Sentenze recenti assegno divorzile

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo, ha pronunciato, dopo discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile n. 7918/2023 R.G. promossa da F_M. ((...)) ((...)); - ATTORE contro GS (..) (..); - CONVENUTA Oggetto: obbligazioni. CONCLUSIONI Per l'attore opponente: "NEL MERITO: - REVOCARE il decreto opposto perché infondato in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; - DICHIARARE la non esigibilità del credito ex adverso azionato con il monitorio opposto, in quanto, per i motivi esposti in narrativa, inesistente e pertanto non dovuto; - CONDANNARE la convenuta - opposta al risarcimento del danno ex Art. 96 C.P.C. per il tenuto contegno profondamente lesivo dei principi di buona fede contrattuale che devono animare le parti nonché per l'evidente abuso in mala fede e con colpa grave dello strumento processuale; - Con vittoria di spese e compensi di lite dei quali i difensori si dichiarano distrattari. IN VIA ISTRUTTORIA: Previa remissione della causa in istruttoria, chiede ammettersi prova per testi sui capitoli tutti, nessuno escluso, di cui alla narrativa dell'atto di citazione in opposizione da ritenersi qui integralmente riportati in forma positiva - espunti giudizi e valutazioni -preceduti dalla locuzione "vero che". Chiede, inoltre, chiedersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova: 1) "vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"; 2) "vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."; 3) "vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n.5 di parte opponente"; 4) "vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro". Si indicano come testi i signori: - B. F., Bologna; - D. Gherardi, Bologna; - F. M., Bologna" Per la convenuta opposta: "Il patrocinio dell'opposta G., facendo seguito alle deduzioni già all'udienza del l'08.5.24 precisa le conclusioni come in memoria di replica istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. ed in comparsa di costituzione, segnalando che è emersa in sede istruttoria la percezione da parte G. di Euro 3.925,70 - a seguito della vendita forzata dell'abitazione familiare di proprietà di controparte F. nella procedura r.g.e. Trib. Bo. 754/17- che va decurtata dalla sorte indicata nelle conclusioni della comparsa di costituzione di parte G., sorte pretesa che, pertanto, da Euro 40.000 originari è ora pari ad Euro 36.074,30. Peraltro, si segnala che alcuna attività di esecuzione si è compiuta in ragione del decreto ingiuntivo opposto che è immediatamente esecutivo. Inoltre, si evidenzia che proceduralmente ed ai fini dell'accoglimento delle domande di parte opposta Sig.ra G., si ritiene - e si conclude - che il decreto opposto da controparte vada revocato da sentenza che accolga le richieste di parte opposta Sig.ra G. recante solo l'importo di Euro 36.074,30 - invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Si richiamano la conclusioni di cui alla comparsa di risposta: "Per l'ingiungente G. (oggi convenuta) si rassegnano, pertanto, le seguenti conclusioni: - rigettare ogni avversa difesa ed istanza, anche con conferma dell'ingiunzione opposta da controparte, subordinatamente con condanna dell'opponente F. (attore nella presente fase di causa) di corrispondere a parte opposta G. (ingiungente nella monizione per cui è il presente giudizio) Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria); - in ogni caso: con ogni più ampia riserva, vinte le spese di lite e con richiesta di liquidazione dell'attività per gratuito patrocinio nella misura ritenuta di legge dal Giudice in favore dell'Avv. P. M. patrocinatore di parte G., nonché con condanna di controparte per responsabilità aggravata, anche per le affermazioni palesemente contraddittorie e la rilettura degli atti non conforme al contenuto degli stessi con rimessione a giustizia circa la relativa misura". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamati atti e documenti di causa, noti alle parti; rilevato che l'attore non ha fornito prova scritta a sostegno dell'opposizione; esaminate le conclusioni finali in epigrafe trascritte; si osserva quanto segue. 2. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 esecutivo ex art. 642 c.p.c. (emesso, su ricorso depositato il 1 dicembre 2022 che non risulta preceduto la richiesta stragiudiziale, per la somma capitale di euro 40.000,00 oltre accessori) proposta da M. F. con citazione notificata via PEC il 30 maggio 2023 all'ex coniuge S. G. (costituitasi il 27 luglio 2023), va respinta per infondatezza dei motivi dedotti dall'opponente, benché il decreto opposto vada revocato come richiesto, da ultimo, dalla stessa convenuta, avendo essa dato atto, esaurita l'istruttoria, che il debito era inferiore a quello oggetto di ricorso (si richiamano in proposito le conclusioni finali della convenuta). 2.1. La domanda monitoria proposta dall'odierna convenuta si fonda sulla scrittura privata 8 giugno 2020, recante riconoscimento di debito da parte dell'odierno attore e nella quale si legge: "(...) PREMESSO IN FATTO - che nell'ambito della separazione consensuale omologata il 7 luglio 2017 tra i coniugi F. e G. gli stessi pattuivano che: - la figlia della coppia, B., sarebbe stata collocata presso la madre nella casa familiare di X, Via ...4; - il sig. F. avrebbe versato un mantenimento per la figlia di Euro 300 mensili; - Nell'ipotesi di trasferimento a Bologna di moglie e figlia il F., alla data del trasferimento dalla casa coniugale si obbliga a trasferire l'usufrutto a S. G. per una durata non inferiore a 5 anni (clausola 11a verb. Sep), con diritto della Signora G. di locare l'appartamento a terzi (clausola 11c verb. Sep) e, a decorrere dal percepimento dei canoni di locazione il F. avrebbe cessato di corrisponderle l'importo di Euro 300,00 mensili, o a versare la differenza tra il canone percepito e l'importo di Euro 300,00 qualora l'importo del canone percepito fosse stato inferiore (clausola 11c verb. Sep); - in esecuzione dei predetti accordi raggiunti in sede di separazione, F. cedeva gratuitamente e trasferiva a S. G. l'usufrutto vitalizio sulla casa familiare per la durata di anni 8 in data 8 agosto 2017; - successivamente il sig. F. subiva il pignoramento immobiliare n. 754/2017 promosso da Intesa San Paolo Group per mancato pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare. Nell'ambito della procedura l'immobile è stato venduto mediante asta giudiziaria ed attualmente è fissata udienza, al 26.6.20, per la precisazione del credito e distribuzione delle somme; - a partire dal 2018 il sig. F., assieme alla figlia B. , si trasferiva nella casa locata dalla nonna paterna, in Via ... , provvedendo dunque lo stesso al mantenimento diretto della figlia, presso di lui collocata; - la signora G., nel mese di novembre/dicembre 2019 sporgeva denuncia ai danni del sig. F. per mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della figlia B. e notificava al sig. F. atto di precetto per il pagamento, a titolo di mantenimento, della somma di Euro 10.709,38 che non veniva opposto; - successivamente la signora G. interveniva nel pignoramento immobiliare per la predetta somma privilegiata, oltre che alla somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto. Tutto ciò premesso - il signor F. si impegna a non opporsi alla precisazione del credito della moglie; - il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200; - il sig. F. si impegna a versare alla moglie, entro il giorno 5 di ogni mese sul di lei conto corrente, a partire dal corrente mese di giugno - qualora egli non l'abbia già fatto - la somma di Euro 300 mensili a titolo di mantenimento in favore della stessa sino a che la moglie non avrà reperito una attività lavorativa che le consenta l'autosufficienza; - la signora G. si impegna a ritirare immediatamente la querela presentata ai danni del sig. F., rinunciando sin da ora a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale nei confronti del marito per le circostanze denunciate". 2.2. Come pacifico in atti e riscontrato dai documenti acquisiti: a) in attuazione dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale (verbale 7 giugno 2017) omologata con decreto 7 luglio 2017, con atto redatto dal notaio P. M. data 3 agosto 2017 denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" l'attore aveva costituito in favore della convenuta "a titolo gratuito" l'usufrutto per la durata di (almeno) otto anni sull'immobile in X già adibito a casa familiare ("(...) F. M., in esecuzione dei predetti accordi in sede di separazione, cede e trasferisce a titolo gratuito a G. S. che accetta ed acquista l'usufrutto per la durata di anni 8 (otto) da oggi o se successivo a detto termine fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della figlia minore F. B., della porzione di villetta trifamiliare (...)"): l'immobile era gravato da ipoteca iscritta il 17 novembre 2003 a garanzia di mutuo concesso all'attore da un istituto bancario di originari euro 120.000 (come si legge nell'atto notarile 3 agosto 2017, "F. M. dichiara che sull'immobile in oggetto grava l'ipoteca (...) che la parte acquirente dichiara di tollerare, ben sapendo che, ai sensi e alle condizioni di cui agli artt. 2858 c.c. e seguenti, in caso di mancato pagamento del debito garantito la Banca può promuovere esecuzione forzata sul bene acquistato col presente atto"); b) nel novembre 2017 su iniziativa del creditore ipotecario l'immobile in X già adibito a casa familiare, e sul quale era stato costituito l'usufrutto in favore di S. G., è stato colpito da pignoramento (doc. 9 di parte convenuta): come riportato anche nella scrittura privata 8 giugno 2020, nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. contro M. F. è intervenuta anche l'odierna convenuta sia quale creditrice di somme a titolo di concorso nel mantenimento della figlia (per tale credito al debitore era stato notificato precetto non opposto) sia quale titolare di diritto di usufrutto sull'immobile pignorato (art. 2812 c.c.; v. anche la proposta di piano di riparto 15 giugno 2020 elaborata dall'esperto contabile ausiliario del giudice dell'esecuzione, doc. 6 di parte attrice); c) la prima udienza per l'autorizzazione alla vendita nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. si è tenuta l'11 marzo 2019; la scrittura privata 8 giugno 2020 è stata sottoscritta dalle parti dopo la vendita forzata dell'immobile pignorato (il decreto di trasferimento era stato il 12 marzo 2020) e prima dell'udienza 26 giugno 2020 fissata per la precisazione dei crediti e la distribuzione del ricavato; con ordinanza 2 luglio 2020 il giudice dell'esecuzione ha dichiarato esaurita l'esecuzione immobiliare e ha ordina il pagamento delle somme come da progetto di distribuzione 15 giugno 2020, progetto che, per quanto qui rileva, prevedeva, una volta soddisfatti i crediti in prededuzione ed il credito assistito da ipoteca, l'attribuzione a S. G. della residua somma di euro 3.925,70 a parziale compensazione della perdita dell'usufrutto il cui valore era stato quantificato nel progetto di distribuzione in euro 72.000,00. Dalla lettura degli atti qui richiamati appare evidente che l'obbligazione assunta dall'attore verso la convenuta con la scrittura privata 8 giugno 2020 era volta a compensare la perdita economica subita da S. F. a seguito dell'estinzione dell'usufrutto costituito in suo favore solo pochi mesi prima del pignoramento (art. 2812, comma 2, c.c.). L'accordo documentato dalla scrittura privata ha natura transattiva in quanto, come si legge nelle premesse del testo, la convenuta era già intervenuta nell'esecuzione immobiliare affermandosi creditrice della "somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto". Più che eloquente il passaggio in cui si afferma che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200", mentre l'inadempimento dell'attore ha determinato la decadenza dal beneficio del termine (in tal senso v. il ricorso per decreto ingiuntivo). 3. A sostegno dell'opposizione l'attore deduce la simulazione assoluta dell'accordo di cui alla scrittura privata 8 giugno 2020 perché "attesta un debito totalmente inesistente"; solleva eccezione di inadempimento adombrando una risoluzione per inadempimento della conventa: deduce la nullità dell'accordo sotto vari profili (illiceità della causa; frode alla legge; illiceità del motivo). 4. Così come proposta dall'attore, la prova per testi non può essere accolta, considerati le questioni controverse ed il fondamento della domanda monitoria: il capitolo 1 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"); il capitolo 2 è generico e inammissibile nella parte in cui contrasta col tenore dell'accordo 8 giugno 2020 ("vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."); il cap. 3 è irrilevante e inammissibile nella parte in cui si pone in collegamento col capitolo precedente ("vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n. 5 di parte opponente"); il cap. 4 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro"). 5. Non vi è alcuna prova (l'attore non l'ha fornita, art. 1417 c.c.) dell'accordo simulatorio sottostante alla scrittura privata 8 giugno 2020 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e che, invero, richiama, ponendosi con essi in relazione, i patti conclusi in sede di separazione consensuale, l'atto attuativo 3 agosto 2017, le vicende relative all'esecuzione forzata sull'immobile già adibito a casa familiare. L'eccezione di simulazione assoluta è infondata. Da un lato, manca la prova dell'accordo simulatorio; dall'altro, sono pacifici i fatti posti a fondamento del credito della convenuta (in sintesi, l'estinzione del diritto di usufrutto per effetto dell'espropriazione immobiliare subita dall'attore, art. 2812 c.c.) il cui ammontare è stato definito dalla parti in via transattiva nella misura di euro 40.000,00. 6. L'opponente non ha provato fatti idonei a giustificare la risoluzione dell'accordo consacrato nella scrittura privata 8 giugno 2020: da un lato, non vi è alcun immediato nesso di corrispettività tra l'obbligazione assunta da M. F., previo riconoscimento del proprio debito nella misura di euro 40.000,00 "a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa (G., n.d.r.) patito", e l'impegno di S. G. a ritirare la querela presentata (pare a fine 2019) nei confronti dell'allora marito, essendo oltretutto pacifico che l'inadempimento di M. F. rispetto alle obbligazioni verso l'istituto bancario e la espropriazione immobiliare n. 754/17 R.G.E. hanno determinato l'estinzione del diritto di usufrutto, inopponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. I, 27 marzo 1993, n. n. 3722), che era stato costituito in favore di S. G. per la durata di otto anni con l'atto pubblico 3 agosto 2017 a ministero notaio P. M. denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" (in altri termini, in sede di separazione consensuale, come da verbale 7 giugno 2017 omologato il 7 luglio 2017, M. F. aveva assunto una obbligazione attuata con l'atto pubblico 3 agosto 2017 ma di fatto il suo inadempimento verso l'istituto di credito, poi pignorante in forza di credito garantito da ipoteca iscritta nel 2003, ha precluso all'avente diritto S. G. la possibilità di godere dell'immobile in X già casa familiare); dall'altro, è pacifico che S. G., in conformità all'impegno assunto con la scrittura 8 giugno 2020, non si è costituita parte civile nel processo penale contro M. F., processo (n. 5530/20 R.G.N.R. - n. 1662/22 R.G. dibattimento) definito con sentenza di assoluzione sul presupposto che l'inadempimento di obbligazioni civili non integra di per sé gli estremi del reato di cui all'art. 570-bis c.p. (già art. 12-sex/'es, l. n. 898/1970) in relazione all'art. 570 c.p. (la sentenza Trib. Bologna, 27 febbraio - 28 marzo 2023 n. 965 è irrilevante in questa sede, tanto più che l'oggetto della presente causa non riguarda l'omesso versamento dell'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il mantenimento della figlia come da accordi di separazione), mentre non vi è ragione di contestare all'odierna convenuta l'omessa rimessione di querela (le premesse della scrittura privata 8 giugno 2020 fanno riferimento ad una denuncia, la sentenza penale n. 965/2023 parla sia di querela presentata l'8 gennaio 2020 che di denuncia querela) perché condotta del tutto ininfluente rispetto all'esercizio dell'azione penale quando, come nel caso di specie, si verta in ipotesi di reato procedibile d'ufficio (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio - 24 febbraio 2020, n. 7277). 7. La questione relativa al contributo al mantenimento della figlia (nata il 7 maggio 2000, dunque ormai maggiorenne al tempo della scrittura 8 giugno 2020) non ha alcuna attinenza con l'obbligazione dedotta in giudizio, sorretta da una causa del tutto autonoma e meritevole di tutela, inerente al mancato godimento da parte della convenuta del diritto che l'attore le aveva riconosciuto in sede di separazione consensuale e volta appunto alla compensazione di quel mancato godimento mediante il pagamento di una somma di denaro (concordato nella misura di euro 40.000,00) di cui M. F. si è dichiarato debitore (v. supra; v. anche il verbale dell'udienza 2 marzo 2023 nel giudizio divorzile 14033/2022 R.G.). 8. Non vi è alcuna nullità dell'accordo sottostante l'impegno assunto da M. F. con la predetta scrittura 8 giugno 2020, accordo che trae origine dall'avventa estinzione del diritto di usufrutto alla costituzione del quale l'attore si era impegnato già in sede di separazione consensuale. 9. In conclusione, l'opposizione, così come proposta dall'attore, è infondata. 10. In comparsa di costituzione la convenuta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o in subordine la condanna dell'attore al pagamento della somma di "Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria)". Nelle conclusioni finali la convenuta ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'attore al pagamento di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione. Nell'esecuzione immobiliare n. 754/17 R.G.E., a seguito della vendita forzata (il decreto di trasferimento è stato emesso il 12 marzo 2020) e dell'approvazione del piano di riparto con ordinanza 7 luglio 2020 del giudice dell'esecuzione, la convenuta aveva ricevuto una somma di denaro (euro 3.925,70) a parziale soddisfacimento del credito da essa vantato in relazione all'estinzione del diritto di usufrutto. Come si legge nelle conclusioni finali, la convenuta chiede la revoca del decreto ingiuntivo con sentenza che condanni l'attore a pagare "solo l'importo di Euro 36.074,30 -invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Ne conseguono, da un lato, la revoca del decreto ingiuntivo limitatamente ai capi relativi all'ingiunzione di pagare "la somma di Euro 40.000,00" (capo 1) e "gli interessi come da domanda" (capo 2) (nel ricorso era chiesto il pagamento della "somma complessiva di Euro 40.000 oltre agli interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione sino al saldo effettivo"), e non anche la condanna alle spese pronunciata in favore dell'erario (la ricorrente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato), capo rispetto al quale l'odierna convenuta non ha potere dispositivo; dall'altro, attese le conclusioni finali (che quanto agli accessori richiamano le conclusioni di cui alla comparsa di risposta), la condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo. 11. Non vi sono i presupposti per la condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c., come invece richiesto dalla convenuta in comparsa di risposta. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell'erario (artt. 133, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115: "Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"), in quanto la convenuta è ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v., fra le altre, Cass., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 777). P.Q.M. Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta: - rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 proposta da F. M. contro G. S.; - revoca il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858; - condanna F. M. a pagare a G. S. la somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo; - rigetta la domanda di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta da G. S. contro F. M.; - liquida le spese processuali a carico di F. M. in euro 3.809,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, oltra CPA e IVA come per legge. Bologna, 15 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BISOGNI Giacinto - Presidente Dott. DI MARZIO Mauro - rel. Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere Dott. CAPRIOLI Maura - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 9660/2022 R.G. proposto da: (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrente - contro (OMISSIS), (OMISSIS); - intimati - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO BOLOGNA n. 1/2022 depositata il 17/09/2021; Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19/05/2023 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO. FATTO E DIRITTO RILEVATO CHE: 1. - (OMISSIS) ricorre per sei mezzi, nei confronti di (OMISSIS) e del suo amministratore di sostegno (OMISSIS), contro la sentenza del 3 gennaio 2022 con cui la Corte d'appello di Bologna ha respinto il suo appello avverso sentenza del Tribunale di Ravenna che, su domanda del (OMISSIS), aveva pronunciato lo scioglimento del matrimonio tra i due e rigettato la richiesta di assegno divorzile della (OMISSIS). 2. - Non spiegano difese gli intimati. CONSIDERATO CHE: 3. - Non occorre soffermarsi sulla elencazione dei motivi, profilandosi la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per morte del coniuge in pendenza del giudizio di scioglimento del matrimonio. RITENUTO CHE: 4. - Risulta da certificato prodotto dalla ricorrente - produzione ammissibili ai sensi dell'articolo 372 c.p.c.: v. p. es. per il caso di cessazione della materia del contendere in caso di morte del destinatario di sanzione amministrativa, Cass. 13 giugno 1987, n. 399 - che (OMISSIS) e' deceduto in data (OMISSIS), successivamente alla notificazione del ricorso per cassazione avvenuta il 6 aprile 2022. In passato questa Corte, in simile frangente, ha ripetutamente affermato che: "In tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la morte del coniuge, anche nel corso del giudizio di legittimita', fa cessare la materia del contendere sia nel giudizio sullo status che in quello relativo alle domande accessorie, compreso il giudizio sulla richiesta di assegno divorzile, non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, posto che l'obbligo di corresponsione di tale assegno e' personalissimo e non trasmissibile agli eredi, trattandosi di posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale, che puo' essere accertata solo in relazione alla persona cui detto status si riferisce" (Cass. 20 febbraio 2018, n. 4092). Insorto contrasto sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno piu' di recente precisato che: "In tema di divorzio, nel caso di passaggio in giudicato della pronuncia parziale sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il venir meno dell'ex coniuge nei confronti del quale la domanda era stata proposta nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilita', ma il giudizio puo' proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all'accertamento della debenza dell'assegno dovuto sino al momento del decesso" (Cass., Sez. Un., 24 giugno 2022, n. 20494). Tale principio non impatta pero' sulla decisione da assumere in questa sede, tenuto conto che la (OMISSIS) ha impugnato la pronuncia di scioglimento di divorzio resa in primo grado, sia in appello, sia con il ricorso per cassazione, anche sul capo concernente lo status, che non puo' pertanto dirsi passato in giudicato. Occorre percio' limitarsi a dichiarare cessata la materia del contendere. 5. - Le spese del giudizio di legittimita', da regolarsi in applicazione del principio della soccombenza virtuale, vanno compensate tenuto conto della virtuale, appunto, inammissibilita' del ricorso in quanto mancante di una compiuta esposizione sommaria dei fatti di causa: premesso che se manca l'esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato il ricorso e' inammissibile, e che tale mancanza "non puo' essere superata attraverso l'esame delle censure in cui si articola il ricorso" (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308), occorre infatti constatare che il ricorso, nella parte dedicata allo "svolgimento del processo" (da pagina 3 a pagina 13) non spiega neppure approssimativamente quali ragioni il primo giudice e la Corte d'appello abbiano adottato a sostegno delle decisioni prese. Non e' superfluo aggiungere che la ricorrente, a pagina 79 del ricorso, assume che esso sarebbe stato redatto "in conformita' alle indicazioni tecniche contenute nel Protocollo sottoscritto il 17.12.15", il che evidentemente non e', non solo perche' le dimensioni del ricorso eccedono di gran lunga la misura prevista nel Protocollo, ma anche perche' esso prevede espressamente che il ricorso debba contenere una parte, nel caso di specie invece mancante, dedicata allo svolgimento del processo. P.Q.M. dichiara cessata la materia del contendere e compensa le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere Dott. GIORGI Maria - rel. Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabin - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 31/03/2022 della Corte d'appello di Caltanissetta. Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Maria Silvia Giorgi; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lettieri Nicola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'articolo 81 c.p., articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, per avere omesso il versamento dell'assegno mensile di mantenimento nei confronti della moglie e del figlio, cosi' facendo loro mancare i mezzi di sussistenza (dal (OMISSIS), in permanenza). I Giudici dell'appello respingevano anzitutto l'eccezione sollevata dalla difesa relativa alla pretesa nullita' della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perche' (OMISSIS) era stato condannato per il reato di cui all'articolo 570 c.p., comma 2, n. 2 in permanenza, ma nel capo di imputazione si fa riferimento al solo provvedimento presidenziale emesso il 1 giugno 2016 relativo alla separazione e neppure a quello successivo che regolamentava i rapporti patrimoniali fra coniugi al momento dell'intervenuto divorzio. Ritenevano i giudicanti che il capo di imputazione descrivesse puntualmente l'obbligo di mantenimento che gravava sull'imputato in quanto padre e coniuge ed evidenziavano lo stato cli bisogno in cui le persone offese versavano; tanto che esse erano rimaste prive dei mezzi di sussistenza. La Corte ripercorreva poi nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza probatoria del reato contestato e valorizzava la coerenza e la completezza della deposizione della persona offesa, riscontrata dalla documentazione in atti, secondo la quale l'imputato si era reso sistematicamente inadempiente agli obblighi di mantenimento imposti per effetto della separazione coniugale, omettendo le contribuzioni dovute, tanto che la donna, priva di reddito, disoccupata e in condizioni di salute che non le consentivano di lavorare, era stata costretta a ricorrere all'aiuto della madre pensionata. L'imputato, il quale svolgeva attivita' di autotrasportatore aveva regolarmente lavorato fino al 2017, allorche' gli era stata ritirata la patente. Non risultando pero' alcun oggettivo impedimento a procurarsi un impiego produttivo di reddito idoneo a consentirgli di provvedere al sostentamento dei familiari, i giudici di merito ne ritenevano provata la penale responsabilita'. Quanto al profilo sanzionatorio la Corte respingeva le relative doglianze. Riteneva che il protrarsi della condotta nei confronti della coniuge e del figlio impedisse il riconoscimento della causa di non punibilita' ex articolo 131-bis c.p., che non emergessero elementi positivi tali da giustificare le attenuanti generiche o comunque il mitigamento del trattamento sanzionatorio, che la negazione del beneficio dela non menzione rispondesse al criterio rieducativo della pena, che la subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale fosse conforme al dettato normativo di cui all'articolo 165 c.p.. 2. Il difensore di (OMISSIS) ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello e ne ha chiesto l'annullamento, censurando: 2.1. la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che all'imputato e' contestato il reato di cui all'articolo 81 c.p., articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, mentre l'enunciazione del fatto contestato si limita solo al riconoscimento del mantenimento cosi' come disposto dai provvedimenti del Tribunale del 2012, non facendo neppure riferimento all'omesso versamento dell'assegno divorzile, ipotesi diversa da quella addebitata. Sotto diverso profilo, la condanna in permanenza afferisce non gia' all'esistenza dello stato di bisogno, bensi' all'oggettivo inadempimento della corresponsione della somma statuita dal giudice civile, che avrebbe semmai integrato in diverso reato di cui all'articolo 570-bis c.p., quanto meno per le condotte successive al (OMISSIS); 2.2. la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p., assumendo rilievo le modeste condizioni economiche dell'imputato; 2.3. la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte territoriale applicato una pena eccessiva anche in ragione della mancata applicazione delle attenuanti generiche richieste in sede di gravame; 2.4. la violazione di legge con riguardo alla mancata concessione della non menzione della condanna, pur avendo la Corte contraddittoriamente disposto la concessione della sospensione condizionale della pena; 2.5. la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, non avendo i giudici di appello motivato circa la scelta di quale tra gli obblighi previsti dall'articolo 165 c.p. imporre all'imputato, ne' avendo tenuto conto delle precarie condizioni economiche del medesimo. 3. Il ricorso e' stato trattato in forma cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO i. Il ricorso e' parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. Occorre premettere che la contestazione riguarda esclusivamente il reato di cui all'articolo 570 c.p., comma 2 n. 2 laddove il capo di imputazione enuncia che, non corrispondendo alla moglie e al figlio l'assegno di mantenimento, l'imputato ha fatto loro mancare i mezzi di sussistenza. Peraltro, nella stessa sentenza impugnata si legge che "non e' stato contestato il reato oggi contemplato dall'articolo 570-bis c.p. e quindi le contestazioni difensive che evocano la diversita' di struttura tra il reato contestato e quello gia' contenuto nella L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies non hanno alcuna pertinenza". Non entra dunque in gioco la questione, tuttora controversa nella giurisprudenza di legittimita', del rapporto di consunzione fra il reato di cui all'articolo 570, comma 2, n. 2 e quello di cui all'articolo 570-bis c.p.. Cio' posto, va ricordato che, secondo consolidato orientamento di legittimita', in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, sia l'obbligo morale riconosciuto dall'articolo 570 c.p., comma 1, che quello economico, sanzionato dal comma 2 della medesima disposizione, presuppongono la minore eta' del figlio (non inabile al lavoro) e vengono meno con l'acquisizione della capacita' di agire da parte dello stesso conseguente al raggiungimento della maggiore eta' (Sez. 6, n. 22831 del 29/03/2018, A., Rv. 273386; Sez. 6, n. 34080 del 13/06/2013, M., Rv. 257416). Quando il figlio raggiunge la maggiore eta' ne deriva l'insussistenza del fatto-reato per la violazione degli obblighi. Si e' anche puntualizzato che la L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies (oggi articolo 570-bis c.p.) punisce il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice, in sede di divorzio, in favore dei figli senza limitazione di eta', purche' economicamente non autonomi, mentre l'articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, prevede come soggetti passivi solo i figli minori o inabili al lavoro, sicche' non integra tale ultimo reato la violazione dell'obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli maggiorenni, non inabili al lavoro, anche se studenti (Sez, 6, n. 34270 del 31/05/2012, M., Rv. 253262). In applicazione di detto principio, va quindi affermata l'insussistenza del reato nei confronti del figlio (OMISSIS) in relazione alle condotte successive alla data del (OMISSIS), allorquando questi compiva il diciottesimo anno. Peraltro, con riguardo alla condotta contestata dal (OMISSIS) al (OMISSIS), assume carattere assorbente rispetto ad ogni altra considerazione il rilievo della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, maturata, invero, il 15 dicembre 2020, in epoca precedente anche alla sentenza di primo grado. Non sono riscontrabili, nelle sentenze di merito, elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, essendo anzi contenute in esse valutazioni di segno opposto. 3. Destituito di fondamento appare viceversa il motivo di ricorso con riguardo alla ex coniuge. Lo stesso ricorrente rappresenta che la sentenza specifica la mancanza dei mezzi di sussistenza delle persone offese che versavano in stato di bisogno. Ed invero, appare probatoriamente supportata e logicamente argomentata - percio' insindacabile in sede di legittimita' l'affermazione della Corte d'appello per cui l'omissione delle contribuzioni da parte dell'imputato ha fatto venir meno i pur strettamente necessari mezzi di sussistenza al coniuge (per soddisfarne le elementari esigenze di vita), che versava in un obiettivo e incontroverso stato di bisogno, dal momento che (OMISSIS) era disoccupata, non aveva mai lavorato anche a causa delle sue precarie condizioni di salute, viveva nella casa coniugale assegnatale ed era stata costretta a fare ricorso all'aiuto della madre pensionata. Le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono state poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva della dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto. Verifica che la Corte territoriale ha compiuto analizzando le dichiarazioni e il comportamento processuale della teste, in assenza di elementi significativamente idonei a smentire l'assunto della persona offesa circa l'inadempimento da parte dell'imputato dell'obbligo contributivo a suo carico. Sicche', le doglianze del ricorrente non soltanto risultane generiche ma neppure si agganciano alle precise affermazioni rese sul punto dai giudici di merito. 4. Infondata e' la doglianza attinente alla pretesa sussistenza della causa di non punibilita' ex articolo 131-bis c.p., avendo la Corte territoriale fatto buon governo dei principi che regolano la materia, giacche' il giudizio sulla tenuita' richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita' della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita' della condotta, del grado di colpevolezza desumibile da esse e dell'entita' del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25%02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In tal senso i giudici dell'appello hanno evidenziato la protrazione nel tempo della condotta, senza che ne risultasse l'interruzione, 5. Parimenti priva di pregio e' la doglianza con cui il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalita' mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). La concessione di dette circostanze presuppone, inoltre, l'esistenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento. Nella specie, la Corte di merito ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole delle invocate attenuanti per la mancata emersione di elementi positivi, non potendosi considerare tali il "mero comportamento corretto tenuto in sede processuale" ne' tantomeno le condizioni economiche. 6. Manifestamente infondato e' il motivo relativo al negato beneficio della non menzione della condanna, giacche' il ricorrente non si misura con gli apprezzamenti di merito adeguatamente scrutinati dalla Corte d'appello con puntuale e logico apparato argomentativo, laddove si rappresenta che, alla luce della gravita' della condotta, indicatrice di "una pur contestualizzata propensione a comportamenti illeciti" proprio la menzione nel certificato penale potra' maggiormente concorrere alla rieducazione del responsabile. La sentenza impugnata contiene altresi' una congrua motivazione circa la mancanza di contrasto con a concessione del diverso beneficio della sospensione condizionale, poiche', secondo la giurisprudenza di legittimita', il beneficio della non menzione della condanna di cui all'articolo 175 c.p. e' fondato sul principio dell'"emenda" e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicche' la sua concessione e' rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non e' necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l'obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Iannaccone, Rv. 275813). 7. Risulta infine non fondato, oltre che per certi aspetti generico, anche il motivo di ricorso riguardante la mancata considerazione delle condizioni patrimoniali del ricorrente ai fini della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma stabilita a titolo di provvisionale. Va osservato che si tratta di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del comma 2 del medesimo articolo qualora intenda, come nel caso di specie, riconoscere nuovamente tale beneficio gia' precedentemente concesso (Sez. 6, n. 12079 del 20/02/.2020, Taher, Rv. 278725; Sez. 2, n. 29001 del 29/09/2020, Bongi, Rv. 279773; Sez. 5, n. 19721 del 11/04/2019, P., Rv. 276248). Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimita', cui questo Collegio ritiene di aderire, pur non essendo il giudice della cognizione tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell'imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi che consentano di dubitare della capacita' di soddisfare la condizione imposta, ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021, P., Rv. 282348; Sez. 6, n. 25413 del 13/05/2016, Lo Piccolo, Rv. 267352). Nel caso di specie la difesa non ha dedotto ragioni specifiche dalle quali evincere condizioni economiche cosi' deteriorate da rendere inesigibile l'obbligazione di pagamento, non potendo considerarsi tali le generiche allegazioni relative all'impossibilita' di svolgere l'attivita' di autotrasportatore precedentemente esercitata - a causa del ritiro della patente, essendo le stesse rimaste sfornite di qualsivoglia riferimento concreto alla capacita' patrimoniale del ricorrente. 8. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, quanto al reato contestato in danno del figlio, per il quale deve dichiararsi l'estinzione per prescrizione della condotta criminosa relativa al periodo (OMISSIS) e l'insussistenza del fatto per quella inerente al periodo successivo. Va disposto di conseguenza l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Caltanissetta limitatamente alla rideterminazione della pena con riferimento alla condotta di reato in danno della moglie. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato in danno di (OMISSIS), perche' il fatto non sussiste per il periodo successivo al (OMISSIS) e perche' il reato e' estinto per prescrizione per la condotta fino al (OMISSIS). Rinvia la sentenza impugnata ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta per la rideterminazione della pena, rigettando nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUBINO Lina - Presidente Dott. VALLE Cristiano - Consigliere Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Consigliere Dott. Spa ZIANI Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24424/2020 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato a (OMISSIS), presso lo Studio dell'Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, in virtu' di procura a margine del ricorso; - ricorrente - contro (OMISSIS); ex lege domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di cassazione; rappresentata e difesa dall'Avvocato (OMISSIS), in virtu' di procura in calce al controricorso; - controricorrente - per la cassazione della sentenza n. 1991/2020 della CORTE d'APPELLO di ROMA, depositata il 20 aprile 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 maggio 2023 dal Consigliere Relatore, Dott. Paolo SPAZIANI. FATTI DI CAUSA 1. Il 28 settembre 2012, (OMISSIS) notifico' all'ex marito, (OMISSIS), un atto di precetto con cui gli intimava il pagamento della somma di Euro 144.441,19, oltre interessi e spese, sulla base della sentenza della Corte d'appello di Roma del 22 dicembre 2010, n. 5380, che aveva definito il giudizio di delibazione - introdotto con atto di citazione del 30 ottobre 2008 - delle due sentenze di separazione e divorzio emesse nei loro confronti dal Tribunale Superiore del Cantone di Zurigo in data 26 gennaio 2000 e dal Tribunale Distrettuale di Zurigo in data 25 giugno 2002, con cui era stata disposta anche la regolazione dei rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi, con obbligo del sig. (OMISSIS) di pagare alla sig.ra (OMISSIS) un assegno di mantenimento. Il precettato propose opposizione all'esecuzione, che il Tribunale di Roma qualifico' in parte come opposizione agli atti esecutivi (rigettando le relative doglianze) e in parte come opposizione all'esecuzione, rigettando l'eccezione di adempimento (basata, tra l'altro, sul presunto valore confessorio di dichiarazioni della creditrice contenute in precedenti atti processuali) ed accogliendo parzialmente quella di prescrizione. Per quanto rileva in questa sede di legittimita', il Tribunale, precisamente, reputo' parzialmente fondata l'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dal sig. (OMISSIS), sul rilievo che tanto la legge italiana (articolo 2948 c.c.) quanto quella svizzera (articolo 128 Legge compl. c.c. svizzero), prevedono il termine di cinque anni per la prescrizione dei crediti relativi a prestazioni periodiche, e che il piu' lungo termine decennale troverebbe operativita' solo nel caso in cui vi sia contestazione della debenza di uno piu' ratei e su tale debenza sia intervenuto un accertamento giudiziale; ipotesi diversa da quella verificatasi nella fattispecie, in cui le sentenze svizzere di separazione e divorzio avevano statuito sull'"insieme dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi". Cio' posto, ritenne, pero', il primo giudice che, diversamente da quanto sostenuto dall'opponente, l'operativita' del termine quinquennale non aveva comportato la prescrizione dei ratei di credito maturati anteriormente al 28 settembre 2007 (cinque anni prima della notifica del precetto opposto) o, quanto meno, anteriormente al 29 marzo 2006 (cinque anni prima della notifica di un precedente precetto), ma soltanto la prescrizione di quelli maturati anteriormente al 30 ottobre 2003 (cinque anni prima della notifica dell'atto di citazione con cui era stato introdotto il procedimento di delibazione delle sentenze elvetiche); alla proposizione di tale domanda, infatti, doveva riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione medesima, quale atto con cui era "stata chiaramente manifestata dalla sig.ra (OMISSIS) la volonta' di esercitare il proprio diritto". Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale ridetermino' il credito della sig.ra (OMISSIS) in complessivi Euro 13.500,00 e dichiaro' efficace il precetto opposto limitatamente a tale importo. 2. La Corte d'appello di Roma - adi'ta con appello principale da (OMISSIS) e con appello incidentale da (OMISSIS) - ha accolto la prima impugnazione e ha rigettato la seconda. La Corte territoriale - sempre per quanto ancora rileva in questa sede di legittimita' - ha deciso sulla base dei seguenti rilievi: I- doveva anzitutto ritenersi fondato il primo motivo di appello principale con cui la precettante aveva criticato l'omessa considerazione, ai fini interruttivi della prescrizione, della domanda di delibazione della sentenza della Corte di cassazione del Cantone di Zurigo del 2 ottobre 2000 (confermativa di quella emessa dal Tribunale superiore del medesimo Cantone in data 26 gennaio 2000), proposta dalla sig.ra (OMISSIS) in via riconvenzionale, nell'ambito di un precedente giudizio svoltosi presso la stessa Corte d'appello di Roma, introdotto dal sig. (OMISSIS) nel 2001 e definito con sentenza del 3 settembre 2004, passata in giudicato il 5 novembre 2004. Gia' con tale domanda, infatti, la creditrice aveva manifestato in modo univoco il proprio interesse ad avvalersi della sentenza di cui aveva invocato il riconoscimento, sicche' la prescrizione avrebbe dovuto ritenersi interrotta sino alla data del passaggio in giudicato della sentenza con cui era stato definito questo giudizio (5 novembre 2004). Dopo tale evento, aveva iniziato il suo decorso un nuovo periodo di prescrizione che era stata pero' nuovamente interrotta con la notificazione della nuova domanda di delibazione del 30 ottobre 2008. La riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione alla domanda riconvenzionale del 2001 comportava, oltre all'accoglimento del primo motivo di appello principale, anche il rigetto del secondo motivo di appello incidentale, basato sulla contestazione dell'efficacia interruttiva anche della seconda domanda e sulla asserita conseguente estinzione dei ratei di credito anteriori al 28 settembre 2007, o, quanto meno, al 29 marzo 2006; II- mentre l'appello incidentale si palesava infondato pure in relazione al primo motivo, con cui si era contestata la mancata attribuzione di valore confessorio alle dichiarazioni rese dalla sig.ra (OMISSIS) negli scritti difensivi, doveva invece essere accolto anche il secondo motivo dell'appello principale proposto da quest'ultima, con cui era stato censurato l'erroneo computo del termine prescrizionale in relazione alla legge svizzera; in proposito, infatti, premesso che la Legge svizzera era quella applicabile alla fattispecie (in quanto la sig.ra (OMISSIS) era residente in Svizzera e in quanto, per il protocollo italo-svizzero sottoscritto il 23 novembre 2007, le controversie in ordine alle obbligazioni alimentari tra ex coniugi sono regolate dallo Stato di residenza del creditore), avrebbe trovato operativita' l'articolo 137 Legge compl. c.c. svizzero, secondo cui, se la pretesa scaturisce da un titolo giudiziario, il termine di prescrizione ha durata decennale. Sulla base di questi rilievi la Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha statuito che il precetto notificato al debitore doveva reputarsi efficace per l'intera somma in esso contemplata di Euro 144.441,19. 3. Ha Proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Ha risposto con controricorso (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria. La trattazione del ricorso, originariamente fissata in adunanza camerale ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c., e' stata successivamente rinviata alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria del 28 dicembre 2022. Fissata, dunque, la pubblica udienza, il ricorso e' stato trattato in camera di consiglio, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020 (norma la cui operativita' e' stata prorogata dal Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 febbraio 2023, n. 14), senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale. Il Procuratore Generale, nella persona del Dott. Mauro Vitiello, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del secondo e del quarto motivo, con assorbimento del terzo, dichiarato inammissibile il primo. Le parti non hanno depositato ulteriori memorie. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo viene denunciata violazione dell'articolo 342 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente deduce che "dalla lettura dell'atto di appello della sig.ra (OMISSIS) - cui rinvia senza procedere alla sua trascrizione essenziale - si rileva chiaramente come l'appellante non abbia contrapposto alla sentenza impugnata argomenti idonei ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle motivazioni, limitandosi sostanzialmente ad affermare l'ingiustizia della decisione impugnata". Prosegue denunciando la mancanza, nel predetto atto - sempre senza trascriverne il contenuto essenziale -, "delle indicazioni delle parti del provvedimento", nonche' "dell'indicazione delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado" e, inoltre, soprattutto, delle "circostanze da cui deriva la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata" (p. 6 del ricorso). Conclude che, pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l'impugnazione inammissibile, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 342 c.p.c.. 1.1. Il motivo e' inammissibile. Questa Corte ha reiteratamente affermato che l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita' ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l'ammissibilita' del motivo di censura, onde il ricorrente non e' dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d'inammissibilita', nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, nell'ipotesi in cui il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita', per difetto di specificita', di un motivo di appello, ha l'onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita', non potendo limitarsi a rinviare all'atto di appello (Cass. 20/09/2006, n. 20405; Cass. 29/09/2017, n. 22880; Cass. 06/09/2021, n. 24048). Al contrario, nell'ipotesi inversa in cui il ricorrente censuri l'omesso rilievo, da parte del giudice di appello, dell'inammissibilita' dei motivi dell'impugnazione proposta dall'avversario, ha l'onere di indicare in modo chiaro le lacune in cui e' incorso l'atto di appello per avere omesso la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, o per aver mancato di affiancare alla parte volitiva una parte argomentativa diretta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo giudice (Cass., Sez. Un., 16/11/2007, n. 27199; Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2022, n. 36481). Nel caso di specie, tale onere non e' stato assolto poiche' il ricorrente si e' limitato ad una generica contestazione della specificita' dell'appello avversario, per modo che il motivo in esame va dichiarato inammissibile. 2. Con il secondo motivo viene denunciata violazione o falsa applicazione degli articoli 2943 e 2945 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente sostiene che alla domanda di riconoscimento della sentenza straniera non potrebbe riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione. Per un verso, infatti, come sarebbe stato evidenziato in dottrina, l'azione di delibazione non farebbe ancora valere il diritto sostanziale accertato dalla sentenza delibanda, essendo a cio' necessario l'esercizio della successiva azione esecutiva. Per altro verso, come sarebbe stato ritenuto in giurisprudenza (viene citata la sentenza 16 febbraio 1993, n. 1882 di questa Corte), la domanda di delibazione tenderebbe ad una pronuncia con effetti meramente processuali: dunque, non produrrebbe l'effetto sostanziale di interruzione della prescrizione. Pertanto, non solo avrebbe errato la Corte d'appello, nell'attribuire efficacia interruttiva alla domanda riconvenzionale proposta dalla sig.ra (OMISSIS) nel giudizio da lui introdotto nel 2001; ma avrebbe errato anche il Tribunale, nell'attribuire la medesima efficacia alla successiva domanda del 2008. In conformita' a quanto dedotto in sede di opposizione e ribadito nel secondo motivo di appello incidentale (indebitamente rigettato dalla Corte territoriale) avrebbero dunque dovuto ritenersi prescritti tutti i ratei di credito anteriori al 28 settembre 2007, o, quanto meno, al 29 marzo 2006. 3. Il secondo motivo presenta ragioni di connessione col (e va pertanto esaminato congiuntamente al) terzo motivo, con cui viene denunciata violazione o falsa applicazione degli articoli 2934, 2943, 2945, 2948 e 2953 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente deduce che, quand'anche si risolvesse positivamente il problema dell'attitudine della domanda di delibazione delle sentenze straniere ad interrompere la prescrizione, tuttavia l'effetto interruttivo avrebbe potuto riconoscersi soltanto alla domanda del 2008 (come ritenuto dal Tribunale in primo grado) ma non anche a quella (asseritamente) proposta in via riconvenzionale nel 2001, come erroneamente statuito dalla Corte d'appello. Cio', in quanto, da un lato, della proposizione di tale domanda riconvenzionale non vi sarebbe alcuna prova, non essendovi traccia di essa negli atti di quel giudizio, definito con sentenza della Corte d'appello di Roma n. 3761 del 3 settembre 2004; dall'altro lato, tale domanda, quand'anche si ritenesse effettivamente proposta, non verteva sul riconoscimento delle sentenze di separazione e divorzio emesse dal Tribunale Superiore del Cantone di Zurigo in data 26 gennaio 2000 e dal Tribunale Distrettuale di Zurigo in data 25 giugno 2002, la cui esecutivita' era stata riconosciuta in Italia con sentenza 22 dicembre 2010, n. 5380 della Corte di Appello di Roma; piuttosto, essa verteva sul riconoscimento della sentenza della Corte di cassazione del Cantone di Zurigo del 2 ottobre 2000, provvedimento diverso da quelli oggetto di successivo exequatur. 3.1. E' fondato il secondo motivo e dal suo accoglimento resta assorbito il terzo. 3.1.a. Nella letteratura giuridica che si e' occupata del giudizio di riconoscimento dell'efficacia delle sentenze straniere, si rinvengono, diacronicamente, due tesi in ordine alla natura di tale giudizio. Secondo quella piu' risalente, che potrebbe essere identificata come la teoria classica, la domanda di riconoscimento della sentenza straniera costituirebbe un'azione di cognizione costitutiva vertente sul fondo della lite di merito, diretta a conseguire una sentenza di accertamento del rapporto sostanziale: quest'ultimo, dunque, sarebbe attribuibile esclusivamente al giudice italiano. All'esito di tale accertamento, la sentenza straniera esisterebbe solo come fatto storico, non anche come fatto giuridico, poiche' gli effetti giuridici - ai fini esecutivi, del giudicato e della prescrizione del diritto - sarebbero prodotti unicamente dalla sentenza italiana. Per la seconda teoria - la quale ha trovato le sue prime radici nelle tesi dell'atto ineguale complesso, elaborate sullo scorcio degli anni venti del secolo scorso e poi raffinate, nel decennio successivo, in quelle della condizione di efficacia della decisione straniera - quest'ultima sarebbe, invece, l'unica decisione statuente sulla causa di merito. Il rapporto sostanziale, dunque, sarebbe deciso solo dalla sentenza straniera a cui andrebbero attribuiti gli effetti giuridici, in funzione esecutiva, di formazione del giudicato e di prescrizione, mentre l'accertamento del giudice italiano, nel rimuovere un ostacolo all'efficacia della sentenza straniera (o, secondo le diverse elaborazioni, nell'integrare una condicio iuris dell'efficacia medesima), costituirebbe un controllo di natura pubblicistica avente natura di atto di giurisdizione oggettiva. 3.1.b. Le due teorie danno luogo ad implicazioni reciprocamente opposte in ordine alla natura della domanda di delibazione, alla prescrizione di quest'ultima e alla prescrizione del diritto soggettivo sostanziale oggetto dell'accertamento. In primo luogo, solo se si aderisce alla teoria classica, la domanda di delibazione integra una vera e propria domanda giudiziale di cognizione, diretta a far valere un diritto, ai sensi dell'articolo 2907 c.c., perche' funzionale a suscitare l'emissione dell'unico provvedimento sull'accertamento del diritto sostanziale possibile, ovverosia la sentenza del giudice italiano. Al contrario, se si aderisce alla teoria della condizione di efficacia della sentenza straniera, viene in considerazione una mera azione, non tendente all'esercizio di un diritto (il cui accertamento e' gia' stato compiuto, in via esclusiva, dalla sentenza straniera), ma tendente a conferire impulso processuale ad un procedimento avente ad oggetto il dovere del giudice di provvedere in funzione della realizzazione di un interesse di natura pubblicistica. In secondo luogo, mentre, per la teoria classica, l'azione di delibazione, in quanto tendente a far valere un diritto in giudizio, non puo' che essere soggetta a prescrizione (con il decorso dell'ordinario termine decennale dal momento della formazione del giudicato straniero), per la successiva teoria formatasi sulle radici dell'atto ineguale, la richiesta di delibazione, quale istanza non concretante una vera e propria azione giudiziale, potrebbe essere formulata in qualsiasi momento e non sarebbe soggetta a termini prescrizionali. In terzo luogo, mentre l'adesione alla teoria classica consentirebbe di attribuire alla domanda di riconoscimento della sentenza straniera efficacia interruttiva della prescrizione del diritto sostanziale (il cui accertamento sarebbe compiuto esclusivamente dal giudice italiano), cio' non sarebbe possibile ove si aderisse alla teoria meno risalente, poiche' la domanda medesima non tenderebbe a far valere quel diritto, gia' accertato in via esclusiva dal giudicato straniero; al contrario, la prescrizione potrebbe reputarsi interrotta solo dalla successiva azione esecutiva, volta a porre in esecuzione quel giudicato. 3.1.c. La teoria meno risalente, diacronicamente contrapposta alla teoria classica, non solo e' prevalsa nella letteratura giuridica processuale, ma, inoltre, ha trovato un deciso avallo nel diritto processuale positivo: dapprima, nella disposizione contenuta nell'articolo 799 c.p.c., che, nell'ammettere il riconoscimento incidenter tantum, destinato a valere nel corso di un processo vertente su un diritto dipendente o incompatibile con quello oggetto del giudicato straniero, postulava l'efficacia ex se della sentenza straniera, sconfessando la tesi tradizionale che invece negava ad essa ogni valore prima della delibazione; successivamente (dopo l'abrogazione del procedimento di cui agli articolo 796 c.p.c. e ss.), nella L. 31 maggio 1995, n. 218, articolo 67 che ha configurato un giudizio di delibazione a soli fini esecutivi; infine, nell'articolo 21 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003 (pur non applicato nel caso di specie, in quanto circoscritto al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilita' genitoriale emesse da uno Stato membro dell'Unione Europea), il quale, con riguardo al riconoscimento di dette decisioni, non solo ha escluso la necessita' del "ricorso ad alcun procedimento" (comma 1), ma ha anche previsto che il riconoscimento puo' essere richiesto in via incidentale dinanzi ad una autorita' giurisdizionale di uno Stato membro e che questa "puo' decidere al riguardo" (comma 4). 3.1.d. In base alla disciplina processuale positiva del giudizio di riconoscimento delle decisioni giurisdizionali straniere, deve dunque necessariamente convenirsi con l'opinione che nega all'istanza di delibazione il carattere di vera e propria domanda giudiziale diretta a far valere un diritto ex articolo 2907 c.c. e che invece riconosce a tale istanza la natura di mera azione, diretta a dare l'impulso ad un procedimento di giurisdizione oggettiva, come tale non soggetta a prescrizione, ma neppure idonea ad interrompere quella del diritto soggettivo posto a fondamento dell'accertamento contenuto nel giudicato straniero. 3.1.e. Questa tesi, del resto, si pone in linea di continuita' con l'orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 1882 del 1993, cit.; Cass., Sez., Un. 01/10/1996, n. 8590; Cass. 09/05/2018, n. 11198), la quale, sebbene non si sia pronunciata sul problema dell'idoneita' dell'azione di delibazione a conseguire l'effetto sostanziale della interruzione della prescrizione, ha, pero', ripetutamente affermato che essa costituisce un'azione autonoma, tendente ad una pronuncia dagli effetti meramente processuali, come tale distinta sia dall'actio iudicati nascente dalla sentenza straniera (perche' non mira semplicemente all'esecuzione, ma ad un effetto piu' ampio per la sua natura e piu' ristretto per il suo ambito territoriale: cioe' alla dichiarazione di efficacia giuridica in Italia), sia dall'azione spettante in base alla titolarita' del diritto che connota il rapporto giuridico fondamentale (perche' non ha per oggetto il rapporto sostanziale ma esclusivamente l'idoneita' della sentenza straniera a spiegare efficacia nell'ordinamento italiano, sicche' e' il giudicato straniero che continua a produrre gli effetti esecutivi, gli effetti del giudicato e tutti gli altri eventuali effetti che sono propri dell'atto giurisdizionale). 3.1.f. Il rilievo per cui, nel sistema delineato dalla L. n. 218 del 1995, e' l'autorita' giudiziaria straniera ad essere investita dei poteri di pieno accertamento della pretesa fatta valere, e' svolto anche nella recente ordinanza interlocutoria 28/11/2022, n. 34969 della Prima Sezione Civile di questa Corte (Punto 6.4.1. della motivazione), sia pure per trarne implicazioni in ordine ad effetti diversi da quelli che interessano nella presente fattispecie, ovverosia, non gia' in ordine agli eventuali effetti sostanziali della domanda di exequatur, bensi' in ordine agli effetti delle eventuali preclusioni alla possibilita' di eccepire o rilevare, nel giudizio ad quem, questioni pregiudiziali di rito (nonche', deve ritenersi, preliminari di merito) non eccepite ne' rilevate nel giudizio a quo; la medesima pronuncia interlocutoria ha poi rimesso alle Sezioni Unite la specifica questione della eccepibilita' o rilevabilita', dinanzi al giudice della delibazione, della carenza della competenza giurisdizionale del giudice che ha emesso la sentenza delibanda, ancorche' non eccepita dinanzi a quest'ultimo, ne', ovviamente, da esso rilevata. 3.1.g. Alla luce delle esposte considerazioni, deve escludersi che la domanda di riconoscimento della sentenza straniera integri una domanda introduttiva di un giudizio di cognizione per l'accertamento di un diritto e deve conseguentemente escludersi che essa rientri tra gli atti interruttivi della prescrizione, ai sensi dell'articolo 2943 c.c., comma 1. Nel caso di specie, il predetto effetto non avrebbe potuto essere riconosciuto ne' alla domanda asseritamente proposta in via riconvenzionale dalla sig. (OMISSIS) nel giudizio del 2001 ne' a quella da lei formulata nel 2008. Va dunque accolto il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo. 4. Con il quarto motivo viene denunciata violazione o falsa applicazione della legge federale di completamento del codice civile svizzero, RS 220, articoli 128 e 137, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente deduce che la Corte d'appello, una volta ritenuta l'applicabilita' alla fattispecie della legge svizzera, avrebbe erroneamente fatto applicazione dell'articolo 137 Legge fed. compl. c.c. svizzero, il quale, analogamente all'articolo 2953 del c.c. italiano, subordinerebbe l'operativita' del termine decennale di prescrizione alla circostanza che vi sia stata controversia sulla debenza di uno o piu' ratei di credito e che su tale debenza sia intervenuto un accertamento giudiziale. Sul punto, pertanto, avrebbe dovuto confermarsi la statuizione del giudice di prime cure, che aveva ritenuto applicabile la diversa norma contenuta nell'articolo 128 della predetta legge di completamento, la quale, riproducendo sostanzialmente il contenuto dell'articolo 2948 c.c. italiano, stabilisce che le azioni per prestazioni periodiche si prescrivono in cinque anni. 4.1. Anche il quarto motivo e' fondato. Come correttamente osservato dal pubblico ministero, il diritto alla corresponsione dell'assegno divorzile, sostanziandosi in una pretesa avente ad oggetto piu' prestazioni, autonome e periodiche, si prescrive nel termine di cinque anni, decorrente dalla maturazione di ogni singola rata sulla base di una previsione comune alla Legge italiana (articolo 2948 c.c.) e a quella svizzera (articolo 128 Legge compl. c.c. svizzero). In base a queste disposizioni, il diritto alla riscossione delle somme risalenti ad epoca antecedente ai cinque anni dalla data di scadenza di ciascun singolo rateo deve dirsi prescritto (Cass. 04/04/2005, n. 6975; Cass. 05/11/2009, n. 23462). Anche alla stregua della legge svizzera, come di quella italiana, la trasformazione del termine di prescrizione da quinquennale a decennale nell'ipotesi di azioni relative a prestazioni periodiche, postula che sia sorta contestazione sulla debenza di uno o piu' ratei e che su tale debenza vi sia stato accertamento giudiziale, sul quale si sia formato il giudicato. Nel caso di specie, le sentenze di separazione e divorzio non hanno risolto contestazioni su specifici ratei dell'assegno di mantenimento ma hanno statuito sui rapporti personali e patrimoniali dei coniugi, sicche' la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere applicabile il termine di prescrizione quinquennale e non quello decennale. Anche il quarto motivo di ricorso, dunque, deve essere accolto. 5. In definitiva, vanno accolti il secondo e il quarto motivo, dichiarati assorbito il terzo e inammissibile il primo. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si atterra' ai principi sopra enunciati e provvedera' anche sulle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo e inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE UNITE PENALI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASSANO Margherita - Presidente Dott. CIAMPI Francesco M. - Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a Napoli il 26/06/1958; avverso la sentenza del 03/03/2022 del Tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente Ercole Aprile; udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore dell'imputato, avv. Pietro Funaro, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai reati di cui agli articoli 570, comma 1, c.p. (capo 1) e 12-sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 (capo 2), ora previsti dall'articolo 570-bis c.p., commessi, dal (OMISSIS) con perduranza, in danno rispettivamente di (OMISSIS), dopo la loro separazione coniugale e dopo lo scioglimento del relativo vincolo matrimoniale, e dei figli (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto delitti ritenuti entrambi estinti per intervenuta remissione di querela. 2. Avverso tale sentenza presentava ricorso immediato ai sensi dell'articolo 569 c.p.p. il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, il quale, con un unico motivo, deduceva la violazione di legge in relazione ai citati articoli 12-sexies L. n. 898 del 1970 e 570-bis c.p., per avere il Tribunale di Catanzaro erroneamente dichiarato la estinzione del reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile, contestato al capo d'imputazione 2), benche' si tratti di illecito procedibile d'ufficio. In particolare, il ricorrente evidenziava come il rinvio contenuto nel predetto articolo 12-sexies all'articolo 570 c.p. si riferisse esclusivamente al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto codicistico di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime di procedibilita'; e come tale valutazione fosse tuttora valida, anche dopo che l'articolo 12-sexies era stato formalmente abrogato dall'articolo 7 Decreto Legislativo n. 1 marzo 2018, n. 21, dato che la relativa disposizione incriminatrice era in sostanza confluita in quella dettata dall'articolo 570-bis c.p., inserito nel codice dall'articolo 2, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo cit. 3. Con ordinanza del 18 ottobre 2022 la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell'articolo 618 c.p.p., avendo la questione sottoposta al suo esame dato luogo nella giurisprudenza di legittimita' ad un contrasto interpretativo. Il Collegio rimettente ha rilevato come vi siano contrapposti orientamenti in ordine all'esegesi della disposizione dettata dall'articolo 593-bis c.p.p. introdotta nel codice di rito dall'articolo 3, comma 1, Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, nell'ambito di una piu' ampia riforma della disciplina delle impugnazioni penali che, come noto, stabilisce che "Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale puo' appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale", mentre "il procuratore generale presso la corte d'appello puo' appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento". Per un primo indirizzo giurisprudenziale, nel caso di ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte di appello avverso sentenza astrattamente appellabile, ma per la quale, ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., non sussistono le condizioni legittimanti il diritto da parte dello stesso a proporre appello (avocazione o acquiescenza al provvedimento da parte del procuratore della Repubblica), ricorre l'ipotesi di ricorso immediato per cassazione (ovvero "per saltum"), con conseguente operativita', in caso di accoglimento dell'impugnazione, del meccanismo di rinvio al giudice competente in grado di appello ex articolo 569, comma 4, c.p.p.: cio' perche', si afferma, la mancanza delle suddette condizioni legittimanti non incide sull'ontologica esistenza del diritto ad impugnare in capo al procuratore generale, ma esclusivamente sulla possibilita' del suo concreto esercizio (in questo senso, tra le altre, Sez. 2, n. 15449 del 14/01/2022, Tiesi, Rv. 283197; Sez. 5, n. 10692 del 10/12/2021, dep. 2022, De Gennaro, Rv. 282846, in un caso in cui il ricorso "per saltum" era stato presentato dal procuratore generale prima della scadenza del termine entro il quale il procuratore della Repubblica avrebbe potuto proporre appello; Sez. 3, n. 3165 del 22/11/2019, dep. 2020, Tortorici, Rv. 278637). Per l'indirizzo giurisprudenziale contrapposto, nel caso di ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte d'appello che, ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., non abbia legittimazione ad impugnare la sentenza, non ricorre l'ipotesi di ricorso immediato per cassazione (cd. "per saltum"), essendo il ricorso ordinario l'unico rimedio "soggettivamente" esperibile: sicche', in caso di annullamento della sentenza da parte della Corte di cassazione, il rinvio va disposto non al giudice competente per l'appello, come previsto dall'articolo 569, comma 4, c.p.p., ma al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (in questo senso, tra le diverse, Sez. 4, n. 33867 del 28/10/2020, Ruberti, Rv. 279918; Sez. 5, n. 34998 del 20/10/2020, P., Rv. 279985; Sez. 5, n. 13808 del 18/02/2020, Faye, Rv. 279075). Tuttavia, il Collegio rimettente ha segnalato come le incertezze ermeneutiche abbiano riguardato anche altre questioni strettamente connesse riguardanti ulteriori aspetti applicativi della disciplina "de qua". In particolare, ci si e' chiesti quali siano i presupposti che, in generale, legittimano il procuratore generale ad appellare la sentenza ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. ovvero il modo in cui puo' essere manifestata l'acquiescenza del procuratore della Repubblica; se tale forma di acquiescenza sia riferibile alla sola figura del procuratore della Repubblica presso il tribunale, come indicato nell'articolo 593-bis, comma 1, c.p.p., o anche a quella del rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero che ha formulato le sue conclusioni nel corso del giudizio di primo grado, in quanto titolare di un'autonoma legittimazione ad impugnare ai sensi dell'articolo 570, comma 2, cod. proc. pen; ed ancora, quali siano la natura della legittimazione del procuratore generale ad appellare ai sensi dell'articolo 593-bis c.p.p. e la relazione esistente tra tale forma di legittimazione e quella a proporre il ricorso per cassazione, "per saltum" a mente dell'articolo 569 c.p.p. o, in alternativa, "ordinario" a norma degli articoli 606, comma 2, e 608 dello stesso codice di rito, avverso la sentenza emessa dal giudice di primo grado. 4. Con decreto del 14 dicembre 2022 il Presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione nelle forme e con le modalita' di cui all'articolo 23, commi 8 e 9, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modificazioni (i cui effetti sono stati prorogati dall'articolo 94, comma 2, Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, introdotto dall'articolo 5-duodecies del Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199). Con istanza trasmessa il 24 gennaio 2023 l'Avvocato generale presso questa Corte ha chiesto di poter discutere oralmente della causa; con provvedimento adottato in pari data il Presidente aggiunto ha disposto in conformita'. 5. Nell'odierna udienza pubblica l'Avvocato generale ha concluso come sopra indicato, riportandosi in parte al contenuto delle note di udienza in precedenza depositate in cancelleria il 16 febbraio 2023. In dettaglio, dopo aver ricordato che la ratio dell'inserimento nel codice di rito penale dell'articolo 593-bis e' stata quella di evitare che il giudice di secondo grado possa essere chiamato a decidere su piu' atti di appello, semmai di contenuto non coordinato, presentati contro la medesima sentenza di primo grado da piu' organi dell'ufficio del pubblico ministero, l'Avvocato generale ha rilevato come, per un verso, il sostenere che l'acquiescenza del procuratore della Repubblica debba essere intesa come inutile decorso del relativo termine per impugnare finirebbe per privare il procuratore generale, in assenza di una adeguata modifica della disciplina del computo di quei termini, di tempi congrui per poter predisporre e presentare il proprio atto di impugnazione. Per altro verso, ha argomentato che la disciplina in vigore non permette di affermare che il procuratore generale debba necessariamente chiedere al procuratore della Repubblica una formale dichiarazione di acquiescenza da allegare al proprio atto di appello. Al contrario, valorizzando il dettato dell'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. (secondo cui " Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d'appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto"), pure inserito dall'articolo 8 Decreto Legislativo n. 11 del 2018, e' possibile prevedere che il procuratore generale, in occasione della presentazione di un atto di appello avverso una sentenza di primo grado, debba attestare di aver raggiunto quella intesa con il procuratore della Repubblica, cosi' "veicolando" dinanzi al giudice di secondo grado le ragioni della propria legittimazione: attestazione in assenza della quale - come nel caso di specie e' accaduto - l'atto di impugnazione deve considerarsi inammissibile. Quanto alle altre questioni controverse, l'Avvocato generale ha sostenuto che: l'acquiescenza del procuratore della Repubblica, presupposto per l'appello del procuratore generale (che potrebbe essere integrata anche dal fatto concludente del decorso del termine per impugnare previsto per il primo di tali soggetti) vada riferita anche al pubblico ministero che ha presentato le sue conclusioni nel corso del giudizio di primo grado; e, in assenza delle condizioni di legittimazione a proporre appello ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale, sia che lo stesso venga qualificato come ricorso immediato sia che venga presentato come ricorso ordinario, va ritenuto inammissibile. 6. Il difensore dell'imputato si e' associato alle conclusioni dell'Avvocato generale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Le questioni di diritto per le quali il ricorso e' stato rimesso alle Sezioni Unite sono le seguenti: "quali presupposti legittimino il procuratore generale ad appellare la sentenza ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. "; "se l'acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento (articolo 593-bis, comma 2, c.p.p.) sia riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado"; "se, in assenza delle condizioni per l'appello del procuratore generale di cui all'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., il ricorso per cassazione dello stesso possa essere qualificato come ricorso immediato ex articolo 569 c.p.p. ovvero come ricorso ordinario ai sensi degli articoli 606, comma 2, e 608 c.p.p. ". 2. Sul tema oggetto della prima delle tre questioni innanzi delineate sono riconoscibili nella giurisprudenza di legittimita' due diversi orientamenti. 2.1. Per un primo indirizzo interpretativo, l'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., nel prevedere che "il procuratore generale presso la corte di appello puo' appellare soltanto (...) qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento", indica chiaramente l'acquiescenza come un "presupposto la cui positiva esistenza deve risultare perche' sussista quella legittimazione (ad impugnare), la cui assenza genera le conseguenze processuali di cui all'articolo 591, comma 1, lettera a), c.p.p. " (cosi' Sez. 5, n. 34831 del 16/06/2021, Vergari, non mass.; in senso conforme Sez. 5, n. 4269 del 07/12/2021, dep. 2022, Di Iorio, non mass.; Sez. 5, n. 30906 del 08/10/2020, Simola, non mass.; Sez. 5, n. 13808 del 18/02/2020, Faye, non mass.). In particolare, si e' sostenuto che l'acquiescenza e' un "fattore costitutivo della legittimazione ad impugnare" da parte del procuratore generale e non un mero "fatto processuale la cui esistenza deve essere verificata nel momento in cui il giudice di secondo grado e' chiamato ad esaminare l'impugnazione. E cio' perche' il processo di impugnazione e' pendente a partire dal momento in cui l'impugnazione e' proposta ed e' a quella data che vanno verificati i requisiti di ammissibilita'" (cosi', in particolare, Sez. 5, n. 4269 del 07/12/2021, dep. 2022, Di Iorio, cit.). Ne consegue che non e' "la proposizione dell'appello del procuratore della Repubblica che rende a posteriori inammissibile l'appello del procuratore generale, ma e' la dimostrata acquiescenza, secondo la chiara lettera dell'articolo 593-bis c.p.p., a fondare la legittimazione - altrimenti insussistente - del procuratore generale" (Sez. 5, n. 30906 del 08/10/2020, Simola, cit.). Da tali premesse si e' desunto che, al fine di garantire una coerenza razionale al nuovo "‘meccanismo" impugnatorio - che, senza alcuna modifica della disciplina della decorrenza dei termini per impugnare, e' caratterizzato dal riconoscimento al procuratore della Repubblica di un diritto ad impugnare in via principale e al procuratore generale del medesimo diritto esercitabile, pero', solo in via sussidiaria - deve essere valorizzata la disposizione dettata dall'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. (pure inserita dal Decreto Legislativo n. 11 del 2018) che richiede la promozione tra quegli uffici requirenti di intese o altre forme di coordinamento. In tale prospettiva "l'acquiescenza e' un dato che deve risultare dagli atti e che il giudice dell'impugnazione deve verificare positivamente" (cosi', in particolare, Sez. 5, n. 34831 del 18/06/2021, Vergari, non mass.; in senso conforme Sez. 3, n. 14242 del 03/03/2021, Anedda, non mass.). Ulteriore corollario - si e' aggiunto - e' che l'acquiescenza prevista dall'articolo 593-bis, comma 2, c.p. non puo' essere tacita, ma deve essere necessariamente espressa: con l'inevitabile effetto che, in mancanza di quella manifestazione espressa di acquiescenza, il procuratore generale e' legittimato ad impugnare la sentenza di primo grado solamente se sia gia' inutilmente spirato il termine per proporre l'impugnazione per il procuratore della Repubblica; mentre l'appello presentato dal procuratore generale quando i termini per impugnare per il procuratore della Repubblica sono ancora in corso, va giudicato inammissibile (Sez. 5, n. 4269 del 07/12/2021, dep. 2022, Di Iorio, cit.; Sez. 5, n. 34831 del 18/06/2021, Vergari, cit.). 2.2. Secondo un diverso indirizzo interpretativo, l'acquiescenza del procuratore della Repubblica prevista dall'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. non costituisce un presupposto che condiziona la esistenza della legittimazione ad impugnare del procuratore generale, ma rappresenta un mero fatto processuale da verificare nel momento in cui il giudice di secondo grado e' chiamato ad esaminare l'impugnazione. Ritenere, al contrario, che l'acquiescenza debba esistere nel momento in cui viene presentata l'impugnazione finirebbe per determinare conseguenze del tutto irragionevoli, perche' "contrae la legittimazione ad impugnare del procuratore generale a quel breve arco di tempo determinato dalla diversa decorrenza di fatto dei termini di impugnare delle due autorita', mentre l'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. dispone che, proprio al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione della sentenza di primo grado, il procuratore generale promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto (...) Ne consegue che e' ben possibile che il procuratore della Repubblica abbia comunicato la propria acquiescenza ad una pronuncia e il procuratore generale abbia voluto esercitare il proprio potere sussidiario prima dello spirare dei termini per il procuratore della Repubblica, senza dovere attendere che venga meno la legittimazione ad impugnare del procuratore della Repubblica. Sara' il giudice dell'impugnazione a verificare se il procuratore generale ha fatto legittimo utilizzo del suo potere, desumendo l'acquiescenza dalla mancata impugnazione" (cosi' Sez. 2, n. 6534 del 15/12/2021, dep. 2022, De Dominicis, Rv. 282814-02; in senso conforme Sez. 1, n. 30919 del 22/06/2022, Montefusco, non mass.; Sez. 2, n. 15449 del 20/04/2022, Tiesi, non mass.; Sez. 3, n. 14242 del 03/03/2021, Anedda, Rv. 281577-01). Tale orientamento si basa, dunque, sul riconoscimento, giustificato dal dettato normativo dell'articolo 570, comma 1, c.p.p., di una legittimazione ad impugnare del procuratore generale esercitabile nel rispetto del termine proprio che la legge processuale riconosce a tale ufficio requirente, indipendentemente dalla scadenza del termine di impugnazione previsto per il procuratore della Repubblica presso il tribunale. Ne deriva che laddove "l'atto di impugnazione proposto dal procuratore generale (...) venga depositato (nei termini propri) prima della decorrenza ultima del termine previsto in favore del procuratore della Repubblica, non puo' dunque parlarsi di inammissibilita', quanto di una condizione definibile in termini di "sospensione della validita'", posto che la conformita' al modello legale dell'atto dipende, a ben vedere, da una condizione di fatto (la integrale decorrenza dell'altrui termine senza la proposizione dell'appello) estranea alla volonta' del titolare del potere sussidiario". A differenza di quanto accade per tutti gli altri atti di impugnazione, per i quali la verifica dell'esistenza dei requisiti di ammissibilita' va fatta con riferimento al momento di esercizio della relativa facolta' da parte del soggetto legittimato, nel "particolare caso disciplinato dall'articolo 593-bis c.p.p. ben puo' ritenersi che il momento di verifica della particolare legittimazione sussidiaria vada identificato non gia' con il deposito del "proprio" atto di impugnazione, ma con quello della "scadenza" del termine di legge concesso al primo titolare del potere (...) Qualora l'atto di impugnazione sia depositato prima della decorrenza del termine concesso al primo legittimato e se manchi una dichiarazione espressa di rinuncia all'esercizio della facolta'", la verifica circa l'ammissibilita' dell'atto di impugnazione del procuratore generale va "resa cronologicamente coincidente con lo spirare del termine concesso al procuratore della Repubblica"; ove, infatti, "si manifesti, in tale momento, l'acquiescenza del procuratore della Repubblica, tale condizione - di fatto e di diritto - rende ammissibile l'impugnazione del procuratore generale, a nulla rilevando il suo previo deposito" (cosi', in particolare, Sez. 1, n. 30919 del 22/06/2022, Montefusco, cit.). 