concreti, indicativi dell'interesse e della consapevolezza dell'illecito in capo all'ente. La motivazione della sentenza impugnata e' del tutto inidonea a sostenere l'affermazione di responsabilita' ai sensi della L. n. 231 del 2001. Come ha di recente, condivisibilmente, chiarito la Sesta Sezione Penale, nella sentenza Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, dep. 2022, Impregilo s.p.a., Rv. 283437, l'addebito di responsabilita' all'ente non si fonda su un'estensione, piu' o meno automatica, della responsabilita' individuale al soggetto collettivo, bensi' sulla dimostrazione di una difettosa organizzazione da parte dell'ente, a fronte dell'obbligo di auto-normazione volta alla prevenzione del rischio di realizzazione di un reato presupposto, secondo lo schema legale dell'attribuzione di responsabilita' mediante analisi del modello organizzativo. L'illecito dell'ente, infatti, pur se inscindibilmente connesso alla realizzazione di un reato da parte di un autore individuale nell'interesse o a vantaggio dell'ente, risulta comunque caratterizzato da autonomia di configurazione giuridica, poiche' fondato su presupposti di tipicita' normativa differenti, basati su un deficit organizzativo "colpevole" che ha reso possibile la realizzazione di tale reato. Si e' percio' affermato che, in tema di responsabilita' delle persone giuridiche per i reati commessi dai soggetti apicali, ai fini del giudizio di idoneita' del modello di organizzazione e gestione adottato, il giudice e' chiamato ad adottare il criterio epistemico-valutativo della cd. "prognosi postuma", proprio della imputazione della responsabilita' per colpa: deve cioe' idealmente collocarsi nel momento in cui l'illecito e' stato commesso e verificare se il "comportamento alternativo lecito", ossia l'osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso e' stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi, non richiedendosi una valutazione della "compliance" alle regole cautelari di tipo globale. Il Collegio intende ribadire tale principio di diritto anche nel caso oggi in esame e nella fattispecie sottoposta al suo giudizio, gia' descritta poco sopra. Infatti, sia nell'ipotesi valutata dalla sentenza della Sesta Sezione Penale richiamata, che in quella che occupa lo spazio decisorio del Collegio nel presente processo, il giudice di merito, oltre a non aver individuato gli specifici profili di colpa di organizzazione, non ha, ovviamente, neppure accertato se tale elemento - vale a dire la "colpa in organizzazione" - abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto. In altre parole, si intende aderire a quella che, in dottrina, e' stata individuata come una nuova frontiera ermeneutica in relazione all'illecito degli enti, e cioe' la tesi che ricostruisce la struttura dell'illecito dell'ente secondo un modello di tipo colposo, forse per la prima volta chiaramente espressa dalla decisione citata n. 23401 del 2022. In tale prospettiva interpretativa, l'accertamento della responsabilita' dell'ente deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicche' il reato presupposto deve essere messo in collegamento con la carenza di auto-organizzazione preventiva, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell'ente. Ed e' evidente, quindi, che il giudice di merito dovra' dimostrare, al fine di giustificare l'affermazione di responsabilita' dell'ente, di aver valutato il suo deficit di auto-organizzazione, vale a dire la carenza di quel complesso delle regole elaborate dall'ente per la prevenzione del rischio reato, che trovano la loro sede naturale nei "Modelli di organizzazione, gestione e controllo", delineati, su un piano generale di contenuti, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 6 e 7. La dottrina ha favorevolmente accolto questa nuova e piu' consapevole prospettiva di accertamento, che, invero, era gia' presente, in nuce, nella sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261115 (per quanto sviluppata su di un illecito presupposto di tipo colposo), sottolineando, con indicazione condivisa dal Collegio, come non sia consentito al giudice di merito neppure un vaglio sull'adeguatezza del modello condotto solo "in generale", ma sia necessaria una verifica in concreto; ne' e' possibile giungere a sanzionare l'ente in ragione di una "cultura d'impresa deviante", ovvero mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l'inidoneita' dell'assetto organizzativo. Invece, il giudice di merito, deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo; ovvero deve accertare che, se il modello "idoneo" fosse stato rispettato, l'evento non si sarebbe verificato. Seguendo tale linea interpretativa, ispirata alla valorizzazione dei principi costituzionali riferiti alla materia penale nel sistema della "231", la responsabilita' dell'ente deriva dalla valutazione sulla bonta' del modello organizzativo di prevenzione degli illeciti di cui si e' dotato: l'ente che si dota di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe, pertanto, andare esente da responsabilita' ex L. n. 231 del 2001, pur se un reato presupposto sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all'incentivazione dell'adozione di modelli di compliance aziendale. Ovviamente, l'ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi rispondera' verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse. Nel caso di specie, si rende necessario colmare la carenza motivazionale relativa sia alla verifica della sussistenza di un modello di compliance ed alla sua adeguatezza ed idoneita' a prevenire il reato presupposto, sia alla sussistenza del vantaggio o interesse dell'ente, solo acriticamente evocato dalla sentenza impugnata, nonostante, come ha sottolineato la societa' ricorrente, questi vadano accertati in concreto. Il Collegio rammenta, peraltro, come i due criteri di imputazione oggettiva dettati dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 siano alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioe' al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (cosi', Sez. U, Espenhahn, Rv. 261114). Nessuna distinzione al riguardo si legge in sentenza: la motivazione del provvedimento impugnato si e' limitata ad abbinare l'interesse della societa' all'interesse proprio della persona fisica, legale rappresentante di entrambe le aziende legate alla produzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti, senza prendere neppure in esame il fatturato complessivo dell'ente rispetto agli introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti in sequestro, che, pur se non configurabile come parametro decisivo ai fini di ritenere o meno sussistente la responsabilita' ex L. 231, puo' comunque costituire uno degli indicatori valutabili al riguardo (in questo, anche, colgono nel segno le sollecitazioni difensive). 2.3. Rimangono assorbite le pur fondate doglianze difensive relative alle sanzioni inflitte all'ente, in relazione alle quali il Collegio rileva che: - avrebbe dovuto applicarsi il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-bis, che non prevede un minimo sanzionatorio qualora il reato presupposto sia costituito dai delitti di cui agli articoli 473 e 474 c.p., laddove la Corte territoriale ha applicato l'articolo 10 del medesimo testo normativo, norma generale che prevede il minimo di cento quote indicato in sentenza; - l'applicazione delle sanzioni interdittive previste dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 e' subordinata alla sussistenza delle condizioni indicate dall'articolo 13 Decreto Legislativo cit.: necessariamente, quindi, il giudice penale che intenda applicare detta sanzione deve motivare la ricorrenza delle condizioni di legge che ne costituiscono indispensabile presupposto; - la pubblicazione della sentenza di condanna per estratto costituisce una sanzione ulteriore e facoltativa, dunque da motivare appositamente, e non discende automaticamente dalla condanna. 2.4. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata nei confronti dell'ente, con rinvio al giudice penale - che e' il giudice "naturale" nel processo instaurato nel sistema della responsabilita' degli enti - competente a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 36, vale a dire ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso del medesimo (OMISSIS) agli effetti civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 4.900,00, oltre accessori di legge. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS). s.r.l., con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SERRAO Eugenia - Presidente Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di L'Aquila, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la sentenza emessa il 11/10/2018 dal Tribunale di Chieti, con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati dichiarati responsabili del reato previsto dagli articoli 110 e 449 c.p., in relazione all'articolo 434 c.p. (capo a) per avere, il primo nella qualita' di legale rappresentante sino al 2005 e poi di amministratore di fatto nel periodo successivo della (OMISSIS) s.r.l. e il secondo quale liquidatore della stessa societa' dall'ottobre del 2005, cagionato un disastro ambientale; specificamente mediante la contaminazione di una falda acquifera sottostante al sito di lavorazione dell'attivita' svolta dalla societa' (ovvero quella di preparazione e concia del cuoio, nonche' della fabbricazione di semilavorati in pelle), attraverso la concentrazione in limiti superiori a quelli previsti dalla tabella I, allegato V, parte IV del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, di solventi organici quali la trielina, a causa di una negligente e imperita gestione dell'impianto di depurazione; nonche' del reato previsto dall'art:.452 c.p. in relazione all'articolo 440 c.p. (capo b), per avere - mediante la condotta contestata precedentemente - adulterato le acque rendendole pericolose per la salute pubblica e, altresi', della contravvenzione prevista del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 articolo 257, comma 1, (capo c) per avere omesso di provvedere alla bonifica del sito secondo quanto previsto dall'articolo 242, del medesimo testo normativo, omettendo di stabilire e adottare le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza, di presentare il piano di caratterizzazione nonche' di applicare al sito l'analisi di rischio per definire gli obiettivi di bonifica e di attuare gli interventi di bonifica delle matrici ambientali dalla contaminazione 2. La Corte territoriale, ha condiviso le valutazioni del Tribunale in punto di sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati contestati; ha peraltro rilevato, in parte motiva, come non vi fosse prova dello svolgimento delle mansioni di amministratore di fatto della (OMISSIS) da parte del (OMISSIS), per il periodo successivo al mese di ottobre del 2005, data di nomina del liquidatore; ha, altresi', rilevato come l'attivita' della (OMISSIS) dovesse ritenersi cessata dall'inizio dell'anno 2000; ha, quindi, ritenuto estinti i reati contestati ai capi b) e c) per decorso dei termini massimi di prescrizione, giungendo ad analoga conclusione in ordine al reato contestato al capo a), attesa la non applicabilita' ratione temporis del raddoppio dei termini di prescrizione previsto per il reato di cui all'articolo 449 c.p. dall'articolo 6, comma 1, della L. 5 dicembre 2005, n. 251; ha altresi' preso atto dell'intervenuto decesso, alla data del 22/06/2019, di (OMISSIS). Per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) in ordine ai reati ascritti in quanto estinti per morte del reo e nei confronti del (OMISSIS), in quanto estinti per intervenuta prescrizione in ordine alla contestazione dei fatti commessi sino all'ottobre del 2005, assolvendolo, per non aver commesso il l'atto, in ordine a quelli contestati per l'epoca successiva; ha contestualmente e altresi' disposto la revoca delle statuizioni civili, rilevando che la ritenuta prescrizione fosse maturata gia' in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado. 3. Avverso la sentenza della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), articolando i seguenti motivi di ricorso - manifesta illogicita' della motivazione e travisamento della prova, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto, con accertamento incidentale, come provati gli elementi oggettivi delle fattispecie ascritte pur non avendo individuato la fonte primaria dell'inquinamento. Ha dedotto come il consulente del pubblico ministero, le cui argomentazioni erano state richiamate nelle sentenze di merito, non avesse di fatto individuato tale fonte primaria, affidando il proprio convincimento in ordine alla riconducibilita' dell'inquinamento della falda sotterranea al sito della (OMISSIS) a un metodo di accertamento atecnico e ascientifico e fondato su un criterio meramente presuntivo, ovvero la sillogistica deduzione fondata sulla astratta compatibilita' delle sostanze inquinanti rinvenute nella falda sottostante con il ciclo di lavorazioni svolte nel sito; ha, quindi, dedotto la carenza di un adeguato studio in ordine: a) all'andamento delle falda idrica di scorrimento; b) alle matrici di terreno del sito della (OMISSIS); c) alle possibili fonti alternative dell'inquinamento. - violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett.c), derivante dalla mancata applicazione dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., con riferimento all'obbligo di assoluzione per insussistenza del fatto; ha sostenuto che la dimostrata inattendibilita' degli elementi tecnici addotti dal Tribunale a sostegno del giudizio di colpevolezza incidentale avrebbe dovuto portare la Corte territoriale a emettere una sentenza di proscioglimento nel merito. 4. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Il tema pregiudiziale da esaminare e' rappresentato dall'interesse del ricorrente a ottenere una pronuncia di proscioglimento nel merito in relazione all'unico capo della sentenza di appello, ossia la dichiarazione di non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine alle condotte contestate fino al mese di ottobre del 2005 per intervenuta prescrizione. 2.1. Va quindi premesso che, in via generale, deve ritenersi sussistente un interesse in capo all'imputato a impugnare una sentenza che non lo prosciolga con la formula piu' favorevole. In particolare, l'interesse puo' essere specificamente correlato al conseguimento di effetti penali piu' vantaggiosi ovvero al profilo connesso alla valenza extrapenale del giudicato in riferimento all'efficacia del giudicato penale nei giudizi civili o amministrativi di danno, atteso che - ai sensi dell'articolo 652 c.p.p. - la sentenza irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nella predetta sede, in ordine all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso ovvero che il fatto sia stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima, nei confronti del soggetto che si sia costituito o sia stato posto in condizioni di costituirsi parte civile; nonche' in riferimento all'efficacia extrapenale dell'assoluzione nei giudizi disciplinari (articolo 653 c.p.p.) o nei giudizi civili o amministrativi in cui si controverta intorno a un diritto o interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale (articolo 654 c.p.p.). 2.2. In linea di principio, deve altresi' essere ritenuto configurabile un interesse dell'imputato a impugnare una sentenza che lo abbia dichiarato prosciolto per intervenuta prescrizione, atteso che la sentenza medesima, emessa a seguito di dibattimento, spiega effetti, nel giudizio civile, nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, in ordine alla sussistenza dei fatti materiali in concreto accertati, anche se puo' essere operata in sede civile una loro rivalutazione in via autonoma, qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto fatto valere in quella sede (Cass. civ., sez.3, 17/11/2011, n. 24082; Cass.civ., sez.6, 30/06/2020, n. 12973). 2.3. Rilevando altresi' che, sulla base dei medesimi presupposti in ordine alla valenza extrapenale del giudicato di assoluzione, e' stato ritenuto sussistente l'interesse dell'imputato a impugnare la sentenza di assoluzione al fine di ottenere una formula di proscioglimento "perche' il fatto non sussiste" ovvero "per non aver commesso il fatto", anziche' "perche' il fatto non costituisce reato" (Sez.4, n. 46849 del 29/05/2021, Di Carlantonio, Rv. 252150; Sez.5, n. 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv.276524-02), allorquando l'imputato stesso deduca che l'accertamento del fatto materiale oggetto del processo penale possa pregiudicare le situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi, anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari (Sez.4 n. 49710 del 4/11/2014, Di Cuonzo, RV. 261178); il tutto con argomentazioni coerenti rispetto a quelle contenute nella parte motiva di Sez. un., n. 40049 del 29/5/2008, Guerra, RV. 240814, ove e' stato appunto rilevato che "all'imputato va quindi normalmente riconosciuto il diritto di impugnare una sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con una formula per lui migliore perche' totalmente liberatoria o comunque produttiva di effetti extrapenali piu' favorevoli o meno pregiudizievoli. In tal caso, infatti, l'interesse ad impugnare assume il carattere della concretezza in quanto tende non solo all'applicazione della formula giuridicamente piu' esatta ma anche alla eliminazione di un qualche effetto pregiudizievole. E' dunque pacificamente riconosciuto l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione con la formula "perche' il fatto non costituisce reato" al fine di ottenere la piu' ampia formula liberatoria "perche' il fatto non sussiste" o "perche' l'imputato non lo ha commesso", e cio' perche', a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e piu' favorevoli effetti che gli articoli 652 e 653 c.p.p. connettono al secondo tipo didispositiv, nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare, a fronte degli effetti pregiudizievoli in tali giudizi derivanti dalla prima formula assolutoria". 3. Proprio riconnettendosi ai principi espressi nei suddetti arresti, deve peraltro ritenersi che - in relazione al disposto generale contenuto nell'articolo 568 c.p.p., comma 4, - incombe sull'imputato che invochi la sussistenza dei presupposti di un'assoluzione nel merito in luogo del proscioglimento per intervenuta prescrizione, l'onere di specificare, a pena di inammissibilita', l'interesse concreto sotteso all'impugnazione, a propria volta eventualmente correlato agli effetti penali o extrapenali del giudicato di assoluzione e quindi all'ottenimento di conseguenze rilevanti in altri campi dell'ordinamento (sul punto" Sez.4 del 20/4/2022, n. 16819, Regazzoni, RV.283206 in motivazione). Nel caso di specie, il ricorrente non ha operato alcun tipo di riferimento all'interesse concretamente sotteso all'ottenimento di una pronuncia di proscioglimento nel merito, ravvisandosi quindi tale specifica e pregiudiziale causaa di inammissibilita'. 