Sentenze recenti amministratore di fatto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, pronunzia la presente SENTENZA nel proc. n. 7663/2021 RG promosso da (...), residente a Padova, (...), residente a Padova, (...), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) con domicilio eletto presso il loro studio del primo in Dolo (VE), (...) e con domicilio digitale eletto ai sensi dell'art. 16 sexies D.L. 179/2012 agli indirizzi pec: (...) contro (...) (...), entrambi residenti in Padova (PD), (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al presente atto, dagli avv.ti (...) del Foro di Padova, con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi di posta elettronica certificata (...) nonché contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...), con domicilio eletto presso il di lui studio in Padova (...) con l'avv. (...) con la chiamata in causa di Condominio (...) contumace OGGETTO: risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. in edificio condominiale - responsabilità dell'amministratore MOTIVAZIONE 1. (...) comproprietari di un appartamento con annesso garage al piano terra sito in Padova, (...) facente parte del complesso di abitazioni denominato "Condominio (...)", amministrato da (...) espongono che il 19 dicembre 2019 si accorgevano dell'improvviso allagamento del loro garage. L'acqua scendeva abbondante a rivoli dal soffitto e si riversava all'interno del box, inzuppando i beni in esso contenuti, quali attrezzi dei figli, vestiti, scarpe ed effetti personali nonché una moto Harley Davidson. (...) cercava di porre al riparo i propri beni e avvertiva l'amministratore del Condominio (...), nonché i proprietari dell'appartamento sovrastante (...) e (...). Dopo alcuni giorni, gli attori scoprivano che le infiltrazioni d'acqua erano state generate dalla rottura di una tubazione idrica (lo scarico della vasca da bagno) dell'appartamento posto al piano superiore di proprietà dei predetti (...) e (...) riparata da una squadra di idraulici inviata dall'amministratore (...). Quest'ultimo li rassicurava, informandoli che avrebbe aperto un sinistro sulla polizza condominiale che presentava garanzia sottoscritta a tutela dei danni da acqua condotta al fabbricato e al contenuto delle singole unità abitative e che quindi nulla vi era da preoccuparsi per quanto concerneva il ristoro dei danni subiti. La Compagnia di assicurazione (...), a seguito della denuncia dell'amministratore del Condominio, apriva il sinistro n. (...) e veniva eseguito il sopralluogo esplorativo da parte del perito incaricato. Tuttavia, la stessa Compagnia, con raccomandata del 2.10.2020, comunicava il diniego dell'indennizzo in quanto la polizza decorreva solo dalle ore 24 del 20.12.2019. Gli attori venivano in tal modo a sapere che l'amministratore non aveva adempiuto a quanto deliberato dall'assemblea del 23.10.2019 di approvazione del bilancio preventivo di gestione ordinaria dall'1.07.2019 al 30.06.2020, ove era stata prevista la voce di spesa per la stipula (rectius rinnovo) dell'assicurazione polizza globale fabbricati. Ciò premesso, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio sia (...) e (...) (...) sia (...), per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi euro 15.000,00. (...) e (...) resistono ed hanno chiesto di essere manlevati da (...) chiedendo anche la sua condanna al pagamento delle spese condominiali poste a loro carico nei bilanci 2019/2020 e 2020/2021 sempre per il ripristino delle parti comuni e private necessitato dalla predetta perdita d'acqua per la complessiva somma di euro 1.595,00, oltre ad euro 697,60 per spese di mediazione, chiedendo che l'accertamento fosse effettuato anche nei confronti del Condominio, che è stato così chiamato in causa, rimanendo contumace. Anche (...) resiste. La causa è stata istruita mediante l'assunzione delle deposizioni dei testi (...), (...) (v. udienza 28.02.2023), e con il deposito di ctu estimativa dei danni del p.i. (...). Precisate le conclusioni e scaduti i termini previsti dall'art. 190 c.p.c., la causa passa ora in decisione. 2. Dalle concordi deposizioni di (...) e di (...) risulta che la perdita d'acqua è stata causata dalla vasca del sovrastante appartamento dei convenuti (...) (...) e (...) Il danno è stato dal ctu quantificato in complessivi euro 5.266,40 (iva compresa). (...) e (...) vanno pertanto condannati in solido a pagare tale somma agli attori (...) e (...). 3. Sussiste anche la responsabilità dell'amministratore (...) poiché è pacifico che egli non ha provveduto a stipulare l'assicurazione deliberata dall'assemblea il 2223.10.2019. Non ha alcuna rilevanza che (...) e (...) fossero morosi nel pagamento delle spese condominiali, né che l'assicurazione fosse destinata a coprire anche parti private dei singoli condomini. Nessuna di tali circostanze esimeva l'amministratore dall'adempiere a quanto deciso dall'assemblea condominiale, come conferma il fatto che il giorno dopo il sinistro l'amministratore ha provveduto a stipulare la polizza richiesta. 4. Lo stesso amministratore (...) deve tenere indenne anche i predetti convenuti, in quanto anche nei loro confronti è inadempiente all'obbligo di stipulare la polizza nascente dalla cit. delibera condominiale. Egli deve anche restituire loro la somma di euro 1.595,00 dagli stessi pagata quali spese condominiali a loro addebitate sempre a causa della predetta perdita d'acqua, senza che rilevi la mancata attivazione della mediazione (v. Cass., sez. un., 7.02.2024, n. 3452), né il fatto che (...) e (...) con abbiano impugnato i bilanci 2019/2020 e 2020/2021 che tali spese hanno approvato, poiché si tratta di res inter alios. 5. Si impongono quindi le declaratorie di cui in dispositivo. Le spese di giudizio, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza. P Q M definitivamente pronunziando, condanna (...) e (...) nonché (...) tutti in solido, a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 5.266,40 con interessi legali dalla data odierna al saldo, oltre agli interessi legali sulla stessa somma, devalutata alla data del 19.12.2019 e quindi rivalutata anno per anno sulla base degli indici Istat. Condanna (...) tenere indenne (...) e (...) a quanto saranno costretti a pagare a (...) e (...) per capitale, interessi e spese. Condanna inoltre (...) a pagare a (...) e (...) la complessiva somma di euro 1.595,00 con interessi legali dalla prima messa in mora al saldo. Condanna (...) e (...) e (...) in solido, a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio, liquidate in euro 237,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Condanna (...) a rifondere a (...) e (...) le spese di giudizio (comprensive della fase della mediazione), liquidate in euro 98,00 per spese ed euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge e spese generali. Pone infine le spese di ctu definitivamente a carico di (...). Padova, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO TREDICESIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Sabrina Bocconcello ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40905/2017 promossa da: (...) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) MILANO presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in(...) MILANO presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO omissis ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. cpc Si premette che la presente sentenza verrà redatta con motivazione stesa in forma concisa e sintetica in conformità anche con i criteri espressi e di cui alla pronunzia della Suprema Corte di Cassazione alle SS.UU. n. 642 del 16/01/2015. La presente si limiterà pertanto ad una succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione potrà fondarsi su precedenti conformi. Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, atteso il contenuto dell'art. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. Att. cpc, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente procedimento trae origine dalla impugnativa della delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg (per numerosi motivi sia procedurali che sostanziali) svolta dagli attori con atto di citazione ritualmente notificato con il quale convenivano in giudizio il (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e deduzione, previa sospensione dell'efficacia esecutiva ex art. 1137 c.c., così giudicare: Nel merito: dichiarare nulla o, comunque, annullare l'impugnata delibera assembleare, relativamente ai punti n. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'ordine del giorno dell'assemblea del 14/03/2017 del (...), per i motivi di cui al presente atto. Con vittoria di spese e competenze di legge." Alla prima udienza del 21.12.2017 si costituiva in giudizio il (...) convenuto contestando ogni deduzione avversaria e chiedendo: "Respingere le domande tutte avanzate dagli attori nell'atto di citazione nei confronti del (...), in persona dell'Amministratore pro tempore in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e delle spese del procedimento di mediazione". Concessi i richiesti termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva rinviata per la discussione sull'ammissione dei mezzi istruttori all'udienza del 7.5.2018 Alla fissata udienza il Giudice -su specifica richiesta congiunta delle parti anche al fine di valutare ipotesi conciliative- disponeva CTU contabile, nominando il dott. (...) e rinviando per il giuramento del CTU e la formulazione del quesito. All'udienza del 18.6.2018 il CTU Dott. (...) accettava l'incarico e prestava il giuramento di rito sul quesito posto ed il Giudice rinviava per verificare l'esito del deposito dell'elaborato. Nelle more, a seguito di istanza del CTU, con ordinanza del 15.11.20218 veniva fissata udienza al 21.1.2019 ove le parti concordavano di integrate il quesito posto al CTu nel seguente modo "verranno esaminati su accordo delle parti i punti emersi in corso di operazioni peritali sono ad ora effettuate estrapolando tra questi quelli che saranno oggetto di specifico esame sulla base dei criteri statistici individuati dal CTU" In data 20.5.2019 il CTU depositava elaborato finale ed all'udienza del 20.6.2019 il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la stessa per la discussione all'udienza del 25.11.2019 concedendo termine per il deposito di note conclusive sino al 15/11/19. Nelle more con istanza congiunta del 13.11.2019 le parti chiedevano differimento dell'udienza in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata all'udienza del 20/02/20, con termine per il deposito di note conclusive sino al 10/02/20. Con istanza congiunta del 03/02/20, le parti domandavano un ulteriore sempre in pendenza di trattative. Il Giudice, vista la suddetta istanza congiunta, a modifica dell'ordinanza del 25/11/19 rinviava l'udienza del 20/02/20 al 25/02/20, sospendendo i termini per il deposito di note conclusive. La causa veniva poi differita, per impedimento d'ufficio, all'udienza del 27/02/20. Le parti, sempre al fine di coltivare le trattative volte a trovare una soluzione conciliativa, domandavano una serie di rinvii. Il giudizio veniva dapprima rinviato all'udienza del 05/06/20 e poi a quella del 21/10/20, ove su richiesta delle parti il Giudice rinvia per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 15.12.2020. Alla fissata udienza le parti, ritenendo ancora possibile il raggiungimento di un accordo transattivo, domandavano un rinvio in pendenza di trattative ed il Giudice rinviava così la causa all'udienza del 13/04/21. All'udienza del 13/04/21, le parti davano atto del fallimento delle trattative e il Giudice, su richiesta delle parti rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 14/12/21. Le parti, in considerazione della nomina di un nuovo amministratore, sempre al fine di raggiungere una conciliazione, domandavano un ulteriore rinvio in pendenza di trattative: la causa veniva dapprima rinviata all'udienza del 03/03/22, poi all'11/07/22 e, infine, per impedimento d'ufficio del Giudice al 15/09/22. In data 12/09/22, le parti depositavano una nuova istanza di differimento udienza sempre in pendenza di trattative. La causa veniva rinviata al 28/11/22, poi al 20/03/23, 02/10/23 e, infine, al 26/02/24. All'udienza del 26/02/24 le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni ed il Giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13/03/24, all'esito della quale la stessa veniva rinviata per la discussione con temine alle parti per il deposito di note conclusive. All'udienza del 31.5.2024 in esito alla discussione viene data lettura della sentenza. Quale primo motivo di impugnazione della delibera del 14.3.2017 il condomino (...) in proprio e non quale legale rappresentante della (...) lamenta la mancata convocazione all'assemblea de quo. Il condominio convenuto eccepisce che il (...) proprietario di immobile nello stabile unitamente con la di lui madre Sig.ra (...) non poteva non sapere della convocazione in quanto destinatario di tre avvisi di convocazione uno inviato a (...) di cui è legale rappresentante (convocazione non ritirata); uno inviato alla madre (...) ed uno al fratello (...). Come noto, è ormai consolidato in giurisprudenza che: 1) l'assemblea deve esser convocata a mezzo di comunicazione scritta che deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione (art.66 disp.att.c.c.,ultimo comma) 2) la convocazione deve essere fatta a tutti gli aventi diritto 3) l'inosservanza di una di tali prescrizioni comporta la annullabilità della delibera, che può esser fatta valere entro 30 giorni, dalla delibera per i dissenzienti e dal ricevimento del verbale assembleare per gli assenti. (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) A ciò si aggiunga che l'art. 66 disp. att. c.c. comma II così come novellato dalla riforma del 2012, e nel caso de quo pienamente applicabile posto che la delibera oggetto di impugnativa è del 14.3.2017 prevede che in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Ne consegue che in caso di vizi della convocazione, la delibera può essere contestata (cioè il vizio relativo al difetto di convocazione) solo da coloro che hanno subito direttamente il pregiudizio e non da altri soggetti (Cass. civ. sez. II del 18 aprile 2014, n. 9082). Deve ritenersi che la novella del 2012 abbia inteso codificare il diritto soggettivo del condomino di partecipare all'assemblea in maniera informata (a tutela del quale è anche previsto un termine entro il quale l'avviso di convocazione deve pervenire a tutti i condomini), in mancanza del quale la delibera deve ritenersi invalida. Orbene, nel caso in esame il condominio conferma di non aver inviato al condomino (...) l'avviso di convocazione ma ne eccepisce la presunzione di conoscenza attesa la regolare convocazione della madre (...) comproprietaria e della (...) del quale il (...) è legale rappresentante Sul punto osserva questo Tribunale che la Suprema Corte (Cass. 26 settembre 2013 n. 22047 e cass. 8275/2019) qualifica l'avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari - quale atto unilaterale recettizio- per cui esso rinviene la propria disciplina nell'art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell'atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all'indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza. Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all'indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo indicato dalla norma. Ed infatti giurisprudenza condivisa ha chiarito sul punto, che l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice di merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia" (Cass. Civ. Sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830) Pertanto, seppur vero che ai fini della validità delle delibere assembleari è necessario che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati, in caso di comproprietari tale requisito può ritenersi soddisfatto qualora l'avviso sia inviato ad uno solo degli aventi diritto, purché si abbia ragionevole certezza di ritenere che anche il comproprietario sia stato reso edotto." La validità della convocazione per la riunione dell'assemblea condominiale di uno dei comproprietari pro indiviso di piano o di porzioni di piano di un condominio può evincersi anche dall'avviso dato all'altro comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo comproprietario abbia reso edotto il primo della convocazione stessa." (Cassazione civile, sez. II, 16/02/1996 , n. 1206) Ciò detto in punto di diritto, nei fatti per cui è causa risulta indiscusso il ricevimento della relativa convocazione e del successivo verbale di assemblea da parte di un solo dei comproprietari, ed esattamente di (...) (...). Dalle evidenze istruttorie non sono emersi elementi di conflittualità tra i comproprietari (...) tali da poter escludere una presunzione di conoscenza ed informazione circa la convocazione per l'assemblea del 14.3.2017, con la conseguenza che si deve ritenere che il sig. (...) sia stato reso edotto della convocazioni ricevute dalla madre e per l'effetto deve essere rigettata la domanda di annullabilità azionata per difetto di convocazione. Con il secondo motivo di impugnazione gli attori lamentano la nullità della delibera del 14.3.2017 per eccesso di potere dovuto alla mera reiterazione di 5 delibere impugnate ed in particolare le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6. Non è contestato che con la delibera del 14.3.2017 l'assemblea abbia reiterato quanto già deliberato in occasione delle assemblee sopra elencate senza nulla aggiungere né togliere. E' stato chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che affinché una delibera possa legittimamente sostituirsi a quella già impugnata, è necessario un riesame della precedente decisione, da effettuarsi attraverso un nuovo apprezzamento degli interessi da perseguire e comporre, eliminando eventuali vizi, finalizzato ad un concreto risultato gestorio a tutela della collettività condominiale; che se, invece, l'assemblea si limita semplicemente a confermare quanto già deciso in precedenza, la seconda deliberazione non può considerarsi "legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante assembleare", configurandosi, al contrario, un eccesso di potere che determina l'invalidità della seconda deliberazione (cfr. Cass.civ. 20.4.2001, n 5889); Infatti secondo la Suprema Corte, in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità. Orbene atteso che la delibera del 14.3.2017 nei punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg ha provveduto sui medesimi argomenti ratificando espressamente il contenuto della delibera le delibere del 11/03/14, punto n. 2; del 11/11/14, punti da 1 a 3; del 02/05/2016, punto n. 3; del 15/06/16 punti 1, 2 e 4; e del 13/12/16, punti da 1 a 6, va ritenuto sussistente l'eccesso di potere sotto il profilo della ravvisabilità in detta ultima assemblea del fine unico di eludere la definizione dei giudizi già pendenti. Ne consegue l'accoglimento della domanda attorea e la declaratoria di nullità della delibera de quo. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ponendo definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU attesa la richiesta congiunta delle parti al solo scopo di verificare la possibilità di percorrere l'ipotesi transattiva. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede: - dichiara nulla la delibera del 14.3.2017 punti 1,2,3,4, e 5 dell'odg resa dal (...) convenuto, come in motivazione. - Condanna il (...) convenuto a pagare in favore degli attori, in solido tra di loro, le spese e competenze di lite e di mediazione, che liquida in Euro. 585,00 per spese e Euro.3.500,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, cpa e Iva di legge. - pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU come in motivazione. Milano, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI Sesta Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Roberta De Luca, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti; rilevato che ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 19005 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2023, avente ad oggetto: consegna elenco condomini morosi vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.La., presso il cui studio in Napoli alla (...) ha eletto domicilio; - RICORRENTE - CONTRO (...) in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore avv. Cl.D., C.F. P.IVA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Cl.D., che ne ha la facoltà ai sensi dell'art. 82 c.p.c., e dall'avv. Pa.Ca., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli alla (...) - RESISTENTE - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 14.12.2023 (...) premesso di essere condomino dello stabile ubicato in Napoli alla (...), ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a ricevere la consegna della copia dell'estratto conto corrente del (...) relativamente ai seguenti periodi: 01.01.2017/31.12.2017 - 01.01.2018/31.12.2018 - 01.01.2020/31.12.2020 - 01.01.2021/31.12.2021, condannando il (...), nella persona dell'amministratore in carica, alla consegna della copia conforme dei suddetti documenti, fissando una sanzione ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo e con vittoria di spese di procedura. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, si è costituito il CP1 resistente eccependo la continenza ovvero la litispendenza con altro procedimento avente n. 10033/2022 R.G.A.C., pendente dinanzi al Tribunale di Napoli ed avente ad oggetto la consegna di ulteriore documentazione condominiale, nonché l'improcedibilità della domanda per parcellizzazione delle richieste di consegna. Ha contestato, nel merito, la fondatezza della domanda. Instaurato il contraddittorio e rinviata la trattazione al fine di consentire la consegna della documentazione richiesta dal ricorrente, nel corso dell'udienza odierna, previa discussione orale, la causa è stata discussa e decisa. Deve, in primo luogo, essere disattesa l'eccezione di litispendenza in quanto nel giudizio iscritto al n. 10033/2022 R.G.A.C. è stata richiesta la consegna di documentazione diversa ed ulteriore rispetto a quella richiesta con il presente giudizio e, segnatamente, di copia dei registri di contabilità dal 2017 al 2021; dei verbali assembleari relativi al medesimo arco temporale; dell'ultimo bilancio consuntivo approvato; del regolamento e dell'anagrafe condominiale. Com'è noto, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.p.c. occorre che le domande abbiano identità di petitum e di causa petendi. Per quanto concerne l'eccezione di inammissibilità della domanda per violazione dell'obbligo di buona fede e per il frazionamento della domanda, va rimarcato che le sezioni unite della Cassazione hanno affermato che: "le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c." (Cass. civ., ord. n. 17893 del 06.07.2018; in senso conforme Cass. civ., sent. 6591 del 07.03.2019). Ne consegue che, essendovi interesse del ricorrente all'acquisizione della documentazione richiesta e potendo l'interesse a richiedere documentazione bancaria essere sorto dopo, se non in conseguenza, della richiesta di consegna della documentazione di cui al giudizio avente n. 1033/2022 R.G.A.C., indipendentemente dalla proposizione di due autonomi giudizi non si è incorsi in alcuna inammissibilità della domanda. Passando all'esame, nel merito, della domanda, deve, conformemente alle conclusioni rassegnate, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la documentazione richiesta è stata consegnata in corso di causa. Secondo la giurisprudenza di legittimità la dichiarazione di cessazione della materia del contendere è, in sostanza, un rigetto per sopravvenuta infondatezza della domanda e/o per sopravvenuta carenza di interesse - che, essendo una condizione dell'azione, deve sussistere al momento di adozione della pronuncia -. Tale dichiarazione si adotta, quindi, quando viene a mancare ogni posizione di contrasto tra le parti per essere sopraggiunti nel corso del processo eventi estintivi della controversia (Cass. 3690/1988) oppure quando, pur sopravvivendo formalmente un contrasto o comunque una domanda di parte, sono intervenute situazioni sostanziali che abbiano privato la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. 8219/1996; 2970/1993; 4792/1991; 46/1990), come nei casi in cui vi sia stata una transazione, il riconoscimento della pretesa, la rinuncia all'azione, la morte della parte in azioni intrasmissibili o - come nel caso in esame - la soddisfazione della pretesa. Passando all'esame della disciplina delle spese di lite secondo il principio della soccombenza virtuale, occorre premettere, in termini generali, che gli obblighi informativi e di rilascio di copie, gravanti sull'amministratore del condominio e normativamente sanciti, sono: quello, di cui all'art. 1129, II comma, c.c., di far prendere gratuitamente visione, previa richiesta all'amministratore, e di far ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata dall'amministratore del registro dell'anagrafe condominiale, del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell'amministratore e del registro di contabilità; quello, di cui all'art. 1130 n. 9) c.c., di "fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso"; quello, di cui all'art. 1130 bis c.c., di far prendere visione ai condomini "dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e estrarne copia a proprie spese". Il diritto, normativamente sancito, ad ottenere copia integrale degli estratti di conto corrente condominiale non è perciò stabilito dalla legge ma, in ogni caso, rientra nel più ampio obbligo di rendicontazione proprio dell'amministratore di condominio, dovendo dare conto della propria gestione anche con riferimento alla movimentazione delle somme afferenti alla gestione condominiale sul conto corrente a ciò dedicato. Né, tantomeno, il (...) resistente in alcun modo ha contestato l'interesse del ricorrente ad ottenere la suddetta documentazione. Non può, peraltro, essere adottato alcun ordine di consegna a carico del (...) resistente, dovendo esserne rilevato, d'ufficio, il difetto di legittimazione passiva. Trattandosi di decisione fondata su di una questione processuale, in relazione alla quale le parti hanno la facoltà "ex ante" di esercitare ampiamente il contraddittorio, non occorreva sottoporre la questione al previo contraddittorio fra le parti in causa (cfr Cass. civ., sent. n. 24312 del 16.10.2017; in senso conforme Cass. civ., ord. n. 12978 del 30.06.2020), pur essendo le parti state espressamente invitate a tanto con ordinanza di fissazione dell'odierna udienza. Com'è noto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'istante, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. La titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, invece, si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata (cfr. Cass. civ., sent. n. 14468 del 30.05.2008; Cass. civ., sent. n. 355 del 10.01.2008; Cass. civ., sent. n. 11321 del 16.05.2007; Cass. civ., sent. n. 4796 del 06.03.2006). Di conseguenza, il difetto di titolarità deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito, mentre il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass. civ., sent. n. 20819 del 26.09.2006). La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell'azione, una condizione per ottenere cioè dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa. Appartiene, invece, al merito della causa, concernendo la fondatezza della pretesa, l'accertamento in concreto se l'attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ciò premesso, la condanna alla consegna di documentazione è stata formulata non già nei confronti dell'amministratore in proprio, bensì nei confronti del (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con conseguente evocazione in giudizio dell'ente di gestione. Orbene, nell'ambito dei rapporti interni fra condomini mandanti ed amministratore, gli obblighi di consegna della documentazione condominiale sono assunti dall'amministratore in proprio, rispondendo costui contrattualmente nei confronti dei singoli condomini dell'inadempimento delle obbligazioni derivanti per legge dall'incarico professionale conferitogli (cfr Trib. Napoli, sez. VI, ord. 15.02.2019, in Condominioelocazione.it, 9 dicembre 2019). È solo nei rapporti esterni con i terzi creditori, invece, che l'obbligazione di consegna trova quale suo titolare passivo il condominio, in persona del suo amministratore, non già l'amministratore persona fisica (cfr Corte di Appello di Napoli, sent. n. 3015 del 28.06.2022, riferita all'obbligazione di consegna di cui all'art. 63 disp. att. c.c.). Nei confronti dei terzi, infatti, gli obblighi che gravano sull'amministratore sono l'espressione del suo potere di rappresentanza del (...) e, quindi, ove inadempiuti, non comportano una sua responsabilità diretta e personale verso i terzi creditori del (...), bensì una immediata responsabilità dell'ente di gestione che egli rappresenta. Nei rapporti interni all'ente di gestione, invece, l'amministratore risponde in proprio dell'inadempimento alle obbligazioni da lui contrattualmente assunte e, del resto, nel caso in cui l'inadempimento all'obbligazione di consegna sia posto a fondamento di una domanda di revoca giudiziale, legittimato passivo rispetto alla stessa è l'amministratore di condominio, in proprio, non già l'ente di gestione da costui rappresentato. Sarebbe, del resto, non equo riversare sull'intera compagine condominiale gli oneri ed i costi dell'inadempimento dell'amministratore alle obbligazioni di consegna di documentazione in favore di uno dei condomini. In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del (...) resistente rispetto alla domanda azionata dalla ricorrente, con assorbimento della domanda di cui all'art. 614 bis c.p.c., evidenziandosi che è solo il soggetto "obbligato", ovvero il destinatario della domanda, non già un differente soggetto, che può essere condannato al pagamento di una somma di denaro in caso di violazione, inosservanza o ritardo nell'adempimento del provvedimento di condanna. Stanti i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito in ordine al soggetto passivo della domanda di consegna di documentazione CP3 sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 28/2010, infine, il (...) il quale non ha partecipato senza giustificato motivo all'incontro di mediazione del 18/09/2023, deve essere condannato al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando, letti gli atti del procedimento iscritto al n. 19005/2023 R.G.A.C., ogni altra domanda, eccezione e difesa disattesa, così provvede: a) dichiara la cessazione della materia del contendere; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite; c) condanna il (...) sito in Napoli alla (...) al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Napoli, 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9863 del 2023, proposto da -OMISSIS- S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ro. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Me. Ce. - Banca del Me. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Ma., An. Gr. e La. Ro., in sostituzione dell'avvocato Gi. Ia.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 32 del 7 febbraio 2002, il Ministero delle Attività Produttive ha indetto una gara concernente servizi per la gestione degli interventi di cui all'articolo 1, lettera b, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.3.2001, relativo allo sviluppo di imprese di recente costituzione. Mediante tali atti sono stati disciplinati gli interventi finalizzati allo sviluppo di imprese di recente costituzione attraverso la concessione a soggetti intermediari di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza in nuove imprese, a fronte di programmi di sviluppo di prodotti e servizi nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese quelle relative alle applicazioni di rete (web applications), al software innovativo, allo sviluppo dei contenuti multimediali e alla formazione interattiva a distanza. 1.1 - In data 31.1.2006, la società -OMISSIS- S.p.A. (successivamente denominata -OMISSIS- S.p.A.) ha presentato a Me. Ce. S.p.A, in qualità di soggetto gestore della procedura, una domanda di concessione di un'anticipazione finanziaria per l'acquisizione, per conto del fondo Principia al quale appartiene, di una partecipazione nel capitale di rischio di -OMISSIS- s.r.l. (poi denominata -OMISSIS- s.r.l.) al fine di capitalizzare tale ultimo soggetto per un programma pluriennale di sviluppo, consistente nella realizzazione di un impianto per il trattamento e il riciclaggio dei residui provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita, nonché per la lavorazione, triturazione e separazione dei metalli ferrosi e non ferrosi dalle materie plastiche e dalle sostanze non riciclabili, con recupero degli stessi metalli e successiva immissione in mercato sotto forma di sfere. 1.2 - Medio Credito ha erogato due distinte anticipazioni finanziarie di Euro.1.400.000 e di Euro. 600.000, rispettivamente in data 16.2.2006 e 18.7.2008, e -OMISSIS- ha iniziato la capitalizzazione di -OMISSIS- s.r.l. mediante quattro, progressivi, aumenti di Euro. 1.200.000, di Euro. 600.00 e due da Euro. 400.000, a valere a titolo di MC11 (c.d. "prima anticipazione"). Si è, poi, proceduto alla cd. "seconda anticipazione" (MC45), originariamente determinata in Euro600.000, (con la conseguenza che è stato fissato in Euro.300.000, a valere sull'anticipazione MC45, come erogazione parziale al 50% prevista dalla legge 388/2000), ma, in concreto, erogata in misura parziale per interventi legislativi che hanno inciso sulla distribuzione della misura su altri interventi, nonché per verifiche sul progetto oggetto del finanziamento: il che ha determinato una svalutazione del contributo fino ad Euro172.800. In sostanza, -OMISSIS-, per quanto dalla stessa affermato, a partire dal 2006 ha acquisito quote della -OMISSIS- s.r.l. per complessivi euro 3.450.000, di cui euro 1.725.000, provenienti da anticipazioni ex L. 388/2000 somma da rideterminarsi in euro 1.225.500, in quanto, in data 23.1.2008, la -OMISSIS- aveva ceduto il 16,67% della propria partecipazione per euro 1.000.000, destinando euro 500.000,00 al Ministero delle attività produttive a parziale restituzione delle somme anticipate. 2 - Non sono stati corrisposti al Ministero gli importi previsti dal contratto di cessione a partire dalla prima rata in scadenza e l'appellante ha chiesto l'applicazione delle clausole risarcitorie previste nell'ambito della compravendita della -OMISSIS- s.r.l. e relative garanzie, tenuto conto che questa è stata dichiarata fallita con sentenza n. 65/2014 del Tribunale di Milano. 2.1 - Nel 2013 il legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. è stato coinvolto in un procedimento penale nell'ambito del quale è stata contestata la commissione dei reati di cui agli artt. 640 bis, 640 e 61 n. 7 del c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e truffa, con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità ) sul presupposto che lo stesso avesse indotto in errore l'allora Ministero delle Attività produttive il quale, tramite la -OMISSIS-, aveva erogato a favore della -OMISSIS- un finanziamento complessivo di Euro3.400.000, costituito per il 50% da fondi messi a disposizione attraverso anticipazioni finanziarie ai sensi della legge 388/2000, e che il medesimo avrebbe dirottato gli utili della -OMISSIS- a società a sé riconducibili, così sottraendoli alla distribuzione a favore della -OMISSIS-, cui spettavano per patti parasociali e, per essa, al Ministero finanziatore. Il tutto sulla circostanza pacifica che l'impianto industriale, che si sarebbe dovuto realizzare per mezzo dei predetti fondi, non è mai entrato in funzione. La posizione dell'imputato, nel predetto procedimento, è stata definita con una sentenza di applicazione della pena su richiesta (cd. patteggiamento), emessa dal Tribunale di Milano in data 16.3.2015. 2.2 - L'appellante ha inoltre riferito che, nel 2015, ha agito giudizialmente nei confronti del legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. ex art. 2935 c.c. per il risarcimento dei danni derivati dagli atti gestori illeciti e distrattivi dallo stesso posti in essere e che tale procedimento si è concluso con la sentenza del Tribunale di Milano n. 11923/2018, con la quale è stata respinta la domanda, accertandosi la legittimazione attiva della -OMISSIS- limitatamente alla porzione di investimento derivante da fondi propri della medesima -OMISSIS-, non in relazione ai fondi erogati dal Ministero. 3 - Il Ministero, con nota del 30.9.2022 di avvio del procedimento di revoca delle anticipazioni finanziarie precedentemente concesse, ha evidenziato che in conseguenza dei "fatti emersi nell'ambito degli accertamenti istruttori del procedimento penale instaurato innanzi il Tribunale di Milano nei confronti dell'impresa beneficiaria "-OMISSIS- s.r.l. in fallimento" e del legale rappresentante della stessa..." si sarebbero concretizzati "in capo all'impresa beneficiaria e al suo legale rappresentante la mancata realizzazione del progetto nei termini in cui è risultato ammesso all'agevolazione con conseguente sviamento del denaro pubblico. La capacità e la professionalità della -OMISSIS-, unita alle circostanze emerse con la sentenza del Tribunale di Milano, n. 11923/2018, pubblicata il 27/11/2018, ove si conferma che la -OMISSIS- entrava fin dal giugno 2006 nel capitale sociale di -OMISSIS- s.r.l. dopo aver condotto una due diligente durata ben nove mesi, e dunque dovendo essere ben consapevole della rispondenza o meno del progetto effettivo, rispetto a quello previsto per la fruizione dell'intervento agevolativo, implicano che la stessa avrebbe dovuto avvedersi già sul piano tecnico delle richiamate difformità ". Ha, quindi, comunicato che "alla luce delle dette risultanze, appaiono concretizzatisi i motivi di revoca dell'anticipazione erogata di cui al punto 16, rubricato "Revoca delle anticipazioni", delle "Condizioni di ammissibilità e disposizioni di carattere generale per gli interventi di concessione di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza nel capitale di rischio di imprese di cui agli articoli 103, comma 1, e 106 della legge 23 dicembre 2000, n. 388" adottate dal Ministero Delle Attività Produttive con decreto 19 gennaio 2004 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 23 del 29-01-2004); in particolare, appaiono realizzatisi i motivi per procedere alla revoca dell'anticipazione previsti dai punti 16.1.1, 16.1.3 e 16.1.9, del citato decreto del 19 gennaio 2004, quali rispettivamente: percepimento dell'anticipazione, da parte dei soggetti accreditati, sulla base di notizie, dichiarazioni o dati falsi, inesatti o reticenti; mancata destinazione dell'anticipazione agli scopi previsti dalla legge, dalla normativa di attuazione e dalle disposizioni dello stesso decreto 19 gennaio 2004; qualsiasi violazione od omissione degli obblighi derivanti dalle norme di legge, regolamentari e dall'intera normativa di riferimento in genere". 3.1 - Quindi, con il Decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy prot. n. 0001378 del 2 maggio 2023 è stata disposta la revoca delle anticipazioni finanziarie, pari ad Euro928.393,00 (posizione MC 11) ed Euro325.500,00 (posizione MC 45); e si è disposto il "recupero della cifra complessiva di Euro4.326.012,07 corrispondente alla somma dei seguenti importi: a) importo di Euro928.393,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 16 febbraio 2006 (posizione MC 11); b) importo di Euro325.500,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 18 luglio 2008 (posizione MC 45); c) importo di Euro359.631,47 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto a) sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; d) importo di Euro204.701,60 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto b), sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; e) importo di Euro1.856.786,00 riferito alla pozione MC 11, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; f) importo di Euro651.000,00 riferito alla pozione MC 45, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123". 4 - -OMISSIS- S.p.A. ha impugnato avanti il Tar per il Lazio tale provvedimento. Con successivi motivi aggiunti ha esteso l'impugnazione alla nota del 21.3.2023, con cui Me. Ce. S.p.A., nell'ambito del procedimento di revoca dell'anticipazione finanziaria precedentemente erogata, ha trasmesso al Ministero delle imprese le proprie osservazioni conclusive, secondo quanto previsto al punto 16.3 del DM 16.1.2004, nonché alla nota del 2.5.2023, con cui il predetto Ministero ha riscontrato tale nota. 4.1 - Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. 5 - La società originariamente ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 5.1 - Con il primo motivo ("Erronea applicazione dell'art. 34 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Erronea applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Erronea applicazione degli artt. 63 e 64 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 296 del TFUE. Erronea applicazione dell'art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Uomo. Violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione. Violazione del divieto di ultrapetizione. Difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che la decisione di rigetto del ricorso di primo grado assunta dal Tar poggia sostanzialmente su un unico elemento e, segnatamente, sulla circostanza che, alle vicende criminose che hanno coinvolto il legale rappresentante della -OMISSIS-, avrebbe partecipato anche l'amministratore delegato di -OMISSIS- S.p.A. fino al 23 luglio 2008. 5.2 - L'appellante evidenzia che dagli elementi versati in giudizio, il Giudice di prime cure avrebbe potuto acquisire contezza del fatto che l'amministratore delegato di -OMISSIS- è stato riconosciuto del tutto estraneo alle vicende criminose in questione, come risulta dalla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero l'8 dicembre 2013 e dal decreto di archiviazione successivamente emesso in data 8 gennaio 2014. 5.3 - La censura è infondata. La questione del coinvolgimento del legale rappresentante dell'appellante ha una rilevanza trascurabile rispetto all'oggetto del giudizio, costituito dalla revoca del finanziamento. Il Tar si è limitato a dare atto del coinvolgimento del legale rappresentante di -OMISSIS-, come in effetti verificatosi all'inizio del procedimento penale, senza trarre automaticamente da tale circostanza il rigetto del ricorso di primo grado. In questa sede deve darsi atto dell'archiviazione della sua posizione come evidenziato dall'appellante. Come anticipato tale aspetto non è, tuttavia, determinante ai fini della decisione, che deve aver riguardo alla sussistenza dei presupposti dell'atto di ritiro del finanziamento a prescindere dalla specifica posizione assunta dal legale rappresentante del procedimento penale. 6 - Con il secondo motivo ("Violazione, falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione, falsa applicazione del punto 16 del D.M. del Ministero delle Attività 25 Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione. Violazione, falsa applicazione dell'art. 24 della Costituzione. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e correttezza dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, contraddittorietà manifesta, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che in base al decreto del Ministero del 19 gennaio 2004, ai fini della revoca dell'anticipazione, il Comitato di Gestione non può limitarsi - in ossequio ai più basilari e minimali principi di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa - a prendere atto delle osservazioni conclusive formulate dal Soggetto Gestore, essendo piuttosto tenuto a vagliare accuratamente siffatte osservazioni, nonché, in sede di adozione del provvedimento conclusivo, a dare espressamente conto delle valutazioni compiute al riguardo e ad esplicitare le ragioni per cui le abbia ritenute eventualmente fondate. Secondo l'appellante, tanto MCC, all'atto della formulazione delle osservazioni conclusive, quanto il Ministero, all'atto della adozione del Provvedimento, avrebbero agito in violazioni di tali principi. Nello specifico, il Soggetto Gestore ha proceduto a segnalare che "la motivazione da porre a fondamento del provvedimento definitivo di revoca è quella evidenziata nell'atto di avvio dello stesso", secondo l'appellante, con ciò dando erroneamente per assunto che il Ministero avrebbe dovuto semplicemente aderire a tale posizione. 6.1 - Sotto altro profilo, l'appellante prospetta che l'avvenuto riscontro da parte di MCC, con la nota prot. n. 0010966 del 22 dicembre 2022, alle deduzioni formulate dalla società non poteva consentire al Ministero di esimersi dall'entrare nel merito delle deduzioni presentate dalla società, ivi comprese quelle relative alla non assimilabilità dell'Anticipazione MC11 rispetto all'Anticipazione MC45 e alla conseguente necessità di differenziare le due posizioni. Secondo la società, il Ministero si sarebbe limitato ad adottare il provvedimento "sulla (sola) base delle informazioni trasmesse con la... nota del 21.03.2023", tralasciando integralmente, come invece avrebbe dovuto, di esaminare e valutare autonomamente l'intero corredo documentale, di prendere puntualmente posizione sulle singole contestazioni mosse da MCC e sulle relative deduzioni della società . 6.2 - La censura è infondata. Il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base di una motivazione che richiama espressamente "la nota del 22 dicembre 2022 con cui Me. Cr. Ce. s.p.a. ha puntualmente esposto i motivi per i quali le memorie difensive prodotte non possono ritenersi idonee al fine dell'archiviazione dell'avvio del procedimento di revoca". Tale nota è stata inviata dal MCC, quale Soggetto Gestore, dopo aver ricevuto dalla società ricorrente la nota "del 29 ottobre 2022 con cui la -OMISSIS--OMISSIS- s.p.a. ha trasmesso a Me. Cr. Ce. s.p.a. le proprie memorie difensive all'avvio del procedimento di revoca". Tanto precisato, i rilievi di parte appellante non possono trovare accoglimento, dovendosi ricordare, da un lato, che la motivazione dell'atto può essere anche data "per relationem", nel senso che la motivazione può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento amministrativo, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata (cfr. Consiglio Stat, sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156). Da un altro punto di vista, deve in ogni caso ricordarsi che l'onere di spiegare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni presentate dai privati non deve essere inteso in senso formalistico, considerato che tale obbligo viene meno qualora le stesse non avrebbero potuto influenzare effettivamente la concreta portata del provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306). 7 - Con il terzo motivo ("Violazione, falsa applicazione del punto 6 del D.M. del Ministero delle Attività Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 5 della Direttiva del Ministero delle Attività Produttive del 3 febbraio 2003. Violazione, falsa applicazione dell'art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123. Violazione, falsa applicazione dell'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante deduce l'illegittimità dell'intervento del Ministero - da cui l'erroneità, anche sotto tale profilo, della sentenza impugnata - stante, da un lato, il decorso del termine di durata della partecipazione, originariamente fissato in un periodo massimo di 7 anni dalla data di acquisizione e poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni dalla stessa data ovvero, nel caso di -OMISSIS-, alla data di effettiva scadenza (già intervenuta) del fondo mobiliare gestito che ha acquisito la partecipazione - e, dall'altro lato, l'avvenuta cessione definitiva, in data 26 settembre 2012, dell'intera partecipazione residua inerente alle anticipazioni. Nello specifico, posto che la -OMISSIS- ha provveduto il 16 giugno 2006 ad acquisire la partecipazione in -OMISSIS- a valere inizialmente sull'Anticipazione MC11 - poi cedendola parzialmente (con profitto assegnato ritualmente al Ministero) a gennaio 2008 e dismettendola integralmente il 26 settembre 2012 - e tenuto conto, altresì, che in data 21 novembre 2013 è stato dichiarato il fallimento di detta società, secondo l'appellante dovrebbe concludersi che la posizione relativa alle anticipazioni non può che considerarsi definitivamente chiusa, con la conseguenza che il Ministero e MCC non vantavano, né vantano alcun titolo per procedere legittimamente alla revoca delle stesse anticipazioni. Al riguardo, sarebbero privi di pregio l'assunto contenuto nella nota di MCC prot. n. 0010956/22 del 22 dicembre 2022, ove si legge che è solo la sentenza civile ad avere "evidenziato in più punti argomentativi che non potesse evincersi l'assoluta disinformazione della -OMISSIS- nell'effettuazione del suo investimento in -OMISSIS- originata dall'illecito del leg. Rapp.te -OMISSIS-", nonché le argomentazioni secondo cui di tale sentenza le parti appellante avrebbero acquisito conoscenza solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti. 7.1 - Anche volendo ritenere che l'intervenuto decorso del termine di 7 anni dalla data di acquisizione, da parte della -OMISSIS-, della partecipazione nel capitale di -OMISSIS- o l'intervenuta cessione totale, nel 2012, della partecipazione detenuta dalla stessa -OMISSIS- nella predetta società non consentano di poter ritenere "chiusa" e "definita" la posizione in questione, l'appellante prospetta che il provvedimento sia comunque illegittimo, in quanto assunto ben oltre un termine ragionevole, tanto più a fronte dell'operato, appunto "inerte", della stessa MCC. Invero, l'atto di ritiro si porrebbe in contrasto con l'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 - dovendosi qualificare l'atto in questione quale annullamento d'ufficio e non come erroneamente ritenuto dal Tar alla stregua di una revoca - nonché con la tutela del legittimo affidamento ad esso sottesa. 7.2 - L'appellante evidenzia inoltre il ruolo di mero soggetto intermediario assunto nell'ambito dell'operazione in questione dalla -OMISSIS-, rispetto alla quale, pertanto, MCC e il Ministero non possono fondatamente vantare il diritto alla restituzione delle anticipazioni erogate. L'unico soggetto dal quale il Ministero avrebbe potuto legittimamente pretendere la restituzione delle somme erogate, a risarcimento del danno subito, è -OMISSIS-, non potendo diversamente ipotizzarsi che, in ragione dell'impossibilità di agire in tal senso per l'intervenuta prescrizione di tale azione, a causa dell'inerzia dello stesso Ministero, quest'ultimo possa oggi, nell'ambito di un procedimento di revoca (per di più successivo di oltre 10 anni rispetto alla cessione delle partecipazioni e di 4 anni dalla sentenza civile), fondatamente pretendere la restituzione di tali somme dalla -OMISSIS- che, quale soggetto intermediario, ha ritualmente e correttamente eseguito il suo compito e alla quale, pertanto, non sono ascrivibili responsabilità, come del resto evidenziato anche dalla Corte dei Conti. 8 - La censura deve trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che nella specie non è stato applicato l'art. 21 nonies della legge 241/1990, avendo l'Amministrazione applicato il diverso istituto della cd. revoca - sanzione, stante l'espresso richiamato al d.lgs. 123/1998 ("Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese"), che all'art. 9, rubricato "revoca dei benefici e sanzioni", prevede che "in caso di revoca degli interventi, disposta ai sensi del comma 1, si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'intervento indebitamente fruito" (comma 2). In disparte il fatto che anche la difesa del Ministero invoca l'applicazione dell'art. 21 nonies cit., l'assunto in base al quale il Tar ha rigettato la censura in esame non appare risolutivo, posto che, anche laddove si ritenga che la base legale del potere esercitato non sia rintracciabile nell'art. 21 nonies, che limita temporalmente il potere di annullamento di un precedente provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, ciò non significa che sia sempre possibile un intervento, sine die, dell'amministrazione su un beneficio in precedenza attribuito. A prescindere dalla questione se il potere esercitato sia riconducibile all'istituto generale di cui all'art. 21 nonies, piuttosto che ad una specifica ipotesi di revoca-decadenza (vedasi al riguardo Cons. St. Ad. Plen n. 18/2020 secondo la quale "la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell'autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l'espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall'art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti") deve comunque esigersi che questo vada esercitato entro un termine ragionevole, avuto riguardo alle circostanze del caso. Ciò che emerge dalla vicenda oggetto di causa appare sintomatico di uno svolgersi dell'attività amministrativa secondo logiche lontane dal modello di correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente. Modello in cui, alla tradizionale ed imprescindibile funzione di garanzia di legalità nel perseguimento dell'interesse pubblico, la funzione amministrativa viene a rivestire anche un ruolo di preminente importanza per la creazione di un contesto idoneo a consentire l'intrapresa di iniziative private, alla quale si collega direttamente la necessità di certezza del quadro giuridico di riferimento che non può, senza una valida giustificazione, essere alterato ad anni di distanza dalla sua originaria stabilizzazione. I princì pi generali di economicità, di efficacia, di buon andamento ed imparzialità, che devono sempre presidiare l'attività amministrativa, impongono che l'amministrazione (pur in assenza della predeterminazione legale del termine massimo per la conclusione del procedimento) deve agire comunque in modo tempestivo, rispettando l'esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall'esercizio dei pubblici poteri (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 14.02.2022, n. 1081). Nel caso in esame, l'amministrazione, essendone nelle condizioni, doveva agire in modo tempestivo al fine di preservare la specifica esigenza alla certezza economico-giuridica del soggetto direttamente inciso, nonché, indirettamente, al fine di garantire una condizione generale di stabilità del mercato nel quale lo stesso opera e sul quale possono riflettersi gli effetti dell'atto impugnato. Alla luce dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato, comunque lo si voglia qualificare, sia intervenuto immotivatamente in un tempo eccessivamente lontano dai fatti che lo giustificano, rendendo pertanto il ritardo intollerabile e suscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto. 8.1 - In fatto: l'appellante ha terminato di acquisire partecipazioni in -OMISSIS- nel 2008. E' pacifico che le partecipazioni sono stata dismesse nel 2012 ed è altrettanto pacifico che, in data 29/11/2012, era pervenuta al soggetto Gestore comunicazione da parte della -OMISSIS- con cui si informava che era stata conclusa la cessione della residua partecipazione complessiva dalla stessa detenuta. A decorrere da quella data non sussisteva più alcuna partecipazione da gestire da parte dell'appellante, il rapporto di partecipazione societaria che aveva avuto origine dalla concessione dell'anticipazione si era dunque chiuso. Il fatto, allegato dal Ministero, per cui l'intermediario non avrebbe fornito notizie in merito all'effettivo incasso delle somme alle scadenze non rileva ai fini del presente giudizio, ove si consideri che la contestazione mossa all'appellante non attiene a tale aspetto, né tale aspetto, per quel che consta, è mai stato formalmente contestato dal Ministero. Anzi, tale circostanza riferita dall'amministrazione doveva costituire un evidente campanello di allarme per quest'ultima che avrebbe potuto e dovuto attivarsi già allora per tutelare la propria posizione. Tanto precisato, l'avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato è del 30.9.2022; è quindi intervenuto circa dieci anni dopo che la partecipazione in -OMISSIS- era stata liquidata e definitivamente chiusa; durante tale decennio, la -OMISSIS- non aveva ovviamente più svolto alcuna attività connessa all'originario rapporto che ha dato luogo al provvedimento impugnato. 8.2 - Il dato per cui nel 2012 il rapporto doveva ritenersi ormai chiuso si desume dalle seguenti disposizioni del Decreto 19 gennaio 2004 che regola lo specifico finanziamento per cui è causa: - il punto 6 del Decreto prevede che le partecipazioni devono, tra l'altro, "avere una durata massima di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 13 prevede che, "Dismessa la partecipazione, il soggetto accreditato deve restituire al Gestore un importo pari al valore di cui al punto 12.2.2 ridotto della commissione di gestione di cui al punto 12.1 e del premio di cui al punto 12.2 con valuta di accredito al Gestore entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 14 (Mancata dismissione delle partecipazioni) prevede che: "qualora i soggetti accreditati non abbiano dismesso la partecipazione nel termine di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione, risultante dall'estratto notarile del libro soci, sono tenuti a restituire al Gestore l'importo della anticipazione calcolato alla data di scadenza. La restituzione dell'anticipazione deve avvenire con le modalità di cui al punto 13.1. entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Dalle disposizioni innanzi richiamate emerge, in primo luogo, come la durata della partecipazione avesse un termine massimo di durata di sette anni (poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni); emerge inoltre che, una volta dismessa la partecipazione, scattano gli adempimenti restitutori in favore del Ministero da parte della -OMISSIS- "entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci" o "entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Alla luce delle scansioni temporali predeterminate dal Decreto che regola il finanziamento in questione, siccome l'ingresso in -OMISSIS- risale al 2006, non è dato comprendere per quale ragione il Ministero abbia atteso sino al 2022 per revocare il finanziamento a suo tempo concesso, ovvero dieci anni dopo la dismissione della partecipazione e ben diciotto anni dopo l'iniziale concessione del finanziamento. Seppure a rigore la prospettazione del Ministero - secondo il quale il termine di 7 anni regolerebbe la detenzione della partecipazione e non l'esercizio del potere di revoca - appaia condivisibile, resta il fatto che, siccome nel caso di specie la posizione era stata incontestabilmente liquidata sin dal 2012, da tale data, in base alle disposizioni citate, avrebbero comunque dovuto aprirsi le procedure di chiusura anche dei rapporti tra la -OMISSIS- e il Ministero (entro il termine di un mese) ed in tale frangente avrebbero verosimilmente potuto emergere i fatti poi oggetto degli addebiti di cui al provvedimento impugnato emesso nel 2022. 8.3 - La giustificazione addotta dal Ministero per cui avrebbe acquisito conoscenza dei motivi di revoca solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti n. 220/2022 non appare sostenibile per le ragioni di seguito spiegate: - lo stesso Ministero ha affermato di avere trasmesso al Gestore, a settembre 2013, l'informativa riservata pervenuta dalla Guardia di Finanza il 24 settembre 2013, recante gli esiti delle indagini condotte nell'ambito del procedimento penale; tale circostanza è valorizzata anche nella sentenza della Corte dei Conti cit.; - nel 2013 la -OMISSIS-, società beneficiaria dell'anticipazione, è stata dichiarata fallita; - la sentenza penale con la quale il legale rappresentante di -OMISSIS- ha patteggiato la pena risale al 15 marzo 2015 e il Mise era stato indicato tra le parti offese nella richiesta di rinvio a giudizio, che risale al 7 maggio 2014; - la sentenza del Tribunale civile di Milano relativa all'azione di responsabilità promossa nei confronti dello stesso risale al 27 novembre 2018. In definitiva: le vicende relative al procedimento penale, i cui fatti sono sostanzialmente i medesimi di quelli portati a giustificazione del provvedimento impugnato, sono emerse ben prima della sentenza della Corte dei Conti e della sentenza del Tribunale civile di Milano (che comunque risale al 2018), dovendosi per l'effetto ragionevolmente ritenere che il Ministero ne dovesse essere consapevole, se non dalla trasmissione della relazione della Guardia di Finanza, quanto meno dall'intervenuta sentenza in sede penale che risale al 2015, rendendo ingiustificato ed intollerabile il ritardo con il quale è stato avviato, solo nel 2022, il successivo procedimento di revoca. 8.4 - Alla luce delle circostanze innanzi evidenziate non risulta risolutivo il richiamo del Ministero al secondo comma dell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, che regola l'annullamento del provvedimento illegittimo conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti (o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci). Tale richiamo non appare pertinente ove si consideri che: - da un lato, il legale rappresentate dell'appellante è stato completamente scagionato dall'iniziale imputazione penale, non potendosi pertanto ritenere che l'appellante abbia posto in essere un'attività insidiosa atta a giustificare la dilazione del potere di autotutela, dovendosi anzi evidenziare che l'appellante, in qualità di danneggiata, si è costituita parte civile nel procedimento penale ed ha ivi ricevuto parziale ristoro; - in ogni caso, come già osservato, il Ministero già nel 2013 era stato notiziato dalla Giardia di Finanza dei fatti penalmente rilevanti e nel 2015 è intervenuta la sentenza penale di patteggiamento, non essendo dato comprendere le ragioni dell'attesa, sino al 2022, per l'avvio del procedimento di revoca. 