3. A differenza della seconda delle questioni in esame, in ordine alla quale non sono state registrate prese di posizione nella giurisprudenza delle Sezioni semplici di questa Corte di cassazione - e che per completezza di analisi sara', comunque, considerata nel prosieguo - anche sulla terza problematica, attinente ai rapporti tra la disciplina dettata dall'articolo 593-bis c.p.p. e le disposizioni codicistiche che prevedono la legittimazione a proporre ricorso per cassazione, si e' riscontrato nella giurisprudenza di legittimita' un contrasto interpretativo. 3.1. Per il primo orientamento il ricorso presentato dal procuratore generale, che non risulti legittimato ai sensi dell'articolo 593-bis c.p.p. a proporre appello, va sempre qualificato come ricorso immediato ai sensi dell'articolo 569, comma 1, c.p.p.. Tale conclusione e' stata sostenuta, in particolare, da una prima pronuncia del 2019 con la quale si e' affermato che l'assenza della manifestata acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale non incide sull'ontologica sussistenza del diritto ad impugnare in capo al procuratore generale, ma esclusivamente sulla possibilita' di un suo concreto esercizio. L'astratta appellabilita' della sentenza di primo grado comporta che il ricorso per cassazione presentato dal procuratore generale vada qualificato come ricorso "per saltum", con conseguente operativita' del meccanismo di rinvio al giudice competente di appello previsto dall'articolo 569, comma 4, c.p.p. (Sez. 3, n. 3165 del 22/11/2019, dep. 2020, Tortorici, Rv. 278637-01). Questa opzione ermeneutica, seguita da altre successive sentenze (Sez. 5, n. 47379 del 20/10/2022, Abate, non mass.; Sez. 3, n. 45532 del 07/07/2022, Mancini, non mass.; Sez. 6, n. 17871 del 22/04/2022, Antoniaccio, non mass.; Sez. 2, n. 6534 del 15/12/2021, dep. 2022, De Dominicis, Rv. 282814-02; Sez. 5, n. 10692 del 10/12/2021, dep. 2022, De Gennaro, Rv. 282846-01; Sez. 3, n. 21168 del 21/06/2020, Rusconi, non mass.), e' stata ripresa da quella decisione nella quale si e' rimarcato come, nella situazione considerata, l'ammissibilita' del ricorso del procuratore generale e la sua qualificazione come ricorso immediato si giustifichino per il fatto che "l'impugnazione non ha avuto oggetto un provvedimento che per sua intrinseca natura non era soggetto ad appello" (cosi' Sez. 2, n. 15449 del 14/01/2022, Tiesi, Rv. 283197-01; in senso conforme Sez. 5, n. 40378 del 14/09/2022, Esaltato, non mass.). 3.2. Privilegiando una differente impostazione interpretativa, un secondo orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che, laddove sia precluso al procuratore generale il potere di appellare in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, allo stesso modo risulta preclusa la legittimazione al ricorso "per saltum" ex articolo 569 c.p.p., essendo consentito in tal caso al procuratore generale, per effetto dell'inappellabilita' "soggettiva" della sentenza di primo grado, soltanto la proponibilita' del ricorso per cassazione ordinario ex articolo 608 c.p.p.: con la conseguenza che, in caso di annullamento della sentenza da parte della Cassazione, il rinvio va disposto non al giudice competente per l'appello ai sensi dell'articolo 569, comma 4, c.p.p., ma al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (in questo senso Sez. 4, n. 33867 del 28/10/2020, Ruberti, Rv. 279918-01; Sez. 5, n. 34998 del 20/10/2020, P., Rv. 279985-01; Sez. 5, n. 30906 del 8/10/2020, Simola, non mass.; Sez. 5, n. 13808 del 18/02/2020, Faye, Rv. 279075-01). In altri termini si e' detto che, nella ipotesi della presentazione del ricorso per cassazione da parte del procuratore generale prima dello spirare del termine per impugnare riservato al procuratore della Repubblica - situazione nella quale, mancando la forma di acquiescenza tacita richiamata dall'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., il procuratore generale non e' legittimato ad appellare - la sentenza di primo grado, inappellabile per il procuratore generale in ragione di quella limitazione soggettiva, deve essere equiparata ad una sentenza inappellabile per le sue caratteristiche procedurali, con la conseguenza che il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero di secondo grado va, in ogni caso, ritenuto ammissibile ed esaminato come ricorso ordinario ai sensi dell'articolo 608 c.p.p. (Sez. 5, n. 4269 del 07/12/2021, dep. 2022, Di Iorio, non mass.; Sez. 5, n. 34381 del 18/6/2021, P.G. c. Vergari, non mass.). 4. Per cio' che concerne la prima questione - e cioe', quali siano i presupposti che legittimano il procuratore generale ad appellare la sentenza ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. - da valutarsi in via logicamente pregiudiziale, il Collegio osserva quanto segue. 4.1. Nel contesto di una piu' ampia riforma della disciplina codicistica delle impugnazioni penali, l'articolo 593-bis c.p.p. e' stato inserito dall'articolo 3, comma 1, Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, al dichiarato scopo di ridurre il carico di lavoro dei giudici di secondo grado, evitando che gli stessi possano essere chiamati ad esaminare atti di impugnazione, semmai neppure coordinati nel loro contenuto, presentati da uffici diversi del pubblico ministero. Al fine di ridurre l'area dell'appello attraverso una razionalizzazione "(del)l'esercizio (del relativo potere) da parte della pubblica accusa", si e' inteso stabilire - si legge nella relazione di accompagnamento a quel decreto legislativo - che "il potere dell'appello spetta al procuratore generale solo in alcuni casi e non puo' sovrapporsi a quello del pubblico ministero di primo grado". Tale nuovo articolo nel prevedere che, "nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale puo' appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale", mentre "il procuratore generale presso la corte d'appello puo' appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento", ha significativamente modificato il rapporto paritario, disegnato nella disciplina codicistica previgente, tra la legittimazione ad impugnare del pubblico ministero di primo grado e quella del pubblico ministero di secondo grado. Se l'articolo 570, comma 1, c.p.p. prevedeva (e continua, in generale, a prevedere), ai fini dell'esercizio del potere di impugnazione, il principio della tendenziale uguale posizione per il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello, in quanto titolari di concorrenti legittimazioni tra loro indipendenti, con specifico riferimento all'appello avverso le sentenze di primo grado il nuovo articolo 593-bis c.p.p. ha introdotto una deroga a quel principio, disegnando un rapporto differenziato tra tali diversi uffici requirenti. Per il solo appello, alla legittimazione "prioritaria" del procuratore della Repubblica presso il tribunale e' affiancata una legittimazione del procuratore generale presso la corte di appello "secondaria" o, come efficacemente asserito dalla dottrina, "sussidiaria" ovvero "condizionata". In pratica, per perseguire la finalita' di evitare una duplicazione degli appelli della parte pubblica, il legislatore del 2018, pur lasciando inalterata la doppia titolarita' del potere di impugnazione dei due considerati rappresentanti dell'ufficio del pubblico ministero, ne ha condizionato ovvero ne ha limitato l'esercizio con riferimento alla figura del procuratore generale. Degli effetti di tale novita' legislativa vi e' gia' traccia nella piu' recente giurisprudenza di queste Sezioni Unite che, nell'esaminare altra questione, hanno avuto modo di evidenziare come l'articolo 570, comma 1, c.p.p. conferisca espressamente la facolta' di impugnazione "sia al procuratore della Repubblica presso il tribunale che al procuratore generale presso la corte di appello", tenuto conto che "la formulazione della norma indicata e' onnicomprensiva, in quanto tale riferibile senza limitazioni ad entrambi gli uffici giudiziari; e' di conseguenza consentita al procuratore generale l'impugnazione dei provvedimenti emessi da tutti i giudici del distretto (...) La norma fa salva la deroga di cui all'articolo 593-bis c.p.p., successivamente introdotto dall'articolo 3 Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, per effetto della quale il procuratore generale puo' appellare la sentenza di primo grado solo nei casi di avocazione o qualora vi sia stata acquiescenza del procuratore della Repubblica" (Sez. U, n. 47502 del 29/09/2022, Galdini, non mass. sul punto). 4.2. La disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. stabilisce che "il procuratore generale presso la corte d'appello puo' appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento". Benche' la formula sia sincretica, la lettura congiunta del primo e del comma 2 di tale articolo permette di comprendere agevolmente che il "provvedimento" oggetto dell'appello e' la sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado dal giudice per le indagini preliminari, dalla corte di assise o del tribunale. Nessun dubbio applicativo pone, poi, il riferimento al caso dell'avocazione, per l'ovvia considerazione che dal combinato disposto dei commi 1, lettera a), e 2 dell'articolo 51 c.p.p. si evince in termini inequivoci che, in tutti i casi di avocazione le funzioni, che nella fase delle indagini e nei procedimenti di primo grado spettano ai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale, sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello. In siffatte ipotesi, dunque, la legittimazione del procuratore generale non e' "secondaria" o "sussidiaria" rispetto a quella del procuratore della Repubblica, bensi' prioritaria ed esclusiva. Di piu' difficile decifrazione e' il significato della formula "qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza", istituto di cui il legislatore della novella non ha fornito una definizione ne' ne ha indicato in maniera specifica i contorni applicativi. A differenza di quanto previsto per il processo civile, per il quale l'articolo 329 c.p.c. disciplina espressamente l'istituto dell'acquiescenza (stabilendo che, salvi i casi di revocazione, "l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volonta' di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge, ne esclude la proponibilita'"), il codice del rito penale non conosceva tale figura giuridica prima della riforma del 2018. In passato, di acquiescenza ad un provvedimento si e' parlato, nella giurisprudenza di legittimita', esclusivamente in ordine ai casi di inutile decorso del termine entro il quale la parte legittimata avrebbe potuto presentare impugnazione (cosi', tra le molte, Sez. 1, n. 31855 del 05/05/2021, Salvi, Rv. 281938; Sez. 5, n. 48239 del 28/10/2019, D., Rv. 278041; Sez. 2, n. 55947 del 20/07/2018, Trisorio, Rv. 274687; Sez. 1, n. 50426 del 28/05/2016, Linguanti, Rv. 269183; vds. anche, Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, § 3, non mass. sul punto). E si e' sempre escluso che l'acquiescenza ad un provvedimento possa essere confusa con l'istituto della rinuncia all'impugnazione regolato dall'articolo 589 c.p.p., essendo pacifico che tale negozio processuale a contenuto abdicativo e di natura ricettizia, contenente una manifestazione di volonta' espressa, non ammette equipollenti e non puo' essere validamente attuato prima dell'avvenuta presentazione dell'impugnazione, cioe' prima dell'esercizio del diritto che ne costituisce l'oggetto (cosi', tra le tante, Sez. 1, n. 39219 del 12/02/2014, Argint, Rv. 260510; Sez. 2, n. 40218 del 19/06/2012, Fatale, Rv. 254342; Sez. 6, n. 10880 del 29/09/1995, Vaccariello, Rv. 203187). Ragioni, queste, che hanno indotto prudentemente la maggioranza dei primi commentatori della novella a identificare l'acquiescenza dell'articolo 593, comma 2, c.p.p. con l'inutile decorso del termine per impugnare previsto per il procuratore della Repubblica presso il tribunale. Tuttavia, la scelta del legislatore del 2018 di non chiarire espressamente in cosa debba consistere l'acquiescenza del procuratore della Repubblica e, soprattutto, di non modificare la complementare disciplina dei termini per impugnare, sono i fattori all'origine dei dubbi applicativi che hanno creato quei contrasti giurisprudenziali in ragione dei quali e' stato poi sollecitato l'intervento di queste Sezioni Unite. Ed infatti, collegare quella forma di acquiescenza al mero avvenuto decorso del termine per proporre impugnazione per il procuratore della Repubblica e, nel contempo, condizionare la "concorrente" legittimazione del procuratore generale ad appellare alla conoscenza dello spirare di quel termine, ha creato una sorta di "corto circuito" operativo. Cio' perche', come e' stato da piu' parti sottolineato, il decorso del termine per proporre appello potrebbe avere un dies a quo diverso per il pubblico ministero di primo grado (articoli 548, commi 1 e 2, e 585, comma 2, lettera a, b e c, c.p.p.) rispetto a quello previsto per il procuratore generale (articoli 548, comma 3, e 585, comma 2, lettera d, c.p.p.); con la conseguenza che - si e' detto - ben potendo il decorso dei due termini coincidere in tutto o in parte, se si ritenesse che il procuratore generale acquista la legittimazione a proporre appello contro una sentenza di primo grado solo dopo aver avuto conoscenza del fatto che il procuratore della Repubblica non ha esercitato il proprio potere di impugnazione nel termine consentitogli, lo stesso pubblico ministero di secondo grado si potrebbe trovare nella gran parte dei casi, per l'esiguita' di un congruo intervallo cronologico, nella materiale impossibilita' di predisporre e presentare quella impugnazione. Senza escludere - si e' aggiunto - il paradosso che, nel caso di deposito della motivazione della sentenza di primo grado senza il rispetto dei termini stabiliti dall'articolo 548, comma 2, c.p.p., il procuratore generale che dovesse ricevere la comunicazione di quell'avviso di deposito prima del procuratore della Repubblica, si vedrebbe di fatto privato di ogni possibilita' di esercitare quella facolta' di impugnazione. A tali inconvenienti si e' ritenuto di poter fare fronte immaginando che, in pendenza del termine per impugnare previsto per il procuratore della Repubblica, il procuratore generale possa comunque proporre l'appello "al buio", con un atto di impugnazione formalmente ammissibile, ma sottoposto ad una sorta di "condizione sospensiva" di validita'; in tale caso la verifica della conformita' dell'atto al modello legale puo' essere effettuata solo in un momento successivo dal giudice dell'impugnazione, al quale sarebbe cosi' affidato il compito di riscontrare la originaria esistenza della legittimazione dell'organo impugnante desumendola dall'inutile decorso del termine per impugnare previsto per il procuratore della Repubblica, cioe' dal verificarsi di una ‘condizione sospensiva' estranea alla volonta' del titolare del potere esercitato in via sussidiaria. 4.3. Tale opzione ricostruttiva, di certo molto suggestiva, e accreditata dalle numerose pronunce che hanno sostanziato il secondo degli orientamenti della giurisprudenza di legittimita' indicato nel punto 2.2, non e' condivisa da questo Collegio. E cio' perche' essa appare obiettivamente inconciliabile con il dettato normativo. L'articolo 591, comma 1, lettera a), c.p.p. stabilisce, in generale, che "l'impugnazione e' inammissibile (...) quando e' proposta da chi non e' legittimato (...)" e collega, quindi, l'esistenza di tale presupposto al momento genetico della presentazione del relativo atto. L'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., prescrivendo che il procuratore generale puo' appellare "qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza", indica, invece, chiaramente l'acquiescenza come un elemento costitutivo della legittimazione in capo al pubblico ministero di secondo grado. Inoltre, va rilevato come l'accoglimento della predetta impostazione ermeneutica si porrebbe in insanabile contrasto con il principio, espressione di un consolidato orientamento di questa Corte di cassazione, secondo il quale la verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l'impugnazione va compiuta con riferimento alla presentazione del relativo atto scritto, momento in relazione al quale va effettuato il controllo della esistenza di tutte le condizioni - tra cui la legittimazione della parte che esercita la facolta' - idonee a rendere l'atto medesimo idoneo a produrre validamente l'impulso necessario per dar luogo al giudizio di impugnazione. E' stato, inoltre, reiteratamente puntualizzato che "tutte la cause di inammissibilita' del ricorso per cassazione (ad eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, costituente causa sopravvenuta di inammissibilita') integrano un vizio intrinseco dell'atto (e) impediscono la valida costituzione del rapporto processuale d'impugnazione" (cosi' Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, in motivazione, § 7.6; nello stesso senso Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164-01; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266). 4.4. Per comprendere la valenza del nuovo sintagma "acquiescenza del procuratore della Repubblica", l'unico reale aggancio normativo - da valutare in stretta connessione con l'"asfittico" dato testuale dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. - e' contenuto nell'articolo 166-bis disp. att. c.p.p., significativamente introdotto dall'articolo 8 dello stesso Decreto Legislativo n. 11 del 2018, secondo cui "Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte d'appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto". Con tale disposizione il legislatore della novella ha voluto affidare al procuratore generale di ciascuna corte di appello il potere-dovere di verificare, volta per volta, con riferimento ad ogni singola sentenza di primo grado emessa da un giudice del distretto, quali siano le intenzioni del procuratore della Repubblica competente, titolare della legittimazione per cosi' dire "principale" ad appellare, e conseguentemente se vi siano le condizioni per lo stesso procuratore generale di esercitare la facolta' di proporre tale impugnazione, in alternativa, sulla base della sua legittimazione "sussidiaria". Il dato testuale induce a ritenere che la norma non richieda una formalizzazione processuale di una manifestazione di volonta' da parte del procuratore della Repubblica, assimilabile ad una sorta di rinuncia ad impugnare ovvero ad altro atto processuale tipico; e tanto meno impone che il termine previsto per tale ufficio per proporre appello sia gia' spirato. La formula impiegata ("Al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione (...)") lascia intendere che la verifica debba essere compiuta dal procuratore generale durante il decorso di quel termine. Si puo', quindi, escludere che il legislatore abbia voluto far riferimento ad una qualche forma di acquiescenza tacita, ricavabile per facta concludentia, perche' l'acquiescenza del procuratore della Repubblica, nella indicazione desumibile dal combinato disposto degli articoli 593-bis c.p.p. e 166-bis disp. att. c.p.p., finisce per rappresentare esclusivamente l'espressione del risultato di quella intesa o di altro modulo organizzativo che sia stato scelto per il coordinamento dei due uffici di procura. La norma de qua neppure prescrive che il procuratore generale presso la corte di appello debba allegare al proprio atto di impugnazione un qualche documento che attesti l'intervenuta acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica: di talche' e' ragionevole ritenere che il procuratore generale - nella logica di "deformalizzazione" che ha qualificato la riforma, tesa ad assicurare "fludita'" ed efficienza al sistema delle impugnazioni - non debba certificare formalmente, nel proprio atto di impugnazione, di aver compiuto quella verifica. Una attenta esegesi letterale di quella disposizione permette, altresi', di rilevare come la disposizione in argomento non richieda affatto che le relazioni tra il procuratore generale presso la corte di appello e i procuratori della Repubblica del distretto debbano essere necessariamente disciplinate, in linea generale, da un apposito protocollo o da altro documento organizzativo. L'adozione di un formale modulo regolamentare che disciplini i rapporti tra i due uffici requirenti e' di certo auspicabile, e nella pratica risulta che in quasi tutti i distretti iniziative di tale natura siano state in effetti adottate. Si tratta di accorgimenti per cosi' dire di "soft-law", tesi esclusivamente a favorire le relazioni tra i rappresentanti di quegli uffici, destinati tuttavia ad avere una rilevanza puramente interna, organizzativo-ordinamentale, non anche una valenza processuale: al pari di quanto accade per i protocolli organizzativi e per gli altri strumenti di coordinamento che i diversi uffici del pubblico ministero dovessero adottare a fini investigativi ai sensi dell'articolo 371, comma 1, c.p.p., per i quali convincentemente si e' negato che una inosservanza delle relative regole possa inficiare la validita' degli atti di indagine compiuti da un pubblico ministero (in questo senso Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018, Lillo, Rv. 272536). L'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. prevede, infatti, che il procuratore generale e il procuratore della Repubblica raggiungano una intesa ovvero definiscano un accordo come risultato di una qualsivoglia iniziativa di coordinamento tra i due uffici: intesa che, pertanto, ben potrebbe essere raggiunta volta per volta e in maniera informale, con riferimento ad uno o alcuni specifici procedimenti penali. Va, dunque, escluso - al contrario di quanto sostenuto da una parte della dottrina - che i protocolli eventualmente sottoscritti dal procuratore generale della corte di appello con i procuratori della Repubblica del distretto debbano essere allegati dal pubblico ministero di secondo grado al proprio atto di impugnazione. Va anche rifiutata l'idea che la mancata osservanza delle indicazioni, di valenza puramente organizzativa, contenute in documenti di quella natura - che, peraltro, oltre ad avere contenuto molto diverso tra distretto e distretto, potrebbero persino in concreto risultare assenti - possa essere in qualche modo sanzionata processualmente. In tal senso possono essere condivise le specifiche argomentazioni su tali profili contenute nelle pronunce nelle quali si e' evidenziato come quelle intese generali, concretizzatesi in regole protocollari nei rapporti tra gli uffici, "non poss(a)no trovare ingresso nel singolo processo" (cosi' Sez. 2, n. 15449 del 14/01/2022, Tiesi, Rv. 283197, § 2.2, non mass. sul punto; Sez. 2, n. 6534 del 15/12/2021, dep. 2022, De Dominicis, § 1.1, non mass. sul punto). 4.5. Una lettura logico-sistematica della disposizione generale contenuta nel nuovo articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., ed il fatto che il legislatore della riforma abbia riservato non ad una norma del codice, ma ad una "di servizio", come quella prevista nel collegato articolo 166-bis delle disposizioni di attuazione del codice di rito, la disciplina delle intese giustificative dell'acquiescenza, sono elementi che portano ragionevolmente a ritenere che la novella del 2018 non abbia voluto mutuare criteri formali validi per la operativita' di altri istituti, come quello della acquiescenza espressa o tacita regolato dal codice di procedura civile, bensi', affidando al procuratore generale il "potere" (di cui vi e' esplicito riferimento nella rubrica dello stesso articolo 166-bis) di verificare quale siano le intenzioni del procuratore della Repubblica, "al fine di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni relative all'impugnazione delle sentenze di primo grado", abbia voluto assegnare al rappresentante dell'ufficio di vertice della magistratura requirente del distretto una funzione propulsiva di verifica e coordinamento in vista della razionalizzazione delle impugnazioni avverso il medesimo provvedimento. E' la ratio di tale innovazione che fa comprendere il significato che il legislatore ha inteso dare alle disposizioni in esame. Se lo scopo del nuovo articolo 593-bis c.p.p. e' stato quello di evitare che contro la medesima sentenza si possano sommare l'appello del pubblico ministero di primo grado e quello del pubblico ministero di secondo grado, si' da garantire che il giudice dell'appello sia investito di un'unica impugnazione, la correlata opzione legislativa di non modificare la disciplina generale dei termini per proporre l'impugnazione conduce logicamente a sostenere che il procuratore generale presso la corte di appello - ovviamente laddove abbia maturato l'intenzione di proporre appello contro la sentenza di primo grado, se del caso anche a seguito di una sollecitazione formulata dalla parte civile o dalla persona offesa ai sensi dell'articolo 572 c.p.p. - debba promuovere le intese ed esercitare la indicata funzione di verifica in maniera tale da definire quale dei due uffici di procura presentera' l'atto di impugnazione. Tale approdo ermeneutico appare idoneo ad eliminare gli inconvenienti paventati dalla dottrina e dalla giurisprudenza - derivanti dal contestuale decorso dei termini per impugnare per il procuratore della Repubblica e per il procuratore generale presso la corte di appello, e porta a soluzioni applicative coerenti con i principi di sistema del processo penale. Il procuratore generale che propone un appello contro una sentenza di primo grado riconosce, assumendosi la relativa responsabilita' ordinamentale, di avere esercitato il potere-dovere di coordinamento e di preliminare verifica assegnatogli dall'articolo 166-bis disp. att. c.p.p., e indica cosi' il proprio ufficio come legittimato ad impugnare ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p.. Non vi e' alcuna previsione normativa che autorizzi a sostenere che il giudice dell'impugnazione possa successivamente sindacare il contenuto della intesa raggiunta dal procuratore della Repubblica con il procuratore generale, confermata dalla presentazione da parte di quest'ultimo dell'unico atto di appello. Soluzione, questa, che non comporta alcuna ingiustificata limitazione o altro incongruo sacrificio per le ragioni difensive dell'imputato o delle altre parti private, in quanto tale innovativo "meccanismo" processuale richiede esclusivamente che contro la sentenza di primo grado sia presentato un solo atto di appello della parte pubblica. L'applicazione "fisiologica" delle norme in esame dovrebbe escludere in radice la possibilita' che, a fronte della proposizione dell'appello da parte del procuratore generale, risulti presentato avverso la medesima sentenza anche un atto di appello del procuratore della Repubblica. Laddove un concorso di atti di impugnazione dovesse in concreto verificarsi, tale evento "patologico", conseguenza della mancata osservanza delle regole interne di natura ordinamentale a carattere organizzativo, e' l'indice della mancata acquiescenza e della non operativita' delle intese: in questo caso l'impugnazione del procuratore generale presso la corte di appello e' inammissibile. 4.6. Resta, infine, sullo sfondo il tema concernente la definizione dell'ambito di operativita' della disposizione dettata dall'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. laddove oggetto dell'atto di appello sia una sentenza di primo grado soggettivamente o oggettivamente cumulativa: situazioni nelle quali ci si potrebbe domandare se la mancata acquiescenza al provvedimento da parte del procuratore della Repubblica precluda in assoluto la legittimazione residuale del procuratore generale oppure se tale organo possa proporre l'impugnazione con riferimento a talune posizioni soggettive o a capi e punti della decisione che non interessati dall'appello ‘principale'. Si tratta di questione che il Collegio ritiene di non dover esaminare, perche' non rilevante nel caso di specie. Peraltro, su tale specifica problematica non e' stato registrato un contrasto giurisprudenziale ed e' opportuno lasciare che siano le Sezioni semplici, in relazione alle peculiarita' delle singole fattispecie, ad approfondire la tematica. 5. Deve essere, a questo punto, esaminata la seguente ulteriore questione: se l'inammissibilita' dell'appello del procuratore generale avverso la sentenza di primo grado derivi esclusivamente dall'avvenuta presentazione dell'appello da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale o anche da parte del rappresentante della pubblica accusa che ha formulato le conclusioni nell'udienza del giudizio di primo grado. I dubbi sono sostanzialmente dovuti alla divergenza esistente tra il testo del dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. e quello dell'articolo 1, comma 84, lettera g), della legge delega 23 giugno 2017, n. 103, in attuazione della quale e' stato adottato il piu' volte citato Decreto Legislativo n. 11 del 2018. La prima disposizione fa riferimento all'acquiescenza del solo procuratore della Repubblica presso il tribunale; la seconda, invece, fissa per il legislatore delegato il principio "che il procuratore generale presso la corte di appello possa appellare soltanto nei casi (...) di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado", utilizzando cosi' una formula piu' ampia, comprensiva anche della figura del sostituto procuratore, rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero, che ha presentato le conclusioni nel giudizio, titolare di una distinta legittimazione ad impugnare, giusta la previsione dell'articolo 570, comma 2, c.p.p.. L'interpretazione lessicale della chiara formula impiegata dal legislatore delegato non sembra lasciare spazio a dubbio alcuno, in quanto il preciso sintagma utilizzato nell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p. ("procuratore della Repubblica") induce a ritenere che la legittimazione del procuratore generale presso la corte di appello non sia condizionata dalle iniziative eventualmente assunte dal pubblico ministero che nel giudizio di primo grado aveva presentato le conclusioni. La novella del 2018, infatti, non ha inciso in alcun modo sull'autonoma legittimazione ad impugnare di tale ultima figura, con la conseguenza che l'appello proposto dal pubblico ministero che ha presentato le conclusioni nel giudizio (articolo 570, comma 2, c.p.p.) ben puo' concorrere con quello del procuratore generale che dovesse risultare legittimato ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p.. Tale soluzione risponde, peraltro, alla logica di un sistema che riconosce al magistrato requirente che partecipa al giudizio e formula le sue conclusioni piena autonomia decisionale rispetto al procuratore della Repubblica: e' pacifico che la disposizione dettata dal comma 2 dell'articolo 570 c.p.p. deve essere letta come accrescitiva, e non limitativa, dei poteri del rappresentante del pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni in udienza, conferendogli una piena e distinta legittimazione all'impugnazione (in questo senso Sez. 1, n. 11353 del 12/10/1992, D'Orazio, Rv. 192894). Il quadro normativo e giurisprudenziale e', percio', coerente con l'opzione interpretativa in base alla quale il pubblico ministero che ha presentato le proprie conclusioni in udienza conserva la legittimazione ad appellare la sentenza del giudice di primo grado indipendentemente dalla scelta, operata dal capo del proprio ufficio ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., di prestare acquiescenza a quel provvedimento. L'inequivoco risultato dell'esegesi letterale e di quella logico-sistematica toglie ogni spazio alla possibilita' di valorizzare il diverso esito di una interpretazione teleologica, che una parte della dottrina ha reputato di poter utilizzare per far prevalere sul dato testuale della norma introdotta dal legislatore delegato la volonta' del legislatore delegante di evitare duplicazioni di impugnazioni. Rimane da chiedersi se la riconosciuta divergenza tra il criterio formalmente fissato dalla legge delega n. 103 del 2017 e il diverso testo adottato con il decreto legislativo delegato possa sostanziare un dubbio di legittimita' costituzionale per violazione dell'articolo 76 Cost.: questione che, tuttavia, oltre a sembrare non rilevante nel caso di specie, appare manifestamente infondata. Ed invero, la Corte costituzionale ha, in piu' occasioni, puntualizzato come il carattere vincolato della legislazione delegata, derivante dalla predeterminazione parlamentare dei principi e criteri direttivi, non escluda margini di discrezionalita' nelle scelte che e' chiamato a compiere il legislatore delegato (cosi', ex plurimis, Corte Cost., sent. n. 426 del 2008). In particolare, si e' chiarito che, pur sussistendo tra la disposizione delegante e quella delegata un "naturale rapporto di riempimento", l'articolo 76 Cost. non e' di ostacolo all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo da parte del legislatore delegato, il quale non e' tenuto "a una mera scansione linguistica delle previsioni dettate dal delegante" (cosi', tra le molte, Corte Cost., sent. n. 10 del 2018): essendo egli, invece, libero di individuare ragionevoli contenuti attuativi della legge delega, di cui vanno rispettati i limiti invalicabili, ben potendo - come nella fattispecie e' accaduto interpretare e scegliere fra le alternative che gli si offrono e valutare le specifiche situazioni da disciplinare (cosi', tra le diverse, Corte Cost., sent. n. 59 del 2016; e sent. n. 174 del 2005; sull'argomento, seguendo l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, vds. anche Sez. U, n. 17615 del 23/02/2023, Lombardi, § 9.4, non mass. sul punto; Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, § 5.3, non mass. sul punto). 6. I percorsi argomentativi fin qui esposti consentono di formulare, in via logicamente consequenziale, ulteriori valutazioni in ordine alla terza delle questioni portate all'attenzione di queste Sezioni Unite, attinente ai rapporti tra la legittimazione "sussidiaria" o "condizionata" del procuratore generale a proporre appello avverso la sentenza del giudice di primo grado (articolo 593-bis, comma 2, c.p.p.) e la sua legittimazione a presentare ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza. 6.1. Quanto alla facolta' di proporre ricorso immediato o "per saltum", va ricordato come l'articolo 569, comma 1, c.p.p. stabilisca espressamente che "La parte che ha diritto ad appellare la sentenza di primo grado puo' proporre direttamente ricorso per cassazione": formula, questa, che disegna un concetto di appellabilita' in senso soggettivo, perche' quel mezzo di impugnazione viene considerato come alternativo in relazione alla posizione della parte impugnante. Da tanto e' possibile arguire che il procuratore generale in tanto e' legittimato a presentare ricorso immediato per cassazione in alternativa all'atto di appello, in quanto sia legittimato a proporre quest'ultimo ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., dunque solo nei casi di avocazione o di acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento. Con l'ulteriore conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorso immediato del procuratore generale si converte in appello laddove la sentenza di primo grado sia stata appellata da una delle parti private (o dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni), giusta la previsione degli articoli 569, comma 2, e 580 c.p.p. Qualora, in accoglimento del ricorso immediato, la Corte di cassazione annulli con rinvio la sentenza di primo grado - salvi i casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza impugnata - gli atti dovranno essere trasmessi al giudice competente per il secondo grado. In assenza dell'acquiescenza del procuratore della Repubblica, a quest'ultimo e' lasciata l'alternativa di presentare l'atto di appello o il ricorso immediato per cassazione: in tale situazione - fatta eccezione per i casi del tutto eccezionali di difettoso coordinamento tra l'ufficio di procura di primo grado e quello di secondo grado, sopra esaminati nel punto 4.5 - il ricorso "per saltum" eventualmente proposto dal procuratore generale presso la corte di appello e' destinato ad essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione. In relazione a tale aspetto questo Collegio ritiene, pertanto, di non condividere le riflessioni sviluppate nelle pronunce che, sulla base di percorsi talora parzialmente differenti, si inscrivono nell'indirizzo giurisprudenziale in precedenza indicato nel punto 3.1. 6.2. Va ora esaminato il quesito complementare, e cioe' se il procuratore generale che non sia legittimato a proporre appello per l'assenza delle condizioni previste dall'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., sia legittimato a presentare contro la sentenza di primo grado ricorso per cassazione "ordinario", ai sensi dell'articolo 606, comma 2, c.p.p. ("Il ricorso, oltre che nei casi e con gli effetti determinati da particolari disposizioni, puo' essere proposto contro le sentenze (...) inappellabili"), ovvero dell'articolo 608, comma 1, c.p.p. ("Il procuratore generale presso la corte di appello puo' ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento (...) inappellabile"). L'interrogativo concerne la definizione del concetto di "inappellabilita'" al quale si riferiscono le disposizioni innanzi richiamate. Se si ritenesse che il legislatore abbia voluto assegnare a quell'aggettivo un significato oggettivo (la sentenza di primo grado deve in ogni caso essere inappellabile dall'ufficio del pubblico ministero inteso a mente dell'articolo 570, comma 1, c.p.p.), resterebbe preclusa la legittimazione del procuratore generale a proporre ricorso per cassazione, laddove la sentenza sia appellabile dal procuratore della Repubblica. Se, invece, l'appellabilita' e' interpretata in chiave soggettiva con riferimento alla specifica posizione del soggetto processuale considerato, si dovrebbe riconoscere al procuratore generale, pur non legittimato a proporre appello, la facolta' di presentare il ricorso "ordinario" per cassazione. L'esegesi degli articoli 606, comma 2, e 608 c.p.p. non permette di acquisire indicazioni di valenza univoca. Al contrario, l'interpretazione logico-sistematica delle predette disposizioni induce fondatamente a ritenere che, nel riconoscere al procuratore generale la legittimazione a proporre il ricorso per cassazione avverso la "sentenza inappellabile", il legislatore abbia inteso richiamare i casi nei quali e' oggettiva la qualita' della inappellabilita' della sentenza, ossia quelli in cui il codice di rito esclude che l'ufficio del pubblico ministero, in tutte le sue articolazioni, possa presentare appello contro una sentenza di primo grado. E' il caso della sentenza di condanna (salvo che non abbia modificato il titolo del reato) emessa all'esito di giudizio abbreviato ai sensi dell'articolo 443, comma 3, c.p.p.; della sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti (salvo che non si tratti di pronuncia emessa nonostante il dissenso del pubblico ministero) adottata ai sensi dell'articolo 448, comma 2, c.p.p.; della sentenza predibattimentale di cui all'articolo 469 c.p.p.; della sentenza dibattimentale di condanna emessa in assenza dei presupposti dell'articolo 593, comma 1, c.p.p. o in presenza dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 593 c.p.p. In queste ipotesi e' pacifico che il procuratore generale possa proporre contro la sentenza di primo grado ricorso per cassazione "ordinario", destinato, in caso di connessione ex articolo 12 c.p.p., a convertirsi in appello se tale mezzo di impugnazione sia stato presentato da una delle parti private legittimate; qualora la Corte di cassazione accolga il ricorso e disponga l'annullamento con rinvio, gli atti saranno trasmessi al giudice che ha emesso la sentenza in primo grado, giusta la previsione dell'articolo 623, comma 1, lettera d), c.p.p.. Gli articoli 606, comma 2, e 608 c.p.p. non possono, dunque, essere valorizzati in relazione all'ipotesi disciplinata dall'articolo 593-bis, comma 2, nella quale - come si e' gia' avuto modo di porre in evidenza - non si puo' sostenere che la sentenza sia oggettivamente inappellabile, ben potendo l'atto di appello essere proposto dal procuratore della Repubblica presso il tribunale: sicche' l'esercizio della relativa facolta' da parte del pubblico ministero di primo grado "consuma" il potere di appello e non serve a modificare, in relazione alla "concorrente" posizione del procuratore generale presso la corte di appello, la natura del provvedimento. L'opposta soluzione esegetica, privilegiata in particolare dalle sentenze delle Sezioni semplici sopra richiamate nel punto 3.2, oltre ad apparire incompatibile con la lettera delle norme in esame, finirebbe nei suoi risultati pratici per contrastare con le esigenze di semplificazione del sistema sottese alla disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 11 del 2018. Consentire che, in presenza dell'esercizio del potere di appellare da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale, il procuratore generale presso la corte di appello sia, comunque, legittimato a proporre il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, finirebbe per determinare una situazione processuale di difficile gestione, provocata dalla "sovrapposizione" di mezzi di impugnazione eterogenei aventi ad oggetto la medesima decisione, proposti da organi che rappresentano la stessa parte processuale: il che vanificherebbe la finalita' perseguita dal Decreto Legislativo n. 11 del 2018, che - come si e' reiteratamente messo in rilievo - e' quella di deflazionare il lavoro del giudice di appello attraverso un razionale coordinamento delle iniziative degli uffici di procura di primo e di secondo grado. In tale contesto non va poi trascurato che tanto nel caso di sentenza oggettivamente cumulativa, avente ad oggetto piu' capi di imputazione tra loro connessi, che sia oggetto di rimedi impugnatori eterogenei, quanto nel caso di sentenza con un unico capo d'imputazione (v. Sez. 4, n. 18656 del 27/02/2018, Careddu, Rv. 273252), l'applicazione dell'istituto della conversione del ricorso in appello, regolato dall'articolo 580 c.p.p., frustrerebbe gli scopi della innovazione introdotta con la riforma del 2018: infatti, si realizzerebbe l'irragionevole effetto di "alimentare" quel fenomeno di duplicazione di atti di impugnazioni omogenei provenienti da articolazioni diverse della stessa parte pubblica, neutralizzando il "meccanismo" processuale fondato sul coordinamento dettato degli articoli 593-bis, comma 2, c.p.p. e 166-bis disp. att. cod. proc. pen., con una sostanziale "restituzione" al procuratore generale di quella legittimazione ad appellare le sentenze di primo grado che la novella aveva inteso trasformare in meramente "sussidiaria" e "condizionata". 