4. Alle considerazioni che precedono e in riferimento specifico al secondo motivo di ricorso, devono aggiungersi alcune ulteriori annotazioni in punto di insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento nel merito in presenza della dichiarata causa di estinzione in relazione all'invocato disposto dell'articolo 129 c.p.p., comma 2. 4.1 In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e' legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee assi escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi' che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu' al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento (Sez.U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, RV. 244275). 4.2. Ne consegue che l'"evidenza" richiesta dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verita' processuale talmente chiara e obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi pertanto in un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per un'assoluzione ampia, non potendo quindi tale pronuncia essere emessa in sola presenza della mera contraddittorieta' o insufficienza dell'a prova, la quale richiede un apprezzamento ponderato tra diverse risultanze (Sez.6 del 7/5/2013, n. 23680, Rizzo, RV. 256202; Sez.6 del 22/1/2014, n. 10284, Culicchia, RV. 259445). 4.3. Va ricordato che alla conclusione sopra esposta, le Sezioni Unite sono pervenute anche con riferimento a un principio di economia processuale, avallato in piu' pronunce della Corte Costituzionale (orcl.nn. 300 del 26 maggio 1991 e 362 del 118 luglio 1991) laddove si e' evidenziato che l'articolo 129 c.p.p. tende ad assicurare speditezza, immediatezza ed economia al processo ed e' costituzionalmente legittimo purche' bilanciato dalla rinunciabilita' alla causa estintiva. 5. Coordinando tali ultimi principi con quelli sopra esposti in punto di ravvisabilita' dell'interesse a impugnare la sentenza dichiarativa della prescrizione per ottenere una pronuncia di proscioglimento nel merito e in presenza della necessita' della evidenza dell'innocenza dell'imputato richiesta dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, deve quindi ritenersi che sussista anche un piu' pregnante onere di allegazione da parte del ricorrente che non abbia rinunciato alla prescrizione; onere che si concretizza nella necessita' di dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilita' in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei a escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato ovvero l'assenza dell'elemento soggettivo, affinche' possa pronunciarsi sentenza di assoluzione ponendosi cosi' rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di una di tali ipotesi in cui sia incorso il giudice di merito (Sez.3 del 28/3/2018, n. 46050, M., RV. 274200, specificamente relativa all'appello; Sez.4, 31/1/2019, n. 8135, Pintilie, RV. 275219; Sez.3 del 20/1/2022, n. 18069, Grosso, RV. 283131); deduzione strettamente funzionale a evidenziare l'interesse dell'impugnante a conseguire l'unico effetto decisorio piu' favorevole consentito dalla legge (Sez.6 del 20/4/2022, n. 16819, Regazzoni, RV.283206, cit.). 5.1. Nel caso di specie, tale allegazione non si rinviene nel ricorso per cassazione, atteso che lo stesso - mediante riferimento a un dedotto erroneo bilanciamento tra le risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di primo grado (e al di la' della generica invocazione, nel secondo motivo di doglianza, della "dimostrata inattendibilita' degli elementi tecnici addotti dal Tribunale a sostegno del giudizio di colpevolezza" e della sussistenza di una prova di innocenza "al di la' di ogni ragionevole dubbio") - non contiene il pregiudiziale riferimento alla necessaria evidenza percettiva. 5.2. D'altra parte, deve altresi' essere rammentato che - pure secondo il pacifico orientamento della Corte di legittimita' - la dedotta sussistenza dell'evidenza dell'innocenza dell'imputato a fronte di una pronuncia di estinzione del reato, comporta il controllo unicamente della sentenza gravata, in conformita' con i limiti di deducibilita' del vizio di mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, la quale deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (Sez.1 del 18/4/2012, n. 35627, Amurri, RV. 253458; Sez.6 del 28/11/2013, n. 48461, Fontana, RV. 258169); tanto anche in considerazione dell'inammissibilita' in sede di legittimita' di motivi di ricorso che denuncino vizi di motivazione della sentenza impugnata tali da comportare un annullamento con rinvio, in quanto il giudice individuato per l'ulteriore corso avrebbe comunque l'obbligo di dichiarare immediatamente la causa di estinzione (Sez.5 del 4/10/2013, n. 588/2014, Zambonini, RV. 258670). Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile anche in relazione all'inottemperanza a tale necessario onere di allegazione. 6. Alla declaratoria d'inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; e inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - rel. Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/03/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCIA ODELLO che ha concluso chiedendo; udito il difensore. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza in primo grado pronunciata nei confronti di (OMISSIS), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione ai reati di cui ai capi B) e D), per essersi gli stessi estinti per intervenuta prescrizione, ed ha confermato la condanna inflittagli per il reato di cui al capo C) (bancarotta fraudolenta patrimoniale) - per avere egli, da liquidatore della fallita âââEurošÂ¬Ã‹Å"(OMISSIS) S.r.l., distratto somme di pertinenza della societa', imputandole, in parte, a compenso per il suo ruolo di liquidatore, in parte, a rimborso di spese sostenute per trasferte effettuate nell'interesse della medesima -, con rideterminazione della durata delle pene accessorie fallimentari. 2. Avverso la menzionata sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato e affida l'impugnativa ad un solo motivo, con il quale, tramite la denuncia del vizio di violazione dell'articolo 216, comma 3, L.F. e del vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale, travisando il contenuto del capo d'imputazione, aveva ritenuto che l'autoliquidazione del compenso dovuto al liquidatore rientrasse tra le condotte distrattive poste in essere tramite il pagamento di fittizi costi per il personale, cosi' finendo per stravolgere la dinamica dei fatti per come ricostruita dal primo giudice, che aveva ben chiarito come il pagamento dei costi per il personale fosse stato posto in essere quando ancora la societa' era attiva, mentre il pagamento degli emolumenti del liquidatore aveva avuto luogo allorche' la societa' era ormai entrata in uno stato di crisi conclamata. Donde, se la Corte si fosse attenuta a tale incontestato accertamento, per verificare se la condotta di autoliquidazione del compenso posta in essere da (OMISSIS) integrasse la bancarotta fraudolenta patrimoniale o, al contrario, la bancarotta preferenziale, avrebbe dovuto compiere un apprezzamento relativo alla congruita' del compenso rispetto al concreto esercizio della funzione svolta. 3. Con requisitoria presentata per iscritto in data 2 marzo 2023, il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona del Sostituto, Dottoressa Lucia Odello, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. 4. Con memoria in data 30 marzo 2023, il difensore dell'imputato ha insistito per l'accoglimento del motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' fondato. 1. Le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestate ad (OMISSIS) al capo C) dell'imputazione, consistono nell'autoliquidazione del compenso dovutogli quale liquidatore della fallita âââEurošÂ¬Ã‹Å"(OMISSIS) S.r.l.' per Euro 25.737,00 e nel rimborso delle spese fittiziamente sostenute nell'interesse della societa' per Euro 7.995,41. 2. Cio' posto, nella sentenza di primo grado si legge che le condotte distrattive consistite in "spese esorbitanti per personale dipendente, contabilizzate nell'anno di esercizio 2009" (pag. 8), contestate ad (OMISSIS) e a (OMISSIS) al capo A) d'imputazione, "non possono essere ascritte ad (OMISSIS), atteso lo svolgimento cronologico dei fatti, che vedeva quest'ultimo assumere la carica di amministratore soltanto a far data dal (OMISSIS)" (cfr. pag. 9, secondo capoverso); donde, (OMISSIS) veniva assolto dal reato a lui ascritto al capo A) e condannato per le sole condotte di cui ai capi B), C) e D). 3. Tanto riportato, i passaggi argomentativi della sentenza impugnata, nei quali si afferma che la responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo C) sia provata perche' "uno dei fattori di crisi della societa' era costituto dall'ingente volume dei costi sostenuti per il personale dipendente... (tanto vero che)....la societa' fallita aveva chiuso il bilancio 2009 con una perdita di 197 mila Euro dopo avere capitalizzato, nel corso dell'anno ben 280 mila Euro per costi per il personale dipendente" (cfr. pag. 3), non potendosi, dunque, ritenere "sussistente l'ipotesi di bancarotta preferenziale, come sostenuto dall'appellante, perche' i creditori asseritamente pagati, ossia i lavoratori, non sono reali, essendovi stato un artificioso aumento dei costi a copertura della condotta distrattiva, che integra la fattispecie di bancarotta fraudolenta contestata al capo C)" (cfr. pag. 4, secondo capoverso), appaiono del tutto disancorati non solo dall'oggetto dell'imputazione, per come formulata al capo C) della rubrica, ma anche dal chiaro significato della sentenza di primo grado. Donde, la motivazione rassegnata dalla Corte di appello per confermare la condanna inflitta all'imputato per i fatti di cui al capo C) risulta assolutamente eccentrica rispetto al thema decidendum: tanto comporta l'annullamento della sentenza impugnata affinche' il giudice elimini il vizio argomentativo rilevato. 