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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • 1 REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto Responsabilità civile per danno da animale selvatico GIACOMO TRAVAGLINO Presidente ENRICO SCODITTI Consigliere - Rel. CHIARA GRAZIOSI Consigliere ENZO VINCENTI Consigliere Cron. R.G.N. 4745/2020 PAOLO PORRECAConsigliere Ud.22/4/2024 PU Cron. R.G.N24493/2021 Ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24493/2021 R.G. proposto da: ATC AMBITO TERRITORIALE DI CACCIA RAVENNA 3, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato RUFFOLO UGO (RFFGUO42D02I872U) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato LOCCISANO VALTER (LCCVTR76B01I725W) -ricorrente- contro PAGLIAI ARMANDO E GIORGIO SS SOC. AGRICOLA AZIENDA AGRICOLA PAGLIAI, elettivamente domiciliato in Roma via delle Milizie 2 22, presso lo studio dell’avvocato ARONICA WALTER (RNCWTR80P23H501A) rappresentato e difeso dall'avvocato DOLCINI SILVIA (DLCSLV59H58D458J) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 1136/2021 depositata il 11/05/2021. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22/04/2024 dal Consigliere ENRICO SCODITTI; sentite le parti ed il Pubblico Ministero GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA. Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato in data 11 luglio 2012 l’Azienda Agricola Pagliai Armando e Giorgio s.s. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 chiedendo il risarcimento del danno causato dall’azione di cinghiali e caprioli sui propri fondi coltivati siti nel Comune di Brisighella. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando il convenuto al risarcimento del danno nella misura di Euro 20.965,00, oltre accessori. 3. Avverso detta sentenza propose appello l’Ambito Territoriale. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. 4. Con sentenza di data 11 maggio 2021 la Corte d’appello di Bologna rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, diversamente da quanto affermato da Cass. n. 2374 del 2016 in relazione ad un fatto accaduto nel 1997, in relazione al fatto in questione, verificatosi nel 2011, doveva aversi riguardo, ai fini del riconoscimento della sussistenza della legittimazione passiva del convenuto, alle modifiche intervenute prima con la legge regionale n. 3 6 del 2000, e poi con la legge regionale n. 16 del 2007, alla legge regionale n. 8 del 1994. In particolare, osservò quanto segue. «L’art. 17 della L.R. 8/1994 prevedeva nella formulazione originaria che gli oneri per il contributo al risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate su terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica sono a carico delle Provincie, qualora siano provocati nelle zone di protezione, anche se in gestione convenzionata ovvero, per quanto di rilievo in questa sede, degli ambiti territoriali di caccia qualora si siano verificati nei fondi ivi compresi. Con la L.R. 6/2000 si è disposto che la legittimazione è degli ambiti territoriali di caccia, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi, oppure delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all'art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. Con L.R. 16/2007 si è provveduto a modificare ulteriormente la disciplina di cui trattasi confermando la legittimazione degli ambiti territoriale di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora gli eventi lesivi si siano verificati nei fondi ivi ricompresi». 5. Ha proposto ricorso per cassazione l'Ambito Territoriale di Caccia Ravenna 3 sulla base di un motivo. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte, concludendo per l’accoglimento del ricorso. E’ stata depositata memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 26 legge n. 157 del 1992, 16, 17 e 18 legge regionale n. 8 del 1994, 111 Cost., 132 n. 4 e 118 att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha ravvisato la sussistenza della legittimazione passiva in capo al ricorrente nonostante le modifiche richiamate alla 4 legge regionale non modificassero, per la parte rilevante, la legge regionale n. 8 del 1994, così come interpretata da Cass. n. 2375 del 2016, la quale aveva individuato nella Provincia il soggetto passivamente legittimato, posto che la lieve modifica intervenuta aveva toccato solo l’art. 17, il quale prevede, come affermato da Cass. n. 2375 del 2016, la ripartizione interna fra la Provincia e gli altri soggetti (fra cui l’Ambito Territoriale) degli oneri relativi ai contributi per il fondo regionale, previsto dall’art. 26 legge n. 157 del 1992 per i danni arrecati alle produzioni agricole dalle specie di fauna selvatica cacciabile. Aggiunge che la motivazione, alla luce di quanto osservato, risulta anche apparente. 1.1 Deve premettersi all’esame del motivo che il ricorrente ha depositato copia della sentenza impugnata, con asseverazione di autenticità, priva però dell’indicazione della data di pubblicazione (c.d. glifo). La questione, per come ha già trovato modo di declinarsi nella giurisprudenza di questa Corte, è riassumibile nei seguenti termini: se il deposito di sentenza digitale priva della stampigliatura (quest’ultima indicata, in taluni precedenti, atecnicamente come “glifo”), apposta in via automatica dal sistema informatico di gestione dei servizi di cancelleria, indicante la data di deposito ed il numero del provvedimento, valga o meno a soddisfare l’onere di deposito del provvedimento impugnato previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., ovvero, in assenza dei predetti dati, debba addivenirsi, altrimenti, ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività, ove non si ritenga superata la c.d. prova di resistenza. 1.2. – Occorre, anzitutto, dare evidenza, in estrema sintesi, alle soluzioni (con gli argomenti che le sorreggono) sinora adottate dalla giurisprudenza di questa Corte, alla luce di una ricognizione di cui si fa carico, in modo ampio, la memoria del pubblico ministero e alla quale, dunque, giova richiamarsi. 5 1.2.1. – L’improcedibilità del ricorso per cassazione è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 29803/2020, Cass. n. 5771/2023, Cass. n. 8535/2023, Cass. n. 10180/2023, Cass. n. 23694/2023, Cass. n. 25472/2023, Cass. n. 28035/2023, Cass. n. 36379/2023) nel caso in cui la sentenza impugnata, redatta in formato digitale, risulti priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione, sia perché i suddetti adempimenti sono gli unici che permettono alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza, sia perché la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, né, in caso di accoglimento del ricorso, di formulare un corretto dispositivo che, coordinato con la motivazione, individui con esattezza il provvedimento cassato. In particolare, gli argomenti a sostegno dell’improcedibilità (Cass. n. 5771/2023) muovono dal rilievo che «la disposizione dell’art. 16- bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012) - introdotta dall’art. 52, comma 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/2014) - che stabilisce la equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice “anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale”» attribuisce «al difensore il potere di certificazione pubblica delle “copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico” ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla “pubblicazione” della sentenza». Si è, quindi, ritenuto che, “per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale 6 contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema”, altrimenti resterebbe preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza del provvedimento impugnato e del suo numero identificativo. 1.2.2. – L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 18510/2023, Cass. n. 29263/2023, Cass. n. 36189/2023, Cass. n. 817/2024, Cass. n. 841/2024) nel caso in cui il ricorrente depositi un duplicato della sentenza telematica dal quale non si evince la data di pubblicazione e la notificazione del ricorso è avvenuta in una data che non risulta tempestiva - se calcolata in relazione al giorno della decisione indicato nel testo del provvedimento - rispetto al termine dell’art. 327, comma primo, c.p.c. Va, peraltro, posto in evidenza che, nel superare la soluzione dell’improcedibilità del ricorso, questa Corte, in base a questo orientamento, ha affermato (in un caso in cui ha avuto esito positivo la c.d. “prova di resistenza” sulla tempestività dell’impugnazione: Cass. n. 865/2024) che la «copia analogica prodotta, pur con le dette omissioni, non si può considerare come copia non autentica, in quanto risulta ─ e vi è in tal senso anche espressa asseverazione del Procuratore dello Stato resa ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis, 16- decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012 ─ “tratta con modalità telematiche” e “conforme” allo “esemplare presente nel fascicolo informatico” come “reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale”, e, dunque, deve considerarsi conforme al documento informatico effettivamente presente nel fascicolo del giudizio di merito e, pertanto, autentica». 1.2.3. – Giova, altresì, dare conto che, sebbene in un caso di rigetto del ricorso in presenza di ragione più liquida di infondatezza dello 7 stesso (e superando in tal modo la depositata proposta di definizione accelerata nel senso della improcedibilità del ricorso), Cass. n. 5204/2024 - premesse le nozioni di “copia informatica di documento informatico” e di “duplicato informatico”, secondo le definizioni contenute nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e richiamate le disposizioni speciali per il processo civile in tema di attestazione di conformità - ha prospettato i seguenti interrogativi: a) «può il deposito di una tale copia ritenersi soddisfare l’onere, previsto all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. … di depositare “copia autentica della sentenza”?»; b) “se sì, può la mancanza, nella copia informatica estratta dal fascicolo informatico e attestata conforme, delle indicazioni relative al numero e alla data di pubblicazione dal fascicolo informatico considerarsi causa di inammissibilità del ricorso per mancata prova della sua tempestività (salva la c.d. prova di resistenza …)?”; c) “accedendo a tale ultimo orientamento, può infine ritenersi utilmente e tempestivamente prodotta, a riprova dell’ammissibilità del ricorso, altra copia informatica, questa volta recante il c.d. glifo, successivamente al deposito ed alla comunicazione della proposta di definizione? Se sì, può essa ritenersi utilmente prodotta, come nella specie, al di là del termine di quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza, fissato dall’art. 372, secondo comma, c.p.c.?”. 1.3. – Il Collegio ritiene che gli interrogativi posti da Cass. n. 5204/2024 trovino complessiva risposta nelle considerazioni che seguono. 1.3.1. - Le nozioni di “copia informatica” e di “duplicato informatico”. In base alle definizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.), applicabili anche al processo civile, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo 8 telematico (art. 2, comma 6): a) la copia informatica di documento informatico: è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari (lett. i-quater); b) il duplicato informatico: è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (lett. 1- quinquies). Ai sensi dell’art. 23-bis del C.A.D.: «1. I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida [i.e. le linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ai sensi dell’art. 71 C.A.D.]. Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. […]». Nozioni, queste, che sono riprese dalla citata Cass. n. 5204/2024 e che erano tenute ben presenti già da Cass. n. 27379/2022 (la quale ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’impugnazione svolta nei confronti della sentenza di primo grado, sul presupposto che la notifica telematica della stessa, mediante duplicato informatico, era idonea a far decorrere il ‘termine breve’, pur non presentando segni grafici relativi all’apposizione della sottoscrizione del giudice), da cui è stato tratto il principio di diritto così massimato: “in tema di notificazione della sentenza con modalità telematica, occorre distinguere la copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta segni grafici (generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari) che 9 rappresentano una mera attestazione della presenza della firma digitale apposta sull’originale di quel documento, dal duplicato informatico che, come si evince dagli artt. 1, lett. i) quinquies e 16-bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario e la cui corrispondenza con quest’ultimo non emerge dall’uso di segni grafici - la firma digitale è infatti una sottoscrizione in bit la cui apposizione, presente nel file, è invisibile sull’atto analogico cartaceo - ma dall’uso di programmi che consentono di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato”. 1.3.2. - Le attestazioni di conformità nel processo civile. La materia delle attestazioni di conformità trova espressa disciplina per il processo civile nelle disposizioni sul processo telematico, dapprima ai sensi degli artt. 16-bis, comma 9-bis, decies ed undecies, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, ora (sostanzialmente) riproposti negli artt. 196-octies, 196 novies, 196 decies e 196 undecies disp. att. c.p.c. In sintesi, e per quel che qui rileva, è conferito al difensore il potere di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti originali, mentre per il duplicato informatico (la cui equivalenza all’originale esclude la necessità di attestazione) si richiede che lo stesso venga prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. 1.3.3. – La nozione di “contrassegno elettronico”, “timbro digitale”, “codice bidimensionale”, “glifo”. 10 Ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis, C.A.D.: «Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo». Nelle linee guida emanate dall’AgID con circolare n. 62 del 30 aprile 2013 si chiarisce che «Nei vari contesti il contrassegno generato elettronicamente può essere indicato, anche in relazione alle specificità dello scenario implementato, con termini differenti, quali “Contrassegno elettronico”, “Timbro digitale”, “Codice bidimensionale”, “Glifo”, termini che sono da intendersi come sinonimi». Nell’ambito delle predette linee guida, si precisa che «per contrassegno generato elettronicamente si intende una sequenza di bit, codificata mediante una tecnica grafica e idonea a rappresentare un documento amministrativo informatico o un suo estratto o una sua copia o un suo duplicato o i suoi dati identificativi. A tutti gli effetti di legge sostituisce la sottoscrizione autografa della copia analogica. Il contrassegno generato elettronicamente è rappresentato graficamente con tecnologie differenti, per leggere le quali può essere richiesto apposito software rilasciato dallo sviluppatore della soluzione». 1.4. – Ciò premesso, si osserva quanto segue. L’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., richiede il deposito di “copia autentica della decisione impugnata”. 11 Il provvedimento emesso come documento informatico e sottoscritto con firma digitale è depositato nel fascicolo tramite l’applicativo l’informatico, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44. La pubblicazione avviene, dunque, non più attraverso la materiale apposizione del deposito e della relativa certificazione da parte del cancelliere, bensì attraverso l’accettazione del deposito telematico del provvedimento e l’attribuzione mediante il sistema informatico del numero identificativo e della data dell’adempimento, con inserimento nel fascicolo informatico e conseguente ostensibilità agli interessati (si veda anche Cass. n. 2829/2023). Ne consegue che, per effetto dell’attuazione del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull’unico originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico effettuata dal sistema informatico. Con l’accettazione del deposito telematico e l’attribuzione del numero cronologico, il provvedimento digitale è inserito nel fascicolo informatico e solo in esito alla pubblicazione informatizzata diventa consultabile da parte dei difensori, attraverso il portale dei servizi telematici di cui all’art. 6 del d.m. n. 44/2011, nella versione originale, rappresentata dal duplicato (che reca la firma digitale del magistrato), ovvero nella copia informatica, che reca la stampigliatura dei dati esterni della pubblicazione (vale a dire il numero di cronologico e la data di pubblicazione) come segno grafico apposto dal sistema per evidenziare l’avvenuto processamento informatico. Pertanto, nella differente realtà digitale il concetto di unico originale risulta sostanzialmente superato dalla possibilità di accedere al duplicato (che equivale all’originale), dovendosi, altresì, evidenziare che è l’accettazione dell’atto da parte del cancelliere a determinare l’inserimento del provvedimento nel fascicolo informatico, sicché resta 12 escluso che il difensore possa accedere al duplicato ovvero alla copia informatica se non è intervenuta la pubblicazione. E tanto emerge chiaramente anche dalla giurisprudenza di questa Corte, che collega la pubblicazione dei provvedimenti digitali al necessario presupposto che l’atto divenga visibile e consultabile dalle parti, cosicché non è sufficiente il mero deposito, ma occorre l’accettazione da parte della cancelleria - almeno fino a che i sistemi richiederanno l’intervento manuale – e, comunque, l’inserimento nei registri e l’assegnazione del numero cronologico (Cass. n. 24891/2018, Cass. n. 2362/2020, Cass. n. 2829/2023). Infatti, solo a seguito dell’avvenuta pubblicazione informatica, i difensori, accedendo al fascicolo informatico tramite il portale dei servizi telematici, possono scegliere se estrarre copia informatica del provvedimento, recante le indicazioni sulla data di pubblicazione e sul numero di cronologico, come stampigliatura apposta dal sistema informatico in esito all’accettazione dell’atto digitale da parte della cancelleria, ovvero se scaricare direttamente il duplicato informatico che, in quanto tale, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico (e la conseguente alterazione della sequenza di valori binari del documento originario). Non è, pertanto, sanzionabile con l’improcedibilità la scelta del difensore che, potendo optare tra il deposito del duplicato e la copia informatica(la cui apposta stampigliatura rappresenta soltanto un’evidenza grafica della registrazione informatizzata), si determini per il deposito del primo in quanto equivalente all’originale e, come tale, non necessitante di alcuna attestazione di conformità. Sicché, il concetto stesso di duplicato risulta assorbente rispetto al requisito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata”, postulato dall’art. 369 c.p.c. 13 I dati relativi alla pubblicazione, se in contestazione ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione (e, dunque, là dove non evincibili tramite gli stessi sistemi informatici in uso a questa Corte), possono essere verificati attraverso la consultazione del fascicolo informatico del giudizio di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere a decorrere dal 1° gennaio 2023 (art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 149/2022). Quanto ai giudizi introdotti precedentemente, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato (quale documento nativo digitale), se necessario, possono essere verificati tramite richiesta di attestazione degli stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso quel provvedimento, in presenza di istanza del ricorrente formulata ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nel testo antecedente alla abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149/2022. Dati che sono presenti nel fascicolo informatico che la cancelleria deve tenere e conservare ai sensi art. 36, ultimo comma, disp. att. c.p.c. e dell’art. 9 del d.m. n. 44/2011. Quest’ultima disposizione precisa, infatti, che il predetto fascicolo contiene “i dati del procedimento medesimo da chiunque formati” (comma 1) e in modo tale da “garantire la facile reperibilità ed il collegamento degli atti ivi contenuti [anche] in relazione alla data di deposito” (comma 5). E una tale verifica officiosa si rende necessaria in quanto il ricorrente, con il deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato, ha pienamente assolto l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.; onere funzionale, in primo luogo, proprio a “consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione” (Cass., S.U., n. 8312/2019), la quale (è opportuno ribadire), in ambiente di processo telematico, è possibile solo attraverso i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario. 14 Occorre, dunque, collocarsi nel cono d’ombra del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU), il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (tra le tante: Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024; Cass., S.U., n. 6477/2024). Pertanto, va fatta applicazione del principio - già affermato da Cass., S.U., 25513/2016 in riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione ex art. 348-ter, comma terzo, c.p.c. (e ribadito da Cass., S.U., n. 11850/2018, Cass., S.U., n. 8312/2019 e Cass., S.U., n. 21349/2022) - secondo il quale la Corte esercita il proprio potere officioso di controllo sulla tempestività dell’impugnazione ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo tramite l’istanza di cui all’ultimo comma dell’art. 369 c.p.c. 1.4.1. – Nel caso, invece, di deposito ex art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., di copia analogica di duplicato informatico della decisione impugnata (ossia, tramite la stampa del file), rimane necessaria l’attestazione di conformità del difensore ai sensi del citato art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179/2012 (nei termini affermati da Cass., S.U., n. 8312/2019), non potendosi, in siffatta evenienza, apprezzare altrimenti la qualità di duplicato informatico che dal difensore medesimo sia stata predicata (atteso che la stampa di un documento informatico sottoscritto digitalmente non consente la verifica dell’apposizione della firma, ciò che, come detto, è possibile con i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario). Tuttavia, all’interrogativo posto da Cass. n. 5204/2024 in ordine alla ritualità della copia autenticata così depositata, in quanto priva 15 delle indicazioni relative alla pubblicazione, si deve dare risposta positiva. Infatti, in quanto estratta dal fascicolo informatico ed attestata come conforme dal difensore, anche il deposito di una tale copia autenticata vale ad integrare il requisito richiesto dall’art. 369 c.p.c., così aprendosi la possibilità, pure in tale ipotesi, dell’accertamento officioso in ordine alla tempestività dell’impugnazione (ove in contestazione), tramite la richiesta alla cancelleria del giudice a quo di attestazione dei dati di pubblicazione del provvedimento. 1.5. – Devono, quindi, enunciarsi i seguenti principi di diritto: «a) in regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione, ove non evincibili tramite i sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione e in contestazione, vanno attinti attraverso la consultazione del fascicolo di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137-bis c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi 16 dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022; b) nel regime in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato, ove in contestazione, vanno attinti tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022». 1.6. Nel caso di specie, a seguito del dato acquisito tramite cancelleria, la data di pubblicazione del provvedimento impugnato è 11 maggio 2021. Essendo stato il ricorso notificato in data 30 settembre 2021, risulta rispettato il termine semestrale per proporre l’impugnazione. 1.7. Ciò premesso, il motivo è fondato. Conformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero, deve essere mantenuto l’indirizzo di questa Corte, espresso dalle pronunce n. 2374 del 2016 e n. 2375 del 2016, il cui principio di diritto è che, in relazione alla legge della Regione Emilia Romagna,l'amministrazione provinciale è l'unico soggetto legittimato passivamente a fronte di azioni proposte da terzi per ottenere la riparazione dei danni eventualmente provocati dalla fauna selvatica, a nulla rilevando la ripartizione di compiti interna alla Provincia stessa riguardo al peso economico derivante dall'obbligo 17 risarcitorio. La modifica legislativa, considerata dalla corte territoriale, è relativa solo alla ripartizione degli oneri relativi al fondo regionale. L’art. 17 legge regionale n. 8 del 1994, applicabile ratione temporis (in relazione al fatto verificatosi nel 2011) sulla base delle modifiche intervenute, prima con l’art. 14 della legge regionale n. 6 del 2000, e poi con l’art. 10 della legge regionale n. 16 del 2007, è il seguente: «Danni alle attività agricole 1. Gli oneri relativi ai contributi per i danni arrecati alle produzioni agricole e alle opere approntate sui terreni coltivati ed a pascolo dalle specie di fauna selvatica cacciabile o da sconosciuti nel corso dell'attività venatoria sono a carico: a) degli ambiti territoriali di caccia per le specie di cui si consente il prelievo venatorio, qualora si siano verificati nei fondi ivi ricompresi; b) dei titolari dei centri privati della fauna allo stato naturale di cui all'articolo 41 qualora si siano prodotti ad opera delle specie ammesse nei rispettivi piani produttivi o di gestione e delle aziende venatorie di cui all'articolo 43 per le specie di cui si autorizza il prelievo venatorio, nei fondi inclusi nelle rispettive strutture; c) dei proprietari o conduttori dei fondi rustici di cui ai commi 3 e 8 dell'art. 15 della legge statale, nonché dei titolari delle altre strutture territoriali private di cui al capo V, qualora si siano verificati nei rispettivi fondi; d) delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione di cui all’art. 19 e nei parchi e nelle riserve naturali regionali, comprese quelle aree contigue ai parchi dove non è consentito l'esercizio venatorio. 2. Le Province concedono contributi per gli interventi di prevenzione e per l'indennizzo dei danni: a) provocati da specie cacciabili ai sensi del comma 1 lettera d); b) provocati nell'intero territorio agro-silvo-pastorale da specie protette, dal piccione di città (Columba livia, forma domestica) o da 18 specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse. 3. I contributi sono concessi entro i limiti di disponibilità delle risorse previste dall’art. 18, comma 1». La rilevanza della modifica legislativa al livello della ripartizione interna del peso economico derivante dall’obbligo di risarcire i danni da fauna selvatica, come risulta dal primo comma della disposizione citata, non incide sul principio di diritto enunciato dai richiamati precedenti di questa Corte, cui il Collegio presta continuità e rinvia, anche sul piano della motivazione, per quanto concerne l’individuazione del soggetto tenuto al risarcimento del danno, salva la modifica legislativa evidenziata sul piano del riparto interno. 1.8. Poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda. L’intervento della giurisprudenza determinante nel corso del processo costituisce ragione di compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. P. Q. M. Accoglie il motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda; dispone la compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il giorno 22 aprile 2024 Il consigliere estensore Dott. Enrico Scoditti Il Presidente Dott. Giacomo Travaglino 19

