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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE che ha concluso chiedendo. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Potenza riformava parzialmente in senso favorevole all'imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Potenza, in data 3.7.2019, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto ex articolo 595, comma 3, c.p., in rubrica ascrittogli, commesso in danno di (OMISSIS). La condotta attribuita all' (OMISSIS) consiste, in particolare, nell'avere immesso nel web attraverso il sito del social network (OMISSIS), un filmato da lui stesso realizzato, avente ad oggetto il vice-sindaco del comune di (OMISSIS), (OMISSIS), mentre utilizzava l'automobile di servizio del comune, immagini che l'imputato commentava sul proprio profilo (OMISSIS), utilizzando le espressioni riportate testualmente nel capo d'imputazione, ritenute offensive per la reputazione del (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) violazione di legge in punto di affermazione della responsabilita', non essendovi alcuna certezza in ordine alla riconducibilita' all' (OMISSIS) del "post" offensivo pubblicato sul suo profilo (OMISSIS), in quanto la corte territoriale ha omesso ogni verifica tecnica in ordine all'indirizzo IP da cui proveniva il messaggio ritenuto offensivo della reputazione della persona offesa, in mancanza della quale non puo' escludersi l'utilizzo del nickname del presunto autore del reato da parte dei terzi, senza tacere che la corte territoriale ha rigettato l'eccezione difensiva sul punto con motivazione del tutto apparente, non avendo fatto buon governo dei principi in tema di prova indiziaria in base ai quali ha ritenuto di poter ovviare alla mancanza del menzionato accertamento tecnico; 2) violazione di legge con riferimento al processo di acquisizione forense del materiale diffamatorio presente su (OMISSIS), che, nel caso in esame, e' avvenuto mediante il deposito della mera trascrizione su carta dei commenti incriminati, con conseguente inutilizzabilita' del materiale cartaceo, alla luce dell'articolo 260, comma 2, c.p.p., secondo cui le copie forensi devono essere eseguite adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione, con una procedura che assicuri la conformita' dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilita'; 3) violazione di legge in punto di mancata applicazione dell'esimente del diritto di critica politica; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, piuttosto che di semplice equivalenza, rispetto alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, c.p.p., nonche' di irrogazione di una pena detentiva, invece che di una pena pecuniaria. 3. Con requisitoria scritta del 17.2.2023, depositata sulla base della previsione dell'articolo 23, comma 8, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'articolo 16, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Con conclusioni scritte del 28.2.2023, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria del pubblico ministero, insiste in via principale, per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, aderisce alle conclusioni dell'organo della Pubblica Accusa. Con conclusioni scritte del 7.3.2023 il difensore di fiducia della costituita parte civile chiede la conferma della sentenza oggetto di ricorso e la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, come da allegata nota spese. 4. Il ricorso appare fondato solo in parte, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e va, pertanto, accolto nei seguenti termini. 5. Inammissibile deve ritersi il primo motivo di ricorso, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', infatti, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). La corte territoriale, del resto, con motivazione affatto apparente, manifestamente illogica o contraddittoria, ha risolto il tema della riconducibilita' del video diffamatorio, diffuso sulla pagina del soda network (OMISSIS) collegato all'account dell' (OMISSIS), sulla base delle dichiarazioni del teste (OMISSIS) (il quale ha riferito come "il suddetto video gli fosse stato inviato dallo stesso imputato sul sui account (OMISSIS)) e dell' (OMISSIS) medesimo, "che non ha disconosciuto di avere effettuato la ripresa e di averla commentata, postandola su internet", come del resto si evince dall'ulteriore circostanza, del pari evidenziata con logico argomentare dal giudice di secondo grado, che "il luogo in cui il Vice-sindaco stava effettuando il rifornimento di carburante era proprio una piazza del comune di (OMISSIS) intitolata a " (OMISSIS)" e l'imputato, nel video, rivendicava il proprio nome e cognome come quello attribuito alla piazza in questione, luogo in cui erano stati ripresi i fatti. Sicche' risulta dotata di intrinseca coerenza logica la motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato la censura difensiva, volta a eccepire la mancanza di accertamenti sull'indirizzo IP (Internet Protocol) dell'utenza impiegata per la diffusione del video, evidenziandone l'inutilita', oltre che conforme ai condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia. Si e', infatti, evidenziato che "la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita' si attesta sulla riferibilita' della diffamazione anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralita' e precisione di dati quali il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo. Si e', inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all'assenza di denuncia di cd. furto di identita' da parte dell'intestatario della bacheca sulla quale vi e' stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n. m.). Risponde, dunque, a criteri logici e a condivise massime di esperienza ritenere la provenienza di un post da un profilo (OMISSIS) proveniente dal profilo di un utente che ometta di denunciarne l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi" (cfr. Sez. 5, n. 24212 del 21.1.2021, n. m.). Sicche', non puo' essere esclusa la riferibilita' del fatto all'imputato, quando, come nel caso di specie, pur non essendo stati svolti accertamenti sull'indirizzo IP, risultano significativi elementi convergenti a suo carico quali la provenienza del post dal profilo (OMISSIS), collegato all'account del prevenuto, le dichiarazioni del teste (OMISSIS) e la stessa ammissione dell' (OMISSIS), nonche' la circostanza che il ricorrente non risulta abbia denunciato l'uso improprio del suo nickname, prendendo le distanze dalle affermazioni offensive in addebito. 6. Infondata appare la seconda censura difensiva, sulla quale bisogna soffermarsi, pur non essendo stata articolata con i motivi di appello, con essa deducendosi un vizio di inutilizzabilita', che puo' essere rappresentato anche per la prima volta in questa sede. Si tratta, in ogni caso, di censura infondata, sotto un duplice profilo. Da un lato, se e' vero, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita', che l'articolo 260, comma 2, c.p.p., si limita a richiedere l'adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformita' ed immodificabilita' delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate (cfr. Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, Rv. 265180), e' altrettanto vero che l'eventuale inosservanza di tali misure e procedure non determina di per se' l'inutilizzabilita' dei dati informatici acquisiti, essendo sempre necessario dimostrare quanto meno l'esistenza di un concreto dubbio sulla conformita' e sulla modificabilita' delle copie estratte, rispetto agli originali, che, nel caso in esame, il ricorrente non ha fornito. D'altro lato, ritiene il Collegio di aderire a un recente orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui ai fini dell'utilizzabilita' della trascrizione delle conversazioni via "wathsapp" effettuata dalla persona offesa (ma ovviamente il principio e' applicabile con riferimento a ogni spazio telematico), la necessita' di acquisire il supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione deve essere valutata in concreto, tenendo conto della credibilita' della persona offesa e dell'attendibilita' delle sue dichiarazioni accusatorie. (Fattispecie in tema di atti persecutori, in cui la Corte ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva ritenuto superflua la richiesta difensiva di accertamento tecnico e di estrazione dei dati del traffico telefonico delle utenze interessate, non essendovi ragione di dubitare dell'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi: cfr. Sez. 5, n. 2658 del 06/10/2021, Rv. 282771). Orbene nel caso in esame non e' stato sollevato alcun rilievo specifico sulla credibilita' personale della persona offesa ovvero sull'attendibilita' delle sue dichiarazioni, che hanno consentito di ricostruire i fatti, ovvero delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), sicche' nessuna inutilizzabilita' per violazione di legge processuale penale e' configurabile in relazione alla utilizzazione ai fini della decisione della trascrizione cartacea delle frasi incriminate. 7. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso. Non ignora, il Collegio, il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui in tema di diffamazione, il rispetto della verita' del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo piu' limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor piu' quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, Rv. 270284). Allo stesso tempo va, pero', rammentata la costante riflessione operata dalla giurisprudenza di legittimita', volta ad individuare i limiti interni alla scriminante di cui si discute, oltrepassati i quali la condotta oggettivamente contra legem posta in essere non puo' trovare giustificazione nell'esercizio del diritto di critica politica. Si tratta di un approdo interpretativo, che, nel corso degli anni, ha approfondito e sviluppato nelle sue diverse implicazioni, il fondamentale principio, secondo cui il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e' essenzialmente quello del rispetto della dignita' altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argumenta ad hominem (cfr. Cass., Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239). Si e', cosi', affermato che sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione usata consiste in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purche' non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignita' morale ed intellettuale dell'avversario (cfr. Cass., Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, Rv. 262184). Pertanto l'esimente di cui si discute, che pure tollera l'uso di espressioni forti e toni aspri, non ricorre ove tali espressioni siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili (cfr. Cass., Sez. 5, n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489; Sez. 5, n. 9566 del 16/12/2020, Rv. 280809). Tale e' la fattispecie che ci occupa, in considerazione della natura gratuitamente offensiva delle frasi profferite nei confronti della persona offesa ("nulla....solite porcherie di una serpe resuscitata), peraltro riferite a un episodio in cui il vice-sindaco aveva dimostrato come l'utilizzazione del veicolo, al rifornimento del quale presso una pompa di benzina era stato immortalato nel video incriminato, fosse consentito, in quanto funzionale allo svolgimento di un'attivita' istituzionale (cfr. p. 4 della sentenza oggetto di ricorso). 8. Fondato, invece, risulta l'ultimo motivo di ricorso. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimita', con orientamento costante e assolutamente condivisibile, e' legittima, in relazione all'articolo 10 Cedu, secondo un'interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l'irrogazione di una pena detentiva, ancorche' sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attivita' giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie "internet"), ove ricorrano circostanze eccezionali connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza. L'applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', in particolare, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, e' subordinata alla verifica della "eccezionale gravita'" della condotta, che, secondo un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d'odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsita' dei fatti ad essa addebitati (cfr. Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Rv. 281602; Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Rv. 281024). Siffatto profilo, nonostante la presenza di un motivo di appello con cui si chiedeva di rivisitare l'entita' del trattamento sanzionatorio, per adeguare l'entita' della pena alla gravita' del fatto, non e' stato minimante preso in considerazione dalla corte territoriale, che ha rideterminato in mesi due di reclusione la pena detentiva irrogata dal giudice di primo grado, senza procedere ad alcuna valutazione sulla necessita' di irrogare una pena detentiva, sia pure contenuta. Ne consegue che, sul punto, la sentenza va annullata con rinvio alla corte di appello di Salerno, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi dell'articolo 624, c.p.p., va dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, con riferimento all'affermazione di responsabilita' dell' (OMISSIS), dovendosi, sul punto, rilevare che, tenuto conto dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti nel corso del giudizio, il termine di prescrizione del reato per cui si procede, nella sua estensione massima, non risulta affatto perento. La parziale fondatezza dei rilievi difensivi, implica che, pur dovendosi rigettare nel resto il ricorso, l'imputato non sia condannato al pagamento delle spese processuali, laddove l' (OMISSIS), essendo soccombente sul punto dell'affermazione della sua responsabilita' per la condotta in addebito, deve, invece, essere condannato, conformemente alla richiesta formulata dalla parte civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio da quest'ultima, che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08-06-2022 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS), difensori di fiducia del ricorrente, i quali hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'8 giugno 2022, la Corte di appello di Milano confermava la decisione del 15 dicembre 2020, con cui il G.U.P. del Tribunale di Milano aveva condannato (OMISSIS) alla pena di 3 anni, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli articoli 81 e 600 ter c.p., a lui contestato per avere prodotto materiale pornografico utilizzando la minorenne (OMISSIS) istigando la minore, mediante esplicite richieste, a ritrarsi in 26 fotografie e in 14 video dal contenuto sessualmente esplicito; fatto commesso in (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando ventuno motivi. Con il primo, la difesa deduce l'inosservanza dell'articolo 603 ter c.p., comma 1, richiamando i principi espressi nelle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 51815 del 2018 e n. 4616 del 2022) ed evidenziando che la Corte di appello avrebbe erroneamente applicato tali canoni ermeneutici, avendo valorizzato esclusivamente la differenza di eta' tra imputato e persona offesa, seguendo un'impostazione superata dalla successiva evoluzione interpretativa. Con il secondo motivo, la difesa contesta l'affermazione della penale responsabilita' del ricorrente, osservando che nel caso di specie ricorrevano tutti gli indici sintomatici della cd. "pornografia domestica", posto che lo scambio di foto e video tra imputato e persona offesa e' avvenuto senza alcuna condivisione con terze persone e nell'ambito di un rapporto affettivo, al di fuori di qualsivoglia costrizione o induzione, per cui i giudici di merito avrebbero ignorato i principi espressi dalle Sezioni Unite nelle ricordate sentenze del 2018 e del 2022, che peraltro attenevano a procedimenti a carico di maggiorenni, riferendosi la seconda a un maggiorenne che aveva intrattenuto una relazione affettiva con una minorenne e che era stato completamente assolto. Con il terzo motivo, e' stato denunciato il travisamento delle risultanze degli atti di indagine, dai quali sono emersi dati fattuali ignorati dalla Corte di appello, ovvero che (OMISSIS) e la (OMISSIS) si sono conosciuti sulle chat e non si sono mai incontrati e che, nell'ambito di una relazione quotidiana in cui parlavano di argomenti vari, si sono reciprocamente inviati files autoprodotti, posto che anche l'imputato si e' ritratto in video e foto trasmessi alla minore. Il quarto motivo censura il travisamento delle risultanze delle relazioni del consulente informatico della Procura della Repubblica, Dott. (OMISSIS), il quale, nella relazione finale del 1 marzo 2019, ha dato atto dell'interlocuzione quotidiana tra imputato e persona offesa, i quali si scambiavano messaggi dalla prima mattinata fino alla notte inoltrata, cio' a conferma del forte grado di complicita' dei due interlocutori e della assoluta liberta' di azione della ragazzina. Con il quinto motivo, ci si duole del travisamento delle dichiarazioni confessorie dell'imputato, il quale, nel premettere di essere consapevole della minore eta' della (OMISSIS), ha sempre negato di aver costretto o indotto costei a ritrarsi in foto e video pornografici, inserendosi lo scambio degli sporadici contenuti audiovisivi autoprodotti nell'ambito del clima di complicita' instauratosi. Con il sesto motivo, si censurano il travisamento, l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS), la quale, a riscontro del racconto dell'imputato, ha confermato l'esistenza di una relazione affettiva con (OMISSIS), escludendo sia qualsiasi forma di induzione nei suoi confronti ai fini della realizzazione del materiale autoprodotto, sia la sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" da parte dell'imputato. Con il settimo motivo, la difesa lamenta la mancata considerazione delle risultanze della relazione redatta dalla psicologa infantile (OMISSIS) intervenuta in sede di audizione protetta, la quale ha ritenuto attendibile la narrazione della persona offesa, anche nella parte cui costei ha riferito di aver inviato liberamente il materiale contestato all'imputato, senza subire alcuna costrizione o induzione, non avendo la Dott.ssa (OMISSIS) rinvenuto alcun sintomo di abuso nella ragazzina. L'ottavo motivo e' dedicato al giudizio sull'asserita e apodittica sussistenza di presunti "ordini" o "direttive" rivolti dall'imputato alla minore, risultando tale affermazione fondata su un travisamento delle risultanze probatorie. Con il nono motivo, ci si duole dell'affermazione circa il presunto condizionamento da parte di (OMISSIS) che sarebbe stato favorito dalla fragilita' della (OMISSIS), risultando tale conclusione frutto di un fraintendimento degli esiti dell'audizione della persona offesa, la quale, come chiarito anche dalla Dott.ssa (OMISSIS), aveva instaurato un legame affettivo con l'imputato, idoneo a spiegare l'invio volontario del materiale audiovisivo reciprocamente prodotto. Con il decimo motivo, la difesa insiste sul difetto di induzione da parte del ricorrente nei confronti della (OMISSIS), risultando la condotta per cui si procede inquadrabile nel contesto della cd. "pornografia domestica" penalmente irrilevante, non essendovi stata alcuna violenza o induzione, essendo il materiale inviato destinato esclusivamente inter partes e avendo la persona offesa, che all'epoca dei fatti aveva compiuto 14 anni, liberamente espresso il suo consenso. Con l'undicesimo motivo, si contesta la mancata derubricazione del fatto nel reato di detenzione di materiale pedopornografico, risultando la meno grave qualificazione giuridica del fatto imposta dal principio di irretroattivita' della disciplina penale piu' sfavorevole, ancorche' di derivazione giurisprudenziale (articolo 7 della C.E.D.U.), avendo le Sezioni Unite dato luogo, con la sentenza n. 51815 del 2018, a un mutamento in peius dell'orientamento giurisprudenziale, posto che, per effetto dell'overruling, sono state incluse nell'ambito applicativo 600 ter c.p. condotte che, per essere prive, come nel caso di specie, del pericolo di diffusione del materiale, sarebbero state assoggettate, secondo il precedente orientamento, alla disciplina del reato ex articolo 600 quater c.p.. Il dodicesimo motivo e' dedicato al trattamento sanzionatorio, non avendo la Corte di appello fornito risposta alle deduzioni difensive, con cui era stato censurato il difetto di motivazione rispetto alla determinazione della pena, fissata in maniera ingiustificatamente superiore rispetto al minimo edittale. Con il tredicesimo, il quattordicesimo, il quindicesimo, il sedicesimo, il diciassettesimo, il diciottesimo, il diciannovesimo e il ventesimo motivo, si contesta sotto diversi aspetti il diniego delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di appello fornito adeguata motivazione al riguardo (motivo 13) e non avendo tenuto conto di vari elementi positivi, ovvero: la confessione dell'imputato, avvenuta gia' in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di perquisizione e poi reiterate nelle successive fasi del procedimento penale (motivo 14); la condotta collaborativa di (OMISSIS), il quale, come emerso dagli atti delle indagini preliminari acquisiti al fascicolo processuale, ha coadiuvato il consulente tecnico del P.M., fornendo password e codici di sblocco, non essendo dipese le difficolta' di accertamento da alcuna azione volontaria di (OMISSIS) (motivo 15); la resipiscenza del ricorrente, il quale, oltre a rendere piena confessione gia' dinanzi agli operanti e ad aver compreso la gravita' del suo comportamento, ha effettuato il pieno risarcimento del danno, provvedendo al pagamento di 27.000 Euro alla minore e alla famiglia, che hanno rinunciato alla costituzione di parte civile (motivo 16); il fatto che (OMISSIS) ha interagito solo con la (OMISSIS), non avendo contatti con altre minorenni, come emerso dagli accertamenti informatici svolti (motivo 17); il comportamento processuale dell'imputato, che e' stato presente in tutte le sedi procedimentali e ha espresso piena consapevolezza per l'errore da lui commesso (motivo 18); la condizione di incensurato del ricorrente, l'assenza di carichi pendenti e la mancanza di denunce a suo carico, precedenti o successive ai fatti di causa (motivo 19); nonche' il documentato avvio, da parte dell'imputato, di un percorso psicoterapeutico, accanto al trattamento farmacologico gia' in atto, idoneo alla risoluzione delle fragilita' che hanno pesato sul suo comportamento nella vicenda (motivo 20). Il ventunesimo motivo, infine, e' dedicato all'aumento di pena ex articolo 81 c.p., comma 2, non avendo la Corte di appello illustrato le ragioni poste a fondamento del non lieve incremento di pena (mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000 di multa) operato su un gia' elevatissimo minimo edittale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' infondato. 1. In via preliminare, occorre evidenziare che i ventuno motivi di ricorso possono ricondursi a due aree tematiche: quella riguardante l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato (i primi 11 motivi) e quella concernente il trattamento sanzionatorio (motivi da 12 a 21). Le due categorie di doglianze, nel loro rispettivo ambito, sono invero suscettibili di trattazione unitaria, risultando sostanzialmente sovrapponibili le questioni affrontate per ogni area tematica. 2. Iniziando dalle censure in punto di giudizio di colpevolezza, occorre evidenziare che le valutazioni compiute al riguardo nelle due conformi sentenze di merito non presentano vizi di legittimita' rilevabili in questa sede. In proposito si ritiene utile una breve e preliminare ricostruzione fattuale. Emerge invero dalle sentenze di primo e secondo grado, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, che il 31 ottobre 2018 si recava presso la Squadra Mobile di Como (OMISSIS), madre di (OMISSIS), nata nel (OMISSIS). La (OMISSIS) riferiva che sette giorni prima, il 24 ottobre, mentre si trovava in casa, aveva sentito la figlia parlare a telefono in vivavoce con un uomo, vertendo la conversazione su argomenti di natura sessuale: ella entrava quindi subito in camera di (OMISSIS), cui chiedeva spiegazioni, ma costei, dopo alcune iniziali reticenze, si limitava ad ammettere di aver parlato di sesso con un suo coetaneo. Tuttavia la (OMISSIS), avendo ascoltato interloquire con la figlia la voce di un adulto, a fronte delle negazioni della figlia, chiamava il marito, dicendogli di tornare subito a casa: i genitori di (OMISSIS) controllavano quindi il cellulare della figlia, rinvenendo nell'applicazione whatsapp solo conversazioni amichevoli e uno scambio di foto non allarmanti con tale (OMISSIS). Questi veniva comunque contattato dai genitori della minore, che gli dicevano che la figlia aveva solo 14 anni, al che l'uomo registrato come (OMISSIS) si scusava dicendo di aver sbagliato. Il pomeriggio del giorno successivo, la denunciante parlava di nuovo con la figlia, chiedendole se per caso avesse inviato all'uomo foto e video; dopo essere stata inizialmente reticente, (OMISSIS) confidava alla madre che, tramite l'applicazione Telegram, vi era stato uno scambio di foto e video di natura sessuale. A quel punto la minore mostrava alla madre le immagini in questione, che ritraevano ella nell'atto di masturbarsi in camera sua, nonche' il pene in erezione dell'uomo, il quale tuttavia non inviava mai foto del suo volto alla ragazzina. Venerdi' 26 ottobre la (OMISSIS) e la figlia si recavano presso lo studio della psicologa che aveva avuto in cura (OMISSIS) per un anno per attacchi e crisi di ansia, informandola dell'accaduto nel tentativo di superare quella situazione. Nel successivo fine settimana, la minore raccontava alla madre che tutto era nato nell'agosto 2017, allorquando, durante una vacanza con la zia, ella e la cugina (OMISSIS) si erano iscritte a una chat di incontri, dove aveva conosciuto (OMISSIS), che non ha mai incontrato, ma che sapeva fosse residente in Toscana. Dopo la presentazione della denuncia da parte della (OMISSIS), venivano avviate le indagini e, a seguito di verifiche tecniche sul cellulare della persona offesa, l'intestatario dell'utenza con cui (OMISSIS) aveva interloquito veniva identificato in (OMISSIS), nato nell'(OMISSIS) e residente in provincia di Pistoia. Il 14 dicembre 2018 veniva eseguita una perquisizione presso l'abitazione e il luogo di lavoro dell'imputato e, pur risultando cancellate dall'interessato le chat delle sue applicazioni whatsapp e telegram, venivano rinvenuti nei suoi dispositivi elettronici elementi di interesse investigativo, ovvero la presenza di modulistica del liceo classico di Como frequentato dalla persona offesa, e la registrazione dell'imputato in siti di incontri con due account che rimandavano al nome di (OMISSIS) indicato da (OMISSIS), ovvero "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)". Il contenuto degli scambi avvenuti quotidianamente tra l'imputato e la persona offesa veniva invece reso noto dall'analisi forense del cellulare in uso alla minore. In particolare, nel periodo compreso tra il 7 luglio e il 24 ottobre 2018, venivano registrati contatti quasi giornalieri tra i due, contraddistinti da conversazioni sia brevi che lunghe e dallo scambio di 132 files multimediali, tra i quali anche foto e video che ritraggono (OMISSIS) in atteggiamenti erotici, sia nuda che intenta nel compimento di atti di autoerotismo, emergendo dalla lettura delle chat che (OMISSIS), ovvero (OMISSIS) (l'identificazione dell'imputato e' pacifica), ben conosceva la minore eta' della sua interlocutrice, che le aveva detto di avere 15 anni. Nelle conversazioni, il ricorrente manifestava piu' volte l'intenzione di recarsi a Como per incontrare (OMISSIS), al fine di consumare un rapporto sessuale, ma la ragazzina esprimeva preoccupazione per il fatto di essere alla sua prima esperienza, manifestando inoltre la minore segni di paura per la conservazione del materiale pornografico che si scambiava con il suo interlocutore, temendo che qualche familiare potesse scoprire tale circostanza, emergendo altresi' una certa insofferenza di (OMISSIS) di fronte della frequenti richieste di (OMISSIS) di inviare immagini pornografiche, anche se ella poi cedeva dopo le insistenze di lui. Peraltro, dall'analisi tecnica compiuta dal consulente del P.M. e' emersa una significativa differenza numerica tra i contenuti sessuali che i due interlocutori si scambiavano, nel senso che le immagini erotiche prodotte e inviate dalla minore erano una cinquantina, mentre quelle inviate dall'imputato erano una decina. Nel prosieguo delle indagini, il 7 marzo 2019, veniva sentita (OMISSIS), la quale, nell'ambito di un'audizione spesso interrotta dal pianto, confermava le circostanze gia' riferite alla madre, precisando di essersi sentita gratificata dai complimenti e dalle attenzioni dell'imputato, il quale le aveva detto di avere 27 anni e di chiamarsi " (OMISSIS)" ed era diventato una presenza costante della sua vita quotidiana, anche quando egli aveva cominciato a chiederle con insistenza di inviargli foto intime, richiesta che ella assecondava, avendo paura che l'uomo si allontanasse definitivamente, come aveva minacciato piu' volte di fare. Dal canto suo, (OMISSIS), sentito il 6 marzo 2020 in sede di interrogatorio richiesto dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, riferiva di non aver mai costretto o istigato la minore a fare qualcosa, ma l'aveva solo assecondata, posto che ella amava masturbarsi e spesso gli aveva chiesto di inventare situazioni erotiche, anche utilizzando un linguaggio volgare. Aggiungeva di non aver mai incontrato la ragazzina e di avere, dopo la telefonata della madre, formattato tutti i suoi dispositivi non per cancellare prove, ma per evitare di cadere nella tentazione di ricontattare (OMISSIS). Infine, in sede di dichiarazioni spontanee rese in sede di rito abbreviato, (OMISSIS) ha ribadito che con la minore si era creata una "forte amicizia" che l'aveva obbligato a starle vicino e ad assecondare le sue richieste, senza mai forzarla. 2.1. Orbene, cosi' ricostruiti i fatti di causa, all'esito di una disamina del materiale probatorio esauriente e priva di vizi di travisamento, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione circa l'ascrivibilita' all'imputato della fattispecie di cui all'articolo 600 ter c.p., essendo stato richiamato a tal fine, in modo pertinente, il principio elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un., n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087), secondo cui, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, non e' richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale, essendo stato cosi' superato il precedente indirizzo ermeneutico (Sez. Un. 13 del 31/05/2000, Rv. 216337), con cui la rilevanza penale della condotta era stata invece ancorata alla verifica della sussistenza di un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. L'impostazione delle Sezioni Unite del 2018 e' stata peraltro condivisa e ulteriormente sviluppata nel 2021 con la sentenza n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282718, con cui le Sezioni Unite hanno ribadito che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando invece escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psico-fisica dello stesso, come ad esempio avviene quando la produzione del materiale pornografico, con il consenso del minore ritratto, si realizza nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni, unicamente a uso privato delle persone coinvolte (cd. "pornografia domestica"). Nel caso di specie, e' stata esclusa sia l'irrilevanza penale del fatto, sia la possibile derubricazione del fatto nella meno grave ipotesi di cui all'articolo 600 quater c.p., essendosi osservato (pag. 8 ss. della sentenza di primo grado e pag. 7 ss. della pronuncia di appello), in maniera tutt'altro che illogica, come nel caso di specie doveva escludersi l'esistenza di una semplice relazione affettiva tra imputato e persona offesa, avendo il primo 43 anni e la seconda 1314 all'epoca dei fatti ed essendo il rapporto contraddistinto non da condizioni paritarie, ma da un'evidente posizione di supremazia del ricorrente, il quale, nel relazionarsi con (OMISSIS), di quasi 30 anni piu' giovane di lui e in palesi condizioni di fragilita' psicologica, non mancava di screditare l'operato della psicoterapeuta che aveva in cura la minore, tentando di indirizzare sempre di piu' costei a lui, e cio' anche approfittando del fatto che la ragazzina, sentendosi lusingata dai suoi apprezzamenti, si e' sentita sempre piu' coinvolta in questo legame, finendo per assecondare le richieste del ricorrente per evitare di perdere il rapporto con lui. In tal senso, l'alternanza tra conversazioni normali e scambi di materiale pornografico e' stata ragionevolmente intesa dai giudici di merito come indizio non della spontaneita' della relazione, ma al contrario del proposito dell'imputato di condizionare psicologicamente la giovanissima (OMISSIS), al fine di spingerla ad assecondare le sue insistite richieste di inviargli materiale pornografico, richieste accompagnate peraltro da precise direttive su cosa dire e cosa fare. In definitiva, in quanto ancorata a considerazioni non irrazionali e anzi coerenti con gli indirizzi ermeneutici elaborati da questa Corte, l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive, che, nella ricostruzione dei fatti di causa, soprattutto rispetto alla dinamica del rapporto intercorso tra (OMISSIS) e la persona offesa, si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 e Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalita', sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 2.2. Ne' infine appare invocabile nel caso di specie l'asserita violazione dei principi convenzionali in ragione dell'overruling in tema di pornografia minorile, avendo questa Corte chiarito (cfr. Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, Rv. 282238), peraltro proprio rispetto all'applicazione dei principi elaborati dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza n. 51815 del 2018, che, in tema di successione di leggi penali nel tempo, l'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale piu' sfavorevole di una norma penale, solo quando il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto, atteso che l'irretroattivita' del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone il ribaltamento imprevedibile di un quadro interpretativo consolidato, mentre, nel caso di specie, l'intervento nomofilattico del 2018 non poteva ritenersi affatto sorprendente, avuto riguardo all'evoluzione del quadro normativo, mutato con la L. n. 38 del 2006, con il Decreto Legge n. 11 del 2009, convertito dalla L. n. 38 del 2009, con la L. n. 172 del 2012 e da ultimo con il Decreto Legge n. 93 del 2013 convertito dalla L. n. 119 del 2013, avendo tali modifiche normative anticipato la soglia di punibilita' del reato, rendendo non imprevedibile, anche alla luce del grado di sviluppo tecnologico maturato rispetto al contesto storico in cui e' stato elaborato il differente approdo interpretativo, l'affermazione secondo cui, ai fini della configurabilita' del reato de quo, non e' piu' richiesto l'accertamento del pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico. Di qui l'infondatezza delle censure in tema di responsabilita' penale. 3. Residuano le doglianze in materia di trattamento sanzionatorio. Anche sul punto, tuttavia, non si ravvisa nelle sentenze di merito alcuna criticita'. Occorre premettere al riguardo che il primo giudice ha irrogato all'imputato la pena finale di anni 3, mesi 4 di reclusione ed Euro 14.000 di multa, cosi' determinata: pena base, anni 6, mesi 9 di reclusione ed Euro 27.000 di multa, ridotta per l'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (riconosciuta in ragione dell'avvenuto risarcimento del danno alla persona offesa) ad anni 4, mesi 6 ed Euro 18.000 di multa, aumentata per la continuazione interna ad anni 5 di reclusione ed Euro 21.000 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del rito. La Corte di appello ha ritenuto congrua la pena irrogata dal G.U.P., osservando che la pena base si discosta in misura contenuta dal minimo edittale di anni 6 di reclusione ed Euro 24.000 di multa, nonostante l'eta' nettamente inferiore a 18 anni della persona offesa, risultando non eccessivo anche l'aumento per la continuazione interna, stante la reiterazione nel tempo delle condotte illecite. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, i giudici di secondo grado hanno condiviso il rilievo del primo giudice circa l'assenza di profili meritevoli di positiva considerazione, a parte il risarcimento del danno, che e' stato comunque adeguatamente valorizzato con il riconoscimento dell'attenuante ex articolo 62 c.p., n. 6, applicata peraltro nella sua estensione massima di un terzo. Non sono state ritenute invece dirimenti la collaborazione e la confessione invocate dalla difesa, dovendo le stesse essere valutate alla luce delle prove granitiche a carico dell'imputato, acquisite peraltro non attraverso il materiale da lui fornito, ma solo tramite l'esame del cellulare della persona offesa, tanto e' vero che (OMISSIS), avvisato dalla madre della persona offesa della sua intenzione di denunciarlo, aveva provveduto a cancellare i dati presenti sui propri dispositivi informatici, aspetto questo che, come osservato dal G.U.P. (pag. 11 della sentenza di primo grado), "colora di particolare intensita' anche il dolo del reato". Orbene, a fronte di considerazioni non manifestamente illogiche, non vi e' spazio per l'accoglimento delle censure difensive, che anche in tal caso sollecitano differenti valutazioni di merito non consentite in sede di legittimita', dovendosi richiamare la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) secondo cui, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione. 4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4449 del 2022, proposto da Nt. Da. It. S.p.A. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Consip Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Pa. Be., Pi. Ot., Jo. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ey Ad. S.p.A. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 04840/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consip Spa e di De. Ri. Ad. S.r.l. Società Be.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Bo. e Be.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte su un appalto quadro indetto da CONSIP per i servizi di sicurezza informatica (in particolare: sicurezza da remoto, compliance e controllo) delle pubbliche amministrazioni. Obiettivo: proteggere le stesse pubbliche amministrazioni da "attacchi informatici di particolare gravità " (cfr. pag. 10 capitolato generale di appalto). Il lotto 2 (attività di compliance (ossia "conformità alle procedure") e controllo) era da aggiudicare a due operatori: oltre 70 milioni di contratti esecutivi al primo classificato; oltre 46 milioni di contratti esecutivi al secondo classificato. 2. La terza classificata NTT contestava dinanzi al TAR Lazio il primo posto di De. (la quale era stata anche previamente sottoposta a giudizio di congruità dell'offerta) a causa del cospicuo numero di lavoratori autonomi che quest'ultima avrebbe impiegato nella commessa (44% della complessiva forza lavoro). Cospicuo numero che peraltro, nella prospettiva della stessa NTT, non avrebbe consentito a De. un sufficiente margine di utile. Il TAR Lazio rigettava tuttavia il ricorso affermando che: a) Il disciplinare di gara non era stato concepito in modo di ammettere soltanto lavoratori subordinati in seno alle società appaltatrici. Le formule adesso previste dal diritto del lavoro nonché il tipo di mansioni e di organizzazione aziendale richiesti dalla legge di gara ("lavoro in team") consentono di dare ingresso anche a tipologie contrattuali diverse rispetto a quella del lavoro subordinato in senso stretto (es. co.co.co, lavoro etero direzionato, etc.). Il tutto non senza trascurare la libertà imprenditoriale e la discrezionalità organizzativa di cui godono i soggetti appaltatori nella scelta del proprio "modello di organizzazione del lavoro"; b) La società ricorrente ha inoltre fornito una propria personale ricostruzione dei costi del lavoro senza tenere conto delle peculiari differenze (es. regime contributivo) tra il regime di lavoro autonomo e quello di tipo subordinato; c) Altre voci di costo sono state infine correttamente computate, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente NTT, e tra queste anche quelle legate alle "trasferte" del personale. 3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per error in iudicando nella parte in cui non sarebbe stato considerato che: 3.1. Le regole di gara presupporrebbero (unicamente) la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'appaltatore e le risorse impiegate nella commessa; 3.2. A ben vedere, le medesime risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti; 3.3. L'offerta economica sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero; 3.4. La stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro; 3.5. Non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante); 3.6. Vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR; 3.7. I costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni; 3.8. Gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili; 3.9. Non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori autonomi; 3.10. La stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. 4. Si costituivano in giudizio CONSIP e De. per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 5. Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2022 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione. 06. Tutto ciò premesso l'appello è infondato per le ragioni di seguito indicate. 6. Quanto al primo motivo di appello, si ripropongono nella sostanza le stesse argomentazioni del ricorso di primo grado senza tuttavia dimostrare che la legge di gara imponeva l'uso esclusivo di personale con rapporto di lavoro subordinato. Allo stesso modo non si dimostra in che modo una simile formula organizzativa non consentirebbe il raggiungimento degli obiettivi di commessa. Più in particolare: 6.1. Qui di seguito le principali disposizioni di gara che riguardano le modalità di lavoro del fornitore: - Articolo 7.1.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Risorse impiegate"): "Il Fornitore dovrà garantire un elevato grado di flessibilità nel rendere disponibili le risorse, nonché nel garantire l'aggiornamento tecnico delle necessarie competenze"; - Articolo 7.2.1 del Capitolato Tecnico Generale ("Responsabile Unico delle Attività Contrattuali" RUAC): "Il RUAC dovrà riferire... su tutte le tematiche contrattuali, quali ad esempio:... -coordinamento fra i gruppi ed i referenti tecnici per garantirne il massimo grado di sinergia e omogeneità d'azione"; - Articolo 7.2.2 del Capitolato Tecnico Generale ("Referenti tecnici per l'erogazione dei servizi"): "I Referenti tecnici... dovranno: - svolgere il coordinamento delle attività e delle risorse impiegate negli specifici servizi"; - Articolo 3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Descrizione dei servizi"): "il Fornitore dovrà garantire la totale copertura dei fabbisogni dell'Amministrazione, anche in situazioni di particolare urgenza o complessità, prevedendo la totale flessibilità e puntualità nell'impiego delle risorse professionali per l'esecuzione dei servizi"; - Articolo 4.3 del Capitolato Tecnico Speciale ("Trasferimento know how"): "Il Fornitore dovrà mettere a disposizione un apposito gruppo di lavoro dedicato, con un numero adeguato di risorse professionali, strumenti organizzativi e tecnologici"; - Articolo 5.6 del Capitolato Tecnico Speciale ("Team di Lavoro"): "Il Fornitore per erogare i servizi contrattuali dovrà disporre delle competenze, esperienze e capacità richieste ai profili professionali indicati di seguito, che devono tutte obbligatoriamente fare parte dei Team di Lavoro (o Team Ottimale) di ciascun servizio. I Team di Lavoro sono sotto la responsabilità e l'organizzazione del Fornitore che ha la responsabilità di strutturare i migliori gruppo di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable richiesti, garantendo la disponibilità dei profili professionali e delle competenze previste". "Il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio Team Ottimale in autonomia per soddisfare le richieste progettuali dell'Amministrazione... il Fornitore sarà libero di organizzare le suddette figure nell'ambito del proprio "team ottimale" per singolo servizio"; 6.2. Emerge, dalle disposizioni appena descritte, come il capitolato tecnico operi costante riferimento a "responsabilità " (di risultati e non di mezzi) e "organizzazione" del team di lavoro, attribuendo per tale via ampio risalto al "lavoro di gruppo" che dal canto suo implica, giocoforza, coordinamento e flessibilità (modello organizzativo, questo, compatibile anche con collaboratori esterni e dunque autonomi, come si avrà modo di osservare) e non piuttosto direzione strettamente gerarchica (propria dei soli lavoratori subordinati). In estrema sintesi, gli elementi principali del modello organizzativo descritto dalla legge di gara si basa su alcuni capisaldi tra cui: a) modalità di lavoro basate su team e dunque "gruppi di lavoro"; b) stile direzionale improntato di conseguenza sul coordinamento, piuttosto che sulla direzione verticistica in senso stretto; c) ampia flessibilità se non proprio libertà di organizzazione, da parte del fornitore, nel costruire i suddetti gruppi di lavoro; d) inserimento di lavoratori ad elevata qualificazione professionale (caratteristica questa propria dei lavoratori autonomi); e) libertà più in generale del fornitore, infine, nella scelta del modello organizzativo più efficace per il raggiungimento degli obiettivi che la legge di gara gli impone di realizzare. Il modello proposto dalla SA, in altre parole, non ponendo in essere alcun vincolo organizzativo nell'impiego delle risorse (le disposizioni di capitolato operano espresso riferimento a concetti come libertà di organizzazione e flessibilità nell'impiego delle risorse) non è allora necessariamente di tipo "divisionale" (il quale tollera solo lavoratori subordinati in quanto fortemente direzionale e gerarchico) ma ben può rivelarsi altresì "a matrice" in quanto basato non solo su funzioni ma anche su progetti. Tale modello implica in particolare ampia flessibilità di intervento, decisioni collegiali e dunque risulta compatibile con la presenza di lavoratori sia subordinati, sia autonomi/consulenti. Ciò anche in linea con la libertà di organizzazione imprenditoriale che la legge di gara stessa garantisce al fornitore (cfr. art. 5.6. del CTS cit.) e che trova peraltro un certo riconoscimento nella giurisprudenza di questa stessa sezione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2021, n. 4150) laddove si afferma che vige in materia il "principio di autonomia dell'imprenditore (che discende dal principio costituzionale della libera iniziativa privata di cui all'art. 41 Cost.), il quale organizza e predispone autonomamente le risorse e i mezzi idonei e necessari ad adempiere alle obbligazioni contrattuali oggetto dell'appalto"); 6.3. Si veda altresì, sul tema specifico, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui: "in tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sè compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività . Cass. lav. n. 1717 del 23/01/2009" (così : Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922). Ed ancora: "quanto allo schema normativo di cui all'art. 2094 c.c., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato (v. Cass., 27.2.2007 n. 4500)" (Cass. Civile, sez. VI, 26 maggio 2021, n. 14530). Infine: "l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l'oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell'attività (opus)" (Cass. Civile, sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12871); 6.4. Sintetizzando il punto che precede: mentre il lavoro subordinato si caratterizza per la soggezione del dipendente alla "direzione costante e cogente" del datore di lavoro, il quale si esprime a sua volta attraverso "ordini" (oggetto della prestazione sono dunque le "energie lavorative" del dipendente), nel lavoro autonomo lo stile direzionale è quello più flessibile del "coordinamento" che si esprime attraverso "direttive" di carattere generale (in siffatto contesto, oggetto della prestazione è dato più propriamente dal "risultato" che scaturisce dalla prestazione lavorativa stessa). 6.5. Trasponendo tali coordinate al modello organizzativo descritto nella legge di gara di cui in questa sede si controverte (si vedano le considerazioni di cui al punto 6.2.), deve allora concludersi che è agevole assistere, nel caso di specie, ad un modello organizzativo per lo più basato su coordinamento e dunque su "direttive" impartite ai propri collaboratori (che dunque possono essere sia dipendenti, sia lavoratori autonomi) e non soltanto su direzione costante e cogente espressa mediante "ordini" (non traspare giammai, in altre parole, quel "vincolo di soggezione" che è tipico del lavoro subordinato). Il modello delineato dalla legge di gara, in altri termini, è compatibile con la assegnazione di specifici obiettivi - piuttosto che rigide mansioni - ai singoli componenti del gruppo di lavoro. Obiettivi che i medesimi potranno raggiungere con un certo grado di autonomia funzionale data anche l'elevata qualificazione professionale da loro posseduta. Di qui la compatibilità, altresì, con la figura di lavoratori non solo subordinati ma anche autonomi. 6.6. Unico passaggio della legge di gara evidenziato dalla difesa di parte appellante - e in base al quale vi sarebbe una certa indicazione di impiegare soltanto lavoratori subordinati - sarebbe quello in cui si afferma che: "Il Team di Lavoro è sotto la responsabilità e l'organizzazione del fornitore" (cfr. punto 3.2.2. del Capitolato tecnico speciale). Trattasi tuttavia, ad avviso del collegio, di affermazione inidonea a suffragare una simile restrittiva lettura (solo lavoratori subordinati e non anche autonomi), e tanto sulla base della già accennata considerazione secondo cui: allorché si parli di "responsabilità " ci si deve riferire non tanto ad una responsabilità "di mezzi" quanto, piuttosto, "di risultato" (dunque occorre avere presenti gli "esiti concreti" dell'attività svolta e non le singole "energie lavorative" per conseguirli); allorché si tratti di "organizzazione" il riferimento può essere a diverse opzioni che, secondo la scienza aziendalistica, possono variare come visto da modelli "funzionali" e "divisionali" (i quali presuppongono stili direzionali di natura gerarchica e verticistica) a modelli "a matrice" oppure "a rete" che privilegiano stili direzionali e decisionali più collegiali e dunque di natura orizzontale. Modelli questi ultimi improntati sulla tecnica direzionale del (più flessibile) coordinamento organizzativo che, per le ragioni sopra esposte al punto 6.2., risulta senz'altro più aderente alle condizioni ed alle modalità lavorative impresse dalla legge di gara. In altre termini: "responsabilità " e "organizzazione" richiesti per la conduzione del gruppo di lavoro non implicano necessariamente "direzione costante e cogente" ma, piuttosto, un più flessibile ed ampio potere di "coordinamento" (seguendo la ridetta impostazione della Corte di cassazione) che pertanto ben può esprimersi attraverso "direttive" e non necessariamente mediante "ordini" (che implicano vincoli di soggezione e dunque solo lavoro subordinato). Del resto, la stessa invocata disposizione del capitolato (art. 5.6.) prevede altresì che da responsabilità e organizzazione del fornitore discenda altresì la piena facoltà, in capo a quest'ultimo, di scegliere "i migliori gruppi di lavoro in funzione dell'operatività e dei deliverable (risultati) richiesti"; 6.7. Da quanto sinora detto consegue la piena possibilità, da parte delle imprese concorrenti, di prevedere nei propri asset organizzativi sia lavoratori subordinati, sia lavoratori autonomi entro certi limiti qui comunque osservati, dal momento che queste ultime figure corrispondono a meno della metà della forza lavoro complessivamente impiegata; 6.8. Alla luce delle considerazioni appena esposte, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato con conseguente conferma, sul punto, delle condivisibili statuizioni del giudice di primo grado. 7. Con il motivo sub 3.2. si lamenta che, a ben vedere, le risorse impiegate nella commessa da parte di De. - o per lo meno quel 44% di cui si controverte in questa sede - sarebbero solo formalmente lavoratori autonomi ma, nella sostanza, lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Viene dedotta al riguardo la presenza di alcuni indici sintomatici tra cui orario di lavoro predeterminato, continuità del servizio e luogo di esecuzione. Osserva al riguardo il collegio che: 7.1. Trattasi di valutazioni che attengono alla fase esecutiva della commessa e che dunque possono essere operate soltanto ex post (tra l'altro ad opera di altro plesso giurisdizionale (AGO)) ossia sulla base delle concrete modalità e condizioni di lavoro e non ex ante sulla sola base di presunzioni astrattamente ricavabili da documenti di gara concernenti il mero assetto organizzativo dell'impresa concorrente. In questa sede ci si può occupare, in altri termini, soltanto dell'an ossia sul "se" tali lavoratori autonomi possano astrattamente essere utilizzabili nella commessa in questione e non anche del quomodo ossia se gli stessi soggetti siano anche concretamente utilizzati come tali. Una simile prognosi, in tale fase, non è in altri termini effettuabile; 7.2. Ad ogni modo, pur volendo ammettere simili presunzioni trattasi pur sempre di indici non dirimenti né decisivi, onde poter configurare la presenza di un effettivo rapporto di subordinazione, e ciò sulla base di un certo orientamento giurisprudenziale secondo cui: "caratteri dell'attività lavorativa... come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. Conforme, tra l'altro, Cass. n. 224 del 2001" (così Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922, cit.). 7.3. Alla luce delle suddette considerazioni, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 8. Con il motivo sub 3.3. si deduce che l'offerta economica di De. sarebbe inconsistente con particolare riguardo al costo medio giornaliero (130 euro per professionista 1 e 150 euro per professionista 2). La censura si rivela tuttavia generica e dunque inammissibile in quanto un simile importo non ha formato oggetto di più specifica contestazione (piuttosto, come si avrà modo più avanti di osservare al punto 10, la stessa voce di costo è stata poi del tutto ricalibrata dalla difesa di parte appellante sulla base di proprie soggettive valutazioni). La stessa difesa di parte appellante si è infatti limitata ad affermare che: "La quantificazione di tali costi... risulta del tutto generica". Di qui il suo integrale rigetto. 9. Con il motivo sub 3.4. si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto alcuna istruttoria né avrebbe espresso una articolata motivazione con riferimento ai giustificativi presentati da De. in merito alla sostenibilità dei costi del lavoro. Osserva al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante: "nelle gare pubbliche, ove l'Amministrazione consideri congrua l'offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell'anomalia, la sua valutazione deve ritenersi sufficientemente motivata con richiamo "per relationem" ai chiarimenti ricevuti, tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando invece ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o non serio affidamento circa la corretta esecuzione" (così, testualmente, Cons. St., V, n. 4450/11 cit.). "Il giudizio di anomalia dell'offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un'articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa "per relationem" alle giustificazioni rese dall'impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate" (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154). Dalle suddette considerazioni discende il rigetto altresì della specifica censura. 10. Con il motivo sub 3.5. si deduce che non si sarebbe tenuto conto della insostenibilità dell'offerta economica, sempre sul piano del costo del lavoro, sulla base delle stime elaborate dalla stessa NTT (odierna appellante). Rammenta al riguardo il Collegio che sul giudizio di anomalia la giurisprudenza consolidata, per quanto di interesse in questa sede, ha in particolare affermato che nelle gare pubbliche un simile giudizio circa l'incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di palese erroneità (ex multis, Cons. Stato, III, 6 febbraio 2017, n. 514; Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4755): di qui l'impossibilità di censurare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità nonché l'evidente insostenibilità dell'offerta e delle relative giustificazioni. Con la conseguenza che, ove non emergano evidenti travisamenti o irrazionalità ma solo margini di fisiologica opinabilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non potrebbe in alcun caso sovrapporre la propria valutazione a quella del competente organo della stazione appaltante, né potrebbe parimenti procedere ad una autonoma verifica di congruità dell'offerta medesima e delle sue singole voci (cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 2018, n. 6689). Tanto doverosamente premesso, le stime di costo ricalibrate dalla società appellante si riducono ad una mera sovrapposizione di calcoli già effettuati e valutati come congrui in sede di gara. Dunque nessuna dimostrazione di manifesta inattendibilità delle stime effettuate, si ravvisa, ma soltanto mera opinabilità delle valutazioni già effettuate dalla stazione appaltante. Valutazioni queste che, come già anticipato, sono rimesse in discussione dalla difesa di parte appellante (cfr. modelli e tabelle alle pagg. 33-37 atto di appello) attraverso una propria operazione di riparametrazione e rielaborazione dei costi (dunque sovrapposta a quella stimata come congrua dalla SA) che, ove accettata da questo giudice di appello, determinerebbe conseguentemente una inammissibile sostituzione nei confronti dell'amministrazione stessa. Il tutto riproponendo sic et simpliciter, tra l'altro, il modello dei lavoratori subordinati e dunque senza depurare - come correttamente posto in evidenza dal giudice di primo grado - alcuni importanti costi che non sarebbero altrimenti sopportati attraverso l'impiego di lavoratori autonomi (contributi INPS, TFR, indennità di contingenza). In ultimo si osserva che, se è ben vero che questo giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1979) ha ritenuto legittimo, in caso di valutazione di congruità delle prestazioni professionali di lavoratori autonomi, il ricorso ai parametri retributivi (comunque non vincolanti) dei lavoratori subordinati che svolgono analoghe mansioni, è anche vero che tale decisione si riferiva al diverso caso in cui l'appellante contestava (e non pretendeva, come nel caso di specie) l'utilizzo di tale metodo da parte della stazione appaltante (la quale, giova rammentare, esercita al riguardo un potere tecnico-discrezionale, laddove il ricorrente non potrebbe giammai far valere tale identico metodo onde riparametrare certi costi in via del tutto alternativa e sostitutiva rispetto alle valutazioni al riguardo già svolte dalla stessa SA). Nei termini suddetti anche tale censura deve dunque essere rigettata 11. Con la censura sub 3.6. si lamenta che vi sarebbe stato un certo scostamento dalle tabelle ministeriali con particolare riguardo al TFR. Rammenta al riguardo il collegio che, per giurisprudenza costante, in sede di valutazione della non anomalia dell'offerta i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta: per tali ragioni, l'eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità in quanto occorre, affinché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2022, n. 10071; Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2022, n. 7762). Ebbene, alla luce di quanto appena rammentato la difesa di parte appellante non allega elementi tali da poter ipotizzare che la suddetta discordanza possa essere ritenuta considerevole o palesemente ingiustificata, e ciò dal momento che la stessa si limita in proposito a rilevare che: "il RTI... ha palesemente sottostimato tale voce di costo". Ed ancora che: "emergono delle differenze rispetto alle tabelle ministeriali di riferimento" (pag. 39 atto di appello). Inoltre che: "il valore della rivalutazione del TFR è stato calcolato con una percentuale ben inferiore al minimo di legge" (pag. 40 atto di appello), senza tuttavia quantificare l'entità di tale denunziato scostamento. Infine, anche in via pressoché meramente sostitutiva, che: "Dalle tabelle che precedono si evince che il RTI ha sottostimato, per ciascuna categoria di risorse professionali, di ciascuna delle aziende del raggruppamento coinvolte, i reali costi che dette aziende avrebbero dovuto sostenere" (pag. 42 atto di appello). Dalle suddette considerazioni emerge dunque che anche tale motivo deve giocoforza essere rigettato. 12. Con il motivo sub 3.7. si deduce che i costi di trasferta stimati da De. non avrebbero tenuto conto del fatto che le prestazioni del fornitore dovrebbero svolgersi primariamente in situ, ossia "in presenza" presso le singole amministrazioni. Osserva al riguardo il collegio che: 12.1. Ai sensi del punto 3 del Capitolato tecnico generale: "le prestazioni contrattuali dovranno essere svolte come di seguito indicato: - per i servizi erogati da remoto: presso i Centri Servizi del Fornitore; - per i servizi on-site: presso le sedi dell'Amministrazione ove specificato dall'Amministrazione stessa; in alternativa presso la Sede del Fornitore". Inoltre, ai sensi dell'art. 3 del Capitolato tecnico speciale si prevede che: "La modalità di esecuzione dei servizi di "Compliance e controllo" è di tipo "on-site": ovvero primariamente presso le sedi dall'Amministrazione, ove dalla stessa indicate; in alternativa presso la sede del Fornitore"; 12.2. Non vengono utilizzate, con riguardo al servizio prestato presso la sede del fornitore, espressioni come "in via secondaria" oppure "in via subordinata" ma la diversa formula "in alternativa" che, anche ai sensi dell'art. 1285 c.c., lascia presumere che ci si trovi dinanzi a modalità di adempimento dell'obbligazione per l'appunto "alternative" la cui scelta, di conseguenza, spetta a colui che deve effettuare la prestazione stessa (ossia l'appaltatore); 12.3. Nei sensi sopra indicati l'espressione "primariamente", quanto alle modalità di lavoro "in presenza", va allora letta come "preferibilmente" o comunque "in linea tendenziale", salvo una diversa scelta effettuata dall'appaltatore circa la possibilità di effettuare interventi "da remoto" e dunque direttamente dalla sede del fornitore stesso; 12.4. Del resto, una simile opzione interpretativa risulta pienamente ed anche evolutivamente coerente con esigenze non solo di emergenza sanitaria (limitazione al minimo dei contatti personali per via del COVID) ma anche di carattere ambientale (limitazione degli spostamenti per ragioni di inquinamento atmosferico) ed economico (legate al costo dei carburanti e dei mezzi di trasporto): insomma tutte necessità che inducono a promuovere in ogni contesto, ivi ricompreso il settore delle pubbliche commesse, lo strumento del "lavoro da remoto"; 12.5. Per tutte le ragioni sopra evidenziate, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 13. Con il motivo indicato sub 3.8. si lamenta poi che gli stessi costi di trasferta sarebbero in ogni caso fortemente inattendibili (costo medio giornaliero pari ad euro 50,00). Osserva al riguardo il collegio che la difesa di De., sin dai giustificativi resi in sede di giudizio di congruità, aveva indicato una serie di fattori idonei a configurare economie di scala utili, in quanto tali, a contribuire ad un forte abbattimento di simili costi di trasferta. Tra queste voci: presenza di numerosi uffici locali, in capo al concorrente RTI, idonei a garantire adeguata copertura logistica su tutto il territorio nazionale (di qui il venir meno della necessità di ricorrere alla trasferta); utilizzo importante di "lavoro da remoto" (smart working, video conferenze, etc.); utilizzo di auto aziendali; convenzioni con strutture alberghiere; collaborazioni con professionisti ad elevata qualificazione (per l'appunto: lavoratori autonomi) dislocati nelle varie regioni italiane che sono così in grado di coprire l'intero territorio nazionale. Ebbene in merito a tali considerazioni (fatte proprie dalla stazione appaltante ma anche dal giudice di primo grado) la difesa di parte appellante non ha mosso specifiche contestazioni in termini di manifesta incongruità oppure di evidente erroneità in fatto. Ciò risulta piuttosto evidente nella parte in cui la stessa: a) si limita ad affermare genericamente che: "risulta evidente che i costi prospettati dal RTI per garantire la corretta esecuzione del servizio sono così bassi rispetto al loro reale ammontare da mettere in dubbio la serietà dell'offerta" (pag. 46 atto di appello); b) propone una propria stima alternativa di tali costi - in quanto tale inammissibile per le stesse ragioni evidenziate al punto 10 della presente decisione - laddove si afferma in via del tutto sovrapponibile rispetto alle valutazioni della SA che: "Calcolando il 30% del numero di giornate lavorative complessive stimate, risulta che i giorni di trasferta saranno pari ad almeno 115.075 che, moltiplicati per il costo giornaliero di trasferta stimato dal RTI in Euro 50,00, determina un aggravio di costi pari a Euro 5.527.271" (pag. 47 atto di appello). Da quanto sopra detto consegue l'infondatezza, altresì, della specifica censura ed il suo conseguente rigetto. 14. Con il motivo sub 3.9. viene dedotto che non si sarebbe tenuto conto dei "buoni pasto" da corrispondere ai lavoratori solo formalmente autonomi ma sostanzialmente subordinati. Osserva il collegio come la censura sia strettamente collegata a quella già affrontata al punto 7. Pertanto, poiché in quell'occasione si è negata la possibilità di riconoscere in questa sede la qualità effettiva di lavoratori subordinati in capo ai suddetti "collaboratori esterni" di De., va conseguentemente rigettata anche tale specifica censura. 15. Con ultima censura si lamenta che la stazione appaltante non avrebbe compiuto una esauriente istruttoria, né avrebbe formulato una adeguata motivazione in merito alla durata dei contratti esecutivi ipotizzata da De.. Osserva il collegio che, in sede di giustificativi, De. ha fornito ampie delucidazioni circa il fatto che, pur nell'arco complessivo del periodo di attivazione dell'accordo quadro (6 anni), la durata media dei singoli contratti esecutivi sarebbe pari a due anni. Ebbene tali precisazioni sono state evidentemente fatte proprie dalla stazione appaltante mediante motivazione per relationem, come tale non necessitante di più specifiche argomentazioni sulla base delle conclusioni di cui al punto 9 della presente decisione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154, cit.). A ciò si aggiunga che, pur a fronte di tali delucidazioni da parte di De., la difesa di parte appellante si è limitata ad affermare alquanto genericamente e dubitativamente che: "il RTI... non ha mai chiarito cosa debba intendersi per contratti di "grande" e "media" dimensione, che rimangono concetti astratti e privi di qualsivoglia significato. Allo stesso modo non è dato comprendere i criteri sottesi all'attribuzione dei relativi pesi specifici" (pag. 25 e 26 memoria NTT in data 15 novembre 2022). Anche tale motivo deve pertanto essere rigettato. 16. In conclusione l'appello è infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di lite possono in ogni caso essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite stante la peculiarità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6278 del 2022, proposto da In. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. An., Ma. Or., An. Ru. e An. Fa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio AO. Avvocati in Roma, via (...); contro Am. Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ca., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (...); nei confronti di Si. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvvocato Se. Ga., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Am. Tr. s.p.a. e di Si. s.r.l.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli, uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca. e Fr. Br. su delega di Se. Ga. e vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati An. An., An. Ru., An. Fa. e Ma. Or.. FATTO e DIRITTO 1. Con bando del 31 maggio 2021, Am. Tr. s.p.a. ha indetto una procedura di gara aperta telematica sul portale Em., avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)". Il valore complessivo della gara era pari a Euro 195.000, il criterio di aggiudicazione prescelto dalla stazione appaltante era quello dell'offerta più vantaggiosa, con l'attribuzione di 80 punti massimi all'offerta tecnica e 20 punti massimi all'offerta economica. In particolare, il disciplinare di gara ha previsto quali requisiti di capacità economica e finanziaria: a) un fatturato globale medio annuo riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore ad euro 200.000,00, Iva esclusa; b) un fatturato specifico medio annuo per forniture e servizi analoghi a quelli oggetto dell'appalto riferito agli ultimi tre esercizi finanziari disponibili, non inferiore alla metà dell'importo a base d'asta, Iva esclusa. Quali requisiti di capacità tecnica e professionale, il bando ha previsto: "aver realizzato e collaudato nell'ultimo triennio almeno una fornitura con attivazione di un sistema informativo (hardware + software) ana, utilizzato in un comune con popolazione non inferiore a 50.000 abitanti gestito con modalità di raccolta domiciliare porta a porta (in alternativa due forniture per comuni che complessivamente sommano almeno 50.000 abitanti)". Inoltre, il capitolato speciale d'appalto, all'art. 5 concernente "Caratteristiche minime previste", ha precisato che "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 e ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)". Nel termine del 16 giugno 2021, hanno presentato la propria offerta la ricorrente In. - Consorzio per l'I. e la Te. s.r.l. e Si. s.r.l. Dopo l'ammissione alla gara in data 5 ottobre 2021, la Commissione, nominata nel frattempo, ha proceduto all'apertura delle Buste B e ha disposto per il prosieguo. Con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. s.r.l., la Commissione ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del disciplinare di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara". Quindi, la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche e delle offerte economiche e ha stilato la graduatoria finale in cui Si. è risultata collocata al primo posto e In. S.r.l. al secondo. Con verbale del 19 novembre 2021, il Responsabile Unico del Procedimento ha aggiudicato l'appalto alla Si. S.r.l. in via definitiva. Dopo l'accesso agli atti da parte di In., in data 17 dicembre 2021, sarebbe emerso che l'oggetto del contratto di avvalimento è costituito dal prestito da parte della società Ma. S.p.a. di una caratteristica minima dell'offerta tecnica: la certificazione ISO 27001, come richiesta dall'art. 5 del capitolato. 2. In. ha quindi proposto ricorso al T.a.r. per la Puglia, al fine di ottenere: a) l'annullamento a1) del verbale prot. 7249 del 19.11.2021, trasmesso via pec, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. (omissis) avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; a2) del verbale del 5 ottobre 2021 con cui la Commissione di gara, dopo aver proceduto all'apertura delle buste B, con specifico riferimento alla busta B presentata da Si. ha rilevato che "contiene i documenti richiesti dall'art. 14 del Disciplina di gara, e cioè la "Relazione Tecnica dei servizi offerti costituita da 46 facciate formato A4 oltre a ulteriori 5 facciate A4 costituite da dichiarazione di avvalimento e dichiarazione di diniego per l'accesso. La documentazione contenuta nella busta B risulta quindi conforme a quanto previsto dal Disciplinare di Gara e pertanto l'offerta della Ditta Si. s.r.l. viene ammessa al prosieguo della gara"; a3) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; a4) del verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale in cui Si. risulta collocata al primo posto; a5) del verbale di apertura delle buste amministrative; a6) per quanto occorrer possa, in parte qua del bando, del disciplinare e del capitolato; b) la declaratoria di inefficacia del contratto, se stipulato; c) la condanna al risarcimento dei danni; 3. Il ricorso al T.a.r. era affidato a tre gruppi di motivi. 3.1. Violazione e falsa applicazione dell'art 63 della Direttiva 2014/24 e art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; disparità di trattamento; difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità ed irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. L'aggiudicataria avrebbe fatto un uso improprio dell'avvalimento, per colmare non la carenza di un requisito di partecipazione alla gara, ma una condizione minima di partecipazione prevista dall'art. 5 del capitolato tecnico con riferimento all'offerta tecnica, quale sarebbe la certificazione ISO 27001, relativa alla gestione della sicurezza delle informazioni. L'art. 89 consentirebbe il ricorso all'avvalimento dei requisiti economico finanziari, tecnici e professionali solo nell'ipotesi in cui il concorrente ne sia privo e ne abbia bisogno per partecipare alla gara. Inoltre, il medesimo istituto non sarebbe ammesso nel caso in cui il concorrente vi faccia ricorso per conseguire un punteggio maggiore o per integrare la mancanza di caratteristiche tecniche indicate dalla stazione appaltante come minime. L'avvalimento non potrebbe avere ad oggetto elementi diversi dai requisiti richiesti dal bando per l'ammissione alla gara. L'art. 89 del d.lgs. n. 50/2016 prevede che "L'operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all'articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all'articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all'articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi". L'avvalimento servirebbe solo a consentire la partecipazione alla gara, non anche a migliorare le condizioni di tale partecipazione, garantendo il rispetto delle prescrizioni minime per l'esecuzione o accrescendo il proprio punteggio tecnico. In base alla giurisprudenza, l'avvalimento sarebbe utilizzabile solo per rimediare alla carenza di requisiti di partecipazione, ma non per sopperire alla mancanza di caratteristiche minime dell'offerta tecnica. 3.2. Violazione e falsa applicazione della Direttiva n. 24/2014 e dell'art. 89 del D. lgs. n. 50 del 2016; nullità del contratto di avvalimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 c.c., 1325 c.c., 89 d.lgs. n. 50/2016 e 88 d.P. R. n. 207/2010, disparità di trattamento, difetto e carenza di istruttoria e motivazione; contraddittorietà ; illogicità e irragionevolezza; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. Secondo un recente orientamento del Consiglio di Stato, il contratto di avvalimento prodotto in sede di gara dall'aggiudicataria dovrebbe essere considerato nullo, in quanto la determinazione del suo oggetto non consentirebbe di soddisfare la richiesta del capitolato di gara. Poiché il contratto di avvalimento avrebbe dovuto consentire all'aggiudicataria di avvalersi della certificazione di qualità ISO 27001 messale a disposizione dalla ausiliaria, esso avrebbe dovuto indicare tutte le risorse necessarie ad ottenere il rilascio dall'organismo indipendente della predetta certificazione di qualità . Nello specifico, lo schema ISO 27001 prevede uno standard per la gestione della sicurezza delle informazioni in tutti gli ambiti interessati per prevenire i rischi derivanti da attacchi dall'esterno o dall'interno, informatici e non informatici, da errori o dal mancato rispetto della normativa vigente pertinente. L'ausiliaria, invece, avrebbe messo a disposizione risorse che non integrerebbero alcuno degli elementi, materiali o immateriali, tipizzati a fondamento della certificazione ISO 27001 (né struttura organizzativo-gestionale, né procedure operative aziendali né altro). La stazione appaltante, quindi, avrebbe dovuto procedere all'esclusione dell'aggiudicataria. 3.3. Violazione dell'art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016; violazione dell'art. 97 della Costituzione; disparità di trattamento; difetto di istruttoria e motivazione; sviamento; violazione della par condicio competitorum; irragionevolezza manifesta. 4. In subordine, la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'intera procedura di gara in quanto l'oscurità della lex specialis avrebbe prodotto un effetto distorsivo sui principi di concorrenza e parità di trattamento. L'inserimento della certificazione ISO27001 nell'art. 5 del capitolato avrebbe indotto gli operatori economici a ritenere che la certificazione medesima costituisse un elemento minimo ed inderogabile dell'offerta tecnica, in quanto tale non suscettibile di avvalimento (istituto riservato a garantire il prestito dei requisiti di ammissione alla gara di cui all'art. 83 d.lgs. n. 50/2016). Gli operatori economici privi della certificazione ISO non avrebbero partecipato alla gara, nella convinzione di non potere ricorrere all'istituto dell'avvalimento per sopperire alla mancanza della caratteristica minima. La oscurità della legge di gara avrebbe indotto in confusione gli operatori economici, alterando la regolare partecipazione alla gara e incidendo sul confronto concorrenziale. 5. Am. Tr. s.p.a. e la società controinteressata, Si. s.r.l., si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso. 6. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione prima, n. 892 del 16 giugno 2022: - ha rigettato il primo motivo, ritenendo che la certificazione di qualità non coincida con un requisito di idoneità professionale ma sia ascrivibile ai requisiti di partecipazione indicati dall'art. 83, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 50/2016, e quindi che essa possa essere oggetto di avvalimento ex art. 89, comma 1, del medesimo d.lgs.; il fatto che AM. s.p.a. abbia chiesto il possesso della certificazione di qualità con il capitolato tecnico e nell'ambito delle caratteristiche minime richieste, invece che nel disciplinare di gara e nell'elencazione dei requisiti di partecipazione, non assume rilievo dirimente, né rileva la circostanza che l'aggiudicataria abbia inserito la documentazione relativa all'avvalimento nella busta relativa all'offerta economica, invece che nella busta contenente la documentazione amministrativa. Inoltre, l'art. 5 del capitolato non imponeva alcun specifico sistema di certificazione, in quanto le certificazioni ISO 15408 e ISO 27000 erano indicate a mero titolo esemplificativo né era richiesto il possesso immediato della certificazione di qualità ; - ha rigettato il secondo motivo, ritenendo che vada esclusa la nullità del contratto di avvalimento, in quanto solo i requisiti tecnici richiedono una puntuale specificazione delle risorse messe a disposizione, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale per il quale non è rilevante la specificazione puntuale delle risorse messe a disposizione della società ausiliata; inoltre, ha sottolineato che, ai fini della determinazione del contenuto necessario per il contratto di avvalimento nelle gare di appalto, occorre tenere conto anche della natura e dell'oggetto del servizio richiesto; - ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse e comunque infondato il terzo motivo; - ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (2.000 euro). 7. In. ha proposto appello, provvisto di domanda cautelare. 7.1. I motivi dell'appello sono i seguenti. 7.1.1. La sentenza del T.a.r. Puglia sarebbe erronea nel punto in cui ha ritenuto che la certificazione relativa alla protezione e alla sicurezza dei dati, richiesta dall'art. 5 del Capitolato di gara quale caratteristica minima di esecuzione, potesse essere, viceversa, oggetto di avvalimento, nonostante la tipologia del servizio richiesto e l'espressa, diversa indicazione nel capitolato di gara. Sarebbe inoltre contraddittoria la sentenza impugnata nel punto in cui, dopo avere sostenuto che la certificazione ISO 27001 debba essere intesa come requisito di partecipazione, osserva di converso che "il capitolato non richiedeva nemmeno il possesso immediato della certificazione di qualità ": in realtà, o la certificazione di cui si tratta era un requisito di partecipazione e, dunque, avrebbe potuto essere oggetto di avvalimento e il relativo possesso avrebbe dovuto essere verificato in sede di ammissione dei concorrenti; oppure si tratta di una prescrizione relativa alle stesse caratteristiche dell'offerta tecnica del concorrente, il quale avrebbe dovuto "dimostrare che il sistema fornito garantisse elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati", senza la possibilità di ricorrere all'avvalimento. Inoltre, la prescritta condizione minima di esecuzione sarebbe relativa al sistema e, di conseguenza, al prodotto da fornire. La certificazione - come confermato dal suo inserimento nel capitolato tecnico - avrebbe costituito requisito minimo, al fine di garantire elevati standard tecnici per la protezione dei dati, e non requisito tecnico. A ulteriore dimostrazione, Si. aveva inserito la dichiarazione di avvalimento nella busta dell'offerta tecnica e non in quella relativa alla documentazione amministrativa. Solo i requisiti di partecipazione - e non i requisiti minimi - possono essere oggetto di avvalimento. 7.1.2. E' criticata, in subordine al primo motivo, la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità del contratto di avvalimento e ritenuto che solo i requisiti configurabili come beni materiali impongano una specificazione delle risorse, mentre tale obbligo va escluso in relazione alla certificazione di qualità che costituisce un bene immateriale. L'ausiliaria avrebbe messo a disposizione risorse (una stampante e un impiegato) che non integrano alcuno degli elementi posti a fondamento della certificazione ISO 27001 e non sarebbero in grado di assicurare la sicurezza della protezione dei dati, richiesta dalla stazione appaltante. 7.1.3. E' contestata, in via ulteriormente subordinata, l'inammissibilità della terza censura, mentre il T.a.r. avrebbe dovuto considerare l'interesse strumentale alla riedizione della procedura di selezione del contraente. 8. Si sono costituite nel giudizio di appello la controinteressata Si. s.r.l. e Am. Tr. s.p.a. 9. Con ordinanza n. 4201 del 30 agosto 2022, la Sezione ha preso atto della rinuncia all'istanza cautelare da parte dell'appellante e ha compensato le spese della fase cautelare. 10. All'udienza pubblica del 20 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. 11. Il Collegio rileva innanzitutto che il primo motivo dell'appello è infondato. Infatti, è da condividere la tesi secondo cui è legittimo l'avvalimento da parte dell'aggiudicataria per la certificazione di qualità (Cons. Stato, sez. III, n. 4418 del 2019; sez. III, n. 3517 del 2015). "Giurisprudenza prevalente, dopo alcuni contrari avvisi, ne ammette oramai pacificamente l'ammissibilità (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. 4 novembre 2016, n. 23; V, 27 luglio 2017, n. 3710; 17 maggio 2018, n. 2953; III, 8 ottobre 2018, n. 5765; V, 10 settembre 2018, n. 5287; 20 novembre 2018, n. 6551; 18 marzo 2019, n. 1730), in particolare rilevando, come di recente, che "I certificati rilasciati da organismi indipendenti di cui all'art. 87 del Codice dei contratti pubblici sono pur sempre attinenti a capacità tecniche e professionali dell'impresa, così come definite dall'art. 58, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE ("requisiti per garantire che gli operatori economici possiedono le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con adeguato standard di qualità "), di modo che, ai sensi del successivo art. 63, ben possono essere oggetto di avvalimento" (Cons. Stato, V, 13 settembre 2021, n. 6271)" (Cons. Stato, sez. V, n. 7370 del 2021). Come questo Consiglio di Stato ha sottolineato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 5765 del 2018, Sez. V, n. 2953 del 2018) in linea generale l'istituto dell'avvalimento è stato introdotto nell'ordinamento nazionale in attuazione di puntuali prescrizioni dell'ordinamento U.E. ed esso risulta volto, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'U.E., a conseguire l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile. Si tratta, secondo la Corte, di un obiettivo perseguito dalle direttive a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici (in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009 in causa C-305/08, CoNISMa). L'enucleazione dell'istituto mira inoltre a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32 (in tal senso la sentenza del 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, SWM Costruzioni). Trattandosi di obiettivi generali dell'ordinamento eurounitario (e sulla base di generali canoni ermeneutici di matrice U.E.), grava sull'operatore nazionale l'obbligo di interpretare le categorie del diritto nazionale in senso loro conforme (c.d. criterio dell'interpretazione conforme) e di non introdurre in relazione ad essi vincoli e limiti ulteriori e diversi rispetto a quelli che operano in relazione alle analoghe figure del diritto interno (si tratta di un corollario applicativo dei generali principi di parità di trattamento e di non discriminazione che devono assistere le posizioni giuridiche e gli istituti di matrice eurounitaria); in particolare, in assenza di motivate condizioni eccezionali, l'applicazione dei richiamati principi di parità di trattamento e di non discriminazione osta all'introduzione da parte dei legislatori nazionali di vincoli e limiti alla generale possibilità per gli operatori di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti (in tal senso la sentenza 7 aprile 2016 in causa C-324/14, Partner Apelski Dariusz). In tale contesto è stato chiarito che "nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto" (così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6125, vedi anche Sez. V, 6 marzo 2013, n. 1368; Sez. IV, n. 4958 del 2014; Sez. V, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 2953 del 2018). In caso di avvalimento, quindi, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, non esclusa la certificazione di qualità . Gli argomenti dedotti dall'appellante sono volti a limitare la possibilità di avvalimento nel caso di specie, identificando la certificazione di qualità con i requisiti minimi di partecipazione. Si tratterebbe di soluzione contrastante con i principi appena richiamati di matrice europea, accolti ormai da tempo dal Consiglio di Stato. I medesimi argomenti non tengono peraltro conto del fatto che la giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che benché il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d'appalto abbiano ciascuno una propria autonomia ed una propria peculiare funzione nell'economia della procedura, il primo fissando le regole della gara, il secondo disciplinando in particolare il procedimento di gara ed il terzo integrando eventualmente le disposizioni del bando, tutti insieme costituiscono la lex specialis della gara (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154; id., sez. V, 5 settembre 2011, n. 4981; id. 25 maggio 2010, n. 3311; id. 12 dicembre 2009, n. 7792), in tal modo sottolineandosi il carattere vincolante che (tutte) quelle disposizioni assumono non solo nei confronti dei concorrenti, ma anche dell'amministrazione appaltante, in attuazione dei principi costituzionali fissati dall'art. 97 (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 1804 del 2021). 12. A diversa conclusione si deve giungere con riguardo al secondo motivo dell'appello, che risulta fondato. La giurisprudenza amministrativa ha infatti precisato a più riprese (v. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022) che, qualora oggetto di avvalimento sia la certificazione di qualità, è indispensabile che l'impresa ausiliaria metta a disposizione dell'impresa ausiliata tutta la propria organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che, complessivamente considerate, le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6271; Sez. V, 18 marzo 2019, n. 1730; sez. V, 27 luglio 2017, n. 3710), poiché si tratta di avvalimento complessivo o, meglio, avente ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria. L'avvalimento deve quindi essere effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d'apparato dell'ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., Sez. V, n. 3574 del 2014; Sez. III, n. 3517 del 2015). La certificazione di qualità, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall'apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale -che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro -, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l'effettuazione del servizio o della fornitura. Occorre infatti che il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l'avvalimento rassicuri la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara (v. ex multis, Cons. Stato, Sez. III, n. 3517 del 2015; Sez. V, n. 3710 del 2017). In altri termini, l'ausiliaria deve mettere a disposizione dell'ausiliata l'intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 852; Cons. Stato., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2225, con considerazioni riferite al prestito dell'attestazione S.O.A., che valgono a maggior ragione per il prestito della certificazione di qualità ). La qualità risulta, infatti, inscindibile dal complesso dell'impresa che rimane in capo all'ausiliaria (Cons. Stato, Sez. V, n. 3710 del 2017). L'avvalimento riferito alla certificazione di qualità ha dunque carattere complessivo o, meglio, ha ad oggetto un requisito "inscindibile" nel senso che la medesima organizzazione aziendale (comprensiva, non solo del personale operativo, ma anche di quello preposto al controllo di qualità, degli audit periodici) non può essere contemporaneamente utilizzata dall'ausiliata e messa a disposizione dell'ausiliaria (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 2515 del 2022). Nel caso di specie, ciò che rileva è l'incompletezza del contratto di avvalimento (rispetto alla complessiva organizzazione aziendale dell'ausiliaria), con conseguente inidoneità dello stesso a trasferire il requisito non posseduto della certificazione di qualità . Infatti, il contratto di avvalimento del 9 giugno 2021 tra Ma. s.p.a. e Si. s.r.l fa riferimento espresso al capitolato speciale d'appalto che, all'art. 5, prevede il seguente requisito: "il sistema deve garantire elevati standard tecnici in materia di protezione dei dati, comprovati da idonee certificazioni quali, a mero titolo esemplificativo, ISO 15408 o ISO 27000 (il fornitore dovrà essere in possesso della certificazione o dovrà produrre la documentazione a garanzia di futura prossima certificazione)" e precisa che l'ausiliaria è in possesso dei requisiti generali di cui all'articolo 80 del D.Lgs. 50/2016 e successive modificazioni, e dispone dei requisiti obbligatori di cui è carente il concorrente e precisamente è in possesso della Certificazione ISO 27001:2014. Peraltro, il medesimo contratto stabilisce che l'ausiliaria debba mettere a disposizione del concorrente i mezzi e le risorse di cui quest'ultima è carente, elencati in modo determinato e specifico: mezzi, n. 1 Personal Computer e n. 1 stampante; risorse, n. 1 Impiegato tecnico. Nessuna ulteriore indicazione è invece fornita, atta a garantire l'idoneità del contratto di avvalimento a soddisfare i requisiti posti al riguardo dalla giurisprudenza, allorchè l'avvalimento interessi la certificazione di qualità . 13. Il terzo motivo, proposto dall'appellante in via subordinata al precedente, è assorbito dall'accoglimento di quest'ultimo. 14. Per le ragioni e nei termini esposti, l'appello va quindi accolto e di conseguenza deve essere riformata la sentenza impugnata, con annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso in primo grado, cui dovrà conseguire l'aggiudicazione in favore della società appellante. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 6278/2022): a) lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata: a1) annulla i seguenti provvedimenti impugnati dalla ricorrente in primo grado: il verbale prot. 7249 del 19 novembre 2021, recante l'aggiudicazione definitiva della gara indetta da AM. s.p.a. avente ad oggetto l'affidamento della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. S.p.a., nella Città di (omissis)" in favore di Si. S.r.l.; il verbale della Commissione di gara del 5 ottobre 2021; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte tecniche; il verbale con cui la Commissione ha proceduto alla valutazione delle offerte economiche, provvedendo alla formulazione della graduatoria finale; il verbale di apertura delle buste amministrative; a2) dichiara inefficace il contratto per l'affidamento del servizio della fornitura di un "Sistema informativo per la gestione del servizio di raccolta domiciliare dei rifiuti solidi urbani, gestito da AM. s.p.a., nella città di (omissis)", stipulato il 15 febbraio 2022 tra AM. Tr. e Si. s.r.l; b) condanna Am. Tr. s.p.a. e Si. s.r.l, in solido tra loro, a rifondere alla società appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.000 (euro seimila), oltre oneri di legge ove dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Claudio Tucciarelli - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'acquisto di azioni? TESTIMONE Ma. - Si è deviata su quest'altra. PRESIDENTE - E non ha più avuto nessun nesso con l'operazione immobiliare? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"); - che in concreto il suddetto finanziamento da 25 milioni dì Euro (con ogni evidenza, atteso quanto sopra, correlato all'acquisto di azioni B.: cfr, ad ulteriore riprova anche pag. 13 della deposizione Ma., laddove il teste riferisce di una promessa verbale di riacquisto delle azioni fattagli da An.Pi. e dal D.G. Sa.So. durante un incontro congiunto) venne erogato alla So. Group International Holding non già dalla capogruppo B. bensì dalla sua controllata irlandese Fi. (cfr. pagg. 10-11 esame testimoniale cit.). Fra l'altro è lo stesso imputato MA., nel corso del suo esame (cfr. pag. 61 verbale stenotipico 11.6.2020), a confermare che "L'operazione che è arrivata il 2 di dicembre, che è andata in delibera (...) l'hanno perfezionata mantenendo i depositi ma non facendo l'acquisto dell'immobile". Nel senso del carattere correlato dell'operazione "So.", già ben evidente da quanto fin qui detto, nonché nel senso della consapevolezza di ciò in capo al MA., milita del resto un ulteriore pregnante elemento probatorio. Trattasi della conversazione telefonica captata n. progr. 478 dell'8.9.2015 tra Fr.Io. (nuovo Direttore Generale di B., subentrato al posto di Sa.So., che nell'occasione - così dice Io. nelle prime battute della conversazione intercettata - doveva incontrarsi fra un'ora proprio con un legale del Gruppo So.) e Pa.Ma., pagg. 160-164 della perizia di trascrizione: (omissis) Per inciso un'altra affermazione resa dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 63 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 nonché pag. 48 verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020), secondo cui egli avrebbe appreso solo a marzo 2015 dagli organi di stampa del rilascio di lettere di impegno da parte di B., è smentita dal tenore dei seguenti passi del doc 110 del P.M., corrispondente alla trascrizione del file audio del Comitato di Direzione del 10.11.2014, al quale il MA. era presente: (omissis) Con ogni evidenza, invece, quand'anche il tenore del passo del Comitato di Direzione 10.11,2014 corrispondente alla pag. 40 della sua trascrizione (doc, 110 del P.M.) fosse - il che non è - di ambigua interpretazione, certo non può dirsi altrettanto del successivo passo di cui alla pag. 78, ove il parlante, che-anche in tal caso è Em.Gi., platealmente ed esplicitamente collega la necessità di emettere quella che egli chiama "side letter" al timore dell'acquirente di ritrovarsi titolare di azioni B. fortemente deprezzate rispetto al valore nominale da tempo fissato in Euro 62,50, come ormai andavano pubblicamente ventilando alcuni organi di stampa. Ciò posto, non è fondato neppure l'assunto difensivo - cfr, pagg. 174-178 atto di appello - secondo cui difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile, a detta dell'appellante, valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA.. Al contrario, proprio muovendo da quanto dichiarato anche in sede di esame dibattimentale dallo stesso MA. - cfr. pagg, 35-36 del verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020 - circa le sue competenze in tema di deliberazione individuale (fino all'ammontare di Euro 6 milioni) nonché in tema di presentazione delle pratiche di finanziamento ai vari organi collegiali (per le pratiche di valore superiore), risulta puntuale e ineccepibile la ricostruzione, operata dal tribunale di Vicenza alla pag. 700 dell'appellata sentenza, righi 24-38, del volume di finanziamenti correlati - obiettivamente ingente: si tratta di complessivi 800 milioni circa di euro - alla cui realizzazione il MA. ha direttamente prestato, rivestendo di volta in volta l'uno o l'altro dei suddetti ruoli, il suo personale apporto concorsuale. Ne consegue l'infondatezza, altresì, dello strettamente correlato ulteriore assunto difensivo (svolto alle pagg. 177-178 dell'atto di appello) secondo cui il giudicante si troverebbe per ciò stesso nell'impossibilità di "valutare se, sottratto al valore di mercato il capitale asseritamele finanziato per la parte direttamente riferibile a Ma./ il valore (delle azioni B.) sarebbe stato diverso od uguale, con riferimento ai ratios obbligatori" e dunque se la condotta dell'imputato - come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggiotaggio: l'appellante cita in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 dep. 29/01/2013, Dall'Aglio e altro, nonché Cass. Pen. Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, imp. F. - possa davvero definirsi "concretamente idonea ad influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo della convenienza nell'impiego del denaro con l'investimento del titolo" (cfr. pag. 177 atto di appello, cit.). Le ingenti proporzioni, poco sopra illustrate, del fenomeno delle operazioni di finanziamento correlate alle quali il MA. ha, in una forma o nell'altra, prestato direttamente il suo apporto concorsuale - si tratta in buona sostanza dei due terzi circa del totale - consentono infatti di dare risposta senz'altro affermativa a tale quesito sollevato dalla difesa. D'altra parte è dimostrato in atti - cfr. in particolare, v. meglio infra, le pagg. 67-68, 76-77 e 78 del più volte citato doc. 110 del P.M. (trascrizione del file audio relativo al Comitato di Direzione 10.11.2014) in contrapposizione al doc, 646 del P.M., ossia alla rassicurante lettera ai soci datata 4.12.2014 a firma del Presidente ZO. (sulla quale parimenti v. infra) - come tutti i vertici dirigenziali dell'istituto di credito fossero consapevoli della pesante sopravvalutazione dell'azione B., che andava rivelandosi sempre più illiquida e sempre meno appetibile e che pure, per continuare a sostenere l'apparenza di forza e solidità ostentata dalla banca, andava offerta - e di fatto veniva offerta - dalla rete alla clientela con insistenza "martellante" (per usare un'icastica espressione impiegata dall'imputato GI. durante il Comitato di Direzione del 10.11.2014, cit., cfr. pag, 34 del doc. 110 del P.M.), mentre dall'altro lato andavano significativamente ingrossandosi le fila - peraltro destinate a una sempre più lunga attesa, della quale molti azionisti si dolevano con reclami formali - di coloro che richiedevano alla banca di poter vendere le azioni in loro possesso (a tutto il 10.11.2014 risultavano pendere a tal proposito 313 reclami formali di soci: cfr. pagg. 23-25 del doc, 110 del P.M.); costoro erano resi oggetto di rassicurazioni prive di qualsivoglia corrispondenza con la situazione reale del titolo B.. Ed invero nel ristretto consesso verticistico-dirigenziale del Comitato di Direzione 10.11.2014, alla presenza del direttore generale Sa.So. e di tutti gli altri vicedirettori generali incluso il MA., il direttore della Divisione Mercati Em.Gi. esprimeva - come già visto sopra nel trattarne la posizione - in termini quanto mai chiari la sua inquietudine: a) per i preoccupanti scenari che andavano profilandosi - quanto al drastico calo del valore effettivo del titolo azionario, il cui valore nominale era ancora, all'epoca, fissato a 62,50 euro - qualora non si fosse riusciti a trovare una soluzione al circolo vizioso instauratosi, in virtù del quale, nonostante un protratto massiccio ricorso al finanziamento correlato tale da impattare significativamente sul patrimonio di vigilanza, non solo continuavano ad esservi azioni B. per decine e decine di milioni di Euro da collocare con la massima urgenza (fatalmente, dunque, finendosi con il dover fare ricorso, ancora una volta, anche ai finanziamenti correlati), vuoi perché giacenti in eccesso nel fondo acquisto azioni proprie vuoi perché detenute da fondi esteri, ma altresì incombeva un numero oramai imponente di domande pendenti di vendita di ulteriori azioni B.; b) per il fatto che di tali preoccupanti scenari, nonostante la consegna del silenzio verso l'esterno pretesa in B. sull'argomento, avesse ormai iniziato a scrivere a più riprese - come già accennato saprà - la stampa nazionale (si vedano, entrambi acquisiti al fascicolo del dibattimento, il già citato articolo de "Il." del 24 ottobre 2014 a firma Cl.Ga. nonché un altro articolo del "Co.", di un paio di settimane successivo, a firma Stefano Righi, intitolato "Banche, se Veneto e Vicenza valgono Ubi" (prodotto quale "fonte aperta" dalla difesa del coimputato Pi. all'udienza del 4,2,2020), ove si puntava l'attenzione sul fatto che B. e Ve., società cooperative per azioni non quotate in Borsa in relazione alle quali il valore del titolo azionario era determinato in via unilaterale mediante perizia affidata a uno specialista nominato dalla stessa banca, paradossalmente fossero "gli unici casi di banche che "valgono" di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio"; tale articolo di stampa si concludeva affermando che "si può anche applicare il rapporto di (...) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Ve. un valore di 15,20 Euro. Secondo i fautori del credito non quotato - principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee - è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava En., quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate - tra cui Vicenza e Veneto - faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. li problema si trascina da tempo le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall'altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata"). Al riguardo sono illuminanti i seguenti passi dell'intervento del GI. - alla presenza, lo si ripete, del MA. e degli altri vicedirettori generali oltre che del direttore generale So., nessuno dei quali ivi esprime il benché minimo abbozzo di reazione anche solo moderatamente stupita - in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (la numerazione delle pagine si riferisce sempre alla trascrizione, prodotta dal P.M. quale suo doc. 110, del relativo file audio): (omissis) Stridente è il contrasto tra la preoccupante situazione effettiva del titolo B. - come sopra esposta e in tal guisa ben nota a tutti i dirigenti di vertice della banca, incluso il MA. - e il tenore della lettera ai soci, a firma del presidente ZO., di lì a poco inviata ai titolari di azioni B. recante la data del 4.12.2014, in atti sub doc, 646 del P.M., ove si legge fra l'altro quanto segue: "(...), Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di banca al servizio del territorio nell'interesse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre né da chiacchiere né da pettegolezzi. Abbiamo bisogno solo di due cose. La prima riguarda il nostro Paese ed è l'attuazione più veloce possibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie (...). La seconda cosa, altrettanto importante, è la fiducia dei Soci in questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti. Abbiamo tutelato in questi anni il valore dell'azione Banca (...), evitando la quotazione in borsa dei nostro titolo anche quando tanti lo consideravano conveniente. Ora, dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra azione è cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e che, i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre azioni si sono allungati. E' vero, come è vero che, con la crisi, tutti i mercati sono rallentati e la domanda è debole, in ogni settore, persino quello Immobiliare (,..). Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incoraggianti ma siamo una banca forte e sana e non ci fermeremo nel nostro percorso di crescita (...)". Alla stregua delle considerazioni da ultimo esposte, dunque, sono destituite di fondamento anche le argomentazioni difensive svolte alle pagg. 177 -178 dell'atto di appello. Ciò posto, vanno disattese anche le censure sollevate dall'appellante in tema di ostacolo alla vigilanza. Giova anzitutto ricordare che il MA., in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 76 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020), ha sostenuto: - non soltanto di avere provveduto in data 4.7.2012 a ordinare di far caricare nel disco/directory allestito e gestito dall'internal audit per Banca d'Italia (come risulta per tabulas anche dal carteggio via e-mail datato 4.7.2012 di cui al doc. 508 del P.M) il mero elenco - dal quale (basta esaminare il relativo documento, in atti, nulla però può evincersi, di per sé, in ordine alla correlazione o meno delle relative posizioni - dei primi 30 soci di B. per numero di azioni possedute con indicazione per ognuno del controvalore delle azioni, così esaudendo la richiesta rivoltagli a voce il giorno prima dagli ispettori Ge.Sa. e Vi.Te. su impulso proveniente dal capo del team ispettivo Gi.Sc. (richiesta conseguente alla scoperta, da parte degli ispettori, delle peculiari "sfasature temporali" che connotavano la singola posizione Ca.-Lu., in relazione alla quale il MA., a suo dire, ebbe a rispondere candidamente che si trattava di un finanziamento correlato); - ma di avere altresì, la sera stessa del 4 luglio 2012, consegnato egli personalmente a mano al team ispettivo la versione cartacea del medesimo elenco dei primi 30 soci poi caricato nel disco di Banca d'Italia in formato digitale, specificando in più a voce, contestualmente e del tutto spontaneamente, expressis verbis, che, fra quelle 30 posizioni, 14 presentavano finanziamenti correlati per l'acquisto di azioni B.; al che gli sarebbe stato risposto, sempre a voce, di mettere a disposizione di Banca d'Italia tutti i relativi incartamenti integrali, cosa che a detta del MA. sarebbe stata fatta - tanto in cartaceo quanto in digitale mediante caricamento nel disco/directory di Banca d'Italia previa scannerizzazione - già in data 5 luglio 2012 (cfr. pag. 76 cit.: "Il 3 luglio incontro, come da mio appunto, il dottor Te. e il dottor Sa. per realizzo coattivo di azioni, poi ce l'ho io anche l'originale, che è stato fotocopiato in interrogatorio, il 3 luglio me lo chiedono e mi dicono anche: "Su richiesta del dottor Sc. ci mandi l'elenco dei primi trenta soci della banca, con controvatore delle azioni, intanto ce lo mandi e poi ci venga a dire quali sono i finanziamenti in essere e quindi i fascicoli di queste posizioni", "Va bene". Il 4 luglio alla sera, come dagli elenchi che avete in interrogatorio, noi consegniamo tutti i realizzi coattivi e annullamenti che sono stati fatti dall'Ufficio Soci a seguito della richiesta del dottor Te., ai sensi del 16 e 20 dello Statuto, è stato fatto la sera del 4 luglio; io poi quel giorno lì ero da clienti, quando Am. è stato chiamato dal Direttore. Nel frattempo, quando ho consegnato l'elenco dei trenta e fatto caricare all'Audit, il 4 luglio sera, nel disco Bankit, sono salito, gliel'ho dato a mano e gli ho detto; "Di queste, quattordici posizioni hanno affidamenti", "Per cosa?", "95% i finanziamenti per comperare azioni, tipo Ca."f "Ci porti tutti i fascicolilo il giorno dopo ho fatto scannerizzare tutti i fascicoli di tutte quelle operazioni ti alla segreteria e sono stati consegnati a mano e poi caricati nel portale. Ho informato il Direttore Generale, anche per iscritto, il 5 luglio sera, che mi avevano chiesto di questi finanziamenti, ma l'altra cosa che mi è rimasta molto impressa è il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi.". Questo lui ha scritto nella e-mail come oggetto, che poi ce lo siamo girati tra tutti i dirigenti, quindi lui aveva già guardato diverse pratiche e chiedeva domanda di acquisto, la data di ammissione a soci e quant'altro, Poi lui ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna del 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gii altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro"). Ciò che MA. nel suo esame definisce "il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi." fa parte della corrispondenza dì cui al doc. 509 del P.M., che comprende: a) la e-mail per l'appunto inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. della Divisione Crediti di B. alle ore 15.47 del 4.7,2012, testualmente intitolata "RICH IONFO ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alla verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata" (l'Am. inoltrava per conoscenza tale e-mail al MA. alle ore 16.18 del 4.7.2012; a ciò seguiva, cfr. doc. 510 del P.M., rinvio da parte del MA. a Gi.Em. e a Tu.Co. della Divisione Mercati, nonché per conoscenza al proprio subalterno Ci.Am., di una e-mail in data 4.7.2012 ad ore 16.41, avente il seguente tenore: "Dei 30 primi soci presentati agli ispettori, le richieste per ora di approfondimenti dopo che il sottoscritto ha illustrato con posizione fido/cliente le controparti sono le tre sotto indicate. Prepariamo la documentazione con l'ausilio del collega Ro.Fi., già contattato da Am., e dal quale chiediamo celerità"), b) una seconda e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (e inoltrata dall'Am. un paio di ore dopo a Fi.Ro. dell'Ufficio Soci oltre che al MA. e al collega Ba.Al.), intitolata "neh info acquisto azioni-integrazione" ed avente il seguente tenore: "Ad integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi; To.Ma., Bu.Sa."; c) una e-mail indi inviata da Ma.Pa. al d.g. So.Sa. e al direttore della Divisione Mercati Gi.Em. alle ore 20.48 del 5.7.2012 ove, nell'inoltrare ai predetti la nuova richiesta formulata all'Am. dal Sa., il MA. così si esprimeva: "Hanno aggiunto richiesta informazioni. Su To. e Bu. che non fanno parte della lista dei 30 azionisti consegnata. Hanno guardato il Gruppo So. S.p.A. che abbiamo consegnato 20 gg. fa essendo nella lista di clienti con un accordato superiore ai 25 mm di Euro e hanno visto le posizioni. Ciao". In sede di esame il MA. ha proseguito affermando che il team ispettivo ebbe a parlare di posizioni di finanziamento correlato non solo con lui ma anche con il suo subalterno Ci.Am., precisando che di tutto quanto sopra, e in particolare della materiale consegna dei relativi incartamenti integrali in copia agli ispettori in aggiunta alla lista dei primi 30 soci (quest'ultima risultante pacificamente caricata sul disco/directory della Banca d'Italia: cfr., sub doc. 566 del P.M., la e-mail inviata al team ispettivo il 5.7.2012 ad ore 9.04 dal responsabile dell'internal audit Ma.Bo., addetto alla gestione di tale supporto), sarebbe stato a piena conoscenza anche il collega Sa.Re., a sua volta diretto subalterno dell'Am.: "Con me ne hanno parlato con quattro o cinque; il resto, di cui io avevo già parlato, le hanno richieste anche ai dottor Am., le stesse cose. Quindi con me o con il dottor Am.. La struttura era assolutamente informata che avevo consegnato, dei Crediti, tutti i fascicoli, perché hanno fatto le fotocopie e tutto quanto e Sa.Re. è andato a comunicarlo, come ho sentito, anche agli altri dirigenti" (cfr. pag. 77 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). Sostanzialmente analoghe, nel loro nucleo essenziale, erano state le dichiarazioni rese sul punto dal MA. nei suoi interrogatori resi il 28.4.2017 e il 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri con l'assistenza del suo difensore fiduciario, con la differenza, però, che ivi l'imputato aveva affermato di avere personalmente discusso a voce con i due ispettori Te. e Sa. solo due delle quattordici posizioni "baciate" in oggetto (a suo dire ammontanti, come valore complessivo, a Euro 234 milioni; cifra, questa, che in effetti a più riprese la difesa in sede di discussione - cfr, in particolare pag, 75 verbale stenotipico 30.9.2022 e pag. 30 della coeva memoria conclusiva - ha dato nel presente giudizio per dimostrata ed evidente già nell'ispezione del 2012 - il che non è, come si vedrà infra - quanto al controvalore delle operazioni correlate che sarebbero state documentate al team ispettivo dalla Divisione Crediti), segnatamente la Ca.-Lu. e la Da., lasciando ai suoi subalterni - Ci.Am., An.Re., Pa.Se., ma di questi ultimi due il MA. si dichiarava non più sicuro nell'interrogatorio del 2 maggio, ribadendo tale incertezza anche nel suo esame dibattimentale dd. 11.6.2020, cfr. pag. 78 del relativo verbale stenotipico - il compito di discutere con gli ispettori le rimanenti posizioni "baciate". Al riguardo, tra la pag. 4 dell'interrogatorio 28 aprile 2017 e le pagg. 5-6 di quello del 2 maggio 2017, possono - come detto - notarsi apprezzabili discrasie; a sua volta, come si è visto, la versione dei fatti resa dal MA. nell'esame dibattimentale è ancora diversa su tale specifico punto. In ogni caso tanto il Se. (cfr, il suo esame dibattimentale alle pagg. 62-72 del verbale stenotipico d'udienza 30,1,2020) quanto il Re. (cfr. il verbale delle s.i.t. dallo stesso rese in data 15.9,2016, acquisito al fascicolo del dibattimento su consenso delle parti all'udienza del 29.9,2020) hanno recisamente negato che ciò sia avvenuto; a sua volta il teste Sa.Re. ha reso in sede di esame (cfr. pagg. 39-40 del verbale stenotipico d'udienza 12.12.2019) dichiarazioni di tenore opposto alle affermazioni del MA. che lo riguardano. Dal canto suo il teste Ci.Am. (il cui esame dibattimentale si è articolato nel primo grado del presente giudizio in due udienze: cfr. pagg. 66-122 verbale stenotipico 11.2.2020 e pagg. 12-88 verbale stenotipico 13.2.2020) ha reso in detta sede un'ampia deposizione, sostanzialmente congruente con la tesi difensiva del MA., i cui contenuti sono stati minuziosamente passati in rassegna (e vagliati analiticamente sia quanto alla loro coerenza intrinseca, rivelatasi in più punti estremamente carente, sia quanto ai pretesi riscontri esterni, rivelatisi in realtà inesistenti) dal giudice di prime cure: cfr. pagg. 454-457, 459-462 e 465-469 sentenza gravata. Ebbene, per ciò che attiene all'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012 (tema affrontato dalla gravata sentenza, quanto al MA., alla pag. 692 mediante un rinvio "alla trattazione specifica nel capitolo IX" (in realtà sì tratta del capitolo Vili, par. 2., corrispondente alle pagg. 446-475 della sentenza di primo grado) la difesa, in ultima analisi, si fonda sul contrapporre la deposizione del teste Ci.Am. (appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA.), da essa indicato come "unico tra quelli sentiti che non aveva alcun interesse a nascondere qualcosa o a riferire cose diverse dal reale" (cfr, pag. 101 atto di appello) - il quale ha inteso confermare l'assunto del MA. circa l'avvenuto "disvelamento" al team ispettivo di Banca d'Italia di una quindicina circa di operazioni correlate (con asserita pronta consegna agli ispettori della relativa documentazione integrale) - al complesso delle deposizioni - tra loro convergenti, invece, nel senso che siffatto "disvelamento" non abbia mai avuto luogo - rese dai vari appartenenti al predetto team ispettivo; queste ultime deposizioni sarebbero tutte viziate, secondo la difesa, da un'inattendibilità dovuta al "peccato originale che Banca d'Italia vuole emendare in questo processo: ha creduto e ha incentivato la crescita della Banca (...) e ora, a banca collassata, non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o, peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello), definendo di conseguenza l'argomentazione del primo giudice at riguardo come "prima che ingenua, illogica: si può veramente pensare che fianca d'Italia possa pubblicamente, per voce dei suoi ispettori, ammettere di aver quantomeno tollerato che in Banca (...) ci fossero finanziamenti destinati all'acquisto di azioni?" (cfr. pag. 119 atto di appello). Ad avviso di questa Corte il primo giudice ha viceversa fatto buon governo di tale complesso materiale istruttorio (né ha apportato novità apprezzabili l'acquisizione, nel presente grado di giudizio, dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi Am. e Sa. - nel distinto procedimento n. 1031/20 R,G. - 5628/15 R.G.N.R. in corso a carico di So.Sa. - in occasione delle udienze, rispettivamente, 8.3.2022 e 18.3.2022; sul punto v. più ampiamente infra). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 1. Il tribunale ha opportunamente evidenziato "cfr. pag. 699 sentenza gravata - il silenzio serbato sul preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" dal MA. con l'interlocutore Di.Gr. in una conversazione telefonica captata, la n. progr. 2342 del 29.10.2015 (pag. 182 perizia trascrizione), ove l'imputato da un lato commenta, con una risatina, "La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito?" ma dall'altro lato, in concreto, si limita a riferire al Gr. - che era stato il D.G. di B. prima dell'avvento di Sa.So. - di avere "consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia", non facendo viceversa parola della qui pretesa e rivendicata rivelazione agli ispettori, da parte della Divisione Crediti, del carattere correlato della metà circa di quelle posizioni: "(...) Pa.: Ma, e fermo, e poi quelle pratiche lì, adesso l'ho trovato, perché ho trovato nei miei file... nei miei file: nel 2012, durante l'ispezione... - V.M.: Sì... - Pa.: ...ho consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia, e ci sono tutti sti nomi qua che mi stanno... Che la Banca d'Italia non ha riportato niente nel verbale che ci ha consegnato nel 2013... - V.M.: Eh, - Pa. (Risatina): Cioè, voglio dire, quindi, signori, son valutazioni di merito creditizio, non mi dice niente neanche la Banca d'Italia, cos'è che volete? - V.M.: Eh già, - Pa.: La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito? (Risatina) Ecco. - V.M.: Sì... No, no. - Pa.: Vedremo, vedremo, dai. ("?.), Pa.; L'ottimo sarebbe lunedì ... a. - V.M.: Lunedì, lunedì. - Pa.: Beh, domani io vedo l'avvocato, potrei venire anche lunedì, così mi dai dei consigli anche te, dai. - V.M.; Esatto. - Pa.: Lunedì, va bene, dai. - V.M.: Lunedì... - Pa.; Sì. - V.M.: Lunedì sì, pari pari. - Pa.: Va bene. Va bene. (...)". Si noti in effetti che: a) il MA. in tale conversazione parla con Gr. esclusivamente dell'unico documento che nel presente giudizio è effettivamente certo sia stato trasmesso nel 2012 agli ispettori di Banca d'Italia, ossia dell'anodina "lista dei primi trenta soci" (in realtà, cfr. il relativo documento in atti sub doc. 508 del P.M., non erano i primi trenta "soci finanziati", come egli afferma, bensì i primi trenta soci per numero di azioni detenute; fra essi vi erano anche nominativi di grossi azionisti, come Am., con certezza mai resisi destinatari di finanziamenti correlati: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico esame GI. reso il 15.6.2022 in grado di appello), senza viceversa menzionare né consegne di altra documentazione né esternazioni verbali fatte agli ispettori circa quali e quante, di quelle trenta posizioni, godessero di finanziamenti correlati; b) per giunta - e ciò è significativo - MA. precisa a Gr. di essersene ricordato solo consultando i suoi fife (il che risulterebbe quanto meno peculiare - date la rilevanza e la portata potenzialmente dirompente della circostanza, come tale suscettibile di essere nitidamente ricordata anche senza siffatto ausilio - se alla consegna dell'anodina lista dei primi trenta soci si fosse realmente affiancato il preteso "disvelamento" agli ispettori circa il carattere correlato dei finanziamenti sottesi alla metà circa di dette posizioni); c) non regge neppure la giustificazione, offerta dal MA. nel corso del suo esame e ripresa dal suo difensore in sede di discussione (cfr, pag. 75 verbale stenotipico 30.9.2022), secondo cui egli non sì sarebbe dilungato al riguardo col Gr. in quanto la conversazione verteva sui consigli da chiedergli per organizzare la propria difesa nella causa intrapresa dinanzi al giudice del lavoro: tale ultimo argomento ha in realtà solo sfiorato la conversazione in quanto subito rinviato a un loro successivo incontro in Toscana, che i due fissavano proprio in occasione di detta telefonata. Il MA. nel suo esame (cfr. pag. 23 verbale stenotipico 16.6.2020) sostiene poi di avere riferito al Gr. del "disvelamento" in altri contesti ma trattasi di circostanza completamente sfornita di prova. 2. Il tribunale - cfr. pag. 466 e ss. sentenza gravata - ha opportunamente evidenziato come i colleghi della Divisione Crediti Sa.Re., An.Re., Pa. Se., Ma.De., menzionati (cfr. pagg. 108-109 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020) dal teste Am. quali persone che egli aveva reso a vario titolo partecipi del riferito "disvelamento" agli ispettori, abbiano viceversa tutti negato di essere stati relazionati in tali termini dall'Am. (mentre quest'ultimo, anche nella successiva, deposizione da lui resa l'8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente"' nei confronti di So.Sa., ha insistito sul suo assunto, finanche sostenendo che il MA. "chiese ai colleghi" della segreteria crediti, che era un'unità che dipendeva dal collega Sa.Re. dell'analisi, di stampare fe pratiche e i fidi di garanzie di tutti quanti questi primi 30 soci. So che i colleghi portarono il carrello su nell'ufficio degli ispettori.": cfr. pag. 49 del relativo verbale stenotipico). Sul punto il gravame non si confronta adeguatamente con la motivazione del collegio berico, limitandosi di fatto ad estrapolare, citandoli alle pagg. 105-107 dell'atto di appello, stralci assai parziali della deposizione del solo teste De. (la quale nella sua interezza occupa le pagg. 56-75 del verbale stenotipico d'udienza 19.12.2019) e obliterando gli ulteriori passi della medesima deposizione, illuminanti per chiarezza, citati - per esteso - alle pagg. 467-469 della gravata sentenza, oltre a trascurare totalmente quanto dichiarato al riguardo dai testi Re, Se. e Re.. Tra l'altro osserva questa Corte come lo stesso teste Am., nelle battute conclusive del suo esame dibattimentale nel primo grado del presente giudizio (cfr. pagg. 79-80 del verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), modifichi - rispondendo alle domande del presidente del collegio - le sue precedenti affermazioni in ordine alle asserite rivelazioni da lui fatte al collega Sa.Re., ridimensionandole in misura sostanziale. 3. Il tribunale ha opportunamente evidenziato come, tra le plurime contraddizioni nelle quali è incorso il teste Am., vi sia quella riguardante l'assenza di ogni cenno al preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" nell'intervista da lui data all'internal audit nell'agosto 2015 e il fatto che dapprima - cfr. pag. 114 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020 - egli abbia cercato di motivarla con l'asserito carattere "veloce" del relativo colloquio intercorso con il responsabile dell'audit Ma.Bo., tale da non avergli consentito di riferirgli tutto quanto a sua conoscenza, salvo poi - cfr. pag. 85 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020 - mutare radicalmente impostazione, contraddicendosi in toto, e sostenere che in realtà egli aveva puntualmente riferito al Bo. in ordine al "disvelamento" ma che questi nulla scrisse. Infine, nella deposizione da ultimo resa in data 8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. (cfr. in particolare le pagg. 56-59 del relativo verbale stenotipico), l'Am., forse consapevole dell'insanabile contraddizione nella quale era caduto due anni prima deponendo quale teste nel presente giudizio, ha tentato - così facendo, però, risultando viepiù palesemente contraddittorio - di sostenere al tempo stesso, con l'obiettivo di contemperarle, la tesi dell'estrema "velocità" del suo colloquio con Bo. (dovuta all'avere questi avuto ben 70 interviste da condurre in un ristretto lasso di tempo), con conseguente mancanza del "tempo materiale" per poter riferire tutto al responsabile dell'internai audit, e la tesi, con essa configgente, dell'omissione posta in essere da parte dello stesso Bo. il quale non avrebbe riportato per iscritto tutto quanto pur riferitogli a voce dall'intervistato (al che il P.M. esaminante si è ritrovato a tentare, per vero senza apprezzabile successo, di ricondurre ad unità tale intrinsecamente contraddittoria deposizione, v. pag. 57 ibidem: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però, Am., io voglio sapere: lei in quel contesto non ha riferito di questi tre episodi perché non ha avuto il tempo o perché invece li ha riferiti ma Bo. non li ha scritti? Sono due cose differenti. Io vorrei capire qual è delle due"). 4. Nella nuova deposizione resa l'8.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. il teste Am. si dimostra, in effetti, non meno contraddittorio e non meno "debolmente attendibile" di quanto già egli non si fosse rivelato nell'esame reso nel primo grado del presente giudizio, entrando peraltro anche in parziale, ma significativa, contraddizione con affermazioni rese dallo stesso imputato MA.. A puro titolo esemplificativo si noti come l'Am. ivi fra l'altro sostenga (cfr. pag. 41 deposizione 8.3.2022): a) che "(...) Intanto Ma. viene contattato dagli ispettori per avere l'elenco dei primi 30 soci"? Ma. si fa dare l'elenco dei primi 30 soci. Questo il giorno dopo che avevamo visto Ca.-Lu., quindi il giorno del colloquio con So.. Fa stampare dalle colleghe della segreteria le pratiche di fido piuttosto che i fidi di garanzie di queste posizioni, che i colleghi portano su con il carrello sempre, e va a parlarne con gli ispettori", laddove in realtà si è visto come finanche il MA. sostenga di avere personalmente discusso funditus con gli ispettori solo una minimale frazione di tali posizioni delegando il resto allo stesso Am. e/o, in parte, a taluni subalterni del predetto (a maggior ragione dunque risulta inattendibile l'Am. allorquando - cfr. in particolare pag, 49 della sua deposizione 8.3.2022 cit., - giunge ora ad affermare - per la prima volta, come evidenziato dalla stessa difesa MA. nei suoi motivi nuovi d'appello - qualcosa che nemmeno il MA. sì è in realtà mai lontanamente spinto a sostenere nelle dichiarazioni da lui rese nel corso del presente giudizio, ossia che il prederò imputato avrebbe personalmente "visto i movimenti dei conto corrente con il dottor Sa., dal dottor Sa." relativamente alle posizioni El., Br.Fu. e Te.Sa., riferendo poi un tanto all'Am.); b): che "(...) sempre quel giorno dopo, che era il 5 luglio, mi arriva un'ulteriore e-mail da parte dei dottor Sa., il quale mi dice: "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua data acquisto e provvista, anche sulle posizioni Bu.Sa. e To.Ma.". Qui il teste Am., attribuendo al Sa. l'espressione "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua", pare voler alludere a una già avvenuta consegna, con conseguente consultazione completa da parte del team ispettivo o comunque da parte di Ge.Sa., quanto meno degli incartamenti riguardanti le posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu. (oggetto, come si è visto suprat di una specifica e-mail inviata all'Am. dallo stesso Sa. alle ore 15.47 del 4.7.2012). Tuttavia il teste Am., in questa sua nuova deposizione, non riporta affatto in modo fedele il contenuto della da lui citata nuova e-mail inviatagli dal Sa. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (doc. 509 del P.M.), che è invece il seguente, del tutto anodino ed anzi tale da indurre già di per sé a ritenere che la richiesta precedente fosse - quanto meno per il momento - ancora rimasta inevasa: "Buonasera. A integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi: To.Ma., Bu.Sa.". Anzi osserva al riguardo la Corte come in atti vi sia l'evidenza documentale del contrario di quanto afferma sul punto il teste Am., posto che a tale data non si disponeva in realtà nemmeno delle copie degli ordini di acquisto delle azioni detenute da ognuno dei nominativi anzidetti, trattandosi di operazioni più risalenti nel tempo rispetto alla Ca.-Lu. e, quindi, da recuperare in archivio. Eloquenti sono in tal senso i docc. 511 e 512 del P.M., corrispondenti ad altrettante e-mail inviate all'Am. (e in copia al MA.) da Fi.Ro., responsabile della Gestione Soci: - doc. 511: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 6 luglio 2012 alle ore 12.02: "Cl., Vi fornisco solo ora le copie degli ordini di acquisto richieste in quanto la documentazione relativa alle operazioni del 2010 è presso il nostro magazzino di Aite di Montecchio Maggiore e i tempi di recupero non sono immediati In allegato quindi copia degli ordini di acquisto di: - El. S.r.l. per 320.000 azioni (...); - Br.Fu. per 160.000 azioni (...); - Te.Sa. per 176.500 azioni (...)") "doc. 512: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 9 luglio 2012 alle ore 17.03: "Cl., Vi fornisco le copie degli ordini di acquisto richieste che trattandosi di operazioni del 2010 sono presso il nostro magazzino di Alte di Montecchio Maggiore: Bu.Sa. per n. 81,000 azioni (...); To.Ma. per n. 81.000 azioni (...)". 5. Le considerazioni ora svolte rendono dunque viepiù inattendibile l'intera deposizione del teste Am. sul c,d. "disvelamento delle 14 posizioni correlate", incluso - lo si ribadisce - l'assunto (cfr. pagg. 41 e 49 verbale stenotipico 8.3.2022 cit.) secondo cui, in relazione alle posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu., non soltanto sarebbero stati consegnati agli ispettori i relativi fascicoli integrali in formato cartaceo ma altresì lo stesso MA. gli avrebbe riferito di averne ampiamente discusso a voce con l'ispettore Sa., per giunta esaminandone i movimenti di c/c assieme a quest'ultimo (il quale, per parte sua, ha sempre recisamente negato in sede dibattimentale la veridicità di tutte queste circostanze). Non appare inutile ricordare nuovamente, al riguardo, come finanche lo stesso MA., con ciò di fatto sconfessando sul punto tali ultime "inedite" affermazioni dell'Am., sostenga si - da un lato-lato - di avere, con l'ispettore Sa., personalmente parlato della posizione Ca.-Lu., nonché dì avergli personalmente svelato in termini generici a voce, riservandosi di documentarglielo, che complessivamente 14 posizioni nella lista dei primi 30 soci (da luì consegnata, a suo dire, anche a mano in formato cartaceo) corrispondevano a finanziamenti correlati, ma abbia escluso - dall'altro lato - di avere mai avuto, al dì là di questo, altre interlocuzioni dirette e personali sullo specifico argomento con il Sa. (cfr. pag. 76 esame MA. 11.6.2020: "Poi lui (Sa.) ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna dei 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gli altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro)". 6. Manca, in ogni caso, una qualunque attestazione dell'invocata consegna agli ispettori dei fascicoli cartacei concernenti le posizioni oggetto del preteso "disvelamento", laddove esistevano viceversa in B. precise istruzioni - già seguite durante le precedenti ispezioni e nuovamente impartite nel corso dell'ispezione del 2012 - circa la necessità, in caso di consegna di documenti in formato cartaceo, di predisporre un apposito elenco in formato Word ove andavano annotati "o documenti consegnati, la data di consegna e l'ispettore al quale gli stessi sono stati consegnati"; si veda al riguardo, sub doc. 500 del P.M., la dettagliata e-mail inviata in tal senso alle ore 10.11 del 31.5.2012 da Ma.Bo., responsabile dell'internal audit (che aveva in carico la gestione del disco-directory riservato a Banca d'Italia), a tutti i vertici dirigenziali di B. nonché ad alcuni fra i loro diretti subalterni fra cui lo stesso Ci.Am.. 7. per la verità, ferma restando l'assenza di riscontri circa l'assunto dell'imputato MA. e del teste Am. (inattendibili entrambi sul punto per tutto quanto sin qui detto e finanche, da ultimo, in parziale contraddizione reciproca) riguardo a una parallela consegna in formato cartaceo dei relativi incartamenti agli ispettori, lo stesso teste Am. nella seconda parte della sua deposizione resa nel primo grado del presente giudizio, durante il controesame condotto dal difensore della Banca d'Italia avv. Ce. (cfr., pagg. 57-59 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), ha finito con il riconoscere che, di fatto, egli non sa se in concreto il caricamento in formato digitale, all'interno del disc of directory della Banca d'Italia previa loro scannerizzazione, dei fascicoli afferenti alle quattordici posizioni "baciate" de quibus (caricamento invocato dall'imputato MA. come avvenuto) abbia realmente avuto mai luogo105. Né certo può bastare l'assenza in atti di solleciti alla consegna degli incartamenti da parte di Banca d'Italia a far ritenere provata la consegna stessa, come invece pare adombrare la difesa a pag. 116 dell'atto di appello. 8. Il tribunale ha poi evidenziato che la testimonianza dell'ispettore Ge.Sa., diversamente da quella del funzionario Cl.Am., risulta complessivamente riscontrata - benché anch'essa parzialmente contraddittoria - da quelle, più lineari e prive di aporie, rese da tutti i suoi colleghi del team ispettivo. La difesa al riguardo obietta che i predetti sarebbero parimenti inattendibili perché comunque tutti appartenenti a Banca d'Italia e dunque portatori dì un ben preciso interesse a non vedere accertata una loro eventuale responsabilità per negligenza o, peggio, connivenza nell'esercizio dell'attività ispettiva. In contrario già basti osservare che tra i suddetti testi ve ne sono due i quali all'epoca dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 erano semplici tirocinanti, ossia recenti vincitori di concorso affidati ai colleghi più anziani in qualità di tutor/supervisori: trattasi di Fe.Fr. (del quale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 493 comma 3 c.p.p., il verbale delle s.i.t. rese il 15-11,2018) e Br.Lu. (che nel suo esame dibattimentale - cfr. pagg. 41-54 del verbale stenotipico d'udienza 23.1.2020 - ha fra l'altro dettagliatamente illustrato come fosse strutturato il tirocinio suo e del collega Ferraro). Ebbene, nessuno dei due testi in questione ha riferito - benché siano state loro rivolte puntuali domande sull'argomento - di avere affiancato l'ispettore Sa. nell'assistere a una qualsivoglia conversazione tra il predetto e un esponente della banca in cui il tema fosse quello degli acquisti di azioni da parte di soggetti con provvista attinta da finanziamenti. Per converso il teste Am. - ribadendolo poi nel separato giudizio n. 1031/20 R.G. - 5628/15 R.G.N.R. ancora pendente nei confronti di So.Sa.: cfr. pag. 43 del relativo verbale stenotipico 8,3.2022 - proprio questo ha affermato nel suo esame dibattimentale. 9. Per parte sua il teste ispettore Ge.Sa., giudicato dal tribunale berico come parimenti "debolmente attendibile", in effetti può meritare tale valutazione - e peraltro, come già detto, a differenza del teste Am. il tenore delle affermazioni da lui rese in dibattimento risulta riscontrato da plurimi elementi, ben evidenziati dal giudice di prime cure - per il fatto di non aver saputo dare adeguato conto di talune apprezzabili discrasie riscontrate tra le sue dichiarazioni dibattimentali e quelle rese a s.i.t. durante le indagini preliminari nel 2016 e nel 2017. Vero è infatti che, tanto nell'esame da lui reso nel primo grado del presente giudizio il 21.1.2020 - cfr. ad es. sue pagg. 61 e 65 - quanto nella nuova deposizione da lui resa il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. - cfr. ad es. sue pagg. 80-81 e 89 -, l'ispettore Sa. si è di volta in volta giustificato, a fronte delle contestazioni mossegli, replicando di non essere stato lucido al cospetto degli inquirenti e/o di essere giunto impreparato dinanzi ad essi per non avere egli riletto neppure la relazione ispettiva e/o di non avere correttamente inteso quanto richiestogli e/o di essersi spiegato male. Nondimeno va qui evidenziata la piena congruenza tra il tenore dell'esame dibattimentale reso dal teste Sa. il 21.1.2020 e quello dell'esame dibattimentale da lui reso il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente a carico di So.Sa., che nulla ha di fatto aggiunto o modificato, sotto tale profilo, rispetto alla sua deposizione originaria: in entrambe le sedi dibattimentali il teste Sa., esponendo una versione dei fatti sempre intrinsecamente coerente benché, come detto, solo parzialmente tale se rapportata ad alcuni passi delle s.i.t. rese nel 2016-2017, ha affermato in estrema sintesi: a) che il circoscritto oggetto dell'ispezione 2012 non verteva in alcun modo sul patrimonio bensì esclusivamente sul rischio di credito dell'intero gruppo B., con l'incarico di vagliare le posizioni in sofferenza, quelle ad incaglio e infine quelle classificate dalla banca come in bonis ma eventualmente suscettibili di essere spostate - previa verifica ispettiva - in una delle altre due categorie; il tutto anche alla luce della peculiarità di B. rappresentata dallo squilibrio del rapporto fra impieghi, ossia finanziamenti erogati, e raccolta (squilibrio che avrebbe reso indispensabile attuare da un lato il deleveraging, ossia la riduzione del rapporto impieghi/raccolta, e dall'altro lato il repricing, ossia la riduzione degli impieghi accordati ai grossi clienti Corporate e Large Corporate e l'incremento degli impieghi accordati ai maggiormente redditizi clienti rientranti nelle categorie Small Corporate e Mid-Corporate), sottolineando egli in più occasioni come né il team ispettivo né tantomeno un singolo ispettore avessero comunque il potere di estendere unilateralmente il perimetro dell'ispezione siccome delineato nella lettera d'incarico a firma del Governatore di Banca d'Italia; b) che tali circoscritte finalità ispettive giustificavano di per sé sole non soltanto il tenore della richiesta, evasa da B., della lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute (trattandosi, e la spiegazione è in sé plausibile, di cercare di verificare l'eventuale esistenza di soci che di fatto godessero, proprio in quanto detentori di cospicui pacchetti azionari, di trattamenti di favore, con conseguente possibile emersione dì un allentamento degli standard creditizi nei confronti di soggetti viceversa non meritevoli) ma altresì il tenore delle sopra citate e-mail inviate dallo stesso Sa. nelle date del / 4 e 5 luglio 2012, Il teste ha più volte ripetuto che le richieste da lui ivi 1/ formulate, lungi dall'avere a che fare con verifiche patrimoniali in realtà escluse dal perimetro dell'ispezione, non modificabile unilateralmente a sua discrezione, erano finalizzate esclusivamente all'esigenza di disporre di un set informativo più ampio circa la meritevolezza del credito, interessando all'uopo verificare da quanto tempo i detentori di cospicui pacchetti azionari rivestissero la qualità di socio e di quale provvista essi avessero potuto concretamente disporre per riuscire ad acquisire un numero sì rilevante di azioni; ancora una volta, però, tutto questo, a detta del Sa., serviva esclusivamente per vagliarne la personale solidità in termini di merito creditizio nonché per escludere l'eventualità di trattamenti di favore a loro vantaggio, non già ad altri fini; tale spiegazione, come detto, è in sé plausibile; c) che comunque le poche e-mail di cui ai docc. 508-510 del P.M. facevano parte di un numero infinitamente maggiore di analoghe comunicazioni da lui complessivamente inviate a mezzo posta elettronica nel corso di un'ispezione sul rischio di credito che lo portò ad esaminare in tutto ben 400 posizioni circa, il che fra l'altro non lo pone, a suo dire, in alcun modo in grado di riferire in quali specifici casi egli si fosse concretamente avvalso della possibilità (che pure era stata genericamente messa a disposizione del team ispettivo, come riconosciuto dal teste, cfr. pag. 59 esame dibattimentale Sa. del 21.1.2020) di interrogare online gli estratti conto; d) che anzi egli non serba memoria del perché avesse chiesto approfondimenti, nelle citate e-mail del 4-5 luglio 2012, proprio con riguardo alle posizioni individuali ivi nominativamente indicate (il teste Sa. si è diffuso in maniera particolarmente ampia su tale tema alle pagg. 82-93 della deposizione da lui resa il 18.3,2022 nel separato giudizio a carico di Sa.So.; nello stesso senso cfr. peraltro già le pagg. 110-111 e 116 della deposizione 21.1.2020 resa nel presente giudizio); il tutto fermo restando che - a suo dire - talvolta venivano presi anche dei nominativi a caso e che comunque egli non crede di avere, di fatto, esaminato alcuna documentazione attinente a quelle particolari posizioni specifiche. Ed invero il teste Sa. - cfr. in particolare le pagg. 91-93 della deposizione 18.3.2022 cit. nel separato giudizio a carico di Sa.So., acquisita nel presente grado di appello - ha sostenuto non essere in realtà affatto insolito che una iniziale richiesta di approfondimento documentale formulata dal team ispettivo possa rimanere non evasa, in tutto o in parte, dalla banca ispezionata senza che ciò abbia riflessi apprezzabili sulla capacità dell'ispezione di giungere/esaustivamente a compimento, qualora si tratti di elementi utili ma non indispensabili all'uopo; e) che egli non ricorda di avere avuto né con il MA. né con il suo subalterno Am. conversazioni vertenti sull'esistenza di una prassi di finanziamenti correlati (e in ogni caso - sempre a detta del teste Sa.: cfr. ad es. pag. 100 della deposizione 18.3.2022 cit. - egli di certo non avrebbe mai intrattenuto da solo siffatte conversazioni poiché ciò esulava dal suo collaudato modus operandi in sede ispettiva; si ricordi al riguardo che nessuno dei componenti il team ispettivo, inclusi i due tirocinanti, ha affermato di avere assistito a conversazioni siffatte); f) che egli in effetti non ebbe alcuna contezza dell'esistenza di una siffatta prassi di finanziamenti correlati fino a quando non fu sentito per la seconda volta - il 17 marzo 2017 - dagli inquirenti, i quali (il teste Sa. lo ribadisce più e più volte in entrambe le deposizioni da lui rese, quella del 21.1.2020 nel presente giudizio e quella del 18.3.2022 nel separato giudizio a carico di So.Sa.) lo spiazzarono - in un'occasione, cfr. pag. 54 della deposizione 21.1.2020, egli usa l'icastica espressione "cascato dal pero" - sottoponendogli in visione documenti da lui indicati come sicuramente mai visti in precedenza; trattasi di documenti relativamente ai quali il P.M. in udienza nel presente giudizio, cfr. pag. 55 deposizione 21.1.2020 cit., ha precisato a sua volta trattarsi della "documentazione consultata dai Consulenti del Pubblico Ministero inerente alle posizioni Ca., Te., Sa., El., mi pare anche Bu. e To.". Oltre alle pagg. 54-55 della deposizione Sa. del 21.1.2020, appena citate, cfr. altresì nello stesso senso le pagg. 87-88 e 98 ibidem. Sempre nello stesso senso si vedano le pagg. 94-95 della deposizione Sa. del 18.3.2022 (in questo caso il P.M. in udienza - cfr pag. 94 ibidem - ha precisato a sua volta che "quello che fu esibito al Teste nel 2017 non è quello che viene richiesto in quella famosa ormai e-mail del 2012"). 10. Rimane, in ultima analisi, insuperato il dato documentale, preciso e puntuale nella sua nuda essenzialità, evidenziato dalla parte civile Banca d'Italia al paragrafo 4., pag. 16, delle sue note di replica depositate in primo grado, il cui tenore sul punto - una volta esaminata in concreto la lista de qua, in atti quale allegato al carteggio via e-mail sub doc. 508 del P.M. - non può che essere condiviso da questa Corte: "(...) la Usta dei 30 principali soci (...) resta l'unico documento agli atti del processo e dalla stessa, come è evidente, non è ricavabile alcuno degli elementi fattuali idonei ad evidenziare il fenomeno nel suo complesso, ma neppure la correlazione dei finanziamenti con l'acquisto delle azioni per quelle specifiche posizioni (...) di tutta la documentazione che Am. asserisce essere stata consegnata all'ispettore Sa. in proposito non vi è alcun riscontro, addirittura non se ne trova neppure traccia nell'elenco della directory che riporta/documenti forniti in ordine cronologico a tutti gli ispettori nel corso degli accertamenti del 2012 (...)". Non esiste infatti, con riguardo ai documenti oggetto del preteso "disvelamento", alcuna comunicazione di tenore analogo al doc. 566 del P.M., corrispondente alla e-mail inviata al team ispettivo di Banca d'Italia il 5-7.2012 ad ore 9,04 dal responsabile dell'internai audit Ma.Bo. (addetto alla gestione del disco-directory dedicato al suddetto team) con la quale si segnalava appunto che - nella directory dedicata sotto Direzione Crediti Ordinari" era stata inserita la lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute. La tesi difensiva non trova riscontri neppure nelle plurime intercettazioni telefoniche di conversazioni intrattenute nel corso del mese di marzo 2017 (come detto fu in tale mese, precisamente il giorno 17, che il teste fu, per la seconda volta in un anno, sentito a s.i.t. dai Pubblici Ministeri vicentini) dall'ispettore Ge.Sa. con vari interlocutori, riportate alle pagg. 701 - 737 della perizia di trascrizione. Trattasi in particolare delle seguenti conversazioni: - n. progr. 19 del 14.3.2017 ad ore 12.19.39 tra Ge.Sa. e "Ca." (presumibilmente trattasi di Ca.Ba., all'epoca capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d'Italia) (pagg. 724-729 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo, che ha ricevuto la seconda convocazione in Procura, lo annuncia al suo interlocutore che poi gli chiede notizie di altra ispezione al momento in corso; - n. progr. 115 del 19.3.2017 ad ore 20.22.20 sub RIT 54/17 tra Ge.Sa. e Gi.Sc., capo team dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 (pagg. 701-707 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza dello Sc.; la medesima conversazione - della quale il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo: cfr. pagg. 90-92 verbale stenotipico d'udienza 21.1.2020 - appare anche, sub RIT 55/17, con il n. progr. 276 del 19,3,2017 (pagg. 710-716 perizia trascrizione), come intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo annuncia allo Sc. di essere stato convocato, due giorni prima, per la seconda volta in Procura a Vicenza, al che il suo interlocutore gli replica di esserlo stato per la terza volta e che continuerà a ripetere agli inquirenti sempre le stesse cose già dette loro nelle precedenti occasioni perché altro non vi è da dire. Sa. e Sc. si confermano a vicenda che la loro era stata unicamente un'ispezione sul credito, come tale inidonea a svelare aspetti critici sul ben diverso piano del patrimonio (".. Ge.: dei file, delle cose, Poi se... se,., cioè, francamente, quello che io ho continuato a... ho detto una volta, l'ho detto pure l'ultima volta che quella è un'ispezione sul credito, eh, insomma. - Gi.: Eh, certo. - Ge.: Perché il discorso è che.,. qua le azioni comprate con i prestiti della banca... - Gi.: Eh. - Ge. ...capitale finanziato. Però noi (inc.) sul credito, insomma, se il cliente andava bene tanti approfondimenti non è che... - Gi.: No, assolutamente no. - Ge. (Inc. voci sovrapposte). - Gi.: Assolutamente no. Ma poi credo che quel problema lì sia un problema che sia maturato prevalentemente dopo, cioè dopo le grandi, per effetto della grande ripatrimonializzazione, dopo la (inc.) e dopo... Cioè, non so neanche quanto fosse diffuso, perché non abbiamo fatto degli approfondimenti specifici su quel tema lì. Pronto? ... - Ge.: (Breve interruzione) dei clienti, anche quelli famosi, tipo... erano in due, insomma, poi gli altri francamente non è che mi posso ricordare nomi, cose. Poi in questo caso non tieni un file, non tieni una cosa scritta... - Gi.: Appunto. Appunto ...); - n. progr. 281 del 19.3.2017 ad ore 20.33.11 tra Ge.Sa. e "Ga." (pagg. 717-723 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Ga.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pagg. 70 e ss. verbale stenotipico 21.1.2020), è Ga.Pa., collega ispettore di Banca d'Italia (nonché consulente della Procura di Vicenza ma il teste Sa. esclude - v. pag. 70 ibidem - di essere stato a conoscenza di tale ultima circostanza all'epoca della conversazione, benché avesse inteso che il Pa. stava in qualche modo occupandosi in quel momento proprio di B.: "... E ne ho parlato con il collega, il dottor Ga.Pa., io francamente non sapevo... sapevo che il collega si stava occupando della Vicenza, di queste operazioni, non sapevo a che titolo, poi l'ho scoperto dopo"). Anche in questo caso il Sa. sottolinea a più riprese con l'interlocutore (che concorda con tali sue affermazioni, tanto che Sa. si sente in qualche misura tranquillizzato: cfr. pag. 70 verbale stenotipico 21.1.2020) quale fosse l'oggetto, circoscritto alla mera valutazione del credito, dell'ispezione 2012, riferendogli altresì succintamente quanto accaduto in Procura il 17.3.2017, chiedendogli cosa fosse frattanto in concreto emerso (rimanendo con ogni evidenza stupito e all'apparenza frastornato nell'apprendere dal Pa. l'entità del fenomeno dei finanziamenti correlati come in quel momento - cinque anni dopo l'ispezione - risultava accertata a tutto il 2012) e chiedendogli altresì consiglio sulla necessità o meno di avvisare della nuova convocazione in Procura, e del tenore delle s.i.t. da lui rese, anche il proprio superiore gerarchico dott. La.: "(.,.) V.M.: Ah, io son stato... quando è stato? Venerdì mi hanno chiesto: c'erano un po' di operazioni che... di queste baciate, - Ga.; Sì. - V.M.: Però io francamente all'epoca non Cioè, a parte che facendo... facendola sul credito, questi aspetti di capitali, di patrimonio, non li avevamo visti. - Ga.: Eh certo. - V.M.: Cioè non li abbiamo proprio considerati. Ma io un po' non.. veramente non mi ricordavo neanche i nomi... neanche i nomi dei... - Ga. (Inc. voci sovrapposte). - V.M.: Omissis. - n. progr. 107 del 20.3.2017 ad ore 15.11.57 tra Ge.Sa. "Da." (pagg. 730-737 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Da.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pag. 73 verbale stenotipico 21.1.2020), è Da.Ca., collega ispettore di Banca d'Italia, fermo restando che anche di tale conversazione col Ca., come già di quella con lo Sc., il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo (v. ibidem). In essa ancora una volta il teste Sa. rievoca l'oggetto ristretto (perché circoscritto alla verifica della qualità del credito) dell'ispezione Banca d'Italia 2012, indicandolo come preclusivo di ogni possibile scoperta sul fronte della prassi dei finanziamenti correlati e ricevendo riscontro in tal senso dal suo interlocutore: Omissis Il leit motiv di tali conversazioni è dunque sempre rappresentato dal Sa. che, turbato dal fatto di essere stato convocato in Procura a Vicenza già due volte nel giro di un anno, ripete ad ogni suo interlocutore (tutti colleghi della vigilanza di Banca d'Italia) esattamente quanto - come si è visto supra - i, riferirà poi, tre anni dopo, in sede di esame dibattimentale nel presente giudizio (ribadendolo, altri due anni dopo, anche nel separato giudizio pendente a carico di Sa.So.), ossia: che egli ricordava ben poco dell'ispezione del 2012 presso B. al di là di due singole posizioni peculiari (evidente il riferimento alla posizione Ca.-Lu.); che, in ogni caso quell'ispezione aveva ad oggetto unicamente la verifica della qualità dei crediti, sicché anche le posizioni concretamente esaminate lo erano state unicamente a quel fine; che gli inquirenti in data 17 marzo 2017 gli avevano mostrato documenti, a lui prima ignoti, i quali lo avevano colto dì sorpresa rivelandogli una realtà della quale non aveva avuto minimamente modo dì rendersi conto in sede ispettiva. In nessuna di tali conversazioni captate il Sa. confida all'interlocutore di turno di avere visionato, nel corso dell'ispezione 2012, documenti tali da consentire, all'epoca, la scoperta di una prassi di operazioni di finanziamento correlato, o anche soltanto di avere ricevuto a voce informazioni di sorta in tal senso da chi operava in seno a B.. La difesa ha opinato diversamente con riguardo all'inciso "Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano" (conversazione n. progr. 281 del 19,3.2017 tra il Sa. e Ga.Pa.) ma, contestualizzandolo e considerando la frase pronunciata dal Sa. nella sua interezza cioè nel 2012, francamente i nomi non me li ricordavo. Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano, ma noi in quella fase lì... veramente avevamo visto solo il credito e basta"), è evidente che le "carte" cui si riferisce nella conversazione n. progr. 281 il Sa. sono - come del resto da lui ribadito, v. ampiamente supra, più e più volte nel corso di entrambi ì suoi esami dibattimentali (quello reso il 21.1.2020 nel presente giudizio e quello reso il 18.3,2022 nel separato giudizio pendente a carico dì Sa.So.) - i documenti, a suo dire mai visti fino a quel momento, esibitigli appena due giorni prima dai Pubblici Ministeri vicentini in data 17.3.2017 in occasione delle seconde s.i.t.. Analogamente il "noi le abbiamo viste" proferito dal Sa. nel corso della conversazione n. progr. 107 del 20.3.2017 con Da.Ca. va contestualizzato ("Ge.: Eh, noi le abbiamo viste... insomma, se avevano problemi di credito, se c'erano trattamenti preferenziali..."), nel senso che - come lo stesso teste Sa. ha spiegato in maniera plausibile e convincente in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 73-74 verbale stenotipico 21.1.2020), "... io in questa telefonata confermo che noi queste benedette posizioni le abbiamo viste esclusivamente per verificare se c'era un trattamento preferenziale a favore dei soci e a detrimento della banca, e se il merito creditizio di quelle posizioni era coerente con la classificazione in bonis. Questa è la spiegazione alla telefonata". Sul tema del preteso "disvelamento" operato dalla Divisione Crediti, attraverso l'imputato MA. e il suo subalterno Am., nel corso dell'ispezione Banca d'Italia del 2012 resta infine qui da valutare se e in che termini rivesta un effettivo rilievo l'elemento sopravvenuto rappresentato dalla ricostruzione, effettuata dall'imputato Em.Gi. in sede di rinnovazione del suo esame dibattimentale (cfr. in particolare i verbali stenotipici del 15 giugno e del 17 giugno 2022), dell'episodio occorso il 4 luglio 2012 nell'ufficio del D.G. Sa.So., allorquando lo stesso So. ebbe a far chiamare il dipendente Ci.Am., convocandolo ivi - alla presenza di altre persone fra cui Ma.So. e, per l'appunto, il GI. - e apostrofandolo alquanto bruscamente nel chiedergli che cosa avesse egli riferito al team ispettivo. Il difensore del MA. si è ampiamente diffuso, in sede di discussione finale, su tale sopravvenienza (cfr, al riguardo pagg. 27-32 della memoria conclusiva depositata il 30.9-2022 nonché pagg. 72-75 del coevo verbale stenotipico d'udienza). Secondo la difesa si tratterebbe di un elemento assolutamente determinante in favore della tesi del "disvelamento"; un elemento di per sé stesso idoneo, anzi, a corroborare e suffragare tutto quanto sul punto dichiarato dal MA. e dal teste Am.. Così non è. In tale circoscritto segmento del lungo esame da lui reso in grado di appello Em.Gi., come detto, ricostruisce il concitato confronto del 4.7.2012 tra So. e Am., avvenuto nell'ufficio del So.. Più precisamente: - a pag. 13 e indi a pag. 70 del verbale stenotipico del 15.6.2022 dell'esame reso in grado di appello da GI. si legge quanto segue: "C'è stato un episodio abbastanza critico in cui a So. (eravamo in stanza con So.) venne riferito che Ma. e i suoi uomini avevano rappresentato a Banca d'Italia queste - operazioni, e sicuramente al tavolo c'eravamo io e Ma., e forse Tu., con So. e So. si è molto innervosito (che è un eufemismo) con Ma. e i suoi perché non gli avevano detto, non gli avevano riferito che queste operazioni erano state in qualche modo rappresentate a Banca d'Italia. Questa comunicazione arrivò a So., che era un ex Ispettore Banca d'Italia, e che riferì a So. proprio questo fatto. (...) PARTE CIVILE, AVV. VE. - Un'altra domanda in relazione a quanto è stato riferito circa il dottor So. si sarebbe arrabbiato quando ha saputo che Ma. e altri avevano rappresentato a Banca d'Italia alcune operazioni; a che operazioni si riferiva? IMPUTATO GI. - A una trentina di operazioni baciate che Banca d'Italia aveva chiesto alla Divisione Crediti nelle persone di Ma. e Am. da parte, credo, di Sa.; operazioni baciate tipo Ca., se ricordo bene. "; - a pag. 7 e ss, del verbale stenotipia) del 17.6.2022 GI. ribadisce tale narrazione (correggendosi solo con riguardo alla previamente da lui riferita presenza di MA., in realtà quel giorno pacificamente assente) dichiarando quanto segue: "IMPUTATO GI. - Allora, diciamo che le cose sono andate in questo modo, Non so se mi sono confuso o meno, però ritengo che abbia detto le cose che sto dicendo, però le ripeto per essere estremamente chiaro e preciso. E cioè: ci fu un incontro, in una di queste riunioni di direzione e comitati, con So., e c'era anche So., arrivò una telefonata a So.; So. parlò con So., e So. si innervosì particolarmente perché ci disse che Am. aveva in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate. A quel punto So. chiese a tutti di chiamare Ma., che non era in Banca, lo chiese a tutti i partecipanti a quella riunione, io chiese anche a me. Ma Ma. era irraggiungibile. A quel punto chiese alla Segreteria di chiamare Am.; Am. entrò della stanza di So. e fu maltrattato da So., maltrattato pesantemente perché non si doveva permettere di parlare con Banca d'Italia di queste operazioni. Ma. era irraggiungibile, quindi venne chiamato Am.. Questo è il fatto avvenuto nella stanza di So.. Non so se intendesse questo, Avvocato. DIFESA, AVV. Ro. - Sì, perché l'altra volta lei aveva fatto il nome di Ma., non di Am.. Questo è l'appunto che mi ero fatto io. IMPUTATO GI. - No, no, Ma. fu chiamato, ma non partecipò a quell'incontro. DIFESA, AVV. Ro. - Esatto, l'interlocutore fu Am.. IMPUTATO GI. - Fu Am., si DIFESA, AVV. Ro. - Lei ha capito chi era l'autore della telefonata che riceve So. e il contenuto della quale viene trasmigrato a So.? IMPUTATO GI. - Uno degli Ispettori di Banca d'Italia, però non so di chi trattasse, perché non disse il nome So.. DIFESA, AVV. Ro. - Però, che fosse uno del team ispettivo è pacifico? IMPUTATO GI. - E' pacifico, sì". Ebbene, in realtà il GI. si limita a riferire ivi i seguenti eventi occorsi in sua presenza e da lui direttamente percepiti: a) Ma.So. riceve una chiamata (con ogni evidenza proveniente da un componente del team ispettivo di Banca d'Italia, organismo da cui lo stesso So. proveniva continuando a intrattenere rapporti assai amichevoli con alcuni ispettori: ne fa invero menzione anche il teste Am. alla pag. 97 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020, ivi ipotizzando, in effetti, che potesse essere stato proprio il So. ad avvisare il So. circa l'incontro avuto il giorno prima da Am. con l'ispettore Sa.); b) subito dopo aver ricevuto tale chiamata (il cui contenuto ovviamente è ignoto al GI.) Ma.So. interloquisce con Sa.So.. Si badi - e ciò è appena evidente leggendo il soprastante passo dell'esame 17.6.2022 di GI. - che quest'ultimo, in realtà, ignora non solo il tenore della telefonata ricevuta dal So. ma finanche il contenuto effettivo della susseguente conversazione So./So.. E' unicamente il So. che sceglie di descrivere agli astanti quanto appena riferitogli annunciando loro che "Am. ha in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate", laddove quanto occorso nel suo ufficio il 4 luglio 2012 è in realtà del tutto compatibile anche con l'avere l'Am. interloquito con l'ispettore Sa. unicamente sulla singola posizione Ca. - Lu. (interlocuzione, questa, che - v. infra - è effettivamente documentata in atti). Al riguardo può darsi che il GI., stante la concitazione del momento, non sia stato poi in grado di ricordare l'episodio con assoluta esattezza (anche e soprattutto perché esso non lo coinvolgeva direttamente in prima persona né coinvolgeva direttamente la Divisione Mercati da lui capeggiata, bensì la Divisione Crediti; ed invero in prima battuta il GI. ha creduto pure di ricordare, cfr. verbale stenotipico 15.6.2022, che fosse presente il MA., salvo correggersi all'udienza successiva del 17.6,2022); può tuttavia darsi, invece, che il So. e/o il So., sempre nella concitazione, avessero realmente frainteso la comunicazione proveniente dal team ispettivo di Banca d'Italia; o infine può anche darsi che il predetto So. avesse esagerato apposta, di sua iniziativa, nel riassumere agli astanti quanto udito al telefono dal So. (che prontamente glielo aveva riportato), e ciò magari al fine di poter più efficacemente "maltrattare" in pubblico il frattanto convocato Am. sì da indurlo a ben comprendere, in via preventiva e una volta per tutte, cosa egli non avrebbe mai dovuto riferire al team ispettivo. Sta di fatto - e ciò è un dato del tutto pacifico - che nemmeno l'imputato MA. nè il teste Am. si sono mai lontanamente spinti a sostenere, in sede dibattimentale (l'Am. non lo ha fatto neppure nel separato procedimento pendente a carico di Sa.So.: cfr, pagg. 40-41 e 93-99 del relativo verbale stenotipico 8.3.2022), che tutti e 30 i nomi della lista scritta dei primi soci per numero di azioni detenute, fatta avere at team ispettivo, corrispondessero ad altrettante operazioni di finanziamento correlato. Tanto il MA. quanto l'Am. hanno infatti sempre sostenuto di avere detto al team ispettivo (circostanza, tuttavia, per tutto quanto detto sopra, non riscontrata) che la metà circa di tali posizioni corrispondeva a operazioni di finanziamento correlato. Basti, del resto, soffermarsi sul fatto che quella "lista dei 30 primi soci" annoverava per certo anche nominativi di grossi azionisti, come ad esempio Am., mai resisi destinatari di finanziamenti correlati; tale ultima circostanza è confermata proprio dall'imputato GI. (in questo caso con la piena cognizione di causa derivantegli dal suo ruolo di responsabile della Divisione Mercati) in altra parte del suo esame reso nel presente grado di giudizio: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico 15.6.2022, esame di Em.Gi. reso in grado di appello: ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema". Finanche il teste Am. afferma costantemente, tanto nel presente giudizio così come in quello pendente a carico di Sa.So., che, al momento del tormentato rendez vous con il D.G. So. (il quale gli si era rivolto con tono aggressivo alla presenza di GI., di So. e di alcune altre persone intimandogli di dire cosa avesse riferito agli ispettori) egli aveva parlato funditus con l'ispettore Sa. soltanto della posizione Ca.-Lu., per il resto limitandosi - a suo dire - a raccontargli a voce, genericamente, che quella posizione (concretamente connotata da un ordine di acquisto azioni anteriore di alcuni giorni alla delibera del CdA di erogazione del finanziamento di 21 milioni di Euro successivamente emessa, in ddta 20.12.2011, sulla base di una P.E.F. del 19-12.2011, nonché connotata dall'addebito sul conto Ca.-Lu., avvenuto in data 30.12.2011, del pressoché coincidente importo di Euro 20.038.400,00= per comprare azioni B.) non era un episodio isolato. Si vedano, sul punto, le pagg. 96-97 del verbale stenotipico 11.2.2020 (deposizione resa dal teste Am. in primo grado). In effetti, se vi è un singolo punto della contraddittoria deposizione del teste Am. in sé dotato di intrinseca coerenza (e, soprattutto, di riscontri documentali), esso attiene all'essersi egli interfacciato con l'ispettore Sa., nella data del 3 luglio 2012 (giorno precedente alla sua tumultuosa convocazione ad opera di Sa.So. originata dalla telefonata di un componente del team ispettivo ricevuta da Ma.So.), a proposito della posizione Catta neo-Lu., esaminata dal Sa. in quanto facente parte dell'originario elenco di 100 nominativi inizialmente fornito al team ispettivo e connotata, oltre che dalla coincidenza di importi, dalle peculiari sfasature temporali di cui poco sopra si è detto. Sempre l'Am. ha sostenuto, in entrambe le sue deposizioni, che il Sa. in data 3 luglio 2012 gli chiese, per integrare le proprie cognizioni su tale posizione, la copia dell'ordine di acquisto delle azioni e che egli, ottenutolo tramite il collega Fi.Ro. della Gestione Soci, lo fece avere - sempre in data 3 luglio 2012 - all'ispettore, il quale, esaminandolo, gli evidenziò l'anomalia dell'anteriorità dell'ordine di acquisto suddetto rispetto alla data della P.E.F. e della susseguente delibera del CdA. I riscontri documentali a tale circoscritto segmento della deposizione Am. si rinvengono, oltre che nel già citato doc, 509 del P.M., nei docc. 506 e 507 del P.M., corrispondenti il primo a una e-mail inviata dall'Am. all'ispettore Sa. in data 3 luglio 2012 e il secondo alla successiva trasmissione in pari data all'Am., da parte del suo collega Ro., dell'ordine di acquisto azioni posto in essere il 16.12.2011 dai coniugi Ca.Lo. e Lu.Ro.: - doc. 506: e-mail inviata da Ci.Am. martedì 3 luglio 2012 ad ore 13.12 a Ge.Sa., avente quale oggetto "NOMINATIVO (...) Ca.Lo. LU.RO.", del seguente tenore: - Gent.mo Dottore, sono passato per fornirle la risposta ma ipotizzo che fosse a pranzo. Quando sarà libero ripasserò. Andrò a pranzo tra le 14.00 e le 1430. Mi faccia sapere. Cordiali saluti"; - doc. 507: e-mail inviata da Fi.Ro. martedì 3 luglio 2012 ad ore 17.01 a Ci.Am., avente quale oggetto "Azioni Bp. - Ca./Lu.", del seguente tenore: "Cl., in allegato copia degli ordini di acquisto dei nominativi in oggetto (...)"; - doc. 509: e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. mercoledì 4 luglio 2012 ad ore 15.47, testualmente intitolata "RICH IO. ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alfa verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El.Sr., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata". Lo stesso teste ispettore Ge.Sa., in entrambi i suoi esami dibattimentali, pur dichiarando di non ricordare bene il tenore delle sue interlocuzioni con l'Am., ha affermato di ritenere "probabile", proprio alla luce delle anzidette e-mail, che vi fosse stata una interlocuzione fra sé e l'Am. riguardo alla posizione Ca.-Lu., ma ciò sempre e solo in un'ottica finalizzata (nel perimetro circoscritto dell'accertamento ispettivo) alla verifica del rischio e del merito creditizio, destandogli sospetto in tal senso la peculiare sfasatura temporale riscontrata tra la data dell'ordine di acquisto azioni, la delibera di fido del CdA e l'effettivo acquisto delle azioni per pressoché pari ammontare: cfr. al riguardo rispettivamente pag. 67 del verbale stenotipico 21.1.2020 nonché pag. 100 del verbale stenotipia) 8.3.2022 nel separato procedimento a carico di Sa.So.. In ultima analisi non è affatto dimostrato che la telefonata fatta da un qualche componente del team ispettivo in data 4 luglio 2012 a Ma.So. (che per parte sua nulla ha detto al riguardo nel corso del suo esame) vertesse su qualcosa di diverso dalla certa e documentata interlocuzione Sa./Am. sulla singola posizione Ca.-Lu.; interlocuzione a sua volta originata, peraltro (e sul punto le affermazioni del teste Sa. sono in sé plausibili, come detto), dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la solvibilità di soggetti che presentavano la "stranezza" estrema di un ordine di/ acquisto azioni effettuato prima ancora di disporre della provvista necessaria, il che, nell'ottica dell'ispezione del 2012 mirata alla valutazione del rischio di credito, poteva senz'altro rappresentare un forte indice di allarme circa "essere stato loro riservato un trattamento dì favore per nulla meritato". Totalmente destituito di fondamento - e in alcun modo conforme all'effettivo contenuto, sopra passato in rassegna, delle dichiarazioni rese da Em.Gi. sull'argomento - è dunque l'assunto della difesa secondo cui il GI. "ricorda come siano state mostrate una trentina di posizioni con 234 milioni di finanziato" (cfr. pag. 30 memoria conclusiva depositata dalla difesa MA. il 30.9.2022). Alla stregua del complesso di considerazioni fin qui svolte merita dunque piena condivisione la conclusione, cui è giunto il tribunale berico, circa la mancata prova del preteso "disvelamento" al team ispettivo - da parte dell'imputato MA. e/o del teste Ci.Am., suo subalterno - di una prassi concernente la stipula di una serie di operazioni di finanziamento correlato. D'altra parte osserva questa Corte che il preteso - ma nient'affatto provato, per tutto quanto detto - "disvelamento" spontaneo agli ispettori di Banca d'Italia, da parte del MA. e dell'Am. nel luglio 2012, di 14 posizioni di finanziamento correlato (in un momento in cui il team ispettivo aveva manifestato perplessità solo in ordine alla singola posizione Ca.-Lu. in quanto connotata dall'essere stato effettuato l'ordine di acquisto azioni prima ancora di entrare nella disponibilità della relativa provvista) costituirebbe oltretutto una circostanza per nulla coerente con quello che invece risulta essere stato, secondo quanto già visto supra l'atteggiamento ben preciso e reiterato del MA. nel corso degli anni, improntato (in maniera, viceversa, del tutto coerente con la sua dimostrata piena consapevolezza del mancato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio dì vigilanza) a una costante raccomandazione nel senso di evitare di allertare gli organismi di vigilanza circa l'effettuazione stessa delle operazioni "baciate". Vanno infine disattese le considerazioni svolte dalla difesa del MA. alle pagg. 149-154 dell'atto di appello sotto la rubrica "COMPREHENSIVE ASSESSMENT EASSET QUALFTY REVIEW", che è il solo paragrafo dell'atto impugnazione concernente le interlocuzioni con la vigilanza avute dall'imputato dopo l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 e prima del suo trasferimento (avvenuto in data 18.12.2014) alla siciliana Ba.Nu.. A tale tema sono dedicate per la specifica posizione MA. le pagg. 692-693 della gravata sentenza (mentre una sua più diffusa trattazione, non concernente il solo MA., è contenuta nel cap. IX della stessa sentenza, cfr, in particolare le sue pagg. 476-519); ivi si evidenzia efficacemente quale sia stato, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, l'atteggiamento - del tutto silente quanto al fenomeno delle operazioni di finanziamento correlato - tenuto dal MA. durante le sue interlocuzioni con i testi Ma.Pa. e Vi.Ca. in base alle deposizioni dei predetti (esame Pa.: cfr, verbali stenotipia d'udienza 28.11.2019 e 29.11.2019, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alle pagg. 8-9 del verbale 29.11.2019, nonché cfr, appunto in atti sub doc. 451 del P.M., a firma dello stesso Pa., acquisito al fascicolo del dibattimento; esame Ca.: cfr. verbale stenotipico d'udienza 16.1.2020, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alla sua pag. 41). Ebbene, la difesa, nell'indicato paragrafo dell'articolato primo suo motivo di appello, non si confronta minimamente con le ora illustrate emergenze processuali se non per rivendicare: - il carattere non ispettivo, bensì di mero esercizio avente natura prevalentemente prudenziale e non contabile, dell'AQR; - l'impossibilità per il MA. di riferire, in tali sedi, circa fenomeni (gli storni, le lettere di impegno) di cui egli, come detto nel suo esame, v. saprà, avrebbe appreso solo nel 2015 una volta uscito da B.. Nessuno di tali argomenti ha pregio. Sotto il primo dei due profili si veda anzitutto la definizione che dell'AQR fornisce la Banca d'Italia nella sua "nota tecnica sulle modalità di conduzione dell'esercizio di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment)" datata 26 ottobre 2014 (...), ove da un lato-lato - come evidenzia l'appellante - afferma trattarsi di un "esercizio di natura prevalentemente prudenziale, non contabile", ma dall'altro lato evidenzia, fra le altre cose, che "l'AQR può comportare esigenze di capitale, qualora gli accantonamenti addizionali (che derivano o da un insufficiente provisioning sulle posizioni già classificate come deteriorate o dal passaggio da posizioni in bonis verso non deteriorate) portino il coefficiente di patrimonio di migliore qualità (CET1 ratio; al di sotto della citata soglia dell'8 per cento". Del resto lo stesso teste Ca. ha chiarito a più riprese non trattarsi, tecnicamente, di un'ispezione (v. ad esempio, con particolare forza, a pag. 55 del verbale stenotipico cit.) precisando nondimeno (v. pag. 34 ibidem) che "... tutto il 2014, come probabilmente molti sanno, è stato... l'attività di vigilanza è stata impegnata, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei, a svolgere questo Comprehensive Assessment, che avrebbe dovuto essere, sostanzialmente, un esercizio che chiariva con estrema precisione quali fossero esattamente I problemi del sistema bancario europeo, che creasse, come dire, un livello comune tra tutti i Paesi europei che fino allora avevano delle norme, prassi, legislazioni assolutamente disparate, e che si concludesse con una comunicazione in qualche modo al mercato delle eventuali esigenze di capitale che sarebbero emerse da questo esercizio. Nell'ambito di questo Comprehensive Assessment, che ha impegnato praticamente tutte le strutture della Banca d'Italia, è stato previsto anche un accesso, che in Italia è stato fatto essenzialmente da ispettori e da membri delle società di revisione, presso le banche per compiere una parte di questo Comprehensive Assessment, che è la cosiddetta "Asset Quality Review", ossia una revisione degli attivi delle banche che in realtà si è indirizzato, si è focalizzato prevalentemente nell'esame dei crediti Trattasi dunque, in ogni caso, inequivocabilmente, dello svolgimento di un'attività rientrante a pieno titolo nella nozione di "vigilanza", come ancor più efficacemente esplicitato dallo stesso teste Ca. più avanti nel corso del suo esame nell'illustrare le possibili ed eventuali concrete conseguenze pregiudizievoli, per l'istituto di credito, degli esiti di detto esercizio (v. pag., 60 ibidem): "TESTIMONE CA. - No, il modello... Attenzione. No, io ho detto, vorrei essere preciso, io ho detto: attenzione che la costruzione dell'Asset Quality Review, molto mirata al segmento creditizio, inevitabilmente e più, come dire, blanda, queste parole del Governatore, non mie, sotto il profilo della finanza, sicuramente finisce per essere più pericoloso per un intermediario tradizionale, per un mondo bancario tradizionale come quello italiano che per quello estero. A noi, tutto sommato, se l'Asset Quality Review fosse stata improntata a una severa analisi dell'attività finanziaria delle banche, le banche italiane ne sarebbero uscite alla grande perché non hanno di fatto... perché fanno un lavoro un po' più normale le banche italiane". Sotto il secondo dei due profili basti infine ricordare come supra si sia ampiamente argomentato circa la non rispondenza al vero dell'assunto del MA. secondo cui sarebbe giunto a conoscenza dell'esistenza degli storni e delle lettere di impegno solo nel 2015 una volta uscito da B.. Il trattamento sanzionatorio Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte l'imputato Pa.Ma. va dichiarato assolto: - dai reati di falso in prospetto di cui ai capi I e L per non aver commesso il fatto; - dai reati di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi H1 e M1, limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014, per non aver commesso il fatto, fermo restando che, quanto al capo M1 (e analogamente è a dirsi per il capo B1), si ritiene integrata - v. parte generale della presente sentenza, par. 9 - la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Va altresì dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto MA. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo Al, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; si impone invece nei suoi confronti la declaratoria di penale responsabilità per quanto residua della contestazione di aggiotaggio, atteso l'apporto causale comunque fornito dall'imputato - in relazione ad essa - anteriormente alla cessazione del rapporto dì lavoro con B. avvenuta in data 18.12.2014. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art. 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni due mesi sei di reclusione (stante l'assoluzione del MA. da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014), aumentata di complessivi mesi dieci e giorni 15 per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori, reati di ostacolo dì cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1 e G1; di mesi uno per il reato di ostacolo sub capo M1 stante la sua assoluzione da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014; di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve infatti evidenziarsi, come già detto saprà, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, dì applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. Va conseguentemente revocata nei confronti dell'imputato MA., stante la determinazione della pena base per il capo H1 in anni due mesi sei di reclusione, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, posto che - notoriamente - ai fini dell'applicazione della suddetta pena accessoria, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito dell'eventuale diminuzione per la scelta del rito, qui non ricorrente, e non già alla pena complessiva risultante dagli aumenti operati a titolo di continuazione (cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado e altri; Cass. Pen. Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana e altri). 14.1.3. L'appello nell'Interesse di Pi.An. Il gravame proposto dalla difesa di Pi.An. è parzialmente fondato; ciò con riguardo alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa. Nelle restanti sue parti il gravame del PI. è infondato, fermo restando che, quanto ai capi I e L di rubrica - corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto contestate come commesse nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta maturato il termine di prescrizione, con conseguente pronuncia di non doversi procedere - in relazione a tali due capi - per sopravvenuta loro estinzione. Preliminarmente va dato atto che sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte, vuoi nella propria ordinanza 18.5.2022 vuoi nella suestesa parte generale della presente sentenza, alle quali dunque senz'altro si rinvia in toto, le seguenti questioni trattate dalla difesa PI. nel suo atto di appello e nei motivi nuovi depositati il 5.4.2022: - eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti per nullità della notifica dell'avviso ex art, 415 bis c.p.p, in relazione ai reati relativi ai fatti concernenti l'anno 2015 di cui ai capi M1 e N1 (eccezione sollevata dalla difesa PI. in grado di appello - associandosi a quella analoga già svolta in precedenza dalla difesa MA. - all'udienza del 16 maggio 2022); si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di incompetenza territoriale (cfr. paragrafo 11 dell'atto di appello, pagg. 146 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, pan 7; - eccezione di non acquisibilità e, comunque, di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pagg. 90 e ss.): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - richiesta subordinata di espletamento di una perizia sull'anzidetto file audio (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pag. 93): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di formale inutilizzabilità processuale delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro. per violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. in quanto soggetti indagabili per reato connesso o che addirittura, nel caso del teste Ma., sarebbero già indagati, secondo la difesa, per reato connesso (cfr. paragrafo 2 dell'atto di appello, pagg. 8 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di violazione del principio nemo teneturse detegere (cfr. paragrafo 10 dell'atto di appello, pag. 146, nonché motivi nuovi d'appello) e del principio del ne bis in idem sostanziale (cfr. motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, par. 11. Al netto di tali questioni si può dunque passare alla trattazione delle seguenti residue parti dell'atto di appello nonché dei motivi nuovi di appello (questi ultimi invero, per tutto quanto fin qui detto, rimangono di fatto circoscritti, ormai, alla valutazione dell'attendibilità, nonché della coerenza intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni - pienamente utilizzabili, giusta ordinanza 18.5.2022 di questa Corte - rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.): - primo motivo (par. 1, pagg. 4-7 dell'atto dì appello): nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p., per omessa considerazione delle argomentazioni difensive, con particolare riguardo a quelle esposte nelle note d'udienza del 19.1.2021; - secondo motivo (par. 2, pagg. 8-15 dell'atto di appello): carenza assoluta di motivazione in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di attendibilità e coerenza, intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.; - terzo motivo (par. 3 articolato nei sotto-paragrafi 3.1-3,10, pagg. 15-97 dell'atto di appello): malgoverno delle prove da parte del primo giudice con/ riguardo a tutte le ipotesi di reato per le quali l'imputato ha riportato condanna; - quarto motivo (par. 4, pagg. 98-103 dell'atto di appello): nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At., non essendo tali condotte ricomprese, in tesi difensiva, in alcuno dei capi d'imputazione; - quinto motivo (par. 5, 6, 7, 8, pagg. 103-139 dell'atto di appello): contestazione anche nel merito, in subordine, della fondatezza dell'accusa con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.; - sesto motivo (par, 9, pagg. 139-142 dell'atto di appello): insussistenza di un concorso del PI. nell'asserita "prassi" dell'effettuazione in seno a B., ad opera di Divisioni non rientranti nella competenza dell'imputato, di operazioni di finanziamento correlato (c.d. "operazioni baciate"); insussistenza di un suo concorso ex art. 110 c.p.p., conseguentemente, nei reati di aggiotaggio, di manipolazione tanto informativa quanto operativa, di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto; in subordine mancata prova dell'elemento soggettivo dei reati stessi; - settimo motivo (par, 10, pagg. 142-146 dell'atto di appello): trattamento sanzionatorio. Tali motivi, come detto, non sono fondati (tranne quanto già detto supra circa il numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa - con ogni relativa conseguenza - e salva restando la declaratoria, in ordine ai capi I e L riguardanti altrettante fattispecie di falso in prospetto, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Per esigenze di migliore organizzazione espositiva si procederà anzitutto alla trattazione delle eccezioni di nullità costituenti l'oggetto dei motivi rispettivamente primo e quarto, passando indi a una trattazione congiunta, articolata secondo i singoli filoni di concreta operatività contestati all'imputato dall'Accusa, dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto fino a concludere con il trattamento sanzionatorio (settimo motivo). 14.1.3.1. L'eccezione di nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p.. L'eccezione è infondata. Anche a voler prescindere, infatti, da ogni considerazione in ordine alla sussistenza o meno, nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice, di una implicita valutazione delle considerazioni che la difesa aveva consegnato alla memoria depositata il 19.1.2021 (e, più in generale, degli elementi probatori che la medesima difesa aveva introdotto ritenendoli meritevoli di valutazione con riferimento alla posizione processuale dell'imputato PI.) è decisivo osservare come, al di là di isolate e risalenti pronunce di segno contrario (oltre a Cass. Pen. Sez. 1, n. 31245 del 7.7,2009, Pa., constano le sentenze Cass. Pen. Sez. 6, n. 13085 del 3.10.2013 dep. 20.03.2014, Am. e altri; Cass. Pen. Sez. 1, n. 37531 del 07.10.2010, Pi.; Cass, Pen. Sez. 1, n. 45104 del 14.10.2005, Ru.; Cass. Pen. Sez. 1, n. 23789 del 06.05.2005, Ma.), costituisca opinione oramai consolidata nella più recente giurisprudenza di legittimità quella secondo cui la mancata valutazione di memorie difensive (e, più in generale, di elementi probatori valorizzati dalla difesa) non costituisca affatto causa di nullità della sentenza impugnata bensì possa unicamente integrare un vulnus alla congruità e alla correttezza logico-giuridica della relativa motivazione, pregiudicandone la tenuta (cfr. - fra le moltissime - Cass. Pen. Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Ol.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 24437 del 17.1.2019, Ar.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 23097 dell'8.5.2019, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 18385 del 9.1.2018, Ma. e altro; Cass. Pen. Sez. 2 n. 14975 del 16.3.2018, Tr. e altri; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5075 del 13.12.2017 dep. 2.2.2018, Bu. e altri; Cass. Pen. Sez. 5, n. 51117 del 21,9,2017, Ma.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4031 del 23.11.2015 dep. 29.01.2016, Gr.), e, in tal guisa, fondare ragioni di critica destinate "ove debitamente riproposte nell'atto di appello, com'è avvenuto in questo caso - ad essere adeguatamente considerate dal giudice dell'impugnazione. Ad avviso dì questa Corte trattasi di orientamento del tutto persuasivo (oltre che, ormai, largamente maggioritario e più aggiornato) in quanto coerente per un verso con il principio della tassatività delle nullità e per altro verso con la funzione, propria delle memorie difensive (sulle quali, peraltro, diversamente da quanto previsto per le "richieste", non è previsto l'obbligo per il giudice di provvedere, ex art. 121, co. 2, c.p.p.), di ampliamento non già dell'ambito della decisione bensì della relativa argomentazione. A ciò consegue il rigetto della sollevata eccezione di nullità. 14.1.3.2. L'eccezione di nullità della gravata sentenza ex art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.. L'eccezione di nullità in esame si basa sul fatto che tali specifiche manifestazioni dell'operatività del PI. (sulle quali ci si diffonderà ampiamente infra passando, nel par. 14,1.3.5., all'esame del merito), avendo natura di investimento in fondi esteri unknown exposure e non già natura di erogazione di finanziamenti a soggetti terzi, in nessun modo potrebbero rientrare nell'ambito dei capi d'imputazione formulati a suo carico (il cui testo unicamente all'attività di finanziamento si riferisce), e ciò anche volendo ritenere - seguendo la tesi accusatoria - che attraverso tale investimento in fondi esteri si sia, di fatto, dato vita a una forma di detenzione indiretta di azioni B. (non seguita dallo scomputo integrale del controvalore di esse, viceversa in tal caso dovuto, dal patrimonio di vigilanza). Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità vada disattesa. In primo luogo va osservato che gli apparenti "investimenti" finanziari operati nel 2012 da B. e nel 2013 dalla sua controllata irlandese Fi. nei fondi esteri Op. 1 e 2 e At. non possono definirsi come effettivi investimenti finanziari dal momento che i suddetti fondi, anche al di là del loro essere unknown exposure, sono soprattutto risultati essere non già ordinari fondi collettivi OICVM (caratterizzati da una pluralità dì investitori in essi) bensì entità con riguardo alle quali la stessa B. (ovvero, nel caso di Op., la sua controllata irlandese Fi.) era l'unico "investitore", rectius l'unico soggetto ad iniettare denaro nei loro comparti, i quali peraltro - si badi - alla banca stessa erano, a loro volta, dedicati. Si veda al riguardo - rinviandosi, per una assai più dettagliata disamina, all'esame del merito che verrà condotto infra nel par. 14.1.3.5, - il doc. 418 del P.M. (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: - Atta data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedeva (no) la costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti". Da tale circostanza discende che le relative operazioni - seppur basate, nel loro essere comunque connotate da analoghe finalità e analoghi risultati, su un meccanismo più sofisticato rispetto a quello dell'"ordinaria" pratica dei finanziamenti correlati - sono assai più assimilabili, in concreto, ai suddetti finanziamenti correlati di quanto non lo siano a un investimento finanziario in fondi OICVM. Di fatto, a ben guardare, l'operatività è realmente analoga nell'uno e nell'altro caso: - il comparto del fondo "non OICVM", dedicato alla banca, nel ricevere da questa - suo unico soggetto sottoscrittore - l'iniezione di denaro (corrispondente, per quanto detto sopra, a quello che solo formalmente appare come un ordinario investimento in un fondo), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario dì tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio; - il singolo soggetto finanziato, nel ricevere dalla banca l'iniezione di denaro (corrispondente a quella che solo formalmente appare come un'ordinaria erogazione di finanziamento, dal momento che quest'ultimo non può essere liberamente impiegato per i più disparati scopi ma è vincolato ad essere impiegato nell'acquisto di azioni della banca erogatrice), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario di tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio. Tale accentuata assimilabilità dell'uno all'altro meccanismo fa sì che in ispecie ci si mantenga ampiamente entro il rispetto dei requisiti posti dalla più rigorosa giurisprudenza di legittimità espressasi in subiecta materia, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica ogni qual volta "il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa". In tal senso cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022, Ta., nonché, sempre in motivazione, l'ivi richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 dep. 03/02/2016, Ad. e altri, secondo cui ricorre la nullità quando "Va descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità (Cass. Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Rv. 256785), o, può soggiungersi, eccentricità, rispetto alla primigenia accusa. In quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata". In senso sostanzialmente conforme cfr., anche Cass. Pen. Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Co., secondo cui sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità tali da dare luogo un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa. L'eccepita nullità pertanto non ricorre nel caso in esame, e ciò anche non volendo aderire ad altro e più permissivo orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non può ritenersi diverso il fatto che pure presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia comunque emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia comunque avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (in tal senso cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, occupatasi di una fattispecie in cui la responsabilità per il reato di partecipazione a sodalizio criminale di stampo mafioso è stata riconosciuta in ragione del contributo arrecato dall'imputato al fatto estorsivo altrui, emerso solo a seguito dell'istruttoria, e non invece per la condotta di ausilio alla latitanza di uno degli esponenti di vertice del clan, originariamente ascrittagli; analogamente cfr., Cass. Pen. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di. e altro; Cass. Pen. Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Cr.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lu. e altri). Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte deve dunque ritenersi infondata, sotto ogni profilo, l'anzidetta eccezione difensiva di nullità. 1.4.1.3.3. La conoscenza in capo a Pi.An. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte. Molteplici sono gli elementi probatori dai quali si evincono tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte, finalizzata a consentire di escludere dal computo del patrimonio di vigilanza il controvalore delle azioni B. - via via sempre più illiquide - acquistate con la relativa provvista dai soggetti all'uopo finanziati. Ad avviso di questa Corte un'evidenza particolare - e inequivoca - in tal senso è rivestita come minimo dai seguenti elementi fra loro convergenti: a) gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa gli argomenti trattati nel Comitato dì Direzione dell'8.11.2011 (doc. 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp intercorso tra An.Pi. e il d.g. Sa.So. (doc. 810 del P.M.); b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014; c) la vicenda "So."; d) la vicenda Ta.; e) l'appunto redatto per iscritto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020; f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022) dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui credibilità e coerenza come propalante già si è detto supra nella parte generale - par. 13 - della presente sentenza; g) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P.M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi il giorno seguente, 4 maggio 2015, tra il GI. e il presidente di B. Zo.Gi. (per inciso appena due giorni dopo, ossia il 6 maggio 2015, come si evince dall'appunto manoscritto redatto al riguardo dallo ZO., in atti sub doc. 855 del P.M., toccò al PI. incontrarsi con il predetto ZO., in Roma, a seguito - cfr. pag. 105 esame PI. del 3.3.2020 - di sua diretta convocazione ad opera del Presidente di B.; tali incontri dì ognuno dei due vice direttori generali con lo ZO. furono prodromici al loro allontanamento da B., concretizzatosi per ciascuno di essi nella redazione, in sede sindacale ex art, 412 ter c.p.c., di separati verbali di conciliazione datati 8.6.2015, in atti rispettivamente sub docc. 668 e 669 del P.M., attestanti l'accordo ivi raggiunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - autorizzata dal CdA il 4.6.2015 - con decorrenza 3.6.2015); h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'I.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (cfr, pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Scendendo nei dettagli: a) Gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa all argomenti trattati nel Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (doc, 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp tra An.Pi. e il d.a. Sa.So. (doc. 810 del P.M.). Il doc. 389 del P.M., è un appunto manoscritto redatto dal teste Ma.So. (ex ispettore di Banca d'Italia entrato nel 2008 in B. con mansioni di responsabile della Direzione Segreteria e Affari Generali, indi Direzione Segreteria Generale, privo dunque, in B., di effettive competenze a livello operativo e decisionale) ai finì della successiva verbalizzazione - compito quest'ultimo al quale il So. era istituzionalmente preposto - e concernente la seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, al quale era presente anche Pi.An.; in tale documento manoscritto si legge fra l'altro (cfr. suoi fogli 1 e 2): Omissis Dallo stesso tenore letterale del suddetto doc. 389 del P.M. si evince già con sufficiente chiarezza che in quel passaggio del Comitato di Direzione 8.11-2011, essendo stata rappresentata agli astanti l'esigenza dì reperire capitale aggiuntivo - in ragione di 110 milioni di euro - per raggiungere l'obiettivo (8% di Tier 1) indicato dal responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. ed essendosi tuttavia ormai giunti in prossimità della fine dell'anno, fra i presentì tanto Um.Se. (all'epoca vice direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 2012; il Se. ha, in veste di teste, dichiarato alquanto implausibilmente - cfr. pagg. 24-25 verbale stenotipico 31.10.2019 - di non ricordare nulla di tale Comitato di Direzione 8.11.2011 pur dopo aver avuto in visione il doc. 389) quanto Fr.To. (già direttore generale della controllata toscana Ca.Ri., indi fusa per incorporazione in B.; all'epoca egli era il direttore regionale dell'area Toscana di B.) ebbero in sostanza a dire che l'unica maniera possibile di centrare in così poco tempo (di fatto appena una trentina di giorni lavorativi o poco più, al netto del periodo natalizio) un sì ambizioso obiettivo sarebbe stata quella di porre in essere operazioni c.d. "baciate", ossia di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Tale dato letterale, già evidente di per sé, è ulteriormente suffragato dai seguenti elementi: - la deposizione esplicativa (cfr. pagg, 46 e ss. del verbale stenotipico 26.10.2019) resa dall'estensore stesso dell'appunto manoscritto sub doc. 389, ossia il teste Ma.So., che, diversamente da quanto sostiene la difesa, non si ha qui ragione di ritenere inattendibile (tanto meno inutilizzabile: v. sul punto l'ordinanza collegiale 18,5,2022); il fatto - rivendicato dalla difesa - che il So. provenisse da un'esperienza professionale trascorsa per quasi trent'anni in Banca d'Italia, di cui la metà con funzioni ispettive, e avesse dunque senz'altro la piena contezza della vastità ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in B., non muta la sostanza dei fatti, ossia l'assenza di competenze operative e decisionali di sorta in capo al predetto So.. in effetti assunto dalla banca vicentina con compiti di tutt'altra natura (responsabile della Direzione della Segreteria Generale, cui si era affiancata, più avanti nel tempo, la titolarità dell'Ufficio Reclami) i quali involgevano - tra l'altro - la verbalizzazione delle sedute collegiali; - la deposizione, assai particolareggiata e lineare sul punto, resa in dibattimento dal teste assistito (poiché indagato nel procedimento 7362/2018 RGNR per il reato, interprobatoriamente collegato, di false informazioni al Pubblico Ministero) Fr.To. (cfr. pagg. 17-18 verbale stenotipico 9.11.2019). In verità (e ciò ulteriormente rafforza, ex post, l'interpretazione del già ben poco equivocabile testo del doc, 389 del P.M.) l'ambizioso obiettivo in questione fu poi effettivamente centrato grazie - per l'appunto - a un vero e proprio "cambio di passo" bruscamente impresso all'attività dì collocamento delle azioni. In concreto l'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011 risultò infatti finanche superiore ai 110 milioni di Euro emersi come "fabbisogno" della banca nel corso del Comitato di Direzione 8.11.2011; cfr. al riguardo i dati obiettivi esposti alla pag. 643 della gravata sentenza: "... La CT della pubblica accusa attesta infatti che al 31 dicembre 2010 le operazioni di capitale finanziato ammontano ad Euro 50 mln; esse registrano un cospicuo incremento nei 2011 raggiungendo l'importo di Euro 243 min. Significativo del cambio di passo impresso alla rete dopo la riunione del novembre 2011 è il raffronto tra l'importo del capitale finanziato al 30 ottobre 2011 pari ad Euro 109.912.486 ed il dato dei mesi di novembre e dicembre 2011f in cui si registrano operazioni finanziate pari ad Euro 134.712.500 (cfr, CT P.M.)". Ebbene, una volta assodato - in base alle considerazioni fin qui svolte - che nel Comitato di Direzione 8.11.2011 si parlò realmente dell'effettuazione di operazioni "baciate" quale unico mezzo per poter conseguire, secondo quanto poi in effetti avvenne, lo sfidante obiettivo ivi indicato come da raggiungere necessariamente entro fine anno, si osserva: a) che An.Pi. era ivi presente; b) che non risultano agli atti sue manifestazioni di stupore, né tantomeno di indignazione o comunque di dissenso rispetto alla linea così tracciata; c) che anzi, al contrario, proprio mentre ciò accadeva il PI. ebbe a scherzare ironicamente con il So. inviandogli un messaggio (in atti sub doc. 810 del P.M.) del seguente tenore: "Quelle di To. sono baciate... tra uomini, che vanno coccolati" al che il So. replicava, dopo nemmeno un minuto, "Come discorso". In ogni caso, come si vedrà subito infra, risultano dimostrati nel presente giudizio non solo il fatto che il PI. ben conoscesse - come minimo sin da allora - il fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" ma finanche il diretto coinvolgimento del predetto, negli anni a ciò immediatamente seguenti, in singole operazioni di finanziamento correlato condotte in prima persona, b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Già si è ampiamente illustrato supra il contenuto del file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) contenente la registrazione del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Con riguardo alla posizione PI. non può che ribadirsi dunque ancora una volta, nel rinviare, per il resto, soprattutto alla parte generale (paragrafo 12 della presente sentenza) nonché ai paragrafi relativi alle posizioni degli imputati GI. e MA., tutto quanto già da questa Corte ivi affermato e ampiamente argomentato - con l'ausilio di plurime citazioni di passi della relativa trascrizione, l'interpretazione dei quali, come già si è detto e y diversamente da quanto hanno sostenuto la difesa e lo stesso imputato PI. in sede di esame e dì dichiarazioni spontanee, non lascia davvero adito a dubbi di sorta - circa il fatto che: - dinanzi al consesso dei vice direttori generali, incluso il PI. che, al pari dei colleghi, non ebbe a manifestare stupore alcuno né frappose contrarietà di sorta, vennero affrontati e discussi dal d.g. Sa.So. nella maniera più aperta possibile (ma al tempo stesso con la consegna del silenzio più assoluto verso l'esterno, motivata dal So. anche con la recente pubblicazione di alcuni allarmanti quanto apparentemente ben informati articoli di stampa: cfr, pagg. 30-31 trascrizione cit.) i temi: a) dell'illiquidità dell'azione B. (con il GI. il quale, accorato, ricordava a sua volta - cfr. pag. 78 trascrizione cit. - che "... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sui "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno letto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"); b) del ricorso che fino a quel momento si era fatto, proprio al fine di ovviare a tale illiquidità e per un complessivo ammontare indicato dal d.g. Sa.So. in "un miliardo e 2" (cfr. pag. 34 trascrizione cit.), ai finanziamenti correlati "apposta per fare" (ibidem), per lo più tuttavia erogati a imprenditori vicentini sicché si rendeva necessario diversificare, sempre secondo il So., tale platea rivolgendosi anche ad altre realtà territoriali; c) dei possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per perseguire detta finalità (dovendosi tenere conto, ad un tempo: dei nuovi stringenti limiti quantitativi apposti ex lege all'entità del fondo riacquisto azioni proprie; del crescente e ormai imponente numero di reclami e di domande pendenti di vendita di titoli presentate dagli azionisti B.; dell'urgente necessità di trovare quanto prima una diversa collocazione al notevole quantitativo di azioni B. risultate ancora indirettamente detenute dai fondi esteri Op. e At.); - anzi fu proprio il PI., in quella sede, a ostentare semmai un atteggiamento cinico e beffardo di fronte alla prospettazione, da parte del collega GI., dei possibili rovinosi effetti delle scelte operate da B. al fine di mascherare la pesante illiquidità del suo titolo (cfr. pagg. 76-77 trascrizione cit.: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni ... son 15 milioni l'anno, (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"); - in quella sede il PI., nella trascrizione indicato come "VM10", e il So. (cfr. pagg. 38-41 trascrizione cit.) ebbero - con l'intervento anche del MA., sempre particolarmente sensibile, a suo stesso dire, all'esigenza di evitare dì attirare in qualsiasi modo l'attenzione degli organismi di vigilanza (cfr. pagg. 42-44 trascrizione cit.) - a delineare, sia pure in via embrionale, anche il progetto di quella che poi si sarebbe concretizzata come l'operazione "So.", riproponendosi di ricontattare più seriamente "quella persona che abbiamo visto a Roma", da identificarsi (come ha confermato lo stesso PI. pur negando poi, contro ogni evidenza probatoria come già detto nel trattare la posizione MA., trattarsi di finanziamento correlato: cfr. pag. 43 del suo esame 3.3.2020) nel teste Va.Ma. del gruppo "So.", e ciò al fine specifico (cfr. pag. 41 trascrizione cit.: - VM 10 Sì, lì mi libero di ... serviva per liberarsi dei fondi") di trovare quanto prima una nuova collocazione a una rilevante parte di quelle decine di milioni di Euro in azioni B. ancora giacenti, al 10,11,2014, nei comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri Op. e At., sui quali v. infra; - nell'ambito dell'anzidetta ricerca collettiva di possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per ovviare all'illiquidità dell'azione B. il PI., lungi dal manifestare in quel Comitato di Direzione 10.11.2014, come da lui invece sostenuto a mezzo del suo difensore oltre che in sede di spontanee dichiarazioni, ostilità e contrapposizione tout court verso la pratica del finanziamento correlato e/o verso gli obiettivi indicati dal d.g. So. come da perseguirsi ad ogni costo, viceversa ebbe a porsi in un'ottica di cooperazione dialettica col direttore generale, evidenziando pacatamente - dall'alto delle sue riconosciute e indiscusse elevate competenze - gli svantaggi e/o l'impraticabilità sul piano squisitamente tecnico di talune soluzioni ulteriori ipotizzate dal So. e suggerendone delle altre; - in quella sede il PI. diede espressamente atto, nel confermarlo al GI. (indicato nella trascrizione cit. come "VM8") che glielo ricordava (cfr. pag. 40 trascrizione cit.), di avere effettivamente già partecipato con lui in passato alla redazione di talune side letter, strumento del quale il GI.. gli indicava come indispensabile l'adozione (cfr. pag. 40 trascrizione cit.: "Sai, qui, An., bisogna Scusa, apro una parentesi, no? Qui il tema è che la gente ti dice, uno: "Cosa mi rende? Perché lo devo fare?", due: "Se il valore va giù, come mi cautelo?" E, terza cosa, se trovi un accordo, bisogna metterlo su carta, comunque devi fare una side letter, che dovremo firmare io e te ... eh ... come stiamo facendo su altre cose e ... - VM 10 (PI.): Eh, sì, lo abbiamo già fatto, ma... - VM 8: E fare in modo che ... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"; si noti per inciso la piena congruenza con il contenuto dell'appunto manoscritto sub doc. 663 del P.M. - "Trovare formula con An. per baciate" - vergato dallo stesso GI. nella propria agenda, su cui v. meglio infra, proprio nello spazio corrispondente alla data di quel Comitato di Direzione); tale indispensabilità del rilascio di side letter, secondo il GI., derivava dal fatto che nessuno ormai - circolando insistentemente finanche sulla stampa nazionale generalista, da qualche tempo, voci allarmanti circa l'effettivo valore dell'azione B. e circa la sua illiquidità - avrebbe altrimenti più accettato di acquistarne, sia pure utilizzando capitale finanziato, senza ricevere una piena assicurazione al riguardo (cfr. sempre Em.Gi., pag. 78 trascrizione cit.: "... Con questa side letter in cui gli spieghiamo che è cautelato, sennò non te lo comprano questo, perché fuori ... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sul "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno Ietto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"). Sul fatto che con il termine side letter proprio ciò - anche da parte del PI., che, pure, nel presente giudizio lo nega - si intendesse (ossia il rilascio di vere e proprie lettere di impegno al riacquisto delle azioni B. e/o alla corresponsione di interessi attivi quale corrispettivo per la loro detenzione), e null'altro, sì è già ampiamente argomentato supra nei trattare la posizione MA.. La difesa del PI. obietta che il tribunale vicentino non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla congiunzione avversativa "ma ..." pronunciata dal suo assistito nell'occasione, indice a suo avviso di mancata condivisione della tesi del GI.; al riguardo basti osservare che, quand'anche così fosse, questo non varrebbe certo a obliterare il dato, espressamente riconosciuto dallo stesso PI. nel contesto di quel Comitato di Direzione, del pregresso ricorso, anche da parte sua ("Eh, si, lo abbiamo già fatto..."), a tale strumento. Sul tema delle lettere di impegno, inoltre, v. infra per una disamina delle produzioni documentali effettuate al riguardo nel corso dell'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale. c) la vicenda "So.". Con riguardo alla vicenda "So." (episodio ove fu lo stesso An.Pi. in prima persona, come dettagliatamente spiegato dal teste Va.Ma., a condurre un'operazione avente ad oggetto un finanziamento-finanziamento - in, concreto erogato dalla controllata irlandese Fi. - correlato all'acquisto di azioni B. per 25 milioni di Euro, operazione a sua volta finalizzata a consentire l'indispensabile uscita urgente - per pari ammontare - delle suddette azioni dai fondi esteri ove esse erano state, di fatto, rese oggetto di deposito indiretto in virtù di altra precedente operazione sempre posta in essere dal PI., sulla quale v. infra), basti qui richiamare integralmente il complesso delle articolate considerazioni svolte supra a tal proposito nell'esaminare la posizione dell'imputato MA.. Ad esse va aggiunta l'ulteriore, significativa considerazione per cui al prezzo di vendita unitario dell'azione B. praticato all'acquirente in tale operazione fu applicato uno sconto non indifferente (euro 50,00= in luogo del valore ufficiale unitario di Euro 62,50=: cfr. deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, pag, 20), proprio così come era stato ventilato tanto da An.Pi. quanto dal d.g. Sa.So. nell'iniziare a delineare in via embrionale, durante il Comitato di Direzione B. del 10.11.2014, quella che poi si concretizzò come l'operazione "So.": cfr. sul punto pag. 39 della relativa trascrizione, in atti sub doc. 110 del P.M., e pag. 43 dello stesso doc. 110. d) la vicenda Ta.. Altra diretta partecipazione materiale alla "prassi" dei finanziamenti correlati in esame, che viene ascritta - fondatamente - dall'Accusa ad An.Pi., è l'operazione conclusa con l'imprenditore lombardo - operante al confine tra Como e Milano - Ed.Ta., la cui deposizione (cfr. verbale stenotipico 10.12.2019 pagg. 60-73) non è affatto scalfita, nel suo delineare una chiara operazione di finanziamento correlato, dal tenore del controesame svolto dalla difesa dell'imputato. Nel caso in questione il finanziamento - così precisa da subito il teste - era inizialmente stato erogato nella misura di 1 milione di Euro alla società della famiglia Ta. denominata Es. S.r.l. (d'ora in avanti Es.) in data 24.7.2013 da B. su richiesta della stessa Es., che voleva utilizzarlo quale finanziamento ordinario per poter fare dei normali investimenti (non in azioni B.). In seguito, tuttavia, proprio il PI. (assieme a Vi.Pi., ex direttore della filiale Cr.It. - come tale noto a Ed.Ta. - frattanto divenuto consulente commerciale per B.) ebbe, in una conversazione a tre che il teste Ta. non riesce a collocare esattamente nel tempo ma comunque successiva non di molto all'erogazione del finanziamento, a chiedere che invece Es. destinasse quel milione di Euro all'acquisto di azioni B.. Il teste Ed.Ta. è chiaro e lineare nell'affermare, in sede di esame diretto, che i due, tanto Pi. quanto PI., insistettero congiunta mente con lui affinché quel finanziamento in origine non correlato all'acquisto di azioni B. divenisse, di lì a poco tempo (l'arco temporale è comunque modesto benché non quantificato - lo si ripete - con assoluta puntualità dal teste; inizialmente il Ta. afferma di non ricordare bene; indi lo colloca nel settembre 2013; indi ancora lo descrive come successivo di un paio di mesi all'erogazione del finanziamento; infine in sede di controesame afferma nuovamente di non ricordare bene), correlato a tale acquisto. Va precisato che il PI. concorse a chiedere al Ta., assieme al Pi., solo il primo fra i più acquisti di azioni B. che lo stesso Ta. complessivamente ebbe a porre in essere: i successivi, infatti, glieli chiese, a suo stesso dire, il solo Pi.. Nondimeno il primo di tali acquisti, come sopra descritto, già rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria operazione di finanziamento correlato, in virtù della quale si può affermare che anche in tale occasione (così come accadrà con la cronologicamente successiva operazione "So.") si ebbe il comprovato coinvolgimento materiale, diretto e in prima persona di An.Pi. nel fenomeno dei finanziamenti correlati per così dire "ordinario", ossia non legato alle competenze specialistiche esercitate dal predetto PI. in seno alla Divisione Finanza da lui diretta. Secondo la difesa non sarebbe dato rinvenire alcun apporto causale del PI. in questa operazione perché il suo ruolo sarebbe stato unicamente quello di rassicurare verbalmente il Ta. sul fatto che - all'occorrenza - il fondo riacquisto azioni proprie di B., in quanto ben capiente, non avrebbe avuto difficoltà a riacquistargli celermente le azioni della banca in suo possesso (cfr. pag. 70 deposizione Ta.: "DIFESA, AVV.TO. -...non per l'acquisto delle azioni. E' corretto dire che il dottor Pi. ha soltanto rassicurata sull'operatività del fondo acquisto azioni proprie della banca? TESTIMONE TA. - E' corretto"). In realtà tale circostanza (che peraltro, a ben guardare, si pone già di per sé come l'equipollente verbale di una vera e propria lettera di impegno al celere riacquisto da parte della banca, e ciò a fronte dei dubbi esternati nell'occasione dal Ta. circa la convenienza per sé dell'operazione di acquisto azioni) è bensì stata riferita in sede di controesame dal teste Ta. ma non è certo in grado di obliterare il fatto che, nel corso del suo esame diretto, questi espressamente abbia indicato entrambi i suoi interlocutori Pi. e PI., e non già il solo Pi., come intenti a convincerlo a destinare l'affidamento, già ottenuto a luglio dalla società Es., all'acquisto di azioni B.. Anzi, qualora si contestualizzi l'affermazione resa in controesame dal teste Ta. in seno all'intera verbalizzazione del suddetto controesame appare evidente che egli, lungi dal voler smentire quanto detto in sede di esame diretto circa il carattere congiunto dell'invito rivoltogli a comprare azioni B., intendeva unicamente puntualizzare, in risposta a una precisa domanda della difesa, che il PI. - circostanza invero pacifica - non aveva viceversa preso parte all'originaria erogazione del finanziamento in favore della società Es.. e) l'appunto scritto redatto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020 (cfr. pag. 111 del relativo verbale stenotipico). Si tratta di un elemento documentale che ancora una volta dimostra non soltanto la piena conoscenza in capo al PI. del fenomeno delle operazioni c.d. "baciate" (o anche "parzialmente baciate", ossia comunque correlate pur in difetto di una totale coincidenza tra l'ammontare del finanziamento erogato e il controvalore delle azioni B. acquistate) ma altresì il fattivo apporto concorsuale da questi prestato al fine di garantire l'operatività e l'efficacia di tale meccanismo, impiegando il quale, in misura progressivamente sempre più massiccia, B. cercava di ovviare all'accentuata illiquidità del proprio sopravvalutato titolo azionario: "TESTIMONE Ro. (...) Inoltre, sempre con riferimento alla conoscenza in capo a Pi. del fenomeno relativo alla concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie tra la documentazione cartacea sequestrata presso l'abitazione di Gi. vi era un appunto manoscritto, in cui veniva riportata la frase "Trovare formula con An. per baciate" Non ho fatto personalmente questo esame, però so che tale appunto è stato collocato temporalmente nel mese di novembre 2014. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - 663, Presidente, questo l'abbiamo già prodotto. TESTIMONE Ro. - Nel mese di novembre 2014, in ragione di alcune date che erano riportate nella pagina precedente e nella pagina successiva. Nella precedente era scritto CdD 10/11 e sotto Cd A 18/11. Nella pagina invece successiva a questa frase c'era scritto 11/11/2014. In tal senso, in data 10 novembre 2014f si era tenuto il Comitato di Direzione, e in quell'anno, in quella data, quindi 18 novembre 2014, si era tenuta una riunione del Consiglio di Amministrazione della B., I Tale appunto scritto, fra l'altro, si salda perfettamente - come detto - con le parole rivolte dal GI. "VM8") al PI. ("VM10") proprio nel contesto del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014 (cfr. pag. 40 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.: "VM 8: E fare in modo che... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"). f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza quale propalante già si è ampiamente detto supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13), quanto al materiale apporto direttamente fornito anche da An.Pi. in prima persona al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B.. Si veda infatti il seguente passo di pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022: "Quindi questo (ossia le operazioni di equity swap - scambio di titoli B. con titoli Ve. - effettuate nel periodo ricompreso tra il 20.3.2014 ed il 3.10.2014 per consentirne la dismissione dai fondi esteri, sulle quali v. più ampiamente infra) è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". D'altra parte già in primo grado l'imputato GI. aveva riferito circa la piena conoscenza da parte del PI. - senza che questi avesse mai ad obiettare alcunché a tale prassi, anzi - del fenomeno del finanziamento correlato, cfr. pag. 70 verbale stenotipico 25.6.2020: PUBBLICO MINISTERO - Quindi quello che lei ha riferito fino adesso, sulle operazioni correlate, le caratteristiche, le necessità, lo svuota fondo e quant'altro, non era un argomento riservato, addirittura segreto rispetto a settori, strutture, persone della banca? Cioè, se ne parlava liberamente? IMPUTATO GI. - Assolutamente liberamente e un modo esplicito. PUBBLICO MINISTERO - E questo vale anche per i coimputati? IMPUTATO GI. - Per tutti, PUBBLICO MINISTERO - Ma., Pi. e Pe.? IMPUTATO GI. - Sì, Ma., Pi. e Pe.. PUBBLICO MINISTERO - Senta, perché Pi., era presente anche lei, se non ricordo male, ha detto che in realtà a lui, sostanzialmente, è stata tenuta segreta questa prassi, questo fenomeno dei finanziamenti correlati? IMPUTATO GI. - Era palese e conosciuto, ripeto, da tutti. q) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P,M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi tra quest'ultimo e il presidente di B. Zo.Gi. che aveva in animo di attuare formalmente un nuovo corso di netta "discontinuità" in seno alla banca, allontanandone - come poco dopo in effetti fece: le risoluzioni consensuali dei due rapporti di lavoro sono entrambe datate 8.6,2015 con decorrenza 3.6,2015, come detto supra - proprio GI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, del rilascio di plurime lettere di impegno) e PI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, della vicenda degli investimenti in fondi esteri - sulla quale v. ampiamente infra - risultati essere non collettivi e dotati di una giacenza di azioni B. nei propri comparti, oltre che unknown exposure); con ogni evidenza i due non stanno parlando dell'attività finanziaria e in particolare della vicenda dei fondi esteri, vicenda alla quale il GI. è d'altra parte ritenuto estraneo dalla stessa Accusa (tale egli è anche a detta del PI.: cfr. pag. 55 dell'esame 3,3.2020 di questi), bensì dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato che coinvolgeva, a vari livelli peraltro fra loro ben differenziati quanto alla conoscenza dell'entità e dei dettagli (fino a giungere al vertice ristretto formato dal d.g. So. nonché dai vice direttori generali e capi di Divisione, qualifica quest'ultima rivestita da GI. così come da PI.), sostanzialmente la pressoché totalità del personale della banca: "Pi.: "Mi raccomando domani con il presidente. Parla a nome di futi e due". Gi.: "Certo" Gi.: "Vedrai risolviamo". Pi.: "Penso anche io. Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori". h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'1.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Le espressioni usate dal PI. con il suo interlocutore, anche in questo caso, all'evidenza non riguardano - o comunque di certo non riguardano soltanto - l'attività finanziaria e/o la specifica vicenda dei fondi esteri sui quali v. infra, risultando estremamente plastiche ed efficaci nel descrivere il grado del costante coinvolgimento in toto dello stesso PI. in quello che, anno dopo anno, si era oramai andato consolidando come un autentico circolo vizioso generato dalla costante esigenza di trovare modalità sempre più spinte per ovviare in qualche modo all'illiquidità ingravescente del titolo azionario di B., banca ivi definita efficacemente dall'imputato "una baracca che sta in piedi con io sputo" (in stridente contrasto con il tenore - costantemente entusiastico e ottimistico - delle comunicazioni offerte dalla banca stessa all'esterno, in particolare ai soci: cfr, ad es. il già citato doc. 646 del P.M. lettera ai soci del 4.12.2014). Si noti come qui l'imputato rimproveri amaramente ex post se stesso, usando espressioni anche icastiche, per avere proseguito ad oltranza concorrendo nelle condotte illecite pur essendo egli - anche in virtù della sua indubbia preparazione professionale: ad es. il teste An. a più riprese nella sua deposizione del 4.10.2020 afferma che PI. era considerato "l'enfant gàté della banca" per i brillanti risultati conseguiti - da lungo tempo ben consapevole delle loro possibili rovinose conseguenze ("l'avevo, fra virgolette, letta, capito?, che andava... poteva andare in una certa maniera"), sostenendo di essere stato a ciò indotto, da un lato, dal proprio sentimento filoaziendalista e, dall'altro lato, dalla piega ormai consolidata, per certi versi senza ritorno ("e però sei dentro"; "fai parte di un meccanismo"), che avevano preso gli eventi: Pi. (...) perché veramente ho il vomito, perché la vicenda mia è una vicenda che ti assicuro se uno la vive ti... ti chiami coglione, hai capito?, dici: sono proprio un coglione, perché alla fine... Anche perché l'avevo, fra virgolette, ietta, capito?, che andava... potevo andare in una certa maniera. E però sei dentro... An. Eh, immagino. Pi. ...Sei dentro... sei dentro a una situazione, cosa fai? Si, spingi corri fai, vai via sempre a cento all'ora, sacrifichi tutto, eccetera, e poi quando c'è il minimo problema, capito?, eh, purtroppo... Hai visto, anche Pa., è andato via anche lui. An. SI ho sentito. Ho sentito. Pi. E niente... An. No, no, guarda, la situazio... la... la.., la cosa tua... immagino come sia andata e son le classiche robe che... che dopo ti tagliano la corda quando gli hai salvato il culo per anni, no? Pi. Eh, per forza. Certo, certo. Ma infatti io, guarda, non posso... mi chiamo coglione perché... perché dovevo... dovevo, fra virgolette, fermare prima certe cose". An. Mmh. Pi. ...chiamarmi fuori prima... Però poi, sai, eh, purtroppo, ti ripeto, fai parte di un meccanismo, di una situazione, eccetera, per cui... An. Sì. Sì, però... Pi. ...io che sono uno... filoaziendalista... (...) Pi. ...tutto quello che si è fatto per dopo avere la conclusione così... così com'è successo, quello che continua... quello che continua a accadere, perché poi lì non è ancora finita fa questione, è... è deprimente. Deprimente perché... An. Ah. Pi. ...perché (inc. voci sovrapposte) da che pulpito (risatina) che vengono certi discorsi certi ragionamenti, certi scarichi di responsabilità. Er pazzesco. Però... però lo sapevi prima e quindi dovevi essere per forza prima, mi chiamo coglione per quel motivo lì, tutto là. Eh... e va beh, oh, fa parte anche questo delle.. - delle... delle vicende umane. An. Dell'esperienza. Pi. Eh sì. Eh si. Perché poi, ti ripeto, tu mi hai riconosciuto, vedi, quanto abbiamo sempre spinto, quanto abbiamo sempre, capito?, cercato di innovare, di co... di fare per tener su in piedi la baracca. An. Certo. Pi. Perché è una baracca sta in piedi con lo sputo, capito?, per tutta una serie di cose, no?, eh... e dopo poi prendersi a pesci in faccio, perché letteralmente a pesci in faccia, insomma... Però, va beh, è andata così, dai. Omissis A corollario di tutto quanto fin qui illustrato, che già di per sé concorre a formare un solido quadro probatorio circa la compartecipazione del PI. alla complessiva prassi dell'ordinario ricorso al finanziamento correlato, può altresì ricordarsi l'episodio riferito dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale B. (cfr. pag. 20 verbale stenotipico 13.9.2019): "TESTIMONE PA. - Ecco, e io dissi (al d.g. Sa.So. il quale le aveva chiesto, presenti anche Ma.Pe. e An.Pi., di redigere un parere che dichiarasse legittime le operazioni dì finanziamento correlato appena scoperte, in numero peraltro ancora assai circoscritto, dalla società di revisione Kp.): "Questo non te lo posso dare, anzi, dissi, da legale quello che posso suggerirti è di fare immediatamente un audit per verificare se"... Siccome non è che era una posizione, ma erano un gruppo di posizioni, dico: "per verificare se questo fenomeno è un fenomeno più ampio di quello da una semplice estrazione" E il Direttore mi assalì, mi disse che... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Non fisicamente? TESTIMONE PA. - Verbalmente, verbalmente mi disse che si sarebbe trovato un altro avvocato, e che fui dormiva cinque ore per notte, e che noi dovevamo assumerci le nostre responsabilità, e... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Usò questa espressione: dobbiamo assumere.,.? TESTIMONE PA. - Sì, dobbiamo assumerci (e nostre responsabilità. Anzi, no, questo lo disse Pi., mi sembra, le responsabilità, sì; lo disse il dottor Pi., che saltò su e mi disse: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa7' Io rimasi allibita, veramente, non sono una persona, voglio dire, che si commuove facilmente, sono abbastanza tosta, ma devo dire che ero sconvolta dopo questo colloquio col Direttore/'. Vero è, al riguardo, che il coimputato PE., nel confermare per tutto il resto con estrema puntualità nel suo esame del 18.6,2020 l'episodio (incluso il violento scatto d'ira del d.g. Sa.So. quale reazione alla frase della Pa. - ivi descritta dal PE. come "molto, molto colpita" - circa l'opportunità di coinvolgere l'Internai Audit), ha viceversa affermato di non rammentare che il PI. avesse nell'occasione proferito la frase "Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa"" (cfr. pagg. 58-59 dell'esame dibattimentale reso dal PE. in data 18.6.2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pi.? IMPUTATO PE. - Quella... devo essere sincero... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, la ripeta per il verbale. IMPUTATO PE. - Per il verbale, era: "Se coinvolgiamo l'Audit",.. mi pare, l'ho vista sui... "Andiamo tutti a casa", una roba del genere. Questa io non fa ricordo. Quello che ricordo è che sicuramente il concetto della Pa. era: non è un tema solo legale, bisogna fare un'indagine e va coinvolto l'Audit. Questo sicuro, cioè che la Pa. abbia tirato fuori il tema dell'Audit, sicuro. La frase di Pi., sinceramente, non mi ricordo che rabbia detta"). Nondimeno può osservarsi che il PE., nella sua qualità di coimputato, ha tutto l'interesse a negare la circostanza, risultando altrimenti difficilmente spiegabile, da parte sua, la mancata reazione a una frase così dirompente. In conclusione non possono davvero revocarsi in dubbio - diversamente da quanto sostiene a più riprese la difesa: cfr. ad es. pag. 16 dell'atto di appello - la piena conoscenza in capo a Pi.An. di ogni segmento della complessiva prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. - quanto meno fin dall'inizio della fase in cui le fu impressa una forte accelerazione, ossia fin dagli ultimi mesi del 2011, ma in realtà da epoca ancora anteriore, v. infra - e la sua partecipazione (in più di una occasione anche diretta, in prima persona, come si è visto) a tale tipologia di condotte... Né, stante l'esaustività degli elementi probatori fin qui passati in rassegna, vi è in realtà bisogno di chiamare in causa, per valorizzarle, talune ulteriori risultanze processuali - pure indicate come rilevanti dal primo giudice - nei confronti delle quali si sono appuntate le censure, per la verità almeno in parte centrate, della difesa, ossia: a) il passo della deposizione di Ma.So. (pag, 57 verbale stenotipico 29.10,2019) ove il teste afferma che gli pare di ricordare di avere sentito u/7 dottor So. e il dottor Pi. che parlavano di strutturare delle operazioni volte anche ad acquisire capitale Ne stava parlando o il dottor So. o il dottor Pi.. Questo non me lo ricordo, citando al riguardo, dopo un'iniziale difficoltà a rammentarne i nomi, il gruppo imprenditoriale Fe. e il Fo.Ag.. In verità, come ha correttamente puntualizzato la difesa, il teste Lu.Fe. - cfr. suo esame dell'11.7.2019, in particolare pag. 16 - non ha in alcun modo citato il PI. quale partecipe ai finanziamenti correlati riguardanti il suo gruppo imprenditoriale, menzionando unicamente So., Gi. e un capoarea dell'Emilia-Romagna, mentre il teste ispettore Gi.Ma. ha espressamente escluso, in relazione al Fo.Ag., che si fosse in presenza di capitale finanziato, cfr. pag. 68 della sua deposizione 26.10.2019: "Queste operazioni di acquisto non le abbiamo considerate finanziate perché abbiamo ritenuto, insomma, che i soldi non provenivano da un finanziamento ma da una vendita cioè i fondi avevano venduto delle quote e con queste quote avevano avuto la disponibilità per comprare 10 milioni di azioni. Quindi giugno 2012, alcuni Consorzi comprano 10 milioni di azioni non ritenute finanziate da noi"); b) la vicenda Fa.. In realtà, come ha riconosciuto in sede di requisitoria nel presente grado di giudizio lo stesso rappresentante dell'Accusa (cfr. pag. 7 della memoria depositata dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 nonché pag. 48 del relativo verbale stenotipico), l'imprenditore tessile An.Fa. - era soggetto economicamente molto abbiente, non aveva bisogno di denaro dalla Banca, ma era fui che desiderava investire in modo redditizio, sicuro e a breve termine", sicché non si è qui in presenza di un finanziamenti, correlato all'acquisto di azioni B., le quali furono sicuramente acquistate dall'imprenditore An.Fa. - che aveva esposto proprio al PI. tale sua disponibilità all'acquisto: cfr. pagg. 55-56 deposizione Fa., verbale stenotipico 10.7.2019 - con denaro proprio, investito in parte in azioni della banca e in parte in PCT (pronti contro termine). Risponde inoltre al vero l'assunto difensivo secondo cui la vicenda Fa., per il suo carattere risalente nel tempo, si colloca al di fuori del perimetro del capo di imputazione, che si riferisce al periodo 2012-2015. Nondimeno, restando nell'ambito della vicenda Fa., si pone come ugualmente assai rilevante ex se (perché offre la cifra di quanto il coinvolgimento del PI. nell'illecita operatività "ordinaria" di B. fosse in realtà molto datato e consolidato) il dato documentale emergente dalle produzioni effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 aventi ad oggetto le stampe cartacee di alcune e-mail, e relativi allegati, estrapolate dall'hard disk n. 5 già facente parte, come supporto fisico, del fascicolo del dibattimento. Tale dato documentale è indice inequivoco di un diretto coinvolgimento del PI. in prima persona - e ciò, per l'appunto, almeno a far tempo dal 2010, ossia oltre un anno prima dell'accentuata accelerazione, di cui si è detto supra, impressa al volume complessivo delle operazioni correlate a seguito delle decisioni prese nel Comitato di Direzione 8.11.2011 - nella redazione e/o supervisione del testo di talune lettere nelle quali la banca si impegnava ad assicurare all'imprenditore Fa., in relazione ai suoi investimenti presso B. (non da essa finanziati), il beneficio di una assai vantaggiosa remunerazione. Tra le anzidette lettere redatte con l'apporto, quanto meno in termini di supervisione, del PI. vi sono per l'appunto - come è ben documentato rispettivamente dalla e-mail sub ali. 2 e dalla e-mail sub ali. 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale - le seguenti: - bozza non sottoscritta dì una lettera datata 15 dicembre 2010 a firma Sa.So. (già prodotta nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., in primo grado dal P.M. quale doc. 90 ed esibita al teste Fa. nel corso del suo esame dibattimentale); - bozza non sottoscritta di una lettera (che il teste Fa. ha spiegato riguardare una distinta e precedente operazione) datata 8 ottobre 2010 a firma Sa.So. (non potuta esibire nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., al Fa. in sede di esame dibattimentale ma alla quale lo stesso teste ha in ogni caso fatto espresso riferimento alla pag. 55 della sua deposizione 10.7.2019 e che è comunque citata nel contesto testuale del doc. 90 del P.M.). La remunerazione riconosciuta all'investitore Fa. corrispondeva in concreto a un tasso attivo quantificato per la più risalente operazione (8 ottobre 2010) in misura pari al 3% netto su base annua (cfr, e-mail 8.10.2010 sub ali, 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.) e indi, a partire dall'operazione ad essa successiva (15 dicembre 2010), quantificato in misura pari al 3,1% netto su base annua e al 3,5428% lordo su base annua (cfr. e-mail 14.12.2010 sub ali. 2 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.). Il teste Fa. ha spiegato - cfr, pag. 55 della sua deposizione, cit. - che mai egli, pur disponendo di abbondante liquidità propria da investire, si sarebbe indotto ad acquistare, con essa, azioni B. se non gli fosse stata assicurata una siffatta appetibile remunerazione (in aggiunta a una parimenti da lui pretesa garanzia di pronta liquidabilità dei titoli a semplice richiesta, come poi in effetti avvenne nel maggio 2013: cfr. l'all. 6 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale): Omissis Si tratta, a ben guardare, di un contegno pur sempre rientrante, benché in assenza dì un finanziamento correlato, nella medesima ottica (quella cioè per cui B. si è mostrata, nel tempo, sempre più disposta a spendere senza esitazioni denaro della banca - vuoi in forma di finanziamento vuoi in altre forme come quella della non dovuta remunerazione con elevato tasso attivo - pur di assicurare la protratta giacenza presso terzi del massimo quantitativo possibile di azioni proprie). In relazione alla vicenda Fa. l'imputato PI. ha invero sostenuto, in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 40-41 del verbale stenotipico 3.3.2020), che il tasso attivo di interesse riconosciuto all'imprenditore nelle suddette operazioni ebbe a riguardare unicamente la parte di investimento in pronti contro termine e non anche quella in azioni B.. Così non è, viceversa, secondo la ricostruzione del teste Fa. (teste al quale nemmeno la difesa del PI. ha mai inteso muovere censure di inattendibilità e che - in effetti - non vi è ragione alcuna di ritenere poco credibile), il quale in sede di esame ha specificato con estrema chiarezza che il rendimento in questione riguardava anche la parte dell'investimento costituita dall'acquisto di azioni B. (cfr. pagg. 62-63 verbale stenotipico 10.7.2019): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Un particolare, chiedo scusa, signor Presidente. Senta, Ingegnere, lei si ricorda se in questo accordo complessivo per questo investimento con Banca (...) le fu garantito un rendimento anche per quanto riguarda la quota di investimento In azioni Banca (...)? TESTIMONE Fa. - Sh era tutto compreso, era tutto compreso. PUBBLICO MINISTERO. DOTT. Sa. - Anche quella quota? TESTIMONE Fa. - Era tutto compreso. D'altro canto tali affermazioni del Fa. (circa il tasso attivo d'interesse da lui pattuito con B. quale remunerazione del suo investimento complessivo, dunque anche per la parte di esso costituita dalle azioni della banca sono puntualmente riscontrate nei seguenti termini dalle summenzionate produzioni documentali poste in essere il 19.9.2022 dalla Procura Generale: - il testo della prima missiva dell'8 ottobre 2010 (non potuto esibire in primo grado, come detto, né al teste Fa. né all'imputato: cfr. pag. 55 esame Fa. cit.) riferisce senz'altro, nel suo secondo paragrafo, il rendimento annuo all'operazione di investimento intesa nel suo complesso: "Alla scadenza dei primi sei mesi provvederemo a reitare (sic) l'operazione per il periodo da lei gradito come orizzonte temporale dell'investimento ad un tasso fissato e certo che sarà tale da conguagliare il rendimento target obiettivo dell'insieme di operazioni, onde assicurarLe un rendimento annuo netto del complessivo investimento e sino al " mantenimento del suo ammontare massimo del 3% netto su base annua"; - il testo della seguente missiva del 15 dicembre 2010 ribadisce, nel suo terzo paragrafo, ancor più chiaramente il concetto: "Si aggiunga che, anche per il precedente investimento di Eur 70 min, di cui Eur 20 mln circa in azioni di Banca (...) e Eur 50 mln in pct, il rendimento che Le verrà riconosciuto fino alla scadenza (...) sarà pari al 3,1% netto su base annua (3f5428% lordo su base annua) per l'intera durata dell'investimento rispetto a quanto precedentemente concordato (3% netto su base annua corrispondente a 3,4285% lordo su base annua) - si veda lettera di accordo dell'8 ottobre u.s. a firma dei Direttore Generale dott. So.. Più in generale può dirsi che tutte le produzioni documentali effettuate all'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale ulteriormente confermino, sul tema specifico delle lettere di impegno, quanto - come detto supra - già emerge in ogni caso con chiarezza dal tenore del Comitato di Direzione 10.11.2014, ossia una lunga, risalente e consolidata dimestichezza del PI. con la redazione e/o quanto meno con la supervisione, finalizzata al successivo inoltro a chi di fatto doveva poi sottoscriverle, del testo di lettere che si possono sicuramente definire come lettere di impegno della banca (si noti, per inciso, che anche il teste Fa. nella sua deposizione 10.7.2019, cfr. ad es. pag. 58 del relativo verbale stenotipia), le definisce "side letter", così come esse vengono chiamate dai vertici manageriali di B. nel corso di quel Comitato di Direzione): a volte l'impegno assunto era al solo riacquisto delle azioni B. detenute dai loro destinatari, altre volte l'impegno assunto era finanche alla corresponsione di remunerazioni sotto forma di tassi di interesse attivi - tanto generosi quanto non dovuti - a fronte di tale detenzione. Si vedano ancora a titolo esemplificativo, sempre nell'ambito di tali produzioni documentali dd. 19.9.2022 del Procuratore Generale, due facsimili entrambi risalenti all'anno 2011: l'ali. 1 (missiva 1.9.2011 di Em.Gi. indirizzata ad An.Pi., recante come oggetto la dicitura - estremamente riservata" e come testo la richiesta "Ci dai un occhio"), con un allegato file Word denominato "standard K.docx" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione "Egregio Dottore XXX, Vicenza, XXX settembre 2011", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente dì azioni B. per un controvalore di 13 milioni di Euro, un rendimento pari al 4% lordo su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto; l'ali. 5 (missiva 4.11.2011 di Gi.Ta. - soggetto operante in B. dal 2010 al 2013 con le mansioni di responsabile della Direzione Private e Affluent in seno alla Divisione Mercati - indirizzata ad An.Pi. nonché a Co.Tu. della Divisione Mercati, quest'ultimo avente all'epoca le mansioni di Direttore commerciale e responsabile del coordinamento commerciale della rete - recante come oggetto la dicitura Bozza contratto Riservata" e come testo - La aspettavate ... Eccola, naturalmente da riadattare"), con un allegato file Word denominato "(...)" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione Vicenza, 26/10/2011 (...) ...", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente di "ulteriori" 8 milioni di Euro di azioni B., un rendimento pari al 3,5% netto su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, non possono revocarsi in dubbio, e ciò quanto meno sin dall'anno 2011, ma in realtà (v. le produzioni documentali effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022) da epoca ancor più risalente, tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuata in B., considerata in ogni suo segmento e articolazione (incluso il rilascio di lettere di impegno), quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte pur nella consapevolezza (cfr. la citata conversazione captata n. progr. 360 dell'I.9.2015) delle sue inevitabili conseguenze. A ciò già di per sé consegue, fra l'altro, l'infondatezza radicale dell'assunto difensivo secondo cui l'operato del PI. avrebbe causalmente inciso, a tutto voler concedere, in proporzione numericamente quanto mai modesta sull'entità e sul volume complessivi delle operazioni poste in essere nell'ambito di B. e illecitamente non scomputate dal patrimonio di vigilanza. A tale ultimo proposito, d'altra parte, non può non osservarsi che, anche non volendo considerare all'uopo, in ipotesi, il concorso (viceversa dimostrato, come sì è visto) del PI. in ogni segmento dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato (non certo solo per i complessivi 25 + 1 milioni di Euro in azioni B. complessivamente acquistati dal gruppo "So." e dall'imprenditore Ta.), limitandosi quindi a valutare le sole operazioni ascrittegli come direttamente rientranti nelle competenze della Divisione Finanza da lui diretta, risulterebbe ugualmente elevata la suddetta proporzione numerica, con conseguente indiscutibile "materialità" della sua condotta, tenuto conto: - del fatto che - come più analiticamente si illustrerà infra al par. 14,1,4.5. - il controvalore originario delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri Op. e At., rimasto tale quanto meno per tutto Tanno 2013 prima di ridursi, al giugno-luglio 2014, a 52,4 milioni di Euro, era pari a 60 milioni di Euro (cfr. pagg. 8-21 della deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10,2019; la cifra esatta è pari a Euro 59.972.000,00=); al riguardo tanto la difesa del PI. quanto il predetto imputato in sede di spontanee dichiarazioni rese il 15,7,2022 hanno insistito nel perorare l'assunto della modesta incidenza del suddetto importo sul patrimonio di vigilanza. Ebbene, così non è già in relazione a tale singola posta. Gli acquisti di azioni B. operati tramite i fondi esteri Op. e At. risultarono infatti decisamente determinanti, in prossimità della fine dell'anno 2012, nel consentire di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie di B., equivalendo già solo essi, per importo, a un quarto del valore complessivo dell'anzidetto fondo, nell'entità considerevole (240 milioni di euro) che esso aveva all'epoca (la quale venne successivamente di molto ridotta ex lege); - del fatto che in quello stesso scorcio finale dell'anno 2012 il PI., nell'esercizio delle sue specifiche competenze quale direttore della Divisione Finanza, ebbe a curare anche la ben distinta operazione dei finanziamenti alle tre società lussemburghesi Ma. ed altre, immediatamente da esse girati alle tre società italiane Pe., Gi. e Lu.. Operazione, questa, che - come più analiticamente si illustrerà subito infra al par. 14.1.3.4. - da sola consentì, e ciò quando ormai si era giunti ancor più a ridosso del temuto traguardo di fine anno entro il quale andava svuotato il fondo riacquisto azioni proprie, di farne uscire - oltre ai 60 milioni di cui sopra - anche ulteriori 30 milioni di Euro in azioni B. (quindi in realtà l'impatto dell'operato del solo direttore della Divisione Finanza sullo svuotamento del fondo riacquisto azioni proprie a fine 2012 ammontò, trattandosi di 90 milioni di Euro complessivi, addirittura al 37,5% della sua capienza massima dell'epoca); inoltre a quei 30 milioni si aggiunsero nel 2013 altri 3 milioni di Euro in azioni B., questa volta in occasione - cfr. pag. 57 deposizione ispettore Em.Ga. del 26.9.2019 nonché pagg. 22-23 e pag. 25 deposizione ispettore Gi.Ma. del 26.10.2019 - dell'aumento di capitale di quell'anno. 14.1.3.4. I finanziamenti effettuati in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (girati immediatamente da queste alle società italiane Pe., Lu. e Gi.) negli anni 2012 e 2013, Una peculiare modalità di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., posta in essere - come emerge dall'istruttoria dibattimentale - con il diretto e determinante apporto causale di An.Pi., riguarda i finanziamenti effettuati dalla controllata irlandese Fi. in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (con i relativi importi girati pressoché immediatamente, a mezzo bonifico, da queste ultime - rispettivamente - alle neocostituite società italiane Pe., Lu. e Gi., le quali a loro volta con tali provviste acquistavano, di lì a poco, corrispondenti importi di azioni B.) tanto nell'anno 2012 quanto nell'anno 2013. Fondamentale al riguardo è anzitutto, nel suo delineare con chiarezza i termini e i passaggi dell'articolata operazione, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10,2019; cfr. in particolare le pagg. 23-25 del relativo verbale stenotipico nonché l'ivi citato doc. 380 del P.M., costituito da un dettagliato prospetto riepilogativo delle anzidette operazioni redatto dallo stesso teste Ma., grazie al quale si può immediatamente notare la strettissima contiguità temporale esistente tra: a) la data della delibera del finanziamento in favore di ciascuna delle tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (10 milioni di Euro a testa), rispettivamente 11.12.2012, 14.12.2012 e 7.12.2012; b) la data del bonifico effettuato (per pari importo, solo lievemente maggiorato) da ciascuna delle suddette tre società lussemburghesi in favore di ciascuna delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., rispettivamente 27.12.2012, 27.12.2012 e 14.12.2012; c) la data dell'acquisto di azioni B. per pressoché pari importo da parte di ciascuna delle suddette tre società italiane, che per tutte e tre è il 27.12,2012 (analoghe strettissime tempistiche connotano le similari operazioni poste in essere, per un minore ammontate pari a tre milioni " complessivi di Euro, uno a testa, tra il mese di luglio e il giorno 2 settembre 2013 in occasione dell'aucap B. di quell'anno). Questa la puntuale ricostruzione del teste Ma.: "(...) PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Senta, per aiutarla e per aiutare anche la comprensione di tutti io le esibirei il documento 380 della produzione del Pubblico Ministero (...), Che cos'è, innanzitutto? TESTIMONE MA. - Questo qua? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì (il documento che le ho fatto vedere. TESTIMONE MA. - Questo è un mio riepilogo schematico, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E' il suo riepilogo, è un appunto fatto da lei quindi? TESTIMONE MA. - Sì, sì, sì, esce dal mio computer. E' un riepilogo, insomma, di quello che è successo sulle tre sorelle Pe., Lu. e Gi. nel 12, nel 13, nel 14 no perché non le trovammo finanziate. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Partiamo da sopra, dal 12, sbaglio? TESTIMONE MA. - Okay, Come vedete ci sono tre date, quelle sono le date di proposta finanziamento e data di delibera di... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - A sinistra? TESTIMONE MA. - A sinistra. Di tre fidi di 10 milioni ciascuno concesso da Po.Vi. Fi., Irlanda, a tre soggetti chiamati Br., Ju. e Ma.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a sinistra è, diciamo così, il trasferimento di denaro? TESTIMONE MA. - No, no, no, la prima colonna sono le date di delibera del fido. La banca decide in quelle date di dare 10 milioni, 10 milioni e 10 milioni a Br., Lu. e Gi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quale banca, dottore? TESTIMONE MA. - Irlanda. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Bp.? TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dai Comitato Crediti della Capogruppo. Io cfho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti delta Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo". (...). Okay. Tra il 14 dicembre terza colonna, data bonifico, tra il 14 dicembre e il 27 dicembre 12 queste tre società, Br., Ju. e Ma., mandano in effetti questi bonifici a Gi., Lu. e Pe.: mandano 11.600.000, 11.02S.000, 12.900.000 a Lu., Pe. e Gi.. (...) Ma. si accoppiava con Pe., come vedete dalla quarta e quinta colonna, Ju. si accoppiava con Lu., Br. si accoppiava con Gi.. (...). Cosa entra sui conti di Gi., Lu. e Pe.? Entrano questi bonifici in data 14 dicembre uno, 27 dicembre il secondo, 27 dicembre l'altro, e il 27 dicembre 12 tutti e tre mi comprano, in contropartita al fondo mi comprano una trentina di milioni di azioni. Questo vuoi dire praticamente che quei bonifici che sono entrati in realtà erano frutto del finanziamento che Bp. aveva fatto praticamente alle tre sorelle lussemburghesi, le quali a loro volta avevano trasferito alle tre sorelle italiane un importo leggermente maggiorato e con le quali poi hanno comprato azioni. Sui conti delle italiane non c'erano altre operazioni, cioè nel senso che, comunque sia, era facile stabilire la correlazione 1 a 1 tra il bonifico in entrata e l'acquisto di azioni, perché i conti delle tre italiane erano conti pressoché vuoti. Fatemi controllare, scusate. C'erano alcune partite di 10.000 Euro, 1.200 Euro qua, 10.000 Euro e 500 Euro qua, insomma non c'erano grosse partite che potevano portarmi a ritenere che c'erano tantissimi movimenti dare/avere tali per cui, insomma, non riuscivo a identificare quel bonifico all'acquisto delle azioni. Ma dietro quel bonifico c'è il fido dell'Irlanda, quindi Irlanda dà i soldi alle tre sorelle lussemburghesi, trasferiscono i soldi alle tre sorelle italiane, le quali mi comprano azioni del 2012. Queste azioni del 2012 sono le azioni in contropartita al fondo e quindi contribuiscono nel 2012 all'uso il termine "svuotare" il fondo, anche se questo termine poi arrivò alle mie orecchie alla fine dell'ispezione, contribuiscono a ridurre il fondo di 30 milioni, insieme ai 60 dei fondi At. e Op., insieme ai 10 della Ze. S.r.l.. Un'identica, uguale operazione sulle tre sorelle viene compiuta net 2013 in sede di aumento di capitale; ovviamente gli importi sono diversi, sono più bassi, ma l'operazione viene replicata uguale e identica nella forma e nella sostanza, cosa che cambia è gli importi, e gli importi li potete vedere in quella tabella chiamata "Acquisti primario 13", in cui erogano 3 milioni e mi comprano 3 milioni. Quindi l'Irlanda eroga 3 milioni, Ma., Br. e Ju., che si sono presi i milioni, me li trasferiscono immediatamente a Lu., Pe. e Gi., i quali a loro volta mi comprano, anzi, mi sottoscrivono in quel caso l'aumento di capitale dei 2013. Queste sono le operazioni riguardanti le tre sorelle lussemburghesi e italiane. La struttura di tali operazioni, connotate dalla sopra descritta triangolazione (senza, cioè, che in questo caso si fosse erogato un finanziamento direttamente utilizzato dal soggetto finanziato per acquistare azioni B.), era all'evidenza funzionale a dissimularne assai efficacemente la natura di finanziamento correlato, tanto che il teste Ma. ha ricordato, nei dettagli come la sua attenzione solo per un puro caso si appuntò sulle operazioni suddette, le quali hanno dunque concretamente "rischiato" di superare indenni l'ispezione Bc. del 2015 (cfr. pag. 22 deposizione Ma.). Gli indici della finalizzazione esclusiva di tali triangolazioni a null'altro se non alla realizzazione di una forma particolare - e più sfuggente ai controlli - di finanziamento correlato sono plurimi ed evidenti: - si trattava di società neo-costituite, tanto le tre lussemburghesi quanto le tre italiane, tutte facenti capo al gruppo Fi., i cui titolari, Ma. e De., già nel 2011 avevano peraltro concluso con B., sia pure a quel tempo non nella persona del PI., operazioni di finanziamento correlato c.d. "baciate parziali" (su tale ultimo punto cfr. pag. 45 deposizione teste Gi.Gi., verbale stenotipico 16.7.2019; "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi c'è questa società che è già cliente della banca. Che tipo di operazione impostate e con quali soggetti giuridicamente? TESTIMONE GI. - Vengono impostate due operazioni: una con la Società David e una con la Società Ma.Gi.. Un'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi Ma. presumo facesse riferimento a Ma. uno dei titolari? TESTIMONE GI. - Sì, sì. E David ad An. De., che era l'altro titolare, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Okay, prego. TESTIMONE GI. - Impostammo un paio di operazioni, se non ricordo male, di valore più ampio rispetto a quella dell'operazione, sempre nell'accezione che dicevo prima, l'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi parzialmente baciata, sarebbe? TESTIMONE GI. - Esatto. L'operazione era di 600-700 mila Euro, se non ricordo male, e la linea di credito poteva essere di 1 milione, ecco, una roba di questo tipo"); - non era ben chiaro quale fosse il loro oggetto, in ogni caso estraneo all'attività produttiva di beni, né - soprattutto - emergeva quali garanzie esse offrissero, sicché può ben dirsi che la valutazione del merito creditizio nei loro confronti fu effettuata in maniera eufemisticamente definibile come assai sbrigativa. E il Comitato Crediti che sì occupò di esaminare le relative PEF fu - si badi - esclusivamente quello della controllante capogruppo B.: cfr. pagg. 30-31 della deposizione del teste Pi.Ra., verbale stenotipico 21.11,2019 ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ecco, ora, siccome l'ho interrotta, ma volevo chiarire questo aspetto, tornando a quello di cui lei ci stava parlando, e le faccio una domanda di carattere più generale: quando c'era da valutare in un'operazione di questo tipo, analoga, insomma, il merito creditizio, autonomamente procedeva Bp. o si appoggiava? TESTIMONE PA. - Sempre appoggiata a... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè, perché? Perché era necessario? TESTIMONE PA. - Perché, per procedura, la parte creditizia era di spettanza della Po.Vi.") nonché pag. 40 ibidem ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ma voi avevate, come dire, la struttura, le persone per fare una valutazione di merito creditizio? TESTIMONE Ra. - Avevamo un Comitato d'investimenti, ma che sulla parte creditizia non... semplicemente recepiva qual era la valutazione che aveva espresso la... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Capogruppo? TESTIMONE Ra. - Capogruppo. Quindi sulla parte di erogazione del credito si esprimeva soltanto sulla congruità del tasso d'interesse praticato, perché se poi io mi dovevo andare a finanziare a dei tassi superiori a quello che era il tasso che aveva incassato con l'erogazione del prestito, allora a quel punto il Comitato si sarebbe potuto opporre. Ma non sulla parte creditizia, valutazione delle garanzie, solidità del debitore e quant'altro"). Il teste Ra. è in ciò - si noti - pienamente riscontrato dalla deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, a pag. 24 ("TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bullet a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre -; "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo".") e indi nuovamente a pag. 88; - il teste Ra., direttore generale della controllata Fi., ha in ogni caso efficacemente descritto la penuria estrema di dati disponibili per un serio controllo del merito creditizio da parte del Comitato Crediti della capogruppo B. a Ciò preposto: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Parliamo, quindi, sempre delle Ju., Ma. e Br.. TESTIMONE Ra. - Si PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Lei sa che documentazione aveva a disposizione il Comitato Crediti o, non so, se era il Comitato Crediti competente, ma insomma, per valutare il merito creditizio? Che documentazione ha utilizzato? TESTIMONE Ra. - Credo avesse un business pian di futura redditività dell'azienda, fatta di titoli e di finanziamento, un business pian molto semplice. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - E cioè, contenente cosa? TESTIMONE Ra. - li portafoglio titoli che ho citato prima, da una parte, e al passivo il finanziamento che aveva erogato, più capitale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ai tempo usò un'altra espressione, però fe chiedo che cosa voleva dire. Sempre il verbale del 20 febbraio 2017 disse, con riferimento ai business pian usò un altro aggettivo; "scarso, stringato". TESTIMONE Ra. "Sì, cioè è un foglio con, da una parte, l'attivo e, dall'altra, il passivo del finanziamento. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Non c'era nient'altro da valutare? TESTIMONE Ra. - Io non ho visto nient'altro"; - le sopra citate PEF, analizzate dal Comitato Crediti della capogruppo B., erano oltretutto caratterizzate da una causale quanto mai generica (cfr. pag. 24 deposizione teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 22.10.2019: "TESTIMONE MA. - Bp., sì, si Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo" Se volete le apro tutte e tre fe PEF, però... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sono uguali? TESTIMONE MA. - Pressoché uguali, sono pressoché uguali")) causale in ogni caso disattesa: il finanziamento infatti, come si è visto, venne da ognuna delle tre società lussemburghesi destinato, mediante immediato bonifico bancario, alla creazione della provvista - prima inesistente - grazie alla quale le loro consorelle italiane poterono, a strettissimo giro, procedere all'acquisto di azioni B.; - l'apertura dei conti correnti delle società italiane Pe., Lu. e Gi. presso B. fu richiesta al teste Gi.Gi. (all'epoca in B. con mansioni di direttore regionale Lombardia-Liguria-Piemonte basato in Milano, ove la controllata irlandese Fi. si appoggiava - così ha spiegato lo i stesso teste Gi. alla pag. 70 della sua deposizione - in quanto priva di strutture operative proprie) da Ma.Sb., amministratore del gruppo Fi., in epoca subito successiva alla delibera dei finanziamenti in favore delle tre società lussemburghesi e i menzionati conti correnti vennero alimentati proprio con la provvista derivante dai suddetti finanziamenti, frattanto bonificati alle tre società italiane che di lì a pochissimo acquistarono le azioni B. costituenti il loro unico asset (sul punto cfr, pag. 72 deposizione teste Gi., verbale stenotipico 16,7,2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Cosa le disse Sb.? Lei ha avuto mica colloqui con Sb. su questa operazione? TESTIMONE GI. - No, mi disse: "Guarda, sono d'accordo, adesso ci sono da aprire questi tre conti correnti", decidemmo di aprirli poi presso fa sede di via Turati; arrivarono, appunto, questi quattrini e poi si sottoscrissero dai vari amministratori delle tre società le azioni"). Il ruolo di impulso rivestito dall'imputato An.Pi. nelle anzidette operazioni emerge a sua volta con nettezza dall'istruttoria dibattimentale. Il teste Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi., così si è espresso sulle anzidette operazioni nel corso della sua deposizione (cfr. verbale stenotipico 21.11.2019): - pag. 28: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dottor Ra., senta, vorrei proprio approfondire questa vicenda Ju., Ma. e Br. in tutti i suoi aspetti, per cui se può fare mente locale e ci racconti quello che si ricorda, poi eventualmente le faccio delle domande di precisazione. TESTIMONE Ra. - Quindi immagino debba raccontare come sono nate le operazioni. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dall'inizio, sì, io partirei da come sono nate, TESTIMONE Ra. - La Divisione Finanza mi ha comunicato che c'era da fare questi finanziamenti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Divisione Finanza è un soggetto inanimato? TESTIMONE Ra. - No, si chiama An.Pi., perché il dialogo ce l'avevo con lui. Mi ha comunicato che dovevo fare questi ..., che la società doveva erogare questi..."; - pag. 32: "TESTIMONE Ra. - Per la parte banca con la persona che ho detto prima, parlavo con An.Pi., mentre invece presso queste società... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì, no, per Ma., Ju. e Br.? TESTIMONE Ra. - Con Ma.Sb. di Finanziaria Internazionale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E perché si è rivolto a Sb.? TESTIMONE Ra. - Perché è la persona che mi è stata indicata da... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Da chi? TESTIMONE Ra. - ...An.Pi. come referente per la parte delle tre società"; - pagg. 36-37: Omissis - pag. 38: Omissis Il teste Ra., nell'escludere che la controllata irlandese Fi. - della quale egli era il direttore generale - disponesse all'epoca dì margini di autodeterminazione, ha altresì affermato - cfr, pagg. 26-27 ibidem - che ""L'unica possibilità di disattendere le indicazioni di Pi. erano di fatto le dimissioni (..,). Bisogna distinguere, secondo me, un periodo che va dal 2003 fino al 2012 e un perìodo successivo al 2012. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Perché bisogna distinguere? TESTIMONE Ra. - Perché nel 2012 l'invasività della Divisione Finanza nella gestione di una parte, non di una totalità ma di una parte, dell'attivo della Fi. era diventata motto presente, molto incisiva, molto pressante. PRESIDENTE - Dal 2003 al? TESTIMONE Ra. - Dal 2012 fino al 2015. E quindi, come dire, bisogna distinguere due fasi: una fase che va dal 2003 fino al 2012, nella quale c'è stata condivisione, c'è stato un allineamento nella gestione strategica dei portafogli, ma c'era un'autonomia pressoché completa nella gestione della società; e poi una nuova fase, che è quella che è iniziata con il 2012, ha visto un crescendo di ... diciamo così, di partecipazione nella gestione, dal 2012 fino al 2015, quando poi l'attività si è sostanzialmente interrotta. ". La difesa ha insistito nel richiedere la declaratoria di inutilizzabilità della deposizione del teste Ra. per asserita violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. Trattasi di istanza motivatamente respinta da questa Corte con l'ordinanza 18.5.2022, rispetto alla quale nessuna sopravvenienza è stata acquisita, sicché valgono tuttora le considerazioni ivi svolte (anche con riguardo all'utilizzabilità della deposizione Ra. sulla distinta vicenda dei fondi esteri che verrà analizzata infra), considerazioni che per praticità qui si riportano in nota. Ciò posto, ritiene questa Corte che non siano fondate neppure le subordinate censure difensive di inattendibilità del teste Ra.. Per quanto attiene alla vicenda qui in esame - come pure perciò che concerne la distinta vicenda dei fondi esteri sulla quale v. infra - r riscontri alle dichiarazioni di Pi.Ra. sono plurimi. Già si è detto di come risulti effettivamente dimostrato, nel presente giudizio, che Fi.; a) non era neppure dotata dì una struttura operativa propria, tanto da dover utilizzare all'uopo quella milanese della controllante capogruppo B.; b) non era neppure in grado dì procedere da sé, con un minimo di autonomia, a un'attività delicata e fondamentale come fa verifica del merito creditizio nei confronti dei soggetti aspiranti a ricevere da essa finanziamenti, provvedendovi invece il Comitato Crediti della capogruppo controllante B. (si noti che ciò non fu un unicum circoscritto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e delle loro tre controllate italiane; si trattava viceversa della regola generale per Fi.: cfr., pag., 19 della deposizione 26.10.2019 del teste ispettore Gi.Ma., il quale descrive l'analogo iter - anche in quel caso connotato dalla verifica del merito creditizio condotta dal Comitato Crediti della capogruppo controllante B. - seguito nella ben distinta vicenda del finanziamento correlato erogato proprio dalla società irlandese Fi. al gruppo "So.", del quale si è detto supra; a tale ultimo proposito, anzi, si osserva che proprio la vicenda "So." plasticamente conferma gli assunti del teste Ra. in ordine alle pesanti ingerenze esercitate, a far tempo dal 2012, dalla Divisione Finanza della capogruppo controllante B. nei confronti della controllata irlandese Fi., di fatto in più occasioni utilizzata dalla prima come un mero utile strumento tramite il quale poter più agevolmente porre in essere operazioni "scomode"; ed invero lo stesso teste Va.Ma., legale rappresentante del gruppo "So.", nemmeno si aspettava, avendo egli condotto la trattativa esclusivamente con An.Pi. e con il d.g, Sa.So. di B., che alla fine il finanziamento correlato, pari a 25 milioni di Euro, gli venisse erogato da Fi., società a lui fino a quel momento ignota: cfr. pag. 59 deposizione Ma., verbale stenotipico 12.12.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Si ricorda se, durante le trattative, se si possono definire così, le venne anticipato che, in realtà, il finanziamento arrivava da questa società? Lei la conosceva questa società irlandese? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"). Dal canto suo il teste ispettore Em.Ga. ha evidenziato, riguardo a Fi., quanto segue, il che è a sua volta del tutto congruente con la rivendicazione, da parte del teste Pi.Ra., della ben scarsa autonomia della controllata irlandese rispetto alla capogruppo e in particolare rispetto alla Divisione Finanza di quest'ultima: "TESTIMONE Ga. - C'era anche nel mandato di ispezione l'obiettivo dì dare un occhio particolare all'operatività di Br.. Bp. è una società che faceva parte del Gruppo Po.Vi., una controllata di diritto irlandese, che era stata costituita, sostanzialmente, con obiettivi, quando un po'tutte le banche italiane, anche in virtù del particolare regime fiscale di favore che ha l'Irlanda, costituivano società all'estero in Irlanda; che non è mai decollata in maniera significativa, faceva un po' di operatività acquistando titoli originari da cartolarizzazioni, quindi con sottostanti crediti, cose di questo genere, Ma operatività sostanzialmente poco significativa in termini dimensionali. Quindi noi, nel fare le verifiche su Bp., abbiamo verificato che nell'attivo creditizio, premesso che i crediti non erano l'attività core, non dovevano essere l'attività core di Bp., quindi un'attività di elezione; in Bp. abbiamo notato queste posizioni creditizie relative a queste società Br., Ma. e Ju. E abbiamo approfondito queste posizioni". In aggiunta a tutto ciò, e venendo più specificamente alla vicenda delle tre società lussemburghesi, il teste Gi.Gi. (delle cui qualifiche già si è detto supra) a sua volta riscontra il teste Ra. circa il ruolo, per così dire strumentale, rivestito da Fi. - benché autrice materiale dei finanziamenti - nella vicenda suddetta, connotata da un impulso proveniente in realtà da An.Pi. tanto per le operazioni del 2012 quanto per quelle del 2013. - anno 2012 (cfr. pag. 70 del verbale stenotipico 16.7.2019): - TESTIMONE GI. - Fine 2012, quindi io sono a Milano da sette-otto mesi. E il dottor Pi. mi dice: "Guarda che ti chiamerà - che "vi chiamerà" o "ti chiamerà", non ricordo bene - Ra. per l'inquadramento di queste operazioni su queste società". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lui citò anche le famose Br., Ma. e Ju.? TESTIMONE GI. - Non ricordo se citò, mi dice "Sarai" o "Sarete" non mi ricordo, "chiamati da Ra. per l'inquadramento di queste operazioni". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Per inquadrare le operazioni, le citò qualche persona fisica che già lei conosceva o qualche società? TESTIMONE GI. - No, in quel momento, no, Ra. contatta - credo fosse de visu anche, cioè proprio viene a Milano perché ogni tanto poi c'era - il nostro capo dei Crediti della regione, il dottor Ma., e gli disse "Guarda che sono d'accordo con Pi. che inquadreremo... che ti manderò, ti inoltrerò queste pratiche perché? Perché fa Fi. non aveva struttura, e quindi si serviva, sostanzialmente, come service dell'area, o della direzione regionale o dell'area nella quale queste operazioni venivano inquadrate. Quindi Ra. scrive una e-mail e dice: "Caro dottor Ma., ti prego di inquadrare questa linea di credito su questa società, con questa durata, con questo tasso. Le finalità sono queste. I soci di questa società sono questi. Abbiamo fatto i controlli World Check" eccetera, e bla bla bla, eccetera eccetera. E quindi noi, come poi ..."; - anno 2013 (cfr. pag. 73 del verbale stenotipico 16.7.2019): "TESTIMONE GI. - No, poi, a un certo... lì siamo alla fine del 12, quindi lì poi succede che poi c'è l'aumento del capitale delle 13, no? Io ricordo che poi andai dal dottor Pi. e dissi: "Scusami" le società, le tre società devono fare l'aumento di capitale?", "Devono fare l'aumento di capitale" e allora. Sempre al teste Gi., nel corso dell'udienza del 16.7.2019, è stata mostrata la produzione documentale del P.M. costituita dal rapporto dell'Internal Audit relativo all'intervista fattagli il 23 luglio 2015, un passo del quale (primo paragrafo di pag. 2) ha il seguente tenore: "Altra eccezione è costituita dalle operazioni appostate sulla Fi. su input di Pi. a seguito dei rapporti instaurati con Ma. e De.. In base alle informazioni fornitegli dal Sig. Sb., dette operazioni furono costruite e concordate con " So., Pi., Ma. ed ovviamente Ra. appoggiandole sulle tre società lussemburghesi Ju., Ma. e Br.". Ebbene, il teste Gi., su specifica domanda del difensore del PI., ha confermato integralmente tale sua dichiarazione - inclusa dunque la parte relativa all'input proveniente dal predetto PI. - rettificandola unicamente quanto a un dettaglio irrilevante (l'aggiunta del nominativo del Ma. a quello del De.), cfr. pag. 79 verbale stenotipico 16.7.2019: Omissis Un altro significativo riscontro al teste Ra. circa il pieno e diretto protagonismo di An.Pi. nell'operazione in esame (tanto da avere quest'ultimo elaborato una sua versione dei fatti - in buona parte analoga a quella, come vedremo insoddisfacente, da lui offerta nel presente giudizio - per tacitare chi, all'interno di B., gliene chiedeva conto) viene dal teste Gi.Fe., ex militare della GdF passato in B. nel 2006, all'epoca responsabile della Co. (cfr. pagg. 45 e ss. verbale stenotipico 31.1.2020). Il Fe., imbattutosi casualmente in tale operazione nel 2013 nell'ambito di un controllo antiriciclaggio, ha dichiarato quanto segue (cfr. pagg. 45-46 ibidem): "Insomma, è una cosa che volevo capire bene, ma per l'antiriciclaggio volevo capirla bene, cioè all'epoca io non avevo la sensibilità che c'è stata dopo sul tema finanziamenti correlati all'acquisto di azioni. Andai da So., e So. mi rinviò su Pi., mi disse: parlane con Pi.. Quindi andai da Pi., e Pi. mi disse: no, guarda che con Finanziaria Internazionale abbiamo dei discorsi in piedi. E in effetti, la banca, in quei periodo, stava acquistando molte azioni di Sa., tanto che arrivò all'8% di Sa., cioè un po' di azioni furono acquistate direttamente nei/'ambito detta movimentazione del portafoglio proprietario, quindi dalla Divisione Finanza della banca, altre azioni furono acquistate ai blocchi da parte della banca passando per il processo del Comitato Partecipazioni. Per cui, effettivamente, cioè, Pi. me la vendette un po'così, dice: no, guarda, loro stanno comprando, hanno della liquidità a disposizione in questo momento che noi gii abbiamo fornito per fare altre cose, gli abbiamo chiesto di comprare azioni, cioè, anzi, no gli abbiamo chiesto di comprare azioni, ci scambiamo ... Loro comprano azioni detta banca, noi stiamo comprando azioni di Sa., io avevo fatto un po' di ragionamenti anche su ipotesi di market abuse, però eravamo arrivati alta conclusione che non ci fossero problematiche di quel genere, anche perché c'era assoluta trasparenza sul fatto che Po.Vi. stava scalando il capitale di Sa., cioè era diventato il principale azionista di Sa., oltre a Ma.. E quindi la vicenda si chiuse così. Cioè, poi, successivamente, è stato chiaro che... è stato chiaro dopo che ne abbiamo parlato con Bc. e Consob che in realtà l'obiettivo era un altro, PRESIDENTE - Mi scusi, Dottore, ma lei questo accertamento, questo colloquio quando lo ha avuto con So./Pi.? TESTIMONE Fe. - 2013. PRESIDENTE - 2013, quando? TESTIMONE Fe. - Eh, poco dopo l'ispezione fatta in Irlanda, in Fi.. Mi pare, però forse mi sbaglio, estate 2013. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Se posso, perché effettivamente sul punto non aveva detto, nel verbale del 7 ottobre 2015 lei disse: "Nel corso di un incontro con So., da me richiesto per questa vicenda, avvenuto, se ben ricordo, nel giugno del 2013, lo stesso Direttore Cenerate mi invitò a sentire Pi. - Ecco, poi le interlocuzioni si sono svolte di lì a poco rispetto a? TESTIMONE Fe. - Sì, sì, no, era stato tutto motto immediato. La giustificazione dell'operazione che ebbe a fornire nel 2013 il PI. al teste Fe. della Compliance, ossia il suo essere una sorta di operazione di "mutuo soccorso" volta ad aiutare il gruppo Fi. a mantenere il controllo di Sa., società dì gestione dell'aeroporto Ma.Po. di Venezia, rastrellandone azioni, è stata indi riproposta dall'imputato, peraltro con non insignificanti modifiche, nel suo esame dibattimentale del 3.3.2020 (cfr. sue pagg. 88-95). In sede di esame, per la verità, lo stesso PI. ha finito con l'ammettere dì aver concepito lui, personalmente, tale operazione su proposta di Ma.Sb. di Fi. (è anzi a suo dire lo Sb. che, testualmente, gli riporta l'operazione da fare": cfr. pag. 90 esame dibattimentale del 3.3.2020 cit.) e di averla affidata a Fi. soltanto perché veicoli erano lussemburghesi, per cui l'unica società che poteva fare un finanziamento a un veicolo lussemburghese era la Fi. perché era un finanziamento estero su estero, così come faceva la Fi. di mestiere" (cfr. pag. 92 ibidem). Tale operazione, secondo il PI., sarebbe rientrata "in un novero di rapporti a più alto livello tra la Banca (...) e il Gruppo Fi. Il Gruppo Fi.... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - "A più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - A livello, probabilmente, di CdA o di Direzione Generale, con i responsabili... con gli amministratori delegati e anche i proprietari di quello che all'epoca era il Gruppo Finanziaria Internazionale, cioè Ma. e De., all'epoca, poi rimase solo Ma.. Dico questo perché di fatto la banca aiutò il Gruppo Finanziaria Internazionale a mantenere il controllo del rapporto Sa ve di Venezia, non a caso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Perché vendevano gli Enti locali, no? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - La partecipazione degli Enti locali che veniva venduta? IMPUTATO PI. - Comprammo una parte la partecipazione degli Enti locati, che dismisero l'investimento, ma io, poi, come Divisione Finanza, feci parecchie operazioni sul mercato per accrescere la percentuale. Tanto che la Po.Vi. era il secondo azionista di Sa., a un certo punto, con t'8,2% della cosa. Questo era il quadro generale all'interno del quale si staglia questo tipo di operazione. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Okay. Ma, come dire, chiamiamola "scalata" si può dire di B. a." - O l'acquisto semplicemente di B. delta partecipazione di Sa., è un'iniziativa di chi? E' una decisione? IMPUTATO PI. - è un'iniziativa che proviene dal CdA della banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT.. Sa. - Dal CdA della banca? IMPUTATO PI. - Assolutamente sì" (cfr. pagg. 88-89 ibidem). Tuttavia la ricostruzione operata dal PI. nel suo esame dibattimentale - differendo sul punto da quanto egli aveva riferito nel 2013 al teste Fe. - risulta contraddittoria laddove da un lato l'imputato ribadisce il preteso scopo di mutuo soccorso e di aiuto reciproco tra B. e Fi. (cfr. pag. 90 ibidem: "Esattamente la stessa logica che dicevo prima sugli investimenti con gli accordi con investitori istituzionali; tu mi aiuti da un lato e io ti aiuto dall'altro. Lo trovavo anche logico dal punto di vista..."), il che avrebbe logicamente importato che la contropartita del rastrellamento di azioni Sa. da parte di B. fosse l'acquisto di azioni B. da parte di Fi. ovvero delle sue controllate (come appunto il PI. ebbe a riferire nel 2013 al teste Fe., v. supra), mentre dall'altro lato il PI. afferma in sede di esame che l'accordo con Fi. prevedeva viceversa l'acquisto, da parte di quest'ultima, non già di azioni B. (la cui detenzione da parte delle tre società italiane Pe., Gi. e Lu. l'imputato sostiene di avere scoperto solo nel 2013 in quanto riferitagli proprio dal teste Fe. della Co.: cfr. pag. 93 ibidem) bensì di titoli tutt'affatto diversi, emessi da soggetti terzi (cfr - pag. 92 ibidem: "Genericamente, private equity o comunque equity dei nord est, e rinnovabili. Infatti, compravano Co.")) ciò fa però scolorire del tutto il vantato scopo di reciproco sostegno che avrebbe animato l'operazione, non riuscendosi allora a scorgere quale mai potesse essere, così stando le cose, il vantaggio, per così dire, "sinallagmatico" conferito da Fi. a B. in cambio di tutto il prodigarsi di quest'ultima per rastrellare azioni Sa., Ed invero, nonostante i ripetuti tentativi del Pubblico Ministero di riuscire a individuare - in sede di esame dibattimentale del PI. - l'altro capo del preteso rapporto biunivoco dì mutuo soccorso e reciproco sostegno intercorso con Fi. in relazione all'acquisto di azioni Sa., va detto che tale ricerca è rimasta, di fatto, priva di esito (cfr. pagg. 94-95 ibidem). A questo punto l'unica logica spiegazione dell'operazione in esame è e resta, dunque, quella - del tutto lineare - fornita dal teste Ra. (della cui attendibilità, in quanto adeguatamente riscontrato su plurimi aspetti della sua deposizione, già si è detto), secondo la quale l'operazione, concepita e sottopostagli per la materiale esecuzione dal PI., non aveva altro scopo se non quello di aiutare B. a liberarsi di un rilevante quantitativo di proprie azioni: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. "Il 20 febbraio 2017 lei disse questo: "Nel momento in cui ho appreso che le società italiane - chiamiamole S.r.l. - avevano acquistato" Lei non si ricorda i nomi di queste società? TESTIMONE Ra. - Gi., Pe. e Lu.? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, quindi si ricorda, Gi., Pe. e Lu., mi pare, ecco, non mi ricordo neanche io! ..." avevano acquistato queste azioni Bp., a fronte delie mie perplessità, Pi. mi ha replicato che era necessario aiutare la banca a comprare le azioni proprie". Questo è accaduto? TESTIMONE Ra. - St. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, no, quando: nel primo momento o nel momento in cui è stato evidente che il finanziamento era stato destinato ad acquistare azioni delta banca? TESTIMONE Ra. - Nel momento in cui è apparso evidente che tutta l'operazione era poi finalizzata ad acquistare azioni della Po.Vi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Della banca, quindi Pi. le dette questa spiegazione? TESTIMONE Ra. - SI" (cfr. pagg. 37-38 verbale stenotipico 21.11.2019). Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. con riguardo ai finanziamenti erogati nel 2012 e nel 2013, tramite Fi., alle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br.. 14.1.3.5. Le operazioni di investimento nei fondi esteri At. e Op. (Mu. e Mu.). Dall'istruttoria dibattimentale è altresì emerso il diretto e determinante apporto causale di An.Pi. negli investimenti operati, tanto nel 2012 da parte della capogruppo B. quanto nel 2013 da parte della sua controllata irlandese Fi., nei fondi esteri unknown exposure denominati At. (con sotto-fondo/comparto denominato Eu., oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B.) e Op. (fondo-ombrello Op., due "raggi" del quale erano il Fo., articolato nei sotto-fondi/comparti Beta, Gamma e Delta, oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B., e il Fo.Mu., oggetto di investimento l'anno seguente, 2013, da parte della controllata irlandese Fi.); investimenti tradottisi: - da un lato, e anzitutto, nella protratta giacenza, presso determinati comparti (o sotto-fondi) di tali fondi, di azioni B. per un valore originariamente pari a complessivi Euro 60 milioni, di cui 30 milioni su At. e 30 milioni su Op.; azioni costituenti dunque oggetto di un vero e proprio deposito indiretto e occulto in spregio all'allora vigente circolare 263/2006 di Banca d'Italia che, pur non essendo ancora entrato in vigore l'ancor più stringente regime del c.d. CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, vigente dall'I.1.2014), già prevedeva comunque l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; - dall'altro lato, e in aggiunta a ciò, nella sostanziale effettuazione - tramite altri comparti dei suddetti fondi esteri - di "operazioni creditizie non passate attraverso gli organi competenti. Queste operazioni creditizie, invece di passare attraverso gli organi competenti, erano state fatte in forma di emissione, di sottoscrizione di obbligazioni. Sono stati dati soldi al Gruppo Ma., al Gruppo De Ge., al Gruppo Fu., due gruppi, tra l'altro, De Ge. e Ma. che la banca... che già non pagavano, superando limiti importanti di ammontare" (cfr. pag. 66 deposizione teste ispettore Em.Ga., verbale stenotipico 26.9.2019). Fondamentale al riguardo è ancora una volta, in primo luogo, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10.2019; cfr, in particolare le pagg. 8-21 del relativo verbale stenotipico, da cui si evince che: - il team ispettivo Bc. entrò in B. "sapendo che c'erano dei fondi che detenevano al 30 giugno 2014, sulla base delle segnalazioni effettuate a Banca d'Italia, a Bc., 55 (rectius 52,4) milioni di Euro di azioni proprie Che poi erano scesi fino a zero al 31 dicembre (...)" (cfr. pagg. 8-9 deposizione teste Ma.); - lo stesso team ispettivo Bc., nella persona proprio dell'ispettore Ma., rapportandosi con l'Ufficio Soci di B. (il cui responsabile era il teste Fi.Ro.), riuscì a ricostruire "le modalità di acquisto di questi 55 (rectius 52,4) milioni che in realtà non furono 55 ma erano 60" (cfr. pagg. 9 deposizione teste Ma.); - gli ispettori, in particolare, ebbero a verificare a tal proposito che in data 27-28 novembre 2012 la banca decide di investire 100 milioni su un fondo chiamato Op., 100 milioni su un fondo chiamato At.. Le modalità con le quali avviene questo investimento nei fondi sono di questo tipo: la banca, o il sottoscrittore, si impegna irrevocabilmente a versare 100 milioni, poi sono i fondi che decidono di chiamare a sé, ricevere i 100 milioni. Op. li riceve subito, i primi giorni di dicembre 2012 riceve questi 100 milioni, si fa dare 100 milioni; At. si fa dare 70 milioni a dicembre e i 30 a gennaio 13. Quindi quello che è importante è che a dicembre 2012 i fondi avevano in pancia, dalle ricostruzioni, 100 milioni cash uno, Op., 70 milioni cash l'altro, At.. 28 novembre... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Novembre 2012? TESTIMONE MA. - Novembre 2012. Dopodiché I fondi acquistano azioni con tre operazioni diverse, si cominciano a muovere praticamente sulle azioni proprie, e questo avviene tutto tra il 27 dicembre 12 e 31 dicembre 12. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a fine anno? TESTIMONE MA. - Assolutamente sì (...). I fondi acquistano 60 milioni in questo modo. Cominciamo con un'operazione semplice, l'operazione semplice la fa l'Op.: mi compra 29,972.000 Euro dì azioni, se permette arrotondo a 30 altrimenti numeri (...), Op., arrotondo a 30 milioni, ordine 27-28 dicembre, valuta 31 dicembre. Cosa significa? Che il 31 dicembre c'è lo scambio: Op. si prende le azioni dal fondo e fornisce 30 milioni alla controparte. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Direttamente? C'era un intermediario qua? TESTIMONE MA. - Qui in mezzo c'è un broker chiamato Ma.Sp. (...). Op. compra 30 milioni, valuta 31 dicembre. At.. At. fa una stessa identica operazione: ordine il 27-28 dicembre 12, valuta 31.12.12, però At. mi compra 5,5 milioni. In mezzo c'è De.. Mancano all'appello 24,5 milioni. Questi 24,5 milioni hanno una struttura un pochino più complessa, cerco di essere il più possibile semplice (...). At./Eu., se ricordo bene. Quindi 30 Op., 5,5 At., mancano all'appello 24,5. Questi 24,5 milioni nascono in realtà un po' prima delfine dicembre, perché l'Ufficio Soci mi portò delle e-mail, chiesi all'Ufficio Soci: mi fate capire come nasce l'ordine, come nasce l'acquisto, perché questi fondi hanno acquistato? L'Ufficio Soci, nella persona del dottor Ro., mi portò delle e-mail. Queste e-mail partono il 14 dicembre 12 e riguardano uno scambio di e-mail tra il dottor Pi. e due soggetti italiani (...) avevano lo stesso cognome, Ri.Al. e Ri.Em., se ricordo bene, che lavoravano in una banca londinese ma giapponese, banca No. (...). Dopodiché questa operazione, 14 dicembre, le e-mail che seguono riguardano, diciamo, la parte operativa, cioè l'Ufficio Soci della Po.Vi. e il back office di questa banca. Arriviamo quindi all'ordine. L'ordine di No. è di 24,5 milioni, un ordine che corrisponde a 392.000 pezzi di azioni che, controvalorizzate appunto sono 24,5 milioni. Ordine del 27 e 28 dicembre, valuta 31.12. Uguale identico agli altri fondi Op. e At.. Prezzo 62,50, ovviamente, perché la banca non è che poteva vendere a un prezzo più alto o più basso. E l'operazione fini là, quindi No. al 31 dicembre si prende 24 milioni di azioni. Successivamente, quando abbiamo ricevuto praticamente dai fondi At. ed Op. la contabile con la quale loro erano venuti in possesso, diciamo, delle azioni, notai che in realtà la banca depositaria di At. scrive ad At. dicendo: guarda che tu hai acquistato 24,5 milioni di azioni, e su in alto c'è una data che è 28 dicembre 2012, trade date, trade date significa data dell'ordine, insomma, però valuta 2 gennaio. Cosa significa? Significa, ai miei occhi, che No. compra 24,5 milioni il 27 dicembre, valuta 31, ma sotto probabilmente c'era un altro contratto già fatto con At., stessa data ma passiamo il Capodanno, 2 gennaio 2013, 2 gennaio perché l'I gennaio/ insomma, è festa per tutti In questo modo / fondi hanno comprato 60 milioni, Siamo ai 2 gennaio 2013: 30 milioni Op., 5,5 At., di prima, 24,5, fa somma fa 60 milioni. Siamo al primo gennaio 2013 e il 2013 scorre in maniera, diciamo, normale - Ritengo che i fondi avessero in pancia ancora 60 milioni (...). No. compra dalla banca a 62,50 e poi vende, stessa data ma con valuta 2 gennaio, ad At., ovviamente sono banche che non fanno nulla per nulla, le vende non a 62,50 ma a 62,56. Diciamo che due privati possono scambiarsi le azioni di Po.Vi. a qualsiasi prezzo, insomma non sono obbligati". Se non vai sul mercato della banca compri a un prezzo che vuoi, insomma, com'è successo poi su un'altra operazione che, semmai vi può essere utile raccontarvi, 62,56. Se noi moltiplichiamo 62,56 per il numero delle azioni vediamo che No. da questa operazioncina ha guadagnato lo 0,1% di 24,5 milioni, cioè 24.500 euro" Quindi No. ci guadagna da questa bridge, chiamiamola bridge, ponte, operazione ponte, 24.500 Euro per di fatto tenere le azioni un giorno, due giorni, da131.12 ai 2 gennaio, Il 2 gennaio già ce le aveva At./Eu., dai documenti che io ho e dalle evidenze contabili. Il 2013 scorre in questo modo, cioè i fondi hanno 60 milioni in pancia, ritengo che avessero 60 milioni in pancia perché? Perché nel 2013... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però non si sapeva? TESTIMONE MA. - Non si sapeva" (cfr. pagg. 9-12 deposizione teste Ma.). E' altresì emerso, sempre in sede ispettiva, che i fondi esteri in questione, al di là del fatto di essere fondi appartenenti alla categoria unknown exposure (= a esposizione ignota o non comunicata), ossia non tenuti a comunicare all'investitore come e dove impiegheranno i suoi denari (un connotato, questo, che - come osserva la difesa - non era estraneo neppure a taluni fondi di tutt'altro gestore in precedenza utilizzati da B. con profitto per la propria liquidità), avevano quale loro ben più significativa - e questa sì del tutto anomala - caratteristica quella di non essere fondi collettivi, ossia connotati da una pluralità di investitori, bensì di vedere quale proprio unico investitore (e/o, al più, quale proprio investitore al 90%) la stessa B.. Tale peculiarità - invero determinante nel condurre a ravvisare la penale responsabilità dell'imputato PI., come sì vedrà infra - è stata illustrata con particolare chiarezza dal teste ispettore Em.Ga. alle pagg. 60-62 della sua deposizione resa il 26.9.2019: "TESTIMONE Ga. - A esposizione ignota o non comunicata, insomma, poi fa traduzione... Cioè fondi in cui il gestore ha fa possibilità di non comunicare i sottostanti. Qual è la singolarità? Quindi uno strumento consueto, anche se un po' particolare, però è normale, può capitare. Qua! è la singolarità? La singolarità è che Po.Vi. era, sostanzialmente, l'unico sottoscrittore di questi fondi. Quindi questi fondi, il fondo, per sua natura, anche il fondo più riservato, per sua natura, ha una pluralità di sottoscrittori; cioè c'è una serie di soggetti che sottoscrivono quote di un fondo e conferiscono delle somme perché vengano gestite e investite - Qui, invece, la vera natura giuridica, la sostanza è che non si trattava di fondi: si trattava di gestioni patrimoniali, cioè se il fondo è completamente alimentato da risorse mie non è un fondo, è una gestione patrimoniale di mie risorse. (.... Il Comitato Finanza, in realtà, non ha mai saputo nulla di quello che c'era nei fondi perché / veri asset in cui i fondi erano investiti erano sottofondi che, a loro volta, occultavano i veri strumenti finanziari target strumenti finanziari finali in cui i fondi erano investiti. E in più, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che l'obiettivo iniziale per cui questi fondi erano stati... si era deciso di acquistare questi fondi quello che è stato formalizzato, cioè quello di intrattenere relazioni con chi potesse portare liquidità alla banca, si verificava, cioè si era verificato. Cioè, inizialmente, questi fondi erano stati sottoscritti perché il dottor So., Pi., non so chi ha presentato fa richiesta in Consiglio di Amministrazione, aveva detto: "No, vabbé, ci serve avere questo plafond, che è stato progressivamente aumentato, plafond importante perché il rischio è elevato, "Ci serve avere questo plafond perché così intratterremo relazioni con clienti che poi ci potranno portare della raccolta, noi abbiamo bisogno di raccolta", quindi un po' replicando quel meccanismo che la banca aveva utilizzato con Az. nel 2011 -2012, alla fine del 2011: quando la banca aveva avuto dei problemi di liquidità, aveva investito in fondi Az., e Az. Aveva portato, credo, 400 milioni di raccolta. Però i problemi di liquidità, alla fine del 2012f erano venuti meno e, comunque, in ogni caso, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che effettivamente i fondi Op. o At. avessero portato quella liquidità, e poi effettivamente non è stata portata". Già le sole acquisizioni dei dati oggettivi, qui riportati, esposti dagli ispettori Gi.Ma. ed Em.Ga. rendono evidente l'infondatezza di una serie di assunti difensivi volti a perorare la bontà e la piena legittimità delle suddette operazioni di investimento nei fondi esteri; assunti ribaditi con forza dalla difesa in sede di discussione finale, secondo cui: a) un soggetto di solida reputazione come la banca internazionale No. ebbe a divenire, in tal modo, investitore e socio di B. (in realtà, come si è visto, No. si tenne le azioni B. appena per due giorni, vendendole immediatamente dopo al fondo At. e finanche lucrando su tale sua rapida intermediazione l'importo di 24.500,00= euro); b) l'operazione era una mera replica di quella fatta in precedenza con i fondi Az., che avevano effettivamente dato ottimi risultati in termini di liquidità, e ciò in quanto Op. e At. avrebbero distribuito i 60 milioni di azioni B. presso la propria clientela, essendo investitori istituzionali (in realtà, come si è visto, i fondi lussemburghesi Op. e At. e per essi i loro sotto-fondi - ovvero comparti-, non essendo fondi collettivi, erano strutturati ben diversamente dai fondi Az. fino a quel momento utilizzati, giacché, di fatto, non avevano la benché minima clientela presso la quale poter distribuire quelle azioni, semplicemente in quanto non esistevano, di fatto, altri loro investitori se non la stessa B.). Quanto poi all'appena ricordato ruolo di mero intermediario e depositario temporaneo (per due soli giorni) svolto da Banca No. nella vicenda dell'acquisto di azioni B. per 24,5 milioni di Euro da parte del fondo At., il protagonismo del PI. è reso evidente, al pari della vera natura dell'operazione (con la quale B. perseguiva l'obiettivo di dare una collocazione occulta a un non certo irrilevante quantitativo di azioni proprie), dal tenore della e-mail inviatagli in data 14.12.2012 ad ore 8.59 da Ri.Al. di No., in atti sub doc. 378 del P.M.: "Ciao An.. Spero tutto ok" Ti volevo segnalare che abbiamo un concreto interesse da investitori per acquisto azioni B.. Stiamo smarcando alcuni passaggi formali interni che dovrebbero essere completati fra oggi e lunedì. A quel punto potremo formalmente farvi un'offerta di acquisto. Avrei bisogno di sapere da te: - Conferma del prezzo che abbiamo già discusso di persona; - Conferma che e ok che acquirente risulterà poi essere SPV di No.; - Conferma su vostra indicazione di size. Mi avevi detto che forse preferivate fare importi rotondi. Aspetto tue notizie, Metto in copia Al.Ri. mio collega di Eq. che seguirà questa operazione (essendo io in vacanza prossima settimana)". Come ha condivisibilmente affermato (v. subito infra) il teste ispettore Gi.Ma. mentre il suddetto doc. 378 gli veniva esibito dal P.M., sarebbe ben bizzarro, in una normale transazione connotata dalla segnalata presenza di reali investitori effettivamente interessati all'acquisto di azioni altrui, che l'entità del pacchetto azionario oggetto della potenziale compravendita non fosse determinata dalle indicazioni dell'acquirente - che è l'aspirante azionista - bensì da quelle del venditore; in più nello stesso doc. 378 del P.M. compare anche una successiva e-mail inviata il 20.12.2012 ad ore 11.08 da Al.Ri. di No. al PI., oltre che all'omonimo suo collega Ri.Al., avente il seguente tenore: "Gentile dott. Pi.. Spero che questa mia email la trovi bene. le chiederei la cortesia di sentirci ai telefono, magari nella mattinata di oggi, per dare seguito alle conversazioni da lei avute con il mio collega Ra.. Mi potrebbe dire su che numero la posso rintracciare e a che ora la posso disturbare?". Se sì fosse realmente in presenza dì una normale e trasparente transazione di compravendita di azioni, condotta alla luce del sole, davvero non sarebbe dato comprendere la ragione di tanta segretezza. Su tutto ciò cfr., per l'appunto, pag. 11 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.10.2019: "TESTIMONE MA. - Se andate a pagina... dovete fare tre giri di pagina, ci sono delle frecce" quelle sono le mie frecce. Ri. Ra. scrive a Pi., ma questa è una curiosità, è rimasta tate, insomma, però ovviamente mi avevano un po' incuriosito le modalità di formazione di questa operazione, perché? Perché Ri. Ra., potenziale compratore, dice: "guarda che noi abbiamo un concreto interesse da alcuni investitori per acquistare le vostre azioni"; e poi, al terzo capoverso: "mi conferma su tua indicazione la size? Mi avevi detto che preferivi fare importi rotondi". Ora, mi aveva incuriosito questa cosa perché il compratore non chiede al venditore "che volume vuoi fare?". Insomma, il compratore va dal venditore e gii dice "scusa, voglio comprare 24,S, ce l'hai?" Comunque, al di là di questo, questa fu una curiosità. Oltre al fatto, insomma, nella parte aita di questa pagina ci sono altre frecce con le quali Ri., insomma, dice "sentiamo al telefono"; per altri motivi". D'altra parte, che l'operazione Op.-At. avesse connotati diversi - e volutamente assai più "misteriosi", pure all'interno della stessa Direzione Finanza di B. - rispetto alla pregressa esperienza di investimento con i fondi Az. è dimostrato anche dalla deposizione resa in data 9,1,2020 (pagg. 47-49 del relativo verbale stenotipico) da Pa. Al., subalterno del PI. nell'ambito della Divisione Finanza, con il quale l'imputato, pur trattandosi di uno dei suoi più stretti collaboratori e per di più responsabile della branca Global Markets (veste nella quale l'Al. aveva svolto un ruolo rilevante nelle operazioni di investimento pregresse con i fondi Az.), si dimostrò evasivo e sfuggente, non coinvolgendolo se non per sommi capi: "TESTIMONE AL. (...) a partire dalla fine dei 2011, ci fu un inserimento di una componente di fondi. Nell'ambito di questa componente di fondi, la mia... il mio ruolo è stato soprattutto di portare o di proporre, e poi è stato validato dal Comitato Finanza e dal Consiglio di Amministrazione, investimenti nei fondi Az.. I fondi Az. di riferimento erano collegati a un investimento della banca a fronte di un deposito di liquidità da parte dei fondi medesimi - Ovviamente, questa cosa avveniva a nostro favore, nel senso che raccordo era di acquistare un x dì questi fondi e di avere, dall'altra parte, 3 volte x di liquidità a favore della banca; e in questo ambito io facevo... PUBBLICO MINISTERO - Quindi l'obiettivo strategico era la liquidità? TESTIMONE AL. - Assolutamente, PUBBLICO MINISTERO - Parliamo di azimut? TESTIMONE AL. - Az., assolutamente - E nell'ambito del tema dei fondi Az., la vicenda iniziò nel 2011, e anche quando andai via, nel 2015, mi ricordo che con il nuovo Responsabile della Divisione Finanza feci proprio un incontro con Az., perché Az. era e rimaneva uno dei principali depositanti a livello istituzionale di liquidità nei nostri confronti, Dopodiché, c'è la vicenda dei fondi a cui lei fa riferimento. La decisione di investire in questi fondi non fu una decisione dove io ebbi un ruolo nel dire: andiamo a investire in questi fondi. Non ricordo di aver partecipato a discussioni circa la selezione dei fondi, Non vidi, se non poi, come lei accennava, Dottore, nella parte finale, il tema relativo ai contratti. Furono, come qualsiasi investimento, rappresentati in Comitato Finanza, mi sembra di ricordare, però è un ricordo di memoria, quindi non ho una e-mail o feci una e-mail a questo riguardo, che quando furono presentati questi fondi io domandai a An.Pi. che cosa fossero questi fondi, e,.. PUBBLICO MINISTERO - Ma, quindi, di che periodo parliamo, quando ci fu questa interlocuzione? TESTIMONE AL. - Guardi, secondo me, poteva essere il 2012, nel senso che in Comitato Finanza il mio ricordo è che comunque erano... come si dice? Rappresentati la presenza, l'esistenza di questi fondi come ammontare. Se ricordo bene, la cosa che feci era di domandare al dottor Pi.: ma, An., questi fondi che cosa sono? PUBBLICO MINISTERO - Ma lei... No, finisca, perché poi mi è venuta in mente una cosa da chiedere. Finisca pure, TESTIMONE AL. - Gli domandai: ma che cosa sono? E fui mi disse; questi qui sono fondi dove il Direttore Generale ha espresso la decisione di... decisione di investire. (...). PUBBLICO MINISTERO - Lei a Pi. chiese la spiegazione di che questo tipo di investimento non era partito da una proposta della sua struttura? TESTIMONE AL. - Diciamo che forse sono un po' più naif, nel senso che gli chiesi: ma scusa, ma cos'è questa... questa cosa? Ritorno a quello che vi dicevo, E lui mi disse: è un investimento deciso dal Direttore Generale/'. Il dato nodale, quindi, è rappresentato dal fatto che i fondi e i sotto-fondi in esame non fossero collettivi, non potendo dunque essi nemmeno definirsi a rigore come OICVM, acronimo per "Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari". Già questo offre la misura dell'entità e gravità, in concreto, del tradimento del mandato conferito anno dopo anno dal CdA (per parte sua dimostratosi tutt'altro che vigile e attento nel vegliare sul rispetto del mandato stesso, il che rende del tutto prive di qualsivoglia valore le deposizioni testimoniali rese all'udienza del 30.5.2022 in grado di appello dal sindaco Giacomo Ca. e dal consigliere di amministrazione Gi.Pa., invocate dalla difesa come a sé favorevoli) in occasione dei progressivi cospicui aumenti del plafond, secondo quanto si evince dalle rispettive delibere, qui di seguito elencate e tutte rinvenibili in atti all'interno del composito doc. 102 del P.M.: - verbale CdA del 21.2.2012, in particolare sub aff. 122-123 (viene deliberato il brusco innalzamento del plafond degli investimenti, portato a Euro 500 milioni per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM" rispetto agli appena 150 milioni precedenti; il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi.); i primi cospicui investimenti nei fondi At. e Op. avranno luogo proprio alla fine del mese dì novembre dello stesso anno 2012, per giunta in modo tale da rischiare seriamente di superare di alcune decine di milioni di Euro il plafond stesso, benché elevato a 500 milioni di euro: cfr. i docc. 347 e 348 del PM, carteggio Ca./Pi. del 29/11/2012, dai quali si evince che Ma.Ca., subalterno del PI. in seno alla Divisione Finanza, gli segnalava tale concreto pericolo; il PI. gli replicava a stretto giro dì non preoccuparsi in quanto per fine anno avrebbero sistemato la cosa rientrando nel plafond deliberato, e ciò grazie alla dismissione di 60 milioni dai fondi Az. C Prima di allora dismetteremo altri 60 mln di fondi Az. non superando mai il limite. Saluti, An."); - verbale CdA del 5.2.2013, in particolare sub all. 382-383 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 500 a 700 milioni di Euro per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM"); anche in tale occasione il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi., non ancora affiancato in tale compito da Da.Es., responsabile del Risk Management; - verbale CdA del 23.7.2013, in particolare sub all. 107 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 700 a 800 milioni di Euro per gli investimenti finanziari in quote di OICVM ... di cui 300 milioni di Euro al massimo allocabili sul plafond di Fi. che avrà la possibilità di investire in asset class che esprimano un profilo rischio/rendimento in linea con le esigenze strategiche del gruppo")) solo questa volta il PI. (che pure prenderà la parola immediatamente dopo per illustrare il programma di offerta di prestiti obbligazionari; v. aff. 108 stesso documento) è sostituito - nella presentazione al CdA del nuovo plafond e delle linee guida degli investimenti finanziari in quote dì OICVM - dal collega Da.Es., responsabile del Risk Management, Nondimeno, come puntualizza il teste Pi.Ra., direttore generale di Fi. (della cui attendibilità già si è detto supra con riguardo alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi"), nemmeno in questo caso può certo dirsi che il PI. si fosse defilato dalla scena degli investimenti in fondi esteri, tanto che - cfr. pag. 45 dell'esame Ra. 21.11.2019 - fu proprio il PI. ad avvisarlo che, di quei 300 milioni di Euro, i due terzi andavano necessariamente destinati a uno specifico fondo già individuato, l'Op.. Si noti, d'altra parte, che tra la delibera del 5.2.2013 (di ampliamento del plafond a 700 milioni di euro) e la successiva del 23.7.2013 (di ulteriore suo ampliamento a 800 milioni, di cui un massimo di 300 milioni allocati su Fi., controllata irlandese) erano frattanto intervenute due altre importanti delibere intermedie del CdA datate 193.2013 e 28.5.2013, come si evince anche dal doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), le quali danno contezza di come - a partire dal marzo 2013 - An.Pi. fosse divenuto titolare di una delega piena ad operare nel settore, disgiunta da quella analoga che era stata conferita al d.g. Sa.So.. Delega, si noti, espressamente richiamata, e non già revocata, anche nella delibera CdA del 23 luglio 2013. L'ampiezza dei poteri conferiti dal CdA ad An.Pi. con la delega disgiunta di cui alla delibera 19.3.2013 è ben illustrata nei termini seguenti dal menzionato doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015): "(...) In data 19 marzo 2013 con specifica delibera il Consiglio di Amministrazione ha provveduto a conferire delega ai Direttore Generale e al Responsabile della Divisione Finanza disgiuntamente tra loro per il compimento di ogni atto necessario e o ritenuto opportuno per la formalizzazione degli investimenti finanziari in quote di OICVM sino al massimo di 700 mln ... dando sin d'ora per rato e validato il loro operato. Tale ulteriore delibera si era resa necessaria in quanto la scrivente Funzione (audit) nell'ambito delle periodiche verifiche ispettive circa l'operatività posta in essere dalla Divisione Finanza aveva rilevato la mancata assegnazione di deleghe con riferimento al plafond in parola richiedendo alle strutture della Divisione Finanza di procedere alla formalizzazione delle stesse. La delibera prevedeva inoltre che gli investimenti citati fossero oggetto di analisi e di periodica valutazione da parte del Comitato Finanza ed ALMS su indicazione della Divisione Finanza della Divisione Bilancio e Pianificazione e della Direzione Risk Management e di rendicontazione periodica al Consiglio di Amministrazione. Successivamente in occasione della seduta del 28 maggio 2013 il Consiglio di Amministrazione ha inoltre approvato la revisione dei criteri di inclusione nel plafond citato consentendo anche la sottoscrizione di OICVM che investano in strumenti di capitale purché questi non rappresentino una quota superiore ai 40% del totale del plafond stesso (...)". Come si può notare le delibere del CdA in materia risultano totalmente travalicate e contraddette dai contenuti delle operazioni in concreto concluse con i fondi Op. e At.: essi non sono definibili come OICVM, ossia come fondi collettivi; non sono destinati alla distribuzione di azioni tra i loro pretesi investitori, che non esistono; i loro investimenti in strumenti di capitale hanno ad oggetto azioni proprie di B.. Come si legge nel suddetto doc. 418 del PM ben altra era "la mission del plafond su cui tali investimenti insistono ovvero la strumentalità degli stessi a partnership finalizzate ad acquisire liquidità per il Gruppo". Obiettivo che era viceversa stato perseguito, anche con buoni risultati, con i diversi fondi nei quali si era investito sino a fine novembre 2012. Che il carattere non collettivo dei fondi At. e Op. rappresentasse una scelta incompatibile con un'effettiva volontà di investire (e compatibile, invece, unicamente con la volontà di dare vita a un deposito indiretto occulto di titoli), emerge altresì dal fatto che tale circostanza, una volta appresa, destò l'incredulità del responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione, Ma.Pe., resosi autore di un appunto manoscritto privo di data che è stato acquisito agli atti quale doc, 805 del P.M., da quest'ultimo prodotto all'udienza del 4,2,2020 (la teste di P.G. Me.Ro. ha spiegato durante tale udienza che l'appunto - privo di data ma sicuramente successivo, dato il suo complessivo contenuto, all'entrata in vigore del CRR, ossia all'1.1.2014 - si trovava annotato su un'agenda sequestrata nell'ufficio di Pe.), In tale appunto, assieme ad altre annotazioni, si legge; "Indiretti? Che senso ha investire in un fondo 100% o 90% che investe in azioni banca?". Ed invero lo stesso imputato PI., dopo avere sostenuto per buona parte del suo esame dibattimentale 3.3.2020 che si era trattato di un regolare mirato investimento, finalizzato alla - distribuzione" delle azioni B. tra i vari clienti investitori nei fondi At. e Op. ("imputato Pi. - 2012, quindi stiamo parlando di settembre-ottobre 2012, E invece, con loro trovammo la definizione, per cui la proposta qual era? Che la banca avrebbe investito 100 milioni nel fondo meglio, in determinati comparti dei fondi At. e Op., e Op. e At. avrebbero distribuito 30 milioni di azioni Po.Vi. presso la propria clientela. Questo era l'accordo che fu preso con foro e da cui partì poi l'investimento nei due comparti": cfr., pag. 47 verbale stenotipico 3.3,2020), con lo scopo dichiarato di ampliare e diversificare la platea degli azionisti (per "aumentare la base di investitori istituzionali in relazione agli altri soci della banca. Questo perché? Perché la Banca (...), fino a quel momento lì, aveva una base sociale, in maniera assolutamente preponderante, direi il 95-96%, fatto da individui o da imprenditori, pochissimi nel settore istituzionale, forse la banca in assoluto che aveva meno investitori istituzionali a livello di azionariato in banca. Quindi c'era necessità di andare a spingere, rispetto a questo numero, su investitori istituzionali (...) Quindi sempre di più si doveva cercare di andare a trovare almeno uno zoccolo duro di investitori istituzionali. E questo tipo di attività, di "scouting", diciamo, di ricerca di investitori istituzionali, a me è stato chiesto da parte del Direttore Generale So.": cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico 3,3.2020), ha dovuto riconoscere infine, in risposta a una precisa domanda della presidente del collegio dì primo grado riferita proprio al tenore dell'appunto manoscritto dì Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M., la verità, ossia che - al momento della sottoscrizione dei fondi Op. e At. - egli ben sapeva che B. ne era il solo investitore e che dunque non vi sarebbe stata alcuna "distribuzione" delle azioni B. tra plurimi investitori, perché questi ultimi erano in realtà inesistenti (cfr. pag. 132 verbale stenotipico 3.3,2020): "PRESIDENTE - C'è un appunto del dottor Pe., che è stato prodotto dal Pubblico Ministero, che contiene una domanda che anch'io mi sono fatta, mi sono posta; che senso ha investire in fondi, se i fondi comprano azioni della banca? è una domanda che anch'io mi sono posta, è in grado di darci una risposta? IMPUTATO PI. - Col senno di poi, ovvio, certo che non aveva senso, tanto che dopo diciamo bisogna in qualche maniera redimerli, perché non ha senso, anzi, patrimonialmente non c'è logica, Ma questo non era l'obiettivo. Non dovevano i fondi comprare azioni della banca, o meglio, non dovevano mettere delle azioni della banca su comparti in cui la banca stessa aveva investito. Non era questa la logica". Né potrebbe seriamente obiettare l'imputato - come pure egli ha implausibilmente tentato di fare nel corso del suo esame dibattimentale - di avere "sperato" che, prima o poi, la situazione iniziale a lui ben nota (connotata dal carattere non collettivo dei fondi esteri in esame, che vedevano la stessa B. quale foro sostanzialmente unico investitore ed erano oltretutto "chiusi", dunque tali da fornire alla stessa B. soltanto insufficienti e scarne informazioni di primo livello) mutasse consentendo finalmente la comparsa all'orizzonte dell'auspicata vasta platea dì investitori diversificati ai quali "distribuire" le azioni per il momento giacenti nei comparti dedicati ("sotto-fondi") dei fondi medesimi. Investitori, si badi, che ancora non si erano minimamente palesati a tutto il giugno 2014 (ciò dimostrando a fortiori che il solo intendimento del PI. e del So. era in realtà ab origine sempre stato quello di collocare stabilmente a tempo indeterminato le azioni B. nei comparti dei fondi a ciò dedicati al fine di attuare una forma occulta di loro detenzione indiretta), allorquando - v. su ciò più ampiamente infra - l'entrata in vigore del c.d. CRR costrinse infine la Divisione Finanza di B. a chiedere una disclosure tanto ad At. Capital quanto a Op. circa la giacenza di azioni B. presso i comparti dei rispettivi fondi, mentre fu necessario ulteriormente attendere l'ispezione Bc. del 2015 (e le pressioni in tale sede esercitate dal team ispettivo sul d.g. So. e sullo stesso PI.: cfr. deposizione del teste ispettore Em.Ga., pag. 64 verbale stenotipico 26.9.2019) per poter avere contezza di quali fossero i sottostanti ai fondi medesimi. Ebbene, a seguito di ciò risultò che ancora nel mese di maggio 2015 B. e Fi. seguitavano ad essere gli unici sottoscrittori, rispettivamente, del Fondo Op. 1 e Mu. mentre B. seguitava ad essere sottoscrittore al 99% di At., come si evince dal doc. 418 del P,M, (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: "Alla data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedevamo) fa costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti Risulta del tutto inverosimile - e invero anche svilente della sua riconosciuta elevata professionalità - la figura, tratteggiata per sé dal PI. alle pagg. 50-53 del suo esame dibattimentale 3,3,2020, di colui che, dopo avere adottato la consapevole e volontaria decisione di condurre B. a investire un rilevante importo nella sottoscrizione di fondi non collettivi aventi la medesima B. quale loro sostanzialmente unico investitore, si sarebbe poi di fatto limitato, assieme al direttore generale So., ad affidarsi al destino (accettando, quindi, anche l'eventualità, nient'affatto remota e in concreto verificatasi, che l'investitore rimanesse la sola B. per sempre), senza che peraltro i vertici della banca fossero posti - per sua stessa ammissione - nelle condizioni di verificare l'evolversi di tale situazione (e dunque, a tacer d'altro, senza che B. potesse disporre dei dati indispensabili a verificare se, quando e in quale misura dover scomputare dal patrimonio di vigilanza azioni proprie giacenti nei comparti dei suddetti fondi): - cfr. pagg. 50-51 esame PI.: Omissis - cfr. pag. 53 esame PI.: Omissis A ciò si aggiunga che il PI. riconosce anche (cfr. pag., 55 suo esame 3.3.2020) che tutta la vicenda degli investimenti nei fondi At. e Op. prese le mosse dall'esigenza, annunciatagli come impellente dal direttore generale Sa.So., di far uscire dal fondo riacquisto azioni proprie della banca il controvalore di 60 milioni di Euro in azioni B.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quando lei è stato sentito dal Pubblico Ministero, nel corso dell'interrogatorio, verbale 26 settembre 2017, quindi dopo che ha ricevuto ravviso di conclusione delle indagini preliminari, lei dice: "Con riferimento all'operazione At. e Op., ricordo che tra settembre e ottobre 2012 il dottor So. (...) mi aveva rappresentato la necessità di collocare 60 milioni di Euro di azioni della banca per alleggerire il fondo riacquisto azioni proprie". IMPUTATO PI. - Confermo. Assolutamente sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi So. le dice che bisogna...? IMPUTATO PI. - Certo. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - ...come dire, dismettere dal fondo 60 milioni ..? IMPUTATO PI. - Sì, anche perché io non ho contezza di quant'è la capienza del fondo, quindi qualcuno deve dirmelo.". Tutte le affermazioni del PI. da ultimo passate in rassegna si pongono in netta contraddizione col suo assunto di partenza secondo cui la finalità delle operazioni stipulate con i fondi esteri in esame sarebbe stata esclusivamente quella di reperire nuovi "investitori istituzionali a livello di azionariato in banca" e risultano ben più congruenti col tenore, assai diverso sul punto (e collimante invece con la deposizione del teste Fi.Ro. dell'Ufficio Soci: cfr. pag. 54 dell'esame 8.10.2019 di questi), del suo interrogatorio 26.9.2017, il cui verbale è stato prodotto dal P.M. ex art. 503 c.p.p. all'udienza del 23.6.2020, laddove l'imputato sosteneva di avere sempre avuto ben chiaro fin dall'inizio - allorché cioè il d.g. So. chiese a lui e al GI. di attivarsi per collocare, rispettivamente, 60 e 40 milioni di azioni B. - che l'operazione andava ricondotta a una "necessità della banca" (precisamente la necessità di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie) e "non un'opportunità di investimento. In questa occasione, come ho già detto, ebbi il sentore di una certa difficoltà della banca sul riacquisto delle proprie azioni dai soci L'operazione di collocamento delle azioni fu poi eseguita presso la B. da Ro." (cfr. pag, 5 interrogatorio cit.). A ben guardare l'imputato, con le sue dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale da ultimo passate in rassegna, ha finito viceversa con il riconoscere la veridicità di quanto affermato tanto dal teste avv. An. Su., responsabile - nell'ambito di Op. - della funzione Legal e Compliance nonché membro del CdA della società di gestione Op., quanto dal teste Al.Ma., quest'ultimo fondatore della suddetta Op. (sulla piena utilizzabilità della deposizione Ma. sì rinvia integralmente all'ordinanza 18.5.2022 di questa Corte, salva restando, e ciò vale anche per il teste avv. An. Su., ogni doverosa valutazione in tema di complessiva attendibilità date le conclamate ragioni di ostilità nutrite da Op. verso B., ben riassunte nella missiva 13.3.2017 dello studio legale Fr.St. di cui al doc. 429 del P.M.), circa il carattere "dedicato" dei fondi in questione e circa il carattere di pressoché unico loro investitore (tranne quote minimali altrui) rivestito da B., il che costituiva altresì la ragione della conclamata inesistenza, nel caso in esame, di un comitato investitori (il teste Ma. ha altresì fatto riferimento a più riprese all'esigenza, a suo dire manifestatagli dall'imputato, di creare un -polmone" nel quale poter accomodare una parte delle azioni B. che erano non quotate, illiquide e difficili da collocare: cfr. pagg. 19-22 del relativo verbale stenotipico): - cfr. pagg. 19-20 deposizione Su., verbale stenotipico 19.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quando l'investitore, mi corregga, Mu., era uno solo, cioè la banca? TESTIMONE Su. - Esatto, quindi quello che le stavo tentando di farvi capire, nel senso che è prassi comune, quando si hanno dei comparti con multi investitori, avere questi comitati investimenti, perché chiaramente sono finalizzati al fatto di poter dare una parola a tanti investitori, che sono appunto molteplici e non si conoscono neanche l'uno con l'altro. Diversamente questi qua sono comparti che in gergo vengono definiti e classificati come tailor-made, ossia fatti a misura d'uomo, un po' come una sartoria, cioè disegnati sulla falsariga di ciò che effettivamente il cliente vuole. Quindi, essendo disegnati a loro immagine e somiglianza, anche la politica d'investimento del comparto stesso non è più promossa dal gestore ma è disegnata a loro immagine e somiglianza. Quindi, nel caso specifico della Po.Vi., questo comitato non è stato ritenuto di dover essere costituito, poiché, appunto, avevamo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Per la peculiarità di... TESTIMONE Su. - Esatto, la peculiarità ... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Della esistenza di un solo investitore? TESTIMONE Su. - Assolutamente, dell'investitore") - cfr pag. 16 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.11.2020: - TESTIMONE Ma. - No.. allora, i fondi erano indubbiamente fondi dedicati, su questo non ci sono dubbi. Stiamo parlando di due fondi: il Mu. e il Mu.. (...). Non ricordo ci fossero degli investitori rilevanti, forse in uno dei due fondi - vado a memoria ma dovrei approfondire - a un certo punto era entrato con una piccola quota un altro investitore, che onestamente non ricordo chi fosse, ma era una quota marginale o addirittura irrilevante, Quindi sicuramente fa Banca era... aveva, diciamo cosi... era il principale investitore nei fondi, ed erano fondi dedicati alla Banca/'. I testi Ma. e Su., diversamente da quanto sostiene la difesa, risultano riscontrati anche con riguardo alla circostanza, da entrambi riferita, degli incontri frequenti di An.Pi. con Gi.St., il senior manager di Op. deputato da quest'ultima a trattare il rapporto con B. fino alle sue improvvise dimissioni nel 2014, allorquando lasciò Op. per fondare la concorrente struttura denominata Ka. (struttura presso la quale il PI. si fece parte attiva, nel novembre 2014, per cercare di trasferire in blocco ivi, con una redemption in kind, le azioni B. ancora giacenti nel fondo Op. - che però aveva ormai necessariamente dovuto fare disclosure attorno alla metà dell'anno 2014 - senza peraltro conseguire il suo intento: cfr. al riguardo il doc. 431 del P.M.). Vero è che i due testi Ma. e Su. (quest'ultimo de relato dallo St.: cfr. pagg. 22-23 esame Su., verbale stenotipico 19.11.2019) collocano tali incontri PI. - St. in Milano nelle giornate di martedì, laddove risulta dagli atti che l'imputato, per lo più, il martedì si recasse a Vicenza per assistere al CdA di B.. Nondimeno il dato dei frequenti incontri personalmente intrattenuti dal PI. anche dopo la stipula dei contratti con i responsabili dei fondi esteri è dimostrato (a ben poco rilevando, in ultima analisi, il giorno esatto della settimana in cui essi si tennero) dal contenuto della seguente conversazione telefonica intrattenuta dal predetto PI. con il già sopra menzionato suo ex stretto collaboratore Pa. Al. (anch'egli nel frattempo uscito da B.), il quale - si ricordi il tenore della sua deposizione, saprà passato in rassegna, circa l'essere stato inopinatamente pretermesso dal suo superiore nell'allestire l'operazione Op.-At. - appare qui freddo, distaccato e poco convinto, rispondendo quasi sempre a monosillabi, verso un PI. alquanto agitato e alla ricerca di persone da indicare, nella sua lite civile con la banca, come sommari informatori: Conversazione captata n. progr. 415 del 2.9.2015 ad ore 19,09,19, utenza chiamante intestata a Pi.An., qui "V.M." (pagg. 133-143 perizia di trascrizione): Omissis Né, infine, può in alcun modo accedersi alla tesi difensiva secondo cui il PI., con riguardo alla vicenda dei fondi esteri, sarebbe stato una sorta di mero procacciatore di nominativi di potenziali controparti ma per il resto si sarebbe limitato ad assistere passivamente a operazioni ideate e condotte in piena autonomia dal direttore generale Sa.So. per B. e da Pi.Ra. per la controllata irlandese Fi.. Al di là del fatto che i contratti stipulati alla fine del 2012 con i fondi Op. e At. recano in ogni pagina non soltanto la sottoscrizione del So. ma altresì la sigla del Pi., significativi sono in contrario già diversi dati documentali, i quali riscontrano appieno, sul punto, le deposizioni non solo dei già citati testi Ma. e Su. ma altresì quelle - assai articolate e dettagliate in tal senso - dei testi Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi. (cfr, in particolare le pagg. 45-49 del suo esame 21.11.2019) e Fi.Ro., dell'Ufficio Soci (soggetto, come tale, dotato di poca o nulla autonomia decisionale sullo specifico tema al di là delle attività prettamente materiali da lui poste in essere); cfr. in particolare la pag. 52 dell'esame di Ro. datato 8.10-2019, ove il teste, nel ricordare di avere preso parte il 5.12.2011 a una riunione fatta in videoconferenza con il PI. (ove presenziarono anche Ma.So., che di Op. conosceva da lunghi anni tale Gi.Ma., nonché quest'ultimo, il quale sua volta portò con sé nell'occasione il fondatore e vertice di Op., Al.Ma.), riunione concordemente descritta da tutti i vari altri testi ora citati come conclusasi all'epoca in un nulla di fatto, ha precisato che verso novembre-dicembre del 2012 fu proprio il PI. a ricontattarlo autonomamente per chiedere di poter essere messo in contatto con le persone di Op. da lui conosciute l'anno prima (il che priva dunque di rilievo le due pur assodate circostanze, evidenziate e rivendicate dalla difesa, dell'esito inconcludente della riunione del 5.12.2011 e del fatto che Ma.So., a suo stesso dire, mai ebbe a inoltrare a chicchessia la e-mail inviatagli dall'amico Gi.Ma. il 9.2,2012, in atti sub doc. 350 del P.M., contenente una proposta contrattuale di Op.); sempre il teste Ro., a pag. 62 del suo esame 8.10.2019, ha confermato quanto da lui riferito a suo tempo a s.i.t.: "Nel darmi le tre referenze Pi. mi disse che era già tutto concordato con i rispettivi referenti, anche per gli importi (30 milioni per Ma.); I dati documentali in questione sono i seguenti: - messaggi sms ovvero WhatsApp intercettati sull'utenza telefonica cellulare di An.Pi. dall'11 ottobre 2012 al 23 novembre 2012, in atti sub doc. 311 del P.M., attestanti il fatto che, con l'intermediazione dell'avv. Patrizio Messina dello studio legale Or. (come riferito infatti, puntualmente, anche dal teste Al.Ma.: cfr pag. 15 della sua deposizione 26.11.2020), fu il PI. ad attivarsi per riannodare le fila del rapporto con i rappresentanti di Op. dopo il mancato seguito della riunione 5.12.2011 di quasi un anno prima, oltre a intavolare autonomi rapporti con Ra.Mi., direttore di At. (il quale, significativamente, si rivolgerà via e-mail non già al So. bensì solo al PI. e al suo subalterno Ma.Ca., in data 7.12,2012 e indi in data 21.1.2013, allorquando chiederà di procedere con l'investimento, rispettivamente, dei primi 70 milioni di Euro e dei successivi 30 milioni di Euro "as previously agreed", cioè come da precedenti accordi: cfr, doc. 337 del P.M.), di tutto ciò essendo poi sempre il PI. a informare il So. con messaggi del seguente tenore (tutti appartenenti al doc, 311 cit.): Omissis; - doc. 731 del P.M., costituito da un lungo resoconto dattiloscritto del consigliere d'amministrazione Gi. "Pi." Zi., intitolato "Appunti su situazione B. 2015", ove fra l'altro lo Zi., a pag. 4, riassume i contenuti di un suo incontro a tre del 9.5.2015 con Em.Gi. e An.Pi., entrambi ormai in procinto di uscire da B., i quali gli avevano offerto le rispettive versioni dei comportamenti loro ascritti; è significativo qui il fatto che il PI. confidi allo Zi.: a) di avere - sempre operato per aiutare la rete a svuotare il fondo azioni proprie"; b) che i contratti stipulati da B. con i fondi Op. e At. erano sì stati firmati da Sa.So. ma soltanto perché a quell'epoca il medesimo PI. non era ancora titolare dei necessari poteri (peraltro conferitigli di lì a pochi mesi, come si è visto, dal CdA con apposita delibera 19.3.2013 di ampia delega, disgiunta da quella conferita al So.); lo Zi. infatti annota; "Ordini firmati da SS perché non nei poteri di AP"; - doc. 331 del P.M., rappresentato da una e-mail di risposta inviata il 25.7.2013 da An.Pi. a Pi.Ra., direttore generale di Fi. (il quale aveva appena scritto nei seguenti termini al PI. sottoponendogli per il controllo una bozza di delibera relativa all'operazione di investimento, da parte della controllata irlandese, nel fondo Op. 2: "Caro An., ho buttato giù la delibera per il fondo optimum ... Dagli anche tu per cortesia una lettura per vedere se ti risulta tutto in ordine, Ps Domani mattina vedo To.Fo. (membro del CdA di Fi.) e gliene parlo tu sei riuscito a trovare il presidente? Grazie. Piero"); ivi il PI. replicava via e-mail al Ra. nei seguenti termini, con ciò plasticamente dimostrando chi realmente prendesse le decisioni - non certo il Ra. - anche per gli investimenti operati da Fi.: "Sono a pranzo con lui (ossia con il presidente di Fi., Ad.La.) e So.. Abbiamo concordato di fare investimenti fino a Eur ISO min". La totale assenza di autonomia decisionale di Ra., già supra passata in rassegna quanto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi", è qui palese e il doc. 331 offre fra l'altro un'ulteriore conferma del giudizio di piena credibilità da svolgersi nei confronti del suddetto teste (cfr. puntualmente, al riguardo, pag. 47 della deposizione Ra., verbale stenotipico 21.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Invece, con riferimento a questa cosa, che, sì, forse ormai l'ho letta, ci fu un'interlocuzione anche col Presidente del CdA di Bp.? Chi è che spiegò al Presidente del CdA il fine dell'operazione, la strutturazione e quant'altro? TESTIMONE Ra. - Quello che dissi ad An.: "Parliamo di una cifra importante, dev'essere deliberata dal Consiglio di Amministrazione, bisogna in primis informare il Presidente di un'operazione del genere e spiegargliela. E lui mi rispose: "Sono a pranzo con lui e So., gliela spiego io - PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lei sapeva che, comunque, La. era informato? TESTIMONE Ra. - Sì, per me La. è stato informato in quell'occasione dell'operazione"). Si noti come il protagonismo di An.Pi. sia stato totale anche con riguardo alla dismissione, attraverso vari canali, delle azioni B. detenute dai fondi Op. e At.. Dell'operazione "So." - a ciò finalizzata - sì è già detto ampiamente. Del pari si è già accennato al non riuscito tentativo di redemption in kind tramite il progetto di trasferire in blocco gli asset di B. giacenti nel fondo Op. (che ormai a metà del 2014 si era trovato, a causa dell'entrata in vigore del c.d. CRR, a dover operare necessariamente una disclosure circa le azioni B. presso di sé giacenti: cfr, doc, 379 del P.M.) a una nuova struttura da poco costituita e con esso concorrente, denominata Ka. e facente capo, peraltro, a quello stesso Gi.St. che era stato a lungo il diretto referente del PI. prima di lasciare proprio nel 2014 Op. e dunque aveva il polso dell'intera delicata vicenda (il tutto con l'intermediazione dello studio legale Or. per le trattative all'uopo intraprese con Op. - cfr. deposizione avv. An. Su. 19.11,2019, pag. 36 - in seguito all'invio dì una missiva in tal senso firmata dal PI. oltre che dai formali sottoscrittori dei fondi, So. e Ra.: cfr. docc. 427 e 431 del P.M.). Un altro veicolo progettato ad hoc, utilizzato per liberare i fondi esteri dalle azioni B. ancora da essi detenute, fu rappresentato dall'operazione che gli ispettori di Bc. denominarono equity swap, avente ad oggetto il trasferimento ai fondi esteri di azioni Ve., detenute da vari clienti di B., in cambio di azioni della stessa B., Operazione le cui caratteristiche sono state puntualmente riassunte dal teste ispettore Em.Ga. alla pag. 59 del suo esame, verbale stenotipico 26.9.2019: "E l'altra operazione è quella che abbiamo chiamato di "equity swap", fatta attraverso Ma.Sp., in cui, sostanzialmente, i clienti hanno trasferito a Op. azioni clienti; ci sono tanti clienti che erano al tempo stesso soci di Ve. e soci di Po.Vi., avevano quindi azioni di entrambe; e hanno trasferito a Op., hanno fatto un compenso, hanno trasferito a Op., almeno a Op., forse anche a At., non lo so, non mi ricordo, però è indicato. Hanno trasferito azioni di Ve. in contropartita di azioni di Vicenza, quindi hanno preso in carico azioni di Vicenza dando per eguale ammontare azioni di Ve.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp. è il broker che si era interposto fra le due banche? TESTIMONE Ga. - Sì, che si era già interposto all'epoca, al 2012, in uno degli acquisti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Dei fondi. TESTIMONE Ga. - Dei fondi, sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Si interpone anche nella cessione da parte dei fondi lussemburghesi". Ancor più dettagliata nel delineare gli snodi dell'operazione equity swap è la deposizione resa il 26.10.2019 dal teste ispettore Gi.Ma., cfr. pagg. 16-18 verbale stenotipico 26.10.2019. Sono agli atti sub doc. 296 del P.M. alcune fra le lettere - ricalcate tutte sul medesimo facsimile, indirizzate a B. e per conoscenza al broker londinese Ma.Sp. (ancora una volta resosi intermediario come già aveva fatto a fine dicembre 2012 all'epoca dell'acquisto di circa 30 milioni di Euro in azioni B. da parte del fondo estero Op.) - con cui vari clienti B. titolari di azioni Ve. chiesero (tra il 20.3,2014 e il 3.10.2014: cfr. la ricostruzione elaborata, con allegata tabella esplicativa, dall'Internal Audit nella nota sub doc. 344 del P.M., pagg. 4-5) di acquistare da Ma.Sp. azioni B. (valore nominale Euro 62,50=) e di vendere contestualmente le loro azioni Ve. (valore nominale Euro 39,50=) alla stessa Ma.Sp.. In tesi difensiva il PI. non ebbe alcun ruolo in tale operazione di equity swap in quanto la stessa sarebbe stata gestita interamente con l'intermediario londinese Ma.Sp. dai dipendente di B. Cl.Br., operante in seno alla rete della Divisione Mercati a sua volta diretta da Em.Gi. (per inciso è effettivamente inesatto, come lamentato dalla difesa, quanto sostenuto al riguardo dall'Accusa, ossia che il Br. sarebbe stato già in quiescenza all'epoca in cui vennero poste in essere tutte le operazioni di equity swap; o meglio il dipendente risultava a quel tempo ancora in servizio presso il Punto Private B. dì Co. tranne che per i soli giorni 1-2-3 ottobre 2014: cfr. al riguardo la citata nota dell'Internai Audit sub doc. 344 del P.M., pag. 4: - Per le operazioni in questione effettuate nei periodo ricompreso tra il 20/03/2014 ed il 03/10/2014 si è provveduto ad acquisire la documentazione di supporto dall'U.O. Finanza di Servizi Bancari riscontrando un azione di coordinamento complessivo di tutte le operazioni in parola del sig. Cl.Br., al tempo operante presso il Pu.Pr. (in quiescenza dal mese di ottobre 2014)"). Particolare rilievo viene attribuito dalla difesa alla deposizione del teste Ti.Ch., che all'epoca curò l'operazione per il broker londinese intermediario Ma.Sp., evidenziando come questi abbia dichiarato di essersi interfacciato in prima persona - a distanza - solo col summenzionato Cl.Br. e di non avere mai frequentato gli uffici milanesi della Divisione Finanza di B. (cfr. pagg. 50-52 e 54 verbale stenotipico 17.9.2020) oltre a non avere mai visto, se non in tribunale durante il dibattimento, la persona fisica di An.Pi., da luì in effetti mai conosciuto; il teste Ch. ha anzi escluso di essersi interfacciata professionalmente in qualsiasi modo, anche solo a distanza, con la figura del PI. (cfr. pag. 55 ibidem). In realtà il teste Ch. non può definirsi attendibile, dal momento che: - egli non ebbe a interagire in prima persona soltanto - come sostiene la difesa - con il dipendente Cl.Br. in relazione agli scambi di azioni B.-Ve. bensì anche, quanto meno, con Fi.Ro. dell'Ufficio Soci (il teste Ch. ammetterà infine di essersi interfacciato anche con il Ro., e di averlo fatto anzi più volte, tanto via e-mail quanto telefonicamente, solo a seguito di specifica contestazione del P.M.: cfr. pag. 59 deposizione Ch., verbale stenotipico 17.9.2020); - lo stesso imputato PI. (cfr. pagg. 82-83 del suo esame 3.3.2020) ha in realtà affermato di essere stato proprio lui a mettere in contatto la rete B. con Ti.Ch. di Ma.Sp., avendo avuto egli cura di "dare il numero, i contatti, insomma, di Ma.Sp." all'Ufficio Soci, non ricorda se in persona di Ro. o di Ro., affinché si mettessero essi a loro volta in contatto con il broker londinese per procedere ad allestire l'operazione di equity swap ("... io quello che feci, feci una cosa semplice: misi in contatto, credo, Ro. o Ro., adesso non mi ricordo" con il broker. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Con? IMPUTATO PI. - Con il broker... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp.. IMPUTATO PI. - con il rappresentante di Ma.Sp."). Tale operazione era stata suggerita al PI., a detta di questi, dal collega Em.Gi., cfr. sempre pagg. 82-83 ibidem. Tuttavia il coimputato e propalante Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza già si è detto a più riprese, ha precisato come andarono in realtà le cose tra lui e il PI. al riguardo, ossia nel senso esattamente inverso (cfr, pagg. 23-24 del verbale di esame GI. 15.6.2022 in grado di appello): "La Divisione Finanza si è occupata di fondi, e quindi è un tema su cui io non sono mai entrato, se non quando a un certo punto c'erano dei fondi esteri che avevano delle azioni in portafoglio; questi fondi dovevano scaricare le azioni, quindi si dovevano liberare delle azioni della Banca, e quindi Pi. mi disse se potevamo collocarle sul mercato, quindi ai nostri soci. Eravamo in un frangente in cui le azioni della Po.Vi. erano molto più attrattive e appetibili rispetto a quelle di Ve., per cui questi fondi esteri proposero ai soci della Banca di acquistare azioni Ve. in cambio di azioni della Po.Vi.. Quindi i fondi si sono scaricati delle azioni della Po.Vi. acquisendo azioni Ve. e i soci della Banca hanno acquisito azioni Po.Vi. al posto delle azioni Ve. - Quindi questo è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". Con tali elementi probatori ben si salda dunque, senza manifestare in alcun modo le pretese contraddizioni lamentate dalla difesa, anche la deposizione (cfr. pagg. 42-44 verbale stenotipico 6.6.2019) resa dal teste Ro.Ri., della cui utilizzabilità già si è detto nell'ordinanza 18,5,2022 alla quale sul punto si rinvia, e che certo non può essere ritenuto inattendibile - circa la peculiare e ben distinta vicenda dell'equity swap - per il solo fatto di avere egli altresì materialmente effettuato, in qualità di gestore Private operante in B. presso la filiale vicentina di Co., un numero massiccio di operazioni di finanziamento correlato rientranti nella prassi per così dire "ordinaria" della banca. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte non può revocarsi in dubbio il ruolo determinante e di primo piano svolto da An.Pi. nell'intera vicenda dei fondi esteri, dalla sua ideazione sino al momento della dismissione - attuata in varie forme e modalità ma sempre con il suo apporto - delle azioni detenute dai suddetti fondi. 14.1.3.6. I reati di ostacolo alla vigilanza. La difesa ha altresì censurato - cfr. in particolare pagg. 141-142 e 145-146 dell'atto di appello - la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato PI. quanto alle condotte di ostacolo alla vigilanza contestategli (in relazione alle quali, come già si è detto nella parte generale della presente sentenza, par. 9, non vi è ragione di non estendere anche ai capi B1 e M1 il ragionamento seguito dal primo giudice per i rimanenti capi nel ritenere integrato il solo comma 2 dell'art. 2638 c.c.). Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni: - tutte le operazioni specificamente ascritte alla persona dell'imputato (dalla vicenda delle società lussemburghesi Ma./Ju./Br. a quella dei fondi esteri Op./At. fino alle singole operazioni dì finanziamento correlato concluse con l'imprenditore Ta. e con il gruppo "So.") risultano essere state poste in essere in epoca successiva al 12 ottobre 2012, data di emissione del rapporto ispettivo a chiusura dell'ispezione di Banca d'Italia (peraltro non avente ad oggetto verifiche patrimoniali ma incentrata esclusivamente sul rischio di credito); - quanto all'ispezione Bc. iniziata il 26.2.2015, B. aveva già comunicato alla stessa Bc. le informazioni ricevute dal gestore dei fondi At. e Op. in ordine al preciso ammontare di azioni della banca giacenti presso i comparti (sotto-fondi) degli stessi, e ciò almeno a far data dal luglio 2014, in piena ottemperanza, dunque, agli obblighi informativi imposti dal CRR (Capital Requirements Regulation) di cui al Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (vigente dall'1.1.2014); - in ogni caso le plurime contestazioni di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. avrebbero, a ben vedere, quale unico oggetto sempre la stessa informazione taciuta, vale a dire l'esistenza di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. con il conseguente obbligo di scomputare dal patrimonio di vigilanza il relativo controvalore, sicché, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe una pluralità di reati bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.; - a sua volta, però, la strumentalità - ravvisata dalla stessa sentenza di primo grado - che connoterebbe la fattispecie di ostacolo alla vigilanza rispetto a quella dì aggiotaggio farebbe sì che la condotta decettiva di cui alle imputazioni si esaurisca tutta nell'evento del delitto di aggiotaggio, con la conseguente esclusione del concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli di ostacolo alla vigilanza, dovendosi in ultima analisi trattare questi ultimi alla stregua di un post factum non punibile. Nessuna delle anzidette argomentazioni difensive ha pregio. Osserva al riguardo questa Corte quanto segue. Per ciò che concerne l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 basti porre mente al sopra ampiamente dimostrato pieno coinvolgimento del PI. anche nell'attività per così dire "ordinaria" di finanziamento correlato praticata da B. come minimo dal 2011 (ma, in realtà, già da epoca precedente). Quanto poi alle vicende successive all'ispezione Banca d'Italia del 2012, se è vero che il CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013) entrò in vigore l'1.1.2014, nondimeno va ricordato che in precedenza, comunque, vigeva la circolare 263/2006 di Banca d'Italia, la quale (come chiaramente ed esaustivamente illustrato anche dal teste ispettore Gi.Ma.: cfr. pag. 13 verbale stenotipico 26.10.2019) già prevedeva l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, in quanto sue componenti negative, delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; eppure nessuna comunicazione venne mai data, per circa un anno e mezzo, agli organismi di vigilanza riguardo alle azioni B. giacenti - per un controvalore di originari 60 milioni di Euro, ridottisi a 52,4 milioni alla data del 30.6.2014 - presso i comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri At. e Op.. Come puntualizzato sempre dal teste ispettore Gi.Ma. (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico 26.10.2019), la prima richiesta in assoluto rivolta in tal senso da B. ai gestori dei fondi Op. e At. risale alle e-mail inviate loro soltanto in data 27 giugno 2014 da Ma.Ca. (subalterno del Pi. in seno alla Divisione Finanza), rinvenibili in atti, con le relative risposte dei due fondi, sub doc. 379 del P.M.. Esaminando tali documenti si nota che, come riferito sempre dal teste Ma. (cfr. pag. 14 ibidem), entrambi i fondi esteri non si dimostrarono affatto reticenti e riscontrarono pressoché subito tale richiesta - dal canto suo alquanto tardiva - della Divisione Finanza di B. entrambi nel mese di luglio 2014, sicché non appare ascrivibile a contegni omissivi dei fondi stessi la protratta mancata comunicazione pregressa di tale dato, tenuto viceversa ben occultato da B. (e in particolare dalla sua Divisione Finanza) fino ad allora. Peraltro va evidenziato come neppure alla disclosure prontamente operata dai fondi Op. e At. nel luglio 2014 fece seguito in realtà, da parte di B., l'immediato scomputo dal patrimonio dì vigilanza delle azioni proprie così indirettamente detenute (cfr. al riguardo l'e-mail 16.2.2017 inviata al teste di P.G. Mi.To. dal consulente del P.M. Ga.Pa., prodotta all'udienza del 4.2.2020 dalla difesa dell'imputato Ma.Pe., ove il Pa. evidenzia come emergesse, a causa del non ancora avvenuto scomputo, "un'informativa non corretta alla Bc. del CET 1 del Gruppo B. al 15/08/2014" sia pure dandosi atto che, finalmente, nella successiva "segnalazione del 6/10/2014 il dato delle azioni indirettamente detenute aveva concorso al calcolo"). Si noti altresì che l'invio in data 27 giugno 2014 delle suddette e-mail di richiesta ai fondi Op. e At. da parte di Ma.Ca. della Divisione Finanza non fu comunque spontaneo bensì fu sollecitato da un invito pressante a farlo, proveniente dalla Divisione Bilancio e Pianificazione della stessa banca nella persona di Lu.Tr. (subalterno di Ma.Pe.); la missiva redatta dal Tr., datata 19 giugno 2014 e inviata al predetto Ma.Ca. nonché, in copia, al PI., all'altro suo subalterno Pa. Al. e a Ma.Pe., è in atti sub doc. 411 del P.M. e contiene il seguente aut-aut che di fatto non consentiva alternative: (...) Ti rappresento che in caso di mancata risposta da parte dell'Organismo interposto o di risposta parziale e/o incompleta, la Banca dovrà applicare agli investimenti della specie (ossia agli investimenti "indiretti e sintetici detenuti dal nostro Gruppo in soggetti dei settore finanziario") un trattamento prudenziale particolarmente penalizzante (deduzione diretta dal CETI). E' pertanto indispensabile sensibilizzare le controparti affinché rispondano alla richiesta in maniera il più completa possibile ed entro le tempistiche indicate". Si noti altresì che analogo riscontro non era stato dato dalla Divisione Finanza di B., diretta da An.Pi., ad altra e più risalente richiesta inviata via e-mail sempre da Lu.Tr. della Divisione Bilancio e Pianificazione ancora in data 1 febbraio 2013 a Ma.Ca. (in atti sub doc. 410 del P.M.), ove si invitava quest'ultimo, in relazione ai da poco sottoscritti fondi Op. e At., a verificare: a) che gli "investimenti in fondi sottostanti (...) NON investano in strumenti di capitale (...), in modo da poter escludere i predetti investimenti dalla verifica dei limiti previsti dal Regolamento in materia di partecipazioni detenibili dal Gruppo B."; b) di avere "evidenza analitica dei sottostanti i singoli fondi suddetti (...); tale informazione è necessaria ai fini della segnalazione dei Grandi Rischi di gruppo (...)". A tale ultimo proposito va evidenziato, inoltre, come all'avvio dell'ispezione Bc. del 2015 risultasse di essere stata già messa in chiaro - nei sensi e con le tempistiche ora visti - la detenzione di 52,4 (risultati essere originariamente 60) milioni di Euro in azioni B. presso i fondi Op. e At., ma ancora non fossero stati rivelati ì sottostanti dei medesimi fondi, e ciò a dispetto della citata richiesta in tal senso formulata dalla Divisione Bilancio e Pianificazione, in persona di Lu.Tr., già in data 1 febbraio 2013 (lo stesso Tr., in una sua successiva e-mail datata 19 marzo 2013 inviata fra gli altri pure al PI., in atti anch'essa sub doc. 411 del P.M., nuovamente rappresentava - sempre senza ricevere riscontro dalla Divisione Finanza - "che, seppure non presente nella segnalazione dei Grandi Rischi trasmessa, tuttavia nell'elenco delle prime 20 esposizioni a livello di Gruppo al 31.12.2012 (oggetto di segnalazione all'Organo di Vigilanza nell'ambito della Base Informativa "(...)"), figura una "unknown exposure" per un valore (di bilancio e ponderato) di Euro315 milioni stante che in relazione a taluni investimenti in fondi (...) non risultano disponibili i dettagli informativi necessari per attribuire i singoli investimenti sottostanti al fondo (...). Le disposizioni di vigilanza prudenziale affermano peraltro che "in linea generale, la banca deve essere in grado di identificare e controllare nel tempo le attività sottostanti lo schema di investimento" e che la banca può adottare i metodi di cui alle lettere b) (unknown exposure) e c) (structured-based approach) solo se è in grado di dimostrare che la scelta è dovuta esclusivamente alla mancanza di una effettiva conoscenza delle esposizioni sottostanti lo schema". Ebbene, l'informazione, pur dì così vitale importanza, circa i sottostanti dei fondi esteri Op. e At. venne infine fornita dopo l'inizio dell'ispezione Bc. del 2015 e solo a seguito della forte pressione esercitata dal team ispettivo, che dovette all'uopo agitare, nelle sue interlocuzioni con il d.g. So. e con An.Pi., lo spettro dello scomputo, in alternativa, dell'intero investimento dal patrimonio di vigilanza, come ha ben chiarito il teste ispettore Em.Ga., cfr. pag. 64 del verbale stenotipico 26.9.2019. (omissis) Con ogni evidenza, stante l'immediatezza della disclosure seguita solo nel 2015 alle fosche prospettive illustrate dal team degli ispettori Bc. al So. e al PI., la previa resistenza da costoro lungamente frapposta alla rivelazione dei sottostanti non può imputarsi alla pretesa reticenza dei fondi (proprio come la tardività nella disclosure delle azioni in essi giacenti non poteva parimenti imputarsi alle pretese loro reticenze, in realtà inesistenti: v. supra). Va altresì disattesa l'affermazione difensiva secondo cui, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe in ispecie una pluralità di reati di opposizione alla vigilanza bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe - viene citata al riguardo in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri - la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.. Al riguardo questa Corte non può che confermare il complesso delle argomentazioni già esausti va mente svolte al riguardo nella parte generale - par. 9 - della presente sentenza, dovendosi qui ribadire come proprio la pronuncia citata dalla difesa (ma trattasi di orientamento ormai consolidato: in tal senso cfr. anche Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo precisi che la fattispecie di cui al comma 2, diversamente da quella di cui al comma 1, non è un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, è - una fattispecie causalmente orientata ai risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, w/a verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, dunque, si realizza o con "l'impedimento in toto di detto esercizio" ovvero anche soltanto "con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza" (così si è chiaramente espressa, in motivazione, la citata Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.). L'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (già illustrata da questa Corte nella parte generale della presente sentenza, par. 9) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì - come già questa Corte ha argomentato supra - che tale eccezione difensiva sia destituita di fondamento. Per la stessa ragione, ossia per il fatto che trattasi di un reato di evento (sicché il momento consumativo del delitto di ostacolo va individuato nel verificarsi dell'evento (di ostacolo)), va disatteso l'ulteriore assunto difensivo secondo cui dovrebbe finanche escludersi in ispecie il concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli ó& ostacolo alla vigilanza in quanto questi ultimi andrebbero - sempre ad avviso della difesa - semmai assimilati alla figura del post factum non punibile rispetto all'unitaria condotta decettiva. Tutto ciò premesso non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità del PI. quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza ascrittigli. Già si è visto poco sopra in quali termini - puntualmente riepilogati anche dal giudice di prime cure: cfr, pag. 726 sentenza gravata - il teste ispettore Em.Ga. (cfr. pag. 64 della sua deposizione 26.9.2019) abbia descritto il comportamento di ostacolo tenuto nei suoi confronti, anche con una certa qual pervicacia, da An.Pi. oltre che dal d.g. Sa.So. in relazione alla disclosure dei sottostanti dei fondi esteri Op. e At.. Sempre nella gravata sentenza - cfr. sue pagg, 725-726, alle quali qui senz'altro si rinvia - si illustrano più che ampiamente le ulteriori condotte di ostacolo alla vigilanza, rilevanti ai sensi dell'art. 2638 comma 2 c.c., tenute, fra gli altri, dal PI. in occasione: - dell'incontro del 27,3.2013 con l'Autorità di Vigilanza (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 37-40 del verbale stenotipico 28.11-2019, con particolare riguardo alle pagg. 38-39, da esaminarsi congiuntamente all'Appunto per il Capo del Servizio" redatto dallo stesso Pa. in data 3.4.2013, in atti sub doc. 442 del P.M.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Viene consegnato a voi di Banca d'Italia dagli esponenti di Banca Popolare che erano presenti a questo incontro. Senta, in questo incontro fu fatto riferimento da Pe., Pi. o So. della possibilità, dell'intendimento, della prospettiva, dell'eventualità che anche, come dire, l'aucap, quello che poi sarà realizzato nella misura di 253 milioni', anche per questa operazione potessero essere concessi i finanziamenti.., TESTIMONE Pa. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - No? TESTIMONE Pa. - No, assolutamente. L'unica... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi di questo non fu fatta menzione? TESTIMONE Pa. - L'unico riferimento a operazioni di finanziamento era fegato alla campagna soci e quindi un'operazione finanziata ai sensi del 2358 del Codice Civile, secondo quelle modalità, che richiedono tra l'altro l'autorizzazione dei soci, è l'Assemblea che deve autorizzare questa operazione valutando gli interessi aziendali"); - della successiva riunione tenutasi 20.10.2014 con l'Autorità di Vigilanza in Francoforte (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 60-62 del verbale stenotipico 28.11.2019): anche in tal caso la delegazione di B. presente a Francoforte, comprensiva del PI., non ebbe a fare cenno alcuno ai molteplici nodi altamente problematici che pure, di lì a poco, nel Comitato di Direzione del 10.11.2014 sarebbero stati ampiamente dibattuti - con la consegna del silenzio più totale verso l'esterno impartita dal d.g. So. - fra i membri del ristretto consesso formato dai vice direttori generali, incluso il PI., oltre che dal So. stesso e da altre personalità di primo livello nell'ambito di B.. A tutto ciò sj aggiunga ancora quanto emerge dai docc. 813-814-815 del P.M., prodotti all'udienza del 4.2.2020. Trattasi delle progressive stesure in itinere della bozza della lettera di risposta da inviare alla Banca d'Italia che aveva chiesto, con nota del 25.10.2014 (a sua volta in atti, prodotta dal P.M. sub doc 648 e doc. 687), chiarimenti sulle azioni proprie di B. alla luce del CRR frattanto entrato in vigore. Alla stesura della risposta a Banca d'Italia (che poi le fu inviata - con modifiche minimali rispetto alla bozza finale sub doc. 815 del P.M. - in data 4.11.2014 e che è in atti sub doc. 404 del P.M.) collaborarono diversi soggetti all'interno di B., ciascuno in relazione all'ambito di sua competenza. Si noti che il segmento della risposta inviata il 4,11.2014 a Banca d'Italia ad essere stato redatto per ultimo risulta essere proprio quello di competenza della Divisione Finanza diretta da An.Pi., il cui incipit - nella bozza finale sub doc. 815 del P.M. - è "Per quanto attiene alle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie..." mentre nella risposta ufficiale del 4.11.2014 diviene "Per quanto attiene alle transazioni alla base della c.d. detenzione indiretta di azioni proprie...". Ancora in data 30 ottobre 2014, infatti (cfr. il doc. 813 del P.M.), Ma.Pe. - la cui Divisione Bilancio e Pianificazione aveva con ogni evidenza il compito di assemblare i vari segmenti nel documento di risposta finale - scriveva al direttore generale So. allegandogli una "bozza lettera risposta a Bankit ancora da completare per il punto che sta scrivendo An.", che dimostra che la redazione del segmento qui in esame fu effettivamente opera di An.Pi. in persona. Ebbene, una volta finalmente redatto dal PI., e ormai si era giunti già al 31 ottobre 2014, tale segmento della bozza finale affidato alla Divisione Finanza, esso si rivela corrispondere (cfr. docc. 815 cit. e 404 cit.) a un esercizio dì assoluta tautologia, non dicendo in realtà nulla a giustificazione delle azioni B. risultate "a seguito della sopra menzionata disclosure del giugno-luglio 2014 indotta dall'entrata in vigore del CRR - giacenti nei comparti dei fondi esteri Op. e At. per l'ammontare di 52,4 milioni di Euro (52,4 milioni che Banca d'Italia, nella sua nota del 25,10,2014 cit., senza usare troppi giri di parole, definiva appunto come oggetto dì detenzione indiretta"); né tantomeno ivi si dice alcunché riguardo al trattarsi di fondi non collettivi che vedevano B. quale sostanzialmente unico investitore (si veda, come detto, la stesura della bozza finale della lettera di risposta sub doc. 815 del P.M.; viceversa nelle stesure sub docc. 813 e 814 il relativo segmento, lo si ribadisce, era ancora in bianco, in attesa di redazione da parte del PI., mentre le parti affidate ai suoi colleghi delle altre Divisioni erano già pronte). Il tenore della richiesta di chiarimenti formulata da Banca d'Italia il 25.10.2014, quanto allo specifico paragrafo concernente la detenzione indiretta di azioni della banca, era il seguente: "(si richiedono) le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali i titoli sono depositati". Nel segmento della risposta a Banca d'Italia rientrante nella sua competenza il PI. si limita invece, di fatto, a indicare appena poco più dei nomi delle controparti At. e Op. e delle date di stipula dei relativi contratti, guardandosi bene dal fornire la benché minima informazione utile alla comprensione della relativa transazione, nonché del carattere non collettivo dei fondi e altresì di quali fossero i loro sottostanti. Infine, quale corollario del già più che solido ed esaustivo complesso di elementi di prova orale e documentale fin qui illustrati, si osserva che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni da lui concepite e attuate esercitando le sue specifiche competenze professionali di responsabile della Divisione Finanza implica ex se in capo al predetto una particolarmente accentuata volontà di dissimulazione e occultamento che è perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso il reato di ostacolo alla vigilanza, essendo in tal caso quasi proibitiva la decrittazione dell'operazione finale (basti qui ricordare, a tal proposito, la già sopra vista totale casualità della scoperta, da parte dei team ispettivo Bc. nel 2015, della triangolazione che vide protagoniste le tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. e le tre società italiane Pe., Gi. e Lu.). A tal riguardo deve infatti considerarsi che, mentre le normali operazioni correlate generavano comunque flussi informativi (sia pure di dati complessivi) che potevano teoricamente essere intercettati dalle attività di controllo interno ed esterno (si pensi ad esempio alle 17 posizioni dì finanziamento correlato autonomamente intercettate dalla società di revisione Kp.) e che erano indirizzati alla Divisione Bilancio nonché assoggettati a verifica del Dirigente Preposto, viceversa le operazioni riguardanti le c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e quelle relative ai fondi esteri presentavano un carattere di insidiosità e un connotato fraudolento talmente accentuati da implicare già logicamente ex se, in capo al loro autore, la volontà di dissimulazione dei dato sottostante. Non è invero privo di significato a tal riguardo nemmeno il fatto, riferito dal teste Ad.Ca. (cfr. pag. 23 del verbale stenotipico 6.2.2020), che il PI. - una volta emersa, nella sorpresa generale (si ricordi anche il tenore incredulo, già visto saprà, dell'appunto manoscritto redatto dal direttore della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M.), la vicenda dei fondi esteri e di quanto giaceva nei loro comparti - altro non abbia replicato, alle richieste dei colleghi, se non che le operazioni suddette erano - formalmente" corrette, con ciò dimostrando che il valore fondamentale di esse, nella sua ottica, risiedeva proprio nella loro impenetrabilità dall'esterno: - TESTIMONE Ca. - Io ricordo una riunione lunghissima surreale dove si alternavano momenti di... come si dice? Di preoccupazione estrema a momenti di leggerezza. Non ci è stato detto, in quel momento, quanto fosse ampio il fenomeno delle lettere. Sapevamo che c'era questo fenomeno e sapevamo che l'Avvocato Ge. in qualche maniera, stava facendo delle sue valutazioni delle sue analisi. Così come sui fondi esteri d'investimento la parola d'ordine generale era: "Formalmente le operazioni sono corrette" PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Chi lo disse questo? TESTIMONE Ca. - An.Pi., in riunione, disse: "Formalmente le operazioni sono corrette". Simmetricamente, infine, anche le modalità per lo più parimenti sofisticate - sopra meglio illustrate - attraverso le quali fu condotta dal PI. la fase conclusiva della dismissione delle decine di milioni di Euro di azioni B. ancora detenute presso i fondi esteri dopo la disclosure di metà anno 2014 sono indicative della piena volontà del predetto di partecipare alla finalità di occultamento. Anzi si noti come, negli intendimenti del PI., gli effetti della disclosure si sarebbero dovuti in buona sostanza neutralizzare grazie alla poi non riuscita redemption in kind, ossia al progettato trasferimento in blocco delle azioni da Op. alla neo-costituita Ka. di quello stesso Gi.St. che, nella sua precedente incarnazione professionale, si era costantemente occupato, interfacciandosi con il PI., proprio dei fondi Op. ed era probabilmente l'unico, assieme allo stesso PI., a detenere ogni conoscenza in ordine a quella vicenda. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. in relazione alle ipotesi di ostacolo alla vigilanza ascrittegli. 14.1.3.7. I reati di falso in prospetto. Come detto supra i due reati di falso in prospetto contestati sub capi I e L vanno dichiarati entrambi estinti per intervenuta prescrizione. Non vi sono i presupposti per una pronuncia assolutoria dal momento che la Divisione Finanza, diretta da An.Pi., risulta essere stata in concreto coinvolta a fondo nel gruppo di lavoro - trasversale a quasi tutte le' Divisioni della banca - in concreto deputato al compito dì predisporre i prospetti informativi riguardanti gli aucap e mini aucap 2013 e 2014. Che tale compito rientrasse a pieno titolo nelle formali attribuzioni della Divisione Finanza, diretta da An.Pi., emerge anzitutto dal funzionigramma di B. (in atti sub doc. 261 del P.M,): ivi si legge che tra le varie funzioni della Divisione Finanza, e in particolare della sua unità denominata Documentation, vi erano quelle di - assicurare l'espletamento delle attività di natura amministrativa legate alla predisposizione dei Prospetti Informativi e all'emissione dei prestiti obbligazionari del Gruppo, coordinandosi con le Unità competenti" nonché di "supportare le funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla Clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari secondo quanto previsto dall'art. 31 del Regolamento Intermediari (n. 16190 del 29/10/2007) nella fase di aggiornamento delle stesse". Chetale compito sia poi stato in concreto effettivamente svolto dalla Divisione Finanza in occasione degli aumenti di capitale 2013 e 2014 emerge in maniera inequivocabile dalla deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dal 2007 al 2018 dipendente di B. con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza e, dunque, subalterno del PI. nel periodo qui in esame. Cfr. in particolare le pagg. 67-76 del relativo verbale stenotipico, ove il teste illustra il duplice ruolo concretamente rivestito in ambedue le occasioni, 2013 e 2014, dalla suddetta Divisione Finanza: da un lato fornire i dati da essa elaborati in quanto afferenti al profilo prettamente finanziario dell'operazione ("... e poi' anche la Finanza stessa su quelle che potevano essere poi le caratteristiche finanziarie dell'operazione che veniva posta in essere ..."); dall'altro lato curare la reductio ad unitatem di tutti i diversi contributi provenienti dalle varie Divisioni ("... Sì, diciamo la sintesi, nel senso che la collazione di tutti questi contributi eccetera, veniva fatta, appunto, come dicevo, dalla nostra struttura, dalla mia struttura"). A corollario degli elementi già solidi ed esaustivi qui riportati va altresì ribadito, nell'esaminare la posizione dell'imputato An.Pi., quanto già si è osservato più ampiamente supra (paragrafo 14.1.3.6) nel trattare i reati di ostacolo alla vigilanza, ossia che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni finanziarie da lui concepite e attuate implica ex se - unitamente al suo protagonismo nella dismissione delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri - una volontà di dissimulazione e "occultamento" tanto accentuata da risultare perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso i reati comunicativi non solo di ostacolo alla vigilanza ma anche di falso in prospetto. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte va dunque dichiarata l'estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati di falso in prospetto di cui ai capi I) e L) di rubrica per ciò che concerne la posizione dell'imputato An.Pi.. 14.1.3.8. Il trattamento sanzionatorio. Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato An.Pi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già sì è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4 L'appello nell'interesse di Zo.Gi. L'appello è parzialmente fondato nei termini di seguito esposti. 14.1.4.1 La competenza (primo motivo di appello/paragrafo 2 dell'atto di Impugnazione). Il primo motivo dì impugnazione (tale dovendosi ritenere quello, numerato sub 2, trattato alle pagine 13-39 dell'atto dì appello, inerente alla asserita incompetenza dell'autorità giudiziaria vicentina) è destituito di fondamento. Sul punto, si rinvia a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo 7. 14.1.4.2 La consapevole partecipazione alle operazioni di capitale finanziato (secondo motivo dì appello). Considerazioni introduttive. Parimenti infondato è il secondo, articolato motivo di appello (numerato sub 3 e trattato alle pagine 40-300 dell'impugnazione). Trattasi, va precisato, di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate (fatta eccezione per quelle, rubricate al paragrafo 3.4, specificamente inerenti al tema "generale" del capitale finanziato, in relazione alle quali non può che rinviarsi alle riflessioni già svolte, sul punto, al precedente paragrafo 12, comune a tutte le posizioni processuali) dalla finalità di evidenziare le carenze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione gravata, con specifico riferimento alla posizione di tale imputato. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il coinvolgimento di ZO. nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base dì elementi probatori inadeguati, equivoci e finanche smentiti da specifiche evidenze di segno contrario, evidenze che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. In particolare, oggetto di doglianza sono i passaggi della sentenza nei quali sono state affermate: - l'inerzia del predetto imputato rispetto ad eventuali indici di allarme sintomatici dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 3.2 dell'atto di appello); - l'attività concretamente gestoria svolta dal giudicabile nella conduzione della banca (paragrafo 3.3 dell'atto di appello); - la conoscenza, da parte dello stesso ZO., del fenomeno del "capitale finanziato" (paragrafo 3.5 dell'atto di appello); - la specifica consapevolezza, in capo al medesimo imputato, delle "operazioni baciate" (paragrafo 3.6 dell'atto di appello). Ebbene, con riferimento a ciascuno di detti "passaggi" dello sviluppo logico del discorso giustificativo della decisione l'appellante ha evidenziato le asserite incongruenze ed aporie motivazionali, richiamando, altresì, gli elementi probatori che sosterrebbero la diversa lettura della vicenda proposta nel gravame e che sarebbero stati dal giudice di prime cure obliterati o, comunque, equivocati nella loro effettiva significazione. Questo, sul rilievo della possibilità - che il medesimo appellante ha denunziato essersi concretizzata nel caso di specie (come evidenziato nella premessa al relativo motivo di appello, sub 3-1) - che una sentenza possa essere viziata da una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto alle emergenze processuali. La memoria conclusiva "note scritte di discussione" 28.9.2022, accompagnata dalle ulteriori "note scritte", in pari data, in materia di "rinnovazione istruttoria dibattimentale in appello"), poi, ha riepilogato gli argomenti oggetto di dettagliata analisi nell'atto di impugnazione, confrontandosi, altresì, con le ulteriori acquisizioni probatorie che hanno avuto luogo nel corso del giudizio di appello. Ebbene, si è in presenza di censure infondate. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il tribunale ha ricostruito il ruolo concretamente svolto dall'imputato ZO. nella vicenda sub iudice all'esito di una corretta e persuasiva lettura - tanto specifica quanto "d'insieme" - dell'intero, vasto materiale probatorio disponibile, di natura documentale, testimoniale e logica, ovviamente selezionato sulla base della relativa attitudine dimostrativa rispetto al thema probandum. Pertanto, come già evidenziato nella premessa dì metodo, è alla trama argomentativa della sentenza gravata che deve farsi preliminare rinvio, trattandosi della base motivazionale alla quale la presente pronunzia è destinata a saldarsi, in ragione non solo della coerenza dei rispettivi approdi decisionali ma anche dell'omogenea natura dei criteri di valutazione all'uopo impiegati. Ciò posto, ritiene questa Corte che gli esiti dell'originaria istruttoria dibattimentale abbiano offerto ampia dimostrazione del fatto che Zo.Gi., nel concreto esercizio delle prerogative di presidente dell'istituto di credito vicentino, non solo abbia avuto piena contezza del fenomeno delle operazioni correlate, nel suo multiforme, concreto dispiegarsi (comprensivo tanto delle operazioni "baciate", ovvero "parzialmente baciate", quanto degli "impegni al riacquisto", quanto, infine, degli antieconomici rendimenti garantiti agli acquirenti dei titoli, anche attraverso i ccdd. "storni", peraltro utilizzati anche per "sterilizzare" i costi dei finanziamenti, peraltro in modo tanto sistematico da costituire, essi stessi, una eclatante anomalia117) ma, proprio sulla base di detta conoscenza, abbia anche fornito un decisivo contributo alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che radicano le imputazioni di riferimento, condividendo con il d.g. So. il ricorso ad una strategia operativa - quella, per l'appunto, del sistematico ricorso al finanziamento dell'acquisto dei titoli B. - che recava necessariamente seco inevitabili implicazioni delittuose. A tale ultimo riguardo, com'è stato osservato dal primo giudice - e la considerazione è di tanto stringente logica da non richiedere ulteriori precisazioni - solo nell'ottica della successiva omessa deduzione degli importi finanziati dal patrimonio e, quindi, del pedissequo occultamento di tale operatività alla vigilanza, avrebbe avuto senso porre in essere, da parte della dirigenza di B., un meccanismo operativo tanto scellerato. Peraltro - va precisato sin da subito - ai dati probatori valorizzati dal primo giudice si è aggiunto, all'esito della rinnovazione istruttoria espletata in sede di appello, l'ulteriore, significativo elemento costituito dalla puntuale chiamata in correità del coimputato GI., nient'affatto inficiata, nella sua capacità dimostrativa, dalle deposizioni introdotte, a prova contraria, dalla difesa del giudicabile. In definitiva, a compromettere la posizione del presidente ZO., conducendo ad un giudizio di complessiva concludenza probatoria del tutto coerente con l'ipotesi d'accusa, concorrono, come si dirà di seguito (nel solco, per ragioni di ordine espositivo, dell'articolazione delle deduzioni difensive), una sequela di convergenti elementi, tanto di natura logica (a loro volta ancorati, come si avrà modo di precisare, a solide evidenze fattuali) quanto rappresentativa. 14.1.4.2.1. Il ruolo concretamente svolto da Zo.Gi. nella presidenza di B. e le implicazioni conseguenti (secondo motivo di appello: paragrafi 1 e da 3.1 a 3.3). Come s'è detto, il primo giudice ha puntualmente delineato il ruolo concretamente svolto dal giudicabile, nel lunghissimo periodo della sua presidenza di B., in termini di costante protagonismo, radicalmente esorbitante dai confini della mera rappresentanza istituzionale dell'ente. A tali conclusioni - va precisato sin da subito - il tribunale è pervenuto sulla base di una pluralità di elementi probatori convergenti nel dimostrare come Zo.Gi., rimasto saldamente al vertice della banca dal 1996 al 2015, fosse tutt'altro che un presidente "decorativo" e neppure rispettoso dei limiti propri della funzione di garanzia affidatagli. In effetti, già il rapporto ispettivo redatto da Banca d'Italia all'esito dell'ispezione del 2007-2008, dopo avere sottolineato come i meccanismi del governo societario fossero orientati ad assicurare il mantenimento di una salda conduzione delle assemblee da parte dei vertici, attraverso politiche volte a controllare ed orientare il trasferimento delle azioni, aveva stigmatizzato la funzione predominante esercitata dallo ZO., censurando, da un lato, l'assenza di autonomia del CdA rispetto al suo presidente e, dall'altro, la forte influenza esercitata da quest'ultimo anche sul management, fidelizzato attraverso frequenti riunioni informali e trattamenti remunerativi particolarmente favorevoli ed anche svincolati dai risultati concretamente raggiunti. Il Presidente era definito "leader indiscusso della banca dal 1996", e se ne rimarcava il "ruolo dominante" in seno ad un CdA in cui - precisava la relazione ispettiva - raramente "si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri...individuati e scelti in ambienti professionali vicini ai vertici della banca. Inoltre, in tale relazione si segnalava che - L'appiattimento (del CdA) sulle posizioni del Presidente" aveva "conosciuto una significativa accentuazione nella seconda metà del 2007 allorquando il Consiglio ha conferito al dr Zo. un'ampia delega a elaborare le strategie della banca univocamente orientate a promuoverne il ruolo aggregante...". All'esito di tale ispezione - ha opportunamente ricordato il primo giudice - l'autorità di vigilanza aveva persino inviato una lettera post-ispettiva attraverso la quale, proprio per contrastare il debordante protagonismo del presidente, era stato sollecitato il rispristino di una "equilibrata dialettica interna". E tali criticità, anche con specifico riferimento al ruolo predominante del presidente rispetto al CdA - e, più in generale, rispetto alla dirigenza "operativa" - erano state riscontrate pure all'esito della successiva ispezione di follow up del 2009 (cfr relazione ispettiva, doc. 2 del P.M.). L'ispezione sul credito del 2012, poi, aveva confermato come lo ZO. fosse non solo pienamente consapevole delle strategie aziendali, ma anche l'effettivo ispiratore delle stesse, secondo una visione, al predetto presidente prevalentemente riconducibile, di un successo commisurato al numero degli sportelli, alle relazioni con gli Enti pubblici e con le organizzazioni imprenditoriali" (cfr. doc. n. 3 della produzione P.M.). E' bensì vero che - come osservato dalla difesa dell'imputato (da ultimo, in sede di conclusioni) - nella relazione ispettiva di riferimento non si dà più conto di ingerenze operative dello stesso giudicabile; tuttavia, in disparte l'ambito assai circoscritto (in quanto limitato al credito) dell'attività ispettiva in questione, nulla autorizza ragionevolmente a ritenere che si fosse improvvisamente realizzata una significativa cesura rispetto ad un radicato modo di interpretare la presidenza da parte del giudicabile. Né, a fronte delle problematicità segnalate dalla Vigilanza, può assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza (da ultimo valorizzata dalla difesa nelle note conclusive 28.9,2022) costituita dal fatto che tali "deviazioni" non si fossero poi tradotte nell'adozione, nei confronti dell'imputato, di alcun "provvedimento sanzionatorio o interdittivo ... rispetto all'assetto di governance dell'impresa bancaria" (cfr note scritte di discussione, pag. 20), stante l'inequivoco tenore delle citate osservazioni critiche. Del resto, sul punto, è decisiva la testimonianza, già adeguatamente valorizzata dal primo giudice, resa dal teste ispettore Ga., responsabile della squadra ispettiva Bc., trattandosi di deposizione che compendia efficacemente, nella sua icasticità, quanto accertato al riguardo: "... il presidio del Presidente sui fatti aziendali e sulla gestione aziendale era molto forte. Era un fatto notorio - e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza - che nulla in azienda si muovesse senza che Zo. fosse stato informato", in proposito, è appena il caso di precisare che non siamo affatto di fronte ad una semplice opinione (per quanto resa da soggetto tecnicamente assai attrezzato a comprendere le dinamiche operative di quelle assai complesse strutture che sono gli istituti di credito), bensì al giudizio rassegnato da un esperto ispettore che aveva appena ispezionato proprio B.. E tanto basterebbe, tenuto conto dell'autorevolezza della fonte (l'ente di vigilanza Banca d'Italia, per l'appunto, per il tramite degli esperti ispettori inviati a verificare la gestione di B. ed a lungo presenti, a stretto contatto con i funzionari della banca ispezionata, presso la sede dell'istituto, tanto da averne potuto cogliere appieno le dinamiche operative). Ma v'è assai dì più. In effetti, ulteriori, significative evidenze probatorie acquisite al giudizio hanno confermato come al timone dell'istituto di credito, con riferimento a tutti gli aspetti della vita della banca - a partire dalle questioni strategiche, passando agli snodi essenziali della operatività dell'ente e fino a tematiche di ben minore cabotaggio, talune (è il caso della organizzazione delle cene sociali) solo apparentemente "spicciole", ove si consideri che viene in esame l'operatività di una banca popolare di una ricca città di provincia, ovverosia di un istituto di credito per definizione strettamente legato al territorio di riferimento ed al locale tessuto produttivo, donde l'importanza della accorta "gestione" dei rapporti con gli imprenditori dell'area - vi fosse proprio il presidente ZO.. Il giudice di prime cure, sul punto, ha fornito un articolato resoconto delle emergenze istruttorie. In sintesi - e rinviando, per il resto, alla sentenza impugnata - va evidenziato che è emerso che era l'imputato; - a selezionare all'ingressi nel CdA e nel Collegio sindacale. Al riguardo, vanno richiamate, oltre all'efficace descrizione delle dinamiche di cooptazione fornita dal coimputato Zi., le deposizioni rese, nell'istruttoria di primo grado, dai testi Ma., Co., Ro., Ti., Do. e, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello, dal teste An.. Il teste Lo. ha riferito della propria emarginazione conseguente al rifiuto rispetto al "metodo Zo." di selezione dei consiglieri. Parimenti significativa di tale pervasivo controllo sulla composizione del CdA, poi, è anche la vicenda della originaria opposizione da parte del coimputato Zi. rispetto all'inserimento in CdA del consigliere Mo.: a seguito della propria iniziale astensione - peraltro poi commutata, per effetto di "opportune" pressioni, in voto favorevole - lo Zi., come da lui stesso precisato, era stato anch'egli sostanzialmente emarginato. - a dirigerne le sedute con assoluta fermezza ed in termini che, di fatto, non ammettevano repliche, tanto che dalla lettura dei relativi verbali si coglie il difetto di ogni reale dialettica interna, essendosi in presenza di delibere adottate sistematicamente all'unanimità. Sul punto, il primo giudice ha opportunamente richiamato - in quanto sintomatiche di tale supina adesione dell'organo collegiale rispetto ai desiderata del presidente - le vicende relative alla fissazione del valore dell'azione in sede di CdA 1.4.2014 ed alla fallimentare operazione immobiliare inerente all'acquisto della sede di Cortina d'Ampezzo. A tale riguardo, considerate le obiezioni difensive articolate sul punto, una breve precisazione è d'obbligo: è del tutto evidente che l'attenzione del presidente per il patrimonio immobiliare dell'istituto (e, più in generale, per i vantaggi di immagine che sarebbero derivati alla banca dalla collocazione delle filiali in località ed in immobili di assoluto pregio) è più che giustificata e, quindi, non può certo costituire elemento neppure latamente indiziario. Sennonché, tale episodio è stato opportunamente evocato dal primo giudice in quanto indicativo dell'assoluta subordinazione dell'organo collegiale rispetto alle indicazioni del presidente finanche nel caso - quale, pacificamente, quello in esame di proposte già in partenza economicamente insostenibili. Nella fattispecie, invero, la perdita, conseguente alla operazione in esame, di oltre venti milioni di Euro, corrispondenti al finanziamento all'uopo erogato da B. alla società Pe. s.r.l. della famiglia Ca., era stata sostanzialmente preannunciata dalle valutazioni effettuate dal coimputato MA. il quale, in effetti, aveva opportunamente segnalato l'incapacità di detta società di rimborsare il finanziamento (La vicenda - va precisato - è dettagliatamente descritta alle pagine 588 e ss. della sentenza impugnata, nella quale, peraltro, è evocata anche la significativa intercettazione intercorsa, in data 21.9.2015, tra il sindaco Pi. ed il consigliere To., anch'essa ivi riportata, nei passaggi di interesse). IL Coerente con tale decisa modalità di conduzione dell'organo collegiale, secondo la ricostruzione del tribunale, poi, è anche la descrizione della presidenza ZO. fattane dal teste Gr., all'udienza 30.1.2020, là dove costui, pur escludendo, nel periodo della sua gestione, ingerenze operative dell'imputato, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, ha confermato le precedenti dichiarazioni in occasione delle quali aveva riferito, secondo quanto già riportato dal primo giudice, che "... quello del presidente del CdA era un ruolo che stava stretto alla persona di Zo.... in realtà Zo. svolgeva un ruolo di impulso rispetto al CdA della banca e di indirizzo della direzione generale della banca medesima... ed ha rievocato la politica di forte espansione tenacemente perseguita dall'imputato. Quindi, nel corso della sua rinnovata escussione del 5.7.2022, il medesimo Gr. ha descritto le difficoltà che ('"esuberanza" dello ZO. gli aveva provocato più volte con Banca d'Italia, costringendolo a rimediare alle improvvide iniziative del presidente (cfr. pag. 43: Omissis). La più evidente riprova di una condizione di sostanziale soggezione del CdA al suo vertice, del resto, la si ricava dall'unanime consenso espresso a fronte della proposta dell'imputato di cooptare in consiglio il d.g. So. come consigliere delegato e, questo, nonostante si fosse nel febbraio del 2015, ovverosia in un torno di tempo nel quale erano oramai manifeste le condizioni, nelle quali versava l'istituto di credito, di estrema criticità (il tribunale, al riguardo, ha puntualmente evidenziato che: il bilancio 2014 registrava una perdita di circa 800 milioni; l'istituto aveva superato il Comprehensive Assessment solo grazie alla conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza nella seduta 26,10,2014; la vigilanza stava approfondendo le questioni del riacquisto di azioni effettuato, per circa 200 milioni di Euro, in costanza di aumento di capitale e della detenzione indiretta di azioni proprie da parte dei fondi lussemburghesi). Come sopra accennato, il giudice di prime cure ha, inoltre, opportunamente rievocato (cfr. pagine 590-591 della sentenza impugnata) il ruolo predominante svolto dall'imputato, nella seduta del CdA 1.4.2014, con riferimento alla determinazione del prezzo dell'azione, determinazione adottata in deroga alle stesse regole procedurali interne della banca. Altrettanto dicasi per la gestione del licenziamento del medesimo So., di cui si tratterà meglio più oltre, licenziamento deciso direttamente dallo ZO. e solo successivamente ratificato con voto unanime (peraltro in violazione sia delle regole statutarie che attribuivano al CdA la relativa competenza, sia della normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, come puntualmente osservato dal tribunale); e, questo, nonostante la richiesta del consigliere Zi. di valutare il licenziamento piuttosto che la risoluzione consensuale (richiesta che, riportata nelle trascrizioni audio della seduta del CdA, è tuttavia significativamente assente nel relativo verbale). E' bensì vero, sul punto, che, come la difesa dell'imputato non ha ripetutamente mancato di osservare, un forte segnale di "discontinuità" nella guida della banca era sostanzialmente preteso dall'organo di vigilanza e che (come parimenti sostenuto dalla medesima difesa, da ultimo in sede di discussione) i "tempi di reazione" erano necessariamente assai stretti, dovendosi mirare, anche attraverso una celere rimozione del vertice esecutivo, a scongiurare (o, più verosimilmente, a contenere) il danno reputazionale che sarebbe potuto derivare all'istituto dai riflessi pubblici di una discussione sul punto. Ma è agevole replicare che nulla impediva allo ZO. di coinvolgere rapidamente il CdA in una riservata valutazione della questione (anche ricorrendo a quei mezzi tecnici, quali il collegamento a distanza, che, in precedenza, l'imputato non aveva mancato di utilizzare in frangenti di certo meno preoccupanti) invece di limitarsi a consultare taluni collaboratori e solo alcuni tra i consiglieri di amministrazione di più stretta fiducia per poi chiamare il CdA ad una oramai inevitabile conferma di quanto già da lui deciso; - ad individuare le figure dei manager da assumere (sul punto, il primo giudice ha correttamente evidenziato come Gr., So., Fa. e Ro., ma anche i coimputati Gi. e Pi., fossero stati "selezionati" dall'imputato; ha precisato, inoltre, che Ra.Fo. era stato invitato direttamente da ZO. a svolgere l'incarico di presidente di un comitato che avrebbe dovuto curare lo sviluppo dell'attività dell'istituto di credito nel nordovest e che il medesimo Ra.Fo. era stato nominato presidente di Mo., società immobiliare del gruppo B.); - a controllarne/influenzarne l'operatività, a differenza del precedente presidente, Br.. Significativa, sul punto è la deposizione resa dal teste Pa., vice responsabile della divisione marketing (TESTIMONE PAOLI - No, direi un Presidente esecutivo in maniera importante. Cioè non è un Presidente di rappresentanza per le riunioni in ABI, ma era un Presidente assolutamente operativo, era in banca tutti i giorni, se non era in sede a Vicenza era in sede a Roma ... - cfr. udienza 14.7.2020, pag. 52), anche perché, avendo fatto tale teste ingresso in B. nel 2014, trattasi di deposizione che si riferisce proprio al periodo della "direzione So.". Ma rilevanti sono anche le deposizioni rese, oltre che dal predetto Pa. (il quale ha anche significativamente descritto Zo. come un presidente operativo, che si occupava finanche delle campagne pubblicitarie, circostanza, quest'ultima, anche documentalmente provata dall'appunto contenuto nell'agenda di Ma.So.), dai testimoni Se., Sa., Me. ed Am., così come significativi sono i riscontri documentali evocati dal primo giudice (trattasi dei documenti richiamati alle pagg. 596-598 della sentenza impugnata). Aggiungasi che lo ZO., quando il gestore private Ri. si era dimesso a seguito del trasferimento dalla filiale B. di Vicenza-Co. ad un'altra sede cittadina, dopo un breve incontro con tale funzionario nell'abitazione del presidente ove il primo era stato convocato e nel corso del quale aveva spiegato all'imputato le ragioni della sua scelta, ne aveva immediatamente disposto la riassunzione e la ricollocazione nella medesima sede; - a "preparare" le sedute del CdA attraverso una puntuale, previa interlocuzione con il d.g. So.. Del fatto che Sa.So. fosse stato prescelto dallo ZO. si è già detto. Con riferimento alle modalità di stretta collaborazione tra i due, poi, di assoluto rilievo sono le deposizioni (in particolare, quelle dei testi Ro. e Ro.) richiamate dal tribunale122, dalle quali complessivamente si ricava come tra il presidente ed il d.g., non vi fosse solamente una forte consonanza di intenti ma anche un indissolubile legame operativo, peraltro ammesso dallo stesso So. nel corso delle comunicazioni captate, dal tenore davvero inequivoco, che saranno più oltre riportate. La conversazione n. progr. 235 intercettata il 26.8.2015, intercorsa tra il coimputato Zi. e Pa.Ba., del resto, ne costituisce l'ennesimo, significativo riscontro, là dove il primo ha descritto il rapporto tra presidente e direttore generale come quello di soggetti che "viaggiavano a braccetto". E, anche in tal caso, mette conto osservare che si è in presenza di una affermazione davvero significativa, trattandosi non già di una valutazione (in quanto tale caratterizzata da insuperabili profili di opinabilità) resa da un soggetto estraneo alle dinamiche operative dell'istituto, bensì di un icastico giudizio (del tutto sincero, in quanto captato dagli investigatori all'ascolto) proveniente da un consigliere di amministrazione il quale, peraltro, come si è appreso nel corso del processo, era tanto sensibile alla sorte di B. ed impegnato nella vita dell'istituto da ambire ad assumerne la presidenza, succedendo a ZO., A corredo di tali elementi, poi si collocano le dichiarazioni di quei soggetti - anche costoro intranei all'istituto di credito o, comunque, pienamente inseriti nel contesto produttivo vicentino del quale la banca era il polmone finanziario e, quindi, ben consapevoli di quanto andavano dicendo - che hanno descritto l'imputato come "padre padrone" (è il caso di quanto riferito dal funzionario B. Ro., ovvero dall'imprenditore Ro., nonché dell'espressione proferita dal d.g. So. nel corso di una intercettazione telefonica), ovvero come "monarca assoluto" della banca (è il caso del sindaco Pi., intercettata nel corso di una conversazione con il consigliere To.. Sul punto, con riferimento alla inattendibile "smentita" dibattimentale di tale definizione, sì rimanda a quanto più oltre evidenziato): se è vero, infatti, che tali definizioni, a stretto rigore, come sistematicamente rimarcato dalla difesa del giudicabile, non si emancipano dal rango di valutazioni, è altrettanto indubitabile che, provenendo da soggetti qualificati (i quali, evidentemente, ancoravano le predette affermazioni a vicende da costoro vissute nella quotidianità dell'ambiente di lavoro), si è in presenza di giudizi che scaturivano da solide evidenze fattuali, significativi di una modalità di interpretazione del ruolo presidenziale tutt'altro che formale. Si è in presenza, quindi, di apprezzamenti di significazione tutt'altro che incerta e, anzi, di indubbia efficacia probatoria. Peraltro - osserva questa Corte - non sembra affatto errato spingersi a sostenere che è proprio la larga condivisione di un siffatto giudizio tra soggetti, a diverso titolo, tutti ben informati dei concreti assetti gestionali dell'istituto di credito e, specificamente, delle dinamiche della conduzione della banca, ad integrare, essa stessa, una importante evidenza fattuale. A tali elementi, poi, si aggiungono le significative, coerenti dichiarazioni rese dal coimputato GI., il quale, offrendo una ulteriore "lettura dall'interno" delle dinamiche in atto nel "board ristretto" dell'istituto - lettura particolarmente utile in quanto, per un verso, proveniente proprio da un soggetto apicale nell'organigramma della banca; e, per altro verso, non influenzata da quel palpabile imbarazzo se non anche, come s'è detto, da quella ritrosia al limite della reticenza riscontrabile in numerose deposizioni di alti funzionari che hanno agito a stretto contatto con il più elevato management aziendale (e, ancor più, di numerosi consiglieri e membri del collegio sindacale di amministrazione dell'istituto, evidentemente condizionati anche dal ruolo di responsabilità rivestito da costoro nella banca, peraltro all'origine delle sanzioni amministrative loro irrogate dalla vigilanza) - ha individuato proprio nello ZO. l'effettivo vertice operativo di B. e, nel CdA un organo collegiale sostanzialmente supino. In effetti, nel memoriale prodotto a sostegno della richiesta di rinnovazione dell'esame, il predetto GI., con specifico riferimento alla posizione di Zo.Gi., ne ha definito con nettezza il profilo operativo, icasticamente affermando che il presidente era "il vero amministratore delegato della banca" - in quanto tutte le decisioni di un qualche rilievo necessitavano della sua approvazione o erano, comunque, da questi condivise. Ciò egli ha fatto: - dopo avere ricostruito l'operatività della banca nelle operazioni correlate come una prassi diffusa e consolidata a partire dagli anni 2011-2012 (ovverosia - come da questi precisato - dal momento nel quale le azioni B. avevano cessato di essere attrattive per i clienti, sia in termini di dividendi che di incremento di valore, sicché si era manifestata una situazione di crisi strutturale del mercato secondario del titolo); - e dopo avere precisato, altresì, che la scelta di astenersi, illegittimamente, dall'operare le decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi finanziati per l'acquisto delle azioni medesime era funzionale a migliorare i requisiti di capitale, ad esaudire le richieste di vendita dei soci ed a sostenere il prezzo delle azioni, soggiungendo, inoltre, che le indicazioni impartite dal d.g. So. al management erano nel senso di mantenere riservata all'esterno tale operatività della banca (donde l'impiego, nelle pratiche di fido, della dicitura anodina operazioni mobiliari/immobiliari, divenuta, all'interno della banca, vero e proprio sinonimo di "operazioni correlate"). Più nel dettaglio, il GI. ha ricordato come il d.g. So. fosse solito trascorrere l'intero pomeriggio del giorno precedente alle sedute del CdA, ovvero l'intera mattina di tale giorno, con il presidente, per discutere e concordare le delibere che sarebbero state presentate all'organo collegiale, precisando dì essere direttamente a conoscenza di tale prassi perché era stato ripetutamente convocato allorquando le delibere provenivano dalla "Divisione Mercati". In quelle occasioni, ZO. era solito approvare, modificare o cancellare il testo della bozza del provvedimento ed il d.g. So. costantemente interveniva a sostegno. Ebbene, si è chiaramente in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal delineare, come vorrebbe la difesa dell'imputato, ì contorni di una ordinaria operatività del presidente (ovverosia una operatività necessariamente caratterizzata da quei periodici contatti con il d.g. finalizzati a consentirgli di acquisire le informazioni necessarie ad assolvere il ruolo non operativi assegnatogli dalla normativa di riferimento), attestano l'esistenza (quantomeno) di una irregolare diarchia nella conduzione della banca, peraltro plasticamente confermata anche dalla retribuzione riconosciuta allo ZO. (il quale percepiva un compenso annuo di circa 1 milione 110 mila Euro annui, a fronte di quello medio dei singoli consiglieri che si aggirava intorno ai 140 mila Euro annui, ovverosia una retribuzione quasi equivalente a quella del d.g., So., i compensi annui del quale oscillavano tra 1 milione e 300 mila Euro ed 1 milione 500,000 euro126), E, a sostegno di tali dichiarazioni, il propalante ha richiamato plurimi documenti dai quali, in effetti, ad onta delle generiche contestazioni difensive127, è possibile ricavare l'attiva partecipazione del coimputato nella quotidiana operatività della banca, al di fuori, quindi, del perimetro delle attribuzioni proprie di un ruolo di rappresentanza e di garanzia. Trattasi, segnatamente: - della lettera da inviare ai soci a giustificazione dei ritardi nell'evasione delle richieste di vendita delle azioni prodotta (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.1.1); v della missiva inviata dal d.g. della società immobiliare del gruppo al vicedirettore Ca. inerente ad una richiesta di ZO. in merito agli immobili facenti capo al Gruppo Banca (...) (missiva prodotta sub 4.1.2); - della comunicazione in materia di avviamenti con la quale il coimputato PE. riferiva al d.g. So. che l'argomento avrebbe dovuto essere trattato con ZO. (comunicazione di cui al documento allegato sub 4,1.3); - di mail ed allegati documenti attestanti il coinvolgimento del presidente nelle decisioni in materia di "codice etico" e di "riorganizzazione della sede centrale" (di cui alle produzioni sub 4.1.4, e 4.1.5). Ebbene, si è in presenza, com'è evidente solo ad una veloce lettura di tali produzioni, di documenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato (cfr. pagg. 6-9, 11-12 della memoria inerente agli esiti della rinnovazione istruttoria; cfr., inoltre, le considerazioni svolte nella memoria conclusiva), sono di significato tutt'altro che trascurabile ed incerto. Quindi, rievocando le fasi finali della propria permanenza presso l'istituto di credito, il GI. ha riferito che lo ZO., coerentemente con i suggerimenti offertigli dall'avv. Ge. (e, al riguardo, il dichiarante ha richiamato il documento in allegato al memoriale sub 4,6,1., ovverosia la nota riservata datata 11.5,2015, inviata dall'avv. Ge. al presidente Zo., nella quale si suggeriva anche l'esecuzione di un "forensic sulle mail aziendali", ovverosia di "un'attività di sana e prudente ricerca dello stato di conoscenza tra i funzionari e dirigenti dei fatti cui alludono gli ispettori presenti in Banca" - così a pagina 4 della predetta nota), aveva tentato di affrontare il problema che allora stava emergendo dei finanziamenti "baciati", operando una netta discontinuità gestionale, ma, così, sostanzialmente, scaricando le relative responsabilità solo su altri. In questo contesto di predisposizione di una sorta di exit strategy - ha soggiunto il dichiarante - lui stesso aveva appreso della richiesta, proveniente dal medesimo ZO., di cancellazione delle mail presidenziali, richiesta della quale gli aveva riferito un impiegato del SEC di Padova, Ba.St., e che, poi, non era stato possibile attuare. E, a sostegno di tali affermazioni, il GI. ha prodotto un documento di significativo rilievo, ovverosia la stampa della chat inerente alle comunicazioni scambiate, sul tema, proprio con il predetto Ba., comunicazioni che, in effetti, confortano dette propalazioni etero-accusatorie (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.6.2.: "Ciao Stefano. Una curiosità. Tu avevi detto a Ca. che Zo. ti aveva chiesto di cancellare le sue mail? Grazie mille, Abbi pazienza" - "Non mi ricordo bene l'episodio. Devo pensarci un attimo per richiamare la cosa alla memoria" .... ..."Mi sembra che la Li. avesse chiesto se era possibile. Ma le era stato risposto che non si poteva fare perché comunque rimanevano le tracce della cancellazione e sarebbero servite direttive. Secondo me avevano chiesto ai ragazzi che gestivano le mail"). Peraltro, significativa dell'esistenza di una attività di occultamento di elementi a che potessero evidenziare un coinvolgimento del Presidente è anche la conversazione intercorsa tra Bo. e MA. nel corso della quale il primo si faceva latore della richiesta, proveniente da ambienti del CdA, di modificane quanto dallo stesso MA. riferito in sede di intervista "audit" in ordine al fatto che il d.g. So. fosse solito attestare la conoscenza della prassi del capitale finanziato in capo allo Zo. (nel citato colloquio allusivamente indicato come "chi di dovere"). Trattasi, complessivamente, di un protagonismo che davvero mal si concilia con la tesi di un presidente confinato in un ruolo di rappresentanza e che, al contrario, appare coerente con la vera e propria attività gestoria evocata dallo stesso propalante e rispecchiata dagli ulteriori elementi citati. Infine, il GI. ha descritto i rapporti intercorrenti tra il presidente ed il d.g. So. in termini di strettissima collaborazione, in stringente aderenza, peraltro, ad ulteriori evidenze probatorie (si pensi, per tutte, alla già evocata affermazione del coimputato ZI., secondo la quale i due "viaggiavano a braccetto"), soggiungendo che il presidente ed il d.g. erano anche legati da una sorta di reciproca riconoscenza: da un lato, infatti, il primo aveva trovato in So. una sponda per vanificare la proposta del precedente d.g., Co., allorquando costui intendeva promuovere la fusione con il Ba.Po.; dall'altro, il secondo aveva beneficiato della comprensione dello ZO. con riferimento alla manipolazione dei bilanci della Sec, se non anche ad una presunta vicenda "di mazzette" relativa ai rapporti con i fornitori della Ca.. Peraltro, con specifico riferimento alla questione dei bilanci SEC, la deposizione del teste Gr. ha puntualmente confermato le propalazioni del GI., là dove l'ex direttore generale, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale, ha rievocato tanto la falsificazione dei bilanci di tale società ascrivibile al So. quanto la decisione dello ZO. di graziarlo perché "non aveva rubato" e, quindi, a giudizio del presidente, il "peccato commesso" non era dei più gravi. Trattasi, a ben vedere, dì elemento di estrema significazione, in quanto appare ben difficilmente spiegabile, se non proprio nella prospettiva indicata dal GI., il comportamento di un presidente che, reso edotto di tale grave mancanza, evidentemente sintomatica di un assai pericolosa "disinvoltura" nella redazione dei bilanci di una "controllata", non si fosse preoccupato che un siffatto approccio potesse essere replicato anche con riferimento alle scritture di B.. Il rinnovato esame dibattimentale del medesimo GI., poi, ha consentito di saggiare ulteriormente l'affidabilità della fonte (posto che l'escussione di quest'ultimo nel contraddittorio delle parti non ha fatto emergere criticità ed incoerenze della narrazione e, men che meno, falsità di sorta), oltre che di arricchire il contributo di conoscenza originariamente dal propalante affidato al citato memoriale. Il GI., infatti, non solo ha confermato il forte protagonismo operativo dello ZO. nella conduzione della banca, rendendo le seguenti, puntuali affermazioni: particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio. Il Presidente era presente, era presente nei gangli organizzativi. So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse. I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo., Quindi, voglio dire, io dico quello che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati, se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo..."; ma, come si dirà più oltre, ha ribadito ed approfondito quanto anticipato nel memoriale, in particolare con specifico riferimento alla piena conoscenza in capo al presidente del sistematico ricorso al capitale finanziato. Deve allora necessariamente convenirsi che i dati valorizzati dal tribunale ed in precedenza succintamente richiamati - elementi ai quali si è aggiunto il significativo contributo conoscitivo fornito dal coimputato GI., siccome testé rievocato - costituiscano la più sicura conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, del puntuale giudizio già reso dall'ente di vigilanza Banca d'Italia con riferimento alla governance dell'istituto di credito e, segnatamente, alla ingombrante presenza di un presidente che, al contempo, individuava gli obiettivi strategici della banca e ne seguiva la realizzazione, preoccupandosi, altresì, di ogni questione operativa. Pertanto, si è in presenza - va precisato per completezza - di una situazione tutt'affatto differente rispetto a quella, propria di una presidenza meramente "formale", evocata dall'appellante attraverso la produzione, in allegato all'atto di appello, della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica dì Treviso in data 2.4.2020 con riferimento alle analoghe contestazioni mosse al Presidente del CdA di Ve., Tr.Fl.. In effetti, ai convergenti dati probatori valorizzati dal primo giudice, l'appellante ha contrapposto (al paragrafo 3.3, let.re b-j, pagg. 76-137 dell'atto di impugnazione) elementi (poi in larga parte ripresi ed ulteriormente valorizzati nelle citate "note scritte di discussione" in data 28.9.2022 - cfr. pagg. 18 e ss.) asseritamente di segno contrario - in quanto ritenuti tali da escludere che l'imputato potesse essere definito come il "monarca" dell'istituto e, anzi, considerati idonei a dimostrare che costui non esorbitasse affatto dalle attribuzioni della presidenza e non svolgesse, pertanto, alcun ruolo operativo (come sostenuto al conclusivo punto 3.3 lett. k) - ma, in realtà, tutt'altro che adeguati a legittimare una differente lettura del ruolo concretamente svolto dallo ZO.. Trattasi, segnatamente: - della conversazione n. 526, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. (par. 3.3, lett. b); - di specifici "passaggi" delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo., So., Me., Bi., An., Tu., Fa., Se. e Ro. (par. 3.3., lett. c); - della mancata partecipazione dell'imputato ai Comitati Esecutivi ed ai Comitati di Direzione (par. 3.3, lett. d); s dell'estraneità dell'imputato rispetto alla erogazione del credito (par. 3.3, lett. e); - del ruolo corretto tenuto dal presidente in relazione alla svalutazione del valore dell'azione da 62,50 a 48 Euro deliberato nell'aprile del 2015 (par. 3.3, lett. f); - dell'estraneità del giudicabile all'iniziativa di creazione della "task force gestione soci" costituita nella primavera del 2015 (par. 3.3, lett. g); - della tempestiva attività svolta dal medesimo ZO. per corrispondere alle richieste degli ispettori Bc. che intendevano approfondire le questioni delle "lettere di garanzia" e dei "fondi lussemburghesi" (par. 3.3 lett. h); - del reale comportamento tenuto dal predetto con riferimento alle dimissioni del d.g. So. e dei coimputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i) e della condotta assunta dal presidente dal momento della nomina del nuovo Direttore Generale e Consigliere Delegato, Fr.Io., sino alle sue dimissioni (par, 3.3, lett. j). In effetti, detti elementi non legittimano affatto le conclusioni che pretende trarne l'appellante. Sul punto, una precisazione è d'obbligo: quelli evocati dalla difesa a sostegno delle considerazioni svolte ai predetti punti 3.3 lettre b, c, e, f, g, h, i dell'impugnazione sono, in larga parte, contributi testimoniali che scontano - come già premesso ed a differenza di quanto direttamente verificato, con riferimento all'effettivo ruolo svolto dal presidente ZONIIM, dagli ispettori di Banca d'Italia (peraltro anche in periodi significativamente antecedenti rispetto all'arco temporale in cui si collocano i fatti oggetto di addebito) - un più o meno marcato deficit di affidabilità, in quanto provengono da soggetti a diverso titolo coinvolti nella vicenda in esame (in qualità di componenti del CdA, come nel caso di An., Do., Co., Ro., ovvero di membri del Collegio Sindacale; ovvero di dipendenti dell'istituto di credito impegnati in settori "sensibili" rispetto al tema del capitale finanziato, come nel caso, in particolare, di Ri., di Fa. e di Tu., o comunque, strettamente legati al vertice dell'istituto, come So., il quale, peraltro, nel complesso, come si vedrà più oltre, ha reso dichiarazioni assai significative nell'evidenziare la diffusa conoscenza, ai vertici operativi della banca, del fenomeno delle operazioni correlate; ovvero ancora di professionisti intervenuti in momenti decisivi della vicenda in esame, ed è il caso del professor Bi. e dell'avv. Ge.). Si è in presenza, pertanto, di deposizioni (massimamente quelle dei consiglieri di amministrazione e dei membri del collegio sindacale, ma anche quelle di coloro che hanno offerto la propria stretta collaborazione ai vertici operativi della banca maggiormente coinvolti nella concreta gestione dei finanziamenti correlati) alle quali - va ribadito - è doveroso approcciarsi con estrema prudenza. Ciò posto - e passando al merito delle considerazioni difensive - gli elementi valorizzati nell'appello, ancorché ampiamente enfatizzati nella relativa esposizione, assumono, in ottica difensiva, davvero scarso rilievo rispetto al tema in oggetto: - così è per la conversazione n. 526 (par, 3.3, lett. b), intercorsa tra il coimputato MA. ed il capo-area Fr.Cu., posto che non è certo pensabile che l'imputato - il quale, com'è pacificamente emerso, di questioni significative interloquiva pressoché esclusivamente con il d.g. So. - si intrattenesse con un "semplice" capo-area su questioni inerenti alla conduzione dell'istituto di credito; - così per i passaggi, evocati nell'appello (par. 3.3, lett. c), delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo. e So., Bi., Me., An., Tu., Fa., Se. e Ro.. In particolare, le dichiarazioni del Gr., richiamate nella parte in cui il predetto ha rivendicato la propria autonomia rispetto al presidente Zo., sono state nondimeno trascurate là dove il medesimo dichiarante ha significativamente delineato il ruolo dell'imputato in termini di forte protagonismo. Peraltro, il medesimo teste Gr., in occasione della rinnovata escussione in sede di giudizio di appello, con riferimento alle modalità di esercizio della presidenza da parte dello, ZO., dopo avere richiamato il perimetro assai circoscritto delle attribuzioni presidenziali delineato dalla disciplina di Banca d'Italia, ha precisato che lui stesso era solito discutere con l'imputato delle questioni di una certa importanza, soggiungendo che, con riferimento alla tematica della quotazione in borsa, era stato proprio lo ZO. a esprimersi in senso contrario. Aggiungasi che detto teste ha velatamente (ma in modo chiaramente percepibile da parte di un ascoltatore avvertito delle dinamiche proprie del contesto di riferimento) operato una distinzione, a ben vedere nient'affatto casuale, tra quello che avveniva, nei rapporti con il presidente, durante la sua gestione, insofferente di ogni indebita intromissione e quello che, diversamente, sarebbe potuto avvenire durante la gestione So., il quale, peraltro, come riferito dallo stesso Gr. innanzi al tribunale, aveva uno stretto rapporto con lo ZO. che ne apprezzava il decisionismo, fermo restando che il rapporto tra i due, siccome puntualmente descritto dal teste Pa., era caratterizzato dal timore reverenziale nutrito dal d.g. (non diversamente, del resto, da tutto il personale della banca) nei confronti di un presidente assai autorevole, se non addirittura autoritario. D'altra parte, tale avvicendamento era avvenuto in concomitanza con la crisi finanziaria e del mercato secondario, per cui è ragionevole ritenere che la mancata ingerenza dell'imputato nell'operatività dell'istituto durante la gestione Gr. potrebbe non essersi affatto riprodotta nel periodo successivo, quando il direttore generale era persona, per un verso, meno rigorosa del predetto Gr. e, per altro verso, maggiormente condizionata nella sua gestione dell'istituto dall'inasprirsi della crisi che rischiava di vanificare le ambizioni di ZO. (non più contenute dalla concretezza e dal realismo di Gr.). E, sul punto, significative sono le già richiamate dichiarazioni rese dal teste Pa., relative proprio al periodo successivo all'avvicendamento Gr.-So. - In ogni caso, a ben vedere, quella resa dal teste Gr. è una deposizione davvero inconciliabile con la tesi di un imputato "confinato" in un ruolo di semplice rappresentanza. Di trascurabile significato, poi, sono anche i passaggi richiamati delle deposizioni dei testi: Do., essendosi questi limitato a dichiarare che l'imputato gli aveva riferito che si occupava solamente di "strategia" (circostanza, peraltro, anch'essa incoerente con un quell'incarico poco più che meramente formale che, nella prospettiva in precedenza delineata, potrebbe giustificare l'ignoranza della pervasiva prassi delittuosa in essere, da anni, presso B.); Li. e Lo., trattandosi, in tali casi, dì dichiarazioni che, per i ruoli dei dichiaranti (la prima, segretaria personale dell'imputato; la seconda, dapprima responsabile della direzione comunicazione e, successivamente, membro del CdA di fondazioni "partecipate" da B.) consentono di conoscere, per un verso, (e abitudini lavorative del giudicabile e, per altro verso, gli interessi da questi coltivati rispetto ad attività culturali e benefiche, ma nulla predicano di specifico in relazione al tema oggetto di prova; nonché So., quello evocato dall'appellante essendo un breve passaggio, sostanzialmente irrilevante, della ben più articolata deposizione resa da tale testimone (eccezion fatta per quanto riferito in ordine alle pratiche di fido, delle quali, tuttavia, il So. non si occupava direttamente, donde lo scarso rilievo, sul punto, di detta dichiarazione). Altrettanto dicasi per deposizione del teste Bi., in quanto la circostanza che tale professionista interloquisse solamente con il d.g. e non avesse subito pressioni di sorta dall'imputato nell'ambito delle valutazioni demandategli in punto di determinazione del valore del titolo B., non contrasta affatto con le evidenze probatorie valorizzate dal primo giudice, al pari del fatto che, secondo quanto riferito dal medesimo Bi., lo ZO. si esprimesse, con riferimento al tema "valore dell'azione", in termini "atecnici". Peraltro, non è affatto irrilevante evidenziare, ai fini della comprensione del ruolo dello ZO. e del CdA nella determinazione del prezzo (sovrastimato) dell'azione, come il Bi., nell'interloquire con il PE. (e, quindi, non solo con il So.), avesse avuto modo di precisare che l'attribuzione del valore del titolo nei termini poi definiti di 62,5 Euro fosse stata conseguenza di una scelta della banca assai opinabile. In effetti il tenore della mail inviata dal professore al Responsabile della Divisione Bilancio PE. il 29.4.2013 non lascia adito a dubbi: "Gentile dott. Pe., mi sembra esagerata l'enfasi data alle mie considerazioni sul prezzo di 62,5 rispetto a quanto riportato nella mia valutazione. Sarei più prudente. Così come è messa sembra che il perito vi dica che 62,5 è runico prezzo da scegliere, mentre l'aver evidenziato una forchetta di valori dell'adozione del criterio reddituale va semmai nel senso contrario....In breve consiglierei una maggiore prudenza di lettura della perizia e segnalerei tra i rischi quello di non riuscire a realizzare il piano"). Aggiungasi che lo stesso Bi. ha riferito come il tema dell'incremento di valore del titolo fosse un obiettivo perseguito dallo ZO. e dal So. ("Zo. e So. avevano espresso un aspetto di ispirazione verso un incremento del titolo B. anche se non ho ricevuto pressioni sollecitazioni o inviti a raggiungere un determinato risultato finale"...), i nomi dei quali, d'altronde, come opportunamente evidenziato dal P.G. nella memoria conclusiva, nella narrazione del teste ricorrono sempre abbinati, quasi come - una endiadi", ad ulteriore riprova dello stretto collegamento operativo tra i due. Analoghe conclusioni, poi, si impongono con riferimento alle dichiarazioni rese dai testi Me., An., Tu. e Fa., ove si consideri la genericità delle circostanze da costoro riferite e, nondimeno, specificamente valorizzate dall'appellante (cfr. al riguardo, quanto precisato alle pagg. 84-87). In ogni caso, si è in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, risultano tutt'altro che incompatibili con quanto aliunde emerso a carico dello ZO., Che, infatti, il Me. - amministratore di Pa.Fi. - avesse poi trattato della lettera dì garanzia con il So. è circostanza del tutto coerente con il ruolo del direttore generale, pacificamente risultato il vero e proprio regista delle operazioni dì capitale finanziato. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il medesimo Me. ha riferito di essersi incontrato con il d.g. dopo l'allontanamento di quest'ultimo da B., soggiungendo che il So., nell'occasione, gli aveva riferito come il presidente fosse ben consapevole della prassi invalsa presso la banca ma intendesse scaricare ogni responsabilità proprio sullo stesso d.g., quale "capro espiatorio"134. Quanto, poi, ai passaggi delle dichiarazioni del teste Tu. evocati dal difensore, il tema ivi affrontato (interessamento da parte dello ZO. in relazione alle questioni della pinacoteca del comune di Prato e della chiusura del banco-pegni della medesima località) è davvero obiettivamente trascurabile. Non è in discussione, infatti, che il giudicabile si occupasse di tali questioni "di contorno" (questioni che, al contrario, è pacifico che suscitassero il vivo interessamento dell'imputato, assai sensibile a tutto ciò che potesse accrescere il prestigio della banca), bensì che costui esorbitasse, nel l'interpreta re il proprio ruolo presidenziale, da tali ambiti. Infine, la circostanza, riferita dal teste Fa., che al presidente pervenissero i comunicati già predisposti è assolutamente "in linea" con la presenza, presso B., di una struttura amministrativa obiettivamente articolata, ma non implica affatto che lo ZO. si limitasse ad apporre una "inconsapevole" firma in calce a detti documenti. Del resto, il teste An., anch'egli nuovamente escusso nel dibattimento d'appello, non solo ha precisato che era stato l'imputato ad inserirlo, dapprima, nel CdA di Ba.Nu. (dove aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente) e, quindi, in quello di B. (il che ulteriormente conferma il protagonismo del giudicabile nella selezione dei soggetti destinati a ricoprire ruoli di responsabilità nell'istituto), ma, nell'evidenziare come lo ZO. avesse espresso forte contrarietà alla proposta di So. di bloccare la valutazione del titolo B. e nel precisare, inoltre, che il rapporto tra l'imputato ed il d.g. era di "esclusività", in quanto il presidente faceva sostanzialmente da "cerniera" tra la dirigenza ed il CdA135, ha implicitamente avvalorato la ricostruzione di una modalità di esercizio delle attribuzioni presidenziali da parte del giudicabile tutt'altro che di mera rappresentanza, contribuendo a chiarire come, all'interno della più alta dirigenza dell'istituto, fosse sostanzialmente riscontrabile una duplicità di livelli: quello, di massimo vertice, relativo alla coppia "ZO.-So."; e quello, più propriamente riconducibile alla ordinaria dinamica di un board ristretto, inerente ai rapporti tra il d.g. e gli altri dirigenti apicali. Infine, in relazione alle deposizioni dei testi Se. e Ro., deve osservarsi, con riferimento al primo (Se.), che il passaggio valorizzato dall'appellante evidenzia unicamente che l'imputato non era esperto di "operatività tecnica" e, segnatamente, di "merito creditizio", non già che costui non fosse - come peraltro espressamente affermato dal medesimo teste, nei passaggi di poco precedenti della stessa deposizione - "presente e interventista". Anzi, è opportuno precisare che tale teste ha precisato che l'imputato "era presente in ogni ganglio operativo, scendeva sulle strutture". Del resto, la mail inviata da Gi. ad alcuni colleghi della Direzione Generale il 13.9.2010 nella quale il primo, in relazione alla riunione che avrebbe avuto luogo la sera stessa, esplicitamente affermava ".. Il Presidente sarò (sarà) duro con i capi area...", ne è un'evidente conferma. Peraltro, non è affatto inutile sottolineare come, a far giustizia della tesi di un presidente incapace di comprendere, al di là delle specifiche questioni più propriamente tecniche, significato e portata delle tematiche che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano le stesse parole dell'imputato, più oltre evocate, dalle quali si apprende come costui fosse ben consapevole dell'importanza e delle relative implicazioni, anche sul patrimonio di vigilanza, del - Fondo acquisto azioni proprie" (ovverosia, come s'è detto, di uno dei più importanti temi inscindibilmente collegati alla generale questione del capitale finanziato). Ne consegue che descrivere lo ZO. - il quale, per moltissimi anni, ha guidato l'istituto di credito vicentino, orientandone con decisione la politica espansionistica che aveva portato la banca a divenire uno dei gruppi bancari più importanti d'Italia - come un "semplice" imprenditore del settore vinicolo "prestato" al circuito bancario e privo di alcuna competenza in materia (e, quindi, fare leva su tale radicale difetto di conoscenze ed esperienza, per tentare di accreditare la tesi di un presidente facile vittima di un direttore generale infedele) appare davvero un fuor d'opera. Del resto, non pare affatto inutile richiamare, a riprova di una effettiva competenza del giudicabile che andava ben oltre ai "fondamentali" in materia, quanto riferito dal teste Fa., là dove questi, peraltro nell'ambito di contributi dichiarativi, come s'è detto (e come ancora si dirà più oltre), costantemente ispirati ad un approccio "riduzionistico", non solo in ordine alla effettiva conoscenza del fenomeno in esame all'interno della struttura di B. ma anche (e conseguentemente) delle altrui responsabilità in ordine a tale prassi, nel rievocare un incontro che aveva avuto con il presidente nel corso del CdA del 10-11.2014 ha precisato che tale incontro era stato richiesto dalla segreteria di ZO. in quanto quest'ultimo aveva la necessità di approfondire, attraverso i dati di riferimento, l'evoluzione dei "Price Book Value" di banche popolari quotate e non quotate ed ha significativamente soggiunto, a richiesta del difensore della parte civile, che il presidente mostrava di conoscere il concetto in esame, consistente nel parametro di sopravvalutazione o sotto valutazione di un'azione". Con riferimento al secondo testimone (Ro.), poi, si è trattato di una fonte dichiarativa che, pur avendo successivamente ridimensionato (senza, peraltro, fornirne convincente ragione) il senso delle espressioni precedentemente rese ("non si muove foglia senza il suo consenso" - "padre padrone della banca") ed escludendo quelle interferenze dell'imputato nelle procedure di vendita delle azioni che, pure, in precedenza, aveva linearmente descritto (donde, ad avviso della Corte, l'inattendibilità di tale revirement, peraltro contraddetto dall'esplicito tenore delle mail - trattasi dei significativi documenti nn.ri (...) e (...) della produzione del P.M. - esibite a detto teste nel corso della relativa escussione141) ha nondimeno ribadito che lo ZO. interpretava il proprio ruolo in modo tutt'altro che passivo. In relazione, da ultimo, alle dichiarazioni rese dal teste Br. (e diffusamente richiamate nella memoria conclusiva inerente alla rinnovazione istruttoria), è sufficiente ribadire quanto già detto in ordine alla complessiva inattendibilità di tale fonte, trattandosi di soggetto legato da una stretta collaborazione decennale con l'imputato ed evidentemente influenzato dall'interesse a ridimensionare il proprio ruolo in relazione alla vicenda del "default" di B. per sottrarsi alle responsabilità, non solo di ordine "morale" ma anche amministrativo, sullo stesso gravanti connesse alla posizione di membro del CdA e queste ultime all'origine delle sanzioni irrogategli da Consob; - così per la mancata partecipazione del giudicabile ai comitati esecutivi e di direzione (pan 3.3, lett. d). Ed invero, a parte il fatto che lo ZO. ha sicuramente presenziato (circostanza pacifica e non contestata - cfr. atto di appello, pagg. 96-97) alla riunione 11-11.2014, convocata dopo la pubblicazione del citato articolo di stampa sul quotidiano "(...)" ed anche a voler ammettere che lo ZO. non fosse intervenuto al comitato di direzione 20.4.2015 (con la conseguenza che quello del teste Am. in ordine alla presenza del presidente sarebbe un ricordo errato, come minuziosamente argomentato dalla difesa alle pagg. 97-98 dell'atto impugnazione), deve osservarsi come, per quanto detto in ordine ai rapporti dell'imputato con il vertice del management aziendale (e, segnatamente, con il d.g. So.), non fosse certo in occasione delle riunioni predette che il presidente acquisiva contezza delle problematiche della banca (bensì, come meglio si dirà più oltre, in occasione dei continui contatti riservati che intratteneva con il d.g.). E' agevole osservare, del resto, che la diretta partecipazione del presidente a tali incontri avrebbe pesantemente "oscurato" la posizione del direttore generale, compromettendone l'autorevolezza. Donde il rilievo davvero trascurabile delle deduzioni difensive sul punto; - così, ancora, per l'assenza di interventi diretti nell'erogazione del credito (par. 3.3, lett. e). Trattasi, invero, di circostanza, al contempo, pacifica e irrilevante. Questo, ove si abbia la debita attenzione, per un verso, al ristretto livello nel quale venivano adottate le relative decisioni strategiche; per altro verso, alla riservatezza che contraddistingueva tale operatività illecita; e, per altro verso ancora, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., alle considerazioni svolte in ordine alla separata interlocuzione che egli costantemente intratteneva pressoché esclusivamente con il d.g. So. (donde anche l'irrilevanza della intercettazione della comunicazione intercettata n. 259, richiamata alle pagg. 101-105 dell'appello e non considerata dal primo giudice, nel corso della quale il coimputato MA. negava di avere mai personalmente interloquito, sul punto, con il presidente)-Peraltro, va rimarcato, in senso contrario, che l'ascolto dell'audio dell'intervento dell'imputato nel corso del CdA del 5.11.2013 consente univocamente di apprezzare il profilo di un presidente pienamente cosciente anche delle problematiche inerenti alla gestione del credito e delle implicazioni di tale tema con quello del mercato secondario, come si evince agevolmente dal seguente passo della relativa trascrizione: "....quando c'è una pratica che cominciano i milioni di Euro bisogna fermarsi e leggerla bene perché non possiamo e devono essere ancora più severi nella selezione del credito perché le banche che vanno meno peggio sono quelle che sono state più severe nella selezione del credito. Noi abbiamo aiutato ma finché aiuti quello da 20 mila Euro va bene ma quando uno viene coi 20 milioni o i 30 milioni e li perdi dove vai? Ti attacchi a un capannone dopo. Allora se uno ha bisogno di quattrini e vende e non c'è più nessuno che ti compra l'azione perché non aumenta il valore e perché gli dai una redditività molto bassa cosa fai tu? Dimmi cosa fa il Consiglio? Cosa fai?..." (cfr. pag. 5 della trascrizione); - così, inoltre, per il ruolo rivestito dall'imputato al momento della svalutazione del valore del titolo (par. 3.3, lett. f), nell'aprile del 2015 (allorquando il predetto era stato rispettoso delle indicazioni fornite, in particolare, dall'esperto prof. Bi.), essendosi in presenza di una determinazione inevitabile, in quanto adottata in un contesto di crisi oramai conclamata. Aggiungasi che il primo giudice ha dato puntualmente conto, con riferimento alla precedente determinazione del prezzo dell'azione, dell'intervento del giudicabile - cui aveva fatto seguito, al solito, la supina adesione da parte del CdA - teso a privilegiare, tra i criteri per la determinazione di detto prezzo, il criterio reddituale, peraltro in deroga alle stesse regole procedurali nell'occasione adottate dalla banca, regole che sconsigliavano in modo esplicito l'enfatizzazione di un criterio rispetto ad un altro; inoltre, ha opportunamente evidenziato come il comunicato stampa diramato per annunciare tale determinazione non avesse minimamente fatto cenno alla suddetta deroga procedurale, peraltro all'origine dell'attribuzione di un valore del titolo (62,5 euro) nettamente superiore a quello (49,3) cui avrebbe condotto l'adozione di altro criterio (quello del Market Approach); - così, poi, per la mancata diretta partecipazione alla iniziativa di attivazione della "task force" del 2015 (par. 3.3, lett. g), essendosi in presenza di una decisione strettamente operativa (peraltro pressoché immediatamente naufragata). In ogni caso, è decisivo osservare come, in una fase di tanto eclatante criticità, il palese protagonismo del presidente (aduso ad assumere condotte tutt'altro che improvvisate) sarebbe risultato certamente inopportuno, se non anche pericolosamente controproducente per la posizione di quest'ultimo. Del resto, il varo della "task force" si colloca nel medesimo contesto temporale di ulteriori iniziative alle quali prese parte anche l'imputato (intende farsi riferimento alle interlocuzioni con l'avv. Ge., incontrato dallo ZO. il 6.5.2015 presso la sede B. di Roma) e che portarono alla decisione di adottare un segnale di forte discontinuità nel management; - così per il contegno tenuto dall'imputato in relazione alla scoperta delle lettere di garanzia ed alla criticità dei fondi lussemburghesi (par.3.3 lett. h), trattandosi, anche in tal caso, di condotte assunte, nel pieno dell'ispezione Bc., in una situazione di crisi oramai conclamata, sicché qualsivoglia comportamento finalizzato ad ostacolare l'emersione di tali questioni sarebbe stato davvero "suicida". Ed è proprio in questi termini che può leggersi anche la decisione di denunziare i fatti all'a.g. (peraltro solo nel mese di agosto del 2015), donde l'irrilevanza, sul punto, anche di tale elemento; - così, ancora, per le "dimissioni" del d.g. So. e degli imputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i), posto chetali iniziative, al contrario, depongono nel senso di una decisa iniziativa del presidente il quale, con specifico riferimento all'allontanamento del direttore generale, agì con assoluta determinazione, addirittura sostanzialmente ponendo il CdA, come s'è detto, dì fronte al fatto compiuto; - così, infine, per il comportamento tenuto dall'imputato, negli ultimi mesi, durante la "gestione Io." (par. 3.3, lett. j). Se è vero, infatti, che il giudicabile, in questo periodo, non risulta avere frapposto ostacoli agli accertamenti in corso, è del tutto evidente che, in quel contesto, nessuna differente condotta avrebbe avuto alcun senso, sicché del tutto ragionevolmente il tribunale, ad onta di quanto censurato, sul punto, dalla difesa, ha omesso di considerare specificamente tale circostanza. In altri e decisivi termini, sostenere, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato svolgesse, nella presidenza di (...), se non un ruolo di mera rappresentanza, una funzione strettamente "istituzionale" e che, conseguentemente, non fosse coinvolto nella concreta operatività dell'istituto, è conclusione radicalmente contraddetta da una ragionata analisi del panorama probatorio disponibile che, come s'è visto, predica di una costante e "debordante" presenza dell'imputato nella vita della banca. D'altronde, l'intervento effettuato dallo ZO. in occasione della citata seduta del CdA del 5.11.2013 - trattasi sostanzialmente di un lungo monologo, la cui registrazione audio è stata anche ascoltata in udienza nel corso dell'esame del coimputato GI. - restituisce la più vivida immagine di un presidente assolutamente consapevole tanto della generale situazione di difficoltà in cui versava l'intero settore delle banche popolari (settore rispetto al quale l'imputato, nell'occasione citata, si poneva come un vero e proprio punto di riferimento, nel riportare ai consiglieri le interlocuzioni occorse con i vertici di altre banche popolari e con lo stesso presidente delle Associazioni delle Ba.Po.), quanto, più specificamente - ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede - dello stato di profonda sofferenza nel quale si dibatteva B. a causa della crisi del mercato secondario, tanto da spingersi a sostenere l'ineluttabilità di una radicale riforma del settore, nella evidente speranza che ciò potesse assicurare a B. una via d'uscita dalla oramai cronica situazione di illiquidità del titolo e da impegnarsi personalmente in tal senso. Certamente, si trattava di temi "strategici" e non immediatamente gestionali; tuttavia, le ricadute operative erano immediate e di assoluto rilievo. Peraltro, nel corso di tale intervento, è dato cogliere la piena contezza, in capo al giudicabile: - non solo della gravità della situazione del mercato del titolo B. e della conseguente sopravvalutazione del valore dell'azione, dato che una delle (rare) interruzioni del discorso dell'imputato (interruzione posta in essere, come precisato all'udienza del 17.6.2022 dalla difesa ZO. nel produrne la trascrizione effettuata a sua cura e come confermato dall'imputato GI. durante l'ascolto in aula del relativo file audio, da Gi.Fa., già per anni al vertice della segreteria particolare del Direttorio della Banca d'Italia, indi andato in pensione e divenuto, nel corso di quello stesso anno 2013, consulente di B., nonché presente con regolarità, secondo quanto affermato da GI., ai consigli di amministrazione della Banca, anche se, a suo dire, egli si limitava a stare "a disposizione nella stanza antistante il Consiglio"; il Fa. è stato infatti escusso come teste in primo grado all'udienza del 14.7.2020) consiste proprio in un puntuale intervento dell'interlocutore Fa. in tal senso: "...le popolari italiane ancora non sono interessanti oggi probabilmente (e non "forse'", come erroneamente riportato nella citata trascrizione) il valore detrazione è sopravvalutato..." (cfr. trascrizione citata, pag. 7). Ed invero il predetto Fa., al di là del già chiaro tenore del suo intervento di fronte a ZO. nel CdA del 5.11,2013 (intervento che, peraltro, egli, in sede di deposizione testimoniale, resa il 14.7.2020, ha sostenuto, in contrasto con la documentazione audio in atti, citatagli in aula, di non ricordare affatto: cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico cit.), è stato - sul punto - finanche più esplicito nel corso della deposizione testimoniale suddetta, allorquando ha dichiarato quanto segue, pur cercando a un certo punto di attenuare in parte l'iniziale peso della sua affermazione (cfr. pag. 21 del relativo verbale stenotipico): "TESTIMONE Fa. - Guardi, parlando con I miei col leghi (della Banca d'Italia) mi è stato segnalato, mi dissero: guarda, lì il problema vero è l'azione che è sopravvalutata, il valore dell'azione che era sopravvalutata. - PRESIDENTE - Con quali colleghi ha parlato, mi scusi? - TESTIMONE Fa. - Ho parlato con colleghi della vigilanza. - PRESIDENTE - Sì. Qualcuno, qualche nome? - TESTIMONE Fa. - No. - PRESIDENTE - Non ricorda nessun nome? - TESTIMONE Fa. - No. Insomma, erano colleghi con i quali si aveva consuetudine di scambiare... - PRESIDENTE - Sì, giusto per identificarli. - TESTIMONE Fa. - No, no. L'azione era sopravvalutata, come però lo era per tutte le banche popolari, era un problema diciamo comune a tutta la categoria delle banche popolari, ma la sopravvalutazione allora non era completamente fuori linea, c'era una j sopravvalutazione ma... così"; - ma anche delle implicazioni patrimoniali di tale crisi con riferimento al fondo acquisto azioni proprie ("....il problema delle popolari così come sono concepite è che quando cominciano a venderti le azioni e tu non le compri perché non hai più il fondo di acquisto azioni proprie che va a deprimere il patrimonio, ehhh tu sei finito, sei finito..." - cfr. trascrizione prodotta dalla difesa ZO.; foglio 6). Come si è visto, infatti, la strategia del ricorso al "capitale finanziato" ha rappresentato, nelle intenzioni dei vertici aziendali, la risposta alle difficoltà del mercato secondario del titolo e, quindi, lo strumento per assicurare la "sopravvivenza" dell'istituto di credito. Ed i piani aziendali, pacificamente irrealizzabili (e non certo solo "sfidanti", secondo l'eufemistica espressione adottata da taluni testimoni - cfr. dep. Fa., udienza 15.6.2022, pag. 12; cfr. dep. Ca., udienza 6.2.2020, pag. 68, cfr. inoltre, infra), erano predisposti in tal modo - esattamente come esplicitato dal chiamante in correità GI. - proprio in quanto funzionali a sostenere il valore dell'azione, palesemente sopravvalutata, in una sorta di dissennata rincorsa verso il baratro. Né, del resto, quella del 5.11.2013 è stata fa sola seduta del CdA durante la quale gli interventi del presidente ZO. hanno palesato la piena e consapevole partecipazione dello stesso alla gestione della banca, ben al di là, quindi, dì quel ruolo formale che, nell'appello, vorrebbero ritagliargli i difensori. In particolare, in occasione della seduta del 28.10.2014, ZO. e So. risultano essere intervenuti proprio sul tema della difficoltà di collocare le azioni e, in quel contesto, il d.g. ha effettuato un palese - ancorché non esplicito - riferimento a mutui al quale erano "appiccicate" le azioni, ovverosia a finanziamenti correlati da effettuare in sede di aumento di capitale; "... (Zo.): davamo una certa velocità, adesso questo è come dover passare per un buco stretto, è dura. (So.) Ecco un'altra considerazione, Purtroppo è che la crisi continua, la crisi c'è. E quindi se prima, fino a due anni fa, i 6250 Euro, pari a 100 azioni, era abbastanza normale e facile che uno li appiccicava al mutuo, al mutuo di 100.000, 110.000, 80.000, oggi per un reddito di 1500; 2000 Euro al mese, che già il rapporto rata reddito fa fatica a pagare la rata, aggiungere 6250, vi assicuro che è complicato, no? Dicono; ma non possiamo comprarne meno? Noi non ci interessa diventare soci basta essere, avere un po' di azioni. Quindi....(Zo.) se hanno azioni e non sono soci non possono avere (So.) le agevolazioni....piuttosto se necessario andiamo in assemblea e portiamo la proprietà minima a 50 azioni...). Ma significative della consapevolezza delle dinamiche operative della società sono anche le registrazioni sia della seduta del CdA 19.3.2013, in occasione della quale l'imputato aveva spiegato agli interlocutori come la decisione di pagare il dividendo in azioni fosse stata adottata per svuotare il fondo acquisto azioni proprie: "(Zo.)....solo che gli ultimi due anni li abbiamo dati in azioni, in azioni che avevamo in portafoglio, nel fondo acquisti azioni proprie per svuotare più o meno questo fondo, in modo da ricominciare dal 1 gennaio o subito dopo le...subito dopo l'assemblea, per essere più corretti, perché c'è il periodo dove non commercializziamo, non vendiamo e non acquistiamo le azioni..."); sia della seduta del CdA 4.3.2014, nel corso della quale il presidente, con riferimento all'aumento di capitale che era in procinto di essere lanciato, si era esposto al punto da precisare che, in attesa dell'approvazione da parte delle autorità dì vigilanza, sarebbe stato necessario spingere sulla rete commerciale al contempo assicurandosi che venisse mantenuta la segretezza di tale operatività: "... (Zo.) noi chiederemo alla Consob Banca d'Italia di approvare la....quando ....un po' prima....intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come dicevano....perché bisogna fargli capire....che è un po' complessa, ma insomma, quando poi... quando è entrata nella testa poi non è così complicato, non è così difficile dai..."): sia, infine, della seduta del CdA 11.6.2013. posto che il giudicabile, con riferimento ancora una volta alle operazioni di aumento di capitale, si era dimostrato pienamente consapevole e partecipe finanche dei passaggi più strettamente operativi dell'operazione, peraltro gestiti, ancora una volta, nel segno dell'illegalità, in quanto in contrasto con le prescrizioni ricevute all'atto della relativa autorizzazione: (Za.) ....scusa presidente....ma viene mandata una lettera ai soci? (So.) sì (Za.)...ecco perché non tutti leggono i giornali (Zo.)...prima di mandare la lettera dovevamo avere un'autorizzazione., la lettera è pronta? (So.) è tutto già predisposto...adesso la vediamo.... sì sì questa è l'ultima autorizzazione sì... (Zo.) bisogna partire veloci con le lettere, perché sennò i soci si lamentano se vogliamo prorogare di un mese è possibile? No non non, ma riteniamo di non aver problemi (Zo.) Adesso i soci vengono tutti contattati dai nostri dipendenti, oltre che con la lettera. (So.) oltre che la lettera, c'è un'azione, una campagna molto dettagliata...)". Infine, l'audio della seduta del 18.6.2013 costituisce chiara conferma non solo della ingerenza dell'imputato nelle concrete dinamiche operative dell'istituto ma - come si avrà modo di ribadire più oltre - della stessa conoscenza del capitale finanziato, là dove riscontra le dichiarazioni del GI. in ordine alla richiesta di sottoscrizione di operazioni finanziate avanzata dall'imprenditore siciliano Co., Solo in tale prospettiva, infatti, è possibile attribuire un senso all'invito alla cautela ed alla riservatezza formulato dall'imputato al GI. in vista della interlocuzione con tale potenziale investitore: "... (Zo.) ... le prime sensazioni e ... mi raccomando attenzione per quel signore e noi non facciamo mai doppio conto. O è un correntista di Vicenza o è un correntista di banca nuova. I doppi conti non vanno bene. (Gi.) Già gli ho anticipato di aver parlato con i colleghi di banca nuova...(ZO.) meglio esser prudenti perché chiacchiera chiacchiera. (GI.) gli darò tutte le informazioni che ho recuperato oggi e poi... (ZO.)...però non si sa mai insomma... .mi ha fatto un discorso, mi ha detto: casomai possiamo fare 5 milioni, poi 2/3 milioni li mettiamo noi in azioni...(GI.) ma l'ha fatto (ZO.) anche a lei? Attenzione ... (GI.) io gli ho detto che se si tratta di fare un finanziamento per quei 3 milioni va bene, ma poi per il resto non ci interessa perché non abbiamo azioni da dargli. (ZO.) e cosa ha detto? Non ha più parlato....)". Quindi, riassumendo: Zo.Gi., è stato tutt'altro che un presidente "istituzionale" e men che meno un presidente "di facciata" o "decorativo", occupato solamente, come assai riduttiva mente vorrebbe la difesa (sulla base di un lettura parziale e - soprattutto - oltremodo parcellizzata del materiale probatorio complessivamente disponibile), da un lato, a curare l'immagine dell'istituto di credito, attraverso una maniacale attenzione prestata a questioni di dettaglio (gli arredi degli immobili dell'istituto; i menù delle "cene sociali" ecc.) e, dall'altro, a delineare "strategie operative", senza poi curarsi degli snodi essenziali della gestione della banca. Piuttosto, durante il lungo periodo nel quale ha ricoperto la presidenza dell'istituto di credito vicentino, è stato l'anima della banca, anzi, "è stato la banca" (realmente efficace, invero, è la descrizione dell'imputato offerta dall'imprenditore RO., riportata a pag. 623-624 della sentenza impugnata: Mera il capo, il padrone il padrone della banca, era il presidente della banca, il riferimento di tutti..."): l'ha rappresentata nelle interlocuzioni con gli ambienti politici ed istituzionali; ne ha assicurato lo stretto legame con il tessuto imprenditoriale, non solo locale; ma, soprattutto, per quel che specificamente rileva in questa sede, ne ha ispirato la politica aziendale - per scelta diretta dell'imputato orientata ad una insostenibile espansione territoriale, implicante una moltiplicazione delle strutture e degli sportelli sul territorio e tale da assorbire consistenti quote di capitale ("la banca sono le sue strutture", infatti, era il principio ispiratore del presidente, tanto da averlo indotto a cassare ogni proposta di recuperare liquidità dalla vendita di asset immobiliari, come ricordato dal GI.144; si ricordi, ancora, l'operazione relativa alla sede di Cortina d'Ampezzo) - seguendone anche direttamente l'attuazione, nonostante la consapevolezza della situazione di crisi in cui versava l'istituto, non solo con specifico riferimento al mercato secondario del titolo. Tali conclusioni, come s'è visto, si impongono alla stregua di solide evidenze fattuali, corroborate da coerenti valutazioni provenienti da soggetti assai ben informati del tema in esame (Valutazioni, quindi, non certo derubricabili a meri, opinabili apprezzamenti). Chiaramente sintomatico di un siffatto approccio alla presidenza da parte del giudicabile è anche un passaggio dell'intervento effettuato dall'imputato nel CdA del 5.11,2013, nel quale emerge addirittura la diretta partecipazione ad un incontro con i capi area: "Io personalmente sono convinto che se vogliamo che il mondo cooperativo vada avanti a livello di banche popolari dobbiamo dare, perché quando abbiamo fatto la riunione dei capi area ho fatto una domanda ho detto "voi dovete rispondermi perché le persone devono investire sulle banche popolari?.....Perché vanno su il valore delle azioni.. Fino a 4/5 anni fa è andata bene, adesso francamente non è più così..."