4. S'impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. CANANZI Frances - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/09/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FRANCESCA CERONI, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa in data 11 maggio 2022, per quanto di interesse, confermava la sentenza del Tribunale bolognese in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio, che aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS), riducendo la pena principale ad anni due di reclusione e quelle accessorie fallimentari alla medesima durata. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il motivo deduce violazione dell'articolo 223, comma 2, n. 1, L.F. e vizio di motivazione conseguente. La Corte di appello avrebbe errato nell'applicazione della norma incriminatrice, non avendo dato conto di quale sia stato il contributo causale del falso in bilancio rispetto al dissesto, sottovalutando l'incidenza che ulteriori vicende societarie producevano sul nesso causale, quali l'intervenuto rifinanziamento, la dismissione di asset per il reperimento di liquidita', la ricapitalizzazione, l'immissione di nuovo capitale sociale, la negoziazione del debito esistente e il ricorso alla cassa integrazione. Comportamenti tutti da ritenersi idonei a interrompere il nesso causale fra la condotta di falsificazione del bilancio e il dissesto. A fronte di tale censura la Corte di appello avrebbe omesso la motivazione, riferendosi all'obbligo di dover richiedere la dichiarazione di fallimento, con confusione fra il delitto contestato e quello di bancarotta semplice ai sensi dell'articolo 217, comma 1, n. 4 L. Fall. Anche in ordine all'elemento soggettivo, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere comprovato il dolo, relegando le scelte tese a salvaguardare l'esistenza della societa' come motivi personali irrilevanti, senza per altro rendere alcuna motivazione in ordine al dolo specifico e intenzionale richiesto. 4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge 127 del 2020, articolo 23 comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, rilevando che il ricorso non rispetta il canone della autosufficienza. 5. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente da rigettare. 2. Va premesso che, quanto ai motivi di appello, spetta alla Corte di cassazione accedere all'atto di impugnazione, per valutare l'adeguatezza della motivazione censurata, non dovendo a riguardo ritenersi che il principio di autosufficienza del ricorso possa trovare applicazione a riguardo, a differenza di quanto ritenuto dalla Procura generale. Infatti, l'esame dell'atto di impugnazione e' funzionale alla valutazione di ammissibilita' del ricorso, ai sensi dell'articolo 606, comma 3, c.p.p., al fine di rilevare se il motivo e' precluso o meno e, dunque, trattasi di questione processuale che legittima questa Corte ad accedere all'atto di impugnazione (in merito ad altre questioni di natura processuale sollevate dal ricorso, fra le altre, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525 - 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chaid, Rv. 255304 - 01). L'atto di appello, in relazione al delitto per il quale si procede, proponeva censure in ordine al nesso causale e all'efficacia interruttiva delle iniziative assunte anche dall'imputato medio tempore, fra il falso nel bilancio commesso nel 2008 e la dichiarazione di fallimento del (OMISSIS) della (OMISSIS), nonche' in ordine all'elemento soggettivo. 3. Va premesso che dal tenore della sentenza di primo grado emerge con evidenza che tutti gli argomenti spesi con l'atto di appello erano gia' stati rappresentati e valorizzati nell'ambito del giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna, che infatti affronta entrambi i profili delle censure di impugnazione, valutando la tesi difensiva sia quanto all'interruzione del nesso causale fra falso in bilancio e dissesto sia in merito alla sussistenza del dolo. A tal riguardo, va qui evidenziato come, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto gia' adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben puo' motivare per relazione; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, e' affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 - dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 256435). Di fatto la motivazione della sentenza di appello ora impugnata riprende argomenti gia' spesi dal Collegio di primo grado, riproducendoli in forma sintetica, a fronte di ragioni di censura assolutamente omogenee, a sostegno delle tesi difensive. Pertanto deve escludersi che la Corte territoriale abbia omesso la motivazione a riguardo, vertendosi in tema di doppia conforme, per cui le due sentenze di merito si integrano reciprocamente ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 - 01). 4. Quanto al nesso di causalita', non sussiste la violazione di legge lamentata dallo stesso ricorrente, nella ritenuta derivazione causale dell'aggravamento del dissesto dal falso in bilancio, in quanto risoltosi nell'occultamento di perdite che consentiva la prosecuzione dell'attivita' dell'impresa e l'accumulo di ulteriori perdite. 4.1 Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il nesso causale rilevante non e' ravvisabile unicamente in presenza di condotte che incidano direttamente sulla consistenza del patrimonio della fallita, ma anche nei casi in cui le illecite operazioni contabili abbiano l'immediato risultato di rendere indiscernibile l'esistenza di consistenti perdite nell'attivita' imprenditoriale (Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575). A tal riguardo le sentenze di merito di fatto evidenziano come nell'anno 2008 la situazione patrimoniale della societa' fosse gia' critica, cosicche' l'imputato non provvide all'iscrizione di perdite per Euro 1.690.885,00, risultando poi nel bilancio 2019 inserite perdite per complessivi Euro 3.268.354,00, pari a quelli maturati nel 2009 ai quali si aggiungevano quelli non indicati nel 2008. In sostanza la situazione di passivita' nel 2008 non emergeva grazie alle false comunicazioni, risultando un attivo per il 2008 di Euro 7.231,00 (cfr. sentenza di primo grado fol. 2). Inoltre, la situazione al 2008, rilevava il Tribunale, se correttamente contabilizzata avrebbe determinato l'emersione di un patrimonio netto negativo e la totale perdita di capitale sociale, dovendosi provvedere alla convocazione della assemblea ex articolo 2482-ter c.c. per deliberare la ricostituzione del capitale sociale o lo scioglimento e la messa in liquidazione della societa' (sentenza primo grado, fol. 3). A tale situazione si aggiungeva che proprio in quegli anni, dal 2008 al 2011, gli amministratori ricevevano l'importo complessivo di 524mi1a Euro circa quale compenso deliberato, riqualificato in bancarotta preferenziale, reato poi dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte territoriale. L'incidenza interruttiva del nesso causale delle iniziative ritenute di `salvataggio' della societa' da parte del ricorrente - l'intervenuto rifinanziamento, la dismissione di asset per il reperimento di liquidita', la ricapitalizzazione, l'immissione di nuovo capitale sociale, la negoziazione del debito esistente e il ricorso alla cassa integrazione - veniva esclusa dal Tribunale e dalla Corte di appello, con motivazione congrua e non manifestamente illogica e congrua, che non incorre in violazione di legge. I Collegi del merito hanno infatti ritenuto che il falso in bilancio per l'anno 2008 avesse indotto "il mercato e i terzi ad un affidamento verso la societa', quando invece la situazione era gia' critica e non sanabile, come dimostra il precipitare della esposizione debitoria nell'anno successivo" (sentenza impugnata, fol. 3); se fosse stato veritiero il bilancio dell'anno 2008, avrebbe offerto una "rappresentazione esterna del patrimonio netto della societa', determinando una crescente esposizione debitoria che portava al fallimento", mentre invece le false comunicazioni ebbero a creare "l'apparenza di una impresa sana nei confronti dei terzi creditori, i quali, dunque, non hanno intrapreso quelle opportune iniziative che sarebbero seguite alla rilevazione di una situazione ben diversa e piu' grave rispetto a quella prospettata" (sentenza di primo grado, fol. 6). In sostanza i Giudici del merito evidenziano come proprio il falso in bilancio, assolutamente incontestato, abbia consentito di âââEurošÂ¬Ã‹Å"camuffare' lo stato di crisi, posticipandone l'emersione all'anno successivo in forma aggravata, anche a seguito dei finanziamenti ottenuti e dell'inazione dei creditori, che di fronte a una situazione di leggero attivo emergente dal bilancio del 2008 non agirono per la riscossione dei propri crediti. Il ricorrente richiama la giurisprudenza che ha ritenuto integrato il reato di bancarotta impropria da reato societario allorche' l'amministratore di societa', che esponga nel bilancio dati non veri, al fine di occultare la sostanziale perdita del capitale sociale, eviti cosi' di palesare la necessita' di procedere al suo rifinanziamento o alla liquidazione della societa', provvedimenti la cui mancata adozione determinava l'aggravamento del dissesto di quest'ultima (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Bevilacqua, Rv. 282537 - 01; conf. N. 28508 del 2013 Rv. 255575 - 01, N. 42272 del 2014 Rv. 260394 - 01, N. 17021 del 2013 Rv. 255089 - 01, N. 42811 del 2014 Rv. 261759 - 01). Nel caso in esame, osserva il ricorrente, il falso in bilancio non era funzionale a evitare il rifinanziamento della societa', che infatti intervenne. E bene deve rilevarsi come il principio richiamato debba essere calato nel caso concreto, perche' la falsificazione del bilancio, per integrare l'ipotesi di reato in esame, deve esclusivamente cagionare o concorrere ad aggravare il dissesto, quale che sia l'iniziativa successiva posta in essere dall'amministratore. 