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5319 del 2022, proposto da Ge. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co., Gi. Co. e Al. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); contro Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Ge., Da. Ad. Ma. Za. e El. Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ni. Ge. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 03221/2022, resa tra le parti, per l'annullamento, in parte qua, dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, successivamente notificata e ricevuta da Ge. S.p.A. il 27.06.2017, con la quale sono state irrogate alla ricorrente le sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000 (doc. 1); nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, quali in particolare: l'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed il rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS (doc. 2). con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole alla ricorrente, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., Ni. Ge. e Da. Ad. Ma. Za.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma Sezione Seconda Ter, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto Ge. S.p.A., per l'annullamento in parte qua dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, d'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000. Cumulativamente, oltre ad estendere il gravame all'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed al rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS; la società ricorrente ha chiesto la condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole all'appellante, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. 2. La sanzione consegue all'accertamento di cinque distinte ipotesi di violazione del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (artt. 182 e 183) e di diverse norme regolamentari poste in essere dalla Società appellante con riferimento alla commercializzazione di "BG Stile Libero", prodotto che combina assicurazioni di ramo I con assicurazioni di ramo III di cui all'articolo 2, c. 1, del d.lgs. 209/2005 ("Codice delle Assicurazioni Private"). Gli illeciti ritenuti sussistenti sono i seguenti: - utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentono una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzano il prodotto (illecito a); - illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione (illecito b); - mancata consegna del "Progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" (illecito c); - non piena attendibilità dell'indicatore "Costo Percentuale Medio Annuo" riportato nella scheda sintetica ("CPMA") (illecito e); - carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti (illecito f). 3. Con i primi quattro motivi (da I a IV) del ricorso di primo grado la società appellante lamentava "I vizi del provvedimento sanzionatorio"; nei restanti cinque motivi (da V a IX) denunciava l'"Insussistenza delle violazioni"; con il decimo motivo (X) chiedeva in subordine la rideterminazione della sanzione in caso di mancato accoglimento della domanda di annullamento. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di prime cure ha confermato la violazione rubricata sub a) nel testo dell'ordinanza gravata con la quale Ivass ha contestato l'utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentivano una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzavano il prodotto. Sul punto, il Tar osserva che la broucher del prodotto si presentava inequivocabilmente omissiva sia in ordine alle percentuali con le quali la componente assicurativa e quella finanziaria andavano a comporre il prodotto, sia in ordine alla tipologia di rischio che è sicuramente difforme dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare, e da quello di correttezza richiamato anche dalla disposizione legislativa. Infatti, sebbene la società ha utilizzato dato atto della natura composita del prodotto, nulla s'è chiarito in ordine all'effettiva composizione del prodotto stesso che presentava una spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure. In merito alla violazione rubricata sub b) con la quale Ivass ha ritenuto che la ricorrente abbia illustrato in maniera fuorviante il regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione, il giudice di prime cure osserva che le espressioni utilizzate non erano chiare e comprensibili in punto di informazione fiscale, atteso che le stesse non rendevano agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef. Il Tar conferma anche la violazione rubricata sub c) con la quale Ivass sanzionava la Società appellante per non avere consegnato ai clienti il "progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" come prescritto dalla normativa. Dalle risultanze istruttorie acquisite in sede ispettiva emerge che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione. Analogamente, la violazione rubricata sub e) con la quale Ivass ha ritenuto che Geneterllife non abbia riportato, nella scheda sintetica, l'indicatore Costo Percentuale Medio annuo (CPM) in maniera attendibile, trova conferma, secondo il Tar, nel modo in cui l'indice è stato redato senza che emergano, in maniera chiara, i livelli di onerosità del prodotto "BG Stile Libero". Infine il giudice di prime cure riscontra positivamente anche la violazione rubricata sub f) per aver fornito alla rete distributiva informazioni carenti in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti. Nel respingere i vari motivi di ricorso, il Tar aggiunge che le conclusioni raggiunte dall'Ivass risultano supportate da riscontri documentali acquisiti in sede di visita ispettiva e correttamente inquadrate in fattispecie di illecito sufficientemente specificate. In merito alla quantificazione della sanzione, il Tar richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione del quantum delle sanzioni amministrative pecuniarie, la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito. La quantificazione della sanzione costituisce espressione di discrezionalità amministrativa non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere nelle sue varie forme sintomatiche. 5. Appella la sentenza Ge. S.p.A. 6. Si è costituito in giudizio l'Ivass. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo di appello l'appellante censura l'ordine con cui il Giudice di prime cure ha esaminato i motivi di ricorso, anteponendo l'esame delle censure relative all'insussistenza delle violazioni (motivi da V a IX) rispetto alla disamina delle doglianze sui vizi del provvedimento sanzionatorio (motivi da I a IX). In particolar modo l'appellante censura il fatto che il Tar abbia postergato l'esame e respinto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di legalità, determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili, dei principi di certezza del diritto e degli artt. 1 l. n. 689/1981 e 182 e 183 del c.a.p. Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, nel caso in esame, non si riscontrerebbero fattispecie sanzionatorie astratte, ricostruibili in chiari termini precettivi perfettamente comprensibili da un primario operatore del settore assicurativo. L'appellante, in particolare, in merito alla possibilità di ricostruire gli illeciti sanzionati riconducendoli alle fattispecie sanzionatorie astratte in chiari termini precettivi, osserva che la sentenza (p. 15) ammette che gli artt. 182 e 183 CAP, per la determinazione del loro contenuto, necessitano di una eterointegrazione mediante il rinvio ad una norma diversa da quella "incriminatrice". Nondimeno, alla pagina successiva (p. 16), ad avviso dell'appellante, la pronuncia in maniera criptica e tautologica, afferma che "con riferimento alle cinque figure di illecito ritenute ricorrenti da Ivass, vengono, di volta in volta, in rilievo violazioni di obblighi fondamentali gravanti sull'impresa assicuratrice quali quello di chiarezza, trasparenza e correttezza... la cui violazione - oltre a rilevare su un piano civilistico, ai sensi degli artt. 1337,1366 e 1375 c.c. - integra pure gli illeciti amministrativi delineati dagli artt. 182 e 183 del d,lgs. 209/2005". L'appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare la necessità di eterointegrazione dei precetti normativi; le fonti integrative richiamate non sarebbero dotati di quei caratteri di determinatezza e di tassatività che controparte stessa ritiene indispensabili a suffragare il rispetto della riserva di legge. Sul punto, il Tar avrebbe fatto mal governo dei precedenti giurisprudenziali citati nella sentenza poiché gli addebiti, contrariamente a quanto precisato nelle decisioni, sarebbero formulati facendo sostanzialmente rinvio a clausole generali (diligenza, correttezza, trasparenza) che non sono ancorate ad alcun concreto parametro oggettivo. Pertanto, nemmeno si realizzerebbe un effettivo meccanismo di eterointegrazione della norma sanzionatoria primaria attraverso norme secondarie. In merito all'illecito sub a) (utilizzo di materiale pubblicitario con espressioni fuorvianti), richiamando le norme che l'Ivass assume violate (art. 182 c. 1 CAP; art. 39 c. 1 Reg. 35/2010), l'appellante osserva che le norme impongano il rispetto dei principi generali (correttezza e chiarezza) senza precisarne il contenuto. Il Tar si limiterebbe a rilevare che chiarezza e correttezza impongono che il messaggio pubblicitario sia tale da far comprendere le caratteristiche principali del prodotto, tuttavia non risulterebbe alcun obbligo di precisare nel messaggio pubblicitario le proporzioni tra la componente assicurativa e la componente finanziaria del prodotto. In merito all'illecito sub b) (Illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione) l'appellante osserva, da un lato, come il Tar si sofferma sull'eccesiva tecnicalità delle espressioni utilizzate dall'appellante (che il provvedimento gravato sanziona), dall'altro lato, come le norme che si assumono violate si caratterizzano per l'elevato tecnicismo delle regole. In secondo luogo la norma che si assume violata (All. 3 punto 8 Reg. 35/2010) stabilisce che deve essere "indicato" il trattamento fiscale applicabile al contratto; al contrario l'illecito è rubricato "illustrazione". I due concetti non sarebbero sovrapponibili: "indicare" significherebbe fornire informazioni; "illustrare" significherebbe chiarire nei particolari. In merito all'illecito sub c) (Mancata consegna del progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata), l'appellante lamenta che la tesi del Tar, secondo cui a norma del regolamento sarebbe necessario che il cliente riceva in consegna il documento in quanto la presa visione non sarebbe sufficiente a rispettare il precetto normativo, è formalistica. La messa a disposizione del progetto, comprovata dall'attestazione di presa visione, indicherebbe che il documento è stato sottoposto al cliente prima di concludere il contratto. In merito all'illecito sub e) (Non piena attendibilità dell'indicatore Costo Percentuale Medio Annuo riportato nella scheda sintetica) l'appellante osserva che non verrebbe indicata quale previsione specifica della normativa regolamentare sia stata violata, di conseguenza resterebbe indeterminato il criterio concretamente prescritto dall'all. 2 Reg. 35/2010 e concretamente disatteso. In merito all'illecito f) (Carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti) l'appellante sostiene che il Tar si limita a riportare i profili di criticità rappresentati nel provvedimento sanzionatorio, tanto da essere indefinito il quadro delle regole che avrebbe violato. Il giudice di prime cure non affronterebbe la questione relativa alla mancanza di parametri oggettivi che guidino nell'applicazione della normativa alle polizze multi-ramo. 8.1 Il motivo è infondato. Quanto all'ordine d'esame delle censure, va ribadito che non è prescritto da parte del Giudice un ordine preciso di esame dei vari motivi proposti qualora essi non siano stati graduati dal ricorrente o, come nel caso di specie, non siano eccepiti il vizio di incompetenza o il difetto di legittimazione. Viceversa, nell'economia della decisione, il riscontro analitico delle singole violazioni ha evidenziato in modo puntuale, riferito al caso concreto, la sostanziale determinatezza dei precetti sanzionatori applicati. Sul piano generale, quanto alla denunciata violazione della necessaria determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili si può osservare che la riserva di legge prevista dall'art. 1 l. 689/81 è precettiva solo per quanto attiene alla determinazione della sanzione, esigendo la norma che la stessa sia comminata sulla base di norma primaria, ma consentendo il rinvio (cfr., Corte Cost. 11 luglio 1961, n. 48) "a provvedimenti amministrativi della determinazione di elementi o di presupposti espressione di discrezionalità tecnica". La riserva di legge - sul presupposto che la sanzione sia comminata direttamente dalla legge -consente l'integrazione meramente tecnica del precetto da parte di fonti non legislative. Le norme di settore contenenti i precetti non possono materialmente declinare tutte le fattispecie di violazione dei princì pi stessi perché ne risulterebbero norme pletoriche e comunque non esaustive di tutte le possibilità . Le norme in esame richiamano princì pi generali, individuabili senza incertezze, in cui il fatto viene accertato e sussunto nella fattispecie normativa per effetto dei rilievi in fatto contenuti nel rapporto ispettivo o azione di vigilanza "off site". In definitiva la contestazione d'addebiti e il provvedimento finale, s'integrano vicendevolmente e la portata lesiva dei fatti ed il loro disvalore nell'ordinamento di settore valutati nella motivazione del provvedimento impugnato.. La portata semantica degli elementi normativi evocati dai ridetti princì pi generali deriva dall'attività interpretativa tecnico-discrezionale dell'autorità procedente di cui il provvedimento e, prima ancora, gli atti prodromici - assunti in regì me di piena trasparenza e di contraddittorio - danno conto in motivazione. 9. Con il secondo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata prova dei supposti illeciti. Il Tar ha sostenuto che le conclusioni di Ivass sarebbero supportate da riscontri documentali e inquadrate in fattispecie sufficientemente specificate, pertanto sarebbero soddisfatti gli oneri istruttori e motivazionali. Il giudizio espresso dal Tar sarebbe sostanzialmente apodittico, in quanto non sorretto da una effettiva dimostrazione. Sul secondo punto rinvia a quanto sostenuto nel primo motivo di appello. 9.1 Il motivo è infondato. Gli atti acquisiti in sede ispettiva e gli atti del procedimento, quali l'atto di contestazione e l'ordinanza gravata, circoscrivono i fatti contestati richiamando le disposizioni violate, anche tramite rinvio al rapporto ispettivo. La prova degli illeciti è stata offerta in concreto, consentendo all'ingiunta di percepire le contestazioni e di controdedurre nel corso del procedimento e corrisponde al paradigma probatorio tipico degli illeciti omissivi. Vale a dire che la prova della condotta positiva di adempimento degli obblighi derivanti dalla collocazione del prodotto finanziario-assicurativo, ai fini del rispetto dei princì pi di tutela in argomento, gravava - a fronte della contestata omissione - sull'impresa (cfr., Cass., Sez. Un., 30/9/2009, n. 20930, cit., anche in richiamo di Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). 10. Con il terzo motivo di appello, l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui aveva lamentato la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 326 c. 1, CAP e dell'art. 5, Reg. IVASS 1/2013, nonché dell'art. 11, l. 689/1981. Violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità ...". Il Tar ha ritenuto che le fattispecie violate sarebbero ascrivibili a fattispecie di pericolo e che i richiami giurisprudenziali addotti dall'appellante a sostegno delle sue tesi non siano pertinenti. L'appellante censura la ricostruzione delle violazioni in termini di "fattispecie di pericolo" che si porrebbe in contrasto con la normativa di settore. Muovendo dall'analisi del dato normativo, l'appellante sostiene che le sanzioni sono configurate dalla normativa di riferimento come strumento che, oltre a punire, interviene per rimediare alla lesione, pertanto non potrebbero essere disgiunte dalla concreta lesività della condotta. La sentenza sarebbe erronea per aver trascurato la violazione del principio di proporzionalità ; per non aver tenuto conto che la società ha palesato la propria condotta collaborativa nei confronti della Vigilanza, tanto da essere intervenuta con azioni concrete per allinearsi ai rilievi critici prospettati nel rapporto ispettivo. Gli interventi migliorativi attuati dalla società appellante, e valutati positivamente dal Servizio Ispettorato, sarebbero stati travisati dall'Autorità che vi avrebbe ravvisato una sorta di "confessione" implicita o, almeno, di ammissione di responsabilità da cui far scaturire i presupposti per irrogare la sanzione. 10.1 Il motivo è infondato. In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è (affatto) alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata. 11. Con il quarto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il quarto motivo del ricorso di primo grado. Il Tar si limita a negare che gli elementi prospettati dall'appellante - vale a dire la circostanza che la Società sia stata sanzionata nonostante abbia assunto misure più cautelative per la clientela; ed abbia applicato la normativa in modo più restrittivo di quanto previsto - possano inficiare il provvedimento sanzionatorio. Sicché le presunte violazione in materia di tutela del contribuente non sussisterebbero in ragione della condotta della società sarebbe improntata alla massima protezione della clientela e non risulterebbe in contrasto con le disposizioni di riferimento. 11.1 Il motivo è infondato In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è affatto alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata 12. Con il quinto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il quinto motivo di ricorso relativo alle pretese carenze del materiale pubblicitario e al preteso carattere ingannevole del messaggio pubblicitario (illecito sub a). Il Tar ha ritenuto che: la brochure rappresentava la natura composita della polizza, ma non precisava l'effettiva composizione; il prodotto presentava un cospicuo rischio di perdita di capitale non percepibile dalla brochure; la brochure era omissiva con riguardo alle informazioni sulle percentuali di composizione assicurativa e finanziaria e sulla rischiosità del prodotto; il supposto deficit informativo non poteva essere colmato dai contenuti della brochure con i riferimenti alla natura ibrida e con il richiamo al fascicolo informativo; sarebbero irrilevanti le considerazioni difensive sul target dei destinatari. Sulla destinazione del messaggio alla clientela e non ai venditori, la sentenza traviserebbe la funzione della brochure di "BG Stile Libero" che, all'opposto, avrebbe dovuto essere valutata in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto. La sentenza riconosce che dal materiale pubblicitario risultava la natura anche finanziaria del prodotto, ma censura la presunta omissione in ordine alle percentuali assicurativa e finanziaria e in ordine alla tipologia di rischio. Tali criticità non sarebbero indicate nel provvedimento sanzionatorio e dunque la sentenza sarebbe erronea per aver travalicato i limiti derivanti dal contenuto dei provvedimenti impugnati. 12.1. Il motivo è infondato. Né sussiste il denunciato travisamento della funzione della brochure di "BG Stile Libero", da valutare, secondo la censura, "in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto", visto che era impiegata dai promotori di Banca Generali, quali unici canali di collocamento. La natura ontologicamente e teleologicamente pubblicitaria del documento, congegnato e destinato al pubblico, non muta con riguardo al canale distributivo adottato. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, non è sufficiente che, dal materiale pubblicitario, risultasse la natura finanziaria del prodotto. Posto che il prodotto presenta "spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure". Al di là dell'indicazione delle percentuali della componente assicurativa e di quella finanziaria del prodotto, è stata omessa l'indicazione, perspicua ed inequivoca, della tipologia di rischio, in difformità dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare e da quello di correttezza, richiamato anche dalla norma primaria di riferimento (art. 182 CAP). La presenza sul mercato d'una gamma vastissima di prodotti c.d. "ibridi" che combinano la componente assicurativa ed quella finanziaria, con gradi di esposizione a rischio assai differenti tra loro in ragione di vari fattori, avrebbe dovuto indurre la ricorrente, nel presentare il prodotto, a rendere edotto il potenziale contraente del rischio affrontato, in ossequio ai principi di chiara e corretta l'informazione, di cui artt. 182, c. 1, CAP e 39, c. 1, Reg. ISVAP n. 35/2010. 13. Con il sesto motivo l'appellante censura il capo di sentenza di reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado relativo all'illecito b) concernente l'illustrazione del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione. La sanzione sarebbe stata irrogata per la pretesa non chiarezza di una parte delle informazioni sul regime fiscale riportate nella Nota Informativa. Il Tar avrebbe omesso di considerare che la descrizione del regime fiscale non si sarebbe esaurita nelle due espressioni oggetto dei rilievi dell'Autorità . I rilievi critici dell'Autorità riguardavano queste due formulazioni: "somme corrisposte in caso di morte" e "capitali percepiti in caso di decesso". Dalla lettura della motivazione del provvedimento sanzionatorio emerge che l'addebito è di aver usato locuzioni che genererebbero equivoci in quanto la prima espressione si riferisce all'intera prestazione assicurativa e la seconda alla copertura in caso di morte. Invece, secondo il Tar le espressioni non renderebbero "agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef". 13.1. Il motivo è infondato. In merito al trattamento fiscale come rilevato dal giudice di prime cure la prescrizione relativa al trattamento fiscale (All. 3, sezione C, punto 8 Reg. 35/2010 e All. 8, sezione D, punto 13 Circ. ISVAP 551/2005) "va interpretata, proprio in forza del richiamo all'art. 183, nel senso che l'informazione fornita sia conforme a criteri di diligenza e trasparenza, alla quale sono inequivocabilmente contrari l'utilizzo di espressioni, anche parzialmente, omissive o di eccessivo tecnicismo giuridico":.. non è quindi sufficiente l'indicazione, perché "Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente...la prescrizione secondo cui la nota informativa deve contenere le informazioni necessarie affinché il contraente e l'assicurato possano pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali anche con riferimento al trattamento fiscale". Prosegue la sentenza "Dalla mera lettura delle espressioni, appare evidente come la compiuta ermeneutica delle stesse richiedesse una particolare competenza tecnica in materia di tassazione o di esenzione dalla stessa o, in alternativa, un intervento interpretativo esterno". Le informazioni in parola paiono effettivamente inadeguate e fuorvianti, tali da non consentire al contraente comune di pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi connessi alla stipulazione del contratto, anzi ne alterano la percezione. Il trattamento fiscale "agevolato" costituisce incentivo all'acquisto, da cui il conseguente obbligo d'informazione trasparente, facilmente comprensibile che, nel caso in esame, non è osservato. 14. Con il settimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il settimo motivo del ricorso di primo grado relativo all'attendibilità del CPMA riportato nella scheda tecnica (illecito sub e). Il Tar ha ritenuto che: l'indicatore sintetico CPMA risulterebbe "... dettagliatamente disciplinato, quanto ai criteri di calcolo..."; alla società sarebbe imputato, oltre alla violazione dei criteri di calcolo pure la prospettazione di un costo significativamente inferiore; gli argomenti difensivi sulla indeterminatezza dei criteri e sul valore solo tendenziale del CPMA sarebbero irrilevanti; come ritenuto da Ivass la condotta di Genertellife sarebbe difforme dai canoni di diligenza, correttezza e trasparenza. Secondo la censura in esame, il convincimento del Tar sulla presunta esaustività della normativa sui criteri di calcolo articolata nell'All. 2 Reg. 35/2010 sarebbe eooroneo. Nel provvedimento sanzionatorio l'Autorità, proprio sul presupposto che mancherebbero criteri specifici di determinazione del CPMA per le polizze multi-ramo, ha giustificato l'addebito sostenendo che non investiva le peculiarità del calcolo dell'indicatore ma la struttura dei costi. Tale rappresentazione sarebbe contraddetta dal fatto che nello stesso provvedimento sanzionatorio le contestazioni riguarderebbero - non genericamente la struttura dei costi bensì specificamente - la percentuale di premio investita nella gestione separata e la percentuale di caricamento iniziale sul premio, giudicate "non coerenti con le medie di portafoglio". L'appellante evidenzia che la pronuncia gravata gli imputa di non aver contestato la non corrispondenza dei costi prospettati rispetto a quelli realmente attendibili, come se la Società avesse riconosciuto di aver calcolato il CPMA in modo non attendibile. Per l'appellante il Tar sembrerebbe aver equivocato il dato di partenza, ossia che il CPMA non avrebbe la funzione di fornire un'informativa completa sui costi. La sentenza incorrerebbe, poi, in errore nel sostenere che il calcolo del CPMA effettuato dalla Società abbia avuto "come risultato pratico, la prospettazione al contraente di un costo significativamente (e non tendenzialmente) inferiore a quello effettivamente rispondente alle caratteristiche del prodotto". Per l'appellante l'assunto è vago, perché ometterebbe di indicare la misura della pretesa discrasia concretamente riscontrata tra i costi effettivi e quelli prospettati, e soprattutto non quanto affermato non sarebbe provato. 14.1. Il motivo è infondato. I criteri generali per il calcolo del CPMA sono definiti dalla normativa (art. 183, c. 1, CAP e allegato 2, Reg. ISVAP n. 35/2010, che richiama all'art. 1 come fonte normativa l'art. 183). A fronte dello sviluppo di prodotto multiramo, che presenta variabilità dell'incidenza percentuale di ogni ramo, con una di "struttura di costi", diversificata in base all'investimento effettuato, la società appellante ha assunto solo le ipotesi estreme e più idonee a far apparire il CPMA quanto più basso possibile. Le allegazioni fornite in proposto dalla resistente sono dirimenti: - la massima possibile aliquota di investimento nella gestione separata prevista dal contratto (il 30%), contenendo al 70% la componente d'investimento con rischio del capitale per l'assicurato, anche se i dati di portafoglio - al momento dell'ispezione - mostravano che tale opzione, in media, riguardava solo il 18% della raccolta, percentuale per nulla corrispondente al segmento più significativo; - il caricamento minimo previsto dal contratto (lo 0% quando lo stesso può giungere fino al 3% e, in ogni caso, come affermato dalla società, quando la media di portafoglio - al momento dell'ispezione - risultava assestata su un valore dello 0,18%, dato che la società ritiene ancor oggi - sorprendentemente - indifferente, per quanto abbia un valore sostanziale diverso da quello comunque assunto). In definitiva, la società ha adottato le percentuali estreme, esclusivamente dirette a far apparire il prodotto con un CPMA più basso rispetto a quello mediamente attendibile 15. Con l'ottavo motivo di appello l'appellante censura il capo di reiezione del settimo motivo di ricorso relativo alla mancata consegna del progetto esemplificativo personalizzato (illecito sub c). Il Tar ha ritenuto che: le disposizioni pongono in maniera assolutamente chiara e inequivoca un obbligo di predisposizione e un successivo e distinto obbligo di consegna; le risultanze istruttorie farebbero emergere che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione; sarebbe irrilevante la mancanza di un obbligo di conservazione stante la distinzione tra presa visione e consegna; l'adozione da parte della Compagnia della circolare n. 12/2005 non avrebbe valenza scriminante. La pronuncia gravata, lamenta l'appellante, muove dall'erronea premessa chela normativa configurerebbe un obbligo di consegna del Progetto Esemplificativo Personalizzato; e che, non essendo stata trovata la copia del documento nel campione di fascicoli esaminati in sede ispettiva, non vi sarebbe la prova che la società appellante, oltre alla presa visione, abbia provveduto anche alla consegna del Progetto. Ma, aggiunge l'appellante, le norme richiamate nella motivazione dal Tar non prescrivono l'obbligo di consegna in termini tali da far apparire la condotta della società non satisfattiva di una qualche prescrizione. L'art. 9 c. 2 Reg. 35/2010 stabilisce che il progetto sia "da consegnare" al contraente e indica quale termine per adempiere il momento in cui il cliente "è informato che il contratto è concluso". La norma ammette la consegna in un momento successivo alla stipula contrattuale, pare non rispondente al dato normativo la tesi che pretende di penalizzare l'impresa che ha garantito la presa visione prima della stipula. Né si dovrebbe fare leva sulla distinzione fra "consegna" e "presa visione". Sicché, conclude sul punto la società, non è condivisibile l'affermazione del Tar che priva di efficacia l'aver garantito l'effettiva conoscenza del documento prima della sottoscrizione invece che al momento successivo del perfezionamento del contratto. Del pari non è corretto affermare che non ha valenza scriminante la condotta della società appellante che ha fornito le necessarie istruzioni operative alla rete distributiva. 15.1 Il motivo è infondato. Predisporre il progetto esemplificativo in un momento anteriore rispetto a quanto previsto dall'art. 9 Reg. n. 35/2010, ossia all'atto della firma della polizza in luogo che "al momento in cui il cliente è informato che il contratto è concluso"", non soddisfa il precetto d'effettiva tutela del cliente se, come nel caso in esame, il documento stesso non viene consegnato come prescritto dal regolamento. Sottoporre significa presentare qualcosa al giudizio di altri, mentre consegnare significa dare qualcosa in custodia o in possesso a qualcuno perché possa mantenerne disponibilità . Dunque la consegna presuppone la materiale disponibilità del documento al fine di consentirne anche successive consultazioni e analisi, il tutto nel contesto dell'obbligo di conservazione per almeno 5 anni (pro tempore vigente ex art. 57 Reg. ISVAP n. 5/2006), per tutti i contratti conclusi e per la documentazione relativa. 16. Con il nono motivo d'appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il nono motivo del ricorso di primo grado con cui lamentava l'insussistenza dell'illecito sub) f, relativo alla completezza degli adempimenti funzionali alla valutazione di adeguatezza. Il Tar: ha illustrato la contestazione di Ivass in termini di carenze nella struttura organizzativa in ordine alle procedure volte a garantire l'adeguatezza dei contratti alle esigenze dei contraenti, con la distinzione tra condotte fino a luglio 2015 e condotte successive; ritiene inefficace la scelta di utilizzare il questionario MIFID; rileva che non vi sarebbe una discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale; rappresenta che (i) fino a luglio 2015 l'alta percentuale di rifiuti al rilascio delle informazioni sarebbe sintomatica dell'illecito contestato e (ii) nel periodo successivo rileverebbe la casistica relativa ai prodotti con orizzonti temporali estesi proposti a clienti anziani. Nel respingere la tesi dell'appellante il giudice di prime cure si sarebbe limitato a fare riferimento ai contenuti della contestazione. Quanto alle contestazioni inerenti alle procedure di verifica dell'adeguatezza per il periodo fino al 30 giugno 2015, il Tar non avrebbe tenuto conto della normativa applicabile ratione temporis. L'art. 52 c. 4 Reg. 5/2006 avrebbe consentito di procedere alla stipulazione della polizza anche in caso di rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste, purché lo stesso cliente fosse reso edotto della conseguente impossibilità di valutare compiutamente l'adeguatezza del prodotto. Fin da marzo 2014, Genertellife avrebbe avviato, unitamente al distributore Banca Generali, una serie di azioni finalizzate ad elevare il livello di tutela del cliente e a contenere i casi di rifiuto; dal luglio 2015 sarebbe stata adottata una soluzione "integrata" di valutazione dell'adeguatezza, basata sull'utilizzo del Questionario MIFID e del Questionario IVASS; e si sarebbe introdotto il sistema della c.d. non-adeguatezza bloccante, in virtù del quale la Società appellante si è auto imposta un divieto di collocare il prodotto nel caso di mancata acquisizione o di rifiuto di fornire le informazioni necessarie per l'effettuazione della valutazione di adeguatezza. periodo. 16.1 Il motivo è infondato. A prescindere dal regime normativo che non muta sostanzialmente il contenuto delle prescrizioni contestate, sono dirimenti le risultanze della visita ispettiva effettuate dall'organo di vigilanza che hanno evidenziava, come scorrettamente sottolineato dal Tar, la scelta dell'impresa di utilizzare il questionario MIDIF non si fosse rivelata efficace nel predisporre presidi idonei e prevenire a una congrua valutazione di adeguatezza. Il questionario utilizzato restringeva il novero delle informazioni richieste e utilizzabili in materia di valutazione di adeguatezza, inficiando la correttezza della valutazione. Pertanto, rilievi documentali acquisiti in fase istruttoria smentiscono in fatto la censurata discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale. Né è censurabile il percorso argomentativo seguito dai giudici di prime cure laddove, con riferimento al primo periodo analizzato fino a luglio 2015, stante l'alta percentuale di soggetti che hanno rifiutato di rilasciare le informazioni presenti nel questionario distribuito dai collocatori del prodotto, da inferire "una indiscutibile valenza sintomatica in ordine alla ricorrenza dell'illecito ravvisato, risultando, in conclusione, dimostrato che non era stata, in concreto, posta in essere la necessaria verifica di adeguatezza su un numero molto alto di contratti". E, con riferimento al periodo successivo, la violazione contestata trova riscontro, come rilevato dal Tar, nella casistica riportata nel verbale ispettivo e dalla quale emerge che, in un significativo numero di casi, a clienti particolarmente avanti negli anni venivano proposti, senza che scattassero alert di adeguatezza, prodotti con orizzonti temporali non compatibili con l'età anagrafica del sottoscrittore. Senza che la violazione venga meno per il fatto che il prodotto "BG Stile Libero", disciplinava espressamente il caso morte, indipendentemente dall'orizzonte temporale assunto con riguardo agli investimenti sottostanti. L'obbligo di chiarezza impone comunque l'adozione delle misure adeguate di tutela del tipo del potenziale sottoscrittore. 17. Con il decimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia per aver respinto il decimo motivo del ricorso di primo grado con cui, in subordine, aveva richiesto la rideterminazione della sanzione tenuto conto degli interventi effettuati e della tenuità dei fatti contestati. La pronuncia gravata sosterrebbe erroneamente che dalla motivazione del provvedimento impugnato emergono le ragioni del giudizio di gravità delle condotte, al contrario, denuncia la società, tale gravità non sarebbe dimostrata. Nel dettaglio l'appellante ripropone in merito alla quantificazione dei singoli illeciti le argomentazioni già proposte in primo grado. 17.1 Il motivo è infondato. Costituisce orientamento consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito (cfr., Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 1996, n. 10976; Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877 e Cass. Civile I, 4 novembre 998, n. 11054). La gravità delle condotte emerge dalla motivazione del provvedimento che, nel riflesso giuridico della quantificazione della sanzione, è espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che, in ipotesi - qui non ricorrenti - di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. Come condivisibilmente rilevato dal Tar, in ragione della pluralità dei rilevi, è stato adottato un criterio composito: al minimo edittale, moltiplicato per due perché tale era il numero delle violazioni, s'è aggiunto il criterio di valore medio, in sé non irragionevole e, in concreto, proporzionato alla descrizione dei fatti e degli interessi pubblici alla cui tutela sono finalizzate le norme violate. 18. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 19. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ge. S.p.A. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore di Ivass -Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni liquidate complessivamente in 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8886 del 2021, proposto da Ma. Del Pr., rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Pi. in Roma, corso (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fl. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 01443/2021, per l'annullamento del diniego della istanza di sanatoria straordinaria di illeciti amministrativi derivanti dalla realizzazione di abusi edilizi ex legge n. 326/03 e legge regionale Campania n. 10/04 del 18 novembre 2004, prot. 28736, pratica n. 87, ad istanza della sig.ra Ma. Del Pr. e relativa al fabbricato sito in (omissis) alla via (omissis), foglio n. (omissis), p.lla (omissis). Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli Sezione Seconda, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto dalla sig.ra Ma. Del Pr. avverso il diniego (n. 30 del 18 marzo 2009, prot. n. 12233) opposto dal Comune di (omissis) all'istanza di condono, presentata ai sensi delle ex l. 326/03 e l.r. Campania 10/04, avente ad oggetto il manufatto per civile abitazione della superficie di circa mq 150 di dimensione max 11,70 mt x mt 12,80 mt, composto da piano seminterrato e piano rialzato. Intervento abusivo realizzato nell'area proprietà sita in (omissis) (NA), alla via (omissis), ricadente in zona C3 (edificabile) del vigente Piano Regolatore Generale comunale, riportata in Catasto Terreni al foglio (omissis), part. (omissis). 2. Con nota (prot. 3482 del 14/4/2006) il Comune ha comunicato, ai sensi dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, il motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza di condono: come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G. del manufatto, la costruzione alla data del 7 novembre 2003, termine ultimo per fruire del condono, non era completa al rustico. Ricevute le controdeduzioni inviate dalla ricorrente, il Comune ha definitivamente respinto l'istanza di sanatoria, con la seguente motivazione: "entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate di alcuna documentazione; l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo foto aereo del 26.02.2003; la domanda non è stata prodotta in forma legale e non sono state versate tutte le somme come dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". 3. La ricorrente ha impugnato il diniego, lamentando: violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990; difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti di legge e erroneità di tutte le motivazioni ostative. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis), l'immobile, ha affermato il Tar, si presentava allo stato grezzo e con un primo piano costituito solo da pilastri, senza pareti in muratura, in stato di incondonabilità rispetto alle previsioni della legge regionale, essendo privo dell'elemento della utilizzabilità, perché ancora completamente. Il Tar osserva che a fronte della contestazione in sede di preavviso di rigetto ex art. 10 bis, la parte non ha prodotto alcuna documentazione atta a dimostrare il contrario, di cui all'affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, relativa alla assenza di documentazione allegata alle controdeduzioni. Rileva il Tar che è priva di pregio la tesi della parte sull'avvenuta realizzazione del manufatto in venti giorni. Trattasi di ipotesi di parte, non sorrette da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003, da non escludere che l'immobile, come rinvenuto nel novembre 2003, sia stato costruito dopo il 31 marzo 2003. Inoltre il Giudice di prime cure afferma che non vi è contestazione sulla circostanza documentale che, alla data del 26 febbraio 2003, del fabbricato non vi fosse traccia sulle rilevazioni aeree. 5. Appella la sentenza la sig.ra Ma. Del Pr.. Resiste il Comune di (omissis). 6. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 7. Con il primo motivo l'appellante evidenzia che il Tar, a sostegno del provvedimento di rigetto, ha fatto richiamato elementi di fatto non contenuti nella motivazione del diniego impugnato, quali il fatto che alla data del 7 novembre 2003 la costruzione non era completa al rustico ai sensi dell'art. 3 della l. n. 10/2004; che il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26 febbraio 2003. In tal modo il Tar avrebbe surrettiziamente ampliato la motivazione del diniego comunale, che, viceversa, si fondava sulla (sola) considerazione che dal verbale di sequestro del 7/11/2003 il manufatto risulta "non completo al rustico". In senso paradigmatico, il diniego, deduce la ricorrente, opera rinvio ricettizio all'art. 3 l.r. 10/2004 nella sola parte in cui ha confermato le disposizioni della legge statale n. 326/2003, ovvero che: "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003". Senza alcun riferimento, precisa l'appellante, all'art. 3, comma 2, lett. b) l.r. 10/2004 secondo cui "Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate ". In definitiva il Tar avrebbe omesso di considerare che il manufatto, come accertato nel verbale di sequestro del 7/11/2003, era già idoneo a delineare i volumi, pertanto doveva considerarsi "ultimato". Del pari, il volume occupato dalla struttura era, a quella data, esattamente definibile, sebbene non materialmente circoscritto dalla muratura raccordante i due piani costituiti dai solai. Quanto affermato risulterebbe anche dalla lettura del verbale di sequestro della Stazione dei Carabinieri redatto il 5/11/2003, laddove nel descrivere l'estensione dell'opera viene riportato: "la costruzione consiste nell'aver realizzato un fabbricato di forma quasi rettangolare di dimensioni max. 11.70 mt. x 12.80 mt.".. Nel provvedimento comunale non si farebbe riferimento al concetto di ultimazione quale "opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate", pertanto la sentenza sarebbe illegittima nella parte in cui si fonda sulle citate più restrittive disposizioni regionali, le quali sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto in contrasto con le corrispondenti disposizioni di legge statale sul condono e sul concetto di "ultimazione" delle opere ivi previsto. 8.1 Il motivo è infondato. Il diniego impugnato, sintatticamente nella parte motiva, è sorretto da plurime motivazioni. Anzitutto il Comune richiama il contenuto del motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza, tempestivamente comunicato alla ricorrente. In esso s'afferma che "la costruzione contrasta quanto disposto dalla L.R. 10/04 art. 3 lett. B e come ulteriormente precisato con circolare Ministeriale del 7/12/2005 prot. 2699/C in quanto alla data del 07-11-2003, come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G., la stessa non era completa al rustico". Prosegue ritenendo che "Considerato che entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate da alcuna documentazione; che l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26.02.2003; Che la domanda non è stata prodotta in forma legale e che non son state versate tutte le somme dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". I riferimenti grafici contenuti nell'atto impugnato, appena elencati, danno plasticamente conto che il Tar non ha operato alcuna integrazione del provvedimento di diniego oggetto di gravame. In secondo luogo, va osservato che l'art. 3, comma 2, lett. b) l. r.18 novembre 20004 n. 10 recita che "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003. Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate". Tale disposizione, ai fini dell'applicazione del condono edilizio di cui al d.l. n. 269 del 2003 per le opere ultimate dopo la data del 31 marzo 2003, è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che "si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura ed inoltre (a differenza della meno restrittiva legislazione nazionale) che siano concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate. Ciò comporta che il rilascio del provvedimento di condono richiede che il manufatto, ancorché incompleto, sia pur sempre riferibile, anche da un punto di vista funzionale, all'abuso per il quale è stata proposta domanda: la costruzione, anche se non completamente ultimata, deve essere idonea alle funzioni cui l'opera è destinata" (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 2129). 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia nella parte in cui ha respinto il terzo motivo del ricorso di primo grado incentrato sull'erroneità della motivazione dell'impugnato diniego fondata sulla ritenuta non ultimazione del manufatto alla data del 31/3/2003 poiché "non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003". Il Tar avrebbe pretermesso l'efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva di notorietà dell'intervenuta ultimazione delle opere entro la data di scadenza potenzialmente idonea e sufficiente a dimostrare la data di ultimazione delle opere. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza appellata., gli elementi di prova raccolti dall'amministrazione, avrebbero confermato la dichiarazione sostitutiva di notorietà sull'intervenuta ultimazione delle opere al 31/3/2003. 9.1 Il motivo non merita accoglimento. Per consolidata giurisprudenza, qui condivisa, "l'onere di provare l'ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all'interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2019, n. 7678). Al riguardo, non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075; Id., sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 254). Infatti "anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso" (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4168; Id., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548, e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie è incontestato il fatto che il manufatto in oggetto non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003. Come correttamente rilevato dal Tar, la prospettazione della parte che ritiene che in venti giorni sia possibile edificare un manufatto delle dimensioni di quello oggetto del contenzioso è priva di pregio. Oltretutto, va sottolineato, non sorretta da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003. Inoltre alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis) il manufatto nel verbale viene descritto comunque allo stato grezzo. 10. Con il terzo motivo l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui aveva dedotto che il Comune di (omissis) non avrebbe ritenuto meritevoli di accoglimento le osservazioni avanzate con nota prot. 13707 del 12/5/2006, rispetto al motivo ostativo comunicatole, non perché infondate o non pertinenti, ma perché "non corredate da alcuna documentazione". La motivazione del preavviso di diniego lascerebbe intendere che, se le controdeduzioni fossero state corredate da documentazione, l'amministrazione avrebbe accolto la domanda di condono.. Sul punto l'appellante precisa che le osservazioni offerte sono meramente tecniche e fanno riferimento a documenti già in possesso dello stesso ente. Sicché il Comune non avrebbe esaminato le note tecniche, o, se lo ha fatto, non avrebbe fornito le motivazioni per cui le ha disattese, inficiando in tal modo il procedimento. 11. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado con cui aveva eccepito la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, avendo il Comune omesso di fornire alcuna giustificazione circa il mancato accoglimento delle osservazioni procedimentali dell'appellante prot. 13707 del 12/5/2006. 11.1 Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate. La finalità dell'istituto di cui all'art. 10 bis della l. n. 241/1990 è garantire la partecipazione del privato indicando quegli elementi fattuali o valutativi che potrebbero influire sul contenuto del provvedimento finale. Pertanto è opportuno che in tale sede il privato non si limiti a contestare gli eventuali motivi di rigetto eccepiti dall'amministrazione ma offra a sostegno delle sue osservazioni documenti ed elementi probatori certi che riescano a superare le conclusioni dell'Amministrazione. E' da escludere che l'art. 10 bis l. 241/1990 preveda la necessità di una puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, allorché la motivazione dell'atto sia già di per sé sufficiente a sorreggere la determinazione adottata (cfr., Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523). Al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato, è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063; Cons Stato, Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7054; Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2022, n. 10189). 12. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Eccesso di potere per carenza di motivazione" che in questa sede ripropone. Il Comune di (omissis) in violazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa indicherebbe la data della donazione del suolo (l'atto è del 24.09.2003) quale motivo ostativo al rilascio del condono, senza specificare quali conseguenze tecnico-giuridiche trae da quella data. In tal modo l'appellante non sarebbe stata posta nella condizione di difendersi e replicare. 13. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quinto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Violazione di legge. Difetto del presupposto" che in questa sede ripropone. Il Comune assume ad ulteriore motivo ostativo al condono il fatto che "la domanda non è stata prodotta in forma legale". Per l'appellante tale osservazione va censurata in quanto la normativa sul condono stabilirebbe che la domanda va proposta in carta semplice. Ulteriore motivo addotto dall'Ente ai fini del diniego del condono è che "non sono state versate tutte le somme come dichiarate". Sul punto l'appellante sostiene che il mancato versamento delle somme non determinerebbe la reiezione della domanda di condono. Ultimo motivo di diniego indicato dal Comune è che la domanda "è carente di documentazione integrativa come prevista dalla legge". Il Comune, lamenta l'appellante, avrebbe omesso d'esaminare la documentazione di cui all'art. 5 della l. r. n. 10 del 18 novembre 2004 allegata all'istanza di condono. 14. Le censure possono essere esaminate congiuntamente sono infondate. Il provvedimento di diniego di condono edilizio è un atto plurimotivato, per tali atti la sussistenza di una solo valida ragione ostativa a sostegno del diniego rende praticamente irrilevante la fondatezza di un ulteriore motivo. Il diniego si fonda sul plurimi di motivi, in termini tali da ritenere applicabile altresì il consolidato principio a mente del quale "in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, al fine di rigettare l'intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza, il provvedimento amministrativo non potrebbe comunque essere annullato, in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giudiziale" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2024, n. 2085; Id., sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3023; Id., sez. VI, 19 marzo 2024, n. 2682 e, da ultimo, Id., sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2171). Nel caso di specie l'opera oggetto di contestazione non risulta "completa al rustico" in data antecedente al 31 marzo 2003. Il motivo consente di affermare la legittimità del provvedimento gravato. 15. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 16. Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la sig.ra Ma. Del Pr. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro oltre diritti ed accesso di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promosso dalla Regione autonoma Sardegna con ricorso notificato il 27 febbraio 2023, depositato in cancelleria il 28 febbraio 2023, iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2023. Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Angelo Buscema; uditi gli avvocati Massimo Luciani e Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2023 la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), nella parte in cui non riconosce, nel triennio 2023-2025, alla stessa Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per il territorio regionale, per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, del principio di «leale collaborazione» ex artt. 5 e 117 Cost., degli artt. 81, 116, 117, terzo comma, 119 e 136 Cost.; degli artt. 3, 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), anche in relazione all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e all’art. 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». L’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 violerebbe altresì gli artt. 3 e 23 Cost. e il principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. La ricorrente ritiene altresì costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 – nella parte in cui non prevede che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494 siano stabilite «previa intesa con le Regioni interessate» o, in via del tutto subordinata, «sentite le Regioni interessate» – per violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost.; dell’art. 117, terzo comma, Cost., degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 2.– Assume la difesa regionale che l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, anzitutto, violerebbe l’art. 119 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe disatteso l’obbligo di approntare adeguate risorse per superare gli svantaggi derivanti dalla condizione d’insularità. Evidenzia che la revisione costituzionale apportata con la legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2 (Modifica all’articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità) avrebbe riconosciuto la peculiarità delle isole e l’obbligo per lo Stato di prevedere misure effettive per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, con la conseguenza che rimedi solo formali e apparenti determinerebbero la violazione dell’art. 119 Cost. Assume ancora la ricorrente che, tenuto conto della finalità solidaristica e perequativa dell’art. 119 Cost., tra gli enti che compongono la Repubblica non potrebbe che essere lo Stato ad assumere il compito di rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, soprattutto nei confronti di una regione, come nel caso di specie, il cui territorio insulare coincide con quello regionale. Inoltre, lo stesso art. 119 Cost., al quinto comma, attribuirebbe allo Stato il compito – sostanzialmente analogo a quello previsto nel sesto comma – di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni per promuoverne lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale; per tale motivo, non potrebbe che essere lo Stato il soggetto tenuto ad attivarsi per approntare le risorse necessarie a superare lo svantaggio derivante dall’insularità. L’illegittimità costituzionale dei commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 per violazione dell’art. 119 Cost. sarebbe desumibile da elementi sintomatici, quali: la differenza tra le somme stanziate dalla disposizione impugnata e il contributo di finanza pubblica imposto alla Regione autonoma Sardegna (differenza che costituirebbe elemento sintomatico dell’irragionevolezza e dell’insufficienza dello stanziamento); l’aver stabilito l’entità delle risorse da destinare alla rimozione degli svantaggi dell’insularità senza una specifica istruttoria consensuale (o, quantomeno, partecipata). Inoltre, evidenzia la Regione che il legislatore statale, già con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, aveva stabilito che le regolazioni economico-finanziarie dei rapporti fra lo Stato e le regioni autonome dovessero contemplare anche l’impatto della condizione di insularità, mentre un’adeguata e complessiva stima dei relativi costi e del loro impatto sull’autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna non sarebbe stata ancora effettuata, né sarebbe stato ancora emanato il dPCm di cui al comma 1-bis dell’art. 22 della legge n. 42 del 2009, come modificato dall’art. 15 del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali) convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 156. Infine, l’accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna in materia di finanza pubblica del 14 dicembre 2021 avrebbe previsto, agli artt. 3 e 4, l’attribuzione alla Regione di un contributo, per gli anni 2021 e 2022, «a titolo di concorso alla compensazione degli svantaggi strutturali derivanti dalla condizione di insularità», insufficiente e destinato a essere integrato sulla scorta di quanto emerso dai lavori del tavolo tecnico istituito dal precedente accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna del 7 novembre 2019. Il rapporto tra l’esigua somma stanziata nei commi impugnati e quella attribuita sulla base dei predetti accordi confermerebbe che lo Stato si sarebbe sottratto dall’obbligo costituzionale di rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità di cui all’art. 119 Cost. 2.1.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe altresì il principio di leale collaborazione sancito dagli artt. 5 e 117 Cost., in quanto il contributo previsto dalle impugnate disposizioni sarebbe stato determinato dopo che lo Stato aveva interrotto i lavori del tavolo tecnico, sottraendosi a un’istruttoria consensuale, sostanzialmente respingendo ogni tentativo collaborativo della Regione. E del resto, le suddette disposizioni non richiamano alcun momento di confronto tra lo Stato e la Regione. 2.2.– Sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., attesa l’esiguità e l’inidoneità delle risorse previste a perseguire le finalità stabilite dallo stesso legislatore statale. La somma stanziata, pari a 5 milioni di euro per l’anno 2023 e a 15 milioni di euro a decorrere dal 2024 per le regioni insulari, non potrebbe essere utilmente impiegata in un’azione di sistema per compensare lo svantaggio derivante dall’insularità (anche solo per l’ambito del trasporto aereo), pur volendo sommare tali importi al contributo di 100 milioni di euro previsto dall’accordo tra il Governo e la Regione autonoma Sardegna in materia di finanza pubblica del 14 dicembre 2021. L’insufficienza degli stanziamenti si coglierebbe anche in ragione degli attuali costi per il finanziamento degli obblighi di servizio pubblico per il collegamento aereo, la cui stima finanziaria annua, secondo i calcoli dell’Assessorato ai trasporti della Regione autonoma Sardegna, indicherebbe un fabbisogno che oscilla tra i 170 e i 200 milioni di euro. In ogni caso, rimarrebbe inattuabile la finalità indicata dalla legge statale di «garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei […] da e per la Sardegna» a tutela della «mobilità dei cittadini residenti nel territorio […] della Sardegna» (sul punto viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 6 del 2019). 2.3.– L’esiguità delle risorse previste dai commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 ridonderebbe nella lesione dell’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale. La Regione subirebbe lo svantaggio derivante dall’insularità sia in termini di costi, sia in termini di minore gettito erariale provocato dalla depressione del reddito prodotto sul territorio regionale. 2.4.– L’insufficienza delle risorse stanziate dalle disposizioni impugnate comporterebbe anche l’irragionevole compressione della competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione». La difesa regionale lamenta un pregiudizio nell’esercizio della competenza legislativa nelle predette materie in conseguenza del mancato stanziamento delle risorse necessarie a far fronte agli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità, che influirebbe direttamente sulle indicate materie. 2.5.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 inciderebbe altresì negativamente sulla competenza legislativa primaria in materia di «turismo [e] industria alberghiera» ex art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto speciale, direttamente incisa dagli interventi in materia di trasporto e continuità territoriale. 2.6.– L’art. 3 dello statuto della Regione autonoma Sardegna sarebbe violato dalle disposizioni impugnate anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 – il quale prevede che «[a]lla regione Sardegna sono trasferite le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuità territoriale»: in forza del cosiddetto “principio del parallelismo”, ex art. 6 dello statuto speciale, la devoluzione di competenze amministrative comporterebbe anche la correlata competenza legislativa (sul punto è richiamata la sentenza di questa Corte n. 51 del 2006). 2.7.– Per lo stesso motivo, i predetti commi 494 e 495 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 violerebbero l’art. 116 Cost., avendo determinato lo svilimento della sfera di autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni a statuto speciale. 2.8.– Le disposizioni indicate si porrebbero in contrasto con gli artt. 81 e 136 Cost., anche in riferimento al principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. In particolare, sarebbe violato l’art. 81 Cost., in quanto il legislatore statale si sarebbe sottratto all’obbligo di disporre a un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio (è richiamata sul punto ancora la sentenza n. 6 del 2019). Le medesime disposizioni avrebbero poi sostanzialmente protratto l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 6 del 2019 (sono citate le sentenze di questa Corte n. 215 del 2021 e n. 252 del 2017), ponendosi così in contrasto con l’art. 136 Cost. Gli impugnati commi 494 e 495 violerebbero, infine, il principio di leale collaborazione per essersi il legislatore statale discostato dal punto di equilibrio negli interessi e nelle attribuzioni costituzionali delle parti elaborato dalla giurisprudenza costituzionale. 3.– La ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost. per lesione del principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. In primo luogo, sarebbero state parificate situazioni e circostanze oggettivamente diverse, senza offrire alcun criterio ragionevole e proporzionato per il distinto trattamento delle due Regioni insulari, le quali rappresenterebbero realtà differenti quanto a estensione territoriale, popolazione e distanza dalle aree più sviluppate del Paese, presentando caratteristiche geografiche, economiche, demografiche e sociali del tutto specifiche. Inoltre, il legislatore statale avrebbe stanziato il fondo senza delimitare adeguatamente la discrezionalità dell’amministrazione ai fini del riparto del finanziamento tra le due circoscrizioni regionali. Sotto questo profilo, la ricorrente richiama l’orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la riserva di legge contenuta nell’art. 23 Cost. avrebbe carattere “relativo”, cosicché la legge non potrebbe limitarsi a conferire un potere regolativo attraverso una “norma in bianco”, dovendo invece individuare «sufficienti criteri direttivi e traccia[re] le linee generali della disciplina» (è citata la sentenza di questa Corte n. 269 del 2017). Non sarebbe dunque sufficiente che il legislatore individui la finalità del contributo tramite «un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa» (è richiamata ancora la sentenza n. 269 del 2017). L’impiego del contributo previsto dalle disposizioni in esame sarebbe, ad avviso della ricorrente, sostanzialmente rimesso all’arbitrio del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che dovrebbe rispettare un solo limite: impiegarlo per il trasporto aereo da e per la Sardegna e da e per la Sicilia. 4.– La ricorrente lamenta, infine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost., e degli artt. 117, terzo comma, Cost., 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 4.1.– Tale disposizione attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la competenza a stabilire modalità e criteri per l’utilizzo del fondo introdotto dal comma 494 impugnato, prevedendo che tale competenza sia esercitata, lamenta la ricorrente, senza alcuna forma di suo coinvolgimento, né delle regioni interessate, estromettendole dal relativo processo decisionale. In tal modo il comma 496 si porrebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. 4.2.– L’impugnato comma 496, intersecherebbe, anzitutto, la competenza legislativa concorrente della Regione autonoma Sardegna nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», violando l’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla Regione ricorrente ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 4.3.– La stessa disposizione impatterebbe, altresì, sull’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale, e su competenze primarie direttamente incise dalla disciplina del servizio di trasporto aereo, come quelle in materia di «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia), nonché sulla competenza amministrativa attribuita dallo Stato alla Regione con l’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 nella materia «continuità territoriale», che, in virtù dell’art. 6 dello statuto speciale, comporterebbe anche la titolarità della correlata competenza legislativa. Si sarebbe dunque in presenza di una concorrenza di competenze statali e regionali per cui dovrebbero essere garantite adeguate forme di coinvolgimento a salvaguardia delle competenze regionali incise. Il coinvolgimento della Regione sarebbe necessario anche ove si ammettesse che la disciplina in esame trovi giustificazione nell’attrazione in sussidiarietà, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. Anche nella suddetta ipotesi, il legislatore statale non avrebbe potuto sottrarsi all’obbligo di coinvolgere la Regione autonoma Sardegna, nella forma dell’intesa, e nel rispetto del principio di leale collaborazione, soprattutto in considerazione del fatto che criteri e modalità di ripartizione del fondo sono demandate a un decreto ministeriale. In via subordinata, ove si ritenesse non necessaria la previsione dell’intesa, il coinvolgimento delle regioni interessate dovrebbe essere garantito almeno nella forma del parere. 