9 - L'accoglimento dell'appello nei termini che precedono è idoneo ad esaurire la materia del contendere, non residuando alcun interesse all'esame degli ulteriori motivi di appello con i quali la società contesta la sussistenza di una sua responsabilità per la mancata attuazione del progetto al quale era funzionale l'erogazione dell'anticipazione poi revocata. In ogni caso, si osserva che non era la società di gestione la beneficiaria ultima del finanziamento di cui trattasi. La -OMISSIS-, infatti, ha ricevuto il denaro pubblico non per un vantaggio proprio, ma per investirlo, quale intermediario, in conformità ai modi stabiliti dall'amministrazione in un progetto che quest'ultima ha approvato (ai sensi del punto 8.5 del Decreto, la valutazione dei programmi di sviluppo è effettuata dal Comitato di Gestione). Al riguardo, la Corte dei Conti ha precisato che "l'unico legittimato ad interrompere la prescrizione dell'azione di responsabilità era il titolare del diritto, ossia l'ente danneggiato MISE, per la quota di sua competenza", concludendo nel senso che "L'inerzia del Ministero ha, quindi, causato un danno erariale costituito dalla prescrizione dell'azione di responsabilità esercitata dalla Procura nei confronti di -OMISSIS- e del fall. -OMISSIS- srl" (sentenza n. 220/2022). 10 - Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 10.1 - Le spese di lite del doppio grado di giudizio, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate. 11 - Deve infine disporsi la trasmissione della presenta sentenza, unitamente agli atti della causa, alla competente Procura della Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione in riferimento ai fatti emersi nel corso del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Dispone la trasmissione a cura della Segreteria della presente sentenza e degli atti di causa alla competente Procura della Corte dei Conti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nel provvedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 999/2023 promossa da: (...) elettivamente domiciliato in Vigevano (...) presso lo studio degli avv.ti (...) che lo rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente, giusta delega allegata i quali hanno dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI DELLE PARTI Parte attrice ha formulato le proprie conclusioni come da udienza del 19.3.2024 svoltasi in forma scritta, mediante deposito di note e, segnatamente, "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare, Nel merito: previo ogni opportuno accertamento e declaratoria, - Accertare e dichiarare l'abuso dell'esercizio del diritto sul bene comune da parte del Sig. (...), in qualità di condomino del (...) (...), e l'occupazione illegittima del suolo antistante l'accesso al cortile/giardino privato della proprietà (...), per i motivi ampiamente esposti in atti, qui richiamati in toto. - Conseguentemente ordinare al Sig. (...), in qualità di condomino del (...), di lasciare libero di cose - con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) il cortile comune condominiale, nel rispetto del regolamento di condominio e dell'uso delle parti comuni e, per l'effetto, condannare il Sig. (...) al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi (nessuno escluso) dall'attore (...), nella misura che sarà ritenuta di giustizia, occorrendo con determinazione in via equitativa. In ogni caso: con il favore delle spese e compensi professionali di causa ex D.M. 147/22 del presente giudizio e del procedimento di mediazione rubricato al n. 285/22 R.G" SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. (...) evocava in giudizio il sig. (...) al fine di ottenere, previo accertamento di abuso del diritto sulla cosa comune, condanna nei confronti del convenuto a lasciare libero da cose, con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, e, conseguentemente disporre condanna di risarcimento dei danni nei confronti del convenuto stesso. A supporto della propria domanda l'attore deduceva che: il sig. (...) era proprietario di un'unità immobiliare facente parte del condominio (...) sito in Vigevano (...); malgrado espressa previsione del regolamento condominiale, il sig. (...) era solito parcheggiare la propria autovettura nel cortile comune, ostacolando l'accesso all'attore e ai suoi famigliari; l'amministratore era stato avvisato della situazione e aveva provveduto a diffidare il (...) malgrado plurime diffide la condotta era proseguita; il (...), pur consapevole dell'uso improprio del cortile, aveva deciso di non intraprendere nessuna azione stante le plurime cause già in corso; pur ritualmente invitato il sig. (...) non aveva partecipato alla mediazione; il comportamento del (...) oltre che in contrasto con il regolamento condominiale, contrastava altresì anche con l'art. 1102 c.c. ; secondo la giurisprudenza costituiva abuso anche l'occupazione per pochi minuti del cortile comune; il sig. (...) doveva comunque lasciare la possibilità di accedere e retrocedere presso l'immobile. Pur ritualmente evocato in giudizio, il sig. (...) non si costituiva restando contumace. Assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c. la causa era istruita mediante documentazione acquisita dalla parte attrice ed esame testimoniale. All'udienza del 19.3.2024, svoltasi in forma scritta, parte attrice precisava le conclusioni come da foglio depositato in via telematica CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.La ricostruzione della fattispecie 2.La violazione degli obblighi gravanti sul CP_2 3.La domanda risarcitoria 4.Le spese del giudizio 1. La ricostruzione della fattispecie In punto di fatto l'attore, su cui incombeva l'onus probandi ex art. 2697 c.c., ha puntualmente dedotto e comprovato sia la qualifica di condomino del complesso condominiale sito in Vigevano (...), attraverso produzione di visura catastale (cfr doc. 1) nonché verbale di assemblea (doc.6), sia l'occupazione del cortile comune del citato condominio da parte di altro condomino, odierno convenuto, sig. (...) (...) mediante automobile all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...) sia la conseguente difficoltà, rectius quasi impossibilità nell'accesso o uscita dal cortile. In particolare, in ordine a quest'ultimo profilo, è stata prodotta rilevante e significativa documentazione, costituita dalle fotografie del cortile e da video attestanti univocamente il posizionamento del citato SUV, dedotto di proprietà del convenuto, parcheggiato in modo ostativo e comunque impeditivo il passaggio di altra vettura (cfr. doc. 3 e 3.1 nonché 9 e 10) A quest'ultimo proposito, segnatamente, in ossequio al maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "le fotografie costituiscono prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sì che la controparte che voglia inficiarne l'efficacia probatoria, non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l'ha prodotta intende con essa provare, ma ha l'onere di disconoscere tale conformità (in termini Cass. 9.4.2009 n.8682; Cass. 13.2.2004, n. 2780; Cass. 26.6.1998, n. 6322) Ad analoghe conclusioni è pervenuta la giurisprudenza in relazione ai video, desumendo tale principio direttamente dall'art. 2712 c.c. in relazione alla disciplina delle riproduzioni meccaniche (Cass. 28.01.2011, n.2117; Cass. 3.7.2001 n. 8998 e Cass. 22.4. 2010 n. 9526). Orbene nel presente giudizio, stante la contumacia del convenuto (su cui amplius infra), le fotografie e i video non sono stati disconosciuti né contestati specificatamente, risultando quindi idonei ad assumere valore probatorio in ordine alla specifica situazione di fatto sussistente nel cortile; dalle foto e dai video depositati si evince quindi l'ostacolo oggettivo alla possibilità di movimentazione dell'auto dell'attore in ragione della presenza del citato SUV di proprietà o comunque condotto dal convenuto (...) stabilmente posteggiato all'interno del cortile, in prossimità del garage dell'altro condomino; parimenti, stante la pluralità della documentazione acquisita in diverse fasi temporali si desume altresì una condizione di occupazione permanente e continuata. In secondo luogo, parimenti rilevante, a supporto della tesi attorea, il verbale di assemblea condominiale del 29.7.2022 in cui viene riportato come tutti i condomini si dichiaravano espressamente "consapevoli che il sig. (...) parcheggia in modo fisso e abituale la sua autovettura in parte comune" (doc.6): tale affermazione configura una dichiarazione di scienza, sebbene stragiudiziale, ma particolarmente qualificata sia in considerazione dei soggetti che la rendevano sia del contesto in cui avveniva. In terzo luogo, rilevano, sempre sul piano documentale, le plurime diffide depositate, inviate anche da soggetto qualificato e terzo rispetto alle parti, come l'amministratore condominiale (doc. 3 e 4). In quarto luogo, l'esito dell'istruttoria testimoniale ha ulteriormente confermato la tesi della parte attrice; anzitutto è risultato comprovato che il cortile condominiale del (...) sito in Vigevano (PV), (...), viene utilizzato dal condomino Sig. (...) quale parcheggio, sia nelle ore diurne che notturne, per il proprio Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targato (...), di colore nero utilizzando segnatamente, nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...) ((...) " 2. Confermo che vedo parcheggiata l'auto citato e confermo le fotografie come mostrate. 3. Confermo il parcheggio nello spazio indicato; (...) "2. Confermo la circostanza e le foto; frequento il condominio una o due volte al mese da circa quattro anni e mezzo; quando mi reco in loco resto a lì dormire 3. Confermo lo spazio ove ho sempre visto la vettura" (...) "2. Confermo le foto e la circostanza; 3. Confermo" (...) "2. Confermo e riconosco le foto; io mi reco circa una volta la settimana; mi reco perché mi sono affezionata alla famiglia del sig. (...) in quanto ho cresciuto le sue bambine 3. Confermo; io vedo questa macchina). Parimenti confermato che lo spazio di cortile comune antistante la proprietà del condomino Sig. (...) è stato realizzato con la funzione di consentire le manovre di svolta in entrata/uscita dal cortile comune condominiale delle auto dei (...) (...) "4. Confermo la circostanza e il regolamento") Risulta altresì confermato che il condomino Sig. (...), parcheggiando il proprio Suv nel cortile comune del (...), nello spazio prospiciente l'ingresso del cortile privato del condomino (...), da un lato rende gravosa e/o difficoltosa l'entrata e l'uscita delle autovetture dei Condomini e dall'altro impedisce di fatto l'entrata e l'uscita dell'autovettura del condomino Sig. (...) dal cortile privato di proprietà (...) ((...) " 5. Confermo la difficoltà nel parcheggio; confermo i video e le foto 6. Non so se impedisce del tutto, comunque è un ostacolo e crea disagio" (...) " 5. Confermo 6. Confermo l'impedimento anche oggettivo " (...) " 5.Confermo il video e le foto 6.Confermo" (...)" 5. Confermo la circostanza e il video 6. Confermo") Conseguentemente i testi hanno affermato, in modo concorde ed univoco, che il Sig. (...) è stato costretto, in più di un'occasione, a parcheggiare la propria autovettura sulla pubblica via per tutta la notte e che il medesimo condomino Sig. (...). (...) e i suoi famigliari si sono trovati, in più di un'occasione, impossibilitati ad uscire con l'auto di famiglia dal cortile di proprietà (...) e, quindi ad utilizzarla, dovendo disdire impegni lavorativi e personali ((...)" 8. Confermo; due volte mi hanno chiamato il sig. (...) o la sua famiglia per contattarlo perché l'auto ostruiva l'uscita; a volte la parcheggia indietro e quindi si fa fatica a uscire " (...) "7. Tutt'ora, è capitato più di una volta che la macchina del sig. (...) sia stata parcheggiata sulla via perché non poteva entrare 8. Confermo; quando sono andato a casa loro è capitato più di una volta che non potessero uscire" (...) "8. Confermo; ho assistito personalmente agli episodi" (...) "8. Confermo; si sono trovati impossibilitati ad entrare e uscire; ho assistito personalmente alla situazione). Parimenti confermato che il condomino Sig. (...) denunciava all'Amministratore del Condominio "(...)", Sig.ra (...) la condotta del condomino (...) e che, nonostante le diffide il condomino Sig. (...) (...) ha continuato e continua tuttora a parcheggiare il proprio Suv, nel cortile comune condominiale ((...)" 9. Confermo 11. Confermo; ADR lui ha due proprietà e potrebbe entrare con la macchina nella sua proprietà senza ostacolare nessuno; lo fa "per dispetto" (...) "Confermo; ad oggi il sig. (...) continua a parcheggiare in quel modo ADR io mi reco in macchina ma non parcheggio mai all'interno" (...) "Confermo; io vedo la vettura tutte le mattine aprendo la finestra. ADR io sono inquilina e non proprietaria" (...) "Confermo"). Le dichiarazioni testimoniali sopra riportate sono univoche e coerenti in ordine al contenuto e, inoltre, sono state rese da soggetti qualificati (amministratrice di condominio sig.ra (...) ovvero comunque da persone terze rispetto alle parti e che hanno una assidua frequentazione dei luoghi risultando quindi attendibili. Pur ritualmente evocato in giudizio il sig. (...) non si è costituito nel presente giudizio restando contumace: la contumacia impedisce una ricostruzione alternativa delle circostanze alternativa a quella sopra esposta. In particolare, il preferibile orientamento, in giurisprudenza, pur escludendo effetti automatici, precisa come la contumacia "possa concorrere, insieme con altri elementi, a formare il convincimento del giudice (desumendo tale principio dall'art. 116 c.p.c., comma 2). (In termini Cass. 29.03.2007, n. 7739 Cass., 20.02.2006, n. 3601 secondo cui "la contumacia del convenuto se non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda...tale condotta processuale costituisce tuttavia un elemento liberamente valutabile ex art. 116 c.p.c. (nel contesto di ogni altro acquisito) dallo stesso giudice ai fini della decisione (cfr. tra le altre: Cass. 7 marzo 1987 n. 2427; Cass. 20 luglio 1985 n. 4301)". Nello stesso senso Cass. 6 .2. 1998 n. 1293) In ragione di quanto esposto, coerentemente con la preferibile e recente giurisprudenza di merito, se è pur vero che la contumacia non può essere equiparata ad una generale non contestazione dei fatti costitutivi dedotti dalla controparte, purtuttavia la scelta processuale non collaborativa da parte della resistente, costituisce elemento idoneo a rafforzare le emergenze istruttorie ricavabili dall'esame dei documenti prodotti dalla stessa parte attrice, allorquando, in particolare, come nel caso di specie, l'atto di citazione già conteneva nel suo corpo un'analitica elencazione dei documenti offerti a corredo probatorio: in definitiva, la contumacia del convenuto è elemento rafforzativo delle circostanze dedotte dall'attore (Trib. Bari, 15.07.2015, n. 3275 Trib. Roma, 04.10.2017, n. 8040 Trib. Roma, 04.04.2017, n. 3223; Trib. Roma, 28.05.2016, n. 10898 Trib. Genova 20.1.2016 n. 209 Tribunale Napoli, 05.11.2012, n. 27275) In adesione a tale orientamento, la contumacia si configura quale ulteriore elemento, sia pure indiziario, a supporto della tesi del ricorrente, già comunque ampiamente supportata dalla documentazione sopra riportata e dall'istruttoria testimoniale espletata, a fortiori considerando le plurime comunicazioni intervenute in fase precedente al giudizio e diffide, nonché l'assenza in fase di mediazione. 2. La violazione degli obblighi gravanti condomino In via generale e in punto di diritto ai sensi dell'art. 1102 c.c. "ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto... Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso". Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, in relazione proprio all'utilizzo del cortile comune quale parcheggio, "l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del (...), consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).... l'art. 1102 c.c., sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante alla comunione, non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicché può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 340" (in termini recentemente con giurisprudenza citata Cass. 18.03.2019, n.7618) La condotta del (...) come descritta nel precedente paragrafo si pone quindi in contrasto con il principio generale stabilito ex art. 1102 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza sopra riportata. A fortiori, sul punto ai sensi dell'art. 7 del Regolamento del plesso condominiale è stabilito l'espresso divieto ai Condomini di "parcheggiare automobili o mezzi di qualsiasi genere nel cortile comune o negli spazi comuni non idonei a tale uso" (cfr. doc. 2, art. 7); pertanto la condotta del convenuto si pone altresì in contrasto con le disposizioni regolamentari pacificamente vigenti tra i condomini. Risulta quindi fondata la domanda di parte attrice, essendo dimostrati i presupposti, in fatto e in diritto alla base della stessa e, segnatamente, la condotta contra legem del (...) consistente nell'occupazione di spazio condominiale (cortile) determinante l'impossibilità o estrema difficoltà per il (...) al parcheggio; il sig. (...) è quindi obbligato a lasciare immediatamente libero da cose e, in particolare, dalla sua vettura, il cortile condominiale, a partire dalla comunicazione della presente sentenza: non si accorda alcun termine a beneficio del convenuto stante la concotta reiterata ormai da più anni e la possibilità per questi di parcheggiare altrove 3. La domanda risarcitoria Parte attrice ha formulato domanda risarcitoria in relazione a tutti i danni patiti in conseguenza della condotta illecita del sig. (...) Orbene, in linea generale e in punto di diritto, in ossequio al preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità a cui il Tribunale presta adesione, la compressione del diritto di proprietà determina un pregiudizio economico risarcibile a beneficio di chi ha subito la privazione; segnatamente; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta...nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato"; "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell'occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato".(in termini Cass. sez. un., 15.11.2022, n.33645) Tanto premesso in punto di diritto, nel presente giudizio parte attrice ha puntualmente dedotto e comprovato la lesione del diritto di proprietà su immobile - garage, subita dall'attore, sig. (...) in conseguenza della condotta del convenuto, sig. (...) che, attraverso il proprio parcheggio ne impedisce o, comunque ostacola gravemente l'utilizzo; sul piano temporale, parimenti comprovato che la citata condotta risulta perpetrata, almeno, a far data dal giugno 2021 , considerando che il 23.7.2021 era trasmessa la prima pec rivolta al (...) e in cui si contestava il reiterato posteggio già da qualche tempo, fissando quindi nell'inizio del mese precedente (1.6.2021) il dies a quo dell'arco temporale della violazione (cfr. doc. 5). Circa il pregiudizio economico effettivo le allegazioni attoree risultano tuttavia generiche non essendo in alcun modo dedotto e comprovato il valore locativo medio del parcheggio, il cui utilizzo è risultato essere, se non impedito, quanto meno compromesso dalla (...) A riguardo, non risulta allegata la Tabella O.M.I. del Comune di riferimento, né indicato altrimenti (contratti di locazione, annunci immobiliari etc.) un valore locativo presuntivo di mercato del box: unico dato certo è costituito dalla rendita catastale individuata in Euro 52,06 mensili come desumibile da estratto in relazione a immobile c/6 (doc. 1 pag. 5) Orbene, assumendo tale parametro come base di calcolo per una stima in via equitativa, il valore locativo del parcheggio, risulta pari a Euro 1.874,16 (52,06x 36, considerando il mese di giugno 2021 fino a maggio 2024). Considerando, in via equitativa, un pregiudizio al godimento dell'immobile non assoluto ma comunque significativo e maggioritario e, quindi, assumendo una lesione al diritto di proprietà di cui è titolare l'attore nella misura del 70%, il danno concretamente subito in termini economici risulta pari a Euro 1311,91. Trattandosi di posta risarcitoria, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la somma indicata deve essere preliminarmente devalutata al momento della risoluzione, in quanto a quel momento del fatto illecito (che convenzionalmente è assunto in data 1.6.2021); l'importo ottenuto all'esito della devalutazione (1141,78) deve essere oggetto di rivalutazione, unitamente a maturazione di interessi, fino al momento dell'attualità, in quanto oggetto di risarcimento e quindi costituente debito di valore: a quest'ultimo proposito, come rilevato da giurisprudenza di Cassazione è necessario reintegrare pienamente "il valore del bene perduto (danno emergente) da un lato, ed il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene predetto" (cfr. Cass. n. 1712 del 17.02.1995 e, successivamente, Cass. 21.06.2012 n. 10300 secondo cui "in virtù del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, gli interessi legali devono essere riconosciuti sull'intera somma devalutata alla data dell'infortunio ed anno per anno rivalutata sino alla data della pronuncia impugnata" (Cass. n. 18445 del 19.09.2005). In ragione di quanto esposto, l'importo dovuto a titolo risarcitorio risulta pari a Euro 1404,23 oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; inoltre, a partire dal mese di giugno, è comunque dovuta la somma di Euro 36,44 (pari al 70% di 52,06) per ogni mese in cui si verificheranno le occupazioni. 4. Le spese di giudizio Le spese di giudizio sono addebitate su parte convenuta in quanto soccombente ex art. 91 c.p.c. I compensi sono liquidati ex Dm 55/2014 per cause di valore indeterminabile complessità bassa applicando il parametro medio per le fasi di studio, introduttiva e istruttoria, minimo per la decisionale, prevalentemente ripetitiva di questioni già affrontate e stante la contumacia della convenuta risultando quindi pari a Euro 6164,00 oltre spese generali al 15% iva e cpa. nonché spese di marca e contributo; parimenti sono dovuti a carico del convenuto nonché le spese della fase di mediazione, i cui compensi, limitati alla fase di attivazione, si liquidano nel minimo e sono pari a Euro 268,00, oltre spese generali al 15% iva e cpa ed Euro 48,8 per spese di avvio. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I) accoglie, per le ragioni di cui in motivazione, la domanda di parte attrice (...) e, per l'effetto: a) ordina Sig. (...), di lasciare immediatamente libero di cose con particolare riferimento all'auto/Suv, Marca Hyundai, Modello Tucson, Targa (...), il cortile comune condominiale, del (...), in Vigevano; b) ordina al sig. (...) di pagare la somma di Euro 1404,23 nei confronti del sig. (...) oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; c) ordina al sig. v di pagare la somma di Euro 36,44 nei confronti del sig. (...) per ogni mese a partire da giugno 2024 in cui si protrae l'occupazione; - II) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 545,00 per spese ed Euro 6164,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge; III) condanna altresì parte convenuta (...) a rimborsare alla parte attrice (...) le spese della fase di mediazione, che si liquidano in Euro 48,80 per spese ed Euro 268,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Pavia, 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto SOCIETA’ DI CAPITALI. AZIONE EX ARTT. 2467, 2497-QUINQUIES E 2033 C. C. O ARTT. 2497 E 2043 C.C. Dott. Carlo De Chiara Presidente Dott. Massimo Falabella Consigliere Dott. Eduardo Campese Consigliere - rel. Dott. Luigi D’Orazio Consigliere Ud. 09/04/2024 PU Cron. R.G.N. 32864/2019 Dott. Paolo Fraulini Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 32864/2019 r.g. proposto da: FALLIMENTO METAL CHAIN S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore dott. Massimo di Luzio, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dagli Avvocati Marco De Rosa ed Alfredo Irti, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via Andrea Vasalio n. 22. -ricorrente - contro TRAFILERIE VENETE S.A.S. DI ZANETTI PAOLO & C., con sede in Santa Lucia di Piave (TV), alla via Trieste n. 10, in persona del legale rappresentante pro tempore, e ZANETTI PAOLO, entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Marco Francescon, con cui elettivamente domiciliano in Roma, al Viale Liegi n. 58, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Cancrini. - controricorrenti - avverso la sentenza n. 3412/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, pubblicata il 29/08/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 09/04/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; udito, per il ricorrente, l’Avv. Marco De Rosa, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso; udito, per la controricorrente, l’Avv. Marco Francescon, che ha concluso chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione; letta la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. depositata dalla parte ricorrente. FATTI DI CAUSA 1.Il 13 aprile 2005, Metal Chain s.r.l. ricevette da Trafilerie Venete (all’epoca s.p.a.) un finanziamento di € 2.000.000,00. Le due società non erano collegate, ma il socio di maggioranza, nonché amministratore, era in entrambe Paolo Zanetti. Il denaro fu parzialmente (€ 500.000,00) utilizzato per restituire un precedente finanziamento dalla prima ottenuto da Weissenfels s.p.a. 1.1. Il 12 gennaio 2006, Metal Chain s.r.l. ricevette da quest’ultima un ulteriore finanziamento di € 2.200.000,00, subito utilizzato per rimborsare quello precedentemente concessole da Trafilerie Venete. Successivamente, il 2 ottobre 2007, fu messa in liquidazione e, nel 2011, lo Zanetti ne divenne socio unico, vendendo poi, nel 2012, le quote alla madre, che fu nominata liquidatrice. Il 31 gennaio 2013, la medesima società fu dichiarata fallita. 1.2. Il Fallimento Metal Chain s.r.l., pertanto, agì in giudizio, innanzi al Tribunale di Venezia, Sezione Impresa, chiedendo la condanna di Trafilerie Venete s.a.s. e del socio accomandatario Paolo Zanetti a restituirgli la somma di € 2.000.000,00, invocando l’applicazione del combinato disposto degli artt. 2467, 2497-quinquies e 2033 cod. civ. e, in subordine, la loro responsabilità per fatto illecito ex artt. 2497 e 2043 cod. civ. 1.3. Costituitisi i convenuti, che contestarono integralmente le avverse pretese, l’adito tribunale, con sentenza del 26 luglio /19 settembre 2017, n. 2044, disattese l’eccezione di incompetenza da essi formulata e rigettò le domande attoree. 1.3.1. In particolare, ravvisò la legittimazione del curatore fallimentare ad agire ex art. 2497 cod. civ. “solo con riferimento all’azione dei creditori” ed escluse l’applicabilità dell’art. 2467 cod. civ., poiché Trafilerie Venete s.a.s. non era socia di Metal Chain s.r.l. ed il rimborso era avvenuto molti anni prima della dichiarazione di fallimento. Negò, inoltre, l’applicabilità dell’art. 2497- quinquies cod. civ., atteso che la direzione sarebbe stata svolta da persona fisica, cioè dal socio amministratore della prima, e non da una società capogruppo. 2. Pronunciando sul gravame promosso dal menzionato Fallimento contro detta decisione, l’adita Corte di appello di Venezia lo respinse con sentenza del 25 luglio/29 agosto 2019, n. 3412, resa nel contraddittorio con Paolo Zanetti e Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. 2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) considerò corretto l’assunto del tribunale che aveva negato al curatore fallimentare la legittimazione ad agire, in rappresentanza della fallita, per la responsabilità del soggetto che avrebbe esercitato poteri di direzione e coordinamento e riconosciuto al medesimo curatore soltanto la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spettante ai creditori; ii) rimarcò, comunque, che, in base all’art. 2497 cod. civ., è il legislatore a prevedere che al curatore spetti l’esercizio dell’azione dei creditori e non anche quella dei soci, i quali mantengono la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta; iii) ritenne che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione del finanziamento anomalo erogato da Trafilerie Venete (all’epoca s.p.a.) a Metal Chain s.r.l. nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata. Opinò, infatti, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento; iv) negò l’applicabilità dell’art. 2497-quinquies cod. civ. a Paolo Zanetti, che era stato amministratore di entrambe le società e che, in forza dei poteri gestori derivatigli di tali funzioni, aveva deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso in oggetto; v) osservò che, non trovando applicazione, per quanto si è detto, l’art 2467 cod. civ., era priva di rilevanza, per la decisione del giudizio, la questione dell’utilizzazione dell’art. 2497-quinquies cod. civ. in relazione a persone fisiche; vi) evidenziò, quanto al preteso esercizio, da parte dello Zanetti, di poteri di direzione e coordinamento della società di cui era socio di maggioranza e, quindi, dell’ipotizzata esistenza di una holding individuale, che la presenza di un socio dominante non era sufficiente per affermare l’esistenza di una holding di fatto; vii) con riguardo, infine, alla richiesta, formulata in via subordinata, di condanna di Trafilerie Venete s.a.s. e di Paolo Zanetti al risarcimento dei danni subiti da Metal Chain s.r.l., negò la sussistenza dei relativi presupposti per la mancanza di un illecito in quanto la restituzione del finanziamento aveva costituito l’adempimento di una obbligazione, sicché neppure era ipotizzabile qualsivoglia danno. 3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con unico controricorso, Paolo Zanetti e Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. 3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 21 aprile/19 giugno 2023, n. 17531, ha ritenuto «che le tematiche introdotte con questo giudizio, specie con riferimento alla questione della legittimazione attiva del curatore riconosciuta unicamente per l’azione dei creditori (art. 2497 c.c.) e non anche nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione nonché alla questione relativa al rimborso del finanziamento senza postergazione meritino un approfondimento ad una pubblica udienza per il rilievo nomofilattico ed in ragione dell’assenza di precedenti specifici». Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza, in occasione della quale il Fallimento ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo di ricorso denuncia la «Violazione degli artt. 2497, 2043 c.c. e 24 Cost. per la negata legittimazione attiva della società (per essa: del curatore fallimentare) a chiedere il risarcimento del danno da abuso dei poteri di eterodirezione. Omesso esame di un fatto che ha formato oggetto della discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.