4.2 Quindi occorre verificare nel caso concreto se l'aver celato la realta' dei dati contabili in se' abbia prodotto o aggravato l'evento-dissesto (sulla sufficienza dell'aggravamento per integrare il reato, cfr. Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi, Rv. 263803 - 0; conf. N. 16259 del 2010 Rv. 247254 - 01, N. 17021 del 2013 Rv. 255090 - 01) La giurisprudenza di legittimita' ha infatti anche ritenuto che, cosi' come nel caso in esame, il reato di bancarotta impropria da reato societario sia integrato quando l'amministratore, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un inesistente stato di solidita' della societa', consentendo cosi' alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacche', agevolando in tal modo l'aumento dell'esposizione debitoria della fallita, determina l'aggravamento del suo dissesto. (Sez. 5, n. 17021 del 11/01/2013 - dep. 12/04/2013, Garuti e altro, Rv. 255089). Osservava la Corte di legittimita' in tale ultima pronuncia che "la simulazione di un inesistente stato di solidita' non solo aveva mascherato la reale situazione, ma aveva anche consentito (...) di ottenere ulteriori e sempre crescenti finanziamenti dalle banche in tal modo mantenendo la fiducia dei fornitori e dei clienti, ma aumentando l'esposizione debitoria ed aggravando conseguentemente il dissesto (...)". E' quanto hanno ritenuto i Giudici del merito nel caso in esame, rilevando come sia l'inazione dei creditori, sia lo stesso finanziamento, abbiano di fatto aggravato il dissesto, gia' verificatosi, per altro posticipando i comportamenti doverosi previsti dalla normativa civilistica all'anno successivo, come osservato dal Tribunale e anche dalla Corte di appello. A differenza di quanto censura il ricorrente, la Corte di appello non richiama l'obbligo di chiedere la dichiarazione di fallimento in relazione all'articolo 217, comma 1, n. 4, L.F. (capo B, per il quale e' stata dichiarata l'estinzione per prescrizione), bensi' come conseguenza della riduzione del capitale, al di sotto del minimo legale, che avrebbe imposto all'amministratore "senza indugio" ai sensi dell'articolo 2485 c.c. lo scioglimento e l'obbligo di richiedere il fallimento, dato lo stato di insolvenza, ex articolo 14 L. Fall., ovvero la ricostituzione del capitale sociale al sdi sopra del minimo ex articolo 2482-ter c.c.. Si verte, quindi, nell'ambito dell'analisi della condotta di bancarotta impropria da reato societario, a riprova della circostanza che le false comunicazioni in bilancio furono funzionali a posticipare anche l'esercizio degli obblighi dell'amministratore, non adempiuti "senza indugio", eludendo anche la previsione dell'articolo 2486, comma 1, c.c. che impone agli amministratori di operare per la sola conservazione e integrita' del patrimonio sociale fino alla nomina dei liquidatori. Si verte in una peculiare ipotesi di falsita' del bilancio, quindi, tesa a celare una perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale e quindi ad evitare l'emersione di una causa di scioglimento ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, n. 4, c.c., cosicche' le perdite conseguenti al protrarsi della gestione - nel caso di specie le perdite al 2009 risultavano pari a Euro 3.268.354,00, assolutamente consistenti anche depurate da quelle pari a Euro 1.690.885,00 maturate nel 2008- aggravavano certamente il dissesto. 4.3 Per altro, tornando alla doglianza relativa alla interruzione del nesso causale per le iniziative di salvataggio intraprese, la Corte di appello, in uno al Tribunale, ha escluso il verificarsi di una cesura nella serie causale, in linea con il principio per cui ai fini della configurabilita' del reato di bancarotta impropria prevista dal Regio Decreto 16 maggio 1942, n. 267, articolo 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso di causalita' tra l'operazione dolosa e l'evento, costituito dal fallimento della societa', ne' la preesistenza alla condotta di una causa in se' efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all'articolo 41 c.p., ne' il fatto che l'operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l'aggravamento di un dissesto gia' in atto, poiche' la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, e' ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in se' reversibile (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189 - 01; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051 - 01). D'altro canto, le doglianze tese a dimostrare l'efficacia interruttiva del nesso causale delle plurime iniziative prospettate come tese al salvataggio della societa', risultano assolutamente generiche, non solo in questa sede di legittimita': per altro, come osserva la Procura generale, il ricorso risulta privo di autosufficienza a riguardo, non essendo stati allegati o richiamati in modo puntuale gli atti che i Giudici del merito non avrebbero adeguatamente valutato. Infatti, dedotto il vizio di manifesta illogicita' della motivazione richiamando la documentazione allegata nei gradi di merito, il ricorso e' inammissibile se non ne contiene la integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, in base al combinato disposto degli articoli 581, comma 1, lettera c), e 591 c.p.p. (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053Sez. 3, Sentenza n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994 Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723). 4.4 Ne consegue che il motivo di ricorso, quanto al profilo oggettivo e in particolare al nesso causale, e' infondato. Puo' affermarsi, pertanto, il principio per cui, in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all'articolo 2621 c.c., sussiste il nesso eziologico fra le false comunicazioni sociali e il dissesto allorche' il mendacio celi una perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale ex articolo 2463, comma 1, n. 4), c.c., cosi' impedendo l'emergere di una causa di scioglimento della societa' di capitali ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, n. 4, c.c., nonche' eludendo gli obblighi dell'amministratore di provvedere "senza indugio" a fronte della causa di scioglimento ai' sensi dell'articolo 2485, comma 1, c.c., cosi' provocando ulteriori perdite, conseguenti a indebiti finanziamenti e al protrarsi della gestione in regime non liquidatorio. 5. Quanto all'elemento soggettivo, il ricorrente a buona ragione richiama l'orientamento della Corte di cassazione che in tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, individua una struttura complessa comprendente il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, e il predetto dolo generico non puo' ritenersi provato - in quanto "in re ipsa" - nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, ne' puo' ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la societa', dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino la consapevolezza di un agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili (Sez. 5, n. 30526, 22/04/2021, Caronna, non massimata; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673). 5.1 Va premesso che a questa struttura complessa del dolo offre una adeguata risposta la sentenza di primo grado. Per un verso, in ordine al presupposto dolo della bancarotta impropria, correttamente il Tribunale richiama il principio per cui in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all'articolo 2621 c.c., il dolo richiede una volonta' protesa al dissesto, da intendersi non gia' quale intenzionalita' di insolvenza, bensi' quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449 - 01; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356 - 01, in una fattispecie relativa alla esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione economica e finanziaria della societa' con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori). Anche in relazione al dolo del reato societario, che deve essere accertato, il Tribunale rileva come il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), e' comprovato "dalle gonfiate appostazioni negative presenti nel bilancio successivo, dove, considerate come impossibili da occultare le gravi perdite che anche in quell'esercizio si erano verificate, gli amministratori decisero di riversare il dato negativo dell'anno precedente". In sostanza l'omessa indicazione nel 2008 e l'inserimento in bilancio nel 2009 delle passivita' maturate nel primo anno, comprovano la consapevolezza e la volonta' del mendacio. Quanto al dolo specifico (profitto ingiusto), viene individuato dal Tribunale nell'intenzione di avvantaggiarsi della situazione non rispondente al vero, evitando un piu' celere rientro della propria esposizione. Quanto al dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il Tribunale lo individua nella volonta' di ingannare i creditori sulla consistenza patrimoniale della societa', perche' agendo diversamente sarebbe emersa la situazione di rilevante passivita', che avrebbe bloccato forniture e finanziamenti, per l'insolvenza della (OMISSIS). 