6.3. Per completezza va sottolineato che l'opzione ermeneutica che in questa sede si e' voluta privilegiare solo in apparenza si pone in contrasto con il principio di diritto di recente enunciato da questa Sezioni Unite, secondo il quale la sentenza di condanna che abbia omesso di applicare una pena accessoria e' ricorribile per cassazione per violazione di legge da parte sia del procuratore della Repubblica che del procuratore generale a norma dell'articolo 608 c.p.p. (Sez. U, n. 47502 del 15/12/2022, Galdini, Rv. 283754-01). Tale pronuncia riguardava il caso di una impugnazione presentata avverso una sentenza di condanna, emessa all'esito di giudizio dibattimentale, che non aveva modificato il titolo di reato, non aveva escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale e non aveva stabilito una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato: si trattava, dunque, di una sentenza di primo grado oggettivamente inappellabile ai sensi dell'articolo 593, comma 1, c.p.p., impugnata dal procuratore generale ai sensi dell'articolo 608 c.p.p., per la quale non si poneva il problema di un possibile concorso di atti di appello proposti sia dal pubblico ministero di primo grado sia da quello di secondo grado. 7. Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, le questioni oggetto di rimessione vanno risolte enunciando i seguenti principi di diritto: "La legittimazione del procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado a seguito dell'acquiescenza del procuratore della Repubblica consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall'articolo 166-bis disp. att. c.p.p. che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del procuratore della Repubblica in merito all'impugnazione della sentenza". "L'acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento (articolo 593-bis, comma 2, c.p.p.) non e' riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado'. "In assenza delle condizioni per presentare appello ai sensi dell'articolo 593-bis, comma 2, c.p.p., il procuratore generale non e' legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex articolo 569 c.p.p. ne' ricorso ordinario ai sensi degli articoli 606, comma 2, e 608 c.p.p. ". 8. Alla stregua delle "regulae iuris" innanzi delineate, e' possibile passare ad esaminare l'oggetto del ricorso portato all'odierna attenzione delle Sezioni Unite. 8.1. Preliminarmente va rilevato come la sentenza del Tribunale di Catanzaro, oggetto del ricorso, e' stata pronunciata nell'udienza fissata per lo svolgimento del giudizio dibattimentale prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ma dopo la verifica della regolare costituzione delle parti. Trova, percio', applicazione il principio secondo il quale la sentenza di proscioglimento, pronunciata nella udienza pubblica dopo il compimento delle formalita' previste dall'articolo 484 c.p.p. per la costituzione delle parti, non e' riconducibile al modello di cui all'articolo 469 c.p.p. ed e' appellabile nei limiti indicati dalla legge (Sez. U, n. 3512 del 28/10/2021, dep. 2022, Lafleur, Rv. 282473). Il Procuratore generale, pur potendo proporre appello, ha optato per il ricorso immediato a norma dell'articolo 569, comma 1, c.p.p. per fare valere un vizio di violazione di legge ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), dello stesso codice di rito. E' possibile affermare che e' lo stesso "fatto processuale" della presentazione di quel ricorso che fa ritenere avverata l'acquiescenza sulla base del risultato dell'intesa raggiunta con il procuratore della Repubblica a mente del combinato disposto degli articoli 593-bis c.p.p. e 166-bis disp. att. cod. proc.: intesa la cui natura "interna" esclude, come si e' avuto modo di chiarire, la necessita' di certificazioni o attestazioni di sorta da parte del soggetto impugnante. 8.2. Nel merito va detto che il ricorso e' fondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimita' il principio per cui il reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile e' procedibile d'ufficio e non a querela della persona offesa, in quanto il rinvio contenuto nell'articolo 12-sexies della L. 1 dicembre 1970, n. 898 all'articolo 570 c.p. si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime di procedibilita' (Sez. U, n. 23866 del 31/01/2013, S., Rv. 255270-01; Sez. 6, n. 23794 del 27/04/2017, B., Rv. 270223). Tale posizione e' stata poi ribadita anche a seguito del fenomeno di successione di leggi penali nel tempo verificatosi con l'introduzione della nuova fattispecie di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, di cui all'articolo 570-bis c.p., inserito nel codice dall'articolo 2, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 1 marzo 2018, n. 21: fattispecie che si pone in continuita' normativa con le due precedenti ipotesi di reato di cui ai richiamati articoli 570 c.p. e 12-sexies Decreto Legislativo cit. (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 20013 del 10/03/2022, B., Rv. 283303). Va, percio', confermato che, in tema di reati contro la famiglia, il delitto di omesso versamento dell'assegno periodico per il mantenimento dei figli di cui all'articolo 570-bis c.p. e' procedibile d'ufficio, in quanto e' rimasto immutato il regime della procedibilita' previsto per il delitto di cui all'articolo 12-sexies L. n. 898 del 1970, richiamato dall'articolo 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54, la cui abrogazione e' stata meramente formale, con trasposizione della relativa ipotesi criminosa nella nuova norma codicistica (cosi' Sez. 6, n. 7277 del 30/01/2020, P., Rv. 278331). 8.3. La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente al reato di cui all'articolo 12-sexies L. n. 898 del 1970 (capo 2) - ora confluito nella fattispecie prevista dall'articolo 570-bis c.p. - con rinvio, per nuovo giudizio su tale capo, alla Corte di appello di Catanzaro, competente ai sensi dell'articolo 569, comma 4, c.p.p.. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2 con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro. Dispone, a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003, n. 196, che - a tutela dei diritti o della dignita' degli interessati - sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalita' e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPOZZI Angelo - Presidente Dott. GALLUCCI Enrico - rel. Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA nei confronti di (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 22/06/2022 visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Gallucci; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile; letta la memoria scritta depositata dal difensore dell'imputato, Avvocato (OMISSIS), che contestato le deduzioni del PG insistendo per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 22 giugno 2022 ha parzialmente riformato - per quanto attiene la pena inflitta, ridotta a mesi nove di reclusione - quella di primo grado del Tribunale di Monza che ha condannato (OMISSIS) in relazione al reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articoli 81 c.p. e 12 sexies in relazione all'articolo 570 c.p. - ora articolo 570 bis c.p. - per non avere versato, in tutto o in parte, le somme poste a suo carico, a titolo di assegno divorzile e per il mantenimento dei figli, oltre ai 3/4 delle spese straordinarie, dal Tribunale civile di Monza con sentenza del 2008 (querela dell'aprile 2014, in permanenza). 2. Avverso la sentenza di appello ricorre, a mezzo del proprio difensore, l'imputato deducendo tre motivi. Con il primo motivo si censura la condanna in relazione all'omessa considerazione che il mancato versamento - parziale - delle somme contestate e' dipeso dall'incolpevole stato di indigenza in cui si trovava l'imputato che, fin quando ha potuto, ha sempre ottemperato totalmente e poi ha comunque cercato, nei limite delle sue possibilita', di adempiere. Con il secondo motivo si deduce che la Corte milanese non ha tenuto conto che dall'istruttoria e' emersa l'assenza del necessario elemento psicologico del dolo, come peraltro dimostrato dalla circostanza che per fatti analoghi, e di poco precedenti a quelli oggetto della condanna, (OMISSIS) e' stato assolto dal Tribunale di Monza proprio per la carenza dell'elemento psicologico di fattispecie (si allega la pronuncia in questione). Con il terzo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena - negata in modo illogico sulla base della presunzione di recidivanza non fondata su elementi obiettivi - e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anch'esse denegate facendo ricorso a clausole di stile. 3. Il giudizio di cassazione si e' svolto a trattazione scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato, in quanto non si confronta con le adeguate motivazioni della sentenza impugnata che si saldano con quelle, conformi, della pronuncia del Tribunale. 1.1 Invero, nel caso di specie si e' di fronte alla c.d. "doppia conforme" situazione che ricorre, appunto, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). 1.2. Va ancora rilevato che questa Sezione ha avuto modo di precisare che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicche' debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935). 1.3. Infine, e' opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 - dep. 2021, F., Rv. 280601). 2. Tutto cio' premesso, rileva la Corte, in riferimento ai primi due motivi di ricorso, che dalla sentenza impugnata emerge con chiarezza che l'omesso versamento di quanto dovuto - peraltro protratto per un lunghissimo periodo di tempo - non e' dovuto a fatto incolpevole. Sul punto, la Corte territoriale da' atto che (OMISSIS) ha certamente subito una drastica riduzione delle proprie entrate - a causa del fallimento della propria florida impresa - ma rileva che dall'istruttoria e' emerso che il predetto si e' fatto licenziare da un impiego che aveva ottenuto per mancato rispetto degli obblighi lavorativi e che circolava alla guida di macchine di lusso mantenendo un elevato tenore di via, al contempo negando il necessario per i figli). 2.1. In merito alla dedotta circostanza che l'imputato ha - sia pur parzialmente - comunque provveduto nei limiti delle proprie possibilita' a far fronte ai propri obblighi nei confronti dei figli minori, va ribadito che "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3, oggi trasfuso nella fattispecie di cui all'articolo 570-bis c.p., e' integrato non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicche' l'inadempimento costituisce di per se' oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza" (Sez. 6, n. 4677 del 19/01/2021, M., Rv. 280396 - 01), risultando dunque chiaramente sussistenti gli estremi materiali del reato. 2.2. Per quanto concerne poi l'elemento psicologico, il ricorrente si e' richiamato al piu' recente orientamento giurisprudenziale di questa Sezione secondo cui "l'impossibilita' assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'articolo 570-bis c.p., che esclude il dolo, non puo' essere assimilata alla indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilita' di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza (In motivazione la Corte ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarita' del caso concreto, e, in particolare, dell'entita' delle prestazioni imposte, delle disponibilita' reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all'occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessita' per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento)" (Sez. 6, n. 32576 del 15/06/2022, F., Rv. 283616). 2.3. Nella specie, la sentenza impugnata (pag. 5) rileva, da un lato, che l'incapacita' economica dell'appellante non puo' essere ricondotta alla perdita del lavoro, che risulta tutt'altro che incolpevole; dall'altro lato, che l'assegno di mantenimento non e' stato pagato regolarmente ne' in epoca precedente al licenziamento dell'imputato, ne' in epoca successiva alla riduzione da parte del giudice civile; concludendo che l'imputato, "omettendo scientemente di versare quanto dovuto, attuava dolosamente una violazione penalmente sanzionata". Conclusione ineccepibile anche alla luce del principio affermato dalla sentenza sopra riportata. 2.4. In riferimento, poi, alla dedotta rilevanza della pronuncia assolutoria per fatti analoghi a quelli oggetto della sentenza impugnata, giustamente il Procuratore generale presso questa Corte nelle sue conclusioni scritte ha evidenziato, oltre alla circostanza che non vi e' prova che la sentenza in questione sia divenuta irrevocabile, che in quel caso il mancato versamento aveva ad oggetto un ridottissimo periodo (dal 1 gennaio al 9 febbraio del 2012), peraltro di oltre due anni precedente alla contestazione, in un contesto, invece, caratterizzato da puntuali e completi versamenti di quanto dovuto. 3. Anche il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata argomenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, oltre che per la durata e sistematicita' dell'inadempimento, anche in ragione di una precedente condanna per il delitto di rapina a mesi undici di reclusione in ordine alla quale (OMISSIS) aveva ottenuto la sospensione condizionale. La negazione delle attenuanti generiche si e' basata sulla mancanza di elementi positivamente valutabili, peraltro neppure dedotti dalla difesa. Motivazione, sotto entrambi gli aspetti, certamente non illogica e quindi insindacabile in questa sede. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non emergendo alcun profilo da cui dedurre l'assenza di colpa nella proposizione del ricorso. - alla sanzione, ritenuta congrua, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende. Infine, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del d.lg. n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - rel. Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/09/2022 della Corte d'appello di L'Aquila; letti gli atti, il ricorso e l'ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere Dott.ssa CRISCUOLO Anna; lette le richieste del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa LORI Perla, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d'appello di L'Aquila ha riformato limitatamente alla pena, determinata solo in quella detentiva, la sentenza emessa il 25 ottobre 2021 dal Tribunale di Teramo, che aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per il reato di cui alla L. n. 54 del 2006, articolo 3 in relazione alla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies limitatamente alla figlia (OMISSIS). Ne chiede l'annullamento per due motivi: 1.1 violazione di legge e vizi della motivazione per mancata valutazione delle condizioni economiche, delle necessita' dell'imputato e delle circostanze del caso concreto. La Corte di appello ha valutato solo l'inadempimento, senza tener conto se fosse totale o parziale, senza considerare che dalle testimonianze rese e' emerso che l'onere assolto era il massimo possibile in relazione alle circostanze del caso concreto e che la somma di 766 Euro era rapportata alle precedenti condizioni economiche dell'imputato e non allo stato di bisogno. Versando una quota ragionevole del mantenimento (2-300 Euro mensili), egli ha garantito mezzi sufficienti per la prole, parametrati alle proprie capacita' economiche. 1.2 Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Pur avendo accolto il motivo di appello relativo alla alternativita' della pena prevista dall'attuale articolo 570 bis c.p. e non essendo contestato il reato di cui all'articolo 570 c.p., comma 2 poteva applicarsi la sola pena pecuniaria, ma la Corte di appello non ha spiegato le ragioni della scelta per la pena detentiva specie per l'imputato incensurato, che aveva in parte adempiuto all'obbligo di mantenimento. 2. Con memoria il difensore ha ribadito i motivi, insistendo per l'accoglimento del ricorso e segnalando che il reato configurabile e' il reato di cui all'articolo 570 c.p. procedibile a querela, nella specie non proposta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato. 1.1 Il primo motivo e' infondato, ai limiti dell'inammissibilita' nella misura in cui risulta meramente oppositivo e diretto a sollecitare una lettura alternativa della vicenda, preclusa in questa sede in assenza di incongruenze o illogicita' manifesta del ragionamento probatorio della Corte di appello. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza esclude che sia stata provata l'assoluta impossibilita' di adempiere dell'imputato, risultando, anzi, prova contraria, essendo emerso che l'attivita' lavorativa dell'imputato era in corso (la ditta era operativa e aveva commesse e lavori all'estero), sicche' correttamente e' stato ritenuto che anche la temporanea flessione delle entrate non equivale ad impossibilita' assoluta ne' il temporaneo inadempimento trovava giustificazione nelle condizioni economiche dell'obbligato. E', infatti, noto che l'obbligo di adempiere non e' esigibile solo nel caso in cui l'obbligato versi in uno stato di impossibilita' assoluta, che, pur non essendo assimilabile all'indigenza totale, deve essere assoluta, incolpevole e persistente per l'intero periodo oggetto di contestazione. Peraltro, la valutazione comparativa che la difesa lamenta non essere stata effettuata dalla Corte di appello, risulta essere stata compiuta direttamente dall'imputato che, anziche' richiedere al giudice civile la modifica dell'importo dovuto, ha provveduto all'autoriduzione dell'importo mensile da corrispondere, autonomamente determinato e ritenuto parametrato alle condizioni economiche del momento con inammissibile operazione di autoregolamentazione, atteso che all'obbligato non e' riconosciuto un potere di adeguamento dell'assegno in sostituzione della determinazione fatta dal giudice civile. Inconferente e' il riferimento allo stato di bisogno dei beneficiari, in quanto il reato contestato, oggi trasfuso nell'articolo 570 bis c.p., e' integrato dal mero inadempimento, dalla mera omissione della corresponsione dell'assegno divorzile nella misura fissata dal giudice, indipendentemente dalla circostanza che dall'omissione derivi il venir meno dei mezzi di sussistenza per il beneficiario. 1.2 Del tutto infondato e' il motivo nuovo sulla procedibilita' a querela del reato articolo 570 bis c.p.. Questa Corte ha gia' chiarito che il delitto di omesso versamento dell'assegno periodico per il mantenimento dei figli di cui all'articolo 570-bis c.p. e' procedibile d'ufficio, in quanto e' rimasto immutato il regime della procedibilita' previsto per il delitto di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies, richiamato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3, la cui abrogazione e' stata meramente formale, con trasposizione della relativa ipotesi criminosa nella nuova norma codicistica (Sez. 6 n. 7277 del 30/01/2020, Rv. 278331). 2. Anche il secondo motivo e' infondato. Premesso che nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dall'articolo 570-bis c.p. - che ha integralmente sostituito il disposto della L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies, conservandone il trattamento sanzionatorio - il generico rinvio, "quoad poenam", all'articolo 570 c.p., deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma 1 di quest'ultima disposizione (Sez. 6, n. 33165 del 03/11/2020, Rv. 279923), va rilevato che con l'appello la difesa contestava l'eccessivita' della pena e censurava l'errore commesso dal primo giudice, che aveva inflitto la pena congiunta di 4 mesi di reclusione e 200 Euro di multa, chiedendo l'applicazione della pena alternativa. La Corte di appello ha corretto l'errore, essendo pacifico, come gia' detto. che il rinvio all'articolo 570 c.p. e' riferito solo alla pena alternativa di cui al comma 1 della norma, ma ha escluso l'eccessivita' della pena inflitta, ritenendo congrua la misura della pena detentiva determinata dal primo giudice, in relazione alle modalita' della condotta, alla durata dell'inadempimento (dal maggio 2017 alla sentenza di primo grado del 25 ottobre 2021) ed alla personalita' negativa dell'imputato, in tal modo giustificando l'opzione per la pena detentiva in relazione alla gravita' del fatto. Per le ragioni illustrate il ricorso va rigettato con conseguente condanna del difensore al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco - Presidente Dott. VALLE Cristiano - Consigliere Dott. TATANGELO Augusto - rel. Consigliere Dott. PORRECA Paolo - Consigliere Dott. ROSSI Raffaele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al numero 16798 del ruolo generale dell'anno 2020, proposto da: BANCA (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione (OMISSIS), legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); - ricorrente - nei confronti di (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dall'avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); -controricorrente- nonche' (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)); - intimato - per la cassazione della sentenza del Tribunale di Brescia n. 717-2020, pubblicata in data 8 aprile 2020; udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 18 aprile 2023 dal consigliere Augusto Tatangelo; il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. ssa Anna Maria Soldi, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, come da requisitoria scritta gia' in atti; l'avvocato (OMISSIS), per la societa' ricorrente; l'avvocato (OMISSIS), per la controricorrente. Fatti di causa (OMISSIS) e la Banca (OMISSIS) S.p.A. (oggi Banca (OMISSIS)) hanno pignorato un cespite immobiliare in danno di (OMISSIS). Effettuata la vendita, sono sorte contestazioni tra i creditori in ordine alla distribuzione del ricavato. Avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che ha deciso in ordine a tali contestazioni, la (OMISSIS) ha proposto opposizione agli atti esecutivi ai sensi degli articoli 512 e 617 c.p.c.. L'opposizione e' stata in un primo tempo dichiarata improcedibile dal Tribunale di Brescia, con sentenza cassata da questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20018 del 06/10/2016, Rv. 642609 - 01). All'esito del giudizio di rinvio, il Tribunale di Brescia ha accolto l'opposizione, disponendo la modifica del piano di riparto nel senso richiesto dall'opponente e condannando la banca opposta a restituire a quest'ultima l'importo ritenuto indebitamente percepito, pari ad Euro 85.943,36. Ricorre Banca (OMISSIS), sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la (OMISSIS). Non ha svolto attivita' difensiva in questa sede l'altro intimato. E' stata disposta la trattazione in pubblica udienza. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.. E' stata disposta ed effettuata la rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo all'intimato (OMISSIS). Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia "violazione e falsa applicazione dell'articolo 474 c.p.c. nonche' L. n. 898 del 1970, articolo 8 II comma e articolo 2808 c.c., in relazione al motivo di cui al comma 1 n. 3, dell'articolo 360 c.p.c.". La societa' ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, modificando il progetto di distribuzione predisposto dal giudice dell'esecuzione, ha attribuito all'opponente (OMISSIS) anche l'importo (capitalizzato) dei ratei dell'assegno di mantenimento alla stessa riconosciuto in sede di divorzio, a carico del debitore, ma non ancora maturati al momento dell'approvazione del progetto stesso. Il motivo e' fondato. 1.1 Emerge dagli atti che la (OMISSIS), titolare di un credito avente ad oggetto l'assegno mensile di mantenimento in favore del figlio (OMISSIS) sulla base di sentenza di scioglimento del suo matrimonio con il debitore, credito garantito da ipoteca iscritta ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 8, dopo aver proceduto al pignoramento per i ratei di tale assegno fino a quel momento maturati, aveva proposto un ulteriore intervento nella procedura esecutiva, facendo valere la pretesa alla capitalizzazione dei ratei futuri e maturandi del medesimo. Il giudice dell'esecuzione le aveva originariamente attribuito, in sede di distribuzione del ricavato dalla vendita, esclusivamente l'importo dei ratei dell'assegno maturati fino al momento del riparto. Con la sentenza impugnata le e' stato invece integralmente riconosciuto il diritto di credito fatto valere con l'intervento. 1.2 Si premette che la decisione impugnata e' caratterizzata da una motivazione di ardua intelligibilita', dalla quale emerge con scarsa chiarezza finanche l'effettiva ratio decidendi della statuizione finale. Inoltre, il tribunale, avendo accolto l'opposizione, non si e' limitato, come avrebbe dovuto, a dichiarare l'illegittimita' del provvedimento impugnato e a indicare le ragioni di tale illegittimita' affinche' si potesse procedere nel modo corretto in sede esecutiva, ma ha disposto direttamente la modifica del progetto di distribuzione, attivita' riservata invece al giudice dell'esecuzione, in tal modo eccedendo dalle attribuzioni del giudice del merito dell'opposizione agli atti esecutivi di cui all'articolo 617 c.p.c., rimedio a carattere esclusivamente rescindente. In ogni caso, ai fini della presente impugnazione risulta decisivo ed assorbente il rilievo della manifesta fondatezza della censura con la quale si contesta l'erroneita', in diritto, del riconoscimento e dell'attribuzione alla creditrice, in sede di distribuzione conseguente ad esecuzione forzata, degli importi richiesti con il suo intervento a titolo di capitalizzazione dei ratei non ancora maturati dell'assegno divorzile. 1.3 A seguito delle modificazioni operate dal legislatore, con le riforme del 2005, in relazione alle disposizioni in precedenza dettate dagli articoli 499, 525, 551 e 563 c.p.c. in tema di intervento dei creditori nell'esecuzione forzata,, si discute se attualmente sia possibile l'intervento nel processo esecutivo per espropriazione, in virtu' di crediti non ancora esigibili, e se cio' sia eventualmente possibile anche a prescindere dalla sussistenza di un titolo esecutivo, eventualmente mediante il procedimento per il riconoscimento di siffatti crediti, oggi previsto dall'articolo 499 c.p.c.. Tali questioni di diritto non assumono, peraltro, concreta rilevanza nella fattispecie che ha dato luogo alla presente controversia, dal momento che la (OMISSIS) non ha in realta' fatto semplicemente valere un credito non ancora esigibile, ne' ha proposto intervento per un credito attualmente esistente ma non assistito da titolo esecutivo: la pretesa fatta valere con il suo intervento e' costituita, infatti, dai ratei futuri (cd. "maturandi") dell'assegno divorzile, cioe' da un credito non ancora attualmente esistente, in quanto non ancora maturato (non, quindi, semplicemente un credito esistente ma non ancora esigibile); anzi, ancora piu' precisamente, la pretesa fatta valere con l'in-tervento (per quanto emerge dagli atti) e' quella avente ad oggetto il pagamento in unica soluzione dell'assegno divorzile, mediante attualizzazione, nella forma della capitalizzazione, del credito, futuro ed eventuale, relativo ai ratei di detto assegno non ancora maturati. Cosi' dovendosi individuare l'oggetto e il titolo del credito fatto valere dalla (OMISSIS) in sede di intervento nel processo esecutivo, risulta evidente che si tratta di una pretesa radicalmente insussistente in diritto, in quanto la legge non consente affatto al titolare di un assegno mensile di mantenimento (per se' o per i figli minori non autosufficienti) riconosciuto con provvedimenti giudiziali emessi nel corso di un giudizio di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio, cioe' al titolare di un credito che matura periodicamente (di mese in mese, di regola), di pretendere dal coniuge gravato il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico: la corresponsione dell'assegno puo' avvenire "in unica soluzione", ai sensi della legge sul divorzio n. 898 del 1970, articolo 5, solo su accordo delle parti e se tale soluzione sia ritenuta equa dal tribunale, vale a dire dietro esplicito riconoscimento giudiziale in tal senso: il che, ovviamente, esclude altresi' che sussista un diritto dell'avente diritto alla capitalizzazione dei ratei "maturandi" se tanto non gli e' stato accordato dal giudice del merito che pronuncia il titolo esecutivo, giammai potendo allora provvedervi direttamente quello dell'esecuzione o dell'opposizione a quest'ultima. La radicale insussistenza della pretesa creditoria fatta valere con l'intervento nel processo esecutivo, cosi' come, d'altronde, anche la mera corretta qualificazione di quelli relativi ai ratei non ancora maturati dell'assegno divorzile come crediti non attuali e non come crediti attualmente esistenti ma inesigibili in considerazioni svolte dalla controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., con riguardo alla pretesa decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell'articolo 1186 c.c., poiche' la fattispecie per cui e' causa non puo' minimamente sussumersi nel paradigma di tale disposizione. Trattandosi, cioe', di credito a maturazione periodica, non di credito unico ripartito in ratei con diverse e successive scadenze, non potrebbero ritenersi in nessun caso sussistenti i presupposti per l'applicabilita' delle disposizioni richiamate, in tema di decadenza dal beneficio del termine. Si tratta, comunque, di argomentazioni tardive, in quanto non viene chiarito in che sede ed in che termini tale questione (che presupporrebbe anche accertamenti in fatto) era stata eventualmente sollevata nel corso del giudizio di merito. E', infine, opportuno osservare che non puo' avere rilievo, a sostegno delle pretese della (OMISSIS), l'avvenuta iscrizione di ipoteca per un importo corrispondente al credito per cui ha ottenuto l'assegnazione, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 8: l'indicata prelazione, benche' la sua costituzione sia effettivamente possibile, in caso di inadempienza del debitore, fino a concorrenza di una somma in sostanza corrispondente all'importo della capitalizzazione dell'assegno, puo' poi essere fatta valere in concreto esclusivamente nei limiti dei ratei dell'assegno stesso gia' maturati al momento in cui - con la distribuzione del ricavato - l'azionato processo esecutivo si chiude e non pure per quelli di futura (ed eventuale) maturazione, secondo l'indirizzo di questa stessa Corte, cui va certamente data continuita' (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 679 del 29/01/1980, Rv. 404103 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 12309 del 06/07/2004, Rv. 574168 - 01), coerentemente con quanto fin qui esposto in diritto. L'esclusione, dall'attribuzione disposta in sede di riparto, dei ratei dell'assegno successivi a quelli gia' maturati al momento del riparto stesso (i quali possono essere riconosciuti, a seguito di intervento o di suoi equipollenti: v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22645 del 11/12/2012, Rv. 624690 - 01) deve, pertanto, ritenersi correttamente operata dal giudice dell'esecuzione. E tanto in applicazione dei seguenti principi di diritto: "il titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per se' o per i figli minori non autosufficienti) riconosciuto con provvedimenti giudiziali emessi nel corso di un giudizio di separazione coniugale o scioglimento del matrimonio, trattandosi di credito che matura periodicamente (di regola: di mese in mese), non puo' pretenderne direttamente in sede esecutiva il pagamento in unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo corrispettivo economico, alla quale non puo' in nessun caso provvedere direttamente ne' il giudice dell'esecuzione, ne' quello adito in sede di opposizione a quest'ultima; i ratei non ancora maturati dell'assegno di separazione o divorzio non costituiscono crediti attualmente esistenti e semplicemente inesigibili in quanto sottoposti a termine di scadenza, trattandosi invece di crediti futuri ed eventuali, non ancora venuti ad esistenza, il che esclude che con riguardo al mancato pagamento degli stessi possa invocarsi la decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell'articolo 1186 c.c.; anche laddove il coniuge titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento (per se' o per i figli minori non autosufficienti) abbia iscritto ipoteca sui beni dell'obbligato, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 8, fino a concorrenza di una somma corrispondente all'importo della capitalizzazione del suddetto assegno, in sede di esecuzione forzata egli puo' far valere il suo diritto - anche sui beni ipotecati - esclusivamente nei limiti dei ratei dell'assegno stesso gia' maturati fino al momento dell'intervento nel processo esecutivo e, comunque e nelle forme di legge, fino a non oltre quello in cui - con la distribuzione del ricavato - tale processo si chiude, non pure per quelli di successiva ed eventuale maturazione". Ne consegue che la decisione impugnata, che ha statuito in senso contrario ai principi di diritto sin qui esposti, va senz'altro cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo' essere decisa nel merito, ai sensi dell'articolo 384, comma 2, c.p.c., con il rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi proposta dalla (OMISSIS), siccome la ragione da costei dispiegata contro l'or-dinanza del giudice dell'esecuzione e' qui - e in via definitiva - riconosciuta infondata: ed a tanto, per la natura soltanto rescindente dell'opposizione formale, va limitata la pronuncia. 2. Con il secondo motivo, avanzato in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento del primo, si denunzia "violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione al comma 1 n. 4, dell'articolo 360 c.p.c.". Il motivo resta assorbito, in quanto condizionato, in conseguenza dell'accoglimento di quello precedente. 3. Il ricorso e' accolto. La sentenza impugnata e' cassata e, decidendo nel merito, l'op-posizione agli atti esecutivi proposta dalla (OMISSIS) e' rigettata. Le spese dell'intero giudizio (di merito e di legittimita') possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendone i presupposti di legge in relazione, tra l'altro, all'alterno andamento del giudizio stesso. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilita' o improcedibilita' dell'impugnazione) di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, articolo 1, comma 17. per questi motivi La Corte: - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione agli atti esecutivi proposta da (OMISSIS); - dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio (di merito e di legittimita').