››. Viene censurata l’affermazione della corte distrettuale secondo cui non sarebbe stato indicato l’interesse del curatore fallimentare ad agire, per conto della società, al fine di ottenere un risarcimento per i danni conseguenti all’abuso dei poteri di eterodirezione stante l’azione riconosciuta ai creditori. Si sostiene di aver fatto riferimento ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2497 cod. civ., richiamando esplicitamente l’ordinanza emessa in sede cautelare dal Tribunale di Venezia che aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione nonché le ordinanze emesse con riguardo al caso Ligresti ed alla vigenza attuale dell’interpretazione autentica della menzionata disposizione imposta dal d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009. Si critica, inoltre, l’assunto della medesima corte secondo cui costituirebbe una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e, poi, anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio da cui dipende quello stesso valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata autonomamente risarcita. Si osserva, in linea generale, che l’azione risarcitoria promossa dai soci di minoranza nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione deve ritenersi inammissibile quando la società si è già attivata eventualmente anche in sede giudiziale nei confronti della propria controllante al fine di ottenere un risarcimento conseguente a detta attività. 1.1. Tale doglianza si rivela in parte inammissibile ed in parte infondata. 1.2. È inammissibile laddove denuncia un vizio motivazionale, atteso che: i) l'attuale testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (come modificato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile, ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 29 agosto 2019), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest'ultimo profilo (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, «giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999)». 1.3. La censura è infondata, invece, laddove insiste nell’affermare la riconoscibilità della legittimazione ad agire del curatore fallimentare, in rappresentanza della società fallita, al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati alla società medesima dall’attività di eterodirezione e coordinamento su di essa esercitata. 1.3.1. Invero, l’art. 2497 cod. civ., – inserito nel Capo IX (come sostituito dal d.lgs. n. 6 del 2003, con decorrenza dall’1 gennaio 2004), intitolato “Direzione e coordinamento di società”, del Titolo V, del Libro Quinto del codice civile – rubricato “Responsabilità”, così testualmente dispone (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica apportata al suo comma 3, dal d.lgs. n. 14 del 2019): “1. Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. 2. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. 3. Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. 4. Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”. Va ricordato, inoltre che ai sensi dell'art. 19 del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, il riportato comma 1 si interpreta nel senso che «per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria». 1.4. Tanto premesso, rileva, innanzitutto, il Collegio che l’appena riportata disposizione codicistica – chiara nel suo tenore letterale – attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione ivi prevista ai soci ed ai creditori della società soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento. 1.4.1. Più precisamente, la norma disciplina espressamente la responsabilità, nei confronti dei soci della società eterodiretta, “per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale” e, verso i creditori sociali, “per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società”. 1.4.2. Con riguardo alla posizione del socio, la dottrina ha evidenziato che trattasi di un’ipotesi di risarcibilità del danno meramente riflesso da lui subito, in deroga, quindi, al principio di generale irrisarcibilità di tale tipo di danno. 1.4.2.1. Infatti, il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale altro non è che il riflesso del danno subito (direttamente) dalla società eterodiretta, che importa una riduzione del valore del patrimonio sociale e, dunque, una riduzione del valore delle partecipazioni dei soci. 1.4.2.2. L'azione di responsabilità riconosciuta ai soci dall'art. 2497 cod. civ. consente al socio della società soggetta ad altrui direzione e coordinamento di agire nei confronti dell'ente che tale direzione e coordinamento abbia malamente esercitato, al fine di ottenere, in proprio favore, il risarcimento di danni incidenti sostanzialmente sul patrimonio della società e, così, per conseguenza solo indiretta, su quello suo personale, avendo il legislatore richiamato il concetto di pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione sociale. 1.4.3. Quanto alla posizione dei creditori sociali, invece, perché possa essere affermata la responsabilità derivante dall’illecito esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società, occorre che il patrimonio della società eterodiretta sia stato danneggiato. In altri termini, deve esserne stata lesa l’integrità, con conseguente annientamento o riduzione della generica garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.). 1.4.3.1. Pertanto, il pregiudizio ai creditori, ai sensi dell’art. 2497, comma 1, cod. civ., è quello all’interesse, che loro pertiene, strumentale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale della loro debitrice, quale presupposto per favorire il buon esito del proprio credito. 1.4.4. La norma non prevede, per contro, la legittimazione ad agire della società sottoposta all'attività di direzione e coordinamento, titolare del patrimonio direttamente danneggiato dalle condotte abusive della controllante. Essa, inoltre, attribuisce al curatore fallimentare la legittimazione all’esercizio della sola azione dei creditori sociali, non anche di quella sociale, né di quella dei soci, quest’ultimi mantenendo, come si è già riferito, la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta. 1.5. La mancata previsione di detta società tra i soggetti titolari dell’azione di cui all’art. 2497 cod. civ. non appare in contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che, come affatto condivisibilmente opinato dalla corte lagunare, «la fattispecie tutela beni che fanno capo direttamente ai soci: la redditività ed il valore della partecipazione sociale. La tutela, invece, dell’integrità del patrimonio è riconosciuta nell’interesse dei creditori sociali e – come si è detto – il curatore è legittimato ad agire in rappresentanza della collettività. Nell’insieme, la tutela apprestata dal legislatore è completa, poiché, riconoscendosi il diritto sia dei soci sia dei creditori ad ottenere il risarcimento dal soggetto esercitante l’attività di direzione e coordinamento, non rimangono esclusi soggetti danneggiati. Rappresenterebbe, invece, una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e poi anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio, da cui dipende quel medesimo valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata (o può essere) autonomamente risarcita» (cfr. pag. 8-9 della sentenza impugnata). 1.5.1. Anche i lavori preparatori, del resto, depongono nel senso che il curatore è legittimato a proporre unicamente l’azione spettante ai creditori sociali. Da essi, infatti, – come opportunamente rimarcato anche dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – si desume agevolmente la piena consapevolezza del legislatore delegato del 2003 nella propria scelta definitiva: basti pensare, da un lato, alla cancellazione del terzo comma dello schema, con conseguente soppressione della legittimazione della società eterodiretta a promuovere l’azione di responsabilità contro la società dominante, già concessa ad azionisti “esterni” e creditori della società abusata; dall’altro, alla riconduzione di tale azione (degli azionisti “esterni” e dei creditori) alla violazione di una regola di condotta stabilita dal legislatore in funzione di una tutela diretta degli interessi che ad essi fanno capo (rispettivamente, redditività e valore della partecipazione, e solvibilità della società). 1.5.2. In altri termini, il dato letterale dell’art. 2497, comma 4, cod. civ., che espressamente si riferisce alla sola azione dei creditori sociali (la quale, effettivamente, con il fallimento o l’amministrazione straordinaria della società eterodiretta, diviene azione di massa, al pari dell’azione ex art. 2394 cod. civ.), nemmeno è superabile alla luce dei criteri interpretativi di cui all’art. 12 delle Preleggi. Esso, invero, è collocato all’interno della norma che disciplina, ai commi precedenti, la responsabilità della società che esercita illegittimamente attività di direzione e coordinamento verso la controllata per i pregiudizi arrecati sia ai soci, sia ai creditori sociali dell’ente eterodiretto, sicché l’attribuzione della legittimazione al curatore o al commissario straordinario della sola azione dei creditori, manifesta, come ritiene anche la dottrina maggioritaria, una precisa scelta del legislatore e non la si può ritenere una mera omissione. 1.6. Neppure persuade, infine, la tesi secondo cui le critiche derivanti dalla mancata previsione della legittimazione dell’organo della procedura nella fattispecie in esame avrebbero trovato riscontro nella formulazione dell’art. 291 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): formulazione, che, data l’omnicomprensività, potrebbe essere interpretato nel senso dell’ampliamento della legittimazione del curatore. 1.6.1. Invero, proprio la nuova normativa del CCII si presta a diverse ed opposte interpretazioni, sollecitate dalla più attenta dottrina. 1.6.1.1. Infatti, l’art. 255 di detto Codice, rubricato “Azioni di responsabilità” (“1. Il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può promuovere o proseguire, anche separatamente: a] l’azione sociale di responsabilità; b] l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile; c] l’azione prevista dall’articolo 2476, ottavo comma, del codice civile; d] l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile; e] tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge”) detta le disposizioni per la legittimazione generale alle azioni di responsabilità da parte del curatore della liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto dall’art. 307 CCII per il commissario della liquidazione coatta amministrativa (“L’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa o dell’ente in liquidazione, a norma degli articoli 2393, 2394, 2476, primo, sesto e ottavo comma, 2497 del codice civile, è esercitata dal commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione”). 1.6.1.2. Non si rinviene, dunque, come è evidente, la previsione di una legittimazione generale ed indistinta, ma, come sottolineato dalla più accorta dottrina, un’enunciazione puntuale delle azioni di responsabilità esperibili. Invero, anche la norma di chiusura di cui alla lett. e) dell’art. 255 ha una finalità volta a circoscrivere le azioni risarcitorie spettanti alla curatela alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, così superandosi la legittimazione del curatore ad esercitare le azioni di responsabilità senza ulteriori precisazioni. 1.6.2. In definitiva, è delineata un’impostazione più rigorosa che non riconosce al curatore un generalizzato potere di rappresentanza. Con la conseguenza che le disposizioni che attribuiscano tale potere al curatore debbono considerarsi quali norme eccezionali, al di fuori delle quali la legittimazione della curatela quale organo rappresentativo della massa dei creditori deve essere esclusa. 2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la «Violazione di legge per interpretazione ed applicazione errate degli artt. 2033, 2467 e 2497- quinquies c.c.››. Si deduce che l’art. 2033 cod. civ. deve trovare applicazione non solo laddove la causa manchi totalmente ma anche allorquando il pagamento indebito sia riferibile ad una ragione genetica nulla ed inefficace. Si sostiene che, nel caso della restituzione di finanziamento “anomalo”, non viene in essere un pagamento prima della scadenza, bensì l’assenza di un elemento sostanziale (il mancato avverarsi della condizione legale dell’assenza di sovraindebitamento o di tensione finanziaria della società) perché possa configurarsi l’attualità del debito stesso di restituzione. Si precisa, altresì, che la postergazione legale dei finanziamenti “anomali” riguarda tutti i finanziamenti del genere, non solo quelli restituiti entro l’anno anteriore al fallimento, e deve essere assistita da una normativa che la salvaguardi. Si puntualizza pure che, «In realtà, il Fallimento attore non ha esercitato l’azione prevista dal primo comma, parte seconda, dell’art. 2467 c.c. per la retroversione “automatica” di finanziamenti “anomali” rimborsati nell’anno anteriore al fallimento: ha esercitato domanda di ripetizione per un rimborso avvenuto anteriormente». 2.1. Tale doglianza si rivela infondata. 2.2. Invero, il Fallimento ricorrente, come si è appena riferito, ha sottolineato di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (per la retroversione automatica di finanziamenti anomali rimborsati nell’anno anteriore al fallimento), ma di aver promosso, in via concorrente con l’azione ex art. 2497 cod. civ., la domanda di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. in relazione ad un “finanziamento anomalo” rimborsato anteriormente all’anno predetto. 2.3. Giova premettere, allora, che: i) l’art. 2467, comma 1, cod. civ. nel testo, qui applicabile ratione temporis, risalente al d.lgs. n. 6/2003, prevede che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, o in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e deve essere restituito alla massa qualora effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; ii) giusta l’art. 2497-quinquies cod. civ., le regole relative ai finanziamenti dei soci nell’ambito della società a responsabilità limitata sono richiamate nel caso di finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (finanziamenti discendenti o orizzontali). Da tale previsione consegue, allora, che la disciplina in esame si applica ai finanziamenti effettuati non solo a favore della società a responsabilità limitata, ma anche di società di altro tipo; inoltre, le medesime regole assumono rilievo non soltanto nel caso in cui il finanziamento sia effettuato dal socio, ma anche da terzi, purché si tratti o della società che esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti della società finanziata o da altri soggetti comunque sottoposti a tale società; iii) nel caso di specie, la corte territoriale ha accertato che Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. aveva concesso un finanziamento alla Metal Chain s.r.l., poi fallita, senza esserne socia (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata). La stessa corte, inoltre, ha ritenuto che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione di detto finanziamento, erogato nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata e considerato, altresì, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento. 2.4. Fermo quanto precede, opina il Collegio che, tra le differenti ricostruzioni interpretative che hanno interessato l’art. 2467 cod. civ. nel testo in precedenza indicato (quella che, privilegiando il dato letterale, qualifica l’azione attribuita al curatore come ripetizione dell’indebito e quella che, in una differente prospettiva, riconduce la regola ai principi del diritto concorsuale, configurandola alla stregua di un’azione revocatoria di carattere speciale, trattandosi di un’inefficacia ex lege del rimborso, supportata da una presunzione assoluta della scientia decotionis), è senz’altro preferibile quella che riconduce il rimedio ivi disciplinato ad una fattispecie di revocatoria speciale. 2.4.1. Ciò non soltanto perché lo stesso art. 70, comma 2, l.fall. sancisce un obbligo di restituzione da revocatoria allorché si riferisce a “colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto”, ma anche, e soprattutto, perché opinare diversamente (qualificando, cioè, il rimedio de quo come azione di ripetizione dell’indebito) risulterebbe in chiaro contrasto proprio con quanto previsto dallo stesso art. 2467 cod. civ., laddove, al comma 1, seconda parte, limita l’obbligo di restituzione al rimborso percepito nell’anno anteriore al fallimento: previsione, questa, che si rivelerebbe assolutamente inutile se la ricostruzione del rimedio in termini di azione ex art. 2033 cod. civ. fosse fondata, giacché quest’ultima dovrebbe portare, di per sé, ad ammettere che anche i rimborsi effettuati oltre l’anno prima dall’apertura del fallimento siano oggetto di ripetizione, sulla base, appunto, della disposizione indiscriminata di cui all’articolo 2033 cod. civ. 2.4.2. In altri termini, come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, è proprio «la limitazione temporale dell’obbligo di restituzione al solo rimborso percepito nel periodo sospetto di un anno anteriore al fallimento, insieme con la complessiva destinazione della disciplina contenuta nell’art. 2467 alla tutela dei creditori, a far piuttosto propendere per la tesi che vede nel suddetto obbligo l’espressione di una vera e propria revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di cui all’art. 65 l.fall.». 2.5. Resta solo da ricordare, a conferma della correttezza della soluzione ermeneutica qui prescelta, che il CCII ha abrogato, all’interno dell’art. 2467 cod. civ. (e, quindi, anche dell’art. 2497-quinquies cod. civ.), la regola di diritto concorsuale, ponendola nell’ambito dell’art. 164 CCII, rubricato “Pagamenti di crediti non scaduti e postergati”, che, ai commi 2 e 3, sancisce che “2. Sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore. Si applica l’art. 2467 secondo comma, codice civile. 3. La disposizione di cui al comma secondo si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuato a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti”. 2.5.1. Il legislatore, dunque, non colloca più la norma, chiaramente di diritto concorsuale, all’interno del codice civile, ma la inserisce nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria, equiparandola a quella relativa ai pagamenti di crediti non scaduti. Viene confermata, così, l’inefficacia del pagamento, rectius del rimborso dei finanziamenti, ampliandosi il periodo preso in considerazione, che decorre non più dall’apertura della procedura, ma dal deposito della domanda e, quindi, ricomprende l’anno anteriore a quest’ultimo nonché il periodo intercorrente tra il deposito della domanda e l’apertura della procedura concorsuale. 3. Il terzo motivo di ricorso prospetta la «Violazione di legge per falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 2497, 2467 e 2497-quinquies c.c. e per disapplicazione dell’art. 1218 c.c. - Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.». Si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il soggetto eterodirigente debba essere necessariamente una società o un ente e non una persona fisica, sicché, in assenza di tale organismo, non si potrebbe invocare l’art. 2497, comma 2, cod. civ. Si ascrive alla corte lagunare di non aver fatto corretta applicazione dei principi affermati da Cass. n. 26785 del 2016, secondo cui, nel caso di eterodirezione su base personale, i requisiti della spendita del nome e della struttura organizzativa vanno valutati con “minor rigore” perché, in tali casi, ben vi può essere una “organizzazione coincidente con quella delle tre società coordinate”. Quanto, poi, alla spendita del nome, si critica la medesima corte per avere omesso di considerare che Paolo Zanetti aveva esplicitamente speso il suo nome nell’operazione Weissenfels, prima di una assunzione di cariche amministrative nella newco che ne sarebbe stata protagonista. 3.1. Questa doglianza risulta complessivamente inammissibile. 3.2. Lo è, innanzitutto, laddove lamenta un vizio motivazionale, potendosi ragionevolmente richiamare, in proposito, le stesse considerazioni esposte nel precedente § 1.2. per disattendere la medesima tipologia di vizio di cui al primo motivo. 3.3. Lo è anche, però, nella parte in cui denuncia la pretesa violazione di legge, atteso che, in realtà, la censura si rivela chiaramente volta ad ottenere l’applicazione di quanto sancito dall’art. 2467 cod. civ. sul presupposto che, nella specie, si sia al cospetto di finanziamenti effettuati, in favore della società poi fallita (Metal Chain s.r.l.), da chi (Paolo Zanetti o Trafilerie Venete s.a.s., società di cui quest’ultimo era amministratore), asseritamente, esercitava attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (art. 2497-quinquies cod. civ.). 3.3.1. La sentenza impugnata, tuttavia (cfr. pag. 11) ha escluso che lo Zanetti avesse deciso ed attuato le operazioni di rimborso e finanziamento per cui è causa in forza dell’esistenza di un vincolo di sottoposizione. Secondo la corte veneziana, infatti, «Zanetti era amministratore di entrambe le società (oltre che socio di maggioranza), ed in forza dei poteri gestori che gli derivavano dalla funzione di amministratore (e non certo per l’esistenza di un vincolo di “sottoposizione”, quale può sussistere tra una società capogruppo e le partecipate), egli ha deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso di cui è causa». 3.3.2. Trattasi, come è palese, di un accertamento di evidente natura fattuale, non ulteriormente sindacabile in questa sede. Non resta, dunque, che prenderne atto e rilevare che, rispetto ad esso, le argomentazioni del motivo appaiono, sul punto, sostanzialmente volte ad ottenerne un inammissibile riesame. Il giudizio di legittimità, invero, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043 e 6257 del 2024). 3.4. A tanto deve aggiungersi soltanto che è lo stesso Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione ad aver puntualizzato (cfr. pag. 23 del suo ricorso) di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (bensì quella di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ., in relazione ad un rimborso avvenuto anteriormente all’anno di cui al menzionato art. 2467 cod. civ.), sicché la questione concretamente posta dal motivo, come già condivisibilmente rilevato dalla corte di appello (cfr. pag. 11-12 della sentenza impugnata.) – oltre che dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – diviene assolutamente irrilevante. 4. Il quarto motivo di ricorso, infine, è così rubricato: «Violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione degli articoli 2467, 2497, 2497- quinquies, 2043 ovvero 1218 c.c. e 216 l.f.». Assume il ricorrente che l’art. 2467 cod. civ., nel prevedere la postergazione necessaria del “finanziamento anomalo”, introduce un divieto di rimborso fintantoché permanga la situazione di sovraindebitamento della società finanziata e che la violazione di tale divieto costituisce un comportamento antigiuridico che, se accompagnato dall’esercizio di poteri di direzione e coordinamento di società, costituisce abuso della società eterodiretta fonte di responsabilità ex art. 2497 cod. civ. ed anche 2497-quinquies cod. civ., inquadrabile come responsabilità contrattuale ex art 1218 cod. civ. o come responsabilità ex art. 2043 cod. civ. 4.1. Questa doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento. 4.2. Invero, la corte territoriale ha escluso la configurabilità dell’illecito sia per mancanza del profilo dell’antigiuridicità, essendosi al cospetto, a suo dire, di un adempimento di obbligazione (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata), sia, in concreto, per insussistenza di danno, trattandosi di operazione cd. a “saldo invariato” (cfr. pag. 14 della medesima sentenza). 4.3. Tanto premesso, rileva il Collegio che il verificarsi delle ipotesi di cui all’art. 2467, comma 2, cod. civ. produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata, che diviene inesigibile quand’anche sia spirato il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c. 4.3.1. Come significativamente sancito da Cass. n. 12994 del 2019, «la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi». 4.3.2. Posto, allora, che la disciplina della postergazione dei finanziamenti dei soci è volta a tutelare le aspettative dei creditori terzi e della società, a fronte di richieste di rimborso relative a crediti non ancora esigibili, la violazione della regola di cui all’art. 2467 cod. civ. può dar luogo a plurime forme di tutela, tra le quali, senz’altro, – come rimarcatosi anche nella requisitoria scritta del sostituto procuratore generale – la responsabilità (per violazione di doveri tipicamente previsti dalla legge), nei confronti dei creditori (e, dunque, del fallimento), degli amministratori di una società fallita che abbiano restituito ai soci somme in violazione della norma predetta 4.3.3. Nella specie, tuttavia, il fallimento ricorrente, lungi dall’invocare la responsabilità ex art. 2394 cod. civ. e 146 l.fall., ha inteso agire, dichiaratamente, nei confronti di Paolo Zanetti, ex art. 2497 cod. civ. (cfr. pag. 6 del ricorso). 4.3.4. La corte di merito, però, ha escluso l’esistenza di attività di direzione e coordinamento da parte di quest’ultimo, sicché la censura si rivela sostanzialmente diretta ad ottenere una rivisitazione di quello stesso accertamento fattuale – non ulteriormente sindacabile, invece, in questa sede – già descritto nel precedente § 3.3.1. Non resta resta che ribadire, allora, quanto si è osservato, in proposito, nel successivo § 3.3.2., da intendersi qui richiamato. 4.4. Nemmeno può essere invocata, infine, la violazione delle norme di cui agli artt. 1218 o 2043 cod. civ., perché, come ancora una volta condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, solo se l’atto illecito (nei confronti della società o dei creditori sociali) costituisce violazione di doveri diversi da quelli tipicamente previsti dalla legge o dallo statuto in funzione dell’amministrazione della società (ma questo non è il caso di specie, integrando il rimborso di un credito inesigibile una tipica violazione dell’art. 2467 cod. civ. che concorre a conformare lo statuto dell’amministratore), ed è compiuto, quindi, al di fuori ed indipendentemente dall’esistenza e dal collegamento con il rapporto di amministrazione, gli amministratori rispondono dei danni conseguentemente arrecati alla società in sede contrattuale o extracontrattuale secondo le norme ordinarie del diritto comune. 5. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso promosso dal Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione deve essererespinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, rimarcandosi, in proposito, che il patrocinio a spese dello Stato (spettante exlege al Fallimento che agisca munito del decreto del giudice delegato ex art. 144 del d.P.R. n. 115 del 2002. Cfr., in motivazione, Cass. n. 27310 del 2020), non vale ad addossare all'Erario anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all'altra risultata vittoriosa (cfr. Cass. n. 25653 del 2020; Cass. n. 8388 del 2017). 5.1. Infine, deve darsi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre «spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento». PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso proposto dal Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in complessivi € 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 aprile 2024. Il Consigliere estensore Il Presidente Dott. Eduardo Campese Dott. Carlo De Chiara