5.2 Con l'atto di appello veniva censurata la motivazione relativa al dolo generico presupposto della bancarotta impropria, trasformandosi una fattispecie di danno in quella di pericolo a ben vedere la doglianza non viene riproposta in questa sede, e d'altro canto il dolo presupposto al quale fa riferimento la sentenza di primo grado e' quello relativo al delitto di bancarotta fraudolenta che esclude dal fuoco del dolo la volonta' del dissesto, ritenendosi necessaria la sola consapevolezza del pericolo di riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori. In relazione al dolo generico delle false comunicazioni sociali, l'atto di appello, riportando la motivazione della sentenza di primo grado quanto al dolo intenzionale e dolo di inganno, la censura come segue: "tutto ruota, in definitiva, intorno ad una irragionevole- secondo una valutazione ex post-decisione di continuare la l'attivita' aziendale, identificata tra l'altro nell'ingiusto profitto, che sembra disperdere la portata tipizzante del dolo specifico oltre che dimenticare il âââEurošÂ¬Ã‹Å"rischio' connaturata all'attivita' svolta". La Corte di appello ribadisce la sussistenza del dolo, ritenendola pacifica nella prova di falsificazione del bilancio, ritenendo le scelte discrezionali di impresa relative ai motivi del reato irrilevanti rispetto al dolo. 5.3 L'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882201). In vero la sentenza di primo grado aveva puntualmente esaminato e dato conto di tutti i profili del complesso elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria da reato societario e a fronte di tale accurata ricostruzione i motivi di appello risultavano del tutto aspecifici. Ne consegue che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria, quand'anche il giudice dell'impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022 Testa, Rv. 283808 - 01; conf. N. 1982 del 1999 Rv. 213230 - 01, N. 10709 del 2015 Rv. 262700 - 01). 6. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa A. - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 01/02/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; lette le conclusioni scritte ex articolo 611 c.p.p., del PG in persona del Sostituto PG Passafiume Sabrina che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato e dell'Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero dell'Economia e delle Finanze che ha chiesta dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Trieste, con ordinanza dell'1/ 2/ 2022, rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex articolo 314 c.p.p. dall'odierno ricorrente, (OMISSIS), subita dal 16/6/2017 al 4/7/2017 in regime di custodia cautelare in carcere, in quanto indagato per il reato di corruzione propria in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS) (articolo 81 c.p. comma 2, articoli 110, 319 e 321 c.p.), consistito da parte del (OMISSIS), nel corso di una verifica fiscale nei confronti della societa' (OMISSIS) S.p.a., di cui lo (OMISSIS) era legale rappresentante, nel mettersi a disposizione del verificato e nel far concludere la verifica con rilievi minimali e con una conduzione mite, a fronte della assunzione in (OMISSIS) spa del figlio del (OMISSIS) e in alcune cene in ristoranti di lusso. Il reato sarebbe stato poi riqualificato in sede di avviso di conclusioni delle indagini con riferimento agli articoli 110 e 319 quater c.p. (capo a) e articolo 110 c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3 (capo b). In data 4/7/2017 il Tribunale del riesame annullava l'ordinanza applicativa della misura cautelare disponendo la remissione in liberta' del (OMISSIS). Con sentenza del 20/12/2018 il Tribunale di Venezia si dichiarava incompetente in favore del Tribunale di Udine. Trasmessi gli atti alla Procura della Repubblica di Udine, a seguito di ulteriori indagini, il PM chiedeva l'archiviazione del procedimento relativo al (OMISSIS), in ragione della insufficienza degli elementi indiziari acquisiti per sostenere l'accusa in giudizio. Il Gip di Udine, con decreto del 12/9/2020, accoglieva la richiesta e disponeva l'archiviazione del procedimento. 2. Sulla base di tale pronuncia, il (OMISSIS) avanzava richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione subita, evidenziando come l'ingiusta detenzione gli aveva cagionato non solo una restrizione della liberta' per 18 giorni, ma pregiudizi alla carriera (essendo egli un ufficiale della Guardia di Finanza, all'epoca dei fatti con posizione di comando operativo), alla serenita' del suo nucleo familiare ed al patrimonio familiare, essendo stato costretto di trasferirsi in Sardegna, a Cagliari, in localita' molto distante da quella di provenienza, senza alcun recupero delle spese sostenute per il trasferimento e con perdita dei maggiori guadagni che era in procinto di godere nel corso dell'originario percorso professionale. Il giudice della riparazione, come in precedenza ricordato, rigettava la richiesta. 3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo si deduce violazione di legge per l'erronea estensione del requisito di non aver dato causa all'ingiusta detenzione per dolo o colpa grave, previsto per l'ipotesi di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 1, all'ipotesi di cui al comma 2, essendo stato negato l'indennizzo per una presunta colpa, nonostante l'accertata insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilita' della misura. Il ricorrente, dopo aver riportato un ampio tratto della motivazione dell'impugnato provvedimento, ripercorre la vicenda giudiziaria evidenziandone i tratti salienti. In particolare, pone l'accento sul fatto che il tribunale del riesame ha ritenuto non sorretta da gravita' indiziaria l'originaria imputazione di corruzione, sulla scorta degli stessi elementi valutati dal GIP che aveva emesso la misura; mentre le ulteriori e diverse imputazioni di induzione indebita e collusione tra militari venivano archiviate perche' insussistenti. Ci si duole che i giudici della riparazione non abbiano tenuto in considerazione tali esiti processuali. Nell'ampia ed esaustiva ricostruzione dei fatti, che riporta testualmente l'ordinanza del tribunale del riesame, si sottolinea l'insussistenza ab origine dei presupposti per l'emissione della misura, poi confermata dal decreto di archiviazione. Il tribunale del riesame affermava l'assoluta mancanza di prova che il (OMISSIS) avesse percepito qualche utile cosi' come che lo stesso avesse compiuto atti contrari al proprio dovere. Si rileva che a seguito dell'ordinanza del riesame la Procura di Venezia modificava le imputazioni elevando due contestazioni diverse rispetto a quella di corruzione ritenuta insussistente in sede di riesame. Le due imputazioni erano: a. induzione indebita, che sarebbe consistita nell'assicurare all'imprenditore (OMISSIS) che non sarebbero stati svolti approfondimenti su un appunto informativo relativo ad un'operazione sospetta del 2013. Cio' in cambio dell'assunzione del figlio del collega (OMISSIS) e di qualche cena di lusso che per il (OMISSIS) in realta' era soltanto una; b. collusione L. n. 1383 del 1941, ex articolo 3, consistita nel non aver messo a disposizione dei militari verificatori l'appunto informativo di cui sopra, al fine di frodare la finanza. Il ricorrente, rilevato che il procedimento era stato trasferito alla Procura di Udine a seguito della sentenza di incompetenza territoriale resa dal Tribunale di Venezia, riporta gli esiti delle indagini e gli elementi emersi evidenziando che nessuna irregolarita' veniva rilevata nella verifica fiscale condotta nei confronti della (OMISSIS). Smentisce, quindi, le valutazioni rese dai giudici della riparazione su un presunto atteggiamento soft del (OMISSIS) nella conduzione della verifica, che definisce mere illazioni. Si lamenta che la Corte triestina non solo abbia omesso di considerare l'accertata, in sede di riesame, insussistenza originaria dei presupposti per l'emissione della misura, ma ha aggiunto l'ulteriore elemento di una parziale ammissione del (OMISSIS) in sede di interrogatorio, rendendo inverosimile l'ordinanza di annullamento del riesame. Inoltre, ci si duole, che il giudice della riparazione abbia valutato in maniera non aderente alle risultanze processuali elementi irrilevanti ai fini della riparazione come il presunto mancato approfondimento dell'appunto informativo. Questo elemento riguarderebbe esclusivamente le imputazioni elevate dopo l'annullamento della misura e la valutazione di insussistenza dell'originaria imputazione. Si contesta, poi, l'affermazione che il Gip abbia ritenuto non chiaro tale aspetto in quanto, dalle indagini svolte dalla Procura di Udine, e' emerso che l'appunto informativo fu messo a disposizione della pattuglia e valutato nella verifica. Del resto, si ricorda, che il PM, nella richiesta di archiviazione, dava atto che la tesi accusatoria fondata sulla sottrazione dell'appunto informativo era stata confutata. In relazione agli elementi relativi al contenuto delle telefonate riportate nell'ordinanza cautelare e ai rapporti con il (OMISSIS), il ricorrente evidenzia, che gli stessi sono stati valutati in sede di riesame giungendo a conclusioni opposte rispetto al Gip e ritenendo