5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Premette l’Avvocatura che la condizione di insularità sarebbe stata affrontata nell’ambito del tavolo tecnico istituito in attuazione degli accordi in materia di finanza pubblica del 7 novembre 2019 e del 14 dicembre 2021, prendendo in considerazione sia il ritardo della dotazione infrastrutturale, sia la compensazione degli extra costi permanenti sostenuti dai cittadini sardi e dalle imprese, a causa della discontinuità territoriale della Regione. Per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad attutire il divario infrastrutturale era istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il Fondo perequativo infrastrutturale, con una dotazione complessiva di 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033 (100 milioni di euro per il 2022, 300 milioni di euro per ciascun anno dal 2023 al 2027, 500 milioni di euro per ciascun anno dal 2028 al 2033). Oltre al Fondo perequativo infrastrutturale sarebbero stati predisposti anche altri strumenti finanziari in aggiunta alle risorse ordinariamente stanziate nel bilancio dello Stato: il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Piano nazionale complementare, il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), i fondi strutturali europei (in particolare, il Fondo europeo di sviluppo regionale). Gli interventi previsti dall’art. 1, commi da 494 a 496, della legge n. 197 del 2022, oggetto di impugnativa, avrebbero previsto un contributo aggiuntivo facente parte di un insieme di azioni finalizzate alla perequazione infrastrutturale. La difesa statale osserva inoltre, in relazione al quantum dello stanziamento, che l’intervento normativo in oggetto riguarderebbe il solo settore del trasporto aereo, cosicché la valutazione di adeguatezza dovrebbe essere riferita alla specifica finalità del fondo e tenendo conto dell’intero ammontare dei trasferimenti a sostegno dell’isola. Peraltro, con riguardo allo specifico settore del trasporto aereo, i fondi di cui all’impugnato comma 494 non costituirebbero le uniche risorse statali trasferite alla Regione, in quanto il legislatore statale avrebbe previsto, in varie occasioni, diversi finanziamenti per gli oneri di servizio pubblico sardi. Con il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185 (Misure urgenti per interventi nel territorio), convertito, con modificazioni, in legge 22 gennaio 2016, n. 9, è stato previsto, all’art. 10, uno stanziamento di 30 milioni di euro per il 2015 al fine di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei e, con la delibera CIPE n. 54 del 1° dicembre 2016, sono state destinate alla Regione risorse pari a 90 milioni di euro per sostenere gli oneri del servizio pubblico sulle rotte sarde. Inoltre, il legislatore statale, nel prevedere il trasferimento in capo alla Regione delle funzioni relative alla continuità territoriale, avrebbe stabilito con l’art. 1, comma 840, della legge n. 296 del 2006, che i relativi oneri sarebbero posti a carico dello Stato per gli anni 2007, 2008 e 2009, e solo a partire dall’annualità 2010 a carico della Regione. Quanto evidenziato consentirebbe di superare le censure di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate sotto i diversi profili dedotti dalla ricorrente, per non aver considerato la parzialità dell’intervento ivi previsto. La difesa statale ritiene inoltre inconferente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 6 del 2019, in quanto la fattispecie ivi esaminata era diversa da quella odierna. Quanto, infine, alle censure di illegittimità costituzionale del comma 496 per violazione del principio di leale collaborazione, l’Avvocatura generale osserva che, nell’approntare lo schema del decreto di ripartizione delle risorse, sarebbero state sentite le regioni interessate e, pertanto, la violazione del principio di leale collaborazione non sarebbe ravvisabile. La partecipazione delle regioni nel procedimento relativo all’emanazione del decreto attuativo consentirebbe di superare anche le censure di irragionevolezza della disciplina in relazione alla mancata individuazione dei criteri per differenziare le destinatarie del contributo. 6.– L’associazione “per l’Insularità” ha depositato, in qualità di amicus curiae, opinione scritta – ammessa con decreto presidenziale del 13 febbraio 2024 – nella quale è stata evidenziata la necessità che lo Stato destini risorse adeguate per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per le Regioni insulari e che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494 siano stabilite «previa intesa con le Regioni interessate» o in via del tutto subordinata «sentite le Regioni interessate». L’associazione ricalca gli argomenti della ricorrente e sollecita la Corte a sollevare dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. l, commi 806 e 807, della legge n. 197 del 2022 – nella parte in cui, nell’istituire il «[f]ondo nazionale per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità» (art. 1, comma 806), non riconosce alla Regione Siciliana, come alla Regione autonoma Sardegna, adeguate risorse per garantire l’avvio della rimozione degli svantaggi derivanti dell’insularità (art. 119, sesto comma, Cost.) – e dell’art. 11 della legge n. 197 del 2022, e della relativa Tabella A), in parte qua, per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e degli artt. 81, 117, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., in relazione al principio di coesione di cui agli artt. 174, 175 e 349 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché degli artt. 14, 17, 36 e 38 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello lo statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. 7.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha ribadito le conclusioni già rassegnate e ha replicato alle argomentazioni della parte resistente. La difesa regionale ha fatto presente che, nelle more del giudizio, è intervenuto l’art. 7-quater, comma 1, della legge 27 novembre 2023, n. 170 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 settembre 2023, n. 132), il quale prevede che «[i]l fondo di cui all’articolo 1, comma 494, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, è rifinanziato nella misura di 8 milioni di euro per l’anno 2023». Ha poi precisato che, con decreto del 26 settembre 2023, n. 241 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stati stabiliti le modalità e i criteri di utilizzo del fondo di cui all’art. 1, commi 494, 495 e 496 della legge n. 197 del 2022, e che nell’adozione di detto decreto sono state sentite le Regioni interessate. La stessa difesa ritiene, tuttavia, che il fatto che vi sia stata una prassi virtuosa di interlocuzione tra le parti non sanerebbe il vizio delle disposizioni impugnate, al quale si potrebbe porre rimedio solo con una sentenza “additiva di meccanismo”, atta a ricondurre l’impiego del fondo sui binari del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Ad avviso della Regione, inoltre, la previsione del fondo non costituirebbe esecuzione degli accordi bilaterali Stato-Regione autonoma Sardegna in merito al superamento degli svantaggi relativi all’insularità (ai sensi dell’art. 1, comma 867, della legge n. 160 del 2019), né rappresenterebbe uno strumento di attuazione del novellato art. 119 Cost. La ricorrente ha infine evidenziato, con riferimento alla delibera CIPE n. 54 del 2016 relativa ai FSC 2014-2020, che le risorse stanziate non coprirebbero l’intero fabbisogno della continuità territoriale aerea. Tale delibera avrebbe ad oggetto solamente gli oneri del servizio pubblico dei vettori del settore aereo, e comunque il riparto del FSC non potrebbe rappresentare uno strumento normativo idoneo a dare attuazione all’art. 119 Cost., in quanto difetterebbe di una precisa previsione di legge che renda obbligatoria tale linea d’intervento e che imponga al CIPE di stanziare risorse adeguate. Considerato in diritto 1.– Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, in riferimento a plurimi parametri costituzionali, suddividendole in tre gruppi. Il comma 494 stabilisce che: «[i]n attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, al fine di riconoscere le peculiarità delle isole e promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità, è istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2023 e di 15 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024». Il comma 495 stabilisce che: «[i]l fondo di cui al comma 494 è destinato al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sicilia e della Sardegna». Il comma 496 prevede che: «[c]on decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo di cui al comma 494». 1.1.– Il primo gruppo di censure riguarda l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 ai sensi dei quali, ad avviso della ricorrente, per il triennio 2023-2025, non sarebbero riconosciute alla Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sardegna, così determinando la violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., del principio di «leale collaborazione» ex artt. 5 e 117 Cost., degli artt. 81, 116, 117, terzo comma, 119 e 136 Cost., nonché degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 1.2.– Il secondo gruppo di censure riguarda l’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione degli artt. 3 e 23 Cost., con riguardo ai principi di legalità e di ragionevolezza. 1.3.– Il terzo gruppo di censure è rivolto all’art. 1, comma 496, della medesima legge, nella parte in cui non prevede che le modalità e i criteri per l’utilizzo del fondo siano stabiliti «previa intesa con le Regioni interessate» o, in via subordinata, «sentite le Regioni interessate», violando in tal modo il principio di «leale collaborazione» di cui agli artt. 5 e 117 Cost.; l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. Prima di procedere all’esame delle singole censure occorre precisare che la ricorrente non chiede la caducazione delle disposizioni impugnate bensì invoca una pronuncia additiva, che imponga al legislatore statale di riconoscere alla Regione adeguate risorse per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sardegna e di prevedere il suo coinvolgimento al fine di stabilire i criteri di ripartizione delle risorse. 2.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe anzitutto l’art. 119 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe disatteso l’obbligo di approntare risorse adeguate per superare gli svantaggi derivanti dalla condizione d’insularità. La ricorrente sostiene che l’illegittimità costituzionale dei predetti commi per violazione dell’art. 119 Cost. sarebbe desumibile da elementi sintomatici, quali la differenza tra le somme stanziate dalle disposizioni impugnate e il contributo di finanza pubblica imposto alla Regione autonoma della Sardegna nonché la determinazione dell’ammontare del contributo senza una specifica istruttoria, consensuale o partecipata, volta a stabilire l’entità delle risorse necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità. 2.1.– La ricorrente afferma, altresì, che l’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe il principio di leale collaborazione sancito dagli artt. 5 e 117 Cost. in quanto il contributo ivi previsto sarebbe stato determinato senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni interessate. 2.2.– Le disposizioni in esame violerebbero anche il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in quanto l’esiguità del contributo e la sua conseguente inidoneità, rispetto alle effettive necessità per sostenere il sistema economico-sociale sardo, si tradurrebbero nella non ragionevolezza della stessa normativa. Tale vizio si coglierebbe anche in forza della contraddittorietà tra gli stanziamenti e la specifica finalità indicata dalla legge di «garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei […] da e per la Sardegna» a tutela della «mobilità dei cittadini residenti nel territorio». 2.3.– L’esiguità delle risorse approntate dalle disposizioni impugnate ridonderebbe altresì sull’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale, in quanto la Regione subirebbe gli effetti negativi relativi agli svantaggi derivanti dall’insularità, sia in termini di costi sopportati per sopperire a tali svantaggi, sia in termini di minore gettito erariale derivante dagli effetti di depressione del reddito prodotto sul territorio regionale, che comporterebbero una minore compartecipazione alle entrate erariali. 2.4.– L’insufficienza delle risorse stanziate dalle predette disposizioni comporterebbe anche una non ragionevole compressione della competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. La Regione lamenta un pregiudizio nell’esercizio della competenza legislativa nelle predette materie derivante dal fatto che lo Stato non avrebbe provveduto a stanziare le risorse necessarie a far fronte agli svantaggi conseguenti alla condizione di insularità. 2.5.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 inciderebbe altresì sulla competenza legislativa primaria nella materia «turismo e industria alberghiera» di cui all’art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto speciale. Le disposizioni impugnate inciderebbero inoltre sulla competenza amministrativa attribuita alla Regione dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 nella materia «continuità territoriale» e sulla relativa potestà legislativa regionale in forza del cosiddetto “principio del parallelismo” di cui all’art. 6 dello statuto speciale. 2.6.– Sarebbe violato anche l’art. 116 Cost., in quanto la normativa in esame determinerebbe uno svilimento della sfera di autonomia costituzionale riconosciuta alla Regione dallo statuto speciale. 2.7.– L’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 violerebbe, altresì, gli artt. 81 e 136 Cost., anche in riferimento al principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. Quanto all’art. 81 Cost., il precetto costituzionale sarebbe violato perché il legislatore statale si sarebbe sottratto all’obbligo di disporre un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio. Con riferimento all’art. 136 Cost., la Regione lamenta il mancato adempimento di quanto stabilito nella sentenza di questa Corte n. 6 del 2019 con la quale era stato imposto allo Stato di procedere a una ragionevole e proporzionata quantificazione degli oneri derivanti dallo svantaggio per il regime di insularità al fine di dare sollecita applicazione alle disposizioni statutarie e costituzionali che garantiscono l’autonomia della ricorrente. Le disposizioni in esame determinerebbero la violazione del giudicato costituzionale, avendo sostanzialmente protratto l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima. 3.– La Regione autonoma Sardegna ha impugnato inoltre l’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, per violazione degli artt. 3 e 23 Cost. con riguardo ai principi di ragionevolezza e legalità. Asserisce la ricorrente che, in primo luogo, con i commi impugnati sarebbero state parificate situazioni e circostanze oggettivamente diverse senza offrire alcun criterio ragionevole e proporzionato per il distinto trattamento delle due Regioni insulari, le quali rappresenterebbero realtà differenti quanto all’estensione territoriale, alla popolazione e alla distanza dalle aree più sviluppate del Paese e presenterebbero caratteristiche geografiche, economiche, demografiche e sociali del tutto specifiche. Inoltre, il legislatore statale, con le disposizioni impugnate, non avrebbe delimitato adeguatamente la discrezionalità dell’amministrazione circa il riparto del finanziamento tra le due circoscrizioni regionali. Su questo specifico aspetto la ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui la riserva di legge ex art. 23 Cost. avrebbe carattere “relativo” e la legge non potrebbe limitarsi a conferire un potere regolativo attraverso una “norma in bianco”, dovendo invece individuare sufficienti criteri direttivi e tracciare le linee generali della disciplina (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 269 del 2017). 4.– La Regione autonoma Sardegna ha impugnato infine l’art. 1, comma 496, della legge n. 197 del 2022 per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117, terzo comma, Cost. nonché degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. 4.1.– L’art. 1, comma 496, attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e della finanze, la competenza a stabilire modalità e criteri per l’utilizzo del fondo introdotto dal comma 494, prevedendo che tale competenza sia esercitata senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni interessate ed estromettendo quindi la Regione ricorrente dal relativo processo decisionale in violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5 e 117 Cost. 4.2.– Il comma 496, inoltre, omettendo di fornire qualsiasi indicazione sulla ripartizione delle somme tra la Regione Siciliana e la Regione autonoma Sardegna e sulle modalità del loro impiego intersecherebbe la competenza legislativa concorrente della ricorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», tutte presidiate dall’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla medesima Regione ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 4.3.– La disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale. Sostiene la difesa regionale, con riguardo alle risorse stanziate ai sensi del novellato art. 119 Cost., che gli squilibri dovuti alla condizione d’insularità dovrebbero essere tenuti in debito conto nella determinazione degli spazi finanziari da riconoscere alla Regione nell’ambito delle regolazioni economico-finanziarie con lo Stato, con il coinvolgimento dell’ente territoriale. 4.4.– Da ultimo, la Regione autonoma Sardegna afferma che la disposizione in esame violerebbe la propria competenza legislativa nella materia «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia), direttamente incisa dalla disciplina del servizio di trasporto aereo, e quella nella materia «continuità territoriale» attribuita alla Regione autonoma Sardegna dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, per effetto del principio del parallelismo sancito dall’art. 6 dello statuto speciale. 5.– In via preliminare occorre valutare l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale alla luce della giurisprudenza di questa Corte. 5.1.– La censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento all’art. 119 Cost., anche in relazione all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, è inammissibile per insufficiente motivazione. La Regione si limita ad affermare genericamente che il legislatore statale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, avrebbe dovuto contemplare l’impatto della propria condizione insulare oltre che quella della Regione Siciliana mentre lo Stato si sarebbe sottratto «arbitrariamente agli obblighi derivanti dall’art. 119 Cost.», in quanto una stima complessiva dei costi e dei loro effetti sull’autonomia finanziaria della ricorrente non sarebbe stata ancora effettuata e le risorse stanziate dalle disposizioni impugnate non sarebbero sufficienti né adeguate. La ricorrente, tuttavia, non fornisce una compiuta dimostrazione del pregiudizio patito. In particolare, non considera il complesso dei contributi e dei finanziamenti disposti dalla legislazione statale per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità e neppure tiene conto che il fondo e le risorse di cui ai commi 494 e 495 sono destinati unicamente al finanziamento di interventi per la mobilità aerea dei cittadini residenti nel territorio siciliano e sardo. Questa Corte è costante nel ritenere che sul ricorrente grava l’onere di provare l’irreparabile pregiudizio lamentato ritenendo quindi inammissibili le questioni di legittimità costituzionale in cui si denunci la violazione dell’autonomia finanziaria e i principi contenuti nell’art. 119 Cost. a causa dell’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle regioni, senza puntuali riferimenti a dati più analitici relativi alle entrate e alle uscite (in tal senso, sentenze n. 63 del 2024, n. 83 del 2019 e n. 5 del 2018). La genericità e l’insufficienza della motivazione circa l’asserito contrasto delle disposizioni impugnate con i parametri evocati comporta, per costante orientamento di questa Corte, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (ex multis, sentenza n. 171 del 2021). 5.2.– Anche la censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost. si palesa inammissibile per carente ricostruzione del quadro normativo (sentenza n. 84 del 2022). La Regione, difatti, nel lamentare l’irragionevolezza delle disposizioni impugnate non fornisce una completa ricostruzione del complessivo quadro normativo di riferimento, in particolare, come evidenziato dalla difesa statale, non considera che, per il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, determinato anche dall’insularità, sono previste, oltre a quelle attribuite dalle disposizioni impugnate, ulteriori risorse quali, tra le altre, quelle stanziate nel Fondo perequativo infrastrutturale, nel Piano nazionale complementare, nel Fondo per lo sviluppo e la coesione, nei Fondi strutturali europei e nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Alla luce dell’esigenza – più volte ribadita da questa Corte (tra le altre, sentenze n. n. 83 del 2019 e n. 205 del 2016) – di non considerare gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario, la lacunosa ricostruzione del composito quadro normativo e del complesso dei contributi e finanziamenti previsti dalla normativa statale determina l’inammissibilità della questione (ex multis, sentenza n. 63 del 2024). 5.3.– Anche le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e agli artt. 3, primo comma, lettera p), 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, sono inammissibili per carenza di motivazione. La Regione non motiva in alcun modo la lesione dei parametri costituzionali evocati limitandosi ad affermare in modo generico e assertivo che le disposizioni in esame violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. per irragionevole compressione della competenza legislativa concorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «grandi reti di trasporto e di navigazione», nonché della sfera di autonomia regionale garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e della competenza legislativa primaria nella materia «turismo [e] industria alberghiera» di cui all’art. 3, primo comma, lettera p), dello statuto di autonomia, altresì per violazione delle competenze nella materia «continuità territoriale» attribuite alla Regione dall’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006 e dall’art. 6 dello statuto speciale. In conseguenza della genericità e insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto delle disposizioni impugnate con i parametri evocati, anche queste censure, alla luce della già richiamata giurisprudenza costituzionale, sono inammissibili (sentenze n. 68 del 2024 e n. 217 del 2022). 5.4.– Considerazioni analoghe valgono per la censura promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, in riferimento all’art. 116 Cost., per violazione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni a statuto speciale. Anche con riguardo a questa censura la ricorrente si limita ad affermare che le disposizioni impugnate violerebbero la propria sfera di autonomia, senza tuttavia fornire adeguata motivazione e soprattutto senza spiegare in che modo l’attribuzione delle risorse prevista dalle disposizioni impugnate possa inficiare l’autonomia della Regione a statuto speciale. La genericità e insufficienza della motivazione sull’asserita violazione del parametro costituzionale evocato determina l’inammissibilità della censura. 5.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 promossa in riferimento all’art. 81 Cost. con riguardo al principio di equilibrio del bilancio è anch’essa inammissibile. La Regione si limita ad affermare che il legislatore statale si sarebbe «sottratto all’obbligo di disporre un prioritario intervento finanziario in ossequio al principio di equilibrio dinamico di bilancio», senza chiarire in che modo le risorse attribuite dalle disposizioni impugnate possano determinare la violazione dell’evocato parametro costituzionale. La censura non raggiunge la «soglia minima di chiarezza e di completezza» e pertanto deve essere dichiarata inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 123 del 2022, n. 176, n. 95, n. 52 e n. 42 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 125 del 2023). 6.– Ciò posto, nel procedere ad esaminare il merito delle restanti censure, questa Corte, avvalendosi della facoltà di decidere l’ordine delle questioni di legittimità costituzionale da affrontare (sentenze n. 120 del 2022, n. 260 del 2021, n. 246 del 2020 e n. 258 del 2019), ritiene di valutare primariamente quella promossa nei confronti dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022 in riferimento all’art. 136 Cost., per violazione del giudicato costituzionale formatosi nella sentenza n. 6 del 2019. Tale censura, infatti, «riveste carattere di priorità logica rispetto alle altre» in quanto «attiene all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (sentenze n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010). Nel merito la questione di legittimità costituzionale non è fondata. Sin da epoca risalente, la giurisprudenza costituzionale non ha mancato di sottolineare il significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost., sulla quale poggia il sistema delle garanzie costituzionali in quanto toglie immediatamente efficacia alla norma costituzionalmente illegittima (ex plurimis, sentenza n. 57 del 2019). Nel chiarire la portata dell’art. 136, primo comma, Cost., questa Corte ha affermato che la violazione del giudicato costituzionale sussiste non solo laddove il legislatore intenda direttamente ripristinare o preservare l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima, ma ogniqualvolta una disposizione di legge intenda mantenere in vita o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti della struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale. Pertanto, il giudicato costituzionale è violato non solo quando è adottata una disposizione che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche quando la nuova disciplina mira a perseguire e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti (ex multis, sentenza n. 256 del 2020). Difatti, l’efficacia preclusiva, nei confronti del legislatore, del giudicato costituzionale riguarda ogni disposizione che intenda mantenere in piedi o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, ovvero che ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenze n. 57 del 2019 e n. 5 del 2017). Nel caso deciso con la predetta sentenza n. 6 del 2019, l’art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nel triennio 2018-2020 e nelle more della definizione dell’accordo di finanza pubblica, non riconosceva alla Regione autonoma Sardegna adeguate risorse per consentire una fisiologica programmazione delle funzioni regionali. Con le disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità nell’odierno giudizio, il legislatore statale ha invece previsto l’attribuzione di risorse destinate a un limitato intervento settoriale nel campo del trasporto aereo; intervento che peraltro si aggiunge ad altre misure (Fondo perequativo infrastrutturale, Piano nazionale complementare, Fondo per lo sviluppo e la coesione, Fondi strutturali europei, Piano nazionale di ripresa e resilienza) finalizzate alla rimozione degli svantaggi derivanti dall’insularità. Non vi è dunque una «mera riproduzione» della normativa dichiarata costituzionalmente illegittima e neppure la realizzazione, in modo indiretto, di esiti corrispondenti (ex multis sentenza n. 250 del 2017), e pertanto le disposizioni in esame non risultano lesive del giudicato costituzionale. 7.– Vanno ora prese in esame le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 in riferimento agli artt. 5 e 117 Cost., con riguardo al principio di «leale collaborazione», e agli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale, anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006. Le questioni non sono fondate. La ricorrente ha impugnato le disposizioni in esame nella parte in cui non prevedono il coinvolgimento della Regione nella determinazione del quantum da attribuire e nella definizione dei criteri e delle modalità di erogazione del contributo. Questa Corte ha più volte affermato la necessità di applicare il principio di leale collaborazione nelle ipotesi in cui lo Stato preveda un finanziamento, con vincolo di destinazione, che incida su materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente. È stato altresì specificato che la necessità del parere o dell’intesa si ravvisa principalmente in due evenienze: in primo luogo, quando vi sia un intreccio (ovvero una interferenza o concorso) di competenze legislative che non permetta di individuare un «ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri» (sentenze n. 114 del 2022 e n. 71 del 2018; in senso analogo, sentenze n. n. 40 del 2022, n. 104 del 2021, n. 74 e n. 72 del 2019 e n. 185 del 2018); in secondo luogo, nei casi in cui la disciplina del finanziamento trovi giustificazione nella cosiddetta attrazione in sussidiarietà della stessa allo Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 123, n. 114 e n. 40 del 2022, n. 71 e n. 61 del 2018). Nelle predette ipotesi, ai fini della salvaguardia delle competenze regionali, la legge statale deve prevedere strumenti di coinvolgimento delle regioni nella fase di attuazione della normativa, nella forma dell’intesa o del parere, in particolare quanto alla determinazione dei criteri e delle modalità del riparto delle risorse destinate agli enti territoriali (da ultimo, sentenze n. 179, n. 123 e n. 114 del 2022). La ricorrente sostiene che le disposizioni in esame inciderebbero sulla competenza legislativa concorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione» e «porti e aeroporti civili», oltre che sull’autonomia finanziaria regionale garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e sulle competenze primarie connesse alla disciplina del servizio di trasporto aereo, come «turismo [e] industria alberghiera» (art. 3, primo comma, lettera p, dello statuto di autonomia). La normativa in esame inciderebbe, inoltre, su competenze amministrative che lo Stato, con l’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, ha attribuito alla medesima Regione nella materia «continuità territoriale»; competenza, quest’ultima, che, in virtù dell’art. 6 dello statuto speciale, comporterebbe la titolarità della correlata competenza legislativa, la quale sarebbe egualmente incisa dalle disposizioni impugnate. 7.1.– Al fine di valutare se sussista la lesione del principio di leale collaborazione nell’istituzione di un fondo statale destinato a finanziare uno specifico settore, occorre, per costante giurisprudenza costituzionale, verificare anzitutto a quale ambito materiale afferisce il fondo, la cui natura va esaminata con riguardo «all’oggetto, alla ratio e alla finalità» della norma che lo prevede (sentenze n. 78 del 2020 e n. 164 del 2019). Nella fattispecie in esame, la finalità del fondo è quella di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna; la ratio della normativa impugnata consiste nel riconoscimento della peculiarità delle isole e nella promozione delle misure per rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità; l’oggetto riguarda il finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio delle due isole. A ben vedere, l’intervento finanziario delineato dall’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, si configura come un intervento statale “speciale”, finalizzato a promuovere la riduzione degli svantaggi derivanti dall’insularità ai sensi dell’art. 119 Cost., da inquadrare nell’ambito di “aiuti sociali”, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 2, lettera a), TFUE – il quale stabilisce che sono compatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti – e dell’art. 51 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE da attuare attraverso un contributo sul prezzo del biglietto, fino ad esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, per le rotte di collegamento tra gli aeroporti situati in Sicilia e in Sardegna e gli aeroporti situati all’interno dello spazio economico europeo, a favore dei soggetti residenti nei territori delle due regioni che maggiormente subiscono gli svantaggi derivanti dall’insularità. È questo, dunque, il contesto in cui devono essere considerate le disposizioni impugnate. Si tratta di interventi riconducibili a una duplice direttrice: a) promuovere, nell’ambito degli aiuti di Stato compatibili con il diritto dell’Unione europea, misure finalizzate a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità; b) attribuire, nell’ambito di tali misure, un contributo per la mobilità aerea dei cittadini residenti nelle due isole che maggiormente subiscono detti svantaggi. 7.2.– Tanto premesso, le questioni promosse nei confronti dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, non sono fondate. Il finanziamento previsto dalle disposizioni impugnate – che consiste in un contributo sul prezzo del biglietto che i cittadini residenti nel territorio siciliano e sardo sostengono per i collegamenti aerei tra aeroporti situati nelle due regioni e aeroporti situati all’interno dello Spazio economico europeo – è ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), nella materia «perequazione delle risorse finanziarie». L’intervento statale pertanto non incide sulle competenze regionali evocate dalla ricorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica», «grandi reti di trasporto e di navigazione», «porti e aeroporti civili», «turismo [e] industria alberghiera» e neppure incide sull’autonomia finanziaria della Regione. Da ciò discende che, non sussistendo, in relazione alle disposizioni impugnate, quell’inestricabile intreccio di competenze statali e regionali (sentenza n. 78 del 2020) che in altre occasioni ha condotto questa Corte ad affermare la necessità della leale collaborazione, risulta non fondata la censura svolta in tal senso dalla Regione. Peraltro, nelle premesse del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze n. 241 del 2023 di attuazione delle disposizioni impugnate, si dà atto che le determinazioni assunte sono state adottate con il coinvolgimento della Regione Siciliana e della Regione autonoma Sardegna. Non è quindi ravvisabile la violazione del principio di leale collaborazione e va pertanto dichiarata la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dei commi 494, 495 e 496 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022. 