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. - Consigliere Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere Dott. CASADONTE Annamaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 16228/2020 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato TERRACCIANO GENNARO ((OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati SANDIROCCO LUIGI (SNDLGU63H13A515S), CONTI MARIA ((OMISSIS)); - ricorrente - Contro (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati DONATELLI REMO ((OMISSIS)), COCO SALVATORE MARCO ((OMISSIS)); - controricorrente - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO L'AQUILA n. 448/2020 depositata il 18/03/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA. FATTI DI CAUSA La Corte d'appello di L'Aquila, con sentenza n. 448/2020, depositata il 18/3/2020, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi (OMISSIS) ed (OMISSIS), con addebito al marito (a causa di maltrattamenti alla moglie, che avevano determinato l'allontanamento di quest'ultima dalla casa famigliare), dichiarato tenuto a corrispondere alla moglie un assegno di mantenimento di Euro 150,00 mensili. In particolare, la Corte d'appello ha revocato l'assegno di mantenimento del marito alla moglie, ritenendo dimostrata una convivenza more uxorio tra la (OMISSIS) e il sig. (OMISSIS) (sulla base di alcuni riscontri probatori: essenzialmente, le dichiarazioni rese dall' (OMISSIS) al Maresciallo dei Carabinieri intervenuto in un'occasione presso l'abitazione dei due conviventi ed il fatto che l' (OMISSIS) si era occupato di lei quando le era stato imposto un "TSO"). Avverso detta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 15/6/2020, affidato a due plurimi motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso, notificato il 22/7/2020). Il P.G. ha depositato requisitoria scritta. La ricorrente ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 143 c.p.c., comma 2, in relazione ai dritti e doveri dei coniugi ed all'obbligo di fedelta' coniugale, sia l'omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dal fatto che il rapporto tra essa e l' (OMISSIS) potesse essere configurato come convivenza more uxorio e non come una mera convivenza tra due persone non legate da un legame di tipo affettivo (in quanto ella, a seguito dell'allontanamento dalla casa familiare, in conseguenza dei maltrattamenti subiti dall'ex coniuge, era stata costretta, stante l'assenza di redditi e l'incapacita' di procurarseli a causa del ritardo intellettivo congenito, a chiedere ospitalita' al sig. (OMISSIS), a sua volta bisognoso di cure, a causa di una malattia, e di aiuto per le necessita' quotidiane); b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 156 c.c., in punto di dovere di mantenimento, articoli 51 e 433 c.c., in punto di diritto agli alimenti, nonche' 2 Cost., sia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in punto di "omesso mantenimento in presunta convivenza more uxorio". 2. La prima censura e' fondata. La Corte d'appello, premesso che, secondo orientamento del giudice di legittimita', "in tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica" (Cass. civ. 32871/2018), ha respinto la domanda di mantenimento per se' spiegata dalla (OMISSIS), atteso che, dagli atti, risultava che la stessa, dal dicembre 2014, intrattiene una stabile convivenza more uxorio con il sig. (OMISSIS), come sarebbe dimostrato da una serie di elementi indiziari: l'avere l' (OMISSIS) indicato la (OMISSIS) come sua convivente, nel luglio 2015, in sede di intervento dei Carabinieri presso l'abitazione del primo; l'avere il Maresciallo dei Carabinieri utilizzato, riferendosi ai due, l'espressione "coppia", a seguito dell'osservazione dei comportamenti degli stessi; l'essersi l' (OMISSIS) occupato di lei quando le fu imposto il "TSO". In sostanza, dal concorso di tali elementi, ad avviso della Corte di merito era dimostrata l'esistenza tra i due non di un mero rapporto amicale ma di un legame stabile assimilabile ad un rapporto di coppia, caratterizzato da mutua assistenza materiale e morale. Ora, la ricorrente non denuncia, come eccepito dal controricorrente, un'erronea valutazione da parte della Corte d'appello delle risultanze istruttorie, ma deduce che la Corte di merito avrebbe errato nella qualificazione giuridica della coabitazione in essere tra essa (OMISSIS) e l' (OMISSIS), non correttamente individuando gli elementi probatori idonei a dimostrare l'esistenza di una effettiva convivenza more uxorio tra i due, ai fini della cessazione del diritto all'assegno divorzile: nella coabitazione specifica mancherebbero, infatti, proprio gli indici individuati dalla giurisprudenza a dimostrazione di un progetto di vita comune, quali l'esistenza di conti correnti, libretti di risparmio o carte di credito comuni, la condivisione delle spese (ad es. delle utenze) di vita comune, la prestazione di reciproca assistenza morale e materiale, e si sarebbe essenzialmente valorizzata la dichiarazione di un terzo, il Maresciallo dei Carabinieri, che avrebbe qualificato la (OMISSIS) e l' (OMISSIS) come una "coppia". La ricorrente ribadisce, anche in questa sede, che sussiste tra i due solo una mera coabitazione, avendo l' (OMISSIS) offerto ospitalita' presso la propria abitazione alla (OMISSIS), senza tetto e fissa dimora, conosciuta ad una mensa per poveri, in cambio di assistenza domestica (essendo il primo invalido totale). Questa Corte ha da tempo affermato che, in forza del principio gia' enunciato con riguardo all'assegno divorzile (Cass. 6855/2015; Cass. 2466/2016), sia pure tenuto conto delle caratteristiche proprie dell'assegno di mantenimento tra coniugi separati, anche "in tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, e' suscettibile di comportare la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro, dovendosi presumere che le disponibilita' economiche di ciascuno dei conviventi "more uxorio" siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facolta' del coniuge richiedente l'assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce "in melius" sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati" (Cass. 16982/2018). Il principio e' stato ancora ribadito e precisato in Cass. 32871/2018: "In tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica". Le Sezioni Unite nella recente sentenza n. 32198/2021, investite con ordinanza interlocutoria n. 28995/2020, sulla questione della necessarieta' o meno della cessazione del diritto all'assegno divorzile per effetto della convivenza stabile dell'ex coniuge con un terzo, hanno affermato che: a) "L'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonche' sulla quantificazione del suo ammontare, in virtu' del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno, in relazione alla sua componente compensativa"; b) "in tema di assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente piu' debole questi, se privo anche nell'attualita' di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovra' fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. L'assegno, su accordo delle parti, puo' anche essere temporaneo". Successivamente, questa Corte (Cass. 14256/22) ha quindi chiarito che "in tema di assegno divorzile, l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza "more uxorio" fa venir meno il diritto all'assegno, salvo che per la sua componente compensativa, la cui sussistenza deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all'assegno" (questa Corte ha confermato la sentenza di merito pronunciata in data anteriore a S.U. n. 32198 del 2022, con la quale era stata rigettata la domanda di assegno divorzile, poiche' ne' nel ricorso per cassazione ne' con le memorie illustrative ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1, era stata specificamente dedotta l'ipotetica consistenza di un contributo offerto dalla coniuge richiedente l'assegno alla comunione familiare, alla eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative in costanza di matrimonio, all'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge). Sempre questo giudice di legittimita' (Cass. 14151/2022), al fine di ulteriormente definire il concetto di convivenza more uxorio, ha precisato che "in tema di divorzio, ove sia richiesta la revoca dell'assegno in favore dell'ex coniuge a causa dell'instaurazione da parte di quest'ultimo di una convivenza "more uxorio", il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell'eventuale coabitazione con l'altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtu' del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale". In motivazione, si e' posto l'accento sulla L. n. 76 del 2016, articolo 1, comma 36 volto non ad introdurre una innovativa nozione di convivenza, bensi' "a fotografare l'atteggiarsi della nozione giuridica nel costume sociale", che "definisce conviventi di fatto "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile", ponendo cosi' l'accento sull'esistenza di un legame affettivo stabile, volto alla reciproca assistenza morale e materiale, che pare essere l'unico requisito essenziale perche' si possa configurare una convivenza di fatto". Ora, l'indirizzo, che in questo giudizio interessa, di cui alla sentenza n. 32871/2018, in materia di separazione personale dei coniugi e di cessazione dell'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge separato che abbia successivamente intrapreso una convivenza more uxorio con un terzo, presuppone la dimostrazione di un'effettiva relazione sentimentale stabile, indice di un progetto di vita idoneo a determinare una frattura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto, che deve essere accertata in modo rigoroso. Indubbiamente, si puo' ragionevolmente affermare che, in presenza di una coabitazione stabile di una coppia, legata da tempo da una relazione affettiva, possa presumersi l'esistenza di una effettiva convivenza, senza bisogno di ulteriori prove circa "il grado di intimita' " intercorrente fra la coppia (Cass. 6009/2017). Tuttavia, come chiarito nel precedente n. 14151/2022, la coabitazione, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell'esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario "da valutarsi in ogni caso non atomisticamente... ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce", mentre, viceversa, "l'assenza della coabitazione non e' di per se' decisivo". Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l'esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialita' significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all'assegno. Ora, la Corte d'appello ha dato rilievo alle sole dichiarazioni dell' (OMISSIS), nel luglio 2015, che aveva descritto la (OMISSIS) come una "convivente" e del Maresciallo dei Carabinieri che, chiamato ad intervenire in una occasione presso la casa dell' (OMISSIS), aveva descritto i due come una "coppia". Gli elementi posti a base della decisione, oltre a non comprovare neppure l'esistenza di un legame affettivo, non dimostrano un effettivo progetto di vita comune tra l'ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi, con conseguente fondatezza della censura in esame. 3. Il secondo motivo, nella parte relativa alla violazione dell'articolo 156 c.c., e' da ritenersi assorbito, per effetto dell'accoglimento del primo motivo di ricorso. La ricorrente ha lamentato un vizio di violazione di legge in relazione ai presupposti dell'assegno di mantenimento tra coniugi separati, ma, nella specie, l'esame delle condizioni economiche dei due coniugi non e' stato neppure effettuato in quanto la Corte di merito, per le ragioni espresse nel precedente paragrafo, ha ritenuto venuto meno il diritto al riconoscimento di un assegno mantenimento per il coniuge separato che aveva avviato una nuova famiglia di fatto con altra persona. Quanto alla ulteriore violazione denunciata in ordine alla disciplina del diritto agli alimenti, per mancato esame della domanda, formulata in via subordinata in primo grado, la censura e' fondata. Il P.G. ha concluso per l'accoglimento di tale aspetto del secondo motivo di ricorso (inammissibile il primo motivo e la censura sulla violazione dell'articolo 156 c.c.), richiamando il principio giuridico da tempo affermato da questa Corte secondo cui nel procedimento di separazione personale fra coniugi la richiesta di assegno alimentare, sempre se espressamente formulata (Cass. 5381/1997), puo' essere accolta dal giudice di appello senza che cio' implichi vizio di extrapetizione, anche quando in primo grado sia stato solo richiesto l'assegno di mantenimento. Orbene, risulta dallo stesso ricorso (nulla dicendo sul punto la decisione qui impugnata) che la (OMISSIS), in primo grado, dopo avere invocato, in sede di atto introduttivo, il solo diritto all'assegno di mantenimento, aveva avanzato, in sede di memoria ex articolo 183 c.p.c., anche domanda di alimenti ex articolo 433 c.c., ma non emerge che essa, in appello, avesse insistito anche per l'accoglimento di tale domanda subordinata (implicitamente rimasta assorbita, nella decisione del Tribunale, dall'accoglimento della domanda principale e positiva attribuzione del diritto all'assegno di mantenimento), avendo essa solo concluso per il rigetto del gravame ex adverso proposto e per la conferma della decisione impugnata (non vi e' in atti la comparsa di costituzione in appello della (OMISSIS), ma questo dice il controricorrente, riportando trascritte dette conclusioni in appello; la stessa ricorrente (OMISSIS) in memoria, non contesta di non avere riproposto in appello la domanda subordinata di alimenti). Invero, come chiarito da questa Corte (Cass. 7457/2015; Cass. 13721/2020) l'appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale e' tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all'articolo 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volonta' di sottoporre la relativa questione al giudice d'appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest'ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell'impugnazione. La disciplina dettata dall'articolo 346 c.p.c., quale risultante dalla Riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, entrata in vigore il 30/4/1995, e successive modifiche, che hanno reintrodotto nel processo ordinario di cognizione, il principio di preclusione, fa si' che in appello viga un "effetto devolutivo limitato e non automatico", con la conseguenza che la mancata riproposizione delle domande o delle eccezioni respinte o ritenute assorbite comporta che in capo alle parti si verifichi una vera e propria decadenza, con formazione di giudicato implicito sul punto. Tale principio non opera naturalmente per le questioni rilevabili d'ufficio dal giudice. La parte totalmente vittoriosa in primo grado non deve quindi, non avendo l'interesse, proporre appello incidentale e puo' riproporre le domande (anche riconvenzionali) o le eccezioni non accolte o non esaminate perche' assorbite nella sentenza di primo grado nella comparsa di costituzione, in qualsiasi forma idonea ad evidenziare in modo non equivoco la chiara e precisa volonta' della parte di sottoporre la questione alla decisione del giudice di appello (Cass. n. 12345 del 2003), sebbene non sia sufficiente, a tal fine, il richiamo alle conclusioni e deduzioni operate nel giudizio di primo grado, dovendo la riproposizione avvenire in maniera specifica (Cass. n. 16360 del 2004). Le Sezioni Unite (Cass. SU 7940/2019) hanno precisato che "nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche -, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell'autoresponsabilita' e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali e' necessario proporre appello incidentale ex articolo 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'articolo 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbiti", precisando che cio' deve avvenire con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti gia' nel "thema probandum" e nel "thema decidendum" del giudizio di primo grado. Nel caso qui in esame, la (OMISSIS) era parte vittoriosa in primo grado (essendole stato riconosciuto l'assegno di mantenimento, oggetto della domanda principale) e, in appello (promosso dal coniuge), si era limitata a chiedere la conferma della statuizione di primo grado. Nel ricorso per cassazione, essa lamenta che il giudice d'appello avrebbe comunque dovuto vagliare anche la propria domanda subordinata relativa agli alimenti, in quanto detta domanda per necessariamente ricompresa in quella, piu' ampia, di riconoscimento dell'assegno di mantenimento. Tale censura merita accoglimento. Invero, costituisce principio consolidato quello secondo cui, nel procedimento di separazione personale fra coniugi, "la richiesta di alimenti costituisca un minus necessariamente compreso nella domanda di mantenimento", cosicche' la richiesta di assegno alimentare a carico del coniuge, "sempreche' espressamente formulata" (Cass. 5698/1988; cfr. anche Cass. 2128/1994, "nel procedimento per la separazione personale dei coniugi la richiesta di alimenti costituisce un "minus" necessariamente ricompreso in quella di mantenimento e pertanto il riconoscimento al coniuge separato di un assegno alimentare in luogo del richiesto assegno di mantenimento non comporta vizio di extrapetizione, cosi' come la domanda di alimenti avanzata per la prima volta in secondo grado non comporta violazione del divieto di domande nuove in appello"; Cass. n. 5677/1996, "nel procedimento di separazione personale dei coniugi, la richiesta di alimenti costituisce un "minus" necessariamente ricompreso in quella di mantenimento. Pertanto non costituisce domanda nuova vietata in appello quella di alimenti, quando in primo grado sia stato domandato l'assegno di mantenimento"), puo' essere accolta dal giudice d'appello, senza che cio' implichi vizio di extrapetizione, anche quando nel grado precedente sia stato chiesto solo un assegno di mantenimento (Cass. 5381/1997) e la relativa istanza quindi, ancorche' formulata per la prima volta in appello in conseguenza della dichiarazione di addebito, e' ammissibile, non essendo qualificabile come nuova ai sensi dell'articolo 345 c.p.c., attesa anche la natura degli interessi ad essa sottostanti (Cass. 10718/2013; Cass. 27695/2017; Cass. 27768/2022). In un precedente risalente nel tempo (Cass. 4198/1998) si e' poi specificamente affermato che, nel giudizio di separazione personale dei coniugi, il fatto che la parte, dopo aver proposto in primo grado la domanda di alimenti in via subordinata, non l'abbia piu' riproposta in appello, "non costituisce rinuncia alla stessa e, per altro verso, non costituisce vizio di extrapetizione della sentenza il riconoscimento di un assegno alimentare in luogo del richiesto assegno di mantenimento", costituendo la richiesta di alimenti un "minus" necessariamente compreso in quella di mantenimento. La pronuncia risulta emessa in giudizio, introdotto anteriormente alla novella del 1990 (che ha iniziato ad operare dal 30/4/1995), nel quale la domanda di alimenti era stata, persino, respinta in primo grado, insieme alla richiesta, maggiore, di mantenimento, e questa Corte ha ribadito che, essendo in tale domanda ricompresa quella di assegno alimentare, non e' ravvisabile valida rinuncia nella mancata espressa riproposizione della domanda subordinata proposta in primo grado (essendosi limitata la parte a richiedere la condanna del coniuge a corrisponderle "un assegno mensile da rivalutarsi annualmente"), in quanto "la rinuncia ad un diritto essenziale, quale il diritto alla sopravvivenza - che l'assegno alimentare e' inteso a garantire - deve essere assolutamente inequivoca, e non puo' certamente essere desunta, in via presuntiva, dalla mancata espressa riproposizione di una apposita domanda in via subordinata, allorche' in via principale venga comunque richiesta la corresponsione di un assegno di mantenimento". Tale pronuncia attiene inoltre a giudizio introdotto anteriormente anche alle modifiche introdotte in ordine all'appello ed all'orientamento, ribadito di recente dalle Sezioni Unite nel 2019, in ordine all'applicazione dell'articolo 346 c.p.c.. Vero e' che il giudizio di separazione personale dei coniugi e' soggetto, quanto all'appello, al rito camerale (L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 12, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, articolo 8 e L. n. 74 del 1987, articolo 23 che ha esteso ai giudizi di separazione personale tra i coniugi le regole dettate per il giudizio di divorzio: Cass. 14100/2000; Cass. 13660/2004; Cass. 3836/2006; Cass. 17645/2007; Cass. 19002/2014), ma tuttavia, pur essendo tale rito caratterizzato dalla sommarieta' della cognizione e dalla semplicita' delle forme, non si e' dubitato dell'applicabilita' dell'articolo 346 c.p.c.. Tuttavia, resta dirimente la considerazione per cui la stessa natura della domanda di alimenti, necessariamente ricompresa in quella piu' ampia di riconoscimento dell'assegno di mantenimento - principio questo piu' volte ribadito da questo giudice di legittimita' -, imponeva al giudice di appello di vagliare anche la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 433 c.c., pur in difetto di una chiara riproposizione espressa della domanda di alimenti, formulata in primo grado in via subordinata, dalla parte vittoriosa quanto alla domanda di mantenimento. 3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera' anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita'. Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita' e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierlui - rel. Consigliere Dott. ARIOLLI Giovanni - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti nell'interesse di: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nata ad (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro i'l decreto della Corte di Appello di Potenza del 21.12.2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Cianfrocca; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Luigi Birritteri, che ha concluso per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi; letti i motivi nuovi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e ai (OMISSIS) nonche' la memoria di replica alla requisitoria della Procura Generale trasmessa nell'interesse di (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto del 2112.2020, e le successive integrazioni del 9.2.2021 e del 16.2.2021, il Tribunale di Potenza, in accoglimento della richiesta della Procura della Repubblica di Matera per il sequestro, finalizzato alla confisca di prevenzione, di beni nella disponibilita' diretta o indiretta di (OMISSIS), dei quale ha predicato la pericolosita' sociale a partire dal 2009 sino all'attualita', aveva disposto il sequestro e la finale confisca di una serie di beni mobili, immobili, mobili registrati ed attivita' economiche, intestati a (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS); 2. la Corte di Appello di Potenza, con decreto del 21.12.2021; depositato in data 17.6.2022, ha dichiarato la nullita' di due scritture private di cessione di partecipazioni sociali confermando percio' il sequestro delle stesse; in parziale accoglimento degli appelli proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha revocato il sequestro con riferimento alla proprieta' dell'immobile di cui al (OMISSIS). (OMISSIS), particolo (OMISSIS), sub. (OMISSIS), dei beni aziendali pertinenti l'impresa individuale di (OMISSIS), delle partecipazioni totalitarie di costei nella (OMISSIS) sr e nella (OMISSIS) sri, della partecipazione al 70% nella Carol sri; ha revocato, inoltre, il sequestro e la confisca della partecipazione, a 30%, di (OMISSIS) nella predetta societa' e, infine, dell'autoveicolo Fiat Panda tg. (OMISSIS) ordinandone la restituzione a (OMISSIS); ha confermato nel resto il provvedimento impugnato respingendo percio' l'appello proposto nell'interesse di (OMISSIS); 3. ricorrono per cassazione, tramite i rispettivi difensori e procuratori speciali, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deducendo: 3.1 (OMISSIS) con ricorso a firma degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS): 3.1.1 violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo 159 del 2011, agli articoli 111 Cost. e 6 Convenzione EDU, 41 e 42 Cost. e 1 Protocollo Addizionale EDU, all'articolo 125, comma 3 cod. proc. peri., con riferimento ai capi e punti "2", "2.1", "2.2", "2.3", "4", "4.4", "5", "6", "6.1", "6.2" e "10" del decreto impugnato: premette considerazioni sui termini del provvedimento impugnato che, ad onta della sua dimensione, sconta a suo avviso una sostanziale assenza di motivazione su aspetti centrali su cui la difesa aveva argomentato nell'atto di appello, nei motivi aggiunti e nelle memorie depositate, in relazione ai presupposti della misura patrimoniale che deve riposare sulla valutazione di pericolosita' del preposto, sulla sproporzione patrimoniale e sulla corrispondenza temporale tra la condizione soggettiva e la acquisizione dei beni attinti dalla misura; sottolinea che il provvedimento impugnato ha realizzato la sostanziale spoliazione del (OMISSIS), soggetto incensurato ed attinto da una valutazione di pericolosita' generica, il cui patrimonio si era formato lecitamente ed in un periodo comunque antecedente la ritenuta manifestazione di pericolosita'; richiama, infatti, la distinzione, sottolineata dalla giurisprudenza, in ordine al diverso atteggiarsi della correlazione temporale per i soggetti attinti da un giudizio di "pericolosita' qualificata" rispetto ai pericolosi "generici", segnalando che la vicenda del (OMISSIS) e' stata affrontata come se egli appartenesse alla prima categoria finendo con il sindacare la stessa formazione iniziale del suo patrimonio, addirittura risalendo ai suoi ascendenti; segnala che nel giudizio di primo grado era stata disposta una perizia con riferimento alle acquisizioni patrimoniali intervenute nell'arco di tempo compreso tra il 2006 ed il 2017, nonostante che il Tribunale avesse poi rivisto la data di inizio della manifestazione della pericolosita' collocandola al 2009, poi ulteriormente spostata dalla Corte al 2010; aggiunge che i perito aveva stimato le risorse di origine lecita in complessivi Euro 3.250.000 circa ma che, tuttavia, l'intero patrimonio del (OMISSIS) e della di lui compagna (ritenuta sua prestanome) era stato attinto dalla misura ablativa non avendo il perito risposto al quesito sottopostogli che aveva chiesto di operare un accertamento con riguardo a ciascun bene; riporta testualmente passi dell'atto di appello in cui erano stati evidenziati gli errori metodologici in cui era incorso il Tribunale, evidenziando la necessita' di "scorporare" le annualita' rimaste estranee alla perimetrazione temporale rivista a partire dal 2009 ed ha fatto presente che la Corte di Appello ha tuttavia perpetuato la medesima errata metodica di calcolo finendo per validare una confisca "totalitaria" laddove, invece, avrebbe dovuto verificare la sproporzione patrimoniale anno per anno; sottolinea, in particolare, come il saldo negativo maturato di anno in anno non poteva essere considerato per calcolare il saldo dell'anno successivo ma che, al contrario, il saldo positivo di una annualita' doveva certamente essere considerato come fonte "lecita" nel determinare quello dell'anno seguente; osserva che la Corte di Appello ha "riperimetrato" il periodo di manifestazione della pericolosita' del (OMISSIS) a decorrere dal 2010 e, cio' non di meno, ha respinto la richiesta di integrazione della perizia per adeguare l'accertamento contabile, ritenendo di essere in grado di procedere direttamente ed avendo a tal fine stilato una tabella riportata alle pagg. 87-88 del provvedimento che, tuttavia, non ha tenuto conto del "saldo positivo iniziale" invece correttamente considerato dal perito con riferimento al 2006 in misura pari ad Euro 572.182,89 e che, per il 2009, era di Euro 1.248.864,97 mentre per il 2010 era - ed avrebbe dovuto essere considerato - di Euro 1.589.311,45 corrispondente, dunque, ad una risorsa "lecita" in quanto accumulata in un periodo estraneo alla perimetrazione di pericolosita' e la cui considerazione avrebbe comportato una sostanziale riduzione dello scostamento ritenuto dai giudici di appello, con conseguente riflesso sul calcolo dei saldi dei singoli anni; ribadita la centralita', nei sistema delle misure di prevenzione patrimoniale, del principio della necessaria perimetrazione temporale, evidenzia come con l'atto di appello la difesa avesse ricostruito il patrimonio del preposto alla data del 31.12.2008 laddove la Corte di Appello, avendo uiteriormente rivisto l'inizio del periodo di pericolosita' sociale al 2010, non ne ha tratto le dovute conseguenze in termini di individuazione del patrimonio di fonte lecita disponibile al 31.12.2009 costituito da un monte titoli il cui valore complessivo ammontava ad Euro 5.029.116,53, dall'immobile di (OMISSIS), acquistato nel 2003, e conferito nella societa' (OMISSIS) srl, di 1/3 del complesso immobiliare di via Gravina 117, pervenutogli per donazione dalla madre e di 1/3 dell'immobile di (OMISSIS), pervenutogli da atto di donazione; aggiunge che nel patrimonio del (OMISSIS) era presente la partecipazione totalitaria della (OMISSIS) srl, societa' immobiliare interamente attinta dalla confisca ed in cui erano stati conferiti diversi immobili alcuni dei quali acquistati in epoca precedente alla manifestazione della pericolosita' sociale; riporta, inoltre, i conferimenti effettuati dal (OMISSIS) nella societa' e che, alla luce delle iniziali disponibilita' del ricorrente, risultavano assolutamente congrui; segnala che la valutazione di congruita' degli acquisti deve tener conto della significativita' dello scostamento tra fonti lecite di reddito ed impieghi accertati, non potendo portare, come nel caso di specie, ad una ablazione totalitaria in presenza di scostamenti minimi e poco significativi; osserva, pertanto, che a fronte di uno scostamento, calcolato correttamente tenendo conto dei saldi iniziali, di Euro 1.548.346,72, rispetto a fonti lecite di ammontare complessivo pari ad Euro 13.940.792,26, la misura e' stata adottata per Euro 8.781.421,00; cio' sul rilievo, operato dalla Corte di Appello, secondo cui la quantificazione della differenza tra fonti ed impieghi e' diretta a dimostrare la sussistenza del presupposto per la confisca e non gia' la "misura" ed il "quanturn" di essa; segnala la erroneita' di questa impostazione sottolineando che la natura dei beni attinti dalla misura non consente nemmeno di ipotizzare una "contaminazione" dei patrimonio di lecita provenienza con risorse e proventi illeciti; ribadisce la medesima considerazione anche per quanto riguarda le quote della (OMISSIS) srl, soggetto ritenuto "interposto", e nei cui patrimonio pertanto avrebbero dovuto individuarsi i beni di provenienza lecita o meno; segnala che la confisca del libretto acceso in favore di (OMISSIS) presso la (OMISSIS), con saldo attivo di Euro 4.300.000,00, e' stato ritenuto frutto del reato di riciclaggio dei proventi derivanti dalla bancarotta fraudolenta della (OMISSIS) srl, contestata al (OMISSIS) per violazione della clausola di postergazione, avendo egli finanziato la societa' per complessivi Euro 10.600.000,00 ricevendo in restituzione la somma complessiva di Euro 9.400.000,00 con cui, di volta in volta, operava nuovi finanziamenti, nei termini indicati nella consulenza tecnica della difesa, che, percio', non erano stati "accantonati" sul libretto confiscato, laddove le modalita' di formazione della provvista, tramite l'assegno divorzile alla ex moglie (OMISSIS), erano state pure ben chiarite nell'altra consulenza ove si era spiegato che i disinvestimento di Euro 5.000.000,00, avvenuto nel 2015, era stato trattenuto sul conto sino alla corresponsione alla moglie avvenuta nell'anno successivo; deduce inoltre violazione dell'articolo 30 del Decreto Legislativo 159 del 2011 poiche', in considerazione della incapienza del patrimonio del (OMISSIS), la misura avrebbe dovuto essere applicata limitatamente alla quota parte della somma di cui al cennato assegno divorzile; 3.1.2 violazione di legge in relazione agli articoli 1, 4 e 16 del Decreto Legislativo 159 del 2011 e motivazione assente e/o apparente in relazione agli articoli 125 comma 3 c.p.p. con riferimento ai punti "3", "3.1", "3.1.2", "3.2", "3.2.1", "3.2.2", "3.2.3", "3.2.4,", "3.2.5", "3.3" e "3.5" del decreto impugnato; segnala che il decreto impugnato ha fondato il giudizio di pericolosita' del (OMISSIS) sulla condotta che costui avrebbe tenuto dal 2010 al 2017, secondo le contestazioni formulate a suo carico nei procedimenti pendenti di fronte al GUP presso il Tribunale di Bari ed al GUP presso il Tribunale di Rimini; richiama la giurisprudenza di questa Corte sulla necessita' di fondare il giudizio di pericolosita' su precisi elementi di fatto e non gia' su meri sospetti e, per altro verso, sulla nozione di abitualita', che evoca condotte che abbiano raggiunto un certo grado di consistenza e che va operato o sulla scorta di precedenti condanne definitive ovvero, in caso contrario, di un accertamento che non puo' risolversi nella constatazione della iscrizione della notizia di reato; rileva che la Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza ignorando le allegazioni della difesa e la relativa documentazione deponenti ne senso della insussistenza di un intento distrattivo in capo al proposto; ribadisce che il (OMISSIS) e' attualmente incensurato risultando a suo carico due procedimenti penali non ancora definiti in primo grado; segnala che nel corso delle indagini relative al fallimento della (OMISSIS) srl era emerso che la societa' era fallita per cause diverse dalle iniziative del proposto, socio di minoranza, e non gia' amministratore di fatto della societa', come confermato dalle persone sentite dagli investigatori nel corso delle indagini e, diversamente da quanto affermato dalla Corte di Appello, con le garanzie di legge, che hanno riferito di essersi sempre rapportate con (OMISSIS) e non anche con (OMISSIS); segnala il carattere quantomeno "neutro" delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e come solo costui - ritenuto nel procedimento pendente a Bari amministratore della (OMISSIS) srl dal 23.9.2015 al 28.12.2017 ed amministratore di fatto nel periodo successivo - sia stato chiamato a rispondere del delitto di cui all'articolo 10quater del Decreto Legislativo 74 del 2000 dal 2016 al 2018; segnala, percio', il difetto di motivazione del provvedimento impugnato laddove la Corte di Appello ha ritenuto il giudizio di pericolosita' sia corroborato dal rinvio a giudizio dell'odierno ricorrente risultando il procedimento ancora in udienza preliminare; deduce violazione di legge anche con riferimento al procedimento pendente di fronte al Tribunale di Rimini, in cui gli si ascrive di essere stato amministratore di fatto della Sport Eventi Urbino srl tra il 2010 ed ii 2013, e della Sport e Spot Urbino srl dal 2012 al 2015, ipotesi che, tuttavia, non ha trovato riscontro nelle indagini e negli accertamenti e di cui non vi e' traccia nell'impugnato provvedimento nonostante le devoluzioni difensive; richiama, a tal proposito, le dichiarazioni rese, con le garanzie di legge, da (OMISSIS), amministratore di diritto delle due societa' oltre che della (OMISSIS) srl, sul ruolo invece rivestito da (OMISSIS); richiama la documentazione prodotta ed il principio secondo cui la pericolosita' sociale che legittima l'applicazione della confisca non puo' coincidere con il mero "status" di evasore fiscale; 3.2 (OMISSIS), con ricorso a firma degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), richiama il provvedimento impugnato laddove la Corte di Appello ha revocato il provvedimento del Tribunale sia con riguardo all'immobile di (OMISSIS) (OMISSIS). (OMISSIS), particolo (OMISSIS), in quanto bene personale della ricorrente, e lo ha invece confermato con riguardo all'immobile iscritto al (OMISSIS). (OMISSIS), particolo (OMISSIS), acquistato nel 2012 ed alla partecipazione societaria alla (OMISSIS) sri: nel primo caso in quanto non vi sarebbe stato un puntuale motivo di appello e, nel secondo caso, sul presupposto del carattere fittizio della cessione operata dall'ex marito, dichiarando percio' ia nullita' dei relativi atti; deduce, quindi: 3.2.1 violazione di legge con riferimento all'articolo 10 comma 2 e comma 3 del Decreto Legislativo 159 del 2011: rileva che, nonostante i limiti propri del ricorso per cassazione in materia di prevenzione, nel caso di specie risulta comunque censurabile la statuizione relativa alla conferma del sequestro concernente l'immobile iscritto al (OMISSIS). (OMISSIS), particolo (OMISSIS) cui la Corte di Appello e' pervenuta sul rilievo secondo cui non vi sarebbe stato un puntuale appello ma una generica richiesta di restituzione; segnala, tuttavia, che il provvedimento del Tribunale era stato adottato in quanto l'intera operazione immobiliare sarebbe stata portata a termine in un periodo in cui si era manifestata la pericolosita' sociale del proposto e la ricorrente non aveva una sufficiente capacita' reddituale; segnala che, con l'atto di appello, la difesa, con l'ausilio di una consulenza tecnica, aveva invece ben chiarito che gli acquisti della (OMISSIS) erano avvenuti con risorse proprie, tanto che la stessa Corte di Appello ha revocato il sequestro per quanto riguarda gli impieghi e gli acquisti effettuati nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2015 in cui, tuttavia, rientra anche quello in questione, intervenuto nel 2010 (e non gia' nel 2012); consegue che la motivazione, rilevando la assenza di uno specifico appello, e' di fatto e sostanzialmente mancante risultando del tutto incomprensibile come sia stato possibile isolare un'unica operazione giudicandola sperequata rispetto a tutte le altre eseguite nello stesso periodo di tempo; sottolinea ancora che lo stesso provvedimento impugnato aveva dato conto della sostanziale coerenza degli impieghi per l'anno 2010, sicche' l'esistenza di una intesa con il (OMISSIS) rappresenta una mera petizione di principio; 3.2.2 violazione di legge con riferimento agli articoli 10, comma 3, 1 e 19 comma 3, e 24 Decreto Legislativo 159 del 2011: rileva che, a fronte della perimetrazione della pericolosita' sociale del (OMISSIS), manifestatasi tra il 2010 ed il 2017, la confisca ha attinto la quota di partecipazione nella (OMISSIS) srl, costituita nel mese di ottobre del 2010, con una statuizione chiaramente contraddittoria con quella che ha invece riguardato la (OMISSIS) srl, la (OMISSIS) srl ed i beni aziendali della ditta individuale (OMISSIS), pur nella convinzione che si trattasse di attivita' finanziate dall'ex marito ma sorte ai di fuori del periodo di perimetrazione temporale della pericolosita'; rileva che la Corte di appello, pur avendo ribadito la distinzione tra la fattispecie contemplata dall'articolo 26 Decreto Legislativo 159 del 2011 e quella di cui all'articolo 19, comma 3, ha di fatto sposato una interpretazione analogica della prima disposizione sottolineando, peraltro, che la (OMISSIS) non rientrava in alcuna delle categorie evocate dalla seconda, essendo separata dal (OMISSIS) sin dal 1999 e divorziata dal 2017, mentre il (OMISSIS) ha iniziato una nuova relazione con (OMISSIS) dalla quale ha avuto tre figli; rileva, ancora, che la Corte di Appello ha omesso ogni valutazione circa l'epoca ed i periodi di convivenza della (OMISSIS) con il Columeila, non ha preso in esame l'epoca di acquisto dei singoli beni, ha omesso di considerare le allegazioni difensive circa la finalita' della cessione della partecipazione sociale, avvenuta nel 2016 e finalizzata a suddividere il compendio societario tra i tre figli del proposto nati dalla relazione con la (OMISSIS), da un iato, e (OMISSIS), dall'altro, attraverso la "interposizione" delle rispettive madri; 3.3 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS): 3.3.1 violazione di legge con riguardo all'articolo 666 c.p.p. e violazione degli articoli 24 e 111 Cost. e 6 par. 1 CEDU: segnala che la Corte di Appello, dopo aver disposto, con ordinanza istruttoria, la acquisizione della documentazione relativa alla provenienza delle somme utilizzate dalla (OMISSIS) per la apertura della ditta My Shoes, ha provveduto - motu proprio - in camera di consiglio, a revocare l'ordinanza ritenendo che il relativo motivo di appello fosse inammissibile; segnala che nel giudizio di prevenzione non e' applicabile l'articolo 603 c.p.p. e che, per altro verso, la revoca del provvedimento istruttorio e' avvenuta in difetto del contraddittorio delle parti, non avendo consentendo la valutazione di documentazione attestante la percezione di un finanziamento Invitalia con cui la (OMISSIS) aveva intrapreso l'attivita'; aggiunge che i precedenti difensori della (OMISSIS) avevano sollecitato un vaglio attento su ciascun cespite di volta in volta acquisito; 3.3.2 violazione degli articoli 24, 41, 42 e 111 Cost. e 24 Decreto Legislativo 159 del 2011: rileva che la Corte di Appello ha omesso ogni valutazione sulla capacita' reddituale della (OMISSIS) nonostante la pacifica attestazione dei valore patrimoniale della sua ditta, valorizzando la circostanza della mancata corresponsione di un corrispettivo per la cessione del 66% della (OMISSIS) srl e di un corrispettivo giudicato irrisorio quanto alla cessione dell'abitazione di (OMISSIS); ricorda che il legislatore ha previsto una presunzione a carico dei familiari indicati nell'articolo 26 del Decreto Legislativo 159 del 2011, cui consente tuttavia di fornire la prova contraria della effettiva titolarita' del bene; 3.3. (OMISSIS), con ricorso a firma degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS): rileva che la Corte di Appello ha confermato la statuizione di confisca dell'importo di Euro 4.300.000 rivenuto sul conto deposito intestato al ricorrente e dell'1% della (OMISSIS) srl e lamenta: 3.3.1 violazione di legge con riferimento all'articolo 10, comma 3, dei Decreto Legislativo 159 del 2011 e degli articoli 19, comma 3, e 24, dei Decreto Legislativo 159 del 2011: rileva che la Corte di Appello, pur avendo tracciato una netta distinzione tra la ipotesi contemplata dall'articolo 26 del Decreto Legislativo 159 del 2011 e quella di cui all'articolo 19 comma 3, ha di fatto applicato in via analogica la prima, non avendo tenuto conto che egli non coabita piu' con il nucleo familiare del proposto da epoca ben antecedente l'inizio del periodo di manifestazione della pericolosita'; aggiunge che l'importo di Euro 4.300.000 e' parte dell'assegno divorzile liquidato in unica soluzione per Euro 5.000.000 dal (OMISSIS) alla (OMISSIS), versato da costei alla (OMISSIS) srl e, poi, per Euro 4.300.000, in data 11.6.2020, trasferito al figlio (OMISSIS) che ne e' legittimo ed esclusivo titolare; 3.3.2 violazione di legge con riferimento all'articolo 10, comma 3, ed agli articoli 7, comma 9, 17 e 23, 1 comma, del Decreto Legislativo 159 del 2011: segnala che il decreto integrativo del 16.2.2021, pur richiamando genericamente la proposta del 29.4.2019, risulta adottato a seguito di una nota della GdF di (OMISSIS) dell'11.2.2021 ed in assenza di qualsivoglia richiesta del PM; rileva, percio', che una volta eseguito il decreto del 9.2.2021, l'applicazione di una nuova misura non poteva prescindere da una nuova ed autonoma richiesta dei PM realizzandosi altrimenti una nullita' a regime intermedio per violazione del contraddittorio cartolare; 4. la difesa di (OMISSIS) ha trasmesso motiv nuov con cui argomenta: sulla pericolosita' sociale: richiama, in primo luogo, la nozione di "abitualita'" che connota la pericolosita' c.d. generica caratterizzata dalla commissione, in un arco di tempo significativo, di delitti che abbiano effettivamente generato profitti che, a loro volta, rappresentino o abbiano rappresentato, per un certo arco di tempo, l'unica o quantomeno una significativa componente del reddito del proposto; rileva, quindi, che la nozione di abitualita' viene talvolta utilizzata in maniera distorta per eludere il riferimento a fattispecie delittuose ma che, invece, deve essere intesa come commissione sistematica di condotte delittuose in un certo arco di tempo, che segna il perimetro temporale della pericolosita' del soggetto; segnala, inoltre, come tali principi siano stati spesso applicati dalla giurisprudenza nel campo degli illeciti fiscali ove non tutte le condotte di evasione integrano ipotesi delittuose a loro volta comunque variamente strutturate e non sempre in grado di generare un profitto cosicche' la pericolosita' sociale generica puo' essere collegata alla figura dell'evasore seriale laddove, tuttavia, si accerti la sussistenza di condotte reiterate suscettibili di produrre proventi; tanto premesso, rileva che i provvedimenti impugnati hanno fondato îl giudizio di pericolosita' sociale del (OMISSIS) prendendo in esame vicende antecedenti il periodo "perimetrato" come, ad esempio, quella concernente la societa' (OMISSIS)., definita in sede penale con esiti favorevoli al proposto e, comunque, in data antecedente al 2010; quella della societa' Ecocapitanata da cui non e' mai scaturita alcuna imputazione e, addirittura, vicende societarie legate al padre del proposto e risalenti alla fine degli anni âEuroËœ90: rileva, percio', come il decreto impugnato abbia considerato i due procedimenti penali non ancora pervenuti nella fase processuale nell'ambito di un arco temporale piu' ampio ed immune, tuttavia, da fatti delittuosi avendo pero' richiamato la attitudine del proposto a porre in atto condotte di bancarotta, mai pero' in precedenza contestate con riguardo sia alla (OMISSIS) che alla (OMISSIS).; sottolinea come le uniche due vicende di rilevanza penale riguardino fatti tra loro connessi e relativi alla societa' (OMISSIS) e che, comunque, oggetto del procedimento di prevenzione non sono le imputazioni ma i fatti ad esse sottesi su cui, tuttavia, la motivazione del provvedimento impugnato e' carente sia per quanto concerne il procedimento pendente a Bari che, anche, per quello pendente a Rimini, relativo a fatti di evasione fiscale, da considerare, comunque, in via unitaria con quelle di bancarotta; deduce, in definitiva, la violazione di legge con riferimento all'articolo 1 lettera b), del Decreto Legislativo 159 dei 2011, laddove i giudici di merito hanno ritenuto che il (OMISSIS) avesse vissuto abitualmente dei proventi di bancarotta ed evasione fiscale dal 2010 al 2017 formulando tale giudizio alla luce delle sole imputazioni; richiama, inoltre, le considerazioni svolte con riferimento alla confisca delle quote e dei beni della societa' (OMISSIS) sri e sottolinea: la legittimazione del proposto ad impugnare le statuizioni di confisca di beni formalmente intestati a terzi: segnala, a tal proposito, che il proposto non solo ha costituito la societa' ma ha proceduto ad eseguire i conferimenti successivi con risorse proprie spiegando le ragioni della cessione delle quote alla moglie divorziata, ai figlio nato dal matrimonio ed alla