insussistenti i presupposti per l'emissione della misura. Pertanto, si ritiene, che gli stessi non potevano essere considerati ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione. Si richiama sul punto la sentenza a Sezioni Unite n. 32383 del 27/5/2010, nonche' diversi precedenti di questa Corte che affermano la rilevanza della condotta sinergica dell'indagato soltanto nel caso in cui la valutazione dell'insussistenza delle condizioni di applicabilita' della misura sia avvenuta sulla base di elementi diversi da quelli esaminati dal giudice della cautela, ma non nel caso in cui sia avvenuta sulla base degli stessi elementi. Con un secondo motivo si deducono violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento di elementi di prova in relazione alla sussistenza di una presunta colpa grave basata su un'erronea valutazione degli elementi di prova. Ci si duole che la Corte triestina abbia ritenuto provate una serie di circostanze, mentre in realta' le indagini della Procura avevano avuto esito opposto, determinando l'archiviazione del procedimento. Cio' in particolare, laddove il giudice della riparazione ha ritenuto che: a. il (OMISSIS) si sarebbe adeguato alle richieste del (OMISSIS) attivandosi per affrettare la verifica con un esito favorevole per la (OMISSIS); b. la verifica sarebbe stata particolarmente soft; c. il (OMISSIS) era a conoscenza dell'obiettivo del (OMISSIS) di far assumere il figlio come ammesso nell'interrogatorio di garanzia; d. la condotta del (OMISSIS) avrebbe favorito la consumazione del reato di corruzione da parte del (OMISSIS), ponendosi in rapporto di causalita' con l'adozione della misura; e. in sede di verifica non veniva approfondito il contenuto dell'appunto informativo oggetto delle nuove imputazioni contestate in sede di cognizione; f. permaneva il sospetto che il (OMISSIS) avesse occultato l'appunto informativo ai verificatori. In realta', dall'esito del procedimento sarebbe emerso: a. che non vi era alcun profilo di criticita' o irregolarita' nello svolgimento della verifica e non vi era stata alcuna ingerenza del (OMISSIS) per il suo buon esito; b. che dall'esame delle intercettazioni il (OMISSIS) non era a conoscenza delle intenzioni del (OMISSIS) sull'assunzione del proprio figlio e la circostanza non e' mai stata riferita nell'interrogatorio; c. che il (OMISSIS) non poneva in essere alcuna corruzione, tanto che e' stato poi contestato il solo reato di induzione indebita, archiviato per quanto riguarda il ricorrente; e. che il contenuto dell'appunto informatico fu approfondito dai verificatori e che lo stesso appunto non fu mai occultato. Di conseguenza, i giudici della riparazione avrebbero evidentemente travisato gli elementi di prova ignorando il contenuto dell'ordinanza di annullamento del riesame e del decreto di archiviazione. Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio ex articolo 623 c.p.p.. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 15/9/2022 ha rassegnato ex articolo 611 c.p.p. le proprie conclusioni scritte come riportato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Va premesso che e' principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimita' deve intendersi limitata alla sola legittimita' del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruita' e logicita' della motivazione, e non puo' investire naturalmente il merito. Cio' ai sensi del combinato disposto di cui all'articolo 646 c.p.p., secondo capoverso, da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell'articolo 315 c.p.p., comma 3. Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non puo' trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiche' una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalita', non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l'articolo 646 c.p.p., comma 3 (al quale rinvia l'articolo 315 c.p.p., ultimo comma) stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall'articolo 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte). 3. Il proposto ricorso, al primo motivo, si palesa infondato in quanto fa questione di c.d. ingiustizia formale della subita detenzione (articolo 314 c.p.p., comma 2), mentre, come si evince dall'istanza di riparazione per ingiusta detenzione del 24/8/2021 a firma degli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) con quella si era fatta unicamente questione di ingiustizia sostanziale (articolo 314 c.p.p., comma 1). Lo si evince chiaramente dalle pagg. 4-5 dell'istanza, ove i difensori ricorrenti si soffermano sull'asserita assenza di colpa, anche lieve, in capo al (OMISSIS) e richiamano a sostegno delle proprie tesi sentenze di questa Corte di legittimita' (Sez. 4 n. 10793/2016 e Sez. 3 n. 45593/2017) tutte afferenti a casi di c.d. ingiustizia sostanziale. Questa Corte di legittimita' ha gia' in passato chiarito -e va qui ribadito- che nel procedimento di riparazione per l'ingiusta detenzione, che e' una procedura attinente interessi economici e pecuniari di natura civilistica inserita per ragioni di sedes materiae e di opportunita' nel codice di procedura penale, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l'azione esperita, non e' consentito, ne' alla parte, nel difetto di consenso o d'acquiescenza dell'altra, ne' al giudice d'ufficio, modificare la "causa petendi", senza che il controinteressato sia stato posto in grado di interloquire al riguardo. Sicche', quando l'attore abbia posto a fondamento della richiesta la fattispecie legale di cui all'articolo 314 c.p.p., comma 1, il giudice non puo' accogliere la domanda sulla base di altra "causa petendi", quale l'ipotesi di illegittima detenzione, di cui al comma 2 della predetta disposizione di legge (cosi' Sez. 4, n. 1514 dei 17/12/1992, dep. 1993, Malentacchi. Rv. 194083). 4. Ricondotte le doglianze al devoluto al giudice della riparazione, ovvero ad un'ipotesi di ingiustizia c.d. sostanziale ex articolo 314 c.p.p., comma 1, va evidenziato -e da qui l'infondatezza anche del secondo motivo di ricorso- che il giudice della riparazione motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto. L'articolo 314 c.p., com'e' noto, prevede al comma 1 che "chi e' stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche' il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche' il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave". In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, ultima parte); l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004). In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'articolo 314 c.p.p., comma 1, - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'"id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria a tutela della comunita', ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637), Poiche' inoltre, la nozione di colpa e' data dall'articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto l'articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'Autorita' Giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia e' stato affermato che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell'autorita' giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorita' giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della liberta' personale o nella mancata revoca di uno gia' emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034). Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664). E, ancora, piu' recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo puo' anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia "strutturale" tra custodia e assoluzione, o quella "funzionale" tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta' personale potra' considerarsi "ingiusta", in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche', altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la "ratio" solidaristica che e' alla base dell'istituto (cosi' Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui e' stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni "travisanti", aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni). 5. Nel provvedimento impugnato si ricorda come dagli atti risulti che l'odierno ricorrente era stato incaricato, negli ultimi mesi del 2015, di procedere ad una verifica fiscale presso la (OMISSIS) spa, di cui era legale rappresentante (OMISSIS). Questi, iniziata la verifica, si era rivolto ad un suo buon conoscente, il tenente colonnello (OMISSIS), in forza presso la Guardia di Finanza di Venezia, per evitare che la indagine tributaria potesse pregiudicare l'impresa. Il (OMISSIS), a sua volta, era buon conoscente del (OMISSIS), avendo lavorato con lo stesso presso la Guardia di Finanza di Gorizia sin dall'anno 1998, ed avendo mantenuto negli anni rapporti di amicizia e di frequentazione, pur non assidua, anche in virtu' del comune profilo professionale. Una serie di intercettazioni telefoniche,- (riportate analiticamente nella ordinanza applicativa della misura, che per sul punto il giudice della riparazione integralmente richiama), avevano consentito agli inquirenti di accertare che (OMISSIS), in piu' occasioni, aveva telefonato ai (OMISSIS) rappresentandogli come fosse interessato alla verifica alla (OMISSIS) spa, il cui responsabile era un suo buon amico; che desiderava che non si esagerasse nel corso della verifica; che il suo interlocutore nel parlare con il responsabile doveva dire una frase in modo da far capire che conosceva il (OMISSIS) e metterlo in tal modo in tranquillita'; che (OMISSIS) doveva fare tutto quello che (OMISSIS) gli