8.– L’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022 è stato impugnato anche in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost. con riguardo al principio di legalità, in uno con quello di ragionevolezza. Occorre pertanto verificare se sia irragionevole l’istituzione di un fondo da destinare al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sardegna e della Sicilia, tenuto conto che la definizione dei criteri di ripartizione delle risorse è effettuata con decreto interministeriale. Con riguardo al principio di ragionevolezza va innanzitutto ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di razionalità, in relazione al quale, per valutare la legittimità costituzionale di una legge, è necessario svolgere un sindacato di conformità a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 86 del 2017). Il principio di ragionevolezza, per costante giurisprudenza di questa Corte, risulta leso quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata. Tuttavia, non ogni incoerenza o imprecisione di una normativa può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità, consistendo il giudizio di ragionevolezza in un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere che, quando è disgiunto dal riferimento ad un tertium comparationis, può trovare ingresso solo se l’irrazionalità o l’iniquità delle conseguenze della norma sia manifesta e irrefutabile (ex plurimis, sentenze n. 195 del 2022, n. 6 del 2019 e n. 86 del 2017). Per le disposizioni di cui ai commi 494, 495 e 496 non è ravvisabile alcuna intrinseca contraddittorietà tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore – «riconoscere le peculiarità delle isole e promuovere le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità» – e l’istituzione di un fondo «per garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna», destinato «al finanziamento di interventi per la mobilità dei cittadini residenti nel territorio della Sicilia e della Sardegna». Con riguardo all’asserita violazione del principio di legalità, posto che è inconferente il riferimento all’art. 23 Cost., non può essere condiviso quanto sostiene la ricorrente, secondo cui le disposizioni in esame avrebbero conferito al Governo un potere regolativo con una norma “in bianco”. Le disposizioni impugnate non sono composte da un precetto indeterminato, avendo il legislatore statale specificato in modo chiaro e preciso le finalità del fondo (interventi per la mobilità aerea), l’ammontare delle risorse da destinare agli obiettivi predefiniti, i soggetti destinatari dei contributi (i cittadini residenti nelle due Regioni insulari) e lo strumento attraverso il quale devono essere stabiliti i criteri e le modalità di assegnazione delle risorse (decreto interministeriale). Anche sotto questo profilo, dunque, la questione di legittimità costituzionale non è fondata. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promossa, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, in relazione all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e agli artt. 3, primo comma, lettera p), 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Regione Sardegna), anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 116 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 5) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 81 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 495, della legge n. 197 del 2022, promossa, in riferimento all’art. 136 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promosse in riferimento agli artt. 5 e 117, terzo comma, Cost., con riguardo al principio di leale collaborazione, e agli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale anche in relazione all’art. 1, comma 837, della legge n. 296 del 2006, dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe; 8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 495 e 496, della legge n. 197 del 2022, promossa in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Angelo BUSCEMA, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9877 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento del provvedimento Cat. Prot. Nr -OMISSIS-, emesso dal Ministro dell'Interno, in data 19.2.2020 e notificato in data 18.7.2022, con il quale il ricorrente veniva allontanato dal territorio dello Stato ed accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS-, cittadino marocchino, in Italia dal 12 ottobre 2007 in forza di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è stato raggiunto da provvedimento del Ministro dell'interno del 19 febbraio 2020, che ne ha decretato l'espulsione dal territorio dello Stato con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. La determinazione ministeriale si è fondata sul rilievo che dall'attività info-investigativa sarebbe emerso che il prevenuto ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato islamico, tra i quali un connazionale già condannato per il reato di cui all'art. 270-bis c.p. e 414, co. 3 e 4 c.p.. L'Autorità avrebbe rilevato, altresì, che il prevenuto risulterebbe molto attivo sul web mediante la condivisione di video e immagini di esaltazione del martirio, riportanti esplicite manifestazioni di odio e violenza verso gli occidentali, nonché mediante pubblicazione di messaggi di sostegno nei confronti di predicatori islamici e dello Stato islamico. L'espulsione ministeriale è stata corredata da divieto di reingresso sul territorio nazionale per 15 anni in considerazione del particolare profilo di pericolosità sociale evidenziato dallo straniero. La notifica formale del provvedimento è avvenuta solo il 18 luglio 2022, a cura della Polizia di frontiera marittima e aerea di Genova, al rientro dello straniero da -OMISSIS-via nave; assieme al provvedimento ministeriale è stata notificata anche la revoca questorile del permesso di soggiorno. 2. - Il cittadino marocchino ha impugnato il provvedimento innanzi al TAR per il Lazio deducendo tre profili di censura per eccesso di potere, sotto l'aspetto dell'irragionevolezza, dello sviamento di potere e del travisamento: in primo luogo, il ricorrente ha denunciato l'insussistenza di evidenze fattuali a supporto della determinazione espulsiva, segnatamente con riguardo alle frequentazioni con connazionali radicalizzati, mentre le posizioni assunte sul web costituirebbero libera espressione del proprio pensiero; in secondo luogo, la motivazione sarebbe carente e insufficiente sotto il profilo della mancata indicazione delle fonti e dei documenti; da ultimo, il giudizio di pericolosità sociale verrebbe profondamente minato dal fatto che il provvedimento di espulsione è stato notificato al ricorrente dopo oltre tre anni dalla perquisizione (risalente a maggio 2019) e dopo oltre due anni dall'emanazione dell'atto (avvenuta il 19.2.2020). 3. - Il giudice di prime cure ha disatteso l'iter argomentativo seguito da parte ricorrente e, sul rilievo della natura latamente discrezionale dell'atto impugnato, ha aderito alle tesi difensive dell'amministrazione opinando che le risultanze info-investigative e le evidenze raccolte in occasione della perquisizione domiciliare comprovano, da un lato, che il ricorrente ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato Islamico, dall'altro, che lo stesso ha diffuso e propagandato sulla rete messaggi di esaltazione del martirio, esplicite manifestazioni di odio e violenza verso la civiltà occidentale, nonché messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremistici islamici e all'organizzazione terroristica dell'autoproclamato Stato Islamico. 4. - Il sig. -OMISSIS-ha quindi appellato la statuizione sfavorevole affidandosi a due motivi di gravame. In primis, lo straniero ha dedotto nuovamente l'error in iudicando per violazione dell'art. 3, comma 1, del D.L. 144/2005, conv. in legge 31 luglio 2005, n. 15 e dell'art. 13 d.lgs. 286/1998: al riguardo, contesta la carenza di concreti elementi di fatto dai quali evincere la percezione del pericolo, anche potenziale, per la sicurezza dello Stato. L'appellante stigmatizza altresì l'assoluta mancanza di un'adeguata istruttoria e di una doverosa valutazione dei documenti prodotti, che avrebbe consentito di verificare come la condotta di vita del -OMISSIS-sia inconciliabile (secondo dati di comune esperienza) con la possibilità che questi volesse arrecare a chicchessia un reale nocumento; infine, lamenta anche l'eccessivo divario tra la confezione del provvedimento (2020) e la sua materiale notifica (2022) ed esecuzione. 5. - Si è costituito in resistenza il Ministero dell'interno per il tramite della difesa erariale, che ha depositato la relazione difensiva predisposta dall'Amministrazione. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - La disamina della vertenza impone un preliminare richiamo dei parametri normativi entro cui si inscrive la fattispecie amministrativa: il provvedimento è stato, infatti, emanato ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell'art. 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 alla stregua dei quali l'espulsione in via amministrativa dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato può essere disposta dal Ministro dell'interno "per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato" oppure a carico di quei soggetti nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la relativa permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, trattandosi di atto rimesso all'organo di vertice del Ministero dell'Interno, che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l'organo di vertice dell'amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri (tanto che la disciplina legislativa stabilisce l'onere di preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri), esso costituisce senz'altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Ne è testimonianza il carattere estremamente generico dei presupposti delineati dall'art. 13 cit. che si limita a richiamare le locuzioni ampie e comprensive dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, la cui applicazione nel caso concreto è rimessa al prudente apprezzamento dell'organo politico di vertice del Dicastero. Parallelamente, anche la disciplina coniata dal legislatore all'art. 3 del D.L. n. 144/2005, giustapponendosi come aggiuntiva alla fattispecie di carattere generale appena esaminata, rafforza il potere ministeriale di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godano di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai comportamenti ritenuti in grado di agevolarla. 7.1. - Sul piano dell'inquadramento dell'istituto, la giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di puntualizzare con riferimento all'espulsione ex art. 3, comma 1, d.l. n. 144 del 2005 - con argomentazioni ben estendibili alla misura adottata ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 - che si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto. (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687, Cons. Stato, sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471). In altre parole, lo standard motivazionale e probatorio si discosta da quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per assestarsi al livello della preponderanza dell'evidenza (cd. canone del più probabile che non) in quanto non mira a formulare un giudizio di colpevolezza assistito da elevata plausibilità logico-razionale, bensì persegue finalità di prevenzione a favore di interessi pubblicistici il cui rango elevato giustifica la spiccata anticipazione della soglia di tutela: in definitiva, il cuore dell'impianto motivazionale dei provvedimenti di espulsione tratteggiati dalle norme in esame si condensa in un sillogismo inferenziale che sottende il giudizio prognostico di pericolosità sociale parametrata rispetto agli interessi dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato e alla possibile agevolazione delle organizzazioni o attività terroristiche. 7.2. - Tanto considerato, nel caso di specie il compendio indiziario posto a base della determinazione espulsiva e meglio sviscerato nella relazione difensiva dall'Amministrazione resistente, si profila tutt'altro che scarno di elementi pregnanti: a) in primo luogo, le risultanze info-investigative testimoniano che il sig. -OMISSIS-ha intrapreso un percorso di radicalizzazione snodatosi nella assidua frequentazione non solo di luoghi di culto (quello di -OMISSIS-) - il che sarebbe legittima manifestazione della libertà di culto costituzionalmente tutelata - ma anche di persone gravate da pregiudizi penali di matrice terroristica dal particolare disvalore (nel caso di specie, associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, prevista e punita dall'art. 270-bis c.p. e istigazione a delinquere ex art. 414 c.p.); dalla consultazione della banca dati interforze è emerso altresì che l'appellante annovera una notizia di reato del Compartimento della Polizia postale di Perugia per i medesimi titoli di reato; b) tale percorso di radicalizzazione non si è limitato alla sfera interna della manifestazione del pensiero, in astratto intangibile in quanto espressione di una libertà costituzionalmente tutelata, ma è trasmodata in una significativa attività di propaganda jihadista e di militanza mediatica. Dalle informazioni raccolte nell'indagine condotta dalla DIGOS e dal Compartimento di Polizia postale di Perugia nell'ambito delle indagini penali scaturite dalla segnalazione per istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo, è emerso, infatti, tra i profili di social network dediti alla propaganda di ideologie jihadiste proprio quello del -OMISSIS-: ne è scaturita la perquisizione degli strumenti tecnologici - personal computer e telefono cellulare - da cui si è appurato che questi risultava autore della diffusione di messaggi, immagini e video in cui aderiva alle manifestazioni di sentimenti antioccidentali, plaudeva alle attività delle organizzazioni terroristiche di matrice islamista ed esaltava i gesti di martirio jihadista, oltre a pubblicare messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremisti islamici. Al riguardo, mette conto di osservare che tale intensa attività di supporto mediatico non si è limitata a mera manifestazione del pensiero, ma per le sue modalità è stata suscettibile di integrare comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di delitti in conformità all'insegnamento della Corte costituzionale, ormai risalente e consolidato, per cui "plaudire a fatti che l'ordinamento giuridico punisce come delitto e glorificarne gli autori é da molti considerata una ipotesi di istigazione indiretta: certo é attacco contro le basi stesse di ogni immaginabile ordinamento apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale. Non sono concepibili, infatti, libertà e democrazia se non sotto forma di obbedienza alle leggi che un popolo libero si dà liberamente e può liberamente mutare" (Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65). 7.3. - Orbene, indipendentemente dagli esiti degli accertamenti penali, il Ministro dell'interno si è mosso in un'ottica squisitamente socialpreventiva e cautelare al dichiarato scopo di allontanare dal territorio nazionale una figura così insidiosa per la sicurezza interna e internazionale. Nell'apprezzare il compendio indiziario appena passato in rassegna, l'Autorità si è attenuta al sillogismo inferenziale secondo cui appare plausibile e razionale che, a fronte di questi elementi info-investigativi raccolti dalla DIGOS, il cittadino marocchino possa costituire una minaccia alla sicurezza dello Stato ex art. 13, co. 1 d.lgs. 286/1998, secondo lo standard del "più probabile che non"; al contempo, ricorrono anche gli estremi più specifici di cui all'art. 3 D.L. 14472005 giacché gli elementi passati in rassegna corroborano i prescritti fondati motivi che lasciano ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. 7.4. - Tanto considerato, l'argomentare dell'Amministrazione resistente, per quanto succinto, appare idoneo e sufficiente a corroborare il giudizio prognostico di pericolosità sociale sub specie di agevolazione terroristica e, del pari, ben ha opinato il TAR quando ha giudicato il provvedimento, sotto tale angolo visuale, come scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria. Non milita efficacemente in senso contrario la copiosa documentazione versata in atti dal ricorrente che attiene a dichiarazioni di conoscenti, colleghi e concittadini che, pur attestando una apparente proficua integrazione del sig. -OMISSIS-nel tessuto socio-economico, non scalfisce le forti controindicazioni rivenienti dai materiali rinvenuti a seguito della perquisizione degli apparati tecnologici di comunicazione del prevenuto. 8. - Venendo al secondo profilo censorio, il Collegio osserva che il ragguardevole lasso di tempo intercorso tra l'emanazione del provvedimento espulsivo (19 febbraio 2020) e la sua materiale esecuzione mediante respingimento alla frontiera (18 luglio 2022) è stato ampiamente delucidato dalla produzione documentale dell'Amministrazione che ha dovuto soprassedere all'esecuzione del provvedimento per indisponibilità dei collegamenti diretti per i rimpatri nel corso della fase emergenziale da covid-19: a rigore, trattandosi di provvedimento fortemente afflittivo sulla sfera personale del destinatario e, in definitiva, limitativo della sua sfera giuridica deve trovare applicazione l'art. 21-bis della legge n. 241 del 1990 giusta il quale tale tipo di provvedimento acquista efficacia con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Sicché, l'appellante non ha di che dolersi se l'esecuzione del provvedimento è avvenuta immediatamente dopo la notifica del decreto ministeriale di espulsione, pur a distanza di tempo per le ragioni testé esposte, con il conseguente affidamento del passeggero irregolare alla custodia del Comandante della Motonave GNV diretta a -OMISSIS-lo stesso giorno 18 luglio 2022. La notifica del provvedimento, nel caso di specie, si atteggia ad elemento perfezionativo della fattispecie ed incide giocoforza sull'acquisto della piena efficacia provvedimentale. Il protrarsi del tempo endoprocedimentale tra emanazione della decisione e definitivo perfezionamento della fattispecie mediante la rituale notifica al destinatario del provvedimento di espulsione, oltre che ampiamente scriminato dalle sopravvenienze di vis maior connesse alla contingenza pandemica non imputabili all'Amministrazione - peraltro anche foriere di una sospensione ex lege dei termini procedimentali (v. art. 103, D.L. 18/2020) - non impinge sulla validità ed efficacia del provvedimento definitivo tardivamente notificato, né milita in favore della sussunzione della fattispecie nel paradigma di cui all'art. 13, co. 2 d.lgs. 286/1998 vale a dire in una diversa species di provvedimento a firma prefettizia - e non già ministeriale. 9. - Alla luce di quanto precede, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 10. - Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9863 del 2023, proposto da -OMISSIS- S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ro. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Me. Ce. - Banca del Me. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Ma., An. Gr. e La. Ro., in sostituzione dell'avvocato Gi. Ia.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 32 del 7 febbraio 2002, il Ministero delle Attività Produttive ha indetto una gara concernente servizi per la gestione degli interventi di cui all'articolo 1, lettera b, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.3.2001, relativo allo sviluppo di imprese di recente costituzione. Mediante tali atti sono stati disciplinati gli interventi finalizzati allo sviluppo di imprese di recente costituzione attraverso la concessione a soggetti intermediari di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza in nuove imprese, a fronte di programmi di sviluppo di prodotti e servizi nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese quelle relative alle applicazioni di rete (web applications), al software innovativo, allo sviluppo dei contenuti multimediali e alla formazione interattiva a distanza. 1.1 - In data 31.1.2006, la società -OMISSIS- S.p.A. (successivamente denominata -OMISSIS- S.p.A.) ha presentato a Me. Ce. S.p.A, in qualità di soggetto gestore della procedura, una domanda di concessione di un'anticipazione finanziaria per l'acquisizione, per conto del fondo Principia al quale appartiene, di una partecipazione nel capitale di rischio di -OMISSIS- s.r.l. (poi denominata -OMISSIS- s.r.l.) al fine di capitalizzare tale ultimo soggetto per un programma pluriennale di sviluppo, consistente nella realizzazione di un impianto per il trattamento e il riciclaggio dei residui provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita, nonché per la lavorazione, triturazione e separazione dei metalli ferrosi e non ferrosi dalle materie plastiche e dalle sostanze non riciclabili, con recupero degli stessi metalli e successiva immissione in mercato sotto forma di sfere. 1.2 - Medio Credito ha erogato due distinte anticipazioni finanziarie di Euro.1.400.000 e di Euro. 600.000, rispettivamente in data 16.2.2006 e 18.7.2008, e -OMISSIS- ha iniziato la capitalizzazione di -OMISSIS- s.r.l. mediante quattro, progressivi, aumenti di Euro. 1.200.000, di Euro. 600.00 e due da Euro. 400.000, a valere a titolo di MC11 (c.d. "prima anticipazione"). Si è, poi, proceduto alla cd. "seconda anticipazione" (MC45), originariamente determinata in Euro600.000, (con la conseguenza che è stato fissato in Euro.300.000, a valere sull'anticipazione MC45, come erogazione parziale al 50% prevista dalla legge 388/2000), ma, in concreto, erogata in misura parziale per interventi legislativi che hanno inciso sulla distribuzione della misura su altri interventi, nonché per verifiche sul progetto oggetto del finanziamento: il che ha determinato una svalutazione del contributo fino ad Euro172.800. In sostanza, -OMISSIS-, per quanto dalla stessa affermato, a partire dal 2006 ha acquisito quote della -OMISSIS- s.r.l. per complessivi euro 3.450.000, di cui euro 1.725.000, provenienti da anticipazioni ex L. 388/2000 somma da rideterminarsi in euro 1.225.500, in quanto, in data 23.1.2008, la -OMISSIS- aveva ceduto il 16,67% della propria partecipazione per euro 1.000.000, destinando euro 500.000,00 al Ministero delle attività produttive a parziale restituzione delle somme anticipate. 2 - Non sono stati corrisposti al Ministero gli importi previsti dal contratto di cessione a partire dalla prima rata in scadenza e l'appellante ha chiesto l'applicazione delle clausole risarcitorie previste nell'ambito della compravendita della -OMISSIS- s.r.l. e relative garanzie, tenuto conto che questa è stata dichiarata fallita con sentenza n. 65/2014 del Tribunale di Milano. 2.1 - Nel 2013 il legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. è stato coinvolto in un procedimento penale nell'ambito del quale è stata contestata la commissione dei reati di cui agli artt. 640 bis, 640 e 61 n. 7 del c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e truffa, con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità ) sul presupposto che lo stesso avesse indotto in errore l'allora Ministero delle Attività produttive il quale, tramite la -OMISSIS-, aveva erogato a favore della -OMISSIS- un finanziamento complessivo di Euro3.400.000, costituito per il 50% da fondi messi a disposizione attraverso anticipazioni finanziarie ai sensi della legge 388/2000, e che il medesimo avrebbe dirottato gli utili della -OMISSIS- a società a sé riconducibili, così sottraendoli alla distribuzione a favore della -OMISSIS-, cui spettavano per patti parasociali e, per essa, al Ministero finanziatore. Il tutto sulla circostanza pacifica che l'impianto industriale, che si sarebbe dovuto realizzare per mezzo dei predetti fondi, non è mai entrato in funzione. La posizione dell'imputato, nel predetto procedimento, è stata definita con una sentenza di applicazione della pena su richiesta (cd. patteggiamento), emessa dal Tribunale di Milano in data 16.3.2015. 2.2 - L'appellante ha inoltre riferito che, nel 2015, ha agito giudizialmente nei confronti del legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. ex art. 2935 c.c. per il risarcimento dei danni derivati dagli atti gestori illeciti e distrattivi dallo stesso posti in essere e che tale procedimento si è concluso con la sentenza del Tribunale di Milano n. 11923/2018, con la quale è stata respinta la domanda, accertandosi la legittimazione attiva della -OMISSIS- limitatamente alla porzione di investimento derivante da fondi propri della medesima -OMISSIS-, non in relazione ai fondi erogati dal Ministero. 3 - Il Ministero, con nota del 30.9.2022 di avvio del procedimento di revoca delle anticipazioni finanziarie precedentemente concesse, ha evidenziato che in conseguenza dei "fatti emersi nell'ambito degli accertamenti istruttori del procedimento penale instaurato innanzi il Tribunale di Milano nei confronti dell'impresa beneficiaria "-OMISSIS- s.r.l. in fallimento" e del legale rappresentante della stessa..." si sarebbero concretizzati "in capo all'impresa beneficiaria e al suo legale rappresentante la mancata realizzazione del progetto nei termini in cui è risultato ammesso all'agevolazione con conseguente sviamento del denaro pubblico. La capacità e la professionalità della -OMISSIS-, unita alle circostanze emerse con la sentenza del Tribunale di Milano, n. 11923/2018, pubblicata il 27/11/2018, ove si conferma che la -OMISSIS- entrava fin dal giugno 2006 nel capitale sociale di -OMISSIS- s.r.l. dopo aver condotto una due diligente durata ben nove mesi, e dunque dovendo essere ben consapevole della rispondenza o meno del progetto effettivo, rispetto a quello previsto per la fruizione dell'intervento agevolativo, implicano che la stessa avrebbe dovuto avvedersi già sul piano tecnico delle richiamate difformità ". Ha, quindi, comunicato che "alla luce delle dette risultanze, appaiono concretizzatisi i motivi di revoca dell'anticipazione erogata di cui al punto 16, rubricato "Revoca delle anticipazioni", delle "Condizioni di ammissibilità e disposizioni di carattere generale per gli interventi di concessione di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza nel capitale di rischio di imprese di cui agli articoli 103, comma 1, e 106 della legge 23 dicembre 2000, n. 388" adottate dal Ministero Delle Attività Produttive con decreto 19 gennaio 2004 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 23 del 29-01-2004); in particolare, appaiono realizzatisi i motivi per procedere alla revoca dell'anticipazione previsti dai punti 16.1.1, 16.1.3 e 16.1.9, del citato decreto del 19 gennaio 2004, quali rispettivamente: percepimento dell'anticipazione, da parte dei soggetti accreditati, sulla base di notizie, dichiarazioni o dati falsi, inesatti o reticenti; mancata destinazione dell'anticipazione agli scopi previsti dalla legge, dalla normativa di attuazione e dalle disposizioni dello stesso decreto 19 gennaio 2004; qualsiasi violazione od omissione degli obblighi derivanti dalle norme di legge, regolamentari e dall'intera normativa di riferimento in genere". 3.1 - Quindi, con il Decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy prot. n. 0001378 del 2 maggio 2023 è stata disposta la revoca delle anticipazioni finanziarie, pari ad Euro928.393,00 (posizione MC 11) ed Euro325.500,00 (posizione MC 45); e si è disposto il "recupero della cifra complessiva di Euro4.326.012,07 corrispondente alla somma dei seguenti importi: a) importo di Euro928.393,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 16 febbraio 2006 (posizione MC 11); b) importo di Euro325.500,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 18 luglio 2008 (posizione MC 45); c) importo di Euro359.631,47 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto a) sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; d) importo di Euro204.701,60 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto b), sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; e) importo di Euro1.856.786,00 riferito alla pozione MC 11, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; f) importo di Euro651.000,00 riferito alla pozione MC 45, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123". 4 - -OMISSIS- S.p.A. ha impugnato avanti il Tar per il Lazio tale provvedimento. Con successivi motivi aggiunti ha esteso l'impugnazione alla nota del 21.3.2023, con cui Me. Ce. S.p.A., nell'ambito del procedimento di revoca dell'anticipazione finanziaria precedentemente erogata, ha trasmesso al Ministero delle imprese le proprie osservazioni conclusive, secondo quanto previsto al punto 16.3 del DM 16.1.2004, nonché alla nota del 2.5.2023, con cui il predetto Ministero ha riscontrato tale nota. 4.1 - Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. 5 - La società originariamente ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 5.1 - Con il primo motivo ("Erronea applicazione dell'art. 34 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Erronea applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Erronea applicazione degli artt. 63 e 64 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 296 del TFUE. Erronea applicazione dell'art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Uomo. Violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione. Violazione del divieto di ultrapetizione. Difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che la decisione di rigetto del ricorso di primo grado assunta dal Tar poggia sostanzialmente su un unico elemento e, segnatamente, sulla circostanza che, alle vicende criminose che hanno coinvolto il legale rappresentante della -OMISSIS-, avrebbe partecipato anche l'amministratore delegato di -OMISSIS- S.p.A. fino al 23 luglio 2008. 5.2 - L'appellante evidenzia che dagli elementi versati in giudizio, il Giudice di prime cure avrebbe potuto acquisire contezza del fatto che l'amministratore delegato di -OMISSIS- è stato riconosciuto del tutto estraneo alle vicende criminose in questione, come risulta dalla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero l'8 dicembre 2013 e dal decreto di archiviazione successivamente emesso in data 8 gennaio 2014. 5.3 - La censura è infondata. La questione del coinvolgimento del legale rappresentante dell'appellante ha una rilevanza trascurabile rispetto all'oggetto del giudizio, costituito dalla revoca del finanziamento. Il Tar si è limitato a dare atto del coinvolgimento del legale rappresentante di -OMISSIS-, come in effetti verificatosi all'inizio del procedimento penale, senza trarre automaticamente da tale circostanza il rigetto del ricorso di primo grado. In questa sede deve darsi atto dell'archiviazione della sua posizione come evidenziato dall'appellante. Come anticipato tale aspetto non è, tuttavia, determinante ai fini della decisione, che deve aver riguardo alla sussistenza dei presupposti dell'atto di ritiro del finanziamento a prescindere dalla specifica posizione assunta dal legale rappresentante del procedimento penale. 6 - Con il secondo motivo ("Violazione, falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione, falsa applicazione del punto 16 del D.M. del Ministero delle Attività 25 Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione. Violazione, falsa applicazione dell'art. 24 della Costituzione. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e correttezza dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, contraddittorietà manifesta, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che in base al decreto del Ministero del 19 gennaio 2004, ai fini della revoca dell'anticipazione, il Comitato di Gestione non può limitarsi - in ossequio ai più basilari e minimali principi di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa - a prendere atto delle osservazioni conclusive formulate dal Soggetto Gestore, essendo piuttosto tenuto a vagliare accuratamente siffatte osservazioni, nonché, in sede di adozione del provvedimento conclusivo, a dare espressamente conto delle valutazioni compiute al riguardo e ad esplicitare le ragioni per cui le abbia ritenute eventualmente fondate. Secondo l'appellante, tanto MCC, all'atto della formulazione delle osservazioni conclusive, quanto il Ministero, all'atto della adozione del Provvedimento, avrebbero agito in violazioni di tali principi. Nello specifico, il Soggetto Gestore ha proceduto a segnalare che "la motivazione da porre a fondamento del provvedimento definitivo di revoca è quella evidenziata nell'atto di avvio dello stesso", secondo l'appellante, con ciò dando erroneamente per assunto che il Ministero avrebbe dovuto semplicemente aderire a tale posizione. 6.1 - Sotto altro profilo, l'appellante prospetta che l'avvenuto riscontro da parte di MCC, con la nota prot. n. 0010966 del 22 dicembre 2022, alle deduzioni formulate dalla società non poteva consentire al Ministero di esimersi dall'entrare nel merito delle deduzioni presentate dalla società, ivi comprese quelle relative alla non assimilabilità dell'Anticipazione MC11 rispetto all'Anticipazione MC45 e alla conseguente necessità di differenziare le due posizioni. Secondo la società, il Ministero si sarebbe limitato ad adottare il provvedimento "sulla (sola) base delle informazioni trasmesse con la... nota del 21.03.2023", tralasciando integralmente, come invece avrebbe dovuto, di esaminare e valutare autonomamente l'intero corredo documentale, di prendere puntualmente posizione sulle singole contestazioni mosse da MCC e sulle relative deduzioni della società . 6.2 - La censura è infondata. Il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base di una motivazione che richiama espressamente "la nota del 22 dicembre 2022 con cui Me. Cr. Ce. s.p.a. ha puntualmente esposto i motivi per i quali le memorie difensive prodotte non possono ritenersi idonee al fine dell'archiviazione dell'avvio del procedimento di revoca". Tale nota è stata inviata dal MCC, quale Soggetto Gestore, dopo aver ricevuto dalla società ricorrente la nota "del 29 ottobre 2022 con cui la -OMISSIS--OMISSIS- s.p.a. ha trasmesso a Me. Cr. Ce. s.p.a. le proprie memorie difensive all'avvio del procedimento di revoca". Tanto precisato, i rilievi di parte appellante non possono trovare accoglimento, dovendosi ricordare, da un lato, che la motivazione dell'atto può essere anche data "per relationem", nel senso che la motivazione può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento amministrativo, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata (cfr. Consiglio Stat, sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156). Da un altro punto di vista, deve in ogni caso ricordarsi che l'onere di spiegare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni presentate dai privati non deve essere inteso in senso formalistico, considerato che tale obbligo viene meno qualora le stesse non avrebbero potuto influenzare effettivamente la concreta portata del provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306). 7 - Con il terzo motivo ("Violazione, falsa applicazione del punto 6 del D.M. del Ministero delle Attività Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 5 della Direttiva del Ministero delle Attività Produttive del 3 febbraio 2003. Violazione, falsa applicazione dell'art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123. Violazione, falsa applicazione dell'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante deduce l'illegittimità dell'intervento del Ministero - da cui l'erroneità, anche sotto tale profilo, della sentenza impugnata - stante, da un lato, il decorso del termine di durata della partecipazione, originariamente fissato in un periodo massimo di 7 anni dalla data di acquisizione e poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni dalla stessa data ovvero, nel caso di -OMISSIS-, alla data di effettiva scadenza (già intervenuta) del fondo mobiliare gestito che ha acquisito la partecipazione - e, dall'altro lato, l'avvenuta cessione definitiva, in data 26 settembre 2012, dell'intera partecipazione residua inerente alle anticipazioni. Nello specifico, posto che la -OMISSIS- ha provveduto il 16 giugno 2006 ad acquisire la partecipazione in -OMISSIS- a valere inizialmente sull'Anticipazione MC11 - poi cedendola parzialmente (con profitto assegnato ritualmente al Ministero) a gennaio 2008 e dismettendola integralmente il 26 settembre 2012 - e tenuto conto, altresì, che in data 21 novembre 2013 è stato dichiarato il fallimento di detta società, secondo l'appellante dovrebbe concludersi che la posizione relativa alle anticipazioni non può che considerarsi definitivamente chiusa, con la conseguenza che il Ministero e MCC non vantavano, né vantano alcun titolo per procedere legittimamente alla revoca delle stesse anticipazioni. Al riguardo, sarebbero privi di pregio l'assunto contenuto nella nota di MCC prot. n. 0010956/22 del 22 dicembre 2022, ove si legge che è solo la sentenza civile ad avere "evidenziato in più punti argomentativi che non potesse evincersi l'assoluta disinformazione della -OMISSIS- nell'effettuazione del suo investimento in -OMISSIS- originata dall'illecito del leg. Rapp.te -OMISSIS-", nonché le argomentazioni secondo cui di tale sentenza le parti appellante avrebbero acquisito conoscenza solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti. 7.1 - Anche volendo ritenere che l'intervenuto decorso del termine di 7 anni dalla data di acquisizione, da parte della -OMISSIS-, della partecipazione nel capitale di -OMISSIS- o l'intervenuta cessione totale, nel 2012, della partecipazione detenuta dalla stessa -OMISSIS- nella predetta società non consentano di poter ritenere "chiusa" e "definita" la posizione in questione, l'appellante prospetta che il provvedimento sia comunque illegittimo, in quanto assunto ben oltre un termine ragionevole, tanto più a fronte dell'operato, appunto "inerte", della stessa MCC. Invero, l'atto di ritiro si porrebbe in contrasto con l'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 - dovendosi qualificare l'atto in questione quale annullamento d'ufficio e non come erroneamente ritenuto dal Tar alla stregua di una revoca - nonché con la tutela del legittimo affidamento ad esso sottesa. 7.2 - L'appellante evidenzia inoltre il ruolo di mero soggetto intermediario assunto nell'ambito dell'operazione in questione dalla -OMISSIS-, rispetto alla quale, pertanto, MCC e il Ministero non possono fondatamente vantare il diritto alla restituzione delle anticipazioni erogate. L'unico soggetto dal quale il Ministero avrebbe potuto legittimamente pretendere la restituzione delle somme erogate, a risarcimento del danno subito, è -OMISSIS-, non potendo diversamente ipotizzarsi che, in ragione dell'impossibilità di agire in tal senso per l'intervenuta prescrizione di tale azione, a causa dell'inerzia dello stesso Ministero, quest'ultimo possa oggi, nell'ambito di un procedimento di revoca (per di più successivo di oltre 10 anni rispetto alla cessione delle partecipazioni e di 4 anni dalla sentenza civile), fondatamente pretendere la restituzione di tali somme dalla -OMISSIS- che, quale soggetto intermediario, ha ritualmente e correttamente eseguito il suo compito e alla quale, pertanto, non sono ascrivibili responsabilità, come del resto evidenziato anche dalla Corte dei Conti. 8 - La censura deve trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che nella specie non è stato applicato l'art. 21 nonies della legge 241/1990, avendo l'Amministrazione applicato il diverso istituto della cd. revoca - sanzione, stante l'espresso richiamato al d.lgs. 123/1998 ("Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese"), che all'art. 9, rubricato "revoca dei benefici e sanzioni", prevede che "in caso di revoca degli interventi, disposta ai sensi del comma 1, si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'intervento indebitamente fruito" (comma 2). In disparte il fatto che anche la difesa del Ministero invoca l'applicazione dell'art. 21 nonies cit., l'assunto in base al quale il Tar ha rigettato la censura in esame non appare risolutivo, posto che, anche laddove si ritenga che la base legale del potere esercitato non sia rintracciabile nell'art. 21 nonies, che limita temporalmente il potere di annullamento di un precedente provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, ciò non significa che sia sempre possibile un intervento, sine die, dell'amministrazione su un beneficio in precedenza attribuito. A prescindere dalla questione se il potere esercitato sia riconducibile all'istituto generale di cui all'art. 21 nonies, piuttosto che ad una specifica ipotesi di revoca-decadenza (vedasi al riguardo Cons. St. Ad. Plen n. 18/2020 secondo la quale "la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell'autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l'espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall'art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti") deve comunque esigersi che questo vada esercitato entro un termine ragionevole, avuto riguardo alle circostanze del caso. Ciò che emerge dalla vicenda oggetto di causa appare sintomatico di uno svolgersi dell'attività amministrativa secondo logiche lontane dal modello di correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente. Modello in cui, alla tradizionale ed imprescindibile funzione di garanzia di legalità nel perseguimento dell'interesse pubblico, la funzione amministrativa viene a rivestire anche un ruolo di preminente importanza per la creazione di un contesto idoneo a consentire l'intrapresa di iniziative private, alla quale si collega direttamente la necessità di certezza del quadro giuridico di riferimento che non può, senza una valida giustificazione, essere alterato ad anni di distanza dalla sua originaria stabilizzazione. I princì pi generali di economicità, di efficacia, di buon andamento ed imparzialità, che devono sempre presidiare l'attività amministrativa, impongono che l'amministrazione (pur in assenza della predeterminazione legale del termine massimo per la conclusione del procedimento) deve agire comunque in modo tempestivo, rispettando l'esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall'esercizio dei pubblici poteri (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 14.02.2022, n. 1081). Nel caso in esame, l'amministrazione, essendone nelle condizioni, doveva agire in modo tempestivo al fine di preservare la specifica esigenza alla certezza economico-giuridica del soggetto direttamente inciso, nonché, indirettamente, al fine di garantire una condizione generale di stabilità del mercato nel quale lo stesso opera e sul quale possono riflettersi gli effetti dell'atto impugnato. Alla luce dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato, comunque lo si voglia qualificare, sia intervenuto immotivatamente in un tempo eccessivamente lontano dai fatti che lo giustificano, rendendo pertanto il ritardo intollerabile e suscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto. 8.1 - In fatto: l'appellante ha terminato di acquisire partecipazioni in -OMISSIS- nel 2008. E' pacifico che le partecipazioni sono stata dismesse nel 2012 ed è altrettanto pacifico che, in data 29/11/2012, era pervenuta al soggetto Gestore comunicazione da parte della -OMISSIS- con cui si informava che era stata conclusa la cessione della residua partecipazione complessiva dalla stessa detenuta. A decorrere da quella data non sussisteva più alcuna partecipazione da gestire da parte dell'appellante, il rapporto di partecipazione societaria che aveva avuto origine dalla concessione dell'anticipazione si era dunque chiuso. Il fatto, allegato dal Ministero, per cui l'intermediario non avrebbe fornito notizie in merito all'effettivo incasso delle somme alle scadenze non rileva ai fini del presente giudizio, ove si consideri che la contestazione mossa all'appellante non attiene a tale aspetto, né tale aspetto, per quel che consta, è mai stato formalmente contestato dal Ministero. Anzi, tale circostanza riferita dall'amministrazione doveva costituire un evidente campanello di allarme per quest'ultima che avrebbe potuto e dovuto attivarsi già allora per tutelare la propria posizione. Tanto precisato, l'avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato è del 30.9.2022; è quindi intervenuto circa dieci anni dopo che la partecipazione in -OMISSIS- era stata liquidata e definitivamente chiusa; durante tale decennio, la -OMISSIS- non aveva ovviamente più svolto alcuna attività connessa all'originario rapporto che ha dato luogo al provvedimento impugnato. 8.2 - Il dato per cui nel 2012 il rapporto doveva ritenersi ormai chiuso si desume dalle seguenti disposizioni del Decreto 19 gennaio 2004 che regola lo specifico finanziamento per cui è causa: - il punto 6 del Decreto prevede che le partecipazioni devono, tra l'altro, "avere una durata massima di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 13 prevede che, "Dismessa la partecipazione, il soggetto accreditato deve restituire al Gestore un importo pari al valore di cui al punto 12.2.2 ridotto della commissione di gestione di cui al punto 12.1 e del premio di cui al punto 12.2 con valuta di accredito al Gestore entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 14 (Mancata dismissione delle partecipazioni) prevede che: "qualora i soggetti accreditati non abbiano dismesso la partecipazione nel termine di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione, risultante dall'estratto notarile del libro soci, sono tenuti a restituire al Gestore l'importo della anticipazione calcolato alla data di scadenza. La restituzione dell'anticipazione deve avvenire con le modalità di cui al punto 13.1. entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Dalle disposizioni innanzi richiamate emerge, in primo luogo, come la durata della partecipazione avesse un termine massimo di durata di sette anni (poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni); emerge inoltre che, una volta dismessa la partecipazione, scattano gli adempimenti restitutori in favore del Ministero da parte della -OMISSIS- "entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci" o "entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Alla luce delle scansioni temporali predeterminate dal Decreto che regola il finanziamento in questione, siccome l'ingresso in -OMISSIS- risale al 2006, non è dato comprendere per quale ragione il Ministero abbia atteso sino al 2022 per revocare il finanziamento a suo tempo concesso, ovvero dieci anni dopo la dismissione della partecipazione e ben diciotto anni dopo l'iniziale concessione del finanziamento. Seppure a rigore la prospettazione del Ministero - secondo il quale il termine di 7 anni regolerebbe la detenzione della partecipazione e non l'esercizio del potere di revoca - appaia condivisibile, resta il fatto che, siccome nel caso di specie la posizione era stata incontestabilmente liquidata sin dal 2012, da tale data, in base alle disposizioni citate, avrebbero comunque dovuto aprirsi le procedure di chiusura anche dei rapporti tra la -OMISSIS- e il Ministero (entro il termine di un mese) ed in tale frangente avrebbero verosimilmente potuto emergere i fatti poi oggetto degli addebiti di cui al provvedimento impugnato emesso nel 2022. 8.3 - La giustificazione addotta dal Ministero per cui avrebbe acquisito conoscenza dei motivi di revoca solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti n. 220/2022 non appare sostenibile per le ragioni di seguito spiegate: - lo stesso Ministero ha affermato di avere trasmesso al Gestore, a settembre 2013, l'informativa riservata pervenuta dalla Guardia di Finanza il 24 settembre 2013, recante gli esiti delle indagini condotte nell'ambito del procedimento penale; tale circostanza è valorizzata anche nella sentenza della Corte dei Conti cit.; - nel 2013 la -OMISSIS-, società beneficiaria dell'anticipazione, è stata dichiarata fallita; - la sentenza penale con la quale il legale rappresentante di -OMISSIS- ha patteggiato la pena risale al 15 marzo 2015 e il Mise era stato indicato tra le parti offese nella richiesta di rinvio a giudizio, che risale al 7 maggio 2014; - la sentenza del Tribunale civile di Milano relativa all'azione di responsabilità promossa nei confronti dello stesso risale al 27 novembre 2018. In definitiva: le vicende relative al procedimento penale, i cui fatti sono sostanzialmente i medesimi di quelli portati a giustificazione del provvedimento impugnato, sono emerse ben prima della sentenza della Corte dei Conti e della sentenza del Tribunale civile di Milano (che comunque risale al 2018), dovendosi per l'effetto ragionevolmente ritenere che il Ministero ne dovesse essere consapevole, se non dalla trasmissione della relazione della Guardia di Finanza, quanto meno dall'intervenuta sentenza in sede penale che risale al 2015, rendendo ingiustificato ed intollerabile il ritardo con il quale è stato avviato, solo nel 2022, il successivo procedimento di revoca. 8.4 - Alla luce delle circostanze innanzi evidenziate non risulta risolutivo il richiamo del Ministero al secondo comma dell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, che regola l'annullamento del provvedimento illegittimo conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti (o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci). Tale richiamo non appare pertinente ove si consideri che: - da un lato, il legale rappresentate dell'appellante è stato completamente scagionato dall'iniziale imputazione penale, non potendosi pertanto ritenere che l'appellante abbia posto in essere un'attività insidiosa atta a giustificare la dilazione del potere di autotutela, dovendosi anzi evidenziare che l'appellante, in qualità di danneggiata, si è costituita parte civile nel procedimento penale ed ha ivi ricevuto parziale ristoro; - in ogni caso, come già osservato, il Ministero già nel 2013 era stato notiziato dalla Giardia di Finanza dei fatti penalmente rilevanti e nel 2015 è intervenuta la sentenza penale di patteggiamento, non essendo dato comprendere le ragioni dell'attesa, sino al 2022, per l'avvio del procedimento di revoca. 9 - L'accoglimento dell'appello nei termini che precedono è idoneo ad esaurire la materia del contendere, non residuando alcun interesse all'esame degli ulteriori motivi di appello con i quali la società contesta la sussistenza di una sua responsabilità per la mancata attuazione del progetto al quale era funzionale l'erogazione dell'anticipazione poi revocata. In ogni caso, si osserva che non era la società di gestione la beneficiaria ultima del finanziamento di cui trattasi. La -OMISSIS-, infatti, ha ricevuto il denaro pubblico non per un vantaggio proprio, ma per investirlo, quale intermediario, in conformità ai modi stabiliti dall'amministrazione in un progetto che quest'ultima ha approvato (ai sensi del punto 8.5 del Decreto, la valutazione dei programmi di sviluppo è effettuata dal Comitato di Gestione). Al riguardo, la Corte dei Conti ha precisato che "l'unico legittimato ad interrompere la prescrizione dell'azione di responsabilità era il titolare del diritto, ossia l'ente danneggiato MISE, per la quota di sua competenza", concludendo nel senso che "L'inerzia del Ministero ha, quindi, causato un danno erariale costituito dalla prescrizione dell'azione di responsabilità esercitata dalla Procura nei confronti di -OMISSIS- e del fall. -OMISSIS- srl" (sentenza n. 220/2022). 10 - Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 10.1 - Le spese di lite del doppio grado di giudizio, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate. 11 - Deve infine disporsi la trasmissione della presenta sentenza, unitamente agli atti della causa, alla competente Procura della Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione in riferimento ai fatti emersi nel corso del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Dispone la trasmissione a cura della Segreteria della presente sentenza e degli atti di causa alla competente Procura della Corte dei Conti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nel provvedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1639 del 2022, proposto da Vi. Pa., in proprio e quale titolare e legale rappresentante della ditta individuale Pa. Vi., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Me. e Bi. Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocatura comunale; Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati La. Fa., Mi. Pu., Al. Ro. e Cr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocatura provinciale; per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione Autonoma di Bolzano, n. 354/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano e della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellata l'avvocato Al. Me.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor Vi. Pa. esercitava dal 2011 l'attività di vendita di frutta e verdura su un'area pubblica in via (omissis) a Bolzano, in base a titoli di occupazione del suolo pubblico temporanei (annuali) e rilasciati in via precaria e ripetutamente. L'ultima concessione, risalente al 2020, indicava il periodo di validità dal 28.1.2020 al 31.12.2020. Il rispettivo posteggio (6,30 x 2,20 metri con autocarro, 1,00 x 1,00 metri con tavolino e 3,00 x 3,00 metri con ombrellone) non era inserito nel regolamento comunale per il commercio su aree pubbliche. 2. In data 10.2.2021il signor Pa. presentava un ulteriore istanza per la concessione del posteggio in via (omissis) (protocollato dal Comune al n. 30088/2021 del 10.2.2021), chiedendo con essa una proroga di dodici anni. 3. L'amministrazione comunale, con il provvedimento n. 15 del 13.5.2021 rigettava l'istanza, ritenendo che: - il vigente Regolamento del commercio su aree pubbliche del Comune di Bolzano non prevede alcun posteggio con attività quotidiana e settimanale in Via (omissis); - il rilascio di una nuova concessione di occupazione di suolo pubblico per un posteggio in mercati e fiere o fuori mercato, in attuazione di quanto previsto dall'art. 26 della L.P. n. 12/2019, deve avvenire con una procedura ad evidenza pubblica, attraverso appositi bandi adeguatamente pubblicizzati, e solo successivamente all'inserimento di un nuovo posteggio nel Regolamento Comunale del commercio su aree pubbliche; - l'Amministrazione Comunale valuterà l'opportunità di inserire e/o rimuovere dei posteggi nel nuovo Regolamento del commercio su aree pubbliche, da mettere in gara, in attuazione a quanto previsto dall'art. 24 della L.P. 12/2019; - la Commissione competente ha preso atto, in data 15/2/2021, tenuto conto del quadro normativo sopra evidenziato, del fatto che il posteggio in oggetto non è regolamentato, e della decisione di non ritenere più opportuno rilasciare ulteriori posteggi al di fuori delle aree attualmente previste nel Regolamento comunale del commercio su aree pubbliche. 4. Tale ultima determinazione era l'atto impugnato nel giudizio dinanzi al TRGA, Sezione Autonoma di Bolzano. 5. Il signor Pa. deduceva l'illegittimità del provvedimento supportato da due ordini di censura: a) violazione e falsa interpretazione dell'art. 65 della L.P. n. 12/2019 nonché dell'art. 181, comma 4 bis, del D.L. n. 34/2020; eccesso di potere per difetto d'istruttoria e travisamento dei fatti nonché per difetto di motivazione, ritenendo illegittima la mancata proroga ex lege per dodici anni, di cui beneficiano le concessioni di posteggio scadute al 31.12.2020; tale proroga sarebbe prevista dalle misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19; b) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 65 della L.P. n. 12/2019, eccesso di potere per difetto di competenza della Giunta provinciale a poter integrare i requisiti per l'attuazione della proroga prevista da tale norma. Quest'ultima doglianza era formulata per mero tuziorismo difensivo e per l'ipotesi residuale di ritenere applicabile la delibera della Giunta provinciale n. 389 del 2021. Ad avviso del ricorrente la delibera della Provincia sarebbe lesiva del disposto legislativo di base, che non prevedrebbe alcuna delega all'esecutivo provinciale. 6. Si erano costituiti in resistenza il Comune di Bolzano e, ad opponendum, la Provincia Autonoma di Bolzano, che concludevano entrambi per il rigetto del gravame. 7. La sentenza indicata in epigrafe ha ritenuto infondato il ricorso. Più in particolare, il primo giudice ha motivato la sua decisione in base ai seguenti ragionamenti: - la proroga prevista dall'art. 65 della L.P. 12/2019 va concessa alle occupazioni pluriennali, ai sensi della disciplina del commercio su aree pubbliche; - i titoli del signor Pa. erano sempre stati limitati nel tempo (annuali) e rilasciati al di fuori dell'ambito disciplinare del commercio su aree pubbliche; - la proroga di 12 anni sarebbe quindi dodici volte superiore a quella originaria; - le ragioni che avevano spinto il Comune di Bolzano a rigettare l'istanza erano corrette, atteso che - conformemente al vigente quadro normativo - era necessario prima l'inserimento del posteggio nel piano comunale per il commercio su aree pubbliche e, poi, successivamente l'esperimento di una procedura ad evidenza pubblica di per assegnare l'area; - il carattere provvisorio e precario della concessione di occupazione è motivo evidente per non poter radicare nell'istante il principio di tutela dell'affidamento in un suo ulteriore rinnovo o addirittura nella sua automatica proroga; - per quanto concerne la seconda censura, che riguardava la legittimità della delibera della Giunta Provinciale, essa non era richiamata nell'impugnato provvedimento di rigetto e le sue motivazioni prescindevano da ogni questione attinente all'istituto della proroga ex lege. 8. Il signor Pa. ha proposto appello per la riforma della sentenza con la quale il ricorso è stato respinto. 9. Il Comune di Bolzano e la Provincia Autonoma di Bolzano si sono costituiti per resistere al gravame. 10. Con ordinanza n. 1266/2022 la Sezione ha respinto l'incidentale domanda dell'appellante di sospensione della sentenza, rilevato che la concessione del posteggio, per cui è causa, è scaduta il 31.12.2020, e che, nella nuova pianificazione comunale, non impugnata con specifici motivi di censura, l'area non è stata più assegnata in concessione al ricorrente, il quale, peraltro, è stato titolare di mera concessione temporanea di durata annuale che non fonda alcuna tutela dell'aspettativa, tale da giustificare l'ulteriore occupazione dell'area demaniale. 11. L'appellante, con atto depositato nel PAT il 22.3.2022 ha chiesto la revoca della predetta ordinanza cautelare, specificando che il piano commerciale del Comune di Bolzano, ai sensi della legge provinciale n. 12/2010, non era ancora stato approvato, ritenendo ciò un elemento revocatorio. 12. La Sezione, con l'ordinanza n. 1907 del 22.4.2022, rigettando l'istanza di revocazione, ha rilevato che: - l'istanza di revoca e/o revocazione dell'ordinanza è infondata per assenza dei presupposti della revoca e della revocazione in quanto il rilievo, contenuto nell'ordinanza revocanda, relativo alla mancata impugnazione a mezzo di motivi specifici della pianificazione comunale in vigore, non costituisce un errore decisivo e non può di conseguenza essere revocato; - il Collegio aveva ritenuto che, alla scadenza della concessione di titolarità dell'appellante, la nuova pianificazione comunale (successiva al 31.12.2020) non comprendeva il posteggio di via (omissis) e che tale scelta pianificatoria non era stata oggetto di specifica impugnazione; - la restante parte della motivazione dell'ordinanza (per cui si rilevava che l'appellante è stato titolare di mera concessione temporanea di durata annuale e che ciò non fonda alcuna tutela dell'aspettativa, tale da giustificare l'ulteriore occupazione dell'area demaniale) è già per sé sufficiente al diniego della sospensiva, non potendo il motivo, pertanto, comportare in ogni modo la revocazione, per la cui ammissibilità sarebbe richiesto un errore decisivo; - l'ordinanza revocanda si basa sul presupposto giuridico che la disciplina statale e la disciplina provinciale invocate da parte appellante risultino - come sostenuto dalla Provincia - applicabili alle sole concessioni pluriennali per l'esercizio del commercio su aree pubbliche relative a posteggi inseriti in mercati, fiere e isolati (art. 181, comma 4-bis, D.L. n. 34/ 2020 e Allegato A, art. 2, D.M. 25.12.2020, nonché art. 65, primo comma, L.P. n. 12/2019 e deliberazione della Giunta provinciale n. 389 del 4 maggio 2021) e che tale presupposto attiene al quadro giuridico e non ad un errore di fatto revocatorio; - risulta evidente che, anche in assenza del riferimento alla "nuova pianificazione comunale", la decisione, fondata sulla inconfigurabilità di una aspettativa giuridicamente rilevante in capo al titolare di una concessione meramente temporanea - e pertanto inidonea a fondare una pretesa di proroga ultradecennale senza gara del titolare di un posteggio isolato -, non potrebbe avere un contenuto diverso. 13. La parte appellante ha depositato una memoria conclusionale il 23.4.2024, che è stata replicata dalla Provincia il 30.3.2024 e dal Comune il 2.5.2024. L'ente civico ha eccepito la tardività della memoria dell'appellante. 14. Alla pubblica udienza del 23 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 15. Preliminarmente va scrutinata l'eccezione di tardività della memoria dell'appellante (depositata il 23.4.2024 alle ore 18:36) sollevata dal Comune di Bolzano. Essa è fondata in quanto doveva essere depositata 30 giorni liberi prima dell'udienza pubblica, entro le ore 12:00. Come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, infatti, il deposito effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno utile è da ritenersi tardivo (Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 2022, n. 8418), in quanto "Dal combinato disposto degli artt. 73, comma 1, c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a., si evince che il deposito con il processo amministrativo telematico è possibile fino alle ore 24.00 ma, qualora venga effettuato l'ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell'art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12 si considera effettuato il giorno successivo, dovendo quindi considerare lo stesso come tardivo", nonché, nel medesimo senso, Cons. Stato, Sez. IV, 14 settembre 2022, n. 7977, secondo cui "L'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile". Pertanto va stralciato dal fascicolo processuale. 16. L'esito dello scrutinio delle domande attoree non giungono a positivo apprezzamento, come già anticipato in sede di sommaria delibazione in sede cautelare, e, più estesamente, nell'ordinanza che ha affrontato la domanda di revocazione. 17. L'appellante ha rassegnato tre ampi motivi di censura così rubricati: I. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DELL'ART. 2, 27 E 28 D.LGS. 31/3/1998 N. 114 - VIOLAZIONE DELL'ART. 2, 5 E 6 DEL REGOLAMENTO COSAP DEL COMUNE DI BOLZANO APPROVATO CON DELIBERA DI CONSIGLIO COMUNALE N. 18 DEL 7/12/2012 IN CONNESSIONE CON QUANTO DISPOSTO DALL'ART. 65 DELLA LEGGE PROVINCIALE DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO DEL 3/12/2019 N. 12 COME MODIFICATO DALLA LEGGE PROVINCIALE 13/10/2020 N. 12 - VIOLAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4 BIS, D.L. 34/2020 CONV. LEGGE 12/7/2020 N. 77- VIOLAZIONE DEL D.M. DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DEL 25/11/2020 - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA 4/5/2021 N. 389 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - ERRORE DEL PRESUPPOSTO - SVIAMENTO - VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE - ILLOGICITÀ MANIFESTA - CARENZA DI INTERESSE PUBBLICO IN CONCRETO; II. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DELL'ART. 65 DELLA LEGGE PROVINCIALE 12/2019 COME MODIFICATO DALLA L.P. 12/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4, D.L. 34/2020 - VIOLAZIONE DEL D.M. DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DEL 25/11/2020 - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA 4/5/2021 N. 389 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE - ILLOGICITÀ MANIFESTA; III. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4 BIS, D.L. 34/2020 CONV. LEGGE 77/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 65 L.P. BOLZANO 12/2019 COME MODFICATA CON L.P. 12/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO DI LEGGE - ERRORE MANIFESTO PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA LIBERTÀ ECONOMICA - DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - TRAVISAMENTO DEI FATTI - ILLOGICITÀ MANIFESTA - VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO - CARENZA DI INTERESSE PUBBLICO IN CONCRETO - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA DI C.C. 76 DEL 25/11/2021. 18. Con il primo motivo l'appellante ritiene che la sentenza sia erronea in quanto si sarebbe basata su un erroneo esame delle norme in riferimento al rilascio delle concessioni di occupazione del suolo pubblico. Ad avviso del signor Pa., invece, una corretta interpretazione del quadro normativo di riferimento evidenzierebbe che le norme che disciplinano il rilascio di concessione di suolo pubblico per posteggi esistenti all'interno dei mercati sono diverse da quella che regolamentano la concessione di spazi pubblici per i c.d. posteggi isolati e che ciò avrebbe determinato l'accoglimento del ricorso. Il Comune avrebbe dunque dovuto applicare il regolamento COSAP (delibera del consiglio comunale n. 18/2012). Inoltre, le concessioni rilasciate non avrebbero il carattere precario, ma sarebbero di carattere permanente. Se il TAR avesse inquadrato la precisa normativa di riferimento, non avrebbe qualificato l'occupazione dell'area di Via (omissis) quale occupazione precaria di suolo pubblico, ma come occupazione di posteggio isolato di natura permanente, con applicazione delle disposizioni di rinnovo previste a livello generale dal D.L. 34/2020, come attuato dal D.M. 25.11.2020 e come applicato dalla Provincia di Bolzano, ai sensi dell'art. 65 L.P. n. 12/2019 e come modificata ai sensi della L.P. n. 12/2020, non avendo il Comune di Bolzano provveduto ad adottare il nuovo piano di commercio. 19. Con la seconda doglianza, l'appellante ritorna sull'errata qualificazione del carattere precario delle concessioni a lui rilasciate. La semplice lettura di esse evidenzierebbe che non avrebbero natura itinerante, non prevedendo limiti né temporali, né di orari. La precarietà di una concessione di suolo pubblico ai fini commerciali apparterrebbe alle sole concessioni di carattere itinerante, ma non anche a quelle sui posteggi. Le concessioni di natura itinerante non sarebbero previste tra quelle "rinnovabili" ex D.L. 34/2020, a differenza di quelle per i posteggi, anche se di carattere isolato. 20. Con l'ultima censura si deduce la violazione del principio della tutela dell'iniziativa economica, garantito dall'art. 41 della Costituzione, oltre che del generale principio del legittimo affidamento ingenerato nel privato. La legge provinciale n. 12/2019, all'art. 30 prevedrebbe che i Comuni debbano dotarsi di un nuovo piano commerciale nel termine di 180 giorni dalla pubblicazione di tale disposizione, ma alcuna attività sarebbe stata posta in essere dal Comune finalizzata all'approvazione di un nuovo Piano di commercio, con individuazione di aree di posteggio, anche isolati, come previsto dal nuovo Codice del Commercio. La motivazione del rigetto dell'istanza dell'appellante sarebbe quindi generica, illogica e frutto di una deficitaria istruttoria. In una corretta ponderazione degli interessi pubblici con quelli privati non si potrebbe tutelare l'inerzia comunale. Il Comune di Bolzano avrebbe rilasciato le concessioni dell'area di Via (omissis) vincolandola all'eventuale riapertura o ripristino della fermata dell'autobus, ma tale ripristino non vi sarebbe mai stato. 21. Il primo motivo, oltre che essere parzialmente inammissibile, per evidente violazione dell'introduzione di nova nel giudizio d'appello di cui all'art. 104 cod. proc. amm. in quanto l'appellante deduce solo in sede d'appello che la concessione in esame riguarderebbe un posteggio isolato, con conseguente necessità di applicare il regolamento COSAP del Comune di Bolzano in luogo del regolamento del commercio su aree pubblico, risulta anche manifestamente infondato, come già considerato con le ordinanze rese in sede di sommaria cognizione. 22. Ai sensi dell'art. 30 della legge provinciale 2 dicembre 2019, n. 12, l'individuazione delle zone destinate all'esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche, i criteri di assegnazione dei posteggi e l'estensione della loro superficie, nonché i settori merceologici cui sono destinate, sono demandati al Comune con pianificazione comunale. L'art. 19 comma 3 della L.P. 7/2020 ha stabilito che "l'ampiezza complessiva delle aree destinate all'esercizio del commercio su aree pubbliche nonché i criteri di assegnazione dei posteggi, la loro superficie e i criteri di assegnazione delle aree riservate agli agricoltori singoli od associati che esercitano la vendita dei loro prodotti, sono stabiliti dal comune in conformità agli indirizzi della Provincia e tenuto conto delle eventuali prescrizioni sugli strumenti urbanistici. I posteggi, secondo gli usi e le tradizioni locali, possono avere una specifica destinatone merceologica per i settori alimentare, ortofrutta, abbigliamento e non alimentare, che vincolano l'operatore a trattare unicamente tali merceologie. Tali aree sono stabilite sulla base delle caratteristiche economiche del territorio, della densità della rete distributiva e della presumibile capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante, al fine di assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore ed a un adeguato equilibrio con le installazioni commerciali a posto fisso e le altre forme di distribuzione in uso, compreso il settore dei pubblici esercizi." Dello stesso tenore è la disciplina prevista dall'art. 30 della L.P. 12/2019, che recita: "1. Il Comune approva il piano comunale per l'esercizio del commercio su aree pubbliche. 2. Con il piano comunale sono individuati in particolare: i posteggi in mercati, fiere e fuori mercato (omissis). 6. Unitamente al piano di cui al comma 2, il Comune approva il regolamento comunale che disciplina l'organizzazione e le funzioni comunali in materia di commercio su aree pubbliche." Il legislatore provinciale ha demandato al Comune l'individuazione delle aree pubbliche da destinare all'esercizio del commercio al dettaglio, nell'ambito e nell'esercizio delle sue funzioni di gestione del territorio. L'occupazione di aree pubbliche attraverso chioschi è disciplinata dal Comune di Bolzano con il regolamento del commercio su aree pubbliche (vendita al pubblico di merci di dettaglio, di alimenti e bevande effettuata su aree pubbliche o su aree private delle quali ultime il Comune abbia la disponibilità, scoperte o coperte) all'art. 1 comma 2 e art. 3. Da tale disciplina - contrariamente alla tesi dell'appellante - emerge che esso è riferito sia alle postazioni mercatali (quotidiane e settimanali), sia ai posteggi isolati (con attività quotidiana o saltuaria). Ai posteggi isolati con attività quotidiana, che è la fattispecie oggetto del giudizio, è dedicato l'elenco previsto dall'art. 2 lettera b ("Vari posteggi con attività quotidiana"). Tutti i posteggi ivi elencati sono posteggi isolati, quindi non inseriti in attività di fiere e mercati. L'appellante erra anche sulla normativa applicabile, che non è il regolamento COSAP (delibera del Consiglio Comunale n. 18/2012). Esso riguarda generalmente l'occupazione di suolo pubblico, indipendentemente dall'esercizio del commercio, e regola i criteri per l'individuazione del canone, ma non contiene alcuna disposizione per la quale le concessioni pari ad un anno sarebbero da considerare di carattere permanente. In ogni modo non gli giova neppure il richiamo a tale regolamento. L'unico inciso sulla natura permanente si ricaverebbe dall'art. 2 del regolamento COSAP, che definisce "permanenti le occupazioni, di carattere stabile, effettuate anche con manufatti, la cui durata, risultante dal provvedimento di concessione, è superiore all'anno." Viste le concessioni ottenute dal signor Pa., di durata annuale (l'ultima è anche inferiore all'anno), la tesi è smentita per tabulas. Ha ragione il TRGA a concludere che la normativa applicabile è il regolamento per il commercio su aree pubbliche (delibera del Consiglio Comunale n. 74/2015), essendo essa la disciplina specifica di settore da cui non è possibile prescindere ai fini dell'individuazione delle piazzole su aree pubbliche destinate specificatamente allo scopo. Risulta però dall'atto gravato e dalla documentazione dimessa in giudizio che la piazzola in questione è stata assegnata all'appellante in via del tutto provvisoria e precaria, comunque al di fuori della disciplina del regolamento comunale vigente, e non può godere della proroga pluriennale relativa al settore. In via ancora subordinata va rilevato che non si può comunque accertare un suo diritto di proroga, alla luce del chiaro disposto dell'art. 65 che prevede il rinnovo di 12 anni nell'ambito dell'attività regolata dal "Codice del Commercio", e non riguarda pertanto genericamente l'occupazione di suolo pubblico. 23. L'asserito error in iudicando in merito alla precarietà, dedotto con il secondo motivo e già parzialmente oggetto di scrutinio negativo nell'ambito del precedente motivo, è infondato. Si deve aggiungere che le concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su aree pubbliche sono regolamentate da apposita disciplina che rimette espressamente ai comuni la previa individuazione, attraverso uno strumento programmatico di natura pianificatoria, delle aree pubbliche da assegnare ai privati sottraendole all'utilizzo collettivo. Nel caso specifico, il carattere precario del posteggio di via (omissis) si desume dal fatto che lo stesso non è mai stato inserito nel regolamento comunale, e che le relative concessioni sono sempre state connotate da temporaneità, in quanto rilasciate di volta in volta per la durata limitata di un anno. Ciò esclude un affidamento del privato concessionario, anche perché il rinnovo di cui all'art. 65 della L.P. 12/2019 interviene in un contesto già definito con disposizione di legge provinciale e regolamentare comunale. Orbene, è evidente che esso non può che riferirsi alle concessioni regolarmente previste nel piano comunale come piazzole destinate al commercio su suolo pubblico in base alla disciplina di settore, fra cui non rientra quella di via (omissis). Le concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su aree pubbliche sono regolamentate dall'apposita disciplina che rimette espressamente ai comuni la previa individuazione, attraverso uno strumento programmatico di natura pianificatoria, delle aree pubbliche da assegnare ai privati sottraendole all'utilizzo collettivo. Nel caso specifico, il carattere provvisorio del posteggio di via (omissis) si desume dal fatto che lo stesso non è mai stato inserito nel regolamento comunale, e le relative concessioni sono sempre state connotate da assoluta precarietà, in quanto rilasciate di volta in volta per la durata limitata di un anno. 24. Anche l'ultimo motivo, oltre ad essere inammissibile in quanto mai dedotto nel ricorso di primo grado e quindi è evidente la sua tardività e la novità, in violazione dell'art. 104 c.p.a. e dei perentori termini impugnatori (Cons. Stato, sez. IV, 12 ottobre 2017, n. 4729), è completamente infondato. Il Collegio rileva che il Comune di Bolzano, in base all'art. 30 della L.P. n. 12/2019, dovrà attendere il regolamento di esecuzione della L.P. n. 12/2019 per poter procedere all'approvazione del piano comunale per l'esercizio del commercio su aree pubbliche in cui verranno individuati i posteggi in mercati, fieri e fuori mercato da assegnare tramite appositi bandi. In assenza di tale individuazione l'appellante non può pretendere alcun rinnovo di una concessione precaria rilasciata al di fuori delle aree comunali previste per l'esercizio del commercio su aree pubbliche. 25. La tesi attorea per cui l'approvazione del piano debba essere considerata prorogata di 12 anni in ragione delle norme "Covid" è frutto di una interpretazione erronea. L'individuazione delle piazzole di suolo pubblico, che saranno oggetto di future procedure concorsuali allo scadere delle concessioni esistenti, non trova infatti alcun impedimento concreto nella disciplina dei recenti rinnovi. Non sussiste alcun ostacolo a che il Comune provveda alla approvazione di un nuovo piano per il commercio anche in pendenza delle autorizzazioni rinnovate ex lege. Il principio per cui il concessionario di un bene demaniale, se non diversamente indicato nell'atto concessorio, non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo della concessione, e l'eventuale diniego alla richiesta di autorizzazione, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell'agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011, n. 6132). Non è quindi ravvisabile nel caso di specie alcuna violazione dell'art. 41 della Costituzione. 26. In conclusione l'appello va respinto. 27. Le spese del giudizio sono a carico dell'appellante, in attuazione del principio della soccombenza, come liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla refusione delle spese di lite a favore del Comune di Bolzano e della Provincia Autonoma di Bolzano, che liquida in 4.000 Euro (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti, cadauna. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5486 del 2023, proposto da Pu. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; e con l'intervento di con l'intervento ad adiuvandum di Ta. Ou. Do. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Prima, n. 1878/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e udito per la parte appellante l'avvocato Ca. Di Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente ha appellato la sentenza di cui in epigrafe con cui il Tar della Puglia, Sezione staccata di Lecce, ha respinto il suo ricorso, integrato da motivi aggiunti, per l'annullamento degli atti della serie procedimentale concernente il diniego all'istallazione di impianti pubblicitari. Più in particolare, la società ricorrente aveva impugnato: I.- per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - il provvedimento prot. n. 16538/2018 del 4 maggio 2018, con il quale il Dirigente dell'Ufficio Tecnico aveva comunicato "il diniego definitivo dell'istanza in oggetto per i motivi già citati con la comunicazione prot. 61170 del 16.2.12018, ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 e che restano confermati così come Parere espresso dal Comando di Polizia Municipale con la nota Prot. n. 43774 del 14/11/2017", nella parte in cui si negava l'autorizzazione all'installazione dei sette impianti pubblicitari 6 x 3 metri insistenti in agro di (omissis) di cui all'autorizzazione/p.d.c. n. 302/2005 (A221, A222, A223, A224, A225, A226, A227, A228) e in quella in cui si negava l'autorizzazione per l'installazione degli impianti di (omissis) e Viale (omissis), di cui alla richiesta prot. 11025 del 15 marzo 2017; - la comunicazione ex art. 10-bis l. n. 241/1990 prot. n. 61170 del 16 febbraio 2018; - la nota prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017 del Comando di Polizia Municipale del Comune di (omissis); - la nota prot. n. 43774 del 14 novembre 2017 con cui il Comando di Polizia Municipale del Comune di (omissis) aveva espresso parere negativo sui due nuovi impianti; - le note prot. n. 20113 del 16 maggio 2017, prot. n. 35494 del 18 settembre 2017, prot. n. 42580 del 3 novembre 2017, prot. n. 32627 del 23 agosto 2017, prot. n. 12604 del 30 marzo 2018, prot. n. 12322 del 4 aprile 2018; II.- per quanto riguarda i motivi aggiunti: - gli atti già impugnati col ricorso introduttivo, e, più specificamente, le note prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017 e prot. n. 43774 del 14 novembre 2017, il cui contenuto non era conosciuto fino alla loro produzione in giudizio da parte del Comune intimato. 2. A sostegno dell'impugnativa aveva dedotto numerose violazioni di legge (d.lgs. n. 267/2000; d.lgs. n. 285/1992; d.P.R. n. 485/1992, artt. 3, 7, 20, 21-quinquies, 21-nonies, legge n. 241/1990; d.lgs. n. 507/1993; art. 41 Cost.) e di regolamento (falsa applicazione del PGIP del Comune di (omissis)), oltre al vizio di incompetenza dell'organo che ha adottato gli atti impugnati e a svariate figure sintomatiche di eccesso di potere (per carenza istruttoria e motivazionale, per disparità di trattamento, per manifesta irragionevolezza e illogicità, per carenza nei presupposti e travisamento dei fatti, per sviamento). 3. Il Tar adito ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti con la motivazione che "- non si era formato "l'invocato silenzio-assenso sull'istanza di rinnovo relativa ai sette impianti di cui all'autorizzazione n. 302 del 2005, in quanto già dichiarata decaduta con svariate note comunali ritualmente comunicate alla Società ricorrente e poiché manca, nelle istanze di rinnovo presentate, la specifica attestazione che "nessuna variazione è intervenuta rispetto alla precedente autorizzazione", (invece) prescritta ai fini della formazione del titolo abilitativo tacito dal vigente Piano per l'Installazione degli Impianti Pubblicitari; - non sussiste la "dedotta incompetenza del Dirigente dell'Ufficio Tecnico Comunale rispetto al Dirigente dello Sportello Unico delle Attività Produttive (irrilevante giuridicamente, in considerazione, essenzialmente, dell'insussistenza di alcuna differenza ontologica)"; - per i sette impianti esistenti, risulta "ammissibile la motivazione per relationem all'indicata nota del Comando della Polizia Municipale prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017, esibita in giudizio dal Comune intimato, da cui si evincono adeguati motivi ostativi al rinnovo (la evidenziata violazione dell'art. 23 del Codice della Strada, in ragione dell'illecito -sostanziale, e non già meramente formale- disturbo visivo e distrazione agli utenti della strada, con conseguente pericolo per la sicurezza stradale ...)", e ciò indipendentemente dal dato procedimentale dell'annullamento prefettizio dei verbali elevati; - per i due impianti da installare ex novo, "la motivazione negativa appare adeguata ('lato rampa cavalcavià e istituendo "rondo ', in uno al - rispettivo - riferimento all'art. 51, comma 3, lett. g) e all'art. 51, comma 2 e comma 3, lettera b) del vigente Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada". 4. Ha appellato la società ricorrente articolando censure avverso tutti i capi reiettivi dei motivi di ricorso originario e dei motivi aggiunti, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. È intervenuta ad adiunvandum la S.r.l. Ta. Ou. Do.. 6. Il Comune di (omissis), costituito nel primo grado, non si è invece difeso nel presente. 7. La parte appellante e la società intervenuta hanno ulteriormente insistito sull'accoglimento dell'appello. 8. Alla udienza pubblica del 26 marzo 2024, la causa è passata in decisione. 9. Va anzitutto dichiarato inammissibile l'intervento ad adiunvandum della S.r.l. Ta. Ou. Do.. Trattandosi, infatti, di intervento adesivo dipendente, e cioè di quella forma di intervento spiegata da chi è pregiudicato dagli atti impugnati non in via immediata, bensì in via mediata e indiretta o anche di riflesso in considerazione degli effetti negativi che si producono o che si potrebbero produrre nella sfera giuridica del ricorrente, si sarebbe dovuta dare la prova, da parte dell'interveniente, di trovarsi in simile situazione, dimostrando cioè di essere titolare di un interesse personale concreto e attuale, e non di mero fatto, dipendente da quello fatto valere dalla parte adiuvata (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 1241/1996; IV, sentenza n. 855/1992; Ad. Pl., sentenza n. 8/1992; VI, sentenza n. 3016/2011). Nel caso all'esame, ritiene il Collegio che tale condizione legittimante non sussista, essendosi l'interveniente limitato ad affermare "che l'interesse della Target Outdoor, a intervenire nell'odierno gravame alberga nella sussistenza di rapporti commerciali continuativi con l'appellante, che suggeriscono, per l'appetibilità della medesima offerta commerciale della Target, operante, anch'essa, nel settore della Pubblicità Sa.pi., di prendere parte all'impugnativa, facendo proprie le istanze dell'appellante presso il Comune di (omissis), oggetto di domanda di pianificazione pubblicitaria da parte dell'interveniente", senza nulla altro precisare e dimostrare. Pertanto, non essendo provata né l'esistenza, né la natura dei detti rapporti, né l'eventuale concreto interesse che deriverebbe dall'adiuvare la parte ricorrente, l'intervento va ritenuto senza alcun dubbio inammissibile. Ad ogni buon conto, il Collegio fa pure osservare che le argomentazioni illustrate nell'atto di intervento -peraltro patrocinato dal medesimo difensore dell'impugnativa principale- sono esattamente le stesse di quelle contenute nel ricorso di primo grado e nell'attuale ricorso in appello, che qui di seguito viene esaminato. 10. Detto appello è infondato. In fatto, la vicenda è chiara. Il provvedimento di diniego alla installazione qui impugnato è solo l'ultimo atto della complessa vicenda amministrativa svoltasi fra le parti. Innanzitutto, l'originaria autorizzazione n. 302/2005 rilasciata dal Comune di (omissis) in favore della società ricorrente aveva ad oggetto l'installazione di sette impianti pubblicitari ed era già essa stessa condizionata al rispetto di quanto contenuto nel parere del Comando della Polizia Municipale, quale atto facente parte integrante del provvedimento autorizzatorio, e che così recitava: "In relazione alla nota in oggetto, a seguito di richiesta dell'Ufficio Tecnico Sezione urbanistica prot.n. 36057 del21.09.05 tendente al rilascio nulla osta, relativo alla installazione di impianti di pubblicità esterna, nell'ambito del centro urbano ed in strade extraurbane, si comunica che nulla osta alle predetta installazione di impianti di pubblicità esterna: a condizione che siano tassativamente rispettati l'art. 23 del C.d.S. di cui al D.lgs. 30.04.1992 e gli artt. 47 comma 4, 48 comma 1 e 2, l'art. 49, e l'art. 51 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della Strada D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495". Tale preciso quadro normativo non è mai stato rispettato dalla società ricorrente, e in particolare già al momento della installazione dei suddetti sette impianti pubblicitari, e ciò ha condotto l'Amministrazione comunale ad emettere ben due ordinanze di decadenza e rimozione: la prima (la n. 485 del 24.12.2012) anche in ragione del mancato pagamento della tassa di ICP per gli anni 2006/2007, e poi la seconda (la n. 34 del 5.2.2015). Nessuna di esse è stata fatta oggetto di impugnazione da parte della società ricorrente, cosicché entrambe spiegano piena efficacia. Da qui l'evidente carenza di interesse della società ricorrente, prima ancora che l'infondatezza delle questioni che la medesima pone, rispetto alle censure con cui si invoca la formazione del silenzio-assenso sulla istanza di rinnovo dell'autorizzazione n. 302 del 2005, in quanto già dichiarata decaduta con l'ordine di immediata rimozione. È nei fatti evidente, quindi, la inconsistenza della pretesa della società ricorrente a sostenere che il Comune non si sarebbe mai pronunciato sulla istanza di rinnovo, con conseguente automatico provvedimento tacito di prosecuzione nel rapporto, in quanto sono i fatti a smentire recisamente la circostanza: alcun rinnovo si sarebbe potuto richiedere da parte della società ricorrente stante la patente violazione delle previsioni recate dagli art. 23-bis del Codice della Strada e dell'art. 51 del Regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada, oltre alla decadenza dell'originaria autorizzazione nr. 302/2005, come anche ribadito nella nota prot. n. 29545 del 19.8.2016, e alla perdurante e definitiva efficacia delle ordinanze di rimozione mai opposte e a tutt'oggi pienamente valide ed efficaci. Anche volendo prescindere dalla circostanza della mancata impugnazione delle ordinanze di rimozione, le contestazioni mosse dalla società ricorrente sono comunque infondate nel merito. Muovendo dalle specifiche finalità cui risponde l'art. 23 del Codice della Strada, che da un lato vieta la collocazione lungo le strade o in vista di esse di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l'attenzione di chi le percorre, e dall'altro ne sottopone l'installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dall'ente gestore, può concordarsi sull'esegesi secondo cui l'intento perseguito dal legislatore sia quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o di disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento dalla funzione della guida del veicolo (Corte di cassazione, sez. II, sentenza n. 4683/2009). Di conseguenza, non vi può essere dubbio alcuno che l'installazione di insegne pubblicitarie sia soggetta a procedimento autorizzatorio e che l'autorizzazione possa essere negata quando, come nel caso all'esame, l'ente gestore della strada abbia fatto un uso corretta della propria discrezionalità specificamente motivando le ragioni ostative all'accoglimento della istanza di rinnovo del titolo, attraverso un ragionevole, quanto condivisibile, e quindi legittimo, bilanciamento dei contrapposti interessi, in modo tale che l'interesse privato all'esercizio dell'attività di impresa sia recessivo quando occorra tutelare la sicurezza della circolazione e la pubblica incolumità da azioni di disturbo visivo agli utenti della strada. Neppure rileva che l'insegna rispetti i limiti dimensionali massimi previsti dalle norme del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, dovendosi in ogni caso valutare in concreto se, in ragione della apposita collocazione e della morfologia e caratteristiche dell'ambiente circostante, sussista, come nel caso che ci occupa, pericolosità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 6044/2012). Sulla base dei pareri resi dalla Polizia Municipale è stato infatti possibile accertare il "disturbo visivo e distrazione agli utenti della strada, con conseguente pericolo per la sicurezza stradale". Di conseguenza, hanno trovato legittima valutazione nel diniego impugnato sia il mancato rispetto della normativa stradale da parte della società ricorrente, sia le prioritarie esigenze pubbliche di sicurezza stradale, che costituiscono l'interesse principale tra quelli che l'Amministrazione deve prendere in considerazione nel valutare eventuali rinnovi o nuove autorizzazioni stabilite dal Codice della strada. Pertanto, occorre concludere, contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, la scelta dell'Amministrazione comunale di non rinnovare il titolo per gli impianti già autorizzati (e di cui è stata ordinata la rimozione) e di non autorizzarne di nuovi (la società avrebbe voluto installarne altri due), non appare affatto arbitraria, né penalizzante, né tantomeno vessatoria, ma anzi coerente sulla base del quadro normativo di riferimento (i citati artt. 23 del Codice della strada e 51 del Regolamento di esecuzione e attuazione) in considerazione della forte incidenza visiva con conseguente pericolo per la sicurezza stradale. Inoltre, nessuna carenza di istruttoria o di motivazione potrebbe essere legittimamente invocata dalla società ricorrente, dal momento che nel corso di questi anni l'Amministrazione ha sempre dato una risposta esplicita a tutte le istanze presentate dalla ricorrente, anche mediante rinvio per relationem ai vari atti e interlocuzioni che si sono succedute (in particolare, si vedano i pareri della Polizia municipale depositati in data 21 settembre 2018, conosciuti dalla ricorrente), sempre ribadendo la decadenza, revoca e rimozione del titolo originario autorizzatorio. Anche le norme del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari in vigore nel Comune di (omissis), richiamato nel provvedimento gravato, rappresentano poi un ulteriore fattore ostativo al rilascio del rinnovo del titolo, giacché le stesse contemplano la durata triennale delle autorizzazioni di impianti pubblicistici, le quali sono alla scadenza soggette a rinnovo dietro obbligatoria presentazione di apposita istanza dell'interessato, purché non siano intervenute variazioni rispetto alle condizioni di rilascio. Nel caso all'esame, è incontrovertibile che tali variazioni siano avvenute, avendo il Comune addirittura ordinato la rimozione degli impianti già autorizzati, così definitivamente decaduti, sulla base di una nuova ponderazione dell'interesse pubblico generale attraverso le due succitate ordinanze di rimozione rimaste inoppugnate. Né sarebbe invocabile da parte della società ricorrente alcun legittimo interesse alla conservazione del bene della vita per l'innanzi goduto, atteso che, conformemente alla giurisprudenza costituzionale, "(...) il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti." (Corte Cost. n. 56 del 2015). Non può quindi sostenersi, sulla base di quanto fin qui esposto, l'esistenza di un diritto della società ricorrente ad ottenere il mantenimento di tutte le installazioni autorizzate con l'originaria autorizzazione e addirittura l'apertura di due nuove, atteso che l'interesse economico dell'imprenditore non può che trovare un limite nell'esigenza di non disturbare visivamente in funzione della tutela dell'interesse pubblico di rango sovraordinato della sicurezza pubblica nella circolazione stradale. 11. In definitiva, l'appello va respinto. 12. Nulla sulle spese di giudizio, non essendosi l'Amministrazione comunale costituita ed essendo stato, l'intervento, volontariamente spiegato ad adiuvandum della società ricorrente. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara l'intervento ad adiuvandum inammissibile e respinge l'appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATALDI Michele - Presidente Dott. LENOCI Valentino - Consigliere Dott. DI MARZIO Paolo - Consigliere Dott. LUME Federico - Consigliere rel. Dott. CHIECA Danilo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12656/2022 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell'Avvocatura in Roma alla via del Portoghesi n. 12; - ricorrente - contro De.An., rappresentato e difeso dall'avv. An.Ba. in forza di procura in calce al controricorso e domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione, indirizzo PEC: (...) - controricorrente - avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 322/2022, depositata in data 15/03/2022; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 19/04/2024 dal consigliere dott. Federico Lume; udito il PM in persona del sostituto Procuratore generale dott. Tommaso Basile che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'avv. Da.Pi. per l'Avvocatura Generale dello Stato; udito l'avv. An.Ba. per parte controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. De.An., godendo dello status di soggetto equiparato alle vittime del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 564, della L. n. 266/2005 in quanto aveva contratto patologia asbestosica nel servizio svolto quale sottufficiale della Marina Militare, invocando la disposta equiparazione legislativa tra le vittime del dovere e le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, di cui all'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, chiedeva il rimborso della maggior Irpef trattenuta sulla propria pensione a decorrere dall'1/01/2017. 