(cfr. trascrizione citata, pag. 1). Tutto ciò il giudicabile ha fatto assicurandosi il più saldo controllo dell'istituto, mediante la scelta di manager di fiducia (la sorte dei quali ha autonomamente decretato, anche al di fuori del ristretto ambito delle sue competenze) ed attraverso il netto rifiuto opposto alla proposta di quotazione in borsa avanzata ripetutamente dal d.g. Gr. (soluzione che - va detto per inciso - avrebbe scongiurato l'esito fallimentare poi verificatosi) e menando vanto, nella interlocuzione con i soci, di tale scelta. Quando, poi, la situazione era oramai divenuta insostenibile e solo una radicale riforma del settore avrebbe potuto salvare B., lo ZO. si è bensì impegnato attivamente in tal senso (circostanza che costituisce l'ennesima conferma della centralità del ruolo ricoperto dal giudicabile, non solo nell'ambito delle dinamiche interne alla banca vicentina, ma nell'intero "circuito" delle banche popolari); ciò ha fatto, tuttavia, animato dall'intenzione di assicurarsi che tale riforma venisse pilotata - secondo gli auspici dell'imputato anche attraverso l'inserimento, nella commissione che se ne sarebbe dovuta occupare, di nomi a lui graditi (nomi, peraltro, che lo stesso ZO. aveva già autonomamente individuato) - verso un esito nel quale l'ingresso di nuovi soci avrebbe dovuto convivere con il vecchio sistema di governance, in modo che fosse comunque assicurato il perpetuarsi del controllo della banca (sul punto, è d'uopo il richiamo a quanto prospettato dall'imputato ai consiglieri nel corso della seduta del CdA poco sopra evocata, alla trascrizione della quale, in questa sede, s'impone un formale rinvio). In conclusione, la ricostruzione delle modalità dì esercizio della presidenza da parte dell'imputato quali espressione di una costante ingerenza nell'operatività dell'istituto è stata dal primo giudice ancorata a solide evidenze probatorie, peraltro successivamente implementate, nel dibattimento d'appello, dalle dichiarazioni dei propalante GI., sicché, su) punto, non pare davvero possibile nutrire perplessità di sorta. Se così è - e, per quanto sin qui detto, non pare davvero possibile opinare diversamente - possono apprezzarsi in termini di evidenza tanto l'inconsistenza fattuale quanto l'insostenibilità logica della tesi difensiva secondo la quale l'imputato, confinato in un ruolo meramente decorativo e dì mera rappresentanza - o, al più, impegnato a vagheggiare strategie aziendali (sul punto, l'appello richiama, in particolare, la deposizione del teste Do. in ordine agli interessi meramente "strategici" dell'imputato146), ma senza avere alcuna concreta possibilità di incidere sulla realizzazione di tali progetti - non avrebbe avuto alcun sentore del fenomeno del capitale finanziato, fenomeno la responsabilità del quale sarebbe tutta esclusivamente addebitabile al vertice immediatamente esecutivo di B., ovverosia al d.g. So. oltre che, com'è ovvio, ai suoi più stretti collaboratori (stante l'evidente impossibilità, per costui, di attuare "in solitudine" scelte dalle ricadute operative e gestionali tanto complesse). In effetti, nella prospettiva sostanzialmente sottesa all'atto d'appello (ed esplicitamente rappresentata in questi termini in sede di conclusioni), il presidente, dedicandosi a seguire iniziative culturali e benefiche o, comunque, ad un ruolo dì generica rappresentanza e di mero indirizzo, sarebbe rimasto vittima inconsapevole di una sorta di "congiura del silenzio" per effetto della coordinata azione di dirigenti infedeli i quali, peraltro - non può non rilevarsi - non avrebbero agito per trarne un immediato vantaggio, se non quello di assicurarsi il mantenimento delle rispettive posizioni - tutt'altro che precarie, in verità - nel board ristretto della banca, bensì per scongiurare la crisi dell'istituto di credito o, quantomeno, per differirne gli effetti. Questo, con l'inevitabile corollario (non esplicitato dall'appellante ma imposto dalle evidenze processuali) che tale "congiura" ai danni del presidente sarebbe stata posta in essere pressoché dall'intera dirigenza operativa della banca. Ora, non v'è chi non veda che si tratta di una ipotesi intrinsecamente irragionevole e davvero inconciliabile con la vastità, la risalenza e le complesse implicazioni del fenomeno in esame, necessariamente tali da coinvolgere l'operatività (come s'è già visto analizzando le posizioni dei coimputati MA., GI. e PI.) pressoché dì tutte le articolazioni operative dell'istituto (ovverosia "il mercato", "la finanza", il "credito" e, come si dirà più oltre, anche "il bilancio"). Al riguardo, infatti, sono davvero illuminanti le puntuali considerazioni dell'ispettore Ga.: "....Sì, So. sostanzialmente riferisce, come dire, di una piena consapevolezza da parte della struttura direttiva di Po.Vi. del fenomeno Ma del resto, insomma, come dire, io non faccio fatica a credergli perché, ripeto ancora, le dimensioni del fenomeno, la persistenza nel tempo, la persistenza nel tempo soprattutto, il fenomeno è durato anni, l'estensione del fenomeno, sono cose che è obiettivamente impossibile, impossibile che siano gestite all'insaputa di un coordinamento da parte dell'alta direzione, e non solo di un solo soggetto ma, insomma, di una serie di soggetti: devono coordinare una struttura, una rete commerciale che deve fare queste operazioni, è necessario, come dire, una piena comunione di intenti da parte del vertice aziendale ...". Peraltro - va precisato - la situazione di estrema difficoltà nella quale versava l'istituto non era nota solo ai vertici operativi della banca, ma anche ai funzionari che occupavano ruoli che li ponevano quotidianamente a contatti con le "conseguenze pratiche" della crescente, inarrestabile inappetibilità del titolo: davvero significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dal teste Ro., addetto all'ufficio soci, il quale ha efficacemente descritto il contesto di sostanziale paralisi nell'ordinario avvicendamento dei soci, riferendo di "valanghe" di richiesta di vendita segnalate come urgenti a partire dagli anni 2011-2012 e precisando che ciò aveva anche fatto "saltare" il criterio cronologico in precedenza seguito per l'evasione delle relative pratiche. Evidentemente consapevole della debolezza logica di siffatta prospettazione alternativa, la difesa ha puntellato tale ricostruzione della vicenda sostenendo che il presidente sarebbe stato tenuto all'oscuro della prassi delle operazioni correlate per effetto di quella sorta dì "muro invalicabile" che il d.g. So. avrebbe appositamente eretto per "confinare" il presidente, impedendogli di interloquire con i restanti membri del management e, in tal guisa, scongiurando il rischio che lo stesso ZO. potesse acquisire contezza di tale prassi dagli altri top manager di B. (ai quali il So. riferiva, per rassicurarli, che il presidente, contrariamente al vero, condivideva la prassi delle "baciate"). In buona sostanza, il So. avrebbe ingannato, al contempo, "a monte", il presidente, nascondendogli il sistematico ricorso alla concessione di finanziamenti per l'acquisto dei titoli B.; e, "a valle" i suoi più stretti collaboratori, millantando con costoro di fruire, al riguardo, del pieno appoggio di ZO.. Di talché il presidente sarebbe rimasto estraneo rispetto a quel "comitato ristretto" responsabile, secondo la stessa difesa dell'imputato, "dell'operatività occulta all'interno di B.". E, a corroborare tale impostazione, concorrerebbero, secondo la difesa, le deposizioni dei testimoni Ca., To. e Tu., là dove costoro hanno riferito che il So. era assai accorto nel riservare a sé stesso le interlocuzioni col Presidente (il teste Ca. avendo precisato, peraltro, che il d.g. veniva immediatamente informato di eventuali contatti tra i dirigenti e lo ZO. ed era solito chiedere immediate spiegazioni al riguardo). Inoltre, la medesima difesa, anche da ultimo151, ha richiamato la deposizione resa dalla teste Pi. innanzi a questa Corte là dove costei ha avuto modo di rievocare una conversazione intrattenuta col GI. nel corso della quale questi le aveva riferito che il So., richiesto di precisare se effettivamente il presidente fosse a conoscenza delle "baciate", aveva bensì rassicurato l'interlocutore sostenendo che, seduta stante, avrebbe telefonato allo ZO. per acquisirne il rinnovato consenso, ma aveva poi effettuato la chiamata al presidente ponendosi al riparo dall'ascolto del vicedirettore, così ponendo io/ essere una condotta dalla quale, ad avviso della teste, non poteva certo trarsi la conferma dell'effettivo coinvolgimento dello stesso ZO. nella prassi in esame. Ed un analogo episodio, parimenti richiamato dal difensore, è stato quello descritto nel corso di una conversazione telefonica intercorsa tra Bo. e Fe., in occasione della quale si era fatto esplicito riferimento ad una telefonata che il So. aveva intrattenuto con lo ZO. senza che i presenti potessero ascoltarlo (nell'occasione il d.g. si sarebbe recato in bagno). Ancora, lo stesso Gi. - ha soggiunto la difesa - nel corso dell'esame reso il 17.6.2022, nel sostenere che se avesse riferito qualcosa al Presidente ovvero al CdA avrebbe messo a serio repentaglio il proprio posto di lavoro, avrebbe corroborato tale impostazione. Infine, la medesima difesa, richiamando le deposizioni rese dai testimoni An. e Tu. ed il resoconto del coimputato ZI., ha evidenziato, a riprova dell'estraneità dell'imputato al "comitato ristretto" responsabile delle operazioni "baciate", la scansione degli eventi verificatisi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 2015: quando l'imputato, informato da Ca. e An. di quanto andava emergendo, ne aveva chiesto conto al So. ed al GI., costoro, invece di richiamare il presidente ad una comune assunzione di responsabilità, come sarebbe stato lecito attendersi se fossero stati tutti d'accordo, si erano accusati reciprocamente dell'ideazione delle operazioni. Ebbene, nonostante tali osservazioni (come si vedrà, tutt'altro che decisive), l'insostenibilità dell'impostazione difensiva permane invariata. Non solo, infatti, il protagonismo del giudicabile nella operatività aziendale, siccome in precedenza delineato, fa giustizia, in punto di fatto, di tale ipotesi, ma trattasi di ricostruzione che, non appena sottoposta a quel più approfondito vaglio sollecitato dagli argomenti valorizzati dalla difesa, manifesta tutta la sua inconsistenza sul piano della logica più elementare. Come s'è detto, la tesi della conventio ad excludendum del presidente ZO. ordita dal d.g. So. confligge, anzitutto, con la semplice osservazione che il fenomeno del capitale finanziato era ben noto all'interno delle strutture operative della banca e, in particolare, era di pubblico dominio nell'ambito della rete commerciale dell'istituto (costituita - sarà bene ribadirlo - non già da pochi impiegati confinati in un ufficio isolato, ma da alti dirigenti, numerosi funzionari e migliaia di addetti sparsi sul territorio) chiamata ad attuare con prontezza le direttive di collocamento delle azioni, anche attraverso appositi - finanziamenti, impartite alla catena commerciale del d.g. So. per il tramite del vicedirettore GI. (come da questi convincentemente illustrato. Assolutamente significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dai testi Pi., Ba., Ni. e Ba.. S'è visto, del resto, che le disposizioni in ordine al mantenimento del segreto di tale prassi erano destinate ad operare all'esterno - e, segnatamente, nei confronti della vigilanza - attraverso il divieto di lasciarne traccia scritta, non certo nei confronti di una rete commerciale tanto ramificata. Lo stesso teste Mo., del resto, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale - pure connotata, come si dirà più oltre, da un marcato ed interessato approccio "riduzionistico" nella descrizione della conoscenza del fenomeno (là dove ha riferito come delle "baciate" non si parlasse apertamente) - non ha potuto negare come non fossero mancati i riferimenti, ancorché allusivi, a tale fenomeno (ad esempio nel corso dei contatti informali tra i capi area, ecc.). Analogamente, il teste Fa., anch'egli in sede di rinnovata escussione e parimenti nell'ambito di una deposizione orientata al sistematico ridimensionamento della diffusa conoscenza dei fatti e delle singole responsabilità, ha riferito come, prima del periodo di forte tensione in cui va collocata la seduta del comitato del 14,4,2014, il fenomeno delle "baciate" fosse noto e tollerato, in quanto "prassi comune alle banche popolari". Aggiungasi che, come evidenziato dal tribunale, il fenomeno in esame, nelle sue linee generali, era comunque noto: - sia all'interno del CdA (diversamente da quanto sostenuto dai plurimi consiglieri escussi) - come, peraltro, significativamente affermato dallo stesso So. nel corso di una rilevante conversazione intercettata - se non altro a quei componenti dell'organo collegiale che ne avevano consapevolmente fruito e, ragionevolmente, anche a coloro che avevano più stretti rapporti con il contesto di imprenditori locali che avevano acquisito, nel tempo, "pacchetti" di azioni di valore rilevantissimo; - sia all'interno del Collegio Sindacale, almeno nella persona del suo presidente e nelle sue linee generali (significativo, al riguardo, nonostante la percepibile cautela lessicale ragionevolmente dettata dalla consapevolezza della registrazione, è il seguente passaggio della seduta del comitato per il controllo 22.11.2013: "... (Es.) No...caro presidente del collegio sindacale, lei sa molto bene che il fondo a fine anno ...Cosa succede? Non mi fate parlare ... (Za.) ... diventa a zero ... (Es.) ... bravo (Za.) ... zero ... Allora li (inc.) ... (Es.) ecco, bravo ...grazie ho finito ...)". Peraltro, le sentenze della Cassazione civile che hanno confermato le sanzioni irrogate da CONSOB nei confronti di numerosi membri del CdA (oltre che dei sindaci), per un verso, hanno evidenziato la sussistenza di una sequela di indici di allarme che ben avrebbero dovuto rendere percepibile la connessione tra le richieste di finanziamento e gli acquisti di azioni; e, per altro verso, hanno messo in evidenza come la CONSOB, già nel 2014, avesse sollecitato un adeguato controllo sui legami intercorrenti tra i componenti del CdA ed i sindaci, da un lato, ed i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dall'altro, richiesta, questa, che non poteva non costituire un palese segnale di allarme di possibili anomalie (cfr. Cass. civile 4519/22 su ricorso Br.). Né, d'altro canto, è minimamente emerso che il d.g. avesse diffidato alcuno, tra i dirigenti/funzionari di B., dal riferire alcunché al presidente ZO.. Anzi, vi sono elementi di segno nettamente contrario, ove si consideri che il teste Ba. ha riferito come, interpellato dallo ZO. prima che quest'ultimo si incontrasse con Be., non avesse esitato a riferire al presidente delle operazioni correlate effettuate da tale investitore. Pertanto, confidare che il presidente potesse restare all'oscuro di una prassi la cui conoscenza era tanto diffusa pare, a dir poco, inverosimile. Se, poi, sì tiene debitamente conto del coinvolgimento nella sottoscrizione di operazioni di capitale finanziato di larga parte dell'imprenditoria vicentina, ovvero di quel contesto produttivo del quale l'imputato era campione, e si consideri, inoltre, che fra i sottoscrittori v'erano amici di vecchia data del giudicabile (e finanche il di lui cognato), non v'è chi non veda come l'ipotesi difensiva di uno ZO. pressoché unico soggetto ignaro di un fenomeno, per il resto, pressoché notorio, finisca davvero per dissolversi nell'assoluta irrealtà. In questa prospettiva, quindi, le osservazioni dell'appellante basate sulle dichiarazioni valorizzate dalla difesa ed in precedenza evocate (trattasi, segnatamente, delle deposizioni Ca., To., Tu., Pi.), pure convergenti nel delineare l'estrema attenzione con la quale il So. aveva riservato alla propria persona le interlocuzioni con il presidente, lungi dal dimostrare l'esistenza di un piano orchestrato dal d.g. per "isolare" il presidente stesso, onde poterlo più agevolmente ingannare con riferimento alla questione di vitale importanza del capitale finanziato, trovano ben più agevole spiegazione in una condotta conseguente ad una impostazione degli assetti dirigenziali fortemente gerarchizzata, condotta, peraltro, con ogni probabilità, esasperata dal timore del d.g., di essere "scavalcato" dai vicedirettori. Ed è proprio in quest'ottica che può trovare agevole spiegazione anche la vicenda delle telefonate (probabilmente, peraltro, trattasi dello stesso episodio) alla quale hanno fatto riferimento la teste Pi. in sede di deposizione e gli interlocutori della citata conversazione intercettata n. 114, nel senso che una interlocuzione effettuata, con il presidente, alla presenza di terzi e ponendo lo ZO. a conoscenza del fatto che i più stretti collaboratori del d.g. non avevano fiducia nel loro "capo", avrebbe finito irrimediabilmente per compromettere l'autorevolezza dello stesso d.g. agli occhi del medesimo presidente. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal GI., sì è in presenza di un contributo narrativo impropriamente evocato, posto che, a rileggere il relativo passaggio dell'esame, si coglie chiaramente che il propalante intendeva riferirsi alla impossibilità, pena l'immediato allontanamento dalla banca, di investire il CdA della questione del capitale finanziato, in quanto si sarebbe trattato di una iniziativa, peraltro del tutto irrituale, assunta in plateale violazione della "direttiva" secondo la quale il tema in esame non sarebbe dovuto mai emergere formalmente (cfr. verbale udienza 17.6.20220, pag. 32: IMPUTATO GI. - Eravamo molto preoccupati della regolarità di questo tipo di operazione, e quindi volevamo essere sicuri che fossimo coperti da Zo., dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - E non ha mai sentito l'esigenza lei, o qualcun altro che aveva queste preoccupazioni, di parlarne apertamente in CdA? Dato che lei continua a dire che il CdA era a conoscenza. IMPUTATO GI. - No, ma ero fuori dalla Banca il giorno dopo. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - Come? IMPUTATO GI. - Ero fuori dalla Banca il giorno dopo. Questa è un'operatività che doveva rimanere occulta non dichiarata, non scritta, di cui non si doveva parlare, per cui tutti si nascondevano dietro a formalismo di una comunicazione ufficiale. Per cui, nella sostanza: tutti sapevano, ma formalmente non dovevano esserci comunicazioni ufficiali. Se io ne avessi parlato col Presidente, coi Consiglieri in Consiglio di Amministrazione, il giorno dopo sarei stato messo fuori dalla Banca ..."). Non è certo in questo passaggio delle parole del chiamante in correità, quindi, che può trovare sostegno la tesi di un presidente confinato in un ruolo puramente formale ed all'oscuro dell'andamento della gestione dell'istituto di credito vicentino. Infine, con riferimento alle osservazioni critiche fondate sull'asserita incoerenza della condotta del So. e del GI. (là dove costoro non avrebbero invitato il presidente ad una assunzione di responsabilità) è sufficiente evidenziare, per un verso, che non è certo dalla voce dì testimoni (è il caso del teste An.) che non conoscevano le reali dinamiche della gestione del capitale finanziato in atto, a vari livelli, presso l'istituto, che possono ricavarsi elementi decisivi per comprendere la natura dei rapporti, sul punto, tra il presidente, il d.g. So. ed il vicedirettore GI. (essendosi già detto, peraltro, che i primi due erano soliti incontrarsi riservatamente per discutere delle questioni inerenti all'istituto di credito), mentre assai più convincenti, in proposito, sono le informazioni che si ricavano dalle già evocate intercettazioni delle conversazioni intrattenute dal medesimo d.g.; e, per altro verso, che è dalla puntuale descrizione degli accadimenti restituita dall'esame del GI. - il quale ha efficacemente rievocato la surreale situazione creatasi allorquando, il 4.5.2015, si era incontrato con lo ZO., in termini che è opportuno, di seguito, riportare integralmente - che si trae la prova dell'effettivo assetto dei rapporti, al vertice dell'istituto, in relazione al delicato tema della gestione dell'operatività illecita: Omissis In un contesto basato sulla continua dissimulazione, sull'occultamento dell'operatività illecita, su interlocuzioni, al vertice, "separate" (si è già detto - peraltro anche sulla base delle dichiarazioni del teste An. - che il d.g. So. faceva da "cerniera" tra il presidente ed il resto del management) e, finanche, sulla plateale menzogna, voler arguire l'estraneità dello ZO. rispetto al fenomeno in esame dalla apparente incoerenza della condotta di protagonisti che tentavano, disperatamente, di ridimensionare le proprie responsabilità, anche a scapito dei colleghi; pretendere che il GI. - il quale, messo alle strette, si era visto obbligato a richiedere un colloquio con lo ZO. nella speranza di salvare il proprio posto in B. - aggredisse frontalmente il presidente dell'istituto inchiodandolo alle sue responsabilità (e decretando, in tal guisa, il proprio definitivo allontanamento dalla banca), pena l'incoerenza di quanto dal medesimo GI. poi dichiarato in sede processuale, pare, a questa Corte, davvero insostenibile. A fortiori, tali considerazioni si impongono con riferimento all'incontro del quale ha riferito il teste An. nel passaggio della sua deposizione evocato dalla difesa (cfr. pagg. 54-55 delle "note scritte di discussione"), incontro nel corso del quale, peraltro, secondo detto teste, il chiamante in correità aveva sostenuto, alla presenza anche dello stesso ZO., come il So., nel tempo, avesse ripetutamente affermato che il presidente era a conoscenza del fenomeno in esame (e tutto ciò, stando al racconto dello stesso An. - il quale, in effetti nulla ha riferito sul punto - senza che il predetto ZO. obiettasse alcunché, circostanza, questa, che pare anch'essa tutt'altro che irrilevante). In definitiva, ipotizzare, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato sia rimasto vittima di una sorta di tradimento da parte del So. e dei più stretti collaboratori di quest'ultimo (tradimento, peraltro, pressoché con certezza destinato a venire alla luce, stante la inevitabile, diffusa conoscenza del capitale finanziato all'interno della rete dell'istituto e considerata la protrazione nel tempo, per anni, di tale illecita operatività) costituisce una interpretazione della vicenda radicalmente smentita, sul piano della razionalità e nei termini di minima ragionevolezza, dalla sensata lettura delle complessive emergenze istruttorie, non già da una mera, meccanicistica applicazione di astratti criteri logici. In effetti, ove si considerino: - la natura risalente, pervasiva e sistematica del fenomeno del ricorso all'erogazione di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie B. (o ad altri rimedi, come le "lettere di impegno al riacquisto"), fenomeno divenuto, nella prospettiva dell'alta dirigenza dell'istituto di credito, man mano che le difficoltà del mercato secondario delle azioni della banca da sporadiche divenivano "strutturali", l'unico rimedio concretamente praticabile, se non per superare tale stato di grave criticità, assicurando la liquidità del titolo e scongiurando il default della banca, quantomeno per differirne la manifestazione e, così, procrastinarne gli effetti deflagranti (in un contesto, peraltro, nel quale non si intendeva invertire la rotta rispetto alla politica di espansione territoriale dell'istituto, anche perché ciò avrebbe rivelato la sopravvenuta condizione di difficoltà della banca); - le inevitabili implicazioni in tema di omesse decurtazioni e di comunicazioni decettive all'organo di vigilanza di tale metodico ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie (s'è visto, infatti, che le condizioni patrimoniali dell'istituto rendevano indispensabile, per "reperire capitale" onde assicurare il rispetto dei parametri di riferimento, omettere le dovute decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi erogati a titolo di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni B.); - il ruolo dall'imputato rivestito in concreto - e, quindi, anche ben ai di là della carica formale di mera garanzia in ordine al corretto funzionamento del CdA siccome delineato dalla disciplina di riferimento dettata dalle circolari di Banca d'Italia - nella gestione della banca, caratterizzato da ripetuti sconfinamenti nell'operatività dell'istituto di credito; - lo strettissimo legame operativo sussistente tra l'imputato ed il d.g. So.. con il quale il primo si incontrava costantemente per essere aggiornato sulle tematiche di rilievo e per preparare le sedute del CdA (davvero emblematico di tale legame, del resto, è quanto dallo stesso So. riferito, in tempi non sospetti, al socio Lo.Tr., allorché questi lo aveva interpellato circa la conoscenza da parte dello ZO. della natura "baciata" delle operazioni sottoscritte dal medesimo Lo.: PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. -..TE in un'altra occasione lei disse allora: "Rammento bene che lo stesso So. mi disse: Io non posso neanche andate a fare la pipì senza che Zo. lo sappia' a confermare - dice lei - il controllo che Zo. aveva all'Interna della banca". TESTIMONE LO.TR. - E' vero anche questo. E se non sbaglio, anche la seconda me l'ha detta durante anche una telefonata. Se non sbaglio." 163. Del resto, le conversazioni effettuate dal So. ed intercettate dagli investigatori che saranno specificamene richiamate nel paragrafo seguente, ove sottoposte ad una ragionevole lettura, sono assolutamente coerenti con tali conclusioni (ad onta della contraria interpretazione offertane dalla difesa nella memoria conclusiva, là dove, peraltro, ne sono state richiamate solo talune - cfr. memoria conclusiva, pagg. 35 e ss.); - e, più in generale, il vero e proprio timore reverenziale che la figura dell'imputato ispirava nell'intera dirigenza dell'istituto di credito, l'ipotesi - pure, tenacemente, sostenuta dalla difesa - dell'estraneità del più alto esponente di B. rispetto ad un fenomeno di tale portata già si prospetta, alla stregua di una prima valutazione d'insieme, radicalmente infondata e scopertamente difensiva. Per contro - e specularmente - le effettive modalità di gestione della presidenza da parte del giudicabile finiscono necessariamente per rappresentare, nella peculiare concretezza del caso di specie, sotto il profilo razionale, un dato probatorio a carico di indubbia significazione, A ben vedere - e concludendo sul punto - attribuire rilievo alla posizione concretamente rivestita dallo ZO. nella compagine societaria onde comprendere il ruolo svolto da costui nell'operatività delittuosa sub iudice, ben lungi dall'essere, come vorrebbe l'appellante, il frutto avvelenato di un grave errore di metodo (quello conseguente ad una cieca, aprioristica e, in quanto tale, inaccettabile applicazione di presunte massime di esperienza, secondo le quali il presidente di una banca "non potrebbe non conoscere" le prassi operative in atto presso la "propria" struttura aziendale o, comunque, alla semplicistica applicazione di comode scorciatoie deduttive), discende, nei dovuti termini di minima ragionevolezza, dalla congiunta valutazione di solide evidenze probatorie. Il fortissimo protagonismo dell'imputato nell'esercizio delle funzioni presidenziali, infatti, è un dato pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria e, quindi, per nulla ancorato, come ancora vorrebbe la difesa, ad elementi incerti, equivoci o. addirittura, a "voci correnti nel pubblico". Il tribunale, quindi, non è affatto incorso in un corto circuito logico-giuridico; non ha fondato l'efficacia di prova (beninteso indiretta) di tale elemento su una inammissibile (in quanto intrinsecamente fallace) catena di indizi. In un quadro probatorio pure caratterizzato da palpabili resistenze di molti testimoni a fare emergere chiaramente i reali contorni della posizione presidenziale (davvero emblematica di siffatta resistenza è la inverosimile spiegazione offerta a questa Corte dalla teste Pi. - "stavo scherzando" delle affermazioni dalla stessa effettuate nel colloquio intercettato ove, al riparo da orecchie indiscrete, aveva icasticamente definito il presidente ZO. come "monarca assoluto") sono nondimeno emerse chiare ed inequivoche evidenze del fatto che l'imputato era tutt'altro che un presidente decorativo, bensì fortemente incidente nell'operatività dell'istituto di credito. Pertanto, non può certo fondatamente negarsi il rilievo di tale elemento indiziario. Sennonché, come si dirà di seguito, l'istruttoria dibattimentale ha offerto ulteriori e più consistenti riscontri della fondatezza dell'impostazione d'accusa. 14.1.4.2.2. La conoscenza da parte dello ZO. delle operazioni di capitale finanziato e le relative censure difensive (Secondo motivo di appello: paragrafi 3.2, 3.5 e 3.6). In effetti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare la conoscenza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato non unicamente, in via indiretta, in forza di pur stringenti considerazioni di natura logica inerenti alle modalità di concreto esercizio del ruolo presidenziale, ma anche per effetto di ben più tangibili elementi (elementi che, peraltro, finiscono a loro volta per avvalorare ulteriormente le conclusioni "razionali" testé esposte). Non solo, infatti, l'imputato, come si avrà modo di ribadire, era pienamente cosciente dello stato di crisi del mercato secondario del titolo di B., ovverosia - va sottolineato ancora una volta - di quella che è risultata la più significativa causa del ricorso al finanziamento degli acquisti del titolo azionario della banca (tanto che la consapevolezza delle ragioni di una così grave difficoltà finisce quasi per implicare, sul piano logico, anche la conoscenza dell'unico rimedio escogitato, ed a lungo attuato, per fronteggiarla); ma vi sono ulteriori, specifiche prove - dirette ed indirette i che il giudicabile fosse pienamente avvertito proprio della prassi delle "operazioni baciate". Al riguardo, occorre necessariamente ribadire, onde consentire un corretto apprezzamento di tali emergenze processuali, coerente con il contesto nel quale si collocano i fatti oggetto di prova, che l'operatività dell'istituto di credito relativamente alle operazioni correlate era caratterizzata, verso l'esterno, da estrema riservatezza, a riprova della assoluta consapevolezza, in capo ai vertici aziendali, della complessiva illiceità della prassi instaurata e, soprattutto, delle sue ricadute di natura penale. Di qui non solo la decisione di omettere ogni riferimento scritto alla correlazione tra finanziamenti ed azioni (con conseguente ricorso, nelle PEF, alla generica formula di cui s'è detto), ma anche l'adozione di un linguaggio cauto e sorvegliato in occasione delle sedute degli organi collegiali. Se, infatti, all'interno delle strutture operative della banca (e, in particolare, nell'ambito della rete commerciale dell'istituto di credito, chiamata a collocare le azioni "ad ogni costo", in attuazione delle direttive impartite, per il tramite del GI., dal d.g. So.), vi era una conoscenza del fenomeno delle "baciate", al contempo, diffusa ed imprecisa (ai funzionari facendo difetto quella "visione d'insieme" indispensabile per comprendere la vastità del fenomeno ed intuirne tutte le implicazioni), i vertici operativi erano assai attenti ad evitare che, extra moenia, potessero filtrare informazioni sul punto. Le dichiarazioni rese in proposito dall'imputato GI. sono assai chiare e combaciano con quanto già evidenziato, al riguardo, dal primo giudice. In questa sede, va solo aggiunto che lo stesso imputato PE., nel corso del proprio rinnovato esame, ha avuto modo di precisare come la consapevolezza, in capo al vertice operativo dell'istituto, della illiceità della prassi delle "baciate" e, comunque, della necessaria deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza fosse fuori discussione. Questo spiega, ad avviso della Corte, l'adozione di procedure informatiche che, di fatto, impedivano radicalmente che operazioni di finanziamento per l'acquisto dì azioni proprie potessero essere "registrate" come tali dal sistema informatico in uso presso B. (non esistendo un "codice prodotto" che ne consentisse la individuazione, diversamente da quanto previsto per il "mini aucap" in relazione al quale tale codice era stato appositamente introdotto). In un contesto connotato da tanto palpabile cautela, quindi, non deve affatto sorprendere la quasi totale assenza dì documentazione scritta, ovvero di (registrazioni dì interventi in sede di organi collegiali, caratterizzati da riferimenti trasparenti alle "operazioni baciate". Quasi totale assenza, si è detto, giacché in effetti si rinviene qualche significativa eccezione in atti, non a caso rigorosamente circoscritta ai consessi più ristretti e riservati all'alta dirigenza di B.. Si veda, sul punto, il già sopra ricordato passaggio della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11,2014 (pagg. 67-68 della relativa trascrizione sub doc, 110 del P.M.) ove VM8 - Gi.Em., vertice della Divisione Mercati - così replica al d.g. So., alla presenza altresì, fra gli altri, di Pi.An. (vertice della Divisione Finanza), di Ma.Pa. (vertice della Divisione Crediti) e di FA. An. (stretto collaboratore dell'assente Pe.Ma. in seno alla da lui capeggiata Direzione Pianificazione e Bilancio, ove il FA. gestiva la Pianificazione Strategica): "VM8: Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Sì noti, significativamente, che, all'inizio di detto Comitato di Direzione, il d.g. So. si era premurato, ad ogni buon conto, di ammonire gli ivi presenti vertici dirigenziali ben selezionati (con particolare riguardo al suo diretto interlocutore Um.Se., direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., che prendeva parte al Comitato in collegamento a distanza dall'isola) circa la necessità assoluta di non lasciar trapelare alcunché all'esterno di quel ristretto consesso: - Sa.: Sì. Io non ho fatto premesse di sorta, ma è chiaro che quello che ci diciamo qui, ovviamente, eh, neanche il tuo cane lo deve sapere, eh. - Um.: Va bene." (cfr. pagg. 30-31 trascrizione cit.). Trattasi - come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nell'ordinanza 18 maggio 2022 - di sollecitazione specificamente finalizzata a garantire che il contenuto dei colloqui che, di lì a poco, avrebbero avuto luogo, sarebbe rimasto patrimonio esclusivo dei partecipanti all'incontro (e, più in generale, per effetto della relativa documentazione, della dirigenza dell'istituto di credito), tant'è vero che più avanti nella registrazione (cfr. sempre pag., 31 trascrizione cit.) il d.g. So. esplicitava ancor meglio il concetto: "Sa.: Eh. Già stanno facendo la caccia a chi fa uscire informazioni, perché dicono che sia uno di noi che dà le informazioni ai giornalisti e che dà le informazioni al... Eh, quindi... eh ... cerchiamo di non ... di non ... eh ... dare alibi, dare alibi ai consiglieri che dicono che è uno della direzione che dà ... che dà informazioni, perché solo uno della direzione può sapere di questo, di quest'altro e di quell'altro, eh. Mi raccomando! - Um.: D'accordo. - Sa.: Bene". Ebbene, effettuata tale precisazione "di contesto", osserva questa Corte come, con riferimento al tema della conoscenza, in capo allo ZO., della prassi delle "operazioni correlate", fatto salvo il doveroso richiamo alle puntuali osservazioni già svolte, in proposito, dal primo giudice, meriti di essere in primo luogo richiamato il contenuto della deposizione resa dall'ispettore Ga., In effetti, detto teste, nel rievocare i plurimi colloqui intercorsi con il presidente, sebbene abbia affermato come questi si fosse poi ripetutamente dichiarato all'oscuro del fenomeno del capitale correlato, ha precisato come, in occasione del primo contatto, avvenuto in data 7 maggio 2015, l'imputato avesse sostanzialmente ammesso di essere al corrente di (sia pure sporadici) casi di finanziamento di acquisti di azioni (cfr. dep. Ga., udienza udienza 26.9.2019, pag. 65 del verbale stenotipico: ".. Perché qui c'è un tema, cioè quando ho avuto modo di discutere con il Presidente Zo., e ho rappresentato gli elementi che stavano emergendo, la mia impressione fortissima - poi impressione confermata anche dalle verbalizzazioni del Consiglio di Amministrazione, però impressione forte che ho avuto sia nell'occasione del 7 maggio sia negli incontri che ho avuto successivamente - è che il Presidente fosse molto colpito dal fenomeno dei fondi; cioè, mentre di fronte al fenomeno dei finanziamenti ha cercato sostanzialmente di minimizzare, dicendo: io pensavo che qualche ipotesi del genere ci potesse essere, però, insomma, non di questo,., probabilmente c'era, però non era un fatto che mi preoccupava, ritenevo non fosse un fenomeno rilevante, non ho mai avuto elementi per ritenere che fosse rilevante. Glissava, diciamo..."). Trattasi, com'è evidente, di deposizione di assoluto rilievo tanto per la fonte da cui promana (trattandosi di soggetto di indiscutibile attendibilità, in considerazione del ruolo ricoperto e, quindi, dell'estraneità rispetto alle dinamiche interne all'istituto vicentino), quanto per l'eclatante portata del suo contenuto, sostanzialmente equiparabile ad una sorta di confessione stragiudiziale. Del resto, del tutto coerenti con le dichiarazioni del teste Ga. sono i ricordi del di lui collega Ma., il quale, presente al citato colloquio, ha rievocato l'incontro in questione riferendo che l'imputato, alla rappresentazione del dirompente problema dei finanziamenti correlati, aveva replicato, senza scomporsi eccessivamente, che anche altre banche operavano in tal senso Presidente non colse un po' il livello di serietà di questo fenomeno e mi ricordo che disse, una cosa che mi ricordo che disse: ma tanto lo fanno anche altre... so che lo fanno anche altre banche. E la cosa finì lì, la discussione finì lì su questi finanziamenti, diciamo, correlati ..."). Non può sorprendere, quindi, che l'imputato, il quale, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che Ga. gli aveva segnalato, nel corso del colloquio, l'emersione di un importo di operazioni finanziate "importante", in sede processuale abbia poi negato la circostanza, esplicitamente limitando l'oggetto dell'interlocuzione con l'ispettore al tema dei fondi esteri e delle lettere di impegno. Del tutto convergenti con le suddette dichiarazioni, poi, sono le prove costituite dagli esiti di intercettazione delle comunicazioni telefoniche intrattenute dal d.g. So., conversazioni dal tenore davvero inequivoco e dalla sicura capacità probatoria, solo a considerare che il direttore generale, allorché era sottoposto a captazione, era solito impiegare anche una utenza intestata a terzi, donde l'impossibilità di ipotizzare, con un minimo di fondamento, che costui, sospettando di essere intercettato, callidamente intendesse coinvolgere il presidente per "alleggerire" la propria posizione. Assolutamente significativo, innanzitutto, è il colloquio intrattenuto il 31.8.2015, di cui al progressivo n. 459 (cfr. pagg. 24 e ss, dell'elaborato di trascrizione) che, di seguito, si riporta nei passaggi più significativi: (omissis). Sul punto, va doverosamente precisato che la Pi., nel corso dell'escussione innanzi a questa Corte, chiamata a fornire delucidazioni con riferimento a tale colloquio, ha giustificato l'espressione con la quale aveva escluso che il presidente potesse essere all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato ("No, ma scusa un attimo ... no, ma scusa un attimo: come faceva a non sapere, uno che ha governato come un monarca assoluto ...") sostenendo che si era trattato di una semplice "battuta" e soggiungendo che, al contrario, a suo giudizio, ZO. era una "vittima". Sennonché, la spiegazione delle proprie parole offerta dalla teste è tutt'altro che convincente, ove sì presti la dovuta attenzione al complessivo tenore del colloquio. Si trattava, infatti, di una allarmante vicenda, ancora tutta in divenire e che, peraltro, aveva immediate implicazioni anche per la posizione dei singoli consiglieri. Davvero significativo è il passaggio del colloquio in cui la medesima Pi. affermava: No, sai qual'è il guaio? E'che o si sa... se si salva fui ci salviamo tutti... sennò sprofondiamo tutti, Non vorrei però che si salvasse lui e sprofondassimo tutti.."), essendosi in presenza di affermazione che, a ben vedere, fornisce una corretta chiave di lettura delle dichiarazioni rese dalla teste e, più in generale - ed è bene ribadirlo ancora una volta - dell'atteggiamento tenuto da molti membri del CdA e del Collegio Sindacale nel corso delle rispettive escussioni (ivi comprese quelle rese in sede di rinnovazione istruttoria), sistematicamente improntato alla negazione della conoscenza, in capo ai predetti, non solo del fenomeno del capitale finanziato ma anche di elementi che potessero costituire segnali di allarme in tal senso. Inoltre, merita di essere evocata, in quanto anch'essa contenente chiari riferimenti allo stretto rapporto intercorrente tra il d.g. So. ed il presidente ZO. nella conduzione dell'istituto di credito, anche con riferimento al fenomeno del capitale finanziato, la conversazione n. 153 del 25.8.2015 (riportata a pag. 227 e ss. della perizia di trascrizione) tra Zi.Gi. il suo commercialista, Lu.Bo., nel corso della quale i due commentavano sarcasticamente l'atteggiamento "negazionista" assunto da Zo. in relazione alle irregolarità accertate in sede ispettiva ed alludevano esplicitamente al potere di "ricatto" del So. nei confronti del presidente: (omissis) Ebbene, a tali elementi di prova, assai significativi e chiaramente convergenti con le pregnanti dichiarazioni rese dal teste Ga. ed in precedenza richiamate, sono venute a saldarsi le coerenti propalazioni del coimputato GI.. In effetti, in sede di esame, costui ha ribadito quanto "anticipato" nel memoriale circa la piena consapevolezza del fenomeno in esame da parte del presidente, ripercorrendo diffusamente tali "anticipazioni" e convincentemente replicando alle obiezioni mossegli, al riguardo, in sede di controesame. Per un inquadramento generale del contributo dichiarativo offerto dal predetto con riferimento alla posizione ZO. è opportuno richiamare l'incipit dell'esame del propalante: "....PRESIDENTE - Va bene; con questo avrei chiuso le domande della Corte sulla posizione Zi.. Adesso volevo passare a esaminare la posizione Zo., cioè, a parte quello che lei ha già detto in primo grado, se e in base a quali elementi lei sostiene che il dottor Zo. sapesse o partecipasse a determinate scelte, quantomeno, che hanno avuto ricadute su questa vicenda penale sostanzialmente, IMPUTATO GI. - Presidente, interlocuzione diretta, quindi premetto: So. diceva a me e ai capi area e direttori regionali, a Ma., ai Vice Direttori Generali, che Zo. era a conoscenza di questo tipo di operatività e chi avrebbe dovuto sapere sapeva. Quindi questa è la premessa. Interlocuzione diretta con Zo. sulle operazioni baciate l'ho avuta, è stata sporadica: l'ho avuta sulla questione Co., che era un imprenditore siciliano, che si è presentato a Vicenza per ottenere un affidamento, dicendo "Io con questo affidamento, non so se 4 o 5 milioni, compro 2 milioni di azioni", 2 milioni di Euro di ammontare di azioni il Presidente, prima di entrare, mi disse che fa persona era poco affidabile perché parlava, quindi io dissi a questo Co.: "Non ce ne abbiamo più di azioni"; poi il Presidente in Consiglio di Amministrazione, prima che iniziasse il Consiglio di Amministrazione, questa cosa è stata registrata; mi chiese lumi e io gli dissi appunto cosa avevo riferito a Co., e che quindi lui era d'accordo nel non procedere con questa operazione. Quindi questo è l'episodio chiaro con Zo.. Quando io, nel periodo finale della mia esperienza in Banca, quindi stiamo parlando del maggio 2015, che successe il 4 maggio del 2015, il 30 aprile del 2015 eravamo a Vicenza io e Pi., fummo chiamati la sera da So. che ci disse: "Il Presidente vi vuole far fuori". E noi chiedemmo il perché: "Perché ci vuole far fuori il Presidente?", "Eh, sì, perché in pratica da Bc. due cose sono venute fuori": le lettere d'impegno, le baciate, e poi c'era anche il discorso per quanto riguarda Pi. dei fondi. Quindi il Presidente mi ha chiesto: "Ma lei ne so qualcosa?" e noi gli abbiamo detto: "Ma tu cosa bai risposto?", "Eh, no, che avrei approfondito, che non ero sicuro". Quindi ci ritrovammo io e Pi. di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che Zo., che avrebbe dovuto sapere, parlava con So., che sapeva di questo tipo di operatività, e si negavano - secondo quello che ci dicevo So. - a vicenda la conoscenza dell'operatività. Quindi io chiamai Zo. di fronte a Pi.. lo non chiamavo Zo., semmai mi chiamava luì col cellulare per gli auguri oppure per farmi incontrare dei clienti. Chiamai Zo. e chiesi un appuntamento. Ottenni questo appuntamento per il 4 maggio e, prima dì incontrare Zo., passai da Gr., perché ero andato a Roma per il Primo Maggio dai miei, e passai da Firenze la domenica, e poi lunedì incontrai Zo.. E ricordo chiaramente, perché anche fisicamente Zo. mi lo mostrò dicendo, io, scusi, mi portai le carte che dimostravano che era un'operazione diffusa, quindi mi portai gli storni; mi portai Da., mi portai le lettere Fa., quindi andai lì dicendo: "Ma cosa state dicendo voi due?" e Zo. mi disse: "Guardi, dottor Gi., io non sapevo delle operazioni baciate (intendendo probabilmente quelle 100 e 100) ma sapevo delle operazioni parziali" E mi fece proprio il cenno così, cioè di arrotondamento per fare acquistare azioni, quindi: ti concedo, non so, 10.000 Euro, tu hai bisogno 10.000 Euro, te ne do 1Z.000,13.000,14.000 e con quei 3-4.000 Euro compri azioni Davanti a Br. perché ovviamente ci voleva il testimone. Io sono andato lì, come dire, cercando di capire perché stava succedendo questa cosa e perché dovessi essere fatto fuori dalla Banco. Zo. si presentò con testimone Br., e mi affermò in modo chiaro e inappuntabile che lui era a conoscenza delle operazioni, come dire, parziali, non quelle 100 e 100. Ma poi, andando in corso nelle udienze di primo grado, sempre sentendo questi audio in CdA, ma So. ne parlava di queste operazioni parziali al CdA. Abbiamo fatto sentire due audio in cui proprio So. diceva, sempre usando io stesso termine: "azioni appiccate ai mutui", quindi ai finanziamenti. Quindi anche nel corso del primo grado io ho avuto la conferma che So. aliene parlasse a Zo. di questo tipo di operatività. Poi, se li regista dell'operatività fosse So. e un'operatività avallata da Zo. o il contrario, questo non glielo so dire perché comunque erano discorsi che facevano tra loro. Sicuramente Zo. ne era a conoscenza. PRESIDENTE - Vuole aggiungere altro su questo? IMPUTATO GI. - Su Zo.? PRESIDENTE - Sulla posizione Zo., sì, in questo momento. IMPUTATO GI. - L'ultima cosa. Anche in tema dì lettere, sentendo questi audio, 0 un certo punto il Presidente, perché anche queste lettere d'impegno che sicuramente non hanno avuto una diffusione così ampia come le correlate e le baciate, quindi ho ascoltato un CdA in cui c'era un cliente della Po.Al. che voleva in qualche modo vendere te proprie azioni; la Po.Al., e quindi la Banca, gli prometteva e gli garantiva verbalmente l'impegno a venderle, e Zo. dice a tutto il CdA: "Fattelo mettere per iscritto". Quindi ha consigliato a questo cliente esattamente la stessa prassi che utilizzavamo noi per quanto riguarda le lettere d'impegno, E questo in qualche modo mi ha fatto intuire che anche sulle lettere Zo. fosse a conoscenza di questa prassi. PRESIDENTE - Poi lei ha parlato sempre nel suo memoriale della conoscenza, secondo lei, di Zo. anche di tutte le problematiche del mercato secondario, giusto? IMPUTATO GI. - Sì, si PRESIDENTE - E anche della rilevanza di questo fenomeno, di questo problema. IMPUTATO GI. - Zo. diceva proprio che era un problema drammatico per la Banca e che, se non fossimo riusciti, se la Banca non fosse riuscita a gestirlo, la Banca avrebbe chiuso - Questo in CdA, quindi anche questo è stato ascoltato in primo grado...". Significative, poi, sono anche le risposte che il propalante ha fornito alle domande rivoltegli dal suo legale: (...) DIFESA, AVV. Mi. - Il Presidente Zo. interveniva rispetto ai soci e rispetto a questa problematica, che mi pare di capire sempre più esasperata, del ritardo nell'evasione delle domande di cessione? IMPUTATO GI. - Il Presidente Zo. è intervenuto puntualmente chiedendo varie cose: primo, "convincete i soci a non vendere". Mi ricordo che se la prese anche con i consiglieri di amministrazione che andavano da lui a dire: "Ci stanno questi soci che vogliono vendere, dobbiamo evadere la richiesta". E in un incontro in Palazzo Thiene, prima in Consiglio di Amministrazione fece una premessa, poi a Palazzo Thiene riprese questi consiglieri proprio per dire: "Voi dovreste difendere la Banca, convincete i soci a non vendere, non venite qua a chiedermi di evadere le loro richieste di vendita". Questo lo chiedeva in primis ai consiglieri, soprattutto di Vicenza Nord, e lo chiedeva poi alle aree, perché lui incontrava le aree e le direzioni regionali, e gli chiedeva: "Guardate che la Banca è buono, siamo su un buon territorio, il valore dell'azione è congruo, dovete convincerli a non richiedere una cessione. Se poi, diceva, questi clienti hanno bisogno di liquidità, finanziateli". Quindi, come dire: un fenomeno di baciate ex post, per cui una persona voleva vendere 100:000 Euro di azioni perché aveva un problema, ad esempio, di salute, e allora il Presidente chiedeva di finanziarlo, quindi diceva: "invece di fargli vendere le azioni, finanziate questi 100.000 Euro. DIFESA, AVV. Mi. - Lei c'era, e quindi ha vissuto, lei si ritrova con quanto dichiarato dall'imputato Zo. circa una sua presenza non operativo, a tratti sporadica, in Banca, di rappresentanza? Si ritrova con questo ruolo di Zo.? IMPUTATO GI. - E' particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio, Il Presidente era presente. era presente nei gangli organizzativi So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse - I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo.. Quindi, voglio dire, io dico guelfo che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo ...". Tanto premesso, e passando ad analizzare più nel dettaglio le propalazioni complessivamente rese del GI. (nel memoriale a sua firma e nel corso dell'esame), va precisato come questi abbia dichiarato che il presidente non solo era perfettamente a conoscenza della prassi dello "svuotafondo" ma che la sosteneva apertamente, trattandosi di rimedio funzionale a "fare mercato, ovvero a consentire al socio la possibilità di vendere le azioni in quanto, in difetto, nessuno avrebbe più avuto fiducia nella Banca, bloccando la crescita degli impieghi e le operazioni straordinarie di acquisizione di Banche/Sportelli" (cfr. memoriale citato, pag. 31) ed ha precisato che, a decorrere dal 2012, tale prassi era divenuta indispensabile, poiché il titolo B. aveva cessato di aumentare di valore, era stata interrotta la erogazione del dividendo e, infine, le vendite finalizzate a monetizzare il controvalore delle azioni della banca erano divenute frequenti (posto che, in una fase di crisi economico-finanziaria generale, l'azione dell'istituto era uno dei pochi strumenti finanziari ad avere conservato valore). E, a conferma della consapevolezza del coimputato ZO. in merito alla correlazione tra azioni della banca e finanziamenti, sotto varie forme, il GI. ha prodotto (in allegato al memoriale, con numerazione da 4.2.1 a 4.2.8) ulteriori documenti costituiti, segnatamente: - da comunicazioni dalle quali si ricavava la conoscenza da parte dello ZO. della vicenda Da. e della risposta - concordata tra il collegio sindacale e la funzione di Compliance - fornita a costui (allegato 4.2.1); - da comunicazioni attestati la conoscenza in capo allo stesso ZO. della richiesta di vendita di azioni da parte di un socio-socio - tale La.Re. - poi prontamente "tacitato" a seguito della missiva da costui inviata all'attenzione del presidente (ali. 4,2,2); v dalla comunicazione epistolare indirizzata al presidente da un altro socio - tale Bo.Sa. - nella quale questi lamentava la mancata evasione della richiesta di vendita delle azioni, esplicitamente denunziando l'illiquidità del titolo ("...adesso mi trovo con 30.000 Euro di vostri titoli che, nonostante le rassicurazioni a parole, sono di fatto un capitale non liquido.." - allegato 4.2.3); - da comunicazioni mail attestanti il coinvolgimento della presidenza (la mail di riferimento risulta inoltrata alla segretaria di ZO., Li. Camilla) nelle operazioni di vendita di azioni ad un gruppo imprenditoriale (Fr.) che, nonostante fosse in grave difficoltà, la banca continuava a finanziare (allegato 4.2.4); - dalla "denunzia" del presidente dell'Ad., La., pubblicata sul social network Twitter, in data 30.10.2014 (evidentemente derivante dalle dichiarazioni dei soci pubblicate sui quotidiani in ordine ai finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni, posto che l'articolo a firma Ga. pubblicato da "Il.", come s'è detto, risaliva al precedente 27,10,2014): "Po.Vi., Immarcescibile Zo., si guadagnerà una denunzia per il reato di estorsione?", denunzia inoltrata dalla segreteria al Presidente e, successivamente, su disposizione dello stesso ZO., trasmessa dalla segreteria all'avv. Am. (allegato 4.2.5); - da ulteriori sollecitazioni alla vendita di azioni provenienti da soci (Pr. - allegato 4.2.6; Ce. - Mo. - allegato 4.2.7), in un caso con comunicazione di vera e propria azione legale e con la precisazione che la banca aveva concesso finanziamenti a fronte della mancata vendita delle azioni (doc. 4.2.7.); - dalla traccia del discorso rivolto al personale in occasione delle festività natalizie 2014 nel quale era palese il riferimento alla difficoltà nella evasione delle richieste di vendita delle azioni provenienti dai soci e si precisava: "se poi qualche socio avesse necessità urgenti la Banca gli è sicuramente vicina" ... allegato 4.2.8). Del resto, a fugare qualsivoglia perplessità sul punto e a confermare quanto sostenuto dal chiamante in correità in ordine alla piena conoscenza della prassi dello "svuotafondo" in capo al presidente è decisivo il richiamo alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in occasione dell'interrogatorio investigativo 22.3.2017 (prodotto dal P.M. all'udienza dell'11.6.2020 e acquisito ex art. 513 c.p.p.), là dove ZO. pur dichiarando di non essere in grado di "descrivere esattamente l'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE nel corso dei vari anni" (cfr, verbale interrogatorio 22,3.2017, pag. 4) ha chiaramente ammesso di essere a conoscenza delle relative problematiche, per essere stato informato proprio da So. ("...é capitato che So. mi abbia dato informato dell'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE in occasione dei colloqui che, nel corso del tempo, ho avuto periodicamente con il medesimo... Preciso che non mi occupavo dell'andamento e della gestione dei FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE"), soggiungendo di essere perfettamente consapevole dei risvolti dell'andamento del fondo con riferimento proprio al tema del patrimonio di vigilanza ("... tuttavia, ero interessato all'entità dell'utilizzo del FONDO in quanto, come detto, comportava effetti negativi sul patrimonio e sul bilancio della banca..."). Inoltre, il GI., come s'è visto, ha esplicitamente affermato la piena consapevolezza, da parte del presidente, del fenomeno del capitale finanzialo. In effetti - ha precisato il propalante - ZO. era cosciente non solo, come detto, dell'andamento ciclico del mercato secondario e dei ritardi/problemi relativi all'evasione delle richieste di vendita delle azioni (e, sul punto, il dichiarante ha richiamato e prodotto lettere di reclamo dei soci, con la precisazione che in una di tali missive - segnatamente, quella del socio Gr.Ma. - oltre ad evidenziarsi le forti contraddizioni tra il successo dell'aumento di capitale e le difficoltà del mercato secondario, si poneva l'accento anche sulla sopravvalutazione del prezzo dell'azione, richiamandosi, sul punto, il severo giudizio consegnato alla stampa dal noto economista Zi.), ma anche - e specificamente - dell'erogazione di "finanziamenti correlati" avendo egli raccolto, in proposito, dichiarazioni ammissive dal coimputato nelle seguenti occasioni, nelle quali aveva direttamente affrontato con ZO. tale argomento. Trattasi, segnatamente: - dell'interlocuzione relativa alla richiesta dell'imprenditore siciliano Co. (interlocuzione specificamente affrontata nella sentenza di primo grado e ricostruita dal GI. in termini coerenti con la lettura dell'episodio offerta dal primo giudice e della quale si tratterà anche più oltre); - dell'incontro avvenuto il 4.5.2015, alla presenza del vicepresidente Br. - il quale, dal canto suo, nel corso della propria escussione all'udienza del 24,6.2022, come si accennava, ha negato di conservare memoria di tale importante incontro, a di poco sorprendentemente, ove si consideri il grave frangente in cui esso aveva avuto luogo. Ebbene, in occasione di tale interlocuzione - ha precisato il GI. - il presidente aveva ammesso di essere a conoscenza del fenomeno del finanziamento dell'acquisto di azioni, sia pure limitando detta conoscenza alle sole "baciate parziali"; - del colloquio intrattenuto durante un intervallo dell'udienza 5.6.2019 del processo di primo grado, allorquando lo ZO., mentre si trovavano nell'automobile condotta dal coimputato ZI., aveva ribadito di essere stato a conoscenza delle sole "baciate parziali". Infine, anche con riferimento alla prassi consistita nel rilascio delle lettere di impegno, il GI. ha affermato di avere acquisto contezza della piena consapevolezza, in capo al coimputato, della prassi di ricorrere a tale t "strumento" per convincere i potenziali acquirenti delle azioni dell'istituto a rilevare titoli della banca, là dove ha evocato l'audio della seduta di CdA del 5.11.2013 nel corso della quale lo ZO. aveva riferito di aver consigliato ad un suo amico, nonché socio della Po.Al., di farsi rilasciare una lettera di tale natura. A ben vedere, il mero ascolto di tale audio (e, così, la lettura della relativa trascrizione) non offre conforto, in termini di certezza, rispetto alle dichiarazioni del GI., in quanto il passaggio evocato, anche per la sua brevità, è suscettibile di non univoca lettura, poiché non implica necessariamente un implicito riferimento alla prassi, invalsa presso B., del ricorso alle vere e proprie lettere di impegno (cfr. pag. 8 della relativa trascrizione: "....Quando comincia il passaparola della crisi hai finito, hai finito". La banca popolare dell'Alto Adige - conosciamo un azionista, giusto? Un socio non compra le azioni. Adesso fanno la fusione perché pensano che con due debolezze non fanno e allora gli ha detto ma per marzo gliele compriamo e allora è venuto da me questo qua e mi ha detto per marzo me le comprano e allora dice cosa vuoi aspetto qualche mese. E allora ho detto fattelo mettere per iscritto. Ha detto: ci provo. Se vuoi scommetto che non le mettono niente. Questa è la Ba.Po.. Perché il problema vale per tutti ma ricordatevi che vale anche per noi....."). In teoria (nel solco di quanto suggerito dalla difesa), infatti, si potrebbero spiegare le parole proferite, nel frangente, dall'imputato come un semplice, generico suggerimento a farsi assicurare per iscritto che il problema si sarebbe risolto nei tempi (brevi) che i responsabili della banca altoatesina avevano prospettato al cliente. Peraltro, va precisato che quella proposta dal chiamante in correità è una lettura del senso delle affermazioni dello ZO. non certo azzardata, sicuramente non smentita dal dato documentale e che, anzi, ove doverosamente interpretata alla luce del contesto complessivo del discorso in cui si inserisce (i passaggi della registrazione immediatamente precedenti riguardano, come si è visto, il pericolo che il "passaparola" tra i soci possa generare la crisi e, quindi, in sostanza, dare l'avvio ad una vendita in massa delle azioni della banca), appare davvero quella più convincente, tenuto peraltro conto del fatto che la descrizione del meccanismo effettuata dall'imputato (ovverosia richiedere un impegno "scritto") ben si attaglia al sistema delle "Mettere di impegno" invalso proprio presso B.. Ove poi si consideri che trattasi di interpretazione che trova significativo riscontro nelle già citate conversazioni intercettate nn.ri 1587 e 1570 intrattenute dal d.g. (nelle quali, come s'è visto, è parimenti evocata la conoscenza in capo all'imputato delle lettere di impegno) deve necessariamente convenirsi nel senso della assoluta ragionevolezza della lettura della vicenda proposta dal chiamante in correità. Sul punto, va precisato, per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che è certamente vero che lo stesso GI., come evidenziato dalla difesa dello ZO. (cfr. pag. 26 delle note relative alla "rinnovazione istruttoria"), con riferimento alle "lettere di impegno", ha dichiarato, in sede di rinnovazione istruttoria, che non aveva avuto "percezione che il Presidente fosse a conoscenza di queste lettere". Nondimeno, come può agevolmente arguirsi dalla lettura del relativo passaggio dell'esame dello stesso GI., trattasi di affermazione che, ben lungi dal contraddire quanto dal medesimo propalante riferito in relazione al citato file audio 5.11.2013, delinea unicamente quale fosse la consapevolezza di costui con riferimento a tale questione ed al coinvolgimento, sul punto, del presidente, al momento dell'esercizio della vicepresidenza di B. (e, indirettamente, vale a confermare l'attendibilità della fonte). Ebbene, con riferimento al complessivo contributo dichiarativo offerto dal coimputato GI., si è in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal poter essere sbrigativamente derubricate al rango di "vacue suggestioni" (così nelle "note scritte di discussione", pag. 68), convergono nel ribadire la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno del "capitale correlato". Trattasi di dichiarazioni precise, oltre che corroborate dal pertinente richiamo ad elementi documentali, taluni dei quali - ad onta delle considerazioni difensive, che, in senso contrario, ne hanno sostenuto la inconsistenza probatoria (cfr. note scritte relative alla rinnovazione dibattimentale, pagg. 19 e ss.) - sono, come s'è visto, di obiettiva significazione. D'altra parte - e trattasi di profilo che, ad avviso di questa Corte, è bene che sia costantemente tenuto presente per non smarrire la "dimensione sistemica" del fenomeno dei finanziamenti correlati e, quindi, non compromettere l'esatta comprensione della complessa vicenda in esame - la crisi del mercato secondario del titolo B. aveva inevitabili, immediate ricadute anche sulla determinazione del valore dell'azione (il cui deprezzamento avrebbe ineluttabilmente aggravato tale crisi) e, ove non contrastata con ogni mezzo, avrebbe compromesso non solo l'immagine della banca, ma anche la sua capacità di porsi, secondo la visione strategica perseguita tenacemente da ZO. (in passato addirittura in controtendenza rispetto alla più realistica prospettiva della dirigenza di B. - cfr. deposizione Gr.), come "struttura aggregante", in grado di ampliare ulteriormente la propria dimensione territoriale (in termini di diffusione degli "sportelli" nel territorio nazionale) e di accreditarsi come gruppo bancario di primaria importanza. In altri termini, il ricorso al capitale finanziato, la crisi del mercato secondario, la sopravvalutazione del prezzo del titolo (sostenuta anche attraverso piani industriali del tutto irrealistico altro non sono, nella concretezza della vicenda sub iudice, che diverse "sfaccettature" di un medesimo fenomeno, con l'ulteriore conseguenza che parlare della prassi dello "svuotafondo" e del ricorso alle lettere di impegno significa null'altro che riferirsi ad alcuni aspetti specifici del più generale problema dei finanziamenti correlati. Ed è proprio tenendo a mente tale "dimensione sistemica" che debbono vagliarsi le propalazioni del GI., onde poterne adeguatamente cogliere la reale, complessiva capacità dimostrativa. A tali rilevanti dati probatori, poi, si aggiungono gli ulteriori elementi, già puntualmente valorizzati dal primo giudice, in quanto indici sintomatici di una conoscenza effettiva del capitale finanziato e della sua diffusione da parte dello ZO. e, segnatamente: - i rapporti dell'imputato con svariati soci titolari dì partecipazioni di rilievo con B. e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro effettuate (è il caso di Be.De., Do.Ir., dei fratelli Ra., di Fr.Zu. e Fe.Ri., di Gi.Ro.), ovvero dell'esistenza di lettere di impegno al riacquisto, come nel caso di Re.Ca. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 614-624); - il coinvolgimento dello ZO. nella vicenda della richiesta di conclusione di operazione "baciata" avanzata dall'imprenditore catanese Ri.Co. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 624-626), ovverosia della vicenda evocata anche dal propalante GI.; - gli stretti rapporti intercorrenti tra lo ZO. e il gestore private della filiale dì Co., Ro.Ri., ovverosia il più attivo promotore di operazioni "baciate" (cfr. sentenza gravata, pagg. 626-628); - il contenuto dì alcuni messaggi SMS intercorsi tra i vertici operativi della banca ed inerenti proprio ad alcune operazioni correlate 172; - la consapevole, fattiva partecipazione dell'imputato alla pianificazione dell'aumento di capitale 2014 (caratterizzata, come s'è detto, dalla sistematica violazione della disciplina per il collocamento dei titoli), partecipazione, peraltro, che aveva visto lo ZO. significativamente intervenire nel CdA del 4.3.2014 a sostegno delle irregolari modalità di raccolta delle adesioni, posto che il predetto, nell'occasione, aveva sostenuto la necessità di tenere nascosta l'attività di preventivo contatto dei potenziali investitori, onde rispettare formalmente il principio dell'effettività della iniziativa del cliente (la già citata registrazione audio della seduta, invero, documenta la pronunzia della frase "Noi chiederemo alla Consob e alla Banca d'Italia di approvare, quando. Un po' prima, intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come..."). Nel corso della medesima seduta, peraltro, il d.g. So. aveva illustrato la possibilità del ricorso al time-deposit per consentire la sottoscrizione dell'aumento di capitale; - la gestione dell'allontanamento di So., "ricompensato" con un lauto emolumento, gestione ragionevolmente interpretata dal primo giudice - sulla scorta, peraltro, di coerenti esiti di intercettazione (il riferimento è alla già citata conversazione Pi.-To.), dai quali si ricava come una tale interpretazione fosse diffusa tra soggetti collocati in posizioni di notevole responsabilità all'interno dello stesso istituto di credito e, quindi, "informati sui fatti" - quale espressione dell'intendimento dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale (cfr. sentenza gravata, pagg. 606 e ss). Peraltro, non può non sottolinearsi come le modalità di gestione dell'allontanamento del So., come visto lautamente "premiato" per la sua fallimentare gestione, si differenzino significativamente anche da quelle poi adottate dall'istituto di credito per il ben più sommario allontanamento dei vicedirettori GI. e PI. e, questo, senza che possa essere soltanto la differenza di "rango" tra costoro a giustificare tale diversità di "registro"; - l'inerzia del giudicabile tanto a fronte delle dimissioni di An.Vi. quanto a seguito della denunzia effettuata, dal socio Da., in occasione dell'assemblea del 26.4.2014 (cfr. sentenza impugnata, pagg, 628-632). A ciò deve aggiungersi la ricezione, da parte dell'imputato, di missive anonime (trattasi dei documenti 650, 651 e 652 della produzione del P,M., dettagliatamente richiamati a pag. 631 della sentenza impugnata) nelle quali il fenomeno era oggetto di denunzia, anche assai esplicita (è il caso, in particolare, della lettera dell'11.3.2014 - doc, 651, su cui v. più ampiamente infra - nella quale il ricorso sistematico al finanziamento per l'acquisto di azioni, anche in occasione dell'aumento di capitale, era stigmatizzato in modo plateale ed accompagnato da riferimenti a condotte quasi "estorsive"; ma anche il documento 652 è di inequivoco tenore sul punto). In definitiva, si è in presenza di una sequela di elementi, di natura logica e rappresentativa, che, oltre ad essere tutti coerenti (tanto nella loro specifica significazione, quanto ove debitamente sottoposti a congiunta valutazione) con la effettiva consapevolezza, da parte del giudicabile, del ricorso alla "strategia" del capitale finanziato, sono poi convergenti con le più puntuali e specifiche evidenze costituite, con riferimento a tale thema probandum, dalle evocate dichiarazioni del teste Ga., dagli esiti dell'attività di intercettazione telefonica di cui s'è detto, oltre che delle già citate propalazioni del coimputato GI. (le quali ultime - va precisato - costituiscono, in proposito, una significativa prova diretta, avendo trovato plurimi riscontri esterni individualizzanti proprio in tali ulteriori dati probatori). Ebbene, a fronte di tale sequela di convergenti e concludenti elementi, le obiezioni difensive, volte a sostenere che l'imputato non avrebbe neppure avuto contezza, ancor prima che del "capitale finanziato", finanche della esistenza dei relativi "indici di allarme", appaiono, quindi, radicalmente insostenibili, in quanto fondate, nell'ambito di una lettura volutamente "parcellizzata" del compendio probatorio, sulla valorizzazione di singole emergenze istruttorie che, per un verso, sono del tutto inidonee a smentire le considerazioni sin qui svolte, in ordine alla posizione dell'imputato, sulla base di una razionale lettura d'insieme del panorama delle evidenze disponibili; c. per altro verso - ed in ogni caso - sono anche dì intrinseca, assai limitata capacità dimostrativa. Ciò, a ben vedere, esimerebbe dal considerarle specificamente. Sennonché, ragioni di completezza ne rendono opportuna una analisi dettagliata. In particolare, la difesa, sub 3.2, ha sostenuto l'inconsapevolezza di siffatti indici sintomatici sul rilievo, nell'ordine: - dell'inerzia degli organi di controllo - e, in particolare dell'Audit - tale da avere impedito all'imputato, al pari dei membri del CdA, di cogliere segnali di allarme del fenomeno del capitale finanziato. A sostegno di tale impostazione, l'appellante ha richiamato le deposizioni dei testi Do., Za., Ga., Ma., Bo., Es., Fe., Pi., Gr., Cu. (cfr. atto di appello paragrafo 3.2, lett. a). Ora, non v'è chi non veda come si sia in presenza di considerazioni del tutto inidonee ad inficiare la evidente capacità dimostrativa degli elementi valorizzati dal primo giudice (ai quali - non va trascurato - si saldano le circostanziate accuse del coimputato GI.), trattandosi di obiezioni scarsamente significative, anche per la loro assai limitata consistenza intrinseca. Con riferimento all'inerzia degli organi di controllo, infatti, è decisivo osservare che è proprio la accertata ingerenza dello ZO. nella gestione operativa della banca, per il tramite del d.g. So. ed in forza di una pacificamente accertata sinergia gestionale tra i due, a rendere sostanzialmente irrilevanti, "a monte", le considerazioni difensive predette. Era dalle sistematiche interlocuzioni che l'imputato intratteneva con il d.g. So. (alle quali ha fatto cenno lo stesso imputato nel corso del già citato interrogatorio 22.3.2017), infatti, che il primo acquisiva le informazioni che gli consentivano di "prendere il polso" della banca (ovverosia di monitorare quale fosse la reale situazione dell'istituto di credito, specie sotto i profili finanziario e patrimoniale) e, quindi, di partecipare attivamente (attraverso la condivisione con il d.g. So. delle relative iniziative) alla politica d'impresa, come si è in precedenza evidenziato. Donde lo scarso interesse - se non ai fini della più ampia comprensione delle dinamiche operative degli organi di B. - di indagare quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno in esame da parte degli altri membri del Cda, ovverosia di comprendere se costoro (o almeno alcuni di essi) fossero consapevoli di quanto andava accadendo nella erogazione del credito correlato all'acquisto di azioni dell'istituto e delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, oppure si trovassero unicamente in una condizione nella quale la presenza di taluni segnali d'allarme avrebbe loro imposto di procedere a doverosi approfondimenti sul punto (come, peraltro, precisato nelle pronunzie della Suprema Corte di conferma delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti di molteplici consiglieri oltre che dei sindaci). Ha davvero poco senso, infatti, ricostruire l'effettivo ruolo rivestito dal presidente nella vicenda delittuosa in esame assimilandone la posizione a quella di qualsivoglia altro membro del CdA, se non allo scopo di accreditare l'inverosimile lettura della vicenda secondo la quale, come s'è detto in apertura, l'imputato sarebbe stato una vittima inconsapevole delle malefatte di un management infedele. In ogni caso, come s'è detto, quelle esposte al paragrafo 3.2 dell'appello sono argomentazioni di ben scarsa, intrinseca significazione probatoria con riferimento alla posizione processuale dello ZO.. Certamente ciò vale con riferimento alla pur indubbia inerzia degli organi di controllo, solo a considerare che tale inerzia è risultata in larga parte dovuta non solo all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo interni, specie sotto lo specifico profilo della assenza di autonomia dell'organismo di vigilanza (si veda, sul punto, quanto più oltre precisato con riferimento all'appello proposto da B. in l. c.a.), ma anche alla diretta responsabilità dei vertici aziendali. Quando, infatti, il responsabile dell'Audit, Bo., da tempo avveduto di quanto andava accadendo, aveva manifestato qualche velleità di intervento, erano bastate le "istruzioni" bruscamente impartitegli da So. per farlo desistere da qualsivoglia iniziativa in proposito. In definitiva, quindi, tale inerzia va fatta risalire alla volontà del vertice operativo di B. (ovverosia al So., il quale, nondimeno, come s'è detto, operava in stretta sinergia con il presidente), sicché, sul punto, si è in presenza di circostanza, bensì provata, ma del tutto irrilevante in relazione alla posizione dello ZO.. Il fatto, poi, che il teste Ga. abbia riferito di avere ricevuto dal segretario generale del CdA So. la confidenza che quest'ultimo era pienamente a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato, lungi dal deporre, come vorrebbe l'appellante, in senso favorevole all'imputato, conferma il convincimento che il tema in esame, come già detto, fosse largamente conosciuto (sia pure con differenti livelli di comprensione della relativa entità e delle conseguenti implicazioni) tra i soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli di responsabilità nell'organigramma dell'istituto di credito, anche se non direttamente coinvolti nella politica di collocamento dei titoli B. (oltre che da tutti i funzionari addetti alla "commercializzazione" dei titoli) e, così, a ben vedere, concorre anch'esso a compromettere, sul piano logico, la posizione dello ZO., a meno che non si voglia ritenere - nel solco della implausibile ricostruzione che è implicita nell'impugnazione - che quest'ultimo sia rimasto vittima di una "congiura" da parte di pressoché tutti i suoi più stretti collaboratori, compresi quelli che neppure indirettamente erano implicati in tale fenomeno, come nel caso di So. (il quale, va precisato, svolgeva una funzione - quella di segretario generale del CdA - che lo qualificava come il più stretto collaboratore della presidenza con specifico riferimento alla attività di direzione del CdA stesso). Di centrale rilievo, infatti, sono le dichiarazioni dello stesso So. dalle quali emerge non solo la risalente, comune consapevolezza del fenomeno in esame in capo all'alta dirigenza di Bp., ma anche il coinvolgimento dei vertici aziendali nella "gestione" della prassi del ricorso alle "baciate". E' anche alla stregua di tali dichiarazioni che, a giudizio di questa Corte, si ricava l'assoluta inverosimiglianza della estraneità del solo ZO. rispetto alla conoscenza di un siffatto fenomeno; - di una lettura della "vicenda Da." secondo la quale la denunzia effettuata da tale socio (il quale, durante l'assemblea - va precisato - aveva esplicitamente chiesto "al Collegio Sindacale ed alla Vigilanza della Banca d'Italia di verificare se nel recente passato la Po.Vi. ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o non soci affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni o obbligazioni convertibili della Banca (...)" - cfr. doc. 153 della produzione del P.M.) non avrebbe costituito un serio "campanello di pericolo" perché trascurata tanto dal collegio sindacale (a causa del doloso occultamento dei dati da parte del responsabile Audit, Bo.), quanto da parte degli ispettori di Banca d'Italia (cfr, atto di appello, paragrafo 3.2, lett. b). Osserva, in senso contrario, questa Corte, che se è vero che quanto denunziato da tale socio non ebbe riscontro nell'attività di controllo del Collegio Sindacale (come esattamente sostiene l'appellante, richiamando le deposizioni Za., Fe., Tr., Am. e comunque evocando, a sostegno della tesi secondo la quale tali denunzie non avevano suscitato allarme nei presenti all'assemblea, le deposizioni dei testi Co., Ro. e Do. - cfr. atto di appello, pagg. 60-63), è decisivo osservare - in disparte ogni considerazione in ordine alle ragioni che possono avere indotto gli organi di controllo interno ad adottare una risposta a dir poco inadeguata (essendo davvero difficile dissipare il sospetto di una linea di condotta consapevolmente omissiva, stante la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato siccome in precedenza descritta) - come contrasti con la logica più elementare ritenere che un presidente tanto presente nella vita dell'istituto e così avvertito delle gravi difficoltà nelle quali si dibatteva il mercato secondario delle azioni B., qual era Zo.Gi., non prestasse la benché minima attenzione alle gravi ed esplicite accuse mosse dal socio Da. se non, per l'appunto, in quanto aventi ad oggetto circostanze tutt'altro che sconosciute e volutamente "silenziate". Questo, a fortiori, ove si consideri debitamente che tale vicenda si inseriva nel medesimo contesto temporale delle analoghe denunzie costituite dagli scritti anonimi pervenuti all'imputato (cfr., a tale ultimo riguardo, infra). Ed è proprio l'esplicito tenore della denunzia del Da. ad impedire di prestare fede alle dichiarazioni - pure ampiamente valorizzate dalla difesa dell'imputato - rese, in sede di rinnovazione dibattimentale, dai testi Ca., Pa., Pa. e Mo., là dove costoro - peraltro interessati, per i ruoli rispettivamente rivestiti in B., ad offrire una siffatta lettura della vicenda - hanno ridimensionato, sotto il profilo della "capacità di allarme", le accuse formulate da tale socio; - della mancata conoscenza, in capo allo ZO., tanto della vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Vi., tenuta all'oscuro del Presidente e del CdA per volontà, ancora una volta, del d.g. So. con la complicità di Bo. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. c), quanto delle lettere anonime inviate a B. negli anni 2013-2014 (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. d). Ebbene, le argomentazioni difensive in ordine alle dimissioni del dipendente Vi. (private banker dimessosi per le pressioni ricevute dalla dirigenza B. affinché promuovesse "operazioni baciate"), secondo le quali lo ZO. mai sarebbe stato portato a conoscenza in modo esaustivo di tale vicenda e delle relative implicazioni, in quanto al predetto ed al CdA sarebbero stati sottaciuti i relativi esiti di indagine a causa dell'intervento dì So. nei confronti del "solito" Bo., sono tutt'altro che persuasive. La difesa, sul punto, ha richiamato le deposizioni Li., Va., Fi., Fe., Ca., Po., Fe., Do., Za. e dello stesso Bo. per sostenere che tale vicenda, "lungi dal costituire un indice di allarme" confermerebbe che lo ZO. non era mai stato notiziato del fenomeno del capitale finanziato (così, nell'appello a pag. 69). Ebbene, anche in tal caso, pare davvero inverosimile che l'imputato non abbia dato peso al contenuto tanto circostanziato della denunzia delle ragioni delle dimissioni del consulente (denunzia trasmessa, via PEC, tanto al presidente, quanto al CdA, quanto, ancora, all'ufficio - Compliance"), specie ove si tenga a mente, da un lato, l'esplicito tenore, davvero allarmante, della segnalazione in questione, puntualmente evocata dal P.G. in sede di requisitoria175 (in effetti, l'avv. Es. aveva riferito che il suo assistito "aveva interrotto il rapporto di lavoro...in considerazione delle irregolarità che gli veniva richiesto di compiere dai funzionari a lui sovraordinati", precisando, al riguardo, che il predetto Vi. "era continuamente richiesto di reperire clienti disposti a sottoscrivere le cd " "operazioni baciate" nelle quali la Banca erogava un finanziamento al cliente a condizioni spesso particolarmente vantaggiose affinché questi acquistasse azioni della banca stessa", soggiungendo, sul punto, che si trattava di un sistema che aveva movimentato "svariati milioni di euro" e del quale il medesimo Vi. aveva verificato "la piena conoscenza da parte di molti funzionari operativi ed anche della funzione del personale al momento di dare le dimissioni e concludendo, infine, come fosse intenzione del proprio cliente rinnovare "ai vertici dell'istituto le segnalazioni all'epoca inascoltate" e mettere "sin d'ora a disposizione", per il tramite dello stesso legale, "tutte le informazioni in suo possesso nell'auspicio che la banca voglia procedere agli opportuni interventi a tutela degli azionisti e della clientela .." - cfr, doc. 420 produzione P.M.); dall'altro lato, la piena padronanza, da parte del predetto, della situazione di grave difficoltà del mercato secondario delle azioni B. (che - va ribadito ancora una volta - costituiva la principale ragione del ricorso al "capitale finanziato"); e, dall'altro lato ancora, la circostanza che il Presidente ZO., letta la predetta denunzia il 7,7,2014, non ne aveva disposto l'inoltro al responsabile dell'Audit Bo. (al quale era poi pervenuta comunque, tramite il responsabile della "Compliance", Fe.), bensì ai soli vertici dell'ufficio legale, avv. Pa., e della Divisione Risorse, Ad.Ca. (soggetti che si andavano ad aggiungere agli ulteriori destinatari già individuati dalla segreteria, So., So., Fe., Gi., Va. e Ro.), così sostanzialmente derubricando la vicenda ad una questione legale relativa al personale (questione, pure, certamente sussistente, ma del tutto trascurabile rispetto alla assoluta gravità di quanto denunziato dal legale del Vi.) o, comunque, ad un reclamo (del resto, la risposta all'avv. Es. era poi stata resa dall'Ufficio Reclami, come precisato dal teste Fe.), né aveva poi chiesto informazioni sugli sviluppi della questione. Il medesimo giudizio di sostanziale irrilevanza, poi, si impone con riferimento alle considerazioni difensive in ordine alle lettere anonime (cfr. atto dì appello pagg. 69-73) che contenevano espliciti riferimenti non solo alle pressioni esercitate per indurre alla sottoscrizione di capitale, ma anche ai finanziamenti all'uopo erogati dalla banca. Questo, senza che possa ritenersi minimamente credibile, quanto alla già citata missiva (doc. 651 produzioni / del P.M.), recante la data dell'11 marzo 2014 e ricevuta il 13 marzo 2014 - / ovverosia alla lettera che conteneva il più esplicito riferimento alle "baciate" ("Presidente, perché continuare in questa folle corsa a dimostrare le forze di una banca che non ci sono o se sembrano esserci derivano da numeri manipolati ad arte. Perché deliberare un aumento di capitale in 15 minuti, senza un consorzio, come aver deciso in quale ristorante andare a mangiare. Perché non capire che i soldi drenati nell'ultimo aumento sono stati tanti e sarà Impossibile ritrovarli anche stressando rete e clienti. Come fai a non sapere che l'ultimo aumento di capitale è avvenuto a forza di finanziamenti di centinaia di migliaia di Euro ad aziende che non potevano dire di no, giustificati dai motivi più svariati. Ma se venisse Banca d'Italia e notasse (verifica più che facile da fare) che l'80% dei prestiti erogati ad aziende è stato, nonostante la richiesta fosse partita con altri intenti utilizzato per sottoscrivere azioni della Banca, cosa potresti direi Non ti sentire intoccabile.....Come fai a pensare di fare un aumento di capitale non rinnovando le obbligazioni in scadenza, stravolgendo il profilo di rischio del cliente, forse siamo la banca che opera più variazioni MIFID in assoluto, che logica che deontologia c'è alla base di tutto questo......invia segnali di lucidità e correttezza altrimenti è giusto che l'opinione pubblica (i giornali) e l'organo deputato (Banca Italia) sappiano cosa è accaduto e cosa sta accadendo") e che era pervenuta in epoca che avrebbe consentito l'adozione di "contromisure", se non tempestive, "meno tardive" - l'ipotesi che di tale corrispondenza il presidente non avesse avuto conoscenza per effetto dì una sorta di "censura preventiva" operata dal d.g. So.. Ciò, in particolare, ove sì consideri: in primo luogo, che, come precisato dal teste di P.G. Ta.Vi., la suddetta missiva era poi stata inoltrata dallo stesso So. ad altri soggetti (segnatamente, al vicedirettore Ca. e al dipendente Va.); e, in secondo luogo - e trattasi, a ben vedere, di circostanza di decisivo rilievo - che la missiva in questione era pervenuta non già a mezzo mail (come sostenuto dalla difesa ZO.) bensì a mezzo posta cartacea e, una volta ricevuta nonché regolarmente protocollata in data 13 marzo 2014 dalla Segreteria della Presidenza B., era stata scannerizzata, (come si desume dall'indicazione "Allegati: scan pdf) per poi essere in tale veste trasmessa, quale allegato, ad una mail inviata dalla Segreteria della. Presidenza B. in data 14 marzo 2014 al d.g. So.. Il tutto è provato per tabulas dal citato doc. 651 del P.M.. Segnatamente, risulta ben chiara l'apposizione, sulla missiva anonima cartacea poi scannerizzata, del regolare timbro di protocollo della Segreteria della Presidenza con data 13 marzo 2014; eloquente è poi, sul fatto che la missiva anonima fosse pervenuta in formato cartaceo a mezzo del servizio postale ordinario, l'oggetto (sul quale v. subito infra) della mail inviata dalla stessa Segreteria, il giorno seguente alla sua ricezione, al d.g. So.. Sicché trova radicale smentita l'ipotesi (più esplicitamente illustrata in sede di discussione, rispetto a quanto adombrato a pag. 71 dei motivi di appello, in difetto, peraltro, di qualsivoglia riscontro che possa emanciparla dal rango di mera illazione) che detto scritto non sarebbe mai stato stampato a beneficio del presidente e, al contrario, sarebbe stato immediatamente inoltrato al d.g. So., in esecuzione di una sorta di censura attuata, in danno dell'imputato, dal d.g., avvalendosi della collaborazione di una segretaria (la dott.ssa Li.) infedele. In effetti, non può certo fondatamente valorizzarsi, a sostegno di siffatta ricostruzione, la mera circostanza che su detta missiva, mai sequestrata (e "recuperata" soltanto in sede di esame dell'account di posta elettronica del So.), non risultassero apposte annotazioni manoscritte dell'imputato. Del resto, anche ove non intendesse prestarsi fede alle dichiarazioni della teste Li., la quale ha riferito che ogni lettera indirizzata al presidente era verificata e collocata, ordinatamente, secondo le priorità desumibili dal contenuto, sulla scrivania dello ZO., senza eccezione alcuna177, la circostanza che la segreteria avesse provveduto a protocollare la missiva in esame, come si ricava dal timbro apposto sul documento, costituisce la più evidente smentita, sul piano logico, della tesi della sottrazione di corrispondenza in danno del giudicabile per effetto di una callida determinazione del direttore generale. Aggiungasi, del resto, che è lo stesso contenuto della mail di trasmissione al d.g. (tanto con riferimento al testo: "Egregio Direttore, come da Sua richiesta..", quanto alla puntuale descrizione dell'oggetto; "Lettera anonima ricevuta il 13 marzo 2014 - timbro postale di Firenze datato 11 marzo 2014 - riservata") a confliggere con la tesi secondo la quale si sarebbe trattato di una trasmissione clandestina, effettuata a tutto discapito del presidente di B.; - della assenza, nell'articolo apparso sul quotidiano economico "Il." del 27 ottobre 2014, a firma Ga., di effettivi riferimenti al fenomeno del capitale finanziato (tale non potendosi ritenere quanto riferito al giornalista dall'imprenditore di Sc.Pa.Tr., il quale aveva dichiarato che, a fronte del proprio rifiuto di acquistare azioni, si era visto ridurre i finanziamenti) e, comunque, dell'assenza di riscontri a quanto denunziato da parte della direzione generale e delle funzioni di controllo, sicché tale articolo non avrebbe potuto, in concreto, rappresentare un "serio e specifico segnale d'allarme" (paragrafo 3.2, lett. e). In proposito, è decisivo osservare, in senso contrario, che tale intervento, effettuato sulla più autorevole testata giornalistica specializzata, aveva prodotto nell'intero settore bancario e, a fortiori, all'interno di B., una vastissima eco. Inoltre, non è affatto vero che detto articolo, pur non facendo esplicito riferimento alle operazioni "baciate", non contenesse un chiaro riferimento al fenomeno del capitale finanziato. Sul punto, infatti, al di là della precisa deposizione resa dal teste ispettore Ga., è dirimente la lettura di tale scritto, dalla quale è possibile direttamente apprezzare come il giornalista, oltre ad affrontare i temi, evidentemente connessi, dell'"anomalia del fondo acquisto azioni proprie" (così, espressamente, nell'"occhiello" dell'articolo), della illiquidità del titolo azionario (definito dall'ex consigliere Consob, Sa.Br., il cui parere era ivi richiamato, un "prodotto palesemente fuori mercato", per effetto di una valutazione del titolo u fuori dal mondo"179) e del valore dell'azione, avesse riportato le dichiarazioni rese da un imprenditore del settore degli imballaggi e delle spedizioni (tale Pa.Tr., di Sc.) il quale aveva sostanzialmente riferito di avere ricevuto la proposta di finanziamento per l'acquisto di azioni ("..A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell'istituto in cambio di finanziamenti - Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti i finanziamenti.."), soggiungendo, peraltro, essergli noto che si trattava di un caso tutt'altro che isolato ("La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l'ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti sarebbe stato molto più alto..."). E' fuori discussione, pertanto, che si trattasse di un articolo che costituiva un serissimo indice di allarme per qualsivoglia vertice aziendale, a fortiori se pienamente consapevole, come lo ZO., della difficoltà del mercato secondario del titolo. Le deposizioni assunte, poi, hanno confermato l'impatto deflagrante che tale pubblicazione aveva avuto, anche all'interno del CdA (là dove, peraltro, in modo assai poco ragionevole, si era discusso, come riferito dal teste Br., di avviare un'azione legale nei confronti del giornalista ancor prima di interrogarsi sulla fondatezza, anche parziale, della notizia). Sicché escludere che tale articolo costituisse (specie per un presidente di certo cosciente della effettiva illiquidità dell'azione B.) un serio segnale d'allerta per l'assenza di un esplicito riferimento alle "operazioni baciate" costituisce ipotesi davvero surreale. Peraltro, è appena il caso di considerare che, nel medesimo periodo (11 novembre 2014), era stato pubblicato, su una testata di autorevolezza e diffusione assolute ("Co."), come ampiamente ricordato supra nel trattare la posizione dell'imputato Ma., anche un altro articolo - prodotto quale fonte aperta dalla difesa dell'imputato Pi. all'udienza del 4.2,2020 - dal contenuto assai allarmante con riferimento a B. (ed a Ve.) nel quale sostanzialmente si denunziava, con dovizia di particolari, l'eccessiva, inverosimile patrimonializzazione delle banche venete per effetto di una attribuzione alle azioni di valori sovrastimati (quanto a B. si ipotizzava un reale valore di 21,90 euro), tanto che - precisava il giornalista, Stefano Righi - le azioni di tali banche erano sostanzialmente "illiquide". Considerazioni del medesimo tenore si impongono - conseguentemente - anche con riferimento alle censure che l'appellante ha mosso alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla affermata conoscenza del ricorso al capitale finanziato e, più specificamente, alle "operazioni baciate" (rispettivamente ai punti 3.5 e 3.6 dell'atto di impugnazione), in quanto, anche in tal caso, gli elementi valorizzati dalla difesa non confortano minimamente la lettura dei fatti secondo la quale l'imputato avrebbe ignorato l'esistenza delle "operazioni baciate". Segnatamente, l'appellante ha evidenziato (al paragrafo 3.5): - che, nell'ambito del "campione" di clienti i quali avevano effettuato operazioni "baciate" escusso in dibattimento, pressoché tutti i testimoni avevano escluso un ruolo attivo dell'imputato nel consigliare/proporre tale tipo di operazioni (l'appellante ha richiamato espressamente le deposizioni Fe., Ca.Em., Ca.Pi., Br., Bo., Fa., Fe., Bu., De., Da., Va., Ro., Br., Ta., Fa., Ma., Ri., De., Co., Ti.Da., Ti.An., Ma., Tr., Se., To., Ba., Se., Ca. - paragrafo 3.5, lett. a):). Ebbene, la circostanza che non fosse stato lo ZO. a proporre/consigliare tali operazioni ai testimoni evocati dalla difesa, non riveste alcun significato, solo a considerare che le proposte in tal senso erano solitamente avanzate, alla migliore clientela, non già dal presidente, bensì dalla più alta dirigenza commerciale dell'istituto (si pensi a quanto avvenuto con riferimento alla operazione sottoscritta dal coimputato ZI. ed a questi proposta dal GI., il quale ultimo, del resto, ha anche dettagliatamente descritto il contesto - spesso un appuntamento al domicilio dei migliori clienti - nel quale venivano formulati gli inviti all'acquisto delle azioni B.). Peraltro, va rammentato che il teste Ro. ha dichiarato che l'imputato, in occasione di incontri conviviali, lo aveva ripetutamente rassicurato che non avrebbe avuto problemi in relazione alla operazione (una "baciata" per l'importo di 5 milioni di euro) che aveva effettuato. Sebbene detto teste non abbia affermato con certezza di avere citato, nelle interlocuzioni con l'imputato, tate finanziamento ("certamente si ma non è venuto il presidente Zo. a chiedermi di fare questo finanziamento....Si parla delle azioni ma non proprio del finanziamento. Io non mi ricordo, può essere che abbiamo parlato anche di questa operazione..."), ha comunque riferito che si trattava di un presupposto implicito ("Erano tutte sottintese. Tutti i finanziamenti erano/ operazioni che si facevano, e che non avevamo bisogno...io non lo facevo, ripeto, a scopo di lucro, lo facevo per avere un buon rapporto con la banca ..."); - che le c.d. "cene di Lo." altro non erano che sporadici appuntamenti conviviali nel corso dei quali mai il presidente aveva fatto cenno, in alcun modo, al fenomeno in esame (e, al riguardo, nell'appello si richiamano le deposizioni Mo., Lo.Tr., Ra.Gi. e Ra.Si., sottolineando, per contro, l'inattendibilità di quanto riferito da Lo.Tr. e da Lo.Da. - paragrafo 3.5, lett. b). A ben vedere, che non si affrontasse esplicitamente il tema del capitale finanziato in occasione di tali cene è circostanza assai poco significativa, tenuto conto proprio del contesto conviviale in questione (che induceva a non parlare di "banca", ovverosia "di lavoro", come precisato dal teste Mo.181). Nondimeno, tanto Ra.Gi. quanto Ra. Silvano hanno riferito che, al margine di tali eventi, erano soliti chiedere garanzie al presidente, il quale non mancava di tranquillizzarli, circostanza che, tenuto conto della serietà dell'imputato e dell'importanza" di tali interlocutori (i quali detenevano un pacchetto di azioni per circa 90 milioni di euro), induce ragionevolmente ad escludere che il giudicabile ignorasse la tipologia di operazione da costoro effettuata. Peraltro, il teste Ra. ha pertinentemente osservato, per confortare la tesi secondo la quale le rassicurazioni che lui stesso ed il fratello sollecitavano dallo ZO. non riguardassero affatto, in generale, la tenuta dell'azione, bensì "le loro operazioni correlate", come non avrebbe avuto alcun senso, all'epoca, dubitare sulla tenuta del titolo di B. (""Zo., in queste occasioni, ci tranquillizzava dicendoci che, finché c'era lui in banca, non avremmo dovuto preoccuparci di niente. Questo tipo di rassicurazioni ce l'ha data in più di una occasione anche prima delle assemblee degli azionisti. Evidenzio che, come ho già precisato, noi non avevamo finanziamenti o ragioni di esposizioni con fa banca ai di fuori delle operazioni che ho descritto. Pertanto le rassicurazioni di ZO. erano chiaramente rivolte a queste operazioni proposte da So. e GI., peraltro quanto ZO. ci dava queste rassicurazioni facevamo esplicito riferimento alle "operazioni concluse"(....) Rammento che mi rivolgevo a ZO. con espressioni del tipo "Presidente, possiamo stare tranquilli sulle operazioni che abbiamo fatto?" Di sicuro non parlavamo di informazioni sulla tenuta dell'azione. Del 1 resto, net 2012 (ovverosia quando avevano iniziato ad interrogare l'imputato, la loro prima operazione finanziata essendo collocabile nel 2011) nessuno sollevava dei dubbi sulla tenuta in sé dell'azione,."182). Pertanto, da tali deposizioni non si ricava affatto l'inattendibilità di quanto dichiarato dal teste Lo.Tr. in ordine alle rassicurazioni dallo stesso ricevute da So. e da Gi. circa il fatto che il presidente fosse consapevole delle "operazioni baciate"; - che dal contenuto delle deposizioni degli "amici del presidente" Ca., Ri., Ir., Ra.Fo. e Be.De. e del familiare dello ZO., Zu., non si sarebbero potuti affatto ricavare elementi a carico dell'imputato (paragrafo 3.5, lett. c). Per contro, ad avviso di questa Corte, il tribunale ha convincentemente valorizzato tali deposizioni. Quanto al Ca., avendo questi goduto di tassi vantaggiosi per il rinnovo dei "time deposit" ed essendo destinatario di due lettere di impegno (a fronte di un prestito obbligazionario) che gli garantivano un rendimento determinato previa esplicita autorizzazione di ZO., trattasi di deposizione che, in ogni caso, evidenzia l'ingerenza dell'imputato nella operatività della banca con riferimento ai "grandi investitori". La deposizione del Ri., amico di vecchia data dell'imputato, poi, è tutt'altro che generica là dove riferisce che lo ZO., appreso che costui aveva sottoscritto un acquisto finanziato di azioni B. per 150.000 Euro, si era dimostrato compiaciuto. Altrettanto dicasi per quanto riferito dallo Zu., posto che lo strettissimo legame familiare intercorrente con l'imputato rende davvero irrealistico ritenere che quest'ultimo non conoscesse la fonte della provvista impiegata dal cognato per l'operazione, ancorché questi abbia poi sostenuto di non averlo ragguagliato dì tale acquisto di azioni. In ogni caso, qualora, come sotteso all'impostazione difensiva (ed esplicitato in sede di discussione, là dove, come s'è detto, si è ricostruita la vicenda sub iudice prospettando una i sorta di "isolamento" dello ZO. posto in essere dal d.g. So. il quale, interessato a gestire detto fenomeno all'insaputa del presidente, avrebbe eretto un muro invalicabile tra costui e l'alta dirigenza della banca), il d.g. So. avesse realmente inteso mantenere all'oscuro il presidente circa il ricorso alle operazioni baciate, sarebbe stato davvero assurdo che contratti di tal genere fossero stipulati con un soggetto tanto legato allo ZO. quale, per l'appunto, il di lui cognato. La deposizione delle teste Ir., poi, per quanto stringata, non può affatto ritenersi irrilevante, avendo comunque la donna riferito di avere intavolato proprio con lo ZO., il quale l'avrebbe poi dirottata sul d.g., la trattativa che sarebbe sfociata in una "baciata" da 3,5 milioni. Inoltre, quanto al Be.De., se è vero che questi ha sostenuto di non avere mai parlato con il presidente delle proprie "baciate", vanno richiamate le contrarie dichiarazioni rese dai testi Gi. e Ba., siccome già valorizzate dal primo giudice in ordine alla conoscenza, in capo al giudicabile, delle operazioni finanziate riferibili a tale socio. In particolare, va precisato che, come affermato dal teste Gi., il Be., da un lato, era in strettissimi rapporti con l'imputato (con il quale era solito incontrarsi finanche durante le vacanze); e, dall'altro, era un'"diffusore" della banca, un "portatore di contatti" (o, come riferito dal Gi. alla stregua dell'efficace espressione con la quale lo stesso Be. era solito definirsi, "un soldato della banca") nel senso che si impegnava per la promozione dell'istituto su nuovi territori (segnatamente, la Lombardia), sicché si è in presenza di specifici elementi di fatto che rendono davvero impensabile che lo ZO. non fosse a conoscenza degli investimenti in titoli B., finanziati dall'istituto, effettuati da tale soggetto. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare che il Be.De. - il quale, secondo il Gi., nell'aprile del 2015, dopo la svalutazione del titolo, aveva telefonato manifestando veementemente tutto il proprio disappunto185 - richiesto di riferire quale fosse stato il tenore del colloquio che, portatosi fino a Vicenza, aveva intrattenuto, proprio nel predetto mese di aprile, con il presidente Zo., ha assai poco persuasivamente riferito di non serbare memoria dell'episodio (...Non rammento gli argomenti di detto colloquio con Zo. ..."). Infine, che il tribunale abbia omesso di considerare le deposizioni Ha. e Ra.Fo. discende dalla sostanziale irrilevanza di tali dichiarazioni (attesa la genericità di quanto riferito dall'Ha. e considerato che dall'estraneità del presidente rispetto all'operazione effettuata dal Ra.Fo. non è certo arguibile il difetto di conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte dello ZO.). Del resto, non può certo trascurarsi di considerare che opportunamente il primo giudice ha valorizzato la deposizione di Se.Pi., assai significativa circa la conoscenza delle "badate" da parte del presidente, senza che possa svalutarsi detto contributo dichiarativo sul presupposto, sotteso all'impostazione difensiva, di una indimostrata ostilità successivamente maturata da tale teste verso il giudicabile (ostilità, peraltro, che sarebbe dovuta essere di intensità tanto accesa da giustificare dichiarazioni false così gravi, specie tenuto conto dello stretto legame di amicizia tra il teste ed il figlio dell'imputato), ovvero sulla base delle incongruenze parimenti segnalate dalla difesa, a ben vedere trascurabili e, comunque, agevolmente spiegabili (e spiegate dallo stesso testimone, quanto alla questione della telefonata tra So. e ZO., come frutto di un refuso188; e, quanto all'incontro a castello d'Albola, in ragione di un progressivo affioramento dei ricordi, peraltro obiettivamente ragionevole in relazione a vicende tanto complesse. Del resto, il teste ha riferito che aveva soggiornato più volte presso tale residenza, sicché, anche sotto tale profilo, il mancato iniziale ricordo non può destare particolare sorpresa); - che, tra i familiari del presidente i quali (a differenza, peraltro, dell'imputato, della sua stretta famiglia e delle aziende del gruppo) avevano compiuto operazioni "baciate", era soltanto annoverabile il già evocato Fr.Zu., il quale, come visto, aveva riferito di non aver mai parlato di operazioni correlate con il presidente della banca (paragrafo 3.5, lett. d). Trattasi, com'è evidente, di circostanza di nessun rilievo sul punto, non essendo in discussione la effettività dell'apporto di capitali "reali" fornito dallo ZO. e dai suoi familiari alla banca; - che la "vicenda Ma." (inerente all'acquisto di azioni B. con finanziamento della banca) vedeva del tutto estraneo lo ZO. (paragrafo 3.5, lett. e). E' agevole osservare, in proposito, che l'estraneità dell'imputato ad una specifica operazione non rileva affatto, sotto il profilo probatorio, con riferimento alla questione in esame, inerente alla conoscenza di un ben più vasto e radicato fenomeno; - che dall'esame dei dirigenti e dei funzionari B. i quali, a diverso titolo, avevano contribuito alla diffusione del fenomeno del capitale finanziato non emergevano affatto elementi di responsabilità a carico del presidente, non avendo costoro mai parlato con ZO. delle "operazioni baciate" o, comunque, ascoltato il presidente affrontare tale argomento (l'appello, sul punto, ha richiamato le deposizioni Ri., Gi., Tu., To., Se., Pa., Ro., Cu., Ba., Te., Ve., Ca., Da., Pi., Bosso, Ip., Gi.n, Ma., Si., Ni., Pr., Ro., Be., St., Sa., Me., Ta., Pa., Gi., Ba. - paragrafo 3.5, lett. f). Ebbene, fermo restando che, come già anticipato, le dichiarazioni dei funzionari di B. scontano un più o meno marcato deficit di affidabilità; tenuto conto del differente grado di coinvolgimento di taluni di costoro in "segmenti", anche importanti, della operatività illecita di B. (pur se non accompagnato dalla consapevolezza della vastità di tale prassi e delle relative implicazioni), si è in presenza, in ogni caso, di deposizioni che, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., risultano davvero di trascurabile rilievo, posto, per un verso, che il presidente non si occupava certo delle singole operazioni finanziate; e, per altro verso, che costui, come ripetutamente evidenziato, non intratteneva rapporti diretti (se non in casi assolutamente sporadici), con i funzionari della banca, limitandosi ad interloquire unicamente con i massimi vertici operativi (e, segnatamente - lo si è già detto - con il d.g.). In ogni caso, sebbene il teste Pa. non abbia riferito di avere assistito al diretto coinvolgimento dell'imputato in discussioni inerenti alle operazioni "baciate", la deposizione di costui merita dì essere evidenziata, provenendo da un alto funzionario di B. che, non essendo in alcun modo coinvolto direttamente nella operatività in esame (trattandosi di vicedirettore della divisione marketing), risulta obiettivamente attendibile: "..TESTIMONE PA. - Allora, sicuramente questo tipo di operatività e questo tipo di operazioni con gli imprenditori era impossibile che né il Presidente, né So.", non ne fossero a conoscenza. Era evidente perché? Perché parlavano con gli imprenditori quotidianamente, sotto tanti aspetti, che potevano riguardare una sponsorizzazione o un evento o c/n... Cioè, c'era un forte legame col territorio, quindi gli imprenditori parlavano continuamente con Zo., li vedevo comunque entrare in banca e andare a parlare comunque con i vertici della banca. Quindi è impensabile che non ci fosse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni, proprio per il ruolo che avevano sia il Presidente, sia So., nella gestione della banca..." (cfr. dep. Pa., udienza 10.9.2020, pag. 52); s che né gli organi dì controllo interno (Audit, Comptiance, Risk Manager) e neppure i membri del collegio sindacale e del CdA avevano reso deposizioni a carico dello ZO. circa la conoscenza del capitale finanziato (paragrafo 3.5, lett. g). In proposito, si è in presenza di considerazione bensì fondata sulla corretta lettura delle deposizioni di riferimento, ma, anch'essa, in concreto, di scarsi significazione. In disparte, anche in tal caso, l'attendibilità di contributi dichiarativi provenienti da soggetti coinvolti indirettamente (per i doveri di controllo su di loro incombenti) nei fatti sub iudice - soggetti i quali, ammettendo la conoscenza del fenomeno delittuoso in capo a ZO., avrebbero inevitabilmente finito per coinvolgere le loro stesse persone in un ambito di responsabilità di tipo quantomeno "morale" - è dirimente la considerazione, già ripetutamente espressa in precedenza, in ordine al fatto che era al di fuori del perimetro del CdA - e, segnatamente, in occasione delle continue interlocuzioni con il d.g. So. - che l'imputato affrontava le questioni più delicate; - che, infine, il solo GI., tra tutti i coimputati, aveva reso dichiarazioni che attribuivano allo ZO. la consapevolezza di tale fenomeno, non ricavandosi dalle dichiarazioni degli imputati PI., MA. e PE. alcunché di pregiudizievole per il presidente (paragrafo 3,5, lett. j); Ebbene, anche in tal caso, quello segnalato dall'appellante è un elemento di ben scarso peso, tenuto conto della veste processuale dei predetti soggetti e del convergente obiettivo difensivo di costoro di "scaricare" ogni responsabilità sul d.g., invocando, in loro favore, analogamente all'imputato ZO., profili di più o meno marcata inconsapevolezza del fenomeno in questione; - che da quanto sostenuto dal coimputato MA. e dal dirigente Ca. nel corso delle conversazioni di cui alle intercettazioni, rispettivamente, n. 259 e 526, si ricaverebbe la mancata conoscenza, in capo al presidente, del capitale finanziato (ancora paragrafo 3,5, lett. j). Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni. Della telefonata n. 526, intercorsa tra Ca. e Cu., s'è già detto, sicché si rimanda alle considerazioni svolte sul punto. Quanto, poi, alla conversazione n. 259, svoltasi tra il coimputato MA. e il responsabile Audit Bo. - conversazione, peraltro, che, come s'è detto, costituisce significativa espressione del tentativo di quest'ultimo di farsi da tramite con il primo per indurlo a modificare quanto riferito in sede di audit poiché pregiudizievole per il presidente - deve osservarsi come il mancato esplicito riferimento al nome dello ZO. quale soggetto informato del fenomeno in esame (secondo quanto riferito al medesimo MA. dal So.) appaia di rilievo davvero trascurabile. Anzi, a leggere con la dovuta attenzione la trascrizione del colloquio (del quale, di seguito, si riportano i passaggi più significativi, rimandandosi, per il resto, alla perizia di trascrizione) è possibile cogliere come il medesimo MA. avesse interpretato proprio in tal senso (l'unico ragionevole, del resto) l'indicazione del So. di avere informato - chi di dovere", dando, per l'appunto, per "scontato" che il d.g., con tale espressione, intendesse effettivamente riferirsi al presidente: (......) Omissis (......) E, del resto, lo stesso MA., in occasione dell'esame reso nel corso del giudizio di primo grado, si è univocamente espresso in tal senso (cfr. esame Ma., udienza 16.6.2020, pagg. 18-19). - che dall'appunto manoscritto riguardante Em.Gi. sequestrato presso l'ufficio del presidente si ricaverebbe, ancora una volta, come costui fosse all'oscuro del fenomeno delle baciate. Al riguardo, deve osservarsi, in senso contrario, che desumere dall'intitolazione ("Dichiarazioni Gi.") e dal contenuto degli appunti redatti dall'imputato in occasione dell'incontro con il coimputato del 4.5.2015 - in atti quale doc, 857 del P.M. - l'ignoranza da parte del presidente dell'argomento affrontato in occasione di detto incontro è conclusione tanto ardita da non richiedere specifica confutazione: l'imputato, infatti, aveva tutto l'interesse a manifestare la propria estraneità all'accaduto (di cui, peraltro, in occasione di detto colloquio, secondo quanto riferito dal GI., non aveva potuto negare una sia pur parziale conoscenza, quella, per l'appunto, delle "baciate parziali"). Quindi (al successivo paragrafo 3,6), l'appellante ha sostenuto come l'ignoranza da parte dello ZO. della prassi delle "operazioni baciate" potesse ricavarsi da una serie di elementi emersi nel corso dell'istruttoria e, in particolare, ha evidenziato: - che lo ZO. non si ingeriva affatto nella vendita delle azioni (paragrafo 3.6, lett. b), non deponendo in senso contrario l'interessamento rispetto alla operazione di vendita delle azioni detenute dal coimputato ZI., trattandosi di una operazione effettuata da un membro del CdA e che, parimenti l'imputato non si interessava, se non nell'ambito di una normale interlocuzione propria di un "presidente scrupoloso", dell'andamento della divisione estero (paragrafo 3.6, lett. c). Trattasi, anche in tal caso, di considerazioni sostanzialmente irrilevanti. Il mancato coinvolgimento del presidente nel collocamento delle azioni e l'assenza di ingerenza nella gestione degli investimenti esteri, infatti, discendono unicamente, in termini di evidenza, dal ruolo non operativo dell'imputato (fermo restando, peraltro, quanto emergente dalla mail, più oltre richiamata, inerente all'incremento della partecipazione azionaria "delle Za."); - che il commento effettuato nel CdA 11.11.2014 relativo all'articolo de "Il." che aveva messo in dubbio il valore dell'azione - commento caratterizzato dal biasimo per lo scritto, in ragione delle modeste oscillazioni del titolo B. rispetto a quelle di altri titoli bancari - deponeva nel senso della buona fede dell'imputato (paragrafo 3,6, lett. d). Ebbene, degli effetti della pubblicazione del menzionato articolo si è già detto. L'effettiva buona fede dell'imputato, a ben vedere, avrebbe implicato una ferma richiesta di approfondita indagine, non già una reazione scandalizzata (peraltro del tutto contraddittoria con la già evidenziata piena consapevolezza delle condizioni critiche del mercato secondario); - che le dichiarazioni rese dal funzionario Gi. - là dove costui aveva riferito che il presidente aveva dato l'indicazione di sostenere con finanziamenti i soci intenzionati a vendere il titolo - non si sarebbero dovute interpretare come inerenti ad una operazione di finanziamento correlato (in questo caso ex post), bensì come un ausilio economico prestato, in attesa della realizzazione della vendita, a coloro che, per bisogno dì liquidità, intendevano liberarsi dell'azione (paragrafo 3.6, lett. e). In proposito, vale osservare, in senso contrario, che l'interpretazione data dal primo giudice delle dichiarazioni rese dal Gi. è la più coerente con le complessive emergenze istruttorie in ordine alla più volte evocata cognizione, da parte dello ZO., della sostanziale illiquidità del titolo B.; - che i documenti richiamati, in sentenza, per avvalorare il ruolo operativo svolto dall'imputato non predicavano affatto in senso coerente con l'ipotesi d'accusa. E, al riguardo, l'appellante ha richiamato, in particolare, gli appunti So., la mail del 25.9.2010, nonché i documenti nn.ri 322 e 320 della, produzione del p.m, (paragrafo 3.6, lett. f). Ora, la lettura "neutra" offerta dalla difesa dei documenti citati alle pagg. S63 e ss. dell'atto di appello è, per l'appunto, "neutra" (peraltro, il documento 320 del P.M. - ovverosia la mail nella quale Ro. scriveva a Ro. che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za." - ovverosia di soggetti che erano "soci storici" - obiettivamente orienta nel senso dell'ingerenza dell'imputato in temi operativi di rilievo); - che quanto affermato nel corso della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, con specifico riferimento all'incontro previsto tra il Presidente e la "fondazione Lucca", non era inerente alla ricerca di un interlocutore che, acquisendo azioni B., potesse contribuire alla pratica di "svuotafondo"(ancora paragrafo 3.6, lett. f). Diversamente, deve osservarsi che è la lettura delle interlocuzioni immediatamente precedenti, inerenti proprio al predetto tema dello "svuotafondo", a rendere decisamente più ragionevole che tale fondazione potesse essere coinvolta in tale operatività in occasione del prossimo incontro che il presidente, di lì a poco, avrebbe avuto con i vertici di tale ente (senza che alla congiunzione "però" possa attribuirsi significato dirimente in senso contrario. E, in ogni caso, trattasi di circostanza di ben trascurabile rilievo); - che i rapporti con il d.g. So. non potevano affatto essere letti in termini di "insana complicità" tra i due e che i messaggi SMS valorizzati in sentenza (nn.ri 653, 654, 655) non erano passibili di univoca interpretazione, a quella proposta dal tribunale affiancandosi quella, opposta, secondo la quale si sarebbe trattato di comunicazioni volte a sollecitare il d.g. a "spianare la strada" ai finanziamenti", non già a sollecitare il medesimo d.g. a riferire allo ZO. che detti finanziamenti erano specificamente destinati all'acquisto di azioni B. (paragrafo 3.6, lett. g). A ben vedere, la ricostruzione difensiva dei rapporti con So. - ricostruzione secondo la quale tali rapporti sarebbero stati espressione di reciproca stima e non già di "insana complicità" - è coerente con una lettura praticabile solo sul piano astratto, ovverosia avulso dal complessivo panorama probatorio acquisito al giudizio. Trattasi, infatti, di lettura che, non appena "calata" nel reale contesto operativo siccome delineato dalle emergenze istruttorie, trova piena smentita nelle evidenze fattuali disponibili (ivi compreso il trasparente tenore delle comunicazioni intercettate effettuate dal d.g. So.), oltre che nelle considerazioni logiche in precedenza evocate. - che le intercettazioni valorizzate a carico dello ZO. non erano significative (paragrafo 3.6, lett. h), perché generiche (è il caso della conversazione del 26.8.2015 tra Zi. e Ba. nella quale si diceva che So. e Zo. "viaggiavano a braccetto"), ovvero perché inattendibili (in quanto inerenti a conversazioni tenute da soggetto - il d.g. So. - interessato a sminuire il proprio ruolo, coinvolgendo il presidente), ovvero ancora perché inerenti a tematiche differenti dal capitale finanziato (è il caso della conversazione n. . 300 intercorsa tra il d.g. e la segretaria di ZO., relativa all'aumento di capitale). Ora, delle comunicazioni intercettate intrattenute da So. e delle relative affidabilità e concludenza si è già detto, sicché non resta che rinviare alle considerazioni esposte al riguardo. Analoghe considerazioni debbono svolgersi con riferimento alla citata conversazione intercorsa tra il coimputato ZI. e Ba., di significato tutt'altro che vago ed opinabile, considerata la conoscenza che lo ZI., in ragione del ruolo ricoperto, aveva delle modalità operative del presidente; - che la risoluzione del rapporto con il d.g. So. non era stata una iniziativa personale ma era stata preceduta da incontri con PI., GI. e con l'ispettore Ga. e dall'ascolto del parere dei legali Do., An., Am., alla presenza dei consiglieri Br. e Ma.. In ogni caso, come anche diffusamente ribadito nelle "note scritte sulla rinnovazione istruttoria" (cfr, pagg. 33-34), si era trattato di decisione assunta con la necessaria rapidità, nel solco delle indicazioni di Bc., come precisato dal teste An. (cfr, dep. An., udienza 5.7.2022, pag. 31), nell'interesse esclusivo dell'istituto di credito, e nel rispetto delle indicazioni fornite dagli ispettori. Quanto alla clausola di riservatezza era un dettaglio neutro, funzionale ad assicurare il necessario riserbo (paragrafo 3.6, lett. i). Ebbene, anche sul punto non può che rinviarsi a quanto già in precedenza evidenziato in ordine al significativo e pressoché esclusivo protagonismo dell'imputato nella gestione dell'uscita di scena del direttore generale, gratificato con un trattamento economico inspiegabile ed illegittimo, con fa doverosa precisazione che l'acquisizione del parere di alcuni esponenti di vertice del CdA versati in materie giuridiche nulla toglie alla riferibilità allo ZO. delle modalità di definizione dell'accordo. Se, infatti, la decisione di operare una soluzione di continuità può ragionevolmente ricollegarsi anche ai desiderata di Bc., sono le concrete modalità di attuazione dell'allontanamento (e, in particolare, la ricchissima "buonuscita") a legittimare - unitamente, beninteso, al complessivo quadro probatorio disponibile - la interpretazione di tale evento datane dal primo giudice (ovverosia, l'intenzione dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale). E, sul punto, non può non richiamarsi la conversazione intercettata n. progr 271 del 6.9.2015, in precedenza evocata, nella quale si faceva riferimento ad un "patto di non aggressione" stipulato tra ZO. e So.; - che i rapporti intrattenuti con taluni clienti, in realtà, non dimostravano il coinvolgimento del presidente nella vicende gestorie e neppure la conoscenza del capitale finanziato: così era per Pi., a leggerne bene la deposizione ed a valutarne attentamente l'attendibilità; così per Be.De., il quale aveva negato di avere parlato con ZO. delle operazioni correlate, smentendo così quanto riferito, de relato, dal teste Gi.; così per la Ir. e per i fratelli Ra.; così, infine, per Gi.Ro. (paragrafo 3.6, lett. j). Ebbene, anche sul punto si impone il rinvio alle considerazioni in precedenza spese; - che l'imprenditore catanese Co. aveva negato di avere parlato di finanziamenti per l'acquisto di azioni B. con ZO. e che, ogni caso, il presidente, nell'occasione dell'incontro con il predetto Co., si era limitato a dirottare l'interlocutore sul vicedirettore GI. (ancora paragrafo 3.6, lett. j). Al riguardo, osserva questa Corte che l'interlocuzione con l'imprenditore catanese Co. è stata puntualmente ricostruita e convincentemente interpretata dal primo giudice. Il chiamante in correità, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello (nel memoriale e, quindi, nell'esame), ha fornito una versione dell'episodio in questione del tutto coerente con la lettura offertane nella sentenza impugnata. Pertanto, le stringatissime, contrarie dichiarazioni del Co. acquisite nel corso del giudizio di primo grado non valgono ad incrinare tale interpretazione dell'episodio (interpretazione, peraltro - va doverosamente sottolineato - avvalorata dal tenore del fife audio all'uopo valorizzato dal primo giudice, posto che l'invito alla prudenza effettuato dallo ZO. nel corso del colloquio ha senso unicamente ove l'acquisto delle azioni B. richiesto dal Co. avesse dovuto avere luogo proprio attraverso un finanziamento da parte dell'istituto di credito); - che i rapporti intrattenuti, per mere ragioni professionali, con il gestore private Ri., tra i maggiori artefici di operazioni baciate, non implicavano affatto che lo ZO. fosse a conoscenza delle operazioni compiute da costui (paragrafo 3.6, lett. k). Ora è bensì vero che gli stretti rapporti intrattenuti con il gestore private Ri. non implicavano necessariamente che l'imputato conoscesse la tipologia di operatività attuata da tale gestore (uno dei massimi promotori di "operazioni baciate"); trattasi, nondimeno, di legami che rendono certamente ragionevole una siffatta conclusione, peraltro coerente con quanto riferito da Ti.Da. (là dove questi, cliente del Ri., ha dichiarato, ancorché in relazione ad un fatto avvenuto nei primi mesi del 2015, che il predetto gestore gli aveva garantito di avere parlato allo ZO. delle operazioni "baciate" effettuate dal medesimo Ti., ottenendo dal presidente la rassicurazione che tali operazioni sarebbero state "chiuse", secondo la volontà del cliente). In definitiva, riassumendo: la difesa ha sistematicamente valorizzato elementi tutt'altro che legittimanti, in relazione alla posizione dell'imputato ZO., una lettura della vicenda processuale differente da quella accolta nella sentenza impugnata. Non solo, infatti, nessun dato probatorio addotto a sostegno della tesi difensiva è idoneo a dimostrare la asserita inconsapevolezza, da parte dell'imputato, del "capitale finanziato", ma neppure ad inficiare, indebolendola, la capacità dimostrativa degli elementi raccolti a carico del giudicabile, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella posta a fondamento dell'ipotesi d'accusa che sia dotata di minima verosimiglianza. In effetti, non v'è alcuna tra le numerose circostanze evocate nell'impugnazione che si ponga in termini di reale incompatibilità (e, a ben vedere, neppure di significativo contrasto) con l'impostazione d'accusa, neppure quella, pure obiettivamente suggestiva, costituita dalla decisione di investire consistenti risorse personali nelle azioni dell'istituto e dalla quale dovrebbe trarsi, a lume di ragione, la mancata consapevolezza del fenomeno del capitale correlato da parte dell'imputato. A tale ultimo riguardo, invero, è agevole osservare, in senso contrario, che lo ZO. era responsabile da anni, al più alto livello, della guida dell'istituto di credito, avendo ispirato tutta la politica industriale e commerciale di B., all'immagine della quale, peraltro, aveva indissolubilmente legato il proprio prestigio di imprenditore e di vero e proprio "rappresentante" del territorio, l'istituto di credito avendo finito per assumere, nell'immaginario locale, a torto o a ragione, i connotati di una sorta di "istituzione" del luogo. Il giudicabile, pertanto, non era minimamente nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca, pena la plateale sconfessione di tutta la propria gestione e la conseguente denunzia della condizione di crisi insanabile nella quale tale sconsiderata conduzione aveva precipitato l'istituto di credito. Peraltro, non è inutile osservare, sotto tale profilo, che le evidenze istruttorie hanno restituito il quadro di un imputato che, a lungo e fin quasi alle soglie del deflagrare dello scandalo, ha ritenuto di poter traghettare l'istituto al di fuori della situazione di crisi - evidentemente sottovalutata nella sua gravità - che attanagliava B. e, questo, finanche confidando nella propria capacità di orientare, nel senso auspicato, quella radicale riforma del settore del "credito popolare" che, oramai, si prospettava come ineludibile, tenuto conto della situazione di comune difficoltà che attanagliava l'intero comparto. Per contro, la tesi dell'ignoranza, da parte dell'imputato, non solo delle eclatanti dimensioni del fenomeno del capitale finanziato, ma finanche dell'esistenza stessa di detto fenomeno, tesi che si tenta di accreditare nell'atto di impugnazione (nell'evidente consapevolezza, del resto, che una siffatta conoscenza avrebbe comunque integrato i presupposti per l'adozione di doverose contromisure da parte del soggetto cui istituzionalmente competeva la rappresentanza dell'ente e la conduzione del CdA) contrasta radicalmente tanto con le emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice ed in precedenza richiamate, quanto con le evidenze sopravvenute nel corso del giudizio di appello (segnatamente, la chiamata in correità effettuata dal coimputato GI.) e con la relativa, razionale interpretazione. L'unica lettura dei dati disponibili logicamente sostenibile, infatti, orienta univocamente, nei dovuti termini di certezza processuale, nel senso non solo della consapevolezza, in capo all'imputato, della prassi del ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie da parte dell'istituto di credito e delle conseguenti, inevitabili implicazioni delittuose in termini di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, ma anche in quello della cosciente partecipazione dello ZO. a detta operatività delittuosa, in termini di concorso dell'imputato con il d.g., nella decisione di ricorrere a tale prassi nella speranza di superare, in tal modo, la crisi in cui versava B., o comunque, di differirne nel tempo la manifestazione, in tal guisa non compromettendo la propria immagine di presidente simbolo della banca (cfr. in ordine ai requisiti del contributo del compartecipe alla consumazione del delitto di aggiotaggio, consistente anche in un contributo agevolatore tradottosi nel rafforzamento del proposito del correo, Cass. Sez. V, n. 9369 del 20.11.2013, Tonini; ma altrettanto può dirsi, coerentemente con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alle ulteriori ipotesi delittuose contestate). Questo, in considerazione della effettiva co-gestione, da parte dello ZO., dell'istituto di credito, quantomeno con riferimento alle iniziative ed alle decisioni più impegnative, siccome inequivocabilmente delineata dalle acquisizioni istruttorie. 14.1.4.2.3 La partecipazione dello ZO. all'operatività delittuosa: brevi considerazioni conclusive. In altri e decisivi termini - e concludendo sul punto - l'affermazione di penale responsabilità di Zo.Gi. in ordine alla partecipazione del predetto giudicabile alla commissione dei delitti di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto siccome oggetto di addebito non trova affatto semplicistico fondamento nell'astratto richiamo al ruolo di vertice da questi occupato nell'organizzazione gerarchica d'impresa (ovverosia in un elemento che, di per sé, avrebbe potuto unicamente giustificare l'inferenza abduttiva posta a fondamento di una ragionevole ipotesi d'accusa) ed ancora meno, come da ultimo sostenuto dalla difesa (cfr. '"note scritte di discussione", pagg. 47-48), in una acritica adesione, da parte del primo giudice, ad una impostazione d'accusa espressione di una "cripto-contestazione di associazione per delinquere", fondata su elementi evanescenti quali "un alone di generico autoritarismo oppure la "tendenziale nocività per Banca" delle prospettive espansionistiche della strategia d'impresa dell'imputato, bensì riposa saldamente, all'esito della doverosa sperimentazione nell'agone dibattimentale, sull'esito positivo della scrupolosa verifica di siffatta ipotesi. Sono infatti emerse, alla stregua di un variegato panorama probatorio, costituito da elementi logici, dichiarativi e documentali, non solo quella diretta ingerenza dell'imputato nell'attività di gestione dell'istituto di credito che fonda la prova logica delineata sub 14.1.4.2.1, ma anche (in forza di ulteriori, più specifici dati probatori), la effettiva conoscenza e la piena condivisione, da parte del giudicabile, del ricorso ai variegati meccanismi di finanziamento dell'acquisto dei titoli B. attuati dall'alta dirigenza dell'istituto come contromisura per garantire la liquidità del titolo e, più in generale, per assicurare il reperimento del capitale indispensabile onde corrispondere ai requisiti patrimoniali imposti dalla evoluzione della relativa disciplina normativa, al contempo senza rinunziare alla politica di espansione aziendale tenacemente perseguita, contro ogni evidenza, per esplicita volontà dell'imputato medesimo. 14.1.4.3 Il dolo dei reati contestati (terzo motivo di appello). Anche il terzo motivo di impugnazione (numerato sub 4 e trattato alle pagine da 300 a 336 dell'atto di appello e, quindi, compendiato nelle considerazioni conclusive esposte, sul punto, alle pagg. 84 e ss, delle "note scritte di discussione") e specificamente inerente alla contestazione dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito non può trovare accoglimento. In effetti, sul punto l'impugnazione non fa che riproporre, in sintesi, leggendole "attraverso le lenti" del dolo, le ragioni esposte a sostegno del precedente motivo di appello in ordine al difetto di consapevolezza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato e, comunque, dell'entità di tale fenomeno, tale da implicare una alterazione dei coefficienti patrimoniali della banca. Questo, anche sul rilievo della eterogenea natura delle operazioni accomunate nella definizione dì "operazioni correlate" e della difficoltà di esatta definizione del perimetro delle "baciate", perimetro dai consulenti del p.m. individuato in assenza di solidi ancoraggi normativi all'uopo adeguatamente valorizzagli. Ebbene, premesso che, a tale ultimo riguardo, non possono che richiamarsi le considerazioni già spese, sul punto, al precedente paragrafo 12; e considerato, altresì, che questa Corte ritiene di avere testé offerto adeguata contezza della piena consapevolezza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e della vastità delle dimensioni del fenomeno in esame, sono sufficienti, in proposito, considerazioni davvero stringate. In particolare, le argomentazioni spese dal primo giudice in ordine alla conoscenza vaga ed aspecifica di detto fenomeno da parte dei coimputati ZI. e PE. (considerazioni, peraltro, che, come si avrà modo di precisare, non si attagliano affatto alla posizione del predetto PE.) non possono certo essere estese alla posizione del presidente, ove si abbia attenzione al ruolo da quest'ultimo in concreto ricoperto (profilo, questo, che sarebbe davvero ultroneo ripercorrere nuovamente) di soggetto che concorreva, nell'ambito di uno stretto sodalizio operativo con il d.g. So., nella "gestione informata" dell'istituto. In definitiva, l'"avallo" delle decisioni del So. al quale ha fatto ripetutamente riferimento l'appellante, censurando la genericità di siffatta espressione contenuta nell'imputazione, va necessariamente letto, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, nei termini di una vera e propria "copertura", ovverosia di una consapevole approvazione delle scelte operative delittuose che orientavano la gestione del d.g.. E tale, a ben vedere, è stata l'interpretazione offertane dal primo giudice, sicché, nella sentenza impugnata, sul punto, non è dato ravvisare alcuna incertezza. Di qui l'inconsistenza, in punto di fatto, delle obiezioni difensive (astrattamente del tutto condivisibili) in ordine alla necessità che, nell'oggetto del dolo, rientri la conoscenza dei "dati falsi" (e, quindi, dell'esistenza e dell'entità delle operazioni correlate). Certamente, l'imputato non era aggiornato "in tempo reale" dell'esatto ammontare e delle variazioni di tali dati; né, del resto, sarebbe stato possibile che ciò avvenisse (considerazione che vale, peraltro, per lo stesso d.g. So.), trattandosi, com'è evidente, di elementi suscettibili di variazioni continue che non potevano certo essere monitorate ininterrottamente dai vertici aziendali. Tuttavia, la conoscenza, da parte del presidente dell'istituto di credito, dell'entità eclatante del fenomeno in esame (tale da comportare l'alterazione dei valori patrimoniali del bilancio, dei titoli B., delle informazioni contenute nei prospetti relativi agli aumenti di capitale e di quelle fornite alle autorità di vigilanza) è conclusione che non può essere seriamente revocata in dubbio e che necessariamente discende dal pieno, consapevole coinvolgimento di ZO. nella decisione di ricorrere massicciamente al finanziamento dell'acquisto delle azioni B. al fine di evitare la deflaorazione della crisi dell'istituto. Si è infatti trattato - e va ancora una volta ribadito - di una decisione adottata ai massimi livelli della "catena di comando" dell'istituto di credito come unica contromisura praticabile per scongiurare (o, almeno, differire) il default della banca, nella speranza - della quale v'è pieno riscontro proprio nelle parole del presidente ZO. (il riferimento è alla ripetutamente evocata trascrizione della seduta del CdA 511.2013) - che, prendendo tempo, si concretizzasse quella radicale riforma del settore che avrebbe potuto offrire una via d'uscita dalla crisi. E ciò fa giustizia, ancora una volta sul piano della concretezza delle evidenze disponibili, delle considerazioni difensive (acute e, in linea teorica, anch'esse del tutto condivisibili) in ordine alla necessità della effettiva conoscenza del fenomeno in esame e delle sue dimensioni (o, quantomeno, di "precipui e specifici" segnali d'allarme in tal senso) affinché la responsabilità dolosa non degradi in un rimprovero sostanzialmente colposo. Nessuna incertezza è possibile fondatamente nutrire circa la consapevolezza, in capo all'imputato, del massiccio ricorso allo strumento dei finanziamenti correlati. Nessuno stato di dubbio, al riguardo, può anche solo ragionevolmente ipotizzarsi. E, questo, occorre rimarcarlo, in ragione di quel pieno coinvolgimento del presidente nella decisione di ricorrere al capitale finanziato per assicurare la liquidità del titolo B., sostenere il valore dell'azione e recuperare surrettiziamente capitale ai fini del rispetto dei requisiti di vigilanza, coinvolgimento, del quale s'è in precedenza dato conto (senza indulgere affatto - si ritiene - nell'"applicazione pigra" dei "meccanismi presuntivi" denunciati dalla difesa), che inevitabilmente implicava la consapevole, volontaria adesione: - tanto alla diffusione di notizie false ed al compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo B. e, in tal guisa, ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca; - quanto (e conseguentemente) alle condotte decettive poste in essere, nei confronti degli organi di vigilanza, allo scopo di occultare l'esistenza del capitale finanziato, onde potere proseguire indisturbati in tale dissennata prassi operativa. Donde il ricorrere, nell'agire del giudicabile, degli estremi tutti del dolo (peraltro generico, quanto alle fattispecie ex art. 2637, 2638 co.2 c.p. - cfr. con riferimento all'aggiotaggio, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.20122 Ta. e altri, Cass. Sez. III, n. 880 del 17.3.1966, Gualco; specifico, quanto all'ipotesi ex art. 2638 co. 1 c.c. - Cass. Sez. V, n. 21067 dell'11.3.2004, Do., ipotesi, questa, peraltro, non rilevante nel presente giudizio, potendosi ravvisare unicamente la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., come precisato al precedente paragrafo 9) richiesto dalle fattispecie incriminatrici di riferimento. 14.1.4.4 Il trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello) Quanto al quarto motivo di gravame (numerato sub 5 e trattato alle pagine da 336 a 344 dell'impugnazione), inerente al trattamento sanzionatorio, la doglianza è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti. Il tribunale, nel l'orientare l'esercizio della discrezionalità in punto di dosimetria della sanzione, ha valorizzato, quanto allo ZO., il ruolo egemonico da questi esercitato sul management e sugli organi sociali della banca, in ciò individuando le ragioni di una pena base più alta rispetto a quella riservata ai correi. Trattasi di aspetto che non può essere trascurato. Nondimeno, al doveroso apprezzamento della posizione di predominio concretamente rivestita dall'imputato all'interno dell'ente bancario (ben oltre - come s'è visto - rispetto al ruolo, pure apicale, a questi riconosciuto dall'organigramma aziendale) non può non accompagnarsi, nell'ambito di una valutazione debitamente ispirata all'esigenza di calibrare la risposta punitiva al complessivo profilo del giudicabile, la considerazione delle seguenti circostanze. Si è in presenza, anzitutto, di soggetto anziano, immune da pregiudizi di sorta, il quale ha guidato a lungo - e, per molto tempo, con successo - un istituto di credito divenuto, da piccola banca di provincia, uno tra i più importanti enti creditizi del panorama nazionale. Parallelamente, il giudicabile ha esercitato brillantemente, per decenni, senza incorrere in violazioni di sorta, l'attività di impresa in settore tutt'affatto differente. E' certamente vero, poi, che lo ZO., a fronte delle difficoltà ingravescenti nelle quali, dopo la notoria crisi del settore bancario, versava anche B., non ha in alcun modo inteso prendere atto - e in ciò, a ben vedere, va individuata la sua "colpa d'origine" - della necessità dì un serio ridimensionamento delle ambizioni che ne avevano orientato T'espansionistica" politica d'impresa; ed è altrettanto vero che, in luogo di gestire prudentemente tale situazione di difficoltà, ponendo in essere una sorta di "ripiegamento strategico" in attesa di tempi migliori, ha preferito optare, in concorso con il So. e trascinando al seguito l'alta dirigenza della banca, per lo sconsiderato, sistematico ricorso ai finanziamenti correlati (peraltro incrementando una prassi non ignota allo stesso istituto di credito e, più in generale, al circuito delle "popolari"), con tutte le conseguenti implicazioni di penale rilevanza che si sono viste. Tuttavia, l'imputato ha agito in tal guisa essendo sempre convinto - ancorché, da un certo momento in avanti, in modo, obiettivamente, del tutto irrazionale - che il default della banca potesse essere comunque scongiurato e senza mai essere animato (al pari dei coimputati, del resto) da finalità di locupletazione personale. Peraltro, mai il giudicabile ha fatto ricorso a finanziamenti correlati e, anzi - s'è detto anche questo - ha personalmente iniettato liquidità molto consistenti nella banca (sebbene vi sia stato sostanzialmente costretto anche dall'esigenza dì non adottare condotte di "disimpegno", ovvero di tiepida adesione, che sarebbero sinistramente suonate, all'esterno, come inequivoco sintomo di un imminente crollo). Il comportamento processuale, infine, è stato esemplare, avendo costui presenziato a tutte le udienze, nonostante l'età oltremodo avanzata. In definitiva, se la posizione dell'imputato è stata differente rispetto a quella dei correi sotto il profilo della responsabilità delle scelte di fondo (ma non, ovviamente, sotto quello dell'operatività concreta, necessariamente riservata al management), ciò appare comunque "compensato" dalle peculiari caratteristiche soggettive del giudicabile testé evocate (oltre che dal concreto protagonismo dei coimputati nell'attuazione della prassi delle "baciate"). Di qui la irrogazione del medesimo trattamento sanzionatorio riservato ai correi (fatta eccezione per GI. e fatte salve le diversità riferibili, quanto, al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso). Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, GÃ?, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub Al). Questo, con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minora, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4.5 Ancora sul trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello). L'asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale. Le ulteriori doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, formulate con specifico riferimento alla asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale (ed articolate nella "prosecuzione" del quarto motivo di appello, sub 6, alle pagine 346-362 dell'impugnazione), sono infondate. E, sul punto, non può che rinviarsi a quanto già esposto nel relativo paragrafo. 14.1.4.6 La confisca (quinto motivo di appello) Il quinto motivo di appello (trattato al paragrafo 7 dell'atto di impugnazione, alle pagine 363-376 dell'atto di impugnazione) è fondato. Come s'è visto, l'appellante contesta la legittimità della confisca per equivalente - disposta dal tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19) - per una duplicità di, ragioni (peraltro ribadite e compendiate, da ultimo, nella memoria 28.9.2022) e, segnatamente: - in primo luogo, sul rilievo della mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, resistenza di una procedura concorsuale non avrebbe affatto precluso la confisca diretta dei beni della società (Cass. Sez. V, 21.1.2020, n. 5400; Cass. Sez. n. 6391 del 4-18.2.2021), tenuto conto, peraltro, da un lato, che, con riferimento al supposto "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di affermare la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, n. 15776); e, dall'altro, che neppure era dato ravvisare, nell'ipotesi in questione, l'ostacolo della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato, avendo l'istituto di credito pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati; - in secondo luogo (ed in ogni caso) in considerazione del fatto che sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637, 2638 c.c., avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali: la natura sostanzialmente punitiva della confisca (già espressamente evidenziata dal giudice delle leggi, con riferimento all'illecito amministrativo ex art. 187 bis TUF, nella sentenza 112/19) imporrebbe, infatti, l'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento (2641 c. 1, 2 c.c.), con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., esito, questo, del resto, da ultimo avvalorato, come si precisa nei motivi nuovi, dalla recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (là dove è stato escluso che possa disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), essendosi in presenza di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, poi, sarebbe ravvisabile nella "rigidità" del criterio di quantificazione dell'oggetto della confisca, trattandosi di criterio non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, quindi, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Ebbene, se il primo argomento agitato nell'impugnazione è infondato (dovendosi aderire, in presenza di tema controverso nella stessa giurisprudenza di legittimità, all'orientamento incline a ritenere non aggredibili le somme riferibili a B. in quanto non più nella disponibilità della/ società, bensì vincolate dalla procedura concorsuale, con conseguente impossibilità di ablazione in via diretta nei confronti della persona giuridica, da equipararsi ad un soggetto terzo per effetto dello spossessamelo causato dal fallimento (cfr Cass. Sez. II, n. 19682 del 13.4.2022, dep. 19,5.2022 Os. più altri; cfr. altresì, Cass. Sez. 3 -, n. 14766 del 26/02/2020, PM. c/ Sa.Lu., Cass. Sez. 3 n. 47299 del 16/11/2021, Fallimento Be. srl, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018, Cass. Sez. 3, n. 51462 del 04/10/2019, PM in proc. Sa., non mass.), colgono nel segno le ulteriori riflessioni là dove è stata evidenziata la marcata frizione, nel caso di specie, della disposizione ex art. 2641 c.c., con i principi costituzionali. Al riguardo, infatti, deve premettersi che, in forza delle univoche indicazioni fornite tanto dai Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 112/19) che da quello della nomofilachia (cfr. Cass. Sez. V, n. 42778 del 26,5,2017, dep. 19.9.2017, Consoli e altro), costituisce oramai ius receptum il principio secondo il quale, nei reati finanziari, i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni all'origine della commissione delle attività criminose. Sicché le perplessità che pure non sarebbe irragionevole nutrire sul punto (segnatamente, in ragione della obiettiva difficoltà di applicare a tale categoria di reati, connotati da evidenti profili di "immaterialità", una nozione - quella, per l'appunto, di beni strumentali rispetto alla commissione dei reati - che pare presupporre il ben più diretto rapporto di "strumentalità" proprio dei consueti instrumenta sceleris) debbono, necessariamente, essere accantonate. Del tutto fuori discussione, poi, alla luce di approdi oramai condivisi e consolidati della riflessione giuridica in materia, tanto costituzionale (Corte Cost. ordinanza 97/09) che di legittimità (Cass. Sez. Un, 25.6.2009, 38691; Cass. Sez. Un. 31.1.2013, n. 18374, cass. Sez. III, n. 11086 del 4.2.2022, Pu., cass, Sez. III, n. 39950, 8.5.2021, Ca., Cass. Sez. III, n. / 33429 del 4.3.2021, Ub.) è la natura sanzionatoria della confisca per/ equivalente. Ebbene, se tali premesse sono fondate - e, per quanto detto, non pare possibile opinare diversamente - l'obiezione difensiva va condivisa. In effetti, qualora i "beni utilizzati" per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro (peraltro, nella specie, di entità elevatissima) costituenti provviste non già nella originaria disponibilità degli imputati, bensì, come nel caso sub iudice, di soggetto terzo B., disporre la confisca per equivalente nei confronti degli imputati significherebbe adottare un provvedimento sanzionatorio manifestamente sproporzionato, oltre che del tutto disancorato, per l'automaticità del relativo criterio di commisurazione, dal disvalore dell'illecito (nonché dei singoli contributi concorsuali), con conseguente violazione dei principi costituzionali in materia di rieducazione del condannato, essendo ragionevolmente applicabili al caso di specie le riflessioni svolte dalla Corte Costituzionale nella evocata sentenza 112/19 e, più in generale, le considerazioni espresse, in materia di requisiti della pena (segnatamente, con riferimento ai parametri ex artt. 3 e 27, co. 1, 3 Cost.), nelle precedenti pronunce del Giudice delle leggi. In definitiva, a venire in rilievo, nella peculiarità della vicenda sub iudice, ad avviso di questa Corte territoriale, è l'eclatante sproporzione tra l'afflittività insita nel provvedimento ablatorio disposto dal tribunale e la condotta posta in essere dagli imputati, condotta che, per quanto grave, è già adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti. In definitiva, aggiungere alla pena detentiva prevista dalle fattispecie di reato una tanto smisurata sanzione significherebbe "sfregiare" il "volto costituzionale" di quest'ultima, che, per essere effettivamente orientata alla rieducazione secondo le coordinate imposte ex art, 27 Cost., deve necessariamente caratterizzarsi per intrinseci requisiti di proporzione e ragionevolezza. A fortiori ove si consideri che, nel caso di specie, gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato, utilizzando risorse dell'istituto, nell'interesse esclusivo di B. (profilo, questo, che sarà più approfonditamente affrontato nel trattare dell'appello proposto nell'interesse dell'ente), ancorché - come pure è evidente - sì sia trattato di una "lettura" dell'interesse della banca t radicalmente contraria al rispetto di quelle regole di sana e prudente gestione che avrebbero dovuto orientarli nella conduzione dell'istituto di credito. In siffatta prospettiva, quindi, non ogni risorsa economica andrebbe esclusa dal novero "dei beni utilizzati per commettere il reato" suscettibili di confisca per equivalente, bensì le sole somme che, per la loro entità eclatante e, soprattutto, per la loro non riferibilità all'imputato, bensì ad un soggetto terzo, non potrebbero essere apprese, per un ammontare pari al loro valore, senza che ciò implichi l'irrogazione di una sanzione "incostituzionale" per le ragioni anzidette, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio detentivo già direttamente previsto per le fattispecie di riferimento. E, nella peculiare vicenda sub iudice, l'ammontare esorbitante (963,000.000 di euro) dell'importo al quale è stata parametrata la confisca per equivalente - e, quindi, la sproporzione di una sanzione che implicasse, oltre alla irrogazione della sanzione detentiva, anche il suddetto provvedimento ablatorio - è tale da non richiedere ulteriori precisazioni, tanto più ove - nel solco di quanto evidenziato, sia pure con opposta finalità191, dalla parte civile Banca d'Italia - si ipotizzasse di ricorrere all'indice di ragguaglio ex art. 135 c.p.. Operando in tal guisa, infatti, l'importo in questione risulterebbe equivalere ad una durata della reclusione pressoché incalcolabile, immensamente superiore rispetto a quella (30 anni di reclusione, pari a "soli" 2.700.000 Euro circa) prevista dall'ordinamento quale limite massimo della pena detentiva (ad esclusione dell'ergastolo, beninteso), con la conseguenza che la lesione del bene giuridico - pure, com'è evidente, di indubbio rilievo - della tutela della solidità e della affidabilità del mercato e dei sistemi bancari, finirebbe per trovare una risposta sanzionatoria incommensurabilmente superiore a quello della stessa vita (sempre fatta eccezione per le ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo), esito, questo, tanto irragionevole da non richiedere, sul punto, ulteriori commenti. Senza contare, infine, la mancanza dì razionalità e di efficacia (anche sul piano della prevenzione) di una sanzione di fatto inesigibile. Considerazioni più articolate, invece, si impongono con riferimento ai rimedi approntati dall'ordinamento per ricondurre nell'alveo della proporzione la sanzione irrogata. Al riguardo, l'appellante ha suggerito la proposizione di questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, ha sollecitato una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe condurre alla revoca della confisca. Ed è proprio quest'ultima la strada che si ritiene qui praticabile, attraverso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che, come si dirà, conduce alla diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. In proposito, infatti, va precisato che disporre, nel caso di specie, la confisca per equivalente non solo confliggerebbe con i principi costituzionali in precedenza evocati, ma si porrebbe anche in diretto contrasto con quelli convenzionali e, segnatamente, con la disposizione di cui all'art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, disposizione che - veicolata, com'è noto, nell'ordinamento interno attraverso l'art. 117 Cost. - prescrive, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Se ciò corrisponde al vero, la soluzione più appropriata non potrà essere, ad avviso di questa Corte, quella della proposizione di incidente di costituzionalità (peraltro, fino a tempi recentissimi, costantemente ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale là dove l'art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fosse stato evocato per denunziare l'illegittimità di norma non rientrante tra le materie del "diritto europeo" - cfr., da ultimo, sentenza Corte Costituzionale 30/2021), bensì, nel solco della recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte GUE 8.3.2022 nel procedimento C-205/20 (e col conforto dei conformi opinamenti di autorevole dottrina che ha avuto modo di sottolineare la portata radicalmente innovativa di tale pronunzia), la diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. Nella citata sentenza, infatti, mutando il precedente orientamento in materia (espresso da Corte GUE, VA sezione, sentenza C-384/17 nel caso "Li.") la Corte di Lussemburgo ha precisato come, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore "imperativo", spetti al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con l'effetto che, ove non vi sia spazio per procedere a un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, dovrà "disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest'ultimo", in modo da giungere/alla irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano, al contempo, effettive e dissuasive. Né può ritenersi che ostino a tale disapplicazione i principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, ove si consideri, per un verso, che il primo non è affatto compromesso dell'esigenza di adeguare la sanzione secondo le insopprimibili esigenze di proporzione; e, per altro verso, che il secondo costituisce limite invocabile unicamente pro reo (sicché sarebbero evocate davvero a sproposito, nel caso in esame, le pronunce inerenti alla nota vicenda "Ta.", nella quale si discuteva della possibilità di applicare sanzioni penali a carico dell'imputato nonostante fosse maturato il termine di prescrizione del reato secondo le regole del diritto nazionale). Trattasi, peraltro, di interpretazione che, ad avviso di questa Corte, riceve ulteriore conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovra nazionale. Intende farsi riferimento al Regolamento (come tale self executing) 1805/18 UE - peraltro successivo, quanto alla sua entrata in vigore, tanto alla sentenza della Corte Costituzionale 112/19 quanto alle Sentenze Consoli della Suprema Corte, in quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 novembre 2018 ma applicabile dal 19 dicembre 2020 - che, intervenendo in materia di "cooperazione internazionale", ha stabilito un principio di portata generale proprio in tema di confisca, là dove ha previsto quanto segue - nel considerando n. 21, nell'art. 1 par. 3 e nella norma di chiusura contenuta all'art. 41 - in ordine a tutti i provvedimenti giurisdizionali di confisca e di congelamento (id est sequestro) emessi da Stati membri: - considerando n. 21: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, l'autorità di emissione dovrebbe assicurare il rispetto dei " principi di necessità e di proporzionalità. A norma del presente regolamento, un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca dovrebbe essere emesso e trasmesso all'autorità di esecuzione di un altro Stato membro solo se avrebbe potuto essere emesso e utilizzato unicamente in un caso interno, L'autorità di emissione dovrebbe essere responsabile di valutare sempre fa necessità e la proporzionalità di tali provvedimenti, dal momento che il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di congelamento e di provvedimenti di confisca non dovrebbero essere rifiutati per motivi diversi da quelli previsti dai presente regolamento"; - art. 1 par. 3: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità"; - art. 41: "Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati". Si è dunque di fronte all'enunciazione - in forma generale e diretta - dì un principio di proporzionalità che tutti i provvedimenti aventi questa natura debbono rispettare necessariamente. In effetti, tale regolamento 1805/18 UE (oltre a costituire una base normativa in grado di superare la tradizionale obiezione della Corte Costituzionale siccome in precedenza evocata), offre un formidabile riscontro di diritto positivo in ordine alla praticabilità della soluzione, indicata dalla Grande Sezione della Corte GUE nella citata pronunzia, della disapplicazione diretta della norma interna, foriera, ove applicata dai giudici nazionali nel caso oggetto di giudizio, della irrogazione di sanzione sproporzionata. Ora, non sfugge di certo a questa Corte che una siffatta disapplicazione (come segnalato da una autorevole dottrina, peraltro concorde nell'interpretazione della facoltà di diretta disapplicazione di sanzioni penali sproporzionate riconosciuta ai giudici nazionali per effetto della sentenza della Grande sezione della Corte GUE in precedenza evocata) potrebbe essere foriera, nell'immediato, di quelle incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate dalle singole autorità giudiziarie, prive, in quanto tali, di efficacia erga omnes; e che, diversamente, la proposizione di eccezione di incostituzionalità potrebbe consentire alla Corte Costituzionale, che dovesse convenire con il giudice remittente, di intervenire, anche "chirurgicamente", sulla disposizione "incriminata". Nondimeno, si tratterebbe di una soluzione in contrasto quanto enunciato dalla citata pronunzia della Corte GUE, che, nel rispetto del primato del diritto sovranazionale, impone alle autorità giudiziarie nazionali di assicurare che venga data celere attuazione al principio di proporzione del trattamento sanzionatorio. Un ultimo cenno, infine, va dedicato alle ragioni all'origine della decisione di questa Corte di procedere alla integrale disapplicazione della confisca e non già ad una riduzione del relativo ammontare. Ebbene, trattasi dì decisione che si impone proprio in considerazione: - da un lato, della già evidenziata piena idoneità del trattamento sanzionatorio "principale" (quello, per intendersi, costituito dalla sanzione detentiva prevista per i reati in contestazione) ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato nel rispetto della suddetta esigenza di proporzione rispetto alle singole responsabilità; - e, dall'altro lato, dell'assenza di profitto alcuno suscettibile di valutazione economica al quale ancorare l'individuazione di una corrispondente quantificazione dell'importo da sottoporre a confisca che sia stato tratto, oltre che dalla banca (al di là - come precisato dal tribunale - dell'utilità derivante a B. dal reato di cui al capo N1 e già "coperta" dalla confisca disposta, per il corrispondente valore, nei confronti dell'ente, come si dirà più oltre), dagli stessi imputati. Di qui, in accoglimento del relativo motivo di appello, la revoca della confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni di Euro, nei confronti dello ZO. (e dei coimputati). 14.1.4.7 La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (sesto motivo di appello) Sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si rinvia a quanto evidenziato nella relativa ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022. 14.1.5 L'appello nell'interesse di Zi.Gi. L'appello è infondato. La difesa di Zi.Gi., come s'è detto, sostiene che tale imputato non avrebbe fornito contributo alcuno alla commissione dei reati in esame. Questo, sul presupposto che le operazioni di acquisto di azioni B. effettuate dal predetto imputato tanto sul mercato secondario, nel 2012, quanto, l'anno successivo, su quello primario, in sede di Aucap 2013, non rientrerebbero nel novero delle operazioni correlate. Più nel dettaglio, richiamate le considerazioni critiche svolte, sul punto, dai consulenti degli imputati prof. Pe. e prof. Gu. in relazione alla necessità, perché possa ravvisarsi la "correlazione", per un verso, della sussistenza del "nesso teleologico" tra finanziamento ed acquisto dei titoli e, per altro verso, dell'assenza di merito creditizio in capo all'investitore, l'appellante ha in primo luogo contestato, per le ragioni già evidenziate, fa natura correlata dell'operazione di acquisto di azioni B. per il controvalore di 10 milioni di Euro effettuata da Ze. s.r.l. nel 2012. Trattasi di obiezione inconsistente. In effetti, tenuto conto del perimetro delle operazioni correlate siccome tracciato nel relativo paragrafo (là dove si è evidenziato il carattere essenzialmente oggettivo dei parametri interpretativi di riferimento) e rinviando, comunque, con specifico riferimento ai concreti connotati delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. effettuate dallo Zi. con fondi all'uopo messigli a disposizione dall'istituto di credito, a quanto più oltre meglio precisato in proposito nel trattare l'appello proposto dal p.m. (cfr. infra), sono sufficienti, sul punto, le considerazioni che seguono. Innanzitutto, va precisato come la circostanza che il finanziamento di 12,5 milioni di Euro erogato, nel 2012, da B. a Ze. s.r.l. fosse inequivocabilmente finalizzato anche a consentire l'acquisto delle quote di Ar. (per un valore di 2,5 milioni di euro) - il tutto, nelle intenzioni dell'imputato, nell'ambito della programmazione di ulteriori investimenti, peraltro, all'epoca, non ancora definiti (come, del resto, indicato nella relativa "pef") - costituisca elemento palesemente inidoneo ad escludere la natura "correlata" dell'operazione in esame. Questo ove si consideri, per l'appunto, che larghissima parte del credito (10 milioni su 12,5) è stato effettivamente concesso ed utilizzato proprio per l'acquisto di azioni B.. Ciò inequivocabilmente si ricava, innanzitutto, come osservato dal tribunale, dal complessivo tenore delle deposizioni rese dai testi Ma., Ba., Cr. e Ba., le dichiarazioni dei quali, del resto, hanno trovato puntuale riscontro negli elementi di natura documentale, acquisiti al giudizio ed anch'essi puntualmente evocati dal primo giudice. Non v'è dubbio, infatti, che la ricostruzione dell'operazione in questione siccome complessivamente delineata dalle citate deposizioni trovi inequivoco conforto, in primo luogo, nel più favorevole trattamento relativo agli interessi previsti con riferimento alla maggior "quota" di credito destinato all'acquisto dei titoli della banca (rispetto a quelli pattuiti relativamente alla parte di fido concesso per l'acquisto delle quote di Ar.) e, in secondo luogo, nella previsione del relativo "storno". Trattasi, in effetti, di circostanze univocamente dimostrate: - dalla richiesta di storno (peraltro per l'importo, assai consistente, di oltre 112 mila euro); - dal documento "storia azioni "extra" ad aprile 2015" predisposto da Zi.Gi. e contenente un chiaro riferimento alla "doppia contabilizzazione degli interessi"; - dal prospetto riassuntivo estratto dal computer presente presso la sede della predetta Ze. s.r.l.; - oltre che dall'esplicito riferimento alla previsione del relativo rimborso contenuto nelle comunicazioni inviate dalla società dell'imputato, ovverosia da una sequela di convergenti elementi documentali l'esatta interpretazione dei quali è stata puntualmente offerta nella sentenza impugnata che, pertanto, sul punto, va integralmente richiamata. A ben vedere, infatti, le contrarie considerazioni svolte nell'atto di appello (segnatamente, alle pagine 21-23) appaiono davvero pretestuose, ove si consideri: - quanto al tenore degli SMS nn.ri 661 e 665, che, diversamente dalla lettura offertane dall'appellante, si è in presenza di comunicazioni il contenuto delle quali (sms 661, inviato da Gi. a So.; "faccio anche Zi., Ma. d'accordo, Vedi problemi? li fratello ha già in atto operazione"; sms 665, inviato da Ma. a So.; "ti ricordo Zi. di parlarne al presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria"), ove letto alla luce della complessiva prassi operativa disvelata dall'istruttoria dibattimentale - ivi comprese le dichiarazioni, più oltre meglio richiamate, rese dal coimputato GI. (anche con riferimento al ruolo svolto dal MA. nella presentazione delle pratiche di finanziamento inerente alle più consistenti operazioni baciate) - è esattamente coerente con la natura correlata dell'operazione in questione; - quanto alla tabella di cui al citato documento n. 737, per un verso, che il rinvenimento di detto documento nel computer di Ze. s.r.l. priva di ogni rilievo la mancata identificazione del soggetto che ebbe materialmente a redigerlo; e, per altro verso, che il suo contenuto - e, soprattutto, la peculiare natura dell'operazione in questione (trattandosi, secondo l'immaginifico gergo talvolta adottato al riguardo, di c.d., "baciata parziale") - rende davvero trascurabile l'osservazione difensiva - peraltro dall'appellante ancorata alle dichiarazioni del coimputato MA. (cfr, atto di appello, pag. 23) - in ordine alla prassi relativa al riconoscimento di un unico tasso di interesse per ciascuna linea di credito; - quanto alla mail di cui al documento n. 121 della produzione del p.m., che le relative osservazioni difensive (relative, segnatamente, alla possibilità di attribuire significato alla lamentela ivi esposta circa l'imposta di bollo unicamente con riferimento ad una richiesta di mitigazione dei tassi e non già di rimborso degli stessi) hanno assai scarsa rilevanza, posto, da un lato, che dette osservazioni si scontrano con il tenore letterale della comunicazione in questione (che, per l'appunto, contiene un espresso riferimento al "rimborso a suo tempo concordato") e, dall'altro lato, che l'effettivo assetto di interessi concordato aveva ad oggetto l'impegno, per l'appunto, alla integrale restituzione degli interessi (si vedano, sul punto, oltre alle dichiarazioni del GI., più oltre richiamate, le considerazioni svolte, nel trattare l'appello del P.M., con riferimento alla natura delle operazioni concluse dallo ZI. con B.); - quanto, infine, al memoriale redatto dall'imputato di cui al documento n. 731 della produzione del p.m., che le spiegazioni fornite, al riguardo, dallo stesso ZI. in sede di esame (là dove questi ha sostenuto di essere incorso in un errore nella rievocazione dei fatti con riferimento alla loro collocazione temporale), oltre ad essere assai confuse, confliggono, anche in tal caso, con il chiaro contenuto di detto appunto (contenuto, peraltro, del tutto coerente con il tenore della conversazione n. 153 nella quale lo ZI. confermava all'interlocutore Bocca di essere stato finanziato da B. per l'acquisto dì azioni). Del resto, come testé accennato, lo stesso coimputato GI., tanto nel memoriale prodotto nel corso del giudizio di appello quanto nel corso dell'esame svoltosi all'udienza 17.6.2022, ha espressamente confermato il "collegamento" sussistente tra la gran parte del finanziamento in questione (10 milioni di euro) e l'acquisto dei titoli di B. per avere egli stesso sollecitato allo ZI. la conclusione di tale operazione, operazione della genesi e dello sviluppo della quale detta fonte ha offerto una dettagliata ricostruzione. E, con riferimento alle obiezioni difensive in tema di interessi, il propalante, rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, ha precisato, in termini davvero inequivoci, che l'accordo intercorso tra l'istituto di credito e lo ZI. implicava lo storno integrale degli interessi, avendo quest'ultimo aderito alla proposta di acquisto delle azioni all'espressa condizione di non rimetterci alcunché (pur avendo egli espressamente riferito che non intendeva lucrare da detta operazione). Conclusivamente, la circostanza che, nelle intenzioni dell'imputato, le azioni B. che lo stesso ZI. si era determinato ad accettare, aderendo all'invito in tal senso rivoltogli dal coimputato GI., fossero destinate alla successiva liquidazione - e, questo, al fine di ricavarne la liquidità necessaria a concretizzare quelle ulteriori operazioni di investimento (Do., Sa., Ne.) rispetto alle quali, all'epoca, si era ancora in fase di trattativa - non muta affatto la natura "correlata" del finanziamento. Analoghe considerazioni, poi, si impongono in relazione alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 posto che, anche in tal caso, l'imputato ha beneficiato dì un apposito finanziamento (sotto il profilo dell'ampliamento della linea di credito originariamente accordatagli). Di qui l'irrilevanza anche delle ulteriori considerazioni svolte nell'impugnazione (segnatamente, a pag. 20) in ordine all'assenza, con riferimento a tali operazioni, di taluni degli indici usualmente ricorrenti nel fenomeno del capitale finanziato. In definitiva, quindi, non v'è alcun dubbio che l'imputato ha posto in essere operazioni correlate. Né può negarsi che lo ZI., nella sua veste di membro del consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, abbia autorizzato finanziamenti destinati (nell'accezione già precisata) ad operazioni correlate. Infine, neppure può contestarsi che si sia obiettivamente trattato, nel complesso, di comportamenti che, di fatto, sono andati ad inserirsi in quella più vasta e strutturata operatività, posta in essere dai vertici operativi dell'istituto di credito, tesa alla manipolazione del mercato, la ricaduta della quale si è poi tradotta anche nell'occultamento alle autorità di vigilanza di quanto, da tempo, andava accadendo nella dissennata gestione dell'istituto di credito. Ne discende che le condotte che radicano, sotto il mero profilo della materialità degli accadimenti, gli addebiti elevati a carico dello ZI. risultano indubbiamente sussistenti. In effetti, l'invocata, radicale estraneità dell'agire dello ZI. - nelle sue coincidenti vesti di consigliere di amministrazione dell'istituto di credito berico e di investitore coinvolto in "operazioni baciate" - alla manipolazione del mercato ed al conseguente sviamento delle attività di vigilanza non trova, sotto il profilo fattuale, riscontro in atti, risultando piuttosto provato l'esatto contrario, pur nei ristretti limiti delineati nelle imputazioni di riferimento. A ben vedere, una volta chiarita la natura correlata delle consistenti operazioni di acquisto/sottoscrizione di titoli B. effettuate dall'imputato (analogamente al fratello), neppure può fondatamente dubitarsi che una i tanto consistente partecipazione al "capitale finanziato" da parte di membro del Cda, peraltro per importi - e trattasi di profilo tutt'altro che irrilevante - di molto superiori a quelli relativi alle analoghe operazioni poste in essere da altri consiglieri non esecutivi (le pur consistenti operazioni riferibili ai consiglieri Do. e Mo., infatti, sono significativamente inferiori), possa essere stata interpretata, dalle varie componenti della struttura amministrativa della banca, come una forma di "avallo" della prassi esistente in tal senso. Questo, proprio in ragione del ruolo rivestito dallo ZI. all'interno della compagine societaria e dell'ammontare considerevole delle operazioni correlate da questi poste in essere. Aggiungasi che l'imputato (al pari degli altri consiglieri, peraltro) ha ripetutamente "ratificato" le proposte di finanziamento destinate all'esecuzione di operazioni baciate (interamente, ovvero parzialmente), donde, anche sotto tale profilo, la possibilità di ravvisare, di fatto, un contributo causalmente efficiente rispetto alla attuazione del disegno manipolativo concepito dai vertici aziendali. Così come, nell'approvare, sempre nella sua veste di membro del CdA, talune comunicazioni destinate alle autorità di vigilanza dal contenuto decettivo egli ha parimenti contribuito, sempre sul piano squisitamente fattuale, a vanificarne l'attività di controllo. Donde il difetto dei presupposti per la modifica della formula assolutoria adottata, per difetto dell'elemento soggettivo dei reati contestati, dal primo giudice (sul rilievo di quelle specifiche considerazioni che saranno più oltre oggetto di approfondimento in sede di valutazione dell'appello proposto dal p.m."). 15 Gli appelli del P.M. 15.1 L'appello inerente alla posizione di Zi.Gi. L'appello è infondato. Al riguardo, è d'uopo la premessa che segue. Si è già avuto modo di precisare che il tribunale ha affermato la natura/ correlata delle operazioni effettuate da Zi.Gi. per il tramite di Ze. S.r.l. e, segnatamente, dell'acquisto di azioni B., effettuato, nel 2012, impiegando in larga parte un fido di 12,5 milioni di Euro appositamente concesso dalla banca, nonché della sottoscrizione di titoli B. in occasione dell'aumento di capitale 2013 per effetto di una apposita estensione del fido, pari a 1,5 milioni di Euro. Trattasi di una ricostruzione che il primo giudice ha saldamente ancorato, come detto, ad una pluralità di convergenti elementi probatori, di natura testimoniale (in particolare, le deposizioni dei testi Ba., Cr. e Ba.), tecnica (la consulenza dei cc.tt. del P.M.), documentale (la richiesta di storno; l'annotazione redatta da Zi.Gi.; il prospetto riassuntivo estratto dal computer della segretaria di Ze. s.r.l. il contenuto dell'e-mail inviata dalla segretaria di Ze. s.r.l., Ca.Ro. alla filiale B. di cui al documento n. 121; il pro-memoria redatto dallo stesso imputato), nonché al tenore della conversazione telefonica n. 153 (sostanzialmente "confessoria") intercorsa tra tale imputato e l'interlocutore Lu.Bo. e, infine, alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale. A tali evidenze probatorie ed in assoluta coerenza con le stesse, poi, deve aggiungersi l'elemento sopravvenuto costituito dalle recenti propalazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal coimputato GI. in occasione dell'esame reso all'udienza 17.6.2022, là dove costui, nel rendere completa confessione (così ampliando, precisando e, su taluni punti essenziali, rettificando quanto già riferito in sede di esame svolto innanzi al tribunale di Vicenza) ha puntualmente rievocato anche l'operazione relativa all'erogazione del finanziamento da 12,5 milioni effettuato in favore dello ZI. (operazione al dichiarante ben nota per averla egli direttamente proposta all'interlocutore), ribadendone, con puntuali riferimenti concreti, la natura correlata. Ebbene, questa Corte ha già evidenziato come, in presenza di tali, convergenti emergenze istruttorie, le osservazioni critiche mosse dalla difesa di Zi.Gi. non consentano affatto di contestare, con il benché j minimo fondamento, la natura correlata delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. concluse dal predetto giudicabile. Va decisamente escluso, infatti, che il ricorrere di un interesse personale dell'imputato - tanto se di natura economica (per vero, nel caso in questione, insussistente), quanto se di altra tipologia (ivi compreso, quindi, l'obiettivo "politico" di acquisire una importante partecipazione in vista di una eventuale - scalata" alla presidenza dell'istituto) - che fosse concorrente con quello di favorire la banca (fornendole, con l'acquisto di un consistente pacchetto azionario, un apprezzabile ausilio nella circolazione/collocazione delle azioni) valga a relegare al di fuori del perimetro del "capitale finanziato" le operazioni di acquisto delle azioni che fossero state realizzate impiegando risorse erogate dallo stesso emittente dei titoli. Sul punto, pertanto, non può che rimandarsi a quanto già argomentato su tale specifico argomento, onde evitare ripetizioni che sarebbero davvero superflue. Ciò posto, il giudice di prime cure ha escluso la responsabilità penale dello ZI. ravvisando il difetto di consapevolezza, in capo a costui, della diffusività del ricorso al meccanismo del capitale finanziato. Questo, non solo in considerazione dell'accertata estraneità del predetto rispetto alla concertazione, intercorsa ai massimi livelli dell'istituto di credito, delle condotte di manipolazione del mercato e di sviamento delle autorità di vigilanza, ma per la dirimente ragione rappresentata dall'assenza di elementi che inducessero a ritenere, nei dovuti termini di univocità, che il predetto imputato versasse, sotto il profilo della consapevolezza di tale operatività delittuosa, in una situazione significativamente differente rispetto a quella, assolutamente vaga e generica, in cui si trovavano altri membri del CdA, taluni dei quali, pure, avevano posto in essere analoghe operazioni correlate. In effetti, nella prospettiva del tribunale, solo una situazione di effettivo e precipuo allarme in ordine ad attività delittuose "in itinere" avrebbe consentito di ravvisare gli estremi della penale responsabilità, peraltro sulla base di un inquadramento di tale responsabilità - ovverosia ex art. 40 c.p. - esorbitante rispetto al perimetro dell'imputazione, in effetti espressione di un addebito che - pur scontando taluni profili di ambiguità inevitabilmente derivanti della portata semantica di taluni vocaboli all'uopo adottati (intende farsi riferimento, segnatamente, all'impiego del verbo "avallava", ovverosia di un termine che implica anche, in certo qua) modo, profili di tolleranza dell'altrui agire) - è stato dalla pubblica accusa elevato con riferimento ad un concorso mediante condotta commissiva. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte del P.M. sul rilievo, in primo luogo, dell'asserita erronea individuazione dei criteri che avevano fondato l'imputazione di responsabilità penale: - da un lato, infatti, secondo l'impostazione d'accusa, l'imputato, membro del CdA, concludendo egli stesso "operazioni baciate" avrebbe "avallato" la prassi illecita del capitale finanziato, così contribuendo a rassicurare i dipendenti dell'istituto dì credito circa l'esistenza di "una copertura da parte dell'organo amministrativo"; - e, dall'altro lato, proprio in quanto componente del consiglio, deliberando la concessione dei finanziamenti che avevano reso possibili tali operazioni ed approvando i documenti e le comunicazioni inviate agli organi di vigilanza, lo stesso giudicabile avrebbe concorso nella perpetrazione dei delitti di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. E' stato sulla base di tale impostazione d'accusa, quindi, che il p.m., appellante ha ripercorso le acquisizioni istruttorie lamentandone la mancata valutazione "sintetica" da parte del giudice di prime cure; sostenendone, per contro, l'idoneità a fondare l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; ed invocando - infine e conseguentemente - la riforma della sentenza impugnata. In effetti, come questa corte ha già avuto modo di precisare nell'ordinanza adottata in esito alle richieste istruttorie, l'appello proposto avverso l'assoluzione di Zi.Gi. ha espressamente sollecitato il giudice del gravame ad operare quella lettura complessiva dell'intero compendio probatorio disponibile asseritamente omessa dal primo giudice, il quale, nella prospettiva dello stesso appellante, ne aveva unicamente offerto una (peraltro pertinente, ad avviso della stessa pubblica accusa) valutazione analitica. Tanto premesso, ritiene questa Corte che difettino i presupposti per l'invocata riforma della sentenza impugnata. Per vero, ove si abbia la dovuta attenzione: - per un verso, alla natura assolutamente specialistica delle tematiche coinvolte dalla regiudicanda (e, sul punto, non può non rimandarsi a quanto già ripetutamente evidenziato, oltre che nei precedenti paragrafi, nella trama argomentativa della sentenza impugnata, segnatamente in ordine al perimetro ed alle caratteristiche delle operazioni correlate ed alle conseguenti implicazioni in punto di disciplina prudenziale); - per altro verso, al ruolo concretamente rivestito dall'imputato all'interno della compagine dell'istituto di credito (trattandosi di consigliere di amministrazione privo di deleghe operative); - e, per altro verso ancora, al concreto, peculiare atteggiarsi delle dinamiche gestionali della banca in questione, caratterizzate, da un lato, dalla rigorosa delimitazione ai livelli apicali della presidenza e del management più elevato della compiuta conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e delle conseguenti determinazioni operative; e, dall'altro (come peraltro già stigmatizzato dalla Banca d'Italia all'esito di precedenti verifiche), da quell'atteggiamento di sconcertante passività e totale accondiscendenza del consiglio di amministrazione (fatte salve talune, sporadiche eccezioni) che si traduceva, all'esito di un simulacro di discussione, in approvazioni unanimi delle proposte presidenziali, deve necessariamente convenirsi con le conclusioni cui è pervenuto il tribunale. Trattasi, a ben vedere, di conclusioni che, ben lungi dal costituire l'esito di un apprezzamento meramente "parcellizzato" delle prove disponibili (ovverosia, come sostenuto dall'appellante, di una valutazione atomistica illogicamente sottratta ad una successiva visione d'insieme), rappresentano l'unico approdo coerente con il rigoroso standard probatorio idoneo a legittimare, nei dovuti termini di tranquillante certezza, l'affermazione di penale responsabilità. In effetti, le circostanze valorizzate nell'impugnazione e, segnatamente: - la natura correlata tanto dell'operazione effettuata nel novembre del 2012 tramite Ze. S.r.l., peraltro caratterizzata dalla significativa entità, pari a 10 milioni di Euro, del relativo ammontare (dei 12, 5 milioni erogati, infatti, solo 2,5 milioni erano stati impiegati per rilevare le quote della società Ar., la restante parte venendo destinata all'acquisto di azioni dell'istituto), quanto dell'ulteriore dell'operazione relativa alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 per il tramite di un apposito incremento della linea di credito già in essere; - i vantaggi riconosciuti all'imputato in relazione alle citate operazioni correlate, segnatamente con riferimento agli interessi praticati dall'istituto di credito (stante la differenziazione tra quelli relativi, da un lato, alla parte di finanziamento impiegato per l'acquisto delle azioni B., in ordine ai quali era anche previsto il rimborso e, dall'altro, alla quota di fido concesso per rilevare la partecipazione in Ar.); - la circostanza che analoghe operazioni fossero state poste in essere dal fratello dell'imputato, Gi.Zi., e che anche quest'ultimo avesse fruito di un trattamento di favore (a tale ultimo riguardo, il riferimento è all'"annullamento" dell'operazione ed agli "storni" di interesse formalmente applicati); - il fatto che il giudicabile, con ogni probabilità, fosse consapevole dell'esistenza di ulteriori soci finanziati dall'istituto di credito i quali, peraltro, traevano vantaggi da tali operazioni (tanto da essersi preoccupato di precisare, in occasione dell'adesione alla proposta di "baciata" da 10 milioni di Euro, come non fosse sua intenzione "guadagnare" alcunché, evidentemente alludendo, con tale precisazione, alla volontà di differenziarsi dagli altri investitori che, al contrario, da tale tipologia di operazioni traevano profitto); - il trattamento di favore che egli aveva rivendicato come una sorta di contropartita della pregressa disponibilità manifestata nel concludere operazioni correlate allorquando, successivamente, nel dicembre del 2014, aveva richiesto ed ottenuto da B. un finanziamento senza garanzia (intende farsi riferimento al prestito inerente all'operazione poi effettuata con Ub. descritta dal teste Vi., allorché questi ha ricordato come l'imputato gli avesse riferito che il finanziamento gli era stato concesso da B. perché aveva un "credito nei loro confronti sicché l'operazione "gli era dovuta"); - la censurabile sottovalutazione della vicenda relativa alla mail inviata da Mi.Ga., valgono bensì a dimostrare come Zi.Gi. avesse contezza della sussistenza della prassi, più o meno diffusa, circa la concessione, da parte dell'istituto di credito vicentino, di finanziamenti destinati, in tutto o in parte, all'acquisto di azioni proprie della banca (ed il tenore delle conversazioni nn.ri 222 e 543 richiamate dal p.m., in effetti, orienta certamente in tal senso, ma non prova nulla di più), ma non consentono affatto di concludere che lo ZI. fosse consapevole dell'entità del fenomeno del capitale finanziato neppure in termini di ordine di grandezza approssimativo e, soprattutto, delle conseguenti implicazioni sul bilancio (e, segnatamente, sul regime prudenziale dell'istituto di credito). E men che meno legittimano la conclusione che il medesimo imputato - sempre che fosse a specificamente informato della sussistenza degli obblighi di decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie dal patrimonio di vigilanza/fondi propri - fosse poi cosciente dell'effettivo mancato rispetto della normativa prudenziale in questione. In effetti, va ancora una volta precisato che la conoscenza dell'esistenza di una prassi, più o meno diffusa, in ordine al "capitale finanziato" (conoscenza che, nelle sue linee generali, come si è più volte evidenziato, era evidentemente ben nota all'interno dell'istituto di credito, specie nella catena della "rete commerciale", se non altro per l'esigenza che le decisioni di vertice sul collocamento delle azioni si traducessero in concrete, ramificate operazioni di collocamento dei titoli presso la clientela) costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per desumere la consapevolezza dell'esistenza di una strutturata attività di manipolazione dei titoli B., posto che tale consapevolezza avrebbe richiesto anche la disponibilità di informazioni adeguate in ordine all'entità del fenomeno in esame, alla conseguente incidenza sul valore dell'azione ed alle sue ricadute concrete sotto il profilo del patrimonio di vigilanza/fondi propri). E, questo, a tacere del fatto che, sul piano logico, sarebbe difficilmente comprensibile la decisione, specie se adottata da un attento investitore professionale quale Zi.Gi., di acquisire (ancorché tramite finanziamento senza interessi, pur sempre implicante l'obbligo di restituzione del capitale erogato) una partecipazione azionaria tanto consistente (a fortiori nell'ottica di una scalata alla presidenza) ove costui fosse stato realmente consapevole sia della effettiva e non transeunte situazione di illiquidità del titolo sia, più in generale, della precarietà delle condizioni patrimoniali della banca. Al profilo di tale imputato, infatti, non possono certo attagliarsi le considerazioni che, al contrario, ben si addicono alla posizione del coimputato ZO. (nell'impugnazione del quale - come s'è detto - sono stati rivendicati gli ingenti conferimenti di capitale effettuati, peraltro integralmente con risorse del giudicabile, nell'acquisto di azioni dell'istituto, ritenendoli sintomatici di atteggiamento ispirato da buona fede). Se, infatti, il presidente di B. non era affatto nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca per le decisive ragioni personali di cui s'è detto, la posizione di Zi.Gi., sul punto, era di tutt'altra natura, non avendo egli affatto legate, a differenza dello ZO., la propria persona e le proprie prospettive imprenditoriali in modo indissolubile alla banca (nella quale rivestiva un ruolo bensì importante, ma non certo rappresentativo). Trattasi, a ben vedere, di differenza tanto evidente da non richiedere ulteriori considerazioni. E' bensì vero che le emergenze istruttorie - ivi compreso quanto riferito dal coimputato GI. nel corso dell'esame reso in sede di giudizio di appello - hanno consentito di verificare come l'esistenza di tensioni sul mercato secondario dei titoli di B. fosse questione che, come da ultimo precisato dal propalante, ripetutamente era stata trattata in CdA ed evidentemente rappresentata all'imputato (o, comunque, dallo stesso ZI. certamente intuita al momento della proposta avanzatagli di concludere l'operazione "baciata" del 2012, posto che, in difetto, non avrebbe avuto alcun senso detta sollecitazione all'acquisto dei titoli e tenuto conto che, come pure s'è avuto modo di apprendere dall'istruttoria dibattimentale, sino agli anni 2008-2010 le azioni B. erano molto richieste dal mercato, tanto che il ricorso alle "baciate" era puramente occasionale e dettato da ben differenti finalità). In effetti, l'ascolto, effettuato all'udienza in data 17.6,2022, della registrazione dell'intervento effettuato dall'imputato ZO. nel corso della seduta del CdA 5.11.2013 non lascia adito a dubbi, stanti i palesi ed insistenti riferimenti in proposito, ivi compreso quello, effettuato dal consulente di B., Gi.Fa. ed in precedenza evocato, in ordine ad una probabile sopravvalutazione del prezzo dell'azione (cfr. pag. 7 della relativa trascrizione, effettuata a cura della difesa ZO. e da essa prodotta alla stessa udienza del 17.6.2022). Nondimeno, proprio per la sorprendente, ma verificata superficialità delle modalità di funzionamento di tale organo collegiale - modalità che, in effetti, sono state ripetutamente evidenziate, da ultimo dal coimputato GI. nel corso della sua più recente escussione (e che, peraltro, hanno fondato, nei confronti di numerosi componenti del medesimo consesso oltre che del collegio sindacale, l'irrogazione di sanzioni amministrative la legittimità delle quali è stata recentemente confermata dalla suprema Corte) - va escluso che i consiglieri di amministrazione fossero stati messi a parte, per ragioni legate all'ufficio ricoperto, delle effettive condizioni nella quale versava l'istituto di credito in relazione al tema del capitale finanziato e delle conseguenti implicazioni operative. Questo, anche tenuto conto, con specifico riferimento al tema costituito dal valore dell'azione B., dell'esistenza di una perizia di stima che, anche per la sua provenienza da uno dei massimi esperti in materia, appariva assolutamente tranquillante. Con particolare riguardo alla posizione del predetto ZI., poi, una siffatta, puntuale conoscenza neppure risulta aliunde acquisita. In particolare, trattasi di consapevolezza che non può automaticamente desumersi dal fatto che costui, all'atto della conclusione delle "operazioni baciate" del 2012 e del 2013, avesse agito "per fare un favore alla banca". Difettano, invero, univoche evidenze del fatto che il giudicabile avesse contezza non già di una situazione, più o meno temporanea, di difficoltà di funzionamento, rispettivamente, del mercato secondario e di quello primario, bensì dello stato di effettiva illiquidità del titolo azionario e della (conseguente) incapacità della banca di incrementare le proprie risorse in sede di aumento di capitale, ovverosia dì quella situazione complessiva di crisi strutturale che era intenzione dell'alta dirigenza dell'istituto sterilizzare ed occultare proprio attraverso il sistematico, perverso ricorso al capitale finanziato. In altri e decisivi termini, non v'è prova del fatto che lo ZI. disponesse di elementi di conoscenza, sul punto, significativamente maggiori rispetto a quelli in possesso dei "colleghi" consiglieri. Al riguardo, infatti, non assume particolare significato il radicato collocamento dell'imputato nel tessuto imprenditoriale vicentino (in quanto già presidente della articolazione territoriale di Confindustria), essendosi in presenza anche in tal caso, di uno status (quello di soggetto intraneo al locale ambiente economico-finanziario) non sostanzialmente difforme rispetto a quello dei restanti componenti del Consiglio, parimenti ben introdotti nel circuito d'impresa e, taluni, finanche dotati di competenze specialistiche di assoluto rilievo. Né può attribuirsi eccessivo rilievo - men che meno al fine di farne discendere una sostanziale differenza di posizioni tra lo ZI. e gli ulteriori esponenti del Consiglio di amministrazione di B., parimenti finanziati dall'istituto di credito - alla circostanza che l'imputato fosse un imprenditore aduso ad operare investimenti sui mercati finanziari con conseguente conoscenza dei "fondamentali" in materia. Questo, solo a considerare che, all'interno del medesimo CdA, v'erano soggetti, come testé evidenziato, le competenze tecniche dei quali erano decisamente superiori rispetto a quelle dello stesso giudicabile e che, nondimeno, sono stati convincentemente ritenuti dalla medesima autorità giudiziaria vicentina (si veda il provvedimento di archiviazione adottato su richiesta della stessa Procura berica, pur consapevole degli addebiti e delle sanzioni applicate dall'autorità amministrativa nei confronti di altri componenti del Consiglio di Amministrazione) privi di una chiara visione del fenomeno in esame, con conseguente archiviazione delle relative posizioni (cfr. ordinanza di archiviazione GIP tribunale di Vicenza 30.3.2022, prodotto dalla difesa dell'imputato PE. in allegato alla memoria 12.5.2022 in materia di rinnovazione istruttoria). In altri termini, il panorama probatorio che viene restituito dall'istruttoria dibattimentale (anche alla luce dell'implementazione avvenuta in sede di appello) dimostra: - per un verso, l'effettiva esecuzione, da parte dell'imputato, di operazioni correlate (come, del resto, da questi "ammesso" nel pro-memoria rinvenuto, in sede dì perquisizione, nei supporti informatici dell'imputato e relativo alla ricostruzione dell'incontro che il predetto aveva avuto il giorno 8 maggio con il presidente ZO., presenti il vicepresidente Br. e l'avv. Am.); - e, per altro verso, la consapevolezza, in capo al medesimo giudicabile, che la banca versasse, in quello specifico frangente (e, più in generale, nel periodo, in cui si collocano i fatti sub iudice), in una condizione di difficoltà (peraltro comune all'intero settore del credito) e, pertanto, avesse necessità dì un sostegno nell'assicurare una adeguata circolazione delle azioni, ma non consente affatto di concludere che il medesimo ZI. ritenesse che tale necessità fosse strutturale e non transeunte (e, più specificamente, che non derivasse, almeno significativamente, da un aumento di richieste dì vendita da parte degli azionisti legate ad un contesto dì difficoltà economica generale conseguente alla crisi internazionale in atto e non già ad una situazione di strutturale illiquidità del titolo che aveva cessato di essere appetibile per ragioni "intrinseche") e, soprattutto, che all'esecuzione di siffatte operazioni correlate non conseguisse la dovuta attuazione delle "contromisure" prudenziali ed il conseguente rispetto della disciplina inerente ai rapporti con gli enti di vigilanza. Le conversazioni intercettate che hanno visto coinvolto l'imputato212, del resto, specie se doverosamente analizzate nella loro complessiva significazione, restituiscono l'immagine di un soggetto non solo sinceramente preoccupato per le sorti dell'istituto di credito, ma anche, ed è quel che più rileva (visto che nessuno dei coimputati ha operato scientemente per pregiudicare la sorte della banca, essendo stati, piuttosto, tutti animati dalla intenzione di traghettare l'istituto di credito fuori dalle secche della crisi, anche a costo di perpetrare i reati sub iudice), effettivamente incredulo delle dimensioni e delle implicazioni del fenomeno del capitale finanziato. Aggiungasi che lo stesso coimputato GI., pur molto severo, anche nei giudizi da ultimo resi, nei confronti, tra gli altri, dei componenti del CdA di B., ha bensì evidenziato come costoro, ai quali non era ignota l'esistenza delle operazioni correlate, fossero nelle condizioni, ove realmente interessati, di approfondire il tema in esame e, così, di giungere a comprendere gli esatti termini della crisi nella quale versava l'istituto di credito; tuttavia, non ha affatto riferito di una effettiva consapevolezza, in capo a costoro, della esatta j dimensione del fenomeno, né dell'omessa decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti. In definitiva, gli elementi disponibili, anche ove doverosamente sottoposti alla valutazione d'insieme sollecitata dalla pubblica accusa (valutazione, peraltro - va doverosamente precisato - che non è stata affatto omessa dal primo giudice), sono tutt'altro che sintomatici di quella conoscenza approfondita non solo della sistematicità e della complessiva entità delle operazioni correlate effettuate presso B. ma anche - e soprattutto - delle conseguenti implicazioni sui coefficienti patrimoniali prudenziali che costituiscono l'indispensabile presupposto della reale comprensione, da parte dell'odierno giudicabile, del fatto che, presso B., fosse in atto una prassi operativa di sistematica manipolazione del mercato e di conseguente occultamento alla vigilanza di quanto, sul punto, andava accadendo. Di qui l'impossibilità dì ravvisare nelle operazioni di capitale finanziato poste in essere dallo ZI. la inequivoca dimostrazione dì una volontaria adesione e di una consapevole, fattiva partecipazione alle attività delittuose che radicano le imputazioni di riferimento, con conseguente impossibilità dì riconoscere, alla base dell'agire dell'imputato, la sussistenza dell'indispensabile "dolo di partecipazione". Non ignora questa Corte come non sia affatto necessario, per affermare la penale responsabilità del compartecipe, che questi abbia previamente concertato con i concorrenti l'attività delittuosa, né che egli abbia avuto contezza dell'esatta identità dei correi e neppure delle specifiche modalità esecutive della condotta delittuosa nel suo complesso; nondimeno, è pur sempre necessario che costui abbia avuto la consapevolezza di agire, in comune, per una finalità unitaria e conoscendo, quantomeno a grandi linee, il ruolo svolto dagli altri partecipi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Am., Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Ca. e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri) o, comunque, che egli abbia, anche solo unilateralmente (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018, I.), deciso di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (peraltro tale da includere, quanto al reato ex art. 2638, co. 2 c.c., la realizzazione dell'attività di ostacolo, specificamente oggetto di dolo). Ebbene, trattasi di requisiti che, nella specie, non sono affatto ravvisabili con riferimento alla posizione dello ZI.. E' solo per completezza, quindi, che si precisa (analogamente a quanto effettuato dal giudice di prime cure nell'ampia digressione contenuta alle pagg. 771-773 della sentenza impugnata) che a non diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l'addebito elevato a carico dell'imputato dovesse essere ricondotto al paradigma ex art, 40 cpv. c.p. (riferimento, questo, in ogni caso, estraneo rispetto al perimetro dell'imputazione - come, peraltro, ulteriormente si ricava dalle puntualizzazioni effettuate, con riferimento al criterio di imputazione della responsabilità penale sotteso all'impostazione d'accusa, dallo stesso P.M. appellante - donde la natura di mera precisazione delle presenti considerazioni). L'evidenziata assenza di elementi univocamente sintomatici della consapevolezza, in capo allo ZI., di una attività, in itinere, di manipolazione del titolo e del mercato e di una conseguente azione di sviamento della vigilanza, infatti, escluderebbe in ogni caso la sussistenza del presupposto per ravvisare, a carico del giudicabile, una responsabilità omissiva di rilievo penale. Pertanto - e concludendo sul punto - difettano, ad avviso di questa Corte, margini di sorta per l'invocata riforma della pronunzia assolutoria impugnata (cfr. sulla necessità, in tal caso, di motivazione rafforzata, da ultimo, Cass. Sez. IV n. 2474 del 15.10.2021 dep. 21.10.20121, Ma., Cass. Sez. IV, n. 24439 del 16.6.2021, dep. 22.6.2021, Fr.), pronunzia che, anzi, appare pienamente persuasiva, in quanto coerente con una attenta valutazione (tanto analitica quanto sintetica) del complessivo compendio probatorio disponibile. 15.2 L'appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Come s'è detto, il P.M. ha proposto appello avverso la sentenza che ha mandato assolto Pe.Ma. per difetto dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, censurandone il percorso argomentativo sul rilievo: - per un verso, della mancata debita considerazione, da parte del primo giudice, dì talune evidenze probatorie dalle quali sarebbe stato possibile desumere la consapevolezza, in capo al giudicabile, del radicato ricorso al finanziamento degli acquisti delle azioni B. (segnatamente, nell'ordine: la partecipazione alla seduta del comitato di direzione 8.11.2011; il coinvolgimento dell'imputato nelle ulteriori sedute degli organi collegiali manageriali della banca nei quali si affrontava, sotto diversi profili, il fenomeno del capitale finanziato; gli esiti delle attività di intercettazione telefonica ed il contenuto delle comunicazioni SMS; le dichiarazioni rese dal responsabile Audit Bo. in occasione della riunione indetta dal d.g. So., nel febbraio 2015, in vista dell'avvio dell'ispezione Bc.; il tenore della discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 10.11.2014); - e, per altro verso, della sopravvalutazione di elementi probatori asseritamente a discarico ("episodio KP."; le deposizioni dei colleghi Fa., Tr., Mo. e Li.; la condotta tenuta dall'imputato in relazione alla disclosure inerente ai fondi At. ed Op.; e, infine, la valutazione espressa dal medesimo PE., in sede di CdA 1.4.2014, in ordine alla stima del valore dell'azione proposta dal prof. Bi.). Conseguentemente, l'impugnazione ha proposto una rilettura critica di tali snodi dell'istruttoria dibattimentale idonea, ad avviso dell'appellante, a legittimare il ribaltamento della decisione assolutoria adottata dal primo giudice, donde le coerenti conclusioni rassegnate dalla pubblica accusa con richiesta di condanna del PE. in relazione a tutti i reati ascrittigli. Sul punto, non può che rimandarsi a quanto esposto saprà, là dove sono state ripercorse le argomentazioni svolte a sostegno del gravame, con la doverosa precisazione che agli elementi valorizzati dal p.m. nell'atto di appello si sono poi aggiunte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI.. L'appello è fondato. Al riguardo, va sin d'ora precisato che, ai fini della corretta lettura del ruolo svolto dal PE. nei fatti per cui è processo, assume dirimente rilievo il tema della consapevolezza, in capo a costui, della risalente prassi del ricorso al capitale finanziato da parte del management di B., prassi che - s'è detto anche questo - inizialmente invalsa per raggiungere l'obiettivo di svuotamento del fondo azioni proprie ai fini di dimostrare elevati standard di efficienza gestionale era poi divenuta essenziale per corrispondere all'esigenza, via via sempre più pressante, di assicurare la liquidità del titolo, il tutto senza rinnegare le politiche di espansione tenacemente perseguite dal presidente ZO.. Solo qualora fosse provata tale conoscenza avrebbe senso - com'è evidente - interrogarsi sulla cosciente e volontaria adesione a siffatta operatività, E' essenzialmente sul versante della conoscenza dell'esistenza e dell'entità del capitale correlato, infatti, che è stata decisa, in primo grado, la sorte processuale del giudicabile ed è su questo medesimo versante che, del tutto coerentemente, si sono concentrati, nel giudizio di appello, gli sforzi argomentativi delle parti (cfr. quanto alla difesa PE., i ragionamenti svolti, in particolare, alle pagg. 28-87 delle considerazioni "in fatto" contenute nella memoria difensiva 4.2.2020; cfr., altresì, quanto evidenziato nella articolata memoria conclusiva 30.9.2022; si vedano, infine, le deduzioni "di replica" contenute nella memoria 7.10.2022). Di seguito, pertanto, si affronteranno, nell'ordine, le questioni della conoscenza, da parte del predetto imputato, di tale fenomeno e della fattiva cooperazione fornita dal medesimo all'attuazione della suddetta prassi. 15.2.1 La conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte di Pe.Ma.. In proposito, sì impongono le seguenti osservazioni preliminari, di ordine, rispettivamente, fattuale e logico. Sotto il primo profilo (quello della premessa fattuale) è stato più volte evidenziato come l'esistenza della concessione di finanziamenti per l'acquisto delle azioni dell'istituto di credito costituisse oggetto di diffusa, se non addirittura capillare, conoscenza all'interno delle varie articolazioni di B. e in particolare, a tutti i livelli della rete commerciale dell'istituto, trattandosi di struttura chiamata ad attuare le direttive - sempre più stringenti a partire dall'anno 2011 - di collocamento "a tutti i costi" delle azioni impartite dalla più alta dirigenza della Banca (il teste Tu. ha significativamente precisato, sul punto, che persino i "cassieri" ne erano consapevoli214; il teste Premi, dal canto suo, ha altrettanto efficacemente specificato che "il 99% del personale" della banca ne era a conoscenza, soggiungendo come, del resto, fosse un sistema impossibile da tenere celato, sia per la sua amplissima diffusione, sia perché implicava il contributo delle più diverse professionalità), sebbene - lo si è precisato in precedenza - si trattasse di conoscenza che solo ai "piani" più alti dell'istituto, ove si disponeva di una visione di insieme del fenomeno in esame, era corredata da precise coordinate circa l'esatta entità (peraltro oggetto di continua evoluzione) del capitale finanziato. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe superflua. Sotto il secondo profilo (quello della valutazione razionale), poi, è d'uopo la seguente considerazione: se è vero - come pure si è ripetutamente evidenziato - che il ricorso sistematico alla concessione di finanziamenti destinati all'acquisto delle azioni dell'istituto è stato lo strumento impostosi per fronteggiare la situazione di ingravescente illiquidità del titolo, non più scongiurata dall'impiego delle risorse del "fondo acquisto azioni proprie" (fondo che, del resto, era necessario "svuotare" periodicamente per assicurare il rispetto dei ratios patrimoniali imposti dalla sempre più stringente disciplina in materia e, al contempo, sostenere il valore dell'azione), è giocoforza concludere, alla stregua della logica più elementare, che le operazioni di capitale finanziato e, in particolare, le "campagne svuotafondi", costituissero oggetto, dapprima, di una adeguata pianificazione e, quindi, di una conseguente attuazione, costantemente monitorata, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che siffatte operazioni fossero poste in essere "alla cieca", ovverosia ignorandone presupposti ed effetti. Trattasi, d'altronde, dì conclusione che trova piena conferma nel più volte evocato intervento tenuto dal d.g. So. in occasione della seduta del Comitato dì Direzione 8 novembre 2011 siccome restituitoci dalla sintetica (ma assai precisa) ricostruzione consentita dalle annotazioni del So., là dove, pur nella doverosa sintesi imposta dalle caratteristiche di detto scritto (un semplice appunto pro memoria, in ogni caso redatto da soggetto particolarmente affidabile in quanto istituzionalmente incaricato della verbalizzazione delle sedute), non fa difetto un esplicito riferimento proprio alla esigenza di costante verifica dell'andamento di tali operazioni ("...dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. Abbiamo degli impegni nei confronti di B. e CdA........al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute..."). Sennonché il tribunale, dopo avere correttamente riconosciuto (cfr. pag. 735 della sentenza impugnata) che il monitoraggio dei dati contabili rilevanti ai fini del rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione non solo agli attivi ponderati (RWA) ma anche all'andamento del fondo acquisti azioni proprie costituiva una incombenza assegnata alla direzione "Pianificazione Strategica" (affidata alla guida del Fa.), ovverosia ad una articolazione aziendale facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE., ha nondimeno affermato (cfr., pag. 751 della sentenza impugnata), pur in presenza dell'esplicito tenore dell'appunto del So. testé richiamato, come il - monitoraggio del capitale finanziato" non fosse "univocamente riconducibile" all'intervento di detta direzione e, segnatamente, del suo responsabile Fa. (intervento dal quale, in effetti, sarebbe stato indirettamente desumibile il coinvolgimento del PE.). Ebbene, occorre necessariamente prendere atto che, nel pervenire a tale approdo, il primo giudice non si è minimamente confrontato con le necessarie implicazioni (davvero difficilmente sostenibili, a ben vedere, sul piano della razionalità) di una siffatta conclusione. In effetti, posto che: - per un verso, è impensabile che il d.g. So. ed il vicedirettore Gi. provvedessero personalmente a valutare le operazioni di finanziamento con specifico riferimento agli effetti di dette operazioni sul patrimonio di vigilanza, limitandosi costoro, in effetti, a verificare (in particolare attraverso l'analisi del report c.d. "colorato", predisposto dall'ufficio soci216) quale fosse l'andamento degli acquisti e delle vendite e ad impartire le conseguenti disposizioni; - per altro verso, non v'è traccia alcuna dell'esistenza di una struttura separata ed occulta alla quale fosse stata affidata la tenuta della contabilità relativa alle implicazioni sui ratios patrimoniali delle operazioni inerenti ai finanziamenti correlati (posto che il monitoraggio del quale, come peraltro precisato dal teste Ba., si occupavano l'ufficio soci e, all'interno della Direzione Commerciale, il funzionario Tu., era evidentemente riferibile all'andamento delle operazioni di collocamento delle azioni, non già alle relative ricadute sui requisiti di vigilanza); - e, per altro verso ancora, l'unica articolazione dell'istituto di credito in grado (per le competenze tecniche dei suoi componenti) di svolgere un siffatto controllo (peraltro di natura assolutamente identica rispetto a quella dell'analogo compito affidatogli in via "istituzionale") era proprio la "Direzione Pianificazione Strategica"218 (si veda, sul punto, la deposizione del To., riportata, più oltre, in nota e, segnatamente, il passaggio nel quale il predetto, con riferimento alle valutazioni funzionali alla vigilanza, ha affermato: "....erano mobili perché il Tier 1 è di fatto un rapporto fra il capitale, fra il patrimonio e le attività a rischio; le attività a rischio poi devono essere ponderate a seconda della forma tecnica e, perciò, è un calcolo complicato e sofisticato che solo Pe. era in grado di poter poi dare il risultato finale, perché aveva gli uomini che gliele fornivano..."; si veda, inoltre, proprio con riferimento alla discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 8 novembre 2011, quanto riferito dal coimputato GI. già nel corso del dibattimento di primo grado circa il fatto che la "Divisione Mercati" facesse necessario affidamento, anche in materia di ratios patrimoniali, sui dati elaborati dalla "pianificazione"219; si veda, infine, quanto riferito, al riguardo, in sede di rinnovazione istruttoria, dal teste Tr., in ordine al monitoraggio delle azioni proprie sotto il profilo della verifica del rispetto dei ratios patrimoniali), è inevitabile concludere che un siffatto monitoraggio dovesse essere assicurato proprio da tale Direzione, non essendo in alcun modo logicamente sostenibile alcuna altra ipotesi alternativa. Trattasi, a ben vedere, di una significativa - per quanto indiretta - prova (logica) del coinvolgimento della "Divisione Bilancio" (per il tramite della sua articolazione interna costituita dalla citata "Direzione") nelle operazioni di monitoraggio del capitale finanziato, sia pure non a livello operativo, bensì di pianificazione e controllo (segnatamente, sotto il profilo dei risvolti in tema di ratios patrimoniali). L'assoluta importanza di siffatte operazioni occulte per la sopravvivenza stessa dell'istituto di credito; le gravissime implicazioni (anche di ordine penale) del necessario nascondimento di tale prassi alle autorità di vigilanza (le interlocuzioni con le quali rientravano nella competenza proprio dell'imputato PE.); e, infine, le caratteristiche dì marcata gerarchia proprie dell'organizzazione aziendale in esame, orientano, poi, sempre sul piano logico, nel senso della implausibilità della tesi secondo la quale il predetto PE. - massimo responsabile, lo si ripete, della "Divisione Bilancio" - sarebbe stato tenuto all'oscuro di una siffatta attività (sistematicamente svolta da una struttura aziendale affidata, in ultima analisi, proprio alla sua responsabilità) per effetto di una sorta di (irragionevole) conventio ad excludendum. della quale, peraltro (e trattasi di circostanza decisiva), non v'è riscontro di sorta. Dell'amplissimo compendio probatorio disponibile, infatti, nessun elemento, tanto di natura documentate quanto testimoniale (ivi comprese, pertanto, le dichiarazioni dei più stretti collaboratori dell'imputato, pure ispirate, si avrà modo di evidenziarlo, dal percepibile - e in certa misura umanamente comprensibile - intento di non nuocere al giudicabile ma, soprattutto, dall'interesse di allontanare dalle rispettive persone, peraltro rimaste esenti da ogni contestazione, qualsivoglia sospetto di una consapevole collaborazione alla prassi in esame) ha fatto emergere l'esistenza di direttive orientate ad escludere il PE. (ovvero altri dirigenti apicali della banca) dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Piuttosto, come si dirà più oltre, può dirsi ampiamente provato l'esatto contrario. Che, poi, i "flussi informativi" ufficiali che giungevano al PE. non dessero conto di siffatta operatività, come ripetutamente osservato dalla difesa del predetto (cfr., in particolare, memoria difensiva, pag. 22), è circostanza del tutto irrilevante, ove si consideri che - come pure pacificamente emerso - vigeva una severa direttiva interna volta ad evitare che potessero essere lasciate tracce documentali di tale fenomeno. Ne consegue che le argomentazioni spese dalla difesa221 per sostenere che la pluriennale gestione del capitale finanziato potesse tranquillamente prescindere dal contributo della Divisione Bilancio (articolazione, assolutamente essenziale, sbrigativamente equiparata agli organi di vigilanza e di controllo interni, tenuti all'oscuro del fenomeno in questione) non hanno davvero alcuna consistenza (fermo restando, in ogni caso, che è pure emerso - con specifico riferimento al ruolo dell'Audit e del suo responsabile, Bo. - come le strutture deputate al controllo interno, acquisita la consapevolezza del fenomeno, fossero rimaste inerti, soprassedendo da ogni intervento doveroso). Tanto premesso, è all'interno di una siffatta cornice di ordine fattuale e logico che, ad avviso della Corte, può più utilmente collocarsi la disamina degli (ulteriori) elementi probatori - diretti ed indiretti, documentali, dichiarativi e logici - specificamente emersi a carico dell'imputato in ordine alla effettiva conoscenza non solo dell'esistenza del capitale finanziato "occulto" (posto che la conoscenza di finanziamenti "dichiarati" all'uopo concessi in occasione degli aumenti di capitale - ed oggetto di conseguente decurtazione dal capitale di vigilanza - non è certo in discussione) ma anche della sua significativa entità, non prima, tuttavia, di avere doverosamente precisato come il PE., nella sua qualità di responsabile della Divisione Bilancio e di dirigente preposto, fosse ben avvertito (come, del resto, da luì stesso ammesso nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria): - da un lato, della necessità che ad eventuali operazioni di erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni conseguisse la corrispondente decurtazione dal patrimonio di vigilanza (un tanto essendo stato esplicitamente previsto per le operazioni di tale natura effettuate in sede di aumento di capitale); - e, dall'altro, che le ordinarie procedure di "registrazione" adottate dall'istituto di credito non prevedessero la possibilità di regolare "tracciamento" contabile di operazioni di capitate finanziato, in assenza di quel codice prodotto - peraltro espressamente introdotto in sede di miniaucap anche con la collaborazione dell'imputato - che, al contrario, ne avrebbe consentito la evidenziazione informatica. E, sul punto, l'imputato, per giustificare tale carenza (altrimenti a lui addebitabile in ragione della specifica funzione ricoperta), si è limitato a sostenere (del tutto tautologicamente, all'evidenza) che l'assenza di siffatte procedure discendeva dal fatto che operazioni di finanziamento per l'acquisto di azioni proprie non erano contemplate dalla "normativa interna della banca" e che "non c'era una procedura", a fronte, peraltro, di una situazione di incertezza circa l'applicabilità o meno alle banche popolari delle disposizioni di cui all'art. 2358 c.c. (applicabilità che - va precisato - all'interno dell'istituto era esplicitamente esclusa proprio per avvalorare la tesi, nei confronti degli appartenenti alla rete di vendita, della concedibilità dei finanziamenti correlati). Ebbene, nell'analisi del compendio probatorio non può che prendersi le mosse dal già citato documento redatto dal So. ai fini della successiva verbalizzazione ed inerente alla seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, documento che è utile riportare per esteso nella parte di interesse: Omissis Ora, come si evince agevolmente dal tenore dell'appunto (e come del resto precisato dal suo estensore So., oltre che dal To.: di ciò si è già dato dato conto sapra), si tratta di un passaggio della riunione inequivocabilmente dedicato all'esigenza di reperimento di capitale aggiuntivo per raggiungere l'obiettivo indicato dal PE. (8% di Tier 1) e nel quale è esplicito il riferimento alla necessità di ricorrere all'esecuzione di "operazioni baciate". Occorreva, infatti, come anche esplicitato dal predetto To., collocare oltre 100 milioni di azioni (per l'esattezza 110, secondo quanto più precisamente riferito dal PE.) nel volgere solo di poco più di un mese. Dopo gli espliciti, coerenti interventi dei responsabili di Ca. e Ba.Nu., To. ("Da noi sono baciate, non sono facili da proporre") e Se. ("anche da noi sono baciate") - interventi che, nella loro "trasparenza" (ed anche alla luce della successiva assenza di reazioni da parte del d.g.), sono già decisivi nel provare l'assenza di alcuna strategia aziendale volta ad escludere il PE. dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - seguiva la pronta "sintesi" del d.g. So. ("Dobbiamo veramente monitorare giornalmente. Dobbiamo continuare a spingere sul retail e si deve pianificare. Al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute. Il soggetto deve essere credibile... ") che non lascia davvero dubbi circa le conclusioni concordemente raggiunte nell'occasione: effettuare operazioni "baciate", ovviamente avendo cura di scegliere interlocutori affidabili "credibili") sotto il profilo del merito creditizio, in attuazione di una strategia che richiedeva tanto una adeguata pianificazione quanto un costante monitoraggio del suo andamento, strategia che, nella prospettiva del massimo dirigente B., avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere (dato il poco tempo a disposizione ed il significativo volume del valore in gioco), sia il settore "Retail sia quello - Corporate". E, in effetti, come puntualmente evidenziato dal primo giudice a pag. 303 della sentenza impugnata, lo stesso To., finita la riunione, aveva convocato i capi area impartendo disposizioni in tal senso, tanto che, a seguire, erano state concluse alcune operazioni baciate significative (si tratta delle operazioni con Co. Spa, Be.Ma., Ta.Ra. e Ro.). D'altronde, che quella testé esposta sia, ad onta delle contrarie considerazioni difensive (si veda, sul punto, la memoria difensiva, pagg. 29-41), l'unica "lettura" dell'appunto di So. ragionevolmente proponibile lo si ricava dalla debita considerazione (del tutto obliterata dal tribunale vicentino, peraltro) delle comunicazioni mail (significativo è il documento n. 166 della produzione del P.M., documento erroneamente definito come il report "colorato" nell'atto di appello, secondo quanto censurato dalla difesa, ma senza che ciò abbia alcuna rilevanza pratica, posto che correttamente l'appellante ne ha poi richiamato il contenuto 227) intercorse tra la più alta dirigenza dell'istituto di credito (ivi compreso il PE.) nei mesi precedenti rispetto all'incontro dell'8 novembre e tali da evidenziare la situazione di estrema difficoltà nella quale, già allora, versava il mercato secondario delle azioni, nella specie caratterizzato da domande di cessione dei titoli il cui valore complessivo, nel primo semestre dell'anno (pari a 158 milioni), aveva di gran lunga superato (di ben 110 milioni, ammontare significativamente corrispondente a quello che sarebbe poi stato evocato, occasione di detta riunione, dal PE.) quello delle richieste di acquisto (pari a 48 milioni). Anche l'appunto redatto dal funzionario Co.Tu. di cui al documento n. 884 della produzione del P.M. (richiamato a pag. 303 della sentenza impugnata ed erroneamente ivi indicato con il n. 881), da un lato, attesta in termini di evidenza la situazione di crisi economico-finanziaria che, sin dal 2011, affliggeva la banca e, dall'altro, riconduce il ricorso alla operatività in azioni proprie direttamente al sensibile incremento delle richieste di vendita dei titoli, manifestatosi in quel periodo, ed alla conseguente saturazione del "fondo acquisto azioni proprie". L'andamento di detto fondo, del resto, era monitorato dalla Divisione del PE. in vista delle periodiche segnalazioni alla vigilanza, come, del resto, riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato. Inoltre, non va dimenticato che il medesimo Tu. ha riferito che aveva ripetutamente affrontato con il PE. il tema delle crescenti difficoltà del mercato secondario (ancorché detto teste abbia poi collocato temporalmente - peraltro non senza approssimazione - tali comunicazioni nel periodo 2013-2014), difficoltà che, come s'è ripetutamente evidenziato, solo il sempre più spasmodico ricorso ai finanziamenti correlati consentiva dì fronteggiare. Se questo è lo scenario di riferimento, emerge davvero in termini di evidenza il coinvolgimento del PE. nell'approntamento della strategia da attuare (sotto il profilo, segnatamente, della individuazione dell'entità del "buco" da coprire) per raggiungere gli indispensabili obiettivi di capitale al contempo assicurandone, per il tramite dei suoi collaboratori facenti capo alla Direzione Pianificazione ("....Dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di B.I. e CdA.."), il relativo monitoraggio, funzionale a garantire il certo raggiungimento di quegli standard imprescindibili per rispettare gli impegni con l'autorità di vigilanza. Quella fornita dal PE. nel corso dei Comitato 8.11.2011, del resto, costituisce una indicazione - e non è certo irrilevante sottolinearlo, come, del resto, si è già fatto saprà - poi puntualmente soddisfatta da un vero e proprio "cambio di passo" impresso all'attività di collocamento delle azioni, ove si abbia attenzione all'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011, finanche superiore alle stesse indicazioni dell'imputato231. Ed allora, la tesi sostenuta dal medesimo PE. - tesi secondo la quale, sostanzialmente, costui non avrebbe inteso appieno il senso del riferimento alle operazioni "baciate" effettuato nell'occasione, posto che allora ignorava finanche il significato di detta espressione232 - appare, a dir poco, inverosimile: a prescindere dal dato (a ben vedere difficilmente superabile) costituito dall'esplicito riferimento, negli appunti del So., proprio a tale tipologia di operazioni (ed anche a volere trascurare la circostanza costituita dall'assenza, nel medesimo pro memoria, di annotazioni circa quelle richieste di chiarimenti delle quali sarebbe stato ragionevole attendersi che nello scritto fosse stata lasciata traccia, qualora l'imputato, non comprendendo quanto gli interlocutori andavano precisando, avesse preteso le necessarie delucidazioni), supporre che il giudicabile ritenesse che il collocamento delle azioni deciso in occasione di quell'incontro dovesse avvenire "regolarmente" (ovverosia senza ricorrere al finanziamento) costituisce ipotesi tanto implausibile da non meritare ulteriori commenti. Questo, solo a considerare: - per un verso, la gravità dello squilibrio che affliggeva il mercato secondario del titolo B.; - per altro verso, il brevissimo tempo a disposizione per effettuare un collocamento tanto massiccio (110 milioni) di azioni dell'istituto; - e, per altro verso ancora, la circostanza costituita dal fatto che - come s'è visto - le operazioni di finanziamento, all'epoca, costituivano tutt'altro che una novità, essendo state ripetutamente attuate negli anni precedenti (ancorché prevalentemente per il differente obiettivo dell'abbellimento del bilancio"), peraltro per importi già significativi. In sintesi: ipotizzare che il PE. ritenesse che un collocamento di azioni di siffatta entità potesse essere "assorbito" dalle normali dinamiche del mercato secondario - come da questi sostanzialmente ribadito anche nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria (là dove il giudicabile ha nuovamente affermato che il d.g. So., nell'occasione, non aveva chiesto di ricorrere a finanziamenti correlati ed ha precisato che, alla fine, il fondo non era stato del tutto svuotato in quanto si era deciso di pagare il dividendo con azioni) - sconfina, obiettivamente, nell'irrealtà. Se così è - e la univoca significazione delle circostanze esposte non rende plausibile una diversa ricostruzione dell'episodio - non sì comprende davvero come il primo giudice abbia potuto ritenere "non inverosimile" (cfr. pag. 751) la versione proposta dal PE., trattandosi, per contro, di spiegazione che, ad avviso di questa Corte, risulta del tutto inattendibile e scopertamente difensiva. Del resto, esaminato nel corso del giudizio di primo grado, il teste So. ha significativamente dichiarato (peraltro nell'ambito di una deposizione assai "faticosa" - come può agevolmente apprezzarsi dalla lettura dei relativi passaggi della deposizione stessa - anche per la palpabile preoccupazione del testimone di rimarcare la propria mancanza dì consapevolezza dell'entità del fenomeno in esame) che aveva avuto modo ripetutamente di confrontarsi con il PE. circa i problemi del capitale e dei requisiti di vigilanza, problemi che, per tutto quanto si è detto, necessariamente implicavano, per la crescente importanza di tale prassi, anche la questione delle "operazioni baciate". D'altro canto, non può certo trascurarsi di considerare che l'imputato era tutt'altro che una presenza occasionale in sede di Comitato di Direzione (le cui riunioni, svoltesi con regolarità sino al 2011 e, quindi, sostituite da più informali convegni denominati "riunioni di direzione", ripresero ad essere convocate dal 2014), ovverosia in occasione di quei momenti di riflessione collettiva e di raccordo tra i vertici operativi dell'istituto nei quali venivano affrontati, tra gli altri, i temi (inscindibilmente connessi) del capitale, dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie e dei ratios patrimoniali. Le deposizioni sul punto sono plurime e convergenti (si veda quanto dichiarato dai testi So., Am., Tu., Fa., Ca., nei puntuali richiami effettuati dal P.M. alle pagine 15-17 dell'atto di appello). Ebbene, nel corso di tali riunioni è risultato ricorrente il riferimento anche alle operazioni correlate, come riferito dai testi, Am., Ba., e, ancora, So. (il quale, peraltro, ha specificamente riferito di rammentare la discussione inerente alle operazioni correlate "Ag." e "Fe.", sebbene vada poi doverosamente precisato come, alla stregua di quanto in precedenza sottolineato, l'acquisto di titoli da parte di "Ag." non sia inquadrabile nel novero delle "operazioni correlate"). E' bensì vero che, come, peraltro, rimarcato dal primo giudice, non sono emerse prove dirette della presenza dell'imputato a specifiche riunioni (ulteriori rispetto a quella dell'8.11.2011) nelle quali venne esplicitamente affrontato il tema del capitale finanziato. Nondimeno: - lo stabile inserimento del giudicabile nei consessi di più alta direzione di B.; - la progressiva decisività, per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito, del ricorso al capitale finanziato (con tutte le inevitabili implicazioni in punto di valutazioni previsionali e successivi monitoraggi, nonché in ordine alle conseguenti comunicazioni decettive alla vigilanza); - l'insostenibilità, sul piano logico, dell'ipotesi secondo la quale la trattazione dì argomenti inerenti alle asfissianti difficoltà di reperimento del capitale - posto che la banca era divenuta, secondo l'efficace espressione proferita dal coimputato PI. in occasione della già menzionata conversazione intercettata n. 360 di data 1.9.2015, - una baracca (che) sta in piedi con lo sputo" - non comportasse necessariamente la previa conoscenza e la costante considerazione, quantomeno a livello implicito, delle questioni relative al "capitale finanziato" da parte di colui che rivestiva il ruolo di massimo responsabile della contabilità e delle comunicazioni alla vigilanza e che, come s'è visto, interveniva alle riunioni proprio per indicare quali fossero i livelli di capitale indispensabili (si veda, sul punto, a titolo esemplificativo, quanto precisato dal To. e riportato, precedentemente, in nota) o, comunque, vi partecipava indirettamente per il tramite di suoi collaboratori; - e, infine, come pure pertinentemente osservato dall'appellante, l'impossibilità di esigere dai testimoni escussi, a distanza di anni, il nitido ricordo di quali fossero i dirigenti presenti in occasione di specifici incontri, nonché della data e dell'ordine del giorno di detti convegni periodici, tenutisi in un ampio arco temporale, sono tutti elementi, di ordine fattuale e logico, che, ove doverosamente sottoposti a congiunta valutazione, lungi dal privare di rilevanza probatoria il dato della ricorrente partecipazione del PE. alle sedute del "comitato di direzione" (ove non assistita dalla dimostrazione della specifica trattazione del tema del capitale finanziato nella singola riunione alla quale v'è prova che il giudicabile fosse presente), conferiscono a tale regolare presenza effettivo rilievo in ottica accusatoria. Sicché le contrarie considerazioni svolte dalla difesa sul punto, essenzialmente fondate sulla svalutazione tanto dei ricordi del So. (il quale avrebbe rammentato, peraltro a seguito di insistenti domande, solo due operazioni correlate trattate alla sua presenza), quanto del significato del citato documento n. 166, quanto, ancora, delle dichiarazioni rese dai citati testimoni (Ba., Tu., Am., Ca., Fa.) è frutto di una lettura atomistica e davvero fuorviante delle evidenze probatorie disponibili. Del resto, una esplicita riprova della conoscenza, in capo al PE., dell'esistenza di un eclatante ricorso al capitale finanziato è possibile trarla dalla conversazione (anch'essa incomprensibilmente trascurata dal primo giudice) n. 359 di data 1.9.2015, effettivamente tale da orientare nel senso del coinvolgimento anche di tale imputato nel "board ristretto" dell'istituto di credito implicato nell'operatività delittuosa. Nel corso di siffatto colloquio, invero, il coimputato GI., dialogando con il sindaco Pi.La. e facendo inequivoco riferimento alle operazioni di capitale finanziato, ancorché non esplicitamente evocate, affermava: "No, perché, La., da quando...cioè, lui in pratica...il casino è successo perché ha detto al presidente che non sapeva niente di queste cose, che i responsabili eravamo io e Pi... Invece è il contrario, era lui che orchestrava questo tipo di operatività. Come faccio a sen.." - Pi.: "Cioè, lui chi?" " GI.: "So.......Eh nel senso che veramente, Poi, voglio dire, La., presenti tutti, nel senso che lui in Comitato di Direzione (inc.) Ca." Ma..Pe.. ecc., dava ordini, cioè diceva...." Bisogna fare queste cose" Guarda, quando io mi sono opposto, perché non ce la facevo più, a settembre del 2015....del 2014, l'anno scorso..". Trattasi, all'evidenza, di dialogo di significativo rilievo probatorio, essendosi in presenza di precise affermazioni poste in essere da un soggetto il quale, nell'occasione, non solo ammetteva espressamente il proprio coinvolgimento nell'operatività delittuosa (poi, come detto, oggetto di piena, definitiva e convincente assunzione di responsabilità nel corso del giudizio di appello) ma effettuava un esplicito riferimento alla posizione (tra gli altri) del PE., peraltro in modo del tutto incidentale (l'intenzione perseguita dal dichiarante essendo palesemente quella di rendere partecipe l'interlocutrice della riconducibilità al d.g. So. della decisione del massiccio ricorso a) capitale finanziato) e senza manifestare alcuna animosità nei confronti del collega. In effetti, il contenuto del colloquio in esame è idoneo a rivelare come, nella prospettiva del GI., tanto lo stesso propalante, quanto gli altri più stretti collaboratori del So. (ivi compreso, pertanto, il predetto PE.) fossero stati destinatari di forti pressioni, se non di veri e propri diktat, da parte del massimo dirigente di B. (di diktat, in effetti, ha parlato espressamente il teste assistito To.), ordini ai quali tutti costoro non erano stati in grado di sottrarsi. Di qui l'attendibilità di quanto affermato dal GI. nel corso della telefonata. Peraltro, nel corso di tale colloquio è emerso il chiaro riferimento alla pratica degli "storni", esplicitamente evocata dal GI. come sintomatica della conoscenza, in capo al PE., dell'operatività delittuosa in esame. Di seguito i passaggi del colloquio all'uopo significativi (con la precisazione che VM si identifica nel GI.): Omissis Si è in presenza, a ben vedere, di elemento a carico di tutt'altro che scarsa significazione, specie ove sì consideri che l'entità eclatante degli "storni" runa marea" secondo l'efficace espressione del Risk Manager Es., di cui s'è detto) - ovverosia, giova ripeterlo, dello strumento utilizzato per azzerare i costi dei finanziamenti a carico dei clienti che avevano concluso operazioni "baciate", ovvero per ricompensarli con laute remunerazioni - era indiscutibilmente tale da denunziare l'esistenza di una anomalia tanto marcata da non potere certo essere trascurata. Per vero, posto che la pratica in questione era "istituzionalmente" finalizzata a porre rimedio ad errori nella gestione dei rapporti di dare-avere con la clientela, un tanto consistente ed inspiegabile incremento di siffatto, necessariamente residuale, rimedio non poteva che essere attribuito - specie da parte di esperti dirigenti, quale indiscutibilmente era il PE. - ad una anomala operatività dei finanziamenti (a meno di non voler ipotizzare, contro ogni logica, l'improvviso "impazzimento" degli impiegati di B. addetti a tale settore). E' bensì vero, al riguardo, che la difesa dell'imputato, evocando la deposizione del teste Tr., ha contestato la correttezza di quanto sostenuto dal GI. nel corso del citato colloquio, con particolare riferimento alla competenza della Ragioneria in tema di "storni", in quanto tale ufficio si sarebbe limitato a ricevere i dati di riferimento e ad inserirli in una "procedura informatica" (cfr. memoria difensiva, pagg. 109-112), traendone quindi la conclusione della falsità di quanto affermato dal predetto GI. nel corso del citato colloquio telefonico (cfr. memoria conclusiva, pagg. 112-116). Tuttavia, l'obiezione si basa su un equivoco: evidentemente, il GI. non intendeva affatto alludere ad una responsabilità diretta della Ragioneria nell'implementazione del ricorso a siffatto rimedio, bensì alla passiva ricezione dei dati degli "storni" ed all'altrettanto passiva gestione contabile di evidenze palesemente inattendibili, ovverosia ad una condotta evidentemente ritenuta sintomatica di adesione alla irregolare prassi sottostante. Del resto, se diverso fosse stato l'intendimento del predetto nell'alludere al "controllo della Ragioneria", è ragionevole ritenere che l'interlocutrice (esperta commercialista e, soprattutto, componente del Collegio Sindacale e, quindi, ben a conoscenza della ripartizione delle competenze delle varie articolazioni dell'istituto) avrebbe manifestato, sul punto, il proprio dissenso. Al contrario, la Pi. risulta avere assentito alla ricostruzione del GI. (Sì, sì, sì"). D'altronde, deve anche osservarsi - a conforto della attendibilità di quanto sostenuto dal medesimo GI. nel corso della citata conversazione ed a riscontro del fatto che quella testé esposta sia l'unica interpretazione ragionevole e corretta delle suddette evidenze probatorie - che la diffusa consapevolezza, all'interno di B., dell'anomalia operativa inerente alla gestione dei finanziamenti rappresentata dagli "storni" è stata confermata in sede giurisdizionale. Il riferimento è al provvedimento 2.11.2015 del Tribunale di Vicenza - Giudice del lavoro dott. Campo (in atti tanto sub docc. 139 e 668 del P.M. quanto sotto forma dì produzione documentale effettuata dalla difesa dell'imputato GI. all'udienza del 9.1.2020) là dove l'autorità giudiziaria berica, nel rigettare la domanda cautelare avanzata da B. nei confronti del GI. (il relativo ricorso per sequestro conservativo ante causam - con subordinata istanza ex art. 700 c.p.c. - e la memoria di costituzione del resistente GI. sono in atti quali docc. 137 e 138 del P.M.) in relazione al pregiudizio patrimoniale asseritamente arrecato dal predetto vicedirettore all'istituto di credito a seguito dell'improprio ricorso alla procedura di "storno", ha precisato, alla luce della documentazione tutta disponibile (ivi compreso il "Manuale Gestione Storni della Clientela" richiamato dal teste Tr. e prodotto in copia nel primo grado del presente giudizio, all'udienza del 9.1.2020, dalla difesa dell'imputato GI.), per un verso, che "le informazioni sui fa utilizzazione impropria dello storno fossero già a conoscenza della società"; e, per altro verso - ed è quello che, in questa sede, maggiormente rileva " che tale prassi si era protratta nel tempo ed aveva ottenuto "l'avallo...dagli organi di controllo interno" e, segnatamente, proprio della Ragioneria Generale, chiamata ad una verifica di "congruenza sui suoi conti economici appostati per la singola richiesta" come da punto n. 3.3. del manuale operativo" (cfr, provvedimento citato, pagg. 7-8). Vale richiamare, concludendo sul punto, il seguente, assai esplicito passaggio del citato provvedimento giurisdizionale, là dove, a pagina 8, il giudice civile ha sostenuto che "...di fronte ad una operazione non corretta...la Ragioneria generale aveva il potere, e il dovere di bloccarla e questo a maggior ragione nei casi, come quelli segnalati dalla società ricorrente, in cui era palese l'utilizzazione di questo strumento per "opportunità commerciali" e comunque in assenza dei presupposti del manuale operativo", così chiarendo quale fosse, in materia, la competenza della "Ragioneria", assai più puntualmente della fuorviante descrizione fattane dal teste Tr. (le cui affermazioni in ordine al fatto che l'aumento della frequenza degli stomi - aumento del quale, pure, si era evidentemente accorto - non lo aveva affatto allarmato, appaiono davvero inattendibili242) e coerentemente con quanto sostenuto dal GI. nel colloquio telefonico in precedenza evocato. Né può valorizzarsi, in senso contrario, quanto sostenuto dal consulente della difesa PE., dott. Pa., là dove costui, con specifico riferimento alla materia degli storni ed alle relative competenze affidate alla Divisione Bilancio e Pianificazione (ed al relativo responsabile), ha evidenziato che - non rientrava nell'alveo delle responsabilità affidate agli stessi alcuna attribuitone in ordine alla verifica delle competenze autorizzale in materia di concessione di sconti/abbuoni alla clientela" (cfr. elaborato di consulenza, pag. 60): a venire in rilievo, infatti, non è certo il profilo di eventuali autorizzazioni preventive all'esecuzione di dette operazioni, bensì quello, tutt'affatto differente, inerente all'omissione di qualsivoglia successivo intervento pur in presenza di un incremento eclatante del ricorso alla pratica in esame (ammesso dallo stesso Pa., che, sul punto, a pag., 61 dell'elaborato di relazione, ha parlato di "crescita significativa"), evidentemente sintomatico di una anomalia certamente meritevole, quantomeno, di doveroso approfondimento (e, questo, a prescindere dall'incidenza di tale pratica sul decremento della voce dì conto economico "Interessi attivi e proventi assimilati" - cfr. relazione Pa., pag. 60). Aggiungasi che nello stesso senso - ovverosia a sostegno della tesi del coinvolgimento del vertice ristretto del management B. nelle operazioni di capitale finanziato - depone, a ben vedere, anche la conversazione n. 259 in data 28.8.2015, inerente ad un colloquio intercorso tra il responsabile dell'Audit Bo. ed il coimputato MA. (colloquio trascritto, nella parte di interesse, a pag. 22 dell'atto di appello, cui si rinvia; l'intera conversazione può leggersi in ogni caso alle pagg. 144-159 della perizia di trascrizione), ancorché non contenente, a differenza di quella in precedenza evocata, l'esplicito riferimento alla persona del PE. (in detto colloquio risultando citato il solo Ca., nella specie indicato con il prenome di "Ad.") ed all'esatto contesto (circostanza, anche questa, espressamente stigmatizzata dalla difesa - cfr. memoria conclusiva, pag. 117) nel quale tali comunicazioni avrebbero avuto luogo. In analoga direzione, poi, orienta anche il ben più esplicito tenore della comunicazione SMS/WhatApp intercorsa tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5,2015: trattasi del messaggio, del quale già si è detto supra, di cui al doc, n. 811 della produzione del P.M. (elemento, anch'esso, trascurato dal primo giudice nella valutazione della posizione del PE.), nel quale il primo si raccomandava con il collega, in vista dell'appuntamento che il medesimo GI. era riuscito a concordare con ZO. per il giorno successivo (trattasi dell'incontro del quale si è ampiamente trattato con riferimento alla posizione di quest'ultimo imputato), affinché ribadisse al presidente il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente di B. nell'operatività delittuosa Cmi raccomando domani con il presidente. Paria a nome di tutti e due... deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori .."). Ebbene, anche in tal caso, ad onta del mancato espresso riferimento alla posizione del PE. (al pari del resto, degli altri manager dell'istituto), si è in presenza di elemento che, a dispetto di diverse considerazioni difensive in ordine ad una asserita equivocità del dato243, in realtà tutt'altro che vago nella sua significazione, conforta l'impostazione d'accusa in ordine al consapevole coinvolgimento del board ristretto della banca (del quale faceva necessariamente parte il massimo responsabile della Divisione Bilancio, nonché dirigente preposto e responsabile delle comunicazioni alla vigilanza, Ma.Pe.) nella prassi del capitale finanziato. Aggiungasi che non trascurabile rilievo probatorio deve attribuirsi alle dichiarazioni testimoniali (anch'esse del tutto obliterate dal primo giudice in sede dì valutazione della posizione del PE.) rese dal teste Bo. con riferimento alla riunione, indetta dal d.g. So. nel febbraio del 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione Bc.: nell'occasione - ha ricordato il dichiarante - lui stesso aveva evidenziato ai colleghi i rischi connessi a tale verifica, facendo espresso riferimento alla criticità rappresentata proprio dal capitale finanziato e richiamando, sul punto, la relazione che aveva sottoscritto il precedente 4.9.2014, riassuntiva di quanto pochi mesi prima accertato dall'Audit con specifico riferimento alla allarmante dimensione del fenomeno in esame (in effetti, nella relazione predetta - peraltro esplicitamente predisposta a seguito delle dimissioni del "gestore private". Vi. - si riferiva di finanziamenti correlati per l'importo di oltre 422 milioni di euro) ed ai conseguenti, gravi rischi per l'istituto. Ebbene - ha precisato il teste - se, nell'occasione, il d.g. So. aveva sbrigativamente minimizzato il rilievo della questione (avendo questi, sul punto, replicato: "la gestiamo"), nessuno degli altri partecipanti alla riunione aveva manifestato la benché minima reazione rispetto ad una notizia che, al contrario, ove fosse stata realmente ignorata dai presenti, avrebbe dovuto suscitare il più vivo allarme di costoro.244 E' bensì vero, al riguardo, che il P.M. ha sottolineato come il PE. fosse "certamente" presente a tale riunione, mentre, sul punto, il teste Bo., dopo una iniziale affermazione in tal senso effettuata in termini di sicurezza, in sede di controesame ha manifestato profili di perplessità, sebbene debba pure doverosamente sottolinearsi come, alla fine, sottoposto a riesame, il testimone abbia sostanzialmente ribadito quanto riferito in apertura circa la effettiva presenza del giudicabile alla suddetta riunione. Nondimeno, anche a voler ipotizzare che il PE. Non avesse preso parte ad un tanto importante convegno (ipotesi - ancorché fortemente sostenuta dalla difesa - francamente implausibile, proprio in ragione del rilievo assolutamente decisivo di detto incontro, visto che si trattava di impostare la "linea difensiva" da assumere nel corso dell'ispezione che - già preannunciata - di lì a poco avrebbe avuto luogo ed avrebbe portato a smascherare la prassi del capitale finanziato, rivelandone, a cascata, tutte le gravissime implicazioni), è assolutamente irrealistico ipotizzare che il PE. non fosse poi stato prontamente informato di quanto emerso nel corso di detto incontro. Inoltre, assoluto rilievo va riconosciuto alla trascrizione (cfr, documento 110 della produzione del P.M.) della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, in precedenza più volte evocata e, in particolare, a quel passaggio nel quale viene effettuato un esplicito riferimento alla persona del PE. - nell'occasione di certo assente - come interlocutore con il quale, ad avviso del coimputato GI., sarebbe stato necessario approfondire la questione trattata ("...però bisogna confrontarsi con Ma...."). Trattasi, in questo caso, dì elemento sul quale il primo giudice ha sbrigativamente argomentato, sostenendone l'equivocità (cfr. sentenza impugnata, pag. 753: "... si tratta di un elemento che non si presta ad univoca lettura ..."), ma che, ad avviso di questa corte, ove doverosamente valutato alla luce di una interpretazione razionale e, soprattutto, non frammentaria della registrazione in esame, si rivela tutt'altro che di incerta significazione. Il dato di partenza (che, peraltro, non è sfuggito al primo giudice nell'analisi della posizione del coimputato PI.) è costituito dal fatto che, nell'occasione, i top manager della banca presenti alla riunione ebbero ad analizzare compiutamente - peraltro, va sottolineato, con un tono dal quale si evince un clima di condivisione e di ricerca di soluzioni concordate nient'affatto irrilevante ai fini della compiuta comprensione della dimensione "collegiale" delle responsabilità nella gestione del tema in esame - gli aspetti problematici del capitale finanziato (esaminato in pressoché tutte le sue caratteristiche: dalla natura di "portage" di gran parte delle operazioni, all'obbligo di riacquisto da parte della banca, assicurato anche mediante il rilascio di lettere di garanzia, ivi denominate side-letter; dalla remunerazione da riconoscersi alle controparti, alla sopravvalutazione del valore dell'azione, ecc.), capitale che, come espressamente riconosciuto dal d.g. So., aveva all'epoca raggiunto la dimensione monstre di oltre un miliardo di Euro (si vedano, sul punto: l'oramai noto passaggio della registrazione nel quale So. afferma ... "abbiamo fatto un miliardo e 2 apposta per fare..." - cfr. doc. 100 P.M., pag. 34; la consulenza dei CCTT del P.M. e, più specificamente, quanto riferito sul punto dai predetti consulenti all'udienza 12.11,2019, pag. 30 del verbale stenotipico; e, infine, la già citata conversazione 459 del 31.8.2015). A tale riunione, peraltro, si era giunti all'esito di un approfondito vaglio, del quale era stato reso partecipe anche il PE. (direttamente coinvolto nel relativo flusso di comunicazioni, oltre che indicato dallo stesso Fa. come il soggetto con il quale il medesimo teste aveva interloquito sul punto) circa l'impatto negativo per il "margine di interesse" della banca derivante proprio dalle operazioni correlate, vaglio che aveva impegnato le strutture della banca a partire dalla metà del mese di agosto precedente e che si era concluso con l'individuazione di un elenco dì operazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di "repricing/chiusura al fine di ottimizzare il margine di interesse" (così, espressamente, nella comunicazione mail di cui al doc. n. 516 della produzione del P.M., inviata dal Fa. al GI. e trasmessa, per conoscenza, anche al PE.). Il riferimento, in proposito, è alle mail di cui ai documenti n. 294, 524, 513, 516, 521, 519, esplicitamente analizzati, nel loro specifico contenuto, alle pagg. 27-28 dell'appello del P.M., al quale, sul punto, per brevità, non può che farsi rinvio, con la precisazione che una di tali mail - ovverosia quella in data 24,8.2014 di cui al documento n. 294 della produzione del P,M., contenente anche l'esplicito riferimento alle azioni acquistate per il tramite della Divisione Finanza: "... Ci sono azioni anche sul lato Finanza .." - risulta inviata proprio dal PE. al GI. e, per conoscenza estesa, anche ad Am., Ba., Mo., Fa. Ro., Tu. e Va. (sicché trova documentale smentita la tesi difensiva della estraneità dell'imputato a tale attività di analisi propedeutica alla riunione in esame). Ebbene, era proprio sulla base di tale approfondita analisi preliminare che il d.g. So., nel corso della riunione del 10.11.2014 (facendo in quella sede esplicito riferimento proprio a tale valutazione preliminare) affrontava il tema del margine di interesse nei seguenti termini: Sa. "...Noi dobbiamo selezionare molto di più nostri impieghi, e poi vedremo, io ho fatto fare un lavoro da Risk e.. e.. e.. dalla pianificazione, dove abbiamo visto che, / nostri impieghi, ci sono degli impieghi che, per effetto della Q. R., ci assorbono tanto di quel capitale e ci mandano in perdita in misura rilevante e significativa, no? E, quindi, questi qui è chiaro che vanno smontati. Non possiamo, smontarli perché ci sono azioni dietro. ma non possiamo neanche tenerci tutto questo popò di problema. Quindi, dobbiamo risolverai problema del... delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere, nominativo per nominativo, no? Li abbiamo bene individuati, questi veramente ci fanno male, male, male, male, sia come margine di interesse, ma anche, soprattutto, come...eh.., stress test da Q. R., che, indubbiamente, ogni anno, ogni anno, dovremmo... dovremmo subire. Allora, l'idea qui qual era? Era quella, innanzitutto, di individuare queste posizioni e andarle... e andarle a smontare, capire se... Seguitemi col ragionamento, noi prendiamo questi... queste azioni che sono finanziate, andiamo a smontare il finanziamento. Smontando il finanziamento, abbiamo un recupero importante sul margine di interesse, perché, ovviamente, sono finanziate eh... a un tasso molto basso, abbiamo un recupero sulla commissione, perché poi le commissioni sono quelle che dobbiamo ristornare nel caso in cui il margine d'interesse non sia sufficiente a remunerare il pacchetto di azioni che questi ci prendono, e abbiamo un beneficio, ovviamente, sulla Q. Come possiamo collocare queste azioni? Supponiamo di collocare queste azioni, invece, non più sul mondo, sul versante degli impieghi, ma sul versante della raccolta. Se noi utilizziamo il versante della raccolta, banalmente, con le forme tecniche più semplici, poi vedremo le forme tecniche più strutturate, esempio, un time deposit, quindi noi diciamo al nostro cliente; "Guarda, non ti faccio più il finanziamento, ti faccio un time deposit" a che tasso? E' un tasso importante, quindi andiamo a rimontare per un attimo l'aggravio sul margine di interesse. L'ho smontato sui... sul finanziamento, però sono disposto a portarmelo a casa come onere per quanto riguarda un maggior costo di raccolta, però ho un beneficio sul capitale, perché questo non mi assorbe più cet one che, invece, il finanziamento cet one me lo assorbe, e ho un beneficio sulla Q. R., perché non impatta, ovviamente, sulla Q. R. lo stress test. Quindi, se noi riusciamo a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti, andiamo a liberare il cet one, andiamo a liberare... eh... ora vedremo in che misura... eh... il rischio che deriva dalla Q. R, stress test. se lo andiamo a dirottare sul... sulla raccolta. Parlo del time deposit, che è quello più semplice, però l'obiettivo, anche qui, è quello di frazionarlo in continuazione, Quindi, noi dobbiamo frazionare in continuazione il nostro capitale, perché, se noi facciamo time deposit alla stregua di come facciamo oggi i finanziamenti ponti, i 30, i 20, insomma, ci son clienti che hanno più di 50 milioni e, e capisco, noi dobbiamo frazionarlo. Se noi lo frazioniamo nel mondo private, lo frazioniamo nel wealth management o, meglio ancora, se noi riusciamo a trovare un prodotto, uno strumento, dove... Perché l'altro tema è quello che fa rete dice: "Va bene, allora facciamo questo, però non facciamo più raccolta indiretta", dove, invece, noi dobbiamo fare raccolta indiretta perché bisogna fare il commissionale. Allora, l'idea sarebbe quella di trovare un prodotto che faccia raccolta indiretta, nel prodotto che fa raccolta indiretta ci mettiamo dentro anche le nostre azioni e gli affluent, il private e soprattutto il wealth management va a vendere e va a collocare quote di questi fondi, quote di queste SICAV, no, che hanno in pancia azioni, azioni nostre che abbiano comunque un rendimento che sia... che sia collocabile piuttosto che altri investitori istituzionali. Quindi, il ragionamento che... che ponevo è questo. Intanto, se condividiamo quello di switchare, di spostare le azioni dagli impieghi ai., al... alla raccolta, che sia diretta o indiretta, e con che modalità, andando a vedere, poi, ovviamente, l'aggravio di qua in termini di, probabilmente, margin press, però andiamo sicuramente a liberare, a liberare il cet one, quindi andiamo a liberare tutti questi impieghi che ci assorbono pesantemente e, soprattutto, ci assorbono in termini di A. Q. R.. Non so se mi son spiegato...". In buona sostanza, il d.g. insisteva sulla necessità di "smontare" le operazioni di finanziamento correlato (ovverosia - per restare al lessico del So. - quei finanziamenti che avevano "le azioni appiccicate"), distribuendo i titoli tra la clientela in abbinamento ad operazioni di raccolta e, quindi, "spostando" le azioni in questione dal versante degli "impieghi" a quello della "raccolta Seguiva l'intervento del GI. (Vm 8): V. M. 8 - Po. ..Posso Sa. una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi, comunque le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo, nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100 il valore.. eh ...delle azioni era 100 e va a 70, tu quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque, noi dobbiamo fare in modo che Asti impieghi vadano scaricati. Allora, io credo che un po' possa essere comunque un'attività di... di collocamento retail, quello che vogliamo,' l'alternativa è... però bisogna confrontarci con Ma., è: annullo le azioni e l'impiego. Dove vado a trovare... Ovviamente, avrò molto meno capitale. Dove vado a trovare.. - eh ...uhm quella copertura per il minor capitale che ho togliendo parti di attivo, cioè, vendendo parti di attivo? Adesso parliamo qui di partecipazioni, no? Cioè, io... qual è il problema mio? Che io ho 100 di impiego che vanno via, 100 di capitale che vanno via, ovviamente il minor capitale assorbito è molto meno rispetto a...al capitale che... che perdo, perché perderò ipotizziamo 100 milioni, perdo 100 milioni di capitale da una parte e ne acquisto 8 milioni di e... 8, 10 milioni di minor assorbimento dall'altro, no? Quindi runica cosa è... per rimanere con i ratio stabili, è di ... eh tagliare pezzi di attivo che assorbono capitale..". In estrema sintesi, il vicedirettore GI., per raggiungere lo stesso obiettivo ("smontare te baciate grosse") individuato dal d.g., proponeva di operare sul fronte del collocamento "retail", evidenziando come, per fronteggiare la conseguente riduzione dei fondi propri ("avrò molto meno capitale"), si sarebbe dovuto operare "togliendo parti di attivo", ovverosia riducendo proporzionalmente le attività di rischio ponderate per rimanere - con i ratio stabili", nonostante il decremento del capitale. Ed era proprio con riferimento a tale prospettiva - prospettiva che, in ultima analisi, avrebbe necessariamente comportato un significativo ridimensionamento del ruolo e delle ambizioni della banca, ripotata ad una dimensione locale, con conseguenti, inevitabili ricadute sul sistema di go°emance dell'istituto, i cui vertici sarebbero stati ragionevolmente travolti (donde, l'immediato accantonamento di tale ipotesi da parte del d.g. So. il quale, in effetti, la ignorava platealmente, come si comprende dalla lettura della registrazione della seduta) - che il medesimo vicedirettore evidenziava la necessità di interloquire con il PE. C dobbiamo confrontarci con Ma...."). Dal tenore dell'intervento del GI., in effetti, è dato cogliere la serietà della situazione e la piena consapevolezza, in capo a costui, del gravissimo rischio che la situazione del capitale finanziato, per la sua eclatante dimensione, rappresentava per l'istituto. Di qui la proposta, davvero da ultima spiaggia, del vicedirettore (il quale aveva evidentemente di mira l'obiettivo di ridimensionare il valore complessivo del fenomeno in esame, anche a costo di archiviare i "sogni di gloria" che avevano animato la continua crescita dimensionale della banca vicentina), proposta, peraltro, della cui impraticabilità per ragioni "tecnico-contabili" aveva poi preso atto lo stesso y GI. (sul punto, vedi infra). Se ciò corrisponde a verità - e non pare davvero possibile opinaoe diversamente (discostandosi, cioè, da una ricostruzione che trova fondamento in un documento di tanto lineare lettura, oltre che nelle pregresse comunicazioni mail, espressione di un lavoro di analisi propedeutico all'incontro che, come affermato dal So., aveva coinvolto anche la "pianificazione" affidata al Fa., ovverosia una struttura facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE.) - risulta oltremodo incomprensibile l'esito cui è pervenuto il primo giudice (in linea con quanto sostenuto, sul punto, dalla difesa dell'imputato nei passaggi della memoria citata dedicati all'argomento e, segnatamente, nei paragrafi 4.6-4.7 di detto scritto difensivo) là dove ha concluso (nel solco, come detto, della linea difensiva dell'imputato251) che l'intervento del PE. siccome auspicato dal coimputato GI., essendo limitato alla individuazione degli "attivi" da "tagliare", non avrebbe implicato la necessaria consapevolezza del capitale finanziato. Ragionare in tal guisa, infatti, significherebbe ammettere che il giudicabile potesse essere coinvolto nella soluzione di un problema gravissimo (è d'uopo rammentare ancora una volta l'entità eclatante del capitale finanziato, risultata pari, nel complesso, ad oltre un miliardo di euro) - soluzione dalla quale, in ultima analisi, dipendeva la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito - ignorandone presupposti, implicazioni e conseguenze. E, al contempo, dovrebbe condurre ad ipotizzare che il GI. e, per suo tramite, il d.g. So., si sarebbero esposti al rischio, più che concreto e gravido di imprevedibili conseguenze, di dovere fornire spiegazioni ad un interlocutore perfettamente in grado di comprendere le implicazioni (anche di natura penale) di una prassi tanto radicata da avere originato una quota immensa di capitale finanziato (l'esistenza del quale - ponendosi in questa prospettiva - sarebbe stata costantemente occultata allo stesso PE., ad onta delle serie responsabilità gravanti sul predetto con specifico riferimento alle interlocuzioni che da tempo questi intratteneva con la vigilanza), affrontandone la scontata e difficilmente controllabile reazione. Trattasi - com'è evidente - di una ipotesi ricostruttiva a dir poco bizzarra. E, questo, a tacere del fatto che, alla riunione in esame, aveva preso parte lo stretto collaboratore del PE., An.Fa. (il medesimo funzionario che aveva curato lo studio che aveva preceduto l'incontro, come affermato dallo stesso So.), il quale, sia pure momentaneamente, assentatosi nel corso dell'incontro in questione, al rientro era stato ragguagliato dallo stesso d.g. So. di quanto discusso in sua assenza ("Sa.: Va bene. Ascolta, An., abbiamo parlato del...del tema di spostare, di togliere quello che hai fatto con... con il Risk, di togliere le azioni dagli impieghi. An. voce lontana Si? Sa. E girarlo sulla raccolta. An. voce lontana Si? Sa. Poi ti... eh... eh abbiamo detto che conviene, a sto punto, per evitare concentrazioni o altro, di metterlo sul prestito titoli. Quindi, rimetteremo in piedi il prestito titoli ... eh... con azioni attaccate. Il prestito titoli, poi, ci serve per far liquidità e per ridurre comunque la raccolta onerosa. E... E proviamo.... E proviamo a ragionare su questa ipotesi qua, dopo foro.." - cfr. doc. 110, pagg. 79). A tale congerie di elementi probatori - taluni dei quali, come s'è detto, del tutto trascurati dal primo giudice, quantomeno con specifico riferimento alla posizione del PE. - si sono poi aggiunte, nel corso del dibattimento di appello, le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI., obiettivamente assai significative (ancorché inspiegabilmente trascurate dalla pubblica accusa, in sede di requisitoria) nella loro obiettiva idoneità ad implementare il compendio probatorio valutato dal tribunale, peraltro già di univoca significazione. Questi, dapprima nel memoriale 30.5.2022 e, successivamente, nel corso della rinnovata escussione dibattimentale nel contraddittorio delle parti, dopo avere evidenziato lo stretto rapporto sussistente tra il PE. e il d.g. So.252 ed avere precisato, altresì, che il medesimo coimputato, da un lato, aveva accesso diretto "ai sistemi informativi" di B., ovverosia alle "tecnologie/strumenti che permettono di tracciare/controllare/consuntivare tutte le operazioni di una banca" e, dall'altro, costituiva l'"interfaccia primaria con Banca d'Italia e Bc." e condivideva le risposte da dare agli Enti regolatori con il collaboratore Fa., ha evidenziato come il responsabile del bilancio, direttamente o per il tramite dei colleghi con i quali più strettamente collaborava, fosse solito partecipare alle riunioni ed ai comitati di direzione, ivi compresi gli incontri nei quali si era affrontato il tema del capitale finanziato, fenomeno del quale, pertanto, il PE. era pienamente consapevole, al pari, del resto, di tutti gli altri componenti dell'alta dirigenza dell'istituto di credito. Al riguardo, non è inutile riportare, preliminarmente, alcuni passaggi dell'esame del predetto GI., là dove costui - peraltro in modo assai efficace - per un verso, ha delineato il contesto operativo nel quale si collocano i fatti sub iudice; per altro verso, ha richiamato le plurime, ma strettamente connesse ragioni all'origine della scelta di ricorrere massicciamente alla concessione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso ancora, ha rimarcato la condivisione della prassi in esame tra i massimi dirigenti della banca, spiegandone le necessarie motivazioni tecniche: "......IMPUTATO GI. - Cerco di essere sintetico. Presidente. Io sono arrivato in Banca a fine 2007 come Responsabile Divisione Mercati e Vice Direttore Generale. I primi comitati crediti del 2008 abbiamo trovato, io e c'era il collega Pa. Ma., delle operazioni baciate, quindi erano già preesistenti in Banca delle operazioni in cui si finanziava il cliente per acquistare azioni della Banca. Personalmente ho avuto anche incontri con Gr. e anche con So., con della clientela del vicentino, che aveva/70 già in atto operazioni baciate, o gli venivano proposte in questi incontri delle operazioni baciate. Quindi partiamo già dal 2007, quando sono arrivato. Erano - dalla mia consapevolezza di quello che stava succedendo in Banca all'epoca, anche perché io ero nuovo - delle operazioni sporadiche. Dopodiché, questo fenomeno e questa prassi si è pian piano ampliata e diffusa, anche perché non poteva essere tenuta ristretta a poche persone, data l'esigenza di cui parlavo prima, no? Quindi di fare molto capitale per acquisire" per incrementare gli impieghi e quant'altro. Quindi, dal 2011-2012, questa prassi si è incrementata, quindi si è necessariamente diffusa su tutta la Banca perché gli obiettivi di capitale aumentavano sempre di più. Quali erano? In parte l'ho detto e lo ripeto, quali erano gli obiettivi finali delle operazioni baciate? Sicuramente il raggiungimento di ratios patrimoniali richiesti dalla Vigilanza; il sostegno al prezzo dell'azione, nel senso che ovviamente, se fosse stato trasparente e chiaro che le richieste di vendita fossero maggiori delle richieste di acquisto da parte dei soci" quel prezzo delle azioni non si poteva tenere. E quindi bisognava andare in Assemblea a dire: "signori, il prezzo non è più 62 e mezzo, è 30". E sarebbe finita l'epoca della Presidenza Zo. perché comunque la Banca doveva in qualche modo chiudere un certo percorso e riaprirne un altro. Quindi sicuramente c'era un tema di prezzo delle azioni, e un terzo macro obiettivo era quello comunque di soddisfare le richieste dei soci per non generare malcontento. Questo terzo macro obiettivo ovviamente in parte si sovrappone con l'esigenza comunque di non diminuire il prezzo detrazione (...........) PRESIDENTE - Se capisco bene, è implicito, mi sembra: il prezzo dell'azione era sopravvalutato? IMPUTATO GI. - Il prezzo dell'azione era molto sopravvalutato, Presidente, Però, anche qui, quello che ci diceva Zo., e lo diceva anche ai soci, che all'inizio degli anni Duemila, quindi stiamo parlando 2002-2004-2005, i moltiplicatori di Borsa delle banche quotate viaggiavano intorno al 2x, cioè: la quotazione in Borsa delle banche arrivava fino a 2 volte il patrimonio, quindi poteva essere 1,5-1,6-1,8, anche 2. E all'epoca - ci diceva Zo. - alla Banca fu proposto di quotarsi e lui decise di non quotarsi - Adesso le altre banche erano - quindi adesso stiamo parlando degli anni dal 2010-2015 - a 0,4-0,6-0,8 il patrimonio, mentre noi eravamo a 1,2-1,3-1,4 - Quindi la giustificazione di tenere così alto il prezzo dell'azione è che, una volta superata la crisi, i moltiplicatori di Borsa potessero tornare ai livelli del 2002-2004, e quindi la nostra Banca, come prima era sottovalutata e adesso sopravvalutata, si sarebbe ritrovata nella media. Però, insomma, ai tempi in cui io ero Vice Direttore Generale, razione della Banca era notevolmente sopravvalutata; tant'è che uscivano articoli di giornale che noi avevamo la capitalizzazione di Borsa come Ba.In., PRESIDENTE - Si è detto anche che venivano indicati degli obiettivi particolarmente "sfidanti", più o meno è stata usata questa espressione: qual era la necessità di indicare questi obiettivi costantemente crescenti, per cui voi avevate anche difficoltà ad assecondare? Così ho capito dalla lettura del verbale di primo grado. IMPUTATO GI. - Presidente, io non ho mai avuto rapporti con chi poi ha periziato le azioni. Però uno dei tasselli che ho appreso fossero fondamentali per sostenere il prezzo delle azioni, e comunque avere dei piani industriali particolarmente ambiziosi, in modo da dimostrare una redditività futura della Banca in linea con quel prezzo. Io so solo che come Vice Direttori Generali ci ritrovavamo degli obiettivi realizzabili, e ogni piano aveva degli obiettivi realizzabili. Quindi questo da quando sono arrivato. E, nonostante questi piani industriali, quindi questi piani strategici, fossero puntualmente smentiti. Quindi si poneva l'asticella a 100, noi, non so, raggiungevamo 70, e il piano successivo andava a 120 come obiettivo, no? Per dire. E quindi ci ritrovavamo nell'impossibilità di poter raggiungere quegli obiettivi, nonostante le indicazioni del piano fossero quelle. PRESIDENTE - Ma gli obiettivi venivano elevati per necessità della Banca oppure per? IMPUTATO GI. - Per tenere alto il prezzo dell'azione. PRESIDENTE - Solo per tenere alto il prezzo? IMPUTATO GI. - Dopodiché, la Banca aveva dei gap, ma erano gap strutturali, nel senso che eravamo una banca d'impiego quando mancava liquidità sul sistema. Siccome la situazione è esattamente l'opposta rispetto a quella che è ora, quindi il costo della raccolta che non veniva in qualche modo fornita dalla clientela si doveva prendere sul mercato dell'ingrosso e costava tantissimo, Quindi questo era un problema strutturale: banca d'impiego che concedeva molti crediti al territorio. Poi avevamo questo problema delle azioni, cioè caricare i portafogli di risparmi dei clienti sulle azioni vuol dire non avere commissioni, e quindi c'era un problema di redditività, c'era un discorso delle baciate, quindi dei tassi sugli impieghi bassi. Quindi anche questo fattore della compagine sociale determinava un problema di redditività. Però, essendo a conoscenza di questi problemi strutturali, la Banca avrebbe dovuto dal mio punto di vista anche tarare gli obiettivi dei piani industriali in linea con questi problemi strutturali. PRESIDENTE - La crisi del mercato secondario e anche lo svuotafondo era un problema conosciuto, diffusamente conosciuto? IMPUTATO GI. - Il problema dello svuotafondo nei primi anni, quindi dal 2007 al 2010, non era un problema critico, era comunque una volontà di So. di chiudere a zero il fondo riacquisto azioni proprie per in qualche modo mostrare che fosse un bravo Direttore Generale. Dico per inciso che c'erano dei grossi dubbi su So. nel territorio all'epoca, quindi che fosse un bravo Direttore Generale e potesse soddisfare in qualche modo anche le comunicazioni positive di Zo. al territorio. Quindi nei primi anni non era un'urgenza, non era una criticità, però si doveva chiudere a zero il fondo riacquisto, anche attraverso operazioni baciate. Per vari motivi, quindi la crisi del mercato, la necessità dei soci di vendere le azioni per liquidare, la volontà comunque di acquistare banche, la volontà di acquistare sportelli: ricordo che con l'ispezione 2012 la Banca d'Italia tolse il vincolo da parte della Banca di non acquistare sportelli, mentre fino al 2012 questo vincolo era ancora vivo. Quindi c'erano velleità di crescita, di espansione, di arrivare a 200.000 soci e 1.000 sportelli, e quindi questa volontà qui in qualche modo non veniva bilanciata da una richiesta di acquisto di azioni da parte dei soci. E ovviamente, siccome il fondo riacquisto azioni proprie impatta sui requisiti patrimoniali, c'è la necessità di svuotarlo per fine anno. PRESIDENTE - Io non penso di dover ripercorrere le sue dichiarazioni in primo grado, e poi lascerò anche spazio alle Parti. Questo è un po' il problema, il fenomeno generale - Adesso volevo passare a un secondo punto, che era quello di dichiarazioni che lei fa nel memoriale e che possono riguardare più specificamente la posizione di terzi. (....) IMPUTATO GI. - Presidente, premetto che non c'è volontà da parte mia, come dire, non voglio fare il male di nessuno, okay? Quindi io voglio solo chiarire quello che succedeva in Banca all'epoca. E sono rimasto molto sorpreso anche dalle dichiarazioni di Zo. e dalle dichiarazioni di Pe. che non sapessero di questo tipo di operatività in Banca. Come dire: era impossibile per me e per la rete commerciale portare avanti questo tipo di operatività senza che tutta la Banca, almeno i vertici della Banca ne fossero a conoscenza, E' impossibile, però se uno riuscisse a immedesimarsi all'interno del contesto della Po.Vi. in quei sette anni, dal 2007 al 2015, avrebbe la piena percezione di come questa possibilità non fosse realizzabile; e cioè, che la rete commerciale, quindi le filiali potessero operare in modo autonomo, riuscendo a nascondere questa operatività al bilancio, riuscendo a. nascondere questa operatività nei confronti di Zo. e del Consiglio di Amministrazione, e portando avanti questa politica di operazioni baciate, senza che emergesse neanche una voce, una sollecitazione, uno stimolo. Quindi, siccome questa ipotesi è stata non solo dichiarata da Zo. e Pe. in primo grado, è stata reiterata negli appelli; mi sono sentito in dovere di dover controbattere a queste affermazioni. Ma io voglio dire, ma al di là di me, lo devo fare per la mia famiglia, per i miei, per le persone che lavoravano con me e per la trasparenza che in qualche modo mi è vicina. Quindi io, ripeto, non voglio essere io ad accusare nessuno, ma le mie responsabilità e le responsabilità della Divisione Mercati si fermano, e me le assumo queste responsabilità, si fermano rispetto a responsabilità di altri che sapevano, condividevano e portavano avanti anche loro un certo tipo di attività, che poi in qualche modo chiudesse il cerchio delle operazioni baciate. Parlo di operazione correlate e baciate, non parlo ovviamente di fondi perché non ne sono a conoscenza. Ovviamente io sono un Imputato condannato, e quindi per poter ribattere a queste affermazioni ho dovuto studiare. Ecco perché questa famosa storia degli hard disk; nel senso che poi sono dovuto andare ad approfondire queste e-mail; e-mail che tra l'altro potevano essere solamente analizzate da me, cioè da qualcuno che in Banca lavorava, perché dall'esterno sarebbe stato molto complicato estrarre da quelle e-mail delle indicazioni di responsabilità o meno. Quindi ho avviato questo percorso di studio e di analisi, non facile perché stiamo parlando di più di 1 milione di e-mail in quegli hard disk. E ci sono tre cose che volevo dire per quanto riguarda il Bilancio e Pe.. La prima cosa, che è incrementale rispetto a quelle che ho detto in primo grado, che comunque andavano già in questa direzione, Presidente: in riunioni di direzione e comitati di direzione non si parlava di baciate. Falso. Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino ai 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni'' Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo/ dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la pareva mia contro la parola di Pe., Quindi ho dovuto cercare dei documenti e degli atti che confermassero queste mie dichiarazioni. Parliamo allora del mercato secondario. Il mercato secondario, ci sono delle analisi, di cui ha parlato anche Fa. l'altro giorno, fatte nel maggio 2014, proseguite ad agosto del 2014, So. mi scrisse a Ferragosto, e portate avanti dopo l'AQR, quindi dopo l'Asset Quality Review, e con un risultato che venne condiviso da So. nel Comitato di Direzione del novembre 2014. Questa successione di analisi - che adesso ovviamente non sto ad aprire documenti magari lo vedremo dopo - dimostra in modo inoppugnabile una gran quantità di soci che avevano degli ammontari importanti di capitale, quindi di azioni, degli ammontari importanti di finanziamenti equivalenti. So. parla di 1 miliardo in un Comitato di Direzione. Probabilmente non è 1 miliardo ma siamo intorno ai 700-800 milioni perché quegli impieghi di cui parla lui appiccicati alle azioni non erano solo operazioni baciate, ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema, Secondo aspetto, Terzo aspetto. Io ho ricordato durante queste analisi che alla fine dell'aumento di capitale 2013 mi incontrai con Ma. per i corridoi della Banca. Era stato addebitato l'aumento di capitale, quindi come funzionava? C'era stato l'aumento di capitale fino ai primi, gli ordini della rete venivano presi fino ai primi di agosto, quindi l'ordine di acquisto, e poi c'era un momento di regolamento, che era un'unica giornata, in cui venivano addebitati i conti, e la liquidità e i risparmi dei correntisti si tramutavano in azioni, Quindi, se uno avesse 10.000 Euro sul conto corrente di risparmi, di depositi, l'addebito di, ad esempio, 5.000 Euro di azioni avrebbe comportato che questo cliente post-addebito avrebbe avuto 5.000 Euro di depositi, di liquidità, sul conto corrente e 5.000 Euro di azioni. Quindi questo cosa comportava? Comportava un decremento della raccolta. Quindi io incontrai Ma., e Ma. mi disset "Ma, Em., ma hai visto come sono saliti gli impieghi con l'addebito?", cioè quante baciate sono state fatte con l'aumento di capitale? Perché ovviamente normalmente dovrebbe accadere che con l'addebito va giù la raccolta. I depositi dei clienti; se invece c'è un incremento degli impieghi, quindi dei crediti, quindi dei finanziamenti, vuol dire che quelle sono operazioni baciate, E mi ricordo questo fatto di Ma. che me lo disse per avvertirmi, per dirmi: "ma ci stiamo rendendo conto?". Allora cosa ho fatto? Sono andato a prendere le e-mail del Controllo di Gestione, quelle che l'Avvocato Mi. ha fatto vedere a Mo. lunedì, in cui sia nei 2013 sia nel 2014 c'è questo fenomeno. Ma stiamo parlando non di poche cose, stiamo parlando, sommando il 2013 e il 2014, di 350 milioni di crescita degli impieghi che, rapportata agli aumenti di capitale, dà una percentuale dell'intorno del 28%, che è più o meno la stessa percentuale che Consob nell'ispezione dice, afferma che fosse stata fatta attraverso baciate. Quindi Consob dice: siamo intorno al 25% di baciate sull'aumento di capitale, qui ci ritroviamo con il 28%, quindi siamo più o meno lì. Quindi questo oggettiva il fatto che tutta la Banca, perché questa e-mail è indirizzata a So. in copia conoscenza, i Vice Direttori Generali, Pe., gli uomini di Pe., la Divisione Mercati, il Risk Management, che tutta la Banca era a conoscenza che il collocamento delle azioni del capitale avvenisse attraverso baciate. PRESIDENTE - E So. si confrontava con qualcuno e con chi per le comunicazioni da indirizzare agli Organi di Vigilanza? IMPUTATO GI. - Io ricordo che tutte le comunicazioni di Vigilanza e comunque di Banca d'Italia in qualche modo poi dovessero arrivare a So. in Segreteria Generale, ex Ispettore Banca d'Italia, che poi le inoltrava alle strutture della Banca deputate. Per quanto riguarda le segnalazioni di vigilanza e l'interlocuzione con Banca d'Italia, la struttura e la divisione principe era quella di Pe.. PRESIDENTE - Lei poi scrive - l'abbiamo sentito già l'altra volta - che c'era una partecipazione di collaboratori di Pe. alle riunioni della Divisione Mercati; questo riguarda Mo. o riguarda anche altre figure? IMPUTATO GI. - Mo. partecipava a tutte le riunioni della Divisione Mercati che si tenevano mensilmente per condividere con fa rete, quindi i capi area e i direttori regionali, i risultati e dettare le linee guida per il mese successivo, quindi le priorità commerciali, non so: insistiamo sui mutui, vanno fatti più conti correnti eccetera eccetera. Mo. partecipava a tutte queste riunioni, perché preparava lui il materiale e le calendarizzava lui, Mo.. E' accaduto che due/tre volte l'anno a queste riunioni della Divisione Mercati potesse partecipare anche Pe., potessero partecipare Pe. Fa. solitamente anche con So., anche in funzione degli obiettivi di budget, quindi per dettare quelli che fossero gli obiettivi di budget condivisi in Consiglio di Amministrazione. PRESIDENTE - Lei ha sentito l'altra volta? Mo. dice: Io sono rimasto stupito nello scoprire l'entità del fenomeno Se ha da dire qualcosa, non necessariamente, IMPUTATO, GI. - No, io quello che dico in queste riunioni della Divisione Mercati si parlava in modo molto chiaro di capitale e di modalità per raggiungerlo e quindi di operazioni baciate - Quindi mi stupisco che Mo. possa aver detto che non se ne parlava all'interno di queste riunioni della Divisione Mercati. Lui parla di "allusioni", non so sinceramente cosa voglia dire: o se ne parlava o non se ne parlava. Io ero lì e se ne parlava. Dopodiché, con quale frequenza? Sempre maggiore con l'andare degli anni e del tempo. In alcuni casi, a chiusura delle riunioni della Divisione Mercati, io mandavo un messaggio a So. per partecipare, perché lui comunque voleva essere sicuro che suoi messaggi fossero i messaggi che poi venivano declinati sulla rete; chiamavo So., So. veniva solitamente con Ca. a chiudere la riunione, e anche lui parlava di capitale e di finanziamenti per raggiungere gli obiettivi di capitale. Tanto premesso, passando ad analizzare più nel dettaglio il contributo dichiarativo fornito dal chiamante in correità con specifico riferimento alla posizione del coimputato PE., osserva questa Corte come esigenze di chiarezza suggeriscano di attenersi all'ordine espositivo adottato nel memoriale, posto che detto documento ha poi costituito la traccia seguita nel corso dell'esame dell'imputato. Ebbene, in detto documento il GI. ha anzitutto evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra il PE. ed il d.g. So. e, a tal fine, ha richiamato alcune evidenze documentali. Trattasi, segnatamente: - dei documenti allegati alla memoria sub 2.2.1, 2.2.2, e 2.2.3 ed inerenti al coinvolgimento della struttura del PE. nella comunicazione degli obiettivi della rete di vendita, obiettivi che - come s'è ripetutamente precisato - erano perseguiti anche attraverso il sistematico ricorso al capitale finanziato; - del documento 2.2.4, costituto da una mail nella quale, rispondendo al vicedirettore Ca. che manifestava la propria contrarietà rispetto al sistema incentivante, il PE. rispondeva in modo netto "ne discuteremo con il direttore", così manifestando, ad avviso del GI., la propria "vicinanza" al d.g.). Quindi, il propalante ha esplicitamente affermato la piena conoscenza, in capo al coimputato, sia della "prassi svuotafondo" e delle ragioni ad essa sottese, sia delle difficoltà, da mantenere nascoste all'esterno, nelle quali si dibatteva il mercato secondario dei titoli B., anche in tal caso richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, specifici supporti documentali e, segnatamente: - quanto al primo profilo, i documenti 2,3.1 e 2,3.2 (costituiti, rispettivamente, dalla richiesta, avanzata dal d.g. So. su elaborazione di Pe., di raggiungere l'obiettivo di Tier 1 pari all'8% a fine 2011 e del documento, predisposto dal Mo., nel quale si monitorava l'attuazione della direttiva del d.g. secondo cui ad ogni delibera di credito avrebbe dovuto essere associata l'acquisizione di un socio, direttiva, peraltro, che implicava necessariamente il blocco delle predette delibere fino all'acquisizione di un nuovo socio); - e, quanto al secondo profilo, il documento 2.3,3 (costituito da una mail inviata, in vista di una riunione con Bc. a Francoforte, dal So. al PE. e contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), nonché dei documenti 2.3.3 bis, 2.3.3, ter (relativi alla predisposizione della risposta ai reclami dei soci, risposta nella quale si adduceva la responsabilità dei ritardi ad un mero mutamento della regolamentazione di riferimento avvenuta nel 2014, quando, al contrario - ha precisato il GI. - era notorio che tali difficoltà derivavano dalla risalente crisi del mercato secondario del titolo B.). Quanto, poi, alle Riunioni di Direzione, il propalante ha affermato come il coimputato PE. fosse solito prendervi parte, personalmente ovvero per il tramite dei suoi stretti collaboratori, Fa. e Mo.. E, a sostegno, ha prodotto i documenti in allegato alla memoria sub 2,4.1, 2.4.2, 2.4.3., 2.4.3 bis, 2.4.4., 2.4.5. relativi anche all'incontro, tenutosi a Roma, nel quale il So. aveva minacciato l'eliminazione delle direzioni regionali se non avessero raggiunto gli obiettivi assegnati, tra i quali i requisiti di capitale, anche attraverso le operazioni finanziate. Passando, quindi, ad analizzare l'intervento del PE. nel corso del più volte citato Comitato di direzione dell'8.11.2011, il GI. ha precisato - del tutto coerentemente, peraltro, con la lettura che di tale momento di "riflessione collettiva" è stata in precedenza proposta - che il coimputato era intervenuto con la funzione di fare da - guida della discussione per far in modo che si raggiungessero gli obiettivi di capitale, anche con finanziamenti correlati" (così si legge a pag. 16 della memoria): era stato in tale veste, infatti, che il responsabile del bilancio aveva assegnato un "obiettivo complessivo, tra Vicenza, Prato e Palermo di 110 mln di euro". Nell'occasione - ha precisato il dichiarante - nessuno aveva contestato che per collocare le azioni sarebbe stato necessario ricorrere anche alle "baciate" (come espressamente evidenziato da To. e da Se., tra i più in difficoltà nel collocamento, visto che nelle zone di loro competenza - la Toscana e la Sicilia - "B. non era conosciuta e non c'era alcun senso di appartenenza da parte del territorio") e, pertanto, il d.g. So. aveva rapidamente tratto le conclusioni, assegnando il monitoraggio di tale collocamento, da effettuare anche attraverso i finanziamenti, "a Fa. (cioè a Pe.)". Di seguito (si vedano le pagg. 16-17 del memoriale), il GI. ha rievocato la partecipazione del Fa. al Comitato di Direzione 10.11.2014 ed ha spiegato il significato del riferimento effettuato dallo stesso dichiarante alla necessità di confrontarsi con Ma.": il tema era quello della necessità di "smontare" le baciate e la proposta dello stesso GI. di fronteggiare la riduzione del capitale abbinato alle baciate attraverso la riduzione degli attivi della Banca, essendo i requisiti patrimoniali una frazione tra numeratore-capitale e denominatore-attivi" avrebbe necessariamente richiesto l'interlocuzione col PE., trattandosi del soggetto che "sapeva come poter tarare gli obiettivi relativi ai requisiti di capitale tra aumenti di capitale, svuotafondo, riduzione degli attivi rischiosi e riduzione dei finanziamenti baciati". Quindi, ha precisato di serbare il ricordo di un momento dì specifico confronto che aveva avuto, sul punto, con il PE.: a margine di una riunione di direzione tenutasi nel secondo semestre 2014, infatti, avevano esplicitamente affrontato tale argomento e, nell'occasione, avevano concordemente convenuto - che l'ammontare di riduzione degli attivi non sarebbe stato sufficiente a colmare il venir meno del capitale dei principali soci della banca". Quindi, nel corso dell'esame innanzi a questa Corte, ha rievocato nuovamente tale episodio. Ebbene, trattasi - com'è evidente - di una ricostruzione assolutamente sovrapponibile a quella già delineata dalle acquisizioni documentali e testimoniali nella disponibilità del primo giudice, ma che, nondimeno, è tutt'altro che irrilevante, provenendo da un diretto protagonista dell'episodio (e, segnatamente, proprio da colui che, nel corso della riunione, aveva evocato il PE.). Inoltre, il GI., da un lato, ha precisato che l'intervento degli esponenti della Divisione Pianificazione e Bilancio nelle riunioni della Divisione Mercati era costante, soggiungendo che costoro ne riportavano gli esiti al loro responsabile, PE. (cfr, pagina 18 del memoriale); e, dall'altro, ha convenuto che i piani industriali B., lungi dall'essere meramente ottimistici, ovverosia "sfidanti e non sempre di facile composizione" (come pure eufemisticamente ammesso dallo stesso CdA in risposta a Banca d'Italia con riferimento al Piano 2012-2014), fossero "irrealizzabili", "utopistici" e, ciononostante, fossero stati costantemente approvati. Questo, per la impellente necessità di "alimentare e sostenere il prezzo dell'azione" e, al contempo, "stressare le strutture commerciali", tenendole continuamente sotto pressione (cfr. pag. 19 del memoriale). E, anche sul punto - è appena il caso di rilevarlo - le affermazioni del propalante collimano con le risultanze istruttorie. Quindi, alle pagine 19-21 del memoriale, il chiamante in correità ha rievocato il coinvolgimento delle strutture dipendenti dal PE. nello studio di fattibilità del progetto del d.g. So. di eliminazione degli "impieghi poco redditizi" (trattasi della valutazione propedeutica alla Riunione del Comitato di Direzione 10.11.2014 di cui s'è detto); studio che, tuttavia, aveva evidenziato l'impraticabilità di tale eliminazione per tutti quegli impieghi costituiti dai finanziamenti concessi a soggetti - intoccabili perché azionisti della Banca" (tra cui il propalante ha specificamente ricordato "El., Ze., It., Za., Ro."): ebbene - ha precisato il GI. - tra le posizioni intoccabili espressamente valutate e riportate nel documento Excel all'uopo predisposto vi erano parti di operazioni correlate caratterizzate dalla corrispondenza tra importo del finanziamento erogato e valore delle azioni B. possedute dal soggetto finanziato (ad esempio "Ma.An., Ol.An., Na.Fa."), sicché il tema del capitale correlato emergeva, da tale studio, in termini dì evidenza. E, a sostegno di ciò, il GI. ha richiamato i documenti allegati al memoriale sub 2.7.1, 2.7.2 e 2.7.2 bis. Ciononostante - ha proseguito il dichiarante - il d.g. So., consapevole che questo fosse uno degli aspetti più problematici, con la collaborazione della "Pianificazione" e del "Risk" aveva continuato a lavorare per far emergere gli impieghi poco redditizi, questa volta anche valutando l'impatto dell'assorbimento di capitale. All'esito di tale approfondimento, era risultato un ammontare pari a circa un miliardo di Euro (come da tabella allegata al memoriale sub 2.7.3.) e, nell'occasione, era emerso, abbinando a tali impieghi il possesso azionario, nominativo per nominativo, che molti di questi impieghi erano correlati all'acquisto di azioni (come da documento allegato sub 2-7.4). Quindi, il GI. ha precisato che la Direzione Pianificazione e Bilancio aveva accesso ai dati relativi alle azioni ed ai finanziamenti (come, peraltro, confermato dal lavoro di studio, testé evocato, effettuato su richiesta del d.g. So.) ed ha richiamato due mail - prodotte in allegato al memoriale, sub 2.8.1 e 2.8.2. - relative all'analisi, "effettuata da Pianificazione/Bilancio", dell'andamento giornaliero della raccolta e degli impieghi alla data di regolamento dell'aumento di capitale 2014. Trattasi - ha precisato il GI. - di documenti attestanti la consapevolezza piena del fenomeno dei finanziamenti correlati con riferimento agli aumenti di capitale 2014 (in particolare, l'allegato 2.8.2. dimostrerebbe che l'Aucap 2014 era stato finanziato dalla banca stessa per l'ammontare di 168 milioni di euro). Quindi, come anticipato, nel corso dell'esame il GI. ha sostanzialmente ribadito quanto anticipato nel memoriale, soffermandosi più diffusamente sulle circostanze di maggior rilievo, specie nel rispondere alle sollecitazioni delle difese dei coimputati (e, per quello che specificamente rileva in questa sede, della difesa del PE.) ed ulteriormente puntualizzando quanto oggetto di "anticipazione scritta" (come nel caso dei periodici incontri per il jogging con i colleghi Fa. ed Es. in occasione dei quali erano ricorrenti i riferimenti alla prassi delle "baciate" in atto presso l'istituto - cfr. esame GI., udienza 15.6.2022, pag. 45). Ebbene, le risposte fornite sono state sempre coerenti con le citate "anticipazioni", non sono emerse contraddizioni e tantomeno il propalante è stato smentito nella interpretazione dei documenti dallo stesso prodotti al di là di talune, inevitabili contestazioni circa le conclusioni desumibili da alcuni di detti documenti. A tale ultimo riguardo, infatti, non può che ribadirsi come l'assenza di esplicita, dati documentali in ordine al capitale finanziato rispondesse ad una precisa direttiva aziendale, sicché non può certo destare sorpresa la circostanza che i documenti valorizzati dal propalante non siano di immediata comprensione (e ciò anche per la natura oltremodo "tecnica" del loro contenuto), ovvero si prestino ad interpretazioni parzialmente differenti. A ben vedere, quello che rileva è che nell'ambito di un pieno ed incondizionato disvelamento delle proprie responsabilità, espressione di un effettivo ripensamento critico maturato da persona soggettivamente attendibile (sul punto si richiamano le considerazioni già spese nel paragrafo 13 della presente sentenza), il GI. abbia delineato - in modo coerente, va ribadito, con le plurime evidenze probatorie logiche, documentali e testimoniali complessivamente disponibili - quale sia stato il ruolo rivestito, tra gli altri, dal coimputato PE., fornendo, in proposito, senza alcuna animosità (e, anzi, in maniera oltremodo pacata e tale da rendere evidente quanto fosse stata sofferta la determinazione alla "collaborazione" progressivamente maturata), il contributo, assai utile per la compiuta comprensione delle dinamiche operative collegiali del board ristretto dell'istituto di credito, proprio di un soggetto coinvolto, ai massimi livelli, nell'operatività delittuosa. In effetti, le pur articolate contestazioni mosse dalla difesa del PE. per contestare attendibilità e concludenza delle propalazioni d'accusa non colgono affatto nel segno. In particolare: - quanto alla obiezione inerente alla portata innovativa (rispetto alle dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado) da riconoscersi esclusivamente in ordine alla ammissione di personale responsabilità del medesimo GI. (cfr. memoria conclusiva difesa PE., paragrafo 4.1, pagg. 42 e ss.), è sufficiente la lettura di quanto riferito dallo stesso chiamante in correità innanzi a questa Corte per convincersi del contrario; - quanto alla contestazione circa la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 4.2.1 della memoria citata), non può che farsi riferimento alle considerazioni già spese al riguardo (anche in relazione alla posizione dei coimputati, segnatamente lo ZO.), tali da fugare qualsivoglia perplessità circa la suddetta ampia consapevolezza (nel settore dei "mercati" - lo si è visto - finanche capillare); - quanto, poi, alla confutazione in ordine al fatto che, in occasione dei Comitati di Direzione, si parlasse di "baciate" (paragrafo 4.32.2. della memoria), vale, ancora una volta, il rinvio alle osservazioni già esposte sul punto; - quanto, ancora, alle dichiarazioni relative ai colloqui "informali" intrattenuti con il Fa. e l'Es. in ordine alle "baciate", le diverse versioni rese da costoro, là dove hanno sostenuto di avere acquisito contezza del fenomeno solo verso la metà del 2015 (paragrafo 4,2.3. della memoria), non appaiono minimamente credibili in quanto evidentemente orientate dalla finalità di stornare qualsivoglia sospetto dalle rispettive persone, nel solco di un contegno che - lo si è già detto - ha trovato ampia diffusione; - quanto alla asserita falsità dell'affermazione che i piani industriali sarebbero stati manipolati per tenere alto il prezzo dell'azione (paragrafo 4.2.4 della memoria), non può che rinviarsi alle riflessioni in precedenza svolte al riguardo (segnatamente in relazione alla posizione del coimputato ZO., sulla base, in particolare, oltre che di considerazioni di natura logica, delle puntuali dichiarazioni, in proposito, del teste Ca.); - quanto, infine, alla contestazione circa i colloqui intercorsi tra il propalante ed il PE. in ordine al volume delle operazioni finanziate (paragrafi 4.2.5 e 4.2.6 della memoria), il rinvio è alle considerazioni che saranno esposte più avanti. Inoltre, la contestazione della significazione dei documenti prodotti dal GI. a sostegno delle proprie dichiarazioni (cfr. capitolo 4.3 della memoria, pagg. 62-84), se può essere condivisa con riferimento a taluni di essi, effettivamente dotati di una generica attitudine probatoria di mero "contesto" (è il caso dei documenti costituenti gli allegati 2.2.1, 2.2.2, 2.2.3, 2.2.4), non può affatto trovare avallo in relazione ad altra parte della produzione del predetto coimputato. Ciò è particolarmente vero con riguardo ai documenti 2.3.1, 2.3.2, e 2.3.3 che, effettivamente, orientano (in linea anche con le considerazioni di carattere logico effettuate in proposito) per il coinvolgimento della struttura facente capo al PE. nel monitoraggio di momenti essenziali della dinamica del capitale finanziato, con la doverosa precisazione, inoltre, che il documento 2.3.3 - ovverosia la mail inviata dal So. al giudicabile in vista della partecipazione di costui alla riunione Bc. a Francoforte, corredata dalla significativa indicazione "non illustrabile" e contenente anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci - costituisce, come si è già detto, elemento obiettivamente connotato da elevata specifica attitudine dimostrativa (al di là di quello che può poi essere stato l'effettivo contenuto della riunione in questione). Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle produzioni 2.3-3. bis e ter in quanto - ad onta, anche in tal caso, delle obiezioni difensive - trattasi di documenti dai quali si trae la rinnovata conferma della conoscenza, in capo all'imputato, della condizione di grave crisi del mercato secondario del titolo B., ovverosia - è bene ripeterlo nuovamente - di un aspetto inscindibilmente connesso al tema del capitale finanziato (del quale - lo si è già visto - l'ingravescente illiquidità del titolo azionario costituiva una delle principali cause). I documenti 2.4.1, 2.4.2., 2.4.3, poi, sono inerenti alla partecipazione dell'imputato e dei suoi collaboratori alle riunioni di direzione (ivi compreso l'incontro di Roma di cui s'è detto e nel quale, anche secondo i testi evocati dalla difesa, il So. si era espresso in modo assai incisivo sul tema del capitale, ancorché detti testimoni non abbiano menzionato espliciti riferimenti, da parte del d.g., alle operazioni correlate), sicché trattasi di dati che comunque corroborano, sia pure in tali termini più generali, la narrazione del propalante. Il documento 2.4.4, e soprattutto, quello 2.4,5 (trattasi di comunicazione in vista del comitato di direzione 10.11.2014), confermano come larga parte dei finanziamenti riguardasse proprio gli azionisti, donde il non trascurabile significato del dato. Ancora, i documenti 2.7.1, 2.7.2, 2.7.2 bis, 2.7.3, 2.7.4. riscontrano l'esistenza di un accurato lavoro, da parte delle strutture della banca (ivi compresa la "pianificazione") sul "margine di interesse", inerente anche ad operazioni rispetto alle quali la coincidenza tra ammontare dei finanziamenti e valore delle azioni possedute era tale da costituire, se non la prova, quantomeno un importante indice di allarme circa la natura finanziata degli acquisiti dei titoli; del resto, la dicitura "operazioni "particolari" contenuta nel documento 2.7.1., tenuto conto del lessico volutamente ambiguo ed allusivo imposto per trattare del "capitale finanziato" all'interno di B., deve evidentemente ritenersi riferita proprio a situazioni del genere (nonostante la contraria affermazione, evocata dal difensore, dell'inattendibile teste Fa.). Il significato di tali dati, quindi, è evidente, nonostante la difesa ne abbia proposto una lettura riduttiva e, soprattutto, "sganciata" dal complessivo contesto di riferimento. Altrettanto significative, infine, sono le produzioni 2.8.1 e 2.8.2 dalle quali, in effetti, si ricava, con riferimento al "contributo" offerto da Ba.Nu., l'incidenza significativa dei finanziamenti sull'esito positivo dell'aucap 2014, sicché - anche in tal caso nonostante le specifiche obiezioni difensive (relative alla minor somma di capitale finanziato poi riscontrato con riferimento alla predetta Ba.Nu. rispetto ai dati evinciteli da tali comunicazioni) - le produzioni effettuate a sostegno delle dichiarazioni del GI. corroborano l'attendibilità della fonte. Infine - è stato già anticipato, ma giova ripeterlo - le propalazioni del GI. hanno trovato piena conferma nelle prove a carico del PE. già acquisite nel corso del giudizio di primo grado, sicché l'esigenza dei riscontri alla chiamata di correo appare, sotto questo profilo, più che soddisfatta. Ciò posto, prima di passare alle conclusioni, si impone una analisi specifica, ancorché sintetica, di quelle evidenze che il primo giudice ha valutato come favorevoli all'imputato e che, diversamente, si rivelano, in quest'ottica, prive di rilievo (se non, addirittura, di segno contrario). E' il caso, anzitutto, delle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., ampiamente richiamate dalla difesa dell'imputato (si vedano, segnatamente, le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2 -3.5, pagg. 18-41 della memoria conclusiva). Ebbene, premesso quanto già ripetutamente esposto in ordine alla difficoltà incontrata (dapprima in sede di indagine e, successivamente, nel corso del giudizio) nell'ottenere dai contributi dichiarativi resi dai partecipi delle strutture di B. coinvolti, con ruoli non marginali, nelle operazioni di "capitale finanziato", informazioni realmente utili per il necessario regolamento di confini in punto di responsabilità individuali, deve osservarsi, quanto alle dichiarazioni del Fa. - là dove costui, come precisato in sentenza, ha riferito che tanto lui stesso quanto il PE. avevano acquisito la conoscenza dell'entità del capitale finanziato solo nel corso dell'ispezione della Bc. del 2015 ed ha precisato che, in precedenza, tale conoscenza era assolutamente generica, poiché derivata dalle sporadiche allusioni a tale fenomeno effettuate in sede di Comitato di Direzione - si è in presenza di affermazioni, alla luce di quanto sin qui detto, del tutto inaffidabili. Il primo giudice, sul punto, ha obliterato ogni valutazione di attendibilità, attendibilità che, per contro, va radicalmente esclusa, essendosi in presenza del collaboratore dell'imputato che, come s'è detto, curava la valutazione degli effetti dell'andamento del fondo sul patrimonio di vigilanza e che, quindi, svolgeva un'attività di assoluto rilievo ai fini del monitoraggio delle implicazioni del capitale finanziato sui requisiti prudenziali. Peraltro, lo stesso Fa., nel corso della rinnovata escussione dibattimentale innanzi a questa Corte, non ha potuto negare che in occasione del comitato "del 14.11.2014" (rectius del 10.11.2014) - ovverosia in una situazione di forte tensione - era stato specificamente affrontato il tema del capitale correlato, sostenendo che tale fenomeno, in precedenza, era tollerato (e, quindi, non certo ignorato) in quanto vera e propria prassi delle popolari. Quanto alla testimonianza resa dal Tr., poi, deve osservarsi che, con riferimento al PE., i passaggi più significativi di detto contributo dichiarativo riguardano, in primo luogo, il fatto che, ad avviso di tale teste, l'imputato mai gli avrebbe rappresentato (espressamente o implicitamente) di essere a conoscenza del fenomeno e, in secondo luogo, la circostanza che il medesimo giudicabile si sarebbe dimostrato sorpreso allorquando gli ispettori ebbero ad illustrare le evidenze emerse In relazione ai fondi At. ed Op., Ebbene, irrilevante la questione dei fondi (rispetto ai quali non è in discussione l'estraneità dell'imputato), trattasi, per il resto, anche a volersi prestar fede ad un testimone, complessivamente, anch'egli poco affidabile (in quanto parimenti partecipe della complessiva vicenda in esame, in qualità di collaboratore dell'odierno imputato, essendo egli responsabile della Ragioneria Generale), di contributo privo di sostanziale portata, com'è evidente alla luce del concreto contenuto di tali dichiarazioni. In relazione alla deposizione del Mo., poi, il tribunale ha evidenziato come costui avesse riferito che, prima della ispezione Bc., vi era consapevolezza bensì dell'esistenza, non già delle dimensioni del fenomeno in esame, soggiungendo, con specifico riferimento alla posizione del PE., che detto imputato era a conoscenza dello slogan di So. secondo il quale era necessario che ogni cliente affidato possedesse azioni B. per un controvalore pari ad almeno il 10%, Ebbene, rispetto a tale deposizione non possono non avanzarsi rilievi critici, in punto di attendibilità, del tutto analoghi a quelli relativi alla deposizione del collega Fa.. Questo, solo a considerare il fatto che il predetto Mo., per le sue funzioni di stretta collaborazione con la Divisione Mercati, alle riunioni mensili della quale partecipava stabilmente, era il soggetto, tra quelli appartenenti alla Divisione diretta dal PE., maggiormente coinvolto dai flussi informativi "informali" relativi alle pressanti iniziative di collocamento dei titoli che coinvolgevano tutta la rete commerciale. Si è in presenza, quindi, di dichiarazione alla quale non può certo attribuirsi particolare significato in chiave difensiva. Peraltro, giova evidenziare come, in sede di rinnovazione istruttoria, tale teste, nel ribadire, comunque, che, sia pure in modo allusivo ed in contesti informali, delle "baciate" si parlava all'interno della banca, abbia anche confermato - e trattasi di elemento tutt'altro che trascurabile, ove si consideri debitamente la più volte evocata "dimensione sistemica" del fenomeno in questione - le significative tensioni riscontrabili sul mercato secondario del titolo a partire dall'anno 2012. Infine, quanto al teste Li., costui ha sostenuto che il PE., all'inizio dell'ispezione, gli aveva riferito, peraltro esprimendosi in termini di mera probabilità, di essere a conoscenza di un ammontare del capitale finanziato non superiore a quello del fondo acquisto azioni proprie e, dunque, nei limiti dei 200 milioni. Ebbene, a parte il fatto che si tratterebbe di un importo comunque assai consistente (corrispondendo quasi alla consistenza massima del fondo azioni proprie nella fase precedente rispetto alla successiva riduzione prevista normativamente), tale da incidere significativamente sui requisiti di vigilanza, è decisivo osservare che l'interlocuzione tra i due si colloca in una fase di crisi oramai manifesta, quando tutti ragionevolmente miravano ad escludere (o, quantomeno, a ridimensionare) l'apporto da ciascuno fornito alla attuazione della prassi del capitale finanziato (si pensi alla già evocata distruzione, da parte di Am., dei documenti che potevano comprometterlo). Non v'è chi non veda, pertanto, come si sia in presenza di una deposizione priva di reale consistenza favorevole. In effetti, l'imputato (al pari dei suoi più stretti collaboratori, donde - va ribadito ancora una volta - la scarsa attendibilità delle dichiarazioni di costoro) aveva tutto l'interesse, in ottica autodifensiva, ad apparire all'oscuro quantomeno delle dimensioni del fenomeno in esame, onde avvalorare la tesi della propria estraneità ai fatti, o, comunque, di un coinvolgimento del tutto marginale. Venendo, quindi, alla disclosure relativa ai fondi At. ed Op., verificatasi nel giugno del 2014, coglie nel segno la censura articolata, sul punto, nell'atto di impugnazione del p.m.: non solo si è trattato di condotta doverosa (in quanto conseguente ad uno specifico obbligo); ma - e trattasi di considerazione, sul punto, davvero dirimente - è decisivo osservare come un differente contegno avrebbe comportato effetti ancora più pregiudizievoli per la banca, la quale si sarebbe vista costretta a detrarre dal patrimonio di vigilanza l'intero ammontare dell'investimento effettuato nei fondi lussemburghesi, pari a circa 350 milioni dì Euro, a fronte di una detenzione di azioni ammontante ad un valore di circa 50 milioni di euro259. L'irrilevanza di tale elemento, quindi, è tanto evidente da non richiedere ulteriori commenti. Considerazioni più articolate si impongono, invece, con riferimento alla "vicenda Kp.", alla quale il primo giudice, in relazione all'imputato, ha dedicato le osservazioni contenute alle pagg. 746-748 della sentenza impugnata. In estrema sintesi, il tribunale ha interpretato la condotta tenuta dal PE. in quel delicato frangente come insuscettibile di univoca interpretazione, al contempo riconoscendo come più probabile una lettura del complessivo contegno del giudicabile come sintomatico di mancata conoscenza dell'entità effettiva del capitale finanziato. Si ricorda che il PE., secondo la teste Pa., le aveva bensì chiesto un "parere legale", ma senza affatto suggerirle di attestare la legittimità delle operazioni di finanziamento per l'acquisto delle azioni cadute sotto la lente della società di revisione; quindi, in occasione della successiva riunione, allorquando il Pi., alla proposta della medesima Pa. di avviare "un audit", aveva reagito proferendo la frase "Ma sei matta! Un Audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa", ed anche il So. aveva dato in escandescenze, era rimasto calmo, dando così mostra di non essere allineato agli altri vertici aziendali. Trattasi, ad avviso di questa Corte, di una lettura delle emergenze processuali disponibili davvero poco persuasiva e, anzi, a ben vedere, frutto di un marcato travisamento della prova. Ed invero, tralasciando quanto sin qui detto in ordine alle prove positive (dirette ed indirette, logiche, testimoniali e documentali) inerenti alla conoscenza effettiva dell'esistenza e della entità eclatante del capitale finanziato in capo al PE. e limitando l'analisi alla vicenda in esame (ed agli accadimenti ad essa immediatamente precedenti), non può non rilevarsi quanto segue. La società Kp. era impegnata nella revisione del bilancio 2014 e, in tale contesto operativo, si era determinata ad effettuare laboriosi approfondimenti, peraltro mai svolti in occasione delle analoghe attività espletate negli anni precedenti, approfondimenti che, a seguito dì appositi "incroci informatici" dei dati disponibili negli archivi dell'istituto, avevano portato all'emersione di alcune (17) "posizioni correlate", attinenti non solo all'aumento di capitale ma anche alle operazioni di acquisto azioni effettuate nel corso del medesimo anno. Con ogni probabilità (sebbene talune incertezze, sul punto, non siano state del tutto dissolte dall'istruttoria dibattimentale) ad orientare in tal senso l'attività di revisione erano stati significativi "campanelli d'allarme" che non potevano essere ignorati. In ogni caso, le evidenze emerse nell'occasione - ciò va precisato per il rilievo che tale circostanza è destinata ad assumere ai fini del dovuto apprezzamento della serietà di quanto andava emergendo - erano il frutto di verifiche eseguite su un mero campione e, quindi, erano del tutto prive di valore statistico (sicché era assai probabile che - come poi puntualmente avvenuto - una più analitica disamina avrebbe potuto portare alla luce una situazione assai più compromessa). Ebbene, all'emersione di tali evidenze aveva fatto seguito, su input della società di revisione, interessata ad acquisire il "punto di vista" della banca su tali evidenze di "correlazione", il coinvolgimento del PE. (immediatamente informato da Vi.An., di Kp., del problema che andava emergendo) e, per il tramite dello stesso imputato, del d.g. So., dell'ufficio legale di B. (nella persona della Pa.) e, infine, dello stesso Collegio Sindacale. A questo punto, gli eventi si erano succeduti freneticamente: la Pa., a fronte delle plurime richieste di parere (secondo la teste, anche il d.g. So. si era attivato in tal senso) e dopo essersi consultata con l'avv. Te. (alla presenza dello stesso PE.), aveva rifiutato di attestare la regolarità di quanto stava venendo alla luce, sostenendo trattarsi di prassi in contrasto con l'art. 2358 c.c., per poi ribadire tale decisione anche nella "famosa" riunione con il d.g. So. e gli imputati PI. e PE.. Si tratta proprio dell'incontro in occasione del quale, come efficacemente rievocato dalla teste, il So., si era "arrabbiato tantissimo", l'aveva aggredita verbalmente e l'aveva finanche minacciata di licenziamento (affermando espressamente che "si sarebbe trovato un altro avvocato") ed il PI., dal canto suo, alla proposta della stessa Pa. di svolgere un approfondimento Audit, aveva replicato "Ma sei impazzita? Sei matta? Se facciamo un Audit andiamo tutti a casa"263. Ciononostante, era stata alla fine trovata una sorta di soluzione di compromesso che, elaborata, con l'ausilio dell'avv. Te., dalla Pa., dal PE. e dal GI. (anche se poi riversata in un documento sottoscritto solo da quest'ultimo), aveva soddisfatto le esigenze di Kp., sicché la società di revisione si era determinata a certificare il bilancio. Sennonché, deve osservarsi che, nella risposta fornita da B., la banca si era limitata a fornire l'assicurazione che l'istituto, nell'erogazione dei finanziamenti, aveva sempre rigorosamente verificato il merito creditizio dei soggetti affidati (profilo, questo, com'è evidente, del tutto marginale rispetto al nucleo essenziale del problema della correlazione), per il resto sostanzialmente limitandosi a comunicare che avrebbe avviato "ogni opportuno approfondimento volto a verificare nei tempi tecnici necessari se vi siano casi in cui all'apparente contestualità dell'operazione corrispondano comportamenti irregolari", approfondimento il cui esito sarebbe stato "sottoposto agli organi competenti" ed informando la stessa società che avrebbe avuto "accesso alla relativa documentazione". In tal senso ricostruita la successione degli eventi, emerge platealmente l'insostenibilità della interpretazione della condotta del PE.. Ad ammettere che il giudicabile fosse stato all'oscuro della reale dimensione del fenomeno, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che il predetto, di fronte alla eclatante reazione del PI. per effetto di una richiesta (quella di un approfondimento "audit") del tutto ragionevole, si sarebbe per primo dovuto allarmare, ben più della collega Pa., Questo, solo a considerare le gravissime prospettive che iniziavano a delinearsi non solo per l'istituto di credito ma per la stessa persona dell'imputato, tenuto conto del ruolo dal predetto rivestito di responsabile del bilancio e delle comunicazioni alla vigilanza. La condotta scomposta del So. e del PI., invero, rivelava chiaramente, ove mai ve ne fosse stato bisogno, agli occhi di un esperto dirigente quale PE., tutt'altro che incapace di cogliere la gravità dei fatti, che le posizioni irregolari incappate nella verifica della società di revisione ragionevolmente erano solo una minima frazione di un ben più vasto e radicato fenomeno, con la conseguenza della assoluta inattendibilità dei bilanci e delle comunicazioni predisposte dallo stesso PE., in questa prospettiva evidentemente vittima di un gravissimo, coordinato e risalente inganno ad opera degli altri più alti dirigenti e delle strutture della banca coinvolte in tale operatività. In un siffatto scenario, quindi, la reazione controllata dell'imputato nel corso dell'incontro non trova davvero alcuna plausibile giustificazione, al pari, del resto, del successivo tentativo del giudicabile di tranquillizzare la Pa. (la quale ipotizzava persino di dimettersi) durante il viaggio di ritorno, minimizzando la serietà di quanto andava emergendo. Ma v'è di più. Come s'è visto, quando ebbe a verificarsi la "vicenda Kp." (siamo nella prima metà di marzo 2015) aveva da poco avuto luogo la riunione indetta dal So. in vista dell'ispezione Bc., riunione in occasione della quale il "responsabile Audit" Bo., richiamando la propria relazione datata 4.9.2014, aveva manifestato serie preoccupazioni per l'entità del fenomeno del capitale finanziato quale sino ad allora accertato. E, come s'è detto, il PE. aveva preso parte a tale riunione (o, comunque, è assolutamente ragionevole ritenere che di quanto emerso in quella sede fosse stato prontamente informato). Sicché, anche sotto tale profilo, la condotta pacata e rassicurante tenuta dall'imputato al cospetto della Pa. risulta ancor più difficilmente leggibile come espressione di estraneità rispetto al resto dell'alta dirigenza della banca (e, in particolare, rispetto al So. ed al PI.). Assai più probabile - ad avviso di questa Corte - è che l'imputato abbia assunto detto contegno per contribuire, in tal guisa, a non recidere definitivamente i contatti con la Pa., mirando, d'intesa con il So. (o, comunque, interpretando in tal senso gli intendimenti di quest'ultimo), ad indirizzare l'operato della collega verso approdi il meno pregiudizievoli possibile per l'istituto di credito (ovviamente nell'ottica degli imputati). E, in effetti, alla fine, le cose erano andate proprio nel senso auspicato, posto che era stata trovata una "soluzione di compromesso", ove si consideri che la missiva inviata a Kp. (predisposta, oltre che dalla Pa., dall'avv. Te. e dal coimputato GI., anche dallo stesso PE., ancorché significativamente sottoscritta, come s'è detto, dal solo GI., la posizione del quale, evidentemente, già era considerata quella meno difendibile) si limitava a rappresentare l'impegno dell'istituto di credito a svolgere gli approfondimenti necessari per chiarire le posizioni segnalate. Ne consegue che la interpretazione della vicenda Kp. adottata dal primo giudice (sostanzialmente adesiva rispetto alla lettura fattane dalla difesa del PE. ed esplicitata al paragrafo 4.4, della memoria difensiva, pagg. 65-75), è nettamente contraddetta dalla razionale lettura delle esposte emergenze dibattimentali. Infine, in ordine all'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014, vale osservare come, se è vero che l'imputato, nell'occasione, ebbe a svolgere osservazioni critiche, ciò non contrasta affatto con il coinvolgimento del medesimo nell'attività delittuosa. Infatti, è di certo verosimile che il predetto, evidentemente consapevole del baratro nel quale l'istituto di credito stava precipitando, ritenesse opportuno "frenare" la deriva circa la sopravvalutazione del prezzo dell'azione e mirasse, quantomeno, ad un "congelamento" della situazione. E, a ben vedere, ponendosi in questa prospettiva, la circostanza in esame finisce per assume un significato opposto a quello assegnatole dal primo giudice. Del resto, anche il GI. - come s'è detto - si sarebbe fatto proponente, in occasione del Comitato di Direzione di appena pochi mesi dopo, di una soluzione drastica (e risultata, alla stregua delle stesse dichiarazioni di costui, impercorribile) per smontare le "baciate", anche a costo di un radicale ridimensionamento dell'istituto. Nondimeno, nessuna dissociazione del predetto PE. (al pari, del resto, del coimputato GI.), ha avuto successivamente luogo. Per contro, come evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, è emerso che PE. ha più volte ammesso, secondo quanto precisato dal teste Ca., come l'elaborazione di piani industriali irrealistici costituisse il contributo offerto dallo stesso imputato - significativamente definito dal teste, proprio con riferimento alla elaborazione dei piani in questione, il "braccio armato" del d.g. So. - per sostenere surrettiziamente il prezzo dell'azione. Sicché, anche sul punto, ha obiettivamente errato il primo giudice nel riconoscere portata favorevole all'imputato a tale circostanza. Deve, allora, necessariamente concludersi nel senso che tutti gli elementi significativi disponibili (tanto di natura logica, quanto documentale, quanto, ancora, dichiarativa) convergono - ove interpretati nella loro univoca, razionale significazione e debitamente sottoposti a complessiva lettura - nel collocare il PE. all'interno di quella struttura di vertice del management aziendale che non solo era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e della sua eclatante portata, ma che aveva fattivamente cooperato, secondo le capacità e nell'ambito delle "competenze" proprie di ciascun alto dirigente, affinché tale prassi potesse trovare, al contempo, concreta attuazione nell'operatività interna di B. ed adeguata copertura "esterna" (segnatamente, nei confronti della vigilanza). Può certamente essere vero che il PE. non avesse costantemente la precisa cognizione delle esatte (e costantemente variabili) dimensioni del fenomeno, posto, per un verso, che il relativo monitoraggio veniva curato, come detto, dal Fa. e, per altro verso, che il Mo. (il quale - come s'è detto - partecipava alle riunioni periodiche della Divisione Mercati, ove - lo si è visto - la questione era spesso trattata) godeva di un significativo grado di autonomia e considerato, in ogni caso, che il contributo fornito (tramite il predetto Fa.) dalla Divisione Bilancio era quello di un vaglio, necessariamente periodico, finalizzato al tema specifico delle ricadute sul patrimonio di vigilanza (mentre, come ha ricordato il teste Ba., il monitoraggio sulle singole operazioni era effettuato dalla Divisione Mercati e dall'ufficio soci, secondo le rispettive competenze). Lo stesso imputato, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria, ha precisato come non avesse interesse ad avere informazioni specifiche sulla movimentazione mensile del fondo azioni proprie, trattandosi di dato che assumeva concreto rilievo ("entrava nei radar") verso il mese di settembre, quando diveniva significativo ai fini delle valutazioni di competenza della Divisione267. In questa prospettiva, peraltro, trovano agevole spiegazione le interlocuzioni del giudicabile con il GI. (secondo quanto da quest'ultimo riferito, ma decisamente negato dall'imputato268), allorquando, all'esito di vari Comitati di Direzione, il primo aveva interpellato il secondo sull'ammontare delle correlate, ottenendo dal coimputato l'aggiornamento dell'entità delle operazioni riconducibili allo stesso interlocutore ("...Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino al 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni" Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la parola mia contro la parola di Pe. ..."). E' bensì vero che l'imputato ha negato tali ripetute interlocuzioni, riferendo unicamente di una richiesta, da lui rivolta al GI., circa l'entità del capitale finanziato, richiesta che, peraltro, il giudicabile ha collocato nel marzo del 2015, dopo la vicenda Kp.269 (ovverosia in un'epoca nella quale l'evento in questione è destinato ad assumere, in chiave accusatoria, assai minore significato). Trattasi, tuttavia, di contestazione che si scontra con la precisione della chiamata di correo, peraltro complessivamente assistita dalle evidenze probatorie di cui s'è detto. Aggiungasi che vi era anche un comprensibile interesse dello stesso giudicabile a non "compromettersi" eccessivamente, per scongiurare eventuali future contestazioni, potendo egli fare affidamento, in relazione al monitoraggio delle ricadute del capitale finanziato sui requisiti del patrimonio di vigilanza, sulla collaborazione del Fa.. Trattasi, peraltro, di uria lettura del comportamento del PE. siccome improntata a cautela del tutto coerente con il quadro complessivo disvelato dall'istruttoria (caratterizzato, nel corso dell'operatività illecita, dall'adozione di prassi di occultamento del fenomeno in esame; quindi, successivamente al disvelamento di detta operatività, dal tentativo, da parte dei soggetti a diverso titolo in essa coinvolti, di "sfilarsi" da ogni coinvolgimento). Sennonché, come s'è visto, la conoscenza di tale fenomeno in capo all'imputato non era affatto vaga, bensì sufficientemente precisa circa l'entità comunque rilevante dei valori in gioco e, quando ve n'è stato bisogno, costui ha fornito significativi contributi tali da rivelare il suo dominio informativo della prassi delle "correlate". Le contrarie dichiarazioni rese dal PE., là dove il giudicabile, anche da ultimo, ha negato di avere avuto contezza del capitale finanziato prima del marzo 2015, individuando nell'esito della verifica espletata da Kp. il momento a partire dal quale aveva appreso di tale prassi (cfr. esame PE., ud. 8.7.2022, pag. 82), infatti, risultano chiaramente smentite dalle evidenze probatorie esposte e palesemente ispirate da intenti difensivi. Così come del tutto inverosimili si palesano le affermazioni secondo le quali il predetto non avrebbe avuto sentore delle gravissime difficoltà nelle quali versava il mercato secondario delle azioni B. sin dal 2011, avendo egli persino tentato di accreditare la tesi secondo la quale, finanche negli anni successivi al 2011, si sarebbe stati in presenza di una normale "ciclicità" della dinamica dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie, essenzialmente spiegabile in termini di convenienza finanziaria (convenienza, a suo giudizio, rappresentata dal vantaggio di acquistare azioni B. a fine anno, prima del c.d. blocking period, per poi rivenderle nel volgere di pochi mesi, dopo avere riscosso i dividendi e fruito dei vantaggi conseguenti all'aumento di valore dell'azione siccome annualmente deliberato dal CdA). Sul punto, infatti, affermazioni del PE., sebbene, ove analizzate sul piano della astratta razionalità economica, siano fondate (e, probabilmente, siano anche aderenti alle dinamiche dell'andamento degli acquisti dei titoli B. nel periodo ante crisi), qualora, invece, doverosamente rapportate alla concretezza del caso sub iudice finiscono per rasentare la temerarietà. Questo, solo a considerare: - da un lato, che l'ultimo anno nel quale erano stati pagati i dividendi (peraltro in azioni) era stato proprio il 2011; che il valore dell'azione dall'anno 2010 non era più cresciuto; e, infine, che il bilancio della Banca si era chiuso con perdite, nel 2013, di 28 milioni e, nel 2014, di ben 758 milioni; - e, dall'altro lato, che il documento n. 166 in precedenza evocato, ancorché riferibile al primo semestre dell'anno 2011, attestava uno squilibrio tra richieste di vendita e di acquisto del titolo tanto eclatante da non poter non destare seria preoccupazione in un dirigente esperto quale l'imputato. Trattasi, peraltro, di spiegazione che davvero mal si concilia con quanto riferito dallo stesso PE. in differenti passaggi del proprio esame, tanto là dove costui ha sostenuto che le difficoltà di svuotamento del fondo, pure non gravi, richiedevano comunque un impegno importante della rete, tale da generare un'"area grigia" (anche se poi ha individuato le criticità come inerenti essenzialmente a probabili violazioni della disciplina MIFID) e, nel rievocare la predisposizione della lettera di risposta a Banca d'Italia del 4.11.2014, ha ricordato che si trattava di difficoltà note; quanto nella parte in cui, nel corso del giudizio di primo grado, ha ammesso come, in occasione di plurime riunioni di Comitato, fossero state ricorrenti le richieste di spiegazioni rivolte al GI. in ordine alle ragioni per le quali lo svuotamento del fondo azioni proprie procedesse a rilento. Del resto, era pacificamente prevedibile che le operazioni di aumento di capitale deliberate negli anni 2013 e 2014 provocassero (come peraltro precisato dallo stesso PE.) un contraccolpo negativo sull'andamento del mercato secondario del titolo B., avendo l'effetto indiretto di ridurre ulteriormente la platea dei potenziali acquirenti delle azioni della banca (trattandosi di investitori già ragionevolmente interessati dal collocamento dell'azione sul mercato primario), circostanza che, unitamente alla drastica riduzione (da 240 milioni a 60 milioni) dell'entità del fondo intervenuta nel 2014, contribuiva a creare le condizioni di una "tempesta perfetta". Anzi, non può non rilevarsi come l'inconsistenza di tali dichiarazioni, qualora letta congiuntamente alla sostanziale assenza di spiegazioni in ordine ad elementi probatori di indubbio rilievo (intende farsi riferimento, in particolare, al documento 2.3.3, allegato alla memoria del GI., contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), finisca, a sua volta, per costituire un ulteriore, sia pure indiretto, significativo elemento di prova a carico. Di qui la conclusione circa la prova della conoscenza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e dell'entità significativa del "capitale finanziato" (con conseguente irrilevanza delle considerazioni difensive in ordine "ai controsegnali" che avrebbero rassicurato l'imputato circa l'assenza di irregolarità di sorta negli acquisti dei titoli di B.). 15.2.2. Il concorso del Pe. nell'operatività delittuosa Le considerazioni testé svolte, quindi, orientano univocamente nel senso del coinvolgimento del PE. nella attività delittuosa. Sul punto, tuttavia, sono indispensabili le seguenti precisazioni. Il capo di imputazione addebita all'imputato di avere contribuito "attivamente" alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Dal canto suo, la difesa del giudicabile non ha mancato di osservare, in senso contrario, come ì rimproveri astrattamente addebitabili al PE. si sarebbero potuti in teoria risolvere unicamente "in presunti contributi di tipo omissivo non tanto per non avere impedito che altri realizzassero condotte illecite" - non essendo ravvisabile, ad avviso della stessa difesa, a carico del dirigente preposto e, tantomeno, del responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", alcuna "posizione di garanzia277 - piuttosto "per non avere dato atto" nei documenti espressione della sua funzione (bilanci, dati contabili destinati alle Autorità di vigilanza, ecc.) dell'esistenza di capitale finanziato..". Trattasi, a ben vedere, di questione che, ove doverosamente esaminata attraverso il prisma della concreta, peculiare dinamica dell'attività delittuosa siccome disvelata dai complessivi esiti dell'istruttoria, appare priva di reale consistenza. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il ruolo rivestito dall'imputato all'interno della compagine di B. - e, segnatamente, l'incarico affidatogli di dirigente preposto - implicava necessariamente l'attribuzione, in capo al predetto, di una posizione di garanzia, ancorché il tribunale abbia affermato il contrario. In effetti, appare davvero arduo sostenere che non gravassero sull'imputato, una volta provatane - come si ritiene di avere fatto - la piena conoscenza del sistematico ricorso al capitale finanziato per valori complessivamente eclatanti, precisi doveri di intervento. A meno che non si voglia relegare - contro lo spirito e, come si vedrà, la stessa lettera della legge - il ruolo del dirigente preposto in ambiti meramente formali, infatti, è giocoforza concludere come, in una situazione quale quella in atto, da anni, presso l'istituto di credito vicentino, sul dirigente preposto incombessero specifici obblighi di intervento (eventualmente previo approfondimento della questione in esame) e, in ultima analisi, di franca dissociazione da una prassi tanto marcatamente irregolare. A fronte, per un verso, della conoscenza di un così diffuso ricorso al capitale finanziato (tale da alterare il valore dell'azione e, comunque, da indurre in errore ì terzi circa la solidità della banca berica) e delle ragioni all'origine di tale prassi, vitali per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito; e, per altro verso, della consapevolezza circa la doverosità dell'obbligo di decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni dell'istituto, ipotizzare che l'imputato potesse rimanere inerte, limitandosi ad elaborare i flussi informativi "ufficiali", della radicale inattendibilità dei quali era ben cosciente, senza incorrere in alcuna responsabilità, anche di natura penale, costituisce prospettazione del tutto irragionevole, prima ancora che giuridicamente infondata. In ogni caso, sotto tale secondo aspetto, va rimarcato che le funzioni ricoperte dal PE., tanto con riferimento alla direzione della "Divisione Bilancio" quanto al ruolo di "dirigente preposto", implicavano obblighi ben precisi. In particolare, l'art. 154 bis, co. 5, TUF, prevedeva l'idoneità dei documenti e delle procedure adottate dall'istituto a fornire una rappresentazione veritiera e corretta circa la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E' bensì vero che tale veridicità doveva intendersi limitata, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.L.vo 303/06 che ha eliminato il riferimento alla "corrispondenza al vero", alla attestazione della corrispondenza dei dati comunicati con quelli risultanti dalla contabilizzazione interna; tuttavia, non pare francamente sostenibile che la conoscenza, aliunde acquisita, di una tanto marcata inattendibilità dei dati provenienti dai "flussi informativi" ufficiali potesse consentire l'apposizione di un "timbro" di conformità, senza imporre al dirigente preposto di attivarsi quantomeno per un approfondimento in proposito. In ogni caso, è dirimente osservare che sul dirigente preposto incombevano, ex art. 154 bis, co. 3, 5 lett. a), TUF, specifici doveri di controllo (anche in ordine alla adeguatezza delle procedure adottate dall'istituto di credito per la formazione dei documenti contabili e, quindi, anche alla idoneità di dette procedure ad "intercettare" adeguatamente fenomeni, aventi implicazioni contabili, altrimenti non rilevabili), ancorché all'imputato, nello specifico, fosse consentito assolverli avvalendosi della collaborazione di altre strutture della banca (segnatamente, l'Audit, in ragione di accordi organizzativi interni, come del resto precisato dallo stesso PE.279 ed evidenziato nella "consulenza Pa."). Ne consegue che, in presenza di una eclatante dimostrazione dell'inadeguatezza delle procedure interne ad intercettare un fenomeno tanto marcato, non può esservi alcun dubbio che sull'imputato gravasse un obbligo di intervento. Donde l'insostenibilità di un atteggiamento di "indifferenza" rispetto al contenuto delle comunicazioni rivolte all'esterno. Sotto tale profilo, pertanto, vi sarebbero i presupposti tutti per ravvisare gli estremi dell'elemento materiale del concorso omissivo, ex art. 40 cpv. c.p.. In siffatta prospettiva, invero, sarebbe l'inerzia a fronte della piena conoscenza dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato e delle sue gravissime implicazioni sul patrimonio di vigilanza della banca a legittimare l'addebito della responsabilità omissiva, senza alcuna necessità di dilatare la posizione di garanzia riconducibile al ruolo di dirigente preposto sino al punto di ricomprendervi (del tutto erroneamente, alla stregua della modifica normativa intervenuta con riferimento alla disposizione testé evocata del testo unico) la responsabilità per la veridicità sostanziale dei dati contabili. Sennonché, come si diceva, la questione assume, nella concretezza del caso in esame, ben scarso rilievo. Ed infatti: - per un verso, i complessivi esiti dell'istruttoria dibattimentale, come anche implementata nel corso del giudizio di appello (alla stregua, in particolare, delle dichiarazioni del coimputato GI.), hanno restituito i lineamenti di un effettivo concerto tra tutti i manager apicali dell'istituto di credito in ordine al sistematico ricorso al capitale finanziato quale strumento per assicurare la liquidità del titolo della banca, preservarne (l'apparente) valore e, al contempo, proseguire nella politica di espansione territoriale tenacemente perseguita dalla presidenza ZO., politica che, ove accantonata, avrebbe necessariamente significato, come efficacemente chiarito dal medesimo GI., la rinunzia, da parte dello stesso ZO., alla guida dell'istituto di credito - Si è trattato, a tutti gli effetti, di un accordo intervenuto nei fatti, senza, pertanto, che si fosse resa necessaria una specifica decisione assunta in occasione di una apposita riunione (e, tantomeno, la sua formalizzazione in un documento ufficiale). In definitiva, si è sostanzialmente verificata, a partire dagli anni 2011-2012, la progressiva implementazione di una più risalente operatività, adottata quando ancora non vi erano problemi di liquidità delle azioni ma si era soliti ricorrere a questo "sistema" per svuotare il fondo a fine anno c. in tal guisa, dare prova, da parte del più alto management di efficienza gestionale. Come s'è avuto modo di apprendere dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, infatti, le crescenti difficoltà nel ricollocare le azioni dell'istituto, oggetto di sempre maggiori richieste di vendita a partire dal 2011; la connessa esigenza di sostenere il valore del titolo; e, infine, la conseguente necessità di reperire capitale per rispettare i ratios patrimoniali, hanno spinto i vertici della banca a ricorrere sistematicamente al finanziamento dell'acquisto dei titoli, dando così vita ad una spirale perversa e, di fatto, insuscettibile di interruzione, originando una prassi divenuta addirittura essenziale per la stessa sopravvivenza della banca (specie allorquando, per effetto delle normativa europea, l'ammontare del fondo azioni proprie era stato drasticamente ridimensionato); - e, per altro verso, all'artificioso, massiccio sostegno della domanda di titoli divenuti illiquidi attraverso l'erogazione di appositi finanziamenti ed al successivo, sistematico occultamento di tale pratica ha contribuito anche la struttura diretta dall'imputato, tanto con l'esecuzione dell'indispensabile monitoraggio del "capitale finanziato" e con la conseguente, essenziale simulazione delle previsioni di ricaduta sul piano dei ratios patrimoniali, quanto con la successiva, consequenziale dissimulazione di tale fenomeno in occasione delle periodiche comunicazioni alla vigilanza. Tutto ciò ha avuto luogo con il consapevole, fattivo coinvolgimento anche del PE.. In un siffatto contesto, lo specifico apporto fornito dal predetto all'operatività delittuosa in esame è stato segnatamente rappresentato da condotte caratterizzate da profili non solo meramente "omissivi" (con riferimento, ad esempio, al mancato adeguamento delle procedure di contabilizzazione delle operazioni di capitale finanziato ed alla omissione della predisposizione di adeguati controlli sul punto nonché della successiva verifica della relativa efficacia, carenze, comunque, specificamente imputabili alla sua responsabilità di dirigente preposto), ma anche - e soprattutto - marcatamente attivi, avendo egli predisposto le false comunicazioni ripetutamente inviate alla vigilanza e fornito i dati contabili poi confluiti nelle comunicazioni al pubblico che radicano gli addebiti di aggiotaggio informativo e di falso in prospetto e, comunque - giova ripeterlo - avendo il predetto coordinato l'azione di una divisione chiamata (specie con l'agire del collaboratore Fa. ma, come si è visto, anche mediante il personale intervento dello stesso giudicabile) a cooperare al fenomeno in esame in sede di "monitoraggio" del capitale finanziario. Nella concretezza della vicenda sub iudice, quindi, le diverse condotte fattive ed omissive) nelle quali si è tradotto il contributo fornito dal giudicabile al fenomeno del capitale finanziato, già difficilmente "separabili" sul piano della mera astrattezza, finiscono per "saldarsi" in un contegno necessariamente unitario, smentendo, quindi, quell'alternativa secca tra azioni ed omissioni prospettata dalla difesa. Di qui la sussistenza dei presupposti tutti per ravvisare, nell'agire del predetto PE., gli estremi del concorso (attivo) nell'operatività delittuosa, senza, pertanto, alcuna reale necessità di valorizzare la posizione di garanzia pure sussistente, per quanto detto in proposito, in capo al giudicabile, posto che, con riferimento all'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, sono sufficienti le seguenti considerazioni, davvero stringate. Si è già detto, infatti, che l'affermazione della penale responsabilità del compartecipe non richiede affatto il previo, comune concerto dell'attività delittuosa, essendo sufficiente che l'imputato sia stato consapevole di agire in comunione di intenti con i correi, conoscendone, quantomeno a grandi linee, i singoli ruoli (cfr. ex plurimis, le già citate Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Ambrosiano, Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Catanzaro e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri), essendo, peraltro, comunque bastevole, a tali fini, anche una unilaterale, successiva decisione di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018,1.). Ebbene, non v'è dubbio che l'atteggiamento psicologico a fondamento dell'agire del PE. soddisfi ampiamente tali condizioni. L'imputato, infatti, non solo ha scientemente trascurato ogni considerazione del sistematico ricorso al capitale finanziato, della cui entità eclatante, pure, era ben consapevole, ma, per il tramite dei propri collaboratori - ed anche, come s'è visto, con il proprio diretto intervento - ha fornito un decisivo contributo all'attuazione del fenomeno del capitale finanziato (sotto il profilo del relativo monitoraggio e, quindi, della indispensabile individuazione dell'ammontare dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di capitale ai fini del rispetto dei parametri prudenziali). Tutto ciò egli ha fatto nella piena consapevolezza che la concessione di un tanto consistente credito per l'acquisto dei titoli B. non seguita dalla doverosa decurtazione dei relativi importi dal patrimonio di vigilanza avrebbe, per un verso, significativamente alterato il valore del titolo (occultandone il marcato deprezzamento); e, per altro verso, dissimulato all'esterno la reale situazione di grave crisi nella quale versava l'istituto di credito. Inoltre, nella sua veste di responsabile della Divisione Bilancio - e, segnatamente, nel curare le comunicazioni dirette alle autorità di Vigilanza - ha fornito un apporto decisivo nell'occultamento della prassi in esame, avendo specificamente di mira proprio la realizzazione dell'evento dì ostacolo (che costituisce, specificamente, l'oggetto del dolo del reato ex art. 2638, co. 2, c.c.), in tal guisa assicurando che tale prassi potesse essere continuativamente replicata. Ogni ulteriore digressione sul punto, pertanto, sarebbe davvero superflua. Da ultimo, una considerazione in diritto. E' noto come il ribaltamento in appello della decisione assolutoria in primo grado (c.d. "overturning sfavorevole") implichi la rinnovazione delle prove dichiarative decisive. Il principio, oggetto di consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27620 del 28.4.2016, Da.) è stato successivamente tradotto in coerente disposizione di legge (art. 603, co.3 bis c.p.p.). Ebbene, nel caso di specie, è stata disposta, giusta ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022, la riassunzione delle deposizioni che, nella prospettiva del primo giudice, avevano rivestito importanza ai fini della relativa pronunzia. Dette deposizioni, peraltro, non hanno assunto affatto decisivo rilievo ai fini della diversa decisione cui è pervenuta questa Corte. Piuttosto, la opposta "lettura" del ruolo concretamente rivestito dal PE. nei fatti per cui è processo è scaturita dalla congiunta valutazione di elementi di natura logica, prove documentali (rispetto alle quali non è certo previsto alcun obbligo di rinnovazione dell'attività di acquisizione - cfr. Cass. Sez. III, n. 36905 del 13.10.2020, Ve.), esiti di intercettazione di comunicazioni (talvolta, peraltro, obliterati dal giudice di prime cure: è il caso della conversazione GI./Pi. n. progr. 359 dell'1.9.2015, ma anche del messaggio SMS GI./PI. in atti sub doc. 811 della produzione P.M.), nonché di deposizioni il cui tenore era del tutto incontestato, ovvero che, con riferimento alla posizione processuale in esame, erano state pretermesse dal tribunale (intende farsi riferimento al passaggio della deposizione resa dal teste Bo. in ordine all'incontro tenutosi in vista dell'ormai prossima ispezione Bc.). Va precisato, infatti, con riferimento alle prove testimoniali, che si è in presenza, nel complesso, di elementi che, di perse inidonei a formare oggetto di opposte valutazioni in punto di responsabilità dell'imputato, hanno tuttavia assunto ben più pregnante significato proprio alla stregua dì tale complessiva valutazione. A ciò si sono aggiunte - come si è visto - le significative dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di appello, dal coimputato GI., il cui contributo dichiarativo è stato oggetto di ampia "sperimentazione" nell'agone dibattimentale innanzi a questa Corte. Nessun pregiudizio alle ragioni difensive, pertanto, è dato, nella specie, ravvisare, con riferimento al ribaltamento della decisione di prime cure. 15.2.3 Il trattamento sanzionatorio Venendo, infine, al trattamento sanzionatorio, nel valutare tutti gli indici di riferimento rilevanti a tali fini, occorre necessariamente prendere le mosse dal ruolo essenziale ricoperto dal giudicabile nel verificarsi del fenomeno delle operazioni "baciate": se è vero che l'attuazione concreta di tale prassi ha più direttamente investito altre figure professionali (i vertici aziendali ed i responsabili delle Divisioni Mercati e Crediti), in ragione delle rispettive competenze, è altrettanto indubbio che i coimputati hanno potuto fare affidamento proprio sul decisivo apporto omissivo ed attivo fornito loro dal responsabile della Divisione Bilancio nei termini di cui s'è detto. I fatti, poi, sono di evidente gravità, per la prolungata durata delle condotte delittuose e, soprattutto, per gli esiti che hanno poi cagionato. Trattasi di elementi che dovrebbero orientare la dosimetria sanzionatoria nel senso del rigore. Nondimeno, neppure possono trascurarsi, in senso contrario, non solo il positivo profilo soggettivo del giudicabile, immune da precedenti di sorta, ma anche - e soprattutto - la circostanza che il PE. è stato, di fatto, trascinato (al pari dei correi GI., MA. e PI.) in una sconsiderata operatività illecita dalla volontà dei massimi responsabili aziendali e, con ogni probabilità, da un malinteso spirito di corpo, che lo ha indotto a piegare il proprio ruolo a quelli che gli parevano essere gli impellenti interessi "immediati" della Banca. Se, infatti, le specifiche qualità professionali del giudicabile lo rendevano tra i dirigenti più attrezzati per cogliere la assurdità di una prassi pressoché inevitabilmente destinata, per la sua crescente entità, ad esitare nel default dell'istituto, non emerge che a tale acuta consapevolezza si sia accompagnata una altrettanto marcata volontà di attuazione dell'operatività delittuosa in esame, sicché l'intensità del dolo non ne risulta altrettanto amplificata. Quanto al comportamento processuale tenuto dal giudicabile, poi, si è trattato di contegno improntato a correttezza e misura. Ricorrono, pertanto, le condizioni per riconoscere al PE. le attenuanti generiche, ancorché in regime di mera equivalenza, tenuto conto della obiettiva gravità dei fatti. Ciò posto, la valutazione dei criteri tutti ex art. 133 c.p. e, segnatamente, degli elementi testé richiamati, induce questa Corte a stimare adeguato ai fatti delittuosi ed al contributo prestato dall'imputato alla complessiva vicenda delittuosa in esame un trattamento sanzionatorio (tenuto ovviamente conto delle maturate prescrizioni) che, tanto con riferimento alla pena base (da quantificarsi nella misura di anni tre di reclusione in relazione all'addebito sub H1), quanto all'entità degli aumenti da irrogarsi a titolo di continuazione (mesi uno e giorni quindici per le ulteriori condotte di ostacolo; giorni quindici di reclusione per la residua condotta di aggiotaggio) non si discosta da quello da riservarsi ai coimputati PI. e MA. (fatte salve le diversità riferibili, quanto al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso), con conseguente pena finale da irrogarsi nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione. 16 L'appello nell'interesse dì B. in l.c.a. L'appello è parzialmente fondato, nei termini di cui alla motivazione che segue. 16.1 Anzitutto, destituito di fondamento è il primo motivo di appello, volto a contestare che i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza siano stati effettivamente commessi "nell'interesse" ed a "vantaggio" di B.. Al riguardo, si impongono, anzitutto, le seguenti considerazioni preliminari. Com'è noto, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel l'introdurre una forma di responsabilità dell'ente bensì connessa a quella, penale, propria dell'autore di tale delitto, ma anche del tutto autonoma, ha previsto, ex art. 5 D. L.vo cit., che la connessione in parola operi su due piani distinti: - da un lato, occorre che la persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell'"interesse" o a "vantaggio" dell'ente; - dall'altro, è necessario che l'autore del fatto rivesta un ruolo apicale all'interno dell'ente medesimo (trattasi dell'ipotesi ex art, 5 lett. co. 1 lett. a), d.L.vo cit.) - ovvero che costui sia sottoposto all'altrui direzione (è il caso previsto ex art. 5, co. 1, lett. b), D. L.vo cit.). Ebbene, come è stato efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità "... la lettera a) tipizza il ad. principio di identificazione, per il quale l'ente si identifica nel soggetto in posizione apicale e così, dunque, é come se avesse direttamente commesso il reato. E tuttavia previsto un contemperamento: l'ente non risponde se prova la sussistenza di tutti e quattro i criteri appositamente previsti dal successivo art. 6, co. 1, ossia l'esistenza e la corretta attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi. Nel caso dei soggetti di cui alla ietterà b), invece, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie colposa, prevista dall'art. 7 del decreto, a norma del quale l'ente risponde se non ha rispettato i propri obblighi di direzione o di vigilanza, I quali fanno capo al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto e considerato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 7..." (così, efficacemente, Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.a.c.). Quanto, poi, alla natura della responsabilità dell'ente, è consolidato il principio per cui trattasi di un tertium genus di responsabilità che, "...coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Es. e altri Rv. 261112). Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Ci., Rv. 255414; Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, Bo., Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica....." (cfr. così, ancora, la già citata Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018 dep. 9.8-2018, Co.Me. s.c.a.). Inoltre, con riferimento alla nozione di "interesse" e di "vantaggio", costituisce ius receptum il principio secondo il quale i predetti criteri, lungi dall'essere sovrapponibili, sono alternativi tra loro ed esprimono, rispettivamente, l'esito di una differente valutazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a., Cass. Sez. II n. 3615 del 20.12.2005, D'A.). L'"Interesse", infatti, è espressione di una "valutazione teleologica del reato", da effettuarsi ex ante (ovverosia al momento di commissione del reato) secondo un "metro di giudizio marcatamente soggettivo", ma sempre ponendosi nella prospettiva del soggetto collettivo e non esclusivamente dell'autore del reato (come, del resto, si ricava dal fatto che la responsabilità dell'ente sussiste, ex art. 8 co. 1, lett. a D. L.vo cit., anche quando l'autore del reato non è identificabile o non è imputabile, nonché dal progressivo inserimento nel catalogo dei reati presupposti anche di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa - cfr. sul punto, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.; cfr. Cass. Sez. V, n. 40380 del 26.4,2012, Se.); il "vantaggio", invece, ha "una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - (cfr. " Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, R.C., Es. e altri). L'"interesse", quindi, indica la finalizzazione del reato al perseguimento di una utilità (senza peraltro che sia necessario che l'utilità venga raggiunta); il "vantaggio", per contro, rappresenta il risultato obiettivamente positivo, non necessariamente di natura patrimoniale, scaturito dall'attività delittuosa. In altri e decisivi termini e concludendo sul punto, "... il richiamo all'interesse dell'ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post." (così si esprime Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.p.a., si veda, inoltre, Cass. Sez. V, n. 10256 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.) In tal senso sinteticamente individuate le coordinate interpretative che debbono orientare il vaglio della regiudicanda e passando, quindi, a fare concreta applicazione di tali criteri nella vicenda sub iudice, osserva, anzitutto, questa Corte, come i requisiti costituiti, rispettivamente, dall'"interesse" dell'ente alla commissione dei reati presupposto e dal "vantaggio" tratto dal medesimo ente da tali reati siano stati dal tribunale di Vicenza correttamente ravvisati, nel solco dell'imputazione: - quanto al delitto ex art. 2637 c.c., nel mantenimento del valore dell'azione e nell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito; - e, quanto al reato ex art. 2638 c.c., nello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia (e, nel periodo 2014/2015, di Bc.) i coerenti con la situazione reale dell'istituto, nonché nell'ottenimento dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 e, infine, nel rafforzamento patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale del 2014. Ebbene, l'appellante, come s'è detto, si duole della ricostruzione operata dal primo giudice in ordine al presupposto per l'affermazione di responsabilità di B. costituto dall'essere stati perpetrati i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza nell'interesse dell'istituto di credito vicentino. Più nel dettaglio, nel gravame si sostiene che il fenomeno sottostante alle, condotte delittuose sarebbe stato, ab origine, radicalmente pregiudizievole per la banca, sicché difetterebbe il presupposto dell'interesse/vantaggio derivante, per l'ente, dalla commissione dei reati in questione. In effetti, in disparte il riferimento generale alla nozione di interesse/vantaggio pure contenuto nell'appello, tutte le considerazioni svolte, nell'impugnazione, da pag. 10 a pag. 43 del relativo atto (sostanzialmente, l'intero primo motivo), altro non sono che una (peraltro condivisibile) ricostruzione di un fenomeno-fenomeno - quello del capitale finanziato e delle concrete caratteristiche che, nel caso di specie, tale fenomeno ha progressivamente assunto - contrastante con una sana gestione dell'attività creditizia e foriero di serio pregiudizio economico per l'istituto di credito. In questa prospettiva, pertanto, anche il successivo occultamento di tale fenomeno sarebbe stato parimenti dannoso per la B. perché, grazie a tale occultamento, l'istituto avrebbe potuto effettuare operazioni fruendo di autorizzazioni che la Banca d'Italia, ove adeguatamente informata, non avrebbe rilasciato. L'interesse dell'ente, pertanto, andrebbe verificato alla stregua di tali dati oggettivi e, conseguentemente, non sarebbe ravvisabile (alfa stregua, peraltro, della valutazione - ritenuta dall'appellante del tutto condivisibile - operata in fattispecie analoga dall'autorità giudiziaria senese, in sede di archiviazione, nel procedimento relativo alla gestione dell'istituto di credito Mp., per i reati 2622, 2638 ex. e 185 D. L.vo 185/98, come da provvedimento allegato all'appello). In altri termini, osservando il fenomeno in esame da siffatta visuale, tutto ciò che si pone in contrasto con una sana gestione aziendale non potrebbe essere compiuto nell'interesse dell'ente. Ne deriva - ad avviso dell'appellante - che il tribunale berico, nel sostenere che l'occultamento della situazione reale avrebbe giovato a B., sarebbe sostanzialmente incorso in un paralogismo. Sennonché è agevole osservare, in senso contrario, come l'argomentazione difensiva, pur prima facie suggestiva, sconti un radicale errore di prospettiva, oltre a trascurare, in punto di fatto, la circostanza (tutt'altro che marginale e, anzi, a ben vedere, di per sé già dirimente) che le "baciate" non esaurivano certo le operazioni di capitale finanziato (posto che una buona parte dei titoli di B. sono stati in ogni caso collocati, tanto sul mercato primario che su quello secondario, senza la necessità del ricorso ai finanziamenti e che ciò è potuto avvenire solo grazie alla prosecuzione dell'attività di impresa consentita proprio dalla prassi del capitale finanziato). Per vero, a fondare la responsabilità dell'ente, non sono affatto, genericamente, le operazioni di capitale finanziato poste in essere "a monte" del fenomeno delittuoso sub iudice, bensì le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (e, tra le prime, segnatamente, quelle di aggiotaggio informativo) che, realizzate "a valle" dei finanziamenti "correlati," radicano gli addebiti di riferimento. Nel caso in esame, infatti, i reati presupposto, lungi dall'essere stati finalizzati a porre in essere, in assenza delle condizioni di sostenibilità finanziaria, operazioni bancarie pregiudizievoli per i "fondamentali" dell'ente, sono stati ideati e perpetrati allo scopo di occultare tale scorretta operatività (che, in sé stessa, prescindeva totalmente dall'attività delittuosa in esame), consentendo all'istituto di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria (si veda, per un analogo caso di affermato interesse di un istituto di credito all'occultamento delle "lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale" della società, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.); In altri termini, come ben precisato dal primo giudice - senza, peraltro, che le relative considerazioni siano state oggetto di reale, argomentata censura nell'impugnazione (che, in effetti, sul punto, si limita alla sostanziale riproposizione delle argomentazioni già motivatamente disattese dal tribunale) - una volta che la dirigenza dell'istituto vicentino aveva spregiudicatamente iniziato ad incrementare il precedente, ben più sporadico ricorso al meccanismo di finanziamento per l'acquisto delle azioni proprie (finendo per ricorrervi non soltanto, come fatto in passato, per contingenti necessità, bensì come usuale modalità di gestione del mercato degli strumenti finanziari anche a costo di porre necessariamente in essere attività collegate - quali lo storno degli interessi, il rilascio di lettere di impegno e, addirittura, il riconoscimento di interessi in favore dei soggetti finanziati - complessivamente tali da depauperare le risorse dell'istituto medesimo), l'occultamento di tale prassi attraverso la perpetrazione delle condotte delittuose oggetto di addebito è stato indubbiamente funzionale a consentire la perdurante operatività dell'istituto di credito. In definitiva, i reati di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza hanno assicurato all'istituto di credito: - per un verso (quanto al reato di aggiotaggio), l'apparente liquidità del titolo, il mantenimento del valore dell'azione e l'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito, evitando che fossero destinate a riserve consistenti risorse; - e, per altro verso (quanto al reato di ostacolo alla vigilanza), la prosecuzione dello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia coerenti con la (precaria) situazione reale dell'istituto (interventi, peraltro, che avrebbero anche potuto comportare il divieto della distribuzione di utili, oltre all'attivazione di procedure sanzionatone in relazione all'esubero delle azioni detenute), nonché l'ottenimento delle autorizzazioni delle autorità di vigilanza necessarie sia alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 sia agli aumenti di capitale 2014. Ebbene, ponendosi in siffatta prospettiva - l'unica aderente alla concreta dinamica dei fatti - l'interesse della società alla perpetrazione dei reati in esame emerge davvero in termini di evidenza. In effetti, una volta effettuate "operazioni baciate" e omesse le relative decurtazioni dal patrimonio di vigilanza (operazioni, isolatamente considerate, lo si ripete, non costituenti reato, se non quando, per la loro sistematicità, hanno determinato l'apparenza della liquidità del titolo ed hanno inciso sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, integrando gli estremi dell'aggiotaggio manipolativo) è davvero arduo negare che le successive condotte delittuose di aggiotaggio informativo e di ostacolo alla vigilanza abbiano consentito alla società di proseguire nell'attività dì impresa. Peraltro, una volta avviata la "spirale" perversa del ricorso al capitale finanziato anche le successive condotte di aggiotaggio manipolativo sono state indubbiamente funzionali ad assicurare la prosecuzione dell'attività creditizia. E' stato proprio attraverso le condotte di false prospettazioni al mercato ed alla vigilanza, infatti, che B. ha scongiurato gli effetti pregiudizievoli che sarebbero derivati dal disvelamento della dissennata politica di impresa di continuo ricorso al capitale finanziato e, in tal guisa, ha potuto proseguire nell'attività bancaria, assicurandosi - sia pure solo temporaneamente - tanto l'afflusso di nuovo capitale quanto il mantenimento di quello esistente, come efficacemente sintetizzato dal primo giudice. E, questo, a tacere del fatto che le attività decettive erano funzionali a nascondere carenze patrimoniali non unicamente derivanti da "operazioni baciate". Né tali conclusioni contrastano: - sia con l'accezione oggettiva che, come s'è detto, deve riconoscersi alla nozione di "interesse" rilevante ex art, 5 D.L.vo 231/01 (nel senso che non deve confondersi l'interesse dell'ente con quello proprio dell'autore dei reati); - sia con il momento (ex ante rispetto all'attività delittuosa) nel quale la relativa valutazione deve essere effettuata, secondo i parametri di riferimento sopra richiamati. A ben vedere, infatti, ove si effettui il relativo vaglio doverosamente tenendo a mente la concretezza della vicenda in esame - ovverosia calibrando il giudizio alla luce della situazione esistente al momento della commissione dei fatti di reato e non già astraendo dal contesto specifico di riferimento (e, sul punto, non può che richiamarsi la puntuale ricostruzione dei fatti siccome operata dal primo giudice) - è giocoforza concludere che l'attività delittuosa è stata posta in essere proprio in quanto logicamente ritenuta l'unico rimedio per consentire alla banca vicentina di proseguire nell'attività d'impresa, scongiurando la crisi o, comunque, differendone sensibilmente la manifestazione. E, quindi, per assicurare, proprio in quella logica di perseguimento del "profitto a tutti i costi" siccome efficacemente evocata dallo stesso appellante (cfr atto di appello, pag. 6), la prosecuzione dell'attività d'impresa, anche mediante comportamenti devianti. Il tribunale, pertanto, non ha affatto confuso l'interesse dell'ente con quello, personale, degli autori del reato, ma ha correttamente esaminato (ex ante) detto tema di indagine attraverso il prisma della effettiva situazione critica nella quale versava la B. allorché ha avuto concretamente attuazione il programma criminoso. Ovverosia, ha effettuato una analisi che, prendendo debitamente le mosse dalla considerazione critica del concreto contesto di riferimento, ha correttamente valutato il presupposto di responsabilità costituito dall'interesse dell'ente non già in modo astratto, bensì alla luce della specifica situazione di riferimento, il tutto secondo un criterio di riferimento debitamente oggettivo, in quanto misurato nella specifica prospettiva della società (necessariamente indagata alla luce dell'obiettivo - condiviso e scientemente perseguito dai vertici aziendali responsabili delle condotte delittuose - di assicurare la perdurante operatività dell'istituto di credito, superando le oravi criticità in atto e senza affatto confondere tale interesse con oli ulteriori scopi, di natura meramente personale, propri degli autori del reato. In quest'ottica, quindi, il fatto che all'origine delle serie difficoltà operative che la dirigenza dell'istituto di credito ha inteso "aggirare" attraverso la commissione dei reati in esame vi fossero scelte gestionali dissennate e radicalmente contrarie all'interesse ad una corretta e sana attività creditizia costituisce circostanza tanto pacifica quanto estranea allo specifico e differente (ancorché collegato) tema in esame. Altrettanto dicasi per le pur articolate argomentazioni difensive in ordine alla natura pregiudizievole per l'istituto di credito della prassi di ricorrere al capitale finanziato siccome concretamente adottata dalla dirigenza della banca. Ed analoghe conclusioni, poi, si impongono in relazione a quanto pur dettagliatamente sostenuto nell'atto di appello (segnatamente, alle pagg. 10-24, 25-30) in ordine al pregiudizio derivante alla banca vicentina: - dall'apparente rafforzamento patrimoniale conseguente agli aumenti di capitale 2013-2014; - dai finanziamenti "corredati" dalla pratica degli storni; - dall'applicazione di tassi di interesse "in perdita"; - dall'impegno al riacquisto, con conseguente trasformazione dell'azione in una sorta di obbligazione; - e, infine, dalla eccentricità rispetto al preteso interesse di B. dell'operatività sui fondi lussemburghesi. In definitiva, tutte le considerazioni critiche che esauriscono il primo motivo di gravame si risolvono nella riproposizione di un approccio al profilo della responsabilità dell'ente che sconta l'errore metodologico di sovrapporre la natura delle operazioni di capitale finanziato (certamente pregiudizievoli per una sana gestione dell'attività creditizia) all'obiettivo - individuato e pervicacemente perseguito dalla più alta dirigenza dell'istituto di credito (una volta che dette operazioni avevano iniziato a rappresentare una modalità ordinaria di "gestione" delle problematiche inerenti al mantenimento del valore delle azioni ed alla relativa collocazione e circolazione) - di proseguire nella gestione dell'attività bancaria occultando al mercato ed agli organismi di vigilanza dette difficoltà. In altri e decisivi termini, l'impostazione difensiva risulta sostanzialmente fondata su un equivoco: - da un lato, infatti, palesemente confonde le operazioni di capitale finanziato con i successivi reati di occultamento; - dall'altro - e conseguentemente - valuta l'interesse della B. in senso astratto, normativo, sotto il profilo del "dover essere" (ovverosia delle corrette modalità di esercizio dell'attività di impresa bancaria), del tutto prescindendo da quella situazione concreta che, al contrario, deve costituire il fuoco dell'attività di accertamento della responsabilità dell'ente. Del resto - e trattasi, sul punto, di considerazione davvero conclusiva - la tesi sostenuta nell'appello finisce, come suole dirsi, per "provare troppo". Opinando in tal guisa, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso della impossibilità di ravvisare - sempre e comunque - la responsabilità dell'ente in relazione ai delitti di aggiotaggio, manipolativo ed informativo, nonché di ostacolo alla vigilanza, allorché posti in essere per occultare una pregressa/contestuale gestione irregolare dell'attività bancaria. Ma, allora, non si comprenderebbe l'inserimento di tali reati nel catalogo dei "reati-presupposto", posto che, in effetti, non residuerebbero margini significativi per una responsabilità dell'ente per siffatti delitti. Sicché, anche ove sottoposte ad un vaglio di "razionalità", le considerazioni difensive (anche là dove richiamano le valutazioni dell'autorità giudiziaria senese nel provvedimento di archiviazione reso nel procedimento 2973/13 a carico dell'istituto di credito Mp. - cfr. atto di appello, pag. 36 e decreto di archiviazione ad esso allegato) non possono affatto ritenersi persuasive. Che, poi, l'attività delittuosa sia stata anche funzionale ad assicurare il mantenimento dì posizioni apicali ai vertici aziendali è affermazione certamente convincente; trattasi, tuttavia, di circostanza che, non escludendo affatto il concorrente interesse della società, non elide certo la sussistenza dell'illecito dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 43689 del 26/06/2015, dep. 29/10/2015, Fe., là dove è stato precisato che: "la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica"; cfr altresì, Cass. Sez. VI, n. 15443 del 19.1.2021 dep. 23.4.2021, Ec.Se.: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell'avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001 da parte dell'ente, anche quando non sia possibile determinare l'effettivo interesse da esso vantato "ex ante" rispetto alla consumazione dell'illecito, purché il reato non sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi") cfr. infine, Cass. Sez. 6, n. 54640 del 25.9.2018, dep. 6.12.2018, Pa.: "Sussiste la responsabilità da reato dell'ente anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio. (In motivazione, la Corte ha ritenuto sussistente un marginale interesse della società rispetto alla condotta corruttiva dell'imputato, da questi realizzata principalmente per tutelare la sua immagine all'interno della società, ma comunque suscettibile di consentire all'ente di evitare l'irrogazione di penali e sanzioni, pur se di minima consistenza". Donde l'infondatezza del primo motivo di appello. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, nel caso di specie, l'attività delittuosa abbia anche arrecato un concreto vantaggio a B.. Il tribunale, sul punto, ha speso solo poche parole, evidenziando come, nel caso di specie, per un verso, venissero in rilievo condotte in relazione alle quali, all'epoca dei fatti, la formulazione dell'art. 25 ter D.L.vo 231/01 allora vigente non contemplasse il criterio del vantaggio, ancorché la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, n. 10625 del 28.11.2013) avesse precisato che si trattava di un mero problema di tecnica di redazione del testo di legge dal quale non era affatto lecito inferire l'esistenza di una deroga prevista, in ambito societario, agli ordinari criteri di imputazione ex art. 5; e, per altro verso, la questione non assumesse rilievo dirimente "poiché resta assorbente il ricorrere, in tutti i reati presupposto che vengono in considerazione, di un interesse dell'ente, sicché la concretizzazione di un vantaggio, ove conseguito, si pone come ulteriore conferma del ricorrere di un interesse ex ante (così a pag. 779 della sentenza impugnata). Ebbene, osserva questa Corte, al riguardo, come, doverosamente prescindendo dal fallimentare esito "definitivo", esiziale per la stessa sopravvivenza dell'ente, conseguente al sistematico ricorso al capitale finanziato e tenendo a mente, per contro, il fatto che l'attività delittuosa ha consentito all'istituto di credito, per anni, di proseguire nell'attività di impresa e, in tal guisa, di recuperare ingenti risorse attraverso il collocamento di azioni (tanto sul mercato primario quanto su quello secondario) anche prescindendo dalla concessione di finanziamenti (e, al riguardo, è sufficiente richiamare i dati sugli aumenti di capitale per comprendere l'entità davvero significativa delle azioni "interamente liberate" collocate sul mercato), debba giocoforza concludersi nel senso che l'istituto di credito vicentino ha tratto, a lungo, effettivo ed assai concreto giovamento dall'attività delittuosa di manipolazione delle azioni e del mercato e di conseguente occultamento alle autorità di vigilanza di siffatta operatività illecita. Ponendosi in questa prospettiva (ovverosia effettuando bensì una valutazione ex post rispetto alla commissione dei reati ma sottraendosi, al contempo, all'abbaglio che deriverebbe dall'analizzare il fenomeno in esame privilegiando, quale punto di osservazione, quello coincidente con la fase finale della parabola della vita di B.) deve necessariamente concludersi nel senso del ricorrere, nel caso di specie, anche del requisito del "vantaggio", vantaggio che, d'altronde, - come già acutamente osservato dal primo giudice, costituisce un ulteriore riscontro dell'interesse perseguito dall'ente attraverso l'operatività delittuosa in esame. 16.2 Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto premesso che il primo giudice ha ripetutamente osservato: - per un verso, come, nel modello adottato da B., nulla dì realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di protrazione dei rischi; - per altro verso, come il modello non fosse attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti, dì indipendenza); - e, per altro verso ancora, come la commissione dei reati non sia stata conseguenza dell'elusione del modello in questione, "avendo gli imputati e, in particolare i vertici della banca....potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro....grazie all'assenza e comunque all'ineffettività dei già lacunosi controlli previsti e ad una situazione dei presidi interni a B. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla compiacenza degli stessi soggetti che avrebbero dovuto fungere da controllori" (cfr. pag. 802 della sentenza impugnata). Per contro, nella prospettiva dell'appellante (che dedica ad argomentare le relative censure le pagine da 43 a 60 dell'atto di impugnazione) si sostiene che il modello organizzativo sarebbe stato effettivamente adeguato a prevenire i reati in esame, anche in ragione della sussistenza di un organismo di vigilanza caratterizzato da autonomia e dotato di effettivi poteri di controllo, tanto che la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza sarebbe stata unicamente l'effetto dell'elusione fraudolenta di tale modello. E, per sostenere siffatte conclusioni, l'appellante, dopo alcune considerazioni preliminari in punto di criteri di valutazione della "colpa di organizzazione" - colpa che, si precisa nel gravame, dovrebbe necessariamente trovare un insuperabile limite nella "inesigibilità" della condotta alternativa lecita - ha descritto struttura e contenuti del modello organizzativo vigente in B. (sia nella versione "base" del 2012, sia in quella successivamente aggiornata). Nondimeno, ad avviso della Corte, gli elementi disponibili depongono in senso radicalmente contrario. Per vero, ove si consideri, - che il modello organizzativo altro non rappresenta che uno strumento di gestione del rischio da commissione di (determinati) reati, ovverosia un dispositivo finalizzato a scongiurare la perpetrazione di attività delittuose poste in essere, come s'è detto, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo e, quindi, ad evitare le conseguenze sfavorevoli costituite, per l'ente in questione, dalle relative dalle sanzioni; - e che, pertanto, un modello organizzativo adeguato - la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la "colpa di organizzazione" (e, quindi, la responsabilità dell'ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D.l.vo 231/01) - deve essere caratterizzato dall'adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di "prevenzione" idonee ed efficaci, contromisure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento, deve necessariamente concludersi come, caso sub iudice, detto modello risulti caratterizzato da prescrizioni per lo più generiche e, quindi, manifesti gravi lacune tanto sotto il versante dell'idoneità quanto sotto quello dell'efficacia. In proposito, con specifico riferimento al modello relativo all'anno 2012 il richiamo è, segnatamente, ai paragrafi: 2.5, relativo alla "Mappatura delle aree a rischio"; 2.6, relativo alla "Analisi del sistema di controllo interno e definizione dei protocolli"; nonché, in relazione alla parte 4, inerente ai "Protocolli" (ovverosia alle sezioni del modello organizzativo contenenti le previsioni più specifiche), ai paragrafi: 4.2.1, inerente alla "Gestione delle operazioni societarie" (pagg. 61-66); 4.2.2, inerente alla "Gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza" (pagg. 66 e ss.); 4.2.6 - inerente alla "Gestione della Co.Ge. e predisposizione del bilancio" (pagg. 80 e ss,); 4.2.7, inerente alla "Gestione delle attività sui mercati finanziari" (pag. 84 e ss.); 4.2.12 inerente alla "Gestione dei finanziamenti agevolati verso la clientela" (pag. 108 e ss.). Ebbene, dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree dì rischio, il modello in esame contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell'impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all'esigenza di prevenire i reati in esame. Più nel dettaglio, dall'analisi delle previsioni contenute in detto modello emerge, con specifico riferimento al rischio di commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l'assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente, in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell'operatività della banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti. Trattasi, segnatamente: a) dei meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell'istituto, azioni il cui valore - va ribadito - era affidato alla autodeterminazione da parte della banca. Davvero pertinente, sul punto, è il richiamo effettuato dal primo giudice alla deposizione resa dal teste Ro., là dove costui ha riferito che, quando aveva tentato di introdurre un meccanismo di informatizzazione della procedura per la gestione degli acquisti/vendite delle azioni, era stato minacciato dì licenziamento; b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall'istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale); c) del flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all'OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza, l'unico "canale" di comunicazione previsto essendo costituito da un indirizzo e-mail ed essendo rimasta confinata nell'ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia forma di concretizzazione, la previsione di cui al paragrafo 2.7.3 (cfr. pag. 25 del modello in questione), secondo la quale la Banca "garantisce i segnalanti da qualsiasi forma di ritorsione discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede ..". Peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha consentito effettivamente di verificare come i dipendenti non avessero effettuato segnalazioni, con riferimento alla vendita delle azioni proprie da parte dell'istituto, proprio per il timore di ripercussioni); d) e, soprattutto, del flusso di informazioni esterne. In particolare, va segnalata l'assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi evidentemente ritenere le generiche previsioni previste nel "Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti "price sensitive" della Banca (...)" che attribuiva le comunicazioni alla funzione "Comunicazione Esterna", incaricata della "cura della gestione della comunicazione esterna commerciale e di prodotto sulla base delle direttive della funzione commerciale, in coerenza con le strategia definite dalla Direzione generale" (così, specificamente, nell'atto di appello, pag. 56). In effetti, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato - rischio particolarmente concreto, come s'è visto, trattandosi di banca popolare non quotata - avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l'esterno. Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un "delitto di comunicazione" (cfr. Cass. Sez. V, 18.2.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo S.p.a., pag. 7), è proprio su tale versante che il modello - e, quindi, il controllo - avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza. Con specifico riferimento al delitto di aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile l'attribuzione all'OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato. Diversamente, nel modello adottato da B. nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni "esterne" (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l'esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità (si veda, per il modello relativo all'anno 2012, quanto ivi previsto a pag. 68), le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi (cfr. documento citato, pag. 68). Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorta di "dissenting opinion" sul "prodotto finito" tale da "mettere in allarme i destinatari" (per ricorrere all'efficace lessico adottato dal giudice della nomofilachia nella sentenza da ultimo citata, peraltro successivamente contraddetta, nell'ambito del medesimo procedimento, da Cass. Sez. VI, n. 23401, 11,11,2021, Impregilo, limitatamente alla impossibilità che tale opinione dissenziente possa sconfinare nelle attribuzioni operative spettanti alla assemblea ed agli altri organi societari284), siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma - ed è quel che più rileva in questa sede - neppure consta che tali comunicazioni venissero previamente comunicate all'ODV per una preliminare valutazione o, comunque, per l'opportuna conoscenza. Né - è stato pure convenientemente evidenziato dal tribunale - erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili. E tali conclusioni non mutano se, dal modello adottato per l'anno 2012 (in vigore sino all'agosto 2014), si estende l'analisi alle versioni successive, essendosi comunque in presenza di documenti rispetto ai quali, come puntualmente osservato dal primo giudice, si ripropongono, sostanzialmente invariate, le medesime carenze. Peraltro, con specifico riferimento a tali carenze, va ribadito quanto anticipato in premessa in ordine al difetto, nell'atto di impugnazione, di considerazioni realmente critiche rispetto alle puntuali osservazioni del primo giudice, posto che le censure contenute nell'appello si risolvono nel richiamo al contenuto del programma; programma che, tuttavia, anche in proposito, risulta connotato da previsioni del tutto generiche. E tanto basterebbe. Ma v'è di più. Il modello in esame, infatti, introduceva un organismo di vigilanza286 privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo. Nello specifico, la direzione dell'ODV era affidata (cfr. modello 2012 citato, pag. 23), al "Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit" (nel caso di specie, il dipendente Bo.), affiancato da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca (...)" (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto, inoltre, che il Presidente di tale organismo non rivestisse "cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo" (cfr. ancora, documento citato, pag. 23). Sul punto, il tribunale ha specificamente osservato che tanto il presidente che i due ulteriori componenti dell'organismo erano soggetti privi della necessaria indipendenza: - il primo, in quanto dipendente gerarchicamente dai d.g. So. e funzionalmente dal Cda, ovverosia proprio dai "poteri" che avrebbe dovuto controllare; - i secondi, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili a B., con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l'autonomia di giudizio. Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali, del resto, è la circostanza (convenientemente richiamata dal primo giudice alle pagg. 796-797 della sentenza) costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall'ODV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal direttore generale. Ebbene, anche su tali convincenti argomentazioni l'atto di appello ha omesso ogni specifica, reale considerazione critica, essendosi limitato a ribadire, all'uopo richiamandosi alle previsioni contenute nel modello, tanto l'autonomia dell'organismo di vigilanza quanto la disponibilità, in capo a tale soggetto, di adeguati poteri. Per contro, trattasi di profilo di essenziale rilievo, solo a considerare l'assoluta centralità rivestita da un OdV dotato di effettivi, penetranti poteri e, soprattutto, assistito da un effettivo statuto di autonomia (necessariamente intesa come assenza di subordinazione del controllante al controllato e, comunque, di ragioni di condizionamento) perché possa affermarsi l'idoneità del modello organizzativo. Peraltro, l'inadeguatezza del modello in esame, anche a tale specifico riguardo, emerge in termini ancora più marcati solo a considerare che, come s'è detto, le pregresse segnalazioni di Banca d'Italia avevano stigmatizzato la scarsa autonomia delle articolazioni societarie rispetto ad un presidente a dir poco "ingombrante". Ulteriore conferma dell'inadeguatezza con riferimento all'effettiva indipendenza ed ai poteri dell'OdV, del resto, la si ricava, sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (come visto protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato dei soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal Bo.: sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, costui aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero ancora anche di semplice discussione all'interno dell'OdV. E' stato lo stesso Bo., del resto, a descrivere l'attività svolta dell'OdV in termini sostanzialmente minimali, soggiungendo di non avere riferito in tal senso, neppure nel corso dell'ispezione del 2015, in quanto intimidito e condizionato dal d.g. So.. In effetti - come parimenti già osservato dal primo giudice - i verbali delle riunioni dell'OdV (l'ultimo dei quali, peraltro, si ferma al 21.5.2014 - cfr. documento 897 del p.m.) non sono che la plastica espressione di un organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benché minima contezza di alcuna programmazione di attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti. Aggiungasi che nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all'OdV era assicurata, al di là di generiche affermazioni in tal senso. D'altronde, come già detto, a tale organismo non risulta giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti ai fini in esame e, questo, nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati (cfr. lettera inviata alla Direzione Generale - doc, p.m. 91) Quando, poi, dal 2013, la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale (con assunzione formale della carica in data 12.5,2014) la situazione, sotto tale profilo, non era affatto migliorata. In effetti, detto organismo - come puntualmente osservato dal tribunale (alle pertinenti considerazioni del quale, sul punto, non può che farsi rinvio) - difettava anch'esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) avevano importanti interessenze con il presidente. D'altronde, il sindaco Za. - il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni di presidente dell'OdV - aveva bensì partecipato all'assemblea dei soci del 26.4.2014, assemblea in occasione della quale il socio Da. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell'OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento (come emerso, peraltro, anche all'esito della rinnovata escussione del teste Za.), analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del Cda del 4.11.2014 nel quale si era discusso dell'articolo de "Il." a firma Ga.. In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha restituito l'immagine di una "osmosi" di fatto pressoché completa tra l'OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell'attività di controllo svolta da tale organismo. Dì qui la conclusione circa l'inadeguatezza, anche sul punto, del modello adottato da B., sia sotto il profilo astratto, sia - ed a fortiori - ove doverosamente "calato" nella concretezza della struttura societaria in esame. Del resto - e conclusivamente - vale osservare che la riprova di detta inadeguatezza la si ricava anche dalla semplice constatazione che - ad onta delle contrarie considerazioni spese, in proposito, nell'atto di appello, anche in tal caso, tuttavia, senza l'indicazione di concreti elementi a sostegno293 - la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame. Molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di "aggirarlo" e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente "fuori fuoco" rispetto alle condotte sub iudice. Conclusivamente, non corrisponde a realtà sostenere che il tribunale sia giunto alla conclusione dell'inadeguatezza del modello adottato da B. sul mero rilievo dell'avvenuta consumazione dei reati. L'affermazione di responsabilità non si è affatto basata su un tale "corto circuito" logico-giuridico, Piuttosto, è derivata dal doveroso apprezzamento della concreta inadeguatezza del modello in esame, all'esito di una valutazione correttamente effettuata sulla base di un giudizio rigorosamente normativo in ordine alla introduzione, presso l'istituto di credito vicentino, nel periodo in esame, di un sistema di controllo e di verifica che, con specifico riferimento ai delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, se non meramente apparente era, comunque, gravemente deficitario. Che, poi, il modello adottato dall'istituto di credito vicentino abbia seguito lo schema predisposto dall'ABI - profilo, questo, sul quale, pure, l'atto di appello si sofferma diffusamente294 - è circostanza, al contempo, incontestata ed irrilevante. A tale riguardo, infatti, è ancora una volta la giurisprudenza di legittimità a fornire le coordinate da seguire per rispondere alle censure difensive. E' stato infatti precisato, con argomenti del tutto persuasivi, come nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte "best practices", nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6, co. 3 D.L.vo cit., là dove pure è previsto che i modelli di organizzazione possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al giudice - il quale, beninteso, non potrà fare leva su personali convincimenti, ovvero su soggettive opinioni - la verifica dell'adeguatezza del modello, una volta doverosamente "calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione" (cfr. la già citata Cass. Sez. V, n. 4677 18.12.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo, pag. 6). 16.3 Diversamente, il terzo motivo di appello, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione. In effetti, insussistenti le condizioni per riconoscere l'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b), D, L. vo 231/01 per le persuasive ragioni indicate dal primo giudice (trattasi dell'assenza di modifiche risolutive apportate al modello 231 nella versione del 2016295 e, soprattutto, della mancata dimostrazione della concreta operatività di tale modello, senza che possa incidere in senso contrario la circostanza, che, dopo pochi mesi, proprio per le conseguenze finali dei reati perpetrati, l'ente è stato sottoposto a l. c.a. con conseguente impossibilità di ulteriore sperimentazione, "sul campo", di tale versione), osserva questa Corte che una determinazione dell'ammontare della sanzione debitamente ispirata a criteri di equità e moderazione non possa prescindere dalla adeguata considerazione delle critiche condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in questione (nel rispetto, del resto, del criterio normativo espressamente dettato dall'art. 11, co. 2, D.L.vo citato). Ebbene, nello specifico, come teste ribadito, si è in presenza di istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa. Donde la sussistenza dei presupposti per la mitigazione della sanzione, mitigazione da conseguirsi, ad avviso di questa Corte, in ragione, per un verso, della riduzione delle quote conseguente alla attenuante ex art. 12 co. 2, lett. a), D. L.vo 231/01 che, già riconosciuta dal tribunale, dovrà tuttavia trovare applicazione nella sua massima estensione, essendosi l'ente seriamente prodigato per ridurre le conseguenze dannose cagionate dall'illecito; per altro verso, dì una diversa, più favorevole determinazione degli aumenti derivanti dalla pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo 231/01; e, per altro verso ancora, di una riduzione dell'importo della singola quota. In definitiva, ritiene questa Corte congrua una sanzione così determinata: la pena base di 600 quote, già congruamente fissata dal primo giudice per l'ipotesi di aggiotaggio, deve essere ridotta, ex art. 12, co. 2, lett. a), D. Lvo 231/01, a 300 quote, per poi essere complessivamente aumentata di 24 quote per gli ulteriori reati di aggiotaggio, con aumenti di otto quote per ciascuno di tali residui reati (sul punto dovendosi precisare che la prescrizione di talune condotte di aggiotaggio, intervenuta successivamente alla contestazione, è irrilevante ai fini della responsabilità dell'ente, come insegna la giurisprudenza di legittimità, già correttamente richiamata dal primo giudice), nonché di complessive 270 quote per i reati di ostacolo, con aumenti di 30 quote per ciascuna delle relative condotte, il tutto per un numero di quote finali pari a 594. Per le ragioni già esposte, poi, si ritiene congruo ridurre l'importo della singola quota nella misura di 350 Euro. Di qui la rideterminazione della complessiva sanzione nella misura finale di Euro 207.900,00. 16.4 Il quarto motivo di impugnazione, inerente alla confisca, non può essere accolto. Al riguardo, deve osservarsi che il tribunale di Vicenza, dopo avere persuasivamente circoscritto il perimetro della nozione di profitto (correttamente includendovi unicamente l'incremento patrimoniale derivante dal reato, ovverosia l'accrescimento della sfera patrimoniale dell'ente ritenuto di derivazione causale diretta dal reato presupposto) ha disposto la confisca, limitatamente all'illecito di cui al capo N2 (l'unico per il quale ha ritenuto obiettivamente possibile procedere all'indispensabile quantificazione), individuando il profitto nell'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate, a seguito dell'aucap, dai soci che avevano effettuato acquisti a seguito delle sollecitazioni ricevute, in tal senso, da parte dell'istituto di credito e che non avrebbero potuto sottoscrivere detto aumento di capitale ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante (detratti, ovviamente, gli importi finanziati dalla stessa banca). Ciò alla stregua delle deposizioni dei testi Gr. e Me. e degli esiti dei calcoli effettuati da costoro, oltre che di quanto evidenziato nella relazione ispettiva CONSOB. Sennonché, la difesa ha obiettato che quello individuato dal tribunale sarebbe, più propriamente, il profitto del reato di falso in prospetto, non ricompreso nel novero dei delitti presupposto, in quanto, con riferimento al delitto di ostacolo alla vigilanza, solo indirettamente sarebbe possibile individuare un nesso di derivazione causale tra le relative condotte delittuose ed il suddetto incremento patrimoniale. Trattasi di obiezione che, pur suggestiva, è destinata a rivelarsi, non appena sottoposta ad una analisi minimamente aderente al concreto dipanarsi della vicenda sub iudice, radicalmente infondata. Se, infatti, costituisce ius receptum il principio secondo il quale il profitto confiscabile ex art, 231/01 deve derivare causalmente, in modo diretto ed immediato, dal reato presupposto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 23013 del 22.4.2016, Gigli e altro, Sez. III, n. 33816 del 18.9.2020, 2., Cass. Sez. VI, n. 33226 del 14.7.2015, Azienda Agraria Gr. di Gu.Le.), non può fondatamente revocarsi in dubbio come, nel caso di specie, sia stato il reato di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB a consentire all'ente di lucrare i vantaggi derivanti dall'acquisto di azioni effettuato, in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale, da parte di soggetti che, ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante, non avrebbero potuto acquistare i titoli dell'istituto. In altri termini, è stata proprio la condotta di ostacolo che ha consentito a B. di condurre in porto l'aumento di capitale 2014, sottraendosi ai controlli di adeguatezza e, in tal guisa, acquisendo capitali che, altrimenti, non sarebbe stato possibile "rastrellare", peraltro per il significativo importo complessivo che è stato correttamente stimato nella misura di Euro 106.012.687,50, corrispondente alla quota di acquisiti di azioni non finanziati effettuati dagli investitori che non avrebbero superato il test di adeguatezza bloccante. Sul punto, il pertinente richiamo del primo giudice è al documento 252 del p.m. ed alla deposizione del teste Me.. In effetti, la scansione degli accadimenti - puntualmente riportata alle pagg. 524 e ss, della sentenza impugnata - è assai chiara: in data 8.5.2014 CONSOB autorizzava il prospetto e, tra il 12 maggio e l'8 agosto successivi, si procedeva all'adesione. Sennonché, durante lo svolgimento delle relative operazioni, avevano luogo interlocuzioni tra B. e CONSOB: in particolare, con nota 16 maggio, CONSOB chiedeva informazioni tanto in relazione all'aucap (con specifico riferimento alle modalità operative adottate per l'adesione ed ai relativi controlli di adeguatezza ed appropriatezza) che al miniaucap (ed alla relativa prestazione di consulenza in relazione agli ordini dei clienti), sollecitando l'invio di un prospetto mensile, per tutto il periodo di offerta al pubblico, che avrebbe dovuto contenere, tra l'altro, l'indicazione del numero delle operazioni risultate adeguate o appropriate o non appropriate rispetto al profilo del cliente, con l'indicazione del relativo controvalore, A tale richiesta, faceva poi seguito la comunicazione 23.5.2014 nella quale B. precisava, tra l'altro, come, onde non interferire con il diritto di opzione, fosse stata esclusa l'applicabilità della valutazione dì adeguatezza di cui all'art. 40 del regolamento intermediari, soggiungendo, nondimeno, che era stato fatto divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale in favore dei titolari del diritto di opzione ed in relazione all'adesione all'aumento di capitale. Tuttavia, contrariamente a tali assicurazioni, il collocamento delle azioni, come è stato dettagliatamente evidenziato dal primo giudice (cfr. pagg. 530 e ss. della sentenza impugnata), aveva poi avuto massicciamente luogo per effetto di una accurata attività dì pianificazione commerciale tradottasi in una forma di surrettizia e martellante consulenza che non solo non era stata accompagnata dai presidi organizzativi previsti dalla disciplina mifid ma, soprattutto, mai era stata comunicata nel corso delle interlocuzioni con l'autorità di vigilanza che, pure, avevano scandito tutte le operazioni di aumento di capitale. Emerge, allora, davvero in termini di evidenza, come il profitto complessivo sopraindicato non sia stato conseguenza immediata del reato di falso in prospetto (reato perpetrato, come da imputazione di riferimento, il 9.5,2014, ovverosia al momento della approvazione del prospetto relativo all'aumento di capitale), bensì del successivo delitto di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB (delitto, in effetti, posto in essere nel periodo, decorrente dal 23 maggio, protrattosi per tutta la durata dell'operazione di aumento di capitale e delle concomitanti interlocuzioni con la predetta autorità di vigilanza): ove CONSOB fosse stata notiziata delle reali, illegali modalità di attuazione dell'aumento di capitale, infatti, sarebbe necessariamente e prontamente intervenuta, impedendo che ciò avesse luogo. Donde la sussistenza dei presupposti tutti del provvedimento di confisca adottato dal primo giudice, ex art. 19 D. L.vo 231/01, per l'importo di Euro 74.212.687,50 (per effetto della corretta detrazione dalla predetta somma di 106.012.687,50 dell'entità degli importi complessivamente restituiti, pari ad Euro 31,8 milioni), provvedimento che, pertanto, va confermato. 16.5 Il rigetto della richiesta di assoluzione dell'ente comporta l'infondatezza del quinto motivo, inerente alla condanna alle spese processuali di primo grado. 17. Gli appelli delle parti civili 17.1 Gli appelli proposti dalle parti civili Pa.La. e PA.Gi. (rappresentate dall'avv. Da.), Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi. (rappresentate dall'avv. Fa.), Va.Gi. An., RO.El. e Va.De. (rappresentate dall'avv. Cu.) con riferimento alla pronunzia assolutoria nei confronti dell'imputato Pe.Ma. meritano accoglimento. Sul punto, si rimanda alle considerazioni già svolte sub 15.2 in punto di fondatezza dell'appello proposto dal P.M. Dall'accoglimento dell'appello discende la condanna del PE., in solido con i coimputati ZO., GI., PI. e MA., al risarcimento dei danni cagionati a dette parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio civile nei termini di cui alla sentenza impugnata, nonché al pagamento, in favore delle predette parti civili, della somma già loro liquidata in prime cure a titolo di provvisionale (5% del valore nominale delle obbligazioni/azioni acquistate, per un valore in ogni caso non superiore ad Euro 20.000 per ciascuna parte). 17.2 L'appello della parte civile Bi.Ce. è infondato. Al riguardo, va preliminarmente osservato che, come precisato nell'atto di impugnazione (cfr. pagg.1-3), Bi.Ce., dopo avere instaurato il giudizio innanzi al tribunale civile instando per la declaratoria di nullità del negozio costituito dal finanziamento erogatogli per l'acquisto delle azioni B., ha trasferito l'azione civile nel processo penale. Quindi, in sede penale, il tribunale di Vicenza ha correttamente concluso per l'improcedibilità delle azioni civili proposte, a fini risarcitori, nei confronti di B. in liquidazione, ex artt. 83 T.U.B., 201 l.f.. Tuttavia, ad avviso della parte civile appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente incluso tra le azioni risarcitone dichiarate improcedibili anche quella, tutt'affatto diversa, proposta dal medesimo BI.. Ebbene, se è certamente vero che la domanda avanzata dal predetto BI. non aveva natura risarcitoria (in quanto finalizzata alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento per illiceità della causa), è altrettanto vero che, conseguentemente, si è trattato di una domanda radicalmente estranea all'ambito di esercizio dell'azione civile nel processo penale, come peraltro espressamente osservato dal primo giudice con j riferimento a tutte le domande "di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni" (cfr. pag. 822 della sentenza impugnata). Com'è noto, infatti, le uniche azioni che possono legittimare la costituzione di parte civile sono, ex art. 74 c.p.p., quelle aventi ad oggetto pretese restitutorie/risarcitorie fondate sulla commissione di un reato. Dal difetto (originario) dei presupposti per l'ammissione della costituzione della parte civile - difetto rilevabile senza preclusioni temporali, ove si consideri che il controllo sui presupposti di legittimità formale e sostanziale richiesti per l'esercizio dell'azione civile in sede penale è consentito pur dopo l'ordinanza di ammissione della costituzione, avente per sua natura efficacia provvisoria (cfr. Cass. Sez. VI, n. 32478 del 5.7.2016, Tr.) - discende, l'infondatezza della censura articolata nel gravame. La decisione del tribunale berico, quindi, va integralmente confermata con conseguente condanna di Bi.Ce. al pagamento delle spese processuali. 17.3 L'appello proposto dalle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno censurato la sentenza gravata sul rilievo dell'avvenuto accoglimento della domande risarcitone limitatamente al pregiudizio subito per effetto del reato stigmatizzato, in imputazione, sub Al), il tutto a fronte di una costituzione di parte civile effettuata in relazione a tutte le imputazioni, ivi comprese, quindi, quelle rubricate ai capi I) ed L), avendo i predetti appellanti sottoscritto tanto l'aumento di capitale per l'anno 2013 (di cui al predetto capo I), quanto quello del successivo anno 2014 (di cui al predetto capo L). Sennonché, lungi dall'essersi in presenza di una sentenza che abbia - sia pure implicitamente - accolto la domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla lesione cagionata a dette parti dalla sola condotta delittuosa di aggiotaggio di cui al capo Al), osserva questa Corte che il provvedimento impugnato è affetto, sul punto, da una mera omissione materiale. Dalla congiunta valutazione dell'atto di costituzione dei predetti Cr. e Co. e del contenuto della pronunzia del tribunale di Vicenza (caratterizzata dalla esposizione, necessariamente cumulativa, delle ragioni della decisione in punto di statuizioni civili, con conseguente rinvio, per le singole posizioni, all'elenco allegato al dispositivo) emerge, infatti, in termini davvero inequivoci, come in detta sentenza sia stata unicamente omessa l'indicazione, nella tabella riportata a pag. 1068 relativa alle parti civili rappresentate dall'avv. Sp. e costituite in relazione ai capi A1, I ed L, dei nominativi dei predetti Cr. e Co., inseriti unicamente nella distinta tabella riguardante le parti civili costituitesi per il solo reato sub A1. Nessun rigetto parziale (ancorché implicito ed immotivato) della domanda avanzata da dette parti civili con riferimento ai citati capi I) ed L), quindi, è dato, nella specie, ravvisare; bensì, una mera materiale aporia, alla quale può e deve porsi rimedio, da parte del giudice dell'impugnazione, ricorrendo alla relativa procedura di correzione, ex art. 130 c.p.p. (e la censura mossa alla sentenza del tribunale di Vicenza dalle citate parti civili, pertanto, deve essere interpretata tal senso). Donde la correzione, come da separato provvedimento. 18 La liquidazione dei compensi spettanti ai difensori delle parti civili. Nel liquidare i compensi ai difensori delle parti civili la Corte ha ovviamente tenuto conto tanto delle caratteristiche tutte del giudizio, quanto dell'aumento da riconoscersi ai professionisti in ragione della pluralità di parti assistite. Segnatamente, con eccezione della liquidazione disposta per alcune parti che hanno adottato iniziative più significative nella fase introduttiva (le plurime parti difese dagli avvocati Cu., Da. e fa.) o nel corso del processo (Banca d'Italia, Consob), è stata riconosciuta una liquidazione "base" di Euro 1800,00 (di cui Euro 450,00 per esame e studio; Euro 675,00 per la fase istruttoria; Euro 675,00 per la fase decisionale), importo, questo, calcolato tenendo debitamente conto della circostanza costituita, pur a fronte della complessità del processo, dal fatto che l'impegno richiesto dal procedimento di appello è stato, per le parti civili, in concreto, contenuto, con riferimento alle fasi istruttoria e decisionale (la prima, invero, non ha visto significativi interventi di dette difese che, a volte, non hanno neppure partecipato alle udienze; la seconda, poi, si è per lo più essenzialmente esaurita nel deposito delle conclusioni). Di qui l'adozione dei valori medi unicamente in relazione alla fase di "studio" e la riduzione per le restanti voci. Rispetto a tale liquidazione "base", poi, l'aumento per la pluralità di parti è " stato concretamente modulato al fine di scongiurare le marcate distorsioni dell'effetto moltiplicativo previsto dalla legge che si sarebbero inevitabilmente prodotte pur a fronte di attività del tutto omogenee e dell'assenza di "specifiche e distinte questioni di diritto". Donde la decisione di contenere, nel solco della determinazione, sul punto, del primo giudice, l'entità dell'aumento, per ogni parte ulteriore, sino a dieci parti, nella misura del 10% di detta "quota base", nonché nella misura di un ulteriore 5% per ciascuna parte aggiuntiva, sino al limite di 30 parti, con conseguenti singole liquidazioni, come da dispositivo. Oltre tale numero di parti (30 parti assistite, che costituisce anche il limite massimo preso in esame dalla legge), l'assoluta serialità dell'attività svolta per la difesa in sede processuale di parti titolari di posizioni assolutamente omogenee, o addirittura coincidenti, ha indotto la Corte ad escludere l'adozione di ulteriori aumenti, che pure sono stati calcolati forfettariamente dal giudice di primo grado, ma la cui concreta applicazione rientra pur sempre nella discrezionalità riconosciuta al giudice di merito dalla giurisprudenza di legittimità. P.Q.M. Visto l'art. 605, 592 c.p.p. In parziale riforma della sentenza emessa in data 19/3/2021 dal Tribunale di Vicenza, appellata: - dalla Procura della Repubblica di Vicenza; - dagli imputati Gi.Em., Ma.Pa., Zo.Gi., Pi.An., Zi.Gi.; - dalla Banca (...) in L. C.A., dichiarata responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti ai sensi del D.Lvo 231/2001); - dalle parti civili Bi.Ce.; Cr.La. e Co.An.; Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi.; Pa.La. e Pa.Gi.; Va.Gi., Ro.El. e Va.De., statuisce nei seguenti termini: 1) quanto a Zo.Gi., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 2) quanto a Pi.An., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a luì ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 3) quanto a Ma.Pa., assolve l'imputato dai reati di cui ai capi I) ed L), nonché dai reati ascrittigli ai capi H1) e M1), limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto; ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce e ridetermina la pena inflitta all'imputato ad anni 3 mesi 4 e giorni 15 di reclusione; 4) quanto a Gi.Em., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c. e riconosciute le attenuanti generiche in regime di prevalenza, riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 2 mesi 7 e giorni 15 di reclusione; 5) quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello proposto dalla Procura della Repubblica e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Cu., Da. e FA., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiara l'imputato responsabile dei residui reati ascrittigli e ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza e unificati, infine, i predetti reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Rigetta l'appello della Procura della Repubblica nei confronti di Zi.Gi. nonché l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado dal medesimo imputato che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Revoca le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici nei confronti degli imputati MA. e GI.. Revoca la confisca per equivalente disposta ai sensi dell'art. 2641 comma II c.c. nei confronti degli imputati per l'intero suo importo pari ad Euro 963.000.000. In parziale accoglimento dell'appello dall'ente Banca (...) in Lea riduce ad Euro 207.900 la sanzione pecuniaria nei confronti del predetto ente quale responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato allo stesso ascritti ai sensi del D,lvo n. 231/2001, ritenuta l'unitarietà delle ipotesi di aggiotaggio. Revoca la provvisionale disposta in favore dì Banca d'Italia e Consob. Rigetta l'appello proposto da Bi.Ce. e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui condanna gli imputati al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa in favore della parte civile Bi.Ce.. Revoca nei confronti di Zo.Gi. e Gi.Em. la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa di parte civile disposta in favore delle parti civili Ab. S.r.l., Bu.Sa. e To.Ma., rappresentate dall'avv. Mo.Gi.. Condanna gli imputati in solido tra loro al pagamento delle spese di assistenza e difesa delle parti civili liquidate come da documento allegato al dispositivo nonché come di seguito specificato: - in favore di Banca d'Italia, la somma di Euro 5670 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore di Consob, la somma di Euro 3150 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Cu., la somma di Euro 3510, a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Da., la somma di Euro 2970 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. FA., la somma di Euro 3780,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge. Dispone il pagamento in favore dello Stato delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili Ci., che liquida nella misura di Euro 1800 oltre al rimborso spese generali (15%), Iva e epa come per legge. Conferma nel resto. Letto l'art. 544 comma III c.p.p. indica il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Venezia il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PISTOIA Sezione Lavoro Il Tribunale di Pistoia, in composizione monocratica e quale giudice del lavoro di primo grado, dott. Francesco Barracca nel procedimento n. 9 / 2020, Ruolo Lavoro, tra A.G., rappresentata e difesa dall'avvocato (...) RICORRENTE Contro COMUNE DI PISTOIA, rappresentato e difeso dall'avvocato (...), CONVENUTO ha pronunciato la seguente SENTENZA Motivi della decisione La causa è stata discussa all'udienza "cartolare" del 08.11.2022 mediante le note scritte depositate dalle parti. Nelle proprie note scritte le parti si sono riportate ai propri atti difensivi e alle rispettive istanze e conclusioni. La controversia è stata decisa all'udienza anzidetta. La causa è stata istruita con la documentazione prodotta dalle parti e con l'audizione di alcuni testi. Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato per le ragioni che si preciseranno in seguito. Parte ricorrente, in estrema sintesi, ha chiesto che il Comune di Pistoia sia condannato al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) patito per le condotte vessatorie, persecutorie e gravemente afflittive poste in essere dal Comandante della Polizia Municipale di Pistoia, S.B., le quali erano note all'ente locale convenuto, nonché per accertare l'ingiusto e gravemente pregiudizievole demansionamento allegato. Parte convenuta, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato in fatto ed in diritto. Parte convenuta ritiene che il proprio operato sia stato legittimo e, pertanto, nessuna pretesa risarcitoria può vantare la ricorrente. Come è noto, il mobbing consiste in attacchi frequenti e duraturi e soprusi da parte dei superiori gerarchici o di altri colleghi che hanno lo scopo di isolare il lavoratore, di danneggiare i suoi canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione o la professionalità della vittima, di intaccare il suo equilibrio psichico, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso e provocando catastrofe emotiva e depressione. Il mobbing è un sistema di organizzazione produttiva dell'attività umana, consistente in una successione di episodi traumatici correlati l'uno con l'altro e aventi come scopo l'indebolimento delle resistenze psicologiche e la manipolazione del soggetto mobbizzato. Il mobbing contiene, quindi, necessariamente il dolo nell'accezione di volontà di nuocere o infastidire o svilire il compagno di lavoro o il dipendente. Sotto il profilo civilistico la Cassazione ha chiarito che il mobbing non è altro che un aspetto della violazione dell'obbligo di sicurezza del datore di lavoro previsto dall'art. 2087 c.c. e che si tratta di responsabilità contrattuale del medesimo. Da una relazione dell'Ufficio del massimario della Corte di Cassazione, che ha fatto il punto della questione del mobbing, si è evidenziato che varie sentenze sono state emesse sul tema dalla Cassazione, la quale, in assenza di diretti riferimenti normativi ed attraverso la difficile opera ricostruttiva e di inquadramento delle fattispecie negli istituti giuslavoristi consolidati e nei strumenti classici di tutela dei diritti, ha riconosciuto le prime incisive forme di tutela giurisdizionale del lavoratore vittima di mobbing ed ha, altresì, definito i "contorni" giuridici di una fattispecie non direttamente tipizzata: ha osservato, quindi, che se talora le attività costituenti mobbing sono penalmente rilevanti, più spesso esse sono rilevanti solo sul terreno civilistico; altre volte ancora si è in presenza di atti o fatti non illegittimi se riguardati singolarmente, e talora addirittura giuridicamente neutri, eppure rilevanti, unitamente ad altri, quali elementi di una fattispecie complessa che nel suo insieme ha portata lesiva della dignità, sicurezza e salute del lavoratore (ossia dei limiti, costituzionalmente rilevanti ex art. 41 Cost., apposti all'attività datoriale privata). Cass. 6 marzo 2006 n. 4774 ha ritenuto, infatti, che una serie di comportamenti consistiti in provvedimenti di trasferimento, ripetute visite mediche fiscali, attribuzione di note di qualifica di insufficiente, irrogazione di sanzioni disciplinari, privazione della abilitazione necessaria per operare al terminale ed altri episodi, può astrattamente costituire mobbing ed esporre il datore di lavoro all'azione risarcitoria del lavoratore ove si tratti di fatti rientranti in un medesimo disegno persecutorio del datore. Più specificamente la Corte, pur in concreto escludendo la sussistenza del mobbing, ha affermato che " L'illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente (c.d. "mobbing") - che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ. - si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifichi obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata - procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi - considerando l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito impugnata che, con congrua motivazione, si era attenuta a tali criteri escludendo la configurabilità, in capo al datore di lavoro, di un disegno persecutorio realizzato mediante i vari comportamenti indicati dal lavoratore come vessatori)". Poi Cass. 20 maggio 2008, n. 12735 si è occupata del tema, ritenendo il mobbing un fenomeno unitario caratterizzato dalla reiterazione e dalla sistematicità delle condotte lesive e dalla intenzionalità delle stesse in direzione del risultato perseguito di isolamento ed espulsione della vittima dal gruppo in cui è inserito. La Cassazione si è occupata anche del mobbing orizzontale, precisandone i caratteri in relazione alla responsabilità del datore di lavoro. Ha affermato Cass. 11 settembre 2008, n. 22858 che la responsabilità del datore di lavoro per mobbing sussiste anche ove, pur in assenza di un suo specifico intento lesivo, il comportamento materiale sia posto in essere da altro dipendente, per la colpevole inerzia nella rimozione del fatto lesivo; né ad escludere tale responsabilità, quando il mobbing provenga da un dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, può bastare un mero tardivo intervento "pacificatore", non seguito da concrete misure e da vigilanza. Secondo la decisione "integra la nozione di mobbing" la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica); ne' la circostanza che la condotta di "mobbing" provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 cod. civ. - ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza (nella specie, la S.C., nel cassare la sentenza impugnata, ha rilevato che il giudice di merito aveva valutato le condotte in termini non solo incompleti ma anche con un approccio meramente atomistico e non in una prospettiva unitaria, con sottovalutazione della persistenza del comportamento lesivo, durato per un periodo di sei mesi, più che sufficiente ad integrare l'idoneità lesiva della condotta nel tempo, che - nella sostanziale inerzia del datore di lavoro - era consistita nell'inopinato trasferimento, da parte di un altro dipendente gerarchicamente sovraordinato, di una dipendente (incaricata della trattazione di un progetto aziendale di rilevanza europea) dal proprio ufficio in un'area "open", senza che venisse munita di una propria scrivania e di un proprio armadio, con sottrazione delle risorse utili allo svolgimento dell'attività, con creazione di reiterate situazioni di disagio professionale e personale per aver dovuto trattare in un luogo aperto al passaggio di chiunque attività che presupponevano riservatezza e per essere stata, in più occasioni, insultata con espressioni grossolane).". Cass. n. 3785 del 17/02/2009 ha confermato che "per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio." Cass. n. 18836/2013 ha affermato, inoltre, che "costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni - di vario tipo ed entità - al dipendente medesimo. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che, come adeguatamente motivato dalla corte territoriale, non ricorressero gli estremi della condotta mobbizzante nella mera denegata partecipazione ai corsi professionali, in sé gestiti con metodo clientelare, nonché nell'omessa dotazione di supporti informatici per lo svolgimento dell'attività professionale e nella messa a disposizione di ambienti di lavoro particolarmente ristretti, attesa l'assenza della prova di una esplicita volontà del datore di lavoro di emarginare il dipendente in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un intento persecutorio)". Ed ancora Cass n.17698/2014 ha precisato che "ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi". Più recentemente Cass. n. 26684/2017 ha specificato che " Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti la conflittualità delle relazioni personali all'interno dell'ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore" e Cass. n. 12437/2018 ha confermato ulteriormente che " E' configurabile il "mobbing" lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio del datore medesimo". In linea generale, la giurisprudenza, quindi, attribuisce rilevanza al cd. mobbing in quanto ravvisi in concreto una reiterazione nel tempo di condotte lesive ed individua la reale natura degli atti vessatori sulla base di una serie di elementi quali la frequenza, la sistematicità, la durata nel tempo, la progressiva intensità, e la coscienza e volontà di aggredire, disturbare, perseguitare, svilire la vittima (e proprio l'elemento soggettivo del mobber consente di collegare tra loro fatti apparentemente del tutto diversi tra loro ed indipendenti ed accaduti in contesti spaziali e temporali eterogenei), che ne riporta un danno, anche alla salute psico-fisica. Come condivisibilmente sottolineato anche dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Forlì, 28 gennaio 2005, n. 28) il mobbing non si esaurisce in una comodità lessicale ma contiene un valore aggiunto - costituito, appunto, dalla finalità vessatoria, dall'esistenza di una strategia persecutoria - che consente di arrivare a qualificare come tale, e quindi a sanzionare, anche quel complesso di situazioni che, valutate singolarmente, possono anche non contenere elementi di illiceità ma che, considerate unitariamente ed in un contesto mobbizzante, assumono un particolare valore molesto che non sarebbe stato possibile apprezzare senza il quadro d'insieme che il mobbing consente invece di valutare". Secondo la relazione dell'ufficio del Massimario citata una disamina delle decisioni in materia dei giudici del lavoro evidenzia che le maggiori difficoltà del mobbizzato riguardano la prova della reiterazione delle condotte illecite ed il superamento del livello di conflittualità ordinaria del vivere sociale e, in particolare, degli ambienti di lavoro. In tale contesto il Tribunale di Milano - sent. 20 maggio 2000 ha affermato che non è configurabile un danno psichico del lavoratore, del quale il datore di lavoro sia obbligato al risarcimento, conseguente ad una allegata serie di vicende persecutorie lamentate dal lavoratore stesso (c.d. "mobbing"), qualora l'assenza di sistematicità, la scarsità di episodi, il loro oggettivo rapportarsi alla vita di tutti i giorni all'interno di una organizzazione produttiva, che è anche luogo di aggregazione e di contatto (e di scontro) umano, escludano che i comportamenti lamentati possano essere considerati dolosi. La sentenza ricorda che il prestatore di lavoro non ha alcun diritto ad essere felice e, anzi, come in ogni altro ambiente basato su relazioni continuative, l'azienda stessa è luogo di continui conflitti e tensioni, in parte inevitabili e prevenibili mercè sfoggio di virtù morali ed umane che non sono oggetto di obbligo giuridico; l'illecito non coincide con quanto viene avvertito come sgradevole sul piano morale e che in ogni caso, la illegittimità di una condotta non può farsi derivare dal semplice verificarsi del danno ove accertato: infatti l'alterazione dell'integrità psicofisica di un soggetto può derivare da fattori differenti, dalla vita familiare, da uno stato di difficoltà emotiva che connota il lavoratore, ed anche da comportamenti legittimi del datore di lavoro, inevitabili ma accettati in modo irragionevole dal prestatore di lavoro. Tribunale di Bari - 12 marzo 2004 in www.giurisprudenzabarese.it, ha puntualizzato i parametri del mobbing, la cui mancanza esclude la configurabilità della fattispecie lesiva: la frequenza delle azioni ostili; la durata nel tempo di dette azioni; il tipo di azioni ostili (che vengono normalmente suddivise in cinque categorie: 1) attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare; 2) isolamento sistematico; 3) cambiamenti delle mansioni lavorative; 4) attacchi alla reputazione; 5) violenze e minacce di violenza); il carattere persecutorio e discriminatorio delle stesse; la posizione di inferiorità del lavoratore; il preciso intento persecutorio e vessatorio del comportamento datoriale. Il mobbing dunque richiede una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengano fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e qualità. Nel caso la richiamata sentenza ritiene che verosimilmente lo stato ansioso-depressivo in cui incontestabilmente versava il ricorrente, fosse in qualche modo ricollegabile alle intervenute modifiche dell'organizzazione del lavoro e, in specie del settore logistica dove il predetto aveva prestato la propria attività per notevole tempo; ciò peraltro in un'ottica assolutamente fisiologica, e senza che configurabile una responsabilità risarcitoria del datore di lavoro. In proposito la sentenza rammenta che "il prestatore di lavoro non ha alcun diritto ad essere felice e, anzi, come in ogni altro ambiente basato su relazioni continuative, l'azienda stessa è luogo di continui conflitti e tensioni, in parte inevitabili e prevenibili mercé sfoggio di virtù morali ed umane che non sono oggetto di obbligo giuridico", ed aggiunge che non può dimenticarsi che l'illecito non coincide con quanto viene avvertito come sgradevole sul piano morale e che in ogni caso, la illegittimità di una condotta non può farsi derivare dal semplice verificarsi del danno ove accertato. Del resto, l'alterazione dell'integrità psicofisica di un soggetto può derivare da fattori differenti, dalla vita familiare, da uno stato di difficoltà emotiva che connota il lavoratore, ed anche da comportamenti legittimi del datore di lavoro, inevitabili ma accettati in modo irragionevole dal prestatore di lavoro. In difetto quindi di una prova positiva del nesso di causalità tra il dedotto stato depressivo ed un comportamento identificabile sul piano oggettivo come illegittimo, la pronuncia ha ritenuto che la pretesa di risarcimento del danno non possa trovare spazio. Ma quanto detto rende evidente che la fattispecie del mobbing si presenta spesso di difficile enucleazione, specie quando ancorata a meri fatti formalmente leciti ma rilevanti in una dimensione che li consideri unitariamente, o per l'elemento soggettivo che li unifica o ancor più per gli effetti obiettivi degli atti: in particolare, è certo difficile sceverare, nell'ambito di fatti in sé neutri, quei fatti che possono rilevare quali integrativi del mobbing; specie ove i rapporti tra i dipendenti siano conflittuali, può risultare problematico stabilire in concreto fin dove si spinga la subordinazione del dipendente e dove emerga l'abuso del superiore, fin dove i conflitti lavorativi rientrino nella normale dinamica dei rapporti umani sul lavoro e dove sfocino invece nella patologia dei rapporti, fin dove i disagi e gli stress da lavoro siano irrisarcibili in quanto normali (anche se mal tollerati dal dipendente) o frutto di disciplina particolarmente serrata e dove invece essi diventino oggettivamente intollerabili o espressione di abuso. Si tratta indubbiamente di valutazioni da effettuare in relazione al singolo caso di volta in volta oggetto di giudizio, ad istruttoria probatoria ultimata; che l'importanza giuridica della categoria del mobbing stia proprio nell'unificazione delle condotte datoriali, sicché anche condotte in sé giuridicamente insignificanti o neutre assumono rilevanza quali elementi di una fattispecie complessa che è lesiva degli interessi del lavoratore, è stato riconosciuto anche da Trib. Lecce 9 giugno 2005, in www.personaedanno.it ed in dirittolavoro.altervista.org, in un caso in cui, oltre alla durata nel tempo delle vessazioni, risultava l'isolamento del ricorrente, il demansionamento, le minacce di licenziamento, l'abuso nei controlli datoriali e l'imposizione illeciti di comportamenti non rilevanti ai fini della prestazione. Riconosce, peraltro, la sentenza citata che importante è delineare forme di tutela del lavoratore anche nel caso in cui al datore competono poteri unilaterali di conformazione del rapporto, rispetto ai quali il lavoratore ha astrattamente una posizione di mero pati: "il lavoratore ha una posizione soggettiva di fondamentale importanza che è l'interesse -inquadrabile nella categoria degli interessi legittimi, ma di tipo privatistico- ad un corretto esercizio da parte del datore di lavoro dei poteri unilaterali di gestione; a questo interesse, che è alla base di una funzione di controllo che può espletare il lavoratore sulla posizione del datore di lavoro, corrisponde quello che è il generale obbligo di buona fede e di correttezza del datore di lavoro", obbligo che è violato "innanzitutto quando il datore di lavoro abusa dei propri poteri, cioè, giuridicamente, fa un uso dei propri poteri dirigendoli a fini diversi da quelli previsti dalla norma che assegna il potere unilaterale al datore di lavoro". Dall'istruttoria orale svolta deve ritenersi che non vi sia stata una condotta "mobbizzante" del Comandante B. nei confronti dell'odierna ricorrente dovendo, invece, rilevarsi una certa conflittualità interpersonale che, però, non appare essere "unilaterale", come sostiene la dott.ssa G. nel ricorso. Dall'istruttoria orale svolta è emerso che il B. usava rapportarsi con i propri colleghi utilizzando la mail (e non solo quindi soltanto con la ricorrente) e non risultano nemmeno allegati episodi specifici e circostanziati nel quale il B. avrebbe iniziato a trattare la ricorrente con "...supponenza quando addirittura con disprezzo.." (pag.2 del ricorso). Risulta inoltre che il B. ha fatto una lettera di referenza per la ricorrente nella quale la dott.ssa G. è indicata "..come una delle risorse umane più importanti di questo Comando..." (doc.55 convenuto) ed ha inserito la ricorrente in varie commissioni di concorso pubblico (doc.54 convenuto). Nel documento 54 il Comandante ringrazia della "fattiva collaborazione" i componenti della commissione di concorso sia quelli effettivi che quelli aggiunti. Inoltre risulta che il B. ha conferito un encomio speciale alla ricorrente in una cerimonia ufficiale tenutasi nel maggio 2018 alla presenza dell'allora Prefetto A.C.. Nel 2019, nell'anniversario della fondazione del Corpo, il B. ha ringraziato pubblicamente la dott.ssa G. per il lavoro svolto. Quanto affermato da parte convenuta non è stato contestato e, diversamente da quanto affermato da parte ricorrente, non possono ritenersi di "mera rilevanza esteriore e di facciata" in quanto il B., se veramente avesse voluto mortificare la G., ben avrebbe potuto astenersi dal conferirle un encomio o a ringraziarla per il lavoro svolto. Nelle mail allegate da parte ricorrente non emerge alcun tono denigratorio o sprezzante del B. nei confronti della ricorrente se non un tono molto formale del predetto nei confronti di tutti i suoi colleghi. Tra l'altro non risulta che il B. non volesse incontrare la ricorrente in quanto è proprio il Comandante, nella mail del 17.10.2019, a dire alla G. che "...per l'incontro io sono sempre qua..." per cui non corrisponde al vero che il B. non volesse alcun incontro con la ricorrente. E' evidente che alcun intento persecutorio può inferirsi dalla documentazione prodotta da parte ricorrente e dalle modalità in cui il B. si rapportava con la ricorrente e i suoi colleghi. E' risultato, inoltre, che il B. ha criticato la gestione della ricorrente relativamente all'esecuzione dell'appalto "O.S." senza che, tuttavia, tale critica sia debordata in insulti ovvero in aggressioni verbali. Sul punto la teste M. ha dichiarato che il B. "...nel proseguo ha iniziato ad esternare per lo meno con me una valutazione negativa nei confronti della dott.ssa G. tanto da arrivare ad interpellarla come un "incapace": è un aggettivo che il dott.B. con me ha espresso in più occasioni di colloquio al riguardo della dott.ssa G.....questo atteggiamento di critica nei confronti della dott.ssa G., il dott.B. lo aveva non solo in relazione al contratto che ho sopra detto ma anche quale dirigente, nei confronti del personale e dell'organizzazione dell'ufficio in generale e in particolare dell'ufficio contravvenzioni...". Le dichiarazioni della teste M. appaiono, però, inattendibili in quanto la stessa M., nell'ambito del procedimento disciplinare aperto a carico del dott. B., aveva dichiarato di aver udito il Comandante affermare che la G. non era stata capace di gestire l'esternalizzazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi per le violazioni del codice della strada affidata alla O.S. s.r.l. aggiudicataria della gara, e che pertanto ella si era dimostrata non all'altezza del compito affidato (vedasi verbale n. 2 acquisito in atti all'udienza del 24.1.2022). A domanda del Segretario generale se tali affermazioni fossero state rese in più occasioni ella aveva risposto "di sì, sempre nell'ufficio del Comandante e sempre in relazione ai rapporti della O.S.". E' evidente la contraddizione tra le diverse dichiarazioni della M.. Tra l'altro il teste G. ha dichiarato che "....alla mia presenza io non ho mai sentito affermazioni del B. nei confronti della G. in tono dispregiativo, di supponenza o diffamatorio. Posso dire di aver sentito delle critiche dello stesso B. su degli aspetti specifici però sempre in termini di normale organizzazione e dirigenza di un servizio. Alla mia presenza il B. ha manifestato più volte la critica che secondo lui il bando emanato in precedenza avrebbe potuto/dovuto contenere degli aspetti e questioni che non c'erano...non ho mai sentito a battute di scherno fatte dal B. verso la G. appellando "segretaria al M."....". Lo stesso teste ha dichiarato che tra il B. e la G. vi erano "...dei rapporti non lineari e problematici...In una circostanza tramite scambio di email pervenutami a conoscenza senza averlo richiesto, leggevo e ho compreso che vi era un problema abbastanza forte quando la G. manifestava, in questa email, tutto il proprio disappunto, anche riservandosi di tutela con un legale, quando il dott.B. mettesse in discussione fortemente degli aspetti del bando di gara relativo al gestionale dei procedimenti sanzionatori e nella quale si discuteva della onerabilità del lavoro la dott.ssa G. e di cui la stessa si stava lamentando in questa email...". La teste M. ha dichiarato che "....in mia presenza io non ho mai assistito a apprezzamenti di disprezzo o supponenza da parte del B. nei confronti della G. però all'inizio ho sentito tante volte il dott.B. dire che la G. non aveva fino a quel momento gestito bene il personale presente in servizio..." e in una occasione "...ricordo di aver sentito il B. dire che la G. era "la segretaria del M." e l'ho sentita dire vicino alla macchinetta del caffè: ricordo che vi era la presenza di altre persone che però non ricordo chi fossero. Io l'ho sentito personalmente solo in questa unica occasione...". La teste ha dichiarato che le comunicazioni tra il B. e la G. erano meramente formali e "...io non l'ho mai visti interagire insieme su nessuna questione d'ufficio fino a che poi il commissario G. è andato via...". La teste M. ha poi dichiarato che il B. aveva criticato la gestione della PM da parte della G. e, in particolare, ha dichiarato che "...le prime settimane che arrivò iniziò a cambiare il personale e con modalità e criteri diversi: io ho assistito che lui è arrivato le prime settimane doveva rivedere tutto il personale perché secondo lui fino a quel momento non era stato gestito bene per cui a vecchi criteri come l'anzianità per la copertura del servizio h24 si sostituiva a criteri come l'iscrizione di corsi universitari o altri corsi per cui quando arrivò il dott.B. vi fu uno spostamento di coloro che erano iscritti all'Università su turni in notturna e lauree...". E' evidente che sin dall'inizio vi fu un conflitto tra il B. e la ricorrente sul "quomodo" della gestione del personale e le cui problematiche il B. intendeva risolvere unilateralmente senza tener conto delle osservazioni della dott.ssa G. (vedasi le dichiarazioni della testa M. sui servizi "h24") e senza alcun confronto con la ex comandante. La ricorrente, nello stesso ricorso, afferma che "...come molte delle contestazioni da ultimo mosse dal Comandante si sostanzino nella mancata condivisione da parte della dott.ssa G. di valutazioni, metodi di lavoro e procedure organizzative imposte dal Dirigente a tutto il personale del Comando, in assenza di adeguato confronto con le figure apicali del Servizio ed anzi in aperto, dichiarato ed insuperabile conflitto con buona parte degli addetti (tanto da provocare nel breve volgere di alcuni mesi numerose domande di mobilità).." con ciò "ammettendo" che si sia contrapposta alle decisioni del Comandante, senza considerare, tuttavia, che ella, condividendo oppure no le direttive e gli indirizzi impartiti dal Comandante, avrebbe dovuto adeguarvisi, in quanto organo ad essa sovraordinato. E' indubbio che tra la ricorrente e il B. vi era una reciproca "diffidenza" ed è emerso che non vi è stata mai la possibilità di interagire insieme pur se vi era una formale "apertura" e "disponibilità" di entrambi a dialogare e ad incontrarsi. Questi contrasti, tuttavia, non sono debordati in un disegno persecutorio del B. nei confronti della G.. Le segnalazioni all'UDP del Comune di Pistoia sono state effettuate non solo direttamente, di propria iniziativa, dal B. ma anche da parte di terzi e tali segnalazioni hanno portato ad una sanzione disciplinare (rimprovero verbale) nei confronti della G. che, tra l'altro, non è stata impugnata nemmeno in questo giudizio. Gli altri comportamenti del B. indicati nel ricorso, e ritenuti nel complesso come "mobizzanti", non sono da ritenersi vessatori o denigratori in quanto la valutazione della ricorrente da parte del B. non è risultata mortificante per la ricorrente (in quanto corrispondente alla valutazione effettuata dal nucleo di valutazione e recepita dalla Giunta) mentre la modifica della valutazione effettuata dal B. con riferimento alla valutazione del dipendente B. non può essere ascritta ad una volontà di oscurare l'operato della G. in quanto tale "rivalutazione" non è stata effettuata ad iniziativa del B. "senza ragione" bensì a seguito delle interlocuzioni (doc. da 23 a 27 convenuta) del Comandante con il difensore del B. il quale chiedeva la revoca del provvedimento di valutazione dell'apporto individuale per l'anno 2017 e l'attribuzione di un valutazione positiva "efficace ed efficiente" in modo da consentire al lavoratore di partecipare alla suddivisione dell'indennità produttiva. Non è risultato, inoltre, che la ricorrente sia stata demansionata in quanto la stessa è stata assegnata a posizioni organizzative sicuramente confacenti al proprio inquadramento. A seguito del suo insediamento in qualità di Comandante di polizia municipale, il B. ha affidato alla ricorrente con Det. dell'11 gennaio2018, n. 39 (doc. 4 convenuta) l'incarico di responsabilità di struttura organizzativa di particolare complessità U.O. Esterna nonché la responsabilità delle U.O. Procedimenti sanzionatori, ufficio relazioni con il pubblico e giudice di pace (comprendente anche la precedente U.O. "Ricorsi Prefetto"). Dall'istruttoria orale svolta non è emerso che la ricorrente non potesse svolgere in autonomia la propria attività professionale in quanto se è vero che la stessa non potesse modificare i turni degli agenti afferenti alla propria unità operativa ma soltanto visualizzarli è anche vero che ciò fu dovuto ad una scelta del nuovo Comandante (sebbene discutibile) di voler accentrare la responsabilità della redazione dei servizi in capo all'Ispettore Grazzini (doc.3 ricorrente). Le scelte organizzative del Comandante B. appaiono, quindi, più che finalizzate a perseguitare la ricorrente ad evidenziare, invece, una scelta prettamente "verticistica" del proprio modo di operare all'interno del Comando che, tuttavia, è cosa diversa dal mobbing. Anche l'attribuzione alla ricorrente dell'unità operativa "Polizia di Prossimità" non appare svilente in quanto si trattava di un progetto che risultava particolarmente importante e rilevante per il Comune che andava sviluppato proprio con l'esperienza e le capacità della ricorrente. Tra l'altro nel ricorso parte ricorrente afferma che tale U.O. aveva numerose incombenze pur se la ricorrente lamentava che "...Le sette risorse assegnate alla U.O. - di cui una inserita nel c.d. turno 0-24 e quindi, di fatto, impiegata nella U.O. massimo una volta a settimana - in pratica debbono alternarsi nei turni di mattina e pomeriggio nel servizio di presidio del territorio con la stazione mobile che prevede l'impiego di due unita per ciascun turno; di conseguenza il disbrigo delle ulteriori e numerose incombenze dell'Ufficio risulta estremamente problematico, il che provoca inevitabili ritardi ed inefficienze. Anche in questo caso ogni tentativo di interlocuzione con il Comandante al fine di ottenere una maggiore autonomia operativa o, quanto meno, una condivisa ridefinizione delle priorità del Servizio e soprattutto una più razionale organizzazione presidio al territorio e sin qui risultata del tutto vana, come ben si comprende dallo scambio mail che si produce....". E' evidente che proprio dal ricorso emerge che l'u.o. attribuita alla ricorrente non era una "scatola vuota" e non era finalizzata ad emarginare la ricorrente lamentando, invece, la G. una scorretta organizzazione del B. ritenuta dalla ricorrente come inefficiente e che, indubbiamente, poteva essere risolta soltanto se i rapporti tra i due non fossero freddi e formali. Anche il procedimento di riorganizzazione della struttura del servizio di PM non appare essere stato svolto in maniera illegittima od arbitraria né risultano le attribuzioni delle posizioni organizzative mai impugnate dalla ricorrente dinanzi all'autorità giudiziaria (se non in questo giudizio) in quanto il provvedimento di attribuzione risulta sufficientemente motivato. E' pacifico che la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, ne' un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell'incarico. Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione - nell'ambito della classificazione del personale di ciascun comparto - è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva. Inoltre, per come è strutturata la relativa disciplina, rivolta al personale non dirigente già inquadrato nelle aree e in possesso di determinati profili professionali, il conferimento dell'incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, e abbiano ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche" (in questo senso Cass. S.U., sent. n. 16540/08 in motivazione). La natura temporanea e fiduciaria dell'incarico di posizione organizzativa esclude l'esistenza di un diritto soggettivo del lavoratore al conferimento dell'incarico, potendo configurarsi, analogamente a ciò che avviene per il conferimento degli incarichi dirigenziali, unicamente un interesse legittimo di diritto privato (cfr. Cass. civ. sez. lav. sent. n. 3880/06). In altri termini, il dipendente pubblico che aspiri al conferimento di un incarico di posizione organizzativa, ha diritto a che il datore di lavoro, titolare della facoltà di istituire le posizioni organizzative secondo proprie valutazioni e di adibirvi con ampia discrezionalità i dipendenti ritenuti più idonei, eserciti tali poteri nelle forme e con i limiti previsti dal contratto e nel rispetto dei principi generali di buona fede e correttezza di cui all'art. 1175 c.c. Proprio perché non sussiste un diritto soggettivo all'attribuzione dell'incarico, una eventuale violazione delle procedure previste dalla contrattazione collettiva ovvero dei doveri di buona fede e correttezza, non potrebbe mai portare all'attribuzione dell'incarico per effetto di un provvedimento giudiziale ma unicamente al risarcimento del danno. Nel senso dell'inesistenza di un diritto all'attribuzione dell'incarico si è, d'altro canto, espressa la prevalente giurisprudenza di merito, affermando il seguente principio, pienamente condivisibile: "La situazione giuridica riconosciuta in capo al dipendente che aspiri al conferimento di un determinato incarico non è di diritto soggettivo c.d. potestativo, ma di interesse legittimo di diritto privato. Per converso, la situazione facente capo al datore di lavoro è di "potere discrezionale" privato, essendo in facoltà dello stesso, pur nel rispetto dei limiti di legge, di accogliere o meno la richiesta di conferimento dell'incarico; ne consegue che il giudice giammai può emettere sentenza con la quale accerta il diritto del ricorrente a vedersi conferire l'incarico ad aspira, essendo lo stesso attribuibile solo a seguito di valutazione discrezionale della p.a., ma, al più, ove accerti che il potere discrezionale sia stato esercitato travalicando i limiti previsti dalla legge, potrà dichiarare illegittimo il provvedimento di conferimento dell'incarico impugnato, così costringendo la p.a. ad operare una nuova valutazione, nel rispetto delle norme in precedenza violate" (Tribunale Trani, sez. lavoro, ord. 22 settembre 2011; nello stesso senso Tribunale Napoli 01/07/08, Tribunale Lecce 06/02/07, Tribunale Caltanissetta 14 gennaio 2006, Corte di Appello di Firenze 28/01/2005). Le considerazioni sopra svolte portano al rigetto anche della domanda di risarcimento del danno sotto questo profilo. Sul punto occorre considerare che secondo il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, "In tema di pubblico impiego contrattualizzato, anche ai fini del conferimento delle posizioni organizzative, la cui definizione è demandata alla contrattazione collettiva dall'art. 40, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, la P.A. è tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali ed all'osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dell'art. 97 Cost., senza tuttavia che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro nell'ambito di una lista di soggetti idonei" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 2141/2017). Nel caso di specie il dirigente ha valutato tutti i requisiti previsti dal regolamento comunale (doc.53 del Comune di Pistoia) in quanto risulta che è stato dato avviso della proceduta ai potenziali interessati; è stato acquisito il curriculum degli stessi; sono stati effettuati i colloqui motivazionali ed attitudinali e sulla base della comparazione dei curricula e dei colloqui espletati, sono stati individuati i dipendenti ai quali conferire l'incarico, esternando le motivazioni di tale scelta e dando altresì atto dell'iter osservato ai fini del loro conferimento (doc.42 e ss parte convenuta). Dagli atti di causa emerge che la scelta discrezionale effettuata risulta, come detto, motivata e non arbitraria in quanto risultano indicati le ragioni per le quali sono stati attribuiti gli incarichi a determinati aspiranti. Alla luce delle considerazioni anzidette le domande di parte ricorrente vanno rigettate. Le spese di lite si compensano integralmente alla luce dell'obiettiva complessità e peculiarità della presente controversia. P.Q.M. 1) rigetta il ricorso e le domande ivi contenute; 2) compensa tra le parti le spese di lite; 3) motivazione nei 60 giorni. Così deciso in Pistoia, il 8 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PALLA Stefano - Presidente Dott. BELMONTE Maria Tere - rel. Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/10/2021 della CORTE di APPELLO di TRENTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Teresa BELMONTE; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, LIGNOLA Ferdinando, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trento ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa citta', che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole di atti persecutori - dal marzo al settembre 2018 - per avere molestato l'ex compagno (OMISSIS) con numerosi messaggi telefonici di contenuto ingiurioso e minaccioso ed altresi' percuotendolo in data 4.6.2018, in maniera tale da ingenerare in lui il fondato timore per la sua incolumita'; con l'aggravante della precedente relazione affettiva e dell'uso di strumenti informatici e telematici (mail, sms e social network). 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato (OMISSIS), che si affida a tre motivi. 2.1. Con il primo, denuncia vizi della motivazione, manifestamente illogica in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento materiale del reato e al nesso causale. Si sostiene l'inidoneita' offensiva della condotta della ricorrente, sostanzialmente omogenea rispetto a quella avuta durante la relazione sentimentale, e l'insussistenza dell'evento, dal momento che la persona offesa ha continuato a incontrare la ricorrente anche dopo la fine della loro relazione, conseguentemente non mutando le proprie abitudini. 2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata la violazione dell'articolo 521 c.p.p. sostenendosi il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, e correlato vizio della motivazione. Secondo la Difesa, nella sentenza impugnata, la Corte di appello ha fatto riferimento ad elementi estranei al capo di imputazione, con conseguente lesione del diritto di difesa. In particolare, la Corte di appello avrebbe fatto riferimento, ai fini dell'affermazione di responsabilita', a condotte della ricorrente antecedenti al marzo 2018, dies a quo della condotta abituale in contestazione. 2.2. Con il terzo motivo, ci si duole dell'eccessiva severita' del trattamento sanzionatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' inammissibile in quanto meramente contestativo proponendo motivi inerenti al fatto e volti in sostanza a una mera prospettazione alternativa di eventi e di valutazioni probatorie gia' oggetto di approfondita argomentazione da parte dei giudici del merito. Questa pretesa e' tanto piu' ingiustificata nel caso in esame in cui si e' di fronte a una situazione di c.d. doppia conformita' di condanna, in cui la struttura razionale della motivazione - facendo proprie le analisi fattuali e le valutazioni logico giuridiche della sentenza di primo grado - ha determinato un organico e inscindibile accertamento giudiziale, avente una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa, che e' saldamente ancorata agli inequivoci risultati dell'istruttoria dibattimentale (Sez. 5 n. 10994 del 12/12/2019 Rv. 278857). Le censure difensive sono portate esclusivamente sulla valutazione del compendio probatorio, non gia' evidenziando effettive illogicita' o contraddittorieta' del discorso giustificativo, ma semplicemente invocandone uno di segno diverso, alla luce della valorizzazione di taluni elementi fattuali e la depressione di significato di altri. Ma il controllo di legittimita' non riguarda ne' la ricostruzione di fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito. 1.1. Il giudice a quo, invece, ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicita' di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilita' di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Sez. 1, n. 624 del 05/05/1967, Maruzzella, Rv. 105775 e, da ultimo, Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Dia, Rv. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimita'. 2. Invero, con riguardo al primo motivo, e' agevole osservare che la Corte di appello ha gia' affrontato i temi proposti con il ricorso per cassazione, ricostruendo la responsabilita' dell'imputata sulla base delle attendibili dichiarazioni della persona offesa, riscontrate dai numerosi messaggi molesti e minacciosi, dalle dichiarazioni testimoniali dei testimoni oculari e dalla certificazione medica a riscontro dell'episodio del 4 giugno 2018. 2.1.Giova ricordare che il delitto previsto dell'articolo 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, e' integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se puo' manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, sicche' cio' che rileva non sono i singoli atti, quanto la loro identificabilita' quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento. In tal senso l'essenza dell'incriminazione di cui si tratta si coglie non gia' nello spettro degli atti considerati tipici (di per se' gia' rilevanti penalmente), bensi' nella loro reiterazione, elemento che li cementa identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo, giacche' alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell'articolo 612 bis (Sez. 5 - n. 7899 del 14/01/2019, Rv. 275381; conf. a Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, Rv. 269081; Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, Rv. 262636). Il reato di stalking rientra, quindi, nella categoria dei reati abituali, per la cui configurabilita' sono sufficienti anche "due sole condotte di minaccia o molestia" come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 45648 del 23/05/2013, Rv. 257287; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010 Rv. 245881). E di certo, puo' considerarsi comportamento idoneo a configurare il delitto di stalking il fare ripetute telefonate alla vittima, da questa ritenute non gradite (Cass. n. 42146/2011). Per quanto concerne l'elemento soggettivo del reato e' sufficiente il dolo generico, consistente nella volonta' di porre in essere le condotte di minaccia e molestia descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneita' a produrre taluno degli eventi parimenti descritti nella stessa (Corte Cost. n. 172/2014; Sez. 5, n. 7544 del 25/10/2012 (dep. 2013) Rv. 255016). Non e' necessaria, dunque, una rappresentazione anticipata del risultato finale, ovvero la coscienza dello scopo che si vuole ottenere, "essendo al contrario sufficiente la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca alla lesione dell'interesse protetto" (Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012 (dep. 2013) Rv. 255436). In ordine alle conseguenze causate alla vittima dalle condotte persecutorie, e' sufficiente il verificarsi di uno dei tre eventi alternativamente declinati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv. 265231), laddove nel caso in scrutinio la Corte di appello ha dato conto del disturbo prodotto dalla condotta della ricorrente al quieto vivere della persona offesa, nella quale aveva ingenerato uno stato d'ansia e di timore oltre a indurlo a modificare le proprie abitudini di vita, finalizzate ad evitare di incontrare l'ex compagna. 2.2.Nessun pregio, infine, e' possibile riconoscere alla deduzione difensiva secondo cui la condotta di stalking risulterebbe in continuita' con le pregresse modalita' relazionali della coppia, sia perche' la persona offesa aveva chiesto ripetutamente la cessazione di tale condotta, sia perche', nella giurisprudenza di legittimita' e' consolidato il principio secondo cui, nel contesto del reato in questione, anche la ripresa dei rapporti non e' indicativa del venir meno delle ragioni di sussistenza del reato (Sez. 5 n. 41040 del 17/6/2014; Rv. 260395; Sez. 5 n. 5313 del 16/09/2014, Rv. 262665). 3.Parimenti infondato il secondo motivo, giacche la Corte di appello ha chiaramente effettuato la c.d. prova di resistenza, affermando, a pg. 9, che la condotta persecutoria emerge anche limitando l'esame ai messaggi inviati dalla ricorrente nel periodo in contestazione e, dunque, senza prendere affatto in considerazione ulteriori episodi estranei alla contestazione, laddove il riferimento ai messaggi del 2017 era strumentale a dimostrare che la persona offesa aveva piu' volte richiesto alla donna di non chiamarlo amore, essendo la loro relazione interrotta da circa un anno. La Corte di appello, d'altro canto, ha valutato che, pur tenendo conto dell'alternanza di messaggi amorosi ad altri pieni di risentimento per essere stata lasciata, il loro tenore, il numero e la cadenza quasi quotidiana a qualsiasi ora del giorno, fino a tarda notte, rivelassero una condotta pressante, insistente, fastidiosa e invasiva, altresi' stigmatizzando due messaggi dal tenore anche minaccioso. 