aveva chiesto, in quanto lui aveva un interesse particolare per quella impresa. Di fronte a tali richieste, come il giudice della riparazione ricorda emergere dagli atti, (OMISSIS) non si opponeva, non riferiva il fatto ai suoi superiori, si adeguava alle richieste del (OMISSIS), procurando che la verifica terminasse in un tempo molto ristretto, (non piu' di 30 giorni), con un esito molto favorevole alla (OMISSIS) spa, la quale si vedeva contestato un maggior imponibile di soli 7.000 Euro, con una imposta maggiore di Euro 350. Significativo viene ritenuto il fatto che nel corso dei colloqui telefonici con lo (OMISSIS) il (OMISSIS) lo rassicurava sul fatto che i suoi conoscenti, (che (OMISSIS) chiamava con l'appellativo di "architetti"), gli avevano rassicurato che le operazioni di verifica sarebbero state molto rapide e che gli esiti non sarebbero stati pesanti per la (OMISSIS) spa, circostanze puntualmente verificatesi. La natura indebita dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge per la Corte triestina anche dal fatto che il primo, nel rivolgersi al (OMISSIS), usava sempre farsi criptiche, alludendo alla verifica ed alla importanza che (OMISSIS) operasse secondo le sue indicazioni, con giri di parole e con impiego di termini allusivi e mai diretti. L'esito della attivita' in esame, secondo l'interpretazione che il giudice della riparazione da' degli esiti delle indagini, era una verifica fiscale -particolarmente soft per la (OMISSIS) spa, ripagata con l'assunzione del figlio del (OMISSIS) presso la societa' verificata con rapporto di lavoro dipendente a partire dalla data del 1.2.2016, precedente di pochi giorni al completamento della verifica, avvenuto in data 6.2.2016". 6. Orbene, e' vero che, dalla richiesta di archiviazione del PM di Udine e dal successivo decreto del GIP di Udine si e' ritenuto che: "...la notizia di reato in ordine all'ipotesi di cui all'articolo 319-quater c.p. non ha trovato riscontro. L'oggetto dell'indebita prestazione illecita e' stato individuato nell'assunzione del figlio di (OMISSIS) presso la ditta verificata, in cambio di un piu' benevolo trattamento da parte dei verificatori. Non e' emersa prova che (OMISSIS) fosse al corrente di tale richiesta del (OMISSIS) e delle trattative illecite incorse con la verificata. Sono emersi elementi generici di sospetto, forse una non particolare solerzia nello spronare l'attivita' di verifica rispetto ad altre verifiche, ma si tratta di meri sospetti e sensazioni di difficile valutazione in sede penale. Le intercettazioni d'altro canto non hanno fornito risconti in ordine a una qualche collusione tra (OMISSIS) e (OMISSIS). D'altro canto, non risulta che (OMISSIS) abbia beneficiato di vantaggi tali da giustificare la commissione di un cosi' grave reato (si parla di una cena offerta dal titolare della ditta verificata). Il quadro offerto pertanto non consente di sostenere l'accusa in giudizio". E, ancora, che: "Quanto al reato di cui all'articolo 110 c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3, va premesso che deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario in forza del dettato dell'articolo 13 c.p., comma 2, procedendosi per connessione con il piu' grave reato di cui all'articolo 319-quater c.p. Non e' sostenibile l'accusa in giudizio in ordine a detto capo in quanto dalle dichiarazioni rese dal M.C. (OMISSIS) (...) e dal Cap. (OMISSIS) (f. 589) e' emerso che, pur in circostanze non del tutto chiare, i documenti che originariamente si ipotizzava fossero stati occultati, erano stati prodotti e inseriti nel fascicolo". Tuttavia, non occorre confondere il piano della responsabilita' penale (esclusa, altrimenti non vi sarebbero stati in radice i presupposti per la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione) con quello della sussistenza di comportamenti colposi individuali in capo al richiedente l'indennizzo ed ostativi al riconoscimento dello stesso. Va ricordato, in proposito, che vi e' totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione, atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Cio' perche' e' prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che puo' essere ritenuta insufficiente e condurre all'assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell'imputato, l'adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice. E' pacifico (cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418) che, in sede di giudizio di riparazione ex articolo 314 c.p.p. ed al fine della valutazione dell'an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l'ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine e' necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall'istante sia prima che dopo la perdita della liberta' personale e, piu' in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. Un. 32383/2010), onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall'esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell'autorita' procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita' come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis). A tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione (cfr. questa Sez. 4, n. 45418/2010). 7. Orbene, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto -e che si sottrae, pertanto, alle proposte censure di legittimita'- la Corte triestina evidenzia che il (OMISSIS) ha tenuto, poco prima del suo arresto una condotta se non altro gravemente connivente con la condotta illecita del (OMISSIS), che favoriva la consumazione del reato di corruzione da parte di quest'ultimo e che si pone, per cio' solo, in rapporto di causalita' con l'applicazione in capo al ricorrente della misura cautelare per la quale si procede. Ininfluente, ai fini del diniego, pare la circostanza, contestata dal ricorrente e, come visto, ritenuta dal giudice della riparazione, che la verifica fiscale sia stata oltremodo veloce e soft. Circostanza in ogni caso dirimente nell'escludere il diritto alla riparazione e' stato logicamente ritenuto che la condotta del (OMISSIS) era anche deontologicamente non corretta, in quanto, di fronte alla indebita ingerenza del collega ed amico, non opponeva la riservatezza dell'attivita' funzionale a lui demandata, rispetto alla quale (OMISSIS) non aveva nulla a che vedere, non invitava l'interlocutore a desistere dalle sue ingerenze, ne' denunciava il fatto ai superiori, ma si manifestava collaborativo con il (OMISSIS), fornendogli informazioni sulla durata della verifica e sui suoi esiti, in modo che questi potesse a sua volta informare il verificato ed ottenere, in tal modo, dallo stesso l'assunzione del figlio. L'ordinanza impugnata, pertanto, opera un buon governo della condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimita' secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, per la valutazione della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per la custodia cautelare sofferta, il giudice di merito puo' valorizzare anche scorretti comportamenti deontologici, quando questi, uniti ad altri elementi, configurino una situazione obiettiva idonea ad evocare, secondo un canone di normalita', una fattispecie di reato (vedasi sul punto Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016 dep. 2017, Farina, Rv. 269034 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto integrativa della colpa grave la condotta dell'imputato, pubblico amministratore, che, avendo ricevuto denaro e regalie da imprenditori locali per finalita' politiche al di fuori dei canali istituzionali, aveva generato una situazione di ambigua commistione tra amministrazione locale ed imprenditoria; conf. Sez. 4, n. 52871 del 15/11/2016, Tavelli, Rv. 268685, nella quale la Corte ha ritenuto integrativa della colpa grave la condotta dell'imputato, Ispettore della Polizia di Stato, in servizio presso un Centro di Identificazione ed Espulsione, il quale - violando le disposizioni regolatrici dell'attivita' della Polizia di Stato - aveva intrattenuto rapporti sessuali con persone che, essendo trattenute nella predetta struttura, si trovavano in una posizione di soggezione nei suoi confronti). Peraltro, costituisce ius receptum anche il principio che, pur ritenuti non sufficienti gli elementi acquisiti per pervenire al suo rinvio a giudizio, mancando la prova della partecipazione attiva all'agire delittuoso, possa integrare la colpa grave un comportamento quantomeno di connivenza, del tutto adeguato ad indurre il giudice per le indagini preliminari a ritenere sussistente a sua carico il presupposto della gravita' indiziaria necessario per l'emissione della misura della custodia cautelare (cfr. ex multis (Sez. 4, n. 8993 del 15/1/2003, Lushay, Rv. 223688). 8. Al rigetto del ricorse consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Viceversa, ritiene il Collegio, conformemente ai dictum di Sez. Un., n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 (vedasi in motivazione pagg. 22 e ss., con un principio affermato per la parte civile nel giudizio di legittimita', ma che, mutatis mutandis, trova applicazione anche in un caso come quello che ci occupa; vedasi anche Sez. Un., n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264) che, tenuto conto della genericita' delle argomentazioni svolte nella depositata memoria, priva del minimo riferimento specifico alla vicenda in esame, non debba conseguire anche la condanna alla rifusione delle spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente.

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