2. Formatosi il silenzio rifiuto, la Commissione Tributaria Provinciale della Spezia accolse la domanda. La Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettò l'appello della Agenzia delle Entrate; in particolare affermò la legittimazione esclusiva dell'Agenzia delle Entrate nella controversia attinente al rapporto d'imposta e non al rapporto pensionistico; e che dagli atti emergeva che il Comitato di verifica aveva ritenuto sussistenti le condizioni previste dalla specifica normativa per l'attribuzione all'interessato della speciale elargizione unica in quanto equiparato a vittima del dovere, con liquidazione dell'indennità in euro 24.530,00; tale elargizione era prevista dall'art. 5, comma 1, della L. n. 206/2004, in materia di vittime del terrorismo, e l'art. 8 prevedeva che l'erogazione della indennità era esente da imposte dirette o indirette; identica era la ratio della norma successiva sulla stessa materia, la L. n. 232/2016, art. 1, comma 211, che ribadiva che ai trattamenti spettanti alle vittime del dovere si applicassero gli stessi benefici della L. n. 206/2004; escludeva la validità della tesi dell'ufficio secondo cui la norma era riferita ai soli trattamenti pensionistici e non alla speciale elargizione. 3. Contro tale sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a un motivo. Il contribuente resiste con controricorso, notificato anche all'Inps, illustrato da successiva memoria. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10/10/2023 e poi per la pubblica udienza del 19/04/2024, per le quali il controricorrente ha depositato memorie. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016 e dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento alla ritenuta spettanza dell'esenzione Irpef in relazione a qualsiasi trattamento pensionistico corrisposto a soggetto rientrante nella categoria delle vittime del dovere; evidenzia in particolare che l'esenzione Irpef estesa alle vittime del dovere dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2006, vada riferita ai soli trattamenti pensionistici che trovino il loro presupposto nel particolare status di soggetto equiparato a vittima del dovere, come chiarito anche nel Messaggio INPS n. 3274 del 10/08/2017, e quindi in definitiva alle sole pensioni privilegiate correlate all'evento che aveva dato luogo al riconoscimento dello stato di soggetto equiparato; in tal senso deporrebbero sia l'interpretazione letterale, imposta dalla natura agevolativa dei benefici in parola, che l'interpretazione sistematica, dovendosi fare riferimento agli stessi trattamenti agevolativi previsti per le vittime del terrorismo; evidenzia infine che nel caso di specie la parte non aveva provato, come suo onere, di godere di trattamenti pensionistici privilegiati. 1.1. Occorre appena premettere che correttamente la CTR ha ritenuto, con statuizione non censurata, l'INPS privo di legittimazione processuale (Cass. 22/02/2023, n. 5531; Cass. 30/11/2022, n. 35254; Cass. 15/12/2020, n. 28570; Cass. 24/10/2019, n. 27377; Cass. 12/12/2018, n. 32082), in quanto si tratta di controversia che ha ad oggetto esclusivamente il rapporto fiscale tra i contribuenti e l'Amministrazione finanziaria, in relazione al quale l'INPS si è limitato alle trattenute fiscali quale sostituto d'imposta, senza con questo costituire parte di un contenzioso relativo all'entità del debito fiscale. 2. Il motivo non è fondato, anche se la motivazione deve essere integrata e corretta nei termini che seguono. La L. n. 266/2005, nel ridefinire ed ampliare la nozione di vittime del dovere, originariamente prevista dall'art. 3 della L. n. 466/1980, ha previsto le vittime del dovere (art. 1, comma 563) e i soggetti equiparati alle vittime del dovere (art. 1, comma 564). Più precisamente, come già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. U., 24/02/2022, n. 6214), essa ha individuato, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l'insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; ha elencato, nel comma 564, i "soggetti equiparati", ossia coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali. La legge ha altresì programmato una progressiva estensione in favore di (entrambe) tali categorie dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo (art. 1, comma 562), rinviando in primo luogo ad un regolamento per disciplinare le modalità di corresponsione delle "provvidenze". Il regolamento è stato emanato con D.P.R. n. 243/2006 che ha provveduto all'estensione di taluni benefici e provvidenze. In materia fiscale, (alcuni de) i benefici sui trattamenti pensionistici previsti dalle norme in tema di vittime del terrorismo sono stati estesi dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, a decorrere dall'1/01/2017 (su tale specifico punto v. Cass. 11/07/2023, n. 1978; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051); in particolare la disposizione ha esteso (entrambi) i benefìci fiscali di cui all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998, e quelli di cui all'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004, in materia di esenzione dall'imposta sui redditi. 2.1. I giudici di merito hanno ritenuto che il beneficio dell'esenzione dall'Irpef valga per la pensione di cui gode la persona riconosciuta vittima del dovere o soggetto ad essa equiparato, come nel caso di specie, a prescindere dalla correlazione con l'evento che ha dato luogo a tale riconoscimento; in definitiva hanno ritenuto che si tratti di un beneficio di natura esclusivamente soggettiva. 2.2. La difesa erariale, nel censurare tale interpretazione, ritiene invece che l'agevolazione dell'esenzione dall'Irpef valga solo per le pensioni attribuite in conseguenza dell'evento che ha dato luogo al riconoscimento dello status di vittima del dovere e quindi alle sole pensioni di privilegio; a tal fine fa riferimento alla necessità di un'interpretazione letterale delle norme rilevanti e fa leva altresì su un'interpretazione di carattere sistematico, fondata sulla considerazione che il riconoscimento di tale ampia portata del beneficio determinerebbe un beneficio più ampio in favore delle vittime del dovere rispetto a quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi la norma, se interpretata in tal senso, ben oltre la programmata estensione; evidenzia altresì la necessità che le norme che prevedono agevolazioni fiscali non possano essere oggetto di interpretazione estensiva o di applicazione analogica. 2.3. Il motivo non è fondato. In ordine alla lettera delle disposizioni rilevanti occorre osservare quanto segue. L'art. 1, comma 211, cit. prevede, in primo luogo, l'estensione dei benefici "ai trattamenti pensionistici spettanti alle vittime del dovere e ai loro familiari superstiti, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, alla legge 20 ottobre 1990, n, 302, all'art. 1, commi 563 e 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266". Poiché né la L. n. 466/1980 né la L. n. 302/1990 né, infine, l'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266/2005, questi ultimi già sopra riportati, prevedono alcun trattamento pensionistico ma regolano la nozione di vittime del dovere, gli istituti della cd. speciale elargizione e dell'assegno vitalizio nonché altri benefici, come l'esenzione dai ticket sanitari o il diritto di assunzione presso le pp. aa., deve evidentemente ritenersi che i richiami normativi operati siano funzionali esclusivamente a delimitare l'ambito dei destinatari dell'estensione e non dei trattamenti pensionistici beneficiati. Ciò premesso, deve quindi evidenziarsi che la lettera dell'art. 1, comma 211, cit. estende i benefici, di cui si dirà, a tutti i "trattamenti pensionistici", senza indicare alcuna necessaria correlazione della pensione con l'evento che ha determinato il riconoscimento dello status di vittima del dovere. Né alcun argomento in tal senso si ricava dalle norme regolative dei benefici estesi, in particolare dall'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004. La prima estensione (operata dal richiamo all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998) riguarda l'esenzione dall'Irpef: a) del trattamento speciale di reversibilità corrisposto ai superstiti dei caduti; b) delle pensioni privilegiate dirette di prima categoria erogate ai soggetti di cui all'art. 1, comma 2, della stessa legge, che siano anche titolari dell'assegno di superinvalidità di cui all'articolo 100 del D.P.R. n. 1092/1973. La seconda estensione (quella della misura dell'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004 e che è quella pertinente al caso di specie) riguarda "la pensione maturata ai sensi del comma 1" che "è esente dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)". È pacifico che anche in tal caso non vi sia un riferimento, ai fini dell'esenzione, al fatto che si tratti di pensione correlata al fatto che ha dato luogo al riconoscimento dello status. Del resto il comma 1 dell'art. 3 della L. n. 206/2004, richiamato dal comma 2, nella formulazione dovuta alla novella operata dall'art. 1, commi 794 e 795, della L. n. 296/2006, a decorrere dal 1° gennaio 2007, prevede che "A tutti coloro che hanno subito un'invalidità permanente di qualsiasi entità e grado della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice e ai loro familiari, anche superstiti, limitatamente al coniuge ed ai figli anche maggiorenni, ed in mancanza, ai genitori, siano essi dipendenti pubblici o privati o autonomi, anche sui loro trattamenti diretti, è riconosciuto un aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l'anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente". L'aumento figurativo dell'anzianità, ulteriore e diverso beneficio rispetto all'esenzione Irpef, anche in tal caso non è relativo alla pensione maturata a seguito dell'evento lesivo. La tesi dell'ufficio non appare pertanto supportata dalla lettera delle citate disposizioni; tale considerazione, del resto, esclude la validità del riferimento alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie non possano essere oggetto di interpretazione estensiva né analogica, poiché alla luce di quanto evidenziato non vengono in rilievo né l'una né l'altra. 2.4. Ne appare deporre in senso diverso l'interpretazione sistematica proposta dalla difesa erariale laddove fa riferimento al rischio che l'interpretazione accolta dalla CTR attribuisca alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati un beneficio maggiore di quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi ben oltre la programmata estensione ai primi dei benefici previsti per le seconde. In primo luogo, la piana lettura dell'art. 3, commi 1 e 2, della L. n. 204/2006 depone nel senso che l'esenzione, anche per le vittime del terrorismo, concerna il trattamento pensionistico in quanto tale e neanche quello conseguito a seguito dell'aumento figurativo di cui al comma 1. E tale conclusione è avallata anche dai documenti di prassi. Infatti l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 29/07/2005, n. 108/E (richiamata anche dalla Circ. 19/10/2005, n. 113, dell'INPS), in sede di prima interpretazione della portata del beneficio, ebbe a ritenere che l'esenzione dell'art. 3, comma 2, valesse solo per la parte di pensione maturata in base all'aumento figurativo, diversamente dal beneficio previsto dall'art. 4 per le pensioni dirette in favore di chi avesse conseguito una invalidità pari o superiore all'80%, richiamando il parere reso il 10 settembre 2003 dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Però, successivamente, con la risoluzione 01/12/2008, n. 453/E la stessa Agenzia, richiamando la Direttiva P.C.M. 27/07/2007, ebbe a ritenere non solo che il beneficio spettasse sull'intero trattamento pensionistico e non sulla quota oggetto dell'aumento figurativo, ma anche che esso spettasse su tutti i trattamenti pensionistici goduti, deponendo in tal senso, in primo luogo, il dato letterale che, nel prevedere l'esenzione in esame, ne individua l'oggetto nella "pensione di cui al comma 1" e cioè nella pensione che abbia goduto dell'aumento figurativo, e non nella quota di detta pensione dovuta all'aumento figurativo. In secondo luogo, la modifica operata dal comma 794 della legge finanziaria per il 2007, dell'art, 3, comma 1, della legge n. 206 del 2004 medesima, ha sostituito, con riguardo al grado di invalidità, le parole "inferiori all'80 per cento" con quelle di "qualsiasi entità", con conseguente venir meno del trattamento fiscale di minor favore riservato alle pensioni corrisposte a fronte di una invalidità inferiore all'80 per cento. In terzo luogo, la ratio legis sottesa alla normativa di cui alla L. n. 206/2004, è individuabile nell'intento di garantire alle vittime ed ai loro familiari, anche superstiti, strumenti più adeguati di tutela e sostegno, in termini morali ed economici, che non siano meramente simbolici. 2.5. Le conclusioni raggiunte appaiono in linea non solo con la citata giurisprudenza che ha ritenuto la decorrenza dei benefici fiscali a far data dall'1/01/2017 (Cass. 11/07/2023, n. 19789; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051 che ha in motivazione espressamente evidenziato che in tema pensionistico l'equiparazione tra le vittime del dovere e quelle della criminalità organizzata ed il terrorismo è stata effettivamente realizzata dal legislatore italiano da tale data), ma anche con la giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato che, ove alle vittime del dovere sia esteso uno dei benefici previsti per le vittime del terrorismo, la misura del beneficio debba essere analoga, per evitare ingiustificate disparità di trattamento (Cass., Sez. U., 27/03/2017, n. 7761, con richiami di giurisprudenza amministrativa) nonché con la considerazione espressa da Cass. 16/11/2016, n. 23300, secondo cui il diritto spettante alla vittima del dovere non rientra nell'ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l'amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, in quanto il comma 564 dell'art. 1 della legge 266/2005, che estende la disciplina dettata per i dipendenti pubblici (dal comma 563 e dalla legge 466/1980) anche a "coloro" che abbiano subito infermità dipendenti da causa di servizio, delinea un'area che si estende al di là del rapporto di impiego pubblico e che ingloba, ad esempio, i militari di leva, o che potrebbe estendersi a forme regolate di volontariato, prevedendo diritti anche in favore loro o dei familiari superstiti. 3. Concludendo, il ricorso va respinto. Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite. Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30/05/2002, n. 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, spese che liquida in euro 1.900,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento, e accessori se dovuti, con distrazione in favore dell'avv. An.Ba. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATALDI Michele - Presidente Dott. LENOCI Valentino - Consigliere Dott. DI MARZIO Paolo - Consigliere Dott. LUME Federico - Consigliere rel. Dott. CHIECA Danilo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 9634/2022 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell'Avvocatura in Roma alla via del Portoghesi n. 12; - ricorrente - contro Al.Br., Cr.Ma., Cr.Sa., eredi di Cr.To., rappresentati e difesi dall'avv. An.Ba. in forza di procura in calce al controricorso e domiciliati presso la cancelleria della Corte di cassazione, indirizzo PEC: (...); - controricorrenti - avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 178/2022, depositata in data 10/02/2022, notificata in data 11/02/2022; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 19/04/2024 dal consigliere dott. Federico Lume; udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. Tommaso Basile, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; udito l'avv. Da.Pi. per l'Avvocatura dello Stato; udito l'avv. An.Ba. per il controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. Cr.To., godendo dello status di soggetto equiparato alle vittime del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 564, della L. n. 266/2005 in quanto aveva contratto patologia asbestosica nel servizio svolto quale sottufficiale della Marina Militare, invocando la disposta equiparazione legislativa tra le vittime del dovere e le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, di cui all'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, chiedeva il rimborso della maggior Irpef trattenuta sulla propria pensione a decorrere dall'1/01/2017. 2. Formatosi il silenzio rifiuto, la Commissione Tributaria Provinciale della Spezia accolse la domanda proposta dal contribuente. La Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettò l'appello dell'Agenzia delle Entrate; in particolare affermò la legittimazione esclusiva dell'Agenzia delle Entrate nella controversia, attinente al rapporto d'imposta e non al rapporto pensionistico; ritenne che dagli atti emergesse che la domanda aveva ad oggetto il rimborso della ritenuta sulla pensione operata in data successiva all'1/01/2017, data di entrata in vigore dell'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, mentre non era oggetto di istanza la speciale elargizione cui faceva riferimento l'appello erariale, corrisposta una tantum ed esente dall'Irpef. 3. Contro tale sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi. Gli eredi del contribuente, nel frattempo deceduto, resistono con controricorso, notificato anche all'Inps, illustrato da successiva memoria. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10/10/2023 e poi per l'udienza pubblica del 19/04/2024, precedute da memorie di parte controricorrente. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia deduce la violazione del combinato disposto dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell'art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., con riferimento alla motivazione apparente data dalla CTR sull'appello dell'ufficio, in particolare dolendosi che i giudici di appello non abbiano fornito alcuna valida confutazione del quadro normativo come ricostruito dall'Agenzia. Con il secondo motivo l'Agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016 e dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. con riferimento alla ritenuta spettanza dell'esenzione Irpef in relazione a qualsiasi trattamento pensionistico corrisposto a soggetto rientrante nella categoria delle vittime del dovere; evidenzia in particolare che l'esenzione Irpef estesa alle vittime del dovere dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, vada riferita ai soli trattamenti pensionistici che trovino il loro presupposto nel particolare status di soggetto equiparato a vittima del dovere, come chiarito anche nel Messaggio INPS n. 3274 del 10/08/2017, e quindi in definitiva alle sole pensioni privilegiate correlate all'evento che aveva dato luogo al riconoscimento dello stato di soggetto equiparato; in tal senso deporrebbero sia l'interpretazione letterale, imposta dalla natura agevolativa dei benefici in parola, che l'interpretazione sistematica, dovendosi fare riferimento agli stessi trattamenti agevolativi previsti per le vittime del terrorismo; evidenzia infine che nel caso di specie la parte non abbia provato, come suo onere, di godere di trattamenti pensionistici privilegiati. 1.1. Occorre appena premettere che, come correttamente affermato dalla CTR, con statuizione non censurata, l'INPS è privo di legittimazione processuale (Cass. 22/02/2023, n. 5531; Cass. 30/11/2022, n. 35254; Cass. 15/12/2020, n. 28570; Cass. 24/10/2019, n. 27377; Cass. 12/12/2018, n. 32082), in quanto si tratta di controversia che ha ad oggetto esclusivamente il rapporto fiscale tra i contribuenti e l'Amministrazione finanziaria, in relazione al quale l'INPS si è limitato alle trattenute fiscali quale sostituto d'imposta, senza con questo costituire parte di un contenzioso relativo all'entità del debito fiscale. 2. Il primo motivo non è fondato. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell'art. 36, secondo comma, n. 4, D.Lgs. 546/1992) e riconducibile all'ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione "manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero... essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata" (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626). In particolare si è in presenza di una "motivazione apparente" allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture; purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, l'anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate). Nel caso di specie la motivazione dei giudici di appello non solo è graficamente presente ma perfettamente individuabile e comprensibile, fondandosi il rigetto del primo motivo di appello sull'affermazione che, nelle liti da rimborso, la legittimazione passiva spetti all'Agenzia delle Entrate e non al sostituto d'imposta, e, in secondo luogo, sulla considerazione che il motivo di appello erariale (relativo alla speciale elargizione, istituto pure previsto dalle disposizioni di favore) non era correlato all'effettivo oggetto della lite (l'esenzione fiscale del trattamento pensionistico). 3. Anche il secondo motivo è da respingere. 3.1. La L. n. 266/2005, nel ridefinire ed ampliare la nozione di vittime del dovere, originariamente prevista dall'art. 3 della L. n. 466/1980, ha previsto le vittime del dovere (art. 1, comma 563) e i soggetti equiparati alle vittime del dovere (art. 1, comma 564). Più precisamente, come già ritenuto da questa Corte (Cass., Sez. U., 24/02/2022, n. 6214), essa ha individuato, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l'insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; ha elencato, nel comma 564, i "soggetti equiparati", ossia coloro che abbiano riportato le lesioni o la morte non in una delle attività predette, che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali. La legge ha altresì programmato una progressiva estensione in favore di (entrambe) tali categorie dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo (art. 1, comma 562), rinviando in primo luogo ad un regolamento per disciplinare le modalità di corresponsione delle "provvidenze". Il regolamento è stato emanato con D.P.R. n. 243/2006 che ha provveduto all'estensione di taluni benefici e provvidenze. In materia fiscale, (alcuni de) i benefici sui trattamenti pensionistici previsti dalle norme in tema di vittime del terrorismo sono stati estesi dall'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016, a decorrere dall'1/01/2017 (su tale specifico punto v. Cass. 11/07/2023, n. 1978; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051); in particolare la disposizione ha esteso (entrambi) i benefìci fiscali di cui all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998, e quelli di cui all'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004, in materia di esenzione dall'imposta sui redditi. 3.2. I giudici di merito hanno ritenuto che il beneficio dell'esenzione dall'Irpef valga per la pensione di cui gode la persona riconosciuta vittima del dovere o soggetto ad essa equiparato, come nel caso di specie, a prescindere dalla correlazione con l'evento che ha dato luogo a tale riconoscimento; in definitiva hanno ritenuto che si tratti di un beneficio di natura esclusivamente soggettiva. 3.3. La difesa erariale, nel censurare tale interpretazione, ritiene invece che l'agevolazione dell'esenzione dall'Irpef valga solo per le pensioni attribuite in conseguenza dell'evento che ha dato luogo al riconoscimento dello status di vittima del dovere e quindi sia applicabile alle sole pensioni di privilegio; a tal fine fa riferimento alla necessità di un'interpretazione letterale delle disposizioni rilevanti e fa leva altresì su un'interpretazione di carattere sistematico, fondata sulla considerazione che il riconoscimento di tale ampia portata del beneficio determinerebbe un beneficio più ampio in favore delle vittime del dovere rispetto a quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi la norma, se interpretata in tal senso, ben oltre la programmata estensione; evidenzia altresì la necessità che le norme che prevedono agevolazioni fiscali non possano essere oggetto di interpretazione estensiva o di applicazione analogica. Il motivo non è fondato. 3.4. In ordine alla lettera delle disposizioni rilevanti occorre osservare quanto segue. L'art. 1, comma 211, della L. n. 232/2016 cit. prevede, in primo luogo, l'estensione dei benefici "ai trattamenti pensionistici spettanti alle vittime del dovere e ai loro familiari superstiti, di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, alla legge 20 ottobre 1990, n, 302, all'art. 1, commi 563 e 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266". Poiché né la L. n. 466/1980 né la L. n. 302/1990 né, infine, l'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266/2005, questi ultimi già sopra riportati, prevedono alcun trattamento pensionistico ma regolano la nozione di vittime del dovere, gli istituti della cd. speciale elargizione e dell'assegno vitalizio nonché altri benefici, come l'esenzione dai ticket sanitari o il diritto di assunzione presso le pp. aa., deve evidentemente ritenersi che i richiami normativi operati siano funzionali esclusivamente a delimitare l'ambito dei destinatari dell'estensione e non dei trattamenti pensionistici beneficiati. Ciò premesso, deve quindi evidenziarsi che la lettera dell'art. 1, comma 211, cit. estende i benefici, di cui si dirà, a tutti i "trattamenti pensionistici", senza indicare alcuna necessaria correlazione della pensione con l'evento che ha determinato il riconoscimento dello status di vittima del dovere. Né alcun argomento in tal senso si ricava dalle norme regolative dei benefici estesi, in particolare dall'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004. La prima estensione (operata dal richiamo all'art. 2, commi 5 e 6, della L. n. 407/1998) riguarda l'esenzione dall'Irpef: a) del trattamento speciale di reversibilità corrisposto ai superstiti dei caduti; b) delle pensioni privilegiate dirette di prima categoria erogate ai soggetti di cui all'art. 1, comma 2, della stessa legge, che siano anche titolari dell'assegno di superinvalidità di cui all'articolo 100 del D.P.R. n. 1092/1973. La seconda estensione (quella della misura dell'art. 3, comma 2, della L. n. 206/2004 e che è la disposizione pertinente al caso di specie) riguarda "la pensione maturata ai sensi del comma 1" che "è esente dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)". È pacifico che anche in tal caso non vi sia un riferimento, ai fini dell'esenzione, al fatto che si tratti di pensione correlata al fatto che ha dato luogo al riconoscimento dello status. Del resto il comma 1 dell'art. 3 della L. n. 206/2004, richiamato dal comma 2, nella formulazione dovuta alla novella operata dall'art. 1, commi 794 e 795, della L. n. 296/2006, a decorrere dal 1° gennaio 2007, prevede che "A tutti coloro che hanno subito un'invalidità permanente di qualsiasi entità e grado della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice e ai loro familiari, anche superstiti, limitatamente al coniuge ed ai figli anche maggiorenni, ed in mancanza, ai genitori, siano essi dipendenti pubblici o privati o autonomi, anche sui loro trattamenti diretti, è riconosciuto un aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l'anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente". L'aumento figurativo dell'anzianità, ulteriore e diverso beneficio rispetto all'esenzione Irpef, anche in tal caso non è relativo alla pensione maturata a seguito dell'evento lesivo. La tesi dell'ufficio non appare pertanto supportata dalla lettera delle citate disposizioni; tale considerazione, del resto, esclude la validità del riferimento alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie non possano essere oggetto di interpretazione estensiva né analogica, poiché alla luce di quanto evidenziato non vengono in rilievo né l'una né l'altra. 3.5. Né appare deporre in senso diverso l'interpretazione sistematica proposta dalla difesa erariale laddove fa riferimento al rischio che l'interpretazione accolta dalla CTR attribuisca alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati un beneficio maggiore di quello spettante alle vittime del terrorismo, andando quindi ben oltre la programmata estensione ai primi dei benefici previsti per le seconde. In primo luogo, la piana lettura dell'art. 3, commi 1 e 2, della L. n. 204/2006 depone nel senso che l'esenzione, anche per le vittime del terrorismo, concerna il trattamento pensionistico in quanto tale e neanche quello conseguito a seguito dell'aumento figurativo di cui al comma 1. E tale conclusione è avallata anche dai documenti di prassi. Infatti l'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 29/07/2005, n. 108/E (richiamata anche dalla Circ. 19/10/2005, n. 113, dell'INPS), in sede di prima interpretazione della portata del beneficio, ebbe a ritenere che l'esenzione dell'art. 3, comma 2, valesse solo per la parte di pensione maturata in base all'aumento figurativo, diversamente dal beneficio previsto dall'art. 4 per le pensioni dirette in favore di chi avesse conseguito una invalidità pari o superiore all'80%, richiamando il parere reso il 10 settembre 2003 dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Però, successivamente, con la risoluzione 01/12/2008, n. 453/E la stessa Agenzia, richiamando la Direttiva P.C.M. 27/07/2007, ebbe a ritenere non solo che il beneficio spettasse sull'intero trattamento pensionistico e non sulla quota oggetto dell'aumento figurativo, ma anche che esso spettasse su tutti i trattamenti pensionistici goduti, deponendo in tal senso, in primo luogo, il dato letterale che, nel prevedere l'esenzione in esame, ne individua l'oggetto nella "pensione di cui al comma 1" e cioè nella pensione che abbia goduto dell'aumento figurativo, e non nella quota di detta pensione dovuta all'aumento figurativo. In secondo luogo, la modifica operata dal comma 794 della legge finanziaria per il 2007, dell'art. 3, comma 1, della legge n. 206 del 2004 medesima, ha sostituito, con riguardo al grado di invalidità, le parole "inferiori all'80 per cento" con quelle di "qualsiasi entità", con conseguente venir meno del trattamento fiscale di minor favore riservato alle pensioni corrisposte a fronte di una invalidità inferiore all'80 per cento. In terzo luogo, la ratio legis sottesa alla normativa di cui alla L. n. 206/2004, è individuabile nell'intento di garantire alle vittime ed ai loro familiari, anche superstiti, strumenti più adeguati di tutela e sostegno, in termini morali ed economici, che non siano meramente simbolici. 3.6. Le conclusioni raggiunte appaiono in linea non solo con la citata giurisprudenza che ha ritenuto la decorrenza dei benefici fiscali a far data dall'1/01/2017 (Cass. 11/07/2023, n. 19789; Cass. 25/10/2023, n. 29549; Cass. 05/10/2023, n. 28051 che ha in motivazione espressamente evidenziato che in tema pensionistico l'equiparazione tra le vittime del dovere e quelle della criminalità organizzata ed il terrorismo è stata effettivamente realizzata dal legislatore italiano da tale data), ma anche con la giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato che, ove alle vittime del dovere sia esteso uno dei benefici previsti per le vittime del terrorismo, la misura del beneficio debba essere analoga, per evitare ingiustificate disparità di trattamento (Cass., Sez. U., 27/03/2017, n. 7761, con richiami di giurisprudenza amministrativa) nonché con la considerazione espressa da Cass. 16/11/2016, n. 23300, secondo cui il diritto spettante alla vittima del dovere non rientra nell'ambito di quelli inerenti il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici, potendo esso riguardare anche coloro che non abbiano con l'amministrazione un siffatto rapporto, ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio, in quanto il comma 564 dell'art. 1 della legge 266/2005, che estende la disciplina dettata per i dipendenti pubblici (dal comma 563 e dalla legge 466/1980) anche a "coloro" che abbiano subito infermità dipendenti da causa di servizio, delinea un'area che si estende al di là del rapporto di impiego pubblico e che ingloba, ad esempio, i militari di leva, o che potrebbe estendersi a forme regolate di volontariato, prevedendo diritti anche in favore loro o dei familiari superstiti. 4. Concludendo, il ricorso va respinto. Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite. Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30/05/2002, n. 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti, spese che liquida in euro 3.100,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento, e accessori se dovuti, con distrazione in favore dell'avv. An.Ba. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.

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