4. Il terzo motivo attinge del tutto genericamente il trattamento sanzionatorio, che i Giudici di merito hanno individuato in misura del tutto congrua, considerando quale pena base il minimo edittale del tempo (sei mesi di reclusione), e operando contenuti aumenti per le aggravanti ravvisate. Senza dire che la doglianza risulta preclusa dinanzi al Giudice di legittimita', ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., u.c. non essendovi corrispondente doglianza nell'atto di appello, che aveva agganciato la richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio alla riqualificazione del fatto (cfr. pg. 15 della sentenza impugnata). 5.Alla declaratoria di inammissibilita' segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al promossa da: (...) - SOCIETÀ (...) S.r.l. (C.F. (omissis)), con il patrocinio dell'avv. AS.AN., elettivamente domiciliata in CORSO (...) 47121 FO. presso il difensore avv. ASSOGNA ANDREA ATTRICE contro (...) SPA - (...) (C.F. (omissis)), con il patrocinio dell'avv. GH.LU., elettivamente domiciliata in VIA (...) RAVENNA (Studio avv. CO.VI.) presso il difensore avv. GH.LU. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...) - Società (...) s.r.l., nella sua qualità di intestataria del conto corrente bancario n. 426 presso l'agenzia di Ce. di (...) S.p.A. ha promosso il presente giudizio nei confronti di quest'ultima per sentirla condannare al pagamento in proprio favore della somma di Euro 37.680,07, oltre a interessi, asseritamente dovuta all'attrice a titolo di restituzione dell'importo complessivo di due bonifici abusivamente ordinati da ignoti su detto conto corrente, attraverso il servizio di home banking, a favore di persone sconosciute a (...), importo pagato dalla predetta filiale per carenza dei sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti depositanti. (...) S.p.A. si è costituita in giudizio, sostenendo di avere predisposto tutte le misure di sicurezza idonee ad evitare rischi per il correntista connessi alla possibilità di utilizzare il servizio di home banking, e di avere inoltre comunicato al cliente, attraverso il documento denominato "Istruzioni (...)", tutte le precauzioni da adottare per evitare di essere vittima di frodi, truffe e phishing; ha pertanto concluso chiedendo l'integrale rigetto della domanda attorea. Esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. La società (...) ha stipulato con (...) S.p.A. un contratto avente ad oggetto l'utilizzo del prodotto denominato "(...) - Aziende", che consente all'odierna attrice di effettuare operazioni attraverso il servizio di home banking, senza doversi recare in filiale. In data 06/08/2018 sono state effettuate due operazioni a debito sul predetto conto corrente tramite il servizio di home banking, e precisamente un bonifico di Euro 29.700,04 a favore di (...) (IB. (...)), e un bonifico di Euro 7.980,03 a favore di (...) (IB. (...)), operazioni che la società correntista ha prontamente denunciato alla banca, negando di avere autorizzato i due pagamenti elettronici. Non risulta allo stato chi abbia effettuato le due disposizioni di bonifico, né se tali disposizioni siano in qualche modo riconducibili alla volontà della correntista o a condotte colpose della stessa. Nel corso del presente giudizio è stata disposta ed espletata C.T.U. volta a verificare che le lamentate operazioni abusive di home banking non siano riconducibili alla società attrice o a soggetti da lei autorizzati, e ad accertare l'asserita carenza di sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti della banca, nonché a verificare se le misure adottate dalla (...) siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente, e se tutto quanto predisposto dalla Banca risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia. Il nominato C.T.U. ing. St. Ma. ha fornito le seguenti risposte ai quesiti sottopostigli. "Lo scrivente per rispondere in modo completo ed esaustivo al quesito posto, ha ripercorso, attraverso la documentazione agli atti e anche assieme ai CTP, gli eventi del sinistro oggetto di causa avvenuto nella giornata del 06/08/2018, sia per quanto concerne le prime fasi di impossibilità di accesso al proprio home banking da parte della risorsa aziendale Sig.ra Fa., sia le successive fasi avvenute presso la filiale bancaria in Ce., con il completo disservizio degli elaboratori degli operatori di cassa impossibilitati ad operare sul conto corrente di parte attrice. Non è possibile dalla documentazione agli atti e da quanto acquisito da parte del CTU identificare ulteriori informazioni sullo stato di fatto dei dispositivi nelle disponibilità della parte attrice atte a supportare le risorse aziendali nell'uso dell'home banking, in quanto non fu fatta su di essi un'analisi informatica forense nell'immediatezza degli eventi occorsi. Il CTU evidenzia come le procedure informatiche operanti all'interno degli Istituti Bancari devono essere conformi alla normativa UE 2015/2366 (comunemente nota come PSD2) e che siano operative attività di vigilanza da parte della Banca d'Italia e/o della BCE in merito all'applicazione corretta delle norme e durante le operazioni peritali. Per quanto menzionato il CTU chiedeva al CTP per (...) di produrre copia degli audit di verifica di conformità alla UE 2015/2366 dell'ente incaricato, almeno per quanto riguardasse quello più adiacente alla data del sinistro identificata nel 06/08/2018. Inoltre il CTU richiedeva di produrre estratto delle transazioni e disposizioni dal 01/08/2018 al 06/08/2018 dal c/c (omissis) della Fi. di Ce. della (...). La società attrice aveva sottoscritto con la ricorrente un contratto denominato (...) (scheda servizio adesione del 15/12/2010). Tale servizio è costituito secondo le più recenti disposizioni da due livelli di sicurezza mediante una password denominata "statica" ed una password "dinamica" mediante token OTP. Le autorizzazioni a due fattori sono volte a garantire un più elevato grado di sicurezza delle transazioni operate mediante sistemi di home banking, in quanto le tecniche di attacco fraudolento alle credenziali di accesso risultavano già nel precedente decennio in fase di espansione esponenziale. La Direttiva PSD2 - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 gennaio 2018 - già summenzionata e poi recepita con D.L. 15/12/2017, n. 218 tra le tante indicazioni in termini di sicurezza e affidabilità delle transazioni informatiche, pone particolare attenzione alla SC. St. Customer Authentication e che prevede, come standard come metodo di autenticazione per transazioni bancarie, la presenza di almeno due delle seguenti modalità: password o pin a disposizione/configurato dell'utente, token temporaneo mediante dispositivo elettronico nelle disponibilità dell'utente e/o riconoscimento biometrico dell'utente (impronta digitale, riconoscimento facciale, L. 337/59 del 23/12/2015, G.U.U.E). Il CTU chiedeva al CTP della ricorrente di produrre copia degli audit di verifica di conformità alla UE 2015/2366 della Banca d'Italia e/o BCE e/o altro ente incaricato al controllo nelle fase adiacenti alla data del 06/08/2018. Il CTU chiedeva inoltre di produrre estratto delle transazioni e disposizioni dal 01/08/2018 al 06/08/2018 dal c/c (omissis) della Fi. di Ce.. Il CTU e la controparte ricevevano dal CTP per la ricorrente i tracciati delle disposizioni della filiale, ma quasi nulla in merito agli audit e alle informazioni sulla infrastruttura informatica dell'Istituto bancario, con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia. Il CTP precisava come "la Banca ci informa del fatto che tale documento va ritenuto riservato e confidenziale, in quanto rientrante nell'ambito dei rapporti tra la Banca e l'Autorità di Controllo (Banca d'Italia); in quanto tale, lo stesso è comunicabile al CTU nei soli estremi, senza possibilità di produzione attuale diretta, che potrà avvenire - ad avviso della difesa della Banca - solo sulla base di un provvedimento di esibizione da parte del Giudice ex art. 210 c.p.c., con previsione di secretazione dello stesso...". A seguito del sollecito nella produzione da parte del CTU, il CTP dichiarava che "relativamente a tale richiesta, (...) precisa di non disporre di un report di audit di conformità in quanto non è mai stata oggetto di audit o ispezione di tale genere (non essendosi mai verificati episodi che ne abbiano comportato la necessità.)" e il CTP produceva solamente un questionario completamente offuscato "relativo alla Compliance della Banca e consistente in una comunicazione inviata da (...) a Banca d'Italia sul rispetto degli obblighi di cui al REGOLAMENTO DELEGATO (UE) 2018/389 DELLA COMMISSIONE del 27 novembre 2017, che integra la Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio (PSD2) per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri" (file in allegato "QUESTIONARIO - ALLEGATO (...)"). Nelle presenti premesse il CTU, a supporto della seguente risposta ai quesiti, desidera esporre e richiamare in modo sintetico lo "stato dell'arte" delle attuali strategie e tecniche con le quali soggetti malintenzionati possano tentare accessi fraudolenti a server esposti al We., quali ad esempio account di home banking. Le normative precedentemente menzionate sono rivolte infatti a rafforzare la sicurezza complessiva dei servizi digitali, anche ad utenti con conoscenze informatiche limitate; tuttavia gli utenti web possono sempre intervenire in autonomia sui criteri di protezione dei propri dispositivi. Questa libertà è un punto fondamentale su cui si poggiano le innumerevoli azioni fraudolente da parte di malintenzionati per indurre utenti privati ed aziendali a fornire, anche inconsapevolmente, informazioni utili per comprendere le credenziali di accesso a servizi informatici, quali ad esempio i servizi di home banking come quello oggetto di causa. Sul fronte della sicurezza informatica è in atto una vera e propria guerra, in tale guerra i fronti di battaglia sono innumerevoli e possiamo suddividere nel 2021 le principali tecniche di attacco in alcune macrofamiglie: attacchi Phishing, attacchi Spoofing, attacchi Tr. e attacchi Ma. in the middle. Il CTU ritiene utile e doveroso tra le premesse illustrare, almeno in termini generali le azioni fraudolente possibili, rimanendo a disposizione per fornire ogni ulteriore dettaglio qualora si ritenesse non sufficiente esauriente. Per quanto concerne il phishing, onomatopeicamente legato al termine inglese fishing (pescare), si indicano le frodi basate su una vera e propria "pesca digitale", nella quale si diffondono messaggi digitali (tipicamente email) con template e formattazioni tipiche dell'Istituto Bancario o Ente del quale si ambisce conoscere le credenziali di accesso. Come accade nella pesca, a seguito del pasturare, statisticamente alcuni pesci sono attratti dal cibo diffuso, le email, ove il destinatario della comunicazione pensando sia una comunicazione del proprio Istituto replica alla richiesta di informazioni. Tali azioni possono coinvolgere pochi utenti con invio di email ad-hoc sempre più di dettaglio o coinvolgere migliaia di contatti email in mailing list nelle disponibilità dell'attaccante. Se l'utente è una risorsa aziendale del dipartimento contabile-amministrativo che per proprio ruolo aziendale riceve costantemente comunicazioni dagli Istituti bancari dell'azienda nella quale opera, è frequente che possa allentare la propria attenzione e cadere nella trappola di replicare alle medesime email con dati sensibili e che in seguito compongono per il criminale il puzzle delle credenziali di accesso necessario per l'azione fraudolenta. Ad integrazione di quanto fin qui descritto, tali messaggi digitali sono dotati il più possibile della veste grafica dell'Istituto bancario e con tono colloquiale aderente a quelli normalmente ricevuti e l'esperto della contraffazione sovente inserisce link (collegamenti digitali a server esterni) che apparentemente consentono di accedere al sito We. autentico dell'Istituto bancario, ma che di fatto conducono a siti web contraffatti (identici a quelli oggetto di mira fraudolenta) o persino a finestre a comparsa (pop-up) dall'aspetto identico alla rispettiva ufficiale: tali siti web e link web contraffatti sono definiti "spoofed" (falsificati), da cui il termine attacchi spoofing. Quando le autorità e gli esperti di sicurezza informatica hanno iniziato a contrastare le menzionate tecniche e altre similari con l'introduzione delle norme SC. St. Customer Authentication, i malintenzionati informatici (pirati informatici nel lessico comune) hanno affinato tecniche fraudolente quali gli attacchi MITM (Ma. in the middle), con cui i malintenzionati riescono ad intercettare ed entrare nella connessione tra l'utente e il server del servizio, ad esempio dell'home banking; pertanto ogni comunicazione che l'utente invia all'Istituto e viceversa viene prima acquisito dal servizio informatico che si è frapposto e poi per non destare sospetti rinviato al destinatario originale. La diffusione nell'ultimo lustro della SC. ha reso i pirati ancor più attenti ad affiancare alle tecniche MITM altre azioni fraudolente necessarie per ottenere contemporaneo accesso al dispositivo che riceve/gestisce i token di accesso/autorizzativi. Un esempio tipico è che l'utente preso di mira abbia nelle proprie email il numero di cellulare del dispositivo che è stato indicato per ricevere gli SMS/Token necessari per autorizzare le transazioni bancarie, in tal momento i "pirati" volgono l'attenzione per riuscire a prendere possesso remoto del dispositivo elettronico (tipicamente dell'intero smartphone dell'utente o anche della sola APP di gestione dei token alternativi agli SMS); pertanto per attuare quanto menzionato, oltre a tecniche MITM, è possibile utilizzare attacchi Tr., versione moderna del leggendario cavallo di Tr. raccontato nell'En. di Vi.. Gli attacchi trojan nient'altro sono che tecniche per indurre gli utenti ad accettare da sconosciuti "caramelle digitali" e scartarle a discapito di tutte le raccomandazioni dell'IT Manager aziendale o del buon senso di ognuno, perche é nella email si contemplano contenuti "attraenti" per l'utente finale per far si che egli apra ad esempio un file allegato all'email in grado di eseguire sul dispositivo codice malevolo (malware) anche magari forzando e ignorando gli avvertimenti del sistema operativo dispositivo che informa del pericolo dell'esecuzione di tale file. Tale file ad esempio può installare in modalità hidden (nascosta) una procedura informatica (keylogger) in grado di intercettare gli SMS offuscandoli al titolare del dispositivo o inviandone altri al posto dell'utente stesso, altresì tali malware possono tipicamente prendere possesso di altre funzionalità come l'uso dello schermo quando magari l'utente è addormentato o il dispositivo in carica o registrare ogni passaggio che l'utente digita a schermo. Si ricorda come tale tecniche sono fluide e quotidianamente affinate. Il CTU prendendo atto di tutta la documentazione agli atti e della documentazione tecnica acquisita con l'accordo delle parti, ha proceduto alla composizione della risposta al quesito, attraverso i soli elementi oggettivi tecnici riscontrabili. RISPOSTA AI QUESITI (...) AL C.T.U. "Verificare che le lamentate operazioni abusive di home banking non siano riconducibili alla società attrice o a soggetti da lei autorizzati, e ad accertare l'asserita carenza di sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti della banca" Dai flussi digitali acquisiti dal CTU e trasmessi da parte del CTP per (...), è possibile identificare come tra l'attore e l'istituto bancario vi fosse in atto un sistema di home banking con autenticazione SC. a due fattori. E da tali tracciati è possibile desumere che nella giornata del 06/08/2018 dall'ID Utente 166107, assegnato alla persona di Ma. Gu. con c.f. (omissis) e con abilitata l'autenticazione di PI. e OTP, dal c/c (...) sono stati disposti due bonifici: ore 8.56 a (...) sul c/c (...) di Euro 29.700,04 ore 9.00 a (...) sul c/c (...) - Euro 7.980,03 Si precisa che dai flussi bancari prodotti al CTU, le distinte risultano firmate digitalmente con certificato associato al cliente, in accordo con il contratto attivato tra le Parti con un sistema di autenticazione forte mediante l'utilizzo di un token OTP fisico (come indicato anche nel file (omissis).cer), già adottato all'epoca dei fatti oggetto di causa. Le firme su file p7m sono state verificate con metodo basato su CRL Certificate Revocation Li., firme rilasciate dal (...) S.p.A. Per quanto indicato già in premessa, il CTU non può esprimersi in merito alla possibilità di escludere che siano intercorse azioni fraudolente con attacchi, quali ad esempio di Phishing e/o Spoofing e/o Man in the middle e/o Tr., che hanno interessato i dispositivi e i link di accesso bancari delle risorse aziendali della parte attrice nelle giornate e negli attimi antecedenti alle disposizioni digitali indicate. "Verifichi il CTU se le misure adottate dalla (...) siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente e se, tutto quanto predisposto dalla Banca, risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia" Il CTU con riferimento alla documentazione agli atti non è stato in grado di verificare se le misure adottate dalla (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee nel ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti. Inoltre alla richiesta di produzione di ulteriore documentazione tecnica la parte ricorrente informava il CTU che tale documentazione è "riservata e confidenziale in quanto rientrante nell'ambito dei rapporti tra la Banca e l'Autorità di Controllo (Banca d'Italia); in quanto tale, lo stesso è comunicabile al CTU nei soli estremi, senza possibilità di produzione attuale diretta, che potrà avvenire - ad avviso della difesa della Banca - solo sulla base di un provvedimento di esibizione da parte del Giudice ex art. 210 c.p.c., con previsione di secretazione dello stesso...". A seguito di ulteriore sollecito del CTU la ricorrente trasmetteva un solo documento completamente offuscato di nessun rilievo utile e di supporto alla risposta del quesito. CHIARIMENTI ALLE OSSERVAZIONI DEI CTP CTP Za. Il consulente si limita a confermare le tesi esposte in una nota deduttiva del Legale della sua assistita, precisando che è in essere un procedimento pendente in Portogallo connessa all'attacco fraudolento oggetto di causa, oltre a deduzioni in merito un'eventuale estensione della CTU da parte dell'Ill.mo Giudice. Nulla è osservato in merito alla attività peritale dello scrivente espressa nella bozza trasmessa e pertanto si ritiene di non aver nulla ulteriormente da chiarire. CTP Ta. Il consulente condivide quanto lo scrivente espone in merito all'adozione da parte dell'Istituto bancario di un sistema SC. di autenticazione forte con token OTP fisico nelle due operazioni bancarie oggetto di causa, altresì invita il CTU a meglio chiarire per quale ragione, nonostante aver appurato quanto menzionato, egli indichi che "non è stato in grado di verificare se le misure adottate dalla (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee nel ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti", adducendo che la verifica di appena due transazioni siano sufficienti a definire la bontà dell'intera infrastruttura informatica dell'Istituto bancario e che il "... CTU ha potuto riscontrare come la Banca avesse ridotto al minimo il rischio di transazioni fraudolente avendo predisposto, a tutela delle disposizioni di pagamento, le misure di sicurezza previste dalla Normativa vigente e dagli orientamenti di settore al primo quesito in merito ...". Lo scrivente conferma quanto già espresso nella risposta ai quesiti, in quanto non si è potuto acquisire la documentazione richiesta per una prima disamina di congruità più ampia, generale e propedeutica per poi attivare tutte le azioni necessarie per un'approfondita analisi tecnica dell'infrastruttura server, degli stress test operati negli anni su di essa e di ogni ulteriore attività tecnica peritale che la disamina avrebbe necessitato per poter comprendere "... se, tutto quanto predisposto dalla Banca, risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia.", attività di certo appena "scalfita" dall'analisi di appena due transazioni bancarie di una singola filiale" (pagg. 3-12 della relazione peritale depositata in data 19/07/2021). Alla luce delle risultanze peritali sopra riportate - che il Tribunale ritiene di dover condividere e fare proprie, in quanto sorrette da congrua ed esauriente motivazione, immune da vizi logici e giuridici - deve senz'altro affermarsi la responsabilità della banca convenuta in ordine al danno lamentato dalla società attrice, conformemente al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di operazioni bancarie effettuate a mezzo di strumenti elettronici, la non corretta operatività del servizio bancario mediante collegamento telematico, ivi compresa la possibilità di una abusiva utilizzazione delle credenziali di accesso da parte di terzi, rientra nel rischio d'impresa della banca intermediaria, sulla quale grava pertanto una responsabilità di tipo oggettivo, dalla quale la banca va esente solo provando che le operazioni contestate dal cliente sono attribuibili a dolo o colpa grave di quest'ultimo. Si è infatti affermato che "in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Ne consegue che, anche prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente" (Cass. 03/02/2017 n. 2950; Cass. 12/04/2018 n. 9158); in precedenza si era affermato che "in tema di ripartizione dell'onere della prova, al correntista abilitato a svolgere operazioni "on line" che, alla stregua degli artt. 15 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e 2050 c.c., agisca per l'abusiva utilizzazione (nella specie, mediante illegittime disposizioni di bonifico) delle sue credenziali informatiche, spetta soltanto la prova del danno siccome riferibile al trattamento del suo dato personale, mentre l'istituto creditizio risponde, quale titolare del trattamento di dato, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico mediante la captazione dei codici d'accesso del correntista, ove non dimostri che l'evento dannoso non gli sia imputabile perché discendente da trascuratezza, errore o frode del correntista o da forza maggiore" (Cass. 23/05/2016 n. 10638). Nel caso in esame la banca non ha fornito la prova di alcuna specifica condotta dolosa o colposa del cliente alla quale possano ricondursi le operazioni disconosciute dal medesimo, né può affermarsi che le misure tecnologiche di sicurezza adottate dalla convenuta (e in particolare il sistema di autenticazione forte mediante l'utilizzo di un token OTP fisico) siano tali da escludere la possibilità di abusiva utilizzazione delle credenziali di accesso da parte di terzi, essendo comunque possibile, come evidenziato dal C.T.U., che le operazioni in questione siano riconducibili ad azioni fraudolente di terzi (poste in essere, ad esempio, mediante attacchi di phishing e/o spoofing e/o man in the middle e/o trojan) che hanno interessato i dispositivi e i link di accesso bancari delle risorse aziendali dell'attrice nelle giornate e negli attimi antecedenti alle disposizioni digitali oggetto di contestazione; il CTU, peraltro, non è stato in grado di verificare se le misure adottate da (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti. La domanda attorea merita pertanto accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza. Si impone inoltre, in forza dell'art. 8, comma 4-bis, del D. Lgs. n. 28/2010, la condanna di (...) S.p.A. al pagamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio ( Euro 518,00), atteso che la convenuta ha omesso senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...) Società (...) s.r.l. della somma di Euro 37.680,07, oltre agli interessi legali dal 06/08/2018 al saldo; 2) condanna (...) S.p.A. a rifondere a (...) - Società (...) s.r.l. le spese del procedimento di mediazione e quelle del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 593,80 per anticipazioni ed Euro 7.754,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forf. spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., ponendo in via definitiva a carico della convenuta l'intero compenso dovuto al C.T.U., già liquidato con apposito decreto; 3) condanna (...) S.p.A. al versamento della somma di Euro 518,00 all'entrata del bilancio dello Stato. Così deciso in Ravenna il 17 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. MESSINI D. A. Piero - Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. SGADARI Giusep - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massim - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO E da: 1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 4) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 5) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8) (OMISSIS), nata in (OMISSIS); 9) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13) (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi e di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/11/2020 della Corte di assise di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione della causa svolta dai consiglieri Giuseppe Sgadari e Massimo Perrotti; sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, che ha chiesto, quanto al ricorso del Procuratore Generale, l'annullamento con rinvio quanto ai capi F ed L ed il rigetto nel resto; il rigetto dei ricorsi degli imputati; sentito il difensore delle parti civili, avv. (OMISSIS), per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno e Ministero della Difesa, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso del Procuratore generale ed il rigetto degli altri ricorsi, depositando comparsa conclusionale e nota spese; sentiti i difensori degli imputati: avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) Danilo e (OMISSIS) (resistenti) che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' o comunque il rigetto del ricorso del Procuratore Generale; avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Elisa, (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' o comunque il rigetto del ricorso del Procuratore generale e l'accoglimento dei ricorsi degli imputati. RITENUTO IN FATTO 1. Il processo ha ad oggetto alcuni episodi delittuosi attribuiti alla operativita' della (OMISSIS) ((OMISSIS)) che, secondo le sentenze di merito, aveva costituito, al suo interno, a decorrere dal 2003, una struttura organizzata riconducibile ai parametri di cui all'articolo 270-bis c.p., reato contestato al capo A, per il quale sono stati condannati, in entrambi i gradi di giudizio, i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), condannati in primo grado, sono stati assolti in grado di appello. (OMISSIS) e' stato, altresi', ritenuto responsabile di specifici reati-fine, come distintamente contestati e qualificati e, in particolare: per il confezionamento e trasporto di un ordigno esplosivo collocato il (OMISSIS) all'interno del (OMISSIS), vicino alla caserma del RIS (capo C). Per questo stesso episodio il ricorrente e' stato assolto dal reato connesso di cui al capo B, perche' il fatto non costituisce reato; per il confezionamento e la successiva spedizione, il 2 novembre del 2005, all'allora sindaco di Bologna (OMISSIS), di un plico contenente materiale esplosivo (capi D ed E); per la predisposizione e la collocazione, in concorso con (OMISSIS), di due ordigni esplosivi nei pressi della Scuola Allievi Carabinieri di (OMISSIS), fatto avvenuto il (OMISSIS) (capi F e G); per la predisposizione e la spedizione, in concorso con (OMISSIS), di tre plichi contenenti materiale esplosivo all'allora sindaco di Torino, (OMISSIS), al direttore di un giornale torinese e ad una azienda privata, fatti avvenuti il 4 luglio del 2006 (capi H ed I); per la predisposizione e la collocazione, in concorso con (OMISSIS), di tre ordigni esplosivi nell'area pedonale del quartiere (OMISSIS), fatti avvenuti il (OMISSIS) (capi L ed M). Da analoghi episodi, contestati ai capi N ed O, sia il (OMISSIS) che la (OMISSIS) sono stati assolti. La Corte di assise di appello, inoltre, ribaltando la sentenza assolutoria di primo grado, ha ritenuto tutti i ricorrenti (ma non tutti gli originari imputati) responsabili dei reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato, ex articolo 414 c.p., come contestati, partitamente, ai capi P, Q, R ed S, ritenendo che costoro avessero commesso tali condotte illecite collaborando attivamente a riviste e siti internet di matrice anarchica. Gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati assolti, nei due gradi di merito, dai reati di predisposizione e collocazione di un ordigno presso il Tribunale di Civitavecchia di cui ai capi T ed U, fatto avvenuto il 12 gennaio del 2016. L'impianto accusatorio che ha portato alla condanna degli imputati si e' basato su prove documentali, prove scientifiche, testimonianze, consulenze, perizie ed intercettazioni. 2. Ricorrono per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino e gli imputati indicati in epigrafe. 3. Ricorso del Procuratore generale. 3.1. Vizio della motivazione in ordine alla assoluzione di (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 280-bis c.p. (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) contestato al capo B ed avente ad oggetto la collocazione di un ordigno esplosivo nel (OMISSIS), vicino alla caserma del RIS, il (OMISSIS). L'imputato e' stato assolto nei due gradi di merito, perche' il fatto non costituisce reato. Il ricorrente rileva diversi punti di contraddittorieta' della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l'ordigno esplosivo effettivamente collocato all'interno del (OMISSIS), vicino alla caserma sede del RIS, non fosse esploso, non per un mero errore nella sua predisposizione (l'interruttore era rimasto posizionato in oft), bensi' perche' non poteva escludersi che si trattasse di un gesto meramente dimostrativo, proprio in forza della posizione dell'interruttore. La Corte non avrebbe valutato, nella loro valenza complessiva, tutti gli elementi segnalati dal Pubblico ministero nell'atto di appello avverso la sentenza di primo grado. In particolare, doveva far propendere per la tesi sostenuta dalla pubblica accusa: lo stesso posizionamento di un notevole quantitativo di esplosivo (600 gr. di dinamite) collegato ad un meccanismo sicuramente idoneo a farlo esplodere; la circostanza che gli attentatori, sicuramente in stato di agitazione nel momento dell'azione, non avrebbero corso un rischio cosi' elevato nel posizionamento dell'ordigno per soli fini dimostrativi, peraltro mai evidenziatisi nelle loro rivendicazioni; la circostanza che il fine dimostrativo sarebbe stato illogico rispetto al contesto ambientale e storico, posto che l'attentato veniva ad inserirsi, come affermato dalla stessa Corte, in una campagna intrapresa dalla sigla (OMISSIS) caratterizzata da predisposizione di ordigni effettivamente deflagrati; la circostanza che se si fosse trattato di un ordigno posizionato per fini solo dimostrativi, non avrebbe avuto senso attendere 72 ore per rivendicarne la paternita' e dare le indicazioni per il ritrovamento, lasso temporale invece giustificabile per il fatto che il tempo di durata della batteria del congegno - e quindi la possibilita' che esplodesse anche in ritardo - era proprio di 72 ore; la circostanza che nel documento "Quattro anni", con riferimento a tale vicenda, si fosse affermato che si era trattato di "sfiga" ed una delle partecipanti ("(OMISSIS)") si era rammaricata per la mancata esplosione; la circostanza che le lettere al sindaco di Bologna (OMISSIS), contenenti sostanze esplodenti ed inviate dai medesimi soggetti di riferimento cui apparteneva l'imputato ((OMISSIS) occasionalmente spettacolare aderente al cartello (OMISSIS)) erano efficaci (capo D) e che i due attentati al quartiere (OMISSIS) ed a (OMISSIS), ricondotti a comune matrice, si erano verificati, avevano la stessa capacita' distruttiva ed erano stati attribuiti all'imputato (capi F ed L), peraltro rimarcando, la stessa Corte, contraddittoriamente, che in quei casi non si era verificato lo stesso "errore" di (OMISSIS). 3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla interpretazione dell'articolo 285 c.p., per avere la Corte escluso - con riferimento ai capi F ed L relativi, rispettivamente, ai due ordigni esplosivi collocati vicino alla Scuola degli Allievi Carabinieri di (OMISSIS) il (OMISSIS) ed ai tre ordigni collocati all'interno di cassonetti della spazzatura in una area pedonale del quartiere (OMISSIS) il (OMISSIS) - il fine di attentare alla sicurezza dello Stato, qualificando i fatti, attribuiti ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 422 c.p. (quanto al capo F) ed ai sensi dell'articolo 280, comma 1, seconda ipotesi, c.p. (quanto al capo L). I) In ordine al capo F, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che i citati ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero commesso il reato di strage "comune" (articolo 422 c.p.) e non di strage "politica" (articolo 285 c.p.). La statuizione sarebbe in contrasto con la norma incriminatrice di cui all'articolo 285 c.p., posto che la stessa Corte aveva condiviso le considerazioni del Pubblico ministero in ordine al movente politico ed eversivo dell'attentato, mentre il delitto ex articolo 422 c.p. riguarda i soli casi in cui l'agente abbia avuto di mira solo di uccidere privati cittadini. La Corte non avrebbe tenuto conto che l'attacco stragista di (OMISSIS) era stato effettuato "direttamente alla scuola allievi carabinieri ove venivano formati gli appartenenti ad uno dei tre principali corpi di polizia, destinatari tra l'altro dello specifico compito di garantire la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni nel loro complesso" (fg. 10 del ricorso). Tanto sarebbe stato indice della volonta' di attaccare la sicurezza dello Stato, diversa dalla volonta', del pari stragista, indirizzata al conseguimento di fini privati 116 e ad uccidere privati. Il ricorrente, a sostegno delle sue ragioni, richiama alcune pronunce di legittimita'. La motivazione sarebbe viziata per non avere ritenuto che la condotta dei ricorrenti fosse diretta "a ripercuotersi sull'intera compagine statale come lesione alla personalita' dello Stato" (fg. 11 del ricorso), secondo quanto chiaramente evidenziato anche in occasione della rivendicazione dell'attentato, il cui contenuto, trasfuso in ricorso, la sentenza non avrebbe valorizzato adeguatamente pur ricavando da esso il fine di aggressione alla sicurezza dello Stato manifestato dai suoi autori, individuato in quello di abolizione dei Centri di Permanenza Temporanea degli stranieri. La sentenza sarebbe incorsa in violazione di legge per non avere applicato, alla fattispecie meno grave ritenuta in sentenza (articolo 422 c.p.), la circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 625 del 1979, articolo 1 convertito nella L. n. 15 del 1980 (oggi articolo 270-bis.l. comma 1, c.p.), relativa alle finalita' di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, contraddittoriamente ritenute sussistenti in relazione al reato di cui al differente capo L. La questione sarebbe stata devoluta alla Corte anche se non specificamente dedotta nell'appello del Pubblico ministero, dal momento che tale impugnazione era volta a contestare nella sua interezza la qualificazione giuridica del fatto ex articolo 422 c.p., gia' attribuita dal primo giudice, invece che ex articolo 285 c.p., norma che quella finalita' di terrorismo ed eversione contempla come elemento costitutivo. II) Quanto al capo L, il ricorrente si duole della qualificazione giuridica del fatto (contestato ex articolo 285 c.p. e qualificato in primo grado ex articolo 422 c.p.) ritenuto dalla Corte come rientrante nella norma di cui all'articolo 280, comma 1, seconda ipotesi, c.p. (attentato alla incolumita' di una persona per finalita' terroristiche e di eversione dell'ordine democratico). Il Procuratore generale contesta il fatto che la Corte, nel caso dell'attentato al quartiere (OMISSIS) (capo L) e diversamente dall'attentato di (OMISSIS) sub capo F, abbia ritenuto assente il dolo omicida intenzionale, nonostante l'analogia tra i due attentati sotto ogni profilo, primo fra tutti l'idoneita' ad uccidere degli ordigni in entrambe le vicende. Cosicche', la condotta di cui al capo L avrebbe dovuto subire identico approccio rispetto a quella di cui al capo F e qualificata ex articolo 285 c.p. o, quanto meno, ex articolo 422 c.p., cosi' come aveva statuito la Corte di assise di primo grado. Inoltre, il carattere micidiale di due dei tre ordigni esplosi a Torino non avrebbe dovuto consentire di ritenere che non si fosse attentato alla vita degli agenti intervenuti, ma solo alla loro incolumita'. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in violazione di legge per aver qualificato come intenzionale e non come specifico il dolo del reato di cui all'articolo 422 C.P., cosi' pervenendo alla sua esclusione in quanto incompatibile con la ipotesi del dolo eventuale (nel caso in esame, costituito dall'aver accettato il rischio che qualcuno morisse a causa dell'attentato), incompatibilita' che, invece, non poteva escludersi se si fosse qualificato il dolo come specifico. 3.3. Vizio della motivazione in ordine alla esclusione della responsabilita' dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) quanto all'invio di plichi esplosivi al Presidente del Centro di Permanenza Temporanea di (OMISSIS), al Questore pro-tempore di Lecce ed al Comando di Polizia Municipale di (OMISSIS) (capi N ed O), nonche' quanto alla esclusione di responsabilita' dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla collocazione di un ordigno inesploso presso il Tribunale di Civitavecchia (capi T ed U). In ordine ai primi due reati (capi N ed O), la matrice degli attentati, siccome riconducibile alla sigla (OMISSIS), doveva portare la Corte a riconoscere la responsabilita' dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), cui la stessa Corte ha attribuito il ruolo di autori delle condotte aggressive recanti quella firma, come desumibile da tutto il contesto di riferimento, dai collegamenti con la (OMISSIS)/RAT e dalla analogia dei messaggi intimidatori anche sotto il profilo grafologico (consonanti R e B) con quelli per i quali i ricorrenti sono stati condannati. Del pari, visto il ruolo assunto nella (OMISSIS)/(OMISSIS) dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), i loro rapporti con (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il possesso della rivendicazione in documento autentico, la Corte non avrebbe potuto assolverli dall'atto di terrorismo al Tribunale di Civitavecchia di cui al capo T (articolo 280-bis c.p.) con il connesso reato di cui al capo U (cfr. fg. 20 del ricorso). 3.4. Violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla esclusione della responsabilita' concorsuale nel reato di istigazione e apologia di reato di cui al capo Q degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorrente si duole del fatto che tali imputati non siano stati ritenuti responsabili, in concorso con gli altri prevenuti per i quali e' stata affermata la responsabilita', in relazione alla pubblicazione di documenti diffusi tramite la rivista denominata (OMISSIS) (numeri 0,1,2,3) e le sezioni "azioni dirette", "scritti" e "comunicati" del sito internet (OMISSIS). In particolare, il concorso sarebbe stato negato: quanto a (OMISSIS), nonostante il fatto che questi avesse partecipato ad incontri preparatori e di presentazione relativi alla rivista e manifestato il suo impegno economico per la medesima; quanto a (OMISSIS) e (OMISSIS), nonostante le loro collaborazioni come traduttori alle attivita' di redazione della rivista; - quanto a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonostante il fatto che costoro avessero partecipato ad incontri preparatori e di presentazione relativi alla rivista ed effettuato, la (OMISSIS), traduzioni di articoli, mentre gli altri due erano stati trovati in possesso di copie della rivista; - quanto a (OMISSIS), nonostante il fatto di essere stato presente nel negozio ove con (OMISSIS) e gli altri si discuteva della preparazione del secondo numero della rivista ed in altre occasioni. Il ricorrente sottolinea come l'accoglimento del motivo di ricorso inerente al giudizio di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo A (di cui appresso), relativamente agli imputati prima indicati (tranne (OMISSIS)) ed a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), comporterebbe l'applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 2 c.p., quanto ai reati di cui ai capi Q ed R, quest'ultimo contestato al solo (OMISSIS). 3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni inerenti al reato associativo di cui al capo A, come di seguito indicate. I) Il ricorrente si duole della non corretta applicazione dell'articolo 649 c.p.p., che ha portato la Corte ad una sentenza di non doversi procedere per ostacolo di precedente giudicato con riguardo a determinati segmenti temporali del reato di cui al capo A. La censura attiene agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); lo stesso ricorrente, nella nota a fg. 25 del ricorso, specifica di non aver interesse a sollevare la questione nei confronti dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Il riferimento e' al valore di precedente giudicato attribuito dalla Corte alle statuizioni definitive inerenti a tre giudizi penali celebrati a Perugia, Bologna e Roma. Secondo il ricorrente, i precedenti processi non avrebbero avuto ad oggetto la (OMISSIS) nel suo complesso. Nel processo celebrato a Roma (denominato "Cervantes") infatti, come si desume dal capo di imputazione trasfuso ai fgg. 25 e 27 del ricorso, sarebbe stata tratta a giudizio una singola organizzazione anarchica, non altrimenti specificata, accomunata alla (OMISSIS), ma non coincidente con essa. Peraltro, in quel processo non erano imputati (OMISSIS) Danilo e (OMISSIS), per i quali procedeva l'autorita' giudiziaria di Bologna a documentare l'esistenza, altrimenti incomprensibile, di differenti organizzazioni criminose. Di contro, nel processo celebratosi a Bologna erano stati giudicati soltanto i componenti della (OMISSIS) (occasionalmente spettacolare), sigla nata nel 2001 e che solo nel 2003 si era federata nel cartello denominato (OMISSIS), come risulta dalla imputazione trascritta ai fgg. 28-30 del ricorso. Infine, nel processo celebratosi a Perugia (denominato "Shadow"), erano stati giudicati i componenti di una associazione sovversiva di ispirazione anarco-insurrezionalista secondo l'imputazione indicata a fg. 30 del ricorso. In nessun caso, rispetto al presente processo, si era trattato di una associazione federata come la (OMISSIS) (dal 2011 (OMISSIS)-(OMISSIS)), articolata in diverse cellule (tra le quali anche la (OMISSIS) del processo bolognese) ben piu' vasta delle precedenti. Ricorrerebbe, pertanto, una diversita' oggettiva del fatto, anche in relazione al luogo ed al tempo dei delitti ed alla composizione soggettiva degli organismi. II) Il ricorrente si duole del giudizio assolutorio della Corte in ordine al reato di cui al capo A, avvenuto attraverso una lettura parcellizzata degli elementi di accusa. Il motivo di ricorso attiene alla posizione degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Elisa, (OMISSIS) Danilo, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Avrebbero dovuto essere valorizzati i contatti, anche "deboli", dei ricorrenti con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), associati di lunga data che hanno rivestito posizione apicale nella (OMISSIS), tenuto conto di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita', citata in ricorso (fg. 33) in tema di altre analoghe associazioni terroristiche cosiddette "a rete". Il ricorrente enumera le seguenti emergenze processuali che ritiene significative nella segnalata prospettiva: - l'incontro in spiaggia a Pescara del 20 agosto 2012, tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Danilo e (OMISSIS); - la conversazione n. 2 del 14.6.2012 intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS) con i riferimenti ai "torinesi" ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed ai "viterbesi" ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) su perquisizione a (OMISSIS); - la presenza a (OMISSIS) di (OMISSIS) quando viene rubato il motorino utilizzato nell'attentato (OMISSIS), nonche' viaggio segreto del (OMISSIS) per raggiungere Montesilvano per un colloquio con (OMISSIS) e (OMISSIS); - l'assistenza prestata da (OMISSIS) a (OMISSIS); - il rinvenimento di microspie da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il loro contegno conseguente, che aveva coinvolto anche (OMISSIS); - l'acquisto di un conta litri ed un timer da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed i commenti di costoro su (OMISSIS); il sopralluogo effettuato a (OMISSIS) da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) presso l'Ufficio Immigrazione; la consegna di (OMISSIS) a (OMISSIS) del testo anonimo "Ne voglio sentire ancora" dopo l'udienza a (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al ferimento (OMISSIS); la rivendicazione originale dell'attentato al Tribunale di Civitavecchia trovata ad (OMISSIS) e (OMISSIS); la pubblicazione dell'articolo "avanti siamo qui" da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); l'attivita' volta al sostentamento dei detenuti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), effettuata da (OMISSIS); le condotte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno permesso alla (OMISSIS) di divenire (OMISSIS)/(OMISSIS); la condotta di (OMISSIS) che sottotitola in italiano un video che esalta attentati (OMISSIS) nel mondo. Il ricorrente si duole, altresi', dell'assoluzione degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato associativo, che la Corte ha motivato sostenendo che la entita' (OMISSIS) ((OMISSIS)) non avesse superato la mera fase della progettualita', quando, in realta', la condotta associativa contestata ai predetti imputati era quella di avere partecipato alla (OMISSIS) aprendola ad una dimensione internazionale, attraverso la creazione e gestione del sito (OMISSIS) e l'interessamento di (OMISSIS) per una indagine che aveva coinvolto (OMISSIS) in Germania. Peraltro, tale apertura internazionale era stata riconosciuta dalla stessa Corte con riguardo alle posizioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). III) Infine, il ricorrente si duole che nei confronti dell'imputato (OMISSIS) la partecipazione al reato di cui al capo A sia stata ritenuta solo a partire dal 2012 e, su questa base, sia stato riconosciuto sussistente il vincolo della continuazione tra il reato associativo ed il ferimento dell'ing. (OMISSIS), vincolo che era stato escluso dal primo giudice. La Corte avrebbe trascurato tutta una serie di indizi dimostrativi della partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio (OMISSIS) in periodo antecedente al ferimento (OMISSIS) (cfr. fg. 51 del ricorso). 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (fgg. 1-12 del ricorso). La Corte territoriale, con ordinanza dell'1 luglio del 2019, aveva rigettato la eccezione difensiva di inammissibilita' dell'appello del Pubblico ministero per tardivita', rilevando che il provvedimento di proroga del termine per il deposito della sentenza di primo grado, emesso ex articolo 154 disp. att. c.p.p., era stato comunicato al Pubblico ministero solo ad un indirizzo mail riferibile al Pubblico ministero quale persona fisica e non alla sua segreteria, sicche' tale comunicazione non poteva valere a far decorrere il termine per l'appello - posto che la sentenza era stata depositata non in ritardo (nei 180 giorni previsti) - non essendo rimasto provato che il Pubblico ministero avesse letto la mail speditagli al suo personale indirizzo di posta elettronica, peraltro da un indirizzo pec diverso da quello della Corte di assise e riferibile al Tribunale misure di prevenzione, essendo impossibile avere la conferma di avvenuta consegna quando la missiva parte da un indirizzo pec verso un indirizzo di posta ordinaria. La difesa, dopo l'ordinanza di rigetto, aveva chiesto di assumere, quali prove decisive al fine di provare la effettiva conoscenza dell'avviso di proroga comunicato al Pubblico ministero, nei termini detti, di un consulente tecnico svolgente attivita' lavorativa presso il CNF di Roma e responsabile del relativo settore informatico e del responsabile del settore informatico del Provider Giustizia.it (avendo avuta il Pubblico ministero spedita la mail sul proprio personale indirizzo giustizia.it), per accertare "attraverso i metadati che vengono fisiologicamente conservati dai gestori della piattaforma "giustizia.it" se effettivamente il Pubblico ministero avesse ricevuto e letto la mail inviatagli il 18.7.2019 e contenente la notifica del decreto di proroga" (fg. 5 del ricorso). Inoltre, la difesa aveva chiesto di acquisire precedenti mail pervenute allo stesso Pubblico ministero (come persona fisica) durante il processo per comunicazioni relative all'istruttoria dibattimentale inviategli al medesimo indirizzo personale, sia per saggiarne la funzionalita' ed efficacia sia per dimostrare che mai quel Pubblico ministero aveva avuto a che dire sulla irritualita' o sulla conoscenza. La Corte territoriale aveva respinto tale istanza ritenendo "non pertinenti" tali richieste rispetto al provvedimento gia' adottato, che non revocava. Della congruenza di tale motivazione il ricorrente si duole sotto il profilo della violazione dell'articolo 603, comma 2, c.p.p. e di quanto ricollegato alla effettiva conoscenza da parte del Pubblico ministero del decreto di proroga del termine per il deposito della sentenza ai fini della impugnazione tempestiva della sentenza di primo grado. 4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto che l'appello del Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado fosse inammissibile per genericita' dei motivi (fgg. 12-24 del ricorso). La Corte non avrebbe adeguatamente valutato la portata del motivo di appello anche in relazione al contenuto della memoria depositata, con la quale si era sottolineato che l'atto di appello del Pubblico ministero consisteva in una mera ed acritica rivisitazione di punti gia' ampiamente esaminati dalla Corte di assise di primo grado, senza specifiche confutazioni. Il ricorrente si sofferma, in particolare, per sostenere le sue ragioni, sul contenuto dell'atto di appello nella parte volta a censurare la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza dei reati di cui all'articolo 414 c.p., contestati ai capi P, Q, R ed S, essendo solo in relazione a detti reati che l'impugnazione della parte pubblica era stata accolta dalla Corte territoriale. Si critica la decisione impugnata per avere violato i principi di diritto enunciati da Sez. U, n. 8825 del 2017, Galtelli. 4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile all'articolo 270-bis c.p., secondo quanto contestato al capo A della imputazione (fgg. 25-55 del ricorso). La Corte non avrebbe adeguatamente motivato sul punto della esistenza giuridicamente rilevante, ai sensi della norma richiamata, della associazione criminale (OMISSIS)-(OMISSIS) che negli altri processi celebratisi a Bologna, Perugia e Roma era stata esclusa in radice per carenza della struttura organizzativa, sulla base di un materiale probatorio d'accusa sostanzialmente sovrapponibile a quello posto a fondamento dell'odierna statuizione impugnata e per le ragioni che il ricorrente illustra trasfondendo in ricorso alcuni passaggi argomentativi delle sentenze rese in quelle differenti sedi processuali. Il ricorrente rimanda ad alcune pronunce di legittimita' che hanno affermato, in proposito, l'esistenza di un principio di non contraddittorieta' del sistema, finalizzato ad evitare l'eventualita' di un contrasto di giudicati risolvibile attraverso lo strumento straordinario e residuale della revisione. A fronte di tali pronunce assolutorie, che avevano negato l'esistenza stessa della associazione eversiva (OMISSIS)/(OMISSIS) in termini riconducibili all'articolo 270-bis c.p., la sentenza di primo grado resa in questo procedimento si sarebbe basata quasi esclusivamente sulla interpretazione del documento programmatico "4 anni", ritenuto rivelativo della esistenza di un "organismo unitario, strutturato, sovrastante rispetto alle persone e ai gruppi che ne fanno parte e che la partecipazione del singolo all'associazione si estende ben oltre il solo momento dell'azione" (fg. 48 del ricorso). Dal canto suo, la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente motivato sul punto, valorizzando solamente il contenuto di documenti programmatici della (OMISSIS)/(OMISSIS) gia' analizzati negli altri processi (documento "Chi siamo" e "Non dite che siamo pochi") ed ancora il documento "4 anni". 4.4. Violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 649 c.p.p. sempre con riferimento al capo A (fgg. 55-57 del ricorso). Il ricorrente censura la decisione della Corte di limitare l'efficacia del giudicato relativo al capo A al segmento temporale ricompreso tra il settembre del 2007 ed il 10 gennaio del 2011, a fronte della pronuncia di primo grado che aveva considerato il medesimo effetto preclusivo fino al 22 ottobre del 2013, data della sentenza di primo grado emessa nel procedimento penale cosiddetto Shadow. La Corte, senza motivare, ha ancorato il limite temporale alla data del decreto che disponeva il giudizio di quel diverso procedimento penale, violando le regole giurisprudenziali -in materia- inerenti ad un reato permanente a contestazione aperta come quello del procedimento Shadow. 4.5. Violazione di legge per inutilizzabilita' ai sensi dell'articolo 191 c.p.p. della profilazione genetica svolta dal RIS nell'immediatezza dei fatti occorsi nel novembre del 2005 presso il (OMISSIS), cosi' come descritti ai capi A, B, C e D dell'imputazione, ovvero nullita' ai sensi degli articoli 178, 180, 354 e 360 c.p.p. dello stesso accertamento tecnico, per omessa autorizzazione del Pubblico ministero procedente (fgg. 58-63 del ricorso). Il ricorrente si duole della decisione dei giudici di merito di ritenere sufficiente la delega orale del Pubblico ministero per escludere ogni vizio formale dell'accertamento tecnico, sul presupposto che l'atto delegato fosse comunque ben individuato e disciplinato da norme di garanzia e, cio', nonostante la genericita' della delega orale (secondo quanto riferito al dibattimento dal teste di polizia giudiziaria Pizzamiglio) rispetto al complesso accertamento da svolgere e l'esiguita' del materiale repertato. Il ricorrente, nel caso specifico, non si duole del mancato avviso alla difesa rispetto al compimento di un atto irripetibile, ma dell'assenza di una delega scritta, alla luce di uno specifico orientamento giurisprudenziale (cfr. fg. 61 del ricorso). Si ravvisa, pertanto, un profilo di inutilizzabilita' dell'accertamento tecnico, compiuto dalla polizia giudiziaria al di fuori dal perimetro di cui all'articolo 354 c.p.p., come si ricaverebbe anche del Decreto Legislativo n. n. 274 del 2000 articolo 13 con riferimento ad indagini di minor conto di competenza del Giudice di Pace. Ne conseguirebbe la violazione dell'articolo 191 c.p.p.. 4.6. Vizio della motivazione in relazione al diritto vivente in merito all'apprezzamento della prova scientifica nel processo penale con riguardo ai reati di cui ai capi B, C, D ed E (fgg. 63-139 del ricorso). Dopo richiami ai principi generali inerenti alla valutazione giuridica della prova scientifica, il ricorrente censura le due sentenze di merito per avere fondato il giudizio di responsabilita' in ordine ai reati indicati (con l'avvertenza che (OMISSIS) e' stato assolto dal reato di cui al capo B) sul solo elemento processuale costituito dal rinvenimento, sui manici del sacchetto in cui era contenuto l'ordigno collocato nei pressi del RIS di Parma, di un genotipo maschile ritenuto compatibile con il DNA dello stesso imputato. Le due conformi sentenze di merito avrebbero utilizzato "generiche ed ellittiche formule adesive" circa il fatto che gli accertamenti genetici effettuati fossero riconosciuti dalla comunita' scientifica come quelli piu' accreditati e, in quanto tali, idonei a fondare il giudizio di responsabilita' al di la' di ogni ragionevole dubbio. L'inidoneita' scientifica di tale elemento di prova, non costituente nemmeno un indizio, degraderebbe a mera congettura ogni altro dato. La sentenza impugnata, inoltre, nell'affrontare il tema, si sarebbe limitata ad affidarsi alle parole del perito (OMISSIS), eludendo le specifiche e non marginali argomentazioni difensive, cosi' incorrendo in un vizio motivazionale, tenuto conto che il ricorrente aveva sollevato obiezioni ricostruttive delle quali anche la sentenza di primo grado non si era fatta carico. I) Piu' in particolare, il ricorrente si duole del fatto che il DNA estratto - "solo presuntivamente riconducibile a sudore" - era estremamente esiguo nonche' fortemente degradato, "tale da fondatamente potersi qualificare alla stregua di un Low Copy Number DNA o Low Template DNA". L'amplificazione del DNA e' sfociata in un profilo "misto", "complesso" che, come tale, avrebbe avuto bisogno, per arrivare ad una tipizzazione efficace idonea ad eliminare il rischio di falsi positivi, di "un minimo di tre esperimenti complessivi effettuati nelle medesime condizioni in cui si e' proceduto alla prima amplificazione", come affermato sia dal perito (OMISSIS) che dal consulente tecnico (OMISSIS) (fgg. 82,83 del ricorso). Tanto non si sarebbe verificato, posto che il RIS aveva adottato una procedura differente "in patente violazione degli standard cristallizzati per i casi di profili di Low Copy Number", procedendo soltanto a due amplificazioni anziche' tre, peraltro utilizzando "due diversi estratti di DNA, uno normale ed uno concentrato, piuttosto che due frazioni del medesimo materiale nelle medesime condizioni, motivo per cui, in realta', non e' stata effettuata neanche una sola replica". Il ricorso, alla stregua dei principi generali in tema di valutazione della prova scientifica, contesta la decisione della Corte che, pur dando atto di cio', "ha comunque ratificato il risultato della successiva comparazione con il DNA di (OMISSIS) in considerazione dell'attuale stato dell'arte, che consentirebbe di ovviare a tale problematica facendo ricorso ad un'analisi biostatistica", riportando un passaggio della sentenza impugnata che si rifa' alle conclusioni del perito, non supportate scientificamente e non rispondenti alle linee guida piu' recenti (GEFI 2018), contestando, senza misurarsi con le deduzioni difensive, anche il superamento della eccezione relativa al fatto che fossero stati utilizzati differenti estratti di DNA, come riferito dal teste Pizzamiglio del RIS (fgg. 94-del ricorso), la cui deposizione e' stata trasfusa in ricorso nelle parti di interesse insieme alle altre deposizioni confermative del punto (del consulente difensivo (OMISSIS) e del perito (OMISSIS), fgg. 94-99). II) Il ricorso, inoltre, censura la decisione impugnata per aver validato le conclusioni sulla tipizzazione del DNA nella parte in cui si e' fatto affidamento, andando di contrario avviso alle linee-guida, al calcolo biostatistico in relazione alla specificita' delle caratteristiche della analisi di cui si discute, trattandosi di un "profilo complesso in cui risultano tipizzati solo 7 loci non consolidati mediante le opportune repliche". Inoltre, secondo il ricorrente il calcolo statistico e' stato arbitrariamente calcolato dal perito "sulla presenza di soli tre soggetti contributori, anziche' quattro, con conseguente alterazione dei calcoli"; per di piu', "e' stata presa in considerazione unicamente l'ipotesi di drop in e non anche quella di drop out", con risultati frutto di scelte ingiustificatamente dannose per l'imputato, come era stato evidenziato dalla difesa senza ottenere alcuna convincente risposta da parte della Corte territoriale (fgg.100-109 del ricorso). III) Ancora, non sarebbe stata adeguatamente valutata la doglianza difensiva inerente alla "omessa quantificazione del DNA estratto dai manici della busta", posto che il RIS, anziche' procedere a tale preliminare operazione, come previsto dalle linee-guida al fine di evitare falsi positivi, aveva "proceduto direttamente alla tipizzazione dello stesso". A conforto delle proprie ragioni, il ricorrente cita un caso giudiziario analogo e censura la motivazione della Corte per non essersi misurata con gli argomenti della difesa (fgg. 109-114 del ricorso). IV) Infine, la Corte non avrebbe fornito idonea risposta anche alla doglianza difensiva relativa alla "possibilita' che il deposito del materiale organico sulla busta e riconducibile all'imputato derivasse da un contatto indiretto, rectius fosse di natura secondaria o terziaria" (fgg. 114-139 del ricorso). Il Ris, infatti, non aveva proceduto ne' alla quantificazione del materiale e neanche alla "diagnosi generica, ossia all'accertamento volto ad individuare il fluido biologico di appartenenza della traccia, presuntivamente qualificato alla stregua di sudore", ma senza alcuna plausibile esclusione del fatto che tale traccia potesse essere frutto di una contaminazione, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto. L'incidenza di tale dato e' stata evidenziata riportando uno stralcio della deposizione del consulente tecnico (OMISSIS) e quella del teste di polizia giudiziaria Stabile, appartenente al RIS e che aveva effettuato altro accertamento tecnico relativo ad altro capo di accusa. L'eventualita' di un contatto indiretto non era stata esclusa neanche dal consulente Pizzamiglio (del RIS) e dal perito (OMISSIS). Il ricorrente critica le conclusioni raggiunte sul punto dalla Corte e riprodotte a fg. 131 del ricorso, ritenendo trattarsi di mere congetture non supportate dal sapere scientifico o da massime di esperienza e contraddette dal fatto che le tracce ematiche fossero appartenenti a piu' soggetti (profilo misto), a dimostrazione che poteva essersi trattato di un contatto indiretto, un "trasferimento secondario o terziario" idoneo ad escludere la responsabilita' del ricorrente per il confezionamento e il trasporto dell'ordigno. 4.7. Vizio della motivazione per travisamento della prova ed illogicita' in relazione ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M. (fgg. 141-188 del ricorso). Il ricorrente enuclea quel che ritiene essere plurimi, significativi e decisivi elementi di prova acquisiti al processo che sarebbero stati travisati dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni. I) Il primo travisamento riguarda la conclusione cui e' giunta la Corte di ritenere che il giudizio espresso dalle grafologhe consulenti tecniche del Pubblico ministero, (OMISSIS) e (OMISSIS), di "media probabilita'" di attribuzione all'imputato (ed alla (OMISSIS)) degli scritti relativi ai vari episodi in contestazione ai capi indicati, potesse costituire un indizio di colpevolezza. La sentenza impugnata e quella di primo grado non avrebbero tenuto conto delle precisazioni fornite dalle consulenti in sede dibattimentale in ordine al significato della espressione "media probabilita'", tralasciando anche il contenuto della deposizione del teste (OMISSIS), responsabile della Sezione Grafica del RIS di Parma. Le consulenti non avrebbero affermato una "qualificata probabilita' di attribuzione" come enfaticamente ha sostenuto la Corte territoriale. Sarebbe stato, inoltre, omesso ogni riferimento al dato secondo il quale tale conclusione non era esaustiva e necessitava di ulteriori operazioni di indagine (fg. 147 del ricorso). Il teste (OMISSIS), dal canto suo, aveva escluso in radice che quel tipo di scritti potesse essere sottoposto a "confronti attributivi tra il materiale manoscritto ed eventuali scritti sicuramente riconducibili a sospetti" (fgg. 148-150 del ricorso). Di tanto non si sarebbe dato conto in sentenza. Queste incertezze farebbero crollare il giudizio di responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati indicati, che si fondava "sulla certa attribuzione ai due imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) delle missive contenenti i plichi esplosivi e quindi delle lettere minatorie con le quali veniva data esecuzione alla seconda fase di attentati della cd. Operazione Fai Da Te che al contempo preannunciava e minacciava la verificazione della terza fase" (fg. 152 del ricorso). II) Il secondo travisamento attiene al giudizio espresso dalla Corte territoriale che aveva accolto la tesi del cosiddetto "autoricalco" quale operazione volutamente posta in essere dagli autori degli scritti per sviare le indagini. La relazione del RIS e la deposizione del teste (OMISSIS) non avrebbero dovuto portare a tale conclusione se correttamente interpretate a proposito delle modalita' e caratteristiche della grafia, che non consentivano, come prima detto, alcun confronto attributivo, al contrario di quanto sostenuto dalle consulenti del Pubblico ministero. Il ricorso trasfonde e commenta alcune parti dell'elaborato del RIS (fgg. 153-155) e della deposizione del teste (OMISSIS) (fgg. 156 e 157) al fine di smentire che potesse certamente essersi trattato di un autoricalco anziche' di un ricalco posto su grafia di terzo soggetto, tesi anche logicamente piu' aderente al dato che le missive contenevano scritti redatti con il normografo che dimostrava la massima cautela degli autori volta ad evitare di fornire elementi per la loro identificazione. Il ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, fa riferimento ad un documento acquisito agli atti (riprodotto a fg. 160 del ricorso) che costituirebbe prova di un ricalco da scritture di terzi soggetti, secondo anche l'interpretazione fornita dal teste (OMISSIS) (fgg. 161, 162). III) Il terzo travisamento e' costituito, secondo il ricorrente, dalla frase contenuta a fg. 134 della sentenza di appello secondo cui l'utilita' a fini attributivi della busta (OMISSIS) che conferma ulteriormente seppur indirettamente gli accertamenti delle dottoresse (OMISSIS) e (OMISSIS) (e' bene ricordare che il RIS non ha proceduto a comparazioni)". Infatti, le consulenti non si sarebbero mai accorte che gli scritti in verifica fossero oggetto di attivita' di ricalco, apprendendo la circostanza solo al dibattimento, sicche' non avevano concentrato le loro analisi sulla parte grafica sfuggita al ricalco ("non sull'inchiostro aderente al solco ma bensi' sulle eventuali movenze grafiche sfuggite all'autore del ricalco e utili per un confronto grafologico"; fgg. 163-166 del ricorso). IV) Il quarto travisamento e' costituito dalla circostanza che la Corte territoriale avrebbe affermato, ai fgg. 138 e 139 della sentenza impugnata, che vi fosse una compatibilita' tra le conclusioni delle consulenti del Pubblico ministero e quelle della Polizia Scientifica (teste (OMISSIS)) a proposito delle caratteristiche intrinseche della grafia del ricorrente. L'analisi della testimonianza (OMISSIS) - della quale sono trasfusi in ricorso alcuni passaggi salienti non esaminati dalla Corte - porterebbe a diversa conclusione e, cioe', ad una disomogeneita' di giudizio sui caratteri della grafia dell'imputato (fgg. 167-172 del ricorso). V) Il quinto travisamento e' dato dall'affermazione contenuta in sentenza (fg. 139) secondo la quale il consulente tecnico della difesa, prof. (OMISSIS), avrebbe condiviso l'attendibilita' delle valutazioni delle consulenti del Pubblico ministero. Tale circostanza sarebbe smentita dal diverso approccio contributivo offerto al processo dal consulente difensivo in ragione delle sue diverse competenze (trattandosi di un filologo romanzo) e del taglio della sua indagine tecnica; egli non aveva avuto in mano gli scritti da analizzare, non era un grafologo e non aveva compiuto alcuna analisi comparativa tra i reperti, avendo anche manifestato perplessita' sulla conducenza della consulenza grafologica, e in relazione alle specifiche circostanze e in generale (fgg.173-180 del ricorso). In conclusione, osserva il ricorrente che i suesposti travisamenti avrebbero scardinato l'impianto accusatorio su cui si e' basata la sentenza impugnata, gli ulteriori elementi a corredo mancando del "principale ed irrinunciabile argomento dimostrativo" costituito dalla attribuzione al (OMISSIS) delle missive contenenti gli ordigni attraverso gli esiti della consulenza grafologica (il riferimento e', in particolare, ad una conversazione ambientale). VI) Il ricorrente ravvisa un ulteriore vizio motivazionale per illogicita' e travisamento nella circostanza che la Corte, non attribuendo importanza alla richiesta di archiviazione per i fatti commessi nel quartiere (OMISSIS) (capi L ed M) aveva affermato che il contesto investigativo che aveva dato luogo alla archiviazione si era avvalso di elementi di conoscenza inferiori rispetto all'attuale processo, cosi' neutralizzando la portata del rilievo. Il testo della richiesta di archiviazione del Pubblico ministero, riprodotto ai fgg. 183-185 del ricorso, dimostrerebbe la totale sovrapponibilita' del materiale cognitivo, ad eccezione della consulenza grafologica. 4.8. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento ed illogicita' ancora con riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato la consulenza grafologica alla luce dei principi regolatori della prova scientifica nel processo penale, erroneamente attribuendo ad essa il rango di indizio di colpevolezza (fgg.188-211 del ricorso). I) In particolare, la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che "le consulenti del Pubblico ministero avevano omesso di compiere la preliminare analisi delle scritture in verifica allo scopo di valutare se fossero presenti tracce sottostanti alla scrittura e quindi apprezzare se gli indirizzi vergati sulle buste fossero il risultato di un gesto grafico condotto con spontaneita' o diversamente si caratterizzasse per modalita' spersonalizzanti o totale artificiosita', nonche' se la traccia inchiostrata fosse attribuibile ad un solo contributore o, come nel caso di specie, a due autori. Verifica preliminare alla quale, come nell'esame condotto dal RIS, poteva conseguire anche il giudizio di non comparabilita' delle verificande" (fg. 190 del ricorso). Ne sarebbe conseguita una motivazione illogica, quale quella contenuta ai fgg. 135 e 136 della sentenza impugnata. In particolare, sarebbe illogico il fatto che la Corte non abbia ritenuto necessaria la verifica strumentale preliminare prima indicata in quanto i reperti erano stati precedentemente oggetto di analisi chimica condotta dal RIS nel 2006. Tale omissione - peraltro non giustificata se non quanto all'impossibilita' di verificare la pressione del gesto grafico - aveva fatto ritenere alle due consulenti del Pubblico ministero di operare su scritti autentici, seppur verosimilmente oggetto di dissimulazione, ma non su tracce, solchi pressorei oggetto di ricalco riconducibili a due autori, che potevano essere rilevate indipendentemente dall'accertamento del RIS del 2006 se le consulenti avessero effettuato le operazioni preliminari strumentali "con la luce radente" o con microscopio. La Corte, per quanto detto nel precedente motivo di ricorso, avrebbe trascurato, sul punto, anche l'apporto dichiarativo del teste (OMISSIS) del RIS, del quale il ricorso riporta un tratto saliente a fg. 195. II) Le sentenze di merito avrebbero illogicamente sostenuto che il teste (OMISSIS) aveva avallato la possibilita' che si potesse lavorare su una piccola percentuale dei segni grafici in quanto non ricalcati, circostanza che egli, ad avviso del ricorrente, aveva soltanto ipotizzato e che, comunque, si fondava sulla scomposizione tra segni grafici ricalcati e non che era sfuggita alle consulenti (fgg.196-198 del ricorso). III) Sarebbe illogica e non ancorata a nessuna indicazione scientifica anche l'affermazione del giudice di primo grado (fg. 213 della prima sentenza) sulle modalita' del ricalco, non adombrata dal teste (OMISSIS) e che le consulenti non potevano affrontare in quanto non consapevoli del ricalco (fgg. 199 e 200 del ricorso). Sarebbe stata esclusa l'ipotesi ricostruttiva che il ricorrente ritiene piu' plausibile e, cioe', che "per redigere gli indirizzi delle missive in verifica gli autori del gesto abbiano vergato i solchi pressori utilizzando gli scritti di due distinti soggetti, successivamente inchiostrandoli, cosicche' da una successiva analisi comparativa gli stessi appaiono separabili in base a somiglianze di puro ordine formale" (fg. 201 del ricorso). IV) La sentenza impugnata sarebbe illogica anche per aver attribuito carattere omogeneo e di conferma alle conclusioni delle consulenti rispetto a quelle del RIS, posto che quest'ultimo non aveva effettuato alcuna comparazione o analisi grafologica dei segni grafici perche' ritenuta non possibile, limitandosi ad evidenziare una similitudine di puro ordine formale ed attribuendo alla lettera a (OMISSIS) una limitata utilizzabilita' (fgg. 201 e 202 del ricorso). V) Il ricorrente ribadisce che nessuna conferma al lavoro delle consulenti poteva ritenersi provenire dalla deposizione del teste (OMISSIS) (fgg. 202,203 del ricorso). VI) Ulteriore illogicita' "e' concretizzata dal tentativo di predicare la possibilita' che il gesto scrittorio analizzato dalla Polizia Scientifica, con i riferiti elementi connotanti, sia stato alterato dalla circostanza che l'emittente autore, stesse copiando un testo o lo stesse redigendo sotto dettatura" (fg. 203 del ricorso, che richiama il fg. 138 della sentenza impugnata). Tale assunto contrasterebbe con l'impossibilita' congenita di chi scrive di modificare alcuni tratti della propria grafia. VII) Il ricorrente, censurando altro passaggio della sentenza impugnata, reitera le proprie doglianze rispetto alla mancata effettuazione delle verifiche preliminari sui reperti. VIII) Il ricorrente censura di nuovo la sentenza impugnata - ed, in particolare, la frase contenuta a fg. 133 della statuizione della Corte - per aver conferito il rango di valido indizio e non di semplice sospetto o di "indizio debole" alle conclusioni delle consulenti che si erano espresse in termini di "media probabilita'" della attribuzione degli scritti al (OMISSIS) ed alla (OMISSIS) (fgg.208-211 del ricorso). Ne' poteva attribuirsi all'indizio il carattere della gravita' per il fatto che "i due giudizi di media probabilita' sarebbero riferibili a due imputati conviventi anarchici torinesi", dal momento che alle due consulenti erano stati consegnati scritti riferibili "a sole tre persone, tra loro legate da stretti vincoli relazionali amicali e sentimentali, tutti e tre residenti a (OMISSIS), tutti e tre facenti parte della medesima area anarchica", cosicche' si avrebbe avuto un "esito scontato" frutto della "scelta investigativa operata dal Pubblico ministero che limitava a soli tre imputati la comparazione" (fg. 210 del ricorso). 4.9. Vizio di motivazione per non avere la Corte tenuto conto - sempre con riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M - delle controdeduzioni difensive, contenute nell'atto di appello, rispetto ad una serie di elementi valutati dal giudice di primo grado e riprodotti ai fgg. 212 e 213 del ricorso. In particolare, quanto alla consulenza linguistica del dottor Cortellazzo, alle anomalie delle tracciature dei normografi, alla similitudine tra gli ordigni, alla allegazione del testo "4 anni" per la rivendicazione dei fatti della (OMISSIS), considerato copia in formato elettronico dell'originale (fgg. 214, 215 del ricorso). La Corte non avrebbe fatto menzione degli argomenti difensivi salvo che per i caratteri dei normografi, cosi' impedendo che la confutazione portasse ad un giudizio favorevole per la posizione dell'imputato, tenuto conto della rilevanza e decisivita' dei temi di prova. 4.10. Vizio della motivazione, sempre in relazione al giudizio di responsabilita' per i reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M. I giudici di merito sarebbero caduti in contraddizione allorquando hanno sostenuto che l'imputato e la (OMISSIS) fossero soggetti particolarmente accorti nello sviare le indagini, per poi attribuire loro una condotta altamente imprudente, quale quella di aver confezionato due missive da casa loro, con l'uso di un normografo e di averle imbucate in una cassetta postale sita poco distante dalla loro abitazione, peraltro in giornata domenicale che non prevedeva il ritiro della corrispondenza. Tanto sarebbe stato presupposto dai giudici interpretando la conversazione ambientale del 24 giugno 2007, intercorsa tra (OMISSIS) e la sua convivente (OMISSIS) all'interno della loro abitazione, nella quale il ricorrente manifestava nervosismo e fretta di liberarsi di materiale compromettente e si doleva del fatto che mancasse una "E" in una lettera inviata a (OMISSIS) (fgg. 220-222 del ricorso). Il riferimento alla testimonianza (OMISSIS) sulla prassi degli uffici postali - effettuato dal giudice di primo grado e non modificato dalla Corte territoriale - per confortare l'interpretazione del contenuto della intercettazione, sarebbe frutto di un travisamento della prova dichiarativa per quanto evidenziato ai fgg. 223 e 224 del ricorso. Sarebbe, altresi', illogica l'affermazione della Corte volta a giustificare l'errore grammaticale cui si riferiva l'intercettazione come riferibile all'uso di normografi (cfr. fg. 224 del ricorso). 4.11. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'articolo 192, comma 2, c.p.p. in materia di prova indiziaria sempre in ordine ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M. Il ricorrente riprende il tema della intercettazione ambientale del 24 giugno 2007, per censurare la valenza indiziaria di tale dato processuale, che intenderebbe provare la circostanza che la (OMISSIS), in quella data, nella propria abitazione, fosse stata l'artefice della lettera inviata a (OMISSIS) (fgg. 227-242 del ricorso). La Corte avrebbe solo congetturato che la (OMISSIS), alla presenza attiva del (OMISSIS), stesse maneggiando carta e non diverse predisposizioni di bozzetti di tatuaggi e che la frase proferita dal (OMISSIS) "manca una e" si riferisse alla missiva, essendo illogico che gli imputati non avessero cestinato la missiva sbagliata ed avessero usato un normografo (cfr., piu' nel dettaglio, quanto evidenziato ai fgg. 231-235 del ricorso). Illogicamente non sarebbe stata assecondata la tesi degli imputati secondo la quale la (OMISSIS) sarebbe stata impegnata in un bozzetto per tatuaggi, tenuto conto della compatibilita' di tale tesi con le frasi captate. Sarebbe stata equivocata anche la fretta manifestata dal (OMISSIS) nella conversazione intercettata e le ragioni di tale fretta, posto che la lettera a (OMISSIS) ed al giornale La Repubblica erano temporalmente sganciate dagli attentati e la data della conversazione non aveva alcun particolare significato rispetto ad un qualche evento (cfr. fgg. 236-238 del ricorso). Si rievoca la testimonianza (OMISSIS) per sostenere che la lettera poteva essere stata imbucata "potenzialmente nell'arco di tre giorni ed in una qualunque delle buche delle province di (OMISSIS) ed (OMISSIS)". In ogni caso, non sarebbe certo che (OMISSIS) avesse effettuato un controllo dello scritto della (OMISSIS) e che la lettera, anche a voler essere intesa nel senso propugnato dalla Corte, fosse stata redatta da chi era responsabile dei reati di cui alle imputazioni, contenendo solo generiche minacce a che la (OMISSIS) non svolgesse attivita' per i Centri Temporanei per stranieri, non essendo significativa la firma come (OMISSIS) (OMISSIS), per le ragioni espresse a fg. 241 del ricorso. 4.12. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo F ex articolo 422 c.p., anziche' ex articoli 280 o 280-bis c.p.. La Corte avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l'elemento soggettivo della intenzione di uccidere, tipico del reato di strage di cui all'articolo 422 c.p., non configurabile in caso di dolo eventuale e non rinvenibile nel documento di rivendicazione dell'attentato, che dimostrerebbe, al contrario, come si fosse trattato solo di un enfatico "atto dimostrativo" contro gli allievi carabinieri della scuola di (OMISSIS), dei quali non si sarebbe affatto voluta la morte (fgg. 243, 244 del ricorso). L'elemento soggettivo del reato sarebbe stato ricostruito solo su base indiziaria, valorizzando elementi incerti tratti dalle caratteristiche degli ordigni e da quanto contenuto nel documento "4 anni", che tuttavia si riferisce ad ampio periodo non riconnesso agli attentati. 4.13. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilita' per il reato di cui all'articolo 270-bis c.p. di cui al capo A (fgg. 247-295 del ricorso). Il ricorrente sostiene che la Corte avrebbe fondato la decisione di ritenere integrato il reato di associazione con finalita' di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico su circostanze meramente congetturali ed inidonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di tale fattispecie. Vengono ripresi argomenti trattati nel terzo motivo di ricorso ed inerenti al fatto che la Corte territoriale non avrebbe valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile all'articolo 270-bis c.p.. Si critica l'assunto iniziale posto a base del ragionamento della Corte, vale a dire il fatto che nel presente processo vi fossero elementi di novita' rispetto ai precedenti, "essendosi le indagini estese al di la' dei primi anni successivi al documento "Chi Siamo" fino ai piu' recenti sviluppi della (OMISSIS) ed alla tensione all'internazionalizzazione della sua esperienza di lotta (OMISSIS)-(OMISSIS), aspetti certamente sopravvenuti rispetto ai fatti gia' giudicati" (fg. 248 del ricorso). Infatti, ad avviso del ricorrente, i due procedimenti di cui alle sentenza della Corte di assise di Perugia del 22/10/2013 e della Corte di assise di appello di Roma del 21/05/2015 avrebbero avuto ad oggetto identico accertamento rispetto a quello odierno, prendendo in esame i documenti "Chi Siamo" del 2003, "4 anni" del 2007 e "Non dite che siamo pochi", dell'agosto del 2011, stesso anno in cui era stata utilizzata la sigla (OMISSIS)-(OMISSIS). E, cioe', se "al di la' dei proclami nei documenti cosiddetti fondativi, fosse possibile individuare dietro la sigla (OMISSIS) (a anche (OMISSIS)-(OMISSIS)) utilizzata da singoli e gruppi per rivendicare attentati di varia natura, una struttura associativa riconducibile al paradigma di cui all'articolo 270-bis c.p. " anziche' "una associazione di matrice anarchica orizzontale, costituita da gruppi di azione e da singoli individui, priva di centro decisionale, che non ricalca le orme di un partito armato di vecchia memoria e in cui non possono quindi individuarsi per ragioni connaturate alla stessa ideologia sottostante, ne' ruoli strettamente definiti e differenziati tra gli affiliati, ne' beni comuni quali covi ecc." (fg. 249 del ricorso). Il ricorrente riprende, ai fgg. 250 e seguenti del ricorso, sia passaggi argomentativi della sentenza impugnata, sia tratti della sentenza della Corte di Assise di Roma del 28/02/2006, irrevocabile nel novembre del 2011, ed anche di altre decisioni di merito e di legittimita' per sostenere che anche nell'odierno processo, come negli altri, non si sarebbe guadagnata prova della esistenza di una struttura organizzata riconducibile alla (OMISSIS)-(OMISSIS), che non sarebbe desumibile, non solo dalla ideologia di fondo, ma neanche dalla commissione, da parte di alcuni imputati, di specifici fatti-reato rivendicati dalla sigla (OMISSIS)-(OMISSIS), rivisitati a seguito di quello relativo al ferimento dell'ing. (OMISSIS) (rivendicato dal nucleo (OMISSIS) (OMISSIS)-(OMISSIS)) per il quale erano stati condannati i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) o dalla commissione di altri fatti reato rivendicati dalla cellula o "gruppo di affinita'" (OMISSIS)-(OMISSIS). Il ricorrente contesta il giudizio della Corte circa il fatto di aver ritenuto che gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avessero apertamente manifestato, fin dagli anni âEuroËœ90 dello scorso secolo, la loro approvazione per un tipo di lotta anarchica stabilmente strutturata. Sotto questo profilo, si sostiene in ricorso che la Corte avrebbe travisato le prove, costituite: da documenti pubblicati negli ultimi 25 anni in riviste di area anarchica, alcuni firmati da (OMISSIS) e (OMISSIS), dimostrativi del fatto che la (OMISSIS) non costituirebbe soltanto una emanazione delle teorie di (OMISSIS). Tanto, attraverso una lettura distorta - per le ragioni indicate ai fgg. 268 e segg. del ricorso - dei vari documenti offerta dal teste (OMISSIS), della Digos di (OMISSIS), che non sarebbe altro che una personale visione e valutazione di un testimone (peraltro differente da quella poi assunta dalla Corte) e non un fatto; dalla interpretazione, erroneamente ritenuta collegata ai precedenti scritti, dei documenti a firma (OMISSIS) "Chi siamo", "4 anni" e "Non dite che siamo pochi", fermo restando l'assenza di prova che il ricorrente e la (OMISSIS) ne fossero stati gli autori. Il ricorrente riproduce in ricorso alcuni passaggi della motivazione di un provvedimento del Tribunale di Bologna emessa nel 2005 in sede cautelare; dalla vicinanza temporale di alcuni attentati e dalle rivendicazioni; dal possesso in capo al (OMISSIS) dell'originale del documento "4 anni", che ogni anarchico avrebbe potuto possedere a marzo del 2007. In sostanza, al di la' delle ideologie ascrivibili al (OMISSIS) ed agli altri imputati, fondate sulla interpretazione di documenti, non esisterebbero fatti specifici concreti, legati ad altrettanto concrete condotte, per affermare l'esistenza di una struttura organizzata anarchica, riconducibile all'articolo 270-bis c.p., nella quale l'imputato (OMISSIS) e gli altri ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbero stati inseriti. 4.14. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il reato di istigazione a delinquere di cui al capo Q, che l'imputato avrebbe commesso quale redattore del progetto editoriale (OMISSIS) ((OMISSIS)), composto da un blog e da una rivista cartacea di chiara ispirazione anarchica, acquisiti al dibattimento nella loro interezza (fgg. 295-315 del ricorso). La Corte territoriale, ribaltando il giudizio assolutorio di primo grado, non avrebbe adottato una motivazione rafforzata per giungere all'opposto convincimento, ne' sarebbero emersi elementi di prova differenti rispetto a quelli valutati dal primo giudice; elementi che avevano condotto la Corte di primo grado a ritenere che si fosse trattato solo di propaganda sovversiva - condotta non piu' prevista dalla legge come reato in forza dell'abrogazione dell'articolo 272 c.p. - e non di espressioni di contenuto apologetico/istigatorio riconducibili all'articolo 414 c.p., per tali intendendosi quelle volte a far commettere uno o piu' reati specifici e non a sollecitare una condotta genericamente eversiva, quandanche violenta. Il giudice di primo grado aveva ritenuto come gia' l'imputazione fosse indeterminata sotto il profilo di interesse. La Corte territoriale, che il ricorrente riporta in ricorso nei passaggi ritenuti significativi, avrebbe affermato, invece, che la lettura degli articoli della rivista, coordinata con quella del blog, consentisse di estrarre dei riferimenti a specifici reati collegati alla lotta anarchica ed al terrorismo, con concreta pericolosita' dell'azione dedotta dal successo della rivista e degli incontri organizzati dagli autori. Trattasi, secondo il ricorrente, soltanto di una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio, senza confutazioni della precedente decisione di opposto segno. Ne' la lettura incrociata della rivista e del sito internet avrebbe potuto portare a conclusioni differenti, poiche' anche su questo punto la sentenza di primo grado si era soffermata, reputando che le immagini contenute sul blog non fossero significative per la prova del reato; inoltre, l'assunto della Corte sarebbe fallace per avere dato per scontata, senza appigli probatori, la circostanza che i lettori della rivista avessero accesso al sito internet e viceversa. Per di piu', essendo il ricorrente in stato di detenzione dal 2012, i giudici di appello avrebbero dovuto meglio tratteggiare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. 4.15. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego del riconoscimento del vincolo della continuazione tra il delitto in questa sede contestato al capo A ed il reato per il quale il ricorrente e' stato definitivamente condannato dal GUP del Tribunale di Genova il 12/11/2013, con riguardo all'attentato all'ing. (OMISSIS) (fgg. 316-325 del ricorso). I giudici di merito avrebbero basato il loro convincimento sulle dichiarazioni rese dal ricorrente e dal coimputato (OMISSIS) nel diverso processo, ove entrambi avevano ammesso che la decisione dell'attentato ad (OMISSIS) era nata dopo il marzo 2011, epoca del disastro di Fukushima, ben successiva alla costituzione del sodalizio di cui al capo A. La motivazione sarebbe contraddittoria per avere prestato fede a tali dichiarazioni e non a quelle con le quali gli imputati si erano dichiarati unici responsabili dell'attentato. Inoltre, il ricorrente sostiene che il fine dell'attentato rientrava nel programma anarchico al quale egli aveva aderito fin dall'uscita del documento "Chi Siamo" nel 2003 e che la sentenza sarebbe contraddittoria per avere ritenuto avvinto dal nesso della continuazione il reato di cui al capo Q, ma non quello giudicato in separato processo, nonostante entrambi non fossero specificamente contemplati nel documento programmatico. Si da' atto che nell'interesse del ricorrente e' stata depositata una memoria riepilogativa e di sintesi rispetto agli argomenti di ricorso appena sopra esposti. 5. Ricorso (OMISSIS). 5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (motivo comune a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS)). 5.2. Violazione della legge processuale e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto che l'appello del pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado fosse inammissibile per genericita' dei motivi (motivo ancora comune a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS)). La Corte non avrebbe adeguatamente valutato la portata del motivo di appello anche in relazione al contenuto della memoria depositata, con la quale si era sottolineato che l'atto di appello del pubblico ministero consisteva in una mera ed acritica rivisitazione di punti gia' ampiamente esaminati dalla Corte di assise di primo grado, senza specifiche confutazioni. Il ricorrente si sofferma, in particolare, per sostenere le sue ragioni, sul contenuto dell'atto di appello nella parte volta a censurare la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza dei reati di cui all'articolo 414 c.p. contestati ai capi P, Q, R ed S, unici per i quali l'impugnazione ha sortito effetti concreti di overturnig. Si critica la decisione impugnata per avere violato i principi di diritto enunciati da Sez. U, n. 8825 del 2017, Galtelli. 5.3. Errores in procedendo quanto all'accertamento (nella ritenuta dimensione cronologica) ed alla qualificazione del fatto associativo sub A. 5.3.a. Violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 649 c.p.p., con riferimento al reato di cui al capo A (motivo ancora comune a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS)). La ricorrente censura la decisione della Corte di limitare l'efficacia del giudicato relativo al capo A al segmento temporale ricompreso tra il settembre del 2007 ed il 10 gennaio del 2011, a fronte della pronuncia di primo grado che aveva considerato il medesimo effetto preclusivo fino al 22 ottobre del 2013, data della sentenza di primo grado che aveva accertato il medesimo fatto-reato emessa nel procedimento penale cosiddetto Shadow. La Corte, senza motivare, ha ancorato il limite temporale alla data del decreto che disponeva il giudizio di quel diverso procedimento penale, violando i principi giurisprudenziali elaborati in materia di reato permanente -a contestazione aperta-come quello del procedimento Shadow. 5.3.b. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile al paradigma dell'articolo 270-bis c.p., contestato al capo A. 5.3.c. Violazione della legge penale sostanziale per erronea applicazione dell'articolo 270 bis c.p., violazione della legge processuale per inosservanza della regola di giudizio indicata al comma 2 dell'articolo 192 c.p.p., mancanza ed illogicita' della motivazione, travisamento della prova su punti decisivi della sentenza. I motivi di appello svolti sul punto (difetto di struttura organizzativa stabile) sono stati affrontati dalla Corte in maniera del tutto apparente. In primo grado e' stata sul punto valorizzata l'impressione personale del teste DIGOS (OMISSIS). Dal testimoniale acquisito non si evince invece alcuna valorizzazione degli aspetti organizzativi, affermare il contrario significa operare una contraffazione del testo di prova. Diverso era invece l'oggetto della prova, ovvero se gli anarchici avessero inteso formare una struttura organizzata dedicata allo scopo eversivo (pag. 103104, 111 ricorso). Nel doppio grado di merito sono state invece operate congetture fondate su dati di mero sospetto, del tutto inidonei a riconoscere una struttura organizzata dedita alle finalita' proprie della oggettivita' giuridica identificata dalla norma incriminatrice. 5.4. Violazione di legge (articolo 192, comma 2, c.p.p.) e vizio della motivazione in materia di valutazione della prova indiziaria; contraddittorieta' della motivazione e sua intima illogicita' per travisamento della prova in riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M. (c.d. Operazione Fai Da Te). La ricorrente enuclea plurimi, significativi e decisivi elementi di prova acquisiti al processo che sarebbero stati travisati dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni (motivi sostanzialmente sovrapponibili a quelli spesi sugli stessi capi nell'interesse di (OMISSIS)). I) Il primo travisamento riguarda il significato indiziante, apertamente illogico e travisato, attribuito alla conversazione ambientale del 24 giugno 2007, intercorsa tra (OMISSIS) ed il suo convivente (OMISSIS) all'interno della loro abitazione, nella quale (premessa la circostanza relativa al ravvisato maneggio di carta, che emergeva dall'ascolto dei rumori di fondo, ben compatibile con la predisposizione di disegni per tatuaggi) il (OMISSIS) manifestava nervosismo e fretta di liberarsi di materiale compromettente e si doleva del fatto che mancasse una "E" in una lettera inviata a (OMISSIS), circostanze queste evidentemente equivoche e non conducenti verso alcuna certa ipotesi di paternita' della rivendicazione. Il riferimento alla testimonianza (OMISSIS) sulla prassi degli uffici postali - effettuato dal giudice di primo grado e non modificato dalla Corte territoriale - per confortare l'interpretazione del contenuto della intercettazione, sarebbe frutto di un travisamento della prova dichiarativa. Sarebbe, altresi', illogica l'affermazione della Corte volta a giustificare l'errore grammaticale cui si riferiva l'intercettazione come riferibile all'uso di normografi. Il ricorrente riprende poi il tema della intercettazione ambientale del 24 giugno 2007, per censurare la valenza indiziaria di tale dato processuale, che intenderebbe provare la circostanza che la (OMISSIS), in quella data, nella propria abitazione, fosse stata l'artefice della lettera inviata a (OMISSIS). La Corte avrebbe solo congetturato che la (OMISSIS), alla presenza attiva del (OMISSIS), stesse maneggiando carta e non diverse predisposizioni di bozzetti di tatuaggi e che la frase proferita dal (OMISSIS) "manca una e" si riferisse alla missiva, essendo illogico che gli imputati non avessero cestinato la missiva sbagliata ed avessero usato un normografo. Nessuna logicita' accompagna in particolare la sconfessione della tesi degli imputati tesa a dimostrare che la (OMISSIS) sarebbe stata impegnata in un bozzetto per tatuaggi, tenuto conto della compatibilita' di tale tesi con le frasi captate. Sarebbe stata equivocata anche la fretta manifestata dal (OMISSIS) nella conversazione intercettata e le ragioni di tale fretta, posto che la lettera a (OMISSIS) ed al giornale La Repubblica erano cronologicamente lontane dagli attentati e la data della conversazione non aveva alcun particolare significato rispetto ad un qualche evento. Si rievoca la testimonianza (OMISSIS) per sostenere che la lettera poteva essere stata imbucata "potenzialmente nell'arco di tre giorni ed in una qualunque delle buche delle province di (OMISSIS) ed (OMISSIS)". In ogni caso, non sarebbe certo che (OMISSIS) avesse effettuato un controllo dello scritto della (OMISSIS) e che la lettera, anche a voler essere intesa nel senso propugnato dalla Corte, fosse stata redatta da chi era responsabile dei reati di cui alle imputazioni, contenendo solo generiche minacce a che la (OMISSIS) non svolgesse attivita' per i Centri Temporanei, non essendo significativa la firma come (OMISSIS) (OMISSIS). Evidente dunque la contraddizione in cui sarebbero caduti i giudici di merito allorquando hanno sostenuto che l'imputata e (OMISSIS) fossero soggetti particolarmente accorti nello sviare le indagini, per poi attribuire loro una condotta altamente imprudente quale quella di aver confezionato due missive da casa loro, con l'uso di un normografo e di averle imbucate in una cassetta postale sita poco distante dalla loro abitazione (in (OMISSIS)), peraltro in giornata domenicale, che non prevedeva il ritiro della corrispondenza. II) il secondo travisamento riguarda la conclusione cui e' giunta la Corte di ritenere che il giudizio espresso dalle grafologhe consulenti tecniche del Pubblico ministero, (OMISSIS) e (OMISSIS), di "media probabilita'" di attribuzione all'imputata (ed al (OMISSIS)) degli scritti relativi ai vari episodi in contestazione ai capi indicati, potesse costituire un indizio di colpevolezza. La sentenza impugnata e quella di primo grado non avrebbero tenuto conto delle precisazioni fornite dalle consulenti in sede dibattimentale in ordine al significato della espressione "media probabilita'", tralasciando anche il contenuto della deposizione del teste (OMISSIS), responsabile della Sezione Grafica del RIS di Parma, che ha escluso sul punto ogni seria rilevanza indiziaria del dato rilevato. Le consulenti non avrebbero affermato una "qualificata probabilita' di attribuzione" come enfaticamente ha sostenuto la Corte territoriale. Sarebbe stato, inoltre, omesso ogni riferimento al dato secondo il quale tale conclusione non era esaustiva e necessitava di ulteriori operazioni di indagine. Il teste (OMISSIS), dal canto suo, aveva escluso in radice che quel tipo di scritti potesse essere sottoposto a "confronti attributivi tra il materiale manoscritto ed eventuali scritti sicuramente riconducibili a sospetti". Di tanto non si e' dato conto in sentenza. Queste incertezze farebbero crollare il giudizio di responsabilita' espresso nel merito a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati indicati, che si fondava "sulla certa attribuzione ai due imputati delle missive contenenti i plichi esplosivi e quindi delle lettere minatorie con le quali veniva data esecuzione alla seconda fase di attentati della cd. Operazione Fai Da Te, che al contempo preannunciava e minacciava la verificazione della terza fase". III) Il terzo travisamento attiene al giudizio espresso dalla Corte territoriale che aveva accolto la tesi del cosiddetto "autoricalco", quale operazione volutamente posta in essere dagli autori degli scritti per sviare le indagini. La relazione del RIS e la deposizione del teste (OMISSIS) non avrebbero dovuto portare a tale conclusione se correttamente interpretate a proposito delle modalita' e caratteristiche della grafia, che non consentivano, come prima detto, alcun confronto attributivo, al contrario di quanto sostenuto dalle consulenti del pubblico ministero. Il ricorso trasfonde e commenta alcune parti dell'elaborato del RIS e della deposizione del teste (OMISSIS) (fol. 160 e ss.) al fine di smentire che potesse certamente essersi trattato di un autoricalco anziche' di un ricalco posto su grafia di terzo soggetto, tesi anche logicamente piu' aderente al dato che le missive contenevano scritti redatti con il normografo che dimostrava la massima cautela degli autori volta ad evitare di fornire elementi per la loro identificazione. Ulteriore travisamento e' espresso dall'affermazione della Corte (pag. 139 sentenza appello) secondo cui l'attendibilita' delle valutazioni svolte dalle consulenti del p.m. sarebbe stata in qualche modo condivisa perfino dal c.t. della difesa prof. (OMISSIS) (fol. 164). Il prof. (OMISSIS), che e' un filologo romanzo e non un grafologo, non ha esaminato i reperti, non li ha comparati e non ha svolto lavori sugli originali. Ha solo concordato sul fatto che la componente dissimulatoria degli scritti fosse elevata e dunque non consentiva di attribuire alla scrittura esaminata carattere indiziario. IV) Ulteriore travisamento e' costituito, secondo la ricorrente, dalla frase contenuta a fg. 134 della sentenza di appello secondo cui "l'utilita' a fini attributivi della busta (OMISSIS), che conferma ulteriormente seppur indirettamente gli accertamenti delle dottoresse (OMISSIS) e (OMISSIS) (e' bene ricordare che il RIS non ha proceduto a comparazioni"). Infatti, le consulenti non si sarebbero mai accorte che gli scritti in verifica fossero oggetto di attivita' di ricalco, apprendendo la circostanza solo al dibattimento, sicche' non avevano concentrato le loro analisi sulla parte grafica sfuggita al ricalco ("non sull'inchiostro aderente al solco ma bensi' sulle eventuali movenze grafiche sfuggite all'autore del ricalco e utili per un confronto grafologico"). V) Ulteriore travisamento e' costituito dalla circostanza che la Corte territoriale avrebbe affermato, ai fol. 138 e 139 della sentenza impugnata, che vi fosse una compatibilita' tra le conclusioni delle consulenti del pubblico ministero e quelle della Polizia Scientifica (teste (OMISSIS)) a proposito delle caratteristiche intrinseche della grafia del (OMISSIS). L'analisi della testimonianza (OMISSIS) porterebbe a diversa conclusione e, cioe', ad una disomogeneita' di giudizio sui caratteri della grafia dell'imputato (OMISSIS). In conclusione, osserva la ricorrente che i suesposti travisamenti avrebbero scardinato l'impianto accusatorio su cui si e' basata la sentenza impugnata, gli ulteriori elementi a corredo mancando del "principale ed irrinunciabile argomento dimostrativo" costituito dalla attribuzione alla ricorrente o al (OMISSIS) delle missive contenenti gli ordigni attraverso gli esiti della consulenza grafologica (il riferimento e', in particolare, ad una conversazione ambientale). VI) La ricorrente ravvisa un ulteriore vizio motivazionale per illogicita' e travisamento nella circostanza che la Corte, non attribuendo importanza alla richiesta di archiviazione per i fatti commessi nel quartiere (OMISSIS) (capi L ed M) aveva affermato che il contesto investigativo si era avvalso di elementi di conoscenza inferiori rispetto al processo, cosi' neutralizzando la portata del rilievo. Il testo della richiesta di archiviazione del Pubblico ministero, riprodotto ai fol. 174-, 176 del ricorso, dimostrerebbe la totale sovrapponibilita' del materiale cognitivo, ad eccezione della consulenza grafologica, della cui irrilevanza indiziaria si e' gia' detto sopra. 5.5. Violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova (consulenza (OMISSIS) (OMISSIS)) ed illogicita' manifesta ancora con riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M (ancora una volta il motivo e' sostanzialmente sovrapponibile a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS)). 5.5.1. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato la consulenza grafologica alla luce dei principi regolatori della prova scientifica nel processo penale, erroneamente attribuendo ad essa il rango di indizio di colpevolezza. Nessuna verifica risulta infatti svolta sul rigore scientifico della consulenza. I) In particolare, la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che "le consulenti del pubblico ministero avevano omesso di compiere la preliminare analisi delle scritture in verifica allo scopo di valutare se fossero presenti tracce sottostanti la scrittura e quindi apprezzare se gli indirizzi vergati sulle buste fossero il risultato di un gesto grafico condotto con spontaneita' o diversamente si caratterizzasse per modalita' spersonalizzanti o totale artificiosita', nonche' se la traccia inchiostrata fosse attribuibile ad un solo contributore o, come nel caso di specie, a due autori. Verifica preliminare alla quale, come nell'esame condotto dal RIS, poteva conseguire anche il giudizio di non comparabilita' delle verificande" (fol. 181 del ricorso). Ne sarebbe conseguita una motivazione illogica, quale quella contenuta ai fol. 135 e 136 della sentenza impugnata. In particolare, sarebbe illogico il fatto che la Corte non abbia ritenuto necessaria la verifica strumentale preliminare prima indicata, in quanto i reperti erano stati precedentemente oggetto di analisi chimica condotta dal RIS nel 2006. Tale omissione - peraltro non giustificata se non quanto all'impossibilita' di verificare la pressione del gesto grafico - aveva fatto ritenere alle due consulenti del Pubblico ministero di operare su scritti autentici, seppur verosimilmente oggetto di dissimulazione, ma non su tracce, solchi pressorei oggetto di ricalco riconducibili a due autori, che potevano essere rilevate indipendentemente dall'accertamento del RIS del 2006 se le consulenti avessero effettuato le operazioni preliminari strumentali "con la luce radente" o con microscopio. La Corte, per quanto detto nel precedente motivo di ricorso, avrebbe trascurato, sul punto, anche l'apporto dichiarativo del teste (OMISSIS) del RIS, del quale il ricorso riporta un tratto saliente a fol. 186-186. II) Le sentenze di merito avrebbero illogicamente sostenuto che il teste (OMISSIS) aveva avallato la possibilita' che si potesse lavorare su una piccola percentuale dei segni grafici in quanto non ricalcati, circostanza che egli, ad avviso del ricorrente, aveva soltanto ipotizzato e che, comunque, si fondava sulla scomposizione tra segni grafici ricalcati e non che era sfuggita alle consulenti (fol. 185 del ricorso). III) Sarebbe illogica e non ancorata a nessuna indicazione scientifica anche l'affermazione del giudice di primo grado (fol. 213 della prima sentenza) sulle modalita' del ricalco, non adombrata dal teste (OMISSIS) e che le consulenti non potevano affrontare in quanto non consapevoli del ricalco (fol. 189 del ricorso). Sarebbe stata esclusa l'ipotesi ricostruttiva che la ricorrente ritiene piu' plausibile e, cioe', che "per redigere gli indirizzi delle missive in verifica gli autori del gesto abbiano vergato i solchi pressori utilizzando gli scritti di due distinti soggetti, successivamente inchiostrandoli, cosicche' da una successiva analisi comparativa gli stessi appaiono separabili in base a somiglianze di puro ordine formale" (fol. 190 del ricorso). IV) La sentenza impugnata sarebbe illogica anche per aver attribuito carattere omogeneo e di conferma alle conclusioni delle consulenti rispetto a quelle del RIS, posto che quest'ultimo organo tecnico non aveva effettuato alcuna comparazione o analisi grafologica dei segni grafici perche' ritenuta non possibile, limitandosi ad evidenziare una similitudine di puro ordine formale ed attribuendo alla lettera a (OMISSIS) un limitato coefficiente probatorio. V) La ricorrente ribadisce che nessuna conferma al lavoro delle consulenti poteva ritenersi provenire dalla deposizione del teste (OMISSIS). VI) Ulteriore illogicita' "e' concretizzata dal tentativo di predicare la possibilita' che il gesto scrittorio analizzato dalla Polizia Scientifica, con i riferiti elementi connotanti, sia stato alterato dalla circostanza che l'emittente autore, stesse copiando un testo o lo stesse redigendo sotto dettatura" (fol. 138 della sentenza impugnata). Tale assunto contrasterebbe con l'impossibilita' congenita di chi scrive di modificare alcuni tratti della propria grafia. VII) La ricorrente, censurando altro passaggio della sentenza impugnata, reitera le proprie doglianze rispetto alla mancata effettuazione delle verifiche preliminari sui reperti. VIII) La ricorrente censura di nuovo la sentenza impugnata - ed, in particolare, la frase contenuta a fol. 133 della statuizione della Corte - per aver conferito il rango di valido indizio e non di semplice sospetto o di "indizio debole" alle conclusioni delle consulenti che si erano espresse in termini di "media probabilita'" della attribuzione degli scritti al (OMISSIS) ed alla (OMISSIS). Ne' poteva attribuirsi all'indizio il carattere della gravita' per il fatto che "i due giudizi di media probabilita' sarebbero riferibili a due imputati conviventi anarchici torinesi", dal momento che alle due consulenti erano stati consegnati scritti riferibili "a sole tre persone, tra loro legate da stretti vincoli relazionali amicali e sentimentali, tutti e tre residenti a (OMISSIS), tutti e tre facenti parte della medesima area anarchica", cosicche' si sarebbe verificato un "esito scontato" frutto della "scelta investigativa operata dal pubblico ministero che limitava a soli tre imputati la comparazione". 5.5.2. Vizio di motivazione per mancanza, per non avere la Corte tenuto conto sempre con riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M - delle controdeduzioni difensive, contenute nell'atto di appello, rispetto ad una serie di elementi valutati dal giudice di primo grado e riprodotti ai fol. 202-210 del ricorso. In particolare, quanto alla consulenza linguistica del dottor Cortellazzo, alle anomalie delle tracciature dei normografi, alla similitudine tra gli ordigni, alla allegazione del testo "4 anni" per la rivendicazione dei fatti della (OMISSIS) considerato copia in formato elettronico dell'originale (fol. 203 204 del ricorso). La Corte non avrebbe fatto menzione degli argomenti difensivi salvo che per i caratteri dei normografi, cosi' impedendo che la confutazione portasse ad un giudizio favorevole per la posizione dell'imputata, tenuto conto della rilevanza e decisivita' dei temi di prova. 5.6. Violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo F (attentato scuola allievi c.c. di (OMISSIS)) ex articolo 422 c.p. anziche' ex articolo 280 o 280-bis c.p. (ancora una volta motivo comune a quello proposto nell'interesse di (OMISSIS), che si richiama). 5.7. Violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata nell'overturning relativo ai delitti di cui all'articolo 414 c.p. (motivo ancora comune ad (OMISSIS)) In riferimento al reato di istigazione a delinquere di cui al capo Q, che l'imputata avrebbe commesso quale redattrice del progetto editoriale (OMISSIS) nuova edizione ((OMISSIS)), composto da un blog e da una rivista cartacea di chiara ispirazione anarchica, acquisiti al dibattimento nella loro interezza. La Corte territoriale, ribaltando il giudizio assolutorio di primo grado, non avrebbe adottato una motivazione rafforzata per giungere all'opposto convincimento, ne' erano emersi elementi di prova differenti rispetto a quelli valutati dal primo giudice. Elementi che avevano condotto la Corte di assise a ritenere che si fosse trattato solo di propaganda sovversiva - condotta non piu' prevista dalla legge come reato in forza dell'abrogazione dell'articolo 272 c.p. - e non di espressioni di contenuto apologetico/istigatorio, per queste intendendosi quelle volte a far commettere uno o piu' reati specifici e non a sollecitare una condotta genericamente eversiva quandanche violenta. Trattasi, secondo la ricorrente, soltanto di una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio senza confutazioni della precedente decisione di opposto segno. 5.7.1. Sugli stessi capi la ricorrente deduce anche illogicita' e mancanza della motivazione. 6. Ricorso congiunto di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (Capo P). 6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (fgg. 2-10 del ricorso). Il motivo e' sovrapponibile al primo motivo di ricorso del ricorrente (OMISSIS). 6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per i reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui al capo P, che gli imputati avrebbero commesso quali responsabili/gestori o contributori dei siti-blog (OMISSIS), (OMISSIS) (fgg. 11-32 del ricorso). Il motivo e' sovrapponibile al motivo 14 del ricorso (OMISSIS), cambiano i blog di riferimento. Deve soltanto aggiungersi, ad ulteriore chiarimento, che, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale, al contrario del giudice di primo grado, non riteneva che i siti si fossero limitati a svolgere una attivita' di controinformazione quale libera (e lecita) manifestazione di un pensiero politico, ma quale specifica sollecitazione ai lettori al compimento di specifici delitti con finalita' di terrorismo. I ricorrenti, ai fgg. 17 e 18 del ricorso, riportano uno stralcio ritenuto significativo della motivazione avversata, segnalando che la Corte si sarebbe limitata a "riportare alcuni stralci delle pubblicazioni, rappresentate, nella maggior parte dei casi, da comunicati di attentati avvenuti in diverse parti del mondo e ad opera di diversi gruppi e soggetti non solo riconducibili alla (OMISSIS)-(OMISSIS)". I giudici di secondo grado, inoltre, non avrebbero dato conto neanche della circostanza che i ricorrenti erano stati assolti dal reato associativo di cui al capo A (per essere stati promotori della apertura internazionalista del 2011 che aveva condotto all'uso della sigla (OMISSIS)-(OMISSIS)), cio' che aveva determinato l'esclusione della aggravante del nesso teleologico contestata al capo P e, con essa, dell'ipotesi accusatoria che le condotte illecite ivi rappresentate fossero funzionali alla vita della organizzazione (OMISSIS)-(OMISSIS). 6.3. Vizio della motivazione dovuta al travisamento della prova in relazione alla sussistenza della finalita' di terrorismo e del dolo istigatorio, che i ricorrenti ritengono essere insussistenti (fgg. 21-32 del ricorso). Secondo la prospettiva del ricorso, la Corte territoriale avrebbe travisato le emergenze processuali - gli interi contenuti dei blog (OMISSIS) ed (OMISSIS) acquisiti al dibattimento - che l'hanno condotta ad affermare che il sito-blog "(OMISSIS)" avesse perseguito in special modo "la finalita' istigatoria di coagulare attorno a se' persone favorevoli alla realizzazione della federazione anarchica internazionale vagheggiata da (OMISSIS) e mettere i siti-blog al servizio della realizzazione del progetto (OMISSIS)-(OMISSIS), che tale era rimasto" (fg. 23 del ricorso). Il ricorso approfondisce i dati e la struttura relativi al sito (OMISSIS) (fgg. 25) per dimostrare la fondatezza dell'assunto difensivo secondo il quale tale sito-blog aveva ospitato, tra il 2009 ed il 2012, ben 3635 documenti attinenti alle piu' varie tematiche, molte delle quali non riferibili alla (OMISSIS)-(OMISSIS), sicche' non poteva dirsi che esso fungesse da "cassa di risonanza di tale sigla" o si fosse occupato solo di essa, cosi' come emergerebbe dalla lettura della Corte di secondo grado, che aveva selezionato e ritenuto rilevanti solo alcuni documenti, indicati ai fgg. 28 e 29 del ricorso. Inoltre, le modalita' di invio al ricorrente (OMISSIS) del documento "Non dite che siamo pochi" - come spiegato dal teste (OMISSIS) del Ros di Milano - dimostrerebbe come gli imputati non fossero considerati "interlocutori privilegiati" dei membri della (OMISSIS)-(OMISSIS) (fgg. 29,30). Inoltre, la Corte di assise di primo grado aveva sottolineato che non si potesse attribuire particolare autorevolezza al (OMISSIS) ed alla (OMISSIS), nella prospettiva accusatoria, in relazione al ricevimento dal Messico delle bozze per il perfezionamento del nuovo simbolo (OMISSIS)-(OMISSIS) (fgg. 30,31). 6.4. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale motivato in ordine alla decisiva differenza tra una attivita' di propaganda sovversiva anche violenta ed una attivita' di istigazione riconducibile all'articolo 414 c.p., specie in considerazione della genericita' del capo di imputazione sub P e del fatto che i documenti sui siti blog, anche quelli valorizzati dalla Corte, erano riprodotti senza alcun commento di approvazione o esaltazione, rappresentando soltanto uno "strumento di diffusione del pensiero anarchico", anche violento, ma mai una concreta istigazione a commettere specifici delitti ritenuta pericolosa per l'ordine pubblico. In proposito, il ricorso cita una recente pronuncia di legittimita' (n. 36816 del 2020) relativa all'articolo 414 c.p. ed alla differenza con l'articolo 272 c.p. abrogato. 7. Ricorso (OMISSIS). 7.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (motivo comune a tutti i ricorrenti). 7.2. Violazione della legge processuale e vizio di motivazione per non avere la Corte ritenuto che l'appello del Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado fosse inammissibile per genericita' dei motivi (motivo ancora comune). 7.3. Violazione di legge e vizio di motivazione (contraddittorieta' e mancanza) per non avere la Corte valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile all'articolo 270-bis c.p. contestato al capo A (motivo comune a (OMISSIS) e (OMISSIS)). 7.4. Violazione della legge penale sostanziale, per erronea applicazione dell'articolo 270 bis c.p., mancanza ed illogicita' della motivazione, travisamento della prova su punti decisivi della sentenza. I motivi di appello svolti sul punto (difetto di struttura organizzativa stabile) sono stati affrontati dalla Corte in maniera del tutto apparente. In primo grado e' stata sul punto valorizzata l'impressione personale del teste della polizia giudiziaria (DIGOS) (OMISSIS). Dal testimoniale acquisito non si evince invece alcuna valorizzazione degli aspetti organizzativi, dire il contrario significa operare una contraffazione del testo di prova. Diverso era invece l'oggetto della prova, ovvero se gli anarchici avessero inteso formare una struttura organizzata dedicata allo scopo eversivo (pag. 50-65 ricorso). Il ricorrente sostiene che la Corte avrebbe fondato la decisione di ritenere integrato il reato di associazione con finalita' di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico su circostanze meramente congetturali ed inidonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di tale fattispecie. Vengono ripresi argomenti trattati nel terzo motivo di ricorso ed inerenti al fatto che la Corte territoriale non avrebbe valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile all'articolo 270-bis c.p.. Si critica l'assunto iniziale posto a base del ragionamento della Corte, vale a dire il fatto che nel presente processo vi fossero elementi di novita' rispetto ai precedenti, "essendosi le indagini estese al di la' dei primi anni successivi al documento "Chi Siamo" fino ai piu' recenti sviluppi della (OMISSIS) ed alla tensione all'internazionalizzazione della sua esperienza di lotta (OMISSIS)-(OMISSIS), aspetti certamente sopravvenuti rispetto ai fatti gia' giudicati". Infatti, ad avviso del ricorrente, i due procedimenti di cui alle sentenze della Corte di assise di Perugia del 22/10/2013 e della Corte di assise di appello di Roma del 21/05/2015 avrebbero avuto ad oggetto identico accertamento rispetto a quello odierno, prendendo in esame i documenti "Chi Siamo" del 2003, "4 anni" del 2007 e "Non dite che siamo pochi" dell'agosto del 2011, stesso anno in cui era stata utilizzata la sigla (OMISSIS)-(OMISSIS). E, cioe', se "al di la' dei proclami nei documenti cosiddetti fondativi, fosse possibile individuare dietro la sigla (OMISSIS) (a anche (OMISSIS)-(OMISSIS)) utilizzata da singoli e gruppi per rivendicare attentati di varia natura, una struttura associativa riconducibile al paradigma di cui all'articolo 270-bis c.p. " anziche' "una associazione di matrice anarchica orizzontale, costituita da gruppi di azione e da singoli individui, priva di centro decisionale, che non ricalca le orme di un partito armato di vecchia memoria e in cui non possono quindi individuarsi per ragioni connaturate alla stessa ideologia sottostante, ne' ruoli strettamente definiti e differenziati tra gli affiliati, ne' beni comuni quali covi ecc.". Il ricorrente riprende sia passaggi argomentativi della sentenza impugnata, sia tratti della sentenza della Corte di Assise di Roma del 28/02/2006, irrevocabile nel novembre del 2011, ed anche di altre decisioni di merito e di legittimita' per sostenere che anche nell'odierno processo, come negli altri, non si avrebbe prova della esistenza di una struttura organizzata riconducibile alla (OMISSIS)-(OMISSIS), che non sarebbe desumibile, non solo dalla ideologia di fondo, ma neanche dalla commissione, da parte di alcuni imputati, di alcuni specifici fatti-reato rivendicati dalla sigla (OMISSIS)-(OMISSIS), rivisitati a seguito di quello relativo al ferimento dell'ing. (OMISSIS) (rivendicato dal nucleo (OMISSIS) (OMISSIS)-(OMISSIS)) per il quale il ricorrente era stato condannato in uno a (OMISSIS) o dalla commissione di altri fatti reato rivendicati dalla cellula o "gruppo di affinita'" (OMISSIS)-(OMISSIS). Il ricorrente contesta il giudizio della Corte circa il fatto di aver ritenuto che gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), avessero apertamente manifestato, fin dagli anni âEuroËœ90 dello scorso secolo, la loro approvazione per un tipo di lotta anarchica stabilmente strutturata. Sotto questo profilo, si sostiene in ricorso che la Corte avrebbe travisato le prove, costituite: da documenti pubblicati negli ultimi 25 anni in riviste di area anarchica, alcuni firmati da (OMISSIS) e (OMISSIS), dimostrativi del fatto che la (OMISSIS) non costituirebbe soltanto una emanazione delle teorie di (OMISSIS). Tanto, attraverso una lettura distorta - per le ragioni indicate ai fgg. 268 e segg. del ricorso - dei vari documenti offerta dal teste (OMISSIS) della Digos di (OMISSIS), che non sarebbe altro che una personale visione e valutazione di un testimone (peraltro differente da quella poi assunta dalla Corte) e non un fatto; - dalla interpretazione, erroneamente ritenuta collegata ai precedenti scritti, dei documenti a firma (OMISSIS) "Chi siamo", "4 anni" e "Non dite che siamo pochi", fermo restando l'assenza di prova che il ricorrente e la (OMISSIS) ne fossero stati gli autori. Il ricorrente riproduce in ricorso alcuni passaggi della motivazione di un provvedimento del Tribunale di Bologna emessa nel 2005 in sede cautelare; dalla vicinanza temporale di alcuni attentati e dalle rivendicazioni; dal possesso in capo al (OMISSIS) dell'originale del documento "4 anni", che ogni anarchico avrebbe potuto possedere a marzo del 2007. In sostanza, al di la' delle ideologie ascrivibili al (OMISSIS) ed agli altri imputati fondate sulla interpretazione di documenti, non esisterebbero fatti specifici concreti, legati ad altrettanto concrete condotte, per affermare l'esistenza di una struttura organizzata anarchica, riconducibile al paradigma disegnato all'articolo 270-bis c.p., nella quale l'imputato (OMISSIS) e gli altri ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbero stati inseriti in posizione di vertice. 7.5. Violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata nell'overturning relativo ai delitti di cui all'articolo 414 c.p.. In riferimento al reato di istigazione a delinquere che l'imputato avrebbe commesso quale redattore del progetto editoriale (OMISSIS) nuova edizione ((OMISSIS)), composto da un blog e da una rivista cartacea di chiara ispirazione anarchica, acquisiti al dibattimento nella loro interezza. La Corte territoriale, ribaltando il giudizio assolutorio di primo grado, non avrebbe adottato una motivazione rafforzata per giungere all'opposto convincimento, ne' erano emersi elementi di prova differenti rispetto a quelli valutati dal primo giudice. Elementi che avevano condotto la Corte di Assise a ritenere che si fosse trattato solo di propaganda sovversiva - condotta non piu' prevista dalla legge come reato in forza dell'abrogazione dell'articolo 272 c.p. - e non di espressioni di contenuto apologetico/istigatorio, per queste intendendosi quelle volte a far commettere uno o piu' reati specifici e non a sollecitare una condotta genericamente eversiva quandanche violenta. Il giudice di primo grado riteneva che gia' l'imputazione fosse indeterminata sotto il profilo di interesse. La Corte territoriale, che il ricorrente riporta in ricorso nei passaggi ritenuti significativi, avrebbe ritenuto, invece, che la lettura degli articoli della rivista, coordinata con quella del blog, consentisse di estrarre dei riferimenti a specifici reati collegati alla lotta anarchica ed al terrorismo, con concreta pericolosita' dell'azione dedotta dal successo della rivista e degli incontri organizzati dagli autori. Trattasi, secondo il ricorrente, soltanto di una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio senza confutazioni della precedente decisione di opposto segno. Ne' la lettura incrociata della rivista e del sito internet avrebbe potuto portare a conclusioni differenti, poiche' anche su questo punto la sentenza di primo grado si era soffermata, reputando che le immagini contenute sul blog non fossero significative per la prova del reato. 7.6. Carenza di potere del giudice nel condannare per fatto non piu' costituente reato, 272 c.p. e non 414 (fol. 91 e ss. del ricorso), il tema dedotto e' quello del distinguo apologia/istigazione. 7.7. Con la memoria di replica trasmessa a mezzo p.e.c., il resistente deduce la inammissibilita' del ricorso del Procuratore generale, per la aspecificita' dei motivi, che si palesano come meramente reiterativi di doglianze di merito e propongono solo alla Corte una differente lettura dei medesimi elementi indiziari, gia' congruamente apprezzati dalla Corte di merito con motivazione logica ed aderente alle evidenze. Conclude per la inammissibilita' del ricorso. 8. Ricorso congiunto di (OMISSIS) e (OMISSIS). Capi R e S. 8.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (fgg. 3-12 del ricorso). Il motivo e' sovrapponibile al primo motivo di ricorso del ricorrente (OMISSIS), di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' come di tutti gli altri ricorrenti. 8.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' dei ricorrenti per il reato di istigazione a delinquere di cui ai capi R (per il (OMISSIS)) ed S (per la (OMISSIS)), che gli imputati avrebbero commesso, il (OMISSIS), "nella sua attivita' di elaborazione, redazione e divulgazione attraverso il sito radioazione.org e la (OMISSIS) nella sua attivita' di elaborazione, redazione e divulgazione, sia, in concorso con (OMISSIS), attraverso il sito radioazione.org, sia attraverso il sito (OMISSIS)". (fgg. 13-28 del ricorso). Il motivo e' sovrapponibile al motivo 14 del ricorso (OMISSIS) ed al motivo secondo del ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); cambiano i blog di riferimento. Deve soltanto aggiungersi, ad ulteriore chiarimento, che, secondo i ricorrenti, anche in relazione alle condotte degli imputati la Corte territoriale avrebbe commesso lo stesso errore, gia' evidenziato a proposito del ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), di selezionare solo alcuni articoli (citati a fg. 24 del ricorso) fra la mole di quelli ospitati dai blog ai quali i ricorrenti partecipavano, cosi' travisando l'interpretazione degli elementi di prova. A fg. 25 del ricorso, si richiama l'attivita' svolta dai due ricorrenti - e gia' compiutamente analizzata dal giudice di primo grado che li aveva assolti - per sostenere che si sarebbe trattato solo di controinformazione sostanzialmente riconducibile alla propaganda sovversiva violenta, ma non alla istigazione riconducibile all'articolo 414 c.p.. 8.3. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale motivato in ordine alla decisiva differenza tra una attivita' di propaganda sovversiva anche violenta ed una attivita' di istigazione riconducibile all'articolo 414 c.p.. Motivo sovrapponibile al quarto del ricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Si da' atto che i ricorrenti hanno depositato una memoria di sintesi degli argomenti gia' trattati con i motivi di ricorso innanzi esposti. 9. Ricorso (OMISSIS); 10. Ricorso (OMISSIS); 11. Ricorso (OMISSIS); 12. Ricorso (OMISSIS); 13. Ricorso (OMISSIS). 12.1. Il solo (OMISSIS) deduce violazione della norma processuale (articolo 192, comma 2, c.p.p.), vizio di motivazione e travisamento della prova intercettiva, nell'aver ritenuto presente il (OMISSIS) nella casa della (OMISSIS) nella riunione di redazione dell'agosto, laddove sono proprio le conversazioni intercettate a dar conto della non contemporanea presenza a casa della (OMISSIS) di (OMISSIS) e degli altri redattori. I cinque ricorrenti appena sopra indicati hanno presentato un ricorso collettivo con il quale deducono: 1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex articolo 603, comma 2, c.p.p., finalizzata alla assunzione di una prova decisiva, sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado, ai fini della dimostrazione della tardivita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado (motivo comune a tutti i ricorrenti). 2. Violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata nell'overturning relativo ai delitti di cui all'articolo 414 c.p. (motivo ancora comune a tutti i ricorrenti attinti da condanna per il delitto di cui all'articolo 414 c.p.). 3. Carenza di potere del giudice nel condannare per fatto non piu' costituente reato, 272 c.p. e non 414, il tema e' sempre quello della apologia/istigazione. 4. Illogicita' e mancanza di motivazione, articolo 606, comma 1, lettera e, c.p.p., per aver ritenuto penalmente rilevante la condotta in fatto contestata, senza sul punto of(OMISSIS)re alcun riscontro alle nitide e lucide argomentazioni offerte dalla Corte di primo grado e dai motivi di resistenza. 14. (OMISSIS) e (OMISSIS), motivi comuni: le denunziate violazioni di legge (articolo 110 c.p.) ed i vizi di motivazione rilevati, per contraddittorieta' mancanza, sia con riferimento al delitto di cui all'articolo 414 contestato al capo Q, che con riferimento alla differente valutazione offerta degli elementi idonei a dimostrare la partecipazione associativa, sono ad avviso dei resistenti altrettante doglianze di merito, con le quali si tende a censurare la valutazione di fatto operata dalle Corti di merito. I resistenti concludono pertanto per la inammissibilita' del ricorso proposto dal Procuratore generale. 15. Con memoria trasmessa a mezzo p.e.c. il 6 maggio 2022, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) chiedevano, a ministero dei rispettivi difensori, la inammissibilita' o, in subordine, il rigetto del ricorso proposto nei loro confronti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, in riferimento ai delitti di cui ai capi A, F, L. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il processo presenta aspetti dogmatici di particolare complessita'. 1.1. Esso, attraverso la contestazione del fatto associativo descritto al capo A, disegna una organizzazione di matrice anarchica ((OMISSIS), (OMISSIS), da tener distinta, nonostante l'omonimia dell'acronimo, dalla (OMISSIS)) che ha offerto usbergo identitario a numerose rivendicazioni di attentati commessi a partire dall'anno 2003. Viene rappresentata una struttura stabile ed organizzata, di respiro persino internazionale, tale da integrare il "tipo" delineato dal legislatore all'articolo 270-bis c.p.. Il che pone immediatamente un problema di antinomia ideologica, risolto nel percorso di analisi delle evidenze dimostrative del fatto e del "tipo", giacche' non e' chi non veda come la stessa esistenza di una struttura organizzata si ponga in ideale conflitto con lo spirito anarchico che aveva ispirato la dottrina del (OMISSIS) (ideologo della (OMISSIS)); spirito certamente refrattario a vincoli e gerarchie. La stessa rassegna di giurisprudenza diffusamente esaminata nel giudizio di merito rende epifania, nello specchio empirico del dogma, di una tale difficolta', richiamando in positivo l'esistenza di "gruppi di affinita'" operativi (coagulati intorno agli scopi, alle azioni ed agli obiettivi) che rappresentano cellule, poco piu' che embrionali, della associazione sovversiva incriminata; mentre, in negativo, si e' sovente segnalata l'assenza di un "luogo", di un "organismo centrale", di organi deliberanti verticistici in grado di orientare, se non di imporre, una strategia agli associati. Anche la decisione oggi impugnata riflette tali immanenti problematiche, declinandole in ambito sia dogmatico, che empirico; arrivando infine a identificare, sulla base di evidenze che hanno assunto le piu' disparate morfologie, nei differenti coefficienti di intensita' indiziaria scrutinati, una cellula "eversiva" strutturata intorno a tre nuclei soggettivi, affacciati da scopi comuni, comuni risorse, comuni idealita', metodi replicati, conoscenze condivise, solidarieta' manifestate e, soprattutto, una pluralita' di azioni portate a compimento in un concorso di efficace e consapevole collaborazione. Il giudice del merito, nell'opera volta ad accertare singole responsabilita' associative, ha dunque affrontato dapprima il momento dell'accertamento della esistenza e della effettiva capacita' operativa di una tale cellula, su cui innestare il contributo partecipativo del singolo, per poi aprire il sipario sul tema della consistenza materiale delle condotte individuali. L'oggetto della dimostrazione sul proscenio della Assise si e' dunque tradotto, innanzi tutto, nella manifestazione empirica della bidirezionalita' delle "conoscenze" (il singolo conosce della associazione e dei suoi scopi e questa conosce del singolo la sua efficace disponibilita'), in secondo luogo, nella efficacia euristica del contributo non occasionalmente prestato ad una struttura che, ancorche' fluida, appare comunque esistente e funzionale alla realizzazione degli scopi deflagranti. Concreta fattivita' nella conoscenza: e' questa (âEuroËœendiadi che ha guidato l'opera di accertamento svolta dal giudice del merito ed e' su queste coordinate che si sono sviluppate le doglianze multipolari manifestate con i motivi di ricorso, che in questa sede di legittimita' saranno scrutinati secondo le coordinate proprie del grado. 1.2. Tuttavia, non e' solo sul campo della verifica sostanziale della imputazione che si manifestano le complessita' della regiudicanda. Non e' questa, infatti, la prima occasione di emersione processuale delle attivita' della (OMISSIS). Altri distretti hanno "vagliato" -in passato- le azioni di questa sigla anarchica, non riconoscendo nel fatto il tipo; il giudice del merito ha pertanto dovuto affrontare anche i corollari processuali di un accertamento cosi' dilatato nella dimensione cronologica, dovendo confrontarsi con le tematiche della identita' o pluralita' dei fatti associativi contestati, del conseguente divieto normativo di nuovo giudizio per i medesimi fatti (articolo 649 cod. proc. pen) e della c.d. efficacia esterna del giudicato, adottando soluzioni che, evidentemente, non hanno incontrato il consenso unanime delle parti, cosi' determinando altrettanti motivi di impugnazione. 1.3. Meno problematico, come sovente accade in fattispecie consimili, lo sviluppo argomentativo declinato rispetto alle fattispecie monosoggettive, ove le singole responsabilita', per fatti apprezzati nella dimensione ontologica e nella qualificazione giuridica del "tipo", sono state scrutinate secondo gli ordinari canoni della concretezza dell'azione, della effettivita' di rappresentazione e volizione dell'evento e della offensivita' complessiva della condotta. 2. Tanto premesso e passando ad esaminare le contrapposte ragioni di doglianza rese manifeste con i motivi di ricorso, va precisato che, con riferimento alle questioni di comune interesse sollevate con i distinti motivi di ricorso, si esporranno in motivazione i criteri guida cui il Collegio si e' ispirato nella soluzione delle tematiche comuni prospettate in diritto. 2.1. La prima questione, comune a piu' ricorrenti, ha riguardo alla ritenuta inammissibilita', per intempestivita', dell'appello proposto dal Pubblico ministero ai sensi dell'articolo 570, comma 2, c.p.p.. 2.1.1. Questa la sintesi del fatto processuale, accessibile alla Corte in ragione della natura processuale del vizio denunziato: La sentenza appellata e' stata pronunciata il 24 aprile 2019, con riserva di 90 giorni per il deposito della motivazione; con decreto del 16 luglio 2019 il Presidente del Tribunale ha disposto, ai sensi dell'articolo 154, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., la proroga di ulteriori 90 giorni per il deposito della motivazione; la sentenza e' stata depositata, nei termini prorogati, il 21 ottobre 2019; il giorno successivo la Cancelleria della Corte di Assise inoltrava alla Procura Generale a mezzo sistema di notifiche e comunicazioni telematiche l'avviso di deposito, ex articolo 548, comma 2, c.p.p.; in pari data la Cancelleria inviava comunicazione dell'avvenuto deposito, a mezzo posta elettronica ordinaria, indirizzata al pubblico ministero di primo grado ed alla sua segreteria. Da tale data, pertanto, la Corte di Assise di appello ha ritenuto dovessero decorrere, contro la parte pubblica, i termini (gg. 45 ai sensi dell'articolo 585, comma 1, lettera c, c.p.p.) per proporre impugnazione; consegue la valutazione di tempestivita' dell'appello proposto dal pubblico ministero in data 6 novembre 2019. Gia' il precedente 18 luglio 2019, tuttavia, la Cancelleria della Corte di Assise aveva inviato comunicazione del detto decreto (datato 16 luglio 2019) di proroga alle parti private, mediante posta elettronica certificata, mentre analoga comunicazione era stata inviata, con posta elettronica ordinaria originata da altro indirizzo mittente, al pubblico ministero di primo grado e all'Avvocato dello Stato, costituito parte civile. Orbene, la Corte piemontese, con la ordinanza del 1 luglio 2020, mostra di aver esplicitamente condiviso, sul punto, l'orientamento oramai consolidato assunto da questa Corte (solo tra le piu' recenti, non massimate, successive e conformi agli arresti indicati in sentenza, Sez. 1, n. 33581, del 30/10/2020; Sez. 7, ord. n. 13916 del 25/2/2021), a mente del quale "nel caso di proroga dei termini per la redazione della motivazione disposta ai sensi dell'articolo 154 comma 4 bis disp. att. c.p.p. il dies a quo per l'impugnazione decorre dalla scadenza del termine risultante dal provvedimento di proroga, qualora questo sia stato comunicato e notificato alle parti del processo, in caso contrario il termine decorre dal giorno di notificazione alle parti dell'avviso di deposito della sentenza". In fatto, pero', la stessa Corte ha ritenuto, con motivazione ribadita alle pag. 88 e ss. della sentenza impugnata, che alcuna concreta contezza vi fosse circa la effettiva conoscenza nel pubblico ministero della mail (peraltro inviata da altro indirizzo giudiziario del distretto) al suo indirizzo di posta elettronica ordinaria e personale. La Corte argomenta altresi' in sentenza stigmatizzando lo strumento usato dalla Cancelleria del giudice di primo grado per la comunicazione (del provvedimento di proroga) alla parte pubblica, in quanto contrastante con la norma processuale che regola le notifiche e comunicazioni al pubblico ministero (articolo 153 c.p.p.), tali notificazioni e comunicazioni devono infatti eseguirsi mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria, quand'anche non si dovesse ritenere che la comunicazione debba essere effettuata all'Ufficio della Procura e, dunque, alla Segreteria Generale. Le parti private hanno quindi insistito per un approfondimento istruttorio sul punto ritenuto non controvertibile dalla Corte di merito, chiedendo una forma di interlocuzione tecnica (ai sensi del comma 2 dell'articolo 603 c.p.p.) che consentisse di verificare se la comunicazione inviata in data 18 luglio 2019 all'indirizzo di posta personale del pubblico ministero avesse -in qualche modo-sortito effetti partecipativi (verifica tecnica di avvenuta, consegna, accettazione, apertura del messaggio). La Corte ha rigettato tale richiesta di interlocuzione informatica, ritenendo "non pertinenti" tali istanze rispetto al provvedimento gia' adottato, che non revocava. Di tale motivazione i ricorrenti si dolgono sotto il profilo della violazione dell'articolo 603, comma 2, c.p.p. e di quanto ricollegato alla effettiva conoscenza da parte del Pubblico ministero del decreto di proroga del termine per il deposito della sentenza ai fini della impugnazione tempestiva della sentenza di primo grado. 2.1.2. Il motivo e' manifestamente infondato in diritto. In tema di utilizzo del mezzo della posta elettronica certificata (PEC) per le comunicazioni endoprocedimentali, la giurisprudenza di questa Corte appare, allo stato, orientata ad un riconoscimento limitato a ben definite ipotesi - atteso che tale forma di notifica appare derogatoria rispetto all'ordinario regime e si pone come alternativa privilegiata soltanto in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari (Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016 - dep. 14/02/2017, Manzi, Rv. 269197; Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, Rv. 268192; Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Pmt. Alamaru, Rv. 263900; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Rv. 258443), tra le quali non si colloca la parte pubblica, come risulta dal mancato richiamo nella normativa che disciplina le notificazioni digitali dell'articolo 153 c.p.p., che al comma 2 cosi' recita: "Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al pubblico ministero sono eseguite a cura della cancelleria mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa e' avvenuta". Donde si deve concludere che la disposizione di cui al Decreto Legge 12 ottobre 2012, n. 179, articolo 16, commi 4 e 9, lettera c-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 consente l'utilizzo della PEC da parte della cancelleria del giudice o della segreteria del pubblico ministero per le comunicazioni e le notificazioni dirette alle parti private diverse dall'imputato o dal proposto, ma non anche per quelle dirette al pubblico ministero. Del resto, Decreto del Presidente della Repubblica n. 11 febbraio 2005, n. 68 articolo 2, comma 6, (cd. "Codice digitale") lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongano operante il processo telematico; di modo che, ove questo non sia instaurato, come accade nel processo penale, appare erroneo ipotizzare l'applicazione di talune delle norme (quella di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011 articolo 7, comma 10,), che nella volonta' del legislatore si iscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali. Sicche', avuto riguardo alla inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, "che costituisce il necessario approdo dell'architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti", l'uso del mezzo informatico per la trasmissione di atti endoprocessuali e' consentito nei soli casi espressamente previsti dalla legge (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D'Angelo, Rv. 272740; Sez. 5, n. 3181 del 14/11/2018, dep. 2019, Rv. 279411). Considerata, pertanto, la necessita' di assicurare l'effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento da impugnare ed avuto riguardo alla natura dei termini, stabiliti a pena di decadenza, solo dalla data della materiale consegna dell'avviso di deposito del provvedimento del giudice o del provvedimento stesso, eseguita nelle forme di cui all'articolo 153, comma 2, c.p.p., decorrono i termini previsti per l'impugnazione del pubblico ministero; con la conseguenza che, ove tale consegna non abbia avuto luogo, essendosi proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata (peraltro impropria), i termini per impugnare devono farsi decorrere dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento stesso. 2.1.3. Del resto, deve pure tenersi conto della ratio sistematica della disposizione processuale di stretta interpretazione (articolo 153 c.p.p.), che e' tesa ad assicurare la conoscenza legale dell'atto impugnabile all'Ufficio del pubblico ministero (non gia' solo ad un pubblico ministero), giacche' la facolta' di impugnazione della parte pubblica (articolo 570 c.p.p.) non e' concentrata su una "persona", quanto piuttosto diffusa nell'Ufficio, differenti ed autonome essendo le prerogative previste in tal senso dalla normativa ai commi 1 e 2 del citato articolo. Il comma 2 dell'articolo 153 del codice di rito e' dunque funzionale ad assicurare un regime di comunicazioni che consenta a tutti i titolari degli autonomi poteri di impugnazione di conoscere l'atto, il che puo' avvenire solo con la consegna o la trasmissione dello stesso alla Segreteria dell'Ufficio. 2.2. La seconda questione sollevata nell'interesse di piu' ricorrenti ha riguardo alla ritenuta inammissibilita', per difetto di specificita', dell'appello proposto dal pubblico ministero, ai sensi dell'articolo 581, comma 1, lettera d, c.p.p.. 2.2.1. La-Corte territoriale non avrebbe applicato alla fattispecie i canoni previsti dalla legge processuale oggi vigente (articolo 581, comma 1, lettera a e d, c.p.p.), come vivente nella giurisprudenza di legittimita' (Sez. 2, n. 34487, del 21/6/2019, Rv. 276739; Sez. 5, n. 34504, del 25/5/2018, Rv. 273778, in motivazione, pag. 9, ultimo capoverso) successiva all'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 8825, del 27/10/2016, Rv. 268822, Galtelli), che aveva suggerito l'intervento novellatore (c.d. miniriforma delle impugnazioni del 2017). In particolare, la difesa dei ricorrenti ritiene che rispetto alla decisione del primo giudice, l'impugnazione proposta dal pubblico ministero, riproponendo pedissequamente tutte le ipotesi d'accusa non accolte dalla Corte di assise, doveva ritenersi eccentrica e fuori fuoco, difettando quindi della necessaria specificita'. 2.2.2. La Corte territoriale ha invece argomentato il proprio convincimento in ordine alla ritenuta ammissibilita' della impugnazione (pag. 89-90 della sentenza impugnata) evidenziando la diversita' strutturale tra il giudizio di appello e quello di cassazione: solo il primo ha per oggetto la rivisitazione integrale del punto della sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo; tale differente morfologia delle due impugnazioni deve dunque indurre ad escludere che la riproposizione di questioni gia' esaminate e disattese in primo grado sia di per se' causa di inammissibilita' dell'appello. La Corte ha altresi' valorizzato gli aspetti di assoluta specificita' delle doglianze mosse alla motivazione della sentenza, tanto da apprezzarne poi la fondatezza nel ribaltamento delle decisioni di proscioglimento. In altre parole, la Corte ha rilevato che la cartina di tornasole della ammissibilita' della impugnazione proposta dalla parte pubblica fosse proprio la sua, almeno parziale, fondatezza. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha divisato perfetta ammissibilita' della impugnazione proposta dalla parte pubblica. 2.3. Ritenuta ammissibile l'impugnazione proposta nel merito dal pubblico ministero, giova rammentare che, in caso di ribaltamento della decisione di proscioglimento di primo grado, il consolidato insegnamento di questa Corte (tra le piu' recenti: Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056) impone la c.d. "motivazione rafforzata", consistente nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina delle questioni controverse, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (precedenti conformi alle decisioni appena richiamate: n. 12273 del 2014 Rv. 262261; n. 54300 del 2017, Rv. 272082; n. 49755 del 2012, Rv. 253909; n. 6817 del 2015, Rv. 262524; n. 11883 del 2013 Rv. 254725). Il che vale solo per le questioni relative all'accertamento ed alla ricostruzione del fatto, laddove viceversa il differente opinare in diritto, sul fatto oggetto di prova dichiarativa non presuppone alcun rafforzato argomentare (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Rv. 276954-04); in tale ipotesi, alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare se la questione giuridica difformemente decisa dai giudici del merito sia stata correttamente esaminata e risolta dall'uno o dall'altro, ed il vizio a tal fine denunciabile e' solo quello della violazione di legge. 2.4. Quanto ai limiti del sindacato di legittimita' sulla motivazione, la novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 (che ha riconosciuto la possibilita' di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione), non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimita' a critica vincolata, sicche' gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. 2.4.1. Resta, comunque, esclusa per la Corte di legittimita' la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova. Va infatti ribadito che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una âEuroËœrilettura' degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U., 30/4/1997, n. 6402, De Simone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369). 2.4.2. Si e' poi ulteriormente precisato che la modifica dell'articolo 606 lettera e) c.p.p., per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimita' di sovrapporre la propria valutazione a quella gia' effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali puo' essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta' della motivazione rispetto ad essi sia percepibile âEuroËœictu oculi', dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099; Sez. 4, Sentenza n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sez. 6, n. 19710 del 3/2/2009, Rv. 243636; Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018 Rv. 272018) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilita'), il vizio di travisamento della prova puo' essere rilevato in sede di legittimita' solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, e' ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo' essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimita', salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice). 2.4.3. Nel caso di specie, la Corte di appello (laddove ha confermato la decisione di condanna di primo grado) ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia' sottoposto al vaglio del primo giudice ed anzi, il piu' delle volte, ha accresciuto il patrimonio conoscitivo attraverso l'analisi dettagliata delle risultanze processuali. 2.4.4. Del pari e' a dirsi quanto alla efficacia euristica attribuita nel giudizio di merito al contenuto delle conversazioni intercettate ed utilizzate a fini dimostrativi dei fatti contestati in imputazione. Il Collegio, anche in questo caso intende dar seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale che, in materia di intercettazioni telefoniche, qualifica come questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita', se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con la quale esse sono recepite (Sez. 2. N. 50701, del 4/10/2016, Rv. 268389; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). 2.5. Quanto a sindacato sulla valutazione della dimostrazione indiziaria del fatto, deve preliminarmente ancora una volta ribadirsi che non sono coltivabili nella sede di legittimita' - e sono dunque inammissibili - i motivi con i quali si lamenta violazione della regola di giudizio di cui all'articolo 533, fondata sul canone di cui al comma 2 dell'articolo 192 c.p.p., oltre alla manifesta illogicita' della motivazione in punto di valutazione delle prove atte a dimostrare la responsabilita' per i fatti-reato ascritti in concorso, allorquando i motivi si limitino a illustrare una possibile alternativa al concatenarsi logico posto a fondamento della decisione impugnata, senza dimostrare che tale alternativa sia l'unica logicamente plausibile e ancora: perche' sia ravvisabile la manifesta illogicita' della motivazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e) c.p.p., e' necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili. (Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, Rv. 278237). 2.5.1. Tanto chiarito quanto all'ambito del sindacato di legittimita' sulla motivazione della sentenza d'appello, va rilevato come le deduzioni opposte dai ricorrenti alla motivazione di merito, che da' conto della completezza del mosaico di tessere indiziarie collimanti, siano volte a sollecitare una diversa valutazione delle emergenze processuali (in particolare, del peso degli argomenti offerti con le prove storiche e logiche assunte nel corso del giudizio di primo grado), operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle emergenze processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell'iter argomentativo della decisione impugnata, non puo' trovare spazio in sede di legittimita'. 2.5.2. Il tema e' quello della solida e razionale giustificazione complessiva che la motivazione deve of(OMISSIS)re circa il valore persuasivo attribuito agli elementi posti a sostegno della decisione e circa l'irrilevanza degli elementi prospettati - nella dialettica delle parti - come antagonisti (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 6582 del 13.11.2012, Rv. 254572; Sez. 2, n. 44048 del 13.10.2009, Rv. 245627; Sez. 1, n. 41110 del 24.10.2011; Sez. 6 n. 8705, del 24.1.2013; Sez. 1 n. 8163 del 10.2.2015; Sez. 5, n. 10411 del 28.1.2013). E' del tutto evidente che tale compito deve essere svolto dal giudice di legittimita' attraverso la verifica della razionalita' argomentativa (e della proiezione finalistica) dei passaggi espressivi in cui si articola la decisione e non mediante una impropria rivalutazione âEuroËœdiretta' di singoli elementi istruttori o mediante l'apprezzamento âEuroËœdiretto' di prospettazioni difensive su piste alternative rimaste, a parere del ricorrente, inesplorate. Va ricordato, in proposito, quanto e' stato piu' volte affermato circa la natura della sentenza di merito: atto teso a rappresentare una argomentazione complessa, capace di fornire esplicazione logica ai contenuti autoritativi della decisione, espressi in dispositivo. La critica deve pertanto porsi il problema di individuare una reale frattura logica o una reale inefficacia funzionale, di tale percorso complessivo. Come e' stato efficacemente affermato nel passato (sin da Sez. 5, n. 8411, del 21/5/1992, Rv. 191487), il vizio di motivazione non puo' essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa; la sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente ed organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non puo' essere preso isolatamente, ma va posto in relazione agli altri. Con cio' si vuole dire che solo l'emersione di una precisa "disarticolazione" di un punto effettivamente qualificante del ragionamento decisorio puo' portare all'annullamento della decisione emessa, li' dove eventuali opinabilita' nella attribuzione dell'effettivo peso dimostrativo ad un dato possono al piu' portare ad una parziale rettificazione (se strettamente necessario) della motivazione, ai sensi dell'articolo 619 comma 1 c.p.p. (come interpretato, tra le altre, da Sez. 1, n. 9707 del 10.8.1995, Rv. 202302), se il ragionamento giustificativo sia - nel suo complesso - adeguato e conforme alla regole di giudizio della fase processuale (si veda anche, sul tema, la costante affermazione per cui, nell'ambito di decisioni complesse, l'emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni concorrenti puo' non comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione li' dove le restanti valutazioni offrano ampia e rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo; giurisprudenza risalente gia' a Sez. 1, n. 6922 del 11.5.1992, Rv. 190572; Sez. 4, n. 10116 del 28.9.1993, Rv. 195709; Sez. 1, n. 1495 del 2.12.1998, Rv. 212274 e costantemente ripresa nel tempo). Si suole affermare, pertanto, che il giudizio di legittimita' non si costruisce sull'esame delle possibilita' rappresentative - anche plausibili - del fatto, ma sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l'attribuzione del fatto all'imputato passa necessariamente attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua intima coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimita' "nuove" attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e cio' anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6, n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178) e sempre che - al fondo - non risulti compromessa la tenuta complessiva del ragionamento, in chiave di avvenuto rispetto della regola di giudizio finale. In tal senso, va anche riaffermato che le operazioni di verifica da compiersi in sede di legittimita' in rapporto ai motivi di ricorso (e alla tipologia di atti istruttori oggetto di valutazione) ed al fine di riconoscere o meno il vizio argomentativo del provvedimento impugnato, possono essere cosi' schematizzate: - verifica circa la completezza e la globalita' della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 9269 del 5.12.2012, Della Costa, Rv. 254871), ne' omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. 6, n. 14732 del 1.3.2011, Molinario, Rv. 250133, nonche' Sez. 1, n. 25117 del 14.7.2006, Stojanovic, Rv. 234167); - verifica circa l'assenza di evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessita' di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioe' su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile in Sez. 6 n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, Rv. 254572, nonche' in Sez. 2, n. 44048 del 13.10.2009, Cassarino, Rv. 245627); - verifica circa l'assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contraddittorieta' interna); - verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell'ambito del percorso seguito e circa l'assenza di incompatibilita' di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso (cd. travisamento della prova), li' dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex multis, Sez. 1, n. 41738 del 19.10.2011, Rv. 251516). 2.5.3. In detto contesto, anche il rispetto del canone decisorio secondo cui la colpevolezza dell'imputato deve risultare "al di la' di ogni ragionevole dubbio" (articolo 533 c.p.p., come novellato dalla L. n. 46 del 2006) non introduce, dunque, alcuna ulteriore tipologia di vizio, tale da consentire l'esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata (sicche' il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di "apparenza" di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. 6, n. 8705 del 24.1.2013, gia' richiamata). Il dubbio, peraltro, per determinare l'ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, e' solo quello "ragionevole" e cioe' quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. 1, n. 3282 del 17.11.2011, dep. 2012). Cosi' come la sua riconoscibilita' - dunque la presa d'atto dell'esistenza del limite alla affermazione di responsabilita' dell'imputato - impone un confronto con le emergenze processuali, nel senso che per convalidare sul piano logico l'affermazione di responsabilita' e' necessario che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualita' remote, pur astrattamente formulabili come possibili âEuroËœin rerum natura', ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benche' minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalita' umana (sul punto specifico: Sez. 1, n. 31456 del 21.5.2008, ric. Franzoni, Rv. 240763, con orientamento ripreso, piu' di recente, da Sez. 6, n. 22257 del 25.3.2014, Rv. 259204). L'affermazione implica, pertanto, la verifica - da operarsi in rapporto al contenuto dei motivi di ricorso - del corretto utilizzo delle massime logiche e di esperienza indicate come tali dal giudice di merito per attribuire o negare la "valenza indicativa" ai singoli dati indizianti, secondo le condivisibili affermazioni contenute in Sez. 6, n. 31706 del 7.3.2003, Rv. 224801, secondo cui il controllo di questa Corte sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza compulsate dal giudice nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere accolta solo quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sull'id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica o logicamente scorretta), o una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'. 2.5.4. Di tali argomenti si e' tenuto conto nell'esame dei motivi, posto che le doglianze - in punto di ricostruzione dei fatti oggetto di giudizio - non riescono ad evidenziare reali fratture, non percepite del percorso logico posto alla base della affermazione di penale responsabilita', ne' individuano punti dimostrativi realmente antagonisti e non logicamente confutati rispetto alla opzione ricostruttiva selezionata dai giudici del merito, che hanno calcato il tema della responsabilita' concorsuale ascritta sulla base della logica convergenza di quanto emerso dall'esame di piu' fonti, storiche e logiche, differenti. 2.5.5. I ricorrenti privati, nel contestare tale costruzione logica (soprattutto in tema di prova scientifica), operano una analisi unidirezionale dei singoli elementi logici, senza quindi coglierne la evidente convergenza. Non appare, pertanto, superfluo rammentare che la prova del fatto rilevante e' sempre fondata su un giudizio di âEuroËœcorrelazione' tra un fatto principale (la proposizione fattuale contenuta nella ipotesi di accusa) ed i âEuroËœfatti secondari' capaci, in rapporto al loro contenuto informativo, di evidenziare un significato di potenziale âEuroËœcorrispondenza al vero' dell'enunciato introdotto nella imputazione. La classificazione logica e giuridica degli elementi probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove esclusivamente sul piano della loro "idoneita' rappresentativa" rispetto al fatto da provare. Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone puo' essere portatore, ad es., quanto dell'una che dell'altra âEuroËœclasse' di elementi), bensi' il rapporto esistente tra la âEuroËœcapacita' dimostrativa' del singolo elemento considerato ed il âEuroËœfatto da provare' nella sua oggettiva materialita', cosi' come descritto nella imputazione. In tal senso, e' definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta - sulla base di una operazione di raccordo logico tra piu' circostanze - di contribuire al suo disvelamento (dal fatto noto, l'indizio, si perviene alla conoscenza di quello ignoto). L'indizio, pertanto, ha una sua autonoma dignita' rappresentativa, che tuttavia per la sua parzialita' -e per il rappresentare una circostanza diversa (pur se logicamente collegata) rispetto al fatto da provare- consente esclusivamente di attivare nella mente del soggetto chiamato ad operare la ricostruzione un meccanismo di inferenza logica, capace di condurre ad un accettabile risultato di conoscenza di cio' che rileva ai fini del giudizio. E' proprio in ragione di tale "deficit strutturale" di capacita' dimostrativa, che la prova indiziaria e' oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del legislatore, che a'ncora il risultato probatorio (articolo 192, comma 2, c.p.p.) all'esistenza di particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza (gravita', precisione, concordanza), il tutto nell'ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti (Sez. U., 4/2/1992, ric. Ballan, con insegnamento ribadito da Sez. U n. 33748 del 12/7/2005, ric. Mannino, Rv. 231678). Il singolo indizio, inteso pertanto come dato con contenuto informativo tale da âEuroËœconcorrere' all'accrescimento della verita' contenuta nell'ipotesi di partenza, va sottoposto a verifica al fine di individuarne il "grado di persuasivita'" (si veda, sul tema, Sez. 1 n. 42750 del 9/11/2011, Rv. 251502), fermo restando che non puo' pretendersi che il giudizio di âEuroËœgravita'' (ossia il peso dimostrativo in rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo del tutto logica nell'ambito della descritta valutazione unitaria richiesta dalla norma - la concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravita', ferma restando la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) precisione (intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e concordanza (il che implica - almeno sul piano tendenziale - la pluralita' dei dati sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso, l'assenza di dati antagonisti, o di âEuroËœsmentita'). Il diverso "grado" di gravita' del singolo indizio influisce dunque sulla valutazione complessiva, nel senso che, come e' stato pure ribadito (Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, Rv. 259552), in tema di prova indiziaria, il requisito della molteplicita', che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravita' sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, puo' assumere rilievo l'elevato numero degli stessi, quando una sola possibile e' la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, puo' essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto (Sez. 2, n. 35827, del 12/7/2019, Rv. 276743). Al contempo, va ribadito che la prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche, non puo' -per definizione- of(OMISSIS)re una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta, posto che la dimostrazione e' figlia, non gia' di una conclamata affidabilita' di una voce narrante (o di un documento) in grado di riprodurre l'azione criminosa (in quanto tale), ma di un "raccordo logico" tra un fatto âEuroËœsecondario' e il âEuroËœfatto da provare'. 2.5.6. In ragione dei detti principi saranno quindi scrutinati i motivi proposti nell'interesse di ciascuno dei ricorrenti. 3. Ricorso del Procuratore generale. Il ricorso del Procuratore generale e' parzialmente fondato in ragione di quanto segue. All'esame specifico dei motivi occorre premettere che l'articolo 608 c.p.p., comma 1-bis, - introdotto della L. n. 103 del 23 giugno 2017, articolo 1, comma 69, con decorrenza dal 3 agosto 2017, data di gran lunga antecedente al deposito del ricorso del Procuratore generale - prevede che se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione puo' essere proposto dal Pubblico ministero solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 c.p.p.. Resta, dunque, esclusa la possibilita' che la parte pubblica possa impugnare la doppia sentenza di proscioglimento per i motivi inerenti ai vizi della motivazione di cui all'articolo 606, comma 1, lettera e) dell'articolo 606 c.p.p.. 3.1. Quanto al primo motivo, il ricorrente si duole della assoluzione di (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 280-bis c.p. (atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi) contestato al capo B della imputazione, inerente all'attentato avvenuto il (OMISSIS) al (OMISSIS), nei pressi della caserma dei Carabinieri del RIS. L'imputato era stato assolto nel primo grado di giudizio con la formula perche' il fatto non costituisce reato e la sentenza qui impugnata ha confermato tale statuizione. Per tale episodio storico, (OMISSIS) e' stato condannato solo con riguardo al reato di cui al capo C, relativamente alla fabbricazione, detenzione e trasporto dell'ordigno esplosivo utilizzato in quella circostanza. Il nucleo delle decisioni di merito ha come fondamento la circostanza di fatto, indicata a fg. 119 della sentenza impugnata, che "l'ordigno esplosivo posizionato all'interno del (OMISSIS) non era esploso perche' l'interruttore che avrebbe dovuto collegare il timer al detonatore era posizionato su Off, sicche' l'ordigno avrebbe potuto innescarsi solo per improbabili cause accidentali". Da qui, entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto che la prova dell'elemento soggettivo del reato fosse incerta. Il motivo di ricorso e' inammissibile perche' non consentito ai sensi del richiamato articolo 608, comma 1-bis c.p.p.. Il titolo del motivo, conforme al suo contenuto sintetizzato nel "Ritenuto in fatto" nonche' all'atto di appello in allora proposto rispetto alla decisione di primo grado, inerisce, infatti, soltanto a profili di "contraddittorieta'/illogicita' della motivazione" - espressamente richiamandosi, come riferimento normativo, l'articolo 606, comma, 1, lettera e) c.p.p. - che la Corte di secondo grado, peraltro, aveva affrontato e superato ai fgg. 119-122 della sentenza impugnata. 3.2. Il secondo motivo e' fondato. Si censura la sentenza impugnata con riferimento ai capi F ed L (cfr. fgg. 146159), contestati a (OMISSIS) e (OMISSIS) e relativi, rispettivamente, ai due ordigni esplosivi collocati vicino alla Scuola degli Allievi Carabinieri di (OMISSIS) il (OMISSIS) ed ai tre ordigni collocati all'interno di cassonetti della spazzatura in un'area pedonale del quartiere (OMISSIS) il (OMISSIS). In ordine al capo F, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che i citati ricorrenti avessero commesso il reato di strage "comune" (articolo 422 c.p.) e non di strage "politica" (articolo 285 c.p.) secondo quanto originariamente oggetto di contestazione. Quanto al capo L, il ricorrente si duole della qualificazione giuridica del fatto (contestato ex articolo 285 c.p. e qualificato in primo grado ex articolo 422 c.p.) ritenuto dalla Corte come rientrante nella norma di cui all'articolo 280, comma 1, seconda ipotesi, c.p. (attentato alla incolumita' di una persona per finalita' terroristiche e di eversione dell'ordine democratico). 3.2.1. Sotto il profilo giuridico, non vi e' questione sul fatto che i due reati di strage (cosiddetta "politica" ex articolo 285 c.p. e cosiddetta "comune" ex articolo 422 c.p.) si configurino entrambi come reati di pericolo, come piu' volte e' stato affermato dalla giurisprudenza di legittimita' con riferimento al delitto di strage comune, che punisce gli "atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumita'" (si configura il delitto di strage allorche' gli atti compiuti siano tali da porre in pericolo la pubblica incolumita' e non siano limitati ad offendere soltanto la vita di una singola persona. Sez. 1, n. 33459 del 12/07/2001, Astro, Rv. 219845; Sez. 6, n. 16740 del 24/03/2021, Traini, Rv. 281053). Della stessa tipologia, stante il testuale richiamo, sono gli atti (o i "fatti") diretti a portare la "strage" nel territorio dello Stato o in una parte di esso ai quali fa riferimento l'articolo 285 c.p.. Per la configurabilita' dei due reati non e' necessario, pertanto, che una o piu' persone vengano uccise, bastando il compimento di atti dai quali possa scaturire il concreto pericolo che cio' avvenga e tale valutazione, come per il delitto tentato, va operata ex ante; si parla di reati a consumazione anticipata nel senso indicato, proprio in relazione al reato di strage, da Sez. 1, n. 11394 del 11/02/1991, Abel, Rv. 188642 e successive conformi: il reato di strage e' un reato a consumazione anticipata, che non ammette il tentativo: per la consumazione del delitto e' sufficiente che il colpevole compia atti che abbiano l'idoneita' a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato e, quindi, si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare una ipotesi di tentativo. In altre parole, la fattispecie consumata del delitto di strage presenta la stessa struttura del delitto tentato, ma e' punita come delitto consumato, in considerazione dell'importanza degli interessi che essa tende a tutelare. Non vi e' neanche questione sul fatto che i due reati si differenzino solo in ragione di una particolare connotazione, nel caso della strage "politica", dell'elemento soggettivo. La Corte di secondo grado, come il ricorrente, hanno concordemente fatto riferimento al principio di diritto stabilito da Sez. U, n. 1 del 1970, Kofler, Rv. 115780, secondo il quale, il delitto di strage politica previsto dall'articolo 285 c.p. si differenzia da quello di strage comune soltanto per la presenza, nel primo reato, dell'elemento psicologico subspecifico (fine motivo), che segna la connessione tra l'azione e l'intento finalistico di recare offesa alla personalita' dello Stato, restando per il resto identiche le due figure delittuose nell'elemento obiettivo e nell'elemento subiettivo proprio del reato (dolo). In altri termini, la strage e' reato comune (contro la pubblica incolumita') se l'agente non abbia avuto altro fine che quello di uccidere private persone; diventa reato speciale politico (contro la personalita' dello Stato) se l'intento dell'agente sia stato che l'evento si ripercuota sulla compagine statale come lesione alla persona giuridica dello Stato. Tale principio e' stato ribadito, negli stessi termini, da successive decisioni, tra le quali, Sez. 1, n. 1538 del 15/11/1978, dep. 1979, Azzi, Rv. 141121; Sez. 1, n. 4017 del 18/11/1985, dep. 1986, Donati, Rv. 172769; Sez. 5, n. 11290 del 12/10/1993, Andolina, Rv. 196462. Nella parte motiva della sentenza Sez. U, Kofler - chiamata a giudicare di attentati dinamitardi commessi da soggetti che propugnavano l'annessione all'Austria dell'Alto Adige - si legge in proposito: "Se si tiene presente quanto e' stato dianzi specificato circa l'origine di questa distinta figura di reato (articolo 285 c.p.), che non esisteva nel sistema penale del codice del 1889, dove era contemplato il reato unitario di strage (o devastazione o saccheggio o guerra civile) nella classe dei delitti contro l'ordine pubblico, e che fu creata dai legislatore del 1930 per corrispondere alla esigenza di dare ai fatti criminosi contro lo Stato un nuovo assetto sistematico, e di chiarire che nella realta' si profilavano due figure di strage una di indole comune e una di indole politica) e' agevole intendere immediatamente che il fatto di strage (come quello di devastazione o saccheggio) si qualifica come attentato alla sicurezza dello Stato in virtu' non d'altro che della presenza dell'elemento psicologico che segna la connessione tra l'azione e l'intento finalistico di recare offesa alla personalita' dello Stato. La piu' grave strage resta reato comune contro la pubblica incolumita' se l'agente non aveva altro fine che quello di uccidere private persone; la strage piu' lieve diventa speciale politica se l'agente intendeva che l'evento di essa si ripercuotesse sulla compagine statale come lesione alla persona giuridica dello Stato. Il carattere specializzante e' dato non da alcun particolare differenziale dell'elemento obiettivo e dell'elemento subiettivo proprio dei reato (dolo), che sono identici nelle due figure di strage, ma bensi', dall'ulteriore elemento subiettivo (fine - motivo) rappresentato dalla direzione dell'azione alla persona dello Stato nella sua funzione, primaria e fondamentale per ogni persona fisica-e morale) di garantire innanzitutto la sua propria sicurezza. Se cosi' e', appare incontestabile la natura di strage politica nei fatti commessi dai vari imputati chiamati a rispondere di tale delitto quali mandanti o quali esecutori, fatti vagliati, accertati, discussi dai giudici del merito (con motivazioni indenni da ogni vizio logico e quindi insindacabili in Questa sede di cassazione), improntati a nessun interesse o fine privatistico ma bensi' soltanto, a interessi e fini politici. 3.2.2. Fatta questa premessa generale, quanto al reato di cui al capo F - relativo ai due ordigni esplosivi collocati vicino alla Scuola degli Allievi Carabinieri di (OMISSIS) il (OMISSIS) - entrambe le Corti di merito hanno qualificato il fatto alla stregua dell'articolo 422 c.p. anziche' ex articolo 285 c.p.. La Corte di assise di appello ha ricostruito la dinamica dell'episodio mettendo in risalto il consapevole utilizzo da parte degli agenti della cosiddetta "tecnica del richiamo", consistente, si legge in sentenza, "nel far esplodere un ordigno di ridotta potenzialita' offensiva per attirare sul posto appartenenti a Forze dell'Ordine o soccorritori, con l'intento di attingere questi ultimi con un secondo e piu' potente ordigno collocato a breve distanza e programmato per esplodere dopo un lasso temporale sufficiente ad assicurare la presenza sul posto degli obiettivi prefissati. Si legge infatti nel verbale di ispezione dei luoghi degli artificieri intervenuti poco dopo le esplosioni (vds., atti relativi a (OMISSIS) in Faldone n. 9) che il primo ordigno era esploso intorno alle 3 della notte del 2 giugno 2006, essendo collocato all'interno di un contenitore per la raccolta differenziata del vetro posizionato nei pressi del marciapiede limitrofo alla Scuola Allievi Carabinieri, a circa 25 mt. dall'ingresso principale di quest'ultimo.... La seconda esplosione avveniva dopo circa mezz'ora, lasso di tempo che sarebbe stato piu' che sufficiente ad assicurare la presenza sul posto di personale incaricato dei primi rilievi. Il secondo e ben piu' potente ordigno era posto a circa venti metri dal primo, quindi in un raggio ideale per attingere in pieno coloro che si sarebbero occupati dei primi accertamenti. Non a caso, gli artificieri intervenuti per primi avevano sottolineato che i frammenti metallici scagliati dall'onda d'urto avevano investito anche la zona interessata dalla prima esplosione" (fg. 149 della sentenza impugnata). Sulla base di questi dati obbiettivi e non contestati, la Corte di assise di appello ha riconosciuto come l'attentato nel suo complesso ed, in particolare, il secondo ordigno, avesse avuto, per le sue caratteristiche intrinseche, una "notevolissima" potenzialita' offensiva (fg. 149: "La notevolissima potenzialita' offensiva del secondo ordigno e' stata confermata anche dagli accertamenti svolti dal C.T. balistico del P.M."). Gli ordigni, pertanto, sarebbero stati capaci di uccidere un numero indeterminato di persone che si fossero trovate nelle loro vicinanze. Tanto la sentenza ha ritenuto anche trasfondendo, a fg. 150, interi passaggi della consulenza balistica, come, ad esempio, il seguente: "Entrambi gli ordigni erano potenzialmente micidiali; lo dimostrano la distruzione dei contenitori dei rifiuti ed il danneggiamento della facciata del "Reparto di Istruzione" attinta in piu' punti da una micidiale "mitragliata" di schegge e detriti.... In termini generici l'esplosione di un ordigno determina un'onda d'urto che inizia da un punto di origine e si espande radialmente da esso. L'esplosione determina una violenta onda di pressione cui fa seguito uno spostamento d'aria; il danno provocato dall'onda di pressione decresce ovviamente con la distanza dal punto di esplosione. Le lesioni primarie determinate dall'onda di pressione sono sostanzialmente da barotrauma, maggiormente evidenti a livello degli organi pieni d'aria...lesioni secondarie da esplosione sono quelle causate dalla proiezione di frammenti (schegge) derivanti per lo piu' dal contenitore dell'ordigno.... Occorre considerare che a breve distanza lo scoppio di un ordigno ha effetti lesivi solitamente piu' incisivi rispetto ad un colpo d'arma da fuoco a proiettile unico; l'ambiente circostante il punto di scoppio viene infatti saturato da una miriade di schegge". A cio' si aggiunga, sotto il profilo soggettivo, che valutando anche il tenore della rivendicazione a firma (OMISSIS)-RAT, la Corte di merito ha ritenuto sussistente l'intento stragista, che non aveva prodotto perdite umane solo per una mera casualita', "conseguente alla sottovalutazione della prima esplosione da parte dei Militari accorsi per primi" (fg. 150 della sentenza impugnata). In particolare, la rivendicazione, della quale sono stati trasfusi in motivazione alcuni passaggi significativi, rimarcava il fatto che l'attentato fosse stato compiuto per festeggiare la nascita della ("infame repubblica italiana e l'altrettanto infame anniversario dell'arma dei carabinieri"). Si era, infatti, nella notte tra il 2 ed il 3 di giugno. Era esplicitato che la finalita' dell'attentato era quella di colpire non privati cittadini ma appartenenti all'Arma dei Carabinieri ("Abbiamo colpito la scuola allievi carabinieri di (OMISSIS) per fargli capire gia' da piccoli quale ammirazione sollevi la loro criminale carriera tra noi sfruttati... Amiamo distribuire "petardi" sul loro percorso perche' 10 100 1000 Nassirya non sia solo uno slogan urlato, ma una realta' non solo nel lontano oriente ma anche nelle nostre citta' e nelle nostre valli...". La sentenza conviene con il Pubblico ministero anche in relazione al fatto che il movente, oltre "all'odio viscerale per l'Arma" (fg. 151), aveva natura politica, mirando a influenzare le scelte governative in materia di immigrazione per quanto relativo alla gestione dei CPT (Centri di Permanenza Temporanea). Il fulcro della motivazione della Corte di merito, volto a negare la sussistenza del reato di cui all'articolo 285 c.p., in favore di quello di strage comune, e' il seguente: "Ritiene tuttavia la Corte che la natura "non privatistica" dell'obiettivo ed il movente lato sensu politico dell'azione di per se' non siano sufficienti ai fini della qualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 285 c.p., ove non sia verificato l'ulteriore l'elemento psicologico subspecifico (fine motivo) dell'intento dell'agente che l'evento si ripercuota sulla compagine statale come lesione alla persona giuridica dello Stato, sotto il particolare profilo della sua sicurezza. La gravita' della pena (ergastolo) impone una lettura di stretta interpretazione e costituzionalmente orientata dell'esatta delimitazione dell'oggetto della tutela "anticipata", in termini coerenti all'entita' della sanzione. L'oggetto della tutela dunque non puo' essere individuato nella sicurezza di uno o piu' servitori dello Stato (comunque tutelata da altre fattispecie di pericolo o di evento), ne' genericamente nella salvaguardia dell'indirizzo politico di maggioranza, ma nell'effettivita' e nella stabilita' del potere statale, nella libera esplicazione dei poteri costituzionalmente riconosciuti ai suoi organi di vertice, e nella sicurezza dello Stato in quanto tale, unitariamente inteso come espressione dell'intera collettivita' nazionale. Si e' inoltre escluso che ai fini dell'applicazione dell'articolo 285 c.p. rilevi di per se' la natura eversiva di un'associazione (Sez. 1, Sentenza n. 4932 del 18/11/1985). Sotto diverso profilo, trattandosi di fattispecie di pericolo, le opzioni ermeneutiche ed applicative non possono sfuggire alla conformita' al principio di offensivita', da tempo enucleato dal Giudice delle Leggi (articolo 25 C) nella sua dimensione astratta ed in quella concreta... Nel caso in esame, ferme restando l'estrema pericolosita' dell'azione e la gravita' intrinseca del ricorso a forme violente e di marca terroristica di attacco ad un'articolazione importante dei pubblici poteri, resta il dato di fatto che l'attentato da un lato non intendeva attingere addirittura la personalita' dello Stato, la pienezza dei suoi poteri, e la sicurezza collettiva del Paese, ed in secondo luogo, sul piano dell'offensivita' in concreto, sarebbe stato comunque palesemente inidoneo a scalfire i beni suddetti". 3.2.3. Ritiene il Collegio, viceversa, che tutti gli elementi prima evidenziati dalla stessa Corte di merito, enucleino una condotta sussumibile nell'articolo 285 c.p.. Senza dubbio corretto e' il richiamo al principio di necessaria concreta offensivita' /che devono possedere tutti i reati di pericolo, con il particolare riguardo che si deve alla sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2008 evocata dal giudice di secondo grado a fg. 155. Nel passaggio richiamato in motivazione - i cui contenuti non sono contestati da alcuno - la sentenza n. 225 del 2008 segnala la necessita', per il legislatore, di "evitare che l'area di operativita' dell'incriminazione si espanda a condotte prive di un'apprezzabile potenzialita' lesiva". Ma tale potenzialita' lesiva dell'attentato, poche pagine prima, la Corte ha affermato esservi stata nella deflagrazione di (OMISSIS), ritenuta, come detto, addirittura di "notevolissima potenzialita' offensiva". Che questa caratteristica intrinseca dell'azione commessa a (OMISSIS) non potesse essere ascrivibile alla categoria di atti diretti ad attentare alla sicurezza dello Stato e' affermazione apodittica, non adeguatamente chiarita in sentenza se non con il richiamo a concetti troppo astratti. E' la stessa Corte di secondo grado, infatti, ad affermare che l'attentato di cui si discute non aveva procurato vittime umane solo per una mera casualita' e che, pertanto, l'esplosione avrebbe potuto certamente cagionarle. La potenzialita' offensiva dell'attentato e l'intento stragista "comune" sono, per la sentenza, fuori discussione. Si e' pero' anche affermato che le potenziali vittime erano state individuate, nella mente degli autori ed anche tenuto conto della ubicazione degli ordigni, non in cittadini comuni (come vorrebbe la sentenza delle SS.UU. Kofler prima richiamata per la configurazione del reato di strage comune), ma nei piu' conosciuti e per questo simbolici rappresentanti delle forze dell'ordine, vale a dire in soggetti appartenenti a quel corpo adibito precipuamente a tutelare la sicurezza dello Stato e che la stessa sentenza impugnata non stenta a definire correttamente "un'articolazione importante dei pubblici poteri". Per di piu', la Corte territoriale ha messo a fuoco, passando all'elemento soggettivo, oltre all'intrinseca, notevolissima, offensivita' dell'azione materiale, che lasciava desumere l'intento stragista, anche il tenore della rivendicazione dell'attentato, volto a mettere in evidenza il profondo significato (di nuovo simbolico) di esso, in quanto commesso nella notte della festa della Repubblica e della nascita dell'Arma. Ed ancora, la volonta', altrettanto evidenziata con chiarezza nella rivendicazione ed ancora una volta simbolica, di uccidere non un qualunque rappresentante delle forze dell'ordine, ma i "giovani" Carabinieri di una delle importanti Scuole del paese, per dare loro un messaggio "gia' da piccoli", evocando la strage di Nassirya, estremamente sanguinosa quanto alla perdita di vite umane appartenenti proprio alle forze dell'ordine italiane; vale a dire, rimarcando la presenza del richiesto dolo sub-specifico e, cioe', la volonta' di uccidere non uno ma tanti giovani allievi dell'Arma dei Carabinieri ("10, 100, 1000 Nassirya"). Tutto cio' basta ad integrare un vulnus per la sicurezza dello Stato (o, e' bene ricordare, anche "di una parte di esso", come recita l'articolo 285 c.p.) e non soltanto la sicurezza di "uno o piu' servitori", come si sostiene in sentenza, peraltro senza alcuno specifico riferimento concreto. Per altro verso, la casistica giurisprudenziale, indicata nella stessa sentenza e nella memoria degli imputati ad opposti fini, non deve essere fuorviante. Infatti, e' indubbio che in alcune circostanze processuali citate dalla parte pubblica ricorrente, la Corte di cassazione ha ritenuto la sussistenza del reato di cui all'articolo 285 c.p. in relazione ad episodi analoghi a quello per cui si procede. E' il caso dell'attentato al carcere di (OMISSIS) verificatosi nel 1979, che non aveva provocato perdite umane; in quella circostanza, un ordigno esplosivo era stato posizionato nei pressi della Casa Circondariale di (OMISSIS) distruggendo alcune automobili e danneggiando i muri dell'edificio pubblico (cfr., Sez. 5, 11290 del 12/10/1993, Andolina, Rv. 196462). O, ancora, con riguardo ad un ordigno esplosivo collocato presso una caserma della Guardia di Finanza (che aveva procurato vittime) e nell'attacco ad un presidio di alpini, conclusosi senza perdite umane (Cass. Sez. 1, n. 1684 del 16/12/1977). D'altra parte, l'ampia casistica riportata nella memoria degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), dimostra che in molti altri eclatanti casi (come le stragi di mafia in cui persero la vita i giudici (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), servitori dello Stato con importanti funzioni) era stato contestato e ritenuto il reato di strage comune di cui all'articolo 422 c.p.. Ad avviso del Collegio, tali differenti vicende processuali non risultano aver portato questa Corte di legittimita' ad affermare principi di diritto esplicitamente difformi rispetto a quanto dianzi precisato; ne' puo' tacersi che in quelle sedi le contestazioni riguardavano vicende nelle quali, in presenza di vittime umane, la distinzione dogmatica tra il reato di strage politica e quello di strage comune perde di significato e, soprattutto, di concreto interesse per le parti e per lo stesso giudice, tenuto conto delle identiche conseguenze sul piano sanzionatorio, invece differenti nel precipuo caso all'esame, in forza della assenza di perdite umane dovute all'esplosione di (OMISSIS). Si puo' affermare che nei processi evocati dalla difesa - od anche nel presente se vi fossero state vittime - l'interesse delle parti alla qualificazione giuridica del fatto nell'uno o nell'altro reato di strage e, prima ancora, l'interesse del Pubblico ministero a contestare l'uno o l'altro delitto, sarebbe stato meramente astratto, il che non giova a ritenere decisivi per la soluzione dell'odierna questione i richiami giurisprudenziali cui si sono affidate le difese, alcuni dei quali richiamati anche dalla sentenza impugnata. Per tutte le ragioni dette, previa qualificazione del fatto di cui al capo F ex articolo 285 c.p., la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino per una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio relativo ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.2.4. Quanto al capo L - inerente ai tre ordigni collocati all'interno di cassonetti della spazzatura in una area pedonale del quartiere (OMISSIS) il (OMISSIS) - il ricorrente si duole della qualificazione giuridica del fatto (contestato ex articolo 285 c.p. e qualificato in primo grado ex articolo 422 c.p.) ritenuto dalla Corte di secondo grado come rientrante nella norma di cui all'articolo 280, comma 1, seconda ipotesi, c.p. (attentato alla incolumita' di una persona per finalita' terroristiche e di eversione dell'ordine democratico). Il motivo di ricorso, per questa parte, non e' fondato. La qualificazione giuridica del fatto di cui si discute in termini diversi dall'attentato di (OMISSIS), poggia su una diversa ricostruzione dell'evento storico, che rimane attinente al merito del giudizio in quanto priva di vizi logici rilevabili in questa sede (fgg. 156-159 della sentenza impugnata). La mancanza di una reale intenzionalita' omicida e' stata fondata sulle modalita' concrete dell'attentato, che la Corte ha sintetizzato con la formula "tecnica del richiamo al contrario", posto che, secondo gli accertamenti balistici, il terzo ordigno aveva una potenzialita' inferiore rispetto al secondo, come quest'ultimo rispetto al primo. Il terzo ordigno, inoltre, non rivestiva il carattere della micidialita'. Sono state, inoltre, valorizzate circostanze di fatto non piu' rivedibili, quali l'orario delle esplosioni in piena notte, la larghezza delle strade, le ampie zone pedonali esistenti, l'assenza di locali notturni o luoghi di ritrovo. Il cuore della decisione, che tiene conto di tali elementi concreti, e' in questo passaggio contenuto a fg. 158 della sentenza: "Un'intenzionalita' omicida avrebbe richiesto di invertire l'ordine delle esplosioni, e soprattutto di porre contestualmente gli ordigni in un raggio minimo, perche' solo cosi' si sarebbe raggiunto l'obiettivo di attingere in pieno le Forze dell'Ordine o gli addetti al soccorso ed alla sicurezza intervenuti sul posto. Non puo' dubitarsi, ovviamente, del fatto che il primo ordigno avrebbe con tutta probabilita' ucciso chi si fosse trovato nelle vicinanze ed anzi, ove la bombola di gas fosse esplosa, anche chi si fosse trovato a metri di distanza. Poiche' certamente gli attentatori al momento dell'esplosione si erano gia' allontanati ed il timer ovviamente non aveva la possibilita' di essere fermato a distanza, l'eventualita' della morte o di lesioni personali gravi ai danni di uno o piu' passanti occasionali si era certamente presentata alla mente degli autori, ma la zona (strade larghe, ampie aree pedonali, assenza di locali notturni o luoghi di ritrovo) e l'orario programmato dell'esplosione rendeva l'uccisione di una o piu' persone possibile, ma non probabile. Puo' quindi configurarsi, come esattamente rilevato dai difensori, il mero dolo eventuale di omicidio, insufficiente ad integrare il delitto di strage. Il secondo ordigno era anch'esso micidiale, seppur di minore potenza rispetto al primo, ed era strategicamente collocato in una via di accesso obbligata per i veicoli delle Forze dell'Ordine che prevedibilmente sarebbero accorse dopo la prima esplosione (udita a chilometri di distanza). Deve quindi ravvisarsi nella condotta una specifica volonta' di ledere appartenenti alle Forze dell'Ordine, senza tuttavia che la potenzialita' dell'ordigno possa di per se' rivelare univocamente anche un intento di uccidere". Il ricorso e' infondato anche sotto l'aspetto prettamente giuridico inerente alla ricostruzione dell'elemento soggettivo. Al di la' delle parole utilizzate dalla Corte di merito per qualificare il dolo del reato di strage (se specifico o intenzionale, termini a volte non del tutto adeguatamente differenziati nel linguaggio giurisprudenziale), la decisione della sentenza di ritenere il dolo eventuale incompatibile con il reato di strage e' conforme ai principi di diritto affermati pacificamente con riguardo allo specifico delitto di cui all'articolo 422 c.p., circostanza che rende non pertinenti al caso in esame le osservazioni sulla compatibilita' tra dolo specifico e dolo eventuale rilevata dal ricorrente in ben diverse ipotesi concrete e tipologie di reati. In proposito, Sez. 2, n. 25436 del 06/06/2007, Lauro, Rv. 237153 - cfr., in particolare, fg. 15 della motivazione - secondo cui, il delitto di devastazione, saccheggio e strage richiede un duplice dolo specifico, consistente nella finalita' di arrecare pregiudizio alla sicurezza interna della collettivita' ed in quella, subordinata ma strettamente connessa, di aggredire l'incolumita' dei consociati o del loro patrimonio, per mezzo di una preordinata e programmata condotta criminosa. (La Corte ha precisato che la strutturale intenzionalita' finalistica della condotta tipica rende incompatibile la forma del dolo eventuale, che postula l'accettazione solo in via ipotetica, seppure avverabile, del conseguimento di un risultato). Conformi, Sez. 1, n. 5914 del 29/01/1990, Cicuttini, Rv. 184126; Sez. 1, n. 7489 del 19/03/1984, Lagrotteria, Rv. 165722. 3.3. In ordine al terzo motivo, il ricorrente si duole della assoluzione dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) quanto ai reati inerenti all'invio di plichi esplosivi al Presidente del Centro di Permanenza Temporanea di (OMISSIS), al Questore pro-tempore di Lecce ed al Comando di Polizia Municipale di (OMISSIS) (capi N ed O), nonche' in ordine all'assoluzione degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla collocazione di un ordigno inesploso presso il Tribunale di Civitavecchia (capi T ed U). Tutti e quattro ricorrenti sono stati assolti in entrambi i gradi del giudizio di merito dai citati reati loro rispettivamente ascritti con la formula per non aver commesso il fatto. Anche in relazione al presente motivo di ricorso, se ne deve rilevare l'inammissibilita' ai sensi del richiamato articolo 608 c.p.p., comma 1-bis. Sia il titolo che il contenuto delle censure e', infatti, diretto a contestare la motivazione della sentenza impugnata, mai, in ogni caso, mancante, essendo state dettagliatamente affrontate dalla Corte di secondo grado le doglianze contenute nell'atto di appello del Pubblico ministero, pressoche' speculari a quelle del ricorso (cfr., della sentenza impugnata, i fgg. 91-96 quanto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) ed i fgg. 159-163 quanto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS)). 3.4. In ordine al quarto motivo, il Procuratore generale censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha assolto gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui al capo Q, in relazione alla pubblicazione di documenti diffusi tramite la rivista denominata (OMISSIS) (numeri 0,1,2,3) e le sezioni "azioni dirette", "scritti" e "comunicati" del sito internet (OMISSIS) ad essa rivista collegato. Tutti i citati imputati erano stati assolti dal medesimo reato anche dalla Corte di primo grado, con la formula perche' il fatto non sussiste. Il doppio proscioglimento, come si e' detto con riguardo al primo ed al terzo motivo di ricorso richiamando l'articolo 608, comma 1-bis c.p.p., rende non consentita e pertanto inammissibile ogni doglianza volta a contestare la congruita' della motivazione della sentenza impugnata ex articolo 606, comma 1, lettera e) c.p.p.. Il ricorrente, oltre ai vizi di motivazione riconducibili a tale ultima norma, denuncia una violazione di legge sostanziale, in particolare dell'articolo 110 c.p. in materia di concorso nel reato, posto che la sentenza impugnata, riformando quella di primo grado, ha ritenuto sussistente il reato di cui al capo Q con riguardo alla posizione di altri imputati ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) ai quali, secondo il ricorso, avrebbe dovuto essere assimilata la posizione degli imputati assolti. Tuttavia, neanche l'indicata violazione di legge e' deducibile in questa sede, posto che la verifica della sua fondatezza dovrebbe passare attraverso una diversa ricostruzione degli elementi di fatto posti a base della decisione assolutoria. Infatti, la sentenza impugnata ha ampiamente motivato le ragioni del diverso trattamento riservato nei confronti degli imputati "assolti" rispetto a quello degli imputati ritenuti responsabili del reato, fondandole sulle diverse condotte concrete poste in essere dai primi rispetto ai secondi, rivelative di un ruolo differente e meno centrale in relazione alla creazione e gestione della rivista anarchica e del collegato sito blog prima indicati. Tanto viene sottolineato, prima della dettagliata esposizione delle risultanze processuali specificatamente relative alla posizione di ogni imputato assolto, a fg. 219 della sentenza impugnata, nei seguenti termini: "l'eventuale occasionale o marginale ausilio nell'organizzazione di un incontro di presentazione, cosi' come il possesso di poche copie di (OMISSIS), costituiscono apporti materiali di dubbia effettivita', e comunque non univocamente indizianti anche della volonta' di contribuire alle finalita' istigatorie perseguite dal gruppo di promotori del progetto editoriale. In sintesi, ritiene la Corte che un giudizio di colpevolezza, al di la' di ogni ragionevole dubbio, non possa che riguardare solo chi...abbia certamente contribuito alla definizione dei contenuti del progetto editoriale, nella piena consapevolezza dei suoi fini, in qualita' di autore di alcuni degli articoli in contestazione o di curatore del sito collegato alla rivista, o abbia posto in essere un apporto causale determinante nella realizzazione, nella stampa e nella diffusione della rivista. La delicatezza del discrimine tra concorrenti nel reato e meri simpatizzanti di area sta nel fatto che (OMISSIS) e gli altri imputati che hanno raccolto il progetto dei detenuti in Alta Sicurezza del carcere di Ferrara hanno certamente messo a conoscenza della nuova iniziativa le persone a loro vicine, e promosso ed effettivamente riscosso solidarieta' ideologica e consenso in una vasta area di persone con orientamenti affini. Alcune, tra queste ultime, si sono prestate ad occasionali collaborazioni (dalla traduzione di alcuni comunicati di formazioni anarchiche straniere alla presenza ad alcuni incontri, dall'acquisto di alcune copie a versamenti di denaro anche in nome della solidarieta' con i detenuti), che tuttavia conservano di per se' soli un'elevata ambiguita', sia sotto il profilo oggettivo (trattandosi di contributi di minima entita'), sia soprattutto sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato. I servizi di o.c.p. e le intercettazioni in definitiva delineano un'ampia "zona grigia" di giovani e vecchi compagni di militanza politica dei responsabili sopra indicati, rispetto ai quali non puo' derogarsi al rigore nella valutazione della prova, essendo la mera condivisione dei contenuti della rivista (che puo' darsi per scontata per tutte le posizioni che seguono) di per se' pienamente legittima e quindi di nessun significato indiziante". La motivazione ora riportata da' contezza del fatto che la Corte di secondo grado si e' fatta carico della questione giuridica posta in ricorso e l'ha risolta sulla base di una scelta per nulla viziata in astratto (sotto il profilo della violazione di legge) e sorretta da motivazione non sindacabile dalla parte pubblica ricorrente stante la doppia assoluzione degli imputati verso i quali e' rivolta la censura e, comunque, fondata su espliciti riferimenti al merito del giudizio in ogni caso non rivedibile in sede di legittimita'. Rimane assorbita la residuale questione, indicata alla fine del motivo di ricorso in esame, sulla applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 2 c.p. al reato sub capo Q, questione, peraltro, dipendente dall'auspicio del ricorrente circa l'accoglimento del successivo motivo di ricorso, cui, invece, non puo' darsi luogo per le ragioni qui di seguito evidenziate. 3.5. Il quinto motivo e' infondato. 3.5.1. Nella prima parte, il Procuratore generale si duole che i giudici di merito abbiano applicato l'articolo 649 c.p.p. - che prevede il divieto di bis in idem - in relazione ad un segmento temporale del reato di cui al capo A, con il quale si contesta a molti imputati il delitto di cui all'articolo 270-bis c.p. (associazione con finalita' di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico). Il ricorrente, ai fgg. 24 e 25 del ricorso, individua il proprio interesse a formulare tale censura con riferimento alla posizione degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); lo stesso ricorrente, nella nota a fg. 25 del ricorso, specifica di non aver interesse a sollevare la questione nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Tuttavia, la censura non puo' attagliarsi alla posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS), assolti in entrambi i gradi di merito con la formula per non avere commesso il fatto, senza alcuna applicazione, nei loro confronti, del principio di cui all'articolo 649 c.p.p.. Quanto agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la regola contenuta in tale ultima norma e' stata applicata in entrambe le sentenze di merito. L'articolo 608 c.p.p., comma 1-bis, nel prevedere il limite al ricorso per cassazione da parte del Pubblico ministero in caso di doppia sentenza favorevole all'imputato, fa espresso riferimento alla sentenza di "proscioglimento". Nel piu' ampio genere di tale sentenza, nella sezione I del capo II del libro VII del codice di procedura penale, sono ricomprese, oltre a quella di assoluzione e di dichiarazione di estinzione del reato, anche ed ancor prima quella di non doversi procedere ex articolo 529 c.p.p., che prevede il caso all'esame, relativo alla violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto, allorquando "l'azione penale non doveva essere iniziata". Ne consegue che anche la questione posta dal ricorrente sulla non corretta applicazione del principio di cui all'articolo 649 c.p.p., laddove attinente non a violazione di legge ma a vizi della motivazione riconducibili all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non e' consentito. Nel ricorso, il vizio di violazione di legge e' indicato nel titolo del motivo accanto a quello inerente al vizio di motivazione, ma tale preliminare indicazione non corrisponde al contenuto delle censure, unicamente rivolte a contestare la motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto, sulla base di una serie di argomentazioni in fatto che il ricorrente disapprova, che fosse esistente un precedente giudicato sul medesimo fatto per cui si procede; in particolare, che nei precedenti processi indicati in ricorso, celebratisi a Perugia, Bologna e Roma, si fosse evidenziata la stessa organizzazione anarco-insurrezionalista indicata con la sigla (OMISSIS) ((OMISSIS)). Nessun profilo di diritto e' stato dedotto in modo da rilevare autonomamente rispetto al contenuto della motivazione della sentenza impugnata nella parte ricostruttiva del fatto storico gia' giudicato e posto a confronto con quello per cui si procede, sicche' la decisione rimane incensurabile per mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita', avendo la Corte di secondo grado ampiamente affrontato "nel merito" la questione ai fgg. 239-243 della sua sentenza, richiamando anche la conforme statuizione di primo grado contenuta ai fgg. 31-56 della sentenza della Corte di assise. Questo segmento del motivo di ricorso e', pertanto, inammissibile perche' non consentito. 3.5.2. Del pari, ad analoga decisione, nei limiti di cui si dira' a breve, deve pervenirsi in relazione al secondo segmento del medesimo motivo, che attiene alla censura della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la sentenza di assoluzione di primo grado emessa nei confronti di alcuni imputati in ordine al reato associativo di cui al capo A con la formula per non avere commesso il fatto. La questione rileva, come indica il ricorso, per gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Tuttavia, solo in ordine agli ultimi due, (OMISSIS) e (OMISSIS), il motivo di ricorso deve ritenersi consentito, in quanto la Corte di assise di appello ha riformato nei loro confronti la sentenza di primo grado che li aveva condannati per il reato sub A - il (OMISSIS) solo per il periodo successivo al 18 maggio 2010, quello precedente essendo coperto da giudicato - giungendo a giudizio assolutorio con la formula per non aver commesso il fatto. Quanto agli altri imputati, il Procuratore generale censura la motivazione della sentenza impugnata per non aver tenuto conto di una serie di elementi dimostrativi del fatto che tali soggetti avessero preso parte al sodalizio indicato al capo A e ritenuto sussistente con riferimento agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed altri non giudicati in questa sede. Ai fgg. 34 e segg. del ricorso, sono enumerate le circostanze fattuali significative, secondo la prospettiva del ricorrente, per la prova della condotta associativa del singolo imputato e che la Corte di secondo grado avrebbe pretermesso o non adeguatamente valutato, anche con riferimento alla apertura internazionalista della (OMISSIS) nel 2011, simboleggiata dalla assunzione della sigla (OMISSIS)-(OMISSIS) ((OMISSIS)) per quanto concerne gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Viene, pertanto, attaccata, con tali argomentazioni, la tenuta della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla sua completezza e logicita', il che non e' consentito in questa sede per le ragioni dette. 3.5.3. Per quanto attiene alla posizione degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), si osserva quanto segue. Si era evidenziato nella sintesi in fatto come, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto essere valorizzati i contatti, anche "deboli", di alcuni imputati, tra i quali quelli di interesse, con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), associati di lunga data che hanno rivestito posizione apicale nella (OMISSIS), tenuto conto di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita', citata in ricorso (fg. 33) in tema di altre, analoghe associazioni terroristiche cosiddette "a rete". In questa prospettiva, il Procuratore generale enumera alcune emergenze processuali che ritiene significative in tema di prova della condotta associativa di partecipazione al sodalizio sub capo A, che la Corte di secondo grado non avrebbe adeguatamente valutato. I) Con riferimento a (OMISSIS), in particolare, il ricorrente cita la conversazione n. 2 del 14.6.2012 intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS) che discutevano della perquisizione a (OMISSIS) nell'ambito di altra indagine denominata "Ardire" relativa alla (OMISSIS) avviata dalla DDA di Perugia; gli interlocutori "si preoccupano e cercano di recuperare informazioni sull'esito di analoghi provvedimenti effettuati ai danni dei âEuroËœtorinesi' (individuati in (OMISSIS) e (OMISSIS)) e dei âEuroËœviterbesi, ossia (OMISSIS) e (OMISSIS)" (fgg. 35 e 36 del ricorso). A fg. 38 del ricorso, si segnala la presenza del (OMISSIS), il 28 marzo 2015, alla stazione ferroviaria di Roma Tiburtina in compagnia della (OMISSIS) e del (OMISSIS) che doveva recarsi a Chieti per andare a trovare (OMISSIS) e (OMISSIS) ma non partira' perche' resosi conto, insieme ai suoi accompagnatori, di essere osservato dalla polizia giudiziaria. A fg. 39, il ricorrente segnala il fatto occorso il 10 maggio del 2005, allorquando (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano recati a Roma e "dopo aver effettuato una sorta di ricognizione di possibili obbiettivi da colpire, si erano recati in una ferramenta per acquistare un contalitri ed un timer"; un timer erano stato trovato a (OMISSIS) in seguito a successiva perquisizione del 26 maggio 2005. Il ricorrente segnala, altresi', l'importanza del "sopralluogo effettuato in data 25.04.2015 da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS), sede dell'Ufficio Immigrazione della Questura di (OMISSIS)". Infine, avrebbero dovuto essere valorizzate, secondo il ricorrente, le frequentazioni tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) e la presenza del primo in Roma nei giorni dell'attentato al Tribunale di Civitavecchia, nonche' i loro contatti con i presunti esecutori di tale delitto, (OMISSIS) e (OMISSIS). II) Con riferimento a (OMISSIS), vengono segnalate, oltre alla partenza per (OMISSIS) ed al sopralluogo del 25.4.2015 all'Ufficio Immigrazione della Questura di (OMISSIS), delle quali si e' detto a proposito del (OMISSIS), le circostanze: della sua presenza a (OMISSIS) quando era stato rubato il motorino utilizzato nell'attentato all'ing. (OMISSIS); del viaggio "segreto" per raggiungere (OMISSIS) per un colloquio con (OMISSIS) e (OMISSIS); della consegna a (OMISSIS) del testo "Anonimo...ne voglio sentire ancora" legato al ferimento (OMISSIS). 3.5.3.1. Le censure del Procuratore generale sono infondate poiche' la motivazione della sentenza impugnata, che ha affrontato le tematiche poste, risulta priva di vizi giuridici o logico-ricostruttivi rilevabili in questa sede, sicche' le argomentazioni del ricorrente rimangono relegate al merito del giudizio. 3.5.3.2. In primo luogo, il ricorso sorvola sulla precisa differenziazione, tratta dall'analisi delle risultanze processuali, che la Corte di secondo grado ha posto tra la (OMISSIS) e le altre organizzazioni terroristiche cosiddette a "rete" di matrice islamica, come l'ISIS. Ai fgg. 269 e 270, la sentenza impugnata ha puntualizzato la questione nei seguenti, ineccepibili, termini: "a ben vedere l'area dell'eversione terroristica di matrice integralista e quella dell'area anarco individualista sono significativamente divergenti nella loro fenomenologia e nelle premesse strutturali. L'ISIS e le molte altre organizzazioni simili hanno un territorio o comunque aspirano al controllo di determinati territori, dispongono di forze armate e ingenti mezzi finanziari e materiali, sono incentrate su una rigida gerarchia interna di ispirazione religiosa, espongono un programma che si presenta come diretta derivazione della volonta' divina e che in realta' promana dalla volonta' di una o piu' persone cui gli adepti riconoscono un ruolo apicale e di guida. In sostanza, non solo e' nota l'organizzazione, ma sono a tutti noti i suoi tratti distintivi, tra i quali la preminenza indiscutibile di un nucleo ideologico operativo di vertice, cui spetta l'indicazione degli obiettivi. Ben si valorizza nel campo del terrorismo islamico l'idea della struttura a rete, rete che pero' presuppone l'esistenza di un nodo centrale che unifica, coordina o quanto meno ispira le singole realta' territoriali, siano esse collettive o singole. La valutazione della partecipazione del singolo ad un sodalizio criminoso terroristico eversivo di ispirazione anarco - insurrezionalista individualista e nichilista non puo' invece che partire da piu' articolate e problematiche premesse, ed in particolare dalla considerazione che tuttora l'area, come riconosce lo stesso P.M. nella parte della memoria in cui tenta di catalogare le varie anime dell'anarchia italiana, e' in maggioranza ancorata alle ispirazioni bonanniane ed all'avversione ideologica a qualsiasi forma di assemblearismo e di gerarchia, aderendo alle teorie della (non) organizzazione informale, e dell'azione diretta diffusa e riproducibile da parte di singoli o gruppi di affinita' privi di stabili relazioni organizzative. Proprio tale caratteristica intrinseca aveva indotto i giudici chiamati a giudicare su segmenti della medesima realta' a ritenere insussistente l'associazione (sigla) "(OMISSIS)", potendosi tutt'al piu' ravvisare gli estremi del delitto di cui all'articolo 270 bis c.p. in capo a singoli gruppi di affinita'. Il giudizio di partecipazione all'associazione eversiva terroristica (OMISSIS) dunque richiede un'attenta verifica per ciascuno degli imputati, presupponendo consapevolezza dell'esistenza di un nucleo centrale e stabile di gruppi e di persone che ne costituiscono l'essenza organizzativa, e volonta' di operare in contatto "qualificato" con l'organizzazione o con suoi esponenti noti come tali per la realizzazione dei suoi fini". Piu' avanti: "Solo un concreto e non occasionale contributo causale funzionale alla concreta realizzazione delle attivita' terroristiche in piena e consapevole adesione alle finalita' eversive della (OMISSIS) - associazione (la cui esistenza sia nota all'agente) integra dunque la condotta di partecipazione sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo". 3.5.3.3. In secondo luogo, la Corte territoriale ha coerentemente applicato le superiori premesse nel delineare la posizione di ciascun imputato del reato di cui al capo A. A fg. 272, la sentenza ha osservato, in generale e per quel che qui rileva, che: "La mera ricorrente frequentazione di molti degli imputati non e' un dato di particolare significativita', ove si pensi che molti di essi si conoscono da molti anni e frequentano regolarmente occasioni di incontro proprie dell'area ideologica di riferimento, ed alcuni sono legati da vincoli di parentela o sentimentali. In alcuni casi si sono sottolineate, come altamente significative, condotte che in verita' a tutto concedere potrebbero ritenersi "sospette" in un'ottica di prevenzione dei reati, ma in realta' di nessun rilievo probatorio. B(OMISSIS) citare la vicenda del presunto "sopralluogo" di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nel corso di una passeggiata in un giorno festivo presso l'Ufficio Stranieri della Questura di (OMISSIS) (obiettivo presso il quale non risultano mai essersi verificati o programmati attentati della (OMISSIS)). La riservatezza degli incontri, gli spostamenti improvvisi, la rinunzia a portare con se' i cellulari, la bonifica delle autovetture e delle abitazioni da microspie, l'evitare conversazioni telefoniche particolarmente compromettenti sono tutti elementi certamente significativi dei tentativi di sottrarsi ad eventuali investigazioni, che potrebbero pero' acquisire dignita' concreta di indizi di partecipazione solo ove correlati a specifiche e contestuali condotte esecutive del programma delittuoso. Occorre peraltro sottolineare che nessuno degli imputati si e' mai dato alla clandestinita'". 3.5.3.4. In terzo luogo, con particolare riguardo alla posizione del (OMISSIS) e del (OMISSIS), la Corte di assise di appello ha reso ampia motivazione ai fgg. 277283. 3.5.3.5. Quanto al (OMISSIS), oltre a cio' che si e' detto a proposito del sopralluogo di (OMISSIS) all'Ufficio Immigrazione, mai oggetto di attentati, il ricorso e' generico nel non confrontarsi con la significativa circostanza, sottolineata dalla Corte, che parte delle condotte di tale imputato, ritenute significative dal ricorrente e, cioe', quelle commesse nel 2004 e nel 2005, erano coperte dal giudicato assolutorio proveniente dalla sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP di Bologna il 18 maggio del 2010. Tra tali condotte vi e' quella apparentemente piu' significativa relativa al possesso dei timer, in ordine alla quale, comunque, la Corte ha offerto specifica confutazione della sua valenza indiziaria (fg. 280 della sentenza impugnata). Il giudice di secondo grado ha ancora osservato la mancata partecipazione del (OMISSIS) ad un qualche reato-fine, la mancata dimostrazione di una compromissione di (OMISSIS) e (OMISSIS) nell'attentato al Tribunale di Civitavecchia (che avrebbe dovuto rendere indiziante la presenza del (OMISSIS) in Roma in quel torno di tempo), la circostanza che egli fosse il compagno della (OMISSIS) tra il 2013 ed il 2016. La Corte ha anche affrontato nel merito il contenuto delle intercettazioni indicate dal Pubblico ministero lungo il giudizio (non soltanto quella del 14.6.2012 di cui al ricorso), ricavandone solo la seguente conclusione, piu' in generale valida per la posizione dell'imputato: "L'unica interpretazione possibile delle conversazioni citate nella memoria del P.M. e' che esse confermano la particolare vicinanza di (OMISSIS) e (OMISSIS) all'ambito piu' estremo dell'anarco insurrezionalismo, affermazione che tuttavia non conduce automaticamente a desumerne anche l'adesione al sodalizio, che come gia' detto non consiste in una condivisione ideologica, ma in un apporto causale i cui contorni sono sfuggenti". Tirando le somme, la Corte di secondo grado ha rilevato: "Difetta comunque l'evidenza dell'elemento psicologico del delitto, cioe' del dolo specifico di contribuire con l'istigazione anche al rafforzamento della (OMISSIS) - Associazione, viceversa ravvisabile in coloro ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) certamente gia' intranei all'associazione per il loro contributo alla commissione di gravi attentati" (fg. 281 della sentenza impugnata). La conclusione e' fondata su una dettagliata e coerente ricostruzione di ogni elemento significativo, anche in numero superiore a quelli citati in ricorso, sicche' le argomentazioni del ricorrente, in alcune parti come si e' visto anche generiche, non sono idonee, come anticipato, a configurare alcun vizio rilevabile in questa sede. 3.5.3.6. Quanto al (OMISSIS) e fermo restando cio' che si e' gia' rilevato a proposito delle condotte compiute insieme al (OMISSIS) (presenza alla stazione Roma Tiburtina e sopralluogo all'Ufficio Immigrazione di (OMISSIS)), la Corte di merito ha mostrato di esaminare, a fg. 283 della sentenza impugnata, tutte le risultanze a carico del ricorrente, anche ulteriori rispetto a quelle segnalate in ricorso, individuando, con valutazioni di merito non rivedibili, la scarsa valenza indiziaria della circostanza piu' significativa collegata alla sua presenza a casa della (OMISSIS) il giorno del furto del motociclo utilizzato nell'attentato ad (OMISSIS). E' stato rilevato, in proposito, che l'attentato si era verificato tre mesi dopo, ad esso non aveva preso parte (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano affermato di essersi procurati autonomamente il motorino, non emergendo in altro modo l'apporto del (OMISSIS) al fatto delittuoso, la sua consapevolezza di esso e, piu' in generale, la partecipazione ad un qualche attentato riconducibile all'associazione (OMISSIS). Queste specifiche osservazioni, anche collocate temporalmente rispetto all'attentato ad (OMISSIS), circostanza non messa a fuoco nel ricorso, non presentano elementi di illogicita' e si uniscono alle altre osservazioni generali a proposito della configurazione dell'apporto causale del singolo imputato, rendendo immune da censure la conclusione cui e' pervenuta la Corte a proposito dell'imputato: " (OMISSIS) e' a tutt'oggi completamente incensurato, e nonostante le lunghe indagini non e' mai stato ritenuto coinvolto nella commissione di alcuno degli attentati rivendicati dalla (OMISSIS) o dalla (OMISSIS) - (OMISSIS). Per quanto possa ritenersi certa la sua adesione ideologica all'ala di anarchia nichilista insurrezionale propensa alla lotta armata riunita attorno alle figure di (OMISSIS) e della (OMISSIS), peraltro non smentita, e benche' il silenzio serbato dall'imputato, pur espressione di legittima scelta processuale, abbia impedito di chiarire alcuni dei principali elementi a suo carico, il quadro probatorio presenta un'indubbia insufficienza, incidente soprattutto sull'individuazione del concreto contributo causale prestato all'imputato" (fg. 283 della sentenza impugnata). 3.6. L'ultimo motivo di ricorso e' infondato. 3.6.1. La Corte torinese affronta il tema della continuazione (riconosciuta) tra adesione del (OMISSIS) alla fattispecie associativa e reato fine (ferimento (OMISSIS) del 7 maggio 2012, fatto separatamente accertato con sentenza irrevocabile) alle pagine 276 e 277 della sentenza impugnata. La medesima questione in diritto, apprezzata diversamente in ragione delle differenti circostanze di fatto valorizzate in motivazione, e' affrontata dalla Corte alla pagina 309 della sentenza in riferimento alla posizione soggettiva di (OMISSIS). Il principio di diritto applicato nel processo e' il medesimo in entrambe i casi. In argomento, il tradizionale indirizzo della giurisprudenza di legittimita' ritiene che, ai fini del riconoscimento della medesimezza del disegno criminoso, la realizzazione dei reati-fine debba essere stata deliberata gia' al momento della costituzione della struttura associativa (Sez. 1, n. 40318 del 4/7/2013, Corigliano, Rv. 257253; Sez. 1, n. 8451 del 21/1/2009, Vitale, Rv. 243199; Sez. 1, n. 12639 del 28/3/2006, Adanno, Rv. 234100). Accedendo a tale impostazione, mancherebbe qualunque concreto elemento fattuale per poter ritenere, al di la' del dato spazio-temporale, che i reati-fine siano stati deliberati contestualmente alla costituzione del sodalizio. Secondo altro orientamento (che pare meglio guidato dal principio costituzionale della personalita' della responsabilita' penale, articolo 27 Cost.) deve, invece, aversi riguardo non al momento della creazione dell'associazione, quanto a quello in cui il partecipe si sia determinato a farvi ingresso; potendo quindi apprezzarsi medesimezza del disegno criminoso tra il delitto di partecipazione ad associazione e singoli reati-fine nel solo caso in cui il giudice verifichi che questi ultimi erano stati programmati in tale momento iniziale (Sez. 1, n. 23818, del 22/6/2020, Rv. 279430; Sez. 1, n. 1534 del 9/11/2017, dep. 2018, Giglia, Rv. 271984). Del resto, diversamente opinando, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente trattamento sanzionatorio di favore, atteso che tutti i reati fine commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi affasciati dallo scopo solidaristico. 3.6.2. Deve qui infatti ribadirsi che l'accertamento sulla sussistenza della continuazione consiste nella verifica, ex post, di una volonta' criminosa non necessariamente esplicitata, in forma chiara e distinta, al momento del fatto, e che, pertanto, deve essere ricostruita, induttivamente, in termini di elevata probabilita' o, comunque, di spiccata verosimiglianza della sua effettiva sussistenza. A tal fine, la pratica giurisprudenziale ha individuato alcune circostanze che, secondo la comune esperienza, possono fungere da pregnanti indicatori della presenza di una programmazione unitaria, quali "l'omogeneita' anche ideale- delle violazioni e del bene protetto, la contiguita' spazio-temporale, le singole causali, le modalita' della condotta, la sistematicita' e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali" (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, Gargiulo, Rv. 270074). Se e' vero, pertanto, che ciascuno di tali indici, singolarmente considerati, non e' in se' indicativo dell'esistenza di una cornice deliberativa comune ai singoli episodi, deve nondimeno riconoscersi che la presenza di una pluralita' di essi consente di formulare, secondo l'unica prospettiva ragionevolmente plausibile, un giudizio di maggiore probabilita' o di piu' spiccata verosimiglianza che essi siano riconducibili a una stessa risoluzione criminosa (Sez. 1, n. 12905 del 17/3/2010, Bonasera, Rv. 246838; recentemente ripresa da Sez. 1, n. 23818/2020, cit.). 3.6.3. Poste tali coordinate in diritto non resta che verificare la congruita' logico-probatoria della soluzione adottata dalla Corte di merito, che ha escluso la continuazione tra reato associativo e reato fine (attentato (OMISSIS) del 7/5/2012) invocata da (OMISSIS), proprio apprezzando la lontana datazione della adesione di costui al sodalizio anarchico caratterizzato da finalita' eversive. Adesione perfezionata in una data di molti anni precedente rispetto alla ideazione del ferimento (OMISSIS), certamente (assume la Corte su congruente piattaforma dimostrativa) influenzata dal disastro nucleare di Fukushima (marzo 2011), come peraltro ammesso in quel processo dagli stessi autori. 