convivente; ribadisce, inoltre, come tutte le difese del proposto sono state fondate sulla pacifica considerazione della riconducibilita', a se', della societa' e dei suo patrimonio; quanto alla declaratoria di nullita' degli atti di cessione, evidenzia che la acquiescenza nei confronti di quella statuizione ne ha comportato il passaggio in giudicato fondando anche per questa via la legittimazione del proposto; richiama sinteticamente le considerazioni svolte nel ricorso in punto di valutazione del requisito della sproporzione patrimoniale ed alla erroneita' dei criteri utilizzati e sottolinea, tuttavia, come gli arresti della giurisprudenza, con particolare riferimento alle SS.UU. "Repaci", non impongano affatto la esclusiva considerazione del reddito dichiarato ma si limitano a ritenere non utilizzabili i proventi da evasione fiscale per giustificare entrate che tuttavia possono essere diverse da quelle ricavabili dalla sola dichiarazione dei redditi; sottolinea come il decreto impugnato abbia sposato una interpretazione del concetto di "sproporzione" patrimoniale non conforme ad una lettura costituzionalmente orientata farcendo la motivazione di presunzioni ed escludendo dal novero degli introiti leciti le elargizioni ed i donativi ricevuti dal genitore; ribadisce, ancora, la esigenza che la valutazione di sproporzione sia effettuata con riferimento ai singoli acquisti, al valore dei beni di volta in volta acquistati in riferimento al reddito ed alle risorse in quel momento disponibili, sottolineando come nel caso in esame i giudici di merito abbiano omesso di tener conto non soltanto della data di costituzione della (OMISSIS) sri ma, anche, di quelle di acquisto dei singoli immobili confluiti nel patrimonio della stessa, finendo per disporre una indiscriminata confisca di tutto patrimonio, non consentita alla luce della piana ed unanime lettura dell'articolo 24 del Decreto Legislativo 159 del 2011; 5. la difesa di (OMISSIS) ha trasmesso motivi nuovi con cui deduce: 5.1 violazione di legge in relazione agli articoli 1, 4 e 16 del Decreto Legislativo 159 del 2011 ed all'articolo 125 comma 3 c.p.p. per quanto concerne la parziale inammissibilita' dell'appello: richiama il provvedimento impugnato laddove la Corte ha fatto riferimento alla limitatezza delle questioni che il terzo e' legittimato a sollevare impugnando il decreto di confisca e i diversi approdi della giurisprudenza sul punto; sulla mancata valutazione estimatoria della (OMISSIS) srl: segnala la mancata valutazione estimatoria del patrimonio della (OMISSIS) sri rispetto al danno erariale che la confisca intenderebbe neutralizzare; rileva come la gran parte delle acquisizioni immobiliari risalga a periodi antecedenti rispetto al 2010 e che in ogni caso il giudizio di sproporzione patrimoniale andrebbe rivisitato alla luce dei rilievi dei consulenti della difesa e della stessa rideterminazione del periodo di pericolosita' sociale; ribadisce come non fosse consentito procedere con una confisca totalitaria dell'intero patrimonio del proposto dovendosi peraltro tener conto delle fonti e risorse lecite e, con valutazione da operare al momento di ogni singolo acquisto; segnala che nella materia della prevenzione deve trovare applicazione il principio di "tolleranza" stabilito per i reati tributari di cui all'articolo 4 del Decreto Legislativo 74 del 2000; 6. Il PG ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per la inammissibilita' di tutti i ricorsi: quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS): rileva che i due motivi di ricorso sono inammissibili finendo per censurare nel merito la valutazione della pericolosita' sociale ed avendo dedotto un vizio di motivazione a fronte di un apparato argomentativo affatto apparente, anche con riguardo alla metodologia di calcolo, in cui le questioni sollevate dalla difesa sono state specificamente trattate e decise; rileva percio' che i motivi nuovi non possono essere esaminati; quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS): rileva che il ricorso deduce due motivi che replicano quelli gia' articolati con l'atto di appello, e che sono stati puntualmente affrontati e correttamente definiti dalla Corte territoriale; quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS): segnala che lo stesso contenuto del primo motivo, dove la difesa lamenta l'erroneita' della decisione della Corte in punto di declatatoria di inammissibilita' del motivo di appello, finisce per confermare la correttezza di questa decisione; segnala che il secondo motivo deduce questioni riconducibili a vizi di motivazione e, comunque, e' formulato in termini elusivi rispetto alla affermazione della Corte circa la fittizieta' della intestazione delle quote della societa' unipersonale di cui il proposto era titolare e che e' intervenuta nel 2016, ovvero in epoca sovrapponibile alla accertata pericolosita' sociale; quanto al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS): evidenzia la inammissibilita' del primo motivo perche' non si confronta, realmente, con la decisione della Corte territoriale di restituire la documentazione prodotta dalla difesa a corredo di motivi inammissibili e tardivamente proposti con memoria del 15.12.2021; osserva che tali rilievi portano a concludere per la inammissibilita' dei motivi nuovi comunque privi di attinenza rispetto a quelli su cui si era soffermato il ricorso originario; 7. la difesa di (OMISSIS) ha trasmesso infine delle note di replica alla requisitoria del PG: ribadisce che il ricorso evidenziava non soltanto profili di motivazione apparente ma, anche, di vere e proprie violazioni di legge con riguardo alla aderenza della decisione agli elementi costitutivi della fattispecie astratta in punto di sussistenza della pericolosita' e di esorbitanza dell'intervento ablatorio oltre i limiti fissati dalla normativa e dai principi vigenti; tanto premesso, ribadisce: la violazione di legge in punto di pericolosita' sociale: ribadisce come il giudizio di pericolosita' sociale debba essere fondato sulla verifica della sistematica commissione di condotte delittuose realizzate in un certo arco di tempo, principio che vale anche per quanto concerne i reati tributari; sottolinea ancora come il provvedimento impugnato abbia invece dato rilievo a condotte pregresse ed antecedenti il pur definito periodo di manifestazione della pericolosita' sociale del proposto e, per altro verso, non sfociate in imputazioni penali; sottolinea di nuovo come i fatti per i quali sono pendenti i procedimenti penali (a Bari ed Rimini). non sono stati oggetto di valutazione se non sotto il profilo della contestazione non considerando la natura degli stessi e la loro idoneita' a produrre redditi di cui il proposto potesse vivere; ribadisce, inoltre, le considerazioni svolte con riguardo alla dedotta illegittimita' di una confisca "totalitaria" della societa' (OMISSIS) srl senz'altro riconducibili a profili di violazione di legge; altrettanto sottolinea con riguardo all'accertamento del requisito della sproporzione finanziaria operato attraverso criteri che omettono di considerarla anno per anno e con riferimento ai singoli beni di volta in volta acquistati. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono inammissibili perche' articolati mediante censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede. E' infatti appena il caso di ribadire che nei procedimento di prevenzione, alla stregua di quanto gia' disposto dall'articolo 4 L. 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall'articolo 3-ter, comma 2, L. 31 maggio 1965, n. 575 e, oggi, dagli articoli 10, comma 3, e 27, comma 2, del Decreto Legislativo 159 del 2011, il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge; ne consegue che e' esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' l'ipotesi dell'illogicita' manifesta ovvero della contraddittorieta' della motivazione, di cui all'articolo 606, lettera e), c.p.p., potendosi denunciare con ii ricorso, poiche' qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello, esclusivamente il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 - 01, laddove, in motivazione, la Corte ha ribadito che non puo' essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; conf., piu' recentemente, Sez. 2 - n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435 - 01, in cui ia Corte ha chiarito che nel procedimento di prevenzione, anche il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. peri. e' estraneo al procedimento di legittimita', a meno che il travisamento non abbia investito piurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge). Altro aspetto su cui e' opportuno brevemente soffermarsi, e' quello relativo al rapporto tra la misura di prevenzione e l'accertamento di fatti rilevanti che sia intervenuto in sede penale. Ed anche sotto questo aspetto vale la pena ricordare come sia risalente, nella giurisprudenza di questa Corte, la affermazione secondo cui, tra il procedimento di prevenzione ed il processo penale, sussistono profonde differenze funzionali e strutturali, essendo il secondo ricollegato ad un determinato fatto reato ed il primo riferito ad una valutazione di pericolosita'; sicche', la reciproca autonomia dei due processi spiega gli interventi del legislatore per regolare i punti di possibile interferenza, abbandonando originarie sovrapposizioni e, di seguito, regole atipiche di pregiudizialita' per pervenire, da ultimo, alla configurazione di ambiti di totale autonomia, salva l'opportuna disposizione di coordinamento e di economia investigativa (cfr., Sez. 1, n. 5786 del 21/10/1999, Castelluccia; Rv. 215117 - 01; conf., Sez. 1, n. 5522 del 03/11/1995, Repaci, Rv. 203027 01, in cui la Corte aveva che il procedimento di prevenzione e' autonomo rispetto a quello penale, perche' nel primo si giudicano condotte complessive, ma significative della pericolosita' sociale; nel secondo si giudicano singoli fatti da rapportare a tipici modelli di antigiuridicita', sicche' nel procedimento di prevenzione il giudice e' legittimato a servirsi di elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali, prescindendo dalla conclusione alla quale il giudice e' pervenuto facendosi carico di individuare le circostanze di fatto rilevanti accertate in sede penale, e rivalutarle nell'ottica del giudizio di prevenzione). E', inoltre, noto il percorso di riflessione che e' intervenuto nella giurisprudenza anche alla luce dalle sollecitazioni provenienti soprattutto in ambito convenzionale, e che ha trovato un importante momento di sintesi nella sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale, che ha riguardato, in particolare, il profilo della determinatezza della fattispecie descrittiva della pericolosita' "generica", vagliata in un'ottica garantistica e di interpretazione convenzionalmente orientata. Ed era stato proprio il giudice delle leggi a ricordare, nell'occasione, che "nell'ambito di questa interpretazione "tassativizzante", la Corte di cassazione - in sede di interpretazione del requisito normativo, che compare tanto nella lettera a) quanto nella lettera b) dell'articolo 1 del Decreto Legislativo n. n, 159 del 2011, degli "elementi di fatto" su cui l'applicazione della misura deve basarsi - fa infine confluire anche considerazioni attinenti alle modalita' di accertamento in giudizio di tali elementi della fattispecie. Pur muovendo dal presupposto che "il giudice della misura di prevenzione puo' ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione - anche in assenza di procedimento penale correlato - in virtu' della assenza di pregiudizialita' e della possibilita' di azione autonoma di prevenzione" (Cass., n. 43826 del 2018), si e' precisato: che non sono sufficienti meri indizi, perche' la locuzione utilizzata va considerata volutamente diversa e piu' rigorosa di quella utilizzata dall'articolo 4 del Decreto Legislativo n. 159 del 2011 per l'individuazione delle categorie di cosiddetta pericolosita' qualificata, dove si parla di "indiziati" (Cass., n. 43826 del 2018 e n. 53003 del 2017); che l'esistenza di una sentenza di proscioglimento nel merito per un determinato fatto impedisce, alla luce anche dei disposto dell'articolo 28, comma 1, lettera b), che esso possa essere assunto a fondamento della misura, salvo alcune ipotesi eccezionali (Cass., n. 43826 del 2018); che occorre un pregresso accertamento in sede penale, che puo' discendere da una sentenza di condanna oppure da una sentenza di proscioglimento per prescrizione, amnistia o indulto che contenga in motivazione un accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte di quel soggetto (Cass., n. 11846 del 2018, n. 53003 del 2017 e n. 31209 del 2015)". Va tuttavia chiarito che l'intervento della Corte Costituzionale era stato sollecitato, ed e' stato reso, in ordine al profilo della sufficiente determinatezza delle ipotesi e categorie di pericolosi "generici" normativamente disegnate da legislatore; e' per l'appunto in questa prospettiva che e' stata richiamata, dai giudici delle leggi, la giurisprudenza di questa Corte in punto di interpretazione "tassativizzante" di tali categorie, nell'ottica della ricerca di uno standard di "legalita'" (che si e' ritenuto di poter qualificare come "alta") in grado di garantire la prevedibilita' delle conseguenze derivanti dalla consumazione di condotte suscettibili di evocare le predette categorie. La Corte Costituzionale ha percio' chiarito che "... nell'esaminare... se la giurisprudenza della Corte di cassazione della quaie si e' poc'anzi dato conto sia riuscita nell'intento di conferire un grado di sufficiente precisione, imposta da tutti i parametri costituzionali e convenzionali invocati, alle fattispecie normative in parola, occorre subito eliminare ogni equivoca sovrapposizione tra il concetto di tassativita' sostanziale, relativa al thema probandum, e quello di cosiddetta tassativita' processuale, concernente il quomodo della prova. Mentre il primo attiene al rispetto del principio di legalita' al metro dei parametri gia' sopra richiamati, inteso quale garanzia di precisione, determinatezza e prevedibilita' degli elementi costitutivi della fattispecie legale che costituisce oggetto di prova, il secondo attiene invece alle modalita' di accertamento probatorio in giudizio, ed e' quindi riconducibile a differenti parametri costituzionali e convenzionali - tra cui, in particolare, il diritto di difesa di cui all'articolo 24 Cost. e il diritto a un "giusto processo" ai sensi, assieme, dell'articolo 111 Cost. e dall'articolo 6 CEDU - i quali, seppur di fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimita' costituzionale del sistema delle misure di prevenzione, non vengono in rilievo ai fini delle questioni di costituzionalita' ora in esame". Di qui la ulteriore precisazione secondo cui "... non sono, dunque, conferenti in questa sede i pur significativi sforzi della giurisprudenza - nella perdurante e totale assenza, nella legislazione vigente, di indicazioni vincolanti in proposito per il giudice della prevenzione - di selezionare le tipologie di evidenze (genericamente indicate nelle disposizioni in questione quali "elementi di fatto") suscettibili di essere utilizzate come fonti di prova dei requisiti sostanziali delle "fattispecie di pericolosita' generica" descritte dalle disposizioni in questa sede censurate: requisiti consistenti - con riferimento alle ipotesi di cui alla lettera a) dell'articolo 1 dei Decreto Legislativo n. 159 del 2011 - nell'essere i soggetti proposti "abitualmente dediti a traffici delittuosi" e - con riferimento alla lettera b) - nel vivere essi "abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose"". Si e' percio' ritenuto che, proprio alla luce della evoluzione della giurisprudenza successiva alla sentenza "De Tommaso", sia possibile assicurare, in via interpretativa, una lettura sufficientemente precisa della fattispecie di cui alla lettera b) dell'articolo 1 del Decreto Legislativo 159 del 2011, con specifico riferimento a quella di "coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose" e che va intesa come "... espressiva della necessita' di predeterminazione non tanto di singoli "titoli" di reato, quanto di specifiche "categorie" di delitto". E, come pure precisato dai giudici delle leggi, le "categorie delittuose" che possono essere assunte a presupposto per la adozione della misura di prevenzione, sono poi suscettibili di concretizzarsi, nel caso di specie esaminato dal giudice, in virtu' del triplice requisito - da provarsi sulla base di precisi "elementi di fatto", di cui il tribunale dovra' dare conto puntualmente nella motivazione (articolo 13, comma 2, Cost.) - per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. Traendo le fila del discorso, rileva il collegio che i principi convenzionali e costituzionali che hanno guidato il progressivo evolversi della giurisprudenza, hanno imposto la adozione di criteri interpretativi in grado di garantire degli standard di legalita' "alta", quanto alla individuazione delle condotte e dei comportamenti da cui possano conseguire provvedimenti di prevenzione di natura personale o patrimoniale. Ed e' in quest'ottica che, correttamente, si e' ribadito - anche in sede costituzionale - come la premessa per la adozione di tali provvedimenti non sia l'accertamento di "delitti", terreno piu' propriamente di competenza del giudice penale, ma di "elementi di fatto" da cui possa desumersi che il proposto viva abitualmente, anche in parte, del provento di attivita' delittuose (cfr., articolo 1, lettera b), cit.). Ecco, allora, che l'avvertita esigenza di uno "standard" di legalita' "alta", finisce con il riflettersi non tanto sulle modalita' di accertamento quanto, piuttosto, sull'oggetto della verifica operata dal giudice della prevenzione e che deve essere focalizzato, per l'appunto, sull'esistenza di "elementi di fatto" suscettibili di essere individuati e ricostruiti in termini di adeguata precisione. Il tema si intreccia, tuttavia, e come accennato, con quello del quomodo dell'accertamento, dal momento che e' certamente possibile, per ii giudice della prevenzione, prendere atto dell'esistenza di un giudicato penale, relativo ad un "fatto" coincidente con una fattispecie delittuosa e per la quale sia intervenuta una condanna passata in giudicato; in tal caso, infatti, gli "elementi di fatto" sono direttamente evincibili dalla sentenza che ha riconosciuto la loro conformita' alla fattispecie di reato per cui sia intervenuta la condanna. Ma, come e' stato piu' volte ribadito, l'accertamento "pieno" del fatto ben puo' essere contenuto, ed essere quindi tratto, da una pronuncia che, in sede penale, abbia tuttavia dovuto constatare la intervenuta prescrizione del reato; e' appena i caso di richiamare, a tal proposito, ed in ambito prettamente penale, il disposto di cui agli articoli 578 e 578bis c.p.p. ma, anche, ed in termini piu' attinenti al tema che ci occupa, l'articolo 578ter, c.p.p., introdotto dal Decreto Legislativo 150 del 10.10.2022. Non e' questa la sede per affrontare l'esame della norma di nuovo conio, essendo sufficiente rilevare essa sia espressione della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale e, nel contempo, ribadisca come il giudice della prevenzione ben possa utilizzare le risultanze di un procedimento penale, non esitato in una sentenza di condanna, per individuare e ricostruire gli "elementi di fatto" su cui fondare la diagnosi di pericolosita' generica nei termini sopra indicati. Sussistono percio' tutte le condizioni per ribadire la persistente validita' dei principio secondo cui, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l'autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, puo' valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un'affermazione di pericolosita' generica del proposto Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, ex articolo 1, comma 1, lettera b), non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell'articolo 530, comma 2, c.p.p., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettivita' quei fatti che, pur ritenuti insufficienti - nel merito o per preclusioni processuali - per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosita' (cfr., Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Staniscia, Rv. 282655 01; Sez. 2 -, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862 01; Sez. 2 -, n. 25042 del 28/04/2022, Amandonico, Rv. 283559 - 03 in cui la Corte ha ribadito che giudizio di prevenzione e' funzionale a valutare la condizione di pericolosita' sociale del prevenuto e non presuppone un compiuto accertamento della responsabilita' penale, affermando tale principio in una fattispecie in cui il giudizio di pericolosita' era stato fondato sulla valutazione di atti di indagine e non su sentenze di condanna o, anche, di proscioglimento). E' tuttora possibile ribadire, insomma, che nel procedimento di prevenzione, insomma, il giudice puo' pur sempre valorizzare elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali e procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei fatti ivi accertati, purche' dia atto in motivazione delle ragioni per cui essi siano da ritenere sintomatici della attuale pericolosita' del proposto (cfr., Sez. 2, n. 26774 del 30/04/2013, Chianese, Rv. 256819 01; Sez. 6, n. 4668 del 08/01/2013, Parmigiano, Rv. 254417 01; Sez. 5, n. 1968 del 31/03/2000, Mannone, Rv. 216054 - 01). Il ricorso di (OMISSIS). 1. Alla luce delle suesposte premesse e' possibile, quindi, affrontare il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) che, nel secondo motivo, rileva per l'appunto la illegittimita' del decreto in quanto emesso in assenza di qualsivoglia sentenza di condanna ovvero di elementi di fatto inidonei a fondare il giudizio di pericolosita' sulla base del quale e' stata emessa la misura patrimoniale di cui si discute. Rileva ii collegio che, una volta sgombrato il campo da ogni perplessita' e ribadita la ribadita autonomia del procedimento di prevenzione che ben puo' prescindere da un previo accertamento in sede penale circa la commissione di specifici "delitti", l'esame del provvedimento impugnato non consente di individuare spazi utili per coltivare, sotto questo profilo, doglianze riconducibili al vizio di violazione di legge sia pure nella accezione di cui si e' dato conto in premessa. La Corte di appello di Potenza, infatti, ha svolto un approfondito esame dei presupposti della pericolosita' "generica" dell'odierno ricorrente motivando in termini incensurabili in questa sede quanto agli elementi "di fatto" sintomatici della circostanza che il proposto viva, abitualmente, ed anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose. I giudici di merito hanno infatti spiegato che l'accertamento della pericolosita' generica del ricorrente e' stato operato sulla scorta degli elementi desunti da procedimenti penali ancora pendenti, nell'ambito di uno dei quali erano state adottate, nei suoi confronti, delle misure personali, e da cui e' stato possibile enucieare gli indici rivelatori degli elementi fattuali suscettibili di integrare il presupposto della abitualita' nella commissione di attivita' delittuose generatrici di ingenti profitti tali da consentire al proposto ed alla sua famiglia ("allargata") di mantenere un tenore di vita particolarmente elevato e di accumulare un importante patrimonio immobiliare. Nel prendere in esame il motivo di appello articolato sul punto, la Corte potentina ha, dunque, correttamente preso in esame i due procedimenti penali in questione, a partire da quello n. 14008/17 RGNR, pendente di fronte al Tribunale di Bari, e relativo al fallimento della (OMISSIS) srl di cui il ricorrente e' ritenuto amministratore "di fatto" e nel quale era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari e rinviato a giudizio per i delitti di cui agli 10bis 74/2000 per omesso versamento, in qualita' di sostituto di imposta, della somma di Euro 3.479.967,62 nell'anno di imposta 2014; della somma di Euro 3.861.489,20 per l'anno di imposta 2015; della somma di Euro 3.308.551,46 per l'anno di imposta 2016; per Euro 2.515.059,68 per l'anno di imposta 2017; ma, anche per il delitto di cui all'articolo 648ter.1 c.p. quanto alla somma di Euro 5.000.000 trasferiti alla moglie separata (OMISSIS), da costei conferita nella (OMISSIS) srl, ed utilizzata per l'acquisto di fondi comuni di investimento, e da ritenersi provento del delitto di bancarotta per distrazione per l'importo complessivo di quasi 10.000.000 di Euro in danno della (OMISSIS) srl e realizzata attraverso una serie di condotte distrattive (cfr., pag. 46 del decreto in verifica) poste in essere nel corso degli anni e che avevano portato ad una esposizione debitoria della societa' nei confronti dell'Erario e degli enti previdenziali per quasi cinquanta milioni di Euro. Nell'ambito del procedimento penale, pertanto, oltre alla misura personale, era stato disposto ii sequestro preventivo della somma di circa nove milioni e mezzo di Euro, quale profitto della bancarotta realizzata con la spoliazione della societa' attraverso sistematici rimborsi ai soci attuati con un meccanismo, accuratamente ricostruito nei provvedimento impugnato, ed imperniato anche su una serie di societa' di sponsorizzazione che rappresentavano lo "schermo" utilizzato per la retrocessione di importi ingentissimi (cfr., pagg. 47-49 del provvedimento impugnato). La Corte di appello ha passato in rassegna le evidenze investigative (sommarie informazioni testimoniali, verbali di interrogatorio, acquisizioni documentali) che avevano portato ai rinvio a giudizio dei Columeila per il delitto di bancarotta sia patrimoniale che documentale "... avendo distratto, dissipato e distolto ingenti quantita' di denaro dalla (OMISSIS) srl facendole confluire nelle societa' cartiere con sede legale in (OMISSIS) ed anche in Puglia, volte ad evadere le imposte e occultare le somme ad esse destinate, procedendo a indebite restituzioni al socio-amministratore (OMISSIS), effettuate nel corso degli anni con prelievi dal patrimonio sociale posto a garanzia dei creditori che e' stato nel tempo depauperato" (cfr., ivi, pag. 49). E' stato chiarito che tale modalita' di gestione societaria era stato replicato, nel corso degli anni, anche in relazione ad altre societa' quali la (OMISSIS) srl, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Foggia del 23.9.2015 e per la quale la Corte ha acquisito la relazione del curatore ex articolo 33 L.F. (cfr., ivi, ancora, pag. 50). I giudici potentini, in particolare, hanno affrontato le doglianze difensive che erano state articolate dalla difesa del (OMISSIS) nel "merito" delle contestazioni di bancarotta elevate a carico del proposto, non eludendo alcuno dei rilievi, sostenuti da una ponderosa produzione documentale e da consulenze tecniche di parte, esaminando di volta in volte gli elementi segnalati dalla difesa e replicando in maniera persino puntigliosa alle considerazioni di natura giuridica e tecnica sollevate con l'atto di gravame; nel far questo, hanno richiamato la relazione dei curatori della (OMISSIS) srl secondo cui "... l'impresa e' stata utilizzata nel tempo come banca della famiglia (OMISSIS), nel senso che tutte le spese, tutti i costi che avrebbero dovuto sostenere i componenti della famiglia (OMISSIS), venivano invece sostenuti dalla (OMISSIS) srl" (cfr., ivi, pag. 50). Il provvedimento e' inoltre puntualmente motivato anche con riguardo alla (contestata dalla difesa) posizione del (OMISSIS) quale amministratore di fatto (cfr., ivi, pag. 51) ed alle condotte distrattive descritte e ricostruite (cfr., ivi, pag, 52) in termini che, certamente, non possono dirsi apparenti ovvero frutto di cosi' rilevanti e clamorosi travisamenti da dar luogo ad una motivazione sostanzialmente inesistente. Lo stesso ricorso, infatti, su questi punti non denuncia dei "travisamenti" limitandosi ad opporre, a quella operata e sposata dai giudici di merito, una ricostruzione diversa dei fatti mediante una piu' favorevole lettura, anche dal punto di vista tecnico, dei medesimi elementi fattuali desunti dai procedimenti penali ed ampiamente richiamati. In definitiva, il ricorso, al di la' della proclamazione di principio, finisce per articolarsi in una serie di censure che, a ben guardare, finiscono per porti in diretta contrapposizione con le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, sostenendo una ricostruzione della vicenda in termini alternativi rispetto a quella recepita e proposta nel provvedimento impugnato di cui, tuttavia, non riesce ad evidenziare nemmeno dei profili di manifesta illogicita'. In tal senso si deve concludere anche per quanto concerne la motivazione del provvedimento in ordine ai fatti che erano stati posto all'origine della imputazione di autoriciclaggio per l'importo di 5.000.000 di Euro, rispetto ai quali e' stata affrontata e disattesa la alternativa ricostruzione operata dalla difesa sulla scorta di una consulenza tecnica; la Corte, infatti, ha ampiamente motivato sia sulla origine di quell'importo che, in particolare, sulla sua sostanziale riferibilita' ai (OMISSIS) in quanto confluita nella (OMISSIS) srl la cessione delle cui quote e' stata ritenuta operazione fittizia, tanto da aver comportato la nullita' dei relativi atti traslativi, ai sensi dell'articolo 26 del Decreto Legislativo 159 del 2011. Oltre al procedimento pendente a Bari, i giudici della prevenzione hanno preso in esame i fatti risultanti dal proc. 5792/14 RGNR presso il Tribunale di Rimini e relativo a fatti penalmente rilevanti contestati al (OMISSIS) quale amministratore di fatto della (OMISSIS) srl e della (OMISSIS) srl, (OMISSIS) srl. Anche in tal caso, la Corte di appello di Potenza non si e' affatto limitata a prendere atto e a dare rilievo esclusivamente al dato della pendenza del procedimento ma, in coerenza con i principi di cui si e' accennato nella premessa, ha esaminato i "fatti" posti a fondamento delle imputazioni che riguardano, prevalentemente, la emissione di fatture per operazioni inesistenti "... al fine di consentire a terzi ((OMISSIS) srl, (OMISSIS) srl, (OMISSIS) sr, (OMISSIS) srl, (OMISSIS). srl, ed altre societa') l'evasione di imposte sui redditi e sul valore aggiunto..." (cfr., pagg. 55-56) per importi di milioni di Euro; dichiarazioni fraudolente ed omesso versamento di ritenute. I giudici di merito hanno anche in questa occasione preso in esame la documentazione prodotta dalla difesa motivatamente disattendendo la ricostruzione alternativa ivi proposta e, invece, argomentando, in termini congrui e puntualmente collegati agli elementi investigativi richiamati, sulla utilizzazione, da parte del (OMISSIS), delle societa' di sponsorizzazione come soggetti strumentali (trattandosi, peraltro, di societa' indubbiamente "fittizie" e per le quali non si giustifica certo una attivita' di sponsorizzazione di societa' di pallavolo per milioni di Euro) rispetto alle condotte distrattive poste in essere negli anni da proposto ai danni delle societa' a lui riconducibili. Il meccanismo della utilizzazione di societa' operative come "bancomat" per spese o arricchimenti personali era stato replicato, secondo la Corte di appello, anche con la (OMISSIS). srl, anch'essa infatti coinvolta nel "giro" di (false) sponsorizzazioni strumentali a coprire, dal punto di vista documentale, la distrazione a favore del proposto e dei suoi familiari (cfr., pagg. 63-64, con riguardo alla ricostruzione desunta dalla sentenza della Commissione Tribunale di Bari del 10.10.2018, prodotta dalla difesa). Per chiudere il discorso relativo alla individuazione degli indici di pericolosita' sociale, e' peraltro opportuno dar conto delle ampie e diffuse argomentazioni difensive sviluppate anche sul versante della "abitualita'" delle condotte, quale ulteriore presupposto per la formulazione del giudizio di pericolosita' e per la conseguente adozione di misure di natura vuoi personale che, come nel caso in esame, solo patrimoniale. In particolare, la difesa ha insistito sul fatto che, in definitiva, la vicenda oggetto del procedimento pendente a Bari e quella oggetto del procedimento pendente a Rimini sono tra loro cosi' intimamente legate che, di fatto, avrebbero potuto confluire in un unico filone processuale che, in sostanza, finirebbe con l'essere la sola questione di rilevanza penale suscettibile di essere presa in considerazione e, in quanto tale, non in grado di integrare il requisito della "abitualita'". Richiamando, allora, le premesse, e' allora opportuno ribadire come, in sede di prevenzione, non rilevi tanto l'accertamento di singoli delitti quanto, come si e' cercato di chiarire in precedenza, la verifica di specifici "fatti" dai quali desumere, per l'appunto, che il soggetto viva, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose. La questione non era sfuggita alla Corte di appello che, infatti, ha correttamente segnalato come la bancarotta patrimoniale sia un "... reato a condotta plurima realizzato con piu' atti ripetuti negli anni fino alla dichiarazione di fallimento..." (cfr., pag. 78 del decreto impugnato), evocando, peraltro, l'imputazione formulata nel processo (OMISSIS) srl in cui si parla di "piu' fatti di bancarotta". Nel caso in esame, dunque, se e' vero che le vicende relative al fallimento della (OMISSIS) srl ed ai reati fiscali per i quali pende il procedimento a Rimini sono oggetto di due singoli procedimenti penali, e' pur vero che si sono sviluppate in plurime condotte articolatesi nel corso di vari anni; si e' trattato, come la Corte di appello ha dato ampiamente conto, di plurimi episodi di distrazione di volta in voita "coperti" dalla correlativa emissione di fatture per operazioni inesistenti con il ricorso alle fittizie societa' di sponsorizzazione. In altri termini, dunque, si e' in presenza di plurimi delitti ma, prima ancora, di plurime "condotte delittuose", sia pure destinate ad integrare e confluire nella fattispecie della bancarotta che, come pure e' stato chiarito, ha natura di reato a condotta eventualmente plurima, che puo' essere realizzato con uno o piu' atti, senza che la loro ripetizione, nell'ambito deilo stesso fallimento, dia luogo ad una pluralita' di reati in continuazione, non venendo meno il carattere unitario del reato quando le condotte previste dall'articolo 216 L.F. siano tra loro omogenee, perche' lesive del medesimo bene giuridico, e temporalmente contigue (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Verdini, Rv. 281031 - 01, in cui la Corte ha ritenuto unitaria la condotta di reato consistita in plurimi atti di distrazione di liquidita' di un istituto di credito, mediante finanziamenti o affidamenti con scoperto, realizzati in continuita' nel periodo antecedente la dichiarazione di insolvenza; conf., Sez. 5 -, n. 4710 del 14/10/2019, Falcioni, Rv. 278156 - 01; cfr., anche, Sez. 5 -, n. 44097 dei 05/07/2019, Bellini, Rv. 277407 - 01, secondo cui, ne caso di consumazione di una pluralita' di condotte tipiche di bancarotta, anche relative a diverse fattispecie di cui agii articoli 216 e 217 L. Fall., nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'articolo 81 c.p.). Al di la' del differente approccio interpretativo appena richiamato, quel che rileva, ai nostri fini, e' che, certamente, la Corte di appello ha evidenziato una pluralita' di condotte delittuose sviluppatesi nel corso di un arco di tempo significativo, altrettanto certamente produttive di profitto che, infine, ha rappresentato senz'altro, la fonte di sostentamento del (OMISSIS) come della sua famiglia "allargata". Di qui, percio', la manifesta infondatezza del motivo con cui la difesa ha inteso da un lato evidenziare come, nei confronti del (OMISSIS), fossero stati intrapresi (solo) due procedimenti penali tuttora in corso e non definiti con sentenze di condanna; con la conseguente impossibilita' di ritenere integrato il presupposto della "abitualita'" nel delitto. 2. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) prospetta una serie di questioni che attengono, invece, al profilo della sproporzione patrimoniale, del rapporto tra la confisca e la perimetrazione temporale della ritenuta pericolosita' sociale, del quantum della confisca, oltre a specifiche censure in ordine alle modalita' di determinazione dello squilibrio tra attivo e passivo nell'arco di tempo oggetto di indagine e direttamente incidenti sull'arco temporale del manifestarsi della pericolosita' del proposto. Rileva il collegio che, anche sotto questi profili, ii provvedimento impugnato non si presta a rilievi di violazione di legge avendo la Corte di appello di Potenza preso in esame tutte le doglianze articolate dalla difesa motivando su ciascuna di esse senza incorrere in errori di diritto censurabili in questa sede e, nel contempo, fornendo una ricostruzione fattuale rispetto alla quale il ricorso si risolve nella prospettazione di soluzioni alternative non riuscendo, tuttavia, ad evidenziare delle lacune motivazionali tali da risolversi nella sostanziale violazione dell'obbligo di motivazione sancito dall'articolo 125 cod. proc. pena Cosi', in particolare, quanto alla "perimetrazione temporale" della pericolosita' sociale, la Corte di appello ha richiamato le vicende oggetto dei due procedimenti penali in corso e che si sono sviluppate tra il 2009 ed il 2015 dando luogo ad una serie di condotte predatorie in danno delle sue stesse imprese e sotto forma, come si e' detto, di rimborsi per finanziamento soci oltre a commettere una serie di reati fiscali. Ha riepilogato le modalita' di gestione delittuosa delle societa' confutando il motivo di appello fondato sugli ultimi due acquisti immobiliari intervenuti nel 2020 con provvista in contanti (cfr., pag. 76 del provvedimento in esame) da parte della (OMISSIS) srl, non senza sottolineare la contraddittorieta' della impostazione difensiva che da un lato ha sottolineato ii' carattere "reale" della cessione della societa', intervenuto nel 2017 e, dall'altro, la "genuinita'" dell'acquisto perfezionato dal (OMISSIS) e non dal figlio (OMISSIS), che ne era l'amministratore di diritto. I giudici potentini hanno inoltre motivato sulle ragioni per le quali non poteva essere condivisa la tesi difensiva che aveva ritenuto di poter eventualmente far decorrere il periodo di "pericolosita' sociale" dal 2014 (cfr., ivi, pagg. 77-80) giungendo a concludere nel senso che "... si puo' indicare l'anno 2010 come momento in cui le plurime condotte delittuose di cui e' imputato, compresi i delitti di evasione di imposta, hanno raggiunto consistenza e frequenza tali da consentire, gia' all'epoca, la applicazione della misura di prevenzione" osservando che la "cartina al tornasole" e' rappresentata proprio dalla rilevante sproporzione tra fonti e risorse lecite ed impieghi accertati in quell'anno e che non era stata negata nemmeno dai consulenti della difesa (cfr., pagg. 81-82 del provvedimento impugnato). Il provvedimento si e' inoltre soffermato in maniera analitica sull'errore metodologico che, gia' segnalato con l'atto di appello, e' stato nuovamente evidenziato dalla difesa con il primo motivo di ricorso con riguardo alla ritenuta erroneita' della "sommatoria" delle passivita' (ovvero i saldi negativi tra le entrate lecite e le uscite) emerse anno per anno, incidendo in maniera a suo avviso impropria sulla determinazione del saldi annuali e ravvisando, percio', la conseguente necessita' di riformulare il calcolo escludendo il saldo negativo "iniziale" ma tenendo conto, al contrario, di quello positivo, considerato come risorsa "lecita". La Corte di appello ha ribadito, invece, la correttezza del meccanismo di calcolo utilizzato nel provvedimento impugnato evidenziando che, in tal modo, viene evidenziato un indice di progressiva incoerenza finanziaria ed ha segnalato come si tratti di una metodica ampiamente condivisa tra i tecnici del settore (cfr., ivi, pag. 86). Ad ogni modo, ha fatto presente che il risultato finale del giudizio di sproporzione sarebbe stato ben oltre il limite della tollerabilita' anche tenendo conto della complessiva sproporzione finale come calcolata dalla difesa (cfr., in tal senso, anche, pag. 87). Va detto che, al di la' della natura della censura che, di certo, non puo' considerarsi tale da evocare un profilo di violazione di legge, si tratta di rilievi che appaiono persino generici in quanto, indipendentemente dal diverso risultato aritmetico emergente anno per anno, la difesa non ha potuto indicare quali sarebbero stati i riflessi di tale diversa soluzione sui beni attinti dal sequestro e, poi, dalla confisca disposta con il provvedimento impugnato, ovvero se, e quali, tra i beni attinti dalla misura patrimoniale, avrebbero potuto ritenersi lecitamente acquisiti (ovvero acquisiti in un periodo in cui non emeraeva un saldo "passivo tra entrate lecite ed uscite) laddove fosse stato utilizzato il metodo alternativamente proposto nell'interesse del ricorrente. Ne', come ritenuto dalla difesa, e' stato trascurato che il ricalcolo dei saldi doveva tener conto della nuova perimetrazione con decorrenza dal 2010 e non gia', come ritenuto dal Tribunale, dal 2009 sostenendo che, per l'appunto, il risultato ottenuto seguendo la ricostruzione suggerita dalla difesa sarebbe comunque di sproporzione (cfr., ivi, ancora, pag. 88). Il motivo, in definitiva, e' articolato su censure non consentite. I ricorsi dei terzi interessati. Con riguardo ai terzi interessati va in primo luogo ed opportunamente ribadito il principio, piu' volte affermato e largamente prevalente nella giurisprudenza della Corte, secondo cui, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi puo' rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarita' e la proprieta' dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di ailegazione, mentre non e' legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprieta' del proposto, essendo del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l'applicazione della misura nei confronti di quest'ultimo - quali la condizione di pericolosita', la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonche' la provenienza del bene stesso - e che solo costui puo' avere interesse a far valere (cfr., Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, Icardi, Rv. 280249 01; Sez. 6 -, n. 7469 del 04/06/2019, Hudorovic, Rv. 278454 03; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Rv. 277225 - 04). 