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. CALVANESE Ersilia - Presidente Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Giudice Dott. SILVESTRI Pietro - Giudice Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Relatore Dott. DI GIOVINE Ombretta - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. Mi.En., nato a R. (...); 2. Di.Pl., nato a P. (...); avverso la sentenza del 14 aprile 2023 emessa dalla Corte di appello di Roma; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità di entrambi i ricorsi; udite le richieste dell'avvocato Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore della parte civile Sc.Ma., dell'avvocato Fr.Ca., difensore delle parti civili Pr.Fe. e Pa.Ma., che hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi e la condanna degli imputati alla refusione delle spese del grado; udite le richieste dell'avvocato Pi.Ri., difensore di Mi.En., e dell'avvocato Ca.Bo., che hanno insistito per l'accoglimenti dei propri ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Rieti ha disposto il rinvio a giudizio di Mi.En. e Di.Pl. per il delitto di cui all'art. 110, 373 cod. pen., commesso in concorso in R. il 15 maggio 2015, (capo a), e di Mi.En. per il delitto di cui agli artt. 48, 56, 110 e 640 cod. pen., commesso in R. il 16 luglio 2015 (capo 2). Secondo l'ipotesi di accusa, il Mi.En., in qualità di consulente tecnico di ufficio nominato nella causa civile n. 564/10 pendente innanzi al Tribunale di Rieti, sottoscrivendo la relazione di consulenza tecnica depositata, avrebbe affermato fatti non conformi al vero e, segnatamente, di averla personalmente redatta, in quanto l'autore materiale sarebbe stato il Di.Pl., convenuto nel predetto processo (capo 1); il Pubblico Ministero ha, inoltre, contestato al Mi.En. il delitto di tentata truffa (capo 2), in quanto, depositando la richiesta di liquidazione dell'onorario di consulente tecnico di ufficio, avrebbe posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice civile a liquidare il rimborso di spese e fatture per operazioni inesistenti, asseritamente sostenute per l'espletamento del proprio incarico. 2. Il Tribunale di Rieti, con sentenza emessa in data 9 aprile 2021, ha dichiarato gli imputati responsabili dei reati a loro rispettivamente ascritti e ha condannato Mi.En., ritenuta sussistente la continuazione tra i reati contestati, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, Di.Pl. alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e gli imputati in solido al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili. 3. Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dagli imputati: - ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Mi.En. e Di.Pl. per il reato di cui al capo 1) perché estinto per intervenuta prescrizione, eliminando la relativa pena; - ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo 2) in un anno di reclusione e 400 euro di multa, pena sospesa; ha revocato la pena accessoria inflitta; - ha confermato nel resto la sentenza impugnata, condannando gli imputati alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel grado. 4. L'avvocato Pi.Ri., difensore del Mi.En., ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo due motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa contestato. L'allegazione di documentazione non genuina alla richiesta di liquidazione dei compensi non potrebbe, infatti, integrare il tentativo di truffa, in quanto la richiesta di pagamento sarebbe stata presentata al giudice, che è soggetto "estraneo al reato". Deduce, inoltre, il ricorrente che il giudice non ha liquidato i compensi al consulente tecnico e che, comunque, le parti civili non erano stati i destinatari del provvedimento di liquidazione; il giudice, peraltro, avrebbe potuto porre il pagamento degli onorari anche a carico della controparte Mi.En.. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato sarebbe si sarebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di secondo grado. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha dichiarato prescritto il più grave reato di cui al capo 1), in quanto estinto in data 14 gennaio 2023; se il reato di falsa perizia era, tuttavia, stato contestato come commesso in data 15 maggio 2015, quello di tentata truffa sarebbe stato commesso in data 16 luglio 2015. Il ricorrente, dunque, eccepisce che il termine di prescrizione del reato di cui al capo 2) dovrebbe essere più lungo di quello della falsa perizia di due mesi e un giorno. All'atto della pronuncia della sentenza di appello (in data 14 aprile 2023), dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare anche la prescrizione del reato di tentata truffa (maturata in data 16 marzo 2023). La sospensione del corso della prescrizione per effetto della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, peraltro, non potrebbe essere applicata nel caso di specie, in quanto si sarebbe regolarmente tenuta l'udienza di febbraio 2020 e il giudizio dibattimentale di primo grado sarebbe stato rinviato direttamente a giugno del 2020. 5. L'avvocato Ca.Bo., nell'interesse del Di.Pl., propone cinque motivi di ricorso e, segnatamente: 1) la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore. Rileva il difensore che all'udienza del 14 aprile 2023 ha eccepito l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del codifensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa all'udienza; la Corte di appello, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, dunque, il difensore già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto avrebbe determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. Rileva, tuttavia, il difensore che all'udienza del 17 febbraio 2023 non si era validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato, in quanto era stata disposta la rinnovazione della notifica nei confronti dello stesso; l'eccezione, dunque, era stata proposta nella prima udienza nella quale la Corte di appello aveva ritenuto validamente costituito il rapporto processuale con l'imputato. L'omessa notifica al codifensore della vocatio in ius configura, del resto, una nullità dì ordine generale a regime intermedio e, dunque, deve essere eccepita con la prima difesa successiva all'atto viziato dalla parte che ne aveva interesse (cita in proposito Sez. 3, n. 16564 del 2022 (dep. 2023). L'eccezione sarebbe, peraltro, stata proposta tempestivamente, in quanto è stata formulata nel primo momento in cui la parte che ne aveva interesse, ovvero l'imputato, era stato regolarmente citata. 2) l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia; Il ricorrente premette che la Corte di appello ha ritenuto sussistente il delitto di falsa perizia, in quanto tra le "affermazioni di fatti non conformi al vero previste dall'art. 373 cod. pen., rientra anche la falsa attestazione sulla provenienza dell'atto. La dichiarazione del consulente tecnico di ufficio di aver redatto in prima persona la perizia, espressa mediante la sottoscrizione del documento, dunque, era stata ritenuta un'affermazione di un fatto storico non conforme al vero, in quanto l'elaborato peritale sarebbe stato redatto non già dal consulente tecnico di ufficio, ma da un terzo. La disposizione di cui all'art. 373 del codice penale, punisce il perito o il consulente che affermi "fatti non conformi al vero", ma, ad avviso del difensore, i "fatti", cui la disposizione si riferisce, non possono che essere quelli oggetto dell'attività peritale. Il fatto penalmente rilevante è, peraltro, quello che, attraverso una immutatio veri, lede il bene giuridico tutelato (ossia la corretta amministrazione della giustizia) ed è in grado di incidere negativamente sulla decisione del giudice. Il Di.Pl., peraltro, non potrebbe aver concorso nel delitto di falsa perizia del consulente tecnico di ufficio, in quanto si era limitato a ritenutene l'elaborato conforme al proprio convincimento. L'istruttoria dibattimentale, peraltro, non avrebbe confermato la presunta falsità dei fatti contenuti nell'elaborato peritale. Lo stesso giudice civile, pur avendo constatato numerose anomalie (la dilazione dei tempi di deposito, l'acquisizione dalle parti e dai consulenti tecnici di parte di note non autorizzate dal giudice, l'invio telematico di un file astrattamente proveniente da una delle parti), aveva ritenuto che le stesse non fossero di gravità tale da giustificare la rinnovazione delle operazioni peritali. La perizia sarebbe, peraltro, risultata irrilevante ai fini della definizione del giudizio civile, che era stato deciso sulla base dei rilievi dell'accertamento tecnico preventivo; la condotta dell'imputato, dunque, sarebbe penalmente rilevante. 3) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso del Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso dal Mi.En.; Il ricorrente deduce che la Corte di appello ha ritenuto dimostrata l'esistenza di un accordo criminoso tra il Di.Pl. ed il Mi.En. solo sulla base della asserita riconducibilità dei files alla paternità del Di.Pl., ma tale circostanza nulla potrebbe rivelare circa l'esistenza di un accordo criminoso, nonché in ordine al contributo fornito dall'extraneus Di.Pl. alla commissione del reato. Mancherebbe del tutto la prova della conoscenza da parte del Di.Pl. della circostanza che il Mi.En. avrebbe recepito acriticamente la bozza redatta, senza apportare alcuna modifica alla stessa e, soprattutto, rivendicando come proprio l'elaborato. La mera predisposizione di una bozza, dunque, non costituirebbe prova dell'illecito, in assenza della dimostrazione di un accordo. L'istruttoria, peraltro, avrebbe dimostrato solo l'esistenza di una certa confidenza tra i due, ma non certo di un accordo illecito. 4) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.; Premette il ricorrente che la Corte di appello ha motivato l'attribuzione della paternità della consulenza tecnica al Di.Pl., in quanto il file "madre" sarebbe stato elaborato dal computer in uso esclusivo al medesimo. Deduce, tuttavia, il ricorrente che questa motivazione non si sarebbe confrontata con le censure mosse nell'atto di appello, nel quale si era eccepito che il consulente tecnico di ufficio si era fatto inviare sistematicamente files dai consulenti di parte nello svolgimento delle operazioni peritali e, quindi, ha lavorato su files creati da altri. L'autore originario di un file, peraltro, rimane sempre quello che ha dato la prima impronta. La Corte di appello, peraltro, avrebbe travisato l'esito delle testimonianze di Co.Gh. e di Ma.Br. relativamente al fatto che il computer nella stanza del Di.Pl., nello studio professionale, fosse nella sua esclusiva disponibilità; questa stanza, infatti, poteva essere usata da tutti i collaboratori e tutti gli ingegneri che lavoravano nello studio Ma.Br., compreso il Di.Pl., usavano un server comune, accessibile a tutti. 5) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha statuito che "non può dubitarsi che le condotte poste in essere da Mi.En. e Di.Pl. di cui sopra si è detto, abbiano causato un danno alle costituite parti civili per avere alterato il regolare svolgimento dell'attività processuale, essendo stato di fatto l'accertamento tecnico svolto da una delle parti processuali". Il difensore deduce, tuttavia, che la Corte di appello avrebbe obliterato la censura relativa all'impossibilità di ritenere la parte processuale parte lesa o danneggiata del delitto di falsa perizia, in quanto l'unica persona offesa nei delitti contro l'amministrazione della giustizia è lo Stato. Nel caso di specie, peraltro, la presunta falsa perizia non avrebbe arrecato alcun danno alla controparte, in quanto il danno conseguirebbe esclusivamente alla soccombenza nel processo civile, determinata dall'adozione di un provvedimento giudiziale viziato, nella specie insussistente. Le parti civili, peraltro, sarebbero risultate soccombenti nel processo civile sulla base dell'accertamento tecnico preventivo svolto dall'architetto Gi. e non della consulenza dell'ingegnere Mi.En.; in sede penale, dunque, tali soggetti prospetterebbero non già di essere state pregiudicate da un accertamento giurisdizionale falso o ingiusto, ma solo da un giudizio che era risultato contrario alle loro aspettative. 6. Con memoria depositata un data 6 febbraio 2024 gli avvocati Em.Ve., difensore delle parti civili Condominio (...) e Fe.At., dell'avvocato Er.Ma., difensore di Sc.Ma., hanno chiesto di dichiarare l'inammissibilità dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati. 2. Con il primo motivo dedotto, l'avvocato Pi.Ri. nell'interesse di Mi.En., ha dedotto l'errata applicazione della legge penale, in quanto la condotta accertata sarebbe inidonea ad integrare il tentativo di truffa. 3. Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha congruamente ritenuto comprovato che l'imputato, quale consulente di ufficio, nel presentare la domanda di liquidazione per lo svolgimento del proprio incarico di consulente tecnico di ufficio, ha richiesto il rimborso di spese da lui non effettivamente sostenute; tale condotta integra il reato di tentata truffa, in quanto "le fatture presentate dallo stesso a corredo della domanda di liquidazione costituiscono atti idonei ad indurre in errore il giudice istruttore del processo civile in ordine alle spese documentate, al fine di trarne un ingiusto profitto" (pag. 11 della sentenza impugnata). La qualificazione operata dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado è, inoltre, conforme alla legge penale. Non integra, infatti, il reato di truffa la condotta della parte processuale, che, mediante l'induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole (c.d. truffa processuale), in quanto manca l'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell'art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici (Sez. 2, n. 48541 del 21/10/2022, Castiglione, Rv. 284172 - 01). Secondo la giurisprudenza di legittimità, invece, integra il reato di truffa, e non quello di peculato mediante induzione in errore ex artt. 48 e 314 cod. pen., la condotta dell'extraneus che mediante artifizi e raggiri, induca in errore il giudice a disporre la liquidazione di somme non spettanti, così procurandosi un ingiusto profitto (Sez. 6, n. 34517 del 05/07/2023, Dell'Oca, Rv. 285176 - 01, nella fattispecie l'agente, mediante la dichiarazione di attualità dei crediti oggetto di pregressa domanda di insinuazione al passivo, benché nelle more soddisfatti in via transattiva, e il deposito dei relativi titoli in originale, conseguiva la liquidazione di poste a carico della massa solo simulate; conf. Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023 (dep. 2024), con riferimento alla truffa posta in essere da un amministratore giudiziario che ha chiesto (e ottenuto) la liquidazione di onorari e spese non spettanti). In tal caso, infatti, a differenza della c.d. truffa processuale, il giudice non decide una controversia civile, ma pone in essere un atto dispositivo a contenuto patrimoniale sulla base della legge. Nel presente processo i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto gli artifizi e i raggiri posti in essere dal ricorrente sono stati diretti ad ottenere dal giudice non già un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma la liquidazione dell'onorario per l'espletamento dell'incarico di consulente tecnico di ufficio. Parimenti il deposito in cancelleria da parte del consulente tecnico di ufficio dell'istanza di liquidazione dei compensi, corredata da giustificativi di spese mendaci, costituisce atto idoneo e diretto in modo non equivoco a trarre in inganno il giudice, qualora l'istanza non sia stata liquidata. 4. Con il secondo motivo l'avvocato Ri. ha censurato la violazione degli artt. 157-161 cod. proc. pen., in quanto il reato di truffa accertato si sarebbe prescritto prima della pronuncia di secondo grado, intervenuta in data 14 aprile 2023. 5. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto nel corso del giudizio di primo grado sono intervenuti due periodi di sospensione del corso della prescrizione, per complessivi ottantotto giorni. La prima sospensione, di ventiquattro giorni, è, infatti, intervenuta all'udienza del 14 febbraio 2020, quando il processo è stato rinviato all'udienza del 13 marzo 2020 per impedimento, dovuto alle condizioni di salute dell'avvocato Ca.Bo., difensore di Di.Pl.. La seconda sospensione, di sessantaquattro giorni, dal 9 marzo all'11 maggio 2020, è stata disposta dall'art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, in quanto l'udienza originariamente fissata per il 13 marzo 2020 non si è tenuta in ragione della sospensione delle attività processuali determinata dalla necessità di evitare il propagarsi della pandemia. Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, hanno statuito che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell'emergenza pandemica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all'11 maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020 (dep. 10/02/2021), Sanna, Rv. 280432 - 02, in motivazione, la Corte ha escluso che la sospensione della prescrizione possa operare in maniera generalizzata, per tutti i procedimenti pendenti, in quanto la disciplina introdotta all'art. 83, comma 4, d.l. n.18 del 2020, presuppone che il procedimento abbia subito una effettiva stasi a causa delle misure adottate per arginare la pandemia). Pertanto, posto che il delitto di tentata truffa contestato al capo 2) si è consumato in data 16 luglio 2015, all'atto del deposito nella cancelleria dell'istanza di liquidazione dei compensi da parte del consulente tecnico di ufficio Mi.En., il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, aumentato di ottantotto giorni, sarebbe maturato allo scadere del 14 aprile 2023. La Corte di appello, dunque, ha legittimamente emesso la sentenza impugnata in data 14 aprile 2023, prima del perfezionarsi della causa estintiva del reato. Secondo il criterio di computo enunciato dall'art. 14 cod. pen., infatti, il termine finale della prescrizione coincide con l'ultimo momento del giorno (o del mese) calcolato secondo il calendario comune (Sez. 3, n. 312 del 05/01/1974 (dep. 1975), Rotunno, Rv. 129007-01). 6. L'avvocato Bo., nell'interesse del Di.Pl., con il primo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all'art. 610 cod. proc. pen. e la nullità dell'ordinanza emessa dalla Corte di appello in data 14 aprile 2023, quanto all'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio in appello al codifensore, avvocato Gi.Qu. 7. Il motivo è manifestamente infondato. Il difensore ha eccepito all'udienza del 14 aprile 2023 l'omessa notifica dell'avviso di fissazione del giudizio di appello in favore del difensore, avvocato Gi.Qu., non comparsa alla precedente udienza tenutasi innanzi alla Corte di appello. La Corte, tuttavia, ha rigettato l'eccezione, ritenendola tardiva, "risultando la presenza del codifensore alla precedente udienza e conseguentemente l'onere di sollevare la relativa eccezione". Ad avviso della Corte, infatti, l'avvocato Bo. già all'udienza del 17 febbraio 2023 avrebbe dovuto eccepire l'omessa notifica del decreto di citazione in favore dell'avvocato Qu. (che, peraltro, non era comparsa neppure a tale udienza) e l'inerzia sul punto ha determinato la sanatoria del vizio e la conseguente tardività dell'eccezione. La decisione è corretta. Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la nullità a regime intermedio, derivante dall'omesso avviso dell'udienza a uno dei difensori dell'imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a opera dell'altro difensore comparso, pur quando l'imputato non sia presente (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244187-01, in motivazione la Corte ha precisato che è onere del difensore presente, anche se nominato d'ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche l'altro difensore di giudice e il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice). In caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato, si configura, infatti, una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicché la mancata proposizione dell'eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l'imputato, regolarmente citato, sia presente o meno (Sez. 5, n. 55800 del 3/10/2018, Intoppa, Rv. 274620-01). 8. Con il secondo motivo l'avvocato Bo. ha censurato l'errata applicazione dell'art. 373 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi del delitto di falsa perizia e il vizio di motivazione sul punto. 9. Il motivo è inammissibile, sia sotto il profilo dell'inosservanza della legge penale, che sotto quello del vizio di motivazione. 9.1. Il motivo è inammissibile, in relazione alla violazione di legge dedotta, in quanto l'imputato, in seguito alla dichiarazione di estinzione del reato per effetto della prescrizione, non ha interesse a ottenere l'esclusione della qualificazione della condotta accertata ai sensi dell'art. 373 cod. pen. ai fini della pronuncia sulla responsabilità civile da reato. L'imputato ha, infatti, un interesse concreto a contestare, ai fini civili, la diversa qualificazione giuridica del fatto attribuita dalla sentenza di prescrizione solo quando quest'ultima si riverberi sulla quantificazione del danno morale o del danno biologico. Nel caso di specie, tuttavia, l'imputato non ha indicato specifici profili che possano dimostrare l'interesse concreto alla diversa qualificazione giuridica dei fatti, che possano riverberarsi nel successivo processo civile per la determinazione dell'entità del danno da reato. L'interesse a ricorrere, del resto, risulta escluso quando, alla stregua della stessa richiesta della parte legittimata all'impugnazione, la decisione del giudice dell'impugnazione non inciderebbe nella sfera sostanziale della parte proponente (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 e Sez. 1, n. 47675 del 24/11/2011, Loffredo, Rv. 252183). L'impugnazione, per essere ammissibile, deve, infatti, tendere all'eliminazione della lesione di un diritto, in quanto non è prevista la possibilità di proporre un'impugnazione che miri unicamente all'esattezza giuridica della decisione, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente (ex plurimis: Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Morrone, Rv. 270957 - 01). Del resto, quand'anche si accedesse alla richiesta dell'imputato di escludere la qualificazione del fatto come falsa perizia, non ne conseguirebbe l'irrilevanza penale dello stesso, ma la sua qualificazione ai sensi dell'art. 479 cod. pen. quale falso ideologico del perito, in ragione del rapporto di specialità che intercorre tra le due fattispecie di reato (cfr, Sez. 6, n. 20314 del 26/02/2015, Morena, Rv. 263410 - 01). Il rilievo sotto il profilo risarcitorio del turbamento del regolare svolgimento del processo civile, determinato dalla produzione in giudizio di una falsa consulenza tecnica di ufficio, dunque, permane, indipendentemente dalla qualificazione in sede penale di tale condotta falsa perizia o falso ideologico del perito. 9.2. Il motivo è parimenti inammissibile in relazione al vizio di motivazione dedotto. Il difensore ha, infatti, argomentato l'insussistenza della falsità della consulenza tecnica di ufficio, in quanto ritenuta da Di.Pl. conforme al proprio convincimento; parimenti la falsità sarebbe stata esclusa dal giudice civile, pur a fronte del rilievo di numerose anomalie e, comunque, non avrebbe inciso sulla decisione del processo civile, fondata sull'accertamento tecnico preventivo eseguito in fase cautelare. Tali rilievi, essendo volti a contestare in fatto la sussistenza del delitto contestato, si confrontano con la prova e non con la motivazione della sentenza impugnata. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944). 10. Con il terzo motivo l'avvocato Bo. ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso di Di.Pl. nel delitto asseritamente commesso da Mi.En.. 11. Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello di Roma, del resto, ha non incongruamente ritenuto dimostrato l'accordo sulla base delle risultanze dei tabulati telefonici, che dimostrano contatti tra i soggetti intensificatisi a ridosso del deposito della consulenza tecnica di ufficio, e del rinvenimento nell'agenda personale del Di.Pl. della relazione, ma priva di sottoscrizione. 12. Con il quarto motivo il difensore ha censurato la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'attribuzione della paternità del file denominato "Tribunale ordinario di Rieti CTU definitiva" al Di.Pl.. 13. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a sollecitare la Corte di legittimità a un rinnovato esame degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, mediante un confronto diretto con gli stessi. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482). La Corte di appello, peraltro, quanto alla paternità del file, richiamando la sentenza di primo grado, ha congruamente rilevato che sul computer del Mi.En. non è stato rinvenuto alcun file corrispondente a quello depositato, ad eccezione del file rinvenuto nella casella di posta elettronica, utilizzato per il deposito della perizia. Nel computer del Di.Pl., per converso, è stato rinvenuto un file pdf integralmente corrispondente al file depositato da Mi.En. quale consulenza tecnica di ufficio. 14. Con il quinto motivo il difensore ha dedotto la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'assenza dei danni asseritamente causati alle parti civili e al difetto di legitimatio ad causam. 15. Il motivo è inammissibile, in quanto il Tribunale ha legittimamente ammesso la costituzione di parte civile dei condomini e dei condomini indicati in epigrafe quali soggetti danneggiati dal reato. La Corte di appello ha, inoltre, non irragionevolmente indicato la ragione di danno nel pregiudizio cagionato alle parti processuali, costituitesi parti civili, dalla turbativa del regolare ordine delle attività processuali determinato dall'introduzione nel materiale probatorio di una consulenza tecnica di ufficio redatta in violazione dei doveri di terzietà e imparzialità del perito. 16. Alla stregua di tali rilievi, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Gli imputati devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4971,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in favore di Condominio (...) e Fe.At. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, in favore di Pr.Fe. e Pa.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge, e in favore di Sc.Ma. in complessivi euro 4791,00, oltre accessori di legge. Così deciso il 22 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere-Rel. Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: Fo.Gi. nato a L il (Omissis) Me.Ma. nato a P il (Omissis) Fa.Pi. nato a T il (Omissis) avverso la sentenza del 27 aprile 2023 della Corte Appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Mari Attilio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Orsi Luigi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. E' presente l'avvocato Za.Gi. del foro di Torino in difesa di: Fo.Gi. Me.Ma. Fa.Pi. il quale chiede l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza emessa il 26/05/2021 dal Tribunale di Torino nei confronti di Fo.Gi., Me.Ma. e Fa.Pi., con la quale gli stessi erano stati condannati alla pena di giorni venti di reclusione ciascuno, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella del risarcimento del danno ritenute prevalenti rispetto alla contestata aggravante, con beneficio della sospensione condizionale e della non menzione della condanna, in relazione al reato previsto dagli artt. 40, 113 e 590, commi 1-3, cod. pen. 1.1 Era stato contestato agli imputati - specificamente al Fo.Gi. nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato e al Me.Ma. quale amministratore delegato della (...) Srl - di avere cagionato colposamente ad He.Eu., dipendente della stessa società, lesioni personali di durata superiore ai quaranta giorni, consistenti in frattura vertebrale e lesioni multiple; colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella violazione degli artt. 146, 100 e 96 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81, omettendo di circondare gli scavi esistenti presso l'ex stabilimento "Leumann" con parapetti e tavole fermapiede ovvero di coprirli con tavolato fissato di resistenza non inferiore a quella di calpestio dei ponti di servizio, di realizzare la protezione delle aperture previste nel piano di sicurezza e coordinamento e di predisporre il piano operativo di sicurezza; nonché al Fa.Pi. - in qualità di coordinatore per la sicurezza - di avere omesso di verificare l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, di sospendere le lavorazioni fino alla verifica degli adeguamenti da parte dell'impresa esecutrice e di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, in violazione dell'art.92 del D.Lgs. n. 81/2008. 1.2 La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado; dalla quale era emerso che la (...) Srl era titolare di un contratto di appalto per l'esecuzione della sistemazione della rete fognaria sotto l'area denominata lotto 82, con esecuzione di scavi e fornitura e posa in opera di tubazioni nel complesso dell'ex stabilimento industriale "Leumann" sito in Collegno; che, nel pomeriggio del 14/12/2017, i lavoratori He.Eu. e Ma.Ax. stavano posizionando alcune tubazioni all'interno di uno scavo e si stavano accingendo a spostare un tubo che ingombrava lo spazio lavorativo; che lo He.Eu. si era spostato nella parte superiore della trincea, collocata a 210 cm rispetto al fondo della struttura interrata e che era da qui scivolato dal relativo bordo riportando le suddette lesioni; che, dalla allegata documentazione fotografica, risultava che il piano di calpestio sul quale il lavoratore si era trovato a operare era contraddistinto dalla presenza di una serie di scavi sprovvisti di protezioni rispetto al rischio di caduta verso il suolo sottostante, essendo presenti solo dei frammenti di nastro bianco e rosso per la segnalazione del pericolo e alcuni pezzi di parapetti in legno ma nessun tipo di barriere delimitanti il ciglio della trincea; che, quindi, l'esame della documentazione fotografica aveva evidenziato la presenza di una fitta rete di trincee prive di parapetti, tali da costituire un ambiente di lavoro estremamente pericoloso. La Corte ha quindi ritenuto non rilevante la questione attinente alla qualificazione della lavorazione come svolta in quota - come sostenuto dal Tribunale - ovvero di scavo in senso proprio, soggetto alla norma di prevenzione di cui all'art.118, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008; rilevando che la suddetta pericolosità intrinseca della postazione lavorativa avrebbe dovuto obbligare il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie per la messa in sicurezza, nel caso concreto consistenti nella predisposizione di parapetti e tavole fermapiede ovvero nella copertura dello stesso con tavolato solidamente fissato. Ha ritenuto che, correttamente, il Tribunale avrebbe imputato ai datori di lavoro anche la mancata vigilanza sull'osservanza delle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, le quali erano state disattese. In relazione alla posizione del coordinatore della sicurezza nonché direttore dei lavori, ha osservato che il paragrafo 6.2 del piano di sicurezza e coordinamento risultava dedicato alla messa in opera di protezioni delle aperture prospicienti il vuoto, con prescrizioni che risultavano essere state disattese senza che il coordinatore assumesse alcuna iniziativa sul punto; rilevando che il coordinatore per la sicurezza, nonché direttore dei lavori, rivestiva concretamente una posizione di garanzia che lo avrebbe onerato della sicurezza del cantiere. La Corte ha altresì rilevato che non poteva ravvisarsi alcun comportamento abnorme in capo al lavoratore infortunato - deduttivamente consistente nell'avere fatto accesso alla tubazione da rimuovere avvicinandosi al cunicolo anziché operando da sotto al vicino ponteggio - non presentando la condotta requisiti di imprevedibilità tali da escludere la responsabilità dei garanti. 2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato ricorso per cassazione suddetti imputati, tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione. Con il primo motivo hanno dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 40, comma 2, 43, 113, 590, commi 1-3 e 583 c. 1, n.1, cod. pen. e agli artt. 19, 20. 92, 96, 100, 118, comma 5 e 146 D.Lgs. n.81/2008 per l'affermazione relativa alla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato in violazione del canone dell"'al di là di ogni ragionevole dubbio"; nonché la violazione dell'art.606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all'art. 516 cod. proc. pen. per avere la sentenza addebitato al Fa.Pi. la responsabilità derivante dalla qualifica di direttore dei lavori, al medesimo mai contestata. Hanno dedotto che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto di rigettare le doglianze degli appellanti relative: a) all'erronea individuazione delle norme cautelari gravanti sui ricorrenti, nelle specifiche qualifiche rivestite, con riferimento all'errata individuazione degli artt. 100 e 146 del D.Lgs. n. 81/2008, relativi ai lavori in quota anziché dell'art.118, D.Lgs. n.81/2008, relativo alle opere di scavo nel terreno per posa di tubazioni e che non richiede l'apposizione di parapetti o tavolati ma solo di idonee delimitazioni; b) alla erronea individuazione dei conseguenti doveri di comportamento; c) all'omesso esame relativo alla presenza di un preposto che dirigeva l'attività dell'infortunato; d) alla conseguente non ascrivibilità dell'evento lesivo. Hanno altresì dedotto che la sentenza presentava un vizio di travisamento della prova in relazione all'effettivo contenuto prescrittivo del piano per la sicurezza e coordinamento (PSC) e del piano operativo di sicurezza (POS); atteso che, negli stessi, la segnalazione degli scavi era prevista sia a livello progettuale e sia a livello operativo, in conformità con il disposto dell'art. U8, comma 5, D.Lgs. n.81/2008. Hanno esposto che risultava affetta da violazione di legge e da vizio di motivazione l'asserzione relativa al ruolo rivestito dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione quale direttore dei lavori, qualifica mai contestata al Fa.Pi. con conseguente violazione del diritto di difesa; esponendo come la sentenza impugnata, oltre ad avere errato nell'individuazione della regola cautelare, aveva posto sul coordinatore per la sicurezza un onere di vigilanza continua, esponendo come gli oneri del coordinatore fossero ravvisa bili nella sola ipotesi di rischio interferenziale e non, come nel caso di specie, in presenza di una sola impresa esecutrice ed essendo comunque configurabile un obbligo di sospensione dei lavori nella sola ipotesi di un imminente e grave pericolo e non nel caso di occasionali ed estemporanee situazioni di pericolo medesimo. Hanno altresì esposto che la sentenza impugnata non avrebbe dato adeguata rilevanza alla condotta del lavoratore infortunato, che aveva rimosso le segnalazioni ed effettuato un accesso all'area interdetta, con conseguente errata interpretazione del disposto dell'art.20 del D.Lgs. n. 81/2008 e non avrebbe altresì dato rilevanza alla presenza di un soggetto preposto. Con il secondo motivo di impugnazione, hanno dedotto la violazione dell'art.606, comma l, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all'art.20 del D.Lgs. n.81/2008 e agli artt. 133, 40, comma 2, 42, 43, 113, 590, commi 1-3, 583, comma 1, n. 1), cod. pen., con riferimento alla corretta applicazione dei criteri di individuazione del grado di colpa ascrivibile ai ricorrenti e alla scelta e quantificazione della pena. Hanno argomentato che, erroneamente, la sentenza non avrebbe applicato ai ricorrenti la pena pecuniaria in luogo della pena detentiva, non tenendo conto della colpa concorrente in capo alla persona offesa. 