3.6.4. Sulla base delle medesime coordinate giuridiche la Corte ha viceversa riconosciuto la medesimezza del disegno criminoso tra l'adesione di (OMISSIS) al sodalizio tematico e l'ideazione del ferimento (OMISSIS) (fatto gia' accertato con sentenza irrevocabile); giacche', escluso che le evidenze rappresentate dalla parte pubblica (tutte orientate verso la dimostrazione di una pregressa condivisione ideale di passioni anarchiche) potessero restituire evidenza di una datata partecipazione del (OMISSIS) alla associazione tematica, alla Corte non e' rimasto altro che apprezzare come la "partecipazione" del (OMISSIS) avesse preso corpo proprio con l'ideazione del ferimento (OMISSIS), fatto fortemente determinato ed orientato ideologicamente dall'incidente nucleare occorso nel 2011 in Giappone. Talche' l'episodio cruento e' stato apprezzato nel merito quale epifania della partecipazione associativa del (OMISSIS) al sodalizio, che gia' vedeva partecipi (OMISSIS) e (OMISSIS). 3.6.5. Non si ravvede pertanto nella decisione della Corte alcuna violazione della legge penale, tantomeno alcun vizio esiziale di motivazione. Il ricorso del Procuratore generale va sul punto rigettato. 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Il primo motivo inerisce alla questione della ritenuta inammissibilita', per intempestivita', dell'appello proposto dal Pubblico ministero ai sensi dell'articolo 570, comma 2, c.p.p.. L'argomento e' stato affrontato nella parte relativa alle questioni comuni a piu' ricorrenti (punto 2.1. delle presenti considerazioni in diritto), cui si rinvia. 4.2. Del pari, si rinvia al punto 2.2. delle presenti considerazioni in diritto in ordine a quanto dedotto nel secondo motivo di ricorso, relativamente alla ritenuta inammissibilita', per difetto di specificita', dell'appello proposto dal Pubblico ministero ai sensi dell'articolo 581, comma 1, lettera d, c.p.p.. 4.3. Il terzo motivo e' infondato. Con esso il ricorrente si duole del fatto che la Corte di assise di appello non avrebbe valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile all'articolo 270-bis c.p., secondo quanto contestato al capo A della imputazione. 4.3.1. Giova premettere che il tema - il quale rileva in senso accusatorio solo per la posizione dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), gli unici imputati precedentemente giudicati e ritenuti responsabili, nel presente processo, del reato associativo di cui al capo A in concorso con il ricorrente (OMISSIS) (non giudicato in precedenza per il reato associativo) e con ignoti - e' gia' stato introdotto, da altra angolazione, trattando del quinto motivo di ricorso del Procuratore generale, che il Collegio ha ritenuto non consentito ex articolo 608, comma 1-bis, c.p.p.. Da tale ultima statuizione adottata in questa sede consegue che deve darsi per assodata la circostanza di fatto, affermata nella sentenza impugnata, secondo cui nei diversi procedimenti penali gia' definiti richiamati da entrambe le parti ad opposti fini, celebratisi a (OMISSIS) (procedimento cosiddetto "Shadow" che vedeva imputati, tra gli altri, (OMISSIS) e (OMISSIS)), (OMISSIS) e (OMISSIS), fosse stata esaminata la (OMISSIS) ((OMISSIS)): "le suddette sentenze non hanno avuto ad oggetto esclusivo "frazioni dell'ipotizzato cartello", ma, in maniera perfettamente sovrapponibile all'imputazione di cui al capo A, formazioni terroristiche in proiezioni operative non limitate a ristretti ambiti territoriali, che si assumevano parte della piu' ampia formazione denominata appunto F.A.I., realta' federativa - organizzativa sulla quale si sono pressoche' integralmente incentrate le motivazioni dei giudici di Perugia, Bologna e Roma" (fg. 242 della sentenza impugnata). In tali procedimenti era stata esclusa la sussistenza del reato associativo di cui all'articolo 270-bis c.p., sotto il profilo della mancanza di una struttura organizzativa. A fg. 243 della sentenza impugnata, si e' affermato, con valutazioni di merito tratte dall'esame concreto dei precedenti giudiziari citati, che le sentenze passate in giudicato avevano escluso l'esistenza di mezzi comuni, un organismo centrale, una definita divisione dei ruoli, un comune governo delle cc.dd. "campagne rivoluzionarie". Di tal che, del tutto correttamente, in punto di diritto, la sentenza impugnata ha rilevato l'efficacia preclusiva del giudicato assolutorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), ex articolo 649 c.p.p., trattandosi del medesimo fatto. Tale efficacia preclusiva e' stata riconosciuta ed individuata in sentenza per il segmento temporale - ricompreso nel piu' ampio periodo indicato al capo A della odierna imputazione (In (OMISSIS) e altrove, a far data quantomeno dal 2003, reato tutt'ora permanente) - intercorrente tra il settembre del 2007 ed il 10 gennaio 2011. Sulla questione della esatta perimetrazione di questo segmento temporale coperto dal giudicato si ritornera' trattando del successivo motivo di ricorso. 4.3.2. Fatta questa premessa, non e' condivisibile l'assunto del ricorrente secondo il quale il giudicato assolutorio nei suoi confronti avrebbe "efficacia espansiva esterna" rispetto all'odierno giudizio, ex articolo 238 bis c.p.p.. La motivazione offerta in proposito dalla Corte e' immune da censure sia sotto il profilo giuridico che sotto quello logico-ricostruttivo. 4.3.3. Deve affermarsi, in linea di principio, che nell'ordinamento processuale penale non esiste alcuna disciplina in ordine alla automatica efficacia del giudicato penale nell'ambito di altro procedimento penale, a differenza di quanto avviene nei rapporti tra processo penale e giudizio civile, amministrativo e disciplinare. Tale assunto e' stato piu' volte ripetuto in giurisprudenza, specie in occasione dell'accertamento del reato di calunnia (in maniera testuale, Sez. 6, n. 14096 del 16/01/2007, Iaculano, Rv. 236142). La tesi della cosiddetta efficacia espansiva esterna del giudicato, prende particolare spunto da una sentenza della Corte di cassazione (Sez. 5, n. 23226 del 12/02/2018, Iandolo, Rv. 273207, espressamente richiamata in sentenza), la cui massima cosi' recita: "le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p. che riguardano una pre-condizione del giudizio in corso (nella specie l'esistenza di una associazione per delinquere) non consentono al giudice di giungere a conclusioni inconciliabili con la sentenza irrevocabile, sempreche' l'inconciliabilita' verta sui fatti posti a fondamento delle decisioni contrastanti e non sulle valutazioni giuridiche di essi". Tale decisione, contrariamente alle apparenze, si pone in consapevole continuita' rispetto alla sentenza di questa Corte Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017, dep. 2018, Boschetti, Rv. 271928. Dalla lettura della motivazione di quella decisione, si ha contezza dei limiti della questione, tutti da ricondurre alla regola fissata dall'articolo 238-bis c.p.p.. Laddove e' stato correttamente sottolineato, riprendendo pacifica giurisprudenza, che "l'articolo 238 bis c.p.p., in tema di "Sentenze irrevocabili", fermo quanto previsto dall'articolo 236, dispone che le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto (rectius: del fatto) in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3. Le sentenze irrevocabili sono quindi classificabili come prove, rilevano ai fini dell'imputazione, della colpevolezza e del trattamento sanzionatorio e debbono comunque essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilita'. Questa Corte ha affermato quindi che le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici, mentre le dichiarazioni in esse riportate restano sottoposte al regime di utilizzabilita' nel diverso procedimento previsto dall'articolo 238, c.p.p. (Sez. 6, n. 41766 del 13/06/2017, Laporta, Rv. 271096; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016 - dep. 2017, P.C. in proc. Bordogna e altri, Rv. 270384). E tuttavia, come sopra ricordato, la sentenza irrevocabile non esercita un vincolo astringente sul libero convincimento del giudice. Nella giurisprudenza di questa Corte e' stato cosi' affermato che l'acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell'articolo 238 bis c.p.p., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell'utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l'autonomia e la liberta' delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015 - dep. 2016, Dacco', Rv. 266338). Ed ancora e' stato ritenuto che, nonostante l'acquisizione della sentenza irrevocabile di assoluzione del coimputato del medesimo reato, il giudice puo' rivalutare anche il comportamento dell'assolto, al fine di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilita' dell'imputato da giudicare (Sez. 2, n. 9693 del 17/02/2016, citata; Sez. 4, n. 19267 del 02/04/2014, Festante e altri, Rv. 259371). E' cosi' chiaro che la sentenza acquisita non esercita una efficacia automatica ma costituisce un elemento di prova dei fatti in essa accertati, rilevanti nel nuovo giudizio, e pur sempre soggetto alla regola di valutazione integrata del comma 3 dell'articolo 192 c.p.p. che esige un riscontro esterno" (fgg. 10 e 11 della sentenza prima citata). La stessa decisione, approfondendo il proprio ragionamento, ha, poi, ritenuto piu' rigoroso il dovere motivazionale del giudice laddove nella sentenza irrevocabile prodotta ex articolo 238-bis c.p.p., sia stata esclusa la sussistenza stessa del fatto storico, purche' si tratti, per l'appunto, del "fatto" e non della "valutazione giuridica di esso", che rimane sempre impregiudicata in un differente giudizio e, soprattutto, per quel che qui interessa, che il precedente giudicato abbia avuto ad oggetto lo stesso materiale probatorio esaminato nel secondo giudizio. Poiche' e' evidente che, in assenza di pregiudizialita' penale e fermo restando l'obbligo motivazionale che si impone in presenza di un giudicato assolutorio per il medesimo fatto, la differenza tra le acquisizioni processuali di un procedimento gia' definito e di un altro in corso puo' condurre il giudice di merito ad una differente decisione; nel che, il significato del richiamo operato dall'articolo 238-bis c.p.p. alle regole interpretative della prova fissate dagli articoli 187 e 192, comma 3, c.p.p.. 4.3.4. Sotto il profilo motivazionale, la sentenza impugnata ha affrontato specificamente il tema, precisando, a fg. 246, che il materiale probatorio del presente processo e' differente rispetto a quello dei precedenti giudizi gia' definiti. Tale diversita' - che si coglie gia' in nuce nella ben piu' ampia indicazione del tempus commissi delicti del reato associativo di cui al capo A rispetto alle imputazioni degli altri processi - non e' stata ritenuta, come vorrebbe il ricorrente, solo su una diversa lettura dei documenti programmatici della (OMISSIS) gia' in possesso dei precedenti giudici, ma sulla emersione di fatti specifici qualificati dalle Corti di merito come reati-fine dell'associazione eversiva di cui al capo A, rimasti sconosciuti ai piu' risalenti accertamenti giudiziari. Il riferimento preciso e' ai fatti di reato di cui ai capi B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, come rispettivamente contestati a (OMISSIS) e (OMISSIS) e sui quali piu' in dettaglio si ritornera' nel prosieguo dell'esame dei motivi di ricorso. Inoltre, a carico del (OMISSIS) la sentenza ha evocato il precedente giudiziario irrevocabile, questa volta di condanna, relativo all'attentato all'amministratore delegato della (OMISSIS), ing. (OMISSIS), avvenuto nel 2012, evento anch'esso inquadrato come reato-fine della associazione sub A, occorso al di fuori del perimetro cronologico coperto dal precedente giudicato e del quale e' stata acquisita la relativa sentenza. Sono state, inoltre, segnalate le emergenze, anch'esse sconosciute ai precedenti giudizi, inerenti alla internazionalizzazione della (OMISSIS) in epoca anch'essa successiva ai fatti gia' giudicati. Ne rimane sconfessata la tesi difensiva che i precedenti processi e quello odierno avessero fatto riferimento ad emergenze probatorie pressoche' sovrapponibili. 4.4. Il quarto motivo e' inammissibile. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di assise di appello, parzialmente riformando sul punto la sentenza di primo grado, abbia ridotto il segmento temporale coperto dal giudicato assolutorio relativo al capo A del quale si e' parlato a proposito del precedente motivo di ricorso. Per la Corte di assise di (OMISSIS), l'effetto preclusivo si estendeva dal settembre 2007 al 22 ottobre del 2013, data della sentenza di primo grado emessa nel procedimento di Perugia cosiddetto Shadow. Per la sentenza impugnata, l'effetto preclusivo doveva ritenersi sussistente dal settembre del 2007 al 10 gennaio del 2011, data del decreto che aveva disposto il giudizio nel medesimo procedimento perugino. La censura - oltre che manifestamente infondata in diritto, posto che la contestazione del reato permanente nel processo Shadow, come precisato a fg. 240 della sentenza impugnata, indicava un termine finale, "ad oggi", sicche' l'accertamento giudiziale doveva ritenersi avvenuto fino alla data del decreto che aveva disposto il giudizio (cfr., in proposito, Sez. 3, n. 2567 del 17/09/2018, dep. 2019, Ghiringhelli, Rv. 275829) - e' inammissibile per carenza di interesse. Infatti, il ricorrente, in relazione al capo A della imputazione, ha avuto inflitto un aumento di pena in continuazione identico nei due gradi di merito e pari ad anni uno e mesi sei di reclusione (cfr. fg. 310 della sentenza impugnata e fg. 349 della sentenza di primo grado). Vale a dire che la contrazione temporale dell'effetto preclusivo del giudicato in relazione al capo A, ritenuta in secondo grado, non ha avuto effetti sul trattamento sanzionatorio complessivo, privando il ricorrente dell'unico profilo di concreto interesse a ricorrere, in assenza di prospettazioni difensive indirizzate a mettere in luce differenti finalita' della censura. 4.5. Il quinto motivo e' inammissibile. Il ricorrente si duole della decisione dei giudici di merito di ritenere sufficiente la delega orale del Pubblico ministero per escludere ogni vizio formale dell'accertamento tecnico consistente nella estrapolazione del DNA effettuato dal RIS dei Carabinieri nell'immediatezza dei fatti occorsi nel novembre del 2005 presso il (OMISSIS), come descritti ai capi B e C della imputazione. La Corte di assise di appello ha risposto ad identica questione processuale eccepita dal ricorrente (OMISSIS), secondo quanto precisato a fg. 119 della sentenza impugnata. E' stato richiamato in sentenza il principio di diritto stabilito da Sez. 5, n. 14464 del 09/02/2011, Volponi, Rv. 250126 secondo il quale, la necessita' che la delega alla polizia giudiziaria per l'espletamento di un atto di indagine sia conferita dal pubblico ministero con un provvedimento formale sussiste nel solo caso in cui si prospetti l'esigenza di verificare la natura degli adempimenti delegati ed i limiti della delega, non anche quando quest'ultima riguardi un atto bene individuato, disciplinato da norme di garanzia che ne regolano l'assunzione. Il ricorrente ha contestato che tale principio possa applicarsi al caso in esame. L'eccezione, tuttavia, e' manifestamente infondata a monte. A fg. 198 della sentenza di primo grado, risulta che tali eccezioni di nullita' ed inutilizzabilita' dell'accertamento tecnico erano state avanzate dalla difesa al dibattimento solo in sede di discussione finale. Esse dovevano ritenersi precluse in quanto, come aveva precisato la sentenza della Corte di assise di (OMISSIS), l'accertamento tecnico era stato acquisito al fascicolo del dibattimento senza nessuna opposizione delle parti, circostanza che non avrebbe potuto consentire di eccepire alcunche' a posteriori sull'eventuale profilo di inutilizzabilita' o nullita' del procedimento originario di acquisizione del dato tecnico. La difesa, in altre parole, avrebbe dovuto rilevare il vizio formale, opponendosi a che l'atto "entrasse" nel fascicolo del dibattimento ove era stato inserito ab origine, nei termini di cui all'articolo 491, comma 2, c.p.p.. La correttezza di tale conclusione e' indirettamente confermata da quanto precisato dalla Corte di primo grado, secondo cui, nel caso concreto, proprio per la mancanza di opposizione formale della difesa in sede di questioni preliminari, era stato impossibile verificare la presenza di una delega scritta (che vi fosse stata una delega orale era, invece, stato confermato da un testimone di polizia giudiziaria escusso al dibattimento), dal momento che l'accertamento tecnico era stato effettuato da altra Procura della Repubblica nell'ambito di diversa indagine poi confluita nel presente processo ed ai cui atti si sarebbe dovuto e potuto attingere ma solo all'inizio del processo e su adeguata e tempestiva sollecitazione difensiva. 4.6. Il sesto motivo e' infondato. Con esso il ricorrente censura il giudizio di responsabilita' per i reati di cui ai capi C, D ed E, inerenti alla collocazione di un ordigno esplosivo nel (OMISSIS), vicino alla caserma del RIS, avvenuta il (OMISSIS) e nella spedizione di plichi contenenti polvere esplosiva all'allora sindaco di Bologna (OMISSIS), avvenuta a distanza di pochi giorni, il 2 novembre del 2005. Il ricorrente, come si e' detto trattando del ricorso del Procuratore generale, e' stato assolto nei due gradi di merito dal reato di cui all'articolo 280-bis c.p. contestatogli al capo B (relativo al primo episodio al (OMISSIS)) con la formula perche' il fatto non costituisce reato, statuizione che in questa sede non viene intaccata; sicche', con riguardo a tale vicenda, le doglianze attengono alla sua condanna per la fabbricazione ed il porto dell'ordigno utilizzato in quella occasione (capo C). I reati sub B, C, D ed E di cui ora si discute erano stati contestati al (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS), sua convivente, la quale, tuttavia, e' stata assolta in entrambi i gradi di merito con la formula per non avere commesso il fatto. 4.6.1. Fatta questa breve premessa, il motivo di ricorso e' volto a contestare la conforme valutazione effettuata dai giudici di primo e secondo grado della prova scientifica che si era formata a seguito del rinvenimento, sui manici del sacchetto in cui era contenuto l'ordigno collocato nei pressi del RIS di Parma, di un genotipo maschile ritenuto compatibile con il DNA dell'imputato. Vanno subito anticipate alcune notazioni di fondo. Contrariamente all'assunto difensivo, il giudizio di colpevolezza del ricorrente non e' stato fondato esclusivamente sulla prova scientifica. Le Corti di merito, infatti, hanno attribuito a tale risultanza solo il valore di grave indizio di colpevolezza, rilevando l'esistenza di ulteriori convergenti indizi, sui quali il ricorso sostanzialmente sorvola, idonei a supportare la condanna nel rispetto della regola di cui all'articolo 192, comma 2, c.p.p.. Come e' noto, in punto di diritto, va considerato che l'elemento acquisito agli atti costituito dalla comparazione del DNA e valorizzato ai fini dell'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato, puo' costituire prova piena a tutti gli effetti, come gia' affermato in precedenti pronunce da questo giudice della legittimita' (Sez. 2 n. 8434 del 5.2.2013, Rv 255257; Sez. 1 n. 48349 del 30.6.2004, Rv 231182; Sez. 2, n. 43406 del 01/06/2016, Rv. 268161, Sez. 2 n. 16809 del 2018, non massimata, secondo cui gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'articolo 192, comma due, c.p.p., sicche' sulla loro base puo' essere affermata la responsabilita' penale dell'imputato, senza necessita' di ulteriori elementi convergenti). E' altrettanto utile ricordare il pacifico principio, neanche contestato in ricorso, secondo cui gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilita' di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p.; peraltro, nei casi in cui l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti puo' essere attribuita valenza indiziaria (Sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, Rv. 255257; Sez. 1, n. 48349 del 30/06/2004, Rizzetto, Rv. 231184). La scelta prudenziale operata dalle Corti di merito nel caso concreto trova giustificazione nel fatto che gli esiti della indagine scientifica avevano raggiunto, per le ragioni qui di seguito indicate, solo una compatibilita' tra il DNA rinvenuto nella busta ove era contenuto l'ordigno collocato al (OMISSIS) e quello del (OMISSIS). Il ricorrente sostiene che tale accertamento scientifico non avrebbe dovuto assurgere nemmeno al rango di grave indizio di colpevolezza e cio' in quanto sarebbero stati violati, nella acquisizione della prova, i protocolli scientifici di riferimento. L'assunto e' supportato in punto di diritto principalmente dalla statuizione di questa Corte (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264863, confortata, sia pure con riguardo a prova scientifica di altro genere, da Sez. 1, n. 17424 del 15/03/2011, Seminara, Rv. 250323), secondo la quale, in tema di indagini genetiche, l'analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonche' di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di "compatibilita'" del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacita' dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori. Tuttavia, come chiaramente emerge dalla motivazione di tale decisione, qui condivisa, in quel processo si era avuta la prova certa che i protocolli scientifici di riferimento non fossero stati osservati (cfr., in particolare, fg. 37 della motivazione). Nel caso in esame non si puo' affermare la stessa cosa, cosi' come non si puo' sostenere che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto delle critiche difensive. Ne consegue che in questo processo, oltre a non potersi eccepire alcun profilo di inutilizzabilita' della prova scientifica (in questo senso, Sez. 5, n. 8893 del 11/01/2021, Laurenti, Rv. 280623), la motivazione della Corte di secondo grado andra' valutata ex articolo 606, comma 1, lettera e c.p.p. con riguardo alla sua congruita' e non manifesta illogicita'. 4.6.2. La sentenza impugnata dedica all'argomento le pagine da 96 a 122. 4.6.2.1. E' stato evidenziato dalla Corte di assise di appello che le indagini condotte subito dopo il fatto avvenuto al (OMISSIS) il (OMISSIS), avevano permesso al RIS di identificare un profilo genetico utile per successive comparazioni, estraendo il DNA lasciato da un soggetto di sesso maschile sui manici della busta contenente l'ordigno ed attribuito a sudore per le ragioni esplicitate a fg. 99 della sentenza, laddove e' stata trasfuso anche un lungo passaggio della relazione del RIS esplicativo della metodica applicata in conformita' alle linee guida del tempo. La sentenza ha sottolineato - con valutazione logicamente ineccepibile - che la comparazione con il DNA appartenente all'imputato era stata effettuata molti anni dopo, solo quando (OMISSIS) era stato scoperto come autore dell'attentato all'ing. (OMISSIS), avvenuto nel 2012, sicche' era da escludersi ogni forma di sospetto sulla neutralita' della indagine in allora effettuata dal RIS. Inoltre, era stato comparato il DNA estratto con quello degli artificieri intervenuti, al fine di escludere possibili contaminazioni, gia' rese improbabili dal fatto che l'analisi era stata effettuata subito dopo la scoperta dell'ordigno, tanto da escludersi che altri soggetti terzi avessero potuto maneggiare la busta che lo conteneva dopo la sua collocazione. Il RIS, nonostante l'esiguita' del materiale biologico e la sua natura di profilo genetico complesso cosiddetto misto - circostanze che non avevano potuto condurre a rilevare la certa attribuzione al (OMISSIS) del DNA ritrovato sulla busta avevano riscontrato "piena compatibilita' dei marcatori di (OMISSIS) con tutti i marcatori di minor peso molecolare (quelli emersi piu' nitidamente dai tamponi sul manico della busta)" (fg. 100 della sentenza). Tanto aveva indotto gli esperti del RIS a verificare il significato statistico di tale risultato attraverso l'utilizzo di due diversi software, concludendo che anche nella ipotesi piu' favorevole all'imputato il risultato attribuiva al (OMISSIS) il DNA con un "livello probabilistico molto forte" (fg. 100). A seguito delle contestazioni del consulente tecnico della difesa, la Corte di primo grado aveva disposto una perizia di ufficio, affidando l'incarico "al prof. (OMISSIS), esperto di chiara fama in materia, Ordinario di Medicina Legale presso l'Universita' di Medicina di (OMISSIS), che ha proceduto alle operazioni con la collaborazione della Dott.ssa (OMISSIS), esperta di genetica forense, ricercatrice presso il Dipartimento di Biologia della medesima Universita' degli Studi e membra dell'Associazione dei Genetisti forensi italiani". Le conclusioni del perito di ufficio - che aveva riesaminato l'operato del RIS ed effettuato indagini proprie sul profilo genetico di (OMISSIS) e sui risultati dell'indagine biostatistica - per le ragioni esplicitate ai fgg. 103-105 della sentenza, avevano convalidato le conclusioni del RIS, anche nell'ipotesi piu' favorevole all'imputato, quella nella quale vi fossero stati, per ipotesi, quattro diversi soggetti "contributori" alle tracce repertate (fg. 105 della sentenza impugnata). Non risulta corretto affermare, pertanto, che la sentenza ha fondato il suo giudizio "solo" sul contenuto della perizia, poiche' tale elaborato aveva confermato gli accertamenti svolti autonomamente dal RIS di Parma. 4.6.2.2. A partire dal fg. 108, la sentenza ha mostrato di tenere in conto tutte le piu' rilevanti censure difensive rispetto a tale risultato, in quanto contenute nell'atto di appello ed ancora ribadite in ricorso, esaminandole partitamente, fornendo compiute risposte e giungendo a conclusioni esenti da censure logico-giuridiche rilevabili in questa sede. In particolare, la Corte territoriale ha richiamato alcuni specifici paragrafi delle stesse linee guida cui si fa riferimento in ricorso (GEFI 2018) - ben note al perito, 9 alla sua collaboratrice ed al RIS, facenti parte dell' (OMISSIS) - per sottolineare i margini di discrezionalita' del processo di valutazione quanto alla diagnosi della natura delle tracce biologiche (se provenienti da sudore o altro) o della quantificazione del DNA, nonche' l'importanza del calcolo biostatistico ai fini di suffragare la conclusione di compatibilita', concentrandosi sulle possibili metodologie da applicare in caso di profili complessi cosiddetti "misti". Di tali richiami testuali alle linee guida - che dimostrano come il perito ma anche il RIS avessero proceduto correttamente in relazione alle precipue circostanze del caso concreto, anche con riferimento alle operazioni di estrazione e di analisi del reperto - il ricorso non tiene conto. La sentenza ha anche affrontato e superato, con precisi richiami al contenuto dell'esame dei perito, l'unico elemento ritenuto piu' problematico dell'accertamento tecnico, vale a dire il fatto che il RIS, data l'esiguita' del materiale biologico, non avesse potuto effettuare se non una replica dell'amplificazione del DNA, mentre le linee guida raccomandavano di effettuarne piu' di una. Il perito, secondo quanto riportato a fg. 111 della sentenza impugnata, aveva fatto riferimento alle piu' recenti tendenze della comunita' scientifica, citando anche le raccomandazioni della Societa' Internazionale di Genetica Forense (fg. 112), per dimostrare come l'assenza di piu' repliche non poteva ritenersi un elemento preclusivo rispetto alla possibilita' di esaminare validamente il reperto, tenuto conto della rilevanza, gia' indicata nelle linee guida, dei risultati della analisi biostatistica effettuata con i software piu' aggiornati e accreditati come quelli utilizzati dal perito, idonei a calcolare fenomeni di possibile artefazione o disturbo (indicati come drop in o drop out o stoc(OMISSIS)ci) dei quali, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la perizia ha tenuto conto (fg. 112). Le conclusioni cui si e' giunti hanno avuto presente, pertanto, la complessita' del caso concreto, mostrando di mantenersi fedeli alla massima cautela valutativa imposta dalle circostanze, valutando l'ipotesi piu' favorevole al ricorrente (presenza di un numero di contributori diversi dal (OMISSIS) tra tre e quattro) e non giungendo a conclusioni di certa attribuzione ma solo di compatibilita' "molto forte" - avente valore solo indiziario e non di prova piena - proprio in forza dei limiti rilevati della indagine scientifica nel caso all'esame. Cio', nonostante fosse emerso, riportando testualmente quanto sottolineato a fg. 112 della sentenza impugnata ma non in ricorso, che "dalla tabella delle corrispondenze allegate alla relazione (ff. 28 - 29) si evince immediatamente che nessuno dei 32 profili genetici estrapolati dal prelievo a (OMISSIS) e' incompatibile con i marcatori evidenziati solo da una delle amplificazioni effettuate. Al contrario di quanto si sostiene nell'atto di appello, la circostanza non e' senza significato, perche' la compatibilita' e' ampia, e' stata riscontrata sia dal RIS che dal perito di ufficio, e riguarda non uno o due, ma tutti i marcatori emersi solo in una delle due tipizzazioni. In sostanza, dunque, benche' solo 7 loci non degradati siano emersi da entrambe le amplificazioni e quindi siano stati utilizzati per la comparazione identificativa (profilo consensus), le caratteristiche genotipiche dell'imputato in realta' corrispondono anche agli altri marcatori evidenziati solo da una delle due amplificazioni e neanche uno di essi presenta tratti incompatibili con il giudizio di identificazione, dovendosi pertanto conferire al dato il valore di un'elevata significativita' probabilistica". La sentenza impugnata ha anche offerto una ineccepibile ricostruzione logica del motivo per il quale doveva escludersi la possibilita' che l'imputato fosse rimasto estraneo alla collocazione dell'ordigno pur in presenza del suo DNA, potendo verificarsi in ipotesi il caso di un contatto indiretto. Qui, la sentenza esprime valutazioni che attengono al merito del giudizio, in quanto basate su una valutazione di specifico contesto nella quale si e' tenuto conto dello stato dei manici della busta, del suo trasporto, della immediata repertazione da parte del RIS, della estrema cautela dimostrata nella collocazione stante l'assenza di tracce su tutto il resto dell'ordigno a parte la busta. Soprattutto, pero', a rendere immune da censure la conclusione della Corte circa il fatto che, anche nella migliore delle ipotesi difensive, il ricorrente "si collocherebbe pur sempre in una condizione di immediata contiguita' cronologica e personale con le operazioni di confezionamento e di trasporto della bomba" - cosi' dovendosi comunque apprezzare penalmente il suo concorso nel reato in uno alla valenza indiziaria dell'accertamento tecnico sul DNA - stanno gli altri elementi valutativi, anch'essi di tipo indiziario, cui si era fatto riferimento all'inizio dell'esame del motivo, siccome evidenziati ai fgg. 114-117 della sentenza impugnata e sui quali il ricorso sorvola nella sua pretesa di ritenere sostanzialmente privo di qualunque valenza probatoria, anche di tipo indiziario, l'accertamento tecnico-scientifico del quale si discute. In particolare, sono stati messi in luce, in una conclusiva visione di insieme rispettosa delle regole giuridiche afferenti alla prova indiziaria - sul punto, basta richiamare il pacifico principio di diritto secondo il quale, in tema di valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera (OMISSIS)toria degli indizi e non puo' percio' prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravita', per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, Sez. U, n. 33748 del 2005, Mannino) - i seguenti elementi: la accertata adesione del ricorrente, pubblicamente esternata, alla falange piu' aggressiva dell'anarchismo insurrezionalista armato; la notevole assonanza di contenuti tra la rivendicazione dell'attentato all'ing. (OMISSIS), eseguito personalmente dal (OMISSIS) nel 2012, con la rivendicazione dell'attentato di (OMISSIS); la presenza, nella rivendicazione dell'attentato di (OMISSIS), di un riferimento allo "smantellamento di giornali", che la Corte ha collegato agli arresti di alcuni imputati (ricorrenti o resistenti nei confronti del ricorso del Procuratore generale) legati al (OMISSIS) da conclamata e non smentita amicizia e comunione ideologica, tra i quali vi era pure la di lui sorella (OMISSIS), arresti avvenuti poco tempo prima dell'attentato in relazione al ruolo di costoro nella redazione della rivista (OMISSIS); le caratteristiche costruttive dell'ordigno, corrispondenti, secondo il consulente balistico del Pubblico ministero sentito al processo, con quelle del precedente attentato a (OMISSIS) compiuto dall'anarchica (OMISSIS) certamente collegata al (OMISSIS) ed alla (OMISSIS) nella ristretta cerchia di anarchici che poteva avere "a disposizione canali di rifornimento di esplosivo e capacita' tecniche ragguardevoli, impiegate in entrambi gli episodi"; le forti similitudini dell'ordigno di (OMISSIS) con il primo ordigno esploso nel quartiere (OMISSIS) il (OMISSIS), in ordine al quale, come si evidenziera' trattando dei successivi motivi di ricorso sui reati di cui ai capi L ed M, va individuata la responsabilita' del ricorrente e della (OMISSIS), a documentare la circostanza che gli attentati fossero stati orditi da "un unico centro decisionale"; la lettera esplosiva indirizzata al Sindaco di Bologna (OMISSIS) (vicenda di cui ai reati sub capi D ed E) era stata rivendicata, come l'attentato di (OMISSIS), dalla formazione (OMISSIS) (occasionalmente spettacolare) nella quale il ricorrente era inserito da protagonista ("una delle sigle di piu' risalente operativita' nel panorama dell'anarco-insurrezionalismo, gia' cofondatrice della (OMISSIS) e come tale firmataria a mezzo di suoi delegati del documento "Chi siamo", poi del successivo documento "Quattro anni", ed infine di quello "Non dite che siamo pochi", di apertura alla proposta di internazionalizzazione delle CCF greche" fg. 97 della sentenza impugnata). Tale plico esplosivo aveva tipologia identiche a quelle dei plichi successivi inseribili nella stessa "campagna" di attentati; l'interruttore rinvenuto nell'ordigno inesploso di (OMISSIS) era identico a quello del primo ordigno scoppiato al quartiere (OMISSIS), "peraltro confezionato anche con identico e certo non comune esplosivo ad alto potenziale" ed il medesimo tipo di interruttore era stato ritrovato nel 2009 alla (OMISSIS), convivente del (OMISSIS); sicche', per quanto concerne la posizione di quest'ultimo, la sentenza impugnata ha correttamente annotato: "la sostanziale identita' dei due ordigni ad alto potenziale logicamente induce a collegare i due episodi ed evidenzia un reciproco rafforzamento dei rispettivi elementi indiziari, in una valutazione doverosamente complessiva del quadro probatorio". Tanto supera ed assorbe ogni altra considerazione difensiva. 4.7. Il settimo motivo e' infondato. Esso, come i seguenti quattro motivi che possono essere trattati congiuntamente, resta caratterizzato dalla censura avverso l'affermata responsabilita' (su base indiziaria) per i delitti di cui ai capi F, G, H, I, L ed M (le c.d. operazioni (OMISSIS) DA TE, consumate con utilizzo di materiale esplosivo). Si denunzia vizio della motivazione, nella triplice declinazione del travisamento della prova, della illogicita' manifesta e della mera apparenza, oltre alla violazione della legge processuale (articolo 192, comma 2, 533 c.p.p.), in quanto la Corte di merito avrebbe offerto risposta illogica, non allineata ai protocolli certificativi in materia grafologica e meramente apparente rispetto alle argomentazioni spese con i motivi di gravame. Del pari, quanto a significato ritenuto univocamente indiziante della conversazione intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) all'interno della abitazione torinese il 24 giugno 2007, il cui significato (collegamento all'attivita' di compilazione degli indirizzi sulle buste da lettera da spedire e successiva loro spedizione, con introduzione nelle buche site in prossimita' della stessa abitazione) sarebbe stato apertamente travisato nel doppio grado di giudizio di merito. Il ricorrente enuclea quindi plurimi, significativi e decisivi elementi di prova acquisiti al processo che sarebbero stati travisati dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni. 4.7.1. La consulenza (OMISSIS)- (OMISSIS). I travisamenti denunziati attengono alla valorizzazione del sapere grafologico riversato nel processo dalle consulenti (OMISSIS) e (OMISSIS), che mai si sarebbero espresse in termini di elevata probabilita' della coincidenza tra gli scritti minatori esaminati e quelli di comparazione (tracciati a mano libera) certamente riferibili al tratto grafico degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (fonte: pubblica amministrazione, D.A.P. e Comune). Il risultato di tale consulenza sarebbe del resto avversato da altri (precedenti) esiti consulenziali -di parte pubblica- pure esaminati nel processo. Tali claudicanti elementi di supporto alla accusa contenuta nelle imputazioni farebbero crollare il giudizio di responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati indicati, che si fondava "sulla certa attribuzione ai due imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) delle missive contenenti i plichi esplosivi e quindi delle lettere minatorie con le quali veniva data esecuzione alla seconda fase di attentati della cd. Operazione Fai Da Te, che al contempo preannunciava e minacciava la verificazione della terza fase (della lotta armata, n.d.r.)". Gli argomenti sviluppati, fondanti sulla comune svalutazione della consulenza (OMISSIS)- (OMISSIS) e sul deficit di "novita'" di tali accertamenti tecnici rispetto ai precedenti esiti procedimentali delle investigazioni gia' compiute, non hanno pregio. La Corte di merito argomenta diffusamente il proprio convincimento alle pagine 127 e seguenti della sentenza impugnata. Innanzi tutto, sottolinea la Corte, la precedente archiviazione delle indagini svolte in relazione alle medesime notizie di reato rivestiva natura "processuale" (articolo 125, disp. att. c.p.p.), in quanto gli indizi in allora raccolti non erano stati stimati idonei a sostenere l'accusa in giudizio, mentre restava salda la fondatezza della notizia di reato. Rispetto al materiale indiziario precedentemente valutato, la nuova consulenza grafologica costituiva senz'altro, argomenta la Corte, novum assai rilevante, che consente di colorare di gravita' indiziaria convergente anche gli altri elementi gia' precedentemente portati all'attenzione dell'inquirente. Inoltre, la "qualificata probabilita'" della attribuibilita' dei reperti grafici a (OMISSIS) e (OMISSIS) fonda innanzitutto sull'esame in originale dei documenti "anonimi" cui attribuire, attraverso lo studio delle esperte, una genesi. I documenti contenenti le scritture comparative sono numerosi e di foggia varia. I documenti "anonimi" da analizzare erano gia' in precedenza stati suddivisi in due gruppi, a testimonianza della duplice fonte di produzione da identificare. La gradazione della probabilita' identitaria, che la Corte ben definisce in termini superiori alla linea mediana, e' stata raggiunta sulla base della concorrenza di piu' indici ricorrenti e qualitativamente rilevanti, atti a segnare l'originalita' incoercibile del tratto grafico, anche ad onta dei tentativi dissimulatori (tratto libero, scrittura a ricalco). 4.7.2. La Corte, secondo il ricorrente, non avrebbe inoltre adeguatamente valutato la consulenza (OMISSIS)- (OMISSIS) alla luce dei principi regolatori delle modalita' di estrazione e analisi della prova scientifica nel processo penale, erroneamente attribuendo ad essa il rango di indizio di colpevolezza. L'analisi attenta della motivazione della sentenza impugnata restituisce, viceversa, contezza di rispetto del protocollo e attenzione nell'analisi del reperto. Cio' che soprattutto preme rilevare e' che le conclusioni tecniche raggiunte dalle consulenti escusse nel contraddittorio hanno seguito un percorso di ortodossia metodologica non censurabile, i cui risultati, spiega la Corte alle pag. 138 e 139 della sentenza impugnata, neppure si pongono in aperto contrasto con quanto in precedenza gia' riscontrato da altri organi tecnico-investigativi, che, peraltro, non avevano a disposizione materiale di comparazione. Si deve quindi concludere che versiamo fuori sia da ipotesi di inutilizzabilita' della prova scientifica, che di inosservanza manifesta dei protocolli scientifici (Sez. 1, n. 26455, del 26/3/2013, ric. Knox, Rv. 255677); il che porta a ritenere che il risultato del sapere scientifico calato nelle evidenze processuali va apprezzato come tessera indiziaria (probabilisticamente rilevante, in ragione anche del rapporto di convivenza che legava gli imputati, della loro domiciliazione torinese e dell'attivismo, manifestato anche aliunde, nella lotta anarco insurrezionalista di natura violenta) di un mosaico formato da tanti altri elementi, di natura storica, logica e, comunque, rappresentativa, convergenti verso le persone dei due ricorrenti imputati dei fatti iscritti nel paradigma delle "Operazioni (OMISSIS) da te". Viene inoltre dedotta mera apparenza della motivazione, per non avere la Corte tenuto conto - sempre con riferimento ai reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M - delle controdeduzioni difensive, contenute nell'atto di appello, rispetto ad una serie di elementi valutati dal giudice di primo grado. La censura non si confronta con il testo della sentenza impugnata, che contrariamente a quanto rappresentato nei motivi di ricorso ha raccolto ogni indicazione oppositiva della difesa, argomentando il proprio diverso opinare sulla base delle evidenze dibattimentali (conversazioni analisi documentali, esiti scientifici, argomenti topografici e logico cronologici, che legano gli agenti alle condotte di rivendicazione contestate), dovendosi ritenere evidentemente assorbite quelle cesure di merito apertamente incompatibili con la logica che sostiene il percorso motivazionale, teso ad esaltare l'univoca gravita' di una serie di elementi concordanti e tutti convergenti verso le persone degli imputati ricorrenti. 4.7.3. Quanto al vizio della motivazione, sempre in relazione al giudizio di responsabilita' per i reati di cui ai capi F, G, H, I, L ed M, i giudici di merito, secondo il ricorrente, sarebbero caduti in contraddizione allorquando hanno sostenuto che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero soggetti particolarmente accorti nello sviare le indagini, per poi attribuire loro una condotta altamente imprudente, quale quella di aver confezionato due missive da casa loro, con l'uso di un normografo e di averle imbucate in una cassetta postale sita poco distante dalla loro abitazione, peraltro in giornata domenicale, che non prevedeva il ritiro della corrispondenza. Come pure nell'apprezzare la conversazione tra presenti allorquando si trae argomento dalla lamentela del (OMISSIS) sulla mancanza della lettera "e" assolutamente non indicativa di alcuna attivita' redazionale, ma ascrivibile all'attivita' di tatuatrice svolta dalla (OMISSIS). Gli accertamenti scientifici, ancorche' non caratterizzati da assoluta certezza del risultato probatorio, sono stati, come gia' detto, apprezzati dalla Corte in uno ad altre "tessere" indicative della direzione soggettiva sulla quale convergere. Alle pagine 140 e seguenti della sentenza impugnata, la Corte torinese valorizza, in senso convergente, la conversazione ambientale del 24 giugno 2007, che appare segnare il momento in cui la coppia (OMISSIS)- (OMISSIS) "muove" alla spedizione delle missive incriminanti. Vengono quindi esaltati segmenti di conversazione "manca una e" assai indicativi dell'opera svolta, giacche' nella missiva a firma (OMISSIS) (OMISSIS) indirizzata alla (OMISSIS) si legge proprio l'aggiunta "disgrafica" di una "e" posticcia nella parola "previlegio", oltre al tono che si coglie dalle battute tra i conversanti, i tempi e la dimensione topografica della distanza tra abitazione comune e buche delle lettere utilizzate per la spedizione. Tutti elementi che convergono nell'indicare (conclusivamente si legge a pag. 145 della sentenza impugnata) i due ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) come soggetti attivi nella spedizione delle missive minatorie e rivendicative e protagonisti quindi degli attentati compendiati nelle "Operazioni (OMISSIS) da te". Nessuna contraddizione appare quindi apprezzabile nel percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito, che ha saputo cogliere, nel dettaglio dei segmenti di conversazione, elementi assai indicativi della condotta contestata. Si e' infatti gia' detto in premessa della possibile valutazione nella sede di legittimita' del percorso seguito nel merito per attribuire un determinato significato indiziante ad una conversazione o all'analisi di piu' elementi indiziari convergenti nella logica, nella cronologia e nella dimensione topografica. Dunque, l'ipotesi demolitoria alternativa a quella ritenuta in sentenza non appare l'unica logicamente percorribile e neppure (per quanto possibile) la piu' probabile, come diffusamente argomentato in sentenza, giacche' il momento storico della prossimita' (logica, cronologica e topografica) qualificata dei due soggetti interessati al luogo di spedizione delle missive, e' testimoniato dal complesso articolarsi delle plurime fonti, storiche, logiche e tecniche. La Corte di merito ha dunque argomentato funditus il superamento del ragionevole dubbio e tale argomentare non palesa alcuna manifesta illogicita'. 4.7.4. Una volta riconosciuta, con certezza, la paternita' delle rivendicazioni e delle missive minatorie, l'attribuzione ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) delle operazioni (OMISSIS) Da Te e' stata nel merito riconosciuta anche valorizzando la medesimezza del "metodo" e delle materie utilizzate per il confezionamento degli ordigni esplosivi, la comune provenienza delle rivendicazioni e l'interesse coincidente con quello palesato dalla compagine associativa di natura eversiva. Tanto supera ed assorbe ogni altra argomentazione difensiva. 4.8. L'ottavo motivo e' assorbito da quanto rilevato con riguardo al settimo motivo. 4.9. Il nono motivo e' assorbito da quanto rilevato con riguardo al settimo motivo. 4.10. Il decimo motivo e' assorbito da quanto rilevato con riguardo al settimo motivo. 4.11. L'undicesimo motivo e' assorbito da quanto rilevato con riguardo al settimo motivo. 4.12. Il dodicesimo motivo e' manifestamente infondato. Il ricorrente si duole della qualificazione del fatto di cui al capo F (attentato di (OMISSIS)) come strage comune anziche' ex articoli 280 o 280-bis c.p.. Le doglianze difensive, peraltro piuttosto generiche, rimangono assorbite da quanto si e' precisato in ordine a tale vicenda trattando del ricorso del Procuratore generale al punto 3.2 e sub delle presenti considerazioni in diritto, laddove e' stato messo in luce il fine di uccidere in quanto tratto, con specificita', non solo dalle modalita' concrete dell'attentato (con l'utilizzo della tecnica del richiamo e della capacita' altamente lesiva del secondo ordigno come rilevato dalla consulenza balistica della quale il ricorso non fa menzione), ma anche dalla rivendicazione dell'episodio, in ragione di quanto detto a suo luogo sui suoi particolari contenuti e riferimenti storici e di contesto. 4.13. E' infondato il tredicesimo motivo. 4.13.1. Il ricorrente si duole del giudizio di responsabilita' in ordine al reato associativo di cui all'articolo 270-bis c.p. contestato al capo A della imputazione. Si censura la ritenuta sussistenza di una organizzazione criminale avente caratteristiche tali da integrare la fattispecie prevista dalla legge, con particolare riguardo alla esistenza di una struttura organizzativa. Il motivo richiama la questione della cosiddetta efficacia espansiva esterna dei precedenti giudicati assolutori che avevano riguardato la (OMISSIS), escludendo la configurabilita' del reato di cui all'articolo 270-bis c.p.. In proposito, si rinvia a quanto gia' evidenziato in ordine al terzo motivo di ricorso, con particolare riguardo alla conclusione che l'odierno processo si e' basato su importanti emergenze probatorie in parte differenti rispetto ai precedenti giudicati, non solo sotto il profilo cronologico. Tale constatazione serve a superare il primo assunto posto a base delle censure del ricorrente. Piu' in particolare, e' decisivo rilevare, anche tenuto conto della precedente disamina dei motivi relativi ai reati specifici attribuiti all'imputato, che l'analisi sulla sussistenza del reato associativo in discorso, effettuata dalla Corte di secondo grado ai fgg. 239-307 della sentenza impugnata, non ha tenuto conto solo del contenuto dei documenti programmatici della (OMISSIS) (a partire dal documento "Chi Siamo" del 2003, poi del documento "4 anni" del 2007, fino al documento "Non dite che siamo pochi" del 2011), ma ha collegato tali emergenze documentali utili a ricostruire l'ideologia di fondo del ricorrente e degli altri associati (OMISSIS) e (OMISSIS) - con specifici fatti di reato da lui commessi, come quelli indicati ai capi C,D,E,F,G,H,I,L ed M, nonche' con i reati di istigazione a delinquere ed apologia di cui al capo Q, sui quali meglio ci si soffermera' esaminando il successivo motivo di ricorso ed, infine, con l'ulteriore e piu' volte richiamato reato relativo al ferimento dell'ing. (OMISSIS), avvenuto nel 2012 ed in ordine al quale il (OMISSIS) ha riportato condanna irrevocabile in altro processo. Tali reati sono stati ritenuti come reati-fine dell'organizzazione criminale ex articolo 270-bis c.p. e, per questo, idonei a provarne l'esistenza, secondo un principio di diritto, invero del tutto pacifico, stabilito con riguardo alle associazioni criminali di stampo mafioso. ma, piu' in generale, valido a dimostrare, attraverso i fatti piu' che per ipotesi, la sussistenza di una associazione per delinquere penalmente rilevante ex articolo 416 c.p., dalla cui norma si diramano le altre associazioni criminali punite dalla legge. Come e' noto, infatti, sebbene non sia necessaria la prova della commissione di reati-fine per giungere ad affermare l'esistenza di un sodalizio vietato dalla legge o la condotta di partecipazione ad esso di un singolo soggetto (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 2016, Rv. 266710; Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, Bilancia, Rv. 247660), la realizzazione di reati specifici riconducibili al programma associativo e' evenienza ricostruttiva di enorme rilevanza per la prova del reato mezzo; in tema di associazione per delinquere (nella specie di stampo mafioso) e' consentito al giudice, pur nell'autonomia del reato-mezzo rispetto ai reati-fine, dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalita' esecutive, posto che attraverso di essi si manifesta in concreto l'operativita' dell'associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 2001, Cinalli; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670; Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540 ed altre). Questo fondamentale costrutto, solo superficialmente affrontato in ricorso a proposito della rilevanza probatoria dei reati-fine, rende ragione della correttezza della decisione adottata da entrambe le Corti di merito con conforme giudizio, che puo' essere sintetizzata nelle parole della Corte di secondo grado che riassumono, condividendole per le ragioni qui di seguito evidenziate, le conclusioni della sentenza di primo grado (La vera novita' della sentenza appellata rispetto alle pronunzie citate, espressa con la distinzione tra (OMISSIS) metodo e (OMISSIS) associazione o struttura, sta in sostanza nel riconoscimento di un nucleo organizzativo stabile, sovraordinato o trasversale rispetto ai singoli gruppi di affinita', rappresentato da un piu' ristretto numero di persone che costituiscono una sorta di "comitato direttivo" con funzioni di programmazione, coordinamento ed indirizzo, concretamente manifestatesi nella successione dei documenti e nelle corrispondenze delle modalita' esecutive degli attentati. Fg. 249 della sentenza impugnata). 4.13.2. Poste queste decisive precisazioni di fondo, occorre ancora evidenziare che, come bene e' stato ricostruito nella sentenza impugnata, l'analisi dei precedenti giudiziari relativi alla formazione indicata con la sigla (OMISSIS), non avevano escluso il fatto che singoli segmenti di tale ampia realta' del mondo dell'anarchismo, potessero essersi costituiti in stabili sotto organizzazioni penalmente rilevanti ex articolo 270-bis c.p.. Il riferimento e' alla sentenza di questa Corte, Sez. 2, n. 28753 del 01/04/2016, Iacovacci, Rv. 267512 ed, in particolare, al seguente passaggio motivazionale di tale decisione (fg. 4), nel quale si era evidenziato, con opportuni richiami ad altri precedenti di legittimita', che la Corte di Cassazione aveva gia' avuto modo di "riconoscere in piu' occasioni la configurabilita' del reato di cui all'articolo 270 bis c.p. con riferimento a soggetti stabilmente dediti al compimento di atti di violenza secondo il predetto manifesto programmatico (Cass. sez. 1, n. 21686 del 22/4/2008, Rv. 240075; sez. 5, n. 46340 del 4/7/2013, Rv. 257547), ma si e' sempre trattato di soggetti che non si erano limitati ad aderire singolarmente ed individualmente a tale programma, e si erano invece associati in "gruppi di affinita'" ispirati a tale programma, gruppi nei quali sono stati riconosciuti gli estremi dell'associazione ex articolo 270 bis cod. pen". D'altra parte, gia' nella fase conclusiva cautelare di questo procedimento, questa Corte di legittimita' aveva avallato la ricostruzione in danno dei ricorrenti poi adottata da entrambi i giudici di merito, sottolineando il rilievo dimostrativo della commissione dei reati-scopo ai fini di interesse (cfr. Sez. 2, n. 25452 del 21/02/2017, (OMISSIS), Rv. 270170, in particolare fg. 11 della motivazione). 4.13.3. Scendendo piu' nel dettaglio, la Corte di secondo grado - con approfondimenti che attingono al merito del giudizio non piu' rivedibile in quanto non oggetto di alcun macroscopico travisamento probatorio e che non risultano affetti da altri vizi logico-ricostruttivi deducibili in questa sede, anche ove si tenga mente al fatto giuridicamente rilevante che sul punto si e' avuta una doppia sentenza conforme di condanna (cfr. Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine sui limiti di deducibilita' del vizio di travisamento della prova in caso di cosiddetta doppia conforme) - ha, in primo luogo, sottolineato che sia il (OMISSIS) che la (OMISSIS) sua convivente, fin dagli anni novanta dello scorso secolo, avevano manifestato pubblicamente, attraverso scritti anche in parte riprodotti in sentenza (cfr., ad esempio, fgg. 251,252), le loro prese di posizione ideologiche a favore di una organizzazione anarchica combattente "strutturata" seppure non gerarchicamente, prendendo nettamente le distanza dal modello della (OMISSIS) indicato dall'ideatore (OMISSIS), basato sulla informalita' e da forme di contestazione non aderenti a modelli di lotta armata organizzata. Tale modello di lotta, la Corte di merito ha rinvenuto, in secondo luogo, nei documenti programmatici di cui prima si e' detto, analizzati in dettaglio nei loro contenuti al fine di superare le doglianze difensive ancora riproposte con il ricorso. Significativi e del tutto coerenti alle risultanze citate sono i seguenti passaggi motivazionali della sentenza impugnata: "L'esplicitazione di una linea di pensiero ed azione ben distante dal concetto di informalita' e dalla diffusione spontanea ed orizzontale delle "azioni dirette", e certamente piu' vicine alle esperienze di formazioni terroristiche operative negli anni âEuroËœ70, assume un significato assolutamente concreto ove si rifletta sul fatto che in stretta correlazione ideologica, logica e cronologica con i suddetti documenti, tra il âEuroËœ99 ed il 2001 avrebbero avuto luogo i primi attentati rivendicati da talune delle formazioni firmatarie del documento "Chi siamo". Nello stesso documento "Quattro anni" si enumerano infatti, in senso rivendicativo, attentati gia' risalenti a quel periodo ed ascrivibili ai gruppi fondatori (in particolare (OMISSIS)). Altrettanto infondate sono le argomentazioni difensive che svalutano l'importanza dei tre piu' importanti documenti / manifesto che hanno accompagnato e caratterizzato la virulenta escalation di decine di attentati dinamitardi, incendiari o con un'arma da fuoco (gambizzazione di (OMISSIS)) che si sono verificati in Italia a partire dal dicembre 2003, in massima parte rivendicate da formazioni che si richiamavano alla (OMISSIS), talune estemporanee e di vita effimera, altre invece operative con continuita'. I documenti "Chi siamo", nelle sue due versioni successive, quello "Quattro Anni", ed infine quello "Non dite che sfamo pochi" non sono innanzitutto documenti anonimi, ma documenti firmati con sigle riferite a formazioni i cui componenti non sono stati identificati (fatta salva la dimostrata appartenenza di (OMISSIS) alla (OMISSIS), in relazione al suo coinvolgimento nei reati di cui ai capi 8, C, D, E), ma la cui effettiva esistenza trova riscontro nelle rivendicazioni di piu' attentati. Non puo' dubitarsi della serieta' dei suddetti documenti e della loro effettiva corrispondenza a momenti di analisi e programmazione, poiche' essi hanno accompagnato ed orientato le vicende dell'anarco insurrezionalismo lottarmatista, costituendo in particolare rispettivamente il momento programmatico iniziale (CHI SIAMO), la manifestazione a distanza di tre anni della continuita' operativa e dei contatti stabili tra le cc.dd. formazioni fondatrici (QUATTRO ANNI), ed infine l'espressione di una scelta collettiva di internazionalizzazione, ancora una volta espressione di consolidati contatti tra i medesimi gruppi di affinita' e della tensione alla saldatura dell'esperienza italiana a quella di altre formazioni anarchiche, tra le quali principalmente l'organizzazione terroristica greca CCF, gia' da tempo orientata verso l'organizzazione militare della lotta armata (NON DITE CHE SIAMO POCHI). Gli espliciti e precisi riferimenti a numerosi attentati, l'esplicitazione delle premesse ideologiche ed infine l'indicazione degli obiettivi delle azioni e delle prospettive di sviluppo del programma della (OMISSIS) escludono che si trattasse di documenti inventati o privi di valore dimostrativo, come sostenuto concordemente dai motivi di appello". In terzo luogo, la Corte, nel passaggio ricostruttivo decisivo in ordine al quale le argomentazioni del ricorrente risultano piu' fallaci ed evanescenti, ha collegato tali manifestazioni del pensiero a fatti specifici, non soltanto relativi ai reati-scopo in ordine ai quali l'imputato e' stato condannato in questa sede, ma anche ad altri attentati che di quelle linee programmatiche di lotta armata piu' aggressiva erano esecuzione (il riferimento e' all'operazione Santa Klaus, ricomprendente l'esplosione di due ordigni nelle vicinanze dell'abitazione bolognese di (OMISSIS), avvenuta nel 2003). Alla stessa linea programmatica, individuante un patto costitutivo iniziale ed una pluralita' di persone riunite attorno ad un programma delinquenziale comune - e, cioe', rappresentativa di due indispensabili elementi costitutivi delle fattispecie incriminatrici di tipo associativo - si annettono e si collegano, secondo la ricostruzione offerta in sentenza con dovizia di particolari, i fatti di reato specifici per i quali il ricorrente e' stato condannato in questo processo. In quarto luogo, i passaggi motivazionali che superano le obiezioni difensive coltivate in ricorso, sono quelli nei quali la Corte territoriale ha messo in luce, in pendant con le manifestazioni programmatiche, le corrispondenze nelle modalita' esecutive dei reati specificamente commessi dal ricorrente, siccome emergenti dalle tecniche di confezionamento sia dei plichi esplosivi che degli ordigni ad alto potenziale, secondo quanto evidenziato dal consulente balistico del Pubblico ministero il cui apporto ricostruttivo il ricorso, non a caso, trascura. "Si tratta di analogie non generiche, cioe' attinenti alla tipologia generale degli ordigni, ma di dettaglio e di materiali, e che in qualche caso hanno evidenziato anche la capacita' di attingere ad esplosivi niente affatto artigianali, ma anzi di difficile reperimento, quali i composti di dinamite e nitroglicerina, e la capacita' dei costruttori di definire efficienti circuiti e timer per le cariche pilota destinate all'innesco della massa esplodente. Le analogie accertate sono trasversali alle sigle che hanno rivendicato le azioni. Inoltre, come gia' ricordato, nel documento "(OMISSIS)" uno dei partecipanti, sotto il nome di (OMISSIS), e' espressamente indicato come l'esperto degli esplosivi, e si assume l'impegno di aiutare ed addestrare i componenti degli altri gruppi. Non deve essere inoltre sottovalutata la complessita' di talune azioni, che certamente hanno richiesto l'operare coordinato di piu' persone, per lo piu' mai identificate. Si pensi alla spedizione contemporanea delle rivendicazioni di alcune campagne rivoluzionarie anche da citta' diverse, alle difficolta' logistiche e preparatorie di organizzare la produzione ed il posizionamento di ordigni presso luoghi certamente sorvegliati, quali la sede del RIS o la Scuola Carabinieri di (OMISSIS). Lo stesso attentato all'Ing. (OMISSIS), spiegato in termini di estrema semplicita' da (OMISSIS) e (OMISSIS), in realta' ha certamente richiesto indagini volte ad identificare e localizzare l'obiettivo, studiarne abitudini e tragitti, il reperimento di un'arma da fuoco, il furto di un motociclo, e la stessa sentenza dell'Autorita' Giudiziaria di Genova ha sottolineato che (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono certamente giovati della complicita' di persone non identificate" (fgg. 261 e 262 della sentenza impugnata). Si tratta di valutazioni prive di censure, attinenti al merito del giudizio ed idonee a supportare l'ineccepibile conclusione d'insieme che tali vicende dimostravano l'esistenza di una struttura organizzativa della quale il (OMISSIS), la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) sono stati ritenuti partecipi, indicata come "comitato direttivo", in grado di pianificare ed eseguire simili azioni, di rendere effettivo il progetto anarchico di lotta armata. Nel che, le Corti di merito hanno concordemente e correttamente individuato la sussistenza della fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 270-bis c.p., cogliendo nel segno in punto di diritto. 4.13.4. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, la sentenza impugnata, rispondendo alle censure ribadite in ricorso e volte soprattutto ad evidenziare la mancanza di una struttura organizzativa piu' che del programma delinquenziale comune di natura terroristica e del numero delle persone, si e' opportunamente rapportata alle regole astratte fissate da numerose pronunce di legittimita' ed anche dalla sentenza n. 191 del 2020 della Corte costituzionale che ne riassume i contenuti nei seguenti, non contestati termini, fatti propri anche da una ulteriore e piu' recente pronuncia della Corte di cassazione, Sez. 1, n. 36816 del 27/10/2020, Cropo, Rv. 280761: "A differenza dell'articolo 416-bis c.p., l'articolo 270-bis c.p. non fornisce alcuna descrizione del modus operandi dell'associazione criminosa ivi disciplinata, ne' contempla alcun requisito di natura oggettiva in grado di orientare la discrezionalita' dell'interprete. Costante e', pertanto, l'orientamento della giurisprudenza di legittimita' nel ritenere sufficienti anche organizzazioni "rudimentali" (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 maggio-19 giugno 2009, n. 25863; sezione prima penale, sentenza 22 aprile-5 giugno 2008, n. 22673; sezione prima penale, sentenza 10 luglio-17 settembre 2007, n. 34989); essendo anzi frequente una struttura "fluida" e "a rete" di simili sodalizi (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 9 ottobre-15 novembre 2018, n. 51654), caratterizzati da "cellule territoriali" (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 7 dicembre 2007-27 marzo 2008, n. 13088) che operano talvolta in totale autonomia rispetto ad altri gruppi, con i quali pure condividono la medesima ideologia e il medesimo generico programma criminoso, con contatti reciproci fisici, telefonici o informatici anche meramente discontinui e sporadici (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 28 novembre- 18 dicembre 2013, n. 51127; sezione sesta penale, sentenza 12 luglio-29 novembre 2012, n. 46308). Cionondimeno, la giurisprudenza di legittimita' afferma, da tempo, che la mera "comune adesione a un'astratta ideologia, per quanto caratterizzata dal progetto di abbattere le istituzioni democratiche" non basta a ritenere configurabile un'associazione terroristica, occorrendo invece che l'associazione si proponga effettivamente il compimento di atti di violenza per il perseguimento dei propri scopi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 giugno- 19 settembre 2006, n. 30824; sezione sesta penale, sentenza 13 ottobre 2004, n. 12903; sezione prima penale, sentenza 21 novembre 2001, n. 5578), nei termini pregnanti che si sono poc'anzi rammentati. In stretto ossequio al principio costituzionale di offensivita', la giurisprudenza della Corte di cassazione ha in proposito chiarito che, pur non richiedendosi la predisposizione di un programma operativo di azioni terroristiche, ai fini del riconoscimento di un'associazione ex articolo 270-bis c.p. occorrera' tuttavia che risulti provata la "costituzione di una struttura organizzativa con un livello di "effettivita'" che renda possibile la realizzazione del progetto criminoso (...). Ne deriva che la rilevanza penale dell'associazione si lega non alla generica tensione della stessa verso la finalita' terroristica o eversiva, ma al proporsi il sodalizio la realizzazione di atti violenti qualificati da detta finalita': costituiscono pertanto elementi necessari, per l'esistenza del reato, in primo luogo, l'individuazione di atti terroristici posti come obiettivo dell'associazione, quantomeno nella loro tipologia; e, in secondo luogo, la capacita' della struttura associativa di dare agli atti stessi effettiva realizzazione nella lettura della fattispecie criminosa" (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 luglio-14 novembre 2016, n. 48001; in senso analogo, ex multis, sezione sesta penale, sentenza n. 46308 del 2012; sezione sesta penale, sentenza n. 25863 del 2009)". Quanto detto supera ed assorbe ogni altro rilievo difensivo. 4.14. Il quattordicesimo motivo e' generico. 4.14.1. Il ricorrente censura il giudizio di responsabilita' adottato dalla Corte di secondo grado in relazione ai reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui al capo Q, commessi quale redattore del progetto editoriale (OMISSIS) nuova edizione ((OMISSIS)), composto da un blog e da una rivista cartacea di chiara ispirazione anarchica, acquisiti al dibattimento nella loro interezza. La sentenza impugnata, sul punto, ha ribaltato il giudizio assolutorio del primo giudice. Non sono in discussione i profili giuridici inerenti alla esatta configurazione dei reati, quanto la diversa lettura fornita dai giudici di merito delle evidenze probatorie. Il ricorrente, infatti, non contesta il pacifico principio di diritto, richiamato dai giudici di merito, secondo cui, affinche' possa ravvisarsi la materialita' del delitto di istigazione a delinquere di cui all'articolo 414 c.p., occorre che sia posta in essere pubblicamente la propalazione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, effettuata in maniera tale da poter indurre altri alla commissione di fatti analoghi: di talche' e' indefettibile l'idoneita' dell'azione a suscitare consensi ed a provocare "attualmente e concretamente" in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualita' dei destinatari del messaggio - il pericolo di adesione al programma illecito. La valutazione circa la sussistenza di quest'ultimo requisito non puo' prescindere dalle stesse modalita' del comportamento tenuto dal soggetto attivo, si' che il giudice di merito deve individuare il perche' la condotta incriminata - assistita dal c.d. dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volonta' di turbare l'ordine pubblico o la personalita' dello Stato - sia da ritenersi dotata di forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell'animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi propalati o esaltati (Sez. 1, n. 10641 del 1997, Galeotto, Rv. 209166). Tali principi sono stati costantemente ribaditi piu' di recente (ad esempio con le decisioni Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv. 219888; Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101; Sez. 2, n. 26315 del 29/03/2018, Abshir, Rv. 273019). Quanto all'apologia di reato di cui all'articolo 414, comma 3, c.p., si e' osservato altrettanto pacificamente in diritto, che non basta l'esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, ma occorre che il comportamento dell'agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato (Sez. 6, n. 31562 del 18/04/2019, Di Marco, Rv. 276468; Sez. 1, n. 8779 del 05/05/1999, Oste, Rv. 214645). Questi principi giuridici servono anche a distinguere i reati previsti dall'articolo 414 c.p. rispetto alle condotte penalmente irrilevanti che rappresentano libera manifestazione del pensiero, anche quelle volte alla cosiddetta propaganda sovversiva, una volta punita ex articolo 272 c.p., norma abrogata dall'articolo 12 della Legge 24 febbraio del 2006 n. 85, e che si riteneva integrata allorquando si evidenziava un incitamento alla lotta anche armata o violenta contro lo Stato, ma senza riferimento istigatorio o apologetico al compimento di specifici delitti previsti dall'ordinamento penale. 4.14.2. L'assunto difensivo iniziale, secondo il quale la Corte territoriale non avrebbe adottato una motivazione rafforzata rispetto alla pronuncia favorevole al ricorrente, risulta generico. E' opportuno richiamare, per la straordinaria omologia con le vicende all'odierno esame, la statuizione di questa Corte di cassazione (Sez. 1, n. 7603 del 28/06/2017, dep. 2018, (OMISSIS), Rv. 272599) intervenuta nel procedimento penale nel quale sia il (OMISSIS) che la (OMISSIS) erano stati condannati per i medesimi reati di cui all'articolo 414 c.p. in relazione alla condotta relativa al loro contributo alla realizzazione e diffusione di altra rivista anarchica intitolata KNO3, evento che, come ha correttamente sottolineato la sentenza impugnata, costituisce un precedente specifico pressoche' identico all'attuale ed utile anche alla ricostruzione del dolo cosiddetto istigatorio degli imputati (fg. 197 della sentenza impugnata). Ai fgg. 45 e 46 di quella decisione di legittimita', si trova la medesima chiave di lettura interpretativa degli addebiti odierni, sia in punto di diritto che sotto il profilo logico-ricostruttivo: "il delitto di istigazione a delinquere va ritenuto reato di pericolo concreto, per modo che la mera esaltazione di un fatto di reato o del suo autore finalizzata a spronare altri all'imitazione o almeno ad eliminare la riprovazione verso il suo autore non e', di per se', punibile, se non quando, per le sue modalita', essa integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti. Ed e' conseguente ribadire che l'accertamento del superamento di tale soglia, riservato al giudice di merito, diviene incensurabile in sede di legittimita' quando esso sia correttamente motivato (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101; Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv. 219888). In questa cornice, contrariamente a quanto hanno sostenuto i ricorrenti, la Corte di assise di appello ha articolato una motivazione, rafforzata rispetto a quella resa dal primo giudice, congrua e non contraddittoria evidenziando, sulla base della specifica descrizione e della correlativa analisi del manifesto elaborato, redatto e divulgato anche dai tre ricorrenti, le ragioni per le quali gli articoli scritti dai medesimi, interconnessi finalisticamente al collage di una serie di gravissimi episodi criminosi, con le susseguenti attivita' di diffusione, hanno integrato atti diretti in modo specifico ed idoneo a provocare l'immediata violazione delle norme penali. I giudici di secondo grado hanno evidenziato che gli scritti che hanno composto il KNO3, lungi dall'evocare una generica e futura insurrezione, che si risolvesse nella lecita rappresentazione delle idee portanti dell'anarchia, sono stati invece finalizzati verso un duplice obiettivo. Tali scritti sono stati volti a censurare quella parte del movimento anarchico che aveva perso fiducia nella violenza rivoluzionaria e nella reale e concreta prospettiva dell'insurrezione, con la connessa critica rivolta a quegli anarchici di pratica movimentista inclini ad una politica pragmatica, meramente attendista, ridottasi ad organizzare presidi, manifestazioni, assemblee e dibattiti. Ma sono stati anche finalizzati ad incitare in modo immediato la platea degli adepti e simpatizzanti dell'anarchia insurrezionale - al contempo specifica (quanto al settore ideologico di riferimento) ed estesa (relativamente al numero di soggetti sollecitati) - alla pratica della lotta rivoluzionaria e dell'insurrezione, da realizzarsi in concreto attraverso azioni dirette e sabotaggi, ribellioni per incitare alla rivolta e soffiare sul fuoco. Dunque, non "disperata" ricerca del contatto con il sociale, ma concreti sabotaggi; non vano studio degli atti, anche giudiziari, ma evocazione degli appositi "manuali", concretamente volta a mettere a punto i "vari modi per colpire nel vero senso della parola" (secondo le espressioni tratte dai giudici di merito dai menzionati scritti). E' su tale snodo che l'articolato e logicamente corretto discorso giustificativo espresso dalla Corte territoriale enuclea con chiarezza il nesso inscindibile delle chiare esortazioni ad azioni violente organizzate ed immediate con la cornice di pregressi atti criminali in cui essi devono andare ad inserirsi, cornice in modo evidente disegnata dal collage di prima pagina, non meramente descrittivo, bensi' esplicitamente evocativo di patenti riferimenti a specifici attentati, anche dinamitardi ed incendiari, univocamente percepiti come terroristici, compiuti da esponenti dall'anarchismo in luoghi diversi, anche per finalita' terroristiche, nei quali erano state lanciate bombe, alle volte pacchi-bomba e bombe erano esplosi, pure in correlazione all'emersione dell'allestimento di arsenali di armi, in attuazione immediata delle istruzioni diffuse attraverso manuali del tipo di quello che, pur per ambito distinto, aveva guidato l'azione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS). Secondo le argomentate considerazioni dei giudici di appello, quindi, l'attivita' messa in essere, per quanto qui rileva, dal (OMISSIS), dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), come sopra descritta, si e' connotata per precisa e concreta efficienza istigatrice, siccome specificamente idonea a suscitare consensi nella platea degli adepti e simpatizzanti anarco-insurrezionalisti con il concreto pericolo della loro adesione, espressamente sollecitata, al surricordato programma illecito avente ad oggetto in via immediata e diretta azioni delittuose anche di matrice terroristica". Nel caso all'odierno esame, il ricorrente, come si diceva, solo genericamente sostiene non esservi stata alcuna motivazione rafforzata rispetto al primo grado, sorvolando sul decisivo rilievo preliminare della sentenza impugnata volto a mettere in luce - del tutto correttamente, qui si aggiunge - che la sentenza della Corte di assise di (OMISSIS) aveva limitato l'analisi delle specifiche risultanze processuali ritenendo, peraltro senza che vi fosse mai stata eccezione difensiva sul punto, che il capo di imputazione non fosse sufficientemente specifico nel delineare le condotte illecite, senza tenere conto che esso indicava solo a titolo esemplificativo ("tra le altre") le espressioni tratte dalla rivista (OMISSIS) e dal blog ad essa correlato (interamente acquisiti agli atti) indicate nel lungo editto accusatorio, richiamando espressamente il delitto associativo di cui al capo A della imputazione e, con esso, gli scopi di compiere delitti di violenza con finalita' di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico, vale a dire delitti contro la personalita' internazionale ed interna dello Stato di cui al Capo II del Titolo I del Libro II del codice penale. Specifici delitti, dunque, dovendosi ricordare che non e' necessario, in punto di diritto, che essi vengano esattamente indicati nel loro esatto nomen iuris (in questo senso, Sez. 1, n. 36816 del 27/10/2020, Cropo, Rv. 280761). 4.14.3. Come nel precedente processo relativo alla rivista KNO3 - per quel che e' dato desumere dalla pronuncia di questa Corte prima richiamata - la sentenza impugnata, contrariamente a quella di primo grado, si e' lungamente soffermata sia sulle specifiche condotte istigatorie ed apologetiche rinvenibili nei contenuti della rivista (OMISSIS) e nel collegato sito internet www.autistici.org., sia sulla sussistenza del dolo, ricavandolo anche da alcune intercettazioni telefoniche. Il ricorso non si confronta specificamente con tali risultanze, indicate ai fgg. 192 e segg. della sentenza. A titolo meramente esemplificativo, basti qui ricordare come fosse stata la stessa (OMISSIS) ad indicare, in una conversazione ambientale del 12 novembre del 2014, che il progetto editoriale culminato nella pubblicazione della rivista (OMISSIS) e nella creazione del sito internet, non era mirato solo alla controinformazione - cosi' come si sostiene in ricorso ritenendo le condotte penalmente irrilevanti in quanto costituite da mera propaganda sovversiva non piu' punita dalla legge dopo l'abrogazione dell'articolo 272 del codice penale - ma era sorretto da un'idea "molto piu' ambiziosa", rivolta a costruire uno spazio critico "capace di farsi azione". Attraverso la rivista ed il blog si volevano spingere i "compagni disposti a discutere" a "produrre danni, azione, creare situazioni di disturbo, essere la spina nel fianco di qualcuno"(fg. 197 della sentenza impugnata). Coerenti a questo chiaro proposito erano gli articoli nei quali si rivendicava orgogliosamente uno specifico delitto, l'attentato all'ing. (OMISSIS), ritenendolo espressione dell'atteggiamento reputato piu' coerente e consono alle ragioni dell'anarchismo ("Dunque e' necessario colpire senza sosta, capillarizzando gli attacchi, creando nuovi gruppi di affinita', moltiplicare le azioni individuali...Non perdiamo troppo tempo ad autocelebrarci o a criticare, agiamo Piu' sbirri morti") (fg. 202 della sentenza impugnata). In alcuni scritti - qui citati solo a titolo esemplificativo rispetto al lungo elenco fornito dalla sentenza impugnata - vi erano delle foto ritraenti, per esempio, un capannone distrutto, un uomo recante una torcia, la strage del 1973 presso la Questura di Milano, l'attentato dinamitardo di Wall Street del 1920, il disegno di una pistola semiautomatica e di una bomba a mano, uomini incappucciati uno dei quali imbraccia un mitra, l'immagine di una bomba con la miccia accesa a corredo della frase "la miglior difesa e' l'attacco" (fgg. 198, 199 della sentenza impugnata). Di tanto, il ricorso non fa adeguata menzione, dimostrando la sua genericita'. Rimane, pertanto, indenne da critiche giuridiche o logico-ricostruttive l'affermazione finale della Corte di secondo grado, tratta da valutazioni di merito specifiche e dettagliatamente indicate, secondo cui la rivista ed il sito internet dei quali si discute "complessivamente e qualitativamente considerati nei loro contenuti, delineano una vera e propria immediata chiamata alle armi, in rabbiosa reazione ai fermi di (OMISSIS) e (OMISSIS) prima ed agli arresti degli altri indagati di Scripta Manent poi, indicandosi con chiarezza nel progetto editoriale la strada degli attentati dinamitardi ed esplosivi, anche per uccidere, come forma necessaria di reazione rivoluzionaria, la cui legittimita' anche in chiave terroristica e' esaltata con l'apologia di efferati delitti di matrice anarchica e l'esaltazione dei rispettivi autori". (fgg. 207, 208 della sentenza impugnata). 4.14.4. Altrettanto generico e' l'assunto difensivo secondo il quale la rivista ed il sito internet sarebbero stati erroneamente posti in correlazione dalla sentenza impugnata. Nella lunga ed accurata analisi del tema effettuata dai giudici territoriali, ci si e' rifatti, in proposito, alle stesse parole della (OMISSIS) nella intercettazione citata piu' sopra, con il riferimento al progetto di creazione di una rivista e di un blog (fg. 197 della sentenza), ovvero all'invito ai lettori della rivista a rapportarsi al sito internet emergente da alcuni articoli (fgg. 201-203). 4.14.5. Ancora piu' generico, nel confronto con la decisione impugnata, e' l'assunto del ricorrente secondo cui non sarebbe stato adeguatamente tratteggiato l'elemento soggettivo dei reati, tenuto conto che egli si trovava detenuto (dal 2012) all'epoca di pubblicazione della rivista e della creazione del sito internet (2014). Il ricorso sorvola non solo sulle intercettazioni indicate a fg. 193 della sentenza impugnata - nelle quali sia la (OMISSIS) che (OMISSIS) Danilo facevano riferimento al fatto che l'idea del progetto editoriale era dei detenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) (" (OMISSIS) e (OMISSIS)") - ma anche sul fatto che il (OMISSIS) aveva personalmente firmato alcuni significativi articoli inseriti nella rivista (OMISSIS), tra i quali quello intitolato Rompere l'isolamento, pubblicato nel primo numero della rivista in cui e' lo stesso imputato ad affermare che il progetto editoriale era nato in carcere tra un'ora d'aria e l'altra (fg. 193 della sentenza impugnata). L'attivismo del (OMISSIS), non solo in fase ideativa ed iniziale, e' dimostrato dalla pubblicazione di un suo articolo nell'ultimo numero della rivista, che ribadisce i contenuti istigatori gia' ampiamente evidenziati (fgg. 201 e 202 della sentenza impugnata). Tanto assorbe e supera ogni ulteriore argomentazione a difesa. 4.15. E' manifestamente infondato l'ultimo motivo. Il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato associativo di cui al capo A e quello separatamente giudicato avente ad oggetto il ferimento dell'ing. (OMISSIS). Deve essere qui richiamato quanto si e' detto a proposito del sesto motivo di ricorso del Procuratore generale, che si doleva della opposta soluzione adottata dalla Corte con riguardo al ricorrente (OMISSIS). Puo' ribadirsi che, in relazione al (OMISSIS), la Corte ha affrontato l'argomento a fg. 309 della sentenza impugnata, evidenziando specifiche circostanze di fatto - come le dichiarazioni rese da entrambi gli imputati nel diverso processo a loro carico per il ferimento (OMISSIS) - dimostrative, per bocca degli stessi imputati, che tale proposito criminoso era maturato solo dopo il 2011, in ragione del verificarsi di uno specifico evento scatenante non prevedibile a priori (il disastro nucleare di Fukushima); per il (OMISSIS), tenuto conto di quanto evidenziato nell'esame dei precedenti motivi, la sua adesione alla associazione criminale di cui al capo A era da molti anni in corso, come dimostrato dagli attentati del 2005-2007 dei quali si e' ampiamente detto. La valutazione e' di merito e risulta priva di vizi logico-giuridici in relazione alle regole gia' indicate sul tema trattando del ricorso del Procuratore generale. Non si rinviene, peraltro, alcuna contraddizione nel ragionamento della Corte a proposito della ritenuta continuazione tra il reato associativo e quelli di cui all'articolo 414 c.p. sub capo Q, posto che le condotte istigatorie ed apologetiche, come specificato nella sentenza impugnata, avevano permeato da sempre l'attivismo anarchico del ricorrente. Per tutte le ragioni dette e con superamento di ogni altra questione - anche in relazione al contenuto della memoria depositata - il ricorso di (OMISSIS) e', nel suo complesso, infondato. 5. Ricorso di (OMISSIS), capi A (in qualita' di promotore), F, G, H, I, L, M, Q. 5.1-2. Della infondatezza dei primi due motivi di ricorso (censurata ammissibilita' della impugnazione di merito proposta dal pubblico ministero) si e' gia' detto poco sopra, in parte generale (punti sub 2.1 e 2.2), che si richiama. 5.3. Il terzo motivo (comune a (OMISSIS)) e' del pari infondato. Con esso la ricorrente si duole del fatto che la Corte di assise di appello non avrebbe valutato adeguatamente, ex articolo 238-bis c.p.p., l'efficacia espansiva esterna dei giudicati assolutori rivenienti da altri processi, che avevano escluso che la (OMISSIS)-(OMISSIS) potesse configurarsi come una associazione eversiva riconducibile al paradigma dell'articolo 270-bis c.p., secondo quanto contestato al capo A della imputazione. 5.3.1. Il tema -come gia' sopra argomentato in riferimento al ricorso (OMISSIS)- e' stato trattato, sotto diverso angolo pospettico, in replica al quinto motivo di ricorso del Procuratore generale, che il Collegio ha ritenuto non consentito, ex articolo 608, comma 1-bis c.p.p.. Si richiama pertanto sul punto, in quanto esattamente sovrapponibile, la motivazione spesa in ordine al medesimo motivo proposto da (OMISSIS) (punto sub. 4.3.). Non e' infatti certamente condivisibile l'assunto della ricorrente, a mente della quale il giudicato assolutorio nei suoi confronti avrebbe "efficacia espansiva esterna" rispetto all'odierno giudizio, ex articolo 238 bis c.p.p. La motivazione offerta in proposito dalla Corte e' immune da censure sia sotto il profilo giuridico che sotto quello logico-ricostruttivo. La ricorrente si duole ancora, come (OMISSIS), del giudizio di responsabilita' in ordine al reato associativo di cui all'articolo 270-bis c.p. contestato al capo A della imputazione. Si censura la ritenuta sussistenza di una organizzazione criminale avente caratteristiche tali da integrare la fattispecie prevista dalla legge, con particolare riguardo alla esistenza di una struttura organizzativa. Il motivo richiama la questione della cosiddetta efficacia espansiva esterna dei precedenti giudicati assolutori che avevano riguardato la (OMISSIS), escludendo la configurabilita' del reato di cui all'articolo 270-bis c.p.. In proposito, si ribadisce che l'odierno processo si e' basato su importanti emergenze probatorie in parte differenti rispetto ai precedenti giudicati, non solo sotto il profilo cronologico. Appare decisivo rilevare, anche tenuto conto della disamina dei motivi relativi ai reati specifici attribuiti all'imputata, che l'analisi sulla sussistenza del reato associativo in discorso, effettuata dalla Corte di secondo grado ai fgg. 239-307 della sentenza impugnata, non ha tenuto conto solo del contenuto dei documenti programmatici della (OMISSIS) (a partire dal documento "Chi Siamo" del 2003, poi del documento "4 anni" del 2007, fino al documento "Non dite che siamo pochi" del 2011), ma ha collegato tali emergenze documentali con specifici fatti di reato commessi, come quelli indicati ai capi F, G, H, I, L ed M, nonche' con i reati di istigazione a delinquere ed apologia di cui al capo Q, sui quali meglio ci si soffermera' esaminando il quinto motivo di ricorso. Tali reati sono stati ritenuti, a giusta ragione, "fine" dell'organizzazione criminale ex articolo 270-bis c.p. e, proprio per questo, idonei a provarne l'esistenza, secondo un principio di diritto, invero del tutto pacifico, stabilito con riguardo alle associazioni criminali di stampo mafioso ma, piu' in generale, valido a dimostrare, attraverso i fatti piu' che per ipotesi, la sussistenza di una associazione per delinquere penalmente rilevante ex articolo 416 c.p.. Come e' noto, infatti, sebbene non sia necessaria la prova della commissione di reati-fine per giungere ad affermare l'esistenza di un sodalizio vietato dalla legge o la condotta di partecipazione ad esso di un singolo soggetto (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Scarcello, Rv. 280703; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 2016, Rv. 266710; Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, Bilancia, Rv. 247660), la realizzazione di reati specifici riconducibili al programma associativo e' evenienza ricostruttiva di enorme rilevanza per la prova del reato mezzo (in tema di associazione per delinquere, nella specie di stampo mafioso), e' consentito al giudice, pur nell'autonomia del reato-mezzo rispetto ai reati-fine, dedurre la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalita' esecutive, posto che attraverso di essi si manifesta in concreto l'operativita' dell'associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 2001, Cinalli; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, Ficara, Rv. 266670; Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540 ed altre). Questo fondamentale costrutto, solo superficialmente affrontato in ricorso a proposito della rilevanza probatoria dei reati-fine, rende ragione della correttezza della decisione adottata da entrambe le Corti di merito con conforme giudizio, che puo' essere sintetizzata nelle parole della Corte di secondo grado che riassumono, condividendole per le ragioni qui di seguito evidenziate, le conclusioni della sentenza di primo grado (La vera novita' della sentenza appellata rispetto alle pronunzie citate, espressa con la distinzione tra (OMISSIS) metodo e (OMISSIS) associazione o struttura, sta in sostanza nel riconoscimento di un nucleo organizzativo stabile, sovraordinato o trasversale rispetto ai singoli gruppi di affinita', rappresentato da un piu' ristretto numero di persone che costituiscono una sorta di "comitato direttivo" con funzioni di programmazione, coordinamento ed indirizzo, concretamente manifestatesi nella successione dei documenti e nelle corrispondenze delle modalita' esecutive degli attentati. Fg. 249 della sentenza impugnata). Attesa la medesimezza dell'apparato censorio puo' anche in questo caso richiamarsi la motivazione spesa in riferimento al medesimo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Quanto detto supera ed assorbe ogni altro rilievo difensivo. Quanto al perimetro cronologico della contestata permanenza associativa, si richiama ancora una volta la motivazione spesa sul punto in riferimento al ricorso proposto da (OMISSIS), dichiarato inammissibile, per manifesta infondatezza oltre che per carenza di interesse. 5.4. Il quarto motivo resta caratterizzato dalla censura avverso l'affermata responsabilita' (su base indiziaria) per i delitti di cui ai capi F, G, H, I, L ed M (le c.d. operazioni (OMISSIS) DA TE, consumate con utilizzo di materiale esplosivo). Si denunzia vizio della motivazione, nella triplice declinazione del travisamento della prova, della illogicita' manifesta e della mera apparenza, oltre alla violazione della legge processuale (articolo 192, comma 2, 533 c.p.p.), in quanto la Corte di merito avrebbe offerto risposta illogica, non allineata ai protocolli certificativi in materia grafologica e meramente apparente rispetto alle argomentazioni spese con i motivi di gravame. Del pari, quanto a significato ritenuto univocamente indiziante della conversazione intercettata tra (OMISSIS) e (OMISSIS) all'interno della abitazione torinese il 24 giugno 2007, il cui significato (collegamento all'attivita' di compilazione degli indirizzi sulle buste da lettera da spedire e successiva loro spedizione, con introduzione nelle buche site in prossimita' della stessa abitazione) sarebbe stato apertamente travisato nel doppio grado di giudizio di merito. La ricorrente enuclea quindi plurimi, significativi e decisivi elementi di prova acquisiti al processo che sarebbero stati travisati dai giudici di merito nelle loro conformi decisioni. Anche in questo caso i motivi sono in tutto corrispondenti a quelli spesi nell'interesse di (OMISSIS), si richiama pertanto sul punto la relativa motivazione (4.7. a 4.11). La ricorrente si duole inoltre della qualificazione del fatto di cui al capo F (attentato di (OMISSIS)) come strage comune anziche' attentato ex articoli 280 o 280-bis c.p.. Le doglianze difensive restano assorbite da quanto si e' precisato in ordine a tale vicenda trattando del ricorso del Procuratore generale ai punti (3.2.) delle presenti considerazioni in diritto, laddove e' stato messo in luce il fine di uccidere in quanto tratto, con specificita', non solo dalle modalita' concrete dell'attentato (con l'utilizzo della tecnica del richiamo e della capacita' altamente lesiva del secondo ordigno, come rilevato dalla consulenza balistica della quale il ricorso non fa menzione), ma anche dalla rivendicazione dell'episodio, in ragione di quanto detto a suo luogo sui suoi particolari contenuti e riferimenti storici e di contesto. 5.5. Il quinto motivo e' generico. La ricorrente censura il giudizio di responsabilita' adottato dalla Corte di secondo grado in relazione ai reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui al capo Q, commessi dalla (OMISSIS) quale redattrice del progetto editoriale (OMISSIS) nuova edizione ((OMISSIS)), composto da un blog e da una rivista cartacea di chiara ispirazione anarchica, acquisiti al dibattimento nella loro interezza. La sentenza impugnata, sul punto, ha ribaltato il giudizio assolutorio del primo giudice. Non sono in discussione i profili giuridici inerenti alla esatta configurazione dei reati, quanto la diversa lettura fornita dai giudici di merito delle evidenze probatorie. La ricorrente, infatti, non contesta il pacifico principio di diritto, richiamato dai giudici di merito, secondo cui, affinche' possa ravvisarsi la materialita' del delitto di istigazione a delinquere di cui all'articolo 414 c.p., occorre che sia posta in essere pubblicamente la propalazione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, effettuata in maniera tale da poter indurre altri alla commissione di fatti analoghi: di talche' e' indefettibile l'idoneita' dell'azione a suscitare consensi ed a provocare "attualmente e concretamente" in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualita' dei destinatari del messaggio - il pericolo di adesione al programma illecito. La valutazione circa la sussistenza di quest'ultimo requisito non puo' prescindere dalle stesse modalita' del comportamento tenuto dal soggetto attivo, si' che il giudice di merito deve individuare il perche' la condotta incriminata - assistita dal c.d. dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volonta' di turbare l'ordine pubblico o la personalita' dello Stato - sia da ritenersi dotata di forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell'animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi propalati o esaltati (Sez. 1, n. 10641 del 1997, Galeotto, Rv. 209166). Tali principi sono stati costantemente ribaditi piu' di recente (ad esempio con le decisioni Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv. 219888; Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101; Sez. 2, n. 26315 del 29/03/2018, Abshir, Rv. 273019). Il motivo ripropone in diritto i medesimi temi gia' affrontati con riferimento al ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Quanto all'apologia di reato di cui all'articolo 414, comma 3, c.p., si e' osservato altrettanto pacificamente in diritto, che non basta l'esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, ma occorre che il comportamento dell'agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato (Sez. 6, n. 31562 del 18/04/2019, Di Marco, Rv. 276468; Sez. 1, n. 8779 del 05/05/1999, Oste, Rv. 214645). Questi principi giuridici servono anche a distinguere i reati previsti dall'articolo 414 c.p. rispetto alle condotte penalmente irrilevanti che rappresentano libera manifestazione del pensiero, anche quelle volte alla cosiddetta propaganda sovversiva, una volta punita ex articolo 272 c.p., norma abrogata dall'articolo 12 della Legge 24 febbraio del 2006 n. 85, e che si riteneva integrata allorquando si evidenziava un incitamento alla lotta anche armata o violenta contro lo Stato ma senza riferimento istigatorio o apologetico al compimento di specifici delitti previsti dall'ordinamento penale. L'assunto difensivo, secondo il quale la Corte territoriale non avrebbe adottato una motivazione rafforzata rispetto alla pronuncia favorevole alla ricorrente, risulta generico. E' opportuno richiamare, per la straordinaria omologia con le vicende all'odierno esame, la statuizione di questa Corte di cassazione (Sez. 1, n. 7603 del 28/06/2017, dep. 2018, (OMISSIS), Rv. 272599) intervenuta nel procedimento penale nel quale sia il (OMISSIS) che la (OMISSIS) erano stati condannati per i medesimi reati di cui all'articolo 414 c.p. in relazione alla condotta relativa al loro contributo alla realizzazione e diffusione di altra rivista anarchica intitolata KNO3, evento che, come ha correttamente sottolineato la sentenza impugnata, costituisce un precedente specifico pressoche' identico all'attuale ed utile anche alla ricostruzione del dolo cosiddetto istigatorio degli imputati (fg. 197 della sentenza impugnata). Ai fgg. 45 e 46 di quella decisione di legittimita', si trova la medesima chiave di lettura interpretativa degli addebiti odierni, sia in punto di diritto che sotto il profilo logico-ricostruttivo: "il delitto di istigazione a delinquere va ritenuto reato di pericolo concreto, per modo che la mera esaltazione di un fatto di reato o del suo autore finalizzata a spronare altri all'imitazione o almeno ad eliminare la riprovazione verso il suo autore non e', di per se', punibile, se non quando, per le sue modalita', essa integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti. Ed e' conseguente ribadire che l'accertamento del superamento di tale soglia, riservato al giudice di merito, diviene incensurabile in sede di legittimita' quando esso sia correttamente motivato (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101; Sez. 1, n. 26907 del 05/06/2001, Vencato, Rv. 219888). In questa cornice, contrariamente a quanto hanno sostenuto i ricorrenti, la Corte di assise di appello ha articolato una motivazione, rafforzata rispetto a quella resa dal primo giudice, congrua e non contraddittoria evidenziando, sulla base della specifica descrizione e della correlativa analisi del manifesto elaborato, redatto e divulgato anche dai tre ricorrenti, le ragioni per le quali gli articoli scritti dai medesimi, interconnessi finalisticamente al collage di una serie di gravissimi episodi criminosi, con le susseguenti attivita' di diffusione, hanno integrato atti diretti in modo specifico ed idoneo a provocare l'immediata violazione delle norme penali. I giudici di secondo grado hanno evidenziato che gli scritti che hanno composto il KNO3, lungi dall'evocare una generica e futura insurrezione, che si risolvesse nella lecita rappresentazione delle idee portanti dell'anarchia, sono stati invece finalizzati verso un duplice obiettivo. Tali scritti sono stati volti a censurare quella parte del movimento anarchico che aveva perso fiducia nella violenza rivoluzionaria e nella reale e concreta prospettiva dell'insurrezione, con la connessa critica rivolta a quegli anarchici di pratica movimentista inclini ad una politica pragmatica, meramente attendista, ridottasi ad organizzare presidi, manifestazioni, assemblee e dibattiti. Ma sono stati anche finalizzati ad incitare in modo immediato la platea degli adepti e simpatizzanti dell'anarchia insurrezionale - al contempo specifica (quanto al settore ideologico di riferimento) ed estesa (relativamente al numero di soggetti sollecitati) - alla pratica della lotta rivoluzionaria e dell'insurrezione, da realizzarsi in concreto attraverso azioni dirette e sabotaggi, ribellioni per incitare alla rivolta e soffiare sul fuoco. Dunque, non "disperata" ricerca del contatto con il sociale, ma concreti sabotaggi; non vano studio degli atti, anche giudiziari, ma evocazione degli appositi "manuali", concretamente volta a mettere a punto i "vari modi per colpire nel vero senso della parola" (secondo le espressioni tratte dai giudici di merito dai menzionati scritti). E' su tale snodo che l'articolato e logicamente corretto discorso giustificativo espresso dalla Corte territoriale enuclea con chiarezza il nesso inscindibile delle chiare esortazioni ad azioni violente organizzate ed immediate con la cornice di pregressi atti criminali in cui essi devono andare ad inserirsi, cornice in modo evidente disegnata dal collage di prima pagina, non meramente descrittivo, bensi' esplicitamente evocativo di patenti riferimenti a specifici attentati, anche dinamitardi ed incendiari, univocamente percepiti come terroristici, compiuti da esponenti dall'anarchismo in luoghi diversi, anche per finalita' terroristiche, nei quali erano state lanciate bombe, alle volte pacchi-bomba e bombe erano esplosi, pure in correlazione all'emersione dell'allestimento di arsenali di armi, in attuazione immediata delle istruzioni diffuse attraverso manuali del tipo di quello che, pur per ambito distinto, aveva guidato l'azione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS). Secondo le argomentate considerazioni dei giudici di appello, quindi, l'attivita' messa in essere, per quanto qui rileva, dal (OMISSIS), dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), come sopra descritta, si e' connotata per precisa e concreta efficienza istigatrice, siccome specificamente idonea a suscitare consensi nella platea degli adepti e simpatizzanti anarco-insurrezionalisti con il concreto pericolo della loro adesione, espressamente sollecitata, al surricordato programma illecito avente ad oggetto in via immediata e diretta azioni delittuose anche di matrice terroristica". Nel caso oggetto di ricorso, il motivo solo genericamente sostiene non esservi stata alcuna motivazione rafforzata rispetto al primo grado, sorvolando sul decisivo rilievo preliminare della sentenza impugnata volto a mettere in luce - del tutto correttamente qui si aggiunge - che la sentenza della Corte di assise di (OMISSIS) aveva limitato l'analisi delle specifiche risultanze processuali ritenendo che il capo di imputazione non fosse sufficientemente specifico nel delineare le condotte illecite, senza tenere conto che esso indicava solo a titolo esemplificativo ("tra le altre") le espressioni tratte dalla rivista (OMISSIS) e dal blog ad essa correlato (interamente acquisiti agli atti) indicate nel lungo editto accusatorio, richiamando espressamente il delitto associativo di cui al capo A della imputazione e, con esso, gli scopi di compiere delitti di violenza con finalita' di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico, vale a dire delitti contro la personalita' internazionale ed interna dello Stato di cui al Capo II del Titolo I del Libro II del codice penale. Specifici delitti, dunque, dovendosi ricordare che non e' necessario, in punto di diritto, che essi vengano esattamente indicati nel loro esatto nomen iuris (in questo senso, Sez. 1, n. 36816 del 27/10/2020, Cropo, Rv. 280761). Come nel precedente processo relativo alla rivista KNO3 - per quel che e' dato desumere dalla pronuncia di questa Corte prima richiamata - la sentenza impugnata, contrariamente a quella di primo grado, si e' lungamente soffermata sia sulle specifiche condotte istigatorie ed apologetiche rinvenibili nei contenuti della rivista (OMISSIS) e nel collegato sito internet (OMISSIS)., sia sulla sussistenza del dolo, ricavandolo anche da alcune intercettazioni telefoniche. Il ricorso non si confronta specificamente con tali risultanze, indicate ai fgg. 192 e segg. della sentenza. A titolo meramente esemplificativo, basti qui ricordare come fosse stata la stessa (OMISSIS) ad indicare, in una conversazione ambientale del 12 novembre del 2014, che il progetto editoriale culminato nella pubblicazione della rivista (OMISSIS) e nella creazione del sito internet, non era mirato solo alla controinformazione - cosi' come si sostiene in ricorso ritenendo le condotte penalmente irrilevanti in quanto costituite da mera propaganda sovversiva non piu' punita dalla legge dopo l'abrogazione dell'articolo 272 del codice penale - ma era sorretto da un'idea "molto piu' ambiziosa", rivolta a costruire uno spazio critico "capace di farsi azione". Attraverso la rivista ed il blog si volevano spingere i "compagni disposti a discutere" a "produrre danni, azione, creare situazioni di disturbo, essere la spina nel fianco di qualcuno" (fg. 197 della sentenza impugnata). Coerenti a questo chiaro proposito erano gli articoli nei quali si rivendicava orgogliosamente uno specifico delitto, l'attentato all'ing. (OMISSIS), ritenendolo espressione dell'atteggiamento reputato piu' coerente e consono alle ragioni dell'anarchismo ("Dunque e' necessario colpire senza sosta, capillarizzando gli attacchi, creando nuovi gruppi di affinita', moltiplicare le azioni individuali...Non perdiamo troppo tempo ad autocelebrarci o a criticare, agiamo Piu' sbirri morti") (fg. 202 della sentenza impugnata). In alcuni scritti - qui citati solo a titolo esemplificativo rispetto al lungo elenco fornito dalla sentenza impugnata - vi erano delle foto ritraenti, per esempio, un capannone distrutto, un uomo recante una torcia, la strage del 1973 presso la Questura di Milano, l'attentato dinamitardo di Wall Street del 1920, il disegno di una pistola semiautomatica e di una bomba a mano, uomini incappucciati uno dei quali imbraccia un mitra, l'immagine di una bomba con la miccia accesa a corredo della frase "la miglior difesa e' l'attacco" (fgg. 198, 199 della sentenza impugnata). Di tanto, il ricorso non fa adeguata menzione, dimostrando la sua genericita'. Rimane, pertanto, indenne da critiche giuridiche o logico-ricostruttive l'affermazione finale della Corte di secondo grado, tratta da valutazioni di merito specifiche e dettagliatamente indicate, secondo cui la rivista ed il sito internet dei quali si discute complessivamente e qualitativamente considerati nei loro contenuti, delineano una vera e propria immediata chiamata alle armi, in rabbiosa reazione ai fermi di (OMISSIS) e (OMISSIS) prima ed agli arresti degli altri indagati di Scripta Manent poi, indicandosi con chiarezza nel progetto editoriale la strada degli attentati dinamitardi ed esplosivi, anche per uccidere, come forma necessaria di reazione rivoluzionaria, la cui legittimita' anche in chiave terroristica e' esaltata con l'apologia di efferati delitti di matrice anarchica e l'esaltazione dei rispettivi autori. (fgg. 207,208 della sentenza impugnata). Altrettanto generico e' l'assunto difensivo secondo il quale la rivista ed il sito internet sarebbero stati erroneamente posti in correlazione dalla sentenza impugnata. Nella lunga ed accurata analisi del tema effettuata dai giudici territoriali, ci si e' rifatti, in proposito, alle stesse parole della (OMISSIS) nella intercettazione citata piu' sopra, con il riferimento al progetto di creazione di una rivista e di un blog (fg. 197 della sentenza), ovvero all'invito ai lettori della rivista a rapportarsi al sito internet emergente da alcuni articoli (fgg. 201-203). Per tutte le ragioni dette e con superamento di ogni altra questione - anche in relazione al contenuto della memoria depositata - il ricorso di (OMISSIS) e', nel suo complesso, infondato. 6. Ricorso congiunto di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorso congiunto proposto nell'interesse degli imputati e' infondato. 6.1. Quanto al primo motivo, con il quale si eccepisce la tardivita' dell'appello del Procuratore generale, bastera' rinviare a quanto evidenziato a proposito delle questioni comuni (punto 2.1. delle presenti considerazioni in diritto), tenuto conto della sovrapponibilita' delle censure. 6.2. Il secondo motivo e', del pari, infondato. I ricorrenti si dolgono della condanna per i reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui al capo P, che avevano commesso quali responsabili/gestori o contributori dei siti-blog (OMISSIS), (OMISSIS) Anche con riguardo al secondo motivo, va richiamata l'analisi effettuata a proposito del motivo quattordici del ricorso di (OMISSIS), dovendosi precisare che i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto quanto il (OMISSIS), erano stati assolti nel giudizio di primo grado essendosi rilevata la genericita' del capo di imputazione sub P. La sentenza impugnata, ai fgg. 171-191, ribaltando tale giudizio, ha applicato, anche per la posizione di tali imputati, gli stessi principi di diritto e la stessa metodologia logico-ricostruttiva che ha guidato il giudizio di condanna di (OMISSIS), giungendo a ritenere che non si fosse trattato di mera attivita' di propaganda sovversiva penalmente irrilevante, ma di condotte integranti i reati contestati. L'unica differenza con (OMISSIS) e' data dalla diversita' dei siti internet di interesse, diversita' tuttavia non inerente al contesto di riferimento storico, come bene la Corte di secondo grado ha chiarito a fg. 192 della sentenza impugnata, mettendo in luce la continuita' ideologica tra i siti (OMISSIS) ed (OMISSIS) e la rivista (OMISSIS) con il correlato sito internet dei quali si e' detto a proposito del (OMISSIS), tenuto conto che questi ultimi erano nati nel 2014 proprio per dare continuita' alle idee di lotta armata anarchica della cosiddetta "Internazionale Nera" portate avanti dai tre imputati con i primi blog, di fatto cessati dopo l'esecuzione di misure cautelari emesse a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS) nel giugno del 2012. 6.2.1. Non e' sostanzialmente contestato il legame tra i tre ricorrenti, confluente verso il progetto di internazionalizzazione della (OMISSIS) (con l'assunzione della sigla (OMISSIS)-(OMISSIS)), ed il ruolo assunto nella gestione dei siti. La sentenza, al contrario del primo giudice, ha dettagliatamente esaminato, come per (OMISSIS), le risultanze documentali riconducibili agli imputati ed il ricorso non si confronta con lo specifico contenuto delle esternazioni ritenute rilevanti per la prova dei reati, limitandosi a sostenere - con una valutazione fallace che vorrebbe offrire una diversa lettura di merito delle emergenze processuali - che tali evidenze sarebbero state travisate e capziosamente selezionate rispetto alla moltitudine di scritti presenti sui siti; come se tale ultimo rilievo fosse idoneo ad escludere la rilevanza penale delle evidenze sottolineate dalla Corte territoriale, rispetto alle quali si omette un adeguato confronto. 6.2.2. Sotto il profilo del dolo istigatorio ed apologetico, la sentenza ha analizzato le esternazioni degli imputati nel loro consequenziale svolgimento, segnalando, tra i tanti documenti che qui si citano a titolo meramente esemplificativo, un manifesto programmatico intitolato "Il sole sorge ancora", il cui contenuto e' stato trasfuso in sentenza a dimostrazione della progettualita' eversiva e violenta dei siti gestiti dagli imputati. Le conclusioni in senso accusatorio sono ineccepibili dal punto di vista logico-ricostruttivo: "stiamo aprendo la possibilita' di fare una proposta per una nuova Cospirazione che comprenda una diffusa rete invisibile di cellule che non hanno motivo di incontrarsi di persona, gia' tramite le loro azioni e discorsi si riconoscono come compagni all'interno dello stesso crimine politico: la sovversione della Legge e dell'Ordine. Questa Cospirazione dovrebbe consistere di individui e cellule che agiscono, sia in maniera autonoma o coordinata (tramite appelli e comunicati), senza bisogno di concordare su ogni singola posizione e specifico punto di riferimento (ad esempio nichilismo, individualismo). Piuttosto, essi dovrebbero unirsi sulle basi dell'aiuto reciproco focalizzato su tre punti chiave. Il primo punto che stiamo proponendo in questo dibattito informale e' l'accordo sulla scelta dell'azione diretta mediante l'uso di ogni mezzo necessario per danneggiare l'infrastruttura nemica. Senza alcuna gerarchia di metodi violenti, i compagni possono scegliere dalle pietre ai kalashnikov. Comunque, l'azione diretta da sola e' solo un'altra voce sull'elenco della polizia, quindi essa dovrebbe essere accompagnata dal corrispondente comunicato da parte della cellula o dell'individuo che rivendica la responsabilita' e spiega i motivi dietro l'attacco, diffondendo cosi' il discorso rivoluzionario. La penna e la pistola sono fatte dello stesso metallo. (...) Il secondo punto chiave d'accordo e' di condurre una guerra contro lo stato mentre simultaneamente si partecipa ad una precisa critica della societa'. Visto che siamo anarchici rivoluzionari, non parliamo solo della miseria causata dal potere e dall'oligarchia dominante. Esprimiamo anche una critica piu' comprensiva del modo in cui gli oppressi accettano e diffondono le promesse di felicita' e consumismo offerte dai loro padroni. (...) Il nemico puo' essere trovato in ogni bocca che parla la lingua del dominio. Essa non e' esclusiva di una o di un'altra razza o classe sociale. Ne' riguarda solamente i dominatori e l'intera dittatura panciuta e incravattata. Il nemico e' anche il proletario che aspira a diventare padrone, l'oppresso che sputa veleno nazionalista, l'immigrato che glorifica la vita nell'occidente civilizzato ma che si comporta come piccolo dittatore tra la sua stessa gente, il prigioniero che fa la spia alle altre guardie, ogni mentalita' che accoglie il potere ed ogni coscienza che lo tollera (...). Il terzo punto chiave dell'accordo nella nostra proposta riguardo alla formazione di una nuova Cospirazione e' la solidarieta' rivoluzionaria internazionale. (...) Il riferimento e' ad ogni insorto, che sia parte di un gruppo guerrigliero o che agisca individualmente nel cammino per la liberta'...." A tanto si aggiungevano le rivendicazioni di vari attentati avvenuti in quel periodo in varie parti del mondo e di commenti sostanzialmente adesivi all'insurrezione armata. Piu' in particolare, sul piano oggettivo delle condotte illecite concrete, occorre fare riferimento ai fgg. 183-186, laddove la sentenza, come per (OMISSIS), ha citato testualmente alcuni significative pubblicazioni riconducibili agli imputati - sfuggite all'analisi del primo giudice - sul cui significato le argomentazioni difensive sorvolano. Solo a titolo di esempio: Comunicato "(OMISSIS)": Gli sbirri non possono ammazzare alle spalle e poi sedersi tranquillamente a vedere una partita di calcio, bevendo un sorso. Devono sapere che e' finita l'impunita'. Per anni abbiamo detto che tutte le pallottole sarebbero state restituite e che i nostri morti sarebbero stati vendicati... -Comunicato "(OMISSIS)": Con il martello avremmo spaccato uno dei vetri per poter entrare in cabina, ma non abbiamo dovuto rompere nulla perche' la porta era aperta. Quindi, abbiamo versato il combustibile nella cabina ed abbiamo lasciato stracci imbevuti dappertutto. Allontanandoci un po' abbiamo dato fuoco alla bomba incendiaria e l'abbiamo lanciata all'interno della cabina. L'esplosione e' stata rumorosa e meravigliosa. Il fuoco s'e' rapidamente diffuso a tutto il mezzo. Era il momento di scappare, non potevamo restare a goderci lo spettacolo (...)Abbiamo detto che questo era solo l'inizio...Che si espandano e si moltiplichino gli attacchi incendiari, le bombe e i proiettili contro il potere..." - Comunicato "La "(OMISSIS)" sulle pentole a pressione": Vendetta per i giornalisti parassiti che hanno la pretesa di essere dei grandi scrittori e parlano dei "terroristi da pentole a pressione e play-station", di capi e di ragazzi subordinati. Vendetta personale anche per i mentori sensibili della stampa progressista che, preoccupati, parlano dei buoni bambini della porta affianco. Vendetta anche per questa fottuta societa' che, con malizia, ha sorriso credendo d'essersi liberata di noi, in modo da poter andare a letto con sicurezza. Vendetta per i poliziotti bastardi che giocano a fare i duri nei loro costumi a prova di proiettile... ma che hanno pianto, sono scappati e si sono nascosti sotto i tavoli quando abbiamo attaccato i commissariati di notte per bruciarli li' dentro. Vendetta contro i pubblici ministeri bastardi ed i giudici inquirenti che pensano di poter catturare il nostro odio... Vendetta per tutto cio' che viviamo, perdiamo, per ogni cosa che ci potrebbe accadere scegliendo la guerriglia urbana quale nuova condizione di vita (...) Detto questo, noi abbiamo l'assoluta necessita' di esplicitare quanto segue: le bombe non sono brevettate, specialmente quelle con un detonatore facile, come quelle costituite da pentole a pressione e da sveglie. Si tratta di materiali reperibili nei negozi che, contrariamente alle richieste repressive, non sono coperti da copyright da parte di un'organizzazione o di un modus operandi (...) -Comunicato "(OMISSIS)": La notte di martedi', 29 dicembre, avevamo progettato di attaccare la maledetta tranquillita' di alcuni sfruttatori. E' per questo che siamo usciti con il necessario per farlo e per non rimanere con la voglia (...) Queste azioni sono un gesto fraterno per tutte/i le/i compagne/i prigioniere/i che si trovano in sciopero della fame dal 20 dicembre al 1 gennaio, perche' l'atteggiamento indomabile di ognuna/o di voi ci riempie d'orgoglio e ci incoraggia ad intraprendere l'offensiva. Un saluto pieno di forza per tutti i selvaggi e insorti che hanno (e continueranno) agito nel territorio denominato Messico. A continuare ad attaccare compagni, che nella guerra contro il dominio ci incoraggiamo e ci riconosciamo in ogni azione. Fermi nella nostra decisione di proporre una battaglia fino alla fine, RIVOLGIAMO UN APPELLO ai compagni ed ai gruppi guerriglieri della Grecia, del resto dell'Europa, del Cile, dell'Argentina, del Messico e dei tanti altri lati affinche' mandino un messaggio offensivo alle autorita' greche come anche un saluto solidale ai prigionieri della nuova guerriglia urbana. Affinche' questo processo sia un motivo in piu' per promulgare la Guerra Rivoluzionaria... Ad altro comunicato di analogo tenore si era aggiunta la pubblicazione di una foto ritraente in primo piano la sofferenza di un agente di Polizia greco avvolto dalle fiamme, accompagnato dalla scritta "(OMISSIS)". In altro comunicato: "Come e' risaputo, in guerra ci sono morti. Per questo nei nostri comunicati e testi appoggiamo ripetutamente ed appoggiamo appassionatamente la pratica guerrigliera delle esecuzioni politiche". 6.3. Le evidenze appena sottolineate ed estratte dalla copiosa elencazione della sentenza impugnata, con la quale i ricorrenti si confrontano solo genericamente sostenendo un inesistente travisamento che dovrebbe superare la testualita' della prova, danno ragione delle conclusioni cui e' giunta la Corte di secondo grado anche con riferimento alla sussistenza, invero anch'essa genericamente negata in ricorso, delle finalita' terroristiche delle azioni degli imputati, da loro stessi cosi' classificate nei loro scritti per espressa presa di posizione rispetto al fronte anarchico meno aggressivo (cfr. fgg. 177 e 187-188 della sentenza impugnata). Peraltro e con superamento di ogni altra considerazione, la sentenza ha annotato che l'efficacia istigatoria delle pubblicazioni ascrivibili agli imputati era stata verificata ex post in concreto con riguardo alla effettiva realizzazione in pendant di alcuni attentati, quelli dedicati alla figura dell'anarchico (OMISSIS) (fg. 189 della sentenza). Infine, non si rinviene alcuna contraddizione motivazionale nella circostanza che la Corte ha confermato l'assoluzione degli imputati dal reato associativo di cui al capo A. Con estrema cautela, i giudici di secondo grado hanno ritenuto di escludere che il processo di internazionalizzazione della (OMISSIS), rappresentato plasticamente dall'utilizzo della sigla (OMISSIS)-(OMISSIS), alla cui creazione erano impegnati gli imputati, avesse integrato gli estremi di una associazione criminale riconducibile al modello di cui all'articolo 270-bis c.p. (si veda, in proposito quanto rilevato in ordine al ricorso del Procuratore generale ed i fgg. 291-294 della sentenza impugnata), escludendo un contributo concreto di costoro all'organizzazione specifica che si era costituita attorno alle figure di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed ignoti in ragione di quanto gia' detto. Ma cio' non serve ad escludere la rilevanza penale delle diverse condotte riconducibili all'articolo 414 c.p. evidenziate dalla Corte, solo sfrondate dal fatto di essere state finalizzate, ex articolo 61, comma 1, n. 2 c.p., a commettere quel particolare reato associativo indicato sub capo A anziche' nell'ambito della piu' vasta corrente ideologica anarchica violenta e insurrezionalista. 6.4. Il quarto motivo di ricorso, con il quale si ritorna sulla questione giuridica della differenza tra propaganda sovversiva e condotte di istigazione a delinquere o apologia di reato, rimane assorbito da tutte le considerazioni che precedono e dai richiami al ricorso di (OMISSIS). 7. Ricorso (OMISSIS), capi A (mero partecipe) e Q. 7.1-2-3. I primi tre motivi di ricorso sono del tutto sovrapponibili a quelli spesi nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). Non resta quindi che richiamare sul punto la motivazione spesa in riferimento alla dedotta intempestivita' e genericita' dell'appello proposto dal Pubblico ministero oltre che alla non riconosciuta efficacia espansiva del giudicato formatosi in altri processi nell'ambito dei quali erano state sollevate imputazioni associative riguardanti la compagine anarchica (OMISSIS)-FREE. 7.4. Anche quanto alla sussistenza ontologica e giuridica della compagine associativa di ispirazione anarco-insurrezionalista (capo A) non possono che richiamarsi le argomentazioni gia' spese in riferimento ai ricorsi dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Quanto alla partecipazione del ricorrente alla detta compagine associativa, la Corte ha tratto argomento dalla protratta militanza del (OMISSIS) nel gruppo, valorizzando sia la comune idealita' (resa manifesta dalla attivita' redazionale spesa per le riviste di cui al capo Q) che l'effettivita' di un concreto prender parte alla esecuzione del progetto di sovversione. Concretezza ed effettivita' palesate, ogni oltre equivoco, dalla partecipazione materiale al fatto di sangue (attentato (OMISSIS)) realizzato in concorso con (OMISSIS). 7.5-6. Il quinto ed il sesto dei motivi di ricorso replicano le argomentazioni processuali (overturning della assoluzione di primo grado in riferimento alla istigazione di cui al capo Q, priva di motivazione rafforzata) e sostanziali (il tema e' quello del distinguo tra apologia e istigazione al delitto) gia' arate con riguardo alla posizione dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Quanto mai virulento ed effettivo, argomenta la Corte di merito, sulla base di un supporto documentale cospicuo ed univoco, e' il coefficiente operativo fornito da (OMISSIS) alle proposte (accendere la miccia del delitto nelle menti dei lettori e degli ascoltatori) della (OMISSIS). 7.7. Il rigetto del ricorso proposto dal Procuratore generale in relazione alla censurata continuazione divisata dalla Corte di appello tra i fatti oggi contestati e quelli irrevocabili relativi all'attentato (OMISSIS) assorbe ogni considerazione proposta con la memoria di resistenza depositata nell'interesse del ricorrente (OMISSIS). 8. Ricorso congiunto di (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorso degli imputati e' infondato. 8.1. Quanto al primo motivo, con il quale si eccepisce la tardivita' dell'appello del Procuratore generale, bastera' rinviare a quanto evidenziato a proposito delle questioni comuni (punto 2.1. delle presenti considerazioni in diritto), tenuto conto della sovrapponibilita' delle censure. 8.2. Il secondo motivo e', del pari, infondato. I ricorrenti si dolgono della condanna per i reati di istigazione a delinquere ed apologia di reato di cui ai capi R ed S, commessi, il (OMISSIS), "nella sua attivita' di elaborazione, redazione e divulgazione attraverso il sito radioazione.org (capo R) e la (OMISSIS) nella sua attivita' di elaborazione, redazione e divulgazione, sia, in concorso con (OMISSIS), attraverso il sito radioazione.org, sia attraverso il sito (OMISSIS)" (capo S). Va qui richiamato quanto si e' detto a proposito del motivo di ricorso numero quattordici di (OMISSIS) e del secondo motivo di ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dal momento che la sentenza ha adottato gli stessi criteri giuridici e logico-ricostruttivi e le doglianze seguono la stessa impostazione critica degli altri ricorrenti, rispetto ai quali differiscono solo i blogs di riferimento, ritenuti in prosecuzione ideologica con i siti gestiti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza tratta della posizione degli imputati ai fgg. 224-238. Anche nel caso dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di merito ha messo in luce la sussistenza del dolo istigatorio ed apologetico e di condotte concrete sussumibili nelle fattispecie di cui all'articolo 414 c.p. anziche', come sostenuto in ricorso, tra le mere attivita' di propaganda sovversiva oggi penalmente irrilevanti dopo l'abrogazione dell'articolo 272 c.p.. Anche in relazione ai due citati ricorrenti, tra loro conviventi, il ricorso lamenta un travisamento delle prove ed una non fedele estrapolazione di dati ritenuti sensibili rispetto all'ampio materiale contenuto nei due siti internet. Tuttavia, in questo come negli altri casi, vi sono solo delle petizioni critiche di principio ma non un confronto con le indicazioni fornite dalla sentenza impugnata. Al fg. 225, la Corte individua un articolo di chiaro contenuto apologetico a firma del (OMISSIS) relativamente allo specifico episodio del ferimento (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS). Nelle "dirette di azione" gestite dal (OMISSIS) con la collaborazione della propria compagna (OMISSIS) anche in qualita' di traduttrice poliglotta, sono state evidenziate in sentenza, ma non in ricorso, evidenze costituite da filmati di addestramento all'uso di armi od esplosivi, per la produzione artigianale di esplosivo o per il montaggio e l'armamento di una pistola, ovvero comunicati dal chiaro tenore istigatorio ed apologetico. Solo a titolo esemplificativo: "solidarieta' e complicita' con (OMISSIS) e (OMISSIS) alle Procure, ai Tribunali, alle carceri e tutti i suoi carcerieri"; io come sempre vi do i nomi di quei pezzi di merda che stanno sempre invischiati in queste storie di merda...prima abbiamo letto i nomi dei secondini che non hanno aperto le porte delle celle ai detenuti a Santiago nel carcere di (OMISSIS) nel 2010 vado a rileggere i nomi di quei pezzi di merda che stanno al carcere delle Vallette uno e' il direttore (OMISSIS), l'altro e' il Comandante (OMISSIS) e l'altro e' quel pezzo di merda sicuramente napoletano, lo dico da napoletano non sono razzista, dell'ispettore del reparto di media sicurezza (OMISSIS). (...) Memorizzate questi nomi, se non ve li ricordate andate su (OMISSIS), sul blog di (OMISSIS)...vi potete rileggere la lettera con tranquillita'...quella di (OMISSIS) anche perche' penso molto spesso vi faccio perdere dei passaggi con la mia lettura orrenda quindi se andate a rileggervi la lettera di (OMISSIS) ritrovate i nomi..."Io l'ho buttata la'...vi leggete i nomi...poi basta non vi dico un cazzo...". la vera liberta' si trova nella canna di una pistola, nello stoppino della dinamite...". Sempre con riferimento alla solidarieta' ai detenuti (OMISSIS) e (OMISSIS), "Di colpi di pistola, di echi di esplosioni ne voglio sentire ancora". 8.3. Su tali risultanze obbiettive il ricorso ha, non a caso, sorvolato, il che rende evanescenti le sue critiche, anche in punto di diritto, rispetto alla sussistenza dei reati ed in ordine alla differenza tra condotte ex articolo 414 c.p. e condotte lecite di propaganda sovversiva di cui al terzo motivo. Tanto supera ed assorbe ogni diversa obiezione, anche con riferimento al contenuto della memoria. 9. Ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). 9.1. Il primo motivo comune di ricorso (censura circa la ritenuta tempestivita' dell'appello del pubblico ministero e rigetto della richiesta rinnovazione della istruttoria dibattimentale sul punto processuale controverso) e' stato gia' trattato in parte generale (sub 2.1.) del "considerato in diritto", che si richiama. 9.2. Il secondo motivo comune censura la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata in caso di overturning operato in appello in danno dell'imputato. Il motivo e' stato gia' trattato in diritto quanto alle posizioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Si fa rinvio pertanto alle rispettive argomentazioni, trattandosi di censure in diritto ampiamente sovrapponibili. 9.3-4. Il terzo ed il quarto dei motivi comuni censurano ancora in diritto i temi della riconosciuta responsabilita' per il delitto di cui all'articolo 414 c.p.. Il tema e' stato gia' affrontato e risolto in riferimento alle impugnazioni precedentemente trattate. Basta sul punto richiamare le argomentazioni gia' spese, atteso che in fatto la Corte di assise di appello ha diffusamente argomentato (fol. 211-219) in ordine agli elementi di fatto che hanno consentito per ciascun dei ricorrenti di riconoscere una attiva partecipazione alla istigazione al delitto mossa attraverso le pubblicazioni esaminate. 9.5. Cio' deve ritenersi, in misura esattamente equipollente, anche per la posizione di (OMISSIS), avendo la Corte evidenziato plurimi e polimorfi indici di reita', destinati a superare la prova di resistenza praticabile in ragione della dubitabile presenza del (OMISSIS) alle riunioni agostane presso l'abitazione estiva della (OMISSIS). La messe di altri elementi di prova autonomi consente di fondare autonomamente aliunde il giudizio di responsabilita' per il fatto di istigazione contestato e ritenuto in sentenza. La motivazione spesa sul punto dalla Corte del controllo di merito appare congrua rispetto alle evidenze raccolte, logica ed adeguata al livello del gravame. 10. Al rigetto dei ricorsi dei ricorrenti privati segue la condanna di costoro al pagamento delle spese processuali e di quelle delle parti civili come da dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al reato di cui al capo F che riqualifica ai sensi dell'articolo 285 c.p. e rinvia ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dei predetti. Rigetta nel resto il ricorso del P.G. Rigetta altresi' i ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione in solido delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno e Ministero della Difesa, che liquida in complessivi Euro 3000 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE LAVORO composta da: Dott.ssa Monica Vitali - Presidente Dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere Dott.ssa Giulia Dossi - Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado d'appello in materia di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3070/2021, promossa da (...) s.r.l. rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Vi., presso il cui studio in Milano, corso (...), è elettivamente domiciliata, - APPELLANTE - contro (...) rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Am., presso il cui studio in Cernusco sul Naviglio, via (...), è elettivamente domiciliata, - APPELLATA - MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E IN DIRITTO Con sentenza depositata il 20 gennaio 2022, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa n. 6599/2020 R.G., promossa da (...) contro (...) s.r.l., in accoglimento delle domande ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato alla ricorrente il 5 marzo 2020, per mancato superamento del periodo di prova, in quanto ritorsivo; conseguentemente, ha condannato (...) s.r.l. a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato e a corrisponderle un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (Euro 3.555,55) per il periodo compreso tra il giorno del licenziamento e quello dell'effettiva reintegrazione, in misura comunque non inferiore a cinque mensilità, nonché al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo. Ha condannato, inoltre, la società al risarcimento del danno da demansionamento patito dalla ricorrente, liquidato in complessivi Euro 6.427,34, nonché al risarcimento del danno biologico, liquidato all'esito di CTU medico-legale in complessivi Euro 17.354,42. Il Tribunale ha giudicato il recesso datoriale, intimato per mancato superamento della prova, nullo in quanto viziato da motivo ritorsivo, come tale illecito. In particolare, il giudice di prime cure ha evidenziato che in data 4 marzo 2020 vi era stato un colloquio tra la lavoratrice e il (...) di (...) s.r.l., (...), alla presenza anche del (...), (...). Durante il colloquio, avvenuto in videoconferenza e registrato all'insaputa della lavoratrice, (...) aveva espresso le proprie perplessità circa la mancata formazione e il perdurare, dopo due mesi dall'inizio della prova, dell'adibizione a mansioni non consone alla disciplina contrattuale. All'indomani di tale colloquio, ritenuto non risolutivo, la lavoratrice aveva inviato una comunicazione via email, avente come oggetto "sintesi primi mesi L.", al (...) e al (...), nonché per conoscenza ad altri colleghi. In essa (...) segnalava di essere giunta in azienda dopo essere stata contattata da un'agenzia di lavoro per conto di (...) s.r.l.; lamentava che, nonostante gli sforzi, non era stata messa in condizioni di svolgere le mansioni proprie del ruolo per il quale era stata assunta (Controller), poiché "poco o nulla" le era stato spiegato e chiedeva di essere messa in grado di svolgere tale compito. Quello stesso giorno era stata licenziata per mancato superamento della prova. Ad avviso del giudice di prime cure la vicenda integrava un caso esemplare di ritorsività. Il Tribunale ha attribuito valenza dirimente alla contiguità temporale tra la riunione del 4 marzo 2020, la comunicazione via email della lavoratrice del 5 marzo 2020 ed il recesso comunicato quello stesso giorno dopo poche ore. Ha osservato che la società sembrava avere già acquisito prima dell'incontro del 4 marzo 2020 elementi idonei alla valutazione (negativa) della lavoratrice e che, a poco più di una settimana dalla scadenza del termine della prova, non vi era motivo per non attendere tale momento per assumere le proprie determinazioni. Ha concluso che, collocato nel contesto fattuale e temporale cui effettivamente apparteneva, il licenziamento si appalesava quale ingiusta reazione ad una serie di richieste del tutto legittime della lavoratrice. Il giudice di prime cure ha, inoltre, ritenuto fondata la domanda di risarcimento del danno da demansionamento azionata da (...). Ha evidenziato al riguardo che, in sede di istruttoria orale, avevano trovato conferma le deduzioni della lavoratrice di essere stata adibita a mansioni meramente amministrative, di basso profilo (quali fatturazioni, aggiornamento dell'anagrafica, traduzione di email in inglese, risposte al centralino, ricezione di pacchi e distribuzione di pasti), del tutto estranee al ruolo di Controller per cui era stata assunta. Ad avviso del Tribunale, la ricorrente era stata adibita a mansioni di così differente natura e deteriore contenuto professionale da determinare un'evidente sottoutilizzazione e grave svilimento delle sue potenzialità. La lavoratrice, tra l'altro, aveva rinunciato ad una precedente occupazione a tempo indeterminato e dalla data del recesso di (...) s.r.l. risultava disoccupata, anche a causa delle ripercussioni psicologiche che il licenziamento le aveva causato. Sulla base di tali premesse la sentenza ha riconosciuto in via equitativa a (...), per il demansionamento patito, un risarcimento pari all'80% della retribuzione globale di fatto per i 47 giorni di lavoro prestati sino alla data di licenziamento, pari quindi ad Euro 6.427,34 sulla base della retribuzione mensile di Euro 3.555,55. Ha, infine, accolto la domanda risarcitoria relativa al danno alla salute, anche psichica, che la ricorrente lamentava di aver patito in ragione dei fatti di causa. In argomento il Tribunale, disposta ed eseguita CTU medico-legale, ha fatto proprie le conclusioni del CTU (coadiuvato da uno specialista in psichiatria), secondo cui (...) è affetta da disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso misti persistente ed è innegabile la sussistenza di una stretta relazione temporale tra l'insorgenza dei sintomi e la situazione traumatica identificabile nelle riferite condotte di demansionamento e marginalizzazione operativa esitate nel licenziamento. Ha altresì condiviso la quantificazione del danno operata dal CTU (che aveva stimato un periodo di inabilità temporanea al 50% di 90 giorni e un ulteriore periodo di 90 giorni al 25%, nonché un'invalidità permanente quantificabile nella misura del 7-8%), che è stato liquidato facendo applicazione delle tabelle approntate dal Tribunale di Milano. Avverso la sentenza ha proposto appello (...) s.r.l., affidandosi a tre motivi. Con il primo motivo denuncia violazione ed errata applicazione dell'art. 2697 c.c.; omessa e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie e mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte di (...) in merito all'intento ritorsivo, nonché motivazione contraddittoria e/o comunque carente. Secondo l'appellante la pronuncia di primo grado dovrebbe essere riformata laddove ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice, affermandone il carattere ritorsivo. L'appellante censura tale capo di sentenza per tre ordini di ragioni. Innanzitutto lamenta che il giudice si sia limitato ad aderire in modo acritico alla tesi della ricorrente, senza bilanciarla con quanto emerso nel corso del giudizio di primo grado in merito al fatto che (...) s.r.l. avesse già pacificamente acclarato l'inadeguatezza della lavoratrice in prova. In particolare, dalle dichiarazioni dei testi (...) e (...) emergeva che la lavoratrice non aveva svolto in modo soddisfacente i compiti a lei assegnati; inoltre, dalla deposizione della teste F. e dal colloquio del 4 marzo 2020 emergevano le difficoltà di inserimento di (...) e l'inadeguatezza della sua figura professionale (la stessa ricorrente durante il colloquio aveva dichiarato: "l'impressione che ho è che forse avete bisogno di un altro tipo di profilo"). In secondo luogo, si duole che la sentenza sia fondata sulle deduzioni offerte da (...) la quale, tuttavia, non aveva provato il carattere esclusivo dell'intento ritorsivo asseritamente sotteso al licenziamento. Da ultimo, deduce che la pronuncia sia contraddittoria ed affetta da grave vizio del procedimento logico deduttivo, in quanto il giudice di prime cure afferma che la prova del motivo ritorsivo può essere offerta anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti, ma omette di indicare quali siano, nel caso concreto, tali presunzioni. Con il secondo motivo denuncia violazione ed errata applicazione dell'art. 2697 c.c. in relazione alla pronuncia sul demansionamento. Lamenta omessa e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie, nella parte in cui il giudice di prime cure afferma che dalla prova testimoniale emergerebbe senz'ombra di dubbio che la dipendente sia stata adibita sin dall'inizio a mansioni inferiori, senza però specificare quali siano gli elementi probatori da cui deduce tale circostanza. Secondo parte appellante dall'istruttoria svolta non risulterebbe provato il demansionamento di (...); al contrario, risulterebbero provate circostanze di segno opposto, ossia la corretta configurazione del computer; l'adeguata formazione fornita sul sistema operativo aziendale denominato Alyante; l'adibizione a mansioni inferiori in soli sporadici episodi e con finalità formativa, essendo necessario che la lavoratrice comprendesse il funzionamento del sistema nei vari passaggi, compreso l'inserimento delle fatture e l'archiviazione dei documenti, essendo suo compito controllarlo. Per quanto concerne l'adibizione alla ricezione di telefonate e pacchi, l'odierna appellante sottolinea come ciò sia avvenuto solo in occasioni assolutamente rare ed eccezionali e come tali compiti venissero svolti da tutti i dipendenti quando ve ne fosse necessità. L'appellante lamenta, inoltre, il mancato assolvimento dell'onere probatorio a carico di (...) in ordine ai danni da demansionamento. Nell'ottica del gravame la lavoratrice non avrebbe provato il nesso eziologico tra le condotte datoriali e il presunto danno ed il Tribunale, dopo aver correttamente enunciato il principio secondo cui il danno da demansionamento non può considerarsi in re ipsa e deve essere provato dal lavoratore, si sarebbe contraddetto nel riconoscere automaticamente il risarcimento del danno in favore dell'appellata, sul solo presupposto della ritenuta assegnazione della stessa a mansioni inferiori (di cui peraltro non vi era dimostrazione alcuna). Da ultimo, (...) s.r.l. denuncia l'omessa o comunque apparente motivazione circa la quantificazione del risarcimento del danno nella misura, giudicata sproporzionata ed eccessiva, dell'80% della retribuzione. Con il terzo motivo critica la sentenza per carenza di motivazione ed illogicità in ordine alla valutazione dell'elaborato peritale. Ad avviso di parte appellante la sentenza merita di essere riformata in quanto non risultano spiegate in maniera sufficiente, adeguata e giuridicamente corretta, le ragioni per le quali il giudice ha aderito alle conclusioni cui è pervenuto il CTU, disattendendo le specifiche censure proposte dal consulente di parte, con particolare riguardo al rigore che deve contraddistinguere il processo logico di dimostrazione del nesso eziologico. Si duole in proposito che, nell'elaborato finale, il CTU non abbia fornito risposte puntuali alle osservazioni del consulente di parte della società, il quale, in particolare, aveva rilevato che l'elaborato peritale era basato esclusivamente sulla ricostruzione della lavoratrice, senza tenere in alcun conto la diversa ricostruzione degli eventi descritta da (...) s.p.a.; aveva criticato la mancata valutazione dello stato di accentuata vulnerabilità narcisistica della perizianda; aveva osservato che la lavoratrice riferiva di attacchi di panico, ma di essi non si faceva menzione nella relazione del medico che l'aveva in cura; aveva evidenziato che spesso (...) aveva reso nel corso dell'esame peritale dichiarazioni eccessive, non attendibili e incoerenti con quanto dichiarato in altra sede; aveva denunciato l'erronea individuazione di un'ipotesi di "disturbo dell'adattamento complicato" con conseguente scorretta applicazione delle relative tabelle; aveva contestato la mancata ricerca e/o indagine da parte del CTU di eventuali stati ansiosi pregressi della perizianda; aveva criticato l'attribuzione dei punti percentuali di invalidità e la relativa quantificazione del danno. In sintesi, ad avviso dell'appellante il giudice di prime cure avrebbe dovuto riconoscere l'incompletezza della CTU in merito al diverso scenario emergente dalla ricostruzione dei fatti operata dalla società e, per l'effetto, disporre un'integrazione e/o rinnovazione delle operazioni peritali. Alla luce dei motivi suesposti l'appellante (...) s.r.l. ha chiesto l'integrale riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte. Costituendosi ritualmente in giudizio, l'appellata (...) ha chiesto il rigetto del gravame avversario e la conferma della sentenza impugnata. All'udienza del 13 luglio 2022, all'esito della discussione orale, il Collegio ha deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza. L'appello proposto da (...) s.r.l. è fondato e merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte. In ordine al primo motivo di gravame, inerente il capo di sentenza che ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a (...) in quanto ritorsivo, va innanzitutto evidenziato che, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, "il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta che questa sia, ... costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito (diretto) o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione (indiretto), che attribuisce al licenziamento il connotato della ingiustificata vendetta" (così Cass. 8 agosto 2011 n. 17087; in termini cfr. anche Cass. 18 marzo 2011 n. 6282). Il motivo ritorsivo rappresenta un motivo illecito, sicché, ove esso costituisca ragione unica e determinante del licenziamento, il licenziamento è nullo ai sensi degli artt. 1418, comma 2, 1345 e 1324 c.c.. Si ritiene che la natura ritorsiva del recesso rilevi anche nell'area della libera recedibilità: le richiamate disposizioni codicistiche, in quanto norme di disciplina generale dei contratti e dei negozi unilaterali, hanno infatti un perimetro applicativo più ampio della disciplina speciale limitativa dei licenziamenti e si applicano, pertanto, anche ai licenziamenti estranei a tale disciplina. Il motivo illecito assume pertanto rilevanza anche in relazione al licenziamento intimato in periodo di prova o al termine della prova, da ritenersi invalido qualora risulti il perseguimento di finalità illecite (cfr. ex multis Cass., 13 agosto 2008 n. 21586). Tanto premesso in ordine all'astratta rilevanza del motivo illecito nella fattispecie oggetto di causa, si ritiene nondimeno che, nel caso concreto, non sia stata offerta idonea prova del fatto che il licenziamento di (...) sia stato determinato da motivo illecito. L'onere di provare la ritorsione e/o il motivo illecito grava interamente sulla parte che li allega, alla stregua della regola generale di riparto dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. (cfr. ex multis Cass., 16 agosto 2018 n. 20742 e precedenti ivi richiamati). Inoltre, ai sensi dell'art. 1345 c.c., il motivo illecito deve essere unico e determinante, cioè costituire ragione esclusiva del recesso. Nel caso di specie, secondo la prospettazione attorea (accolta dal Tribunale), il licenziamento costituirebbe un'ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro al legittimo esercizio del diritto di critica della lavoratrice, espresso sia oralmente nel colloquio in data 4 marzo 2020, sia per iscritto con email del 5 marzo 2020 (allegata sub doc. 24 fascicolo appellata). Il Collegio non condivide tale impostazione, per le ragioni che si vanno ad esporre. Il contenuto del colloquio in data 4 marzo 2020 tra (...) e (...) ((...) di (...) s.r.l.) alla presenza di (...) ((...) della società), come riportato nella sentenza di primo grado sulla base delle trascrizioni del file audio contenute nel ricorso introduttivo (cfr. file allegato sub doc. 11 fascicolo appellata), evidenzia una situazione di reciproca insoddisfazione delle parti circa l'andamento del rapporto di lavoro. Da parte della società si lamentano difficoltà della dipendente ad inserirsi nell'organizzazione e a relazionarsi con le altre figure aziendali ((...): "tutte le persone che hanno avuto a che fare con te ritengono che tu non stia riuscendo o noi non siamo riusciti a farti entrare all'interno della nostra comunità"; "C'è stata sicuramente una tua difficoltà grande di inserimento; questo mi è stato riferito dai partner anche, da (...), dalle persone che hanno avuto a che fare con te e questo oggettivamente è visibile, lo vedo anche da come sono le relazioni (...) la nostra azienda è una azienda piccola (...) abbiamo tutti lavorato in multinazionali (...) tutta la nostra formazione è avvenuta in società multinazionali (...) cercavamo una persona Senior che potesse inserirsi"), nonché scarsa flessibilità e comportamenti meno proattivi rispetto alle attese ("una minore proattività rispetto a quella che ci aspettavamo; ci aspettavamo e ci aspettiamo che ci fosse una proattività da parte tua, una disponibilità, diciamo, a non chiudersi in alcuni ruoli (...) l'esempio di stamattina: se è (...) a chiederti di modificare una procedura..."). La lavoratrice, da parte sua, lamenta di non essere stata posta in condizione di lavorare proficuamente, in quanto (...) non le aveva illustrato in modo adeguato i suoi compiti ("non mi hai mai girato nulla (...) addirittura quello che tu dicevi lo scrivevo su un quaderno e l'ho rimesso in word cercando di farmi delle procedure mie, ma tu l'unica cosa che mi hai girato è quando hai mandato le commesse marketing a Teresa e mi hai messo per conoscenza anche a me, quello è il file che mi hai inviato"; "Ma se lui prima non mi dice cosa fa o cosa non fa, io non posso essere veggente (...) io gli ho chiesto di farmi vedere il più possibile quello che fai, questo faceva parte del pacchetto, cioè, voglio dire, se tu Teresa non sai che una cosa esiste non è che ti viene in mente di chiederla; se non esiste, non sai se la fai o non; io sono stata ad aspettare ogni volta che lui veniva e dicevo, mah, mi dedicherà un pò di tempo... 5 minuti, certo che in tre mesi 5 minuti fanno qualche ora, però, non è così"); non le era stata impartita formazione sull'utilizzo del software gestionale Alyante ("ma per Alyante arriverà qualcuno a farmi il corso, son tre mesi che deve arrivare qualcuno a farmi il corso in Alyante e non viene nessuno. Allora provo io in Alyante a cercare di capire e poi mi faccio il download dei manuali da internet per riuscire a studiarli da me; ma a te, scusa Teresa, ti pare una cosa normale?") e non aveva ricevuto le informazioni necessarie per svolgere l'attività ("io mi ritrovo ad oggi dopo tre mesi, sinceramente, a dover rincorrere persone, a dover chiedere continuamente anche a (...) di farmi vedere le cose su Alyante e di farmi vedere il suo transfer Know-how perché io sto veramente arrancando, cioè sto cercando disperatamente informazioni da chiunque attraverso l'azienda perché non ne ho... non ci sono nemmeno delle procedure, per cui quello che io ho potuto fare l'ho fatto; faccio l'impossibile"; "mi sono trovata a dover continuamente andare a chiedere alle persone, a chiedere gli appuntamenti, a fare i meeting e ai meeting veniva una sola persona, poi dopo... aspetta sì che tra una settimana ci saremo tutti, poi ne veniva solo un'altra, cioè è un lavoro frazionato così"). Nella lettera inviata via email il giorno successivo (...) rimarca quanto già illustrato nel colloquio ("purtroppo, devo constatare che, nonostante i miei molteplici sforzi, articolati sotto forma di richieste, tentativi di incontri, verifiche e proposte di operatività, ad oggi, di fatto, non sono stata messa in grado di svolgere le mansioni derivanti dal ruolo per il quale sono stata assunta poiché poco o nulla mi è stato spiegato e quanto da me proposto non è stato raccolto"); lamenta mancanza di prospettive, inadeguatezza degli assetti organizzativi e poca disponibilità a collaborare da parte delle altre figure aziendali ("la percezione che ho avuto è che a codesta Società interessasse solo il mio profilo e il mio curriculum per ragioni che ignoro ma che posso immaginare. Tale percezione mi è stata confermata dalla totale mancanza di conoscenza delle attività di project management all'interno dell'Azienda, della scarsa attenzione alle mie richieste per avviare strumenti a tal fine e dalla poca disponibilità alla collaborazione da parte dei pochi con cui ho potuto interagire limitatamente, non per mia scelta") e conclude ribadendo la disponibilità a svolgere il proprio ruolo, chiedendo di essere messa nelle condizioni di farlo ("ribadisco la mia disponibilità a svolgere il mio compito ma richiedo, cortesemente, che questa Azienda mi metta nelle migliori condizioni per poterlo fare, oggi totalmente assenti"). Il quadro che emerge dalle allegazioni in fatto e dagli elementi di prova offerti dalla lavoratrice è dunque, come accennato, di reciproca insoddisfazione in ordine allo svolgimento del rapporto. Ciò risulta limpidamente dal colloquio in data 4 marzo 2020, nel quale la società esprime una valutazione negativa circa le attitudini professionali e relazionali della lavoratrice nello specifico contesto aziendale e la lavoratrice, a sua volta, esprime una valutazione negativa circa l'organizzazione aziendale e le concrete modalità di esecuzione del rapporto. Il licenziamento per mancato superamento della prova, intimato il giorno successivo a detto colloquio, è del tutto coerente con tali premesse in fatto e - soprattutto - con la causa del patto di prova, "che va individuata nella tutela dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest'ultimo, a sua volta, valutando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (Cass. n. 8934 del 2015; Cass. n. 17767 del 2009; Cass. n. 15960 del 2005)" (cfr. Cass., 3 dicembre 2018 n. 31159). Come reiteratamente statuito dalla giurisprudenza di legittimità, il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione, diversamente da quel che accade nel licenziamento assoggettato alla L. 15 luglio 1966, n. 604 (cfr. ex multis Cass., 13 agosto 2008 n. 21586, cit.). L'esercizio del potere di recesso deve essere peraltro coerente con la causa del patto di prova, con la precisazione che tale patto mira ad accertare non solo la capacità tecnica ma anche la personalità del lavoratore e, in genere, l'idoneità dello stesso ad adempiere gli obblighi di fedeltà, diligenza e correttezza, sicché il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando riflette l'accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dal modo in cui si manifesta, anche nelle relazioni sociali, la sua personalità (cfr. Cass., 10 giugno 1999 n. 5714; Cass., 21 luglio 2001 n. 9948; Cass., 18 marzo 2004 n. 5522; Cass., 4 agosto 2004 n. 14952). L'interesse prevalente della prova è, infatti, la sperimentazione e la valutazione, da parte del datore di lavoro, delle caratteristiche e delle qualità del lavoratore, nonché del proficuo inserimento di quest'ultimo nella struttura aziendale (cfr. Cass. 18 gennaio 2017 n. 1180). Incombe sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità del recesso durante la prova, l'onere di dimostrare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da un motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (cfr. Cass., 14 ottobre 2009 n. 21784; Cass. 27 giugno 2013 n. 16224). Ciò chiarito, nel caso di specie lo stesso quadro assertivo e probatorio offerto da (...) dà conto di una valutazione negativa, espressa dalla datrice di lavoro già in corso di rapporto, in ordine alle caratteristiche e qualità professionali in senso lato della lavoratrice e al suo proficuo inserimento nella realtà aziendale. Ciò di per sé esclude, ad avviso del Collegio, che il recesso possa ritenersi determinato da motivo illecito. Come accennato in precedenza, la nullità per motivo illecito ex art. 1345 c.c. richiede che questo abbia carattere esclusivo e determinante; pertanto, "per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo ... perché adottato per motivo illecito determinante ex art. 1345 cod. civ., occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullità deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito" (cfr Cass., 4 aprile 2019 n. 9468; Cass. 23 settembre 2019 n. 23583). Nel caso di specie il dedotto motivo illecito, ove anche sussistente, non costituisce senz'altro la ragione esclusiva e determinante del licenziamento, concorrendo con esso un motivo di licenziamento del tutto lecito e pienamente coerente con la funzione del patto di prova, ossia la valutazione negativa sulle attitudini della lavoratrice. L'anzidetta valutazione negativa, tra l'altro, non appare pretestuosa o puramente arbitraria, ma trova al contrario supporto - come evidenziato nel motivo di appello in esame - nelle risultanze istruttorie, in particolare nelle deposizioni dei testi (...), socio di (...) s.r.l. e business unit manager ("ricordo che successivamente alla riunione collettiva, la ricorrente aveva mandato un file excell che era molto disallineato con quello di cui avevano discusso. Intendo che era molto semplicistico. Nel corso della riunione era stata spiegata la complessità della pianificazione risorse in relazione alla tipologia dei nostri progetti. Il documento creato dalla ricorrente era molto esemplificativo"), (...), (...) della società ("avevamo introdotto un nuovo applicativo proprio per la raccolta di questi dati di allocazione e all'esito di riunione con i partner, presente anche la ricorrente, le è stato chiesto di modificare la procedura esistente per introdurre le novità decise in riunione e per introdurre il nuovo software. La prestazione della ricorrente non è risultata soddisfacente. All'inizio ha detto che non aveva capito, poi ha apportato le modifiche in modalità diversa da quella attesa. Su questo c'è stato una piccola discussione tra me e lei. Lei ha apportato delle modifiche e poi ha mandato avanti il documento dicendo che era da me approvato mentre io non l'avevo visto") e (...), dipendente di (...) s.r.l. con mansioni di sales manager assistant ("ricordo ... di avere chiesto via mail alla ricorrente, alla signora (...) e all'ing. (...) - essendo io assente per due date diverse in coincidenza con eventi di lavoro - se qualcuno di loro poteva sostituirmi nel rispondere al telefono e nell'aprire la porta. È una cosa che chiedo anche con altri colleghi. Alcuni giorni dopo la mia richiesta, ricordo una reazione arrabbiata della ricorrente nei miei confronti. Secondo lei, non avrei dovuto mandare questa mail. Non me lo ha motivato"), che ne confermano la genuinità. Quanto esposto è dirimente al fine di escludere la fondatezza della domanda di accertamento della nullità del licenziamento intimato a (...), in quanto determinato da motivo illecito. A ciò si aggiunga che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, il Collegio reputa gli elementi allegati dalla lavoratrice a sostegno della pretesa natura ritorsiva del recesso lacunosi e non concludenti. In primo luogo non appare decisiva la mera correlazione temporale tra il colloquio in data 4 marzo 2020, la email della lavoratrice in data 5 marzo 2020 (che ripropone essenzialmente le stesse doglianze espresse il giorno precedente) ed il licenziamento. Soprattutto non convince la ricostruzione in ordine al comportamento, costituente legittimo esercizio di un diritto, che avrebbe innescato la reazione arbitraria e di mera rappresaglia della datrice di lavoro. Tale comportamento consisterebbe nell'esercizio del diritto di critica da parte della lavoratrice, manifestato nel colloquio del 4 marzo 2020 e attraverso la email del giorno successivo. In proposito si osserva che la lavoratrice si è limitata in tali occasioni ad esprimere alcune doglianze in ordine all'organizzazione e allo svolgimento dell'attività lavorativa, senza avanzare rivendicazioni nei confronti della società, sicché non appare credibile che la decisione di quest'ultima di porre fine al rapporto sia stata determinata in via esclusiva da tale condotta. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono e in accoglimento del primo motivo di appello, va riformato il capo di sentenza che ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a (...) in quanto ritorsivo, con caducazione anche dei capi connessi inerenti la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non corrisposte dal licenziamento alla reintegrazione e il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo. Merita accoglimento anche il secondo motivo, inerente il capo di sentenza che ha accertato la sussistenza di un demansionamento ai danni dell'appellata. La disamina del materiale istruttorio in atti e, segnatamente, delle deposizioni dei testi escussi nel giudizio di primo grado conducono a conclusioni di segno opposto rispetto a quelle fatte proprie dalla pronuncia appellata. (...) è stata assunta alle dipendenze di (...) s.r.l. con qualifica di Quadro e mansioni di Controller a decorrere dal 7 gennaio 2020 (cfr. doc. 9 fascicolo appellata). I testi escussi hanno riferito che prima del suo arrivo, nel corso di una riunione plenaria in prossimità delle festività natalizie, venne presentato il nuovo organigramma nel quale figurava (...) e venne illustrato il suo ruolo di Controller e di PMO. Nei giorni successivi al suo arrivo in azienda nel gennaio 2020, (...) ((...) della società) la presentò personalmente ai colleghi come Controller e PMO, ossia come figura preposta alla verifica e al controllo dei costi, nonché al controllo delle procedure (cfr. in particolare deposizioni dei testi (...), dipendente di (...) s.r.l. con mansioni di IT manager, (...), (...) e (...)). A partire al suo ingresso in azienda (...) partecipò a riunioni periodiche con i soci, attinenti al settore di sua competenza; venne coinvolta nel progetto di gestione del time sheet e le venne affidato il compito di modificare la procedura di raccolta dei dati di allocazione delle risorse sui progetti (cfr. deposizione del teste (...): "abbiamo fatto delle riunioni, non so se settimanali, per spiegare alla ricorrente il nostro modo di lavorare. Io ne ho fatte sicuramente un paio solo con lei sul tema specifico del PMO. Poi abbiamo fatto riunioni di tutti i soci con la ricorrente, si trattava della riunione settimanale di avanzamento e verifica dati. La ricorrente veniva coinvolta almeno per la parte relativa ai dati finanziari. Ricordo poi un'altra riunione dei tre business unit manager in cui si era parlato del processo di gestione dei time sheet e a cui partecipò la ricorrente"; deposizione di (...): "la ricorrente veniva coinvolta nelle riunioni settimanali dei soci a seconda degli argomenti trattati. All'inizio è stata coinvolta con riferimento al time sheet vale a dire l'allocazione delle risorse sui progetti. Il time sheet per noi è uno strumento importante perché il nostro costo aziendale maggiore sono le risorse e quindi sapere dove le risorse spendono il loro tempo è essenziale nel nostro sistema di controllo. Avevamo introdotto un nuovo applicativo proprio per la raccolta di questi dati di allocazione e all'esito di riunione con i partner, presente anche la ricorrente, le è stato chiesto di modificare la procedura esistente per introdurre le novità decise in riunione e per introdurre il nuovo software"). Si tratta di compiti propri del ruolo di Controller (figura preposta al controllo dei costi di gestione), per svolgere il quale l'appellata era stata assunta alle dipendenze di (...) s.r.l.. Il teste (...) ha poi riferito che, al momento della consegna, il computer assegnato a (...) "aveva un problema di configurazione, cioè di accesso al sistema Alyante, sistema necessario affinché la ricorrente potesse espletare le sue mansioni"; il sistema, peraltro, è "accessibile da due punti: c'è un'interfaccia web e un applicativo o client. Il problema era sulla parte web", mentre "sull'applicativo, il pc era funzionante e ... era abilitato all'accesso alle risorse e l'utenza riconducibile alla ricorrente era abilitata ad accedere ai contenuti secondo la sua profilazione". Lo stesso teste ha precisato: "Il problema sul lato web è stato risolto dal fornitore dopo circa 15 - 20 giorni, ma non sono sicuro della tempistica" ed ha dichiarato di avere "fatto un training sulle competenze base di CRM e sui time sheet" a (...) durante i mesi di gennaio e febbraio 2020, nonché di averle impartito negli stessi mesi "formazione anche sulla parte della reportistica legata al time sheet". Dalle dichiarazioni del teste (...) si evince che l'appellata era stata dotata degli strumenti informatici necessari per svolgere il ruolo di Controller (a nulla rilevando che nel periodo iniziale non potesse accedere al sistema gestionale Alyante tramite l'interfaccia web, avendo comunque la possibilità di accedervi attraverso l'applicativo) e aveva ricevuto la formazione di base necessaria per l'utilizzo del gestionale, nonché formazione specifica sugli strumenti più strettamente attinenti al controllo dei costi di gestione (time sheet e relativa reportistica). A fronte delle richiamate emergenze istruttorie si ritiene che (...) s.r.l. abbia fornito prova della mancanza in concreto del demansionamento, con ciò assolvendo l'onere probatorio, sulla stessa gravante, dell'esatto adempimento dell'obbligazione ex art. 2103 c.c.. Le risultanze probatorie dimostrano, infatti, che a (...) sono state assegnate mansioni appartenenti alla qualifica legale e al livello contrattuale di inquadramento posseduti, nonché corrispondenti al profilo professionale di Controller, indicato nella lettera di assunzione. Non risulta decisivo, in senso contrario, il fatto che alla lavoratrice, nella fase iniziale del rapporto, sia stato chiesto di fornire supporto all'impiegata amministrativa (...), inserendo alcune anagrafiche di nuovi clienti, caricando qualche fattura e traducendo email in inglese (cfr. concordi dichiarazioni testimoniali di (...) e di (...)). In primo luogo tali attività hanno assorbito una parte del tutto marginale dell'impegno lavorativo di (...) (la teste (...) ha dichiarato che "il supporto in materia anagrafica è durato circa un paio di giorni"; il teste (...) ha fatto riferimento ad "un paio" di anagrafiche clienti). Inoltre, tali compiti di natura amministrativa non risultano estranei all'attività di controllo dei costi di gestione, affidata alla figura del Controller, e il fatto di avervi adibito l'appellata per alcuni giorni nella fase iniziale del rapporto è pienamente giustificato dall'esigenza di farle apprendere il funzionamento del sistema in tutte le sue articolazioni, avendo la medesima il compito di controllarlo (cfr. anche testimonianza di (...): "il supporto chiesto alla ricorrente sugli ordini fornitori era sicuramente funzionale al ruolo di controller"). Quanto ai restanti compiti, non attinenti alla qualifica e al profilo professionale rivestiti, che la lavoratrice lamenta di avere svolto (rispondere al telefono, ricevere pacchi in consegna, ritirare i pasti consegnati dal servizio catering), l'istruttoria testimoniale ha evidenziato che essi hanno avuto carattere del tutto sporadico ed occasionale e che (...) li ha sbrigati, al pari degli altri colleghi, solo in caso di impedimento della dipendente ad essi abitualmente preposta, (...) (cfr. deposizione della teste (...): "è capitato un paio di volte, non di più, che la signora rispondesse al telefono e smistasse le chiamate, perché in quel momento eravamo occupati. Per la consegna pacchi, di solito c'è la collega (...). Però, all'occorrenza, chi può farlo, lo va a fare. Lo stesso vale per i pasti, c'è un catering, quando arrivavano i pasti, chi è in condizione di farlo, va a ritirarli. Non ricordo ma non escludo che lo abbia fatto anche la ricorrente"; deposizione della teste (...): "sono io che mi occupo per lo più di ricezione di pacchi, di ospite, dell'arrivo dei pasti. A volte, può essere capitato che se ne sia occupato qualcun altro, perché magari in quel momento io non potevo. Può quindi essere che sia capitato anche alla ricorrente ma non lo ricordo"). Non si tratta, dunque, di compiti che hanno connotato in modo significativo il ruolo lavorativo dell'appellata, ma, al contrario, di attività sporadiche, che l'hanno impegnata saltuariamente e per una quota molto ridotta del tempo di lavoro, dedicato in modo prevalente, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, allo svolgimento delle mansioni di Controller. Non è dunque ravvisabile alcun demansionamento e va perciò riformato il capo di sentenza che ne ha dichiarato la sussistenza, al pari dei connessi capi che hanno riconosciuto e liquidato il risarcimento dei danni in favore della lavoratrice. L'accoglimento dei primi due motivi di gravame e la ritenuta insussistenza dei fatti costitutivi dei diritti azionati assorbono il terzo motivo, inerente la CTU eseguita nel giudizio di primo grado ai fini dell'accertamento e della quantificazione del danno biologico lamentato dalla lavoratrice in relazione ai fatti di causa. In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte - dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione - l'appello proposto da (...) s.r.l. merita accoglimento nei termini suindicati e, in riforma della sentenza n. 3070/2021 del Tribunale di Milano, le domande svolte da (...) nel ricorso ex art. 414 c.p.c. devono essere respinte. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie e della complessità degli accertamenti e delle valutazioni sottesi alla presente decisione, si ravvisano i presupposti per compensare integralmente tra le parti ex art. 92, comma 2, c.p.c. le spese di lite del doppio grado. Vanno poste definitivamente a carico di parte appellata le spese di CTU, come liquidate dal giudice di prime cure. P.Q.M. - in riforma della sentenza n. 3070/2021 del Tribunale di Milano, rigetta le domande svolte nel ricorso ex art. 414 c.p.c.; - pone definitivamente a carico di parte appellata le spese di CTU, come liquidate dal Tribunale; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado. Così deciso in Milano il 13 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 1828 del 2021, proposto da Ce. Co. It. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. Va. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di informatica e telematica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Te. It. Sp. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ca., Fi. La. e Fr. Sa. Ca., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione terza n. 12696/2020, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello di Ce. Co. It. s.r.l.; Visto l'appello incidentale di Te. It. Sp. s.p.a.; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consiglio Nazionale delle Ricerche; Visti tutti gli atti della causa; Vista la sentenza non definitiva della Sezione 20 gennaio 2022 n. 365; Relatore nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Va., Ca. e dello Stato De Ve.; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con sentenza non definitiva 20 gennaio 2022 n. 365 questa Sezione del Consiglio di Stato: A) Ha accolto l'appello principale proposto da Ce. Co. It. s.r.l. (di seguito, Ce.) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione terza, n. 12696/2020, che, in accoglimento del ricorso di Te. It. Sp. s.p.a. (di seguito, Te. o appellante incidentale), aveva annullato l'aggiudicazione a favore di Ce. della procedura aperta telematica bandita l'8 ottobre 2019 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (di seguito, CNR o stazione appaltante) per l'affidamento per 72 mesi, prorogabili per 12 mesi, della "fornitura di un servizio di transito IP per il punto di presenza (POP) di Milano del registro e per altri POP internazionali", e dichiarato l'inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato nelle more. In particolare, laddove il Tar, aderendo al primo motivo di ricorso di Te. (e respinti i restanti), aveva ritenuto che Ce., nelle more divenuta Lu. Te. It. s.r.l., avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per aver prodotto, in esito al soccorso istruttorio, un PassOE generato dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, la Sezione: in forza della ripetuta giurisprudenza amministrativa ivi richiamata, secondo cui la mancata impugnazione della nuova aggiudicazione pronunciata in esecuzione della sentenza di primo grado non determina la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità dell'appello, ha respinto l'eccezione di Te. di inammissibilità o improcedibilità dell'appello principale di Ce. per mancata impugnazione dei provvedimenti sopravvenuti con cui il CNR, in esecuzione della sentenza di primo grado, ha annullato l'aggiudicazione a Ce., ha escluso questa dalla procedura e ha aggiudicato la stessa a Te. (da cui la successiva sottoscrizione del contratto con Te., avvenuta nel febbraio 2021); nel merito, ha osservato, sempre in uno alla giurisprudenza ormai costante di questo Consiglio di Stato, che, come sostenuto dall'appellante principale, "l'iscrizione nel sistema AVCPass e l'indicazione del PassOE non sono richieste a pena di esclusione da alcuna norma di legge (l'art. 216 comma 13 del d.lgs. 50/2016 si limita a stabilire che le stazioni appaltanti e gli operatori economici utilizzano la banca dati AVC Pass istituita presso l'Anac), e che non è consentito alla stazione appaltante imporne il possesso all'operatore economico partecipante alla gara a pena di esclusione, e ciò sia tenuto conto della natura di tale atto, sia del principio generale di tassatività delle cause di esclusione. Il PassOE non costituisce infatti un'pre-requisitò dell'operatore economico, secondo il modello erroneamente considerato dal primo giudice sulla base di una giurisprudenza che non può trovare conferma, bensì rappresenta solo uno strumento di controllo del possesso dei requisiti auto-dichiarati dai concorrenti, che, in mancanza dell'esplicita previsione normativa della sua essenzialità, non si configura, sotto il profilo operativo e funzionale, come elemento essenziale incidente sulla par condicio dei concorrenti (Cons. Stato, V, 30 dicembre 2020, n. 8505; 21 agosto 2020, n. 5164; 4 maggio 2017, n. 2036; 26 settembre 2017, n. 4506; in diversa prospettiva, 16 marzo 2020, n. 1863); ha indi concluso che "bene ha fatto la stazione appaltante a consentire a Ce. la produzione del PassOE in sede di soccorso istruttorio: la sua mancata produzione nell'ambito della domanda di partecipazione, rappresentando una mera carenza documentale e non una irregolarità essenziale, non poteva costituire causa di esclusione dalla gara della società, potendo essere sanata successivamente, né vi era necessità, a tal fine, di acquisire la prova che la sottesa iscrizione fosse avvenuta nel termine previsto per la presentazione delle offerte"; ha respinto, perché assorbito da quanto sopra, il primo motivo dell'appello incidentale condizionato di Te., volto a sostenere l'erroneità dell'affermazione implicita del primo giudice secondo cui Ce. o la stazione appaltante avrebbero potuto dimostrare in giudizio la tempestiva iscrizione della prima all'AVCPass e l'impossibilità da parte di Ce. di dimostrare per la prima volta in questo giudizio detta condizione, a fronte del divieto di produzione di nuovi documenti in appello; B) Ha osservato che "l'accertamento della insussistenza del vizio ritenuto dal Tar non esaurisce le questioni dibattute nell'odierno giudizio". Ciò in quanto "la sentenza gravata ha respinto altri motivi del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con cui Te. ha sostenuto che l'offerta tecnica di Ce. avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per mancato rispetto dei requisiti tecnici minimi di cui ai nn. 11, 4 e 1 del disciplinare, e comunque che la sua offerta avrebbe dovuto prevalere su quella della controinteressata quanto ai punteggi tecnici di cui ai criteri di valutazione nn. 10 e 13, ciò che le avrebbe consentito di essere prima in graduatoria, motivi che Te. ha riproposto nell'appello incidentale condizionato. Questi vanno quindi delibati ai fini del completo scrutinio di legittimità dell'impugnata aggiudicazione"; C) In considerazione della natura squisitamente tecnica di alcune delle appena dette residue doglianze dell'appello incidentale, e ai fini della loro decisione, ha disposto una verificazione ai sensi degli artt. 19 e 66 Cod. proc. amm., ha nominato quale verificatore il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Informatica della Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", con facoltà di delega ad altro docente idoneo, ha stabilito che l'incombente fosse espletato nel contraddittorio delle parti, facoltizzate a nominare propri consulenti di fiducia, ne ha fissato i termini e ha posto provvisoriamente a carico di Te. l'acconto sul compenso spettante al verificatore. 2. Con atto depositato il 2 febbraio 2022, il verificatore nominato, considerate le competenze richieste per la verifica, ha delegato per la verifica il Professore Fa. D'A., "Professore Associato - settore scientifico disciplinare ING/INF 05 - Sistemi di elaborazione delle informazioni; con esperienza da verificatore e conoscenza delle tematiche di verifica", indicando altresì un diverso nominativo per il caso di impedimento. 3. Con dichiarazioni depositate il 31 gennaio 3 e il 17 marzo 2022, Te. e Ce. hanno nominato i propri consulenti tecnici di parte, nelle persone, rispettivamente, del Professore An. Ci., Professore Associato di Te.unicazioni all'Università di Roma "La Sapienza", e del Professore St. Sa., Professore Associato del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata". 4. Il Professore Fa. D'A. ha depositato la relazione di verificazione il 2 febbraio 2022, nella quale ha dato atto che l'incombente istruttorio si è svolto mediante l'esame dei documenti, un incontro con le parti avvenuto il 21 marzo 2022, un successivo scambio sulla bozza di relazione e l'esame delle relative osservazioni. 5. Nel prosieguo, Te. e Ce. hanno depositato memorie e repliche. La stazione appaltante non ha invece depositato difese ulteriori rispetto a quelle svolte precedentemente alla ridetta sentenza non definitiva n. 365/2022. 6. La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 7 giugno 2022. 7. In via preliminare, va esaminata l'eccezione della difesa erariale secondo cui "l'appello incidentale, trattandosi di impugnazione proposta nel termine di 30 giorni dalla notifica dell'appello principale ma, in ogni caso, oltre il termine di impugnazione della pronuncia di primo grado, assume la natura di impugnazione c.d. tardiva, il cui vaglio, oltre ad essere condizionato (come chiaramente evidenziato dall'appellante incidentale) dall'accoglimento dell'impugnazione principale, discende anche dalla accertata ammissibilità del primo, ammissibilità che è stata peraltro contestata proprio dalla TIS s.p.a. nella memoria depositata in data 26.03.2021". L'eccezione, che adombra l'applicazione dell'art. 334 secondo comma Cod. proc. civ., Impugnazioni incidentali tardive ("Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia"), e dell'art. 96 comma 4 Cod. proc. amm., Impugnazioni avverso la medesima sentenza ("Con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell'articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia"), non è fondata: come già sopra riferito, la citata sentenza parziale della Sezione 365/2022 (capo 6) ha accertato la ritualità dell'appello principale, che ha anche accolto nel merito. 8. Passando alle questioni poste all'attuale giudizio, va premesso che con la verificazione disposta con la ridetta sentenza 365/2022 è stato chiesto al verificatore di accertare: I) se l'offerta tecnica di Ce., tenuto conto del suo tenore complessivo, e quindi anche alla luce della connessa relazione tecnica, rispettasse il requisito minimo n. 11 di cui alla legge di gara ("Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta non protetta, calcolato su base annua, dovrà avere un valore non inferiore al 99,98%. Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta protetta, calcolato su base annua, dovrà avere un valore non inferiore al 99,99%. Questi sono i livelli di servizio SLA che il Fornitore dovrà garantire"), avendo dichiarato che "Lo SLA di Ce. sulla disponibilità del servizio negli Stati Uniti e in Canada è del 99,99%. Fuori dagli Stati Uniti e Canada, lo SLA di disponibilità è del 99,98% per il servizio su sedi on-net e del 99,9% per il servizio su sedi off-net". Tanto anche in riferimento al chiarimento istruttorio promosso dalla stazione appaltante, in relazione al quale Ce. ha reso la precisazione che "Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta non protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,98%. Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,99", che Te. afferma essere una modifica dell'offerta; II) se l'offerta tecnica di Ce. rispettasse il requisito minimo n. 4 (obbligo di configurare "gli apparati di instradamento dati del fornitore di connettività IP e, nello specifico, il piano di for-warding dei pacchetti IPv4 e IPv6 e le sessioni eBGP tra il router del Registro e i router del fornitore di connettività ... in modo da implementare un meccanismo di bilanciamento del traffico (load-balancing) sulle due interfacce gigabit-ethernet..."), laddove ha previsto che "Per ciascuno dei due router del Registro saranno configurate due sessioni eBGP tra l'Autonomous System Number (ASN) del Registro, AS 2597, e l'AS 3356 di Ce.. Tali sessioni saranno distribuite su due differenti apparati di instradamento (router) di Ce., ovvero ogni apparato di instradamento dati Century-link implementerà due sessioni eBGP, una IPv4 e una IPv6. Questa configurazione garantirà una maggiore disponibilità del servizio per il Cliente ed entrambi i circuiti potranno essere utilizzati contemporaneamente (load sharing). Come richiesto, per ciascuno dei due router del Registro saranno inoltre configurate due sessioni eBGP, una IPv4 e una IPv6, tra l'Autonomous System Number (ASN) 197440 del Registro e l'AS 3356 di Ce.; tali sessioni saranno attestate su due differenti apparati di instradamento (router) di Ce."). Tanto in riferimento alla censura di Te. secondo cui Ce., in difetto di ogni equipollenza tra il richiesto e l'offerto, abbia in tale modo prospettato una variante, garantendo il solo "load sharing" senza offrire, né esplicitamente né implicitamente, il meccanismo di "load balancing"; III) se l'offerta tecnica di Ce. rispettasse il requisito minimo n. 1 ("L'interconnessione fisica tra gli apparati d'instradamento dati del Registro.it (elencati in Tabella A ed in Tabella B) e quelli dell'Operatore economico di connettività IP dovrà essere realizzata mediante cablatura dedicata: non è ammessa la presenza di apparati di livello 2 sul link. Il Fornitore dovrà descrivere dettagliatamente la topologia con cui intende realizzare l'interconnessione fisica di ciascuno dei POP del Registro elencati nelle Tabelle A e B, indicando anche il tipo di transceiver che intende impiegare e i connettori della fibra ottica"), con particolare riferimento ai siti off-net, avendo essa illustrato nella relazione tecnica che "L'interconnessione fisica tra gli apparati d'instradamento dati del Registro.it e quelli di Ce. indicati in Tabella C sarà realizzata mediante cablatura dedicata. Nella maggior parte dei siti in esame Ce. è onnet e la connessione tra i propri apparati ed i router Cliente avviene mediante cross connect. Per i siti offnet (Stoccolma, Hong Kong, San Paolo e Mosca) Ce. ordinerà una coda di accesso all'operatore locale ed un cross connect al proprietario del Data Centre per fornire il collegamento tra il proprio router ed il router Cliente. L'operatore locale consegnerà il servizio mediante le proprie apparecchiature di terminazione". Tanto in riferimento alla censura di Te. secondo cui un siffatto sistema implica necessariamente, per i predetti siti, l'adozione di soluzioni Ethernet L2 volte a estendere il servizio di Transito IP ai DC non coperti dalla sua rete, non ammesse dal disciplinare. 9. Al riguardo, il Verificatore ha ritenuto di esporre le seguenti premesse: "La lettura del disciplinare di gara non ha consentito di evidenziare se i requisiti (pagg. 23 - 29 del disciplinare) distinguessero fra soluzioni on-net ed off-net. Con tali dizioni si fa riferimento a soluzioni offerte in una determinata locazione da un operatore che possiede completamente tutti gli apparati in quella locazione (soluzione on-net) o che si serva di una terza parte usando i suoi apparati e la sua infrastruttura (soluzione off-net, che implica un accordo con terza parte). Si osserva che in un qualunque scenario umano è di norma possibile operare molte classificazioni, anche totalmente indipendenti fra loro. A scopo esemplificativo si farà riferimento a uno scenario che vede una popolazione di individui, nella quale si possono distinguere coloro che parlano la lingua italiana come lingua nativa e coloro che hanno una diversa lingua nativa: si tratta di una classificazione che suddivide la popolazione in due gruppi disgiunti, la cui unione ricompone lo stesso universo. Sulla stessa popolazione possiamo distinguere anche chi ha almeno 50 anni di età e chi ne ha al più 50. Anche questa è una classificazione in due gruppi distinti, disgiunti, la cui unione fornisce l'intera popolazione. Le due classificazioni operate sono fra loro indipendenti o, come si dice più tecnicamente, ortogonali fra loro. Chiaramente è possibile operare altre classificazioni che raggruppano gli individui in ulteriori gruppi, raffinando una precedente classificazione, o definendone una nuova. Ora, con riferimento al disciplinare di gara, è possibile osservare che nella tabella a pag. 27, punto 11, esso parla di porte protette e non protette. Diversi produttori di apparecchiature usano questa terminologia per indicare l'impossibilità di inoltrare pacchetti da una porta protetta a un'altra protetta; viceversa, l'instradamento pacchetti nelle altre tre combinazioni è consentito; ciò ha delle conseguenze in termini di funzioni di instradamento pacchetti che si rendono disponibili. Altra è la classificazione è quella già menzionata che distingue fra sedi on-net (nella rete del fornitore) e off-net (in altra rete). Le classificazioni indotte dall'essere protette o non, e dall'essere on-net o off-net appaiono ortogonali (una porta può essere protetta o non, a prescindere dal fatto che sia on-net o off-net). Si rileva dunque che il disciplinare, mancando di rilevare la differenza fra on-net ed off-net, esprima vincoli indipendentemente dal trovarsi on-net o off-net, il che significa che i vincoli descritti debbano valere per tutti i tipi di soluzione, sia on-net che off-net. Peraltro, i servizi off-net, basati su fornitore terzo, sono una implementazione di come Ce. offra servizio in alcuni casi, rimanendo comunque servizi offerti da Ce.; che si serva di altri fornitori è fatto marginale". Ciò posto, il Verificatore si è espresso sui quesiti formulati nel modo che segue. 9.1. Quesito n. 1. "Con riferimento al requisito n. 11 (tabella dei criteri, che inizia a pag. 23 del disciplinare), si ribadisce che nel disciplinare non compare alcuna specificazione che le porte protette e non protette di cui si parla al punto 11 siano una caratteristica ristretta ai nodi on-net, nonostante il CNR abbia successivamente specificato il contrario (cioè che i vincoli sullo SLA espressi a pag. 27 del disciplinare sono riferiti alla parte on-net; v. memoria del 30-3-2021, documento proposto durante il giudizio di 1° grado). Nella memoria si sostiene 'che il punto 11 della tabella si riferisca proprio al servizio offerto sulla rete del Fornitore emerge dalla lettura complessiva del disciplinare di gara, che in ciascuno dei punti fa riferimento ai livelli di servizi e connettività relativi alle reti del fornitore stesso.' Si dissente da quanto sostenuto poiché non emerge nel documento la presenza di una qualche evidenza che autorizzi a sostenere la tesi. Accettando questa ulteriore specificazione si giungerebbe peraltro alla possibilità di poter operare off-net senza vincoli di SLA minimo, con evidente vantaggio del fornitore, che potrebbe operare a costi inferiori usando il massimo numero di sedi off-net prive di SLA minimi. Alla luce di quanto chiarito, si ritiene che l'indicazione di uno SLA pari al 99.9% per le sedi off-net (al di fuori di Stati Uniti e Canada) sia una violazione di quanto disposto dal disciplinare, che non distingue fra le due casistiche on-net e off-net. In particolare, nelle sedi off-net al di fuori di Canada e Stati Uniti, le porte (sia protette che non) avevano uno SLA inferiore a quanto richiesto. Il ragionamento può essere perfezionato dall'osservazione che lo SLA dichiarato da Ce. pari al 99,9% è indicato da un numero avente tre cifre significative (per averne quattro avrebbero dovuto scrivere 99,90%, differentemente da quanto sostenuto nell'Appello incidentale condizionato TIS in cui si sottolinea l'equivalenza di 99,9% e 99,90%), mentre nel disciplinare erano indicati numeri con quattro cifre significative (99,98% e 99,99%). La teoria base dell'approssimazione stabilisce che non ha senso il confronto fra numeri con una diversa quantità di cifre significative (che corrispondono a diverse granularità nell'errore di misura di una grandezza continua) e che bisognerebbe uniformare i numeri a quello con il minimo numero di cifre significative. Questo porterebbe a intendere sia 99,99% che 99,98% approssimati al numero di tre cifre significative più vicino (100%), rendendo, qualora necessario, ancora più evidente la discrepanza (confronto fra 99,9% e 100%). Infine, l'offerta tecnica di Ce. recita 'Fuori dagli Stati Uniti e Canada, lo SLA di disponibilità è del 99,98% per il servizio su sedi on-net e del 99,9% per il servizio su sedi off-net,' lasciando intendere uno SLA fuori dagli Stati Uniti e Canada del 99,98% per le sedi on-net, anche su porte protette. Questo è un elemento di non rispetto del requisito minimo che va al di là di ogni possibile valutazione relativa alla pertinenza dei requisiti minimi nei confronti di sedi on-net ed off-net. In altre parole, anche accettando come chiarimento quanto asserito nella memoria del CNR, rimarrebbe una violazione relativa alle porte protette on-net al di fuori di Canada e Stati Uniti. La successiva precisazione (chiarimento prot. n. 0012120/2019) è importante perché - se accettata - sana il rispetto di detto punto 11. Va detto che il documento desta alcuni dubbi che questo verificatore non è chiamato a dirimere, in quanto il documento sembra non prendere in considerazione la diretta richiesta del CNR ('quale relazione intercorre tra 'sedi on-net,' 'sedi off-net'e il requisito n. 11...') e non fornisce risposta diretta, ma si limita a parlare solo di 'livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante portà protetta e non. Da un lato autorizza a ritenere che Ce. fosse in quel momento consapevole di non rispettare i requisiti al punto 11, dall'altro, poiché la risposta era attesa entro un preciso limite di tempo 'pena l'esclusione dalla gara,' introduce un elemento di dubbio relativo all'accettabilità della stessa perché essa, se di fatto sana la posizione, non risponde assolutamente al quesito del CNR. Anche se il fine ultimo del CNR fosse stato quello di accertare il soddisfacimento del vincolo, rimane un quesito preciso sulle sedi on-net/off-net che è stato completamente disatteso. Sembra allora lecito domandarsi: perché il CNR non ha escluso Ce. sulla base di una mancata diretta risposta al quesito, nonostante la dicitura 'pena l'esclusione dalla garà ? Il verificatore raccoglie parte delle osservazioni inoltrate da TIS (cfr. osservazioni TIS trasmesse al verificatore entro il 10 aprile 2022). Si ritiene opportuno infatti fornire un parziale riscontro a dette osservazioni in merito alla scarsa attendibilità di quanto dichiarato nella risposta fornita da Ce., in quanto TIS, in più di un documento, segnala la ricostruzione di SLA offerti da Ce. più bassi; in effetti, sembra possibile ricostruire informazioni che testimoniano a favore di SLA effettivi che non raggiungono quanto richiesto: non si ritiene tuttavia che le valutazioni ottenute considerando documenti online siano sempre pertinenti ed attuali. Talvolta i motori di ricerca estraggono documenti obsoleti (e non più esplicitamente pubblicati), oppure il ciclo di vita del documento stesso non è sufficientemente accurato. In aggiunta, il documento suggerito da TIS1 reca la frase 'Ethernet services provided by Ce. Co., LLC d/b/a Lu. Te. Group are not eligible for this Service Level Agreement,' (tradotto dal sottoscritto in'I servizi Ethernet forniti da Ce. Co., LLC d/b/a Lu. Te. Gr. non sono idonei per il presente Accordo sul livello di serviziò ) il che lascia intendere che non coprano completamente l'offerta Ce.. Possono inoltre esistere elementi che consentano eccezioni che Ce. non desidera divulgare in un documento sul Web ma che portano agli SLA desiderati. Pertanto, il verificatore propende per l'accettazione delle asserzioni generiche esplicitamente fornite, pur nutrendo dei dubbi sull'ammissibilità della risposta, da Ce.. Si ritiene dunque che la posizione di Ce. possa essere considerata regolare nella misura in cui si ritenga accettabile la precisazione fornita tramite la citata risposta. In conclusione, se nel quesito si chiede se l'offerta tecnica, inclusa la successiva specificazione 'chiarimento prot. n. 0012120/2019,' rispettasse il disciplinare, si ritiene di rispondere positivamente. Se, al contrario, non si ritiene di includere la precisazione 'chiarimento prot. n. 0012120/2019,' allora il responso sarà negativo". 9.2. Quesito n. 2. Il Verificatore ha chiarito la differenza fra load balancing e load sharing, rilevando che "Entrambi i concetti si poggiano sulla possibilità di avere più canali comunicativi e ripartire il traffico fra i canali in base ad alcuni criteri. Il balancing è più una tecnica dinamica per distribuire equamente il carico sui canali, mentre lo sharing funziona suddividendo staticamente i tipi di traffico e distribuendo il carico su più collegamenti. Naturalmente la distribuzione dinamica del carico sarà più efficiente a parità di distribuzione del carico. Mentre il balancing utilizza specifici criteri dinamici per bilanciare il carico, lo sharing effettua una suddivisione del traffico sulla base di regole statiche (es., indirizzo IP/MAC di sorgente e/o destinazione). Va da sé che per entrambi i casi una condizione necessaria è la presenza di canali multipli. È tuttavia palese la non equivalenza fra i due criteri (balancing e sharing)". Ha poi proseguito rilevando che la tabella dei requisiti recita che "Gli apparati di instradamento dati del fornitore di connettività IP e, nello specifico, il piano di forwarding dei pacchetti IPv4 e IPv6 e le sessioni eBGP tra il router del Registro e i router del fornitore di connettività, dovranno essere configurati in modo da implementare un meccanismo di bilanciamento del traffico (load-balancing) sulle due interfacce gigabit-ethernet, da concordare con il Fornitore" e che "Nel caso in cui il Fornitore si presenti verso il Registro con due porte fisiche distinte per l'interconnessione con gli apparati di instradamento del Registro stesso, sia per l'AS 2597 che per l'AS 197440, la configurazione delle suddette porte fisiche dovrà essere concordata con il personale del Registro". Ha quindi osservato che "Nell'offerta tecnica di Ce. è presente la descrizione delle sessioni eBGP instaurate fra i router del fornitore e quelli del Registro e si sottolinea che tale 'configurazione garantirà una maggiore disponibilità del servizio per il Cliente ed entrambi i circuiti potranno essere utilizzati contemporaneamente (load sharing).' Non si condivide la scelta di Ce. che omette il tema 'load balancing,' ma si reputa corretto sottolineare le frasi del disciplinare riferite a una configurazione concordata fra fornitore e personale del Registro. Si condivide in parte la tesi del prof. Ci. quando sostiene che load sharing e balancing non sono equipollenti e che non sembra ovvio che la proposta Ce. possa realizzare un meccanismo di balancing, considerata la natura della soluzione proposta: tuttavia questa non è una prova di impossibilità e si ritiene che possa essere rinviato a un secondo momento il tentativo di soluzione di balancing. Infatti, la possibilità di concordare i dettagli di configurazione, che includono anche i meccanismi di balancing, porta a rilevare la possibilità di definirli in un secondo momento e ciò consentirebbe anche di realizzare - almeno in teoria - l'omesso balancing. Si noti che nell'offerta tecnica il balancing è semplicemente omesso, e non negato. Non si condivide la tesi sostenuta da TIS nelle menzionate osservazioni, in cui si sottolinea che nel quesito posto nella sentenza non è riportato l'inciso 'da concordare con il Fornitorè, attribuendo a tale omissione un preciso e intenzionale significato. L'omissione è relativa a un frammento riportato 'fra parentesi,' peraltro contenenti puntini di sospensione. Si ritiene che se il quesito avesse inteso porre una domanda ignorando l'inciso non avrebbe chiesto 'se l'offerta tecnica di Ce. rispetti il requisito minimo n. 4' ma l'avrebbe formulato diversamente. Questo verificatore considera il contenuto fra parentesi un mero meccanismo di maggiore chiarimento che evita la riformulazione di tutti i dettagli presenti nel disciplinare. La tesi combacia con la definizione di parentesi data dal vocabolario Tr. [...]; in particolare, non si considera una non rimarcata omissione la definizione di un limite o di una eccezione. Pertanto, prende in esame il requisito 4 nella sua interezza. Nonostante una specificazione tecnica al requisito 4 che sembra insufficiente, si conclude che non sussiste violazione di quanto richiesto, in quanto i relativi dettagli, per quanto possano sembrare difficili o impossibili, possono essere rinviati a un secondo momento, secondo disciplinare (oggetto rispetto al quale è fatta la verificazione). Si sottolinea infine che, almeno in linea teorica, un meccanismo di balancing permetterebbe di affrontare meglio possibili attacchi informatici, assieme ad altre misure di mitigazione e diversamente dallo sharing". 9.3. Quesito n. 3. Il Verificatore ha rilevato che "Il requisito 1 a pag. 25 del disciplinare recita 'L'interconnessione fisica tra gli apparati d'instradamento dati del Registro.it (elencati in Tabella A ed in Tabella B) e quelli dell'Operatore economico di connettività IP dovrà essere realizzata mediante cablatura dedicata: non è ammessa la presenza di apparati di livello 2 sul link,' indicando chiaramente un vincolo molto preciso". Tanto chiarito, ha osservato che "L'offerta tecnica di Ce. ammette esplicitamente che per quanto riguarda il Brasile che 'il collegamento sarà in rame, interfaccia 100Base-T, connettore RJ45', denunciando un elemento tecnico che appare come una violazione del requisito che non ammette il livello 2 sul link. È pur vero che non sono dati ulteriori dettagli, ma sembra del tutto inverosimile il fatto che il collegamento in rame non riguardi l'interconnessione fisica tra gli apparati d'instradamento dati del Registro.it e quelli dell'Operatore economico di connettività IP, talmente da ritenere improponibile il beneficio del dubbio. Che invece appare percorribile per quello che concerne l'interfacciamento fra apparati del fornitore di servizio e dell'operatore locale (caso off-net); seppur appare condivisibile la tesi del Prof. Ci., per cui la realizzazione è di norma basata sull'impiego di soluzioni di livello 2, questo non prova il necessario ricorso a tale livello, e l'assenza di dettagli non consente un utile approfondimento. Si rimarca tuttavia la denuncia della presenza di un collegamento in rame e l'uso di 'sarà ' al posto di 'è ' ad indicare l'introduzione del rame nella costituzione della soluzione. Altro elemento che appare significativo a questo verificatore è che nella interpretazione lievemente più dettagliata, assente nell'offerta e fornita successivamente, è presente uno schema in cui il router CNR è interconnesso a un cavo di rame. Questa è una violazione dello spirito su cui si basa il disciplinare; non si può essere più precisi perché il disciplinare usa il termine 'link' e, sebbene questo sia molto usato, non risultano definizioni sufficientemente precise del suo significato da cui poter dedurre quali apparati e quale porzione dell'infrastruttura rispondono con precisione al significato di link. Si fa dunque ricorso allo 'spiritò del disciplinare che descrive l'idea che i pacchetti che giungono a dispositivi del CNR definiscano un percorso (chiamato appunto link) in cui non debbano aver attraversato protocolli e infrastrutture che appartengono al livello 2. D'altra parte, non si capirebbe perché Ce. si sia sentita in dovere di precisare nell'offerta tecnica per San Paolo la dicitura 'Rame, 100Base-T, RJ45', laddove in tutte le altre sedi si usava "Fibra monomodale, 1000Base-LX.' In conclusione, l'ammesso uso del rame nella sede brasiliana evidenzia la violazione del requisito 1". 10. I predetti esiti conducono all'accoglimento dell'appello incidentale. 11. Nella procedura per cui è causa, il requisito tecnico minimo di offerta n. 11 ha prescritto che: "Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta non protetta, calcolato su base annua, dovrà avere un valore non inferiore al 99,98%. Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta protetta, calcolato su base annua, dovrà avere un valore non inferiore al 99,99%. Questi sono i livelli di servizio SLA che il Fornitore dovrà garantire". Ce. nella propria offerta ha indicato che "Lo SLA di Ce. sulla disponibilità del servizio negli Stati Uniti e in Canada è del 99,99%. Fuori dagli Stati Uniti e Canada, lo SLA di disponibilità è del 99,98% per il servizio su sedi on-net e del 99,9% per il servizio su sedi off-net". Ha poi chiarito, in esito al chiarimento istruttorio promosso dalla stazione appaltante ("quale relazione intercorre tra 'sedi on-net,' 'sedi off-net'e il requisito n. 11, pag. 27 del disciplinare di gara"), che "Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta non protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,98%. Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,99". Te. nel proprio ricorso di primo grado ha affermato che la stazione appaltante, con il predetto chiarimento, avesse consentito a Ce. di apportare una modifica alla propria offerta, che era da escludere in quanto la percentuale del 99,9% relativa alle sedi off-net non poteva dirsi affetta da alcun errore materiale ed era da considerarsi pari al 99,90%, inferiore allo SLA minimo del 99,99% da garantirsi per le porte protette. Il Tar ha respinto la censura. Ha ritenuto che il chiarimento istruttorio fosse legittimo "perché volto a ottenere una precisazione e non a integrare un elemento dell'offerta tecnica" e ha poi osservato che "tale dato non aveva conseguenze quanto al punteggio per la valutazione" della stessa. Chiarito che il rilievo di interesse del presente giudizio è quello espresso nella prima delle predette argomentazioni, giacchè la censura di Te. tendeva all'accertamento della dovutezza dell'esclusione dell'offerta di Ce. per mancato rispetto del requisito minimo in parola e non dell'erroneità nell'attribuzione del punteggio tecnico cui rimanda la seconda argomentazione, la valutazione del primo giudice non merita conferma. Nella logica di una corretta cooperazione tra operatori economici partecipanti alle gare pubbliche e stazioni appaltanti, il soccorso "procedimentale", quale quello attivato nella specie, deve ritenersi senz'altro ammesso. Il rimedio - diverso dal "soccorso istruttorio" di cui all'art. 83 comma 9 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, che non potrebbe riguardare né il profilo economico né quello tecnico dell'offerta (tra altre, Cons. Stato, III, 2 febbraio 2021, n. 1225; V, 27 gennaio 2020, n. 680, che rammenta che, nei pareri nn. 855 del 21 marzo 2016 e 782 del 22 marzo 2017 relativi allo schema del Codice degli appalti pubblici e del "correttivo" di cui al d.lgs. 56/2017 resi dalla Commissione speciale, questo Consiglio di Stato ha espressamene sottolineato, in relazione all'art. 83, l'opportunità di conservare il "soccorso procedimentale" in caso di dubbi riguardanti "gli elementi essenziali dell'offerta tecnica ed economica") - consiste nella possibilità di richiedere al concorrente di fornire chiarimenti volti a consentire l'interpretazione della sua offerta e a ricercare l'effettiva volontà dell'offerente superando le eventuali ambiguità dell'offerta, ciò fermo il divieto di integrazione dell'offerta, senza attingere a fonti di conoscenza estranee alla stessa e a condizione di giungere a esiti certi circa la portata dell'impegno negoziale con essa assunta (Cons. Stato, III, 13 dicembre 2018, n. 7039; 3 agosto 2018, n. 4809; V, 27 aprile 2015, n. 2082; 22 ottobre 2014, n. 5196; 27 marzo 2013, n. 1487). Nella fattispecie, la stazione appaltante, prima, e il Tar, poi, non si sono attenuti a tali coordinate ermeneutiche. Segnatamente, mediante il soccorso procedimentale di cui alla nota del 31 dicembre 2019 in atti la stazione appaltante ha chiesto a Ce. di chiarire "quale relazione intercorre tra 'sedi on-net,' 'sedi off-net'e il requisito n. 11, pag. 27 del disciplinare di gara". In risposta, Ce. ha rappresentato che "Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta non protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,98%. Il livello di disponibilità del servizio di connettività IP rilasciato mediante porta protetta, calcolato su base annua, ha un valore non inferiore al 99,99%". Tale corrispondenza si connota per i profili di illegittimità bene evidenziati dal Verificatore, condivisi dal Collegio. In primo luogo, è corretta l'osservazione in punto di diritto del Verificatore circa l'implausibilità della tesi difensiva del CNR, qui ribadita da Ce., secondo cui i vincoli sullo SLA erano da riferire alla sola parte on-net, e ciò alla luce della lettera del disciplinare, che non ha mai specificato che le porte protette e non protette richiamate dal requisito n. 11 fossero una caratteristica ristretta ai nodi on-net, nonché, ulteriormente, considerando che la mancata previsione di un vincolo di SLA minimo per la parte off-net avrebbe comportato indebiti vantaggi al fornitore, che avrebbe potuto operare "a costi inferiori usando il massimo numero di sedi off-net prive di SLA minimi". Sul punto, basti rammentare che ai fini dell'interpretazione delle clausole di una lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ. (da ultimo, Cons. Stato, V, 2 marzo 2022 n. 1486; 6 agosto 2021, n. 5781; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; III, 24 novembre 2020, n. 7345; 15 febbraio 2021, n. 1322): conseguentemente, le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione, operazione che, nella specie, non dà spazio alla tesi delle parti resistenti; e soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità - qui non riscontrabili - deve essere prescelto dall'interprete il significato più favorevole al privato (Cons. Stato, VI, 6 marzo 2018, n. 1447; V, 27 maggio 2014, n. 2709). Tanto chiarito, il Verificatore ha correttamente osservato come: - il valore dichiarato nell'offerta tecnica di Ce. per le sedi off-net al di fuori dagli Stati Uniti e Canada (99,9%) fosse inferiore a quello minimo richiesto dal disciplinare e, più in radice, per come espresso, non rapportabile a quest'ultimo in termini favorevoli a Ce.; - l'offerta tecnica di Ce. rimandasse a uno SLA fuori dagli Stati Uniti e Canada del 98,98%, per le sedi on-net anche su porte protette, "elemento di non rispetto del requisito minimo che va al di là di ogni possibile valutazione relativa alla pertinenza dei requisiti minimi nei confronti di sedi on-net e off-net. In altre parole, anche accettando come chiarimento quanto asserito nella memoria del CNR, rimarrebbe una violazione relativa alle porte protette on-net al di fuori di Canada e Stati Uniti"; - i chiarimenti forniti da Ce., aventi carattere per un verso modificativo dell'offerta e per altro verso assertivo, non rispondessero neanche a quella specifica richiesta che la stazione appaltante aveva avanzato a pena di esclusione. Sicchè, deve concordarsi con l'appellante incidentale quando lamenta, nell'ambito del secondo motivo del suo gravame (Error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 59 commi 3 e 4, 83 comma 9, 95 comma 14 del d.lgs. 50/2016, nonché dei paragrafi 14 e 16 del disciplinare di gara; error in procedendo per violazione dell'art. 112 Cod. proc. civ. e dell'art. 39 Cod. proc. amm., sotto il profilo della omessa pronuncia; motivazione insufficiente e contraddittoria), che il giudice di prime cure non sia avveduto che l'impossibilità di ricavare dall'offerta di Cenurlink il rispetto del requisito tecnico minimo n. 11 imponeva l'esclusione dell'operatore economico, rendendo illegittimo qualsiasi chiarimento che, per sua natura, non poteva che comportare una inammissibile, tardiva integrazione dell'offerta difforme dalla legge di gara, poi di fatto posta in essere mediante il chiarimento reso, e che, in ogni caso, l'esclusione stessa si imponeva anche perché con lo stesso chiarimento Ce., piuttosto che fugare i dubbi prospettati dalla stazione appaltante, ha manipolato la propria offerta nel tentativo di renderla conforme alla legge di gara. Si rammenta, in uno alla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (bene illustrata da III, 19 agosto 2020, n. 5144), che le caratteristiche essenziali e indefettibili (ossia i requisiti minimi) delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis di gara costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva (ex multis, Cons. Stato, V, 25 luglio 2019, n. 5260). È principio pacifico, invero, che le difformità dell'offerta tecnica che rivelano l'inadeguatezza del progetto proposto dall'impresa offerente rispetto ai requisiti minimi previsti dalla stazione appaltante per il contratto da affidare legittimano l'esclusione dalla gara e non già la mera penalizzazione dell'offerta nell'attribuzione del punteggio, perché determinano la mancanza di un elemento essenziale per la formazione dell'accordo necessario per la stipula del contratto (Cons. Stato, III, 26 febbraio 2019, n. 1333; 26 aprile 2017, n. 1926). Ciò anche in ossequio alla pacifica giurisprudenza per la quale nelle gare pubbliche le offerte tecniche devono essere improntate alla massima linearità e chiarezza, onde prefigurare alla pubblica amministrazione un quadro certo dei rispettivi doveri e obblighi contrattuali in corrispondenza agli atti di gara (C.G.A.R.S., 18 gennaio 2017, n. 23). E nemmeno è possibile ovviare alle divisate carenze strutturali dell'offerta tecnica ricorrendo a un approfondimento istruttorio, dal momento che le rilevate lacune riflettono una carenza essenziale dell'offerta, tale da determinarne incertezza assoluta o indeterminatezza del suo contenuto (Cons. Stato, V, 13 febbraio 2019, n. 1030. 12. E' parzialmente fondata anche la censura con cui, sempre nell'ambito del secondo motivo del suo appello incidentale, Te. afferma l'erroneità della sentenza gravata per non avere questa rilevato che l'offerta di Ce., con riferimento ai siti off-net (Stoccolma, Hong Kong, San Paolo e Mosca), andava esclusa per il mancato rispetto del requisito tecnico minimo n. 1, secondo cui "L'interconnessione fisica tra gli apparati d'instradamento dati del Registro.it (elencati in Tabella A ed in Tabella B) e quelli dell'Operatore economico di connettività IP dovrà essere realizzata mediante cablatura dedicata: non è ammessa la presenza di apparati di livello 2 sul link. Il Fornitore dovrà descrivere dettagliatamente la topologia con cui intende realizzare l'interconnessione fisica di ciascuno dei POP del Registro elencati nelle Tabelle A e B, indicando anche il tipo di transceiver che intende impiegare e i connettori della fibra ottica". In particolare, Te. aveva tra altro lamentato nel giudizio di primo grado che l'offerta di Ce., nel prevedere per i predetti siti la richiesta di "una coda di accesso all'operatore locale ed un cross connect al proprietario del Data Centre per fornire il collegamento tra il proprio router ed il router Cliente", implicasse necessariamente l'adozione di soluzioni Ethernet L2 per estendere il servizio di transito IP ai DC non coperti dalla sua rete, non ammesse dal disciplinare di gara. Il Tar ha respinto la censura, limitandosi a rilevare che Ce. "non ha dichiarato che sarebbero stati utilizzati apparati di livello due". Si tratta di una affermazione sbrigativa che, oltre a essere fondata su un dato meramente formale, si rivela anche erronea. Invero, ancorchè la verificazione (siccome riportata al capo 8.3 che precede) non confermi "con assoluta certezza" che l'offerta di Ce. prevedesse apparati di livello 2 per tutti i link off-net, e ciò nonostante il sistema proposto sia "di norma" basato sul loro impiego, il Verificatore ha osservato che è la stessa offerta tecnica di Ce. ad ammettere, per quanto riguarda il Brasile, la presenza di un collegamento in rame. Indi, deve convenirsi con l'appellante incidentale quando rileva nelle difese successive che una siffatta condizione (utilizzo di apparati di secondo livello), anche se riguardante un solo collegamento off-net, è sufficiente a concludere nel senso della violazione del requisito minimo n. 1 in parola. Di contro, non può aderirsi alle difese di Ce. secondo cui le conclusioni del Verificatore si basano su presupposti tutt'altro che certi, perché vaghi e ipotetici. Il rilievo invero non si attaglia a quanto specificamente accertato dal Verificatore quanto al Brasile, sulla base del contenuto della offerta della stessa deducente, fatta oggetto sul punto di una piana ed esauriente lettura fondata sulle regole tecniche che presiedono la materia, mentre la pure asserita non chiara interpretazione del disciplinare da parte dello stesso Verificatore è affermazione meramente assertiva, di cui non risulta bene chiara la portata. 13. La portata escludente delle irritualità dell'offerta di Ce. per i profili di cui sopra assume in questo giudizio rilievo dirimente [per la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato anche la carenza di uno soltanto dei requisiti minimi prescritti dalla legge di gara legittima l'esclusione (III, 4809/2018, cit.)], con assorbimento di ogni altra questione pure dedotta da Te. nell'appello incidentale in esame (presenza nell'offerta tecnica di Ce. di altra irregolarità escludente, pure oggetto di verificazione a mezzo del quesito n. 2; erroneità dei punteggi attribuiti alle offerte tecniche; insufficienza motivazionale e contraddittorietà della sentenza impugnata). 14. In definitiva, a integrazione della sentenza non definitiva della Sezione n. 365/2022, l'appello incidentale di Te. deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione. Consegue l'accoglimento del ricorso di primo grado e l'annullamento dell'aggiudicazione gravata con diversa motivazione. Nulla va disposto quanto all'affidamento della fornitura, in assenza di specifiche domande di Te. e considerato che, come già sopra rilevato, nelle more dell'appello la stazione appaltante ha stipulato con questa il relativo contratto. Le spese del grado possono essere compensate tra le parti, in ragione del già disposto accoglimento a mezzo della citata sentenza non definitiva dell'appello principale e della complessità tecnica delle questioni esaminate. Le spese di verificazione, liquidate come in dispositivo, vanno invece poste a carico della soccombente Ce.. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe a integrazione della sentenza non definitiva della Sezione n. 365/2022, accoglie l'appello incidentale di Te. nei sensi di cui in motivazione, e, per l'effetto, accoglie il ricorso di primo grado e dispone l'annullamento dell'aggiudicazione gravata con diversa motivazione. Compensa tra le parti le spese del grado. Pone le spese di verificazione, complessivamente liquidate in Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00), a carico di Ce. Co. It. s.r.l. (nelle more divenuta Lu. Te. It. s.r.l.), che provvederà alla refusione in favore di Te. It. Sp. s.p.a. dell'importo da questa anticipato a tale titolo ai sensi della ridetta sentenza non definitiva. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente FF Stefano Fantini - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BRICCHETTI R. Giuseppe - Presidente Dott. BONI Monica - Consigliere Dott. SIANI Vincen - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. GUERRA Mariamanuel - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI ROMA; nonche' da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS), (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi; inoltre: ROMA CAPITALE; REGIONE LAZIO; LIBERA ASS. (OMISSIS); AMBULATORIO (OMISSIS); ASS.NAZ. (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/01/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni di cui al foglio allegato al verbale di udienza, con riferimento al documento indicato come appunti per la requisitoria, e, quindi, prospettando l'articolata adozione delle statuizioni richiamate nella sentenza; uditi i difensori: L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni che insieme alla nota spese deposita. L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni che insieme alla nota spese deposita. L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni che insieme alla nota spese deposita. L'avvocato (OMISSIS) si riporta alle conclusioni che insieme alle nota spese deposita. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza di primo grado Con sentenza resa il 24 settembre 2019, la Corte di assise di Roma ha dichiarato: - (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, B, C, H, M, N, S, T, U, V, Z e AA della rubrica, condannandolo alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi diciotto; - (OMISSIS) ((OMISSIS)) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, B, C e AA, condannandolo alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi sei; - (OMISSIS) ((OMISSIS), detto (OMISSIS)) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, B, C, E, F, H, N, Q e S, condannandolo alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi sei; - condannando, inoltre, i tre imputati alle pene accessorie (interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale durante l'esecuzione della pena e decadenza dalla potesta' genitoriale); - (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A e S, condannandolo alla pena di anni nove di reclusione; - (OMISSIS) ((OMISSIS), detto (OMISSIS)) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, N, O e P, condannandolo alla pena di anni sedici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A, condannandolo alla pena di anni dodici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A, condannandolo alla pena di anni nove di reclusione; - (OMISSIS) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, U, V e AA, condannandolo alla pena di anni quattordici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A, condannandolo alla pena di anni sette di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A, condannandolo alla pena di anni dodici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, S e T della rubrica, condannandolo alla pena di anni nove di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A della rubrica, condannandolo alla pena di anni dieci di reclusione; - (OMISSIS) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, derubricata la condotta associativa in quella di partecipazione, M e Z della rubrica, condannandolo alla pena di anni dodici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A della rubrica, derubricata la condotta associativa in quella di partecipazione, condannandolo alla pena di anni nove di reclusione; - (OMISSIS) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A, Q e R della rubrica, condannandolo alla pena di anni dodici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile dei reati, ritenuti in continuazione, di cui ai capi A e AA della rubrica, condannandolo alla pena di anni dodici di reclusione; - (OMISSIS) responsabile del reato di cui al capo A della rubrica, condannandolo alla pena di anni otto di reclusione; - condannando questi altri imputati alle pene accessorie dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell'interdizione legale durante l'esecuzione della pena e, con l'esclusione di (OMISSIS), alla misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni la durata di anni 3 ( (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), di anni 2 e mesi 6 ( (OMISSIS)), di anni 2 ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), di anni 1 ( (OMISSIS), (OMISSIS)). La Corte di assise, inoltre, ha: - condannato tutti gli imputati a risarcire i danni alle parti civili Roma Capitale, Regione Lazio, Libera Associazioni, (OMISSIS), Ambulatorio (OMISSIS), Associazione Nazionale (OMISSIS), rimettendo le parti davanti al giudice civile per la liquidazione poiche' le prove acquisite non ne consentivano la liquidazione; - assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo L perche' il fatto non sussiste e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati loro rispettivamente ascritti in rubrica per non aver commesso il fatto. 2. La sentenza di appello Sull'appello di tutti gli imputati condannati, la Corte di assise di appello di Roma ha, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della decisione di primo grado: - assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo Z per non aver commesso il fatto e dal reato di cui al capo AA perche' il fatto non sussiste; - assolto (OMISSIS) ((OMISSIS), detto (OMISSIS)) dal reato di cui al capo N per non aver commesso il fatto; - assolto (OMISSIS) dai reati di cui ai capi B, C e N per non aver commesso il fatto e dai reati di cui ai capo V e AA perche' il fatto non sussiste e, per l'effetto, ha rideterminato la pena per i residui reati in anni diciassette di reclusione, revocando la pena accessoria della decadenza dalla responsabilita' genitoriale e applicando la liberta' vigilata per anni tre; - escluso, quanto a (OMISSIS) ((OMISSIS), detto (OMISSIS)), la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. relativamente al reato di cui al capo N e, per l'effetto, ridotto la pena ad anni dodici e mesi sei di reclusione; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni sei di reclusione e la durata della liberta' vigilata ad anni due; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni sette di reclusione, applicando al medesimo la liberta' vigilata per anni due; - ridotto, derubricata la condotta relativa al reato associativo di cui al capo A in quella di partecipazione, la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni sei di reclusione; - assolto (OMISSIS) dai reati di cui ai capi V e AA perche' il fatto non sussiste e ridotto la pena irrogata all'imputato per i residui reati ad anni sei di reclusione e la durata della liberta' vigilata ad anni due; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni sei di reclusione, applicando la liberta' vigilata per anni due; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni otto di reclusione e la durata della liberta' vigilata ad anni due; - assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo A per non aver commesso il fatto e rideterminato la pena per i residui reati in anni due, mesi undici di reclusione; - confermato la sentenza di primo grado per (OMISSIS), aumentando la durata della liberta' vigilata ad anni tre; - assolto (OMISSIS) dai reati di cui ai capi A e Z per non aver commesso il fatto e rideterminato la pena irrogata per il reato di cui al capo M in anni tre di reclusione; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni sei di reclusione; - escluso, quanto a (OMISSIS), la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. relativamente al reato di cui al capo R e, per l'effetto, ridotto la pena a lui inflitta ad anni sette di reclusione; - assolto (OMISSIS) dal reato di cui al reato AA perche' il fatto non sussiste e ridotto la pena irrogata per il reato di cui al capo A ad anni cinque di reclusione; - ridotto la pena irrogata a (OMISSIS) ad anni cinque di reclusione, aumentando la durata della liberta' vigilata ad anni due; Nel resto la sentenza di primo grado e' stata confermata. 