1. I ricorsi nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS) in proprio e nella qualita' di legale rappresentante della (OMISSIS) sri (OMISSIS), coniuge separata di (OMISSIS), impugna il provvedimento della Corte di appello di Potenza nella parte in cui i giudici di merito hanno confermato la misura patrimoniale con riguardo all'immobile, a lei intestato, ed iscritto al (OMISSIS). (OMISSIS), particolo (OMISSIS), acquistato nel 2012, e, in secondo luogo, con riguardo alla confisca della sua partecipazione societaria nella (OMISSIS) srl. Con il primo motivo, infatti, contesta la affermazione della Corte territoriale secondo cui, sulla confisca dell'immobile in questione, non sarebbe stato articolato uno specifico motivo di appello ma sarebbe stata avanzata soltanto una generica istanza di restituzione formulata nelle conclusioni finali (cfr., infatti, pagg. 110 e 111 del provvedimento impugnato, in cui la Corte ha preso atto che "... non e' stato proposto alcuno specifico motivo di appello avverso la confisca della intera proprieta' immobiliare identificata al foglio n. (OMISSIS), particella (OMISSIS), sub (OMISSIS), categoria C/2, classe 5, acquistato con atto pubblico del 12.7.2012, rogato dal notaio (OMISSIS) di (OMISSIS)..."); la Corte di appello ha fatto presente, infatti, che "... genericamente, nell'atto di appello, a pag. 15, e' formulata la domanda âEuroËœtutti i beni vanno pertanto restituiti all'odierna appellante in quanto privi di qualsiasi correlazione con il patrimonio e le attivita' del proposto, senza addurre alcuna critica alla motivazione esposta in relazione ai suddetti immobili nel decreto ablativo" che, al contrario, aveva specificamente motivato in ordine alle ragioni per le quali si doveva ritenere che la provvista per l'acquisto dell'immobile non poteva provenire da lei ma, con tutta probabilita', dal proposto. Va ribadito, in primo luogo, che l'appello avverso i provvedimenti in tema di misure di prevenzione deve qualificarsi come impugnazione ed e' pertanto soggetto alla relativa disciplina, compreso l'articolo 581 c.p.p., sicche' deve essere ritenuto inammissibile per difetto di specificita' l'appello che non contenga l'enunciazione dei motivi (cfr., Sez. 2, n. 16553 del 31/03;2022, Milano, Rv. 282965 - 01). Tanto premesso, rileva il collegio che la valutazione operata dalla Corte territoriale e' assolutamente corretta, dovendosi peraltro rilevare come soltanto con il presente ricorso la difesa della (OMISSIS) abbia articolato dei rilievi (quale quello concernente l'epoca d'acquisto del bene) che hanno riguardato specificamente il bene in questione, introducendo peraltro dei profili di fatto che, oltre a non essere scrutinabiii in questa sede, danno conto - per converso - della mancanza di considerazioni analogamente puntuali mai invece prospettate con l'atto di appello, la cui genericita' e' stata percio' rilevata dal giudice dell'impugnazione. Manifestamente infondato e' anche il secondo motivo del ricorso della (OMISSIS) con cui la ricorrente lamenta che, proprio tenendo conto della perimetrazione della pericolosita' sociale del Columeila, definita dalla Corte di appello nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2017, la confisca ha illegittimamente attinto la quota di partecipazione nella (OMISSIS) sri, societa' costituita nel mese di ottobre del 2006, con una statuizione a suo avviso evidentemente contraddittoria con quella che ha invece riguardato la (OMISSIS) srl, la (OMISSIS) sri ed i beni aziendali della sua ditta individuale (OMISSIS), per le quali la Corte ha revocato la confisca sui presupposto che, nonostante si trattasse di attivita' certamente finanziate dall'ex marito, erano tuttavia sorte fuori del periodo di perimetrazione temporale della pericolosita'. Il ricorso, infatti, non considera e non si' confronta con la analitica e minuziosa ricostruzione contenuta nel provvedimento impugnato (cfr., pagg. 93 e ssgg.) sul carattere "fittizio" della cessione delle quote sociali da parte di (OMISSIS) che ha utilizzato la societa', oltre che come vera e propria "cassaforte" del suo ingente patrimonio immobiliare, anche per occultare la provenienza illecita della somma di 5.000.000 in relazione alla quale, come si e' accennato, e' stato rinviato a giudizio per il delitto di autoriciclaggio; anche su questo punto la Corte ha analizzato i vari passaggi del denaro confutando, nel merito, la ricostruzione difensiva e confermando quella del Tribunale con una motivazione affatto apparente. In particolare, la Corte ha ribadito il rapporto fiduciario tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), ad onta della intervenuta separazione, insistendo sulla mancata dimostrazione di passaggi di denaro a fronte della cessione delle quote e, inoltre, segnalando l'intervenuto l'acquisto di un ulteriore immobile, conferito nella societa', da parte di (OMISSIS) quando egli aveva gia' ceduto le quote societarie; ad ulteriore conforto della impossibilita' di seguire la tesi della difesa circa la finalita' perseguita da (OMISSIS) nella "distribuzione" delle quote della societa', i giudici di merito hanno congruamente valorizzato la circostanza secondo cui la ripartizione del patrimonio immobiliare tra i figli, cui per l'appunto la cessione sarebbe stata finalizzata, non era stata tuttavia in alcun modo modificata con l'avvento della quarta figlia che, qualora fosse stata questa la finalita' perseguita, avrebbe invece essere dovuto portare ad una nuova e diversa divisione. Le argomentazioni del provvedimento impugnato in merito alla fittizieta' della cessione della societa' valgono anche a qualificare in termini di genericita' il ricorso proposto da (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della societa', che non si e' per nulla confrontato con il contenuto dei decreto e con la ricostruzione ivi operata limitandosi a riproporre la alternativa versione della vicenda gia' coltivata nelle fasi di merito. Prescindendo, peraltro, da ogni considerazione sulla legittimazione ad impugnare il provvedimento in nome e per conto della societa' da parte di (OMISSIS) ovvero, per averlo rivendicato egli stesso, da (OMISSIS) (in forza della declaratoria di nullita' degli atti di cessione), va ad ogni modo richiamato l'orientamento di questa Corte secondo cui, nel caso di confisca dell'intero capitale sociale di una societa' e di beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi dell'articolo 23, comma 2, del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale (cfr., Sez. 1, n. 35793 del 15/02/2019, Amodeo, Rv. 276939 02; Sez. 1, n. 42238 del 18/05/2017, Mancuso, Rv. 270973 - 01). Quanto al motivo articolato in ordine alla presunta applicazione analogica delle presunzioni previste dall'articolo 26 del Decreto Legislativo 159 de 2011 ad ipotesi invece contempiate dall'articolo 19, oggetto del secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e del primo motivo del ricorso di (OMISSIS), va rilevato che la Corte d'appello ha chiarito (cfr., pag. 91 del decreto) che nessuna presunzione di interposizione fittizia, quale quella di cui al richiamato articolo 26, era stata in realta' considerata dal primo giudice che aveva invece evocato la previsione di cui all'articolo 19 da cui deriva invece il riconoscimento del potere di indirizzare le indagini di prevenzione in maniera peculiare nei confronti delle categorie ivi indicate (cfr., pag. 91 del decreto). Questa Corte, peraltro, ha chiarito che dall'articolo 19, comma 3, Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159 deriva non gia' una presunzione di appartenenza in capo al proposto dei beni intestati ai familiari, bensi' il riconoscimento del potere di indirizzare le indagini di prevenzione in modo speciale nei confronti del coniuge, dei figli e degli altri soggetti che abbiano convissuto con ii proposto nell'ultimo quinquennio; ne consegue che, al di fuori delle specifiche presunzioni di cui all'articolo 26, comma 2, Decreto Legislativo cit., il rapporto esistente tra il proposto e tali soggetti puo' costituire circostanza di fatto significativa della fittizieta' della intestazione di beni di cui il primo non possa dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulti formalmente titolare dei cespiti, sia sprovvisto di effettiva capacita' economica (cfr., Sez. 2 -, n. 14981 del 09/01/2020, Cesarano, Rv. 279224 - 01; conf., piu' recentemente, Sez. 5, n. 37297 del 23/06/2022, Stanek, Rv. 283798 - 01, in cui la Corte ha ribadito che l'articolo 19, comma 3, Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, non introduce alcun limite soggettivo o temporale all'attivita' investigativa da svolgersi ai fini dell'applicazione della misura, ma indica le particolari categorie di soggetti - coniuge, figli e conviventi nell'ultimo quinquennio - in relazione ai quali la fittizia intestazione dei beni in favore dei proposto e' legittimamente presunta, senza la necessita' di specifici accertamenti, quando non risulti la disponibilita' di risorse economiche proprie). Pur esulando dai motivi di ricorso articolati nell'interesse dei soggetti sopra indicati, ma interessando direttamente la (OMISSIS) srl, e' opportuno trattare in questa sede la questione, posta invero da (OMISSIS), della applicazione della confisca ai beni immobili intestati alla societa' ma acquistati con risorse del proposto in periodi diversi da quelli interessati dalla perimetrazione temporale della pericolosita' sociale. Nemmeno su questo aspetto la difesa puo' essere seguita. Si e' chiarito, infatti, in tema di misure di prevenzione reali, ia confisca avente ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie si estende di diritto ai relativi beni costituiti in azienda, anche in mancanza di espresso ordine del tribunale, atteso che, sebbene l'articolo 24, comma 1-bis, Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159, introdotto dall'articolo 5, comma 8, lettera a), della L. 17 ottobre 2010, n. 161, non contempli un'esplicita previsione in tal senso, trova applicazione il principio generale espressamente enunciato, quanto al sequestro, la cui disciplina e' del tutto omogenea a quella della confisca, dall'articolo 20, comma 1, penultimo periodo, dei medesimo decreto, che sancisce "in ogni caso" siffatta estensione (cfr., Sez. 1, n. 13601 del 05/02/2021, Bonalumi, Rv. 281429 01; Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, Pomilio, Rv. 278679 - 02, resa in una fattispecie non dissimile a quella che ci occupa, in cui la Corte ha affermato che la sistematica condotta di evasione fiscale, di rilievo penale, e la conseguente immissione di capitali di provenienza non lecita in un complesso aziendale - che comporta l'impossibilita' di scindere tra eventuali componenti sane, riferibili ad attivita' imprenditoriale lecita, e apporto di capitali illeciti -, nonche' il considerevole divario tra l'ammontare dei redditi ufficiali e la misura degli investimenti effettuati nelle societa' riferibili al proposto rappresentano elementi rilevanti al fine dell'inquadramento del predetto nella categoria di cui all'articolo 1, comma 1, lett.b), Decreto Legislativo n. 6 settembre 2011, n. 159 e della conseguente applicazione della confisca di prevenzione di immobili e quote sociali nella disponibilita' del medesimo, anche se formalmente intestati a terzi). Detto questo, va anche rilevato che le censure articolate dalla difesa del (OMISSIS) sono generiche in quanto non colgono e non si confrontano con le ragioni poste dalla Corte di appello a fondamento della propria decisione: la Corte, infatti, ha ben evidenziato che la societa' era proprietaria di immobili totalmente improduttivi di reddito e con bilanci in perdita per importi non insignificanti (cfr., pag. 134 del provvedimento impugnato) rappresentando, come detto, una sorta di "cassaforte" dei beni in cui sono stati nel tempo reimpiegati i profitti delle attivita' illecite e delle condotte delittuose tenuta dal proposto e produttive di risorse da reinvestire. In definitiva, tenendo conto del fatto che la societa' non aveva dipendenti essendo se non lo stesso (OMISSIS), assunto full time dal 23.6.2019, e che, ad onta dell'oggetto sociale (compravendita, locazione, permuta di beni immobili), non si era mai registrata alcuna alienazione, la Corte ha ragionevolmente concluso nel senso che essa era stata, di fatto, un mero strumento per porre al riparo il patrimonio immobiliare del proposto dai creditori, da vicende cautelari penali e da rischi di fallimento (cfr., ivi, pag. 135). Ed e' con questa motivazione che il ricorso avrebbe dovuto confrontarsi, e non limitarsi ad invocare la violazione del principio di "correlazione temporale" per escludere taluni beni immobili, conferiti nella societa', dalla confisca totalitaria delle quote di quest'ultima. Da ultimo, ed ancora una volta con argomentazione ignorata dalla difesa, la Corte di appello ha spiegato che, quand'anche parte delle acquisizioni immobiliari fosse intervenuta in un periodo antecedente la manifestazione della pericolosita' sociale del (OMISSIS), si sarebbe comunque in presenza di immobili acquistati dalla (OMISSIS) srl e di proprieta' della societa' che, per questa ragione, non potrebbero comunque essere restituiti a (OMISSIS) quale persona fisica (cfr., pag. 143 del provvedimento). Altrettanto generico, inoltre, e' il motivo di ricorso articolato nell'interesse di (OMISSIS) con cui la difesa segnala che il decreto integrativo del 16.2.2021, pur richiamando genericamente la proposta del 29.4.2019, risulta adottato a seguito di una nota della GdF di (OMISSIS) dell'11.2.2021 e senza acquisire il parere del PM e che, pertanto, l'applicazione di una nuova misura patrimoniale non poteva prescindere da una nuova ed autonoma richiesta del PM realizzandosi altrimenti una nullita' a regime intermedio per violazione del contraddittorio cartolare. Va rilevato, in primo luogo, ed in termini assorbenti rispetto ad ogni altra considerazione, come il (OMISSIS) non fosse legittimato a sollevare l'eccezione di nullita', pacificamente di natura intermedia (cfr,m in tai senso, Sez. 1, n. 55051 del 07/06/2017, Costa, Rv. 271893 - 01), su cui comunque la Corte di appello non ha omesso di argomentare (cfr., pag. 141 del decreto), non avendo costui interesse a far valere una prerogativa propria del PM (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 9167 del 19/11/2020, Talla, Rv. 281595 - 01 in cui la Corte ha ribadito che nel procedimento di esecuzione, qualora il decreto di inammissibilita' della richiesta previsto dall'articolo 666, comma 2, c.p.p. non sia stato preceduto dall'acquisizione del prescritto parere del pubblico ministero, si configura una nullita' a regime intermedio, ai sensi dell'articolo 178, comma 1, lettera b), c.p.p., non deducibile dalla parte privata ma soltanto dallo stesso pubblico ministero, essendo, questi, il solo ad avere un interesse concreto all'instaurazione del contraddittorio cartolare alla cui realizzazione e finalizzata la sua audizione). Il ricorso di (OMISSIS) Il ricorso e' inammissibile precludendo, percio', l'esame dei motivi nuovi pur trasmessi nei termini. Il primo motivo e', infatti, manifestamente infondato: la Corte di appello, infatti, una volta ritiratasi in camera di consiglio, ha revocato ia ordinanza istruttoria del 20.10.2022 in quanto emessa sulla sollecitazione di un motivo di appello inammissibile in quanto proposto tardivamente, ovvero soltanto con memoria difensiva depositata in data 15.12.2021. I giudici della impugnazione di merito (cfr., pagg. 122-123 del decreto in verifica) hanno rilevato che l'appello della (OMISSIS) era stato proposto unitamente a (OMISSIS) ma per ragioni non consentite e, nel contempo, senza alcun riferimento ai beni aziendali della (OMISSIS) srl ed agli autoveicoli; era tuttavia accaduto che, in data 1.6.2021, si era costituito, per la (OMISSIS), un nuovo difensore che aveva depositato documentazione in merito ai finanziamento (OMISSIS), erroneamente acquisita pur in difetto di un correlativo motivo di gravame (cfr., pagg. 125-126 del decreto). In definitiva, nessuna nullita' o violazione dei contraddittorio si e' verificata in quanto la Corte di appello ha preso atto, in sede di decisione, della inammissibilita' del motivo di gravame ritenendo, del tutto legittimamente, in quella sede decisoria, di non poter valutare le acquisizioni documentali relative al motivo non proposto. Il tutto, in perfetta coerenza con la piena potesta' valutativa che il giudice conserva sino alla decisione finale circa la ritualita', completezza e specificita' dell'atto di gravame che, come pure e' noto, e' rilevabile persino in Cassazione laddove erroneamente non dichiarata dal giudice di secondo grado (cfr., Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, Rv. 271193 - 01). Il secondo motivo e', a sua volta, non consentito finendo per muovere una censura avente ad oggetto la motivazione del provvedimento impugnato di cui non si lamenta ne' la assoluta carenza ne' la mera apparenza. 3. L'inammissibilita' dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE STEFANO Franco - Presidente Dott. VALLE Cristiano - Consigliere Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. - Consigliere Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere Dott. GIAIME GUIZZI Stefano - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 32386-2020 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso In studio dell'Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende; - ricorrente - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende; - controricorrente - avverso la sentenza n. 3026/2020 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata il 22/06/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5/12/2022 dal consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI. FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 3026/20, del 22 giugno 2020, della Corte di Appello di Roma, che - respingendone il gravame avverso la sentenza n. 6526/16, del 31 marzo 2016, resa dal Tribunale di Roma - ha confermato l'accoglimento dell'opposizione, proposta da (OMISSIS), avverso il precetto notificatogli dalla (OMISSIS) per l'importo di Euro 17.657,28. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente di aver notificato all' (OMISSIS) il suddetto atto di precetto, in relazione ad un credito relativo all'assegno divorzile dovutole, per se' e i figli conviventi, per il periodo da aprile a luglio 2014, come da ordinanza del Presidente del Tribunale di Roma del 2 aprile 2014. L'opposizione dell' (OMISSIS) era basata sul presupposto della non debenza della somma precettata, assumendo l'opponente di aver pagato integralmente quanto dovuto in forza della citata ordinanza presidenziale, nulla egli dovendo corrispondere, invece, in forza di obbligazioni stragiudiziali. L'opposizione veniva accolta dal primo giudice, con decisione confermata in appello sul rilievo che l'accordo intervenuto tra gli ex coniugi, "a latere" del procedimento di separazione consensuale dagli stessi incardinato (la c.d. "side letter" del 24 dicembre 2009) fosse stato superato dal divorzio giudiziale del 2 aprile 2014, avendo tale provvedimento rideterminato le condizioni economiche previste in sede di separazione. 3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base - come detto - di due motivi. 3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell'articolo 1322 c.c. Si evidenzia, innanzitutto, il contenuto della "side letter" intercorsa tra le parti. In particolare, in basa ad essa, con "riferimento al ricorso per separazione personale consensuale pendente dinanzi al Tribunale di Roma (...) ad integrazione delle condizioni di separazione nello stesso specificate", l' (OMISSIS) e la (OMISSIS), con tale scrittura privata, "da ritenersi parte integrante del detto ricorso", convenivano che il primo, "ad integrazione della somma di Euro 2.000,00 corrisposta alla moglie per il mantenimento dei figli (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), indicata nel ricorso per separazione, corrispondera' altresi' alla medesima, sempre a titolo di mantenimento per i figli, la somma netta ulteriore di Euro 3.000,00". Del pari, la scrittura "de qua" stabiliva che l' (OMISSIS) "per il solo periodo compreso tra dal (OMISSIS) al (OMISSIS) corrispondera' altresi' alla moglie l'ulteriore somma di Euro 1.00G,00 a titolo di contributo per le spese extra della medesima". Si censura l'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui tale "side letter" non avrebbe autonomia rispetto al provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non rinvenendosi - secondo la Corte territoriale - "nessun arresto giurisprudenziale che riconosca ad accordi intervenuti a latere della separazione una efficacia perdurante dopo la sentenza di divorzio". Cosi' pronunciandosi, infatti, il giudice di appello lamenta la ricorrente - non farebbe "null'altro che negare il principio dell'autonomia contrattuale di cui all'articolo 1322 c.c.". Rileva, aggiuntivamente, la (OMISSIS) come "l'eventuale scadenza" di accordi siffatti al momento del divorzio sia "questione che attiene all'interpretazione degli accordi stessi", non potendo "tout court affermarsi", se non appunto "in violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1322 c.c." che le obbligazioni contemplate da simili accordi "si estinguono automaticamente al momento del divorzio". 3.2. Il secondo motivo denuncia falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c.. A prescindere dall'error iuris in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata (ed oggetto del primo motivo di ricorso), si rileva come essa abbia finito con l'affermare che l'obbligo nascente dalla "side lette' non potesse avere durata eccedente la sentenza di divorzio. Assume, per contro, la ricorrente che "alla luce dell'accordo", come sopra trascritto, "ed in applicazione dell'articolo 1362 cod. chi.", lo stesso dovesse interpretarsi nel senso "che la durata dell'obbligazione era (ed e') stabilita per relationem, ossia in riferimento alla sussistenza dell'obbligo dii mantenere i figli, a prescindere dal "divorzio"". Orbene, poiche' non puo' dubitarsi della primazia del criterio dell'interpretazione letterale, dal momento che, nella specie, la "lettera dell'accordo" depone nel senso di collegare l'obbligo nascente dall'accordo al mantenimento della prole, esso era destinato a permanere, anche nella sua natura "integrativa" rispetto a quanto previsto nel ricorso per separazione consensuale dei coniugi, solo al venir meno di tale obbligo, prescindendo cosi' dalle vicende relative alla cessazione degli effetti del loro matrimonio. 4. Ha resistito all'avversaria impugnazione con controricorso, l' (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata. 5. Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un sdo Sostituto, ha presentato conclusioni scritte, chiedendo che sia accolto il primo motivo di ricorso. 6. La ricorrente ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 7. Il ricorso va rigettato. 7.1. A tale esito, tuttavia, occorre pervenire mediante "correzione. della motivazione" della sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 384, ultimo comma, cod. proc. civ. giacche' l'impiego di tale strumento e' consentito anche quando ricorra l'ipotesi - qual e' la presente - di "vizio di motivazione su questione di diritto" (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 13 dicembre 2017, n. 29886, Rv. 646295-01). Corretto e', infatti, il rilievo espresso dal Procuratore Generale presso questa Corte, secondo cui la sentenza impugnata - in cio' negando ogni valore all'autonomia privata, con violazione dell'articolo 1322 c.c. - postula una generalizzata impossibilita', per tutti gli accordi intervenuti a latere del procedimento di separazione, di mantenere efficacia anche dopo la sentenza di divorzio, essendosi la Corte capitolina, in tal modo, sottratta al dovere' di esaminare il contenuto della pattuizione sottoposta al suo vaglio. Si legge infatti nella sentenza impugnata a fondamento della decisione di respingere il gravame della (OMISSIS) - che non "si riviene nessun arresto giurisprudenziale che riconosca ad accordi intervenuti a latere della separazione una efficacia perdurante dopo la sentenza di divorzio". Affermazione che, come osserva il Procuratore Generale, si pone in contrasto con il principio secondo cui tanto in caso di separazione consensuale che di divorzio congiunto, "i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare" (Cass. Sez. 1, sent. 20 agosto 2014, n. 18066, Rv. 632256-01), affermandosi anche che, "in tema di accordi conclusi in vista del divorzio, e' valido il patto stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalita' di corresponsione dell'assegnp di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l'altro genitore (Cass. Sez. 1, ord. 24 febbraio 2021, n. 5065, Rv. 660758-01). 7.2. Tale rilievo, tuttavia, non giova alla ricorrente, essendo i due motivi di ricorse - da scrutinare congiuntamente, data a oro connessione - non fondati, per le ragioni meglio indicate di seguito. 7.2.1. Invero, ad escludere la possibilita' che la c.d. "side letter" potesse integrare un titolo esecutivo giudiziale (qual e' l'ordinanza presidenziale, adottata nell'ambito del giudizio Divorzile è sufficiente la costatazione che essa come invece necessario, ai sensi dell'articolo 474 c.p.c. - non risulta rivestire la forma ne' di atto pubblico, ne' di scrittura privata autenticata, non essendo tale circostanza ne' addotta dalla ricorrente, ne' risultante dalla sentenza impugnata. D'altra parte, qualora si fosse preteso - circostanza, per vero, neppure invocata dal ricorrente di attribuire a tale documento efficacia "integrativa" del suddetto titolo giudiziale, sarebbe occorso che tale circostanza risultasse dal titolo stesso. E' noto, infatti, come questa Corte - nella sua massima sede nomofilattica abbia affermato che il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell'articolo 474, comma 2, n. 1), c.p.c., non si identifica, ne' si esaurisce, nel documento giudiziario in cui e' consacrato l'obbligo da eseguire, essendo consentita l'interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si e' formato, da valutarsi, eventualmente, anche "ex officio", da parte del giudice dell'opposizione esecutiva (Cass., Sez. Un., sent. 2 luglio 2012, n. 11066, Rv. 622929-01), ma "a condizione che non sovrapponga la propria valutazione in diritto a quella del giudice del merito" (Cass. Sez. 3, sent. 5 giugno 2020, n. 10806, Rv. 658033-02), e sempre che "l'esito non sia tale da attribuire al titolo una portata contrastante con quanto risultante dalla lettura congiunta di dispositivo e motivazione" (Cass. Sez. Lav., ord. 25 particolare, che "le relative questioni" - nella specie, la possibile persistenza dell'accordo, concluso "a latere" del ricorso per separazione, pur dopo l'adozione dei provvedimenti presidenziali adottati nel giudizio di separazione, "siano state trattate nel corso dello stesso e possano intendersi come ivi univocamente definite, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo o perfino nel tenore stesso del titolo" (Cass. Sez. 3, sent. 31 ottobre 2014, n. 23159, Rv. 633259-01). 8. Le spese del presente giudizio di legittimita' vanno integralmente compensate tra le parti, ricorrendo "giusti motivi", ex articolo 92, comma 2, c.p.c., nel testo modificato dall'articolo 58, comma 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (applicabile "ratione temporis" alla presente fattispecie, essendo stato il giudizio di primo grado instaurato con citazione notificata il 12 agosto 2014). Essi, infatti, vanno identificati affermazione, compiuta dalla Corte capitolina (tanto da aver richiesto correzione della motivazione), nel postulare una generalizzata impossibilita', per tutti gli accordi intervenuti a latere del procedimento di separazione, di mantenere efficacia anche dopo la sentenza di divorzio. 9. In ragione del rigetto del ricorso sussiste, a carico della ricorrente l'obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai' sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. PQM La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittiimita'. Ai sensi del del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. - Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere Dott. CONTI Roberto Giovanni - Consigliere Dott. CAPRIOLI Maura - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 31893/019 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta procura in atti; -ricorrente principale - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la sentenza n. 2166/2019 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 23/07/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/01/2023 dal cons. IOFRIDA GIULIA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto Cardino che ha concluso per l'accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, e il rigetto del ricorso incidentale, coma da conclusioni scritte in memoria depositata; udito, per la ricorrente, l'Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto ricorso incidentale; udito, per controricorrente, l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto di quello principale. FATTI DI CAUSA La Corte d'appello di Bologna, con sentenza n. 2166/2019, depositata in data 23/7/2019, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado del 2018, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato, il (OMISSIS), tra (OMISSIS) e (OMISSIS), per mancata consumazione, ai sensi dell'articolo 3 lett.f) l.898 del 1970, con fissazione dell'obbligo per il (OMISSIS) di versare all'ex coniuge, a titolo di assegno divorzile, l'importo mensile di Euro 750,00. In particolare, i giudici d'appello, confermando la cessazione degli effetti civili del matrimonio per inconsumazione, sulla base delle complessive risultanze istruttorie emergenti dalle testimonianze acquisite nel corso del procedimento di primo grado, sia pure de relato ex parte actoris, dalle relazioni mediche di due psichiatre, nonche' dalle ammissioni dello stesso (OMISSIS) (in ordine alla totale assenza di rapporti sessuali durante il fidanzamento, dal 1994, e nei primi due anni di matrimonio), con conseguente superamento della presunzione di consumazione del matrimonio correlata alla sua durata (dieci anni), hanno respinto la domanda della (OMISSIS) in punto di diritto ad assegno divorzile, dando rilievo allo stabile legame, con carattere di continuita', che la (OMISSIS) aveva intrapreso, quanto meno dall'inizio del 2014, con altro uomo, indice di un progetto comune di vita, pur in assenza di convivenza di fatto tra i medesimi (essendo la (OMISSIS) residente in (OMISSIS) ed il compagno residente in (OMISSIS)), fatto questo "recessivo" rispetto al passato con riferimento all'instaurazione e mantenimento di rapporti affettivi, relazione stabile che emergeva, in particolare, da un'indagine investigativa commissionata dal (OMISSIS), tra il 2017 ed il 2018. Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 18-24/10/2019, affidato a quattro motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 29/11/2019). La causa e' stata ritenuta suscettibile di trattazione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c.. Le parti hanno depositato memorie. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso incidentale e l'accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto. La ricorrente principale ha deposito memoria. Il controricorrente-ricorrente incidentale ha depositato memoria di costituzione di nuovo difensore. RAGIONI DELLA DECSIONE 1.La ricorrente principale lamenta,: 1) con il primo motivo, sia la nullita' della sentenza per motivazione apparente sia l'omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., 2727 e 2729 c.c., con riguardo alla "copiosa documentazione attestante spese sostenute e attivita' effettuate nel circondario del suo indirizzo di residenza, a (OMISSIS)", dalla ricorrente, al fine di dimostrare che ella non intrattiene alcuna relazione more uxorio con altro uomo; 2) con il secondo motivo, sia la nullita' della sentenza per motivazione apparente sia l'omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione alla l. 898/1970, articolo 5, comma 10, in combinato disposto con l'articolo 1 comma 36 l.76/2016; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 n 3 c.p.c., dell'articoli 5, comma 10, l. 898/1970, in combinato disposto con l.76/2016, articolo 1, commi 36 e 37, , dovendo ritenersi che, ai fini dell'integrazione del presupposto di cui all'articolo 5 comma 10 l 898/1970, occorra non una semplice relazione affettiva, ancorche' duratura ma un nuovo vincolo matrimoniale o una relazione di convivenza more uxorio idonea a rilevare l'esistenza di un nuovo nucleo famigliare, con reciproci doveri di assistenza morale e materiale tra i partners; 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, e articolo 36 n. 3 c.p.c., dell'articolo 92 c.p.c., in punto di operata compensazione tra le parti delle spese del giudizio, stante la soccombenza reciproca delle parti 2. Il ricorrente incidentale propone un unico motivo di ricorso incidentale, ex articolo 360 3 c.p.c., per violazione dell'articolo 2729, comma 1, c.c., per avere a Corte d'appello ritenuta raggiunta la prova dell'inconsumazione del matrimonio, sulla base esclusivamente di testimonianze de relato ex parte actoris, a fronte, oltretutto, di evidenze probatorie documentali contrarie. 3. L'unico motivo del ricorso incidentale, da trattare con priorita' in quanto concernente la fondatezza della stessa pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio (cui conseguono gli eventuali provvedimenti di natura economica a favore di uno degli ex coniuge), e' inammissibile. La fattispecie di cui alla L. n. 898/70, articolo 3, n. 2, lettera f), riguarda quelle ipotesi in cui lo scioglimento del matrimonio puo' essere pronunziato anche quando lo stesso non sia stato consumato, dopo che il giudice abbia altresi' accertato che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non puo' essere mantenuta o ricostituita. Invero, la non consumazione del matrimonio non incide, di per se', sull'esistenza e sulla validita' giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma e' causa di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, cosicche' "essa non tocca - di per se' - la validita' e idoneita' del matrimonio a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ne' incide sull'applicabilita' della normativa relativa all'assegno di divorzio esso invero " (Cass. 9442-1998). Pur trattandosi di istituto mutuato dal diritto canonico, ove la mancata unione sessuale pone una presunzione assoluta di assenza del sacramento del matrimonio, nell'ambito dell'ordinamento dello Stato esso puo' solo concorrere a formare la presunzione alla mancanza di comunione spirituale e materiale tra i coniugi, che resta il fondamento individuante l'istituto matrimoniale. Ora, in ordine alla sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale per inconsumazione durante il matrimonio, e' stato svolto un compiuto accertamento da parte dei giudici di merito, con esame analitico delle diverse risultanze testimoniali e documentali ed accertamento complesso e sufficientemente rigoroso, il tutto giustificato dalla peculiarita' della fattispecie, in cui l'unione coniugale, prima della proposizione della domanda da parte della (OMISSIS), ex articolo 3 n. 2 lett.f) L.898 del 1970, era durata dieci anni. La Corte d'appello ha, peraltro, confermato l'accertamento gia' operato in primo grado, rilevando che, nel caso di specie, la mancanza di una piena "congiunzione sessuale dei due coniugi" ha determinato "la concreta impossibilita' di mantenere il consorzio coniugale e ha portato alla definitiva rottura del legame di coppia". Questa Corte ha, da tempo, ribadito che le cause di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili, del matrimonio, previste dalla L. 1 dicembre 1970, n 898, articolo 3, operano in presenza del presupposto che, per effetto di esse, la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita e che l'accertamento che in tal senso compie il giudice costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in Cassazione, se correttamente e adeguatamente motivato (Cass. 4178 del 1975). Il ricorrente incidentale ha poi invocato la violazione dell'articolo 2729 c.c. Al riguardo, in tema di prova presuntiva e di applicazione dell'articolo 2729 c.c., secondo orientamento di questo giudice di legittimita' (Cass. 2944 del 1978), il giudice di merito, nella valutazione degli elementi indiziari e presuntivi posti a base del suo convincimento, esercita un potere discrezionale consistente nella scelta degli elementi ritenuti piu' attendibili e nella valutazione della loro gravita e concludenza, cosicche' nella formazione di tale suo convincimento egli non incontra altro limite che l'esigenza di applicare i principi operativi nella materia delle presunzioni, deducendo univocamente il fatto ignoto dai fatti noti attraverso un procedimento logico fondato sul criterio dell'id quod plerumque accidit, e tale apprezzamento dei fatti, se correttamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimita'. Resta dunque fermo il principio per cui e' incensurabile in sede di legittimita' l'apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita' e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216 del 2006; Cass. 15219 del 2007; Cass. 656 del 2014; Cass. 1792 del 2017, che ha affermato come il risultato dell'accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, "si sottrae al sindacato di legittimita', che e' invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o piu' fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante"; Cass. 19987 del 2018; Cass. 1234 del 2019, ove si e' ribadito che il sindacato del giudice di legittimita' circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La sentenza deve essere pertanto confermata sulla questione posta con il ricorso incidentale. 4. Le tre censure del ricorso principale, implicante sia vizio motivazionale sia vizio di motivazione apparente, sia vizio di violazione di legge, possono essere unitariamente trattate e sono fondate. La Corte d'appello ha ritenuto che l'effettiva convivenza di fatto tra la (OMISSIS) ed altro uomo, con il quale essa intrattiene un legame duraturo, non avesse valenza decisiva ai fini del decidere sulla spettanza o meno dell'assegno divorzile, a fronte della ritenuta sussistenza di uno stabile legame, con carattere di continuita', indice di un progetto comune di vita. Questa Corte (Cass. 6855 del 2015; conf. Cass.2466 del 2016) ha affermato che "l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorche' di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilita' dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicche' il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ai sensi della Cost. articolo 2 come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalita' dell'individuo - e' espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarieta' post-matrimoniale con l'altro coniuge, il quale non puo' che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo" (cfr. anche Cass. 11975 del 2003 e Cass. 17195 del 2011, ove pero si era affermato che la nuova convivenza non interrompe in modo definitivo il legame con la precedente esperienza di vita matrimoniale, ma ne determina la collocazione in uno stato di "quiescenza", cosicche' il diritto all'assegno potrebbe "riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto"). In tale pronuncia, quindi questa Corte ha ritenuto che, in presenza di una "convivenza" che assuma "i connotati di stabilita' e continuita'", in cui i conviventi "elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)", la mera convivenza si trasforma in una vera e propria "famiglia di fatto" e quindi si rescinde ogni presupposto per la riconoscibilita' di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione del tenore di vita goduto nella precedente vita matrimoniale, pur ribadendosi che non vi e' ne' identita', ne' analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all'assegno, ex art5 comma 10 l.898 del 1970, e la fattispecie descritta, che necessita comunque di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale. Un contrario indirizzo era stato espresso da questo giudice di legittimita' in passato (per tutte, Cass. 1546 del 2006: "Il diritto all'assegno di divorzio non viene meno se chi lo chiede abbia instaurato una convivenza "more uxorio" con altra persona, rappresentando detta convivenza soltanto un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l'assegno disponga o meno di "mezzi adeguati" rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; la convivenza "more uxorio", infatti, avendo natura intrinsecamente precaria, non fa sorgere obblighi di mantenimento e non presenta quella stabilita' giuridica, propria del matrimonio, che giustifica la definitiva cessazione dell'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile"). Secondo tale orientamento giurisprudenziale, quindi, la convivenza stabile porta alla sospensione dell'assegno (o alla sua riduzione), in quanto influisce sulla condizione economica del coniuge. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32918 del 2022, investite con ordinanza interlocutoria n. 28995 del 2020, sulla questione della necessarieta' o meno della cessazione del diritto all'assegno divorzile per effetto della convivenza stabile dell'ex coniuge con un terzo, hanno affermato che: a) "L'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonche' sulla quantificazione del suo ammontare, in virtu' del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno, in relazione alla sua componente compensativa"; b) "in tema di assegno divorzile in favore dell'ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente piu' debole questi, se privo anche nell'attualita' di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovra' fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. L'assegno, su accordo delle parti, puo' anche essere temporaneo". Successivamente, questa Corte (Cass. 14256/22) ha quindi chiarito che "in tema di assegno divorzile, l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza "more uxorio" fa venir meno il diritto all'assegno, salvo che per la sua componente compensativa, la cui sussistenza deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all'assegno" (questa Corte ha confermato la sentenza di merito pronunciata in data anteriore a S.U. n. 32198 del 2022, con la quale era stata rigettata la domanda di assegno divorzile, poiche' ne' nel ricorso per cassazione ne' con le memorie illustrative ex articolo 380 bis, comma 1 c.p.c., era stata specificamente dedotta l'ipotetica consistenza di un contributo offerto dalla coniuge richiedente l'assegno alla comunione familiare, alla eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative in costanza di matrimonio, all'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge). Sempre questo giudice di legittimita' (Cass. 14151-2022), al fine di ulteriormente chiarire il concetto di convivenza more uxorio, ha precisato che "in tema di divorzio, ove sia richiesta la revoca dell'assegno in favore dell'ex coniuge a causa dell'instaurazione da parte di quest'ultimo di una convivenza "more uxorio", il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell'eventuale coabitazione con l'altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtu' del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale". In motivazione, si e' posto l'accento sul comma 36 dell'articolo 1 della l. n. 76/2016, volto non ad introdurre una innovativa nozione di convivenza, bensi' "a fotografare l'atteggiarsi della nozione giuridica nel costume sociale", che "definisce conviventi di fatto "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita' o adozione, da matrimonio o da un'unione civile", ponendo cosi' l'accento sull'esistenza di un legame affettivo stabile, volto alla reciproca assistenza morale e materiale, che pare essere l'unico requisito essenziale perche' si possa configurare una convivenza di fatto". Alla luce delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 e n. 32198 del 2021, la ricostruzione dell'assegno divorzile sulla base di un criterio non piu' soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta quindi un temperamento del principio della perdita "automatica ed integrale" del diritto all'intero assegno di divorzio all'instaurarsi di una nuova convivenza. Ora, l'indirizzo di cui alla sentenza n. 6855-2015, che, nei limiti sopra esposti, e' stato confermato dalle Sezioni Unite, non puo', in ogni caso, essere interpretato in senso estensivo perche' si pone come un indirizzo sistematico che va oltre il disposto letterale dell'articolo 5, comma 10, l. div.. La ricorrenza quindi di un'effettiva relazione sentimentale stabile, indice di un progetto di vita idoneo ad interrompere in modo definitivo il legame con la precedente esperienza di vita matrimoniale, deve essere accertata in modo rigoroso. Indubbiamente, si puo' ragionevolmente affermare che, in presenza di una coabitazione stabile di una coppia, possa presumersi l'esistenza di una effettiva convivenza senza bisogno di ulteriori prove (Cass. 6009 del 2017). E' piu' complessa la questione inversa, vale a dire se vi sia una convivenza more uxorio quando manchi una stabile convivenza, ovvero la stabile comunanza di una dimora quotidiana. Essa non sempre e' necessaria, in quanto, come evidenziato anche dal PG, l'evoluzione dei costumi e delle abitudini di vita comporta la necessita', sempre piu' di frequente, che le persone, pur legate da stabili legami affettivi, abbiano i loro centri di interesse esistenziali e lavorativi in luoghi tra loro non vicini, anche considerata la maggiore emancipazione economica e lavorativa raggiunta dalla donna. Vero che sulla non indispensabilita' della coabitazione ai fini della individuazione di una famiglia di fatto si e' espressa la Corte EDU (sentenza 21 luglio 2015, Oliari contro Italia, nell'ambito di un ragionamento volto ad estendere alle coppie omosessuali la nozione di vita familiare, ove si legge "la Corte ha gia' accettato che l'esistenza di un'unione stabile e' indipendente dalla convivenza. Infatti, nel mondo globalizzato di oggi diverse coppie, sposate, o che hanno contratto un'unione registrata, attraversano periodi in cui vivono la loro relazione a distanza, dovendo mantenere la residenza in paesi diversi, per motivi professionali o di altro tipo"; cfr. anche Corte Edu, grande chambre, 7 novembre 2013, Vallianatos e altri c. Grecia, § 73). Lo stesso ragionamento e' stato espresso nella pronuncia di questa Corte n. 9178-2018 (con la quale si e' affermato, in tema di risarcimento del danno da perdita della vita del convivente, che "ai fini dell'accertamento dell'esistenza della convivenza "more uxorio" - intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtu' del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale - i requisiti della gravita', precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l'uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand'anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento", essendosi censurata la sentenza con la quale la corte territoriale, in ragione della ritenuta assenza di coabitazione, si era limitata a negare valore indiziario, all'esito di una loro mera valutazione atomistica, ad altri elementi acquisiti in giudizio, tra i quali l'esistenza di un comune conto corrente e la disponibilita' in capo ad uno dei conviventi dell'agenda lavorativa dell'altro). Tuttavia, nella specie, si discute, non in un ambito risarcitorio di riparazione dei danni da fatto illecito ma, in ordine agli effetti, sulle condizioni economiche gia' stabilite nella fase di crisi coniugale sfociata nel divorzio, dell'instaurazione, da parte dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile, di una convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, in ordine alla formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, con impegno reciproco di contribuzione e di assistenza morale e materiale. Come chiarito nel precedente n. 14151 del 2022, la coabitazione, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell'esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario "da valutarsi in ogni caso non atomisticamente... ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce", mentre, viceversa, "l'assenza della coabitazione non e` di per se´ decisivo". Occorre comunque, in mancanza dell'elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l'accertamento dell'effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all'assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perche' gravi e precisi, cosi' come previsto dal comma 1 dell'articolo 2729 c.c.: il giudice e' quindi tenuto, perche' e' la stessa norma dell'articolo 2729c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi cosi' isolati, nonche' di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198-2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l'esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialita' significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all'assegno. Ora, la Corte d'appello ha dato rilievo, al fine di accertare l'effettiva sussistenza di un legame stabile e duraturo tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS), in assenza di convivenza o coabitazione tra i due, alle sole risultanze di un rapporto investigativo, della durata di alcuni mesi, dai quali emergeva la frequentazione da parte della ricorrente dell'abitazione in (OMISSIS) del compagno, nonche' alla documentazione attestante l'acquisto da parte della (OMISSIS) di generi alimentari, idonei a dimostrare che essa "provvede ai materiali bisogni del suo nuovo nucleo famigliare". Nella specie, le dichiarazioni anagrafiche e l'assenza di figli non depongono nel senso voluto dal controricorrente richiesto dell'assegno divorzile. Gli elementi posti a base della decisione, se comprovano l'esistenza di un legame affettivo, non dimostrano un effettivo progetto di vita comune tra l'ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi. La decisione impugnata va di conseguenza cassata. 6. Il quarto motivo, in punto spese, e' assorbito. 7. Per tutto quanto sopra esposto, accolti i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, va cassata la sentenza impugnata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio alla Corte d'appello di (OMISSIS), in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera' alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, nei limiti delle censure accolte, e rinvia alla Corte d'appello di (OMISSIS), in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita'. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita' e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GALLUCCI Enri - rel. Consigliere Dott. PATERNO' RADDUSA Benedetto - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 5/04/2022 della Corte di appello di Campobasso; visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GALLUCCI Enrico; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale EPIDENDIO Tomaso, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile; letta la memoria scritta depositata dal difensore dell'imputato (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Campobasso con sentenza in data 5 aprile 2022 ha confermato la condanna, emessa in primo grado il 16 giugno 2021 dal locale Tribunale in composizione monocratica, del (OMISSIS) alla pena di mesi cinque di reclusione e 500,00 Euro di multa, oltre alle statuizioni civili, in riferimento al reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2 e articolo 570 bis c.p. (gia' la L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies), per essersi l'imputato sottratto all'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile a norma degli articoli 5 e 6 della suddetta legge, stabilito dal Tribunale di Campobasso con sentenza n. 17/2006 e rideterminato con provvedimento n. 175/2015 del 5 febbraio 2015 a favore del coniuge divorziato (OMISSIS) e dei figli (OMISSIS) (nata nel (OMISSIS)), (OMISSIS) (nata nel (OMISSIS)) e (OMISSIS) (nato nel (OMISSIS)). 2. Avverso la sentenza di appello l'imputato, per il tramite del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale si deduce: travisamento della prova e vizio di motivazione in riferimento alla mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, della impossibilita' economica del (OMISSIS) a far fronte agli obblighi economici derivanti dal divorzio (il cui ammontare era stato ridotto nel 2015). A tale riguardo, la Corte di appello avrebbe errato nel considerare i proventi della vendita di una abitazione, che invece sono stati utilizzati dall'imputato per ripianare precedenti debiti, cosi' come ha - erroneamente - considerato in essere un rapporto di lavoro subordinato dell'imputato che al contrario era venuto meno da anni; mancata applicazione della particolare tenuita' del fatto, i cui presupposti sono individuabili nelle modalita' della condotta (e in particolare nelle rilevanti difficolta' economiche nelle quali si e' trovato il (OMISSIS)) e nell'adempimento pur parziale - da parte dell'imputato ai suoi obblighi nei confronti dei figli. 3. Il giudizio di cassazione si e' svolto a trattazione scritta, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, versato interamente in fatto, e' manifestamente infondato e dunque inammissibile. 2. Quanto alla configurabilita' del reato, basta considerare che "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3 oggi trasfuso nella fattispecie di cui all'articolo 570-bis c.p., e' integrato non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile, cosicche' l'inadempimento costituisce di per se' oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza" (ex plurimis, v. Sez. 6, n. 4677 del 13 gennaio 2021 M., Rv. 280396). D'altro canto, per escludere la responsabilita' penale in relazione a detta fattispecie, e' necessario che si sia in presenza dell'impossibilita' assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'articolo 570-bis c.p.; impossibilita' che, pur non potendo essere assimilata alla indigenza totale, deve essere valutata, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, nell'accertamento che il soggetto non avesse effettivamente la possibilita' di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza, ferma pero' restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto (Sez. 6, n. 32676 del 15 giugno 2022 F., Rv. 283616). Profili, questi, sui quali si soffermano le sentenze di merito - escludendo, con motivazione persuasiva, che l'imputato non fosse in grado di assolvere ai propri obblighi - e che non vengono assolutamente considerati nel ricorso. 3. Per quanto poi concerne la mancata applicazione della causa di non punibilita' dell'articolo 131 bis c.p., la Corte di appello ne esclude la ricorrenza in considerazione della circostanza che si e' trattato di un inadempimento reiterato tale da integrare la abitualita' o comunque la consumazione prolungata del reato, non potendosi ritenere che l'omesso versamento di quanto dovuto abbia avuto carattere di mera occasionalita'. Trattasi di affermazione del tutto coerente con la giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 6, n. 5774 del 28 gennaio 2020 P., Rv. 278213), specie considerando che la condanna riguarda inadempimenti iniziati dal giugno 2014 e non cessati alla pronuncia della sentenza di primo grado. 4. Alla inammissibilita' del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non emergendo alcun profilo da cui dedurre l'assenza di colpa nella proposizione del ricorso - alla sanzione, ritenuta congrua, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Infine, considerato che il procedimento riguarda reati commessi a danno di minori, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalita' e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. COSTANZO Angelo - Presidente Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizi - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29 aprile 2022 emessa dalla Corte di appello di Salerno; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Fabrizio D'Arcangelo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Morosini Piergiorgio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse della parte civile (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla refusione delle spese del grado; udito l'avvocato (OMISSIS), in qualita' di sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS) e' stato tratto a giudizio dal Pubblico Ministero del Tribunale di Salerno per rispondere del delitto di cui all'articolo 570 c.p., perche', abbandonando il domicilio domestico e sottraendosi agli obblighi derivanti dalla responsabilita' genitoriale, avrebbe fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria figlia minore (OMISSIS); fatto commesso in (OMISSIS). 2. Con sentenza emessa in data 9 aprile 2021 il Tribunale di Salerno ha assolto l'imputato perche' il fatto non costituisce reato. 3. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dal procuratore generale e dalla parte civile, ha dichiarato l'imputato colpevole del reato previsto dall'articolo 570 bis c.p., cosi' riqualificato il reato a lui ascritto, e lo ha condannato alla pena di 4.700 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio e al pagamento in favore della parte civile costituita della somma di 4.900 Euro e delle spese di costituzione e di assistenza di entrambi i gradi di giudizio. 4. L'avvocato (OMISSIS), nell'interesse del (OMISSIS), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo tre motivi. 4.1. Con il primo motivo di ricorso il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza degli articoli 521 e 522 c.p.p. in relazione all'avvenuta riqualificazione del delitto di cui all'articolo 570 c.p. in quello di cui all'articolo 570 bis c.p.. Ad avviso del difensore, infatti, vi sarebbe lesione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza ove i fatti posti a base della contestazione originaria non possano essere sussunti nella nuova fattispecie e, nel caso di specie, l'assenza nel capo di imputazione degli elementi fondamentali del delitto di cui all'articolo 570 bis c.p., non avrebbe consentito all'imputato di poter articolare compiutamente ed efficacemente le proprie difese. La differenza strutturale tra la fattispecie contestata e la fattispecie ritenuta in sentenza avrebbe, infatti, imposto la specificazione del tipo di inadempimento, del suo ammontare e dell'arco temporale in cui sarebbe intervenuto. Rileva il ricorrente che il reato di cui all'articolo 570 c.p. e' un reato di evento, per il quale deve dimostrarsi la mancata erogazione dei mezzi di sussistenza alla persona offesa, mentre l'articolo 570 bis c.p. delinea una 7 fattispecie di reato di pericolo, che si perfezione per effetto del mero mancato versamento, totale o parziale, dell'assegno dovuto. Mentre il parziale versamento delle somme imposte in sede civile non consuma ex se il delitto previsto dall'articolo 570 c.p., in quanto e' necessario che alla condotta sia pur sempre conseguita la mancanza dei mezzi di sussistenza, l'omesso versamento perfeziona e consuma il delitto previsto dall'articolo 570-bis c.p., senza necessita' di ulteriori indagini sull'elemento soggettivo. Ad avviso del difensore, dunque, la contestazione di un reato con piu' elementi costitutivi avrebbe disorientato la difesa, sia nell'escludere la scelta di un rito alternativo ad effetto premiale che nelle richieste di prova, pregiudicandola. 4.2. Con il secondo motivo il difensore deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), a carenza di motivazione c.d. rafforzata, in quanto la Corte di appello avrebbe ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado, limitandosi a ritenere sufficienti le dichiarazioni della persona offesa circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato. La Corte di appello, inoltre, avrebbe omesso di rinnovare l'istruzione dibattimentale ai sensi dell'articolo 603 c.p., comma 3-bis, mediante l'escussione della teste a discarico (OMISSIS), sorella dell'imputato. 4.3. Con il terzo motivo il difensore censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), l'inosservanza dell'articolo 570 bis c.p. quanto alla determinazione della pena irrogata, in quanto la Corte di appello ha applicato la pena congiunta prevista dall'articolo 570 c.p., comma 2, in luogo di quella alternativa prevista dal comma 1 della medesima disposizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano. 2. Il difensore, con il primo motivo, ha censurato, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza degli articoli 521 e 522 c.p.p. in relazione alla riqualificazione del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'articolo 570 c.p. in quello di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all'articolo 570 bis c.p.. 3. Il motivo e' infondato. 3.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', al fine di accertare la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, rileva non la diversita' strutturale tra le fattispecie di reato, che altrimenti precluderebbe sempre e in radice qualsiasi operazione di riqualificazione dell'originaria ipotesi di accusa, ma il pregiudizio effettivo per il diritto di difesa in ragione della prevedibilita' o meno del mutamento della qualificazione operato. In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre, infatti, una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 - 01; conf. ex plurimis: Sez. 5, n. 37461 del 22/09/2021, Ciotoracu, Rv. 281930 - 01). Le Sezioni unite di questa Corte hanno, inoltre, affermato che l'attribuzione all'esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo 111 Cost., comma 2, e dell'articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita' che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438 - 01). 3.2. La giurisprudenza della Corte di Europea dei diritti dell'uomo ha, peraltro, escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell'addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa (v. fra le tante, sentenze 1 marzo 2001, Dallos c. Ungheria; 3 luglio 2006, Vesque c. Francia; 7 gennaio 2010, Penev c. Bulgaria; 12 aprile 2011, Adrian Constantin c. Romania; 3 maggio 2011, Giosakis c. Grecia; 15 gennaio 2015, Mihei c. Slovenia, nella quale ultima si e' in particolare rilevato come l'imputato fosse pienamente a conoscenza degli elementi fattuali posti alla base della contestazione originaria, dai quali era possibile desumere l'oggetto della contestazione cosi' come modificata nel corso del dibattimento). 3.3. In attuazione di tali consolidati principi la giurisprudenza di legittimita' ha, peraltro, rilevato che non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui, a fronte della condanna in primo grado per il delitto di cui all'articolo 570 c.p., nel giudizio di appello il fatto sia qualificato ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies e L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3 - attualmente articolo 570-bis c.p. -, essendo tale riqualificazione prevedibile per l'imputato e non determinando la stessa una lesione dei diritti della difesa (Sez. 6, n. 26329 del 14/02/2019, B., Rv. 275989 - 01). Gia' nell'assetto anteriore all'introduzione dell'articolo 570-bis c.p., in ossequio al principio della riserva di codice in materia penale, la giurisprudenza di legittimita' aveva rilevato che non si ha violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e reato ritenuto in sentenza, nella ipotesi in cui l'imputato sia condannato per il reato di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies, in luogo di quello di cui all'articolo 570 c.p., che figura nell'atto di accusa poiche', pur presentando le due ipotesi criminose presupposti ed elementi strutturali diversi, la condotta presa in considerazione dall'articolo 12 sexies rientra nel piu' ampio paradigma di cui all'articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, essendo nella prima ipotesi sufficiente accertare il fatto della volontaria sottrazione all'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal tribunale e non occorrendo, quindi, che dall'inadempimento consegua anche il "far mancare i mezzi di sussistenza", elemento invece necessario ai fini della integrazione della seconda figura criminosa (Sez. 6, n. 7824 del 2/05/2000, Tuccitto, Rv. 22057201). 3.4. La Corte di appello di Salerno ha, dunque, fatto buon governo di tali principi, rilevando, non incongruamente, come la riqualificazione fosse consentita nella specie "data l'identita' del fatto storico contestato" e, dunque, come la violazione della fattispecie astratta di cui all'articolo 570-bis c.p. fosse in concreto prevedibile per la difesa e non abbia comportato alterazioni al nucleo delle opzioni processuali dalla stessa esercitabili. 4. Con il secondo motivo il difensore deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in quanto la Corte di appello avrebbe obliterato il canone della motivazione rafforzata e avrebbe omesso di rinnovare l'istruzione dibattimentale ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, c.p. mediante l'escussione della teste a discarico (OMISSIS), sorella dell'imputato. 5. Anche questo motivo di ricorso e' infondato. 5.1. L'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, prevede che "nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale". Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', dunque, la necessita' per il giudice di appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, concerne il solo caso in cui alla riforma della sentenza di assoluzione si giunga sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa e non gia' quando la valutazione della prova compiuta dal primo giudice sia inficiata da un errore di diritto (Sez. 2, n. 5045 del 7/11/2020 (dep. 09/02/2021), Fano, Rv. 280562 - 01; Sez. 4, n. 49159 del 18/07/2017, Ud. (dep. 26/10/2017), Abbruzzo, Rv. 271518 - 01), quando la lettura della prova compiuta dal primo giudice sia stata travisata per omissione, invenzione o falsificazione (ex plurimis: Sez. U, n. 18680 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786 - 01) o quando si pervenga al diverso approdo decisionale in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale (Sez. 3, n. 36905 del 13/10/2020, Vergine, Rv. 280448 - 01; Sez. 2, n. 53594 del 16/11/2017, Piano, Rv. 271694 - 01). Non sussiste, inoltre, l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando l'attendibilita' della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio (ex plurimis: Sez. 5, n. 52310 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133 - 01; Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018, Boggi, Rv. 274593 - 01; Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012 - 01; Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471 - 01). 5.2. Nel caso di specie, la Corte di appello di Salerno ha fatto buon governo di tali o principi, in quanto, nel procedere al ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado, ha disposto la rinnovazione dell'escussione della persona offesa. La Corte di appello ha, dunque, assolto l'obbligo di rinnovazione delle prove decisive, in quanto ha nuovamente escusso la parte lesa e ha ricevuto le spontanee dichiarazioni dell'imputato. Non puo', invece, essere ritenuta decisiva l'escussione della sorella dell'imputato, invero neppure richiesta dalla difesa, in quanto la stessa ha solo riferito in ordine ad alcuni donativi posti in essere in favore della nipote minorenne e di alcuni bonifici posti in essere in favore della stessa dalla madre. Tali evenienze, tuttavia, non sono idonee, neppure sul piano astratto, a confutare la violazione dell'articolo 570-bis c.p.. La Corte di appello ha, peraltro, ricostruito la capacita' patrimoniale dell'imputato, considerando plurime risultanze documentali, non smentite dall'imputato stesso nelle spontanee dichiarazioni rese, e ha ritenuto il (OMISSIS) colpevole di aver ingiustificatamente "autoridotto" l'importo dell'assegno di mantenimento da versare in favore della figlia minore, una volta che la sua richiesta di riduzione era stata disattesa dal Tribunale civile. 5.3. Parimenti insussistente e' la dedotta violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 - 01). La giurisprudenza di legittimita' ha, peraltro, precisato che, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 - 01). Nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, dunque, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita' rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (ex plurimis: Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014 (dep. 17/02/2015), S., Rv. 262524 - 01; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012 (dep. 14/03/2013), Berlingieri, Rv. 254725 - 01, nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di condanna del giudice di appello che, riformando una sentenza di assoluzione di primo grado per il delitto di truffa per l'incertezza sulla sussistenza del dolo, aveva valorizzato circostanze di fatto gia' esistenti, ma pretermesse dal primo giudice, idonee a dimostrare con certezza il carattere doloso della condotta; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113 - 01). Nel caso di specie, la Corte di appello di Salerno si e' correttamente conformata a questo canone, in quanto la rivisitazione della decisione di primo grado e' stata sorretta da argomenti tali da evidenziare le oggettive carenze e le insufficienze della decisione assolutoria e si sovrappone integralmente alla decisione riformata, dimostrando come il diverso apprezzamento sia l'unico prospettabile al di la' di ogni ragionevole dubbio. La sentenza di primo grado ha, infatti, escluso la responsabilita' dell'imputato in ragione del difetto dell'elemento soggettivo dello stesso, ritenuto impossibilitato a adempiere agli oneri economici impostigli dal giudice civile. La Corte di appello ha, invece, ritenuto comprovata la capacita' economica del (OMISSIS), sulla base di plurimi elementi documentali (non smentiti dallo stesso imputato nelle dichiarazioni spontanee rese) e il suo volontario inadempimento parziale all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore della figlia minorenne. 6. Con il terzo motivo il difensore ha censurato, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), l'inosservanza dell'articolo 570 bis c.p. quanto alla determinazione della pena irrogata, in quanto la Corte di appello ha applicato la pena congiunta prevista dall'articolo 570 c.p., comma 2 in luogo di quella alternativa prevista dal comma 1 della medesima disposizione. 7. Il motivo e' fondato. La Corte di appello di Salerno ha, infatti, condannato l'imputato alla pena congiunta di tre mesi di reclusione ed Euro 300 di multa, di seguito ridotta per la concessione delle attenuanti generiche e convertita in pena pecuniaria. Secondo la giurisprudenza di legittimita', tuttavia, nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dall'articolo 570-bis c.p. - il quale ha integralmente sostituito il disposto della L. 1 dicembre 1970, n. 8, articolo 12-sexies conservandone il trattamento sanzionatorio - il generico rinvio, quoad poenam, all'articolo 570 c.p., deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma 1 di quest'ultima disposizione (Sez. 6, n. 33165 del 03/11/2020, P., Rv. 279923 - 01; conf. Sez. 6, n. 22398 del 10/05/2022; Sez. 6, n. 1867 del 18/01/2021; Sez. 2, n. 34168 del 8 luglio 2021, non massimate). Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, avevano affermato che nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 21 il generico rinvio, quoad poenam, all'articolo 570 c.p. doveva intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma 1 di quest'ultima disposizione (Sez. U, n. 23866 del 31/01/2013, S., Rv. 255269 - 01). La sanzione piu' grave, della pena congiunta, detentiva e pecuniaria, prevista per il reato di omesse prestazione dei mezzi di sussistenza, infatti, trova il proprio fondamento nello stato di bisogno in cui versa la vittima, mentre tale stato non costituisce un presupposto dell'articolo 570-bis c.p.. L'accoglimento di tale motivo di ricorso, tuttavia, non comporta l'annullamento della pena illegittimamente irrogata dalla Corte di appello, bensi' la declaratoria di prescrizione del reato per cui si procede, in quanto il termine di prescrizione di sei anni, aumentato di un quarto ai sensi dell'articolo 161 c.p., comma 2, e' integralmente decorso in data 30 aprile 2022. 8. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Stante l'infondatezza dei motivi di ricorso proposti dall'imputato, ad eccezione di quello relativo all'illegittimita' della pena inflitta, in conformita' al disposto dell'articolo 578 c.p.p., comma 1, deve, tuttavia, essere confermata la sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte civile, liquidandole nella misura di Euro 3.700,00, oltre I.V.A. e c.p.A. e spese generali come per legge. 9. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche' il reato e' estinto per prescrizione. Conferma la sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte civile, liquidandole nella misura di Euro 3.700,00, oltre I.V.A. e c.p.A. e spese generali come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Consigliere Dott. BINENTI Roberto - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/11/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO; udita la relazione svolta dal Consigliere TOSCANI EVA; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Manuali Valentina, che ha prospettato la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 23 novembre 2021 il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha rigettato l'istanza proposta da (OMISSIS) di affidamento in prova al servizio sociale, ritenendo che "i fatti di reato realizzati, l'eta' matura del condannato, i precedenti giudiziari e di polizia della stessa specie di quelli per i quali si procede, la pendenza di un procedimento dinanzi l' (OMISSIS), sempre per reati inerenti il mancato pagamento dell'assegno divorzile, l'inesistenza di idonea e regolarizzata attivita' lavorativa, la mancanza di notizie in ordine all'eventuale pagamento ovvero se abbia fatto valere la sua indigenza dinanzi al giudice civile" non consentissero di addivenire alla concessione dell'indicata misura alternativa, le cui prescrizioni sarebbero troppo ampie in relazione alla peculiarita' del caso di specie. Invocato, pertanto, il principio di gradualita' trattamentale, anche al fine di verificare un'eventuale evoluzione positiva circa la presa di coscienza da parte del condannato del proprio comportamento, reputava la detenzione domiciliare quale misura piu' idonea a contemperare le esigenze di reinserimento sociale e di prevenzione dalla commissione di reati. 2. Ricorre (OMISSIS) per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, e deduce tre motivi. 2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di verifica dei presupposti per la concessione della misura alternativa. Secondo il ricorrente, il rigetto dell'invocata misura alternativa e' stato erroneamente fondato esclusivamente sui precedenti penali e sull'assenza di un lavoro stabile. 3.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell'articolo 81 c.p. e vizio di motivazione in punto di mancata sospensione del procedimento. Il giudice specializzato ha trascurato di tenere in adeguata considerazione la sentenza della Corte di cassazione, in data 25 maggio 2021, di annullamento di precedente provvedimento in punto di riconoscimento del vincolo della continuazione e ha considerato la pena complessiva di otto mesi di reclusione, derivante dal cumulo materiale delle pene rivenienti dalle due condanne. Il ricorrente aveva diritto a vedersi riconosciuto il trattamento sanzionatorio derivante dall'applicazione dell'istituto della continuazione e, sulla pena cosi' determinata, si sarebbe dovuto fondare il giudizio sulla misura alternativa. 2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione degli articoli 666 e 676 c.p.p.. La difesa, collegando la doglianza a quella oggetto del precedente motivo, lamenta che il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto concedere un rinvio in attesa della nuova pronuncia del giudice dell'esecuzione, resa in sede di rinvio, con la quale si sarebbe riconosciuto detto vincolo, con corrispondente riduzione della pena. 3. Il Sostituto Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La Corte ritiene che l'impugnazione non sia fondata e vada, di conseguenza, rigettata. 2. Il Tribunale, a ragione del provvedimento assunto, ha formulato una valutazione articolata, certamente congrua e - contrariamente a quanto lamenta il ricorrente - non contraddittoria. Il giudice specializzato - dopo avere premesso che vi erano due istanze difensive, di identico contenuto, con le quali si chiedeva l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale motivando sulla scorta dell'erroneita' e dell'ingiustizia di entrambe le sentenze di condanna, oltre che della circostanza che il condannato ha contratto nuovo matrimonio da cui e' nata una bambina ha posto in rilievo come dette condanne riguardassero la mancata corresponsione, all'ex moglie e alla figlia avuta con quest'ultima, dell'assegno alimentare. Ha quindi valorizzato la circostanza che si trattava di reati analoghi a quelli, numerosi, risultanti dal certificato del casellario giudiziale (nove iscrizioni riguardanti i maltrattamenti in famiglia, violazione degli obblighi di assistenza familiare, violazione delle disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso), dal certificato dei carichi pendenti, infine dai precedenti di polizia. Quindi, ha preso atto della totale assenza di revisione critica inferita dalla breve osservazione svolta dall'UEPE, nella quale si e' sottolineato come, con riferimento ai fatti per i quali e' condanna, il condannato si dichiarava "vittima di un sistema che tutelava esclusivamente la sua ex moglie e che non teneva conto delle sue disagiate condizioni economiche che gli avevano reso impossibile l'adempimento degli obblighi imposti". Sulla base di tali elementi il Tribunale ha concluso che, in relazione all'attuale stadio dell'iter trattamentale, non sussistono le condizioni per addivenire gia' al suo affidamento in prova, apparendo tale misura ancora prematura, alla luce degli elementi sintetizzati in premessa, nell'ottica della necessaria gradualita' del percorso finalizzato al reinserimento sociale del condannato, mentre ha ritenuto la misura della detenzione domiciliare come quella piu' idonea a scongiurare il pericolo di recidiva, misura che ha pertanto applicato ex officio. 3. Cio' premesso, venendo al primo motivo di ricorso, ritiene il Collegio che la base argomentativa offerta dal Tribunale al provvedimento reiettivo dell'affidamento in prova non evidenzia il lamentato profilo cl'illogicita' e appare invece logicamente corretta e congruamente radicata nelle risultanze del procedimento inerente alla chiesta misura alternativa. Muovendo dai risultati delle attivita' di carattere istruttorio che il tribunale di sorveglianza ha il potere-dovere di compiere ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 47, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 96, il tribunale nella sintesi conclusiva che e' chiamato a compiere - pur non prescindendo dalla natura e dalla gravita' dei reati per cui e' stata irrogata la pena in espiazione (quale punto di partenza dell'analisi della personalita' del soggetto) e sempre valutando in via primaria la condotta successivamente serbata dal condannato attraverso l'indispensabile esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, onde assolvere all'esigenza di accertare l'assenza di indicazioni negative ed anche l'evenienza di elementi positivi tali da consentire il giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva (su questo specifico aspetto cfr. Sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015, Incarbone, Rv. 264602) - puo' fare ragionata applicazione del principio di gradualita' nell'iter finalizzato alla concessione, al contempo, puntuale e proficua delle misure alternative alla detenzione. In tal senso si deve ribadire (nell'alveo di una consolidata elaborazione, su cui cfr. Sez. 1, n. 27264 del 14/1/2015, Sicari Rv. 264037; Sez. 1, n. 15064 del 6/3/2003, Chiara, Rv. 224029) che, prima di ammettere il condannato a misure alternative alla detenzione, il tribunale di sorveglianza, anche quando rilevi l'emersione di elementi positivi nel comportamento del detenuto, puo' legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali onde verificare la concreta attitudine del medesimo ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre, poi, con la concessione delle misure stesse. Cio' e' tanto piu' giustificato quanto piu' i reati commessi siano sintomatici di una non irrilevante capacita' a delinquere e/o della verosimile contiguita' con ambienti delinquenziali di elevato livello. Degli esposti principi il giudice specializzato ha fatto corretta applicazione con motivazione che ha evidenziato, a fronte di un'assenza di revisione critica e pur nell'ambito di un percorso in qualche modo positivamente avviato, l'eccessiva e non tranquillizzante, rispetto al caso di specie, ampiezza delle prescrizioni collegate alla misura invocata, ritenendo che la rieducazione del condannato nella prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati potesse essere fronteggiata con la detenzione domiciliare. Tale motivazione, connotata da argomenti congrui e coerenti, e' incensurabile in sede di legittimita'. 4. Manifestamente infondati sono il secondo e il terzo motivo che possono essere trattati congiuntamente, attesa la connessione logica delle questioni trattate. Diversamente da quanto apoditticamente affermato nel ricorso, non v'e' nessun rapporto di pregiudizialita' in virtu' del quale il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto sospendere il procedimento in attesa del nuovo giudizio in punto di continuazione; ne' vi erano ragioni (per vero neppure specificamente allegate dal ricorrente) in ordine alla opportunita' della concessione di un rinvio dell'udienza a fronte di un decisione, meramente ipotetica, favorevole al condannato. In ogni caso, difetta l'interesse del condannato a ricorrere sul punto, posto che la decisione reiettiva del Tribunale di sorveglianza e' stata adottata indipendentemente dal quantum di pena in esecuzione. 5. Discendono da tali considerazioni il rigetto dell'impugnazione e la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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