3. La difesa dei ricorrenti ha successivamente fatto pervenire memoria illustrativa nella quale ha insistito per l'accoglimento delle impugnazioni. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono infondati. 2. Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "II giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, ZanoUi, Rv. 225671; Sez. S, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617). 3. Nel primo e articolato motivo di impugnazione, i ricorrenti (nel primo punto) hanno contestato l'impianto argomentativo delle sentenze impugnate nella parte in cui - in conformità con la contestazione operata nel capo di imputazione - hanno individuato la regola cautelare violata in quella prevista nella fattispecie delle lavorazioni in quota anziché in quella prevista dall'art. 118, comma S, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e che - nella specifica materia delle opere di scavo - avrebbe imposto, in presenza di opera di scavo nel terreno per posa nelle tubazioni - la sola apposizione di "opportune segnalazioni spostabili col proseguire dello scavo" non rendendo quindi necessaria, secondo la prospettazione difensiva, la posa di parapetti o tavolati ma solo delle segnalazioni medesime. La censura è infondata. Sul punto, deve ritenersi che la sentenza di primo grado - non smentita, nello specifico passaggio motivazionale, da quella di appello - abbia fatto corretta applicazione del disposto dell'art.l07 del D.Lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale "si intende per lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile", con la conseguente necessità dell'adozione delle necessarie misure precauzionali tra cui quella contenuta nell'art. 146 del D.Lgs. n. 81/2008, evocata nel capo di imputazione. Sul punto, deve infatti ritenersi che per "lavoro in quota" debbano intendersi, non solo le operazioni che si svolgano ad un'altezza superiore a due metri da terra su strutture prive di strutture di contenimento o parapetti, tali da necessitare di impalcature o ponteggi al fine di evitare il pericolo di caduta dei lavoratori, bensì tutte le attività che si svolgano ad oltre due metri da un piano stabile, anche ove si operi su superfici piane, contenute da parapetti, allorquando qualsiasi conformazione della struttura o di una sua parte possa comportare la caduta del lavoratore da un'altezza di oltre due metri. Si tratta di una precisazione, che si ricava dalla lettera dell'art. 122 del D.Lgs. n.81/2008, il quale stabilisce una regola generale su tutti i lavori che siano eseguiti ad oltre due metri di altezza, senza distinzione alcuna; che questa sia la corretta lettura si trae dalle misure che la disposizione indica quali opere di contenimento dal rischio di caduta, non solo, infatti, "adeguate impalcature o ponteggi" ma anche "idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare" quel pericolo (così, in motivazione, Sez. 4, n. 5128 del 23/11/2021, dep. 2022, Carotenuto, Rv. 282600) e tanto sulla base dell'argomentazione in forza della quale il rischio considerato dalle richiamate disposizioni è quello determinato dalla mera allocazione di postazioni di lavoro ad una quota tale da rendere la caduta pericolosa per l'uomo (Sez. 4, n. 21517 del 09/02/2021, Marchesotti, Rv. 281245). Deve quindi ritenersi coerente con i predetti principi la valutazione dei giudici di merito; i quali hanno considerato come eseguiti in quota i lavori di pertinenza dall'He.Eu., in quanto eseguiti su un punto del terreno - ovvero la base superiore di una trincea - collocata, sulla base delle evidenze istruttorie, alla distanza di 210 centimetri rispetto al fondo della struttura interrata. In ogni caso - per completezza argomentativa - deve rilevarsi come la prospettazione di parte ricorrente e in base alla quale l'esecuzione di lavori di scavo avrebbe imposto la mera apposizione di segnalazioni in luogo di adeguati presidi di protezione, appare errata alla luce delle disposizioni di riferimento. Difatti, l'art.118, comma 5, del D.Lgs. n.81/2008, invocato dalla difesa, impone la sola delimitazione delle opere "almeno" con le opportune segnalazioni, mentre il successivo art. 119 - applicabile a scavi, pozze e cunicoli - impone, una serie di specifiche opere precauzionali non limitata alle segnalazioni medesime. Deve quindi ritenersi che il motivo di ricorso, in tale parte, abbia - di fatto ­ omesso di confrontarsi con la specifica argomentazione richiamata nella sentenza di appello; e in base alla quale, in presenza di regole cautelari (come nel caso di specie) di tipo "elastico" è necessario, ai fini dell'accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione ex ante che tenga conto delle circostanze del caso concreto (Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, Petti, Rv. 274949), con la conseguenza che il comportamento alternativo corretto, deve essere individuato in quella condotta che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, avrebbe evitato il verificarsi dell'evento; derivandone che, per aversi un comportamento alternativo corretto può non essere sufficiente, una mera condotta osservante delle regole cautelari (contrapposta alla condotta inosservante delle medesime regole) ma è necessaria quella condotta che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe stata idonea ad evitare l'evento (SezA, n. AOOSO del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871). Nel caso di specie, quindi, va rilevato come le sentenze di merito - con passaggi argomentativi non fatti oggetto di specifica censura - abbiano messo in evidenza come l'ambiente di lavoro, valutato in concreto sulla scorta delle emergenze istruttorie, si presentasse oggettivamente insidioso in quanto caratterizzato "da una fitta rete di trincee prive di parapetti" (pag. 6 della sentenza di appello); elemento fenomenico in presenza del quale doveva ritenersi concretamente esigibile una condotta alternativa di prevenzione dello specifico rischio lavorativo, sicuramente non soddisfacibile mediante la mera apposizione di segnalazioni, come invece dedotto in sede di prospettazione difensiva. 5. Con il secondo e il terzo punto di censura sviluppati nel primo motivo, la difesa ha dedotto che i giudici di merito avrebbero errato nell'individuare il contenuto prescrittivo del piano per la sicurezza e coordinamento (PSC) e del piano operativo di sicurezza (POS), deducendo come la segnalazione degli scavi sarebbe stata ivi prevista e regolata in conformità con il richiamato art.118, comma 5, D.Lgs. n.91/2008; deducendo altresì che la sentenza impugnata avrebbe errato nel riconoscere al coordinatore per l'esecuzione dei lavori una posizione di garanzia, in relazione a un dedotto obbligo di vigilanza continua, anche in considerazione della sua inerenza alla sola gestione del rischio derivante da interferenza tra attività facenti capo a diverse imprese operanti nello stesso spazio lavorativo; osservando che il potere di sospensione dei lavori previsto dall'art. 92, lett. f), D.Lgs. n.81/2008 sarebbe da ricollegare solo a imminente e grave pericolo e non a evenienze di carattere estemporaneo. Le censure non sono fondate. 5.1 Va premesso che le argomentazioni inerenti al contenuto del PSC e del POS sono distoniche rispetto al contenuto del capo di imputazione e alle argomentazioni esposte nelle sentenze di merito, nell'ambito delle quali è stato ascritto all'imputato Fa.Pi. - non addebiti relativi al contenuto dei suddetti documenti - ma il venire meno agli obblighi di verifica della corretta applicazione dei medesimi e l'omessa attivazione dei conseguenti poteri di sospensione dei lavori. Deve altresì rilevarsi come non sussista il lamentato vizio di violazione della legge processuale riferito all'art. 516 cod. proc. pen. e prospettato dalla difesa; atteso che le sentenze di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità del suddetto imputato in solo riferimento alla posizione di coordinatore per la sicurezza e non a quella di direttore dei lavori, non originariamente contestata. 5.2 In riferimento alla figura del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori - figura definita dall'art. 89, lett. e) ed f), D.Lgs. n.81/2008 - e in relazione ai compiti conferiti a tale ultima figura dall'art.92 dello stesso testo normativo, deve ritenersi - in aderenza a orientamento già espresso da questa Sezione e cui si intende, in questa sede, dare continuità - che allo stesso vadano riconosciuti degli obblighi impeditivi legati ai rischi di cantiere anche qualora non derivanti da rischio interferenziale; non esaurendosi i compiti prevenzionistici nell'attività di mero collegamento e raccordo tra le imprese impegnate nella realizzazione dell'opera ma implicando gli stessi una verifica costante da parte degli esecutori delle specifiche procedure di lavoro nonché il conseguente esercizio del potere previsto dall'art. 92, lett.f), D.Lgs. n.81/2008, la cui violazione è stata direttamente contestata nel caso di specie e in base al quale il coordinatore "sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate". Sul punto (richiamando quanto recentemente espresso in parte motiva da Sez. 4, n. 42845 del 04/10/2023, Tramontin, Rv. 285380), vanno ribaditi i principi affermati con specifico riferimento al potere/dovere conferito dalla predetta disposizione e in forza dei quali deve ritenersi che la legge delinei sul coordinatore per la sicurezza una funzione peculiare, rispetto al generale compito di alta vigilanza che grava su tale figura della sicurezza e che consistono, sempre ai sensi dell'art. 92 citato: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione delta sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 14636 del 23/3/2021, Scalise; Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735). Il coordinatore, oltre ai compiti specificamente assegnatigli dall'art. 92 citato e, sebbene non sia tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, mantiene l'obbligo di attivarsi, in caso di sussistenza di un pericolo nei termini di cui all'art. 92 c. 1, lett. f), cit. Tale ultimo obbligo, tuttavia, non è correlato alla natura del rischio interferenziale che è chiamato a gestire, poiché egli risponde per colpa in omissione, allorquando versi in condizioni di avvedersi o essere informato dell'esistenza di un pericolo grave e imminente e rimanga inerte, a prescindere dal fatto che il pericolo sia correlato a un rischio interferenziale. Tale interpretazione discende direttamente dalla lettera della legge: alla lett. e) della norma richiamata, infatti, il legislatore prevede che il coordinatore, allorquando riscontri la violazione di obblighi assegnati ad altre figure della sicurezza, proponga la sospensione dei lavori al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato, previa contestazione delle violazioni ai lavoratori autonomi o alle imprese. La successiva ipotesi di cui alla lett. f), invece, non è correlata al riscontro di specifiche violazioni da parte delle altre figure di gestori del rischio, ma direttamente ed esclusivamente alla riscontrata esistenza di un pericolo grave e imminente; pertanto, a tal fine, diventa rilevante la verifica del momento del manifestarsi di inequivocabili segnali di sussistenza di tale pericolo e della sua imminenza, ma anche quella della prevedibilità in capo al coordinatore medesimo, sul quale, come sopra ricordato, non grava l'obbligo di una presenza costante in cantiere. Trattasi, dunque, di una vera e propria norma di chiusura che, al di là degli obblighi di alta vigilanza previamente indicati dalla lettera a) alla lett. d) - questi direttamente correlati al rischio di interferenze tra le diverse realtà lavorative ­ impone comunque al coordinatore un obbligo più generale di sospensione delle lavorazioni ogni qualvolta abbia contezza di una siffatta situazione di pericolo (Sez.) 4, n. 14636/2021, cit.; espressivi di principi analoghi a quelli riassunti sono Sez. 4, n. 2845 del 15/10/2020, dep. 2021, Martinelli, Rv. 280319; Sez. 4, n. 10181 del 10/12/2020, dep. 2021, Marulli, Rv. 280955). 5.3 Deve quindi ritenersi che i giudici di merito si siano adeguatamente confrontati con i predetti principi, ritenendo che il coordinatore per l'esecuzione sia venuto meno ai propri doveri di verifica della corretta attuazione del contenuto del piano di sicurezza e coordinamento e che prevedeva una specifica protezione delle aperture (in ciò venendo meno al dovere previsto dall'art.92, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008) e al dovere di sospensione dei lavori -previsto dall'art. 92, lett. f) ­ sino al relativo adeguamento da parte dell'impresa esecutrice nonostante la situazione di pericolo derivante dalla mancata adozione delle protezioni necessarie e tanto - come sottolineato dal Tribunale - pure in presenza della accertata conoscenza dello stato dei luoghi (essendo solo in senso strumentale a tale circostanza valorizzabile, come fatto dalla Corte d'appello alla pag. 7 della sentenza impugnata, il ruolo di direttore dei lavori conferito al Fa.Pi.); avendo la Corte territoriale altresì valorizzato - con motivazione da ritenersi pienamente logica ­ l'elemento di fatto in base al quale il predetto imputato, come dallo stesso dichiarato in sede di esame, si recava giornalmente sui luoghi. Ne consegue che le valutazioni dei giudici di merito in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia devono ritenersi conformi al quadro normativo applicabile al caso di specie; posizione di garanzia - a propria volta e in riferimento alle deduzioni contenute nel quinto punto del motivo di ricorso - non escluse dalla presenza di un lavoratore con funzioni di preposto, non essendo la relativa figura comunque gravata degli oneri conseguenti al rispetto del PSC e del POS. 6. Con il quarto punto del primo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno dedotto il vizio di violazione di legge e di vizio di motivazione in relazione all'omessa valutazione della condotta colposa tenuta dal lavoratore, asseritamente avente valenza causale esclusiva in ordine alla causazione dell'evento. La censura è infondata. Va quindi rilevato - sotto tale aspetto - che il datore di lavoro, nonché gli altri destinatari delle norme antinfortunistiche, sono esonerati da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia qualificabile come abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli. In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237). In sostanza, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez. A, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv.252373, nonché, in senso coerente, anche Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242), ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez. A, n. 4114 del 13/01/2011, n. 4114, Galante, n.m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996). Deve quindi rilevarsi come le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, in adesione a quelle formulate nella motivazione della sentenza di primo grado, si siano adeguatamente confrontate con i predetti principi, con motivazione immune dal denunciato vizio di contraddittorietà. Nel caso di specie, difatti, il giudice di appello ha coerentemente escluso che al comportamento del lavoratore potesse essere attribuita la valenza di abnormità nel senso suddetto, essendo l'infortunio avvenuto nel contesto dell'esercizio della mansioni conseguenti alla prestazione affidata, rientrante nel segmento di lavorazione di competenza e del tutto privo dei connotati di eccentricità e imprevedibilità; coerentemente escludendo che la circostanza che il lavoratore avesse scelto di accedere alla tubazione da rimuovere avvicinandosi al cunicolo anziché operando dal di sotto del vicino ponteggio potesse ritenersi tale da concretizzare un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante era chiamato a governare (Sez. 4, n. 123 del 11/12/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 274829). 7. Il secondo motivo - con il quale è stata censurata la scelta dei giudici di merito di applicare la pena detentiva in luogo di quella pecuniaria - è infondato. Va quindi richiamato il principio in base al quale il giudice, nell'esercizio del potere di scelta fra l'applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (Sez. 6, n. 10772 del 20/02/2018, F., Rv. 272762). Sul punto, peraltro, come rilevato in parte motiva da Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263201, il sindacato di legittimità su tale motivazione non può che essere limitato ai vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Nel caso che occupa è quindi da escludersi che sia manifestamente illogica la valorizzazione - compiuta dal giudice di primo grado e integralmente condivisa a quella di appello al fine di giustificare la scelta della sanzione - facente riferimento al grado della colpa e all'elevato pregiudizio fisico subìto dal lavoratore. 8. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 19 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. CRISCUOLO Anna - Presidente - Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Relatore Dott. RICCIO Stefania - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Mi.Gi., nato a B il Omissis avverso la sentenza del 06/07/2023 della Corte di appello di Torino; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola Lettieri che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso; letta la memoria difensiva dell'Avvocato Ca.Ma., nell'interesse della parte civile costituita in persona dell'amministratore di sostegno e curatore speciale di Bo.Em., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con pronuncia del 20 gennaio 2020, la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Biella del 19 novembre 2018, assolveva Mi.Gi. e Ni.Fl. dal delitto di circonvenzione di incapace ai danni di Bo.Em.., ritenendo l'assenza di prove della loro responsabilità per mancata valutazione della documentazione clinica dell'epoca non acquisita. La Corte di cassazione, con sentenza della Seconda Sezione n. 35741 del 28 settembre 2020, annullava con rinvio la pronuncia assolutoria e la Corte di appello, dopo avere svolto una perizia medico legale in ordine alla condizione psichiatrica della persona offesa all'epoca dei fatti, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Ni.Fl. per intervenuta prescrizione e, attesa la rinuncia di Mi.Gi. alla causa estintiva, confermava la condanna nei suoi confronti, pronunciata dal Tribunale di Biella, incluse le statuizioni civili. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Mi.Gi., a mezzo del difensore, deducendo i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge per inosservanza dell'art. 82, comma 2, cod. proc. pen. per non avere la Corte di appello revocato la costituzione di parte civile di Bo.Em. che, parallelamente al processo penale, aveva promosso l'azione davanti al giudice civile. 2.2. Vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata aveva fatto proprie, in modo acritico, le conclusioni del perito, fondate sulla sola documentazione del consulente di parte, e senza l'acquisizione di tutta la documentazione medica riguardante la storia clinica della persona offesa e le dichiarazioni del suo medico curante. 2.3. Vizio di motivazione in ordine alle prove del primo grado di giudizio che, con riferimento ai profili sanitari, solo successivamente erano state acquisite e, pur essendo note e prive di affidabilità scientifica, come risulta anche dalla consulenza tecnica di ufficio del Dottor Ro.. Lo stesso era avvenuto con riferimento alle prove relative alle operazioni bancarie e alla cassetta di sicurezza della persona offesa. 3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è aspecifico. La doglianza non si confronta con la sentenza nella parte in cui, a pagina 11, rappresenta come dagli stessi documenti prodotti dalla difesa emergesse come l'oggetto della causa civile fosse completamente diverso rispetto a quello del processo penale in quanto relativo all'annullamento della donazione della persona offesa a favore di Mi.Gi. della nuda proprietà di un appartamento sito in Biella, non oggetto di contestazione. 3. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente attenendo entrambi alla valutazione delle prove, sono generici. La coerente ricostruzione operata dalla sentenza di merito, tenendo conto delle indicazioni della sentenza rescindente - che aveva censurato il ribaltamento della decisione avvenuto senza colmare la lacuna relativa alla circonvenibilità della persona offesa (pag. 9) -, è contestata dal ricorso per un'asserita insufficienza e contraddittorietà della motivazione senza l'indicazione di quale sia il vizio che la inficia e senza l'esame degli argomenti sviluppati dalla della sentenza impugnata. La Corte di merito, al contrario, ha fondato la decisione, previa attivazione dei poteri di integrazione probatoria, disponendo una perizia medico-legale che ha accertato la condizione di fragilità psichica, cognitiva, emotiva e personologica della persona offesa, ritenuta dal perito di immediata riconoscibilità e comprovata dalla sistematica attività di spoliazione delle sue risorse economiche, inclusa la cointestazione con Mi.Gi. di un conto corrente sul quale erano stati versati quasi Euro 270.000, gran parte dei quali non più rinvenuti. Alla luce di questi elementi la censura non ha spiegato in quali termini la presunta mancata acquisizione di tutta la documentazione medica relativa alla condizione sanitaria della persona offesa, soprattutto quella riguardante la tiroide, avesse inciso sugli esiti peritali concernenti la sua circonvenibilità, atteso che alle operazioni aveva preso parte il consulente tecnico della difesa. Negli stessi termini deve concludersi con riferimento ai motivi di ricorso concernenti la cointestazione dei conti correnti, i prelievi di somme allo sportello e l'esistenza di una cassetta di sicurezza intestata alla persona offesa che pongono, in modo confuso, questioni di puro merito non consentite in questa sede e alle quali la sentenza impugnata, integrandosi con la conforme decisione di primo grado, ha fornito puntuale risposta attraverso l'esame approfondito di tutte le prove, documentali e testimoniali, assunte. 4. Alla declaratoria di inammissibilità, fondata sugli argomenti esposti, segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione alla parte civile costituita, che ha depositato memoria difensiva, delle spese di rappresentanza e difesa del presente grado, che liquida in euro 3686,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile costituita, che liquida in euro 3686,00 oltre accessori di legge. Così deciso il 23 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere-Rel. Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. LANNA Angelo Valerio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Le.Li. nato a B il (Omissis) avverso la sentenza del 29 maggio 2023 della Corte Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Siani Vincenzo; preso atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Cocomello Assunta, ha concluso con requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell'art. 23 D.L. n. 137/2020 e succ. modd., chiedendo il rigetto del ricorso; preso atto che il difensore del ricorrente, avv. Fa.Fa., ha rassegnato memoria con conclusioni, insistendo per l'accoglimento del ricorso e, comunque, chiedendo la declaratoria di prescrizione del reato di bancarotta semplice; RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 28 maggio 2023, la Corte di appello di Milano giudicando Le.Li. in sede di rinvio - a seguito di annullamento parziale pronunciato dalla Corte di cassazione (con la sentenza di Sez. 5, n. 47385 del 25/11/2022) della sentenza resa dalla Corte di appello di Milano il 25 giugno 2021, confermativa della sentenza de 6 febbraio 2019 pronunciata in primo grado dal Tribunale di Monza, che aveva giudicato Le.Li. in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per distrazione di varie somme di denaro e di un'auto in leasing, e documentale aggravata (capo A) e di bancarotta semplice (capo B), inerenti alla (...) Srl, amministrata da Le.Li. e dichiarata fallita il 1 luglio 2014, lo aveva dichiarato colpevole dei reati a lui ascritti condannandolo alla pena di anni quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie - ha parzialmente riformato la decisione di primo grado assolvendo l'imputato dal reato di distrazione della somma di Euro 258.000,00, riducendo la pena principale ad anni tre, mesi otto di reclusione e rideterminando in anni tre la durata delle pene accessorie di cui all'art. 216 L.F., con conferma nel resto. 1.1. Per quanto ancora rileva, dopo il corso dei due gradi di merito, la sentenza della Corte di cassazione, decidendo sull'impugnazione proposta nell'interesse dell'imputato, aveva ritenuto inammissibile il motivo di ricorso inerente alla contestazione della qualifica soggettiva di Le.Li. e aveva rigettato il terzo motivo con cui era stato prospettato il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sottrazione di somme, dai giudici di legittimità circoscritto alle doglianze relative alla distrazione di Euro 282.000,00, in relazione a cui l'assetto di dimostrativo era stato reputato non scalfito dalle doglianze del ricorrente. Viceversa, in accoglimento del primo e del quarto motivo, con riguardo all'imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione della somma di Euro 258.000,00 e all'imputazione di bancarotta documentale, la sentenza era stata annullata con rinvio per nuovo giudizio, essendosi dato contestualmente atto che per il reato di bancarotta semplice ogni rilevazione in ordine al tempo trascorso era preclusa dall'inammissibilità che aveva attinto la doglianza inerente al relativo capo. 1.2. I giudici del rescissorio, quanto alla distrazione di Euro 258.000,00, hanno ritenuto non raggiunta la prova piena della responsabilità dell'imputato assolvendolo dalla corrispondente imputazione, mentre hanno confermato la responsabilità di Le.Li., per quanto concerne la bancarotta documentale, procedendo alla corrispondente rideterminazione della pena, senza il riconoscimento di attenuanti. 2. Avverso questa decisione ha proposto ricorso il difensore di Lino Le.Li. chiedendone l'annullamento e articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo si denuncia, in ordine alla ritenuta bancarotta documentale, il vizio della motivazione con riguardo all'asserita sussistenza dell'elemento materiale del reato. L'iter gnoseologico seguito dalla Corte del rescissorio è, ad avviso della difesa, erroneo, in quanto, con la sua esposizione, i giudici del rinvio hanno mostrato di avere sostanzialmente ignorato il principio fissato nella sentenza rescindente: al di là di proposizioni tautologiche, era emerso il dato processuale di decisiva importanza, costituito dall'allocazione della documentazione contabile della società presso lo studio (Omissis) di P, senza che il Pubblico ministero e il curatore - su cui gravava il corrispondente onere - si fossero curati di recuperare questi cruciali documenti. Di tale onere i giudici del rescissorio, secondo la difesa, non hanno tenuto conto finendo per porre illegittimamente a carico di Le.Li. l'onere di questa prova, non potendo però quest'ultimo attivarsi per recuperare i documenti, quale soggetto fallito e in questa sede imputato; d'altro canto, prima della mail di Do.Gi., Le.Li. nemmeno sapeva dell'allocazione della contabilità, non essendosi mai occupato di questo aspetto della vita sociale, sicché si profila necessario un ulteriore giudizio di rinvio, stavolta con rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e la nuova audizione del curatore nonché del teste Do.Gi., con espresso incarico al curatore di recuperare la documentazione contabile presso lo studio (Omissis) di P, attività necessaria, in quanto dal probabile rinvenimento della documentazione contabile mancante deriverebbe l'assoluzione dell'imputato dal reato di bancarotta documentale, assoluzione già richiesta dal Procuratore generale territoriale nella requisitoria scritta. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la carenza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La giustificazione di questo persistente diniego non ha considerato, secondo la difesa, i generosi versamenti che l'imputato aveva, nel corso del procedimento, effettuati con suoi fondi personali in favore della società, a comprova della sua buona fede, così dando luogo a un risarcimento anticipato, come si era già segnalato nell'atto di appello. Inoltre, si rimarca che la riduzione nella misura di soli quattro mesi di reclusione della precedente pena, in corrispondenza dell'assoluzione dall'accusa di bancarotta per distrazione dell'importo di Euro 258.000,00, costituisce il frutto di una motivazione carente: l'eliminazione dai fatti accertati di quella rilevante contestazione avrebbe dovuto condurre a una drastica riduzione della pena. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell'art. 23 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla L. 18 dicembre del 2020, n. 176, come richiamato dall'art. 16 D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, nonché, ulteriormente, dall'art. 94, comma 2, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, poi modificato dal D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla L. 23 febbraio 2024, n. 18, dell'art. 23 D.L. n. 137 del 2020 e succ. modd., ha chiesto il rigetto dell'impugnazione sottolineando che, in merito alle questioni poste sia con il primo e sia con il secondo motivo, la Corte di appello ha reso una motivazione logicamente argomentata e solidamente basata sulla congrua valutazione delle prove acquisite. 4. La difesa di Le.Li. ha formulato, in data 2 febbraio 2024, conclusioni scritte con cui ha ribadito le richieste inserite nell'atto di impugnazione, replicando alle conclusioni del Procuratore generale e, inoltre, sollecitando la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di bancarotta semplice. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La Corte ritiene che il ricorso sia inammissibile. 2. È utile precisare l'ambito che ha contrassegnato il giudizio di rinvio, secondo il mandato fissato dalla decisione rescindente. Si considera, al riguardo, che i giudici di legittimità avevano accolto il primo motivo con cui la difesa aveva dedotto la violazione degli artt. 327-bis e 495 cod. proc. pen. per la mancata valutazione delle prove documentali attestanti gli esborsi sostenuti dall'imputato, nella qualità, per il pagamento delle fatture dei fornitori con assegni tratti sul conto corrente della banca (...): con specifico riferimento alla sola distrazione della somma di Euro 258.000,00, era stata depositata nel corso del giudizio di appello una memoria difensiva in data 13 maggio 2021 con cui si spiegavano i movimenti relativi ai corrispondenti pagamenti sui conti della (...) Spa e del (...) di S, ma mentre quest'ultima banca aveva rimesso copia della documentazione giustificativa, la prima non l'aveva fatto, per cui la difesa aveva chiesto che la Corte di appello provvedesse a disporre la corrispondente acquisizione. Non avendo la sentenza impugnata preso in considerazione quella memoria, né dato conto delle valutazioni susseguenti, la corrispondente statuizione era stata annullata, assorbite le altre censure in merito alla stessa distrazione. La Corte di cassazione, poi, aveva accolto il quarto motivo, con cui, in merito alla bancarotta documentale, si era dedotto il vizio di motivazione in ordine al rilievo illogicamente annesso alle dichiarazioni del commercialista Do.Gi. La sentenza rescindente aveva rilevato che la decisione di appello si era rifatta alla mail del suddetto Do.Gi. che, dopo la testimonianza, aveva tenuto a precisare che i libri sociali erano a P, presso lo studio (Omissis), mail richiamata dall'imputato nell'atto di appello: i giudici di secondo grado avevano registrato questo elemento, ma non l'avevano valutato. In dipendente connessione, il quinto motivo di ricorso, con cui si era dedotta la violazione di legge in merito all'accertamento del dolo specifico alla base della bancarotta documentale, era stato dichiarato assorbito. 3. A fronte di tale spettro delle questioni da riesaminare, i giudici del rinvio nell'indicata sentenza hanno fornito una risposta differenziata. 3.1. Essi hanno osservato che, quanto all'imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione della specifica somma di Euro 258.000,00, il corredo documentale acquisito non era da reputarsi tale da colmare la carenza di motivazione segnalata nella sentenza rescindente. Pertanto, non essendo stata ritenuta sufficiente a comprovare la distrazione il mancato rinvenimento presso la società di altri documenti - in particolare degli ordini di acquisto della merce, ovvero delle bolle di consegna - atti a corroborare la causale degli assegni tratti da Le.Li., si è concluso che questi doveva essere assolto dalla corrispondente accusa. 3.2. Viceversa, quanto all'imputazione di bancarotta documentale, la Corte di appello ha considerato che l'analitica disamina delle deposizioni del curatore e del commercialista, rag. Do.Gi., aveva fatto emergere la certa esclusione dell'avvenuta partecipazione alla redazione della contabilità sociale, negli anni di interesse, dello studio (Omissis) di P, studio che si era dedicato a tale attività sino alla fine del 2012. Tale accertamento, in relazione alle acclarate carenze di atti sociali, fra cui il libro dei cespiti e il libro degli inventari, nonché alla rilevazione della tenuta irregolare della contabilità, ha indotto i giudici del rescissorio a ritenere integrata la fattispecie di bancarotta documentale contestata, che si era perfezionata per il fatto che l'amministratore imputato non aveva reso possibile o, comunque, aveva reso particolarmente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Anche il dolo di questo reato è stato ritenuto provato dalla Corte di appello, tale incompletezza della documentazione contabile essendo risultata coordinata al chiaro fine di recare pregiudizio ai creditori, come aveva confermato il definitivo accertamento di due fattispecie distrattive, con innegabili profili di gravità, poste in essere peraltro nel periodo di emersione della crisi, poi illecitamente protratta. I giudici del rinvio hanno, in ogni caso, specificato che, in questa precisa prospettiva finalistica, pure l'omessa tenuta di quei libri contabili risultati non istituiti, avendo determinato l'evidenziato effetto deleterio, è rientrata fra le condotte idonee a integrare la bancarotta fraudolenta documentale, riscontrandosi il corrispondente elemento soggettivo. 3.3. Posto questo assetto quanto al residuo accertamento della responsabilità dell'imputato, la Corte di merito ha proceduto alla rideterminazione della pena che, in dipendenza dell'assoluzione indicata, è stata ritenuta da quantificarsi in anni tre, mesi otto di reclusione, senza possibilità concreta di ulteriori mitigazioni, a cagione, fra l'altro, della gravità dei fatti e della spregiudicatezza che aveva connotato la condotta dell'imputato. 4. Così precisata la progressiva dialettica procedimentale, deve anzitutto segnalarsi l'inammissibilità della sollecitazione formulata dalla difesa nelle conclusioni scritte e finalizzata anche all'ottenimento della declaratoria di prescrizione del reato di bancarotta semplice. Oltre alla tardività della memoria rispetto al termine fissato dall'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, la prospettazione in ogni caso collide con l'avvenuto conseguimento del giudicato dell'accertamento della responsabilità di Le.Li. per il reato di bancarotta semplice, stante l'avvenuto rigetto dell'unico motivo di impugnazione afferente anche a quel reato, già evidenziato dalla sentenza di legittimità (v. Sez. 5, n. 47385 del 2022, cit., pagine 8 e 9) che, per altro ambito, aveva annullato, con rinvio la decisione di secondo grado. 5. Per quanto concerne il primo motivo, esso, per un verso, si profila rivalutativo e anche aspecifico, in quanto non si confronta con la motivazione espressa sull'accertamento della responsabilità dell'imputato per la bancarotta fraudolenta documentale, e, per altro verso, presenta aspetti di manifesta infondatezza nella parte in cui sostiene l'inanità dimostrativa della verifica compiuta dai giudici del merito. 5.1. Come si è visto, i giudici del rescissorio hanno adeguatamente dimostrato la responsabilità dell'amministratore della fallita (...) Srl, Le.Li., nell'irregolare tenuta delle scritture contabili e nel mancato rinvenimento di alcuni importanti atti sociali, aventi rilevanza contabile, fra i quali il libro dei cespiti, il libro giornale e il libro degli inventari. La difesa ha insistito sulla necessità di ricercare la loro collocazione presso lo studio Forcella, nonostante che, dall'istruttoria svolta, fosse emerso che, per il periodo successivo al 2012 (ossia per il tempo cruciale, visto che il fallimento della società era stato dichiarato il 1 luglio 2014), era escluso che le scritture contabili fossero restate depositate presso quello studio, che aveva dismesso l'incarico di curarne la tenuta: approdo raggiunto dalla Corte territoriale sulla scorta di un'analisi dettagliata delle affermazioni del commercialista Do.Gi. e del Curatore, essendo risultato chiaro dalla coordinata disamina delle rispettive dichiarazioni e dalla carenza di deposito da parte di Do.Gi. - a cui lo studio (Omissis) aveva passato le consegne della contabilità sociale nel 2012 - della massima parte delle scritture contabili e dei libri sociali, nonché dei bilanci afferenti agli anni 2013 e 2014. Era risultato, infatti, che l'amministratore della società Le.Li. aveva omesso di consegnare in modo organico le scritture contabili successive al 2012 allo stesso DO.Gi., essendosi invece limitato a consegnare al commercialista la documentazione in modo saltuario, documentazione che, quanto alle fatture, contemplava esemplari privi di numerazione. Tutti i dati emersi, pertanto, sono stati, in modo argomentato, valutati nel senso dell'avvenuta consegna al curatore di documentazione contabile assolutamente insufficiente per la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società, con la recisa esclusione della possibilità che, al di là dello studio (Omissis), certamente fuori causa, le scritture contabili mancanti potessero essere state trattenute da altro commercialista, senza che peraltro Le.Li., nel corso dell'intero procedimento, avesse esposto alcunché in merito. 5.2. A fronte di questa serrata analisi, il ricorrente ha optato per l'articolazione di deduzioni marcatamente - ma inammissibilmente - rivalutative quando ha addotto in modo del tutto astratto la sussistenza della concreta possibilità, possibilità invece motivatamente esclusa dalla Corte territoriale, di rinvenire le scritture, dall'amministratore mai depositate subito dopo la dichiarazione del fallimento della società, e, in questa eccentrica prospettiva, ha dedotto l'allocazione dell'onere della prova a carico dell'accusa della condotta di occultamento delle scritture contabili di primario rilievo, fra le quali il libro dei cespiti e il libro degli inventari, e di irregolare tenuta delle poche rinvenute: ciò, senza considerare che la prova era stata già acquisita e dalla Corte del rescissorio adeguatamente analizzata nella sentenza oggetto di impugnazione. Il motivo si configura, poi, come aspecifico allorquando - sull'incongruo presupposto che la prova del fatto contestato non fosse emersa - ha criticato la sentenza impugnata per non avere esperito ulteriori incombenti istruttori, in particolare costituiti dall'atipica disposizione di incarico per il curatore fallimentare di recarsi presso lo studio (Omissis) e recuperare la documentazione contabile della società fallita. Oltre all'atipicità del tipo di prova prospettato, risultano ictu oculi la sua irrilevanza e la sua superfluità, dal momento che, contrariamente alla prospettiva da cui il ricorrente ha dato mostra di muovere, i giudici del rescissorio hanno già esaustivamente accertato l'assenza di scritture contabili riferite alla società fallita presso il suddetto studio (Omissis), che aveva dismesso l'incarico di curare la contabilità sociale nel 2012, passando le consegne e tutta la documentazione societaria posseduta al rag. Do.Gi. 5.3. Acclarata l'esposta situazione di fatto e per quanto nessuna tangibile censura il ricorrente abbia articolato in ordine all'inquadramento di essa nella bancarotta fraudolenta documentale, pure in ordine al riscontro dell'elemento soggettivo, deve osservarsi che in modo ineccepibile la Corte di appello ha ribadito che è risultato accertato che l'irregolare tenuta dei libri e delle altre scritture contabili si era configurata in guisa tale da rendere impossibile o quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari e che, per la parte di esse che erano state formate e non consegnate, il loro occultamento era stato attuato al precipuo fine di recare pregiudizio ai creditori, dunque con il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, come le bancarotte distrattive, consumate in epoca coeva, avevano confermato. Né ha ricevuto critica alcuna l'argomento pure sviluppato dai giudici del rinvio quando, con riferimento alla parte di scritture contabili di cui si poteva desumere l'omessa tenuta, hanno considerato che anche tale condotta era risultata in concreto sorretta dalla finalità di recare pregiudizio al ceto creditorio e, quindi, sussumibile nella contestata bancarotta documentale; ciò, in coerenza con il principio di diritto secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l'elemento soggettivo, che può essere desunto dall'attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Di Pietra, Rv. 284304 - 01). Tali considerazioni conducono, quindi, all'inammissibilità del primo motivo. 6. Generico, nel suo complesso, si rivela il secondo motivo. 6.1. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in primo luogo, deve rilevarsi che si tratta di motivo che non appare ricollegarsi a una corrispondente doglianza che fosse stata portata al vaglio della Corte di cassazione e in quella sede dichiarata assorbita per l'esigenza del susseguente giudizio involgente il trattamento sanzionatorio. Né, prima ancora, la questione - dopo il diniego di tali attenuanti da parte del Tribunale - era stata specificamente dedotta nei sei motivi che avevano contrassegnato l'appello di Le.Li. avverso la sentenza di primo grado. In ogni caso, la Corte di appello ha chiarito le ragioni per le quali nessuna mitigazione, al di là della rideterminazione della pena in dipendenza dell'assoluzione per la suddetta fattispecie di bancarotta per distrazione, poteva riconoscersi a Le.Li., in ragione dell'evenienza di una serie esplicita di indici negativi: la gravità dei fatti; la spregiudicatezza della condotta dell'agente; la sua attivazione nell'aggravamento del dissesto; la mancanza di collaborazione da parte sua, anche con la curatela fallimentare. A fronte di tale adeguato assetto motivazionale la censura difensiva sarebbe in ogni caso rivalutativa e, quindi, inammissibile. 6.2. Per quanto concerne la rinnovata commisurazione della pena determinata dall'assoluzione dalla bancarotta fraudolenta per distrazione avente ad oggetto l'importo di Euro 258.000,00, i giudici del rescissorio, nell'applicazione della continuazione fallimentare, secondo la regola di cui all'art. 219 r.d. n. 267 del 1942, in relazione a due ulteriori condotte (oltre quella più grave), anziché tre, hanno, in modo equilibrato, detratto la frazione di un terzo dal complessivo aumento, così da ridurre la pena principale da anni quattro di reclusione ad anni tre, mesi otto di reclusione, ferma restando la pena base, già attestata sul minimo edittale di anni tre di reclusione. Si tratta di incremento di pena, ispirato all'equo riparto suindicato, attesa la comune valutazione di gravità espressa dai giudici del merito per tutti i fatti di bancarotta accertati, sicché il criterio adottato, non illogico, risulta essere l'esito del corretto dispiegamento della discrezionalità sanzionatoria, soltanto genericamente contestata dal ricorrente. Va ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente, se si attiene a livelli di pena prossimi al minimo edittale che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni sintetiche, richiamanti la congruità e l'equità della pena e dell'aumento, come pure con il riferimento, che sia autoevidente, alla gravità del reato o alla capacità a delinquere del reo, occorrendo, invece, una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena si allontani sensibilmente dal minimo edittale e sia superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01). 7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) - di una somma alla Cassa delle Ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2021, proposto da Condominio Pa. Sc. in persona dell'amministratore pro tempore dott. Gi. Fu., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro El. Ro., in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gr. e Fr. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Br., non costituita in giudizio; Comune Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, n. 3555/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di El. Ro. e di Ru. Ce. s.r.l. e di Comune Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Condominio Pa. Sc. con sede in Caserta alla via (omissis), propone appello contro la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 che ha accolto il ricorso proposto in primo grado dai signori El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) e At. Br. con il quale era stato chiesto l'annullamento: - del permesso di costruire n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016, rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, avente ad oggetto "sanatoria per difformità rispetto alla c.e. 162/92 per muri e sistemazioni esterne"; - degli atti ad esso preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il parere favorevole espresso dal dirigente Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, prot. n. 72811 del 2.8.2016, e la relazione istruttoria del responsabile del procedimento (ove esistente). 2. Gli atti da ultimo citati e il ricorso che ne è scaturito costituiscono l'ultimo capitolo di una vicenda che vede da tempo contrapposti, nei diversi ruoli, il Condominio Pa. Sc., i signori Ro. e Br. e il Comune di Caserta, contrapposizione che ha dato vita, nel tempo, a numerose pronunce del giudice amministrativo. 2.1 Le fasi significative dell'intera vicenda possono essere così sintetizzate. Con concessione edilizia del 1991 e variante del 1992 venne realizzato il complesso Pa. Sc.. Il titolo prevedeva la realizzazione, nell'area esterna al fabbricato, di un parcheggio privato ad uso pubblico di mq. 3245, in applicazione dei parametri dettati dall'art. 41-quinquies della l. 1150/1942 (introdotto dall'art. 17 della l. 765/1967). Nella esecuzione dei lavori l'impresa costruttrice realizzava una recinzione in muratura con cancello che riduceva notevolmente la superficie destinata a parcheggio privato di uso pubblico. Il Comune, nel 2002, ordinò di demolire cancelli e muretti. Il Condominio propose ricorso avverso tale atto, ricorso respinto dal Tar per la Campania con sentenza n. 3556/2006. La sentenza del Tar venne confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2008. I condomini Ro. e Br. (proprietari di locali commerciali siti nel Condominio Pa. Sc.) demolirono di propria iniziativa i manufatti. Il Condominio, nel 2011, deliberava di ripristinare muro di recinzione e cancello, e in data 13.9.2011 presentava una S.C.I.A. n. 70477 avente ad oggetto le dette opere. Il Comune restava inerte. I condomini Ro. e Br. proponevano ricorso in cui chiedevano al Comune di esercitare i poteri ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001. Il Tar per la Campania (con sentenza 2142/2012) accoglieva e dichiarava l'obbligo per il Comune di Caserta di esercitare il potere di controllo e vigilanza sulla conformità urbanistica ed edilizia delle opere di cui alla S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011. Nella persistente inerzia del Comune di Caserta, i condomini Ro. e Br. chiedevano l'ottemperanza della sentenza 2142/2012. Il Tar, con sentenza 5014/2012, accoglieva la domanda di ottemperanza. Il Comune emetteva un provvedimento che non conteneva una esplicita statuizione in ordine alla S.C.I.A. Tale provvedimento veniva impugnato dal condomino Ro. e annullato con sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. I condomini Ro. e Br. chiedevano nuovamente l'ottemperanza della sentenza 2142/2012 e il Tar per la Campania accoglieva la domanda (sentenza n. 5127/2014). A recinzione ormai realizzata, nel 2015, il Comune annullava la S.C.I.A. del 2011 aggiungendo di voler avviare il procedimento di demolizione (senza però compiere alcuna azione concreta). Nel 2016, in seguito ad istanza di accesso agli atti, i condomini Ro. e Br. apprendevano che il Comune di Caserta aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016. 3. Avverso il provvedimento da ultimo citato, i condomini Ro. e Br. hanno proposto ricorso al Tar. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241. II. - Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo; sviamento. III. Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo. Incompetenza. Sviamento. IV. Violazione degli artt. 41-quinquies e 41-sexies della l. 1150/1942, dell'art. 10 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Caserta, della lex specialis dell'intervento edilizio dettata dalla c.e. n. 162/92 rilasciata dal Comune di Caserta; violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Tar per la Campania nn. 3556/2006, 2142/2012, 5014/2012 e 5247/2013, e sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/08; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti di fatto e di diritto. omessa comparazione di interessi. Sviamento. V. Eccesso di potere per contrasto con precedenti atti della stessa Amministrazione, difetto di istruttoria e di motivazione. 4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Caserta chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 3555/2021 il Tar per la Campania ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati. 5.1 In particolare il Tar: - ha ricostruito i principi in materia di efficacia del giudicato; - ha ritenuto di censurare in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta nella misura in cui, rilasciando da ultimo il contestato titolo in sanatoria, ha da un lato trascurato che non era consentito discostarsi dalle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992, dall'altro ha legittimato che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico e, nello specifico, a fronte di un volume totale edificato di mc.35.764,64 oltre mq.3.245 di area di parcheggio ad uso pubblico (di cui mq.6.819,64 da destinare a parcheggio), solo mq.4.183 fossero utilizzati a tale fine, di cui mq.1.479 a parcheggi privati ad uso pubblico; - ha infine affermato che: "L'Amministrazione ha omesso di considerare, in definitiva, che il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio in base a norma imperativa non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, ma solo con concessione in variante resa su domanda di tutti i condomini interessati che lo trasferisca su altri spazi riconosciuti idonei; la normativa urbanistica di cui all'art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari a un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, e tale rapporto va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della Concessione edilizia (Cass. civ., II, 9.10.2020, n. 21859). In particolare difettava il requisito della legittimità della richiesta di permesso in sanatoria da parte del Condominio, dal momento che tale istanza era stata deliberata l'11/12/2015 con la presenza di 41 condomini su 84 rappresentativi di millesimi 554,74 su1000,00; in ogni caso il Comune non avrebbe potuto attestare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, quale richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica". 6. Avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 ha proposto appello il Condominio Pa. Sc. per i motivi che saranno più avanti analizzati. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per chiedere il rigetto dell'appello. 7.1 Si è costituito il signor El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 16 maggio 2016 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Motivazione erronea. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Erronea applicazione dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 5, della l. 122/89. Omessa e/o carente istruttoria. 1.1 Sotto un primo profilo, l'appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il Comune non poteva discostarsi dalle originarie concessioni edilizie e non poteva permettere che con S.C.I.A. si modificasse il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, sostenendo che: - sono errati i presupposti di fatto; - le concessioni edilizie interessate dal sopralluogo e dall'ordinanza, c.e. in variante n. 138/91 e n. 162/92, sono entrambe soggette alle prescrizioni dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, che prescriveva di dover riservare spazi a parcheggio spazi, pari a 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito, cioè, il 10% del volume realizzato; - le citate concessioni sono entrambe soggette alle prescrizioni del D.P.P. di Caserta n. 5464/87, che aveva modificato l'art. 10 delle N.T.A. del R.E. del comune di Caserta, in applicazione della lett. D, dell'art. 3, del d.m. 1444/68, che regola quanto prescritto dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l. 1150/42, di dover riservare ad aree di parcheggio di proprietà privata di uso pubblico, spazi di 1 mq per ogni 20 mc di volume costruito, cioè, il 5% del volume realizzato; - in applicazione delle disposizioni citate, la quota destinata a parcheggi nella c.e. 162/92, dev'essere: area di parcheggio privato 3245 mq per una cubatura di 32.400 mc; area di parcheggio di uso pubblico di proprietà privata 1620 mq per una cubatura di 32.400 mc; - dal permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016 le aree di parcheggio, sono state aggiornate alla cubatura data dalla sanatoria dei 6 sottotetti, trasformati in civili abitazioni, non integrate nella c.e. in sanatoria 1933/99, variando la cubatura, dai precedenti 32.400 mc, della c.e. 162/92, ai 35.754 mc del permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016; - per l'aumento della cubatura, si sono dovute variare anche le superfici delle aree di parcheggio, le quali, nella c.e. in sanatoria 1933/99, dovevano essere uguali a quelle riportate nel permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016, essendo rimasta invariata la cubatura; - nella c.e. 162/92, interessata dal sopralluogo e dall'ordinanza, c'è una sola area di parcheggio di 3245 mq, ed un'autorimessa con box-auto e cantinole pari a 4.183 mq; - il Tar ha omesso di considerare che l'unica area di parcheggio del Condominio odierno appellante è del 10% del volume costruito, e pertanto è da considerare area di parcheggio privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, in quanto riservato 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito; - sui grafici allegati alla c.e. 162/92, è stata riportata la dicitura parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, come l'area di parcheggio ad uso pubblico del 5%, prescritto dal D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - dalla c.e. 162/92, si evince che la recinzione era chiaramente individuata nei grafici approvati con un muro perimetrale che cingeva l'intera area di proprietà e l'accesso a tale area doveva avvenire da n. 2 varchi affiancati posti su via (omissis) i quali immettevano a due aree di parcheggio distinte a destra e a sinistra separate da marciapiede; - il Tar ha omesso di valutare che il Comune di Caserta, per le concessioni rilasciate alla I.S.CO., per realizzare il Pa. Sc. di Caserta, quindi anche per l'area di parcheggio, non ha mai chiesto la sottoscrizione né trascrizione di alcuna convenzione urbanistica o atto d'impegno, con cui sarebbero stati obbligati ad un facere, anche gli acquirenti in buona fede all. 35, con il quale sarebbe stato costituito il vincolo ad uso pubblico che si è affermato gravasse sull'area di parcheggio; - si fa menzione del vincolo ad uso pubblico, ma non viene indicato, perché non c'è, l'atto con cui è stato costituito; - il Comune di Caserta fa discendere la costituzione del vincolo dalla dicitura riportata sui grafici concessori della c.e. 162/92 "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata", uguale alla dicitura coniata con il D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - la giurisprudenza ha sancito che la semplice dicitura su di un grafico concessorio non è documento idoneo a costituire vincoli; - sull'area di parcheggio di 3245 mq, sono presenti 81 posti auto acquistati come proprietà esclusiva. 1.2 Sotto un secondo profilo l'appellante sostiene che la contraddizione tra quanto affermato dal Tar e quanto risulta dall'evidenza dei fatti e degli atti, è rafforzato dalle note del Comune di Caserta dove si legge chiaramente che il parcheggio di uso pubblico di proprietà privata può essere recintato ma non chiuso da cancelli, per cui, tutt'al più, si doveva ordinare di abbattere i cancelli e non anche i muretti; visto che si trattava di un muro di contenimento lungo l'alveo, che ha il precipuo scopo di proteggere i locali commerciali e quelli interrati da possibili allagamenti, e il cui abbattimento è pregiudizievole per il resto dell'edificio. 1.3 Sotto un terzo profilo l'appellante afferma che: - dalla documentazione versata in atti e per i requisiti incontestabili esistenti, si evince chiaramente che l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. di Caserta del 10% del volume costruito, è quella privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, unica che prescrive di destinare a spazi per parcheggi privati il 10% del volume costruito; - la conferma incontestabile che l'area è privata e ne erano al corrente tutti i condomini del Pa. Sc. emerge da sentenze emesse in giudizi civili in contenziosi che hanno visto come parti alcuni degli stessi condomini; - l'area di parcheggio è privata e ascritta all'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, poiché, sulla stessa sono stati acquistati sia dai proprietari dei locali commerciali che dai proprietari di abitazioni, posti auto in proprietà esclusiva; - se l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. è interamente gravata da un vincolo di uso pubblico, occorre chiedersi come è possibile che non risulti da nessun atto opponibile ai terzi; - se si afferma che tutta l'area di parcheggio è ad uso pubblico, sulla stessa non potranno più esserci i posti auto acquistati in proprietà esclusiva, alterando così il vincolo di destinazione pubblicistico gravato dalla pertinenzialità fissata inderogabilmente dall'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, nonché, il vincolo inscindibile di unione del posto auto all'abitazione, che venendo soppresso il posto auto, automaticamente inficia l'atto di compravendita di nullità, come disposto dal comma 5 dell'art. 9 della l. 122/89, a cui era soggetta la c.e. 162/92, rilasciata dal comune alla I.S.CO.; - il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio; - l'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge; - la legge n. 47 del 1985, all'art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della legge n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale; - il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede e limita il diritto di proprietà dell'area. 1.4 Sotto un quarto profilo l'appellante sostiene che: - il Comune, nel 2006, ha riscontrato la richiesta di un condomino, dichiarando che la I.S.CO., non ha mai sottoscritto nessun atto d'impegno o convenzione urbanistica con il Comune, per cui, non ha assunto alcun obbligo; - la I.S.CO. ha corrisposto al comune integralmente gli oneri concessori per realizzare le opere di urbanizzazione primaria, in cui ricadono anche le aree di parcheggio previste dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, esonerandosi dall'obbligo di dover realizzare opere di urbanizzazione; - l'art. 16, comma 2, del d.p.r. 380/01, in cui è stato trasfuso l'art. 11 della l. 10/77, prevede "2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune"; - tra le opere di urbanizzazione, elencate al comma 7 del medesimo articolo, ci sono anche "7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: (omissis) spazi di sosta o di parcheggio,". Avendo elencato tra le opere di urbanizzazione al comma 4, quelle prescritte dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l.u. 1150/42. 