3. I capi di imputazione. Al centro del processo si colloca la contestazione agli imputati (capo A: articolo 416-bis c.p., primo, secondo, quarto e comma 6,) di avere promosso, diretto o organizzato (comma 2) o di avere comunque fatto parte (comma 1) della associazione di tipo mafioso denominata "clan (OMISSIS)", operativa in Ostia e sul litorale laziale dal (OMISSIS) in poi. Un'associazione finalizzata, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omerta' che ne derivava, alla commissione di gravi delitti (omicidi, estorsioni, usure, incendi, danneggiamenti aggravati, altri delitti contro l'incolumita' e la liberta' personale, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto delle armi e degli esplosivi necessari per il conseguimento delle finalita' del sodalizio - comma 4, attribuzione fittizia di beni) e (comma 6) alla acquisizione, anche in modo indiretto. della gestione e del controllo di attivita' economiche (attivita' di balneazione sul litorale, sale giochi, esercizi commerciali di varia tipologia) finanziate con i proventi dell'estorsione, dell'usura e del na rcotraffico. Intorno a questa accusa principale ruotano le altre imputazioni. Anzi tutto, gli omicidi premeditati (e i reati strumentali: capi B e C) di (OMISSIS), detto (OMISSIS), vertice di omonima organizzazione criminale, e del suo braccio destro (OMISSIS), detto (OMISSIS), addebitati a (OMISSIS), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) e (OMISSIS): colpi di arma da fuoco esplosi il (OMISSIS) in pieno giorno e a volto scoperto, in (OMISSIS), la cd. vietta, fulcro del quadrante territoriale di (OMISSIS) all'epoca sottoposto al dominio del clan (OMISSIS). Poi, una serie di altri reati, ritenuti in continuazione, contestati ai diversi imputati (estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, usura, esercizio abusivo del credito, intestazione fittizia di attivita' commerciali: capi da E ad AA), collegati, in varia misura, all'operato della consorteria. Le responsabilita' degli imputati erano state affermate, nel giudizio di primo grado, sulla base i) delle dichiarazioni di alcuni collaboratori, ii) dell'esito di precedenti processi e delle sentenze in essi pronunciate, iii) dell'analisi delle risultanze di intercettazioni telefoniche, iiii) delle attivita' svolte dalla polizia giudiziaria illustrate nelle deposizioni. La Corte di assise di appello aveva proceduto alla parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante l'assunzione di altre testimonianze (di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e delle dichiarazioni di persona imputata di reato connesso ( (OMISSIS)). I giudici di appello hanno, inoltre, valutato e deciso, rigettandole, questioni di natura processuale, in particolare, in tema i) di violazione del diritto di difesa degli imputati per l'utilizzazione della modalita' della videoconferenza, ii) di omessa estromissione delle parti civili, iii) di inutilizzabilita' delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), iiii) di nullita' del decreto di citazione a giudizio, iiiii) di improcedibilita' (recte improseguibilta') dell'azione penale per determinati reati, 111111) di inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche per carenza di motivazione dei corrispondenti decreti autorizzativi. La Corte e' passata, quindi, ad esaminare le affermazioni di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo A), confutate dai ricorrenti, concludendo per la conferma della sentenza di primo grado. Ha considerato provata l'esistenza, in (OMISSIS), di un'associazione di tipo mafioso conosciuta come clan (OMISSIS), ritenendo rilevanti: - fra i precedenti giudiziari, quelli che avevano ripetutamente condotto ad affermare l'esistenza in (OMISSIS) del clan Fasciani e dei suoi rapporti con gli (OMISSIS), loro alleati; in particolare, si illustrano le vicende definite in sede di legittimita' i) da Cass. sez. 2, n. 3046/20 del 29 novembre 2019, dep. 2020; ii) da Cass. sez. 2, n. 686 del 30 marzo 2020 relativa all'attentato subito da (OMISSIS), espressione dell'egemonia in (OMISSIS) del clan (OMISSIS) dopo il citato omicidio di (OMISSIS); iii) da Cass. sez. 5, n. 3352/20 del 13 novembre 2019, relativa all'aggressione, da parte di (OMISSIS), del giornalista (OMISSIS)); - le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui credibilita' e attendibilita' e' positivamente vagliata anche sulla scorta di precedenti vicende processuali in cui alcuni di loro hanno apportato contributi. La Corte di secondo grado ha concluso per la sussistenza dell'associazione, rilevando come tutte le connotazioni risultate determinanti anche in sede di legittimita' per affermare la qualificazione del clan Fasciani come associazione di tipo mafioso, erano riconoscibili nella struttura, nelle vicende associative, nella storia e nei reati specifici ascritti al clan (OMISSIS). L'esame delle singole posizioni ha condotto la Corte di assise di appello ad escludere la partecipazione all'associazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) e a derubricare, da organizzatore a partecipe, il ruolo di (OMISSIS). Quanto al duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi B e C), i giudici di appello hanno confermato l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) ((OMISSIS)) e (OMISSIS). Hanno ritenuto, invece, che il quadro probatorio nei confronti di (OMISSIS), imperniato sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), non fosse altrettanto solido; pur essendo verosimile che anche (OMISSIS) fosse stato parte del progetto di dare una lezione a (OMISSIS) dopo la vicenda relativa al credito da questi rivendicato nei confronti di (OMISSIS) e alla lite di qualche giorno prima con (OMISSIS), non era provata, al di la' di ogni ragionevole dubbio, la sua adesione al susseguente progetto omicidiario. (OMISSIS), infatti, non aveva parlato direttamente con lui, ma soltanto con (OMISSIS) e questi gli aveva accennato alla lite di (OMISSIS) con (OMISSIS), ma non gli aveva detto che fosse a lui riferibile il mandato omicidiario. La Corte di merito ha, sul tema, inteso precisare che il concorso negli omicidi non poteva essere desunto dalla struttura della consorteria, non essendo dimostrato che la stessa fosse articolata in modo assimilabile alla cupola della mafia tradizionale, per modo che la decisione dell'omicidio assunta da alcuni uomini di vertice fosse da considerarsi come decisione di tutti i componenti di rango primario del sodalizio. I residui capi di imputazione saranno illustrati nei limiti in cui, volta a volta, lo rendera' necessario lo scrutinio dei ricorsi. 4. Il ricorso del Procuratore Generale Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma chiede l'annullamento della sentenza impugnata con specifico riferimento all'assoluzione di (OMISSIS), cui sopra si e' accennato, dall'accusa di concorso nel duplice omicidio e nei connessi reati relativi alle armi impiegate (capi B e C). 4.1. Con il primo motivo deduce apparenza, mancanza e manifesta illogicita' della motivazione. I giudici di appello non avevano attribuito il dovuto valore probatorio ad una serie di elementi fondamentali: i) l'imputato era l'uomo di vertice del clan anche quando erano in vita il genitore e gli zii; ii) era stato l'interlocutore di (OMISSIS) sin dal 1992 e aveva stretto con lui l'alleanza in forza della quale la famiglia (OMISSIS) si era imposta quale autorevole consesso criminale, tale da eliminare il gruppo dei (OMISSIS) dalla scena di (OMISSIS); iii) era il terminale della direzione e dell'attribuzione dei ruoli agli affiliati e gli accadimenti precedenti e successivi al duplice omicidio lo riguardavano direttamente; iiii) soltanto lui, in sintesi, aveva titolo a dirigere l'associazione e ad assumere le scelte decisionali essenziali per la vita della medesima; mi soltanto lui, pertanto, poteva decretare un omicidio eccellente come quello di (OMISSIS). 4.2. Anche con il secondo motivo il Procuratore Generale indica lacune e profili di illogicita' della motivazione. In particolare, denuncia la lettura miope e travisata delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS). Il riferimento a "zio (OMISSIS)" fatto da (OMISSIS), per averlo raccolto da (OMISSIS) ((OMISSIS)), non era correlato - spiega il ricorrente - alla lite che era intervenuta prima del fatto fra (OMISSIS) e (OMISSIS), ma proprio al potere di questi di conferire un mandato ad uccidere. Potere che solo (OMISSIS) deteneva, dato che (OMISSIS) ((OMISSIS)) era stato qualificato come promotore del gruppo, non dotato di poteri direttivi. Sostenere il contrario significherebbe negare la storia della famiglia (OMISSIS), la sotto-ordinazione a (OMISSIS) di tutti i sodali, per la corrispondente investitura che l'imputato aveva ricevuto dall'esterno, in particolare da (OMISSIS). Non si tratta, dunque, di affermare una responsabilita' di posizione, ma di dare spazio a deduzioni logiche, non potendo imputarsi gli omicidi, all'esito di un'opzione di carattere militare, al mandato di (OMISSIS), il piu' giovane della famiglia, privo di una causale propria e non investito di poteri decisionali. 4.3. Altri aspetti di illogica lettura delle risultanze probatorie sono sviluppati con il terzo motivo. I giudici d'appello hanno svilito il senso dell'attivita' post factum di (OMISSIS), riducendola ad un intervento limitato a consentire ad (OMISSIS), uno degli autori materiali del duplice omicidio, di fuggire e agli altri concorrenti materiali di mettersi al sicuro. L'eventuale arresto di (OMISSIS) avrebbe potuto costituire un pericolo grave per il clan e per il suo vertice, nonche', in particolare, per (OMISSIS). Ed e' logicamente ingiustificabile che la Corte di merito abbia tratto conclusioni corrette in ordine al ruolo di quest'ultimo e all'efficienza causale del relativo contributo, mentre per il fratello (OMISSIS) non abbia fatto altrettanto. L'alternativa fra trattativa e punizione, come risposta a (OMISSIS), si era risolta con gli omicidi (commessi soltanto un mese dopo il primo scontro fra (OMISSIS) e (OMISSIS), emissario di (OMISSIS)) e la Corte di merito avrebbe dovuto valorizzare il fatto che (OMISSIS) rappresentava il passato che tentava di sbarrare il passo alle famiglie federate (OMISSIS) - (OMISSIS); lo scontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS) si era radicalizzato per questioni di dominio nella vietta di (OMISSIS), storicamente di competenza dei (OMISSIS); aveva contemplato finanche una reazione fisica violenta del primo nei confronti del secondo sicche' soltanto (OMISSIS) avrebbe potuto dare il via libera all'eliminazione dell'avversario. 5. Il ricorso di (OMISSIS) Consta di sei motivi. 5.1. Nel primo si prospetta erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p. e correlato vizio di motivazione. I giudici di merito hanno ritenuto l'esistenza del clan (OMISSIS), senza supportare l'affermazione con un adeguato impianto motivazionale sui criteri di mafiosita'. Hanno, in particolare, omesso di sottoporre ad accurata verifica la sussistenza degli elementi strutturali del reato associativo, confondendo la forza intimidatrice propria del sodalizio di tipo mafioso con le condotte intimidatorie dei singoli. Le stesse condotte attribuite a (OMISSIS) in relazione all'emersione del legame con (OMISSIS) erano svincolate rispetto alla sfera di azione della presunta associazione e non potevano, pertanto, essere considerate indicative di un disegno comune proprio dell'organizzazione criminale. E, in generale, una serie di fatti slegati (tali i reati contestati ai singoli imputati) non poteva costituire la prova di un vincolo criminale continuo e stabile. I reati, inoltre, abbracciano un limitato arco temporale (dal 2014 al 2016), come tale inidoneo a dimostrare la sussistenza di un vincolo stabile e di un comune programma criminoso di un'associazione considerata operante dal (OMISSIS). I giudici di appello non avevano dato luce a cio' che serve a differenziare un'associazione di tipo mafioso da un'ordinaria associazione per delinquere. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 416-bis, quarto e comma 6, c.p. e correlato vizio di motivazione in ordine all'affermata sussistenza delle circostanze aggravanti contestate. Quanto alla circostanza aggravante dell'associazione armata, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che la disponibilita' di armi deve essere costante in capo al gruppo, oltre che acquisita alla consapevolezza dei singoli sodali. In ordine alla circostanza aggravante prevista dal comma 6, non sarebbe provata l'esistenza di attivita' economiche assunte o controllate dall'associazione e finanziate con il provento di delitti, ma, al piu', progetti autonomi di singoli sodali, risoltisi in specifiche operazioni commerciali. 5.3. Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell'articolo 7 Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (ora articolo 416-bis.1 c.p.), oltre che vizio di motivazione in ordine all'affermata sussistenza di detta circostanza aggravante, riferita ai reati di cui ai capi H, M, S, T, U, V e Z. Premessa la natura soggettiva di questa aggravante, inerente al profilo della finalita' agevolatoria della consorteria, con la necessita' di reperire il dolo specifico di favorire l'associazione, la Corte di merito, secondo il ricorrente, non ha compiuto la relativa verifica limitandosi all'illogico automatismo secondo cui la conferma della condanna per i reati fine implicava la sussistenza del metodo o dell'agevolazione mafiosa: l'esempio piu' calzante viene indicato nel lanciafiamme evocato con riferimento al reato sub M e, per il resto, si segnala che la conferma della sussistenza dell'aggravante speciale si e' risolta in una riga e, quanto al metodo mafioso, in un passaggio di mezza pagina sull'automatismo della presenza di uno (OMISSIS) con l'evenienza dell'intimidazione mafiosa. Tale impostazione viene censurata dal ricorrente che considera apparente il complesso della motivazione inerente all'aggravante in parola, sia sotto il profilo agevolatorio, da accertarsi attraverso la rigorosa verifica delle corrispondenti evidenze, onde evitare la diluizione della stessa nella semplice contestualita' ambientale, sia sotto il profilo del metodo mafioso, il quale deve essere evinto secondo i criteri fissati dall'articolo 416-bis c.p. per ogni singola condotta contestata, senza semplicistici richiami alla consumazione del reato associativo; in particolare, per il reato di cui al capo M, la mera reazione delle vittime non avrebbe potuto considerarsi qualificante per la sussistenza dell'aggravante speciale, occorrendo invece un comportamento dell'agente oggettivamente e concretamente idoneo a esercitare quella particolare coartazione richiesta dall'intimidazione connotata dai caratteri di cui all'articolo 416-bis c.p.. 5.4. Con il quarto motivo si deducono la violazione dell'articolo 629 c.p., anche in relazione agli articoli 192, 533 e 603 c.p.p., nonche' la carenza e la contraddittorieta' della relativa motivazione, in merito al delitto sub M. Con riguardo al tentativo di estorsione aggravata in danno di (OMISSIS), la motivazione resa dalla Corte territoriale, che ha accordato credibilita' alla versione dei fatti esposta dalla persona offesa, viene reputata dal ricorrente illogica e contraddittoria per due ordini di motivi: innanzitutto in quanto ha svalutato i dati scaturiti dalla rinnovazione dell'istruttoria in appello, a seguito della quale (OMISSIS) aveva chiarito, anche con il riferimento a riscontri documentali, l'andamento dell'episodio e, poi, in quanto gli accadimenti riferiti da quest'ultimo avrebbero dovuto ritenersi corroborati dalla sentenza irrevocabile acquisita agli atti, da cui era emersa la grande animosita' tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e la veridicita' di quanto affermato da (OMISSIS) circa la gestione del (OMISSIS). Alla stregua degli indicati elementi, si sottolineano da parte della difesa l'illogicita' della valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), e la carenza, nella complessiva valutazione, della piu' rigorosa verifica in tema di credibilita' soggettiva; tale verifica sarebbe stata necessaria affinche' le dichiarazioni della persona offesa assurgessero al rango di prova. Non bastava, per contro, a destituire di attendibilita' il narrato di (OMISSIS) la considerazione dell'inverosimiglianza dell'intervento di (OMISSIS) il 10 settembre (OMISSIS), in un quadro in cui ogni altra circostanza riferita da (OMISSIS) appariva intrinsecamente coerente ed estrinsecamente riscontrabile. Quand'anche dalle affermazioni di (OMISSIS), pertanto, i giudici di merito avessero voluto desumere un elemento di natura indiziaria, il relativo compendio, per il ricorrente, non avrebbe dovuto essere valutato alla stregua di una prova piena, dovendo escludersi la dimostrazione dell'assunto accusatorio sulla scorta di una pluralita' di indizi gravi, precisi e convergenti verso il medesimo assunto dimostrativo e non potendo, quindi, considerare la persistenza del ragionevole dubbio, ai sensi dell'articolo 533 c.p.p.. 5.5. Con il quinto motivo si deducono l'erronea applicazione della L. n. 356 del 7 agosto 1992, articolo 12-quinquies, e il corrispondente vizio di motivazione con riferimento ai reati ascritti all'imputato ai capi S), T), U), V) e Z). La fattispecie contestata, sottolinea il ricorrente, esige sotto il profilo dell'elemento soggettivo il riscontro della finalita' di elusione delle misure di prevenzione patrimoniale: e proprio con riguardo a questo aspetto i giudici di appello hanno omesso di motivare, non avendo spiegato la ragione per la quale la versione alternativa offerta dalla difesa meritasse di essere disattesa. 5.6. Con il sesto motivo si prospetta il vizio di motivazione con riferimento al reato di cui al capo H). Relativamente a tale fattispecie, inerente alla contestata cessione di sostanza stupefacente da (OMISSIS), connessa con le lesioni e la violenza privata aggravate poste in essere in danno di quest'ultimo soggetto affinche' non interferisse nel territorio di competenza dell'organizzazione (fattispecie contestata inizialmente al capo G, poi non inserita nel decreto di giudizio immediato), la difesa nota che, essendo il ruolo ascritto a (OMISSIS) quello del mandante delle lesioni patite da (OMISSIS), la credibilita' attribuita alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che si era autodenunciato, avrebbe dovuto comunque far considerare soltanto indiziaria la natura della relativa fonte; restava pertanto intatta la necessita' di motivare sulla responsabilita' di (OMISSIS), essendo soltanto presuntiva l'individuazione del medesimo come mandante del pestaggio subito da (OMISSIS) per quelle questioni di droga, senza che poi questo imputato fosse stato mai giudicato per il reato stralciato. 6. I ricorsi di (OMISSIS). Per (OMISSIS) sono stati proposti due ricorsi. 6.1. Il primo, a firma dell'avv. (OMISSIS) di Roma, consta di cinque motivi. 6.1.1. Con il primo motivo si lamentano carenza e manifesta illogicita' della motivazione e travisamento della prova rilevante in relazione all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per i reati di cui ai capi B e C, sui punti della valutazione dell'attendibilita' del collaboratore (OMISSIS) e dell'assoluta mancanza di riscontri individualizzanti alle sue dichiarazioni. La difesa rileva che la sentenza impugnata, pur avendo riportato con puntualita' le principali censure mosse alla decisione di primo grado, non ha risposto sia sul tema dell'attendibilita' di (OMISSIS) e sia su quello della carenza di riscontri individualizzanti alle sue dichiarazioni circa la responsabilita' di (OMISSIS). Sotto il profilo dell'attendibilita', si erano, anzi, evidenziati da piu' parti i riscontri negativi alla versione offerta dal collaboratore che si era ritagliato il ruolo di testimone oculare dell'omicidio e aveva esteso le sue dichiarazioni alla fase in cui risultava coinvolto nel favoreggiamento di uno degli esecutori, indicato in (OMISSIS). Per tali dichiarazioni, risultate inattendibili, mancavano i presupposti per applicare il criterio della valutazione frazionata, data l'interferenza fattuale e logica che le parti del narrato risultate false avevano sul complessivo contenuto dichiarativo. In tale prospettiva, il ricorrente ripercorre l'intero iter narrativo estrinsecato da (OMISSIS), che, gia' con riferimento al suo incipit, aveva visto emergere il riscontro negativo dell'insussistenza del suo obbligo di firma presso la polizia giudiziaria nel giorno e nell'ora del fatto, al pari dell'incoerenza da lui palesata circa l'espletamento dell'obbligo di firma di (OMISSIS) e del mancato incontro che ne era conseguito nei giorni seguenti: la risposta dei giudici di appello sul punto si e' risolta nella reiterazione delle considerazioni formulate nella sentenza di primo grado, con l'illogica chiusa inerente all'artificiosita' che avrebbe caratterizzato una ricostruzione troppo precisa delle vicende di contorno, laddove - sostiene la difesa - l'una e l'altra circostanza erano state addotte dal dichiarante in modo funzionale alla sua versione dei fatti. In ordine al suo presunto iniziale coinvolgimento nel piano omicidiario riferito da (OMISSIS), il ricorrente evidenzia la risposta travisante data dai giudici di appello all'osservazione difensiva inerente alla chiara inattendibilita' di quel narrato, non avendo il collaboratore mai sparato in vita sua e nemmeno possedendo le connotazioni fisiche per poter guidare la moto a cui aveva fatto riferimento; la Corte di assise di appello, infatti, oltre all'adesione alla considerazione del primo giudice circa il carattere solo embrionale della fase raccontata dal dichiarante, ha esposto il convincimento che in realta' (OMISSIS) era stato incaricato del ruolo di osservatore per stanare le vittime, cosi' evitando di dover prendere atto dell'assoluta inverosimiglianza di quello specifico narrato. Anche con riferimento alla dinamica dell'omicidio, evidenzia il ricorrente, erano emersi decisivi contrasti tra la versione data da (OMISSIS) e i risultati degli accertamenti tecnici eseguiti nell'immediatezza con riguardo al fatto che (OMISSIS) era stato colpito alle spalle, inseguito dal killer, dopo essere entrato nel bar dall'unica entrata aperta, quella di (OMISSIS) (non in faccia, dopo essere entrato da (OMISSIS), mentre era intento a giocare alle macchinette, come aveva sostenuto il propalante), con l'aggiunta che l'unica entrata del bar allora aperta, quella di (OMISSIS), era inibita alla vista di (OMISSIS) nel punto in cui egli aveva detto di essersi trovato, ossia in prossimita' dei giardinetti di fronte a (OMISSIS): per la difesa, la risposta della Corte di assise di appello, laddove non e' stata travisante (quando ha sostenuto che (OMISSIS) aveva detto soltanto che (OMISSIS) era vicino ai videogiochi, cosa contrastata dalla precisa, contraria affermazione del narrante), si palesa illogicamente silente, quanto all'ingresso utilizzato dal killer, e contrastante con la perizia balistica, secondo cui il primo bossolo dei colpi sparati all'indirizzo di (OMISSIS) veniva trovato all'esterno, in prossimita' dell'ingresso del bar. Parimenti viene ritenuta illogicamente svalutata la smentita di (OMISSIS), che secondo (OMISSIS) si era visto puntare la pistola in faccia da (OMISSIS) al momento in cui questi stava uscendo dal bar dopo l'omicidio di (OMISSIS), non essendo risultato l'allontanamento altrove di questo soggetto, il quale, escusso solo in dibattimento, aveva negato l'episodio e abitava ancora in (OMISSIS), in (OMISSIS); testimonianza che, si sottolinea dalla difesa, e' stata apoditticamente destituita di credibilita', in quanto ritenuta pregiudizialmente reticente, senza considerare l'intrinseca inverosimiglianza del narrato di (OMISSIS) anche in questo snodo, dal momento che non ha fatto emergere la ragione per la quale (OMISSIS) dovesse risolversi a entrare nel bar chiuso al pubblico, di fatto scavalcando il cadavere di (OMISSIS), a terra proprio su (OMISSIS), con il palese intento di arricchire il racconto con un espediente di pura fantasia per renderlo piu' credibile. Egualmente sottoposti a critica dal ricorrente sono gli argomenti svolti nella sentenza impugnata per ribadire la fondatezza della ritenuta compatibilita' dei movimenti raccontati da (OMISSIS) e le risultanze della sua utenza telefonica cellulare: si fa notare che, a causa della mera reiterazione dei medesimi argomenti, sono restate inevase sia le criticita' fra i dati estraibili dall'impegno progressivo delle varie celle e quelli inerenti al racconto di (OMISSIS), circa i suoi progressivi movimenti, dal momento dell'addotta presenza sul luogo dell'omicidio al momento in cui esso si verifico', fino a quando aveva conclusivamente condotto (OMISSIS) alla macchina con Franzese e la compagna, sia la contraddittorieta' dell'affermazione di (OMISSIS) di non conoscere quest'ultima (ossia, (OMISSIS)), all'utenza in uso alla quale pure aveva indirizzato alle 17:27 due successive chiamate. Con specifico riguardo alla posizione di (OMISSIS), poi, la difesa lamenta il mancato riscontro agli spostamenti di (OMISSIS), attraverso il dato delle celle telefoniche, la mistificazione dei contatti con (OMISSIS) e il contrasto tra tali contatti e il coinvolgimento dell'imputato, nonche' l'erroneita' della ripetuta indicazione del piano dell'edificio dove abitava (OMISSIS), indicato come primo da (OMISSIS), mentre esso era il terzo. Del pari, il ricorrente evidenzia la contraddizione insita nell'affermazione della Corte di assise di appello della necessita' di una maggiore attenzione investigativa inerente al ruolo svolto nella vicenda da (OMISSIS) siccome non e' stata seguita dai coerenti sviluppi, considerata la versione dei fatti data, de relato, da (OMISSIS), che, oltre all'esecutore (OMISSIS), aveva annesso proprio a (OMISSIS) il ruolo di esecutore, da ritenersi in alternativa a (OMISSIS): sostenere che la dinamica esposta da (OMISSIS) ha trovato riscontro nel racconto di (OMISSIS), nonostante quest'ultimo avesse indicato un diverso esecutore materiale, e considerare non decisiva la discrasia per essere il narrato di (OMISSIS) de relato, integra un percorso argomentativo illogico. Ancora e non secondariamente, il ricorrente sottolinea che la sentenza di primo grado era stata specificamente censurata per la mancata indicazione di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di (OMISSIS): (OMISSIS) non era comparso in alcun atto di indagine, salvo che nelle dichiarazioni del suddetto collaboratore relative alla fase immediatamente successiva all'omicidio, dichiarazioni peraltro restate prive della benche' minima conferma. A tale doglianza - denuncia la difesa - i giudici di appello incredibilmente non hanno fatto corrispondere alcuna analisi. Sicche', oltre ai profili di intrinseca inattendibilita' di quelle dichiarazioni, resta il dato di fatto, osserva il ricorrente, che non sono stati minimamente evocati i riscontri a quel narrato, essendosi perpetuata la violazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, con conseguente omissione di un passaggio essenziale per l'utilizzazione della prova dichiarativa posta a base della sentenza di condanna. 6.1.2. Con il secondo motivo si prospetta il vizio di motivazione rispetto all'applicazione del canone del ragionevole dubbio sul punto della sussistenza del concorso nell'omicidio da parte di (OMISSIS). Sul, comunque viziato, presupposto della veridicita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), i giudici di appello hanno, secondo la difesa, innestato un ragionamento illogico per attribuire valenza del contributo concorsuale nel delitto del duplice omicidio e nei reati in materia di armi alla condotta di (OMISSIS) raccontata dal collaboratore, la quale invece avrebbe dovuto essere considerata soltanto un post factum rispetto ai delitti e, al massimo, avrebbe potuto giustificare - ove attendibile e riscontrata - l'accusa di favoreggiamento, non altra. L'assunto della Corte territoriale, rileva il ricorrente, si e' basato sul presupposto che (OMISSIS) aspettava (OMISSIS) pochi minuti dopo l'omicidio, per cui non si era avuto il tempo per poter presumere che egli fosse stato avvisato dell'accaduto dopo la sua commissione: invece, la base del ragionamento e' da ritenersi travisata, in quanto il collaboratore aveva frapposto il lasso di 30-40 minuti fra il momento in cui (OMISSIS) si era presentato a casa sua e quello in cui si erano poi allontanati in macchina; e, d'altro canto, la stessa decisione impugnata ha affermato che l'imputato suddetto era stato informato dal fratello (OMISSIS) dell'omicidio dopo la sua commissione, tanto che si era lasciato andare a uno sfogo di malcontento con (OMISSIS). I giudici di appello, tuttavia, non hanno, secondo la difesa, spiegato la ragione per la quale (OMISSIS) avrebbe ricevuto da (OMISSIS) solo l'informazione inerente alla partecipazione di quest'ultimo all'azione di fuoco, e non all'intera operazione, allo stesso modo in cui essi hanno ritenuto con riferimento alla sfera di (OMISSIS), con ragionamento che si sarebbe attagliato perfettamente anche alla posizione di (OMISSIS), il quale non era raggiunto da alcuna prova relativa al mandato omicidiario eventualmente conferito e da nessun'altra risultanza inerente a qualche sua condotta sospetta, antecedente o successiva; tanto piu' se, come in sentenza si e' sostenuto, fino a poco tempo prima del duplice omicidio erano in corso trattative tra i gruppi contrapposti ritenute idonee a giustificare la possibile estraneita' al fatto dello stesso (OMISSIS). In questa stessa direzione - segnala il ricorrente - il vizio motivazionale individuato si e' tradotto nella violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, essendo evidente che l'affermazione della colpevolezza dell'imputato sia avvenuta senza che il fatto a suo carico sia stato accertato in termini di certezza. 6.1.3. Con il terzo motivo si deducono la violazione dell'articolo 125 c.p.p. e il corrispondente vizio di motivazione sul punto del riconoscimento della partecipazione di (OMISSIS) all'associazione di cui al capo A e del ruolo di promotore della stessa. La difesa sostiene che anche in punto di dimostrazione dell'appartenenza dell'imputato all'associazione, per di piu' con il ruolo di promotore, la sentenza manifesta la medesima carenza di motivazione, a nulla valendo il rilievo della doppia conforme di merito, posto che le censure rivolte alla sentenza di primo grado sono restate prive di esame all'esito della sentenza di appello. Si era sottolineato che i riferimenti in chiave associativa alle condotte degli (OMISSIS) riguardavano (OMISSIS) o altri, ma comunque non (OMISSIS), mentre i riferimenti ai reati fine, al di la' di quello relativo al duplice omicidio, non riguardavano i principali settori di operativita' del presunto sodalizio, limitandosi a due episodi di intestazione fittizia, quelle di cui ai capi Z e AA, fatti riconosciuti come inconsistenti dalla sentenza impugnata e, comunque, non tali da giustificare la figura di capo e promotore del gruppo, secondo quanto aveva confermato l'unica intercettazione che lo riguardava. Si era aggiunto che neanche i contributi dichiarativi dei collaboratori, falsi nel caso di (OMISSIS), inconsistenti o smentiti dall'esito delle indagini nel caso degli altri dichiaranti, avevano connotato la sua partecipazione, meno che mai di livello apicale, nel dedotto clan. Si era sottolineata l'assenza di condanne rilevanti in chiave associativa a suo carico prima dell'episodio ai danni del giornalista (OMISSIS) del novembre (OMISSIS). A queste censure, lamenta la difesa, la Corte di assise di appello ha risposto con poche righe di motivazione con il generico richiamo alle fonti suindicate; assertiva si rivela la complessiva evocazione delle dichiarazioni dei collaboratori, laddove (OMISSIS) e (OMISSIS) non avevano operato alcun riferimento all'imputato, (OMISSIS) aveva reso dichiarazioni inattendibili e non frazionabili, quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono state validate con il mero richiamo all'esito del processo Sub Urbe, senza una valutazione di attendibilita', anche frazionata, in questa sede, con particolare riguardo alla confidenza che (OMISSIS) aveva detto di aver ricevuto dall'imputato circa il suo modus operandi coperto: nessuna analisi delle contestazioni mosse con l'appello e' dato individuare, secondo la difesa, nell'analisi della Corte territoriale. Del pari, il riferimento alle sentenze irrevocabili avrebbe dovuto essere circoscritto dai giudici di appello alla sola decisione che aveva giudicato l'aggressione al succitato giornalista, frutto di un improvviso scatto d'ira: decisione di per se' inidonea a dimostrare l'effettiva esistenza di un'associazione mafiosa e la partecipazione in essa di (OMISSIS). Infine, esclusi dalla sentenza impugnata i reati di cui ai capi Z e AA dalla responsabilita' del suddetto imputato, non era rimasto che l'omicidio a suo carico, con i determinanti vizi relativi al suo accertamento. Concludendo per questa parte, la difesa rimarca la carenza nella motivazione esaminata dell'enunciazione degli specifici elementi da cui i giudici di merito hanno tratto l'accertamento della condotta dell'imputato volta a una compenetrazione stabile e organica nel tessuto organizzativo del prefigurato sodalizio, ne' per quanto concerne la partecipazione e, vieppiu', per quanto concerne il ruolo di promotore dell'imputato. 6.1.4. Con il quarto motivo si prospettano la violazione dell'articolo 416-bis c.p. e del Decreto Legge n. 152 del 1991 articolo 7 (oggi articolo 416-bis.1 c.p.), in ordine all'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) quanto al reato associativo sub A e alla circostanza aggravante speciale mafiosa in ordine ai reati sub B e C. La difesa censura l'operazione ermeneutica, gia' criticata rispetto alla sentenza di primo grado, che ha visto agglomerare un'indistinta serie di episodi commessi da una serie di persone, i cui rapporti interpersonali, tuttavia, non sono suscettibili di essere ricondotti all'operativita' della consorteria dotata di una struttura articolata, fortemente gerarchizzata e con una leadership idonea a delineare una strategia organizzativa unitaria. Si era, con l'appello, evidenziata la dubbia compatibilita' dell'interpretazione del concetto di associazione mafiosa accolta dalla sentenza di primo grado, tale da entrare in tensione con i principi di legalita', prevedibilita' e irretroattivita' della norma penale, posto che i fatti si riferiscono a un arco temporale in larga parte antecedente all'elaborazione fiorita in tema di nuove mafie e di piccole mafie e la decisione della Corte di assise aveva compiuto una sostanziale polverizzazione dei requisiti applicativi della norma incriminatrice oggetto di esame. La Corte di assise aveva omesso di considerare che l'impiego di metodologie ritenute violente o intimidatorie afferisse a circostanza inidonea a provare l'effettiva acquisizione e la puntuale estrinsecazione del metodo descritto dall'articolo 416-bis, comma 3, c.p. e che la mera ritrosia di singole persone offese a proporre denuncia e partecipare al processo fosse elemento non strettamente riconducibile al fenomeno mafioso, ma compatibile con l'operativita' di un qualsiasi gruppo criminale, essendo peraltro inverosimile la coesistenza nel medesimo ambito spaziale di due organizzazioni mafiose distinte e separate; da qui il concreto rischio di avallare la mutazione genetica della norma incriminatrice ora citata, trasformandola in fattispecie di pericolo astratto (sul modello del reato associativo puro tratteggiato dall'articolo 270-bis c.p.). Tuttavia, osserva il ricorrente, anche per tale ambito la sentenza di appello si e' limitata, in larga parte, a riportare pedissequamente il contenuto di quella di primo grado e non ha estrinsecato un proprio vaglio delle censure articolate con l'atto di gravame, per un verso indicando nel clan (OMISSIS) quello di originaria appartenenza del clan (OMISSIS), per la cui conquistata connotazione di associazione mafiosa viene fatto richiamo della sentenza di primo grado, e per altro verso elencando gli stessi episodi citati dalla Corte di assise come sintomatici dell'acquisita autonomia criminale mafiosa secondo lo schema dettato dall'articolo 416-bis c.p. - l'estorsione in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS), nel processo Sub Urbe, la testata sferrata al giornalista (OMISSIS) da (OMISSIS), spalleggiato da (OMISSIS), l'estorsione in danno di (OMISSIS), la vicenda del chiosco (OMISSIS), gli attentati e le esplosioni in danno della famiglia (OMISSIS) senza peraltro tener conto del diverso perimetro di prova delle sentenze accertative delle prime tre vicende, non essendo necessaria per l'adozione del metodo mafioso la sussistenza dell'associazione mafiosa, ne' considerando l'effetto deprivante di qualsiasi consistenza della testimonianza di (OMISSIS) in appello quanto alla vicenda (OMISSIS), ne' valutando adeguatamente la portata delle ulteriori testimonianze acquisite in appello ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), escludenti qualsiasi influenza degli (OMISSIS) nella collocazione dei videogiochi nei loro esercizi commerciali, considerate solo per escludere la penale rilevanza del fatto rubricato sub Z. Ulteriore conseguenza del vizio motivazionale viene dal ricorrente individuata nell'omessa esplorazione da parte dei giudici di appello dell'aspetto caratterizzante la fondamentale distinzione fra l'associazione mafiosa e quella comune, la prima solo essendo connotata anche dall'organizzazione efficiente irrobustita da un forte vincolo fra i sodali, tale da poter sprigionare quell'efficacia intimidatrice scaturente dalla consapevolezza dell'organizzazione stessa. 6.1.5. Con il quinto motivo vengono dedotte la mancanza di motivazione e l'erronea applicazione dell'articolo 62-bis c.p. in merito al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Anche su questo punto si censura la sentenza di appello per essersi orientata nel senso di una mera riedizione di quella di primo grado, avverso la quale si era rilevato come, al fine del contestato diniego, la Corte di assise si fosse dedicata all'evidenziazione di elementi ostativi (la gravita' dei fatti, la loro ampia protrazione nel tempo, la varieta' delle condotte criminose) astrattamente idonee ad attagliarsi a qualsiasi accertamento relativo a consimili reati. Inoltre, si lamenta la mancata considerazione della posizione individuale dell'imputato, che aveva partecipato al processo e si era sottoposto all'esame. 6.2. Con il secondo ricorso, sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) di Roma, si deducono nove motivi. 6.2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'articolo 238-bis c.p.p. per avere la decisione impugnata utilizzato le sentenze emesse nel processo (OMISSIS), nel processo a carico di (OMISSIS) (persona offesa (OMISSIS)) e nel processo Sub Urbe. Non soltanto in primo grado, quando esse non avevano nemmeno acquisito il crisma della irrevocabilita', ma anche in appello, i giudici di merito - evidenzia la difesa - hanno violato la norma suindicata, perche' l'acquisizione delle sentenze irrevocabili, se fa scaturire da esse la prova dei fatti ivi rappresentati sia pure come fatti storici, affinche' si raggiunga tale effetto e' necessaria l'acquisizione in contraddittorio di elementi ulteriori che ne confermino gli esiti, fermo restando che le dichiarazioni riportate in esse restano assoggettate al regime di utilizzabilita' previsto dall'articolo 238-bis c.p.p.. Posto cio', il ricorrente evidenzia che in nessuno dei due gradi di merito si e' avuta alcuna attivita' di integrazione probatoria, del resto nemmeno sollecitata, e, nonostante cio', la Corte territoriale ha errato ritenendo provati i fatti storici accertati nelle sentenze in esame, con l'effetto che ne risulta inficiato il giudizio di responsabilita' per il reato sub A, tratto essenzialmente da quelle decisioni. 6.2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione, anche per travisamento della prova, in merito all'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) per i reati sub B e C. L'articolazione della doglianza si sviluppa con l'esposizione di argomenti che, in buona parte, coincidono con quelli sviluppati nel primo e nel secondo motivo del precedente atto di impugnazione, quanto alla disamina delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) sotto i profili gia' indicati. Inoltre, si e' ulteriormente criticata l'impostazione dei giudici di appello laddove hanno osservato che una ricostruzione piu' puntuale dei fatti da parte del dichiarante sarebbe risultata artificiosa, impostazione finalizzata a svalutare il riscontro negativo che la sua versione aveva registrato, senza affrontare le critiche sollevate dalla difesa; si e' stigmatizzata la disinvolta modalita' interpretativa adottata dalla Corte territoriale per ritenere compatibili le affermazioni del collaboratore relativamente al luogo e alla dinamica dell'uccisione di (OMISSIS), fino a rendere irrilevante, fra gli altri, il fatto che il collaboratore avesse detto che il killer gli aveva sparato in faccia a fronte dell'esito della prova generica da cui era emerso che la vittima era stata attinta dai colpi di arma da fuoco alle spalle; si e' ribadita l'incongruenza giuridica esposta dai giudici di merito per aver ritenuto prevalente la credibilita' di (OMISSIS), il cui narrato era assoggettato alla disciplina dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, rispetto a quella di (OMISSIS); viene esclusa la ritenuta compatibilita' fra la ricostruzione della fase omicidiaria e dei suoi movimenti fatta da (OMISSIS) e l'analisi delle celle agganciate dalla sua utenza telefonica cellulare, al pari della smentita emersa dal traffico telefonico all'affermazione del collaboratore di non conoscere (OMISSIS). Anche in questo atto il ricorrente sottolinea la persistente mancata indicazione di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di (OMISSIS). Parimenti, si sottopone comunque a censura la motivazione offerta nella sentenza impugnata, anche a voler accedere, per ipotesi, all'assunto della veridicita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), non essendo esse comunque tali da condurre all'accertamento della sussistenza del contributo concorsuale nel duplice omicidio e nei reati in materia di armi da parte di (OMISSIS). 6.2.3. Con il terzo motivo si prospettano violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) all'associazione sub A con il ruolo di promotore e organizzatore. Tale doglianza ripercorre l'iter argomentativo esposto nel terzo motivo del primo atto di impugnazione a cui, pertanto, occorre rimandare. Le conclusioni tratte dal ricorrente dalle gia' richiamate osservazioni convergono nel senso che da nessun passaggio della sentenza impugnata e' dato cogliere le circostanze dimostrative dell'appartenenza dell'imputato al dedotto sodalizio e, in ogni caso, del suo contestato ruolo apicale, non contenendo gli elementi genericamente richiamati dalla motivazione alcuna indicazione del supposto concreto esercizio di un suo riconoscibile ruolo decisionale. 6.2.4. Con il quarto motivo vengono ulteriormente prospettate la violazione di legge e il vizio di motivazione circa la qualificazione giuridica della fattispecie contestata al capo A. Questa doglianza ripercorre, in parte, le argomentazioni contenute nel quarto motivo del primo atto di impugnazione, a cui, pertanto, si rinvia. Inoltre, la difesa sottolinea la carenza di motivazione su uno dei requisiti propri dell'associazione di tipo mafioso, vale a dire l'avvenuto conseguimento in concreto, nell'ambiente in cui essa opera, di una capacita' di intimidazione effettiva che deve necessariamente esteriorizzarsi con una condotta positiva. Di recente, rileva il ricorrente, la vicenda di altra associazione che aveva interessato il territorio romano, nota come Mafia Capitale, aveva contemplato un esito di legittimita' che aveva riconfermato la necessita' che il gruppo faccia un effettivo esercizio della forza intimidatrice, non essendo sufficiente, per l'integrazione del reato di cui all'articolo 416-bis c.p., neanche il dolo intenzionale di farvi ricorso, essendo imprescindibile la manifestazione esterna della capacita' di intimidazione, tale da rendere esplicito il nesso di strumentalita' tra il metodo mafioso e gli scopi perseguiti dalla consorteria. Proprio l'orientamento richiamato, si aggiunge, se ha ritenuto configurabile il reato con riferimento a realta' criminali strutturalmente modeste che esercitino la forza di intimidazione in modo oggettivamente limitato o anche soggettivamente parziale, ha ribadito che, anche in tali contesti, sono necessarie la manifestazione all'esterno della capacita' di intimidazione e la produzione dell'atteggiamento omertoso, non essendo sufficiente la sola strutturazione con regole interne rigide, anche violente, ma senza riflesso esterno. A fronte di tale inquadramento, nella sentenza impugnata, lamenta il ricorrente, l'esteriorizzazione del metodo mafioso poggia su elementi di fatto connotati da una lampante fragilita', non bastando l'impiego di metodologie asseritamente violente o intimidatorie per la prova dell'effettiva acquisizione da parte del gruppo e della puntuale estrinsecazione da parte dello stesso del metodo mafioso, per gli effetti di cui all'articolo 416-bis, comma 3, c.p., non bastando al riguardo la ritrosia di singole persone offese a proporre denuncia, ne' il rilievo dello scontro fra fazioni criminali contrapposte, operanti sul medesimo territorio, che anzi era indice di mancato conseguimento da parte del presunto clan della necessaria posizione egemonica, con la connessa capacita' di dominio. 6.2.5. Con il quinto motivo vengono denunciati la violazione dell'articolo 416-bis, comma 4, c.p. e il corrispondente vizio di motivazione in punto di accertamento della circostanza aggravante dell'associazione armata. Gli argomenti utilizzati dai giudici di appello per ritenere sussistente questa aggravante - ossia il modo di realizzazione del duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS), l'episodio della gambizzazione di (OMISSIS) emerso nel processo Sub Urbe e la condanna per armi di altri esponenti del clan (in particolare, (OMISSIS)) - sono reputati dalla difesa non rilevanti, in quanto: il tentato omicidio di (OMISSIS) era stato giudicato aggravato dal metodo mafioso, non dall'agevolazione mafiosa, e i responsabili erano estranei alla compagine associativa, sicche' manca il nesso con il reato oggetto del presente esame; la vicenda relativa alla condanna di (OMISSIS) aveva riguardato la sua personale posizione, senza implicazioni di ordine associativo; quanto alla vicenda omicidiaria, per essa, oggetto di questo stesso processo, si fa richiamo alle censure gia' articolate. 6.2.6. Con il sesto motivo si evidenziano la violazione dell'articolo 416-bis, comma 6, c.p. e il corrispondente vizio di motivazione in punto di accertamento della circostanza aggravante del reinvestimento dei proventi delle attivita' delittuose. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente questa aggravante sul presupposto che era naturale per il sodalizio reinvestire i proventi delle attivita' delittuose. Tuttavia, lamenta il ricorrente, la decisione ha omesso di individuare quali fossero state le attivita' e quali fossero stati i reati che avevano prodotto tali proventi, per cui sull'argomento la sentenza viene censurata per l'assoluta carenza di motivazione. 6.2.7. Con il settimo motivo si prospettano la violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. e il corrispondente vizio di motivazione in punto di accertamento della corrispondente circostanza aggravante in relazione ai reati di cui ai capi B e C. Si fa notare che la sentenza impugnata ha implicitamente escluso per la maggior parte dei reati satellite la suddetta aggravante, ritenendola configurata unicamente con riguardo alla vicenda del duplice omicidio e ai connessi reati in materia di armi. La difesa osserva che, essendo stati commessi i reati in tempo antecedente alla costituzione della addotta associazione mafiosa, la circostanza aggravante, per cio' solo, non avrebbe potuto essere ritenuta sussistente. 6.2.8. Con l'ottavo motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente censura il modo di motivare sul tema, avendo la Corte di assise di appello formulato un giudizio generalizzato, riferito indiscriminatamente a tutti gli imputati, senza considerare, dunque, le peculiarita' proprie della posizione del singolo imputato, quali l'eta' e le condizioni di vita. 6.2.9. Con il nono motivo si denuncia la violazione dell'articolo 597, comma 4, c.p.p. per l'avvenuta infrazione del divieto di reformatio in peius. Si osserva sull'argomento che (OMISSIS) in primo grado era stato condannato, per i reati a lui ascritti, posti in continuazione, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi sei. La sentenza di appello ha assolto l'imputato dai reati sub Z e AA, ma ha lasciato immutata la pena, cosi' ponendosi in contrasto con la norma indicata, la quale avrebbe richiesto la corrispondente diminuzione di pena, avendo peraltro l'elaborazione ermeneutica chiarito che il divieto di reformatio in peius riguarda, non soltanto l'entita' della pena complessiva, ma anche tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione: infatti, quando nel reato continuato la pena resti immutata, la conseguenza che se ne trae e' che la pena eliminata a titolo di aumento in relazione al reato escluso sia stata compensata dall'irrogazione di una maggior pena per i reati residui, ma cio' implica l'aggravamento, per essi, del trattamento sanzionatorio, non consentito, in assenza dell'appello del pubblico ministero. 7. Il ricorso di (OMISSIS) ((OMISSIS)); Il difensore ha impugnato la sentenza, articolando cinque motivi. 7.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'articolo 122, in relazione all'articolo 589, c.p.p. per difetto della procura speciale necessaria, a pena di inammissibilita', per la rinuncia al motivo di appello inerente al capo O). I giudici di secondo grado hanno ritenuto sostanzialmente rinunciato il suddetto motivo e considerato provato il relativo addebito (l'usura in danno di (OMISSIS) riferita al 2016) per la sostanziale acquiescenza all'affermazione di responsabilita', desumendo cio' dalle trascrizioni relative all'udienza del 4 dicembre 2020: ma, per rinunciare a un motivo di appello, l'imputato avrebbe dovuto rilasciare al difensore la procura speciale; invece, l'imputato, presente in videocollegamento, non era stato reso edotto, ne' aveva interloquito in merito. 7.2. Con il secondo motivo vengono prospettati la violazione dell'articolo 416 c.p., comma 2, e il corrispondente vizio di motivazione. I giudici di secondo grado hanno considerato provato il fatto che l'imputato sia stato capo e promotore del sodalizio in questione sulla scorta della ritenuta convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori, ma - obietta la difesa - il contributo narrativo dei medesimi non si e' rivelato affatto convergente: (OMISSIS) nulla ha riferito; (OMISSIS) ha evidenziato una confusione fra i vari (OMISSIS) e, comunque, dell'imputato ha ammesso una conoscenza solo superficiale; anche (OMISSIS), ritenuto intraneo al clan, ha dato conto di una conoscenza superficiale dell'imputato e, comunque, estranea all'ambito criminale; (OMISSIS) nulla ha riferito in ordine alla partecipazione dell'imputato al reato associativo; quanto, infine, alle dichiarazioni di (OMISSIS), esse al piu' evidenziano usure dell'imputato, confinate pero' nell'ambito personale, senza coinvolgimenti di natura associativa. Da cio' il ricorrente trae che la Corte territoriale non aveva visto emergere elementi idonei per considerare coinvolta la sua sfera nell'attivita' del configurato clan (OMISSIS) e, meno che mai, per attribuirgli la qualifica di organizzatore dell'associazione, in nessun modo risultando spiegate le ragioni della ritenuta partecipazione qualificata alla consorteria di (OMISSIS), (OMISSIS), ne' come e perche' egli avrebbe condiviso con i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) il potere decisionale criminale. Sul tema, la difesa evidenzia, oltre all'assenza di coinvolgimento dell'imputato nelle conversazioni intercettate, anche la sua incensuratezza e la sua immunita' da precedenti di polizia, essendo soggetto impiegato da oltre trenta anni all'interno dell'aeroporto di (OMISSIS), senza l'emersione di alcuna prova della sua presenza in casa con il fratello (OMISSIS) dopo gli attentati subiti da quest'ultimo, a tanto non valendo nemmeno le incomprensibili intercettazioni ambientali acquisite. 7.3. Con il terzo motivo si denunciano la violazione degli articoli 644, 56-629, 416-bis.1, 61, n. 2, c.p.. Con particolare riferimento all'aggravante mafiosa, secondo il ricorrente, in nessuna parte della sentenza di appello si da' conto degli elementi da cui potesse desumersi l'assunto che l'attivita' usuraria era stata messa in essere per conto o in favore della contestata associazione mafiosa, oppure che sussistesse una cassa comune utilizzata dai membri del gruppo per quel fine, mancando, poi, ogni prova dell'evenienza dei requisiti strutturali della circostanza aggravante in esame sotto l'aspetto del metodo mafioso, con riguardo al reato sub O. La Corte di merito e' giunta alla conclusione di sussistenza dell'aggravante speciale relativamente all'agevolazione mafiosa soltanto sulla scorta della erroneamente ritenuta rinuncia del primo motivo di appello: gli argomenti sviluppati nella sentenza per escludere l'aggravante mafiosa relativamente ai prestiti oggetto del capo N) avrebbero dovuto, pertanto, valere per quelli, qui in questione, oggetto del capo O), identica essendo nei due casi la persona offesa, ossia (OMISSIS) ed essendo illogico aver ascritto le corrispondenti condotte talvolta al contesto associativo, talaltra al solo imputato. La censura coinvolge anche la tentata estorsione di cui al capo P), trattandosi di un episodio risoltosi, in punto di fatto, in un diverbio fra (OMISSIS) ((OMISSIS)) e lo stesso (OMISSIS), rispetto al quale quest'ultimo non aveva fatto alcun riferimento, in ordine al sentimento di paura a lui cagionato, a persone diverse dallo stesso imputato. 7.4. Con il quarto motivo si deducono la violazione del Decreto Legislativo n.385 del 1 settembre 1993 articolo 132, e la manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo N). Le piccole dazioni delle somme di denaro oggetto dell'accusa non avrebbero potuto, ad avviso della difesa, assurgere a condotta penalmente rilevante in riferimento all'imputazione indicata, non potendo individuarsi, nella fattispecie, un sistema aperto rivolto a un numero non circoscritto di potenziali aderenti: l'imputato, nel corso di tre anni, si era interfacciato con soli sette soggetti e i prestiti avevano riguardato sempre somme di modica entita', senza alcuna connotazione di carattere imprenditoriale, con la corrispondente organizzazione, non potendo ritenersi che la stessa partecipazione ad associazione mafiosa determinasse l'evenienza dell'elemento organizzativo, necessario per l'integrazione del reato in esame. 7.5. Con il quinto motivo si lamentano la violazione degli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p. e il vizio di motivazione per l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il complessivo trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, secondo il ricorrente, ha mancato di esporre, se non con riferimenti propri di una motivazione apparente, le ragioni dell'affermata adeguatezza della pena, la cui misura si era discostata dal minimo edittale. Di specifico rilievo e' dalla difesa reputata la carenza dell'esplicitazione delle ragioni che hanno condotto i giudici di merito al diniego delle attenuanti generiche, in tal modo essendosi lasciata inevasa la questione posta con l'appello: se e' vero che la Corte di merito non era tenuta a prendere in esame gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, e' parimenti vero, secondo la difesa, che essa avrebbe dovuto compiere, comunque, una valutazione delle complessive esigenze di individualizzazione della pena, nel quadro della valorizzazione degli elementi considerati ostativi al riconoscimento delle attenuanti stesse. 8. Il ricorso di (OMISSIS) ((OMISSIS)). I difensori hanno formulato diciassette motivi. 8.1. Con il primo motivo si denunciano la nullita' o abnormita' del decreto di giudizio immediato con riferimento ai reati di cui ai capi A), B), C), E), F), e H), nonche' l'improcedibilita' per gli stessi reati. La questione era stata posta nei precedenti gradi, ma entrambe le Corti di merito hanno continuato erroneamente a ritenere procedibile l'azione penale per quei reati, adeguandosi alle tesi prospettate dalla pubblica accusa. Effettuata la cronistoria delle progressive iscrizioni inerenti alla posizione di (OMISSIS), (OMISSIS), la difesa considera acquisito che nel processo contrassegnato dal n. 47412/2015 R.G.N. R., nell'ambito del quale l'imputato ha riportato la condanna, confermata in appello, per i reati di omicidio, armi, incendio, cessione di stupefacenti, il suddetto (OMISSIS) non era mai stato iscritto nel registro delle notizie di reato. Si e' considerato che, per altro verso, il procedimento inizialmente contrassegnato dal n. 4643/2014 R.G.N. R. era stato prima archiviato, poi, all'esito della riapertura delle indagini, aveva assunto il n. 5993/2017 R.G.N. R. e che il Pubblico ministero aveva informato che quest'ultimo procedimento era stato riunito al procedimento n. 47412/2015 R.G.N. R., senza pero' precisare come, quando e da chi fosse stata disposta la riunione. Deriva da cio', secondo il ricorrente, che, se la riunione non fosse stata disposta ovvero non lo fosse stata in modo legittimo, la condanna per i reati inerenti al procedimento n. 47412/2015 R.G.N. R. sarebbe avvenuta in un processo per il quale mancava l'iscrizione nel registro dei reati, con conseguente necessita' di annullare senza rinvio la sentenza impugnata, per l'originaria improcedibilita' dell'azione penale. Alle sollecitazioni a chiarire la data di iscrizione del procedimento, i nominativi degli indagati e i fatti oggetto del procedimento, per stabilire se la riapertura delle indagini fosse avvenuta in modo rituale e valido, in relazione alle dichiarazioni dei collaboratori acquisite in precedenza, non era stata data esauriente risposta e la sentenza di primo grado non aveva dedicato una sola parola alla questione. Posto cio' - sostiene la difesa -, e' risultato certo, per averlo ammesso il Procuratore generale territoriale, che l'azione penale nei confronti di (OMISSIS) nel procedimento n. 47412/15 R.G.N. R. non e' stata preceduta dalla doverosa iscrizione nel registro delle notizie di reato per i reati di cui ai capi B) e C), senza che sia risultato un formale e specifico provvedimento di riunione con il procedimento n. 5993/17 R.G.N. R., soltanto annunciato ma mai dimostrato. E tale rilievo aveva integrato una prima causa di improcedibilita' dell'azione penale. Inoltre, il ricorrente segnala la nullita', per violazione dell'articolo 414 c.p.p., in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b), o l'abnormita' del decreto di riapertura delle indagini: da cio' sarebbe derivata un'ulteriore causa di improcedibilita' dell'azione penale per violazione del giudicato endoprocessuale. Essendo chiari i limiti segnati dall'interpretazione del quadro normativo vigente alla riapertura delle indagini, il fatto che essa fosse stata richiesta per il sostanziale recupero delle attivita' gia' svolte in relazione all'audizione dei collaboratori, effettuata fuori termine rispetto al precedente corso delle indagini preliminari, e il rilievo che il decreto non aveva espresso una ragione che fosse centrata sull'esigenza di nuove investigazioni avevano viziato in modo radicale il decreto stesso, da ritenersi nullo, anzi abnorme, ma non autonomamente impugnabile: la conseguenza e' stata che il vizio si e' trasferito al decreto di giudizio immediato, con interesse dell'imputato di eccepire la nullita' derivata degli atti successivi ai sensi dell'articolo 185 c.p.p., trattandosi di un'archiviazione non seguita da una valida riapertura delle indagini preliminari. 8.2. Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell'articolo 238-bis c.p.p. per avere la decisione impugnata utilizzato le sentenze emesse nel processo (OMISSIS), nel processo a carico di (OMISSIS) (persona offesa (OMISSIS)) e nel processo Sub Urbe. Premesso che (OMISSIS) era rimasto estraneo alla prime due delle tre vicende processuali esitate da queste sentenze e che queste decisioni soltanto nel corso del giudizio di appello erano divenute irrevocabili, i giudici di merito - segnala la difesa - hanno erroneamente attribuito al contenuto di quelle decisioni valenza probatoria dei fatti rappresentati, considerati come fatti storici, quasi a ritenere ancora operante la pregiudiziale penale di ascendenza inquisitoria, in ogni caso derivando da esse in modo automatico la dimostrazione dei relativi fatti, non applicando in modo integrale e corretto la suindicata norma. In tal senso il giudice del processo ricevente, nel contraddittorio in cui le sentenze erano state introdotte, avrebbe dovuto verificare se chi ne aveva interesse aveva curato l'acquisizione di elementi ulteriori tali da confermarne l'esito in fatto: nulla di tutto cio' pero' si era registrato. 8.3. Con il terzo motivo si prospettano la violazione degli articoli 192, comma 3, 530 e 533 c.p.p. e il corrispondente vizio di motivazione in merito alla ritenuta responsabilita' dell'imputato per i reati di cui ai capi B) e C). Evidenziata la valenza primaria dell'imputazione di omicidio anche per quanto concerne la connessa accusa inerente al reato associativo, in merito al quale, pur indagando dal (OMISSIS) , gli inquirenti, prima delle dichiarazioni di (OMISSIS), non avevano mai formalizzato alcuna accusa, sicche' i giudici di merito avrebbero dovuto dapprima saggiare la fondatezza dell'imputazione di omicidio e poi quella relativa al reato di cui al capo A), e non viceversa, il ricorrente lamenta che alla vicenda omicidiaria sia stata dedicata anche nella sentenza impugnata una disamina racchiusa in poche pagine effettive, al netto della riproduzione delle testimonianze e delle sentenze irrevocabili, cosi' che la motivazione viene considerata sostanzialmente insussistente. La difesa muove dalla considerazione che la decisione di appello, come quella di primo grado, si sia fondata in via esclusiva sulle affermazioni dei collaboratori, sicche', se le dichiarazioni di soggetti di tale estrazione, coindagati, possono costituire prova del fatto e della responsabilita' dell'imputato, occorre sempre tenere presente che tali elementi possono dispiegare efficacia probatoria a determinate condizioni, costituite dalla rigorosa applicazione della regola di cui all'articolo 192 c.p.p. comma 3, e dei corollari che l'elaborazione giurisprudenziale da tale regola ha tratto, principi a cui la Corte territoriale ha fatto riferimento (alle pagine da 89 a 96). Con riferimento al collaboratore (OMISSIS), un requisito di attendibilita' che avrebbe dovuto essere attentamente vagliato era quello relativo al suo disinteresse, dal momento che egli, prima di iniziare la collaborazione, aveva subito condanne che avevano gia' superato i trenta anni di reclusione. Egli aveva un forte interesse a rendere dichiarazioni, sicche' era riduttivo ritenere naturale la tendenza del medesimo a conseguire i benefici previsti dalla legislazione premiale. Altro requisito di cui avrebbe dovuto vagliarsi l'evenienza era quello della precisione del narrato del collaboratore, requisito da non confondersi con la ricchezza di dettagli, bensi' da parametrarsi con la necessita' di esatta ricostruzione del fatto. L'interpretazione aveva chiarito anche i confini entro cui puo' ammettersi la valutazione frazionata della chiamata, praticabile quando il suo oggetto riguardi piu' di un evento o piu' di una posizione, essendo invece molto piu' problematico accedere a tale valutazione frazionata della dichiarazione riguardante un solo evento e una sola posizione. In ogni caso - ribadisce il ricorrente - l'interpretazione consolidata ritiene pacifico che la chiamata in reita' o correita', di per se' stessa, non sia sufficiente a costituire prova del fatto riferito, dovendo essere assistita da elementi di riscontro indipendenti da essa, convergenti e individualizzanti, principio in astratto richiamato dai giudici di appello, che tuttavia hanno mancato di rispettare le condizioni fissate dalla giurisprudenza per saggiare l'efficacia dell'elemento di riscontro: la prova della responsabilita' di (OMISSIS) nella fattispecie omicidiaria e' stata individuata nella sentenze di merito esclusivamente nella chiamata in reita' di (OMISSIS), il quale, pur ammettendo altri reati, si era mantenuto fuori dalla partecipazione a quel fatto, assumendo la veste di testimone oculare. A fronte di siffatta posizione, si fa notare, l'approfondimento del relativo narrato avrebbe dovuto contrassegnarsi per un rigore estremo: invece, gia' la sentenza di primo grado aveva sostanzialmente evitato di controllarne la credibilita' soggettiva, ritenendo di trovare le conferme al suo racconto nelle stesse articolazioni del narrato; d'altra parte, il dato che (OMISSIS) avesse sempre fatto parte del clan (OMISSIS) (nel (OMISSIS) il collaboratore aveva l'eta' di quindici anni) non era risultato da alcuna indagine; questi, infatti, non era mai stato iscritto nel registro delle notizie di reato per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. avendo aperto la relativa prospettiva solo la sua autoaccusa, sicche' la sua attendibilita' non era stata mai saggiata in contesti processuali antecedenti, essendo risultato, piuttosto, che (OMISSIS) fosse anche informatore della polizia giudiziaria. Trasferite tali problematiche al secondo grado, la Corte territoriale - si duole il ricorrente ha esaurito il primo livello di controllo dell'affidabilita' del propalante in poche righe, replicando il giudizio positivo della Corte di assise, laddove la credibilita' soggettiva non avrebbe potuto essere ancorata al requisito della - insussistente - novita', tenuto anche conto del risalente rapporto del dichiarante con gli ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nelle indagini, mentre il riferimento operato dalla decisione alla natura spontanea, siccome immune da pressioni o suggestioni illecite, si e' risolto in uno stravagante mezzo per non vagliare in modo effettivo il requisito in esame. Con riguardo, poi, al suo iniziale coinvolgimento nel piano omicidiario riferito da (OMISSIS), anche la difesa di (OMISSIS) sottolinea la mancanza di tenuta logica della risposta data dai giudici di appello all'osservazione difensiva inerente alla chiara inattendibilita' di quel narrato. Il riferimento adesivo operato dalla Corte di assise di appello alla considerazione del primo giudice circa il carattere soltanto embrionale della fase cosi' raccontata dal dichiarante si e' risolto, secondo la difesa, in una mera congettura, che trascura il dato secondo cui il collaboratore aveva detto di avere accettato l'incarico di far parte del commando omicida. E, d'altro canto, nota il ricorrente, nessuna delle due sentenze di merito ha spiegato in cosa il presunto piano embrionale si discostasse dal piano ritenuto finale, fin dal principio essendo state anche approntate le armi per l'azione di fuoco. La difesa nota che anche gli accadimenti immediatamente successivi all'omicidio risultano raccontati da (OMISSIS) secondo scansioni improbabili, non essendo spiegabile la ragione per la quale (OMISSIS), dopo il compimento dell'azione di fuoco, trovandosi gia' in auto al di fuori dalla zona oggetto delle indagini, avrebbe dovuto recarsi a casa del collaboratore; cosi' come non e' spiegato perche' (OMISSIS) avrebbe dovuto ricorrere alla mediazione di (OMISSIS) per ottenere l'aiuto di (OMISSIS), che era zio del suo dedotto complice (OMISSIS). Ne' - rimarca il ricorrente - migliora la coerenza dell'analisi svolta nella sentenza impugnata, l'argomento, egualmente congetturale, della sperimentazione di alcuni tentativi di mediazione prima della deliberazione dell'azione omicidiaria. In particolare, assiomatiche vengono qualificate, da un lato, la natura estemporanea dell'agguato ritenuta da entrambe le sentenze di merito ma messa in crisi sia dall'esatta interpretazione dell'intercettazione ambientale dello sfogo di (OMISSIS) (che aveva fatto riferimento, il giorno dopo i fatti, alla lite all'interno del bar tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dai giudici di merito illogicamente retrodatata alla lite del (OMISSIS)) che dalla testimonianza di (OMISSIS), e, dall'altro, la pluralita' dei tentativi di mediazione, gli elementi inerenti ai quali, peraltro fondati su fonti che avevano attinto alle voci correnti fra il pubblico, se letti in modo non travisante, smentivano la loro stessa sussistenza, al piu' potendo intravedersi nel primo di essi un atto di riaffermazione della propria preminenza da parte di (OMISSIS). Il piu' grave difetto della motivazione e', per il ricorrente, la sua dissonanza, pressoche' totale, con il quadro della prova generica, definita dagli elementi obiettivi acquisiti: la sentenza di primo grado si era caratterizzata per l'assenza di precisi riferimenti a tutte le circostanze identificative del fatto omicidiario; la difesa nell'appello, criticando tale carenza, aveva anche proposto la ricostruzione emergente dalla prova generica e dalle dichiarazioni testimoniali; la Corte di assise di appello, limitandosi a citare alcuni aspetti della dinamica omicida, si e' ugualmente sottratta al raffronto organico fra la narrazione di (OMISSIS) e il quadro dell'azione fissato dagli elementi acquisiti aliunde. In particolare, osserva la difesa, il raffronto fra il contenuto della conversazione fra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS), la sede corporea delle ferite patite da (OMISSIS), la situazione dei luoghi relativa al bar che era in ristrutturazione con le slot machines disattivate e aveva un solo ingresso agibile dal (OMISSIS) di (OMISSIS), nonche' il riferimento fatto da (OMISSIS), da un lato, e il narrato di (OMISSIS), dall'altro, avevano palesato una serie rilevante di contrasti (gia' evidenziati nel ricorso di (OMISSIS)), ivi incluso il colore dell'autovettura a bordo delle quale erano giunti i sicari, che avrebbe imposto il rigoroso controllo di attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), controllo in larga parte eluso e, per la parte effettuata, incorso in travisamenti clamorosi. La mancata effettiva constatazione di queste dissonanze - puntualizza il ricorrente - ha precluso alla Corte di merito di prendere atto di quei contrasti e provare a giustificare, ove possibile, la persistente valutazione di attendibilita' del collaboratore nella situazione cosi' rilevata. Del pari omissiva viene considerata dalla difesa la posizione assunta dalla Corte territoriale in merito alla critica mossa alla sentenza di primo grado che, in ordine alla pacifica non veridicita' dell'indicazione di (OMISSIS) circa il giorno e l'ora della sua presenza negli uffici di polizia giudiziaria per l'obbligo di firma, fatti erroneamente coincidere con quelli dell'omicidio, aveva ritenuto neutro quel riferimento per la valutazione di credibilita' del propalante. Ulteriore riprova, per la difesa, dell'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata e' dato dalla gia' ricordata vicenda della minaccia da parte di (OMISSIS) a (OMISSIS), sulla soglia del bar immediatamente dopo l'omicidio, riferita dal collaboratore con il corollario dell'addotto allontanamento da (OMISSIS) di quel testimone oculare, versione mai sottoposta a verifica da parte degli inquirenti e recisamente smentita da (OMISSIS), escusso in dibattimento. L'aver superato quell'irredimibile contrasto con lo pseudo-argomento secondo cui non si vedeva perche' (OMISSIS) avrebbe dovuto aggiungere questo particolare privo di capacita' accrescitiva dalla sua credibilita', dovendo dunque ascriversi la posizione di (OMISSIS) al clima omertoso generato dall'evento, senza che nei confronti di quest'ultimo fosse stato assunto alcun provvedimento conseguente alla ritenuta affidabilita' di (OMISSIS), posizione confermata dalla Corte territoriale, espone la sentenza impugnata alla censura di motivazione illogica e carente rispetto alle specifiche obiezioni a tale impostazioni opposte con l'atto di appello; cio', a parte la mancata analisi, gia' alla stregua del buon senso, della condotta di (OMISSIS) riferita da (OMISSIS), condotta del tutto collidente con le evidenze relative al teatro del duplice omicidio, come ricostruite in forza della prova generica, delle altre indicazioni e anche della testimonianza di (OMISSIS), evidenze che avrebbero sconsigliato a chiunque di avvicinarsi al bar, peraltro chiuso. La stessa Corte di primo grado aveva dunque manifestato la sussistenza del dubbio ammettendo l'impossibilita' di escludere che (OMISSIS), al momento dei fatti, si trovasse al lavoro, a (OMISSIS), ossia in altro luogo, mentre i giudici di appello hanno ignorato del tutto questa specifica doglianza. La critica del ricorrente investe anche l'individuazione da parte dei giudici di merito della causale del duplice omicidio, individuata, quale occasione prossima, nella vicenda del credito vantato da entrambi i gruppi criminali (OMISSIS) e (OMISSIS) nei riguardi di (OMISSIS), ma come ragione profonda nella forza espansiva dell'influenza degli (OMISSIS) in vari settori degli affari criminali, rispetto a cui gli avversari costituivano ormai un ostacolo intollerabile, senza che pero' al clan (OMISSIS) sia mai stata imputata l'associazione dedita al traffico di stupefacenti. Posti di fronte a tali questioni, i giudici di appello si sono limitati a reiterare l'assetto giustificativo dato dalla Corte di assise, nemmeno prendendo atto che, sentito finalmente in appello, (OMISSIS) aveva negato il duplice debito a lui ascritto: testimonianza, lamenta la difesa, qualificata come reticente senza affrontare il tema di merito, ossia che il debito di (OMISSIS) non era stato affermato da altri che da (OMISSIS), il quale peraltro non aveva affatto accennato all'aggressione fisica invece data per presupposta nella sentenza, senza la spiegazione di come potesse connettersi tale supposto pestaggio a una cessione di stupefacenti assunta come risalente a sei mesi prima. Si segnala che di pestaggio aveva parlato, invece, (OMISSIS), per sentito dire da (OMISSIS), ma esso era riferito, quanto alle persone picchiate da (OMISSIS), all' (OMISSIS) (OMISSIS) e all'individuo indicato come il napoletano, ossia (OMISSIS), ritenuti debitori di (OMISSIS), rispetto a cui l'individuazione di (OMISSIS) come il soggetto protagonista dell'occasione scatenante il duplice omicidio si rivela, per la difesa, l'esito di un'impostazione erronea e travisante delle citate prove. Il ricorrente, poi, censura l'inquadramento della posizione di (OMISSIS), nel contempo ritenuto assiomaticamente coinvolto nel clan (OMISSIS) e, quanto alla vicenda omicidiaria, protagonista soltanto nel favoreggiamento di (OMISSIS): in contraddizione con tale impostazione, si rileva, a (OMISSIS) non era stato contestato il reato associativo e non si e' seguita la pista relativa alla partecipazione di (OMISSIS) all'omicidio, nonostante fosse emerso il riferimento fatto da (OMISSIS) - a un sicario potenziale diverso da (OMISSIS), sulla scorta dell'assunto che tale riferimento non e' valso a intaccare la credibilita' di (OMISSIS). La preminenza delle dichiarazioni di (OMISSIS) rispetto a quelle di (OMISSIS) e' stata, sia pure senza spiegarlo, ritenuta per la natura diretta delle prime, a differenza delle seconde, de relato: tale gerarchia delle fonti di prova sarebbe stata affermata in modo meccanicistico, laddove si sarebbe dovuto comunque valutare il grado di attendibilita' di ciascuna fonte. Del resto, era emersa l'escalation di azioni e reazioni fra (OMISSIS) e (OMISSIS) di cui (OMISSIS) aveva raccontato al fratello (OMISSIS) nella conversazione intercettata, da cui si traeva che alla base della tensione sussisteva un debito di (OMISSIS) non saldato a (OMISSIS), con la reazione di quest'ultimo in occasione della sparatoria del 26 ottobre (OMISSIS). Incrociando queste due fonti di prova, sostiene il ricorrente, i giudici di merito avrebbero avuto materiale adeguato a interpretare correttamente l'episodio del 19 novembre (OMISSIS). La carenza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilita' dell'imputato, inoltre, ha manifestato, per la difesa, un ulteriore punto di caduta nella mancanza di indicazione e analisi dei riscontri esterni alla chiamata di (OMISSIS), necessari ai sensi dell'articolo 192 c.p.p. comma 3, profilo distinto dalla verifica della sua credibilita'. I suddetti profili nella sentenza di primo grado erano stati trattati, segnala il ricorrente, in modo confuso. In particolare, si sottolinea, quanto ai riscontri contestuali all'azione di fuoco, l'unico elemento era stato tratto dall'assunto secondo cui il testimone (OMISSIS) aveva confermato che l'auto con cui i killer si erano portati sul luogo del fatto era identificata nell'Opel Agila grigia del padre di (OMISSIS): ma si trattava, invece, di una circostanza riferita in modo del tutto generico, il suddetto teste non aveva saputo indicare ne' il tipo, ne' il modello, ma solo il colore grigio, un colore non esattamente raro; ma si era soprattutto trascurato che il teste non aveva affatto sostenuto che quell'auto era quella a bordo della quale erano giunti e poi si erano allontanati gli assassini, ma dalla sua deposizione si traeva che egli aveva sentito uno stridore di gomme e poi gli spari, poi si era riparato sotto un'auto e infine aveva visto un'auto allontanarsi; sicche' il colore grigio, nemmeno associato con certezza all'auto che si allontanava, non era stato da lui collegato all'autovettura usata dai killer. E, sempre su tale punto, si aggiunge, l'Opel Agila di (OMISSIS) (padre dell'imputato) era stata verificata, a un controllo, il 18 gennaio (OMISSIS) nella disponibilita' di costui ed era stata poi reperita il 20 dicembre (OMISSIS) a (OMISSIS), nella disponibilita' della sorella dell'imputato, (OMISSIS), mentre del tempo intermedio nulla poteva sostenersi, se non sul piano congetturale. Ne' - precisa il ricorrente - avrebbe potuto considerarsi riscontro ulteriore il disappunto di (OMISSIS) per l'utilizzazione nell'azione di fuoco di un'auto di famiglia, perche' si trattava di una indicazione di (OMISSIS) che non poteva riscontrare il narrato del medesimo collaboratore. Per il resto, quanto ai riscontri individuati nei comportamenti successivi al fatto, essa, secondo la difesa, presenta ontologici profili di problematicita', in quanto l'aiuto all'autore di un delitto in fuga poteva essere prestato pure da un soggetto totalmente estraneo al delitto. Anche i riscontri ritenuti come provenienti dalle telefonate al fuggiasco (OMISSIS) nei mesi successivi all'omicidio erano, secondo la difesa, riferibili in realta' alle stesse dichiarazioni di (OMISSIS) e, quanto alla deposizione dell'inquirente Tassini, erano riferite a dati che soltanto genericamente erano stati riferiti all'imputato, senza alcun ancoraggio certo. I giudici di appello, pero', lamenta la difesa, hanno ignorato i rilievi e hanno persistito nel confondere i tre momenti di controllo alla chiamata di (OMISSIS), producendo un vuoto motivazionale: in particolare, non e' stata spiegata l'opzione per la versione di (OMISSIS) anziche' per quella di (OMISSIS), in ordine all'identificazione in (OMISSIS), anziche' in un altro soggetto ( (OMISSIS)), del complice di (OMISSIS), opzione non spiegabile con un'insussistente gerarchia delle prove fra chiamata diretta e chiamata de relato, peraltro nel caso di specie ricevuta dal padre del collaboratore con l'aggiunta della sottrazione del borsello di (OMISSIS), oltre che da (OMISSIS), di cui nessuno aveva chiesto l'escussione, per gli effetti di cui all'articolo 195 c.p.p.; versione alternativa che aveva peraltro indicato in un'auto di colore bianco (e non grigio) quella impiegata dal commando omicida. Inoltre, secondo la difesa, l'analisi delle dichiarazioni dell'inquirente (OMISSIS) non aveva confermato, contrariamente all'asserzione reiterata dai giudici di appello, la presenza di (OMISSIS) in (OMISSIS) di (OMISSIS), intorno alle ore 16:10 - 16:15 del 22 novembre (OMISSIS), quando era avvenuto il duplice omicidio, perche' il suo telefono non aveva agganciato in quell'ora la cella di via Pedretti, in quanto non poteva asserirsi che egli avesse tenuto spento il telefono in quell'evenienza, avendo egli affermato il contrario nelle sue dichiarazioni in dibattimento. Ne' si sarebbero tratte le necessarie implicazioni - almeno per alimentare il ragionevole dubbio sull'individuazione degli autori del duplice omicidio - derivanti dalle tracce, anche ematiche, rilevate sul teatro dei delitti, le quali, per quanto analizzate, non avevano condotto alla persona di (OMISSIS). In definitiva, la carenza dei riscontri esterni alla chiamata in reita' di (OMISSIS), sostiene la difesa, non avrebbe dovuto essere negata dai giudici di appello, i quali invece si sono limitati a sostenere che, una volta postulata l'attendibilita' del testimone, cosi' qualificato il collaboratore, restava accertata la responsabilita' dell'imputato quale uno degli esecutori materiali. 8.4. Con il quarto motivo si prospettano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' dell'imputato per il reato sub E. Anche nell'analisi di tale reato, relativo all'incendio dei locali dell'agenzia "(OMISSIS)" ubicata in (OMISSIS), avvenuto il 16 novembre (OMISSIS) , soffre per il ricorrente - del medesimo limite di essersi basata sulla sola parola di (OMISSIS), non riscontrata in modo individualizzante, non potendo certo trarre dai riscontri eventualmente rinvenuti per altri reati la conferma relativa a questo. In tal senso, la testimonianza di (OMISSIS) non avrebbe dovuto essere posta sullo stesso piano delle dichiarazioni di (OMISSIS), tanto piu' che (OMISSIS), padre di (OMISSIS), non poteva nutrire malanimo verso (OMISSIS) che, anzi, gli aveva consentito di incamerare, con la caparra, un arricchimento non dovuto. D'altro canto, la valutazione di credibilita' di (OMISSIS) avrebbe dovuto essere riconsiderata dai giudici di merito, avendo egli riferito di una persona all'interno dell'agenzia al momento dell'attentato, laddove in realta' erano presenti nel locale due donne. (OMISSIS) e (OMISSIS): sicche' l'unico elemento di riscontro riferito da (OMISSIS) restava l'uso del casco da parte dell'aggressore, rispetto a una versione resa da (OMISSIS) ben quattro anni dopo il fatto, dopo che aveva potuto accedere anche a informazioni privilegiate derivanti dalla sua conoscenza di appartenenti alla polizia giudiziaria. In ogni caso, conclude il ricorrente, per la posizione di (OMISSIS) non avrebbe potuto non rilevarsi la persistente carenza di riscontro individualizzante. 8.5. Con il quinto motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione per l'accertamento di responsabilita' in ordine al reato sub F. Per quanto concerne questo reato, inerente all'incendio dell'autovettura Alfa Romeo targata (OMISSIS) di proprieta' di (OMISSIS), collocata nel parcheggio di (OMISSIS) in (OMISSIS) di fronte al Municipio, il 21 novembre (OMISSIS) , il ricorrente svolge considerazioni ragguagliabili a quelle esposte per il reato di cui al capo precedente, censurando lo scarsissimo spazio riservato a questo reato dalla Corte di assise di appello per confermare la responsabilita' dell'imputato per un fatto di cui aveva parlato solo (OMISSIS), non essendo un riscontro individualizzante il fatto che l'incendio era stato appiccato davanti al Municipio. 8.6. Con il sesto motivo vengono prospettati la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito al reato di cui al capo H). Tale delitto aveva riguardato la violazione dell'articolo 73 Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, per avere (OMISSIS) ceduto, su disposizione di (OMISSIS), e per avere (OMISSIS) e gli altri coimputati acquistato, in (OMISSIS), intorno al 15 febbraio (OMISSIS) , al fine di distribuirla, ma con l'intento di non pagare e di realizzare, anzi, l'azione intimidatoria rubricata al capo G (non contestato in questo procedimento), 20 chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo hashish, poi custoditi nell'abitazione di (OMISSIS), nella quale una successiva perquisizione effettuata il 27 marzo (OMISSIS) aveva consentito il recupero di 3,4 chilogrammi. Il ricorrente lamenta che l'accusa si era retta su una lettura da considerarsi creativa delle dichiarazioni di (OMISSIS): in sostanza, avrebbe dovuto ritenersi che (OMISSIS), lungi dal volersi mettere in proprio, aveva inteso sostituirsi agli (OMISSIS) nella fornitura di hashish. La Corte di assise di appello non ha, secondo la difesa, annesso il dovuto rilievo che (OMISSIS) era stato condannato, nel processo a carico dei componenti del clan (OMISSIS), per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74, quale esponente di rilievo dell'associazione insediata in quel clan e dedita al traffico di stupefacenti: ma, una volta data per certa la relazione gregaria del clan (OMISSIS) rispetto al clan (OMISSIS), appariva problematico il fatto che (OMISSIS) avesse avallato il pestaggio di (OMISSIS), uomo di punta dei (OMISSIS) nel traffico degli stupefacenti, sicche', non potendo risolvere tale antinomia, i giudici di appello - sostiene il ricorrente - hanno creato dal nulla l'improvviso intento di (OMISSIS) di mettersi in proprio. A partire da tale elemento, secondo la difesa, i giudici di appello hanno omesso di effettuare il vaglio di credibilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), per molti versi implausibili, essendo inverosimile la cessione di un quantitativo di 20 chilogrammi di droga senza definire il prezzo, le modalita' e i tempi del relativo pagamento. Inoltre, (OMISSIS) aveva riferito l'accaduto a un venerdi' o a un sabato, ma non si era tenuto conto che il 15 febbraio (OMISSIS) , quando (OMISSIS) si era presentato ferito presso il Pronto Soccorso del Policlinico (OMISSIS), era un martedi', fatto che costituiva smentita della versione del propalante, perdendo il ricovero la forza di riscontro considerata dai giudici di merito. In ogni caso, il ricovero di (OMISSIS) non avrebbe potuto costituire riscontro oggettivo e soggettivo inerente alla responsabilita' di (OMISSIS), potendo l'evento suddetto al piu' rilevare per il reato di lesioni (dell'altro sub G, pero' stralciato dal presente contesto); d'altro canto, (OMISSIS) aveva reso dichiarazioni cinque anni dopo i fatti e non aveva parlato del ricovero e, quanto al sequestro della droga a casa di (OMISSIS), esso era avvenuto quaranta giorni dopo il fatto, dunque in epoca non coincidente. Che, poi, il quantitativo sequestrato fosse la parte residua della partita di cui aveva parlato (OMISSIS) era restato l'esito di un ragionamento puramente congetturale: d'altra parte, sostiene il ricorrente, (OMISSIS) non aveva mai riferito di aver trattenuto lo stupefacente per se', ne' di averlo affidato a (OMISSIS), essendo stato esposto dall'agente (OMISSIS) il collegamento fra i due fatti. E, certo, l'avvenuto riconoscimento di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), ribadito in dibattimento, non integrava un riscontro individualizzante circa il concorso dell'imputato nel prelevamento della sostanza stupefacente di (OMISSIS). 8.7. Con il settimo motivo vengono denunciati la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo Q). Si tratta del delitto di usura aggravata, contestato come commesso da (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS), relativamente al prestito di Euro 300,00 elargito a (OMISSIS), con la promessa di interessi usurari, con un tasso medio praticato del 60% mensile, in (OMISSIS), nel settembre (OMISSIS). Anche la Corte territoriale ha dato per acquisito che l'imputato non era entrato in modo diretto nel rapporto fra (OMISSIS) e (OMISSIS), essendosi per (OMISSIS) valorizzato un riferimento di (OMISSIS) a (OMISSIS) circa il fatto che doveva rendere conto a (OMISSIS), a cui (OMISSIS) si era rivolto per ottenere una proroga per il pagamento del suo debito: della cui eventuale natura usuraria nulla risultava, pero', accertato, dal momento che nessuna imputazione risultava articolata sul tema. L'autonomia dei due fatti, quindi, non avrebbe potuto autorizzare sottolinea la difesa - la traslazione dall'uno all'altro della partecipazione di (OMISSIS) e, peraltro, se tale partecipazione la si era tratta dall'appartenenza all'associazione mafiosa sub A dell'imputato e dal suo ruolo apicale in essa, l'uno e l'altro fatto avrebbero dovuto essere autonomamente dimostrati: invece, l'aver dato per presupposti questi elementi ha determinato, secondo il ricorrente, un ragionamento dimostrativo fondato su una tautologia, anche sotto l'ulteriore profilo che il fatto di rivestire il ruolo di vertice di un soggetto nel clan non equivale a prova di concorso del medesimo in qualunque reato commesso da un associato. Ne', secondo la difesa, il rovesciamento di questa prospettiva avrebbe potuto essere praticato dai giudici di appello facendo ricorso al contributo di (OMISSIS), anzitutto per la genericita' del riferimento fatto da questo dichiarante all'attivita' usuraria dell'imputato con (OMISSIS) e (OMISSIS), sempre perche' un'associazione avente ad oggetto tali reati non legittima l'attribuzione di tutti i reati a ciascuno degli aderenti, ma poi anche perche' si trattava di narrato de relato, non specifico sulla fonte e non sottoposto ai necessari controlli di attendibilita'. In definitiva, conclude il ricorrente, residuava il mero riferimento a un soggetto di nome (OMISSIS), in un contesto in cui l'imputato era invece noto come (OMISSIS), sicche' esso non avrebbe potuto considerarsi sufficiente a fondare il giudizio di penale responsabilita', in assenza di ogni attivita' da parte dei giudici di merito volta a sciogliere quest'ultima ambiguita'. 8.8. Con l'ottavo motivo si lamentano la violazione di legge e il vizio di motivazione circa l'attribuzione a (OMISSIS) del reato di cui al capo S. Si tratta del reato di cui al Decreto Legge n. 306 del 8 giugno 1992, articolo 12-quinquies , convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 (oggi 512-bis c.p.), aggravato, in relazione alle operazioni, realizzate in concorso con altri, di intestazione fittizia a (OMISSIS) a scopo elusivo, inerenti alla (OMISSIS) che gestiva dal 27 ottobre (OMISSIS) la sala da gioco di (OMISSIS), denominata (OMISSIS), e dal 23 agosto (OMISSIS) quella di (OMISSIS), denominata (OMISSIS). Si sostiene dalla difesa che tutti i vizi denunciati con riferimento alla sentenza di primo grado si trovano riproposti nella decisione impugnata. In particolare, contestandosi all'imputato un'attivita' successiva alla costituzione delle societa' (avvenuta nel 2008 quando (OMISSIS) aveva (OMISSIS) anni), era almeno dubbio che la sola mancata formalizzazione del passaggio di proprieta' delle quote integrasse, gia' in astratto, il reato. Inoltre, con riferimento alla (OMISSIS), i giudici di merito non hanno spiegato, secondo la difesa, su quali elementi fattuali essi hanno accertato il subingresso di (OMISSIS) a (OMISSIS) il 23 agosto (OMISSIS), non essendo stati dimostrati contatti fra i due soggetti con riferimento al periodo di interesse, se non alcuni elementi generici, afferenti, fra l'altro, al bar della famiglia (OMISSIS), ove erano state allocate alcune slot machines da (OMISSIS), elemento valorizzato in modo illogico, mentre non significativi erano i bonifici da (OMISSIS) all'imputato e l'interessamento di quest'ultimo al servizio bar della sala giochi. Sul primo punto, si aggiunge che le conversazioni captate e valorizzate erano antecedenti all'avvio della contestata gestione di fatto e il loro tenore, in ogni caso, ineriva a vincite al gioco di (OMISSIS) nella sala giochi di (OMISSIS), senza prova in ordine ai bonifici. Sul secondo punto, la difesa osserva che la gestione del servizio bar, effettuata da (OMISSIS) con mezzi propri, non lo aveva visto coinvolto nella gestione della sala giochi, anche in relazione alle conversazioni da cui si desume la manifestazione del disinteresse di (OMISSIS) alla cessione del bene. 8.9. Con il nono motivo si evidenziano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al giudizio di colpevolezza per il reato associativo (capo A). Per il ricorrente l'apparente corposita' della parte della decisione dedicata al reato associativo non puo' nascondere che quella costituente effettiva motivazione e' racchiusa in poche pagine in cui si e' prospettata la soluzione dei problemi complessi posti dalla regiudicanda: risulta trascurata l'esigenza primaria di fissare i cardini indicativi della sussistenza della contestata associazione di tipo mafioso, mediante la ricognizione degli elementi costitutivi richiesti dall'articolo 416-bis c.p., ivi inclusi quelli comuni alla fattispecie generale dell'articolo 416 c.p., non bastando al riguardo il mero riferimento alla relazione di parentela, talvolta lontana, fra i vari (OMISSIS) imputati. Inoltre, nota la difesa, i giudici di merito non si sono curati di verificare se della fattispecie associativa contestata sussistesse l'elemento organizzativo, verifica vanamente richiesta alla Corte territoriale, la quale si e' limitata a un improprio richiamo alla sentenza di legittimita' che ha definito il processo relativo al clan (OMISSIS), giacche', se ne avesse applicato i principi, avrebbe dovuto pervenire alla conclusione dell'insussistenza dell'associazione nel presente processo: l'arresto richiamato aveva riaffermato che i fatti qualificanti dell'associazione mafiosa sono l'assoggettamento e l'omerta' scaturenti dall'entita' associativa, fatti che, per la configurabilita' del reato, devono essere provati con l'esposizione delle ragioni che ne hanno determinato il riscontro. Con particolare riferimento alle nuove mafie, sottolinea il ricorrente, si richiede che l'associazione abbia gia' conseguito nell'ambiente in cui opera una capacita' di intimidazione effettiva: i giudici di merito avrebbero dovuto distinguere fra atti strumentali all'assoggettamento e atti gia' attuativi di esso, i primi non bastando a provare il reato associativo, e avrebbero dovuto argomentare in merito alla dimensione associativa, e dunque meta-individuale, della loro estrinsecazione, ma non l'hanno fatto. Passando alla ricognizione delle fonti di prova, il ricorrente, da un lato, evidenzia che il riferimento alle intercettazioni e all'attivita' di polizia giudiziaria va inteso come una clausola di stile, dato che di esse non si e' tenuto alcun conto e le deposizioni dei testimoni di polizia giudiziaria essendosi risolte in autoreferenziali elucubrazioni a tavolino, e, dall'altro, lamenta che le altre testimonianze sono state in larga misura ignorate, salvo a ritenerle prova di omerta' diffusa. Quanto alle sentenze, quella relativa al clan (OMISSIS), alla stregua di quanto gia' dedotto, non e' ritenuta dalla difesa idonea a provare una relazione diretta di filiazione tra quella consorteria e l'associazione contestata come clan (OMISSIS), anche per l'assenza di elementi di conferma acquisiti in contraddittorio, oltre che per la natura soltanto incidentale dei riferimenti agli (OMISSIS) fatti in quel processo. In ordine alla valenza probatoria del narrato dei collaboratori, se in teoria le loro dichiarazioni potevano riscontrarsi reciprocamente, in concreto - lamenta la difesa - cio' non si era verificato, posto che i giudici del merito non hanno operato i controlli necessariamente presupposti e giustificati da adeguata motivazione per acclarare l'effettiva convergenza del molteplice, certo non potendo annettersi convergenza ad affermazioni basate su fatti notori o desumibili da fonti aperte. In via generale, con rifermento ai criteri di valutazione del narrato dei collaboratori, il ricorrente censura l'affermazione della Corte territoriale secondo cui le affermazioni del collaboratore scaturenti dalla conoscenza comune interna all'organizzazione non necessiterebbero di riscontri, mentre avrebbe dovuto considerarsi che la plausibilita' dei loro contributi era inversamente proporzionale alla distanza del dichiarante dal nucleo dell'addotta associazione. Ebbene - sottolinea il ricorrente - in primo luogo, dei cinque collaboratori le cui dichiarazioni sono state utilizzate, quattro ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) erano estranei al presunto clan (OMISSIS), mentre (OMISSIS) aveva circoscritto la sua intraneita' al gruppo all'intervallo fra la meta' del (OMISSIS) e la meta' del (OMISSIS), senza peraltro l'emersione di alcun riscontro che lo confermasse; di fatto, egli aveva raccontato di fatti interni al dedotto clan solo l'episodio di cui al reato sub H, non riscontrato; gli altri collaboratori, tranne (OMISSIS), nemmeno avevano menzionato (OMISSIS) e la sentenza di appello, pur avendo dedicato molto spazio alle dichiarazioni di quest'ultimo, non ha speso nessuna considerazione sulla prova dell'intraneita' del collaboratore al clan (OMISSIS). In secondo luogo, si osserva, tre dei cinque collaboratori - (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (con riflessi per il marito (OMISSIS)) - avevano avuto relazioni, quali informatori, con esponenti della polizia giudiziaria che poi avevano indagato sul clan (OMISSIS), sicche' non avrebbe potuto escludersi che il loro narrato altro non fosse che la loro rielaborazione di ipotesi investigative. Quanto al contributo di (OMISSIS), la difesa lamenta la sua incongrua enfatizzazione, dovendo esso ritenersi, al contrario, insussistente se riferito al prefigurato clan (OMISSIS), essendo stato sensibilmente dequotato il suo contributo nel processo relativo al clan (OMISSIS). Quanto, poi, a (OMISSIS), anche a voler accreditare il suo narrato come fonte di verita', esso si era dipanato nella direzione del traffico di stupefacenti ascritto a se', a (OMISSIS) e a (OMISSIS), non al supposto clan (OMISSIS) nel suo complesso. E (OMISSIS), unico collaboratore presentabile, nulla aveva potuto riferire quanto all'associazione in questione. In conclusione, sostiene il ricorrente, la sentenza impugnata ha addotto una convergenza di contributi dei collaboratori nella sostanza inconsistenti. In ordine alla valenza dei cinque episodi costituiti dall'estorsione in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla testata di (OMISSIS), spalleggiato da (OMISSIS), al giornalista (OMISSIS), dall'estorsione in danno di (OMISSIS), dall'episodio relativo al chiosco (OMISSIS) e dagli attentati ed esplosioni in danno di esponenti della famiglia (OMISSIS), il ricorrente svolge considerazioni in parte sovrapponibili a quelle esposte dalla difesa di (OMISSIS), facendo notare l'illegittima acquisizione quali prove delle sentenze inerenti alle prime due vicende, siccome operata in modo da non rispettare il disposto dell'articolo 238-bis c.p.p., in carenza di altri elementi a riscontro; ribadisce la differenza fra l'applicazione dell'aggravante del metodo mafioso a un singolo reato e l'estrinsecazione dell'intimidazione sistemica da parte del sodalizio di stampo mafioso, segnalando il carattere non provato dell'estorsione al tabaccaio (OMISSIS) ed evidenziando la carenza di motivazione sulla significativita', soltanto presupposta, ai fini associativi degli attentati in danno degli (OMISSIS). Restati, pertanto, senza prova i fatti addotti a dimostrazione della consorteria mafiosa, la difesa rimarca la mancata contestazione di un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, venendo singolarmente contestata una sola operazione di spaccio e nessuna dal (OMISSIS) al 2018 nel settore che avrebbe costituito il core business del gruppo: sintomo chiaro, sostiene il ricorrente, dell'assenza di un qualsiasi elemento, anche indiziario, della costituzione di un sodalizio strutturato, laddove per il clan (OMISSIS) proprio la contestazione del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articolo 74 era stata la chiave per l'accertamento dei profili organizzativi di quel gruppo; non essendo stati nemmeno contestati in numero apprezzabile reati di spaccio di stupefacenti, non si vede come l'accusa della costituzione dell'associazione mafiosa abbia potuto indicare nel relativo settore l'area di prevalente azione del gruppo. Per il resto, sparuto e circoscritto nel tempo, secondo il ricorrente, e' il numero di estorsioni, tentate o consumate, contestate in connessione con l'attivita' del dedotto clan, con accuse poi in gran parte gia' dissoltesi anche per l'insussistenza del fatto, con la conservazione del delitto tentato sub M, confermato il solo metodo mafioso, e dei reati di cui ai capi P), per il quale e' stata gia' esclusa l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, fermo il metodo mafioso, e R, quest'ultimo gia' accertato come del tutto esulante dal contesto associativo. Medesime considerazioni valgono, per la difesa, in ordine ai reati di usura, soltanto due e contestati dal (OMISSIS) in poi, sicche' tale ramo di illeciti per undici anni dal (OMISSIS) non si sarebbe manifestato. Inoltre, l'esercizio abusivo del credito (capo N) risulta gia' depurato dell'aggravante mafiosa, per i reati di cui ai capi P) e O) risulta essere stata implicitamente esclusa l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, al pari del reato di cui al capo Q). Anche per i reati di reimpiego di capitali illeciti nelle sale da gioco, esclusa la rilevanza penale di quelli descritti ai capi V) e AA), per gli altri si sono richiamate le considerazioni gia' svolte con primario riferimento all'inconsistenza dell'assunto accusatorio e all'inadeguatezza dell'accertamento istruttorio. Nel quadro cosi' delineato, la difesa rileva che, pur essendo la contestazione del reato associativo fatta decorrere dall'anno (OMISSIS), nessuna delle due sentenze di merito ha individuato il momento genetico dell'associazione. Allo stato, essendosi dissolto il reato sub I per l'accertata insussistenza, i reati piu' risalenti risultano quelli sub G (descritto, ma non contestato in questo procedimento) e sub H, contestati come commessi il 15 febbraio (OMISSIS) : essi, tuttavia, non attenevano a fatti, ma a un mero racconto di (OMISSIS), implausibile e non riscontrato, e in ogni caso trarre da un pestaggio a carico di un individuo isolato la dimostrazione della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo avrebbe costituito un'evidente e censurabile forzatura. Tali reati, peraltro, erano stati seguiti dopo nove mesi dai due incendi (capi E ed F), sicche' piu' plausibile sarebbe stato individuare nel duplice omicidio del novembre (OMISSIS) il fatto fondante il preteso gruppo mafioso. E le narrazioni delle due sentenze di merito collocano effettivamente - osserva la difesa - nel duplice omicidio il salto di qualita' dell'acquisizione del carattere mafioso dell'associazione: ma allora, oltre a restare contraddittoria la retrodatazione della pretesa associazione al (OMISSIS), avrebbe dovuto riconoscersi che gli stessi omicidi erano atti esterni e antecedenti alla configurazione del reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e, per altro verso, ricercare altri fatti, diversi da quelli genetici, nei quali si potesse ravvisare l'estrinsecazione dell'acquisita forza di intimidazione del gruppo. Pertanto, conclude il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare - e non lo ha fatto - in merito alle manifestazioni esteriori della forza di intimidazione del clan (OMISSIS), le quali avrebbero dovuto essere necessariamente diverse e successive rispetto al fatto genetico individuato nella commissione dei due omicidi. Gli argomenti usati - gia' citati in precedenza - hanno riguardato, secondo il ricorrente, la reticenza di questo quale testimone o il rifiuto di denunciare del singolo, ma non l'omerta' determinata dall'assoggettamento alla forza intimidatrice estrinsecata dalla dimensione collettiva del gruppo, come d'altra parte avevano dimostrato le persone offese (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che avevano deposto, e gli imputati in procedimento connesso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), escussi ai sensi dell'articolo 210 c.p.p., senza avvalersi della facolta' di non rispondere, nonche' i testimoni fratelli di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), egualmente escussi regolarmente. Del pari, non conducenti al fine dimostrativo dell'assoggettamento mafioso sono dalla difesa considerati gli episodi dell'aggressione di (OMISSIS) al giornalista e gli altri eventi gia' citati, per la ragioni pure esposte, giacche', al netto delle manifestazioni collegate, non all'intimidazione proveniente dalla dimensione collettiva, bensi' alla mera estrinsecazione della qualita' personale di questo o quell'imputato, alle prove specifiche di tale requisito la Corte territoriale, lamenta la difesa, ha dedicato poche righe; a (OMISSIS) e' riservato il riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS), laddove questi aveva affermato che "... e' come un animale non lo devi toccare, senno' ti mozzica...". 8.10. Con il decimo motivo si denunciano l'ulteriore violazione di legge e il corrispondente vizio di motivazione in merito alla mancata derubricazione del reato sub A in quello di cui all'articolo 416 c.p.. L'appello aveva dedicato un apposito motivo, l'undicesimo, al tema: la Corte territoriale ha totalmente omesso la motivazione in ordine alla questione. 8.11. Con l'undicesimo motivo sono dedotti la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla derubricazione del ruolo di (OMISSIS). Era stata chiesta, osserva la difesa, la riconsiderazione del ruolo dell'imputato quale semplice partecipe dell'associazione, ma nemmeno questa doglianza e' stata presa in considerazione dalla Corte di assise di appello. 8.12. Con il dodicesimo motivo si prospettano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta aggravante dell'associazione armata. La doglianza si dipana secondo la medesima direttrice sviluppata nel ricorso di (OMISSIS) per dimostrare l'inconsistenza, ai fini divisati nella sentenza impugnata, dei riferimenti alla gambizzazione di (OMISSIS) e alla condanna per armi di (OMISSIS), pervenendo all'identico sbocco. 8.13. Con il tredicesimo motivo il ricorrente evidenzia la violazione di legge e il vizio di motivazione per aver ritenuto la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p.: la difesa dell'imputato articola la doglianza in modo corrispondente a quello svolto da (OMISSIS). 8.14. Con il quattordicesimo motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla configurazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Il ricorrente, muovendo dal presupposto che la Corte territoriale ha implicitamente escluso per maggior parte dei reati l'aggravante in parola, censura la decisione per averla mantenuta con riferimento ai reati di cui ai capi B e C, ossia il duplice omicidio e i connessi reati in materia di armi, da ritenersi, pero', antecedenti alla costituzione del sodalizio criminoso: ragione per la quale, non sussistendo in quel momento l'associazione mafiosa, la circostanza aggravante avrebbe dovuto essere esclusa. 8.15. Con il quindicesimo motivo sono prospettati la violazione di legge e il vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si censura il giudizio generalizzato, non individualizzato, espresso dalla Corte territoriale, che - limitando la motivazione a locuzioni assertive - ha finito cosi' per trascurare le peculiarita' relativa alla persona dell'imputato. 8.16. Con il sedicesimo motivo si prospettano la violazione del divieto normativo di reformatio in peius e il corrispondente vizio di motivazione. Anche la difesa di (OMISSIS) muove dal presupposto che l'imputato in primo grado era stato condannato, per i reati a lui ascritti, posti in continuazione, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi sei. La sentenza di appello ha assolto l'imputato dal reato sub N, ma ha lasciato immutata la pena, cosi' ponendosi in contrasto con il divieto di reformatio in peius, in virtu' del quale la pena eliminata a titolo di aumento in relazione al reato escluso deve risultare all'esito del computo finale, altrimenti si e' determinata una maggior pena per i reati residui, non consentito. 8.17. Con il diciassettesimo motivo si lamenta la mancata assunzione di prova decisiva, per gli effetti di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) a causa della mancata rinnovazione del dibattimento. Il ricorrente rileva che la Corte di assise di appello, mentre aveva accolto quasi integralmente le sollecitazioni difensive alla rinnovazione del dibattimento in punto di prove dichiarative, l'aveva rigettata quanto agli accertamenti presso il (OMISSIS), peraltro resi superflui dall'amissione del Procuratore generale territoriale; era restata, invece, inevasa solo la questione della nuova escussione di (OMISSIS) e del suo confronto con (OMISSIS), chiesta dalla difesa con il sedicesimo motivo di appello, ma disattesa dalla Corte di assise di appello con l'ordinanza del 29 settembre 2020, senza fornire alcuna motivazione. La difesa sottolinea che il contrasto fra le versioni sulla rilevante circostanza inerente a uno snodo delle dinamica dell'omicidio e' stato apertamente rilevato nella sentenza impugnata che ne ha anche apprezzato l'importanza, sicche' viene ritenuta inspiegata la ragione del diniego del confronto, non considerandosi sufficiente il riferimento all'inutilita' dell'incombente, posto che per il confronto la sua utilita' non puo' essere ragionevolmente prevista, essendo connaturata all'atto la possibilita' che uno dei dichiaranti ceda, facendo venir meno il contrasto fra le due versioni, mentre poi la stessa tenuta delle due versioni contrastanti puo' consentire l'acquisizione di elementi utili di valutazione. 8.18. Successivamente, uno dei difensori dell'imputato ha depositato una memoria con motivi aggiunti. Con essa e' stato ripreso e illustrato il motivo inerente all'improcedibilita' dell'azione penale relativamente ai reati di cui ai capi B), C), E), F) e H) in dipendenza della mancata iscrizione delle corrispondenti notizie di reato nel procedimento poi portato a termine, ossia quello contrassegnato dal n. 47412/15 R.G.N. R., nonche' all'improcedibilita' dell'azione penale in ordine al reato associativo sub A, quanto alle condotte antecedenti al 21 dicembre 2016, data del pregresso decreto di archiviazione, e in ordine ai delitti di cui ai capi B) e C) per violazione del divieto di bis in idem, con nullita' derivata del decreto di giudizio immediato. Si e' da parte della difesa ulteriormente specificata la doglianza in virtu' della quale e' stato chiesto l'annullamento della sentenza impugnata relativamente all'affermazione di responsabilita' per il duplice omicidio e i connessi reati in materia di armi, ribadendo la carenza motivazionale in punto di elementi di riscontro esterni alla chiamata in reita' di (OMISSIS), aggravata dall'affermazione della loro superfluita', in ragione della ritenuta coerenza interna del narrato del collaboratore. Le note difensive, poi, passano in rassegna le progressive censure mosse all'inquadramento del movente configurato dalla Corte territoriale, riprendendo l'analisi critica del rilievo annesso dalla sentenza al debito di (OMISSIS) e al presunto fallimento dell'incontro pacificatore fra (OMISSIS) e (OMISSIS), con conseguente emersione nel clan (OMISSIS) dell'esigenza di eliminare (OMISSIS) e (OMISSIS) per affermare la sua egemonia. Per evidenziare le connotazioni di inattendibilita' piu' marcate del narrato di (OMISSIS) vengono ribadite la chiara implausibilita' del riferito iniziale inserimento della sua persona nel commando omicida e le gia' enumerate divergenze della sua narrazione rispetto alla dinamica omicidiaria ricostruita aliunde, in primo luogo mediante i dati di prova generica, ivi incluso il contrasto irrisolto con la testimonianza di (OMISSIS) sul teatro dell'azione di fuoco, nonche' si reitera la critica di immotivata dimenticanza della pista (OMISSIS), al pari della svalutazione del dato dell'assenza di tracce biologiche appartenenti all'imputato in prossimita' del cadavere di (OMISSIS). In ultimo, la difesa richiama le doglianze in merito alla statuizione della sentenza impugnata che ha confermato la sussistenza del reato inerente all'associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS) e la partecipazione ad essa di (OMISSIS), peraltro con il ruolo di organizzatore, illustrando in particolare le coordinate, ritenute erronee, che hanno fuorviato i giudici di appello nell'utilizzazione delle sentenze passate in giudicato, senza il rispetto dei vincoli fissati dall'articolo 238-bis c.p.p., e nel ritenere rilevanti e convergenti i contributi dichiarativi dei collaboratori, invece generici. 9. Il ricorso di (OMISSIS) Si articola in tre motivi. 9.1. Con il primo motivo si lamenta carenza di motivazione in ordine al contributo fornito dall'imputato alla vita dell'associazione. Fondare il giudizio di responsabilita' di (OMISSIS) sulla reticenza in occasione dell'attentato alla sua abitazione del 26 novembre (OMISSIS) costituisce, per la difesa, una considerazione superficiale che, tra l'altro, non ha tenuto conto del fatto che, subito dopo l'attentato, era intervenuta la polizia giudiziaria. I giudici di merito - si evidenzia - hanno reso sull'argomento una motivazione deficitaria omettendo di indicare finanche il titolo di reato per il quale hanno confermato la sentenza di condanna, non hanno accertato reati fine a carico dell'imputato, hanno ignorato che (OMISSIS) non era mai stato coinvolto in indagini e hanno riconnesso la sua partecipazione al mero fatto di avere il cognome (OMISSIS). 9.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell'associazione di tipo mafioso. Ad avviso della difesa, i giudici di appello hanno mancato di illustrare quelle peculiarita' che concorrono a determinare la struttura del reato di cui all'articolo 416-bis c.p.: in particolare, era risultata assente la prova della pervasivita' del clan e del clima di intimidazione, con il conseguente stato di assoggettamento e omerta' indotto dall'azione della consorteria. 9.3. Con il terzo motivo si prospetta l'erronea applicazione dell'articolo 62-bis c.p. per l'omesso riconoscimento in favore dell'imputato delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale - rimarca la difesa - ha giustificato genericamente il diniego facendo leva sulla gravita' della condotta, lasciando inevaso il corrispondente motivo di appello, senza affrontare il nodo relativo alle situazioni particolari originate da comportamenti altrui in cui era calata, ove mai sussistente, la condotta ascritta all'imputato, e, di conseguenza, omettendo di rendere un'adeguata motivazione in merito alla pena equa e proporzionale suscettibile di essere irrogata, nel rispetto dell'articolo 27 Cost. 10. Il ricorso di (OMISSIS). Prospetta tre motivi. 10.1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione dell'articolo 416-bis c.p. in punto di corretto utilizzo dei criteri di giudizio in ordine alla sussumibilita' delle condotte dell'imputato nell'alveo dello schema tipico dell'associazione di stampo mafioso denominata clan (OMISSIS). Nel quadro delle poverta' contenutistica che ha, per la difesa, caratterizzato la motivazione relativa alle posizioni di contorno, quali quella di (OMISSIS), motivazione testualmente richiamata nel ricorso, sia con riferimento al reato associativo sub A, sia con riferimento al reato fine sub S, si rileva che gli unici elementi a carico dell'imputato risultano riferiti alla messa a disposizione della propria attivita' in favore dei prossimi congiunti individuati nel fratello (OMISSIS) e negli zii (OMISSIS) e (OMISSIS), attorno a cui si sosteneva essersi compattato il sodalizio, e nella presenza operativa nel settore delle sale-gioco, dopo l'arresto di (OMISSIS) nel (OMISSIS), condotta peraltro gia' attratta nella fattispecie di cui al capo S: e cio' - segnala il ricorrente - determina lo scollamento con l'accusa di cui al capo di imputazione in cui all'imputato e' stato addebitato di aver partecipato al clan attivandosi nel settore delle armi, delle intimidazioni e della droga. Chiarito quanto precede, la difesa evidenzia che le notazioni degli inquirenti circa il fatto che, dopo gli attentati subiti da (OMISSIS), (OMISSIS) era stato convocato la sera dell'8 novembre (OMISSIS) alla riunione tenuta nella casa del primo per l'organizzazione delle contromisure, da un lato, non avevano attinto al grado della certezza e, dall'altro, avevano riguardato una presenza passiva, neutra e quindi innocua. Inoltre, viene contestata l'interpretazione delle due conversazioni intrattenute da (OMISSIS) con (OMISSIS) il 9 novembre (OMISSIS) (progr. 7328 e 7335), che gli inquirenti hanno riferito alla ricerca di due armi, laddove il ricorrente (accludendo il testo delle intercettazioni) sostiene che il testo delle captazioni e' chiaro nel senso del riferimento agli strumenti di lavoro, quali il trapano e la saldatrice, di usuale impiego dell'operaio edile (OMISSIS). Al netto delle indicate circostanze - si argomenta - la Corte di merito non avrebbe potuto pervenire alla conclusione della sussistenza della prova piena della partecipazione al clan, intesa, secondo l'interpretazione corretta, come prestazione di un effettivo contributo, efficace per il mantenimento della struttura associativa e il perseguimento dei suoi scopi. Ne' puo' ritenersi fondata, ad avviso della difesa, la derivazione della prova dell'appartenenza alla consorteria dalla ritenuta consumazione del reato di cui al capo S), dal momento che la condotta partecipativa e' strutturalmente impermeabile alla consumazione del reato fine, peraltro afferente a settore diverso da quelli contestati all'imputato con riguardo alla contestazione del reato sub A: d'altronde, in ordine a una partecipazione associativa contestata come estesa dal (OMISSIS) al 2018, non avrebbe potuto essere un unico reato fine, circoscritto al (OMISSIS), a fornire la corrispondente dimostrazione. Per cio' che concerne l'apporto dei collaboratori, la difesa osserva che l'unico a parlare di (OMISSIS) era stato (OMISSIS) e, a parte l'episodio inerente agli stupefacenti ritenuto dalla stessa accusa non raggiunto dalla necessaria sufficienza probatoria, ne aveva discorso come di una persona abituata a lavorare nella legalita' e, comunque, in termini tali da diversificarne la posizione nel senso dell'assenza in capo a lui dell'affectio societatis e della stabilita' del vincolo associativo. 10.2. Con il secondo motivo si prospetta la violazione del Decreto Legge n. 306 del 8 giugno 1992, articolo 12-quinquies (ora articolo 512-bis c.p.), in ordine all'inquadramento nella suddetta fattispecie della condotta dell'imputato configurata al capo S, con particolare riferimento all'elemento soggettivo del reato. Sulla premessa che la Corte territoriale ha recepito l'impostazione accusatoria, ritenendo (OMISSIS) dal 12 aprile (OMISSIS) subentrato, in sostituzione del fratello (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), nel ruolo di socio occulto e amministratore di fatto della (OMISSIS), inerente alla sala da gioco ubicata in (OMISSIS), alla (OMISSIS), laddove il titolare formale era (OMISSIS), nonche' considerando che il fatto che (OMISSIS) non possedesse le qualita' per governare la situazione non lo mandava esente da responsabilita' penale, il ricorrente stigmatizza la mancata analisi nella decisione impugnata della necessaria verifica di sussistenza, alla base del reato, del dolo specifico di eludere le misure di prevenzione patrimoniali, dolo di cui non risulta la dimostrazione: il riferimento dei giudici di appello ad alcune intercettazioni ha, per la difesa, il limite di aver ignorato altre intercettazioni, fra le quali quella del 25 luglio (OMISSIS), progr. 12930, dimostrative del candido disinteresse di (OMISSIS) per le sorti della sala-giochi, in quanto risultava essere (OMISSIS) ad aver deciso di cedere la gestione dell'attivita', senza che all'operazione venisse minimamente interessato (OMISSIS), non impegnato in attivita' di amministrazione di fatto dell'attivita' commerciale. La riprova, secondo la difesa, della sostanziale estraneita' dell'imputato alla suddetta attivita' viene indicata nella totale assenza del medesimo dalle grandi manovre che altri soggetti avevano posto in essere per rimettere le mani sulle licenze delle attivita' gia' nella disponibilita' di (OMISSIS) dopo la sua uscita di scena alla fine del luglio (OMISSIS), nulla di riferibile a lui essendo stato rilevato nelle intercettazioni che avevano caratterizzato quella fase. 10.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione inerente al diniego delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p., richieste nell'atto di appello con l'indicazione dei relativi elementi di valutazione. Il ricorrente ricorda che, a fronte del diniego di tali attenuanti da parte della sentenza di primo grado, con l'atto di appello erano stati allegati gli elementi di valutazione che avrebbero dovuto invece orientare per il riconoscimento delle medesime e lamenta che i giudici di secondo grado hanno confermato il diniego in modo apodittico, mediante una risposta generalizzata, inidonea a realizzare la necessaria personalizzazione della pena, cosi' venendo meno all'onere motivazionale imposto dall'ordinamento. Poi, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), rimarca la difesa, il difetto degli elementi di segno contrario affermato nella sentenza impugnato risultava contraddetto dalle produzioni documentali effettuate alle udienze del 6 maggio e del 5 luglio 2019, inerenti alla dimostrazione della giovane eta' dell'imputato (trentenne) e gia' padre di quattro figli, formalmente incensurato e privo di ulteriori carichi pendenti, nonche' dell'avvenuto conseguimento dei titoli amministrativi per portare avanti, dopo la morte del padre (OMISSIS) nel novembre (OMISSIS) , la gestione del (OMISSIS) in forma di associazione culturale, fino alla forzosa cessazione dell'attivita' nel (OMISSIS), per la mancata risoluzione delle vertenze pendenti con Roma Capitale in merito all'occupazione senza titolo dei locali in cui l'attivita' era esercitata; tale attivita' era coniugata con lo svolgimento del lavoro dipendente di panificatore, da cui aveva tratto i mezzi per mantenere la famiglia, aiutandosi anche con lavori in nero, senza che gli accertamenti reddituali e patrimoniali svolti avessero fatto emergere redditi o beni di natura diversa. 11. Il ricorso di (OMISSIS). Sono cinque i motivi del ricorso. 11.1. Con il primo motivo si deduce l'illegittimita' della partecipazione a distanza imposta all'imputato dall'articolo 146-bis disp. att. c.p.p. e si prospetta questione di legittimita' costituzionale di tale disposizione. Fin dal primo grado - osserva la difesa - si era censurata la scelta di collocare a distanza l'imputato, determinandone la partecipazione al dibattimento secondo la corrispondente modalita'. La norma si fonderebbe su una presunzione assoluta di pericolosita' dell'imputato e colliderebbe con la linea dettata dalla Corte costituzionale, che ha piu' volte considerato limitazioni siffatte contrarie al principio di uguaglianza ove configurate in modo arbitrario e irrazionale. L'articolo 146-bis disp. att. c.p.p., dopo la riforma di cui alla L. n. 103 del 23 giugno 2017, ponendo una presunzione assoluta di pericolosita' di determinati imputati, da' vita ad una categoria di imputati speciali; effetto non mitigato dalla clausola che rimette la scelta al giudice "qualora lo ritenga necessario", attesa l'assoluta genericita' della locuzione. In sintesi, per la difesa, l'attuale disciplina, con il richiamo alla sicurezza, ha pregiudicato i diritti inviolabili dell'imputato garantiti, oltre che dagli articoli 2, 24, 27 e 111 Cost., anche, in virtu' della norma interposta di cui all'articolo 117 Cost., dall'articolo 6 CEDU e dalla disciplina di cui alla Direttiva 9 marzo 2016, non trascurando che gia' l'articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici di New York del 16 dicembre 1966 ha sancito il diritto di ogni individuo accusato di un reato di essere presente al proprio processo. 11.2. Con il secondo motivo si prospetta vizio di motivazione in ordine all'applicazione dell'articolo 416-bis c.p. alle piccole mafie. Esaminata l'elaborazione giurisprudenziale sull'argomento, il ricorrente sottolinea il carattere autoreferenziale di tale linea esegetica e sostiene che la sentenza impugnata e' incorsa nel vizio argomentativo di valutare la fattispecie, utilizzando canoni ermeneutici tali da violare il divieto di applicazione della legge oltre i casi da essa previsti. D'altro canto, i giudici di merito avrebbero dovuto considerare che il risultato interpretativo a cui sono pervenuti non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione della norma risulta contestata come commessa, per gli effetti che tale rilievo implica ai sensi dell'articolo 7 CEDU. La sentenza impugnata, nella prospettiva del ricorrente, ha trascurato di argomentare in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie, i) saltando il corrispondente passaggio logico, ii) limitandosi a desumere l'esistenza dell'associazione da una serie di dati storici, considerati arbitrariamente come presupposti tali da esaurire il tema da dimostrare, iii) pervenendo cosi' alla disinvolta affermazione che il gruppo ha costituito una piccola mafia idonea a convivere, nello stesso territorio, con altri gruppi criminali, sovraordinati ed egemoni; iiii) in tal modo ammettendo la rilevanza di una forza intimidatrice operante sul territorio ma in modo recessivo e subvalente. Mediante tale erronea articolazione logica i giudici di merito avrebbero attribuito la natura di associazione mafiosa a un gruppo, gli (OMISSIS), a cui viene ascritto il controllo di un territorio simile a un francobollo, ossia una piazza o una vietta. Al riguardo, nota la difesa, il concetto di potere di intimidazione annesso all'azione degli (OMISSIS) e' stato desunto, dalla Corte di assise di appello, come dimostrano le considerazioni svolte in relazione al reato di cui al capo Z), dall'acquiescenza degli operatori economici nel settore dei videogiochi alla volonta' prevaricatrice del clan: acquiescenza smentita dalle testimonianze degli operatori stessi, che si sono detti liberi di cambiare societa' fornitrice senza problemi. La critica, poi, viene diretta specificamente alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui agli articoli 416-bis, quarto e comma 6, c.p., essendosi risolto l'accertamento relativo al carattere armato del clan in un mero giudizio di verosimiglianza, guidato da una semplice illazione criminologica e avendo, i giudici di appello, esaurito il riscontro del finanziamento di attivita' economiche in una mera valutazione riferita alla soggettivita' antigiuridica dell'autore, senza illustrare fatti o dimostrare circostanze. 11.3. Con il terzo motivo si deduce la carenza di motivazione in ordine alla partecipazione dell'imputato alla consorteria. Il riferimento a soli quattro elementi - ossia i) l'intervento presso i (OMISSIS) di (OMISSIS), basato su un'argomentazione solo apparente, ii) le dichiarazioni di (OMISSIS), riferite a un solo episodio di acquisto di sostanza stupefacente, di cui gli (OMISSIS) nemmeno erano al corrente, iii) le dichiarazioni di (OMISSIS) e iiii) le dichiarazioni di (OMISSIS), fra loro non consonanti e comunque non attendibili e prive di elementi di riscontro - sarebbe del tutto inadeguato a fornire la prova della partecipazione dell'imputato, tanto piu' che le questioni poste con l'atto di appello sono state ignorate nella sentenza impugnata. 11.4. Con il quarto motivo si prospetta un'ulteriore illogicita' della motivazione sull'affermazione di responsabilita' per la partecipazione. Le divergenze fra le affermazioni di (OMISSIS), da un lato, e quelle dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), dall'altro, sono, per il ricorrente, superate nella sentenza impugnata in modo illogico, ossia assumendo che i contesti territoriali richiamati ben potevano riferirsi a scansioni temporali diverse; l'argomento, infatti, non considera che non si trattava di stabilire il coinvolgimento di (OMISSIS) nel traffico di stupefacenti, bensi' la sua partecipazione all'associazione mafiosa, rispetto alla quale non poteva considerarsi adeguato il mero richiamo all'esito del precedente processo Sub Urbe. In particolare, non e' spiegato, secondo la difesa, come si sia ritenuto (OMISSIS) partecipe dell'associazione se (OMISSIS) aveva affermato che a questo imputato era precluso di spacciare a (OMISSIS), ossia nel territorio costituente, secondo la sentenza, la zona di operativita' del clan. Le dichiarazioni riguardanti (OMISSIS) erano risultate vaghe, generiche e soprattutto prive di riscontri esterni rilevanti per il thema probandum. 11.5. Con il quinto motivo viene lamentata la carenza della motivazione in relazione alla valutazione dei criteri fissati dall'articolo 133 c.p. in punto di commisurazione della pena. La difesa considera che i giudici di appello, pur avendo censurato l'esito del giudizio di primo grado, hanno perseverato nell'errore di non distinguere fra i vari associati, in particolare omettendo di spiegare perche', in relazione ai criteri dettati dalla indicata disposizione, a (OMISSIS) non sia stato inflitto il minimo della pena. 12. Il ricorso di (OMISSIS). E' affidato a cinque motivi. 12.1. Con il primo si deduce la violazione degli articoli 416-bis c.p. e 192 c.p.p.: le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) sono state travisate e il vizio di motivazione coinvolge il tema della sussistenza dell'associazione di tipo mafioso. La difesa sostiene che nella motivazione si e' effettuata una ricostruzione, peraltro generica, di alcuni fatti riguardanti i reati compresi tra i capi B) e AA), ma nulla si e' detto in ordine al reato associativo contestato al capo A); in particolare, la motivazione sul reato associativo ipotizzato sarebbe apparente in quanto fondata unicamente su richiami alle sentenze emesse nell'ambito di altri procedimenti a carico di altri soggetti e riferite al clan (OMISSIS). Sono state del tutto omesse - secondo il ricorrente - le risposte ai rilievi difensivi in punto di mancata individuazione dei fatti che avrebbero determinato il riconoscimento della fama criminale e della forza intimidatrice dell'associazione, requisito quest'ultimo non dimostrabile con il riferimento a singoli episodi di violenza poiche' nemmeno la commissione di uno o piu' delitti aggravati del metodo mafioso comporta l'automatica appartenenza dell'autore ad un'associazione mafiosa. Pure in ordine al requisito dell'omerta' generata dall'attivita' della associazione, non e' stata data una tangibile dimostrazione, da radicarsi, tra l'altro, al tempo della ritenuta operativita' del gruppo e non al tempo del processo. Il rifiuto di collaborare con l'autorita' giudiziaria del singolo soggetto avrebbe dovuto essere causalmente ricollegato alla naturale potenzialita' intimidatrice del consorzio criminale, ma cio' non era emerso nel processo; ne' - sottolinea il ricorrente - a tale carenza i giudici di appello hanno congruamente supplito mediante il richiamo delle altre pronunzie, non potendo in ogni caso confondersi la forza di intimidazione derivante dalla caratura criminale del singolo imputato con quella concernente l'associazione. Anche le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano raccontato dei rapporti di forza relativi alle piazze di spaccio di (OMISSIS), (OMISSIS), riconducibile agli (OMISSIS) e di (OMISSIS), (OMISSIS) riconducibile ai (OMISSIS), nulla avevano avuto a che vedere con la forza di intimidazione espressa dal presunto sodalizio. Quanto a (OMISSIS), condannato in via definitiva durante gli stessi anni in cui aveva detto di appartenere all'associazione, aveva riferito esclusivamente in merito alle piazze di spaccio e a fatti delittuosi specifici: elementi inidonei a provare la costituzione del gruppo mafioso. I giudici di appello - continua il ricorrente: i) non hanno considerato che non e' stata provata l'esistenza di un fondo comune, elemento caratterizzante l'associazione; ii) non hanno dato conto del programma e degli obiettivi comuni dei presunti associati, non potendo essi considerarsi sovrapponibili a quelli definiti nel processo relativo al clan (OMISSIS); iii) non hanno considerato che non puo' qualificarsi come mafiosa una nuova associazione fino a quando essa non si sia innestata effettivamente nel tessuto sociale, generando un clima di intimidazione tale da ridurre gli interlocutori a strumenti passivi dei progetti criminali. 12.2. Con il secondo motivo, il vizio di motivazione e' prospettato sotto il profilo dell'omessa valutazione delle prove contrarie. Con l'atto di appello si era osservato che sia in relazione al reato di cui al capo A), sia in relazione ai reati di cui ai capi U), V) e AA, i giudici di primo grado avevano dimenticato di esaminare il contenuto delle testimonianze addotte dalla difesa e delle dichiarazioni, rese nell'esame, degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Ebbene, i giudici d'appello - osserva il ricorrente - pur sforzandosi di colmare il vuoto motivazionale che aveva caratterizzato la prima sentenza, hanno insistito o nel non considerare quegli elementi probatori. E, sull'argomento, la Corte EDU ha ammonito che l'organo giurisdizionale deve farsi carico dell'onere di spiegare dettagliatamente le ragioni della scelta inerente alle prove ritenute determinanti e, con esse, i motivi per i quali le prove addotte dalla difesa siano considerate prive di rilievo. In tal senso, annota il ricorrente, va osservato l'orientamento di legittimita' che reputa, in ogni caso, requisito essenziale, sancito a pena di nullita', l'indicazione sintetica degli elementi probatori acquisiti nel procedimento che hanno costituito l'oggetto della valutazione del giudicante. 12.3. Con il terzo motivo si denunciano la violazione dell'articolo 416-bis cod. pen. e dell'articolo 192 c.p.p. nonche' il corrispondente vizio della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) nell'associazione mafiosa contestata al capo A. Il ricorrente rileva che con l'appello si era evidenziato che mai prima della meta' del (OMISSIS) erano emersi riscontri probatori della sua frequentazione con (OMISSIS) e che in nessun caso era ravvisabile l'adesione permanente all'ipotizzato gruppo criminale in modo duraturo, non dovendo confondersi con esso il rapporto di amicizia instauratosi con il suddetto (OMISSIS). Si era, fra l'altro, osservato che l'attribuzione del ruolo di palo all'imputato era stato il frutto del fraintendimento del rapporto di amicizia suddetto, senza che fosse stata espletata alcuna ulteriore attivita' investigativa volta ad accertare che (OMISSIS) fosse una guardia per la sicurezza di (OMISSIS): l'imputato, nel suo esame, aveva ben chiarito la sostanza di quel rapporto, mentre l'inquirente (OMISSIS) era stato vago sull'argomento e non aveva saputo specificare il numero di volte in cui si era verificato il contatto fra i due imputati. Inoltre, nella valutazione dei comportamenti ritenuti indizianti, nemmeno i giudici di appello, sostiene la difesa, hanno spiegato se e in cosa sia consistito il legame connotato dall'affectio societatis e, comunque, la decisione impugnata non ha offerto adeguata replica alle doglianze difensive, se non con argomenti soltanto apparenti che pregiudicano la tenuta logica della motivazione, non attenendosi ai principi di diritto elaborati in sede di legittimita' per l'accertamento della fattispecie delittuosa associativa qualificata disciplinata dall'articolo 416-bis c.p., anche in punto di prova della coscienza e volonta' dell'imputato di essere componente dell'associazione criminosa facendone proprie le finalita', nonche' apportando un contributo minimo materiale al fine della sopravvivenza dell'organizzazione. Muovendo dagli approdi consolidati secondo cui, per la partecipazione all'associazione mafiosa, il modello organizzatorio include necessariamente in se' quello causale, con l'effetto che il contributo del partecipe puo' essere ravvisato nel suo inserimento organico con un ruolo dinamico e funzionale nel gruppo, la difesa sottolinea che in ogni caso, per l'accertamento di tale partecipazione, devono sussistere comprovatamente singole condotte tali da essere indicative dell'avvenuto inserimento del soggetto nel tessuto associativo, anche tramite la sua consapevole messa a disposizione in via duratura e continua per il raggiungimento dello scopo criminoso: posto cio', si obietta, la Corte territoriale ha in modo apodittico inquadrato gli episodi riferiti all'imputato quali manifestazioni di un suo ruolo dinamico all'interno dell'ipotizzata associazione, finendo per trincerarsi dietro l'esistenza di un risalente (al (OMISSIS)) precedente per droga e ricettazione - comunque privo di implicazioni associative - onde individuare una condotta materiale posta in essere dall'agente nel presunto interesse del gruppo, non risultando per il resto che (OMISSIS) avesse mai preso parte all'attivita' del gruppo o si fosse posto a disposizione dell'addotto sodalizio. Il ricorrente, peraltro, evidenzia la contraddizione logica insita nel ragionamento posto a base della decisione li' dove, pur avendo dato atto che (OMISSIS) era risultato sconosciuto ai collaboratori, lo ha poi collocato costantemente vicino a (OMISSIS): all'evidenza, questo secondo assunto risulta privo di verosimiglianza, oltre che incongruo, essendosi gia' precisato che i rapporti del presunto affiliato con esponenti anche di vertice dell'associazione, in contesti territoriali ristretti, non sono da soli idonei a fondare il giudizio positivo circa la partecipazione all'associazione mafiosa. E, certo, a fondare la valutazione di intraneita' dell'imputato non avrebbe potuto valere - osserva la difesa - l'uso di forme verbali al plurale, come invece ha ritenuto la Corte territoriale, in quanto da esso non puo' trarsi alcun elemento di effettiva messa a disposizione del partecipe al gruppo criminale mafioso. Per il resto, la valutazione delle prove dichiarative come dimostrative della funzione di protezione di (OMISSIS) svolta dall'imputato viene considerata dal ricorrente come il frutto di un travisamento delle citate prove e anche dell'omessa valutazione del contenuto dell'esame reso sia da (OMISSIS), sia da (OMISSIS). Alla stregua di questi dati, la Corte di assise di appello, non avendo esposto in motivazione alcun elemento concreto per rinvenire finanche qualsiasi comportamento concludente di carattere significativo nel senso della dimostrazione della costante permanenza del vincolo associativo relativo a (OMISSIS) con riferimento allo specifico periodo temporale oggetto di contestazione, avrebbe illogicamente confermato la responsabilita' dell'imputato per il delitto associativo, pur dopo aver deciso l'assoluzione dai reati di cui ai capi V e AA. 12.4. Con il quarto motivo si lamentano violazione degli articoli 512-bis c.p. e 192 c.p.p. e vizio di motivazione nella valutazione degli elementi costitutivi del reato di cui al capo U e dell'esame delle prove addotte dalla difesa. Si sottolinea che, con riferimento alla vicenda della gestione dell'esercizio Star Games di (OMISSIS), risultava chiaro, gia' dalle date indicate nel capo di imputazione, che la nomina di (OMISSIS), testa di legno del clan (OMISSIS), quale amministratore della societa' (OMISSIS) S.r.l. era avvenuta il 7 settembre (OMISSIS), ben prima dell'intervento di (OMISSIS) nella vicenda, posto che il viaggio a (OMISSIS) dell'imputato e di (OMISSIS) era avvenuto il 12 ottobre (OMISSIS) e l'ottenimento della licenza amministrativa si era avuto il 19 dicembre (OMISSIS): il capo di imputazione aveva correttamente fissato al 7 settembre (OMISSIS) la consumazione del reato ed erroneamente i giudici di merito hanno posticipato la consumazione alla data di ottenimento della licenza, nel dicembre di quell'anno. Chiarito cio', si osserva che la Corte territoriale non ha valutato il rilievo che ad essere sanzionata dalla fattispecie incriminatrice non e' la generica disponibilita' del bene, ma la specifica condotta di fittizia attribuzione della titolarita', sicche', una volta realizzata l'intestazione fittizia, il reato si e' consumato (si tratta di reato istantaneo con effetti permanenti), nessun rilievo potendo svolgere l'eventuale ausilio fornito successivamente per far permanere la situazione antigiuridica gia' determinatasi; ne' i giudici di appello hanno spiegato in qual modo la condotta di (OMISSIS) avrebbe potuto risultare finalizzata ad avvantaggiare l'operazione di intestazione fittizia perfezionatasi nel settembre (OMISSIS). 12.5. Con il quinto motivo si deducono l'erronea applicazione degli articoli 192 e 234 c.p.p. e il corrispondente vizio di motivazione. La censura risulta indirizzata alla mancata considerazione della sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma del 15 giugno 2020 che, con riferimento alla posizione di (OMISSIS), era pervenuta all'assoluzione di questo imputato per non aver commesso il fatto. La sentenza, non definitiva, veniva prodotta ai sensi dell'articolo 234 c.p.p., onde consentire di apprezzare la sua motivazione, che aveva correttamente considerato il reato contestato, quello di cui all'articolo 512-bis c.p., come un reato di pericolo astratto e aveva del pari correttamente considerato la conversazione intercorsa fra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 12 ottobre (OMISSIS) successiva all'intestazione fittizia del 7 settembre (OMISSIS), avvenuta con la costituzione della societa' formalmente intestata a (OMISSIS). 13. Il ricorso di (OMISSIS). E' articolato in sette motivi. 13.1. Con il primo si deduce la nullita' della sentenza per la violazione degli articoli 146-bis e 146-ter disp. att. c.p.p., con questione di legittimita' costituzionale delle indicate disposizioni in riferimento agli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost., anche in relazione alla L. N. 53 del 22 aprile 2021. La doglianza, gia' svolta dalla difesa di (OMISSIS), e' sovrapponibile al primo motivo del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), a cui puo' farsi, pertanto, richiamo. 13.2 Con il secondo motivo si prospetta l'inutilizzabilita' delle attivita' di indagine svolte senza l'iscrizione dell'imputato nel registro delle notizie di reato e per violazione dei termini massimi di cui all'articolo 405 e 414 c.p.p. e si lamenta vizio di motivazione sulla dedotta questione di inutilizzabilita'. La doglianza e' corrispondente, intesi i riferimenti diretti a (OMISSIS), al secondo motivo del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), a cui puo' farsi richiamo. 13.3. Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli articoli 63 ss. c.p.p. e dell'articolo 414 c.p.p. per l'avvenuta utilizzazione delle dichiarazioni rese dagli imputati di reato connesso e per il corrispondente vizio della motivazione. Anche questa doglianza corrisponde al terzo motivo del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), a cui, quindi, si rimanda. 13.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell'articolo 268 c.p.p. nella parte in cui sono state ritenute utilizzabili e utilizzate le intercettazioni telefoniche viziate da motivazione carente e priva dei necessari elementi individualizzanti dei corrispondenti decreti autorizzativi. La difesa osserva che tutti i decreti autorizzativi connotati dai RIT richiamati nella sentenza risultano non avere un apparato motivazionale relativo ai reati di cui agli articoli 416-bis c.p. e 73 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Al riguardo, all'udienza del 6 giugno 2018, si erano prodotti il decreto autorizzativo del 3 marzo (OMISSIS), quello di proroga del 14 aprile e la richiesta con relativa autorizzazione del 13 maggio, deducendosi l'inutilizzabilita' dei risultati delle corrispondenti intercettazioni in quanto i provvedimenti giurisdizionali si caratterizzavano per la pedissequa riproposizione della richiesta del Pubblico ministero, senza elementi individualizzanti inerenti all'indagato: a fronte di questa eccezione, prima, la Corte di assise e, successivamente, la Corte di assise di appello hanno risposto in modo generico, non esponendo in modo logico e conferente le ragioni che inducevano a superare l'eccezione. Inoltre, il ricorrente segnala le intercettazioni ambientali RIT 6173/15 sull'automobile in uso a (OMISSIS) (a bordo della quale (OMISSIS) non era mai individuato): in relazione a tali captazioni si era individuato negli atti il solo provvedimento di proroga del 20 luglio (OMISSIS), ma non era stato individuato il decreto autorizzativo. Quanto alle intercettazioni relative al procedimento penale n. 47412/(OMISSIS) R.G.N. R., in relazione al quale (OMISSIS) risultava indagato, i decreti autorizzativi avevano, per la difesa, egualmente riproposto il contenuto delle richieste del Pubblico ministero, come, a titolo di esempio, si segnala con riferimento al decreto del 14 aprile (OMISSIS), senza il chiarimento della connessione fra la fattispecie e l'imputato, tenendo conto dei limiti di utilizzabilita' delle intercettazioni captate in relazione ai vari reati riguardanti il procedimento. 13.5. Con il quinto motivo si prospetta l'erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p. in merito all'addebito associativo ascritto all'imputato. Richiamate le considerazioni generali volte sull'argomento nei ricorsi relativi alle posizioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), la difesa contesta, anzi tutto, che le considerazioni svolte in altra sede per il clan (OMISSIS) siano logicamente esportabili nel presente contesto e poi riporta le medesime argomentazioni svolte sub 19.1. con riferimento al primo motivo di ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS), anche per quanto concerne la contestazione inerente alle aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto e sesto, c.p., argomentazioni a cui si rimanda. 13.6. Con il sesto motivo si deducono l'erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p. e la corrispondente carenza di motivazione in merito all'individuazione della condotta di partecipazione dell'imputato all'associazione mafiosa contestata. A (OMISSIS) - osserva la difesa - erano state ascritte condotte generiche, quali l'esazione di somme di denaro e l'attivita' nel contesto degli stupefacenti, senza l'emersione a suo carico di alcun reato fine: e, quanto alle prove raccolte, i giudici di appello hanno operato un riferimento al narrato di (OMISSIS) relativamente al recupero di un credito da parte dell'imputato nei confronti di un commercialista e un altro richiamo delle dichiarazioni di (OMISSIS) che aveva attribuito a (OMISSIS) l'attivita' di spaccio; cio', senza tener conto di quanto aveva riferito (OMISSIS) in senso favorevole all'imputato quando era stato escusso in appello. Per il resto la motivazione, secondo il ricorrente, esauritasi nel riferimento ai collaboratori e alle testimonianze degli operanti, si profila inidonea a sorreggere il giudizio di penale responsabilita'. Quanto alla vicenda del chiosco (OMISSIS), analizzando la stessa, come illustrata dai testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), alla stregua delle intercettazioni riguardanti soggetti terzi, quali i soci dell'esercizio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), l'avere tratto dalle medesime l'esistenza di una guerra di mafia in cui sarebbe intervenuto (OMISSIS) in quanto imposto dalla famiglia (OMISSIS) integra un'affermazione, per la difesa, non corroborata dal contenuto delle captazioni, le quali avevano fatto emergere, fra l'altro, l'autonoma scelta di (OMISSIS) di assumere (OMISSIS), senza alcuna imposizione malavitosa ad opera degli (OMISSIS): in tale prospettiva, la difesa ritiene incongruo l'avere la Corte territoriale sostanzialmente pretermesso il contributo dato dalla testimonianza di (OMISSIS), escusso in appello, contributo da cui era emersa la conferma dell'estraneita' dell'imputato alla vicenda in questione. In ordine, poi, all'apporto dei collaboratori, quello di (OMISSIS) si era risolto, secondo il ricorrente, nel riferimento a fatti generici, appresi per sentito dire, mentre (OMISSIS) si era apertamente contraddetto trattando dell'argomento relativo alla sua conoscenza dell'attivita' di spaccio riferita a (OMISSIS). Quanto a (OMISSIS), la difesa evidenzia che questi era un criminale che aveva riferito elementi appresi da (OMISSIS), in tema di cessione di stupefacenti, senza l'individuazione dei terzi cessionari. Il suo narrato aveva riguardato fatti generici, non collocati specificamente nel tempo e nello spazio, ma soltanto indicati come avvenuti dal (OMISSIS) al (OMISSIS), rispetto a cui il dichiarante non aveva spiegato il tempo della addotta frequentazione, in ragione dei molteplici periodi della sua detenzione e del suo allontanamento da quella realta' territoriale. Lo stesso (OMISSIS), nella sua deposizione, aveva smentito (OMISSIS) e riferito circostanze diverse da quelle asserite dall'altro. Per altro verso, le contraddittorie e inaffidabili dichiarazioni di (OMISSIS) non sono state sottoposte a riscontri, non sussistendo traccia di essi nelle deposizioni dei testimoni di polizia giudiziaria (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Esse, pertanto, avrebbero dovuto considerarsi prive di attendibilita' con specifico riguardo alla posizione di (OMISSIS); la sentenza impugnata non aveva neppure accennato alla verifica dell'attendibilita' oggettiva e soggettiva del propalante, sicche' la valutazione frazionata di quelle dichiarazioni non appariva accettabile, non sussistendo i requisiti per considerarle un'idonea base di una efficace chiamata in correita'. 13.7. Con il settimo motivo si denuncia il vizio di motivazione per il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche, la determinazione della pena ben oltre il minimo edittale e l'applicazione della misura di sicurezza, con violazione, quanto a quest'ultima, del divieto di reformatio in peius. Sotto il primo profilo, la difesa segnala che i giudici di appello hanno omesso di elaborare una motivazione effettiva in ordine alla scelta sanzionatoria riferibile a (OMISSIS), nonostante il ruolo, nella sostanza evanescente, a lui attribuito, l'assenza di sequestri di sostanza illecita a suo carico, la mancanza di suoi rapporti con gli altri imputati da molti anni. Ne' - si aggiunge - il suo inserimento familiare (l'imputato e' padre di un figlio in tenera eta') e sociale e' stato considerato in modo adeguato. Sotto il secondo profilo, appare contrario al divieto di reformatio in peius l'avere, la Corte di assise di appello, applicato la misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di anni due, mentre la sentenza di primo grado aveva determinato tale durata in anni uno. 14. Il ricorso di (OMISSIS). La difesa deduce due motivi. 14.1. Con il primo motivo vengono prospettati la violazione dell'articolo 416-bis c.p., in riferimento alla verifica degli elementi costituitivi del delitto associativo, e il corrispondente vizio di motivazione. Il ricorrente premette che con il primo motivo di appello si era contestata la violazione dell'articolo 192 cod. proc, pen. per l'erronea valutazione, da parte della Corte di assise, delle fonti di prova, particolarmente di quelle di natura dichiarativa, sulla cui base era stata ritenuta la sussistenza dell'associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS). Con esso si erano segnalati: l'assenza di accertamento giudiziale dell'associazione mafiosa riferita al clan dei (OMISSIS), di cui gli (OMISSIS) avrebbero assunto la posizione conquistando la corrispondente egemonia; la non concludenza delle deposizioni degli esponenti di polizia giudiziaria (OMISSIS) e Ceccagnoli, i quali si erano limitati a riferire il contenuto delle sentenze emesse in precedenza, non ad apportare l'esito di ulteriori indagini; le ragioni della scarsa credibilita' del collaboratore (OMISSIS), il quale in ogni caso aveva riferito quanto aveva appreso da (OMISSIS), il quale, citato come teste di riferimento, si era avvalso della facolta' di non rispondere, ma, cio' nonostante, alle sue dichiarazioni era stata piena rilevanza; l'erronea valutazione degli esiti dei due attentati subi'ti nel corso del (OMISSIS) da (OMISSIS), il quale era stato fatto allontanare da (OMISSIS) dai suoi familiari; l'erroneo inquadramento dei fatti susseguitisi dal 2007 al 2018, ivi inclusi gli attentati ai danni di componenti della famiglia (OMISSIS), come elementi dimostrativi dell'esistenza dell'associazione mafiosa, e non invece come meri reati commessi con l'aggravante del metodo mafioso, aggravante configurabile indipendentemente dall'appartenenza degli agenti a un'associazione criminale di stampo mafioso; l'omessa considerazione dell'assenza, con riferimento all'agglomerato costituito dagli (OMISSIS), di un'organizzazione criminale in senso strutturato con l'attribuzione a uno dei suoi componenti di una posizione di supremazia e con l'emersione fra loro di una reale affectio societatis, mancando anche la prova di una cassa comune per i relativi proventi, oltre che la ripartizione dei ruoli, al riguardo della quale le dichiarazioni di (OMISSIS) erano state travisate, siccome riferite dal collaboratore allo spaccio di stupefacenti; l'esclusione di concrete vicende di natura economica aventi rilievo associativo, essendosi dimostrata priva di tale valenza anche quella relativa alla concessione per l'esercizio dell'attivita' di balneazione alla societa' Blue Dream, una volta assolto l'interessato, ossia (OMISSIS), dall'imputazione di partecipazione alla prospettata consorteria criminale. Anche nei motivi nuovi sviluppati innanzi ai giudici di appello, ricorda la difesa, erano stati segnalati profili di criticita' del percorso argomentativo seguito dalla Corte d'assise onde pervenire all'affermazione della sussistenza dell'associazione mafiosa, particolarmente in relazione alla necessita' di riscontro degli elementi della forza intimidatrice promanante in via diretta dal vincolo associativo e, come tali, percepibili dai consociati, nonche' alla congiunta determinazione dell'assoggettamento e dell'omerta': si era, al riguardo, rilevato che, per i reati di cui ai capi M e R, le persone offese avevano denunciato i fatti e, poi, per i reati di cui ai capi I e M, era intervenuta la pronuncia di assoluzione; l'attribuzione all'intimidazione associativa della reticenza dei testimoni era affidata a valutazioni apodittiche e presuntive; gli stessi comportamenti scaturenti a seguito degli attentati subi'ti da (OMISSIS) erano di equivoca lettura, ben potendo essere ascritti al timore nei confronti dei presunti attentatori, cosi' come la richiesta al clan (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) del permesso di agire, in reazione agli attentati, risultava sintomatica della sola intraneita' al clan (OMISSIS), non dell'esistenza di un altro gruppo mafioso. Le risposte fornite nella sentenza impugnata, richiamate nell'atto, si sono dedicate - lamenta la difesa - al richiamo della motivazione della sentenza di primo grado e al commento delle ulteriori sentenze acquisite agli atti, ma non hanno avuto diretta relazione con i motivi di appello con riferimento agli snodi ritenuti rilevanti, con particolare riguardo alle dichiarazioni mendaci di (OMISSIS) e al travisamento delle dichiarazioni di (OMISSIS), in ordine alla ripartizione dei ruoli all'interno del gruppo, ascritte alle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), laddove proprio (OMISSIS) aveva tenuto a precisare che nessuno nel clan (OMISSIS) veniva stipendiato, come invece avveniva a Napoli. Inoltre, rileva il ricorrente, su istanza della difesa, la Corte di assise di appello aveva acquisito la relazione di consulenza di parte, contenente la trascrizione della captazione n. 761 del 28 febbraio (OMISSIS), al fine di dimostrare che nella relativa conversazione non si sentiva il nome di (OMISSIS), come riconducibile a (OMISSIS): tuttavia, di tale atto i giudici di appello non hanno tenuto conto, nonostante che la conversazione fosse stata utilizzata per collegare (OMISSIS) a (OMISSIS), presunto autore del duplice omicidio. In definitiva, la Corte di assise di appello non ha affrontato le specifiche confutazioni articolate dalla difesa, invece rilevanti, perche' il loro accoglimento avrebbe demolito, fra l'altro, la ritenuta credibilita' di (OMISSIS), con la conseguente disarticolazione del relativo vaglio di attendibilita'; parimenti, l'omesso vaglio delle dichiarazioni degli altri collaboratori in merito alla descrizione dell'organigramma del presunto clan (OMISSIS) ha determinato un percorso motivazionale travisato nella parte in cui esso ha dato per certa la sussistenza di tale organigramma, mentre poi di rilievo non secondario si e' dimostrata la dimenticanza della richiamata relazione di consulenza di parte. 14.2. Con il secondo motivo si denunciano la violazione dell'articolo 416-bis c.p. e il corrispondente vizio di motivazione relativamente alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) all'associazione. Anche per tale aspetto dell'impugnazione il ricorrente richiama testualmente il motivo di appello sviluppato sull'argomento, avendo con esso evidenziato: (i') il fatto che, benche' si segnalasse in rubrica che si era proceduto separatamente per i reati fine di cui ai capi H e G, l'imputato in concreto non era stato destinatario di alcun provvedimento giudiziario al riguardo e, nonostante cio', le corrispondenti accuse erano state utilizzate dalla Corte di assise per dimostrare la sua partecipazione alla consorteria, laddove almeno per il reato sub G, oggetto di richiesta di decreto di giudizio immediato, il giudice avrebbe dovuto rinviare gli atti al Pubblico ministero; (i'i') la mancanza di una specifica parte della motivazione in cui si spiegasse la base della ritenuta responsabilita' dell'imputato, dovendo arguirsi che essa si era riferita alle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) e al contenuto di alcune intercettazioni; (i'i'i') l'inutilizzabilita' nei suoi confronti delle dichiarazioni di (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 195, comma 7, c.p.p., dal momento che questi, gia' intraneo all'associazione criminale facente capo a (OMISSIS), non poteva ritenersi un chiamante diretto in correita', bensi' un chiamante in reita' de relato, con l'esito dichiarativo affine alla testimonianza indiretta, a fronte della quale il propalante non aveva indicato colui o coloro che gli avevano riferito le informazioni su (OMISSIS), ne' le modalita' di acquisizione delle informazioni stesse, con conseguente genericita' delle relative affermazioni e, in via ancora piu' radicale, inutilizzabilita' delle stesse, posto che (OMISSIS) non aveva reso nota la fonte di quanto aveva riferito; (111111) il rilievo, in ogni caso, dell'impossibilita' di considerare le dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS) alla stregua di riscontri di quelle rese da (OMISSIS), dal momento che mancava in questo caso la reciproca convergenza su circostanze rilevanti del thema probandum, difformi essendo i narrati dei due soggetti anche con riguardo allo spaccio di droga da parte dell'imputato; (iiiii) ancora, la constatazione che nessuno dei collaboratori aveva indicato in (OMISSIS) un partecipe dell'associazione; (vi)la genericita' del contributo dello stesso (OMISSIS), che non aveva precisato il tempo in cui l'imputato avrebbe operato acquistando stupefacenti da (OMISSIS) per rivenderli in proprio, ne' aveva descritto episodi specifici di acquisto o di cessione di sostanza stupefacente e nemmeno aveva collocato l'imputato tra coloro che avevano il potere di decidere l'attivita' di spaccio nella zona, potere riservato a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); (vi'i') la mancanza di riscontro, quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS) inerenti all'apporto dato dall'imputato ai contatti fra (OMISSIS) e il latitante (OMISSIS), non avendo i tabulati confermato la provenienza di telefonate dall'Internet point in (OMISSIS) di (OMISSIS) al latitante e coincidendo l'epoca delle supposte telefonate con un periodo di carcerazione di (OMISSIS);(vi'i'i') l'irrilevanza della vicenda relativa al pestaggio di (OMISSIS), in merito alla quale le dichiarazioni di (OMISSIS) pure mancavano di riscontro, in quanto la circostanza del ricovero in ospedale per l'avvenuto parto della moglie dell'imputato era stata smentita dal fatto che la spedizione punitiva era avvenuta il 15 febbraio (OMISSIS) , laddove il ricovero della donna era intervenuto il 18 febbraio (OMISSIS) ; (i'x) il mancato inserimento da parte della testimone di polizia giudiziaria Cordone del nominativo dell'imputato fra coloro che, appartenenti alla consorteria, si erano occupati del traffico di droga; (x) l'estraneita' al thema probandum dell'intercettazione della conversazione nell'autovettura in uso a (OMISSIS) fra quest'ultimo, l'imputato e il padre di (OMISSIS), relativa al viaggio aereo da compiere da parte del padre di (OMISSIS). L'imputato aveva sviluppato i temi cosi' richiamati anche nei motivi nuovi con cui si era evidenziata l'inanita' degli ulteriori conati volti a individuare la sua collocazione all'interno dell'associazione, sia con riguardo all'episodio, riferito da (OMISSIS), della richiesta di (OMISSIS) a (OMISSIS) di custodire una macchina piena di armi, sia con riguardo al debito dell'imputato nei confronti degli (OMISSIS), pure riferito dal collaboratore, debito di cui i giudici di primo grado non avevano saggiato la compatibilita' con la dedotta partecipazione associativa. Pero', osserva la difesa, la Corte di assise di appello si e' limitata a richiamare gli elementi gia' indicati senza esaminare le questioni poste con l'impugnazione, questioni in via di principio idonee a incidere sulla responsabilita' dell'imputato, avendo, le circostanze enumerate con l'appello, carattere di decisivita'. I documenti prodotti per dimostrare l'inattendibilita' di (OMISSIS) circa la partecipazione dell'imputato nella spedizione punitiva ai danni di (OMISSIS), nonche' la consulenza di parte relativa alla sopra indicata intercettazione, la lettera autografa di (OMISSIS), in cui era ulteriormente spiegata la conversazione e chiarita l'estraneita' di (OMISSIS) alla vicenda, la spiegazione relativa all'esatto senso della conversazione captata il 1 marzo (OMISSIS), riferita al viaggio del padre dell'imputato in Egitto, la chiarita impossibilita' di (OMISSIS) di partecipare alle telefonate verso il latitante (OMISSIS) nel gennaio (OMISSIS), telefonate nemmeno risultate dai tabulati, afferivano - sottolinea il ricorrente - ad argomenti a cui i giudici di appello avrebbero dovuto dare risposte; in mancanza di esse, la motivazione relativa all'affermazione della sua responsabilita' e' ictu oculi carente. 14.3. Con susseguente memoria il difensore dell'imputato ha svolto un motivo nuovo con cui si prospetta l'omessa motivazione rispetto a quanto era stato dedotto da parte della difesa dell'imputato; si sottolinea che, a fronte di doglianze specifiche, il giudice di appello avrebbe dovuto fornire una motivata risposta alle relative censure, le quali contenevano argomentazioni critiche rispetto alla decisione che aveva affermato la responsabilita' di (OMISSIS). D'altronde, l'obbligo di fornire motivazione, in siffatta dialettica, rinviene nei precetti costituzionali e della CEDU, seppure la giurisprudenza di legittimita' abbia indebolito il rilievo del corrispondente principio mediante l'ammissione della motivazione implicita e della ricostruzione incompatibile con i motivi non esaminati espressamente, oltre che con il particolare affidamento riservato alla doppia conforme di merito: in tale direzione, tuttavia, si richiama da parte della difesa la piu' rigorosa posizione assunta dalla Corte EDU (si cita, fra le altre decisioni, Moreira Ferreira c. Portogallo dell'11 luglio 2017, in causa n. 19867/12), secondo cui il giudice non e' dispensato dall'affrontare i principali motivi di ricorso dedotti dalla parte, a cui occorre dare risposta. 15. Il ricorso di (OMISSIS). Sono dedotti due motivi. 15.1. Con il primo si denunciano la violazione dell'articolo 512-bis c.p. e la mancanza di motivazione con riferimento all'an e al quantum prospettato come reimpiegato illecitamente. Sulla premessa che il reato in esame costituisce un reato istantaneo con effetti permanenti, nel caso di specie, ad avviso della difesa, non era emersa un'attribuzione fittizia di denaro o altri beni al dedotto titolare apparente, bensi' una penetrazione dei componenti del clan (OMISSIS) nelle attivita' di (OMISSIS), soggetto fortemente indebitato, avendo la Corte di merito affermato che questi aveva svolto un ruolo decisivo nel favorire l'ingresso degli (OMISSIS) nel settore delle sale da gioco: attivita', tuttavia, non tale da integrare l'elemento oggettivo e quello oggettivo del reato suindicato. Inoltre - si sostiene - non era emersa, con riferimento ai reati di cui ai capi S e T, la prova certa dell'an e del quantum impiegato dagli (OMISSIS) per l'acquisto delle attivita' di (OMISSIS) o il subingresso in esse, mentre e' essenziale per l'integrazione della fattispecie delittuosa verificare la provenienza dal soggetto non formalmente titolare delle risorse economiche impiegate per l'acquisto: in concreto, sarebbe emersa la dissimulazione della sopravvenuta titolarita' delle quote relative alle societa' cooperative in capo ai soci di fatto, ma nulla sarebbe stato accertato in ordine alle risorse economiche impiegate dai soci occulti per l'acquisto e, in thesi, sottratte a eventuali misure ablative; sicche' addurre il concetto di dominus delle attivita' sarebbe ambiguo, mancando la prova del trasferimento del denaro da parte degli (OMISSIS) all'iniziale titolare al fine di divenirne soci occulti, essendo restato senza risposta il quesito di quale bene il clan (OMISSIS) avesse la disponibilita' o la proprieta' o il dominio esclusivo prima di trasferirlo fittiziamente a (OMISSIS), dal momento che le societa' cooperative erano gia' nella titolarita' di (OMISSIS), ne' era stato accertato che l'ingresso in esse degli (OMISSIS) avesse determinato il trasferimento di denaro o di altri beni a (OMISSIS) come paravento per nasconderli. Era anzi emerso il dubbio che quest'ultimo fosse stato costretto ad accettare la cogestione degli (OMISSIS). Tale prospettiva, secondo la difesa, coinvolge anche il tema del dolo specifico che avrebbe dovuto sorreggere il contestato delitto, elemento soggettivo difficile da configurare: se non erano stati trovati beni, oggetto di intestazione fittizia, non poteva ipotizzarsi l'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale che riguardasse i beni stessi. 15.2. Con il secondo motivo si prospetta il vizio di motivazione in ordine all'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Le ragioni addotte dalla Corte territoriale per raggiungere l'approdo contrastato, centrate unicamente sul sodalizio inteso come un'entita' unica e non sui singoli imputati, avrebbero trascurato la personalita' dell'imputato e il ruolo da lui ricoperto, all'inizio forzosamente, impegnato solo nelle case da gioco, e comunque esente da precedenti penali, oltre che assolto dal reato associativo. 16. Il ricorso di (OMISSIS). E' articolato in quattro motivi. 16.1. Con il primo motivo si denuncia la nullita' della sentenza per la violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. e per vizio di motivazione in ordine al difetto di correlazione tra imputazione e condanna. Ad (OMISSIS) - osserva la difesa - circa la partecipazione all'associazione sub A era stato imputato di aver operato nel settore delle armi, con violenza e intimidazione, mentre la condanna ha poi riferito la sua attivita' esclusivamente al settore degli stupefacenti: tale mutamento dell'accusa, secondo il ricorrente, ha determinato una radicale trasformazione della fattispecie incriminatrice, giacche' gli elementi di fatto suindicati non si erano posti in rapporto di continenza fra loro, bensi' in rapporto di eterogeneita' e incompatibilita'. 16.2. Con il secondo motivo si prospettano la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, e il difetto di motivazione in merito alla valutazione dell'attendibilita' dei collaboratori. La difesa osserva che la penale responsabilita' di (OMISSIS) e' stata ritenuta sulla base di dichiarazioni totalmente prive dei necessari riscontri estrinseci, cosi' che le affermazioni dei collaboratori avevano fornito un quadro evanescente e confusionario: in particolare, tali elementi - risoltisi essenzialmente nelle affermazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) - non avevano dimostrato che l'imputato fosse coinvolto nella gestione della piazza di spaccio di stupefacenti collocata nella (OMISSIS) di (OMISSIS) e fosse appartenente al sodalizio criminoso. (OMISSIS) - si evidenzia - aveva reso dichiarazioni indeterminate, generiche e de relato, dal momento che aveva ammesso di non effettuare attivita' di spaccio dagli anni 2007 - 2008, e non aveva specificato i soggetti da cui aveva ricevuto le informazioni riferite, con la conseguenza che l'esigenza di escutere il testimone primario, fissata dall'articolo 195 c.p.p., era restata del tutto disattesa; cio', tanto piu' che (OMISSIS), moglie d (OMISSIS), aveva poi affermato, in udienza, di non aver mai conosciuto (OMISSIS). Altrettanto viene sostenuto per il contributo di (OMISSIS) in merito al ruolo di maggiore importanza svolto da (OMISSIS) nella suddetta piazza di spaccio dopo la morte di (OMISSIS). Posta l'inadeguatezza dimostrativa di questi apporti dichiarativi, la difesa censura l'affermazione dei giudici di merito circa la varieta' dei possibili riscontri, sottolineando che le dichiarazioni dei collaboratori, per riscontrarsi fra loro, avrebbero dovuto connotarsi per certezza, univocita' e specificita': esse, invece, vengono ritenute inidonee a ricostruire l'attivita' di spacciatore dell'imputato e la sua stabile e volontaria compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio. 16.3. Con il terzo motivo si deduce la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilita' dell'imputato. La difesa osserva che, a fronte di un materiale di indagine raccolto in 68.000 pagine, la figura di (OMISSIS) non era emersa in alcun modo se non dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), sicche' la Corte di merito non ha spiegato come mai un soggetto, ritenuto di importanza vitale per l'attivita' dell'organizzazione, non era stato mai menzionato da nessuno dei soggetti di spicco del clan: se l'imputato avesse effettivamente ricoperto un ruolo di primaria importanza, il suo coinvolgimento sarebbe emerso da fonti probatorie di varia natura. Del resto - si segnala - le dichiarazioni di (OMISSIS) erano state recepite dalla Corte di assise di appello quanto all'associazione, ma erano state ritenute inattendibili in merito a quanto riferito circa il delitto di omicidio, senza una persuasiva spiegazione di questa parziale attendibilita' riconnessa a quel contributo: anche sotto questo profilo la decisione impugnata viene censurata come connotata da insormontabili incongruenze e vuoti motivazionali tali da impedire la comprensione del percorso argomentativo posto a suo fondamento. 16.4. Con il quarto motivo si evidenziano la violazione degli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p. e il corrispondente vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'eccessivita' della pena irrogata. Il ricorrente lamenta che nella quantificazione della pena i giudici di merito si sono attestati su una misura superiore al minimo edittale senza fornire la necessaria motivazione, bensi' adducendo una motivazione apparente, senza connessione con i criteri stabiliti dall'articolo 133 c.p.. La carenza e illogicita' della motivazione viene colta anche in punto di mancata esplicazione delle ragioni poste a sostegno della scelta di negare le attenuanti generiche. Inoltre, uno specifico profilo di illogicita' nell'esercizio della discrezionalita' dosimetrica viene colto dalla difesa comparando il trattamento sanzionatorio riservato al coimputato (OMISSIS) (pure dichiarato colpevole della partecipazione associativa, avente il ruolo di organizzatore, con funzioni di supporto a (OMISSIS) nel controllo del territorio, ivi inclusa la piazza di spaccio sopra indicata e condannato alla pena di anni sei di reclusione) con la pena di anni dieci di reclusione inflitta ad (OMISSIS), nonostante quest'ultimo sia stato ritenuto mero partecipe del clan, senza potere gestionale o di controllo. 17. Il ricorso di (OMISSIS). Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso, premettendo che l'imputato era nel frattempo deceduto, ma ritenendo che permanesse il potere rappresentativo residuo idoneo a consentirgli di definire il procedimento per far rilevare l'estinzione del reato e chiedere in via consequenziale l'annullamento senza rinvio della sentenza per morte del reo. In ogni caso, la difesa ha esposto anche quattro motivi di censura della sentenza impugnata, per i quali si rimanda all'atto di impugnazione. 18. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso sviluppa sette motivi. 18.1. Con il primo si denuncia la nullita' della sentenza impugnata per violazione degli articoli 146-bis e 146-ter disp. att. c.p.p. e si prospetta l'illegittimita' costituzionale di dette disposizioni per contrasto con gli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost. ed anche in relazione alla L. 22 aprile 2021, n. 53. Fin dal primo grado - osserva la difesa - si era stigmatizzata l'incostituzionalita' di tale normativa, che aveva imposto la partecipazione a distanza dell'imputato, nonostante i limiti della tecnologia di supporto, da cui era derivata l'intermittenza del collegamento e la sporadicita' e intempestivita' dei contatti fra imputato e difensore. Il ricorrente rileva, inoltre, che la determinazione della modalita' di partecipazione e' affidata a un apparato amministrativo (il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - D.A.P.) che non dovrebbe interferire nelle scelte giurisdizionali: era, percio', capitato all'imputato di dover scegliere fra il colloquio con i familiari o la partecipazione al processo. La questione di legittimita' costituzionale era stata sollevata innanzi alla Corte di assise di appello che l'aveva ritenuta manifestamente infondata, osservando che la necessita' dell'impiego di tale modalita' era coordinata alla complessita' del processo e allo stato di custodia cautelare dell'imputato; anche la normativa convenzionale aveva ammesso la legittimita' della partecipazione a distanza, perche' sorretta da esigenze di sicurezza e di ordine pubblico, salva la garanzia di effettivita' del collegamento. La difesa considera apodittiche e insufficienti queste osservazioni e sottolinea la mutazione genetica della partecipazione a distanza, determinata dalle modificazioni introdotte dalla L. n. 103 del 2017, che l'ha resa sostanzialmente obbligatoria per gli imputati di taluno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, e di cui all'articolo 407 c.p.p., comma 2, lettera a), n. 4: si e' cosi' delineato uno statuto processuale dell'imputato detenuto, con l'introduzione di una presunzione assoluta in forza della quale l'imputazione di un grave reato, quale quello associativo, deve determinare l'imposizione del diverso regime di partecipazione al processo, con il corrispondente sacrificio dei principi dell'oralita', del contraddittorio e dell'esercizio pieno del diritto di difesa. Il ricorrente prospetta la lesione, da parte della citata legge, delle suindicate norme costituzionali, la cui sostanza deve ritenersi rafforzata dalla recente ricezione mediante la L. 22 aprile 2021, n. 53, della Direttiva Ue n. 343 del 9 marzo 2016, che ha riaffermato il diritto dell'imputato di presenziare al processo nei procedimenti penali: disciplina di cui la difesa sottolinea primariamente le garanzie implicate dal relativo paragrafo 3. Per il resto - si fa notare - la Corte costituzionale ha gia' chiarito che la piena esplicazione del diritto al contraddittorio non puo' cedere il passo neanche al principio di ragionevole durata del processo, atteso che il contraddittorio si ricollega ineludibilmente al diritto di difesa: sicche' la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare immediatamente la disparita' di trattamento fra gli imputati detenuti agli arresti domiciliari, i quali erano autorizzati a recarsi in udienza e a partecipare direttamente al dibattimento, e i coimputati detenuti, anche per reati meno gravi, costretti alla partecipazione a distanza. 18.2. Con il secondo motivo (indicato per refuso come terzo, con conseguente incremento di numerazione dei motivi seguenti) si prospetta l'inutilizzabilita' delle attivita' di indagine svolte senza l'iscrizione dell'imputato nel registro delle notizie di reato e per violazione dei termini massimi di cui agli articoli 405 e 414 c.p.p. e si lamenta il vizio di motivazione sulla dedotta questione di inutilizzabilita'. La difesa, richiamati in modo dettagliato i passaggi relativi alla questione di utilizzabilita' delle risultanze delle varie indagini compiute, segnala che, all'esito del travagliato iter della sua ricerca e dopo il rigetto da parte della Corte di assise dell'eccezione, con l'ordinanza del 15 giugno 2018, era stata abilitata a consultare, non il sistema SICP (Sistema informativo della cognizione penale), ma le sole risultanze del sistema TIAP, ossia quelle corrispondenti al fascicolo cartaceo: da esse, tuttavia, era emerso che il suddetto imputato risultava essere stato iscritto soltanto nel procedimento n. 56225/2011 R.G.N. R. relativamente al reato di cui agli Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articoli 73 e 74, per fatti inerenti al (OMISSIS) , non in altri procedimenti. Di questa acquisizione i giudici di primo grado non avevano tenuto conto e segnala il ricorrente - anche la Corte di assise di appello, che ha trattato la questione sotto il profilo della mancata riapertura delle indagini riportandosi alla memoria rassegnata dal Procuratore generale territoriale, non ha trattato il profilo della mancata iscrizione di (OMISSIS) nel procedimento poi effettivamente coltivato. Intanto, si sostiene, tutte le attivita' di indagine e l'escussione dei collaboratori, fra cui (OMISSIS), i cui risultati erano poi confluiti nel dibattimento, erano state svolte in procedimenti diversi dall'unico in cui (OMISSIS) era stato iscritto; cio', a parte gli ulteriori vizi rilevati con riferimento all'indebita proroga delle indagini per alcuni imputati diversi da (OMISSIS). 18.3. Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli articoli 63 ss. c.p.p. e dell'articolo 414 c.p.p. per l'avvenuta utilizzazione delle dichiarazioni rese dagli imputati di reato connesso e per il corrispondente vizio della motivazione. Ponendo a base della ricostruzione dei fatti processuali la memoria del Procuratore generale territoriale, citata e condivisa dalla Corte di assise di appello, la difesa evidenzia che comunque fra la richiesta di archiviazione del procedimento n. 4643/2013 R.G.N. R., formulata il 21 marzo 2014, e il decreto di archiviazione del 20 dicembre 2016 erano trascorsi due anni e nove mesi, nel corso dei quali erano state effettuate nuove indagini che poi sarebbero state utilizzate quando era stata successivamente autorizzata la riapertura delle indagini in relazione alle quali il procedimento aveva assunto il n. 5993/2017 R.G.N. R. ed era stato riunito al procedimento n. 47412/2015 R.G.N. R.: in particolare, i collaboratori erano stati chiamati a rendere dichiarazioni in epoca antecedente alla riapertura del procedimento, avvenuta il 3 febbraio 2017; cio', oltre al fatto che (OMISSIS) non era risultato iscritto in alcuno di tali procedimenti. Ne' varrebbe - secondo la difesa - il rilievo che le dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari erano state seguite dall'assunzione delle dichiarazioni nel susseguente dibattimento, poiche' l'illegittima acquisizione precedente non poteva essere cancellata nella memoria storica. Inoltre, si fa notare che i collaboratori, pur essendo stati considerati imputati di reato connesso, erano stati escussi senza il preventivo avviso, da farsi ai sensi dell'articolo 64 c.p.p., con la conseguente inutilizzabilita', sancita dal comma 3-bis della disposizione: le uniche dichiarazioni valutabili rese dai medesimi erano quelle dibattimentali e, dunque, esse avrebbero dovuto essere precedute dall'avviso di cui al comma 3, lettera c), della disposizione, in relazione al disposto dell'articolo 210, comma 6, c.p.p.. La risposta data sul tema dalla Corte territoriale e' dal ricorrente ritenuta generica, in quanto la qualita' di persona offese di (OMISSIS) e (OMISSIS) riguardava un processo, quello definito Sub Urbe, in cui (OMISSIS) non era imputato e, per gli altri dichiaranti, il riferimento all'avviso formulato si era risolto in un'asserzione tale da non superare la questione di corretta applicazione della norma. 18.4. Con il quarto motivo si deducono la violazione dell'articolo 415-bis c.p.p. e la carenza di motivazione in ordine al rilievo del mancato deposito dei verbali delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) nel fascicolo del pubblico ministero. La difesa rileva che durante la deposizione dibattimentale di (OMISSIS) era emerso che questi, nel corso delle dichiarazioni rese al pubblico ministero nelle indagini preliminari, aveva riferito che (OMISSIS) spacciava, ma tale parte della sua dichiarazione era stata omissata e, quindi, non aveva formato oggetto di deposito ai sensi dell'articolo 415-bis c.p.p.. Posto cio', era stata sollevata la corrispondente questione, incombendo al pubblico ministero di depositare l'intero compendio delle indagini svolte a carico dell'imputato, pena l'inutilizzabilita' delle risultanze probatorie, anche con riferimento a quelle scaturite dall'attivita' integrativa di indagine: da cio', argomenta la difesa, avrebbe dovuto trarsi la conseguenza dell'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in dibattimento. A fronte di tale rilievo la Corte di assise di appello ha utilizzato il compendio dichiarativo scaturente dalle dichiarazioni di (OMISSIS) senza fornire alcuna risposta all'eccezione sollevata. 18.5. Con il quinto motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all'addebito di cui al capo A della rubrica, anche in ordine alla sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto e sesto, c.p.. Nell'articolazione della doglianza, la difesa svolge argomenti espressamente assonanti con quelli svolti nel primo motivo del ricorso del coimputato (OMISSIS). 18.6. Con il sesto motivo si lamentano ulteriormente l'erronea applicazione dell'articolo 416-bis c.p. e la corrispondente carenza di motivazione in merito all'individuazione della condotta di partecipazione dell'imputato all'associazione mafiosa contestata. Premessa l'avvenuta ridefinizione della suddetta partecipazione di (OMISSIS) quale semplice componente, e non organizzatore del sodalizio, nonche' evidenziata l'insussistenza di reati-fine a suo carico, la difesa rileva che i giudici di appello hanno fatto riferimento a quanto avevano dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), senza alcuna valutazione della rispettiva attendibilita' e senza alcuna considerazione della contraddittorieta' del contributo di ciascuno dei dichiaranti rispetto all'altro; nello stesso tempo la Corte territoriale nulla ha detto in punto di individuazione delle condotte, addebitate all'imputato, rilevanti per la sua partecipazione all'associazione, mentre nessuna captazione lo ha visto coinvolto. In particolare, il narrato di (OMISSIS), pericoloso criminale che aveva riferito elementi appresi da terzi da lui neppure identificati, avrebbe richiesto una verifica di attendibilita', sia sotto il profilo oggettivo che quello soggettivo, del tutto mancata, laddove costui non aveva spiegato il tempo della addotta frequentazione e la sua cadenza; ne' le sue dichiarazioni di avvenuta frequentazione di (OMISSIS) avrebbero potuto ritenersi confermate, in ragione dei molteplici periodi della sua detenzione e del suo allontanamento da quella realta' territoriale, nonche' delle molteplici falsita' da lui riferite. Anche (OMISSIS), nella sua deposizione, aveva smentito (OMISSIS) e riferito circostanze di senso diverso. In definitiva, il complesso delle dichiarazioni di (OMISSIS), mai specifico in ordine all'entita', alle condizioni, ai termini delle varie operazioni indicate senza esserne fonte immediata, avrebbero dovuto considerarsi - all'esito di una corretta valutazione della prova - prive di attendibilita' con specifico riguardo alla posizione di (OMISSIS), non sussistendo i requisiti per considerarle idonea base di una efficace chiamata in correita', tanto piu' che costui aveva iniziato a rendere dichiarazioni nel (OMISSIS), le aveva poi interrotte e infine aveva reso in dibattimento dichiarazioni contrastanti con quelle rese nelle indagini preliminari. Lungi dal compiere le valutazioni richieste dai principi operanti in materia sostiene il ricorrente - la sentenza impugnata dimostra che la Corte territoriale ha abdicato al suo compito, limitandosi alla mera trasposizione di una parte del narrato e omettendo di individuare il contributo di partecipazione dell'imputato alla dedotta associazione. Lo studio del fenomeno mafioso aveva fatto emergere i caratteri essenziali di questo tipo di organizzazione, ivi inclusi una struttura organizzativa in grado di consentire una (OMISSIS) solidarieta' interna e una razionalizzazione delle attivita' illecite svolte, al pari di un'estensione della sfera di operativita' verso l'esterno al fine di un continuo incremento del capitale disponibile e pure, attraverso l'articolazione di reticoli relazionali, della sua espansione, anche territoriale: ebbene, lamenta la difesa, nessuno degli elementi strutturali e' stato enucleato dalla decisione in esame, in particolare per la posizione di (OMISSIS), non bastando in tal senso le notazioni di alcuni controlli dell'imputato sul territorio riferiti dall'agente (OMISSIS). 18.7. Con il settimo motivo si lamenta vizio di motivazione per il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche, per la determinazione della pena ben oltre il minimo edittale e per l'applicazione della misura di sicurezza. La difesa segnala che i giudici di appello hanno omesso di elaborare una motivazione effettiva in ordine alla scelta sanzionatoria riferibile a (OMISSIS), nonostante la carenza di notazioni negative a suo carico fosse tale da far considerare il suo ruolo marginale, se non insussistente; nonostante (OMISSIS) non abbia alcun rapporto con gli altri imputati da molti anni e fruisca di un adeguato inserimento familiare e sociale, la censura formulata con l'appello in punto di trattamento sanzionatorio e' stata - lamenta il ricorrente completamente trascurata dalla Corte territoriale. 18.8. Con successiva memoria il difensore di (OMISSIS) ha articolato motivi nuovi. In essa si riprende e si specifica la tematica inerente al primo motivo del ricorso, ribadendosi che (OMISSIS) e' risultato iscritto nel registro delle notizie di reato soltanto con riferimento al procedimento n. 56225/2011 R.G.N. R. per il reato di cui agli Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 articoli 73 e 74 e per i soli fatti asseritamente commessi nel (OMISSIS) , non per altri procedimenti, mentre non sono emersi i provvedimenti di proroga in ordine a quell'unico procedimento. Inoltre, si ribadiscono gli effetti dell'utilizzazione delle dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) durante l'arco temporale in cui era stata richiesta e poi ottenuta l'archiviazione del procedimento n. 4462/2014 R.G.N. R. e non si era ancora provveduto alla reiscrizione nei confronti degli altri imputati. Su tale versante, anche per gli imputati regolarmente iscritti, l'azione penale, sostiene la difesa, non avrebbe potuto ritenersi regolarmente riaperta. Si sottolinea, al riguardo, la preclusione al nuovo esercizio dell'azione penale in merito a un'accusa per la quale si sia avuto il decreto di archiviazione e non si sia registrata la successiva riapertura delle indagini preliminari. Sicche', si argomenta, per la posizione di (OMISSIS) avrebbe dovuto sancirsi l'improcedibilita' dell'azione penale in ordine al reato di cui all'articolo 416-bis c.p. per la porzione di condotta dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e, poi, successivamente, decorso il periodo di un anno ex articolo 405 c.p.p., fino al 2018, mentre per i soli soggetti gia' iscritti, alla stregua dei rilievi gia' compiuti, avrebbe dovuto rilevarsi l'inutilizzabilita' delle indagini inerenti al periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS). 19. Il ricorso di (OMISSIS). I difensori dell'imputato hanno proposto ricorso avverso la sentenza e dopo aver precisato che per le questioni di inutilizzabilita' di alcune risultanze processuali si richiamavano ai rilievi svolti nel ricorso proposto nell'interesse del coimputato (OMISSIS) - hanno articolato cinque motivi. 19.1. Con il primo motivo prospettano l'erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza e alla qualificazione giuridica dell'addebito associativo di cui al capo A. Richiamate le parti essenziali della motivazione della sentenza impugnata, la difesa osserva che le conclusioni raggiunte per il clan (OMISSIS), d'altronde sovraordinato agli (OMISSIS) nella stessa prospettiva fatta propria dalla Corte territoriale, non erano tali da potersi estendere al contesto oggetto di questo processo; anche alla stregua delle indicazioni fornite dalla recente ordinanza di rimessione della questione relativa alle condizioni di integrazione della condotta di partecipazione all'associazione di tipo mafioso, si evidenzia che il consorzio criminale considerato dall'articolo 416-bis cod. pen e' quello che punta ad aumentare la sua sfera di influenza sulle attivita' produttive del territorio dove esercita i suoi poteri di supremazia delinquenziale, acquisendo posizioni economiche di oligopolio, se non di monopolio, sia che si tratti di mafie storiche, sia che si tratti di mafie non definibili tali. La conseguenza da trarne e' - secondo la difesa - che con riferimento alla piccola mafia, ritenuta nel caso di specie, non era emersa questa connotazione, trattandosi invece di delinquenza tradizionale, avulsa dalla dimensione mafiosa, senza che il delitto di omicidio pure contestato in questo procedimento potesse costituire indicatore rilevante al fine del mutamento della natura del sodalizio. Su questa e sulle altre questioni sollevate con l'atto di appello la Corte territoriale avrebbe omesso di fornire una risposta se non in senso meramente descrittivo dei temi proposti, cosi' finendo per non evidenziare quali peculiarita' connotassero la fattispecie oggetto di contestazione, in guisa tale da distinguerla dall'ordinaria associazione per delinquere di cui all'articolo 416 c.p.. Inoltre, con specifico riguardo alle circostanze aggravanti di cui all'articolo 416-bis, quarto e comma 6, c.p., dopo che la sentenza di primo grado nulla aveva argomentato in merito, impugnati i relativi punti, la sentenza di appello sottolinea la difesa - ha trattato piuttosto sbrigativamente i relativi argomenti, desumendo la prima circostanza dall'episodio omicidiario e ritenendo in re ipsa la sussistenza della seconda, cosi' come scontata e' stata considerata la corrispondente consapevolezza degli imputati; cio', pero', senza valutare la chiave di lettura funzionalistica dell'aggravante del riciclaggio mafioso affermatasi nell'interpretazione di legittimita' e la necessita' del possesso di un arsenale per la prova dell'aggravante dell'associazione armata. 19.2. Con il secondo motivo denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla partecipazione di (OMISSIS) al sodalizio di cui al capo A. La difesa lamenta che, pur essendosi evidenziato con l'appello l'inidoneita' del ragionamento volto ad affermare l'appartenenza al clan per la sola partecipazione dell'imputato al fatto di usura di cui al capo Q, precipuamente per l'assenza di dimostrazione dell'affectio societatis scelerum, la Corte di assise di appello, che pure ha escluso che il reato di estorsione di cui al capo R avesse a che fare con l'associazione, non abbia preso in esame le argomentazioni svolte in punto di assenza di elementi indicativi della partecipazione del medesimo all'associazione, non avendolo nominato neanche l'agente (OMISSIS). Per il resto, si osserva, il breve passaggio dedicato all'imputato nella motivazione della sentenza impugnata, per un verso, lo indica come vicino piuttosto ai (OMISSIS), rivali degli (OMISSIS), e, per altro verso, si riferisce a dichiarazioni che non ricollegano la sua eventuale condotta illecita alla relativa appartenenza associativa, non trattandosi di utili chiamate in correita' o in reita'. La difesa nemmeno rileva risposta all'osservazione secondo cui l'analisi ermeneutica dell'articolo 416-bis c.p., come sfociata nel nuovo approdo, tale da riferirne la portata alle piccole mafie, non e' osservante del principio di legalita' sancito dagli articoli 25 Cost., 7 CEDU, 2 e 5 c.p., non essendosi accertato se il relativo precetto, all'epoca delle condotte addebitate a (OMISSIS), fosse chiaro e prevedibile anche per quanto concerne la sussunzione sotto il relativo modello incriminatore di espressioni associative del tipo del clan (OMISSIS). 19.3. Con il terzo motivo si segnalano la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione al reato di usura sub Q e alla sua proiezione associativa. In primo luogo, con riferimento all'usura in danno di (OMISSIS), la difesa evidenzia il carattere congetturale della conclusione secondo cui l'azione dell'imputato fosse stata messa in essere quale emissario di (OMISSIS) ((OMISSIS)), al pari del riferimento ad altra vicenda, quella relativa all'usura in danno di (OMISSIS), estraneo al panorama delle attuali imputazioni. Del resto - sottolinea la difesa - in altra parte della decisione impugnata, si afferma che le vicende relative ai piccoli prestiti, ivi incluso il prestito sub N (ascritto, non in questa sede, ma separatamente, a (OMISSIS), e afferente alla medesima fattispecie di cui al capo Q, ma sotto il profilo dell'esercizio abusivo del credito), sono da riferirsi all'iniziativa individuale dei singoli protagonisti e che il suddetto (OMISSIS) deve ritenersi estraneo a quegli illeciti finanziamenti: la spiegazione del diverso inquadramento fornita nella motivazione non e' persuasiva, secondo il ricorrente, nella parte in cui si tratta di prestiti erogati dagli stessi soggetti ( (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS)) alla stessa persona ( (OMISSIS)); non e' spiegata la ragione per la quale essi, in un'occasione, sono collegati all'iniziativa individuale e, in un'altra, all'associazione. E, come ulteriore effetto, l'addebito sub Q non avrebbe potuto essere valutato come indice dimostrativo della partecipazione associativa dell'imputato. Di conseguenza, vengono evidenziati i medesimi vizi quanto alla ritenuta circostanza aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p. relativamente al reato in discorso, in modo generico riferita dalla Corte territoriale al metodo mafioso, mentre, quanto alla finalita' dell'agevolazione mafiosa, avrebbe dovuto considerarsi gia' esclusa all'esito della prima sentenza, silente sul punto al pari della decisione di appello. 19.4. Con il quarto motivo deducono l'erronea applicazione della legge penale, la mancata assunzione di una prova decisiva (l'escussione della cognata dell'imputato) e il vizio di motivazione in ordine al reato di estorsione sub R. In ordine a tale imputazione (estorsione in danno di (OMISSIS)), la difesa, posto che la Corte territoriale ha comunque escluso l'aggravante mafiosa (ascrivendo il fatto a una causale privata, determinata dal fatto che (OMISSIS) avesse accusato, senza prove, la persona offesa di aver usato violenza a una sua cognata) e ha escluso la riqualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, osserva i) che l'effettivita' della violenza alla congiunta di (OMISSIS) avrebbe dovuto ritenersi irrilevante, essendo sufficiente la convinzione soggettiva dell'esistenza del diritto tutelabile, ii) che il ragionamento dei giudici di appello e' contraddittorio perche' ha valorizzato quella causale per escludere l'aggravante mafiosa, iii) che e' erroneo aver enfatizzato la mancata denuncia della persona offesa del reato di violenza, iiii) che non e' risultata comprensibile la ritenuta non conferenza dell'escussione della ragazza, 11111) che erronea e' l'affermazione della mancata base giuridica al corrispondente risarcimento e iiim) che non e' determinante il riferimento alla diversita' soggettiva fra l'imputato e la cognata per il presupposto reato di violenza, data la natura di reato proprio non esclusivo della ragion fattasi. Il ricorrente, poi, ribadisce che, non essendosi stabilita l'entita' del prestito erogato a (OMISSIS), i giudici di merito non avrebbero potuto ritenere la matrice usuraria della somma reclamata dall'imputato e l'ingiustizia del profitto con altrui danno necessaria per l'integrazione della fattispecie estorsiva; in ogni caso, la Corte di assise di appello, avendo rivisitato la vicenda, ha ricostruito il fatto in modo diverso dall'imputazione, con gli effetti di cui all'articolo 522 c.p.p.. 19.5. Con il quinto motivo si prospettano l'erroneita' del trattamento sanzionatorio e l'incongrua valutazione dell'applicabilita' della misura di sicurezza. In primo luogo, il ricorrente lamenta che, pur dopo l'elisione dell'aggravante mafiosa riferita al reato sub R, l'aumento della pena di un anno di reclusione sia restato inalterato, in modo chiaramente erroneo. Si fa, inoltre, carico alla Corte territoriale, oltre che di non aver apportato la diminuzione del suindicato aumento, anche di aver confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, pregiudizialmente negate a tutti gli imputati, senza le valutazioni di carattere soggettivo, dovute ex articolo 133 c.p.. Quanto alla liberta' vigilata, i giudici di appello non hanno, ad avviso della difesa, tenuto conto del piu' recente orientamento ermeneutico secondo cui la suddetta misura di sicurezza all'imputato condannato per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. puo' essere applicata solo dopo l'espresso scrutinio dell'effettiva pericolosita' sociale, senza il ricorso a presunzioni giuridiche. 20. Il ricorso di (OMISSIS). Il difensore di (OMISSIS) ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, articolando tre motivi. 20.1. Con il primo prospetta violazione dell'articolo 192 c.p.p. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove. La difesa sostiene che il fondamento dell'accusa di partecipazione e' stato illogicamente individuato nel fatto che l'imputato fosse divenuto "intimo" di (OMISSIS) nel periodo immediatamente antecedente al gennaio 2018, quando erano state applicate le misure cautelari, reperendo, a prova di tale affermazione, il fatto che (OMISSIS) avesse acconsentito alla richiesta di (OMISSIS) di inviare 250,00 Euro al detenuto (OMISSIS). Questa circostanza, inerente al solo rapporto di amicizia fra (OMISSIS) e (OMISSIS) osserva il ricorrente - non puo' essere considerata dimostrativa dell'intraneita' al sodalizio. Conclude il ricorrente che, una volta esclusa l'imputazione di cui al capo AA, la sola circostanza indicata, pur se coniugata con le intercettazioni, anch'esse comprovanti nulla piu' che un'amicizia fra (OMISSIS) e (OMISSIS), non prova che quest'ultimo facesse parte dell'associazione. 20.2. Con il secondo motivo denuncia un ulteriore vizio di motivazione. La difesa evidenzia che la sentenza impugnata, seguendo un percorso argomentativo carente e, comunque, inconferente rispetto alle obiezioni formulate con l'appello, non ha chiarito quale ruolo avesse ricoperto (OMISSIS) nella consorteria, ne' se e quali impegni avesse assunto per il mantenimento e rafforzamento della struttura criminale. Nessuno dei collaboratori lo aveva menzionato e il contenuto scaturente dalle captazioni non aveva corroborato l'ipotesi accusatoria; pertanto, gli scarni elementi citati in precedenza non avrebbero potuto in ogni caso dimostrare l'effettiva partecipazione dell'imputato al clan, non essendo sufficiente la sola contiguita' compiacente o la "vicinanza" all'organizzazione. 20.3. Con il terzo motivo deducono violazione degli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p. e vizio di motivazione per il negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per il conseguente trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, secondo il ricorrente, non ha spiegato, se non in modo apparente, le ragioni dell'adeguatezza della pena irrogata, tenuto conto del fatto che nella commisurazione il giudice del merito si era discostato dai minimi edittali. La carenza e' ritenuta particolarmente grave con riguardo al motivo d'appello dedicato alle circostanze attenuanti generiche, rimasto privo di risposta. 21. Il ricorso di (OMISSIS). La difesa di (OMISSIS) deduce quattro motivi. 21.1. Con il primo denuncia la violazione dell'articolo 546 c.p.p. e il vizio di motivazione. La difesa rileva che l'imputato, con il primo motivo di appello, aveva chiesto dichiararsi la nullita' della sentenza per totale mancanza di motivazione. La Corte di assise di appello ha, tuttavia, quando ha preso in considerazione le questioni processuali, analizzato soltanto quelle proposte dagli altri imputati. Ha, quindi, omesso di esaminare quel motivo, cosi' violando gli articoli 111 Cost. e 6 CEDU. Ne' puo', nel caso in esame, evocarsi lo schema della motivazione per relationem. 21.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 597, comma 3, c.p.p., segnatamente la violazione del divieto di reformatio in peius della durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata. Il ricorrente osserva che, mentre la pena principale e' stata dai giudici di appello ridotta da otto a cinque anni di reclusione, la durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata risulta, incomprensibilmente e ingiustificatamente, aumentata di un anno. 21.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'articolo 416-bis c.p. in relazione all'elemento oggettivo del reato e il corrispondente vizio di motivazione. Ribadita, in premessa, la natura dinamica e funzionale dell'associazione mafiosa, la difesa osserva che la ricostruzione operata dalla Corte territoriale per confermare la responsabilita' dell'imputato non ha individuato gli elementi dimostrativa della partecipazione di (OMISSIS). Il riferimento al settore dei videogiochi e' assertivo, svincolato da qualsiasi elemento di fatto; e, d'altra parte, mai e' stata contestata all'imputato la gestione di siffatti apparati. Ne' - si fa notare - a (OMISSIS) e' stato mai contestato alcun reato-fine, cosi' come non sono emersi altri indicatori fattuali idonei a dimostrare la costante permanenza del vincolo, con specifico riferimento al periodo considerato nell'imputazione, mentre i soli rapporti di frequentazione con esponenti dell'associazione, a fortiori in contesti territoriali di limitata estensione, sono insufficienti a dimostrare la sussistenza della condotta di partecipazione. Apodittico e' considerato dalla difesa l'argomento tratto dall'episodio (OMISSIS) in ordine alla presentazione a (OMISSIS), da parte di (OMISSIS), di (OMISSIS) e (OMISSIS) dopo che (OMISSIS), acquistate le quote del chiosco (OMISSIS), si era rivolto all'imputato come unico soggetto conosciuto in zona: affermazione interpretata in modo collidente con l'intero assetto delle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS), che aveva parlato del loro antico rapporto di amicizia. In tal senso, la sussistenza dell'elemento partecipativo risulterebbe affermata dalla Corte di merito, non sulla base di valutazioni argomentate, ma alla stregua di ritenute intuizioni, benche' (OMISSIS), dal (OMISSIS) alla data dell'arresto, non fosse stato sottoposto ad indagini, ne' coinvolto nei procedimenti esaminati e nemmeno fosse mai stato intercettato, se non dopo la vicenda (OMISSIS). E, comunque, senza che mai siano emersi suoi comportamenti idonei a qualificarlo come partecipe della consorteria. 21.4. Con il quarto motivo deduce la violazione degli articoli 62-bis e 133 c.p. e il vizio di motivazione in punto di omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di eccessivita' del trattamento sanzionatorio. Su questo versante, lamenta la difesa, la motivazione della sentenza impugnata e' totalmente mancante. I precetti di cui all'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 2, non risultano affatto rispettati dal richiamo delle linee generali del discorso giustificativo e delle leggi applicabili, mancando - per (OMISSIS) come per gli altri imputati - ogni riferimento agli elementi che il quadro normativo suindicato pone quali criteri per il corretto trattamento dosimetrico. 22. Le udienze di discussione nel giudizio di cassazione All'udienza del 10 dicembre 2021 si e' svolta la discussione. Essa ha contemplato la requisitoria del Procuratore generale, l'intervento dei difensori delle parti civili Roma Capitale, Regione Lazio, Libera Associazioni, (OMISSIS), Ambulatorio (OMISSIS) e Associazione Nazionale (OMISSIS), che hanno rassegnato conclusioni scritte, con relative note delle spese sostenute, e dei difensori degli imputati, che hanno illustrato i rispettivi motivi di ricorso. All'esito il Collegio si e' riservata la decisione e il Presidente, in ragione della molteplicita' e dell'importanza delle questioni da decidere, ha differito la deliberazione all'udienza del 10 gennaio 2022. All'udienza del 10 gennaio 2022 si e' preso atto del sopravvenuto impedimento di uno dei componenti del Collegio che ha reso impossibile far luogo alla riservata deliberazione. Per tale ragione, la Corte, sentite le parti, ha fissato per la rinnovazione della discussione l'udienza del 13 gennaio 2022. All'udienza del 13 gennaio 2022, il Procuratore generale ha formulato la requisitoria e chiesto: la declaratoria di non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per morte dell'imputato prima della condanna; l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio della sentenza impugnata dal Procuratore generale territoriale nei confronti di (OMISSIS), limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C) della rubrica, devolvendo al giudice del rinvio anche la rideterminazione della pena quanto ai residui reati; l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente alla rideterminazione della pena conseguente alla disposta assoluzione per il capo N); la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Mario (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); il rigetto nel resto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), con ogni conseguente statuizione. Le difese delle indicate parti civili hanno rinnovato le conclusioni, riportandosi alle memorie prodotte. I difensori degli imputati hanno illustrato le rispettive ragioni, come gia' esplicate negli atti di impugnazione e nelle memorie rispettivamente e progressivamente rassegnate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. (OMISSIS). (OMISSIS) e' deceduto il 18 aprile 2021, ossia dopo l'emissione della sentenza di appello (12 gennaio 2021), ma prima della proposizione del ricorso per cassazione (25 maggio 2021). I motivi redatti dal difensore non possono, pertanto, essere presi in esame perche' l'impugnazione proposta dopo la morte dell'imputato e' inammissibile per difetto di legittimazione. La legge attribuisce (articolo 571, comma 3, c.p.p.) al difensore il potere di impugnazione anche in via autonoma, ma la sua legittimazione a impugnare si estingue con la morte della parte assistita, in quanto tale evento fa cessare gli effetti della nomina. Il ricorso proposto dal difensore dopo la morte dell'imputato, quand'anche volto all'ottenimento della pronuncia di merito ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., va, dunque, dichiarato inammissibile (Cass. Sez. 5, n. 15282/17 del 8 novembre (OMISSIS), Arena, Rv. 269695 - 01). A tale inammissibilita' non conseguono statuizioni sulle spese. E cio' anche 81 per le spese sostenute dalle parti civili, in quanto risultano richieste nei confronti dell'imputato deceduto prima della proposizione del ricorso per cassazione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 23935 del 25 marzo 2021, F., Rv. 281850 - 01; Sez. 2, n. 25738 del 20 marzo (OMISSIS), Albini, Rv. 264136 - 01). 2. I reati Quanto alle altre posizioni, questo processo contempla, nelle sue imputazioni, tre versanti: 1) l'associazione di tipo mafioso (capo A) - clan (OMISSIS) - operante a Roma, zona litorale, (OMISSIS), dal (OMISSIS) in poi; 2) gli omicidi aggravati di (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente leader e "braccio destro" del gruppo criminale dei (OMISSIS), che ostacolava, al momento dei fatti ((OMISSIS)), l'espansione criminale degli (OMISSIS) in (OMISSIS) (capo B) e i connessi reati di detenzione e porto illegali dalla pistola semiautomatica e del revolver con cui erano stati esplosi i colpi che avevano cagionato la morte dei due (capo C); 3) i restanti reati, in buona parte reati-fine dell'associazione, ascritti comunque a soggetti imputati di aver fatto parte di essa o di essere alla medesima contigui. 3. Le questioni di natura processuale. Dell'esito dei giudizi di merito si e' dato conto. Ad esso i giudici di appello sono pervenuti dopo avere affrontato diverse questioni processuali, alcune delle quali sono state riproposte nei motivi di ricorso. Si impone, anzi tutto, la trattazione delle medesime. 3.1. La partecipazione a distanza degli imputati Le difese di (OMISSIS) (motivo 11.1), (OMISSIS) (motivo 13.1) e (OMISSIS) (motivo 18.1) prospettano la nullita' della sentenza essendo stato violato il diritto degli imputati di partecipare al processo, violazione determinata dall'applicazione della disciplina che prevede la partecipazione a distanza (articolo 146-bis disp. att. c.p.p.). Le doglianze sono prive di fondamento e manifestamente infondata e' la questione di legittimita' costituzionale di detta disciplina per asserito contrasto con gli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost. La disposizione, anche come modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, con l'assunzione di efficacia stabilita poi dal Decreto Legislativo n. 25 luglio 2018, n. 108, stabilisce che la persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonche' nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4), del codice di rito, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali e' imputata, anche relativi a reati per i quali sia in liberta', fermo restando che - escluso il caso in cui siano state applicate le misure di cui all'articolo 41-bis della L. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), il giudice puo' disporre - con decreto motivato, anche su istanza di parte - la presenza alle udienze dell'imputato, qualora lo ritenga necessario. La disposizione fissa con chiarezza i parametri a cui e' vincolato lo standard qualitativo della partecipazione a distanza, disponendo che, in tal caso, e' attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalita' tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilita' delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilita' di udire quanto vi viene detto, di modo che, se il provvedimento e' adottato nei confronti di piu' imputati che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, ciascuno e' posto in grado, con il medesimo mezzo, di vedere e udire gli altri. Inoltre, e' sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato, mentre il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, mediante l'impiego di strumenti tecnici idonei. Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione e' anche formalmente equiparato all'aula di udienza e risulta precisato che, se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o a un altro atto che implica l'osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, sentite le parti, dispone la presenza dell'imputato nell'aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell'atto. La piena partecipazione dell'imputato alle udienze dibattimentali, pur quando, per il richiamato vincolo normativo, essa venga svolta a distanza, deve essere continua, piena ed effettiva, come previsto dalle cogenti indicazioni della norma in esame, in modo che siano costantemente assicurate all'imputato la visione dell'aula e l'ascolto di quanto in questa viene detto nonche' - in corrispondenza - la possibilita' di intervenire quando esigenze processuali o di difesa lo richiedano (Cass. Sez. 6, n. 24077 del 6 aprile (OMISSIS), Carava', Rv. 267874 - 01). La violazione delle modalita' di partecipazione dell'imputato al dibattimento comporterebbe, di conseguenza, la nullita' dell'atto assunto nel relativo contesto; e, del resto, si e' gia', ad es., opportunamente chiarito che il diniego dell'accoglimento dell'istanza dell'avente diritto preordinata a consultarsi riservatamente, tramite collegamento telefonico, con il proprio difensore, viola il disposto dell'articolo 146-bis disp. att. c.p.p. e integra una nullita' di ordine generale a regime intermedio (Cass. Sez. 5, n. 6523/16 del 22 dicembre 2015, Magnisi, Rv. 266257 - 01). Piu' in generale, si e' da tempo ribadito che l'imputato e' legittimato a dolersi dell'inosservanza delle disposizioni stabilite con l'articolo 146-bis, comma 3, disp. att. c.p.p. nella misura in cui questa inosservanza abbia cagionato una concreta e specifica limitazione dei suoi diritti difensivi (Cass. Sez. 1, n. 19511 del 15 gennaio 2010, Basco, Rv. 247196 - 01). La partecipazione dell'imputato a distanza, come disciplinata dall'indicata norma, e' stata tradizionalmente considerata una forma di partecipazione personale dell'indagato all'udienza che non viola i principi costituzionali e che trova la sua ragion d'essere in esigenze di sicurezza, organizzazione e contenimento di costi (Cass. Sez. 2, n. 19181 del 26 marzo 2019, Cacciola, Rv. 276952 - 01, che in motivazione ha trattato, in particolare, della compatibilita' delle norme sulla partecipazione a distanza, applicabili ai procedimenti in camera di consiglio ex articoli 45-bis e 146-bis disp. att. c.p.p., con la previsione di cui all'articolo 309, comma 8-bis, c.p.p.; v. anche la motivazione di Cass., Sez. 5, n. 25838 del 23 luglio 2020, Prestia, Rv. 279597 - 01). Va, d'altro canto, ricordato che la Corte costituzionale ha gia' saggiato, sia pure con riferimento al testo previgente della norma, la legittimita' costituzionale dell'assetto inerente alla partecipazione a distanza all'udienza e ha escluso che sia fondata la premessa secondo cui solo la presenza fisica nel luogo del processo potrebbe assicurare l'effettivita' del diritto di difesa, in tal senso rilevando che i mezzi tecnici, nel caso della partecipazione a distanza, siano in concreto idonei a realizzare pienamente la partecipazione. Il Giudice delle leggi ha, quindi, rimarcato che la disciplina in esame, lungi dal limitarsi a delineare i mezzi processuali o tecnici attraverso i quali realizzare gli obiettivi perseguiti, ha segnato un esauriente sistema di risultati da assicurare, sistema che si presenta in linea con il livello minimo di garanzie che devono presidiare il diritto di partecipazione e, quindi, di difesa dell'imputato per l'intero corso del dibattimento. In definitiva, quel che rileva e' che gli attributi dell'effettivita' e della pienezza dell'esercizio del diritto di difesa siano garantiti anche dal sistema previsto per la partecipazione a distanza; strumentale a tale obiettivo e' la previsione secondo la quale il collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo di custodia deve essere realizzato con modalita' tali da rendere effettiva, vale a dire concreta e non solo virtuale, la possibilita' di percepire e comunicare in ogni fase, in virtu' di un sistema che, grazie al progressivo perfezionamento della tecnica specifica, si afferma idoneo a conseguire la reale partecipazione della parte al processo, con garanzia della corrispondente completezza operativa del dispiegamento della funzione del difensore, sia nell'aula di udienza, sia nel sito remoto, con adeguata possibilita' di costante interazione fra il difensore stesso e l'assistito. La Corte costituzionale ha, pertanto, considerato che la partecipazione a distanza e' munita da "un quadro di presidi, dunque, di incisivita' e completezza tali da rendere la normativa in questione aderente al principio sancito dall'articolo 24, comma 2, della Carta fondamentale, non potendosi certo in tale prospettiva evocare il superamento della tradizione - per di piu' nella specie dovuto alle innovazioni introdotte dalla evoluzione tecnologica - quale elemento in se' idoneo a perturbare equilibri e dinamiche processuali che, al contrario, rimangono nella sostanza inalterati", senza concreta possibilita' di individuare la violazione dell'articolo 6 CEDU, dal momento che, sebbene con modalita' particolari dettate dalle esigenze di sicurezza, risulta adeguatamente garantita l'effettiva partecipazione al dibattimento dell'imputato e l'esercizio del suo diritto di difesa. D'altro canto, l'esperienza della crisi pandemica, facendo emergere la necessita' di sperimentare per un nuovo ambito la partecipazione a distanza dell'imputato all'udienza, ha consentito di verificare come la necessita' cogente, in siffatti contesti, sia quella di assicurare l'effettivita' e la pienezza di tale partecipazione anche senza la presenza in aula. Con la legge di conversione (24 aprile 2020, n. 27) del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, i commi da 12-bis a 12-quinquies dell'articolo 83 del Decreto Legge hanno risolto alcuni dubbi interpretativi che si erano posti, in special modo ammettendo l'applicabilita' della videoconferenza anche per le convalide di arresto e fermo e per gli interrogatori di garanzia, ampliando in modo deciso l'ambito di applicazione dell'udienza a distanza. Pertanto, pur dopo la riforma del 2017, l'ordinaria adozione della partecipazione a distanza dell'imputato detenuto alle udienze dibattimentali per la sfera di procedimenti relativi ai reati di particolare gravita' contemplati dalla norma non toglie che in essi sia garantita la partecipazione effettiva del soggetto interessato alle sessioni e, in relazione ad esse, risulti assicurato il pieno esercizio del diritto di difesa, secondo la disciplina teste' richiamata. Da un lato, alla base dell'opzione normativa della partecipazione a distanza si pongono preminenti ragioni di generale sicurezza e di speditezza processuale, per la garanzia della ragionevole durata del processo, dall'altro, la stessa disciplina, oltre a garantire la presenza nell'aula di udienza dell'imputato per ogni atto che comporti l'osservazione della sua persona, contempla (al comma 1-ter) il potere del giudice procedente - ad esclusione della sfera di applicazione dell'articolo 41-bis ord. pen. (in relazione alla quale militano, in modo preminente, gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica) - di disporre, anche su istanza di parte, la presenza in udienza dell'imputato, quando lo ritenga necessario, dandone conto nella motivazione del relativo decreto, con la conseguente emersione della possibilita' in concreto della salvaguardia dell'interesse dell'imputato ad accedere all'aula di udienza in situazioni che risultino motivatamente meritevoli di questa specifica tutela. Nel medesimo ordine di idee, del resto, la Corte EDU ha ritenuto che la partecipazione dell'imputato alle udienze tramite videoconferenza sia uno strumento idoneo a perseguire degli scopi legittimi riguardo alla Convenzione, con precipuo riferimento alla difesa dell'ordine pubblico, alla prevenzione del crimine, la tutela dei diritti alla vita, alla liberta' ed alla sicurezza dei testimoni e delle vittime dei reati, nonche' il rispetto dell'esigenza del termine ragionevole della durata dei procedimenti giudiziari, impregiudicata essendo la necessita' che le modalita' del relativo svolgimento rispettino i diritti della difesa (Corte EDU 27/11/2007, Asciutto c. Italia; v. anche Corte EDU 5/10/2016, Viola c. Italia). Ne', tenuto anche conto del tempo a cui la disciplina si riferisce in relazione all'assunzione degli atti processuali qui rilevanti, pare apportare argomenti alla tesi difensiva della rilevanza, quanto meno esegetica, delle norme introdotte con la legge del 22 aprile 2021, n. 53 (recante delega al Governo per il recepimento delle direttive Europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione Europea - legge di delegazione Europea 2019 - 2020), con particolare riguardo all'articolo 1, comma 1, e l'allegato A, numero 1, di essa, volta al recepimento della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (il cui termine era fissato al 1 aprile 2018) Invero, il paragrafo 8 della direttiva recepita e' dedicato al diritto degli indagati e degli imputati di presenziare al processo, in evidente primaria contrapposizione al processo che si svolga in assenza, con la specificazione che la norma comunitaria ha anche lasciato impregiudicate le norme nazionali che prevedono che il giudice competente possa escludere temporaneamente un indagato o imputato dal processo, qualora cio' sia necessario per garantire il corretto svolgimento del procedimento penale, purche' siano rispettati i diritti della difesa, e anche quelle che prevedono che il procedimento o talune sue fasi si svolgano per iscritto, purche' cio' avvenga in conformita' con il diritto a un equo processo. Pertanto, la norma contenuta nella direttiva non si profila confliggere, almeno nella chiave prospettata dai ricorrenti, con lo svolgimento dell'udienza con l'imputato collegato in idonea video conferenza; cio', ovviamente, impregiudicata la lettura che il legislatore nazionale abbia inteso e intenda dare di tale atto comunitario. Per quanto finora e' emerso e, quindi, per cio' che concerne il Decreto Legislativo n.188 del 8 novembre 2021, contenente le disposizioni emanate in attuazione della delega, non si rilevano norme che possano far ritenere incrinata, anche sotto il profilo dei principi fondamentali, la previsione della partecipazione all'udienza dibattimentale a distanza dell'imputato in casi specifici, predeterminati dalla legge, non conferente nel senso prospettato dai ricorrenti rilevandosi la novita' piu' strettamente attinente al diritto in esame, ossia il comma 1-bis introdotto nell'articolo 474 c.p.p., sempre a garanzia dell'effettivita' del diritto di difesa, nella prevista ipotesi della necessita' di imposizione delle cautele adottate, nel caso della presenza dell'imputato nell'aula di udienza, per prevenire il pericolo di fuga o di violenza. Deve, quindi, ritenersi immune da censure la conclusione raggiunta dalla Corte di assise di appello che ha rigettato le eccezioni delle parti in merito all'avvenuta applicazione dell'articolo 146-bis disp. att. c.p.p., evidenziando - in modo incontrastato - anche l'assenza di pregiudizio di sorta per ciascuno degli imputati interessati dal corrispondente sistema di partecipazione alle udienze dibattimentali. 3.2. L'utilizzabilita' delle dichiarazioni dei collaboratori Le difese di (OMISSIS) (motivo 13.3) e di (OMISSIS) (motivo 18.3) ribadiscono i) che i collaboratori, pur essendo stati considerati imputati di reato connesso, sono stati escussi senza gli avvertimenti previsti dall'articolo 64 c.p.p., ii) che le dichiarazioni sono, pertanto, inutilizzabili ai sensi comma 3-bis dell'articolo 64 e che iii) le uniche dichiarazioni valutabili rese dai medesimi sono quelle dibattimentali- Sul punto deve rilevarsi che la Corte di assise di appello ha specificamente preso in esame e ritenuto infondate le questioni, facendo notare: - per quanto concerne le posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), che le dichiarazioni, acquisite agli atti, erano state da loro rese quali persone offese nel procedimento a carico di (OMISSIS) e altri (fatti giudicati con le sentenze del Tribunale di Roma in data 4 ottobre 2017 e della Corte di appello di Roma in data 21 dicembre 2018, quest'ultima divenuta irrevocabile all'esito di pronuncia della Corte di cassazione in data 30 marzo 2020); - per quanto concerne le posizioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), escussi ai sensi dell'articolo 210 c.p.p. nelle udienze dell'11 dicembre 2018, 11 gennaio e 6 marzo 2019, che a ciascuno era stato rivolto il formale avviso previsto dall'articolo 64, in relazione all'articolo 210 c.p.p., e ciascuno aveva scelto di sottoporsi all'esame, con le responsabilita' dallo stesso derivanti, e non si era avvalso della facolta' di non rispondere. La questione e' stata ora riproposta in modo generico dai ricorrenti, che hanno omesso di confrontarsi, con argomenti specifici, con le ragioni della decisione riferite a (OMISSIS) e (OMISSIS). Per il resto, fermo restando che il mancato avvertimento di cui all'articolo 64 c.p.p., comma 3, lettera c), all'imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi dell'articolo 210, comma 6, c.p.p., determina l'inutilizzabilita' della deposizione testimoniale resa senza garanzie (Cass. Sez. U, n. 33583 del 26 marzo 2015, Lo Presti, Rv. 264479 - 01), deve osservarsi che le deduzioni dei ricorrenti, pur con riferimento agli stralci di verbali di udienza trascritti acclusi all'impugnazione di (OMISSIS), non smentiscono la tesi dell'avvenuto avviso di rito da parte del giudice procedente ai suddetti dichiaranti, escussi nell'indicata qualita' e muniti dell'assistenza difensiva. 