2. Il motivo è infondato. Parte appellante mira a rimettere in discussione la fonte dell'esistenza della servitù di uso pubblico (facendo leva anche sulle pronunce emesse in contenziosi civili) così da affermare che la stessa non è opponibile ai terzi che hanno acquistato in buona fede. Ma non è possibile aderire a siffatta prospettazione. L'abusività delle opere di recinzione per contrasto con i parametri edilizi ed urbanistici previsti dalla legge e recepiti dal Comune di Caserta nei propri atti di pianificazione territoriale, nonché per violazione delle prescrizioni di cui alla concessione edilizia n. 162/1992, è stata definitivamente accertata nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza n. 49840 del 9.12.2002 di demolizione della recinzione dell'area di parcheggio già realizzata dal costruttore del Pa. Sc. conclusosi con sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 1893/08. Nella sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006 si legge testualmente: "Passando alla fattispecie sottoposta all'esame del Collegio, si deve innanzi tutto rilevare che "la concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992... prevede per la sistemazione esterna un'area di parcheggio pubblico di proprietà privata di mq 3245", come evidenziato nella relazione in data 21 luglio 2005 a firma del dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica del Comune di Caserta (depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 631/2005). Inoltre, dalla successiva relazione in data 14 marzo 2006, a firma dello stesso dirigente, si desume chiaramente che tale prescrizione discende dalle previsioni introdotte nel P.R.G. del Comune di Caserta in applicazione del penultimo comma dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942. Infatti in tale relazione è stato evidenziato che gli indici e parametri della Zona omogenea B2 previsti dall'art. 10 delle Norme Tecniche del PRG adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11/1983 (che contiene solo un riferimento alla "quota di parcheggi fissata dall'art. 18 della legge n. 765/1967") sono stati modificati con il Decreto di approvazione del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/1987, con il quale è stato previsto il parametro del "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata" (introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967) in aggiunta al parametro del parcheggio privato di cui all'art. 18 della legge n. 765/1967. Ne consegue che il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Caserta è legittimamente intervenuto con il provvedimento impugnato per ripristinare l'uso pubblico delle aree di proprietà del condominio ricorrente destinate parcheggio di uso pubblico. Né rileva l'ulteriore censura, secondo la quale l'Amministrazione comunale con l'adozione dell'avversato ordine di demolizione avrebbe posto in essere una procedura acquisitiva che esula dalle previsioni di legge, allo scopo di procurarsi parcheggi di uso pubblico senza corrispondere alcun indennizzo ai proprietari delle aree. Infatti il provvedimento impugnato mira soltanto a ripristinare la destinazione delle aree in questione prevista dalla concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992 in attuazione dei parametri introdotti dagli strumenti urbanistici, sicché la censura in esame avrebbe dovuto essere ritualmente proposta avverso tali provvedimenti e quindi risulta inammissibile in questa sede". La sentenza del Tar per la Campania appena citata è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/2008 che, a propria volta, ha testualmente affermato: "Invero, il fatto che all'atto del rilascio della concessione edilizia n. 162/92, nell'elaborato grafico ad essa allegato, sussistesse l'indicazione di un'area privata di parcheggio ad uso privato, non costituiva, come sostenuto dal condominio appellante, una mera annotazione ovvero una dichiarazione di intenti, priva di valore giuridico, ma rappresentava piuttosto la trasposizione o (quanto meno) l'evidenziazione grafica delle puntuali previsioni del vigente strumento urbanistico generale, così come approvato dall'amministrazione provinciale di Caserta, a cui era subordinato necessariamente il rilascio del titolo edilizio. L'ordinanza impugnata, con la quale il Comune di Caserta ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, lungi dall'atteggiarsi ad inammissibile provvedimento espropriativo, costituisce invece doverosa esplicazione del potere di controllo del territorio sub specie di verifica che il beneficiario del titolo edilizio si sia effettivamente attenuto a quanto in esso assentito, senza compiere abusi: del resto, la sua attenta lettura fuga al riguardo ogni dubbio, risultando espressamente che essa si fonda su di un verbale di sopralluogo della polizia municipale che ha accertato discordanze dello stato dei luoghi rispetto ai grafici della concessione edilizia n. 162 del 1992 (variante della precedente concessione n. 138/91). A ciò consegue che le censure rivolte avverso la predetta ingiunzione risultano essere infondate, attendendo in realtà non già al corretto uso da parte dell'amministrazione comunale del potere esercitato di controllo urbanistico del territorio, bensì alla asserita illegittimità della stessa previsione dello strumento urbanistico vigente (che prevedeva un parcheggio pubblico di uso anche privato, senza alcun indennizzo ovvero senza che fosse stato all'uopo previsto un apposito vincolo urbanistico sulla relativa area), doglianza che, però, doveva essere fatta valere o nei confronti del provvedimento di approvazione dello strumento urbanistico ovvero nei confronti della concessione edilizia, espressamente e comunque inevitabilmente subordinata al rispetto delle previsioni del predetto strumento urbanistico e che, in ogni caso, non poteva invece giammai essere avanzata per la prima volta nei confronti dell'ordinanza dell'amministrazione comunale finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, per rendere questi ultimi conformi nello stato di fatto alla previsione di diritto risultante dal titolo edilizio. Alla luce di tali osservazioni perdono ogni rilevanza le questioni dedotte dall'appellante circa il dubbio sulla natura di parcheggi aggiuntivi di quelli di cui si discute (dubbio peraltro privo di fondamento, essendo pacifica la natura di parcheggi aggiuntivi di cui all'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il provvedimento della Provincia di Caserta di approvazione del piano regolatore del Comune di Caserta, ciò senza contare che dalla stessa documentazione esibita dall'appellante risulta respinta l'istanza di sanatoria più volte presentata proprio per questa ragione), circa la asserita natura di vincolo espropriativo che contraddistinguerebbe la predetta previsione di piano regolatore e circa la necessità della trascrizione del vincolo stesso ovvero della previsione contenuta nella concessione edilizia, ai fini della sua opponibilità al condominio". Il Tar per la Campania, nella citata sentenza n. 5247/2013 resa tra le parti dell'odierno giudizio e passata in giudicato, così ha ulteriormente ribadito: "Passando all'esame del merito, punto centrale di contestazione tra le parti è se la superficie da destinare a parcheggio pubblico, quindi da non recintare con muro e cancelli, fosse quella, maggiore, di mq. 3.245, riconducibile alla concessione edilizia n. 162 del 1992, o piuttosto quella di mq 1.650, risultante dal rapporto legale tra spazi da destinare a parcheggio e volumetria realizzata nella misura di 1mq/20mc. Rileva al riguardo il Collegio che gli elementi fondamentali che costituiscono un intervento edilizio devono tutti ricondursi al titolo edificatorio di riferimento; questo, se da un lato potrebbe essere inteso come una sostanziale applicazione vincolata a titolo particolare della disciplina urbanistica generale, nel senso che ne attualizza specifiche previsioni attraverso l'attivazione dello ius ad aedificandum, dall'altro contiene ulteriori aspetti che si colorano di profili di discrezionalità amministrativa (prescrizioni di limiti e modalità costruttive, termini di inizio e completamento delle opere, eventuali operazioni di asservimento, opere a scomputo) o di poteri pubblici di altra natura (fissazione degli oneri concessori e dei costi di costruzione). Il permesso di costruire, in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire, non a caso simili eventualità ricadendo nel regime sanzionatorio previsto dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; pertanto, deve ritenersi che, ferma restando la disciplina dell'intervento edilizio come stabilita nella concessione n. 162 del 1992, non avrebbe potuto il condominio con la s.c.i.a. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio. Non va dimenticato che l'istituto di cui all'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in nessun modo può essere assimilato ad un provvedimento amministrativo, restando sul piano di una dichiarazione negoziale di intenti da parte di un privato. Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". In assenza di interventi sulla concessione edilizia del 1992, il condominio resta vincolato alle condizioni di quest'ultimo provvedimento, anche in relazione alle superfici da destinare a parcheggio di proprietà privata ad uso pubblico. Correttamente il Tar ha accolto il ricorso proposto in primo grado sostenendo per un verso che il permesso di costruire in sanatoria era stato emesso dal Comune di Caserta in violazione delle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992 e per altro verso che il Comune avesse illegittimamente consentito che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico. 3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo. Omessa istruttoria. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Omessa e/o erronea applicazione degli artt. 825, 826 e 829 c.c. L'appellante ritiene che altro deficit motivazionale e di istruttoria nella sentenza gravata si ha per l'omessa e/o distorta applicazione degli articoli del codice civile n. 825 (Diritti demaniali su beni altrui) n. 826, comma 3 (Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni), n. 829 (Passaggio di beni dal demanio al patrimonio). In particolare si sostiene che i giudici di primo grado hanno completamente omesso di valutare che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc., non è stata mai acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, e né tantomeno sono state applicate le forme di pubblicità stabilito dal regolamento comunale. Inoltre l'appellante, riportando per esteso un passaggio (punti da 10.2 a 11.1) della sentenza della Cassazione n. 12793/2005, sostiene che mentre il vincolo di destinazione per legge di un'area a parcheggio, essendo di natura inderogabile, non può essere modificato dalle parti, il vincolo di destinazione a parcheggio in virtù di atto d'obbligo, essendo di natura convenzionale, può essere modificato dalle parti e non richiede che tale area sia predeterminata nella sua estensione, stante il principio di autonomia. 4. Il motivo è infondato. Le questioni sollevate risultano coperte dal giudicato formatosi sulle sentenze richiamate al punto precedente. Mette conto notare, in ogni caso, che la sentenza della Cassazione citata da parte appellante si riferisce specificamente ai rapporti tra privato costruttore e condominio in ordine alla possibilità di alienare, separatamente dalle abitazioni di cui costituiscono pertinenza, le aree private vincolate a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall'art. 18 della legge n. 765/1967). Nel caso di specie, invece, rileva il regime delle aree a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, di cui all'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967. 5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Palese erroneità dei presupposti di fatto. Motivazione erronea. Carente istruttoria. Erronea applicazione dell'art. 137 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 come modificato e integrato dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301. L'appellante critica le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rilevanza della S.C.I.A. affermando che: - tali statuizioni sono palesemente errate perché poggiano sull'erroneo presupposto che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. abbia un vincolo di destinazione ad uso pubblico, quando invece, per quanto sopra dimostrato, tale vincolo non sussiste, per le argomentazioni analiticamente svolte nei precedenti motivi; - un ultimo argomento proviene dal d.p.r.380/2001, n. 380, il cui art. 137 prevede che "all'articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, il comma 2 è sostituito del seguente: '2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio di attività '"; - il titolo abilitativo alla realizzazione del posto auto è oggi costituito non più dall'autorizzazione bensì dalla denuncia di inizio di attività ; - non si ha più un provvedimento, come quello dell'autorizzazione, con allegato atto d'obbligo da cui poter desumere i riferimenti inerenti al parcheggio; - secondo la Cassazione (sentenza prima citata) i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legale (art. 18 legge 6.8.1967, n. 765), non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, conseguentemente l'originario proprietario-costruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo; - quanto sancito dalla Cassazione è in perfetta linea con le disposizioni dell'art. 3 del d.m. 1444/68, applicato con il D.P.P. comune di Caserta n. 5464/87; - il massimo consentito nella destinazione a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata del D.P.P. di Caserta 5464/87, è il 5% del volume costruito e non il 10% come è la superficie dell'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc.; - ne consegue che l'area di parcheggio in più è da considerare privata e a disposizione dei proprietari, tranne che il Comune non esibisca un atto d'impegno o una convenzione urbanistica. 6. Il motivo è infondato. L'assunto che parte appellante mira a revocare in dubbio è coperto dal giudicato formatosi sulla citata sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013 che ha stabilito che: (i) "Il permesso di costruire (i.e.: c.e. n. 162/92) in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire"; (ii) "il condominio con la S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio"; e (iii) "Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". 7. L'appellante ha, infine, ha avanzato una richiesta istruttoria chiedendo al Collegio di invitare il Comune ad esibire (i) l'atto costitutivo del vincolo ad uso pubblico dell'area di parcheggio, (ii) gli oneri concessori e di urbanizzazione pagati dalla I.S.CO. o lo scomputo degli stessi e (iii) l'atto con cui la I.S.CO. si è obbligata a realizzare l'opera di urbanizzazione primaria, nel caso di che trattasi, area di parcheggio ad uso pubblico di proprietà privata prevista dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67 (art. 41-quinquies l. 1150/42). 8 La richiesta non può essere accolta perché l'acquisizione dei documenti richiesti sarebbe irrilevante, ovvero non necessaria, rispetto alle conclusioni raggiunte. 9. La sentenza impugnata ha censurato "in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta". Il Comune ha mantenuto, nel presente giudizio, un comportamento oscillante. In primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dai condomini odierni appellati. In grado di appello ha chiesto il rigetto dell'impugnativa proposta dai condomini. Peraltro non si comprende perché, chiedendo il rigetto dell'appello, non abbia ritirato l'atto impugnato in primo grado. Tale atteggiamento giustifica la statuizione sulle spese di seguito espressa. 10. Per le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra Condominio appellante e condomini appellati. Spese compensate nei rapporti con il Comune. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il Condominio Pa. Sc. al pagamento, in favore del signor El. Ro., delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei rapporti con il Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. MARI Attilio - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Tu.Ma. nato a F. il (Omissis) avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI NARDO, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Torino, in data 28 aprile 2023, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 2 febbraio 2022 di condanna di Tu.Ma., in qualità di amministratore della (...) Srl e perciò datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. in danno di Lu.Ho., commesso in S. il (Omissis), ha rideterminato la pena in 206 Euro di multa e revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro, la cui dinamica è stata descritta in maniera conforme dalle sentenze di merito. In data (Omissis), Lu.Ho., dipendente della (...) Srl, azienda affidatala ed esecutrice di lavori di manutenzione su reti e impianti del servizio idrico integrato di (...) Spa, stava svolgendo attività di scavo, finalizzata alla posa di tubature nel cantiere di S. insieme al collega escavatorista Sa.Co.; prima del pranzo, i due erano stati costretti a interrompere l'attività a causa della rottura accidentale di un tubo del gas, leso con una braga durante i lavori: interrotte le operazioni, i manovali avevano avvertito il preposto Pr.Ia., il quale, a sua volta, aveva contattato i tecnici del gas, giunti poco dopo; uno dei tecnici aveva rilevato che la tubatura danneggiata era in parte ricoperta da uno strato di cemento e aveva invitato l'Lu.Ho. e il Sa.Co. a rimuovere tale copertura, onde consentire le operazioni di riparazione; Lu.Ho. era, quindi, entrato nello scavo con un demolitore, da cui era partita una fiammata che lo aveva colpito al volto cagionandogli ustioni coinvolgenti il 10-19% della superficie corporea: in conseguenza della lesioni Lu.Ho. aveva subito una incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo superiore quaranta giorni. Nei confronti di Tu.Ma., il Tribunale, quali addebiti di colpa, aveva ravvisato la violazione dell'art. 96 comma 1 lett. g) del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per avere omesso di individuare, analizzare e valutare i rischi di infiammabilità ed esplosione derivanti dalla presenza di sotto servizi del gas, non indicando specifiche istruzioni operative e misure di prevenzione e protezione da adottarsi in particolare durante le operazioni di scavo in aree soggette alla formazione di miscela di aria e di sostanza infiammabile considerate atmosfera esplosiva.; la violazione dell'art. 121, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, per avere omesso di adottare gli opportuni provvedimenti atti a garantire il divieto di utilizzo di apparecchi elettrici suscettibili di provocare fiamme atte ad incendiare il gas; la violazione degli artt. 36 e 37 del D.Lgs. n. 81/2008, per avere omesso di informare e formare i lavoratori esposti al rischio di esplosione, con particolare riguardo alle modalità operative necessarie a minimizzare la presenza e l'efficacia delle sorgenti di accensione. La Corte di Appello, dei tre profili di colpa su indicati, ha ritenuto ravvisabile solo quello relativo alia informazione -formazione. Con la stessa sentenza la Corte ha anche assolto i coimputati Gi.Cr., dipendente della (...) Spa e coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori di manutenzione su reti ed impianti del servizio idrico nel cantiere di S., e Si.Ir., dipendente della (...) S.p.A e responsabile di detti lavori, per non aver commesso il fatto. 2. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'addebito di colpa della omessa formazione della persona offesa. La Corte territoriale aveva premesso che i fatti si erano svolti in due fasi distinte, la prima di competenza esclusiva di (...) (nella quale si era verificata la rottura accidentale del tubo del gas cui erano seguiti l'interruzione dei lavori, la messa in sicurezza del tubo danneggiato con l'utilizzo di stracci bagnati, l'uscita dal campo dal servizio, la chiamata del preposto Pr.Ia. che aveva chiamato i tecnici del gas) e la seconda, a distanza di diverso tempo (quando erano sopraggiunti i tecnici di Tecnogas e, su richiesta di uno di costoro, Lu.Ho. aveva usato il martello pneumatico causando la scintilla) di competenza esclusiva della società del Gas e aveva rilevato che l'infortunio si era verificato nella seconda fase di competenza esclusiva della Tecnogas e, dunque, non nella normale fase di lavoro, bensì in una fase distinta e successiva. La Corte, inoltre, aveva condiviso le affermazioni degli appellanti, secondo cui tanto il POS quanto il PSC delle due società ((...) e (...)) prevedevano espressamente la procedura da seguire in caso di rottura accidentale di un sottoservizio e, in tal modo, aveva ritenuto che il correlativo rischio di esplosione ed incendio fosse stato correttamente valutato. La Corte, infine, aveva rilevato che nella prima fase gli operai avevano seguito alla lettera la procedura (consistente nel fermarsi, chiamare il preposto e sospendere i lavori), a dimostrazione del fatto che di tale procedura erano stati informati. Purtuttavia, -osserva il difensore- i giudici, nell'affrontare il tema della formazione dei lavoratori esposti a rischio esplosione e incendio, in contraddizione con gli assunti su indicati, avevano asserito che essi non sarebbero stati edotti in ordine al "divieto assoluto" di intervenire e operare anche durante la seconda fase, di competenza esclusiva della squadra (...). Da un lato, dunque, la Corte aveva asserito che le procedure aziendali di (...) sancivano il divieto assoluto di operare dopo il danneggiamento del sottoservizio e sino al suo ripristino da parte di altra società incaricata della riparazione, e, dall'altro, in maniera contraddittoria e illogica, aveva sostenuto che non vi era prova che tale divieto assoluto fosse stato segnalato anche con riguardo alla successiva fase di competenza esclusiva delle squadre del gas. Inoltre la Corte di Appello aveva ritenuto non condivisibili le conclusioni del Consulente Tecnico della difesa, ing. Fr., secondo cui la formazione delle persone offese in merito al rischio specifico di esplosione e incendio era stata completa ed esaustiva, con una motivazione apparente ed autoreferenziale, ovvero rilevando che i corsi di formazione avevano avuto contenuti generici rispetto al rischio specifico connesso al danneggiamento di sottoservizi. In ordine a tale aspetto, la Corte aveva richiamato le pagine 32 e 33 della consulenza Fr., che, tuttavia, facevano riferimento solo all'elenco dei corsi, ma non aveva tenuto conto che nelle pagine successive il consulente aveva esaminato i contenuti dei corsi, per poi affermare, in relazione agli argomenti che la legge di settore prevede debbano essere affrontati, che la formazione e informazione erano state complete e coerenti con le mansioni svolte. Anche il Consulente Tecnico di (...), ing. Br.Ma., aveva concluso nel senso che Lu.Ho. avesse avuto una formazione adeguata anche come addetto antincendio e che egli fosse a conoscenza, in ragione di tale formazione, delle caratteristiche di infiammabilità del gas metano e dei conseguenti rischi di incendio, in caso di presenza di sorgenti di innesco, determinati dall'uso di utensili ad alimentazione elettrica e dallo sviluppo di scintille conseguente all'azione della punta del materiale ferroso sul blocco in cemento. Dopo che le due consulenze in atti avevano, in sostanza, affermato che vi era stata formazione sul rischio specifico, attraverso una analitica disamina dei contenuti dei corsi effettuati, la Corte di Appello aveva affermato in maniera assertiva che i corsi erano generici senza confrontarsi con le argomentate conclusioni dei Consulenti e senza spiegare in che senso gli argomenti trattati non fossero coerenti con le mansioni svolte ed i rischi correlati. La Corte avrebbe anche affermato, a proposito della riunione svoltasi nell'ottobre 2015 alla presenza di Tu.Ma. e del RSL, che nei verbali non vi era menzione della formazione sulle procedure di gestione delle emergenze quale quella verificatasi, senza tenere conto che il POS e il PSC prevedevano e dettagliavano tale procedura, sicché la prova della formazione poteva ricavarsi da tali ultimi documenti. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Marilia De Nardo, ha formulato conclusioni scritte con cui ha chiesto annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto, in quanto il motivo è fondato. 2. La Corte di Appello, come detto, fra gli addebiti di colpa originariamente contestati all'imputato come causali rispetto all'infortunio, ha riconosciuto sussistente solo quello relativo alla formazione e informazione del lavoratore, incorrendo, tuttavia, nei vizi di illogicità e contraddittorietà segnalati dal ricorrente. 3.1 giudici, nella ricostruzione del sinistro, pacifica e neppure oggetto di contestazione nel ricorso, hanno distinto due fasi, ovvero una prima fase nella quale si era verificata la rottura del tubo e che si sarebbe conclusa con l'arrivo dei tecnici del gas in cantiere ed una seconda fase, a distanza di tempo rispetto alla prima, in cui si era messa in atto la riparazione del tubo, di competenza esclusiva della società del gas e non già di (...). In maniera illogica, tuttavia, hanno abbinato a ciascuna di tali fasi distinti doveri di informazione-formazione in capo al datore di lavoro. La Corte, infatti, ha dato atto che la valutazione del rischio esplosione-incendio era stata adeguatamente compiuta dal datore di lavoro in quanto: il POS, all'allegato 2.2., prevedeva espressamente la procedura da seguire in caso di danneggiamento dei cavi sotterranei: segnalare l'accaduto al responsabile del cantiere, mettere in sicurezza il sito, allontanarsi dall'area, attendere la squadra dell'ente gestore dei sottoservizi e le indicazioni del preposto prima di riprendere i lavori; - il PSC, al capitolo 5.1.8, prevedeva analoga procedura e specificava che era vietato eseguire riparazioni, anche se provvisorie, di tubazioni danneggiate durante le operazioni di scavo; lo stesso PSC prevedeva, inoltre, il divieto tassativo di fumare, utilizzare fiamme libere e macchine alimentate a energia elettrica in prossimità di tubazioni scoperte. La stessa Corte, nel dare atto di tali contenuti, ha commentato che "poiché entrambi i documenti prevedevano espressamente, in caso di rottura di una tubazione, il divieto - assoluto e senza ipotesi alternative- di riprendere qualunque tipo di attività in assenza di specifica indicazione dei preposto", il POS e il PSC dovevano ritenersi completi ed esaustivi e non dovevano, pertanto, contenere ulteriori divieti, rilevando che "se una condotta è vietata, è vietata e basta e la eventuale previsione di ulteriori prescrizioni per il caso in cui si violi il divieto primario, avrebbe solo l'effetto di avallare tale violazione", per concludere, infine, che gli operai nella prima fase, ovvero quella di competenza di (...), erano stati informati ed avevano seguito alla lettera le procedure correlate alla gestione del rischio esplosione-incendio. Pur dopo avere affermato, dunque, l'assolvimento da parte del datore di lavoro dei doveri di informazione e formazione, la Corte ha ritenuto che la condotta tenuta dal lavoratore infortunato nella seconda fase, consistita nell'assecondare, in contrasto con le direttive aziendali, la richiesta dei tecnici del gas intervenuti, sia stata determinata da una carenza della stessa formazione- informazione "circa il comportamento da tenere in caso di rischio-incendio dovuto al danneggiamento di una tubatura del gas": secondo la Corte al lavoratore non sarebbero state impartite le disposizioni sul comportamento da tenere anche successivamente alla prima fase e in particolare non gli sarebbe stato segnalato il divieto assoluto di intervenire, pur se in presenza di richiesta di aiuto formulata dai tecnici intervenuti per effettuare la riparazione di loro esclusiva competenza. 3. Il percorso motivazionale risulta, dunque, viziato. Da un lato effettivamente la Corte asserisce che le procedure aziendali di (...) sancivano il divieto assoluto di operare ulteriormente dopo il danneggiamento del sottoservizio e sino al suo ripristino e, comunque, fino a che fosse intervenuta l'autorizzazione a riprendere il lavoro da parte del preposto e afferma che su queste procedure gli operai erano perfettamente formati ed informati, come comprovato dal fatto che esattamente in tal modo si era comportato nel caso dì specie il lavoratore infortunato. Dall'altro sostiene che tale divieto assoluto non sarebbe stato segnalato con riferimento alla seconda e successiva fase, quella di competenza della squadra del gas. In tal modo, tuttavia, la Corte non considera ciò che essa stessa aveva evidenziato, ovvero che il divieto sancito nei documenti segnalati, portati alla conoscenza dei lavoratori, di continuare ad operare, fino a che il preposto non avesse autorizzato la ripresa dei lavori, era assorbente, in quanto assoluto e valevole per tutta la procedura conseguente alla rottura del tubo. Il lavoratore, per stessa ammissione della Corte, era stato reso edotto che non avrebbe dovuto effettuare alcun tipo di intervento fino a che lo stato dei luoghi non fosse stato ripristinato e fino a che il preposto, che correttamente aveva fatto intervenire, lo avesse autorizzato, sicché, come peraltro nella stessa sentenza si dà atto, non erano necessarie indicazioni ulteriori: il divieto prescritto era, proprio per come conformato, destinato ad operare anche in quella che la Corte di Appello ha individuato come seconda fase, ovvero quella demandata ai tecnici del gas incaricati della riparazione. La prova, riconosciuta sussistente dalla Corte di Appello, della formazione- informazione in merito al divieto assoluto di continuare l'attività per la prima fase assorbe anche la prova della formazione sullo stesso divieto per la fase successiva, sino al ripristino del danno e all'autorizzazione da parte del preposto. 4. Ne consegue che l'unico profilo di colpa individuato dalla Corte di Appello in capo all'imputato ricorrente non appare integrato. Ritenuti, dunque, assolti da parte del datore di lavoro gli obblighi su di lui incombenti di informazione dei lavoratori sui rischi specifici connessi al tipo di attività svolta (art. 36 D.Lgs. n. 81/2008) e di formazione sui rischi riferiti alle mansioni e sulle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda (art. 37 D.Lgs. n. 81/2008), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in quanto il fatto di reato ascritto all'imputato non sussiste. Ai sensi dell'art. 52, co.2, D.Lgs. n.196/2003, si dispone che, in caso di riproduzione della sentenza, venga omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Ai sensi dell'art. 52, co.2, D.Lgs. n.196/2003, si dispone che, in caso di riproduzione della sentenza, venga omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa. Deciso in Roma, il 27 febbraio 2024 Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2024.

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