3.3. Le questioni processuali relative alla pluralita' di procedimenti iscritti Ulteriori questioni di natura processuale sono state formulate dalle difese di (OMISSIS) (motivo 8.1, oltre che memoria richiamata sub 8.18), di (OMISSIS) (motivi 13.2, 13.4) e di (OMISSIS) (motivi 18.2, 18.4, nonche' memoria richiamata sub 18.8), deduzioni fatte proprie anche dalla difesa di (OMISSIS)). L'analisi della Corte di assise di appello ha fatto propria la base argomentativa dei giudici di primo grado. In essa (ordinanza del 15 giugno 2018) si era rilevato che, quanto alla posizione di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano generiche le deduzioni difensive inerenti alla prospettata identita' tra i fatti associativi di cui alle plurime iscrizioni ex articolo 335 c.p.p. a suo carico; sarebbe stata, in altre parole, necessaria la dimostrazione dell'eventuale identita' dei fatti per dimostrare la sussistenza dei vizi lamentati (come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' secondo la quale per stabilire se, ai fini dell'applicazione degli articolo 407 c.p.p., comma 3, e articolo 414 c.p.p., le indagini svolte nell'ambito di un procedimento siano da considerarsi compiute in prosecuzione di altro procedimento, precedentemente iscritto e per il quale siano scaduti i termini di durata massima ovvero sia intervenuta archiviazione, deve essere verificata esclusivamente l'identita' o meno del fatto-reato oggetto dei due procedimenti: Cass. Sez. 5, n. 34643 del 8 maggio 2008, De Carlo, Rv. 240997 - 01). Il rilievo era stato compiuto anche in rapporto al precetto fissato dall'articolo 187, comma 2, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che formano oggetto di prova anche i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Si e' altresi' rilevato, da parte dei giudici del merito, che il reato associativo ha natura permanente, cio' che autorizza lo svolgimento di indagini preliminari per tutta la sua durata. Sul tema va, dunque, considerato che, qualora il reato sia permanente, l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo, con riferimento ai comportamenti successivi a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione, sicche' la sanzione di inutilizzabilita', derivante dalla violazione dell'articolo 414 c.p.p., colpisce soltanto gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, non anche fatti diversi o successivi, benche' collegati con i fatti oggetto della precedente indagine (Cass. Sez. 2, n. 14777 del 19 gennaio 2017, Caponera, Rv. 270221 - 01; Sez. 5, n. 43663 del 14 maggio (OMISSIS), Caponera, Rv. 264923 01). Nel caso di specie - hanno precisato i giudici del merito - il reato associativo (capo A) e' stato contestato come commesso in Roma - (OMISSIS) "dal (OMISSIS) e tuttora in corso" per cui l'archiviazione, ove pure non seguita dall'autorizzazione alla riapertura delle indagini, non sarebbe stata ostativa allo svolgimento di nuove investigazioni ed eventualmente all'esercizio dell'azione penale in ordine a condotte atte a dimostrare la consumazione dell'illecito circoscritta ai segmenti temporali successivi all'archiviazione. Sotto altro aspetto, si e' segnalato che, ai fini della riapertura delle indagini, sono utilizzabili gli atti che, successivamente alla scadenza del termine delle indagini preliminari, siano stati raccolti in un diverso procedimento: l'inutilizzabilita' che attinge gli atti compiuti dopo il predetto termine e', infatti, geneticamente connessa al tema delle indagini svolte, sicche' la sanzione processuale non opera quando l'atto sia stato assunto nell'ambito di indagini diverse, per modo che l'eventuale sanzione di inutilizzabilita' riguarda solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione e non anche fatti diversi o successivi, benche' collegati con i fatti oggetto della precedente indagine (Cass. Sez. U. 24 giugno 2010, n. 33885, Giuliani, Rv. 247834 e Sez. 5, 14 giugno (OMISSIS), n. 43663, Caponera, Rv. 264923). Sotto altro aspetto, e' stato anche evidenziato che il pubblico ministero ha la facolta' di procedere alla separazione o alla riunione di procedimenti, secondo le regole fissate dall'articolo 130 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che puo' agire cumulativamente o separatamente nei confronti di soggetti accusati di concorso nel medesimo reato o in ordine a differenti imputazioni inerenti allo stesso soggetto. Detta affermazione trova riscontro nell'interpretazione dell'istituto data in sede di legittimita', dove si e' osservato che, sebbene la riunione in senso tecnico, ex articoli 17 e 19 c.p.p., afferisca soltanto ai processi e non ai procedimenti, in quell'ambito potendo essere disposta, dunque, solo dal giudice, il pubblico ministero ha la facolta' di svolgere indagini contestuali e congiunte relativamente a distinti procedimenti, unificando, a tal fine, i numeri identificativi degli stessi e formando un unico fascicolo delle indagini preliminari; impregiudicato il fatto che, in relazione alla disciplina di cui all'articolo 405 c.p.p. rileva la data di iscrizione di ogni singola notizia di reato nei confronti di ciascuno degli indagati ex articolo 335 c.p.p., facolta' che trova la sua base normativa nell'articolo 130 disp. att. c.p.p. e incontra esclusivamente il limite dato dal disposto dell'articolo 17 c.p.p., vale a dire la necessita' che ricorra almeno una delle ipotesi in cui e' corrispondentemente ammessa la riunione di processi (Cass. Sez. 5, n. 2174/14 del 18 dicembre 2013, Cattafi, Rv. 257943 - 01). Si e', inoltre, segnalato, da parte dei giudici di primo grado, l'avvenuto rispetto del principio secondo cui quando, nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero (salvi i casi di mutamento della qualificazione giuridica del fatto o dell'accertamento di circostanze aggravanti) deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, sia perche' acquisisca elementi in ordine a ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona, sia perche' rinvenga elementi in relazione al medesimo o a un nuovo reato a carico di persone diverse dall'originario indagato, il termine per le indagini preliminari decorre in modo autonomo per ciascun indagato dal momento dell'iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato e, per la persona originariamente sottoposta ad indagini, da ciascuna successiva iscrizione (Cass. Sez. 2, n. 2(OMISSIS) del 6 marzo 2019, Nicotra, Rv. 276965 - 01). Su questa sequenza di principi, i giudici di appello hanno, poi, citato e condiviso la memoria dedicata specificamente alla trattazione delle corrispondenti eccezioni processuali degli appellanti dal Procuratore generale territoriale e, in tal senso, hanno esposto l'essenziale cronistoria, condensabile, per quanto ancora rileva, nei termini seguenti. Nel giorno successivo al duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avvenuto come si e' detto - il (OMISSIS)) era stato formato il fascicolo processuale n. 56225/11, relativo ad indagini nei confronti di (OMISSIS) l' (OMISSIS), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) ed altri soggetti. Erano state, poi, stralciate alcune posizioni, con la formazione del fascicolo n. 4643/13 (Massimiliano (OMISSIS) + 21), fra le quali quella di (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) per omicidio e associazione di tipo mafioso (575 e 416-bis c.p.), mentre la posizione di (OMISSIS) era restata oggetto di indagine nel primo procedimento n. 56225/11. Indi, il 21 marzo (OMISSIS), il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione per tutti i soggetti indagati nel procedimento penale, oggetto di separazione, n. 4643/13. Frattanto, il 29 settembre (OMISSIS), dal procedimento contro ignoti n. 17072/15 era stato generato il procedimento numero 47412/15 (denominato Eclissi) relativo ai reati di associazione di tipo mafioso, incendio, tentata estorsione, reati per i quali, il 21 settembre (OMISSIS), erano stati iscritti nel registro degli indagati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), (OMISSIS) e altri soggetti, qui non rilevanti. Nel corso delle indagini erano state raccolte le dichiarazioni dei collaboratori (completate per (OMISSIS) il 14 dicembre (OMISSIS), per (OMISSIS) il 23 giugno (OMISSIS), per (OMISSIS) il 14 giugno (OMISSIS) e (OMISSIS), il 17 maggio (OMISSIS)) che avevano fornito notizie utili per la ricostruzione del duplice omicidio. Di conseguenza, il 21 dicembre (OMISSIS) il pubblico ministero, valutate le dichiarazioni dei collaboratori, aveva revocato la richiesta di archiviazione. Intanto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva disposto, in data 20 dicembre (OMISSIS), l'archiviazione del procedimento n. 4643/13. Preso atto del provvedimento, il pubblico ministero aveva chiesto la riapertura delle indagini sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori, considerate come nuove prove. Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la riapertura delle indagini il 3 febbraio 2017; ne era nato il procedimento n. 5993/17 per associazione mafiosa e omicidio a carico, fra gli altri, di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (detto (OMISSIS)). Successivamente, quest'ultimo procedimento n. 5993/17 era stato riunito, con annotazione non datata, a quello n. 47412/15 (Eclissi). Inoltre, erano confluiti nel procedimento n. 47412/15 altri due fascicoli, in quanto, con provvedimento del pubblico ministero in data 12 novembre (OMISSIS), era stato riunito il procedimento penale n. 514302/16 nei confronti di (OMISSIS) ((OMISSIS)), indagato per i reati di usura ed estorsione, e, poi, con provvedimento del pubblico ministero in data 29 novembre 2017, era stato riunito il procedimento penale n. 35651/13. A fronte di tale sequenza, i giudici di appello hanno escluso, per quanto di rilievo, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dai collaboratori nel periodo intercorrente fra la richiesta di archiviazione e il provvedimento di archiviazione del procedimento n. 4643/13. Evidenziata la singolare situazione costituita dalla richiesta in data 21 dicembre (OMISSIS) del pubblico ministero di revoca della richiesta di archiviazione avanzata il 21 marzo (OMISSIS), richiesta che non aveva potuto ricevere accoglimento (in quanto il giudice aveva, sia pure soltanto il giorno precedente, accolto la richiesta, cio' che aveva determinato la formulazione della, poi accolta, richiesta di riapertura delle indagini), la Corte territoriale ha ribadito che, in ogni caso, la sanzione dell'inutilizzabilita' non puo' operare, in quanto gli atti in questione (le dichiarazioni dei collaboratori) sono stati assunti nell'ambito di indagini diverse che, sebbene avessero sempre di mira l'associazione di tipo mafioso, riguardavano anche i reati satellite diversi dall'omicidio. I giudici di appello hanno, poi, ribadito che il procedimento generato con il n. 5993/17 a seguito della riapertura delle indagini per l'omicidio e' stato certamente riunito a quello n. 47412/15, con provvedimento sussistente e documentato dall'annotazione sul frontespizio del fascicolo n. 5993/17, atto sicuramente efficace, seppur privo di data; infatti, la nuova iscrizione nel registro degli indagati riguardante la posizione di (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) e' avvenuta in modo contestuale alla formazione del fascicolo n. 5993/17 in data 3 febbraio 2017, con la conseguente formalizzazione del provvedimento ordinatorio, sicche' la mancanza della data di riunione non nuoce all'efficacia del provvedimento, anche in termini di tutela della posizione degli indagati, proprio perche' la loro iscrizione nel relativo registro e' contestuale alla formazione del fascicolo. Nello stesso procedimento gia' oggetto di riunione, infatti, il successivo 7 dicembre 2017 era stata formulata dal pubblico ministero la richiesta di applicazione delle misure cautelari ed erano state contestualmente aggiornate tutte le sussistenti iscrizioni in modo conforme alle incolpazioni di cui alla richiesta. Anche con riferimento alla deduzione di tardivita' della riapertura delle indagini preliminari relative all'omicidio e alla conseguente iscrizione, per tale reato, di (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), la doglianza non e' stata ritenuta fondata dai giudici di appello. In proposito si e' rimarcato che le indagini erano state riaperte in data 3 febbraio 2017, a fronte della richiesta di revoca della precedente richiesta di archiviazione del 21 dicembre (OMISSIS); quindi dopo alcuni giorni, indicati come pari a sette, dal momento in cui il Pubblico ministero aveva potuto valutare e collazionare tutte le dichiarazioni rilevanti dei collaboratori, senza che in questo arco temporale si fosse verificato alcun ritardo pregiudizievole per gli imputati. La Corte territoriale, svolte, e comunque fatte proprie, le puntualizzazioni sinteticamente richiamate e riferite alla fase delle indagini preliminari, ha poi sottolineato che, nel corso del processo, sia in primo grado, sia nel giudizio di appello, alle parti era stato garantito il piu' ampio contraddittorio, che ha investito tutti i punti critici della vicenda, ivi incluso il vaglio delle dichiarazioni dei collaboratori, con la conseguenza che in nessun modo potevano ritenersi lesi i diritti degli appellanti. Le doglianze richiamate non riescono a vulnerare i passaggi essenziali che hanno sorretto la risposta dei giudici di appello alle questioni sollevate. Con riferimento al decreto di riapertura delle indagini preliminari, adottato dal Giudice per le indagini preliminari in data 3 febbraio 2017, si tratta di provvedimento che, ai sensi dell'articolo 414 c.p.p., e' stato assunto con decreto motivato, sulla base della richiesta del Pubblico ministero a sua volta basata sull'esigenza di nuove investigazioni, originate - come hanno chiarito i giudici del merito - dalle nuove evidenze scaturite da atti legittimamente assunti in altro procedimento. Posto cio', il decreto di cui si tratta, sia quando abbia negato la riapertura delle indagini (Cass. Sez. 5, n. 30620 del 26 giugno 2008, Lerda, Rv. 240441 01; Sez. 1, n. 1556 del 1 giugno 1990, Vianello, Rv. 184702 - 01), sia quando abbia autorizzato la riapertura delle indagini (Cass. Sez. 5, n. 14991 del 12 gennaio (OMISSIS), Strisciuglio, Rv. 252323 - 01) e' da ritenersi atto non impugnabile, per il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione. Peraltro, come si e' segnalato, a norma dell'articolo 414 c.p.p., affinche' il Pubblico ministero richieda e il Giudice autorizzi la riapertura delle indagini non occorre (diversamente da quanto e' stabilito dall'articolo 434 c.p.p. per la revoca della sentenza di non luogo a procedere) che sopravvengano o si scoprano nuove fonti di prova, ma soltanto che si profili l'esigenza di nuove investigazioni: esigenza la cui emersione non risulta essere stata concretamente contrastata. Resta, dunque, fermo il principio di diritto secondo cui il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilita' degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (Cass. Sez. U, n. 33885 del 24 giugno 2010, Giuliani, Rv. 247834 - 01; fra le successive Sez. 6, n. 29479 del 10 maggio 2017, Bartoli, Rv. 270413 - 01); cio', sempre con la precisazione, gia' ricordata, che tale limite non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni in merito al medesimo illecito con riferimento ai comportamenti successivi inerenti a reato permanente a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione. Ma, nel caso in esame, il corretto scrutinio compiuto dai giudici del merito ha rilevato l'avvenuta emissione del valido ed efficace decreto di riapertura delle indagini, per gli effetti di cui all'articolo 414 c.p.p.. Sono restate, in ogni caso, indimostrate le prospettazioni, coltivate anche dalle difese suindicate - in particolare di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - in ordine alla mancata iscrizione nel registro degli indagati per alcuni reati dei rispettivi imputati, dedotta come desunta dalle risultanze del T.I.A.P., in tal senso contestando le diverse risultanze del sistema S.I.c.p. segnalate come dirimenti gia' dalla Corte di assise: in ordine al fatto che alla difesa non sarebbe stato consentito l'accesso ai relativi dati, per vero, i ricorrenti non contrappongono la prova del diniego dei competenti organi a rilasciare le corrispondenti certificazioni. Al riguardo, da un lato, e' certo che, agli effetti stabiliti dall'articolo 405 c.p.p., il termine di durata delle indagini preliminari decorre dal momento della effettiva iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 c.p.p. delle generalita' della persona alla quale il reato sia stato attribuito, non da quello in cui il pubblico ministero abbia disposto l'iscrizione medesima (Cass. Sez. 6, n. 10078/21 del 1 dicembre 2020, P., Rv. 280718 - 01; Sez. 2, n. 12423 del 23 gennaio, P., Rv. 279337 - 01); dall'altro, si deve considerare che il S.I.c.p. (Sistema Informativo della Cognizione Penale) costituisce la banca informativa di tutti i dati fondamentali della fase di cognizione del processo penale, la quale assolve alla funzione interamente sostitutiva dei registri cartacei non piu' esistenti, con l'inerente immedesimazione dei registri cartacei in quelli informatici; sono i dati estratti dal suddetto sistema a rivestire l'idoneita' a comprovare l'avvenuta iscrizione delle notizie di reato (Cass. Sez. 5, n. 40500 del 24 settembre 2019, Barletta, Rv. 277345 - 02, con riferimento anche a quanto e' stato stabilito dalle Circolari del Ministero della Giustizia 11 giugno 2013, 9 dicembre 2014 e 11 novembre 2016). Per il resto, se e' vero che la pronuncia del decreto di archiviazione determina, in linea generale, la preclusione processuale all'utilizzazione degli elementi acquisiti successivamente al decreto e prima dell'adozione del provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini di cui all'articolo 414 c.p.p., l'emissione del decreto di riapertura ha integrato la condizione di procedibilita' legittimante la ripresa delle investigazioni in ordine allo stesso fatto e nei confronti delle stesse persone, nonche' per l'adozione di ogni consequenziale provvedimento, compresa l'applicazione di misure cautelari. Peraltro, nel caso di specie, come hanno evidenziato i giudici del merito, gli atti di cui i ricorrenti hanno, poi, contestato l'utilizzabilita', ossia le dichiarazioni dei collaboratori indicati, acquisite nel corso delle indagini preliminari, sono stati resi nell'altro procedimento pure specificato. In relazione a tale situazione, anche nell'ipotesi di una loro acquisizione fra gli atti direttamente rientranti nel fascicolo del dibattimento, ai sensi dell'articolo 238 c.p.p., si e' invero precisato che i verbali di dichiarazioni rese in un diverso procedimento sono legittimamente acquisiti anche quando, rispetto al procedimento ad quem, siano stati formati dopo la pronuncia di archiviazione e prima del provvedimento di riapertura delle indagini, in quanto essi sono stati assunti nel corso di separate indagini, volte ad individuare la sussistenza di altri reati (cosi', con specifico riferimento alla fase cautelare relativa a questo stesso procedimento, Cass. Sez. 5, n. 44147 del 13 giugno 2018, S., Rv. 274118 - 01; fra le altre, Sez. 2, n. 7055 del 28 gennaio 2014, Di Nardo, Rv. 259067 - 01; Sez. 1, n. 21073 del 19 aprile 2007, Irillo, Rv. 236793 - 01; Sez. 5, n. 736 del 12 febbraio 1999, Rubino, Rv. 212881 - 01). In concreto, poi, i ricorrenti hanno contestato l'utilizzabilita' del contributo dichiarativo reso dai collaboratori gia' menzionati nel corso del dibattimento, mentre la questione dedotta ha riguardato il loro apporto dichiarativo reso nel corso delle indagini preliminari. Per contro, come ha rilevato la Corte territoriale, le escussioni dibattimentali dei dichiaranti sono certamente avvenute senza l'emersione di alcuna violazione: ed e' da tali contributi che i giudici del merito hanno attinto per le valutazioni decisorie. Va, allora, ricordato che, ove pure fosse stata dimostrata una qualche effettiva ragione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da uno o piu' collaboratori nel corso delle indagini preliminari, avrebbe dovuto osservarsi che la susseguente acquisizione nel corso della cognizione piena delle relative affermazioni, ripetute e confermate in dibattimento, non avrebbe comunque reso il portato probatorio costituito dalle dichiarazioni dibattimentali a sua volta inutilizzabile. E' stato, al riguardo, evidenziato, in modo qui condiviso, che non opera, in materia di inutilizzabilita', il principio, inerente alle nullita', della trasmissibilita' del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo (Cass. Sez. 1, n. 748/19 del 8 maggio 2018, Sciortino, Rv. 274788 - 01; Sez. 2, n. 20798 del 11 aprile 2013, Ravese, Rv. 256400 - 01; v. nello stesso senso, in tema di conseguenze determinate dalla ritenuta inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche, Sez. 5, n. 44114 del 10 ottobre 2019, Giaimo, Rv. 277432 - 02). In tema di inutilizzabilita', dunque, non puo' applicarsi il principio, previsto dall'articolo 185 c.p.p. per le nullita', della trasmissibilita' del vizio agli atti susseguenti che dipendono da a quello dichiarato nullo, essendo da escludere la giuridica possibilita' di accedere al concetto di inutilizzabilita' derivata, in assenza di un'espressa disposizione di legge (in questa direzione si e' orientata anche l'interpretazione di Corte cost, sent. n. 219 del 2019, la quale ha ribadito l'assunto secondo il quale l'inutilizzabilita' ha vita totalmente autonoma rispetto al regime e alla stessa natura giuridica delle nullita', richiamando anche la definizione fattane riferendo a un'ipotesi di difetto funzionale della causa dell'atto probatorio, con l'inidoneita' dell'atto stesso a svolgere la funzione che l'ordinamento processuale gli assegna, come spiegato da Cass. Sez. U., n. 13426 del 25 marzo 2010, Cagnazzo, Rv. 246271 - 01): si considera che e' lo stesso sistema normativo ad avallare la conclusione secondo cui per l'inutilizzabilita', che scaturisce dalla violazione di un divieto probatorio, non possa trovare applicazione un concetto di inutilizzabilita' derivata, sulla falsariga di quanto e' stabilito per le nullita' dall'articolo 185 c.p.p., comma 1. Tale osservazione - in disparte il rilievo della genericita' della complessiva questione sollevata - induce a disattendere anche il motivo sviluppato da (OMISSIS) (sub 18.4.) inerente al dedotto omesso deposito dei verbali delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) nel fascicolo del Pubblico ministero nella parte relativa alle attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti ascritta all'imputato, per indurne l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in dibattimento dal medesimo (OMISSIS). 3.4. La deduzione di inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche. Per quanto concerne l'inutilizzabilita' dei risultati delle conversazioni intercettate per violazione dell'articolo 268 c.p.p., dedotta principalmente dalla difesa di (OMISSIS) (nel motivo 13.4) e in qualche misura ripresa dalle difese di (OMISSIS) e di (OMISSIS), essendosi lamentata la carenza di motivazione dei decreti autorizzativi (a partire dal decreto emesso il 3 marzo (OMISSIS)) perche' mancanti dell'indicazione degli elementi individualizzanti si osserva che la Corte di assise di appello ha rigettato l'eccezione considerando, in concreto, i decreti adeguatamente motivati, oltre che inerenti; e', invero, da considerarsi legittimo il decreto autorizzativo del giudice per le indagini preliminari che, pur non indicando le utenze per le quali le operazioni sono state disposte, contenga uno specifico richiamo alla richiesta del pubblico ministero che le ha precisate e alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, dando dimostrazione che le ha prese in esame e fatte proprie, con il relativo iter cognitivo e valutativo. In concreto, i giudici di appello, aderendo alla tesi sviluppata dai giudici di primo grado, hanno considerato che, dall'esame del primo e dei susseguenti decreti autorizzativi, emergesse la manifestazione dell'autonoma interpretazione da parte del giudice autorizzante dei dati delibati e dell'avvenuto esame da parte sua degli atti che la richiesta aveva indicati. Posta tale analisi degli atti, e' conseguente ribadire il principio di diritto secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e' legittima la motivazione per relationem dei decreti autorizzativi, quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del pubblico ministero e alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo cosi' in evidenza, per il fatto di averle prese in esame e fatte proprie, l'iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l'adozione del particolare mezzo di ricerca della prova; in questa prospettiva, non nuoce alla validita' del decreto autorizzativo la modalita' dispositiva che, pur non indicando le utenze per le quali le operazioni sono state disposte, formuli un espresso richiamo alla richiesta del pubblico ministero che le ha indicate (Cass. Sez. 2, n. 26139 del 3 maggio 2019, Ricotta, Rv. 276975 02; Sez. 5, n. 36913 del 5 giugno 2017, Tipa, Rv. 270758 - 01). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi, senza che i ricorrenti che, direttamente o indirettamente, hanno riproposto la questione si siano confrontati con l'effetto determinato dall'applicazione stessa. Per altro verso, i giudici di appello, per quanto attiene alla lamentata mancata iscrizione di (OMISSIS) nel registro degli indagati in ordine ai reati per i quali le intercettazioni erano state autorizzate, si sono implicitamente, ma univocamente, riportati alle conclusioni raggiunte in merito alla ritualita' ed effettivita' del decreto di riapertura delle indagini e del provvedimento di riunione dei procedimenti. A fronte di questo complessivo approdo, il motivo articolato dalla difesa di (OMISSIS) muove dal postulato della mancata iscrizione dell'imputato nel registro delle notizie di reato, omessa iscrizione invece esclusa dai giudici del merito. Si sarebbe trattato, peraltro, nella - indimostrata - prospettazione ora richiamata, di intercettazioni autorizzate in diverso procedimento e utilizzate in quello a carico dell'imputato: allora va, ad abundantiam, osservato che la relativa deduzione non ha tenuto conto del rilievo per cui la parte che eccepisce nel procedimento ad quem la mancanza o l'illegittimita' dell'autorizzazione per opporsi all'utilizzabilita' degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, ha l'onere di produrre il decreto autorizzativo (se del caso, richiedendone copia ex articolo 116 c.p.p.), in modo da porre il giudice in grado di verificare l'effettiva inesistenza nel procedimento a quo del controllo giurisdizionale prescritto dall'articolo 15 Cost. (Cass. Sez. 2, n. 6947/20 del 29 ottobre 2019, (OMISSIS), Rv. 278246 - 01). Piu' in generale, e' da riaffermarsi il principio di diritto secondo il quale la parte che deduce l'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche ha l'onere di indicare specificamente gli atti sui quali l'eccezione si fonda e di allegare tali atti, qualora non facciano parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimita' (Cass. Sez. 6, n. 18187/18 del 14 dicembre 2017, Nunziato, Rv. 273007 - 01). 3.5. La questione della violazione delle regole di valutazione delle sentenze passate in giudicato Con specifico riferimento alla valutazione della rilevanza probatoria delle sentenze passate in giudicato, ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., le doglianze - formulate da (OMISSIS) (motivo 6.2.1) e (OMISSIS), (OMISSIS) (motivo 8.2), che fanno carico alle decisioni di merito di aver violato la disposizione ora indicata, nella parte in cui stabilisce che le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3, c.p.p., non si rivelano fondate. Deve, invero, riaffermarsi il principio di diritto secondo cui la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., puo' essere utilizzata - non soltanto in relazione al fatto storico dell'intervenuta condanna o assoluzione ma - anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, ferma restando l'autonomia del giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all'imputazione sulla quale e' chiamato a pronunciarsi (Cass. Sez. 2, n. 52589 del 6 luglio 2018, Bruno, 275517 - 01), sempre con la puntualizzazione, resa chiara dalla norma, che le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'articolo 238-bis cit., anche nella parte in cui affermano fatti favorevoli all'imputato, devono essere valutate alla stregua della regola probatoria di cui all'articolo 192 c.p.p. comma 3,, ossia unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilita', ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino. ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino (Cass. Sez. 1, n. 24383 del 27 febbraio (OMISSIS), (OMISSIS), Rv. 263955 - 01; Sez. 1, n. 4704 del 8 gennaio (OMISSIS), Adamo, Rv. 259414 - 01). Alla singola sentenza irrevocabile non e', dunque, attribuita la forza cogente riconosciuta al giudicato dagli articoli 651 ss. c.p.p. ma viene annessa la valenza di elemento di prova dei fatti, sfavorevoli o favorevoli all'imputato, con essa accertati, da vagliare alla luce degli altri elementi, che siano di conferma del relativo approdo. Di conseguenza, il giudice del merito, affinche' tali sentenze assurgano a dignita' di prova nel processo nel quale vengono acquisite, deve, in primo luogo, nel contraddittorio delle parti, accertare la veridicita' dei fatti ritenuti come dimostrati dalle sentenze stesse, che siano rilevanti ex articolo 187 c.p.p., salva la facolta' dell'imputato di essere ammesso a provare il contrario. Inoltre, il giudice e' tenuto ad acquisire al dibattimento, sempre nel contraddittorio delle parti, gli elementi di prova che confermino la veridicita' dei fatti accertati nelle sentenze irrevocabili, che divengono, in tal modo, fonti di prova del reato per cui si procede. L'oggetto della prova scaturente dall'accertamento operata in virtu' della sentenza irrevocabile, acquisita ex articolo 238-bis c.p.p., riguarda ogni acquisizione che sia evidenziata in modo direttamente rilevante per la decisione anche nel corpo della relativa motivazione e va corroborato da elementi che rispondano al criterio valutativo fissato dall'articolo 192 c.p.p. comma 3,, costituiti da quei dati - di qualsivoglia natura, ma che siano - suscettibili di essere considerati come riscontri, non predeterminati nella specie e nella qualita', che pertanto possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica, non esclusi la loro individuazione anche in elementi gia' utilizzati nel precedente giudizio, sempre che gli stessi non vengano recepiti acriticamente in quello che utilizza la sentenza irrevocabile, ma vengano sottoposti a nuova e autonoma valutazione da parte del giudice procedente (Sez. 6, n. 42799 del 30 settembre 2008, Campesan, Rv. 241860 - 01). L'essenziale e' che tali elementi ulteriori siano annoverati nel complessivo quadro probatorio: cio', tuttavia, non soltanto per acquisizione postuma rispetto alla sentenza di cui si tratta, come invece sottendono le argomentazioni svolte con le doglianze in esame. Per vero, la funzione della norma si dirige a tutelare l'esigenza di non disperdere elementi conoscitivi acquisiti in provvedimenti che hanno acquistato l'autorita' di cosa giudicata, sempre pero' facendo salvo il principio del libero convincimento del giudice, cosi' prescrivendo che l'impiego dei dati di fatto emergenti dal complesso della sentenza divenuta irrevocabile e acquisita venga subordinato alla verifica della loro rilevanza in rapporto all'oggetto e, poi, dell'avvenuta loro corroborazione in forza degli indispensabili elementi esterni di riscontro, di qualsiasi natura; quel che appare, sul punto, necessario e' che i dati formanti i riscontri siano acquisiti nel contraddittorio delle parti nel corso del processo, non necessariamente dopo l'acquisizione della sentenza, giacche' introdotti nel compendio probatorio la sentenza irrevocabile e tutti gli altri elementi che con essa siano suscettibili di porsi in relazione ai fini del riscontro dei corrispondenti accertamenti fattuali - la parte interessata possiede il diritto di formulare le istanze di prova reputate rilevanti e funzionali a contrastare l'oggetto di quegli accertamenti e i corollari in prospettiva suscettibili di derivare dagli stessi. In tal senso resta accertato che l'acquisizione agli atti processuali, ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., di sentenze divenute irrevocabili non implica affatto, per il giudice del merito, alcun automatismo nel recepimento e nell'utilizzazione a fini decisori dei fatti dalle stesse accertati, con il corredo delle argomentazioni giustificative, restando intatta la sua autonomia e la sua liberta' nell'accertamento e nella valutazione anche di quegli elementi. Posto cio', si osserva che la Corte di assise di appello ha valutato le risultanze scaturenti dalle sentenze che saranno richiamate, le quali afferiscono a decisioni passate in giudicato al momento in cui i giudici di secondo grado ne hanno delibato il contenuto, in tal senso essendo sussistente il presupposto necessario per l'applicazione dell'articolo 238-bis c.p.p.. Inoltre, i giudici di appello, nell'analizzare il portato dimostrativo tratto dalle sentenze irrevocabili acquisite e valutate, ne hanno adeguatamente delibato gli esiti, non considerando la relativa portata in modo isolato, bensi' ponendo quelle risultanze in relazione agli altri elementi costituiti dalle altre prove documentali e dichiarative componenti il quadro probatorio. Viceversa, le censure dedotte con i motivi non introducono ragioni di critica dell'operazione accertativa e valutativa compiuta dalla Corte di assise di appello nell'annoverare anche i dati scaturenti dalle acquisite sentenze irrevocabili, nel quadro degli altri elementi man mano affluiti nel compendio, ma si arrestano a lamentare la relativa utilizzazione per l'omessa acquisizione di ulteriori elementi integrativi delle relative risultanze, dunque successivi alla loro introduzione nel quadro probatorio. Cosi' deducendo, i ricorrenti hanno omesso di considerare l'interazione fra l'oggetto di quelle decisioni e il restante quadro di elementi, documentali, logici e dichiarativi, spiegata in modo congruo nella sentenza impugnata. 3.5. Considerazione conclusiva. In conclusione, non si ravvisa alcuna possibilita' di recepire le critiche mosse alla Corte di assise di appello per l'avvenuto rigetto delle questioni processuali sollevate al fine di approdare all'inutilizzabilita' degli atti man mano richiamati. Le questioni dedotte, laddove hanno avuto ad oggetto le singole dichiarazioni e le singole risultanze delle attivita' captative, non hanno affrontato in modo adeguato il profilo della portata probatoria del singolo elemento di volta in volta preso in considerazione sulla valenza dimostrativa del complessivo quadro di elementi posto dai giudici del merito a fondamento del corrispondente accertamento di responsabilita'. E, pero', nella proposizione del ricorso per cassazione, forma oggetto dell'onere a carico della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, a pena di inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne, altresi', l'incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, cosi' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U, n. 23868 del 23 aprile 2009, Fruci, Rv, 243416 - 01; fra le successive, Sez. 6, n. 1219 del 12 novembre 2019, dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123 01). Tale constatazione determina l'effetto che, in ogni caso, le censure inerenti ai singoli atti segnalati, non avendo argomentato in ordine alla decisivita' della rispettiva valenza probatoria in relazione alla relativa statuizione, si rivelano generiche, in quanto prive di rilevanza. 4. Le dichiarazioni dei collaboratori e la loro valutazione I giudici del merito hanno acquisito e valutato ai fini della decisione, fra le altre fonti, le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte territoriale ha passato in rassegna i loro contributi dichiarativi, esaminando la parte illustrativa delle dichiarazioni a cui si era riferita la Corte di assise e richiamandone i tratti qualificanti (alle pagine 111 - 145); cio', dopo aver esposto la compiuta valutazione di credibilita' soggettiva e di attendibilita' del narrato di ciascuno (progressivamente alle pagine 96 - 111). La relativa analisi non viene infirmata dalle doglianze che hanno formulato diversi ricorrenti. La positiva valutazione del narrato dei collaboratori e la conseguente utilizzazione delle corrispondenti dichiarazioni, quali elementi convergenti alla dimostrazione dei fatti oggetto di processo, impregiudicata naturalmente la ponderazione di ciascun contributo per la specifica verifica di ogni singola fattispecie, non sono vulnerate dalle critiche articolate dalle difese dei ricorrenti. Si deve osservare che le svariate prospettazioni di incongrua o illogica valutazione delle affermazioni del singolo dichiarante non avrebbero potuto basarsi sulla deduzione di elementi estratti da una disamina parziale del contenuto della prova stessa. In effetti, a fronte della richiamata, organica valutazione delle singole fonti operata dai giudici del merito, non sono ammissibili quelle prospettazioni, pure introdotte nei ricorsi, di letture alternative di singoli passi del contenuto di ciascuna dichiarazione: non e', invero, sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita' delle fonti di prova, circa contrasti narrativi o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Cass. Sez. 5, n. 51604 del 19 settembre 2017, D'Ippedico, Rv. 271623 01; Sez. 2, n. 20806 del 5 maggio (OMISSIS) , Tosto, Rv. 250362 - 01). Ulteriore precisazione, che rileva per quelle doglianze con cui si e' sostenuta l'immotivata valorizzazione del contributo dichiarativo, e' quella che impone di verificare la valutazione compiuta dalla Corte territoriale alla stregua del consolidato principio di diritto secondo cui i riscontri esterni alla chiamata in reita' o correita' richiesti dall'articolo 192 c.p.p. possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, anche di carattere logico, nonche' in dichiarazioni: elementi che - oltre ad essere individualizzanti e quindi avere direttamente ad oggetto la persona dell'accusato in relazione allo specifico fatto a questi attribuito - devono essere esterni alle dichiarazioni accusatorie, allo scopo di evitare che la verifica sia circolare ed autoreferente (Cass. Sez. 2, n. 35923 del 11 luglio 2019, Campo, Rv. 276744 - 01; Sez. 3, n. 44882 del 18 luglio 2014, Cariolo, Rv. 260607 - 01). Deve, su questo argomento, ribadirsi che, per l'affermazione di responsabilita' dell'imputato, il riscontro alla chiamata in correita' puo' dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell'oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell'attribuzione a quest'ultimo del reato contestato (Cass. Sez. 6, n. 45733 del 11 luglio 2018, P., Rv. 274151 - 01). In merito alla necessita' di verificare la sussistenza di un adeguato riscontro in una dinamica probatoria che ha contemplato, fra le fonti valutabili di maggiore momento, i contributi provenienti da collaboratori, dichiaranti de relato, i giudici del merito si sono misurati con i criteri fissati dall'elaborazione giurisprudenziale sull'argomento. Essi sono condensati nel principio di diritto in virtu' del quale la chiamata in correita' o in reita' de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta il cui esame risulti impossibile, puo' avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilita' penale dell'accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore; cio' purche' i) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilita' soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificita', della coerenza, della costanza, della spontaneita', ii) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo, iii) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum, iiii) vi sia l'indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente, nonche' sussista l'autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Cass. Sez. U, n. 20804/13 del 29 novembre 2012, Aquilina, Rv. 255143 - 01; fra le successive, Sez. 1, n. 41238 del 26 giugno 2019, Vaccaro, Rv. 277134 - 01). La corrispondente verifica deve essere operata tenendo conto della, parimenti sedimentata, affermazione che, nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve effettuare il controllo della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni; fermo restando che tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non richiedendo l'articolo 192 c.p.p. comma 3,, una specifica e tassativa sequenza logica e temporale (Cass. Sez. U, n. 20804/13 del 29 novembre 2012, Aquilina, Rv. 255145 - 01; fra le successive, Sez. 4, n. 34413 del 18 giugno 2019, Khess, Rv. 276676 - 01; Sez. 1, n. 22633 del 5 febbraio 2014, Pagnozzi, Rv. 262348 - 01). Infine, fra i principi rilevanti ai fini della compiuta disamina delle critiche mosse alla sentenza impugnata, milita quello alla luce del quale la stessa esclusione dell'attendibilita' per una parte del racconto espresso dalla fonte dichiarativa non implica, per il principio definito della frazionabilita' della valutazione, un giudizio di inattendibilita' con riferimento alle altre parti intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate del medesimo contributo dichiarativo, a condizione i) che non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti, ii) che l'inattendibilita' non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilita' del dichiarante e iii) che sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita (per le varie, possibili ragioni, quali, fra le altre, la difficolta' di mettere a fuoco un ricordo lontano, la complessita' dei fatti e la possibile confusione degli stessi), in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull'attendibilita' soggettiva del dichiarante (Cass. Sez. 6, n. 25266 del 3 aprile 2017, Polimeni, Rv. 270153 - 01; Sez. 1, n. 40000 del 10 luglio 2013, Pompita, Rv. 256917 - 01). Questi principi sono stati osservati nella valutazione delle dichiarazioni dei suindicati collaboratori, con le precisazioni e i limiti che si individueranno nel corso dell'analisi dei singoli capi. Per (OMISSIS), e' stato sondato il percorso collaborativo, dalla sua genesi al suo dipanarsi piu' articolato, e si sono valutati i canoni della spontaneita' e del disinteresse delle sue dichiarazioni, essendosi sottolineato che il relativo giudizio non sottendeva alcuna forma di metamorfosi morale del dichiarante. Le sue dichiarazioni hanno implicato la confessione di gravi reati e hanno riguardato anche episodi sconosciuti agli inquirenti o i cui autori erano rimasti ignoti. Sia con riguardo alla posizione di (OMISSIS), sia con riguardo a quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS) si e' rimarcato che l'estrinsecazione delle loro dichiarazioni e' avvenuta in piena liberta' morale e non sono emersi elementi di astio o di rivalsa nei confronti delle persone accusate. Si e' considerato rilevante che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano operato nello stesso contesto criminale del clan (OMISSIS) e, secondo il motivato avviso dei giudici del merito, non erano affiorate ragioni di screzio, malanimo o anche azioni condotte contro di loro, tali da far sospettare di dichiarazioni rese in condizioni psicologiche per questo verso turbate. Della figura di (OMISSIS) si e' evidenziata, inoltre, la qualita' di frequentatore di lungo corso delle consorterie criminali e si e' rilevato che le sue dichiarazioni sono risultate esenti dal gravame di contrasti, reali o presunti, con gli appartenenti al gruppo (OMISSIS). Particolari notazioni sono state dedicate alle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano motivi di rancore contro gli (OMISSIS) e li avevano espressi, in quanto essi erano stati vittime dei loro soprusi come poi accertati con la sentenza del processo Sub Urbe. Tuttavia, questa base - considerata dai giudici del merito - aveva dato la spinta alla loro fruttuosa collaborazione, che si era infatti concretata in contributi dichiarativi di profilo reputato elevatissimo gia' nella sentenza irrevocabile ora citata. La precisione del rispettivo narrato e' stata rimarcata anche nel presente contesto. Entrambi i dichiaranti non avevano, secondo la motivata valutazione dei giudici del merito, riferito elementi generici o indirizzati in modo indiscriminato "nel mucchio", ma avevano sempre reso contributi precisi e mirati, nonche' attenti a distinguere fra le singole condotte riferite, in rapporto a ciascuna sfera di responsabilita'. Piu' in generale, la Corte territoriale, dopo l'esame dei singoli motivi di appello, ha recepito in modo argomentato la valutazione di credibilita' soggettiva e generale attendibilita' di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), svolgendo considerazioni specifiche congrue e non illogiche a supporto delle rispettive conclusioni. Per cio' che concerne l'attendibilita' estrinseca, poi, la verifica della sussistenza di riscontri di natura individualizzante relativi ai singoli reati costituisce materia da approfondirsi in relazione a ciascun reato e a ciascuna posizione; e, come si vedra', i postulati affermati dai giudici di appello, in relazione alle singole vicende, mentre per alcune fattispecie hanno rinvenuto nella restante motivazione della sentenza sufficienti e lineari agganci, per altri reati o per singole posizioni non risultano aver ricevuto il supporto di un discorso giustificativo adeguato, con primario riferimento alla tematica della emersione degli "altri elementi di prova" necessari, nella dialettica valutativa imposta dall'articolo 192, commi 3 e 4, c.p.p., a corroborare ciascuna dichiarazione proveniente dai medesimi. 5. I motivi inerenti alla ritenuta sussistenza dell'associazione di tipo mafioso, denominata clan (OMISSIS). 5.1. Per quanto concerne l'accertamento della sussistenza dell'associazione di tipo mafioso denominata clan (OMISSIS), l'affermazione dell'esistenza del sodalizio e della riconducibilita' del medesimo alla norma incriminatrice di cui all'articolo 416-bis c.p., ha formato oggetto delle doglianze di (OMISSIS) (motivo 5.1), di (OMISSIS) (motivi 6.1.3, 6.2.1, 6.2.3. e 6.2.4), di (OMISSIS), (OMISSIS) (motivi 8.2, 8.9, 8.10), di (OMISSIS) (motivo 9.2), di (OMISSIS) (motivo 11.2), di (OMISSIS) (motivi 12.1 e, per quanto di ragione, 12.2), di (OMISSIS) (motivo 13.5), di (OMISSIS) (motivo 14.1), di (OMISSIS) (motivo 18.5), di (OMISSIS) (motivo (191.), occorre considerare che i giudici del merito hanno annesso alle decisioni ormai definitive citate nella parte narrativa e al contributo dei collaboratori, vagliato e ritenuto dotato dei crismi dell'attendibilita', estrinseca e intrinseca, e della convergenza, rilievo probatorio adeguato al fine della dimostrazione del delitto associativo contestato. Il quadro che le due sentenze di merito disegnano con riferimento al territorio di (OMISSIS) fa emergere il gia' pregresso assoggettamento della zona al controllo di natura mafiosa, tale essendo stato ritenuto quello esercitato dal clan (OMISSIS), di provenienza abruzzese ((OMISSIS)), che si erano affiancati, per poi prevalere e stipulare la conseguente pax, sul gruppo di estrazione siciliana dei Triassi-Cuntrera, provenienti da Siculiana. Il gruppo facente capo ai maggiorenti della famiglia (OMISSIS) era arrivato successivamente e si era accordato con il gruppo (OMISSIS), organizzando, quanto allo spaccio della droga, un canale continuativo mediante il quale gli (OMISSIS) ricevevano la sostanza stupefacente da loro poi spacciata. Quelle vicende processuali sono state considerate univocamente sintomatiche dell'avvenuto conseguimento anche da parte del clan (OMISSIS), alleato del clan (OMISSIS), di un autonomo potere di intimidazione mafiosa estrinsecatosi sul territorio di riferimento di (OMISSIS). Gli elementi enucleati - ossia le convergenti dichiarazioni dei collaboratori, la ricostruzione delle vicende storiche della criminalita' ostiense, le attivita' di polizia giudiziaria, le intercettazioni, il contenuto delle sentenze irrevocabili, le deposizioni testimoniali - hanno, secondo i giudici di appello, dimostrato in modo incontrovertibile l'esistenza di un'associazione facente capo alla famiglia (OMISSIS), operante in (OMISSIS), a far data dal (OMISSIS). Essa si e' collocata in un rapporto di alleanza, pur riconoscendo l'altrui primazia criminale, con il piu' forte e storicamente radicato clan (OMISSIS), in relazione al quale e' gia' emersa in sede giudiziaria, in virtu' di sentenze irrevocabili, la natura di associazione mafiosa. Le attivita' delittuose prevalenti dell'associazione denominata clan (OMISSIS) sono risultate volte allo spaccio di sostanze stupefacenti, al settore delle estorsioni, all'usura, al reimpiego di capitali provento di attivita' illecita, al controllo delle sale giochi. 5.2. Nello scrutinio della natura di tale gruppo, associazione per delinquere inquadrabile nell'articolo 416 c.p. o associazione di tipo mafioso ex articolo 416-bis c.p., la Corte di merito ha risposto in quest'ultimo senso, ponendo in luce in termini chiari e precisi - gli indici in forza dei quali si e' cosi' determinata. a) E' stato, in particolare, osservato che gli appartenenti al clan (OMISSIS) hanno costituito un agglomerato che si e' articolato come una sorta di "filiazione" del clan (OMISSIS), la cui natura di associazione mafiosa e' stata acclarata in sede giudiziaria. Il richiamo dettagliato della corrispondente vicenda, conclusasi con l'accertamento della connotazione mafiosa (con particolare riferimento alla sentenza emessa il 13 giugno 2014 dal G.I.P. del Tribunale di Roma, seguita dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 9 ottobre 2015, divenuta irrevocabile a seguito della sentenza della Corte di cassazione, sezione 6, n. 28613 del 9 giugno 2016), e' stato considerato dai giudici di appello idoneo a dare contezza dell'attivita' criminale organizzata posta in essere dal clan (OMISSIS) e, al contempo, a far emergere significativi elementi dell'affermazione che nel contesto temporale e spaziale indagato in quella vicenda si era determinata da parte del gruppo degli (OMISSIS), loro alleati emergenti che avevano contrastato e alla fine scompaginato il clan dei (OMISSIS), come l'omicidio duplice del (OMISSIS) aveva confermato. Nella relativa dialettica, e' stato particolarmente considerato il contributo del collaboratore (OMISSIS) (gia' condannato per il delitto di associazione mafiosa quale appartenente al clan Spataro), che aveva chiarito lo stato della pax mafiosa generatosi nel territorio ostiense e il rapporto di collaborazione pur muovendo dalla situazione di preminenza del primo rispetto al secondo, arrivato dopo - fra il clan (OMISSIS) e il clan (OMISSIS). I clan, con particolare riferimento allo spaccio delle sostanze stupefacenti, si erano accordati per la spartizione delle zone di influenza e si contraddistinguevano anche per la diversa funzione nella catena di approvvigionamento e distribuzione; i (OMISSIS) si occupavano di distribuire la sostanza reperita sui mercati internazionali soltanto a canali sicuri e noti, mentre gli (OMISSIS) si erano riservati il compito di rifornire di droga chiunque proponesse loro un buon affare, pur se non appartenente all'ambito definito dei clienti gia' noti, con i quali soltanto trattavano i (OMISSIS). In quel contesto processuale - hanno segnalato i giudici del merito l'attendibilita' del dichiarante (OMISSIS) era stata accertata, sia per la rilevante credibilita' determinata dalla sua intraneita', per un certo periodo, al clan (OMISSIS), a cui era stato inizialmente ammesso per le sue ascendenze mafiose, e dai suoi contatti con (OMISSIS), sia per il conforto estrinseco ricevuto dal suo narrato in virtu' dell'esito delle attivita' tecniche e delle tracce documentali (ivi incluse le missive sequestrate). La natura mafiosa del clan (OMISSIS), connotato a cui la Corte territoriale ha riconnesso importante rilievo per il collegamento sussistente fra quel gruppo criminale e il clan (OMISSIS), viene segnalata come ulteriormente confortata dal parallelo sviluppo processuale riferito ad altri imputati della medesima consorteria, in relazione a cui in sede di legittimita' e' stato ribadito il principio di diritto secondo cui il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e' configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie cosiddette tradizionali, anche nei confronti di un sodalizio costituito da un ridotto numero di partecipanti, che tuttavia impieghi il metodo mafioso per ingenerare, sia pur in un ambito territoriale circoscritto, una condizione di assoggettamento ed omerta' diffusa; principio affermato per evidenziare (con riguardo al clan (OMISSIS)) che l'associazione criminale, pur operando in un ristretto territorio, si caratterizzava per l'indiscussa forza intimidatrice, generata anche mediante il ricorso abituale a condotte violente e all'uso di armi, tale da indurre un generale atteggiamento omertoso tenuto dai testimoni, desumibile dall'assenza di denunzie e di forme di collaborazione da parte delle persone offese (Cass. Sez. 6, n. 57896 del 26 ottobre 2017, (OMISSIS), Rv. 271724 - 01). L'approdo ora richiamato ha riguardato l'annullamento con rinvio della decisione di secondo grado, che aveva negato natura mafiosa al clan (OMISSIS), natura invece confermata dal susseguente giudizio rescissorio, il cui esito e' risultato, a sua volta, cristallizzato in via irrevocabile (Cass. Sez. 2, n. 10255/20 del 29 novembre 2019, (OMISSIS), Rv. 278745 - 02). L'ulteriore pronuncia di legittimita' ha nuovamente affermato che, ai fini della configurabilita' del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, con riguardo a una struttura autonoma e originale operante in un territorio limitato (ossia di una mafia locale), e' necessaria la dimostrazione in concreto della forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo, che si caratterizza per la sua forma libera, potendo essere diretta a minacciare tanto la vita o l'incolumita' personale, quanto le condizioni esistenziali, economiche o lavorative di determinati soggetti, attingendo i diritti inviolabili, anche di tipo relazionale, delle persone, che vengono coattivamente limitate nelle loro facolta'. In tal senso, anche la vicenda giudiziaria che ha visto imputati diversi appartenenti al clan (OMISSIS) - nel processo individuato con la denominazione investigativa Tramonto, che ha contemplato la pronuncia del Tribunale di Roma in data 8 ottobre 2015, parzialmente riformata da quella della Corte di appello di Roma del 16 dicembre 2016, irrevocabile all'esito della sentenza emessa in sede di legittimita' (da Cass. Sez. 2, n. 16048 del 21 febbraio 2018) - e' stata richiamata dai giudici di appello per le tangibili prove, acquisite in essa, della forza di intimidazione estrinsecata gia' da tempo dagli appartenenti a quel gruppo; evidenze fattuali nell'ambito delle quali, dall'analisi delle conversazioni captate, era emersa anche la funzione di mediatore svolta da (OMISSIS) nella situazione determinatasi a seguito dello scontro armato in cui era rimasto coinvolto (OMISSIS) ( (OMISSIS)), essendosi (OMISSIS) speso in favore di un soggetto, di nome (OMISSIS), che aveva paura di essere ammazzato se fosse tornato in (OMISSIS), possibilita' di ritorno invece garantitagli dall'intervento di (OMISSIS), in quanto anche gli (OMISSIS) - che altrimenti avrebbero avuto titolo e possibilita' per reagire - gli riconoscevano l'autorita' per lo svolgimento di quel ruolo. b) Rilievo ancora piu' marcato per la qualificazione del consorzio criminale oggetto di accertamento i giudici del merito hanno attribuito alla vicenda condensatasi nel processo Sub Urbe, inerente all'accertamento dei fatti denunciati anche da (OMISSIS) e (OMISSIS), poi dichiaranti nel presente procedimento: (OMISSIS), padre del primo primo, cugino di (OMISSIS), gia' appartenente al gruppo criminale di (OMISSIS), pur dopo l'assunto predominio da parte del clan (OMISSIS), reso irreversibile dal duplice omicidio del (OMISSIS) , aveva continuato ad assumere atteggiamenti arroganti e vessatori nei confronti di alcuni commercianti del territorio dominato dagli (OMISSIS); sicche' la reazione era stata l'attentato ai suoi danni, attinto agli arti inferiori da colpi di arma da fuoco ( (OMISSIS) era stato colpito, il 22 ottobre (OMISSIS), in pieno giorno, da due colpi d'arma da fuoco, mentre si trovava dinanzi al supermercato Conad, ubicato alla (OMISSIS) di (OMISSIS)), ed erano stati messi in essere atti estorsivi da parte di epigoni del clan per costringere i congiunti di (OMISSIS) a rilasciare in loro favore le abitazioni di edilizia residenziale pubblica dai primi occupati; fra i fatti giudizialmente accertati in questo processo dal Tribunale di Roma, con sentenza riformata parzialmente solo per le statuizioni civili dalla Corte di appello di Roma, in virtu' di decisione del 21 dicembre 2018 (sez. 2, n. 12417), divenuta irrevocabile il 30 marzo 2020, erano emersi diversi delitti di estorsione e inoltre quello di tentata estorsione, ascritto anche a (OMISSIS), (OMISSIS), consistente nel costringere, con violenza e minaccia, (OMISSIS) e (OMISSIS) al rilascio dell'appartamento da costoro abitato. La complessiva vicenda di sopraffazione e intimidazione e' stata valutata come azione lesiva finalizzata a reprimere qualsivoglia rigurgito di autonoma interferenza di chi, come (OMISSIS), non era allineato agli (OMISSIS) nel territorio di loro competenza; un'azione dimostrativa diretta a ribadire l'egemonia del gruppo coagulatosi intorno alla famiglia (OMISSIS) sul territorio di (OMISSIS). Erronea applicazione anche gli episodi estorsivi diretti all'impossessamento di abitazioni di edilizia residenziale pubblica occupate dai congiunti del suddetto (OMISSIS) si sono rivelati come tappe della piu' vasta manovra dimostrativa degli (OMISSIS), i quali, per accrescere e sostenere il controllo criminale del territorio, dovevano reprimere ogni elemento di disturbo o antagonista del loro controllo. In altre parole, coniugando l'uno e gli altri fatti, la conclusione e' stata che il ferimento plateale di (OMISSIS) aveva rappresentato un ulteriore efficace strumento per intimidire i congiunti della vittima e indurli a lasciare le abitazioni occupate. Questa vicenda viene valorizzata anche per la completa comprensione della genesi di alcune delle collaborazioni poi risultate rilevanti in questo procedimento, ossia quella di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) e di (OMISSIS), avendo osservato i giudici del processo Sub Urbe che la denuncia presentata dalle persone offese non escludeva affatto la loro condizione di soggetti in preda alla paura, ma era l'ineludibile risultato dell'intollerabilita' della paura stessa e della disperazione in cui esse versavano; erano disposte a perdere tutto e ad abbandonare definitivamente le abitazioni occupate e la loro vita pregressa pur di sottrarsi alle continue violenze e sopraffazioni. c) I giudici di appello hanno tratto elementi di conferma dell'avvenuta instaurazione nella zona di influenza degli (OMISSIS) della capacita' di intimidazione anche dall'episodio aggressivo in danno del giornalista (OMISSIS) e dell'operatore Edoardo Anselmi, che aveva visto protagonisti (OMISSIS) e (OMISSIS), con la commissione di reati (lesioni personali e violenza privata), aggravati dall'uso del metodo mafioso di cui all'articolo 7 Decreto Legge n. 152 del 1991, ora articolo 416-bis.1 c.p. (fatti accertati dal Tribunale di Roma, con sentenza del 18 giugno 2018, confermata dalla decisione della Corte di appello di Roma del 7 dicembre 2018, irrevocabile il 13 novembre 2019, in virtu' della pronuncia di Cass. Sez. 5, n. 6764/2020). Rispetto a tali fatti, accaduti il 7 novembre (OMISSIS), i giudici di appello, recependo l'esito del relativo accertamento, hanno sottolineato il nesso fra clima di omerta' e forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo ed il senso di impunita' dimostrato da (OMISSIS); questi, lungi dal cautelarsi commettendo il fatto aggressivo all'interno della propria palestra, dinanzi alla quale si stava l'operatore lo stava intervistando, non aveva avuto remora alcuna ad avventarsi violentemente contro i due, nel mezzo della strada, in pieno giorno e con una telecamera che lo riprendeva, anche ostentando il possesso di un manganello e urlando che quello era il suo territorio; il tutto, in una situazione di palese omerta', di silenzio di tutte le persone presenti e dei frequentatori della palestra di (OMISSIS), di immediata chiusure di porte e finestre, rafforzata dalla frase minacciosa rivolta alle vittime da un soggetto non identificato ("questo e' quello che vi succede a (OMISSIS), se venite qui a rompere le palle"). I giudici di quel processo avevano segnalato anche il carattere profondo e radicato del clima di omerta', sottolineato dalle dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS), che, nonostante le immagini del filmato da cui emergeva il ruolo di guardaspalle di (OMISSIS), che aveva preso parte attiva all'aggressione, aveva affermato, anche dopo che il complice era stato individuato ed arrestato, di non sapere chi fosse (ed i giudici avevano concluso che si era trattato di affermazione espressa "con spudoratezza ed arroganza"). La conclusione, raggiunta in quel processo, di ritenere sussistente la circostanza aggravante del metodo mafioso era stata sorretta, quindi, dal fatto (accertato) che (OMISSIS) si era avvalso, nell'occasione, della forza di intimidazione promanante dall'associazione malavitosa imperante sul territorio, nota come clan (OMISSIS); circostanza ben presente alla mente dei giornalisti e ben nota agli abitanti del luogo, tanto che alla stessa era stato fatto riferimento, ripetutamente, nel corso dell'intervista, come soggetto collettivo in grado di influenzare le decisioni politiche assunte nell'ambito del quartiere, motivo che, d'altro canto, aveva indotto i giornalisti a ricercare il contatto con (OMISSIS) e a intervistarlo sull'argomento. Altri fatti sono stati considerati dai giudici di merito univocamente sintomatici dell'avvenuta acquisizione da parte del clan (OMISSIS) dei connotati dell'associazione di stampo mafioso. d) In tal senso e' stato ricordato il fatto estorsivo aggravato dal metodo mafioso in danno del tabaccaio (OMISSIS), accertato a carico di (OMISSIS). Il tessuto decisorio (sentenza del Tribunale di Roma in data 28 giugno (OMISSIS), parzialmente riformata, quanto alla pena, dalla decisione della Corte di appello di Roma del 18 maggio 2018, irrevocabile il 30 gennaio 2020, a seguito della sentenza della Corte di cassazione, Sez. 2, n. 7847 del 30 gennaio 2020) corrobora l'avvenuta acquisizione del dato secondo cui, all'epoca dei fatti, collocati nel biennio (OMISSIS)-(OMISSIS), il gruppo (OMISSIS) aveva, con i suoi esponenti, imposto sul territorio di (OMISSIS), con violenza e minaccia, il proprio controllo su alcune attivita' economiche, ingenerando, soprattutto in occasione di alcuni gravi delitti, l'atteggiamento omertoso delle persone informate dei fatti. Nella specie, i giudici di legittimita' hanno osservato che la persona offesa aveva dato conto del timore ingenerato dalle parole profferite nei suoi confronti e dall'intervento di (OMISSIS), avendo avuto la percezione esatta del pericolo di doversi trovare a fronteggiare un'agguerrita e organizzata entita' plurisoggettiva che compieva delitti con metodo mafioso, e non con un singolo sprovveduto criminale. e) La Corte territoriale ha dedicato una specifica riflessione anche alla vicenda della gestione e della protezione relativa al chiosco (OMISSIS), situato nel territorio di (OMISSIS), in relazione alla quale e' stata valorizzata la testimonianza dell'inquirente (OMISSIS) sulle conversazioni intercettate. La parte di rilievo inerisce all'avvenuto acquisto di una quota del capitale sociale da parte di (OMISSIS), pari, per acquisizione diretta e per scrittura privata di ulteriore acquisto, al 50%. Avendo il chiosco subito ripetuti attentati, la Corte di assise aveva individuato il problema che lo riguardava, ossia la contesa per la sua protezione fra il gruppo degli (OMISSIS) e altri soggetti, indicati come i napoletani, essendo emerso in modo esplicito che si trattava di una "una questione di territorio" relativo al litorale ostiense, siccome dal pontile in giu' la "competenza" spettava agli (OMISSIS). I proprietari del chiosco, non sapendolo, si erano rivolti anche ai napoletani cosi' pero' non rispettando la competenza territoriale per la protezione, fondata su regole esistenti per mantenere la pace fra i gruppi criminali. La cessazione degli attentati era avvenuta dopo l'assunzione, per la protezione, di (OMISSIS), (OMISSIS), a cui era seguita l'assunzione come bagnino di (OMISSIS). I giudici di appello hanno preso in considerazione le critiche sviluppate dalle difese, in primo luogo da quella di (OMISSIS); nessun pizzo mensile avevano chiesto o gli (OMISSIS) in cambio di protezione e vi era, inoltre, la necessita' di escutere il primo interessato, ossia (OMISSIS). La Corte territoriale, dopo avere proceduto all'esame di quest'ultimo, ha osservato che il fatto che non fosse stata contestata, in merito a questa vicenda, un'autonoma violazione della legge penale nei confronti di (OMISSIS) era irrilevante. Non si era trattato, invero, di protezione estorta con la violenza, ma di un accordo di protezione che (OMISSIS) aveva avuto la necessita' di procurarsi per tutelare la propria impresa; questi aveva capito che, al di la' di chi avesse commesso i due attentati precedenti, era necessario ricorrere alla protezione di un personaggio di spicco, oltre che noto pugile, qual era (OMISSIS), capace di opporsi, se del caso fisicamente, ai soggetti che intendessero contrastarne l'attivita'. Cosi' (OMISSIS), per il tramite di (OMISSIS), lo aveva ingaggiato come guardiano notturno e poi aveva annoverato nell'organico un altro componente del gruppo (OMISSIS), (OMISSIS), assunto come bagnino. Aveva, quindi, denunciato i fatti precedenti, cosi' suscitando la reazione del suo dante causa (OMISSIS), interessato alla pregressa gestione della protezione, seppure espressamente conscio del fatto che (OMISSIS) si fosse affidato ai temuti e organizzati (OMISSIS). Ne' - ha precisato la Corte di assise di appello - toglie rilievo alla vicenda la constatazione che, in tempo successivo, (OMISSIS) non aveva dato buona prova e (OMISSIS), cessato il pericolo degli attentati, aveva chiuso il rapporto con i gestori del chiosco. L'insieme di tali eventi, per i giudici di appello, ha fornito la riprova che l'unica ragione della sua presenza (e di quella di (OMISSIS)) presso il chiosco (OMISSIS) era la protezione da accordare a (OMISSIS), in quanto contrapporre violenza a violenza era la regola, in quegli anni, sul litorale di (OMISSIS), come confermato dall'impressionante sequenza di crimini esposta dall'inquirente (OMISSIS). Un imprenditore, che volesse tutelare in modo concreto i suoi interessi, doveva rispettare, nella scelta della protezione, le "sfere di competenza" e, quindi, dare per certo che quella parte del litorale ostiense apparteneva alla competenza degli (OMISSIS). Ed infatti, una volta affidata a loro la guardiania, gli attentati erano cessati e la famiglia (OMISSIS) aveva riaffermato, in modo aperto, la propria forza e il controllo sul territorio, senza la necessita' di esercitare diretta violenza nei confronti di (OMISSIS) che, successivamente, aveva intrattenuto rapporti con altro componente dello stesso clan, ossia (OMISSIS). Veniva cosi' confermato l'acquisito spessore criminale del clan (OMISSIS), la sua forza di penetrazione nel tessuto economico-sociale del territorio e la conquista di spazi operativi nel tessuto commerciale senza mettere mano alle armi. Le vicende relative alla gestione delle slot machines e delle sale giochi, con il collocamento di capitali di provenienza illecita in attivita' lecite e l'inserimento nei gangli dell'economia legale si erano svolte con forme di violenza molto attenuate, ma - come chiarito dai giudici di merito - piu' subdole. f) Ancora, sintomatico della capacita' intimidatoria della consorteria criminale e' il fatto, che ha dato materia al reato di cui al capo M, ossia la tentata estorsione aggravata in danno di (OMISSIS), vicenda catalogata come quella del "(OMISSIS)", con riferimento alla quale i giudici del merito hanno rilevato il perfetto inquadramento della stessa nel modus operandi tipico del sodalizio di stampo mafioso. (OMISSIS) aveva un debito con (OMISSIS) e costui per farselo ripagare aveva minacciato pesantemente (OMISSIS), cointeressata nell'attivita' economica del debitore. La Corte di assise di appello ha rilevato che alla durezza dei toni usati da (OMISSIS) si era accompagnata, nell'integrazione del delitto, l'apparente bonomia di (OMISSIS), nel rispetto di uno sperimentato paradigma mirato a intimidire e spaventare la vittima designata. g) La caratura mafiosa del clan (OMISSIS) e' stata dai giudici di merito valutata anche in rapporto alle azioni dei poteri criminali avversi che hanno attentato a uomini di rilievo della consorteria, essendo emerso, grazie alla testimonianza dell'inquirente (OMISSIS), i due attentati alla vita di (OMISSIS): il primo, il 4 novembre (OMISSIS), mentre (OMISSIS) era in compagnia di (OMISSIS), con susseguente incontro dei due con (OMISSIS), appositamente chiamato; il secondo, l'8 novembre, pure seguito da un incontro di (OMISSIS) con (OMISSIS), (OMISSIS), e con (OMISSIS) e da una riunione familiare alla quale aveva preso parte anche (OMISSIS), ossia (OMISSIS). Dopo il secondo attentato (OMISSIS) aveva modificato le proprie abitudini. Ogni sera un componente della sua famiglia si recava a casa sua per assicurarne la sicurezza; le uscite da casa erano accuratamente protette da (OMISSIS) e (OMISSIS); la famiglia nel suo complesso aveva predisposto le armi per la risposta da dare a eventuali attacchi ulteriori. Insomma, una situazione pericolosa che aveva portato (OMISSIS) ad ipotizzare di lasciare (OMISSIS) per qualche tempo. Anche (OMISSIS), secondo gli elementi esposti da (OMISSIS), era riuscito a sventare un attentato alla sua persona, ma, in ragione della posizione assunta da (OMISSIS), che non aveva consentito a (OMISSIS) la rappresaglia immediata, anche (OMISSIS), per non andare contro la volonta' del fratello (a cui rimproverava di seguire quanto gli diceva (OMISSIS), ossia (OMISSIS)), non si era mosso, giacche', se fosse dipeso da lui, il problema lo avrebbe risolto "da solo". Pure dopo l'arresto di (OMISSIS), come ha precisato sempre (OMISSIS), si erano verificate altre azioni di fuoco contro componenti della famiglia (OMISSIS). Cosi', il 25 novembre (OMISSIS), erano stati esplosi cinque colpi di arma da fuoco, ad altezza d'uomo (m. 1,70), contro la porta di ingresso dell'abitazione di (OMISSIS); nella stessa data, dopo che qualcuno aveva bussato con insistenza alla porta dell'abitazione di (OMISSIS), erano stati esplosi, nei pressi della stessa, altri colpi di pistola sempre ad altezza d'uomo che avevano danneggiato una Seat Ibiza parcheggiata. Cinque colpi di pistola erano stati esplosi anche all'indirizzo del bar (OMISSIS), ubicato in (OMISSIS), di proprieta' di (OMISSIS). I giudici di appello hanno annesso rilievo ad ulteriori particolari riferiti dall'inquirente (OMISSIS) che, oltre a ribadire la serie di attentati, ha ricordato che il 23 novembre (OMISSIS) era stato gambizzato (OMISSIS). Ultimo episodio, pendente il presente procedimento, e' stato segnalato riguardo alla collocazione, il 2 ottobre 2018, di materiale esplosivo sul balcone dell'abitazione in (OMISSIS) dei genitori della collaboratrice (OMISSIS). E, attraverso la testimonianza del Colonnello Incarbona, era emerso, in virtu' delle intercettazioni eseguite nel procedimento denominato Criticai dagli investigatori, che era stata pianificata, nel luglio (OMISSIS), da parte della famiglia (OMISSIS), in unione a (OMISSIS), nipote di (OMISSIS) e cognato di (OMISSIS), detto (OMISSIS), (OMISSIS), azione che - gia' organizzata nei dettagli - era stata bloccata e si era proceduto a carico di (OMISSIS) per lo specifico reato in materia di armi. I giudici di merito hanno annesso a tale fatto rilevanza dimostrativa della natura associativa della compagine nell'ambito della quale era stata organizzata l'azione di fuoco, in quanto essa era evidentemente finalizzata al riposizionamento delle organizzazioni criminali operanti in (OMISSIS) nella prospettiva del mantenimento dell'egemonia del controllo del territorio. A cospetto di cio' la gambizzazione di (OMISSIS) (fratello di (OMISSIS)), avvenuta il 23 novembre (OMISSIS), era stata ascritta, sia pure con procedimento in itinere, a (OMISSIS), elemento contiguo a (OMISSIS), ritenuto avverso agli (OMISSIS). 5.3. Gli elementi probatori fin qui descritti si coniugano, secondo la conforme valutazione dei giudici di merito, con gli apporti forniti dai collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La motivazione ha ponderato il contributo di ciascuno dei dichiaranti e ha puntualizzato la valenza probatoria delle loro dichiarazioni, ritenute convergenti nella dimostrazione della concretizzazione dell'associazione criminale. I collaboratori, dal rispettivo angolo visuale, hanno esposto elementi concreti per la ricognizione della struttura e delle caratteristiche del gruppo criminale organizzato e per la verifica del ruolo svolto in esso e per esso da ciascuno dei partecipi. In tal senso, oltre ai richiami operati, volta per volta, in ordine alla singola questione, i giudici di appello, dopo aver effettuato la valutazione di credibilita' soggettiva e di attendibilita' del narrato di ciascuno, valutazione della cui congruita' e correttezza giuridica si e' detto, hanno fatto propria la parte illustrativa delle dichiarazioni a cui si era riferita la Corte di assise e ne hanno richiamato i tratti qualificanti, analizzandone in modo specifico i contenuti, con riguardo ai settori di influenza dell'associazione, al dispiegamento della forza intimidatoria sul territorio di (OMISSIS), con l'assoggettamento omertoso della comunita' in cui essa operava, alla ricostruzione delle singole partecipazioni al gruppo e del ruolo dai sodali svolto. 5.4. Le obiezioni sollevate dalle difese prima indicate in ordine alla correttezza giuridica, adeguatezza e logicita' della motivazione fornita dai giudici di appello in punto di qualificazione del clan (OMISSIS) come associazione di tipo mafioso non sono fondate. Si deve, ad avviso del Collegio, dare continuita' all'indirizzo ermeneutico che, anche con specifico riferimento a tale organizzazione criminale, ha valorizzato il dato, non superfluo, che l'articolo 416-bis c.p., nel suo ultimo comma, espressamente stabilisce che la disposizione si applica (oltre che alle associazioni mafiose, alla camorra e alla âEuroËœndrangheta) alle associazioni, "comunque localmente denominate", che, valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso. Coniugando, quindi, la verifica dei requisiti scolpiti nel comma 3 dell'articolo 416-bis c.p. e il riferimento alle altre formazioni, deve considerarsi che risultano punite dalla norma in questione tutte le associazioni aventi le caratteristiche stabilite. Si e', del resto, osservato - e gia' se n'e' dato conto - che, nel concetto di altre associazioni aventi i requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 416-bis c.p., il delitto in questione e' configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie definite tradizionali, anche con riferimento a un sodalizio costituito da un numero circoscritto di partecipi, pero' versato concretamente i) nell'utilizzazione del metodo mafioso per ingenerare, anche in un ambito territoriale limitato, una diffusa condizione di assoggettamento ed omerta', determinata da condotte violente e dall'uso di armi e rilevabile dal generale atteggiamento omertoso tenuto dai testimoni in dibattimento e dalla carenza di denunzie e di altre forme di collaborazione da parte delle persone offese, ii) nelle manifestazioni criminose del sodalizio, nella loro articolata molteplicita' e nella reiterata prassi di intimidazione e di violenza, in un contesto ambientale in cui risulta chiaramente riconosciuta l'efficace garanzia data dal vertice del sodalizio, dotato di indiscussa fama criminale, in merito al rispetto del gruppo a lui facente capo sul territorio. Va, in particolare, precisato che in fattispecie di nuova mafia, ossia di mafia non ricollegabile a uno dei gruppi tradizionali, per la configurabilita' del delitto di associazione di tipo mafioso, la forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo puo' essere volta a mettere in pericolo sia la vita o l'incolumita' personale, sia le condizioni esistenziali, economiche o lavorative, basilari di particolari categorie di soggetti, di guisa che il riflesso esterno di essa quanto all'assoggettamento non necessariamente deve concretarsi nel controllo esclusivo di una determinata area territoriale. La ricognizione di formazioni mafiose diverse dalle sedimentate consorterie storiche ha, del resto, rinvenuto uno sperimentato ambito di verifica a cagione dell'emersione delle mafie straniere, ossia dei gruppi composti da appartenenti alla medesima comunita' di origine straniera, che riescono ad assumere il controllo di ridotte aree territoriali, sempre determinando l'assoggettamento omertoso di matrice intimidatoria afferente ad ambiti, anche soggettivi, di limitate proporzioni e di circoscritte attivita', rispetto a cui si e' a ragione discorso di riduzione di scala del corrispondente fenomeno criminale, essendo in ogni caso da sottolinearsi che l'applicazione dell'articolo 416-bis c.p. esige la certa dimostrazione che il consorzio abbia conseguito l'evoluzione e la reputazione criminale da determinare l'estrinsecazione della sua capacita' di condizionare, con l'impiego del metodo intimidatorio, un numero indeterminato di soggetti, pur nei limiti in cui il gruppo opera. Deve, pertanto, ribadirsi che la norma incriminatrice suindicata non riguarda esclusivamente le grandi associazioni mafiose, formate da cospicue formazioni, con mezzi finanziari rilevanti e tali da determinare l'assoggettamento e l'omerta' di un larghissimo attraverso il terrore e la continua messa in pericolo dell'incolumita' e della vita delle persone che vengano in qualche modo intercettate nel dispiegamento della loro attivita' criminale. Essa concerne anche gli agglomerati definiti piccole mafie, connotati da un ridotto numero di sodali, non sempre o non necessariamente armati, tali da estrinsecare la loro capacita' di assoggettamento omertoso su un territorio circoscritto o nell'ambito di un ben definito settore di attivita', sempre avvalendosi, in quel territorio e per quell'ambito, della capacita' di intimidazione, in grado tale da determinare l'assoggettamento e l'omerta' altrui; condizione di omerta' per la cui realizzazione non si esige la generalizzata, sostanziale adesione alla subcultura mafiosa oppure una situazione di terrore generalizzato, tali da precludere la manifestazione di ogni reazioni civile e morale, bensi' occorre verificare una sufficiente diffusione della renitenza dei consociati attinti dalla forza intimidatrice a collaborare con gli organi dello Stato, atteggiamento determinato dal timore di poter riportare, in caso di libera cooperazione con le autorita' statuali, danni rilevanti dalla concretizzazione, da parte dell'organizzazione criminale, delle minacce costituenti l'essenza dell'intimidazione, con la conseguente maturazione nel corpo sociale della diffusa convinzione che la collaborazione con l'autorita' giudiziaria, mediante le denunzie e le testimonianze dei singoli, non impedirebbe le ritorsioni pregiudizievoli, rese concretamente possibili dall'efficienza e dalla pervasivita' dall'associazione, dotata di contatti e poteri sufficienti per arrivare a cagionare danni a chi non si sia fatto soggiogare dalla coltre omertosa imposta dalla stessa. In definitiva, il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. si configura anche con riferimento alle organizzazioni che, pur non esercitando il controllo su tutti coloro che vivono o lavorano in un certo territorio, sviluppano la propria azione in danno dei componenti di una determinata collettivita', sempre che tali organizzazioni si avvalgano di metodi intimidatori, tipicamente mafiosi, e determinino le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omerta' nel corpo sociale in cui dispiegano la loro attivita', per modo che l'associazione abbia conseguito in concreto, nell'ambiente in cui opera, un'effettiva capacita' di intimidazione che deve necessariamente avere una sua esteriorizzazione, quale forma di condotta positiva (requisito che si ritiene debba valere anche per le mafie nuove e per quelle definite delocalizzate: Sez. 6, n. 42369 del 17 luglio 2019, Danise, Rv. 277206 - 01; Sez. 1, n. 55359 del 17 giugno 2016, Pesce, Rv. 269043 - 01). Si tratta di un'interpretazione rigorosamente radicata sull'ordito letterale della disposizione e argomentata sulla scorta della consolidata esegesi della sua portata, naturalmente applicata ai fenomeni criminali emersi in determinate realta' territoriali negli ultimi decenni. Non sussiste, pertanto, secondo il Collegio, alcuna concreta questione di prevedibilita' della portata della norma incriminatrice che possa in qualche misura compararsi con l'esito della vicenda generata dalla decisione della Corte EDU del 14 aprile (OMISSIS) nel procedimento Contrada contro Italia (cio', a parte gli effetti circoscritti da ricollegarsi a quest'ultima, come chiariti anche da Sez. U, n. 8544/20 del 24 ottobre 2019, Genco, Rv. 278054 - 01). Le indicate caratteristiche - secondo le argomentazioni dei giudici del merito, confortate dalla serie di elementi fattuali e dalle dichiarazioni gia' citate si sono dimostrate sussistenti con riguardo al clan (OMISSIS), avendo lo stesso progettato e portato a termine in modo effettivo e diffuso numerose azioni intimidatorie, fra le quali, al di la' dell'individuazione delle sfere di responsabilita' individuale, va inscritta anche quella relativa al duplice omicidio (OMISSIS) - (OMISSIS), non avendo esitato appartenenti al gruppo a ricorrere all'omicidio o ad altri atti eclatanti, ivi incluse le gambizzazioni, perpetrati e ostentati in pubblico al preciso fine di ribadire e rafforzare la gia' conseguita potenza criminale della cosca. L'impiego del metodo intimidatorio e' stato ritenuto, con valutazione di merito adeguata e non viziata da illogicita', palesemente e in modo diffuso fatto proprio dal clan in questione, con la determinazione, accuratamente spiegata dai giudici di merito, del clima di omerta' generato dal sodalizio nella comunita' ostiense, per l'assenza di denunzie in relazione ai numerosi episodi di violenza, del verificarsi di atteggiamenti reticenti nel corso dei processi afferenti alle attivita' della cosca, del controllo delle attivita' criminali ed economiche maggiormente redditizie (chioschi, slot machines, usura, spaccio di sostanze stupefacenti). Non possono contrastare le valutazioni compiute dalla Corte di assise di appello le alternative letture dei vari elementi proposte nei motivi di ricorso sopra enumerati, tendenti a sollecitare, ma all'esito di una chiara incursione nel giudizio di merito, considerazioni riduttive della valenza indiziante dei singoli fatti posti dai giudici merito a fondamento delle loro conclusioni. L'acquisita prova che i componenti del gruppo si siano avvalsi in modo diffuso e manifesto della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo, esternando il metodo mafioso in modo reiterato e, a volte, eclatante, si e' coniugata, pertanto, con la condizione di omerta' e di conseguente assoggettamento derivatane. Pertanto, correttamente il gruppo (OMISSIS) e' stato annoverato fra le altre associazioni, comunque localmente denominate, che, valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, essendo stato individuato nell'articolazione del gruppo criminale in esame il minimo comune denominatore necessario per ritenere costituita e operante l'associazione mafiosa, ossia l'impiego sistematico del metodo mafioso in guisa tale da ingenerare nella platea che con esso si pone in relazione la condizione diffusa dell'assoggettamento omertoso, essendo emersa, secondo l'articolata analisi di merito teste' richiamata, la capacita' della consorteria di dispiegare il metodo intimidatorio promanante dal vincolo, non soltanto in via potenziale, ma in modo effettivo e riscontrabile, con la conseguente diversione per i propri illeciti fini della condizione di assoggettamento dei soggetti venuti a contatto con i suoi componenti, stante la diffusa consapevolezza della relativa forza nel contesto in cui il gruppo ha operato. In tal senso - e' stato condivisibilmente constatato - essa ha espresso quella specifica tipologia di pericolosita' sociale, connessa alle capacita' di condizionamento finalizzate a imporre il potere mafioso, che la fattispecie tipizzata nell'articolo 416-bis c.p. sanziona in quanto esprime un livello di offensivita' sostanzialmente corrispondente a quello delle mafie tradizionali. E' da ritenersi, pertanto, coerente e incensurabile in sede di legittimita' la conclusione che questa struttura criminale - nei termini accertati dai giudici del merito - si e' connotata per caratteristiche sussumibili nel paradigma normativa ora citato, del tutto sovrapponibili all'associazione mafiosa classica, nei sensi estrinsecati dall'ultimo comma della norma. 5.5. Tale valutazione non e' confutata dal riferimento - operato dalle difese di alcuni ricorrenti - a diverse formazioni che hanno dispiegato condotte criminali nel territorio romano senza pero' raggiungere una concreta capacita' intimidatoria con conseguente assoggettamento omertoso. Ribadita la premessa in diritto secondo cui, ai fini della qualificazione ai sensi dell'articolo 416-bis c.p. di una nuova ed autonoma formazione criminale, e' necessario accertare se il sodalizio i) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui, ii) abbia in concreto manifestato capacita' di intimidazione, ancorche' non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell'ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operativita', nonche' iii) abbia manifestato una capacita' di intimidazione effettivamente percepita come tale e iiii) abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel territorio in cui l'associazione e' attiva (Sez. 6, n. 18125/20 del 22 ottobre 2019, Bolla, Rv. 279555 - 17), la pronuncia ha rilevato che gli elementi raccolti non costituivano una base giustificativa adeguata a far ritenere che le compagini, oggetto di accertamento in quel contesto, avessero detti requisiti. Del tutto diverso e' risultato, invece, l'approdo, congruamente argomentato, dell'accertamento di merito effettuato in questa sede. In vicende criminali, specificamente accertate in sede processuale (la vicenda (OMISSIS), la testata al giornalista (OMISSIS), il processo Sub Urbe), e' stata costantemente riconosciuta, nella condotta di appartenenti all'associazione, la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso. E, come hanno annotato i giudici del merito, si e' trattato di un accertamento non occasionale e nemmeno legato al maggiore o minor spessore criminale di questo o di quell'imputato ( (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS) per le lesioni e la violenza privata in danno del giornalista e dell'operatore), bensi' della riconducibilita' del metodo in capo a un consesso delinquenziale strutturato - gli appartenenti al clan (OMISSIS) - i cui singoli esponenti, fossero essi promotori, organizzatori, capi, ovvero partecipi, hanno posto in essere determinate condotte non a titolo individuale, ma appunto in quanto appartenenti al sodalizio in oggetto. Dalle evidenze probatorie analizzate, dunque, e' emersa un'associazione collegata a un'altra associazione, certamente mafiosa, i cui aderenti si rendono responsabili di delitti, aggravati dal metodo mafioso, commessi in quanto partecipi del sodalizio: da cio' la caratteristica dell'imprescindibilita' fra singole condotte e organica aderenza dell'autore al clan. La Corte di assise di appello ha, in tal senso, considerato che (OMISSIS) ha inflitto la "lezione" a (OMISSIS) e (OMISSIS), non semplicemente quale soggetto che esige, pretende rispetto nel territorio di competenza, ma come partecipe dell'organizzazione criminale preminente che non tollera alcuna intrusione o interferenza che possa essere letta come un'infrazione del clima omertoso instaurato nella zona con l'intimidazione. Nella stessa prospettiva e' stata congruamente valutata la vicenda della protezione assicurata da (OMISSIS), con (OMISSIS), a (OMISSIS) per l'attivita' del chiosco (OMISSIS); la sola presenza dei suddetti appartenenti al clan nell'attivita' economica in questione aveva determinato chi fino a quel momento aveva gravemente minacciato (OMISSIS) (anche con l'uso di materiale esplosivo) a non proseguire in quella condotta, in quanto continuare a minacciarlo lo avrebbe costretto a confrontarsi con gli (OMISSIS). Al rilievo che tali elementi, pur se indicativi di una consorteria delinquenziale evoluta in una struttura di stampo mafioso, non si sarebbero connessi con la prova del controllo del territorio da parte degli (OMISSIS), non esistendone in (OMISSIS) una assolutamente egemone ed essendo il clan qui in esame sottoposto ai (OMISSIS), la Corte di merito ha, con argomentazione logica, obiettato che, al contrario, l'attendibile narrato dei collaboratori, descrivendo i conflitti intercorsi in quasi un ventennio fra le consorterie criminali operanti in (OMISSIS), aveva asseverato, oltre alla genesi, anche l'ascesa del clan (OMISSIS), il quale, una volta eliminati i Bafi'cchi, aveva acquisito il dominio del relativo territorio e annesso anche gli appartenenti a quel gruppo delinquenziale, determinando questa affermazione con metodo mafioso. D'altronde, il controllo dell'ambito ostiense non e' stato inteso come dominio assoluto, ma come controllo concorrente, vale a dire riferito a una porzione di quel territorio: gli (OMISSIS) operavano gia' in modo incontrastato su una parte di territorio di (OMISSIS) imperniata sulla (OMISSIS) e avevano successivamente ampliato il loro dominio anche sulla parte relativa alla (OMISSIS) (convenzionalmente definita la "vietta"), una volta eliminata la resistenza del gruppo dei (OMISSIS), in una progressione accrescitiva della sfera di influenza, parallelamente al consolidamento dell'alleanza con il clan (OMISSIS), anche penetrando nella gestione delle attivita' economiche, comprese quella relativa alle slot machines; cio', senza ammettere, per tali ambiti, la concorrenza di altri gruppi criminali o singoli delinquenti. Anche per il clan (OMISSIS) la Corte territoriale, sulla scorta dei dati analizzati, ha ritenuto, quindi, congrua la qualificazione per essa di un gruppo di "nuova" mafia, siccome non radicata nel patrimonio storico assicurato dal prestigio criminale della tradizione, come invece si verifica per i gruppi che inscrivono la loro struttura criminale nell'ambito proprio delle mafie storiche (quali quelli aderenti, ad esempio, a Cosa nostra o a famiglie della âEuroËœndrangheta o della camorra), e di "piccola mafia", la quale, pero', nel suo ambito, ha sviluppato una forza di intimidazione scaturente dal vincolo associativo fino a farne derivare quella tangibile condizione di omerta' e assoggettamento di coloro che, nel relativo ambito, si siano trovati a rapportarsi con essa, derivandone la conseguente limitazione delle loro facolta'; cio' nella stessa prospettiva che ha condotto all'accertamento della natura mafiosa dell'associazione definita clan (OMISSIS), consorzio criminale al quale gli (OMISSIS) hanno fatto esplicito riferimento e con il quale sono state acclarate permanenti condizioni di collaborazione. I giudici di appello hanno segnalato, oltre al carattere paradigmatico dell'episodio (OMISSIS), il silenzio sistematico di molti testimoni e persone offese, quali indice chiaro del fatto che l'evocazione del clan (OMISSIS), nel territorio ostiense, fosse gia' risultato temuto e anche rispettato. La cessazione degli attentati al chiosco di (OMISSIS) e l'esito delle stesse indagini susseguenti al duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS), perpetrato in pieno giorno e sotto gli occhi di numerosi soggetti, senza che fossero emerse le corrispondenti testimonianze per fare chiarezza sull'accaduto, hanno costituito elementi di conferma della tesi enunciata dai giudici del merito. Con specifico riferimento alla condotta organizzata ascrivibile al clan (OMISSIS), la Corte di assise di appello ha ritenuto emblematico anche il contenuto della conversazione captata all'interno della autovettura BMW in uso a (OMISSIS), nel corso della quale (OMISSIS) chiedeva a (OMISSIS) di far "uscire" 250,00 Euro al mese per il "vecchio", che era in carcere, riferendosi a (OMISSIS), sollecitazione a cui (OMISSIS) rispondeva "come non ce la famo-". I giudici del merito osservano che - essendo chiaro che un capo come (OMISSIS), principale esponente del clan omonimo, non aveva certo bisogno dell'obolo disposto da (OMISSIS) (per il tramite di (OMISSIS)) per mantenersi nel corso della detenzione - l'offerta aveva solo un significato simbolico, quello di sottomissione e di conferma dell'alleanza, di tributo a un capo rispettato, di rassicurazione in ordine alla costante presenza sul territorio in stretta collaborazione con chi e' detenuto, secondo uno sperimentato codice proprio delle mafie tradizionali ma fatto proprio anche da queste nuove consorterie, ivi incluso il clan (OMISSIS). Le osservazioni svolte dai difensori degli imputati sulla qualificazione del gruppo criminale come associazione mafiosa rinvengono un solido e coerente argine nella considerazione svolta dalla Corte territoriale secondo cui i criteri gia' individuati per la valutazione dei connotati essenziali del clan (OMISSIS) sono perfettamente riconoscibili nella struttura, nelle vicende associative, nella storia e nei reati specifici attribuiti al clan (OMISSIS) e ai suoi aderenti. Anche in questo caso, se per raggiungere gli obiettivi previsti e puniti dall'articolo 416-bis c.p. un'associazione non radicata in una mafia storica fa scaturire, in un determinato ambito sociale e ambientale, un diffuso clima di intimidazione, tale da generare una condizione di assoggettamento, con la correlativa limitazione della sfera autodeterminazione, e di omerta', non puo' certo parlarsi di applicazione analogica della norma incriminatrice, ma si tratta di applicazione diretta della norma al fatto dalla stessa tipizzato. D'altro canto, questo ragionamento poggia sulla corretta riflessione secondo cui una diversa - e limitante - interpretazione dell'articolo 416-bis c.p. genererebbe una disparita' di trattamento non giustificata da agganci normativi, giacche' sarebbero assoggettate alla disciplina di maggior rigore esclusivamente le associazioni storiche, dotate di una denominazione ormai consolidata, non quelle che venga accertato sono tali perseguire gli stessi fini con gli stessi metodi e gia' realizzano il medesimo coefficiente di maggior disvalore rispetto all'associazione per delinquere semplice. L'analisi recepita dalla Corte di assise di appello ha escluso che l'applicazione dell'articolo 416-bis c.p. a fenomeni associativi di natura criminale del tipo di quello qui in esame possa comportare l'elusione del tasso di determinatezza della fattispecie che deve necessariamente annettersi alla dimensione qualitativa e quantitativa della concreta capacita' di intimidazione palesata dal gruppo per l'effettivo conseguimento degli effetti dell'assoggettamento e di omerta' costituenti l'imprescindibile terreno di coltura per il perseguimento dei fini dell'associazione. I paradigmi generalizzati di riferimento - intimidazione, assoggettamento, omerta' - risultano assunti come fenomeni meta-individuali e, dunque, da cogliere nella loro dimensione e collettiva; tale, in ogni caso, da escludere gli opposti estremi, ossia, da un lato, quelli che esigano un effetto totalizzante di coazione, tale da coinvolgere tutta la popolazione di un determinato territorio; dall'altro, quello della "micro-entita'" associativa, quelli, in altre parole, che si fermino ad una prospettiva di dimensione poco piu' che individuale. Tale analisi si radica sulla consolidata affermazione che, ai fini della configurabilita' dell'associazione per delinquere di tipo mafioso, il requisito della forza intimidatrice promanante dal sodalizio non puo' essere escluso per il semplice fatto che la sua percezione all'esterno non e' generalizzata nel territorio di riferimento, o che un singolo non si e' piegato alla volonta' dell'associazione o, addirittura, ne ignori l'esistenza. In questa direzione, si e', d'altro canto, chiarito in sede di legittimita' (specificamente con riferimento all'attivita' del clan (OMISSIS), operante nel territorio di (OMISSIS)) che il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. e' configurabile - non soltanto in relazione alle mafie cosiddette tradizionali, ossia quelle consistenti in grandi associazioni di mafia ad alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti e in grado di assicurare l'assoggettamento e l'omerta' attraverso il terrore e la continua messa in pericolo della vita delle persone, ma anche con riguardo alle mafie definite "atipiche", costituite da piccole organizzazioni, con un basso numero di appartenenti, non necessariamente armate, che tuttavia assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attivita' avvalendosi del metodo mafioso, da cui derivano assoggettamento ed omerta', senza, peraltro, che sia necessaria la prova che la forza intimidatrice del vincolo associativo sia penetrata in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di riferimento (Sez. 5, n. 44156 del 13 giugno 2018, S. Rv. 274120 - 01). I giudici di appello hanno correttamente aderito all'esegesi secondo cui cio' che rileva, nell'alveo cosi' individuato, non e' il rilievo dell'atteggiamento del singolo in se' e per se' considerata, bensi' l'apprezzamento della risposta collettiva, il cui tenore va sondato per verificare se e quando l'associazione ha raggiunto una capacita' di intimidazione condizionante una generalita' di soggetti e se poi della stessa si avvale per il perseguimento degli obiettivi fissati dalla norma incriminatrice. Posto che sia il dispiegamento della forza intimidatoria, sia la condizione di assoggettamento e di omerta' derivatane devono formare oggetto di prova, i giudici di appello hanno condiviso il rilievo che, ai fini della configurabilita' del reato di associazione di tipo mafioso con riguardo alle mafie non tradizionali, e' necessario che l'associazione abbia gia' conseguito, nell'ambiente in cui opera, un'effettiva capacita' di intimidazione esteriormente riconoscibile, la quale puo' scaturire dal compimento di atti anche non violenti e non di minaccia, ma che in ogni caso evochino e siano manifestazione del prestigio criminale del sodalizio. La forza di intimidazione, d'altro canto, e' un fenomeno criminale che si dispiega a forma libera, in rapporto alla natura complessa delle dinamiche sociali che ne registrano la veicolazione, e va riconosciuta tenendo conto della flessibilita' delle tipologie espressive e delle modalita' delle tecniche intimidatorie, potendo l'intimidazione medesima essere diretta a minacciare tanto la vita o l'incolumita' personale, quanto, anche o esclusivamente, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti; inoltre, il suo riflesso esterno in termini di assoggettamento non deve tradursi necessariamente nel controllo di una determinata area territoriale. L'associazione di stampo mafioso, quando si manifesta con i connotati suindicati, compromette i diritti di liberta' di un numero indeterminato di soggetti, palesando la sua natura di delitto primariamente teso a vulnerare l'ordine pubblico, ma idoneo a ledere anche l'ordine pubblico economico e, piu' in genere, l'esercizio dei diritti e delle liberta' oggetto di tutela costituzionale. Ne' puo' aderirsi alla critica mossa da alcune difese (in particolare, da quella di (OMISSIS), (OMISSIS), nel motivo sub 8.10) che hanno fatto carico ai giudici del merito di non aver diversamente qualificato il consorzio criminale oggetto di processo quale associazione per delinquere semplice ex articolo 416 c.p.. Ferma la necessita' di una, pur non articolata, struttura, anche nell'associazione per delinquere ex articolo 416 c.p., l'articolo 416-bis c.p. delinea un reato associativo a condotta multipla e di natura mista, nel senso che, mentre per l'associazione semplice e' sufficiente l'apprestamento di un'organizzazione stabile, sia pure rudimentale, diretta al compimento di una serie indeterminata di delitti, per l'associazione mafiosa e' altresi' necessario che questa abbia conseguito nell'ambito di riferimento una reale capacita' d'intimidazione e che gli aderenti si siano avvalsi in modo effettivo di tale forza al fine di realizzare il loro programma criminoso. D'altro canto, l'avvalimento della forza intimidatrice si esplica in vari modi, sia limitandosi a sfruttare il clima di intimidazione gia' instaurato dal sodalizio, sia ponendo in essere nuovi atti di violenza e di minaccia, quale estrinsecazione rafforzativa della capacita' intimidatrice gia' conseguita dal sodalizio. In tal senso l'integrazione della fattispecie non esige che l'avvalersi della forza intimidatrice si esplichi necessariamente in una condotta, sia pure contemporanea, ma distinta da quella diretta al conseguimento del fine associativo, per cui anche specifiche condotte possono rivelarsi finalizzate a entrambi gli obiettivi quando, considerate in rapporto alle specifiche modalita' e al tessuto sociale in cui si esplica, esprimano ex se la forza intimidatrice del vincolo comune. Ne' va trascurato che le due figure delittuose si distinguono pure per il profilo finalistico; in tal senso, l'associazione di tipo mafioso si differenzia dalla comune associazione per delinquere per il fatto che essa non e' necessariamente diretta alla commissione di delitti - pur potendo questi, ovviamente, rappresentare (e normalmente rappresentano) lo strumento mediante il quale gli associati puntano a conseguire i loro scopi - ma puo' anche essere diretta a realizzare, sempre mediante l'avvalimento della particolare forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta' che ne deriva, taluno degli altri obiettivi indicati dall'articolo 416-bis c.p., fra i quali e' compreso anche quello costituito dalla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per se' o per altri. Pertanto, mentre non puo' discorrersi di associazione per delinquere ordinaria quando gli associati abbiano come scopo esclusivo la commissione non di un numero indeterminato di delitti, ma solo di uno o piu' delitti previamente individuati, nulla vieta la configurabilita' del reato di associazione di tipo mafioso quando gli associati - pur quando si siano dati un programma che, quanto a fatti specificamente delittuosi, presenti le limitazioni dianzi accennate - siano tuttavia mossi da altre concorrenti finalita' comprese fra quelle previste dalla norma incriminatrice e comunque adottino, per la realizzazione di quel programma e delle altre eventuali finalita', i particolari metodi descritti e sanzionati dalla stessa norma (Sez. 2, n. 31920 del 4 giugno 2021, Alampi, Rv. 281811 - 03; Sez. 1, n. 19713 del 22 febbraio 2005, Oliva, Rv. 231967 - 01; Sez. 1, n. 5405/21 del 11 dicembre 2000, Fanara, Rv. 218089 - 01). Orbene, alla stregua delle articolate e coerenti puntualizzazioni della Corte territoriale sui caratteri del clan (OMISSIS), la qualificazione del delitto di natura associativa dalla stessa operata si attiene ai canoni teste' ribaditi. In definitiva, la conferma della natura di associazione di carattere mafioso del consorzio criminale denominato clan (OMISSIS) a cui e' approdata la Corte di assise di appello non si presta a fondata censura. 5.6. La circostanza aggravante dell'associazione armata. Anche le doglianze aventi ad oggetto la circostanza aggravante della natura armata dell'associazione di stampo mafioso - formulate da (OMISSIS) (motivo 5.2), da (OMISSIS) (motivo 6.2.5), da (OMISSIS) ((OMISSIS): motivo 8.12), da (OMISSIS) (nell'ambito del motivo 11.2), da (OMISSIS) (nell'ambito del motivo 13.5) e da (OMISSIS) (nel motivo 18.5) sono infondate. I giudici del merito hanno posto in luce che un elemento di notevole spessore nell'accertamento della natura armata del clan, per gli effetti di cui all'articolo 416-bis c.p., quarto e comma 5, e' da ritenersi costituito dall'uccisione di (OMISSIS) e (OMISSIS), azione da ascriversi in ogni caso a quel gruppo e fortemente dimostrativa della disponibilita' di armi da parte del consorzio criminale. Altro dato comprovante la disponibilita' di armi e' stato individuato nel violento episodio della gambizzazione di (OMISSIS), accertato nel procedimento Sub Urbe. Anche la condanna di altri esponenti del clan, con particolare riferimento ad (OMISSIS), per detenzione di armi ha corroborato la valutazione dei giudici di appello. Non si e' mancato di osservare, inoltre, per gli effetti inerenti alla posizione di tutti gli appellanti rispetto all'applicazione di questa circostanza aggravante, che le evidenze acquisite hanno condotto a escludere che fra costoro potesse annoverarsi alcuno in posizione tale da ignorare la disponibilita' di armi da parte del sodalizio. Si e' fatto notare che anche i sodali come (OMISSIS) - molto vicino al leader del gruppo, (OMISSIS), ma nello stesso tempo dedito alla gestione di una propria attivita' lavorativa - erano del tutto consci che la forza intimidatrice dell'associazione promanante dal sodalizio si basava anche sulla diffusa conoscenza che esso avesse disponibilita' di armi, anche perche' si e' apprezzata come poco verosimile l'opzione opposta, tenuto conto che, essendo stato il clan (OMISSIS) pienamente coinvolto nello scontro fra le organizzazioni criminali che si erano contese, nel corso di un tempo lungo quasi un decennio, la supremazia su determinati settori del territorio ostiense, ricorrendo a omicidi, ferimenti e attentati, non era logicamente concepibile che i sodali di quella consorteria avessero affrontato disarmati quella situazione di conflitto. D'altro canto, dal complesso delle condotte aventi rilevanza associativa enumerate in ogni dettaglio gia' nella sentenza di primo grado: fra l'altro, i) l'episodio del 19 novembre (OMISSIS) , quando furono fermati dai Carabinieri (OMISSIS), (OMISSIS) e Abdel (OMISSIS) (che era riuscito a dileguarsi); a bordo dell'autovettura Fiat 500 intestata a (OMISSIS) era stata rinvenuta, la mattina dopo, una Colt 45, attribuita a (OMISSIS); ii) la pianificazione meticolosa (con armi, tute, veicoli e ogni altro strumento) da parte degli (OMISSIS) dell'azione di fuoco, in alleanza con (OMISSIS), raccontata dall'inquirente (OMISSIS) con riguardo alle evidenze acquisite nel procedimento denominato Criticai, all'esito della quale si era proceduto a carico di (OMISSIS) per il reato in materia di armi, nonche' iii) il progressivo contrapporsi di episodi aggressivi e violenti, pure con l'uso di armi, che si era verificato in corrispondenza degli attentati a (OMISSIS) - e' derivata l'esposizione ragionata di una situazione concreta stabilmente determinata nel territorio di riferimento dall'azione costante del gruppo facente capo al clan (OMISSIS), contemplante la disponibilita' di armi da parte dei componenti il gruppo, utilizzata in modo funzionale, al bisogno, alle finalita' dell'associazione; disponibilita' non mutata con il trascorrere del tempo, come ha confermato il deposito intimidatorio di materiale esplosivo sul balcone di casa in danno di (OMISSIS). La conclusione raggiunta dai giudici del merito, atteso l'adeguato e non illogico supporto giustificativo esposto, resiste alle critiche dei ricorrenti. Anche l'episodio piu' eclatante valorizzato in tal senso, ossia il duplice omicidio, deve ritenersi - come si vedra' all'esito della corrispondente analisi fatto ascrivibile senz'altro al gruppo criminale (OMISSIS), al di la' della completa individuazione degli autori del delitto. Il comma 5 dell'articolo 416-bis c.p. precisa che l'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilita', per il conseguimento della finalita' dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. Si muove pertanto dal concetto che la circostanza aggravante ricorre non allorche' sia emerso il riferimento isolato ed episodico alla dotazione di armi in capo a questo o quel componente del sodalizio, ma quando sia riscontrata l'effettiva disponibilita' delle armi e l'uso delle stesse per il conseguimento delle finalita' dell'associazione; cio', con l'ulteriore, importante specificazione che, ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante della disponibilita' delle armi, non e' richiesta l'esatta individuazione delle armi stesse, ma e' sufficiente l'accertamento, in fatto, della disponibilita' di un armamento, desumibile, ad esempio, dai fatti di sangue commessi dal gruppo criminale o dal contenuto delle intercettazioni (Sez. 6, n. 55748 del 14 settembre 2017, Macri', Rv. 271743 - 01; Sez. 1, n. 14255/17 del 14 giugno 2016, Ardizzone, Rv. 269839 - 01). Nella prospettiva cosi' disegnata, quindi, non puo' ritenersi irrilevante, ai fini del riscontro della circostanza aggravante in parola, la stessa, qualificata dotazione di armi in capo ai singoli componenti del sodalizio quando essa sia univocamente sintomatica della disponibilita' funzionale di tali strumenti di piu' grave violenza da parte del sodalizio. In tal senso, si e', in modo condivisibile, ritenuto che, quando si tratta di reati di criminalita' organizzata, la prova della disponibilita' di armi da parte di un appartenente a un sodalizio mafioso possa essere considerata idonea a fornire dimostrazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p. nei confronti degli altri soggetti che partecipano alla consorteria, in quanto la dotazione di strumenti di offesa e' connaturata al perseguimento degli scopi di un sodalizio di tipo mafioso (Sez. 6, n. 36198 del 3 luglio (OMISSIS), Ancora, Rv. 260272 - 01). In corrispondenza di tali considerazioni, va aggiunto che si profila incensurabile anche l'individuazione dell'ambito soggettivo a cui la circostanza aggravante e' stata applicata da parte della Corte di merito. Si muove, in ordine a tale tematica, dal principio secondo cui, in merito all'associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilita' di armi e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa (ai sensi dell'articolo 59, in relazione all'articolo 70, c.p.), situazione per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso (Sez. 2, n. 50714 del 7 novembre 2019, Caputo, Rv. 278010 - 01; Sez. 6, n. 32373 del 4 giugno 2019, Aiello, Rv. 276831 - 02), con la necessaria precisazione che questa detenzione sia desumibile da indicatori concreti, quali fatti di sangue ascrivibili al sodalizio o risultanze di titoli giudiziari, intercettazioni, dichiarazioni od altre fonti, di cui il giudice dia specificamente conto nella motivazione (Sez. 1, n. 7392/18 del 12 settembre 2017, Di Majo, Rv. 272403 - 01). L'approdo raggiunto dai giudici del merito si e' attenuto a tali principi e, pertanto, non risulta vulnerato dalle richiamate censure. 5.7. La circostanza aggravante del reinvestimento di matrice mafiosa delle risorse conseguite con i delitti La Corte di assise di appello - lo si rileva in relazione alle doglianze formulate da (OMISSIS) (motivo 5.2), da (OMISSIS) (motivo 6.2.5), da (OMISSIS) ((OMISSIS): motivo 8.13), da (OMISSIS) (nell'ambito del motivo 11.2), da (OMISSIS) (nell'ambito del motivo 13.5), da (OMISSIS) (nel motivo 18.5) - ha ritenuto sussistente anche la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p., la quale, e' integrata quando le attivita' economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti. I giudici di appello, segnalata la natura oggettiva della circostanza, hanno precisato che il suo accertamento, con riferimento al clan (OMISSIS), e' derivato dall'evoluzione storica del sodalizio, che, nel quadro dell'emerso, diuturno rapporto con il gruppo (OMISSIS), una volta occupato lo spazio abbandonato dai Triassi e dopo aver conquistato in modo cruento quello che prima era del gruppo dei (OMISSIS) (i cui capi erano stati uccisi), si era (per via rilevata come naturale) determinato a reinvestire i proventi delle attivita' delittuose governate dal clan e aveva scelto la strada del riciclaggio di natura mafiosa contemplato e punito piu' severamente dalla succitata norma. In linea principale, i componenti del clan hanno optato per l'interposizione fittizia, che aveva garantito loro il reinvestimento dei capitali in attivita' lecite, pero' inquinate dai flussi di provenienza illecita. Tenuto conto di ogni aspetto della fattispecie incriminatrice, la Corte territoriale ha, poi, escluso che i soggetti coinvolti nelle relative attivita' potessero fondatamente invocare concreti elementi di buona fede o anche la mancanza del dolo, in quanto, alla stregua dei dati di fatto analizzati, sia che essi fossero soggetti che avevano operato nel contesto fattuale posto a monte e a latere delle attivita', sia che fossero soggetti introdotti nel comparto piu' prossimo alle attivita' produttive, era risultato chiaro che il fondamento dell'associazione stessa era consistito nel reinvestimento delle risorse illecite finalizzato all'arricchimento attraverso l'accumulo di lucro parassitario. I giudici di appello, operato un vaglio periscopico delle attivita' illecite controllate dalla consorteria, hanno, con argomentazioni congrue e non illogiche, concluso che il denaro cosi' drenato aveva originato un flusso costante che doveva essere necessariamente ripulito mediante i vari reinvestimenti nelle attivita' economiche poi analizzate, anche con riferimento ai reati fine, e che le relative operazioni erano state effettuate, nell'interesse dei singoli partecipi alle varie attivita', in quanto tali e in quanto associati, anche assumendo una portata preminente nel settore e nel territorio di riferimento, quale quello relativo alla gestione delle sale da gioco e delle slot machines. Posto cio', del tutto corretta e' l'affermazione dei giudici del merito in ordine alla natura della circostanza aggravante in esame. Essa, oltre ad avere natura oggettiva, va riferita all'attivita' dell'associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, con la conseguenza che e' valutabile a carico di tutti i componenti del sodalizio di tipo mafioso, sempre che essi siano stati a conoscenza dell'avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero l'abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Cass. Sez. U, n. 25191 del 27 febbraio (OMISSIS), Iavarazzo, Rv. 259589 01). E, se e' vero che, precipuamente nei consorzi mafiosi storici, della circostanza aggravante in parola, che va riferita all'attivita' dell'associazione e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, quest'ultimo ordinariamente ne risponde per il solo fatto della partecipazione, dato che appartenendo da anni al patrimonio conoscitivo comune che queste associazioni operano nel campo economico, utilizzando e investendo i profitti di delitti che tipicamente pongono in essere in esecuzione del suo programma criminoso un'ignoranza al riguardo in capo ad un soggetto che sia affiliato a una di esse non e' concepibile (Cass. Sez. 2, n. 23890 del 1 aprile 2021, Aieta, Rv. 281463 02), deve considerarsi parimenti accertato, sulla base delle congrue osservazioni dei giudici del merito, che, pure nel contesto di nuova mafia, la natura fortemente concentrata, dal punto di vista dell'ambito territoriale di riferimento e del coordinamento familistico delle attivita' illecite, anche nel settore del reinvestimento economico ha fatto emergere la diffusa conoscenza nell'ambito degli appartenenti alla compagine criminale dei corrispondenti meccanismi di utilizzazione e reinvestimento dei profitti illecitamente conseguiti. Per il resto, le doglianze articolate sul punto si infrangono sul congruo accertamento compiuto dai giudici del merito. E' da riaffermare, su tale argomento, il principio di diritto secondo cui, per configurare in concreto la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 6, occorre che l'intervento degli associati, in quanto tali, volto ad assumere, con risorse illecite, il controllo di attivita' economiche inerisca a strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrono gli stessi beni o servizi, cosi' influendo sulle regole della concorrenza, sempre che l'apporto di capitale corrisponda a un reinvestimento delle utilita' procurate dalle azioni criminose, atteso che e' il collegamento tra azioni delittuose e intenti antisociali a esigere, secondo la ratio della norma, una piu' efficace risposta repressiva (Cass. Sez. 5, n. 9108/20 del 21 ottobre 2019, Stucci, Rv. 278796 - 01; Sez. 6, n. 4115/20 del 27 giugno 2019, Graziano, Rv. 278325 - 01). L'analisi desumibile dalla motivazione delle sentenze di merito corrobora in modo adeguato la conclusione dell'avvenuto, sistematico reinvestimento delle risorse prodotte dai delitti commessi dai sodali nell'alveo della sfera di influenza della consorteria, in guisa da assumere ruoli prevalenti nel territorio di riferimento e alterare i meccanismi dell'ordinaria concorrenza nel corrispondente mercato: e cio' ha determinato l'integrazione degli indicati presupposti della circostanza aggravante. 5.8. La partecipazione dei singoli imputati all'associazione di stampo mafioso. Principi e rinvio. Rinviando all'analisi delle singole posizioni la verifica delle doglianze aventi ad oggetto la contestata partecipazione degli imputati al clan (OMISSIS), vanno richiamati i principi a cui tale verifica si ispira. E', in particolare, da ritenersi accertato che, con riferimento alla fattispecie associativa di cui all'articolo 416-bis c.p., la condotta di partecipazione e' riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare - piu' che uno status di generica appartenenza - un ruolo specifico, in senso dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. In tale prospettiva, si e' condivisibilmente affermato che la partecipazione del singolo al gruppo mafioso - in difetto di prove direttamente rappresentative dell'intraneita' del singolo all'associazione - va desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l'appartenenza nel senso indicato, sempre che si tratti di indizi gravi e precisi, quali, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi, definibili di osservazione e prova, l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, laddove significativi, fatti concludenti - da interpretarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria -, rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dell'aggregato criminale, tali da risultare idonei, senza alcun automatismo probatorio, a far emergere la sicura dimostrazione della permanenza costante del vincolo, in relazione allo specifico periodo temporale fissato nell'imputazione (Cass. Sez. U, n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231670 - 01; fra le altre successive, Sez. 1, n. 16766 del 21 febbraio 2020, Catanzariti, Rv. 279180 - 01, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 32020 del 16 marzo 2018, Capraro, Rv. 273571 - 01; Sez. 5, n. 4864/17 del 17 ottobre 2016, Di (OMISSIS), Rv. 269207 - 01; Sez. 1, n. 13933/17 del 29 novembre 2016, Agui', non massimata). Questa linea esegetica ha ricevuto il recente conforto nonche' ulteriori puntualizzazioni da un'altra pronuncia delle Sezioni Unite, le quali hanno, per un verso, ribadito che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua messa a disposizione in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass. Sez. U, n. 36958 del 27 maggio 2021, Modaffari, Rv. 281889 - 01) e hanno, per altro verso, dettato rilevanti precisazioni in tema di affiliazione rituale sempre in riferimento all'associazione di tipo mafioso, alfine affermando che l'affiliazione rituale puo' costituire grave indizio della condotta partecipativa, sempre che essa risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serieta' ed effettivita' - l'espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione, fra gli elementi sintomatici valutabili in tal senso essendo da considerarsi la qualita' dell'adesione e il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilita' criminale del soggetto, la serieta' del contesto ambientale in cui la decisione e' maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l'altro, ai poteri di chi propone l'affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, nonche' la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilita' pretesa od offerta (Cass. Sez. U, n. 36958 del 27 maggio 2021, cit., Rv. 281889 - 02). 6. I delitti contestati ai capi B e C: duplice omicidio, porto e detenzione illegali delle armi utilizzate In merito a questi reati si sono registrati, da un lato, il ricorso del Procuratore generale territoriale, che ha censurato l'assoluzione dagli stessi di (OMISSIS), e, dall'altro, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) ((OMISSIS)), i quali hanno, nell'ambito di piu' vasta impugnazione, sollevato doglianze sull'affermata responsabilita'. 6.1. Su questa vicenda la Corte di assise di appello ha condiviso l'inquadramento gia' esposto dai giudici di primo grado e ha attribuito il ruolo di esecutori materiali dell'omicidio a (OMISSIS) e (OMISSIS), coadiuvati da (OMISSIS), con la precisazione che per quest'ultimo si era proceduto in separata sede e senza pervenire a condanna; la Corte di secondo grado ha attribuito i reati anche a (OMISSIS), individuato come concorrente morale, mentre - a differenza di quanto aveva deciso la Corte di assise - ha escluso il concorso nei delitti di (OMISSIS) perche' non raggiunto da sufficienti prove a carico. Antefatto, causale e dinamica dell'azione sono stati ricostruiti dalla Corte territoriale facendo riferimento anche alle dichiarazioni di (OMISSIS) che dei fatti e' stato ritenuto testimone oculare. Per come aveva saputo da (OMISSIS), (OMISSIS) aveva individuato l'antefatto nella lite fra (OMISSIS) e (OMISSIS), a causa dei debiti che (OMISSIS) aveva contratto sia con la famiglia (OMISSIS), sia con lo stesso (OMISSIS). Quando a (OMISSIS) era stato negato di partecipare al colloquio fra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel garage del primo, avendolo (OMISSIS) dissuaso estraendo un coltello, (OMISSIS), allontanatosi, si era successivamente munito di un'arma e aveva esploso dei colpi verso i cancelli del garage. La Corte di merito ha ritenuto tali dichiarazioni convergenti i) con le lesioni riportate da (OMISSIS) il 25 ottobre, ascritte a pestaggio, non a caduta, e ii) con la sparatoria effettuata in quel luogo il 26 ottobre (OMISSIS) , nonche' iii) con la geolocalizzazione relativa alla posizione di (OMISSIS) (colui il quale avrebbe poi aiutato (OMISSIS) a fuggire dopo l'omicidio), iiii) con la testimonianza di (OMISSIS) (figlia di (OMISSIS), precipitosamente rientrato dall'(OMISSIS) per la situazione in cui si era trovato (OMISSIS)) e limi) con il tessuto di intercettazioni relativo ad (OMISSIS) (all'epoca, fidanzata di (OMISSIS)). Era seguita una discussione molto pesante fra (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano tentato di accordarsi su chi dovesse ricevere per primo il pagamento del debito contratto da (OMISSIS). Tale tentativo di accordo, come ha evidenziato la Corte di assise di appello, era stato contrassegnato dall'atteggiamento violento di (OMISSIS) e, in ogni caso, era fallito. Dopo il contrasto fra (OMISSIS) e (OMISSIS) era seguita la decisione di uccidere (OMISSIS), intanto eclissatosi. (OMISSIS) aveva proposto a (OMISSIS) di rendersi disponibile per vedere quando (OMISSIS) sarebbe stato reperibile presso il bar e riferirlo a (OMISSIS), che abitava davanti alla casa di (OMISSIS) e sapeva dove si trovavano le armi e la moto rubata per l'azione. In ogni caso, la Corte di merito ha individuato, in questa fase, un altro tentativo di mediazione, per iniziativa di (OMISSIS), vicino alla famiglia (OMISSIS) e cognato di (OMISSIS), con una riunione in un'abitazione di (OMISSIS), pure conclusasi senza esito positivo, con conseguente persistenza del proposito vendicativo del gruppo (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS). Al riguardo, i giudici di appello hanno annesso rilievo al ritrovamento in data 19 novembre (OMISSIS) della pistola Colt 45 nella autovettura Fiat 500 a bordo della quale erano (OMISSIS), (OMISSIS) (il quale sarebbe stato poi condannato per il relativo fatto) e (OMISSIS). Gli elementi di prova valutati dai giudici di merito li hanno condotti a ritenere accertato che: i) era emerso un forte contrasto fra gli (OMISSIS) e (OMISSIS); ii) erano falliti i tentativi di mediazione; iii) era emerso l'intento aggressivo degli (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), nell'ambito del quale il vero e proprio disegno omicida era subentrato solo nella fase finale della sequenza, quando erano risultati vani gli ultimi tentativi di comporre il conflitto. La Corte di assise di appello ha, dunque, concluso che era provata l'esistenza, in capo agli (OMISSIS), della volonta' di regolare i conti con (OMISSIS), fatto che rendeva irrilevanti le prospettazioni - rimaste allo stato di congettura - in ordine all'eventualita' che altri soggetti avessero progettato e realizzato l'omicidio. Con specifico riferimento alla dinamica dell'omicidio, (OMISSIS) aveva raccontato che, nel pomeriggio del fatto, dopo avere assolto il suo obbligo di firma presso l'ufficio di polizia, era andato davanti all'autolavaggio di (OMISSIS) di (OMISSIS), era stato contattato da un cileno per un quantitativo di hashish e si era recato all'appuntamento con questa persona, prendendo nota del quantitativo e indicandogli il prezzo. Aveva, poi, disattivato il suo cellulare e gli aveva dato appuntamento tra i due giardini di (OMISSIS). Quando era andato a consegnargli l'hashish, aveva notato, all'angolo della stradina che divideva i due giardini, arrivare un'autovettura, che aveva tenuto d'occhio, temendo che si trattasse di polizia in borghese. Quando si era avvicinata, aveva visto che si trattava dell'autovettura a Opel di (OMISSIS), padre di (OMISSIS). Dalla stessa, dal lato del conducente, era sceso (OMISSIS), dal lato passeggero era sceso (OMISSIS) e dalla parte posteriore era sceso (OMISSIS). Quest'ultimo si era recato su (OMISSIS) e aveva cominciato a sparare. (OMISSIS) era entrato - dall'ingresso non di (OMISSIS), ma dall'altra parte - dentro al bar e aveva sparato in faccia al socio di (OMISSIS), che si trovava vicino alle slot machines di videopoker, nel punto in cui era collocato il bagno. Era, quindi, uscito dal bar e aveva puntato la pistola al volto di (OMISSIS). (OMISSIS), invece, sceso dall'auto, era andato in (OMISSIS), aveva esploso i colpi di pistola all'indirizzo di (OMISSIS), il quale, appena li aveva visti, aveva tentato di fuggire ma era stato attinto dai colpi di pistola esplosi, da dietro, da (OMISSIS). Nel frattempo, (OMISSIS) si era posto alla guida del veicolo; i complici erano saliti a bordo e se n'erano andati. (OMISSIS), in ordine alla fase appena susseguente all'omicidio, aveva riferito che (OMISSIS), dopo un quarto d'ora o venti minuti, lo aveva raggiunto a casa e lui lo aveva lavato con la varechina per togliere le tracce di polvere da sparo, facendolo poi nascondere nello scantinato al piano terra. Quindi, su indicazione di (OMISSIS), era andato da (OMISSIS), il quale lo attendeva sul balcone di casa. Secondo (OMISSIS), (OMISSIS) era molto arrabbiato per il fatto che (OMISSIS) si fosse fatto carico di commettere personalmente l'omicidio, tra l'altro usando il veicolo del padre, e perche' avevano deciso una cosa e ne era stata fatta un'altra. (OMISSIS) gli aveva, poi, detto che sapeva che (OMISSIS) stava da lui e gli aveva dato i soldi da portargli con la disposizione di attendere una macchina all'angolo del bar (OMISSIS). (OMISSIS) aveva consegnato il denaro a (OMISSIS) nello scantinato e si era recato subito all'angolo del bar (OMISSIS), aspettando una decina di minuti, senza che pero' il veicolo arrivasse, anche per il via vai delle Forze dell'ordine. Non potendo ulteriormente trattenersi senza essere visto, era andato nuovamente da (OMISSIS), il quale gli aveva detto di recarsi dietro casa sua, dalla parte dell'Eurospin, perche' la macchina era gia' li'. Era andato e aveva visto la macchina con a bordo (OMISSIS), il napoletano, e la sua compagna. (OMISSIS) lo aveva sollecitato a far venire (OMISSIS), sicche' era andato a prenderlo, lo aveva portato da (OMISSIS) ed erano partiti. (OMISSIS), che aveva sostenuto di aver continuato a frequentare (OMISSIS) dopo l'omicidio (pur se questi si era allontanato subito dopo il fatto) ma di non averne mai parlato lui, aveva riferito anche dei contatti successivi fra (OMISSIS) e gli (OMISSIS). In particolare, un mese o un mese e mezzo dopo il fatto, al bar di (OMISSIS), presenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) gli aveva chiesto il numero di telefono per contattare (OMISSIS); era stato, quindi, lui a contattare (OMISSIS), in Grecia, e da lui aveva saputo che era tutto a posto e stava bene. Alla versione dei fatti resa da (OMISSIS) i giudici di appello, al pari di quelli di primo grado, hanno riconosciuto attendibilita', osservando che, sotto il profilo storico, era emerso in modo indiscutibile un dato estremamente convincente: all'eclissi del gruppo dei (OMISSIS) aveva fatto da preciso contraltare l'ascesa del clan (OMISSIS) e all'uscita di scena di (OMISSIS) e (OMISSIS) si era verificato il passaggio degli appartenenti al loro gruppo a quello degli (OMISSIS), con conseguente espansione di costoro anche nella zona originariamente controllata dalla compagine debellata E il carattere cruciale dell'omicidio in questa sequenza di eventi, coincide - secondo la Corte territoriale - con la dinamica raccontata da tutti i collaboratori, convergendo con le sentenze irrevocabili richiamate nel confermare l'esistenza del clan (OMISSIS) e nell'imporre la qualificazione del sodalizio come associazione mafiosa. Fra gli elementi di riscontro, la Corte di merito cita quale dato indiretto quelle proveniente dalle dichiarazioni di (OMISSIS) il quale, de relato da (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), aveva confermato il movente immediato, ossia la questione del pagamento conteso della partita di droga, la lite fra (OMISSIS) e (OMISSIS), il ruolo di esecutore di (OMISSIS). Invece, (OMISSIS) aveva attribuito un ruolo piu' pregnante a (OMISSIS) (individuato come secondo sicario). La Corte, al riguardo, mentre ha ritenuto fondati i rilievi difensivi circa la necessita' di approfondire la posizione di (OMISSIS), in ordine al ruolo eventualmente svolto nel duplice omicidio, ha reputato la versione di (OMISSIS), che pure aveva fornito riscontro parziale a (OMISSIS), subvalente - siccome propalante de relato - rispetto alla versione di (OMISSIS) in merito alla presenza di un sicario alternativo a (OMISSIS), ferma l'indicazione concorde di (OMISSIS). Del pari, e' stato ritenuto non determinante a incrinare la valutazione di attendibilita' di (OMISSIS) l'annullamento della misura cautelare applicata a (OMISSIS) in ordine al suo concorso nel duplice omicidio, anche perche' l'esame della sua posizione di merito in ordine a tale reato e' stata demandata ad altra autorita' giudiziaria. Inoltre, al contributo di (OMISSIS) i giudici hanno affiancato, per quanto concerne il numero degli esecutori materiali, il contenuto delle intercettazioni della conversazione di (OMISSIS), che pure aveva fatto riferimento a due persone; cio', fermo restando che i componenti del commando erano tre, essendo stato ritenuto conforme a logica che gli sparatori, una volta portata a termine l'esecuzione, fossero assistiti da qualcuno che aveva l'incarico di porli rapidamente in salvo. Non e' stato ritenuto elemento idoneo a infirmare la credibilita' di (OMISSIS) il rilievo che il (OMISSIS) egli non si fosse recato ad adempiere, in caserma, l'obbligo di firma, come da misura cautelare a suo carico, essendo diverso il calendario stabilito dall'obbligo di presentazione. Si e' considerato, in tal senso, che la discrasia fosse irrilevante rispetto al nucleo forte della sua attendibilita', posto che (OMISSIS) avrebbe potuto fare menzione del compimento di una qualsiasi altra attivita', senza alcun influenza sulla valutazione della veridicita' del suo racconto, ben potendo, il lungo tempo trascorso tra gli eventi descritti e le deposizioni rese, nel corso delle indagini e poi nel dibattimento, avere offuscato il ricordo di un dato esterno al fuoco delle imputazioni, potendo, anzi e per assurdo, sostenersi che una troppo precisa e circostanziata ricostruzione di vicende di contorno al nucleo essenziale del narrato deporrebbe per l'artificiosita' della complessiva dichiarazione. Per quanto concerne il coinvolgimento di (OMISSIS) nell'iniziale progetto omicida, ritenuto dalle difese non credibile per lo scarso rilievo del dichiarante nell'organigramma del sodalizio e per la sua complessione fisica (in particolare, la sua bassa statura) tale da non consentirgli di condurre la moto di grossa cilindrata che si era preventivato di utilizzare, i giudici di merito hanno affermato i) che il suo coinvolgimento era stato ipotizzato soltanto in una fase embrionale, ii) che la ricerca della vittima aveva proceduto di pari passo con gli estremi tentativi di mediazione, sicche' inizialmente non si era trattato di progetto omicida, e iii) che le caratteristiche dell'azione in concreto compiuta (con l'uso di un'autovettura di famiglia, la presenza di (OMISSIS) e la successiva collera di (OMISSIS) per le modalita' con cui l'agguato era stato realizzato) deponevano per un'azione compiuta con fretta e una qualche improvvisazione; un'azione, dunque, elaborata e compiuta repentinamente, a conferma della funzione di osservatore sul territorio richiesta a (OMISSIS), osservazione sul territorio che la Corte territoriale ha ritenuto, in via generale, essere stata attuata per stanare le vittime designate, desumendo cio' dalle modalita' dell'agguato, anzi della vittima designata, che era (OMISSIS), essendo verosimile, anche per quanto era emerso dalle parole intercettate di (OMISSIS), che (OMISSIS) fosse stato ucciso perche' si era trovato in compagnia di (OMISSIS): e, sotto questo aspetto, avendo (OMISSIS) un legame almeno amicale con la figlia di (OMISSIS), doveva ritenersi scontato che la decisione di uccidere anche quest'ultimo non gli fosse stata rivelata. In merito alla parte del corpo che aveva attinto (OMISSIS), la Corte territoriale ha considerato che questi non era stato colpito "in faccia", come aveva detto (OMISSIS), ma ha parimenti ritenuto di condividere la spiegazione data dalla Corte di assise, secondo cui l'espressione era da cogliersi nel suo significato sinonimico, di indirizzo dei colpi di pistola verso la parte alta del corpo, per uccidere, non per ferire. Affrontando il riferimento fatto da (OMISSIS) alla persona di (OMISSIS), il quale, quando era stato escusso, aveva negato di essere stato presente sul luogo del delitto e di essere stato minacciato da (OMISSIS), la Corte di assise di appello, riprendendo l'argomento svolto nella sentenza di primo grado, ha considerato che non era dato vedere perche' (OMISSIS) avrebbe dovuto aggiungere questo particolare, del tutto privo di capacita' accrescitiva della credibilita' del suo racconto, e anzi in grado di sminuire la tenuta complessiva della sua narrazione; l'affermazione della presenza di (OMISSIS), tenuto conto del clima omertoso che aveva pervaso tutte le persone presenti sulla scena del crimine o nelle immediate vicinanze, avrebbe avuto scarsissime possibilita' di conferma, anche da parte di (OMISSIS), che infatti non aveva confermato, senza che gli accertamenti compiuti dai giudici di primo grado avessero potuto consentire di accertare la presenza in (OMISSIS) del testimone al momento del fatto, addotta da (OMISSIS). In questa situazione - fra il racconto che aveva esposto (OMISSIS) al rischio di una smentita clamorosa e la smentita proveniente dal teste che aveva reso dichiarazioni nel clima di omerta' e intimidazione connotante le vicende della delinquenza organizzata in (OMISSIS) - la Corte territoriale ha optato per la genuinita' e veridicita' del racconto, a discapito della scarsa credibilita' di colui che aveva opposto la smentita, persona ancore residente nel territorio (OMISSIS). I giudici di appello hanno individuato un altro elemento di conforto alla versione di (OMISSIS) nella descrizione dell'autovettura usata per l'agguato, di cui hanno richiamato il modello, il colore e la titolarita' indicati dal collaboratore. Per la Corte di merito, tali riferimenti hanno avuto conferma, in ordine alle caratteristiche cromatiche, nella descrizione compiuta da (OMISSIS), che aveva discorso di un'autovettura di cui non sapeva dire il tipo e il modello, ma soltanto il colore, grigio, che si era allontanata da (OMISSIS) in direzione del mare. A cio' si e' aggiunto il rilievo che il carattere generico, dubitativo e de relato del riferimento del collaboratore (OMISSIS) al colore bianco della macchina imponeva di privilegiare il ricordo di (OMISSIS), testimone oculare. Il veicolo in questione era risultato intestato a (OMISSIS) e segnalato in (OMISSIS) nella disponibilita' della medesima, parente degli imputati. In ordine alla verifica della presenza effettiva di (OMISSIS) sul luogo del delitto che i difensori degli imputati avevano contestato, richiamando le celle agganciate dai telefoni cellulari nei minuti in cui si era svolta l'azione criminosa - la Corte territoriale ha reputato convincente la motivazione offerta dalla Corte di assise, nel senso che (OMISSIS) era stato costante nel dichiarare di avere spento il telefono per alcuni minuti - e tra le 16:00 e le 16:33 non risultavano contatti in entrata o in uscita sulla sua utenza - quando era in (OMISSIS), mentre la ricostruzione degli agganci delle celle da parte dell'utenza telefonica da lui adoperata in quel periodo non smentiva, ma confermava i suoi spostamenti, per come da lui indicati. Sul punto si e' ritenuta dimostrativa la deposizione - invero, sintetica, per quanto riportata -dell'inquirente (OMISSIS) resa il 18 gennaio (OMISSIS), secondo cui appariva indiscutibile la presenza dell'utenza di (OMISSIS) dalle ore 16:55 alle 17:07, agganciata in (OMISSIS), (OMISSIS), cella che copriva sia (OMISSIS), dove era avvenuto il duplice omicidio, sia l'abitazione di (OMISSIS), sita in (OMISSIS), con la specificazione che a trovare l'utenza telefonica non era stato il dichiarante, ma l'avevano trovata gli inquirenti. Poi, dalle ore 17:27:20 alle ore 17:27:55, l'utenza di (OMISSIS) era risultata agganciata alla cella radio base di (OMISSIS), in (OMISSIS), mentre effettuava le due chiamate verso l'utenza in uso ad (OMISSIS). Altro punto rilevante della critica sollevata delle difese sulle dichiarazioni di (OMISSIS) era stato il rilievo che il bar da lui indicato come teatro dell'omicidio di (OMISSIS) era chiuso per lavori di ristrutturazione. I giudici di appello hanno opposto che il collaboratore non aveva mai sostenuto che (OMISSIS) stesse giocando alle macchinette, ma aveva detto che si trovava vicino alle macchinette, sicche' la notazione non ne intaccava la dichiarazione. Con riferimento agli eventi successivi al duplice omicidio, (OMISSIS) aveva riferito di costanti contatti tra gli (OMISSIS) e (OMISSIS). Si trattava di contatti pienamente confermati sia dai tabulati, sia dalle intercettazioni. 6.2. Alla stregua di questi dati, considerati come elementi di riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS), i giudici di secondo grado hanno analizzato valutato le posizioni dei tre imputati. a) In ordine a (OMISSIS), la Corte territoriale lo ha ritenuto uno dei due esecutori materiali. Considerata l'attendibilita' del testimone (OMISSIS), avuto riferimento al contesto generale, la sua responsabilita' e' stata considerata sicura. b) Per quanto concerne (OMISSIS), i giudici di appello hanno imperniato l'affermazione di responsabilita' sulle dichiarazioni di (OMISSIS), nella parte in cui questi aveva evidenziato di essere andato da (OMISSIS), che lo stava aspettando sul balcone di casa, su sollecitazione di (OMISSIS), che era arrivato a casa sua dopo l'omicidio. Il passaggio e' stato ritenuto molto significativo perche' indicativo di un appuntamento preso in precedenza, non di un'improvvisata, con la specificazione che (OMISSIS) gia' sapeva cosa era accaduto, in quanto sapeva dell'ingaggio di (OMISSIS) come sicario, nel quadro di un piano preordinato, che non contemplava la partecipazione diretta all'azione di fuoco di (OMISSIS) (circostanza che aveva gia' appreso e che lo aveva sorpreso, facendolo arrabbiare, anche per l'utilizzo dell'autovettura del padre). Da tale rilievo la Corte territoriale ha desunto che, se la partecipazione di (OMISSIS) all'azione criminosa era gia' nota a (OMISSIS) quando era stato raggiunto da (OMISSIS), cio' era dipeso dal fatto che (OMISSIS), di cui (OMISSIS) aveva perso le tracce dopo l'omicidio, lo aveva informato. Erano seguiti, poi, la dazione del denaro da consegnare a (OMISSIS) e la ripetuta indicazione del luogo in cui l'autovettura designata avrebbe rilevato (OMISSIS) per portarlo via. Da tanto - ha argomentato la Corte di merito - si poteva desumere che (OMISSIS) avesse preparato la provvista in danaro che avrebbe garantito all' (OMISSIS) una rapida fuga e procurato la presenza di (OMISSIS), il "napoletano", elementi da considerarsi indicativi di un piano preordinato. Ne', ad avviso dei giudici di secondo grado, erano emersi elementi per ipotizzare che (OMISSIS) fosse stato costretto a intervenire a cose fatte per rimediare al danno, ossia all'omicidio commesso dal fratello. La dinamica degli eventi indicava il suo pieno concorso nell'ideazione e nella programmazione dell'omicidio. c) La Corte di assise di appello ha, invece, reputato fondato l'appello di (OMISSIS) in quanto ha ritenuto che gli elementi a suo carico consistessero essenzialmente i) nel ruolo di vertice ricoperto nel clan, ii) nel suo diretto coinvolgimento nella vicenda di (OMISSIS) e, piu' ancora, nella lite con (OMISSIS), avvenuta qualche giorno prima del duplice omicidio, Mi) nell'attivita' di copertura di (OMISSIS) posta in essere ad oltre un mese dall'omicidio. Facendo riferimento a questo quadro indiziario, i giudici di secondo grado hanno considerato verosimile che (OMISSIS) fosse stato sicuramente partecipe del progetto di dare una lezione a (OMISSIS), ma, siccome erano restate mantenute aperte le due strade - quella della punizione e quella della trattativa - fino a un periodo vicinissimo all'esecuzione del piano omicida, per postulare il suo diretto coinvolgimento negli omicidi occorreva dimostrare che ne fosse il mandante o che, comunque, avesse dato un effettivo contributo concorsuale. Quanto al primo profilo, (OMISSIS) non aveva accusato direttamente (OMISSIS), perche' non aveva parlato con lui, ma con (OMISSIS), il quale gli aveva riferito di quanto era successo a zio (OMISSIS) al bar, ossia della lite fra (OMISSIS) e (OMISSIS), e poi gli aveva chiesto di attivarsi per individuare lo stesso (OMISSIS). E, se, da un lato, (OMISSIS) non era sicuramente estraneo ai fatti, dall'altro, mancava un esplicito riferimento al mandato omicida da costui conferito. (OMISSIS) non ne aveva fatto menzione e, per ritenere che la deliberazione omicida fosse stata almeno approvata da (OMISSIS), aveva dovuto emergere, in difetto di un'esplicita dichiarazione accusatoria sul punto, la prova che il clan, all'epoca, fosse strutturato in modo tale che la decisione di alcuni si dovesse considerare, obbligatoriamente, la decisione di tutti, sul modello della "cupola" o del "vertice" di una mafia tradizionale. Tuttavia, che il clan (OMISSIS) fosse strutturato in modo cosi' capillare non era stato dimostrato e, quindi, la postulazione che (OMISSIS) "non potesse non sapere" non equivaleva a considerare raggiunta, in modo certo, la prova della partecipazione al duplice omicidio. Quanto al secondo profilo, la stessa attivita' svolta successivamente - quella relativa ai contatti con (OMISSIS), indotto a restarsene al sicuro all'estero - se era stata finalizzata a garantire che l'esecutore materiale non rivelasse elementi pericolosi per gli (OMISSIS), era per la Corte di merito da reputarsi, nella prospettiva dell'imputato, indirizzata in favore dei congiunti coinvolti sia nell'ideazione sia nell'esecuzione dei delitti, vale a dire (OMISSIS) e (OMISSIS); a loro, in primo luogo, doveva essere garantita protezione, per cui l'elemento a carico di (OMISSIS) restava ambiguo e suscettibile di interpretazione non univoca, come tale da ritenersi inidoneo a colmare il deficit probatorio inerente alla sua posizione. Da qui la sua assoluzione ai sensi dell'articolo 530, comma 2, cod. proc. Pen.. 6.3. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) ((OMISSIS)) Le argomentazioni dei giudici di appello si espongono alle fondate censure sia del Procuratore generale quanto alla posizione di (OMISSIS), sia delle difese di (OMISSIS) e (OMISSIS) ((OMISSIS)). 6.3.1. La responsabilita' di (OMISSIS), individuato come mandante dell'omicidio, ma anche concorrente nell'agevolazione della fuga di (OMISSIS), poggia sulle dichiarazioni di (OMISSIS). A suo carico si pongono, certo, le dichiarazioni di quest'ultimo, richiamate e interpretate nel senso che si e' riportato. Per quanto concerne la valutazione di credibilita' e di attendibilita' intrinseca di (OMISSIS) le critiche, pur articolate e serrate nell'enumerare le aporie e le contraddizioni rilevate, hanno trovato risposte dei giudici di appello non censurabili perche' fondate su una congrua e non manifestamente illogica valutazione. La decisione impugnata si profila, tuttavia, carente nella parte dedicata alla verifica dell'esistenza di riscontri estrinseci al narrato del collaboratore. Dall'insieme degli elementi riferiti e analizzati, a parte la causale che in via generale attinge anche (OMISSIS), quale organizzatore del clan, non vengono enucleati, trattati e valutati in modo specifico elementi di riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS), necessari ai sensi dell'articolo 192 c.p.p. comma 3,. La sua posizione, ritenuta dalla Corte di merito, di testimone oculare non poteva far dimenticare il ruolo di persona imputata in procedimento connesso del dichiarante, espressamente attribuito dai giudici a (OMISSIS). Lui stesso ha riferito che (OMISSIS), uno dei sicari, era andato presso di lui subito dopo l'omicidio; lui lo aveva aiutato a disperdere le tracce del delitto appena compiuto, oltre che a sfuggire alle ricerche della polizia giudiziaria immediatamente attivate. Fatti che - l'argomento non pare aver formato oggetto, almeno esplicito, di adeguati approfondimenti - non e' chiaro se avessero il loro antecedente in disposizioni o accordi. Dei riscontri alle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) non vi e' concreta traccia nelle motivazioni della sentenza impugnata. Elementi come la ricognizione dei tabulati del traffico telefonico, che in qualche modo richiamano l'aggancio della cella dell'abitazione di (OMISSIS) da parte del telefono cellulare di (OMISSIS) in orario compatibile con la dinamica raccontata, il contesto della lite del 26 ottobre (OMISSIS) fra (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS), contesto temporale in cui (OMISSIS) aveva telefonato ad alcuni (OMISSIS), fra i quali, piu' volte, a (OMISSIS) e anche a (OMISSIS), sono certamente portati alla luce nelle sentenze di merito, ma non sono presi in considerazione nella prospettiva della necessaria verifica del riscontro esterno alle affermazioni del suindicato dichiarante. 6.3.2. La questione della mancata analisi dei riscontri si profila ineludibile anche per la posizione di (OMISSIS), sia pure in relazione a un quadro di elementi di diversa portata. Mentre, anche in questo caso, l'assetto decisorio resiste alle critiche della difesa in ordine alla valutazione di credibilita' e attendibilita' del collaboratore, e' la prospettiva richiesta dall'articolo 192 c.p.p. comma 3, che non trova analitica e specifica trattazione dei riscontri esterni al narrato del dichiarante. In tal senso, l'identificazione da parte di (OMISSIS) dell'autovettura dei sicari con la Opel appartenente a (OMISSIS), che costituirebbe, se confermato, un dato di riscontro, risulta trattato in modo inadeguato quanto all'effettivo accertamento dell'utilizzazione di quel veicolo nell'azione di fuoco; al riguardo, le dichiarazioni di (OMISSIS) in relazione alla scena effettivamente vista e alle caratteristiche dell'autovettura non consentono di ritenere provata l'individuazione del veicolo. La stessa verifica dei tabulati del traffico telefonico ha sofferto, anche per (OMISSIS), della medesima sommarieta' valutativa rilevata per (OMISSIS). Tale inadeguatezza - lo si rileva ancora - non e' dipesa da mancato impiego di rigore analitico nello scrutinio degli elementi oggetto della decisione, ma dalla scelta di considerare l'autoevidenza della credibilita' e attendibilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS); dichiarazioni che, invece, avrebbero dovuto essere pur sempre utilizzate in rapporto ai riscontri esterni rilevanti per corroborarne l'esito. Anche per (OMISSIS) non poteva, ne' puo' escludersi che possa emergere la concreta traccia dei riscontri alle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) nell'ambito dell'analisi di merito, connotata, peraltro, per la sua posizione, dalla specifica necessita' di rinvenire spiegazioni e supporti concreti alla valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni del suddetto collaboratore, a cagione dell'obiettivo contrasto costituito dalla individuazione del secondo esecutore materiale, fatta da (OMISSIS), sia pure de relato, in (OMISSIS). In tal senso - sempre per rimarcare, in via esemplificativa, la necessita' logico-giuridica del corrispondente approfondimento - si considerino i) le indicazioni emergenti dall'articolazione della sentenza di primo grado relativamente ai contatti avuti da (OMISSIS) con (OMISSIS) successivamente all'omicidio, quando questi si era rifugiato in (OMISSIS) e poi in (OMISSIS), ii) la verifica della partecipazione all'omicidio, oltre che di (OMISSIS), anche di un altro uomo di (OMISSIS), riferita nella testimonianza di uno dei fratelli di (OMISSIS), ossia (OMISSIS) (il quale aveva affermato di aver saputo da Hany, altro fratello, che (OMISSIS) era fuggito in quanto aveva ucciso delle persone insieme a un altro soggetto definito come zingaro, ma di (OMISSIS)), iii) l'attivita' di polizia del 19 novembre (OMISSIS) , nel corso della quale (OMISSIS) era stato controllato a (OMISSIS) nell'autovettura Fiat 500 intestata al padre (OMISSIS), insieme a (OMISSIS) e a (OMISSIS), con la susseguente scoperta della Colt 45, per la quale (OMISSIS) era stato condannato, iiii) il riferimento di (OMISSIS) al fatto che (OMISSIS), compiuto l'omicidio, si fosse riparato nella kebaberia di (OMISSIS). Pure per questa posizione, tuttavia, gli elementi emergenti dalla disamina del contenuto della decisione impugnata e, per quanto di riferimento, di quella di primo grado, non risultano valutati con adeguata specificita' in funzione della precisa verifica del riscontro esterno alle affermazioni del suindicato dichiarante; il fatto che (OMISSIS) abbia dichiarato di avere direttamente osservato l'azione e' stato impropriamente sovrapposto alla sua qualita', rilevante sotto il profilo processuale, di imputato in procedimento connesso, il cui narrato, alla stregua dei criteri valutativi imposti dall'articolo 192 c.p.p., necessita di altri elementi di prova confermativi della sua attendibilita'. 6.3.3. In tal senso, va ricordato che, quando emerga un'unica chiamata in reita' o correita', le relative dichiarazioni rese a carico dell'imputato debbono trovare riscontri probatori individualizzanti, che possono essere dedotti dagli elementi di causa, ivi inclusi quelli posti a base di rilievi logici che in modo coerente e fondato riconducano all'imputato riscontri singolarmente non univoci rispetto alla sua persona (Cass. Sez. 1, n. 33398 del 4 aprile (OMISSIS), Madonia, Rv. 252930 - 01; Sez. 1, n. 1560/07 del 21 novembre 2006, Missi, Rv. 235801 01). Sotto altro aspetto, non si trascura certo, come si e' in precedenza chiarito, la seria base logico-giuridica su cui i giudici del merito hanno fondato la valutazione di rilevanza delle dichiarazioni di (OMISSIS), anche per quanto concerne i fatti da lui appresi quale intraneus, per un dato tempo, al clan (OMISSIS) e vicino ai suoi piu' importanti esponenti. Sull'argomento, si condivide il concetto secondo cui le dichiarazioni del collaboratore su fatti e circostanze attinenti la vita e le attivita' del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, pur se non assimilabili a dichiarazioni de relato, possono assumere rilievo probatorio qualora siano supportate da validi elementi di verifica in ordine alle modalita' di acquisizione dell'informazione resa, che consentano di ritenerla effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati. Esse, nella prospettiva richiamata, possono essere quindi considerate fonti dichiarative produttive di prova, ma - va parimenti ribadito - le medesime, al fine di essere considerate dimostrative del factum probandum, necessitano dei normali riscontri richiesti dall'articolo 192 c.p.p. (Cass. Sez. 1, n. 17647 del 19 febbraio 2020, Schirripa, Rv. 279185 - 02; Sez. 2, n. 29923 del 4 luglio 2013, Favata, Rv. 256065 - 01; Sez. 5, n. 24711 del 10 aprile 2002, Condello, Rv. 222616 - 01). Sotto questo specifico aspetto, dunque, nemmeno il riferimento sviluppato nella sentenza impugnata al principio ora precisato consentiva e consente di omettere l'individuazione e l'analisi dei riscontri esterni alle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS) in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), detto (OMISSIS), in riferimento al duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS) e ai delitti strumentali inerenti alle armi usate nell'azione omicidiaria, di cui ai capi B e C. Per tali ragioni, la sentenza impugnata va, nella relativa parte, annullata con rinvio per nuovo giudizio in merito ai capi considerati, da effettuarsi nel rispetto dei principi dianzi affermati. 6.4. Il ricorso del Pubblico ministero contro (OMISSIS). Medesimo approdo deve raggiungersi con riguardo al ricorso proposto dal Procuratore generale in ordine all'assoluzione di (OMISSIS) dai medesimi delitti di cui ai capi B e C. Occorre valutare unitariamente i tre motivi sviluppati nell'atto di impugnazione, in ragione dell'intima connessione che li caratterizza, essendo state censurate, nel loro complesso, i) l'illogica svalutazione degli elementi indiziari emersi a carico dell'imputato, a fronte della dettagliata spiegazione fornita dal primo giudice, ii) l'omessa considerazione dell'imponente causale che attingeva direttamente la sua posizione, iii) l'immotivata interpretazione in senso riduttivo delle dichiarazioni di (OMISSIS), in guisa da escludere il conferimento da parte di (OMISSIS) del mandato omicidiario, iiii) la primaria gestione da parte di quest'ultimo della trattativa condotta con (OMISSIS), risultata propedeutica all'azione di fuoco, anche per il risultato insoddisfacente se non umiliante riportato dalla stessa dal clan (OMISSIS), nonche' le attivita' post factum, relative ai contatti con (OMISSIS), pure ascritte allo stesso (OMISSIS). Gli elementi ora richiamati sono stati ritenuti dalla Corte di assise di appello globalmente insufficienti, essenzialmente perche' essa ha escluso che il riferimento a zio (OMISSIS), ossia (OMISSIS), contenuto nella dichiarazione di (OMISSIS), nel riportare quanto dettogli da (OMISSIS) ((OMISSIS)), si fosse configurato, in se' e per se', in termini tali da potervi identificare il mandato omicidiario proveniente dal medesimo (OMISSIS). La censura e' da considerarsi fondata nella parte in cui evidenzia la contraddittorieta' e la carenza della motivazione posta a ragione del ribaltamento della decisione di primo grado senza l'inserzione approfondita dello stesso punto inerente alla dichiarazione di (OMISSIS) su quanto (OMISSIS) gli aveva riferito del contegno serbato da zio (OMISSIS) nella fase deliberativa dell'azione omicidiaria nel corteo di elementi di natura indiziaria posti a carico dell'imputato nella dettagliata analisi delle condotte direttamente ascrivibili al medesimo nel tempo antecedente e nel tempo successivo all'azione tipica. Sotto il primo profilo, in particolare, la duplicita' delle occasioni di incontro-scontro da parte di (OMISSIS), vertice del gruppo, con (OMISSIS) prima dell'omicidio era stata posta dai giudici di primo grado alla base dell'inquadramento del delitto omicidiario come esito della decisione assunta con il consenso dell'elemento apicale della consorteria; cio', non solo per la personale, pesante compromissione del medesimo nella fase di innesco dello scontro, ma anche per il rilievo inerente alla complessiva vita dell'associazione che gli interessi messi in questione dal conflitto con il gruppo rivale dei (OMISSIS) avevano assunto. Sotto il secondo profilo, la Corte di assise aveva, con dovizia di particolari, spiegato le ragioni per le quali il vertice associativo costituito da (OMISSIS) era risultato massicciamente chiamato in causa per le condotte a lui ascritte nel post factum (esponendone la dettaglia analisi alle p. 154 ss.). Per tale parte, secondo i giudici di primo grado, il racconto di (OMISSIS) in ordine ai contatti mantenuti dagli esponenti del clan (OMISSIS) con (OMISSIS), killer nel duplice omicidio, aveva ricevuto concrete conferme dall'analisi del tessuto captativo raccolto negli ultimi cinquanta giorni del (OMISSIS) e nei primi centosettanta giorni del (OMISSIS), i cui esiti peraltro non erano noti al collaboratore. Da tali contatti, come risultati anche dall'esame delle telefonate in lingua egiziana, la cui trascrizione era stata disposta ed effettuata soltanto durante il dibattimento, era emerso, secondo la Corte di assise, il (OMISSIS) timore del clan che qualcuno o qualcosa potesse porre fine alla latitanza e al silenzio di (OMISSIS), che era stato cosi' (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva finito per esporsi in prima persona in quei contatti pur di tenere (OMISSIS) lontano dalle indagini. La deposizione dell'inquirente (OMISSIS), richiamata dalla prima decisione di merito, aveva dato conto di tale attivita' di supporto in favore del latitante e di dissuasione in relazione all'eventuale suo ritorno a (OMISSIS). Poi, fra le conversazioni captate, i giudici di primo grado avevano ritenuto fondamentale il contenuto della telefonata del 28 febbraio (OMISSIS), intercorsa fra un dipendente dell'attivita' di autolavaggio gestita da (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), giacche' in questa conversazione viene incautamente fatto riferimento a (OMISSIS), individuato in (OMISSIS), come persona che voleva parlare direttamente con (OMISSIS) per ben tre volte; proprio la presenza dell'imputato nei pressi di (OMISSIS) e di (OMISSIS), in rapporto alla richiesta formulata da quest'ultimo al conversante, era stata reputata dai giudici di primo grado una circostanza significativa, nel senso di attestare il pieno coinvolgimento di (OMISSIS) nel duplice omicidio. La descritta situazione era stata dagli inquirenti ricollegata, poi, all'affermazione di (OMISSIS) secondo cui a (OMISSIS), che pure aveva inteso conservare un contatto con (OMISSIS), il recapito di quest'ultimo era stato fornito proprio da zio (OMISSIS), ossia da (OMISSIS). Alla sostanziale iniziativa di quest'ultimo la prima Corte di merito aveva ascritto anche la conversazione telefonica del 29 febbraio (OMISSIS), nella quale (OMISSIS), discorrendo con il suddetto (OMISSIS), gli aveva comunicato la preoccupazione dello "zio" per l'eccessiva permanenza di (OMISSIS) in (OMISSIS): e il riferimento allo "zio" era stato ritenuto come rivolto a (OMISSIS), sulla scorta dell'analisi del complessivo materiale captativo considerato. Circa gli intensi contatti telefonici intercorsi tra il latitante (OMISSIS) ed esponenti della famiglia (OMISSIS) i giudici di primo grado avevano tenuto in considerazione anche la testimonianza dell'inquirente (OMISSIS), che aveva analizzato ed esposto il fitto traffico telefonico registrato fra le utenze attribuite al latitante (OMISSIS), nel periodo in cui questi era fuggito in (OMISSIS), ad (OMISSIS) e poi a (OMISSIS), e l'utenza intestata a (OMISSIS), cognata di (OMISSIS) (sorella della moglie (OMISSIS)). Posto cio', quanto al lamentato misconoscimento del valore del movente, mette conto puntualizzare che, per consolidata giurisprudenza, la causale, puo' costituire elemento di conferma del coinvolgimento nel delitto del soggetto interessato all'eliminazione fisica della vittima allorche' converge, per la sua specificita' ed esclusivita', in una direzione univoca; tuttavia, essa conserva un margine di ambiguita' sicche', in tanto puo' catalizzare e rafforzare il valore probatorio degli elementi positivi di prova della responsabilita', dal quale poter inferire logicamente, sulla base di regole di esperienza consolidate e affidabili, l'esistenza del fatto incerto (cosi' ascrivendo il crimine al mandante) in quanto, all'esito dell'apprezzamento analitico di ciascuno di essi e nel quadro di una valutazione globale di insieme, gli indizi, anche in virtu' della chiave di lettura offerta dal movente, si presentino chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione (Cass. Sez. U, n, 45276 del 30 ottobre 2003, Andreotti, Rv. 226094 - 01). In questa prospettiva, il movente, per un verso, non puo' costituire elemento che consenta di superare le discrasie di un quadro probatorio ritenuto di per se' non convincente (Cass. Sez. 1, n. 813/17 del 19 ottobre 2016, Lin, Rv. 269287 01) e, per altro e corrispondente verso, puo' costituire elemento catalizzatore e rafforzativo di un quadro di indizi chiari, precisi e convergenti, posti a fondamento di un giudizio di responsabilita' per la loro univoca significazione derivante anche dalla chiave di lettura offerta dal movente stesso (Cass. Sez. 5, n. 42576 del 3 giugno 2015, Procacci, Rv. 265148 - 01; Sez. 1, n. 17548 del 20 aprile 2012, (OMISSIS), Rv. 252889 - 01). Dunque, la valenza del movente si coordina in via necessaria valorizzandone il portato, ove del caso - con la valutazione del compendio indiziario a cui esso accede, sicche' ogni verifica inerente alla critica della sua ponderazione va postergata a quella che riguarda il discorso giustificativo reso nella sentenza di merito con riferimento agli elementi che compongono il compendio stesso. Ed e' proprio su quest'ultimo versante che la sentenza resa dai giudici di appello espone una motivazione carente. L'articolato sviluppo argomentativo della tesi esposta nella sentenza di primo grado aveva inquadrato l'attivita' di (OMISSIS) antecedente all'azione di fuoco e quella successiva alla stessa come univocamente sintomatiche del concorso di tale imputato nel duplice omicidio, connettendo quel complesso di condotte con l'emersione dell'imponente causale che riguardava anche e in primo luogo tale imputato e, alla stregua del relativo quadro, annettendo alle dichiarazioni di (OMISSIS), in merito a quanto riferitogli da (OMISSIS), il significato dell'affermazione del coinvolgimento di (OMISSIS), leader del clan, nella deliberazione dell'azione omicidiaria. La dequotazione del richiamato quadro indiziario da parte della Corte di assise di appello - la quale ha considerato soprattutto l'attivita' di (OMISSIS) successiva agli omicidi del tutto compatibile con la protezione dei congiunti coinvolti nell'ideazione e nell'esecuzione dei delitti e ha reputato ambiguo e, comunque, suscettibile di interpretazione non univoca il riferimento a tale imputato scaturente dalle dichiarazioni di giustizia - non si e' caratterizzata per la specifica confutazione dei vari segmenti del ragionamento probatorio sviluppato in ordine a quel quadro dalla Corte di assise. Sul tema, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto, pero', attenersi al principio di diritto secondo cui il giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, se non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, deve in ogni caso offrire una motivazione puntuale e adeguata, in guisa tale da fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Cass. Sez. U, n. 14800/18 del 21 dicembre 2017, Troise, Rv. 272430 - 01, in coerente consecutio con i principi affermati da Sez. U, n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679 - 01 e Sez. U, n. 6682 del 4 febbraio 1992, Musumeci, Rv. 191229 - 01). In tale snodo, nell'ambito della necessaria, puntuale giustificazione della difforme decisione adottata, il compito del giudice di appello e', in effetti, quello di indicare in maniera approfondita e articolata gli argomenti idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado in merito alle prove e agli indizi oggetto di differente lettura. Se e', infatti, vero che il giudice di appello puo' giustificare l'approdo assolutorio, facendo emergere la perdurante sostenibilita' di ricostruzioni alternative del fatto sulla base di un ragionamento che e', anzi tutto, demolitivo della costruzione logico-giuridica offerta nella prima decisione, e' anche vero, tuttavia, che la ricostruzione opposta a quella affermata dal primo giudice deve essere non soltanto astrattamente ipotizzabile ma anche concretamente plausibile in relazione al fatto oggetto del processo, sulla base di motivati agganci alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' conseguente, pertanto, ritenere che le argomentazioni poste dal giudice di secondo grado a giustificazione, quanto meno, del dubbio ragionevole conducente all'assoluzione dell'imputato rispondano a criteri dotati di intrinseca razionalita' e siano suscettibili di essere sostenute in forza di ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo. In questo senso il giudice di appello deve confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni. L'impiego di tale impegno motivazionale si conforma all'esigenza di scardinare l'impianto argomentativo e l'approdo dimostrativo emergenti dalla decisione assunta da parte del giudice che ha avuto il contatto diretto con le fonti di prova, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e cosi' realizzando la premessa necessaria per la corrispondente esposizione delle linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio. La Corte territoriale, nel motivare il ribaltamento della decisione di primo grado, assolvendo (OMISSIS) dai delitti di cui ai capi B e C, non si e' attenuta a tali principi e, pertanto, in accoglimento dell'impugnazione del Procuratore generale della Repubblica presso quella Corte, la sentenza deve essere annullata in relazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte medesima per il nuovo giudizio inerente alla posizione del suddetto imputato, da svolgersi anche stavolta con integrale liberta' valutativa, sempre pero' nel solco dei precisati principi. Trattazione dei ricorsi in relazione alle ulteriori imputazioni 7. (OMISSIS). 7.1. Con riferimento al primo motivo del suo ricorso (sub 5.1), richiamate le considerazioni di carattere generale svolte in merito all'esistenza dell'associazione mafiosa, si osserva - sia pure in carenza di una specifica doglianza sul punto - che i giudici di appello hanno spiegato in modo adeguato il contributo apportato dall'imputato (indicato anche come zio (OMISSIS) o (OMISSIS)) alla vita e all'attivita' della consorteria, quale vertice della stessa, costruendo un solido impianto decisorio. Le sentenze ormai irrevocabili, i contributi specifici offerti dai collaboratori (in primo luogo, (OMISSIS)), il diretto coinvolgimento in singole vicende accertate nel processo (cristallizzate, ad eccezione di quella di cui al capo H, dalla complessiva disamina svolta in questo processo) hanno costituito un insieme di elementi che, saldati fra loro, hanno condotto la Corte territoriale a considerare provato il ruolo di assoluto predominio ricoperto da (OMISSIS) nel sodalizio. L'imputato incuteva timore negli stessi associati tanto da essere chiamato "mostro" (non certo in sua presenza) nello stesso ambiente associativo. Sotto ogni angolo visuale, la censura pertanto non ha pregio. 7.2. Le doglianze introdotte sub 5.2, inerenti alla contestazione delle circostanze aggravanti di cui ai commi quarto, quinto e sesto dell'articolo 416-bis c.p., sono state gia' valutate e ritenute prive di fondamento nel corso dell'analisi che precede. E' da disattendere l'argomento secondo cui i giudici del merito non avrebbero verificato l'ascrivibilita' all'imputato, sotto il profilo soggettivo, dell'aggravante dell'associazione armata: occorre, per contro, ribadire quanto si e' gia' precisato, ossia che la circostanza aggravante della disponibilita' di armi, prevista dall'articolo 416-bis, comma 4, c.p., e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso. E la Corte territoriale ha, con argomenti congrui, ritenuto acquisita la conoscenza da parte del capoclan della natura armata del sodalizio, considerate anche le vicende associative, citate nella prima parte della trattazione, che avevano sotteso l'impiego di armi. Parimenti, con riferimento all'ulteriore aggravante di cui al comma 6 della medesima norma, si e' gia' chiarita l'adeguatezza del discorso giustificativo piu' che mai valido per la posizione di (OMISSIS) - inerente al dato di fatto che i componenti del clan erano a conoscenza dell'avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero, ove mai lo avessero ignorato, sarebbe stato per colpa o per errore determinato da colpa. 7.3. Per quanto concerne la doglianza di cui al motivo 5.3., con cui si sostiene l'insussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso, e' la stessa indistinta lamentazione, riferita in blocco a tutti i reati fine di cui (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile, a determinare il carattere aspecifico del motivo. Invero, soltanto per il delitto di tentata estorsione sub M, il ricorrente ha precisato di reputare non qualificante il fatto della mera reazione delle vittime, occorrendo invece un comportamento dell'agente concretamente idoneo all'esercizio della peculiare coartazione propria di quello che si suole definire metodo mafioso. Pertanto, salvo riprendere il punto nello scrutinio del corrispondente motivo (v. infra 7.4), la doglianza, priva della necessaria specificita', non merita alcuna ulteriore considerazione perche' inammissibile. 7.4. Venendo al quarto motivo, relativo appunto alla censurata affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) per la tentata estorsione in danno di (OMISSIS), messo a fuoco il thema decidendum (si contesta a (OMISSIS) e (OMISSIS) di avere compiuto - dal settembre (OMISSIS) all'aprile (OMISSIS) - atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere, mediante minaccia, (OMISSIS) dell'associazione sportiva Il (OMISSIS), operante in (OMISSIS) Antica e affittuaria del fondo rustico su cui insistevano un maneggio e un ristorante, a mantenere all'interno dell'attivita' (OMISSIS), ad accollarsi il debito che quest'ultimo aveva nei confronti di (OMISSIS) e a consegnare denaro a (OMISSIS) e (OMISSIS), anche tramite (OMISSIS), originario debitore, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto, con l'aggravante del metodo mafioso, in particolare adoperando un comportamento concretamente idoneo ad esercitare una maggiore pressione e una particolare coazione psicologica e prospettando una minaccia proveniente dal clan (OMISSIS), organizzazione temibile e notoriamente dedita a molteplici delitti e ben radicata nel litorale di (OMISSIS)), i giudici di appello hanno proceduto alla nuova escussione (OMISSIS) (OMISSIS). Hanno quindi preso atto della conferma da parte sua dell'assunto secondo cui non era debitore degli (OMISSIS), pur essendo gravato da una pesante situazione economica, ma era semmai (OMISSIS), rosa dalla gelosia, a rendergli la vita impossibile; (OMISSIS), anzi, lo aveva informato tempestivamente di un progetto di aggressione ai suoi danni da parte di tre rumeni. Tuttavia, con motivazione adeguata, i giudici di appello hanno, da un lato, ritenuto inverosimile il narrato del suddetto testimone, a fronte di una sentenza di condanna riportata da (OMISSIS) per il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di lesioni personali volontarie, e hanno, dall'altro, evidenziato la precisione dei dettagli e l'assenza di animosita', pur nell'ineliminabile sofferenza della deposizione, della testimonianza della persona offesa, la cui versione dei fatti e' stata, di conseguenza, considerata veritiera. La Corte territoriale ha, quindi, confermato l'accertamento dei giudici di primo grado in merito al fatto che (OMISSIS), capo riconosciuto, d'accordo con (OMISSIS), aveva tenuto un comportamento concreto volto a riscuotere dall'associazione di (OMISSIS) quanto invece gli doveva (OMISSIS), suo referente presso la struttura, di guisa che per tale strada si era mosso, con modalita' apertamente minatoria, per percepire gli incassi riscossi nell'ambito dell'attivita' dell'associazione. La scelta dei giudici di secondo grado in ordine alla ritenuta attendibilita' intrinseca ed estrinseca di (OMISSIS) e' sorretta da una motivazione congrua e logica; non puo', pertanto, essere censurata in questa sede. Per quanto specificamente concerne la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., la Corte di assise di appello ha evidenziato che la prospettazione espressa della massima violenza ( (OMISSIS) aveva avvertito la persona offesa che (OMISSIS) avrebbe potuto anche ammazzare) e il riferimento al lanciafiamme per incendiare la struttura operati dagli autori del reato, le cui connotazioni hanno concretamente introdotto nella vicenda gli elementi di maggiore decisivita' della minaccia, sono risultati evocativi di condotte proprie della criminalita' organizzata di tipo mafioso e, quindi, della contiguita' degli agenti a un'associazione mafiosa. In tal senso, si e' ritenuta integrata la suddetta aggravante sotto il profilo del metodo mafioso, stante anche la conoscenza da parte della persona offesa della qualita' soggettiva dei due agenti e, in particolare, di (OMISSIS). Alla stregua di tale verifica, oltre a doversi ritenere privo di fondamento il motivo sub 5.4, deve confermarsi, per tale parte, l'inammissibilita' per manifesta infondatezza della precedente doglianza, quanto all'avvenuta applicazione della circostanza aggravante in parola con riguardo al delitto tentato di cui al capo M. Invero, sussiste la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguita' ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Cass. Sez. 2, n. 39424 del 9 settembre 2019, Pagnotta, Rv. 277222 - 01). 7.5. In ordine al quinto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), riferito ai reati di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992 articolo 12-quinquies (ora articolo 512-bis c.p.) contestati ai capi S. T, U, V, Z e, in particolare, alla mancanza di motivazione in ordine al dolo del fine di elusione delle misure di prevenzione, va in primo luogo osservato che dall'imputazione sub V l'imputato e' stato assolto dalla Corte di assise di appello. La Corte territoriale, per il resto, trattando l'argomento del reinvestimento dei proventi nelle aziende gestrici delle sale giochi, ha sottolineato il ruolo apicale rivestito, anche in tale settore, da (OMISSIS) e ha richiamato le articolate considerazioni spese dai giudici di primo grado per giustificare, sulla scorta del materiale captativo valutato e dei riscontri documentali acquisiti, l'accertamento delle corrispondenti intestazioni fittizie con finalita' elusiva della immanente possibilita' di applicazione delle corrispondenti misure di prevenzione patrimoniale agli appartenenti del clan (OMISSIS). Non si dubita, dunque, che, in tema di intestazione fittizia di beni, il reato previsto dall'articolo 12-quinquies cit. esiga il dolo specifico, in relazione a cui deve emergere la prova che l'intestazione sia finalizzata ad eludere la normativa in tema di prevenzione patrimoniale (Cass. Sez. 6, n. 49832 del 19 aprile 2018, Mattarelli, Rv. 274286 - 01). Peraltro, dovendo individuarsi l'oggetto giuridico del delitto nell'interesse dell'agente a evitare la sottrazione di patrimoni anche solo potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, si considera che la concreta emanazione di queste ultime e la pendenza del relativo procedimento non integrano l'elemento oggettivo del reato e nemmeno una condizione oggettiva di punibilita' (Cass. Sez. 6, n. 27666 del 4 luglio 2011, Barbieri, Rv. 250356 - 01, la quale ha precisato che tali fatti possono costituire mero indice sintomatico, possibile, ma non indispensabile, di eventuali finalita' elusive sottese a trasferimenti fraudolenti o ad intestazioni fittizie di denaro, beni o altre utilita', che connotano il dolo specifico richiesto). Di conseguenza, il dolo specifico del reato in esame, che consiste nel fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione, ben puo' configurarsi non solo quando sia gia' in atto la procedura di prevenzione, ma anche prima che detta procedura sia intrapresa, ogni qual volta l'interessato possa fondatamente presumerne l'inizio, tanto piu' in considerazione del fatto che l'essere indagato (e, a maggior ragione, l'essere rinviato a giudizio) per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., puo' al tempo stesso integrare il presupposto soggettivo di cui al del Decreto Legislativo n. 159 del 6 settembre 2011 articolo 4, comma 1, lettera a), rendendo facilmente prevedibile il prossimo inizio del procedimento di prevenzione (Cass. Sez. 6, n. 24379 del 4 febbraio 2015, Bilacaj, Rv. 264178 01). Orbene, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la prova del dolo specifico e' stata correttamente, sia pure con riferimenti sintetici, considerata acquisita dai giudici di appello, che hanno richiamato e confermato (tranne che per le fattispecie sub V e AA, in relazione alle quali mancava la motivazione) il ragionamento sotteso alle conclusioni raggiunte dalla Corte di assise, nel senso che il gruppo di aderenti al clan (OMISSIS), in particolare (OMISSIS), non si intestavano i beni rastrellati nel settore della sale giochi perche' temevano di vederseli poi togliere dai provvedimenti ablativi determinati dai corrispondenti procedimenti inerenti a misure di prevenzione nei loro confronti; cio', tanto piu' che le acquisizioni di cui si tratta sono state effettuate nel (OMISSIS) e in epoca successiva, ossia in un periodo in cui il clan aveva da tempo preso il sopravvento nel governo delle attivita' illecite del litorale (OMISSIS) e le relative dinamiche erano state, soprattutto dopo il duplice omicidio del (OMISSIS) , oggetto di sempre piu' mirata indagine. La doglianza deve, pertanto, considerarsi infondata. 7.6. Il ricorso di (OMISSIS) va, invece, accolto con riferimento all'imputazione di cui al capo H. Con essa, si e' ascritto al suddetto imputato, a (OMISSIS) ((OMISSIS)), oltre che a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e altri soggetti separatamente giudicati, il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, aggravato ex articolo 416-bis.1 c.p., per il fatto che (OMISSIS) aveva ceduto e, su disposizione di (OMISSIS), gli altri avevano acquistato per distribuirla - nell'intento di non pagare e di realizzare l'azione intimidatoria descritta al capo G (non contestato in questa sede) - sostanza stupefacente costituita dar 20 chilogrammi di hashish, che venivano poi custoditi nell'abitazione di (OMISSIS), presso il quale erano stati poi sequestrati, il 27 marzo (OMISSIS) , 3,4 chilogrammi con il conseguente arresto del medesimo. Il fatto e' stato contestato come avvenuto in (OMISSIS), il 15 febbraio (OMISSIS). Il richiamato reato sub G, non contestato in questo processo, ha riguardato l'accusa nei riguardi di (OMISSIS), (OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) del reato di lesioni personali volontarie aggravate in danno del suddetto (OMISSIS): lo scopo era quello di realizzare un'azione punitiva, con comportamento concretamente idoneo ad esercitare una maggiore pressione e una particolare coazione psicologica proveniente dal clan, avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal l'appartenenza dei soggetti agenti al clan (OMISSIS) e al fine di favorirne l'attivita'. In particolare, si era contestato ai suddetti soggetti che, su disposizione di (OMISSIS), dopo aver condotto (OMISSIS), per la cessione della suindicata sostanza stupefacente, in un luogo isolato nei pressi del ristorante (OMISSIS), ubicato in (OMISSIS) Antica, lo avevano aggredito e malmenato, dapprima con un fendente al gluteo destro sferrato con un coltello da (OMISSIS) e quindi con 153 ripetute percosse, calci e pugni da parte del gruppo. Erano state cagionate a (OMISSIS) lesioni personali consistite in escoriazioni multiple della fronte, del naso e del volto, un ematoma peri-orbitario destro con riduzione della rima palpebrale, una ferita lacero contusa del dorso della piramide nasale, una frattura scomposta delle ossa nasali e una ferita del gluteo destro, con malattia nel corpo superiore a venti giorni; lo avevano cosi' costretto a non interferire nel territorio di competenza dell'organizzazione per la cessione di stupefacenti. Anche tale fatto e' stato contestato come avvenuto in Roma e (OMISSIS), il 15 febbraio (OMISSIS). La Corte di assise di appello, a fronte della doglianza sviluppata dalla difesa di (OMISSIS), inerente anche alla segnalata carenza di riscontri individualizzanti e alla conseguente insufficienza delle dichiarazioni di (OMISSIS), ha riesposto in modo articolato il fatto raccontato dal collaboratore, il quale riferito della predisposizione dell'incontro con (OMISSIS), organizzato su disposizione di (OMISSIS), dopo che questi aveva parlato con (OMISSIS), e della dura punizione inflitta, secondo le indicazioni di (OMISSIS), da (OMISSIS) a (OMISSIS), colpito con un tremendo calcio da (OMISSIS). La motivazione della sentenza impugnata ha evidenziato, sotto il profilo oggettivo, elementi di riscontro nel sequestro di sostanza stupefacente, seppur avvenuto piu' di un mese dopo l'epoca del fatto narrato, e nel dato del ricovero di (OMISSIS) il giorno 15 febbraio (OMISSIS) , prima al Pronto soccorso del Policlinico (OMISSIS), poi, all'Ospedale (OMISSIS), da dove sarebbe stato dimesso soltanto il 25 febbraio. I giudici di appello hanno, inoltre, segnalato gli elementi di concordanza inerenti alla figura di (OMISSIS), del quale e' stata ritenuta l'appartenenza all'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nell'ambito del processo al clan (OMISSIS). La Corte territoriale ha ritenuto compatibile il riferimento di (OMISSIS) alle preoccupazioni nutrite da (OMISSIS) per la moglie, risultata in quel periodo ricoverata per parto presso l'Ospedale (OMISSIS), e ha valutato gli elementi forniti dagli inquirenti in ordine all'attivita' di trafficante di stupefacenti di (OMISSIS) e dei soggetti che si erano accompagnati con lui, secondo (OMISSIS), nelle varie fasi dell'episodio (in particolare, (OMISSIS) e (OMISSIS)). La complessiva analisi delle dichiarazioni di (OMISSIS) e' stata, in definitiva, nel senso della piena credibilita' e attendibilita'. A tale approdo i giudici di appello, in modo automatico, hanno riconnesso anche la responsabilita' di (OMISSIS) e di (OMISSIS) nel fatto di illecita detenzione e commercializzazione del notevole quantitativo di sostanza stupefacente sopra indicato, considerando come il loro intervento, da cui era scaturita l'aggressiva punizione di (OMISSIS), era stato determinato dalla necessita' di riaffermare il prestigio criminale degli stessi (OMISSIS), leso dall'improvvido intento di (OMISSIS) di mettersi in proprio nel traffico degli stupefacenti, senza che, pur dopo essere stato selvaggiamente malmenato e aver consegnato gratuitamente la droga ai suoi aggressori, (OMISSIS) avesse denunciato l'episodio. E, pero', la Corte di assise di appello, nel ritenere che il racconto di (OMISSIS), vista l'entita' della partita e la gravita' della rappresaglia ai danni di (OMISSIS) per essersi voluto mettere in proprio, contenesse la prova della responsabilita' di (OMISSIS), oltre che di (OMISSIS) ((OMISSIS)), (OMISSIS), non si e' data cura di spiegare quale fosse, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 c.p.p., il riscontro individualizzante relativo alla posizione del ricorrente. Indurre dalla richiamata motivazione che i giudici di appello abbiano considerato come riscontro di natura logica la portata dell'affare, tale da dover coinvolgere i vertici del clan che si occupavano di commercio di stupefacenti, ossia (OMISSIS) ((OMISSIS)), innanzi tutto, e, sopra di lui, (OMISSIS), non appare possibile, non avendo i giudici di appello svolto approfondimenti argomentativi su tale versante. E nemmeno paiono rinvenirsi elementi idonei a sostenere l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) dall'esame della motivazione della sentenza di primo grado che aveva affidato alla carenza di allegazioni dell'imputato sul fatto di reato il ruolo di corroborare la persuasivita' della narrazione del collaboratore. Nel descritto contesto, dunque, la motivazione offerta dalla Corte territoriale si rivela carente in merito all'individuazione e all'analisi del riscontro o dei riscontri individualizzanti idonei a supportare la chiamata in correita' operata da (OMISSIS). Si e' gia' evidenziato e va ribadito che, in tema di chiamata in correita', gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell'articolo 192 c.p.p. comma 3,, unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, essendo sufficiente - e, tuttavia, anche necessario - che essi siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Cass. Sez. 1, n. 34712 del 2 febbraio (OMISSIS), Ausilio, Rv. 267528 - 01). La mancanza, nella motivazione esaminata, dell'enucleazione di riscontri esterni individualizzanti relativi alla posizione di (OMISSIS) idonei a corroborare le dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), impone l'annullamento della sentenza impugnata, in ordine al reato sub H, per quanto riferito alla posizione di (OMISSIS), con rinvio del processo ad altra Sezione della Corte di appello di Roma affinche' provveda, all'esito di nuovo giudizio, a delibare nuovamente la relativa questione, nel rispetto del principio dianzi espresso. 8. (OMISSIS). 8.1. Risultano gia' trattate o assorbite le questioni di cui ai motivi sub 6.1.1, 6.1.2, 6.2.2 e 6.2.7, relative alle imputazioni inerenti ai capi B e C. Del pari ha gia' formato oggetto di scrutinio il motivo 6.2.1, inerente alla lamentata violazione dell'articolo 238-bis c.p.p.. 8.2. Con riferimento alle doglianze sub 6.1.3, 6.1.4, 6.2.3, 6.2.4, 6.2.5 e 6.2.6, la parte di esse relativa alla critica della ritenuta sussistenza dell'associazione mafiosa e delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto, quinto e sesto, c.p., pure e' da considerarsi scrutinata, in senso sfavorevole al ricorrente, sulla scorta delle argomentazioni gia' esposte in precedenza. Quanto alle ulteriori censure contenute in quei motivi, dirette a criticare la sentenza impugnata per avere ritenuto (OMISSIS) partecipe del clan suindicato, quale capo e promotore di esso, collocato nella gerarchia subito dopo (OMISSIS), esse, pur dopo l'elisione, allo stato delle acquisizioni attuali, dell'accertamento della responsabilita' dell'imputato nel duplice omicidio (OMISSIS) - (OMISSIS), non sono fondate. La Corte territoriale, per affermare il ruolo di primo piano di (OMISSIS) nella consorteria, ha fatto ampio riferimento alle risultanze illustrate nell'intera orditura della motivazione, riferendosi anche alle evidenze probatorie analizzate nella sentenza di primo grado; nondimeno, il complesso degli elementi su cui i giudici di appello hanno fondato il giudizio di responsabilita' dell'imputato si profila congruamente articolato e valutato, senza cesure di ordine logico, con conseguente incensurabilita' in sede di legittimita'. I giudici di appello hanno osservato che a carico di (OMISSIS), in ordine al ruolo di livello apicale ricoperto nell'associazione, convergono le dichiarazioni dei collaboratori e gli esiti probatori delle sentenze irrevocabili gia' ricordate. Al netto del suo ruolo nel duplice omicidio, che resta sub iudice, la sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni di (OMISSIS) che lo ha indicato come un bravo capo, coordinatore del settore distributivo delle sostanze stupefacenti dall'associazione, prima hashish e marijuana, poi cocaina, e ne ha confermato il modo di agire particolarmente accorto, il fatto che non si esponesse direttamente, che lavorasse nell'ombra, demandando lo spaccio al minuto ad altri soggetti. Altri importanti riferimenti hanno riguardato i) i contatti instaurati dagli adepti anche con (OMISSIS) in occasione degli attentati subiti da altri esponenti della consorteria, in particolare (OMISSIS), ii) il suo assenso al progetto che avrebbe dovuto sfociare in un grave fatto di sangue divisato da (OMISSIS), iii) la captazione della conversazione fra l'imputato e (OMISSIS), in cui il primo riferiva che (OMISSIS), (OMISSIS), aveva negato loro l'autorizzazione a reagire contro gli autori dell'attentato ai danni di (OMISSIS), iiii) le condotte anche a lui ascrivibili, come documentate dalle conversazioni telefoniche intercettate e citate dall'inquirente (OMISSIS), il potenziale attentato ai danni dell'imputato su cui aveva riferito lo stesso inquirente, unii) l'esplosione di colpi di pistola all'indirizzo del bar del medesimo, pure letta come univoco segnale dell'obiettivo, significativo per l'associazione, prescelto dai criminali rivali. (OMISSIS) ha, a sua volta, precisato che (OMISSIS), con cui egli era maggiormente in rapporti, aveva contatti continui e parlava in modo costante con (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto queste erano le persone che "comandavano la zona" e chiunque volesse vendere droga in quel territorio doveva rendere conto a loro. Anche (OMISSIS) e (OMISSIS), attivi nella distribuzione degli stupefacenti, si riferivano, per lo piu', a (OMISSIS) per l'acquisto delle relative sostanze, nonche', in misura minore, a (OMISSIS). (OMISSIS) ha inteso sottolineare l'accurata copertura di cui gli uomini di vertice del clan (OMISSIS) godevano, in forza dell'organizzazione datasi dal gruppo. (OMISSIS) ha riferito delle attivita' economiche da attribuirsi a (OMISSIS), per averglielo direttamente riferito l'imputato, nonche' dell'importante elemento rappresentato dalla rappresaglia decisa dai Triassi in danno degli (OMISSIS) dopo i ferimenti da loro patiti, rappresaglia che, per diretta richiesta dei Triassi, avrebbe dovuto concretarsi con un atto violento ritorsivo proprio in danno di (OMISSIS), la persona meglio conosciuta da (OMISSIS) e da lui meglio avvicinabile, con riferimento all'anno 2006 - hanno precisato i giudici di primo grado - quando (OMISSIS) non era detenuto e Vito Triassi aveva subito il primo ferimento. Non possono ritenersi fondate le critiche relative alla prospettata inattendibilita' dei contributi narrativi dei collaboratori indicati; essi sono stati, in modo adeguato e non illogico, ritenuti convergenti nell'affermare che l'imputato era uomo di rango primario, con indubbia efficacia funzionale, nell'associazione. Al riguardo, deve considerarsi incensurabile la valutazione compiuta dai giudici del merito nella direzione della sussistenza, oltre che di autonomi elementi di prova, quali l'esito delle captazioni, anche di un adeguato quadro di riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori inerenti alla specifica descrizione del ruolo e dell'attivita' di preminente ed elevato interesse associativo svolta da (OMISSIS). Ne' potrebbe considerarsi calzante l'obiezione secondo cui gli svariati dati di riscontro non si sovrappongono, a modo di pedissequa conferma, alle singole condotte integranti le chiamate in correita' e in reita'. Deve, sull'argomento, riaffermarsi il consolidato principio di diritto secondo cui, ai fini della valutazione della chiamata di correo, il riscontro individualizzante non puo' essere inteso come necessariamente concernente le medesime condotte narrate dal dichiarante, potendo riguardare ogni altro profilo idoneo a fondare il giudizio di attendibilita' delle dichiarazioni e riconducibile al fatto da provare: fatto che, in relazione al reato di associazione mafiosa, e' costituito - non dal singolo comportamento dell'accusato, bensi' - dalla sua appartenenza al sodalizio; invero, siccome il relativo thema decidendum riguarda la condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio, consegue che le dichiarazioni dei collaboratori o l'elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attivita' attribuite all'accusato, proprio perche' il fatto da dimostrare si identifica nell'appartenenza del soggetto al sodalizio (Cass. Sez. 5, n. 32020 del 16 marzo 2018, Capraro, Rv. 273572 - 01; Sez. 2, n. 23687 del 3 maggio 2012, D'Ambrogio, Rv. 253221 - 01). Le considerazioni svolte conducono alla conclusione dell'infondatezza dei motivi sviluppati dai difensori di (OMISSIS) e relativi alla critica della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la partecipazione dell'imputato in posizione apicale. 8.3. Restano assorbiti i motivi sviluppati da entrambi gli atti di impugnazione proposti nell'interesse di (OMISSIS) (sub 6.1.5 e 6.2.8) e relativi alla censura dell'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In effetti, essendosi disposto l'annullamento con rinvio, fra l'altro anche relativamente al capo (quello sub B) che, all'esito del giudizio rescissorio, potrebbe essere qualificato come afferente alla violazione piu' grave, ex articolo 81 c.p., e rimanendo comunque non definito il quadro delle violazioni penalmente rilevanti da ascriversi all'imputato, la valutazione relativa alla determinazione in ordine al diniego delle attenuanti in parola potra' essere compiuta in modo adeguato quando sara' stato appurato, all'esito del giudizio rescissorio, il quadro dei reati ascritti - o del reato ascritto - all'imputato. D'altronde, l'analisi svolta dalla Corte di assise di appello onde pervenire alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, se ha fatto leva innanzi tutto sulla condanna dell'imputato per il reato associativo, ha valutato anche altri fattori, quali i precedenti penali e il comportamento processuale, la cui compiuta delibazione, in relazione alla censura mossa dal ricorrente, si ricollega al definitivo accertamento del complesso dei reati contestati al medesimo. Deve parimenti ritenersi assorbita la doglianza di cui al punto 6.2.9. inerente alla lamentata violazione del divieto di reformatio in peius sviluppata nel secondo atto di impugnazione, posto che il suo scrutinio avrebbe potuto operarsi soltanto ove si fosse considerata accertata la responsabilita' di (OMISSIS) in ordine ai delitti avente ad oggetto il duplice omicidio, in quanto la violazione dell'articolo 597 c.p.p., comma 4, e' stata dal ricorrente individuata nella conferma della pena dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi sei (peraltro entita' minima della relativa pena contemplata dall'articolo 72 c.p.), irrogata dalla Corte di assise, nonostante la Corte di assise di appello lo abbia assolto dai reati sub Z e AA, scelta che, secondo la difesa, avrebbe implicato - a pena complessiva immutata - un aumento dell'entita' della pena per gli altri reati. Poiche' la sentenza impugnata e' stata annullata anche con riferimento al delitto piu' grave che aveva determinato la pena di cui il ricorrente ha lamentato il peggioramento illegittimo in carenza di impugnazione del pubblico ministero, risulta venuto meno il presupposto contro il quale la doglianza e' stata diretta. 8.4. In definitiva, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), fermo il gia' stabilito annullamento con rinvio e segnalati i profili di assorbimento dei suindicati motivi residui, il ricorso va rigettato nel resto. 9. (OMISSIS) ((OMISSIS), (OMISSIS)) 9.1. Quanto al primo motivo (sub 7.1), relativo alla prospettata violazione dell'articolo 122 c.p.p., a cagione della ritenuta sostanziale rinuncia alla critica della sentenza di primo grado mossa con l'atto di appello in merito al reato di cui al capo O (usura in danno di (OMISSIS), ex vigile del fuoco, ludopatico, perpetrata dal luglio al settembre (OMISSIS)), si osserva che la Corte di assise di appello, dopo avere illustrato il motivo di gravame proposto sull'argomento da (OMISSIS), trattato in unione con la contestazione relativa al delitto di cui al capo P (tentata estorsione in danno di (OMISSIS), commessa nel dicembre (OMISSIS)), ha constatato che, nel corso della discussione (all'udienza del 4 dicembre 2020), il difensore dell'imputato aveva sostanzialmente rinunciato al motivo di merito invocando il contenimento della pena nei minimi edittali. E', tuttavia, da precisare che - come si desume in modo piano dall'esame della motivazione della sentenza impugnata - la Corte territoriale, dopo avere svolto la richiamata constatazione, e' passata alla trattazione dei temi proposti dall'appellante in relazione ai reati di cui ai capo O e P, dando spazio specifico alle dichiarazioni della persona offesa, alla deposizione dell'inquirente (OMISSIS) e ai risultati delle intercettazioni, pervenendo alla conclusione confermativa dell'acquisita dimostrazione della sussistenza dell'elemento oggettivo e dell'elemento soggettivo del delitto contestato. La doglianza in esame ha, per contro, enfatizzato profili irrilevanti, senza un pari sforzo illustrativo in punto di contestazione della responsabilita'. In ogni caso, la Corte ha specificamente motivato, esponendo le ragioni per le quali ha ritenuto il reato di cui al capo O provato nel merito e spiegando perche' non andasse condivisa la prospettiva indicata da (OMISSIS) con l'atto di appello. Non e', pertanto, in questione il principio di diritto, che il Collegio condivide e riafferma, secondo cui il difensore, di fiducia o di ufficio, dell'imputato, che non sia munito di procura speciale, non puo' effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all'impugnazione, anche se da lui autonomamente proposta, a meno che il rappresentato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga (Cass. Sez. U, n. 12603/16 del 24 novembre 2015, Celso, Rv. 266244 - 01). E', piuttosto, da rilevare che nessuna violazione di tale principio ha commesso la Corte di assise di appello, giacche' essa ha scrutinato con motivazione compiuta, oltre che congrua, l'appello inerente al delitto di usura di cui si tratta, cosi' dando riprova della natura esclusivamente dialettica della segnalazione della scelta difensiva di non trattare il relativo profilo della responsabilita' nel corso della discussione. La doglianza e', quindi, infondata. 9.2. Passando all'esame del secondo motivo, volto a censurare la ritenuta appartenenza dell'imputato al clan (OMISSIS) quale capo e promotore, deve osservarsi che la Corte territoriale ha evidenziato che (OMISSIS), detto (OMISSIS), e' stato indicato come capo e promotore dell'associazione dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori ed e' risultato responsabile in questa prospettiva dei reati di usura e di tentata estorsione. Sul tema viene particolarmente considerato che (OMISSIS) lo aveva individuato come responsabile dell'attivita' di usura messa in essere in funzione associativa, con la fissazione di esosissimi tassi sui prestiti, dovendo il percettore della somma prestata restituire l'importo ricevuto con il suo raddoppio. Poi, oltre a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano offerto dettagli sui crediti "a buffo" concessi da (OMISSIS), (OMISSIS), e anche sulle connessioni fra prestiti e spaccio di stupefacenti curate dal medesimo, che si appoggiava per tali attivita' a (OMISSIS) e a giovani di venti anni. Il riferimento alle acquisizioni emerse in virtu' dell'analisi - insuperata compiuta dai giudici di primo grado ha consentito di accertare il ruolo di vertice di (OMISSIS), (OMISSIS), corroborato in modo inequivoco dalle dichiarazioni delle vittime, dai documenti valutati e dalle conversazioni captate. Le contestazioni del ricorrente in merito all'inadeguatezza del contributo dichiarativo dei suddetti collaboratori si spingono alla rilettura di merito dei singoli apporti, non consentita in sede di legittimita'. Per altro verso, i rilievi svolti dalla difesa non incidono, per disarticolarlo, sul restante panorama probatorio delibato nelle sentenze di merito e ritenuto convergente nel senso della conferma della funzionale inserzione della condotta dell'imputato nell'attivita' associativa, con apporto che, per l'importanza del sodale, legato da stretti vincoli di parentela con gli altri capi, e per la rilevanza della sua portata, ha determinato, in modo giustificato e non illogico, la sua collocazione nel novero dei soggetti appartenenti al livello apicale dell'associazione. Cio' risulta particolarmente chiaro con riguardo al riferimento ai compiti svolti nell'organizzazione dell'attivita' associativa. Sulla premessa che, nell'associazione mafiosa, il ruolo direttivo e la funzione di capo di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 2, vanno riconosciuti a coloro che risultino al vertice di una entita' criminale autonoma, sia essa famiglia, cosca o clan, dotata di propri membri e regole, e il ruolo di organizzatore va attribuito a chi sia posto a capo di un settore delle attivita' illecite del gruppo criminale, con poteri decisionali e deliberativi autonomi (Cass. Sez. 2, n. 20098 del 3 giugno 2020, Buono, Rv. 279476 - 03; Sez. 1, n. 3137/15 del 19 dicembre 2014, Terracchio, Rv. 262487 - 01), deve prendersi atto che la figura dell'imputato, come concretamente posta in luce nelle conformi sentenze di merito in relazione al ruolo svolto, con autonomia, dal medesimo, ne ha adeguatamente collocato il ruolo partecipativo al livello dell'organizzatore. Per tali ragioni la doglianza si rivela priva di fondamento. 9.3. Per quanto concerne il terzo motivo, con esso, in riferimento alla dedotta violazione degli articoli 644, 56-629, 416-bis.1, 61, n. 2, c.p., il ricorrente ha articolato una contestazione dell'attivita' usuraria a lui contestata, nonche' della circostanza aggravante speciale e, con essa, della tentata estorsione accertata in danno di (OMISSIS), basata essenzialmente su una diversa lettura in punto di merito dei fatti concretanti i relativi reati e la loro configurazione circostanziale. Come si e' gia' osservato, i giudici di secondo grado hanno esposto in modo espresso e adeguato le ragioni per le quali, al di la' del riferimento alla rinuncia al motivo sulla responsabilita' dell'imputato in ordine al delitto sub O, hanno raggiunto il convincimento dell'avvenuta commissione da parte di (OMISSIS), (OMISSIS), della corrispondente usura e anche della tentata estorsione di cui al capo P, esplicitando anche il rilievo della violenza estrinsecata dall'agente nei riguardi della vittima, nonche' sottolineando che la "presa per il collo" a cui era stato assoggettato (OMISSIS), nemmeno contestata dall'imputato, si era associata alla consapevolezza della persona offesa che la condotta dell'imputato andava riconnessa al suo inserimento nel pericoloso gruppo criminale da (OMISSIS) individuato in alcuni componenti della famiglia (OMISSIS), con la conseguente accentuata efficacia delle condotte penalmente rilevanti associate a tale metodo. Indiscussa la valenza probatoria delle dichiarazioni della persona offesa, si rivela del tutto fallace l'argomentazione in forza della quale la Corte di assise di appello avrebbe ritenuto la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso sulla scorta dell'erronea rilevazione della rinuncia della difesa al motivo sulla responsabilita', mentre esorbitano nella valutazione di merito le prospettazioni inerente all'addotta assenza di timore con la quale (OMISSIS) avrebbe recepito il comportamento minatorio e violento messo in atto da (OMISSIS) in suo danno. In ogni caso, va ribadito che ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., quando l'azione incriminata sia stata posta in essere evocando la contiguita' a una associazione mafiosa e sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Cass. Sez. 5, n. 14867 del 26 gennaio 2021, Marciano', Rv. 281027 - 01). Di tale principio i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione con riferimento ai reati in esame. La complessiva censura, quindi, anche per la parte non dedotta in fatto, e' del tutto priva di pregio. 9.4. Di segno diverso sono le considerazioni da svolgere con riferimento alla quarta doglianza sviluppata dall'imputato. Con essa si e' segnalata la violazione del Decreto Legislativo n.385 del 1 settembre 1993, articolo 132 e si e' anche prospettata l'illogicita' della motivazione addotta a sostegno della responsabilita' dell'imputato in ordine al reato di cui al capo N, in riferimento al quale i giudici di appello hanno ritenuto (OMISSIS), (OMISSIS) (non (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), assolti), responsabile del reato previsto e punito dall'indicata norma, per avere proceduto a consegnare somme in prestito e ad incassare i conseguenti importi, costituenti la restituzione del capitale e degli interessi pattuiti, senza alcuna autorizzazione e senza essere iscritto negli appositi elenchi, albi e ruoli previsti dalla legge, cosi' esercitando abusivamente nei confronti del pubblico l'attivita' di intermediazione finanziaria. L'accusa aveva contestato a (OMISSIS) di avere svolto, in (OMISSIS), dal (OMISSIS) al (OMISSIS), l'attivita' di raccolta abusiva del risparmio e di abusiva intermediazione nel prestito monetario, prestando somme di denaro - con applicazione di tassi usurari - a diversi soggetti in difficolta' economica e finanziaria, citando fra gli altri percettori dell'abusivo credito (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). I giudici di appello hanno considerato il fatto ascritto all'imputato ampiamente provato nella sua materialita' sulla scorta della deposizione dell'inquirente (OMISSIS) e del contenuto delle analizzate captazioni, elementi in virtu' dei quali e' stata dimostrata la continuativa dazione di piccole somme di denaro alle persone offese. Gli episodi valutati, pero', sono stati dalla Corte territoriale ridimensionati. In corrispondenza di tale ridimensionamento si e' anche acclarata da parte dei giudici di appello l'estraneita' di queste operazioni di abusivo microcredito rispetto alle attivita' del sodalizio criminale, con conseguente elisione dalla fattispecie ritenuta della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Posto cio', la critica del ricorrente - nella parte in cui rimprovera alla sentenza di secondo grado di non avere fornito una motivazione adeguata e logicamente lineare in merito all'accertata sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, essendosi erroneamente soffermata a prendere atto che (OMISSIS) prestava delle somme di denaro ad alcune persone - e' dotata di fondamento. I giudici di appello, oltre a richiamare la prima decisione, hanno argomentato nel senso che (OMISSIS), (OMISSIS), avesse creato una sorta di sistema creditizio aperto, concorrenziale con il mercato legale del credito, sebbene non aggravato in senso mafioso. Tuttavia, la relatio con la sentenza di primo grado non appare, in questo caso, idonea a completare in modo effettivo il ragionamento sulla valenza del materiale probatorio sviluppato nella motivazione della decisione impugnata: il primo giudice aveva trattato in modo articolato il contenuto delle fonti di prova, riferendo intorno alla deposizione dell'inquirente (OMISSIS) e al significato delle conversazioni con i debitori intercettate e analizzate, ma non aveva sviluppato una solida valutazione dei profili fattuali rilevanti per gli effetti giuridici da trarsene in relazione ai connotati della fattispecie incriminatrice. Fermo restando che il delitto di esercizio abusivo di attivita' finanziaria, di cui all'articolo 132 Decreto Legislativo n. 385 del 1993 concorre materialmente con quello di usura (articolo 644 c.p.) in ragione della chiara diversita' dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7576 del 12 gennaio 2021, Candit, Rv. 280888 - 01), giova ricordare che l'integrazione dell'elemento strutturale del reato di esercizio abusivo di attivita' finanziaria esige che l'agente ponga in essere le condotte previste dall'articolo 106 Decreto Legislativo cit. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purche' l'attivita' - anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti sia rivolta a un numero potenzialmente illimitato di persone (Cass. Sez. 5, n. 25815 del 27 gennaio 2020, Infusini, Rv. 279464 - 01). Il connotato caratterizzante l'attivita' creditizia abusiva, in rapporto alla citata norma incriminatrice, e', quindi, che essa, quand'anche risulti rivolta a una cerchia di persone limitata, sia potenzialmente illimitata e comunque indeterminata, cosi' da integrare il requisito della destinazione al pubblico dell'attivita' finanziaria (Cass. Sez. 5, n. 24447 del 15 febbraio (OMISSIS), Spanghero, Rv. 276587 - 01). In merito alla sussistenza, nell'attivita' finanziaria abusiva praticata da (OMISSIS), (OMISSIS), di questa essenziale caratteristica, la motivazione della Corte territoriale non e' adeguata, fondandosi sul tacitiano riferimento al mercato aperto instaurato dall'imputato, che non tiene conto del ridimensionamento sostanziale degli stessi fatti di usura di cui i giudici di appello hanno dato atto. Nel complesso, pertanto, il discorso giustificativo offerto nella sentenza impugnata, pur valutato alla luce dei richiami al contenuto della decisione di primo grado, non ha dato conto con congrue e lineari argomentazioni dell'avvenuto accertamento della reale destinazione al pubblico dell'attivita' creditizia praticata dall'imputato, destinazione che puo' dirsi sussistente se l'attivita', pur se indirizzata a un ambito circoscritto di persone, risulti in via potenziale illimitata e indeterminata. Per tale ragione la sentenza impugnata deve essere annullata in ordine alla relativa statuizione con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma per nuovo giudizio sul capo, da effettuarsi nell'alveo dell'enunciato principio di diritto. 9.5. Per la ragione gia' spiegata in precedenza (anche se in questo caso a determinare il giudizio rescissorio e' l'esigenza del nuovo giudizio soltanto in ordine a un reato satellite) resta assorbito il motivo relativo alla censura dell'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la cui portata andra' compiutamente esaminata all'esito dell'accertamento completo delle responsabilita' dell'imputato, che resta sub tudice per il reato di cui al capo N, per il quale si e' disposto l'annullamento. 10. (OMISSIS) (detto (OMISSIS), (OMISSIS)). 10.1. Dei motivi articolati nell'interesse del ricorrente e' stato gia' trattato, con esito negativo, il primo (sub 8.1.) riguardante la prospettata nullita' o abnormita' del decreto che ha disposto il giudizio immediato con riferimento ai reati di cui ai capi A, B, C, E, F, H. Anche la questione (di cui al motivo 8.2) della violazione dell'articolo 238-bis c.p.p. e' stata esaminata e disattesa. Parimenti, il motivo successivo (sub 8.3), riguardante la complessiva doglianza inerente al duplice omicidio e ai connessi reati in materia di armi, e' stato gia' esaminato, con l'accoglimento dello stesso. Consegue che resta assorbito il motivo (sub 8.14) che attiene alla contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 in ordine ai suddetti delitti, oggetto della statuizione caducata. Resta assorbita, sempre in dipendenza dell'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per i capi B e C, la questione posta dal ricorrente con il motivo sub 8.17, concernente la mancata riassunzione del testimone (OMISSIS), anche nella prospettiva di un susseguente confronto fra il medesimo e (OMISSIS). Pure il motivo (di cui al punto 8.9), contenente la critica in merito alla ritenuta sussistenza dell'associazione mafiosa, e quello successivo (8.10), relativo all'esatta qualificazione del delitto associativo, rinvengono la loro trattazione nell'analisi gia' compiuta, cosi' come devono ritenersi gia' scrutinate, in senso sfavorevole al ricorrente, le doglianze (sub 8.12 e 8.13) inerenti alle circostanze aggravanti dell'associazione mafiosa, ex articolo 416-bis, quarto, quinto e comma 6, c.p.. 10.2. Per quanto riguarda la denunciata omessa considerazione della doglianza relativa al ruolo di mero partecipe dell'imputato nell'associazione (motivo sub 8.11), e' da escludere che la Corte territoriale sia incorsa in tale omissione. Pur se si e' avvalsa anche del richiamo all'analisi compiuta dai giudici di primo grado, all'esito della quale era stato valutato come palese il ruolo di vertice di questo imputato, la Corte territoriale ha esplicitamente affrontato il tema del livello della partecipazione di (OMISSIS) ((OMISSIS)) nella consorteria, inquadrandone la posizione in quella del promotore e citando a conforto del ritenuto ruolo apicale, al pari di quello assegnato a (OMISSIS) e (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS), che ne aveva tratteggiato i connotati comportamentali, segnalando, in particolare, la sua tendenza, comune alla condotta degli zii e autorevoli sodali, a non comparire inutilmente sulla scena criminale e a operare senza farsi notare, salvo quando qualcuno lo contraddiceva o lo ostacolava, perche' in questo caso reagiva ("e' come l'animale, non lo devi toccare, senno' ti mozzica"). La risposta data dalla Corte di assise di appello, pure mediante il riferimento alla disamina gia' sviluppata nella sentenza di primo grado, si profila effettiva e fa comprendere le ragioni dell'avvenuta conferma del ruolo apicale dell'imputato. La doglianza non ha contrastato direttamente le richiamate evidenze e, d'altra parte, ha anche tralasciato di precisare su quali argomenti, in prospettiva dotati di forza decisiva, i giudici di secondo grado avrebbero omesso di confrontarsi. Tale carenza determina la genericita' del motivo. Invero, la deduzione del vizio di motivazione fondata sulla denuncia della carenza argomentativa della sentenza rispetto a un tema contenuto nell'atto di impugnazione puo' essere utilmente proposta con il ricorso per cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisivita' (Cass. Sez. 6, n. 3724/16 del 25 novembre (OMISSIS), Perna, Rv. 267723 - 01; Sez. 2, n. 37709 del 26 settembre (OMISSIS), Giarri, Rv. 253445 - 01). Il motivo e', per tale limite, da considerarsi inammissibile. 10.3. Venendo ora alla disamina del quarto motivo, con cui il ricorrente ha censurato la motivazione della sentenza impugnata in merito all'incendio aggravato ex articolo 416-bis.1 c.p. contestatogli sub E, si ricorda che l'accusa aveva imputato il delitto a (OMISSIS), per avere, in concomitanza con la direttiva di (OMISSIS), ordinato a (OMISSIS), che aveva poi eseguito agendo travisato il 16 novembre (OMISSIS), di lanciare una bottiglia molotov. Tale attentato aveva cagionato l'incendio dei locali dell'agenzia "(OMISSIS)" di (OMISSIS), ubicata in (OMISSIS), al (OMISSIS), fatto dal quale era derivato pericolo per l'incolumita' pubblica essendo avvenuto l'incendio in pieno giorno, durante l'orario di apertura dell'attivita' commerciale e con all'interno la presenza di dipendenti e clienti. La Corte territoriale ha descritto l'episodio, osservando che (OMISSIS) si era autoaccusato della commissione del reato, dando conto della disposizione impartita da (OMISSIS) e descrivendo le modalita' della collocazione da parte sua della bottiglia (anzi, della damigiana) incendiaria e gli effetti distruttivi che l'incendio aveva determinati, con il susseguente intervento dei Vigili del Fuoco; aveva, inoltre, specificato di avere, dopo il reato, raggiunto l'autovettura di (OMISSIS) e di essere andato, con quest'ultimo, a scrutare gli effetti della situazione determinata. La Corte di merito ha dato conto anche dell'escussione di (OMISSIS), persona offesa dal reato, il quale aveva, per un verso, indirizzato i suoi sospetti, anche in relazione all'incendio dell'autovettura di sua moglie, verso i "bancarellari" operanti in zona, e, dall'altro, aveva, con riferimento agli (OMISSIS), raccontato della vicenda relativa alla vendita di una villa di (OMISSIS), risalente al (OMISSIS), non conclusa per la mancata produzione della documentazione necessaria da parte dello stesso (OMISSIS), con l'innesco di un contenzioso a cui tuttavia l'agente immobiliare aveva posto termine, senza esigere il pagamento del compenso per la sua opera. I giudici di appello hanno ritenuto dimostrata la commissione del reato anche da parte di (OMISSIS), indicato come mandante da (OMISSIS), annettendo elevata credibilita' alle affermazioni del collaboratore, considerando che la versione da lui fornita fosse l'unica a dare una plausibile spiegazione dell'accaduto e ascrivendo per il resto al metus determinato dal contatto con la famiglia (OMISSIS) il silenzio espressamente opposto dalla persona offesa in ordine ai suoi rapporti con gli esponenti di tale famiglia. Tuttavia, tale analisi non ha indicato con la chiarezza dovuta quale sia stato il necessario (ex articolo 192 c.p.p., comma 3) riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni di (OMISSIS) rispetto alla posizione di (OMISSIS). Ne' la Corte territoriale ha fatto emergere con nettezza il movente a cui potesse - in qualche misura e salvo ulteriori verifiche - ricollegarsi la chiamata in correita' di (OMISSIS), atteso che, dalle considerazioni esposte, non e' risultato che (OMISSIS) avesse in qualche modo sfavorito gli (OMISSIS), pur dopo che l'affare immobiliare non si era concluso. La stessa sentenza di primo grado aveva argomentato in merito allo sviluppo del fatto, ma non aveva fornito dati univoci e precisi in ordine all'identificazione del riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni di (OMISSIS). In definitiva, la motivazione resa dai giudici del merito si profila carente in merito all'individuazione del riscontro esterno alla chiamata in correita' di (OMISSIS). Tale decisiva mancanza determina l'annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di (OMISSIS) ((OMISSIS)), relativamente al reato sub E, con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma per nuovo giudizio sul capo. 10.4. Il quinto motivo riguarda la critica mossa dal ricorrente alla condanna di (OMISSIS) per l'incendio aggravato di cui al capo F, delitto configurato come commesso da (OMISSIS) su direttiva di (OMISSIS) ((OMISSIS)) e attuato lanciando una bottiglia molotov, alle ore 07:00 del 21 novembre (OMISSIS) , che aveva cagionato l'incendio dell'autovettura Alfa Romeo, targata (OMISSIS), di proprieta' di (OMISSIS), parcheggiata in (OMISSIS) in (OMISSIS), di fronte agli uffici del Municipio. I giudici di appello hanno valorizzato anche in questo caso le dichiarazioni di (OMISSIS), che si era autoaccusato dell'azione incendiaria, specificando che, pure questa volta, a ordinargli di procedere all'azione incendiaria era stato (OMISSIS) mentre si stavano recando, insieme, ad aprire il bar. Lui aveva cercato di appiccare il fuoco sia all'automobile che al camion di (OMISSIS); c'era riuscito con l'automobile giacche', quanto al camion, l'autista di altro camion situato al fianco era prontamente intervenuto con l'estintore e aveva spento l'incendio (mentre l'autovettura era ormai avvolta dalle fiamme). La Corte territoriale, anche nella trattazione di questa imputazione, ha annesso credibilita' determinante alle dichiarazioni di (OMISSIS), ma non ha enucleato, per la posizione dell'imputato (OMISSIS), il riscontro esterno individualizzante. La difesa ha contestato che esso potesse individuarsi nel fatto che l'incendio era stato perpetrato di fronte al Municipio; e, anche a voler leggere questa indicazione come sottesa al discorso giustificativo dell'episodio, deve prendersi atto che la circostanza, in se' considerata, non risulta indicativa del coinvolgimento nel delitto di (OMISSIS). Ne' la constatazione che (OMISSIS) aveva dichiarato che l'incarico da parte dell'imputato di incendiare i veicoli di (OMISSIS) era dovuto al fatto che il medesimo era sospettato di essere un confidente delle forze dell'ordine puo' rilevare nell'individuazione del riscontro, trattandosi ancora e soltanto del narrato del chiamante in correita'. Pure per questa imputazione, in sostanza, i giudici del merito hanno fatto essenziale leva sull'elevata credibilita' del collaboratore e sull'ineludibilita' del ruolo di mandante per affermare la corresponsabilita' di (OMISSIS). Cio' impone il rilievo della mancanza di specifica motivazione in merito al riscontro esterno individualizzante alla chiamata in correita'. Tale determinante carenza conduce all'annullamento della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di (OMISSIS) ((OMISSIS)), relativamente al reato sub F, con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma per nuovo giudizio sul capo. 10.5. In ordine al sesto motivo del ricorso, esso critica la sentenza impugnata per il ritenuto concorso dell'imputato nel delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, aggravato dalla circostanza di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., relativo alla cessione, il 15 febbraio (OMISSIS) , da parte di (OMISSIS) e all'acquisto, su disposizione di (OMISSIS), da parte di (OMISSIS) e di altri coimputati, per la distribuzione - nell'intento di non pagare e di realizzare l'azione intimidatoria gia' descritta - di 20 chilogrammi di hashish, che venivano poi custoditi nell'abitazione di (OMISSIS), presso il quale 3,4 chilogrammi erano stati, poi, sequestrati il 27 marzo (OMISSIS) , con il conseguente arresto di (OMISSIS). Del reato, contestato sub H, si e' gia' trattato con riferimento alla posizione di (OMISSIS) e devono dunque richiamarsi le riflessioni gia' esposte e le conclusioni gia' raggiunte per il suddetto coimputato. Sebbene nel racconto del collaboratore (OMISSIS), chiamante in correita', la posizione dell'imputato si collochi in uno snodo diverso rispetto a quello di (OMISSIS) (essendo stata ascritta a (OMISSIS) la disposizione dell'organizzazione dell'incontro con (OMISSIS) ed essendogli stata anche attribuita la partecipazione all'incontro stesso, con l'aggressione da parte sua in danno di (OMISSIS), duramente colpito e leso, tanto da determinarne il ricovero in ospedale), emerge pure per la valutazione della responsabilita' di (OMISSIS) la carenza rilevata per la posizione di (OMISSIS). I giudici di appello, nel ritenere che il racconto di (OMISSIS), vista l'entita' della partita e la gravita' della rappresaglia ai danni di (OMISSIS) per essersi voluto mettere in proprio, contenesse in se' e per se' la prova della responsabilita' di (OMISSIS) ((OMISSIS)), hanno omesso di chiarire quale fosse, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 c.p.p., il riscontro individualizzante relativo alla posizione del ricorrente, non essendo risultata l'emersione, nel ragionamento esposto dai giudici del merito, di elementi estrinseci di adeguato spessore, sia pure di natura logica, idonei a corroborare la chiamata in correita' di (OMISSIS), pur ritenuta credibile e intrinsecamente attendibile. La mancanza, nella motivazione esaminata, dell'enucleazione di riscontri esterni individualizzanti relativi anche a (OMISSIS) ((OMISSIS)) determina, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata in ordine al reato sub H anche per cio' che concerne la sua posizione, con rinvio del processo ad altra Sezione della Corte di appello di Roma affinche' provveda, all'esito di nuovo giudizio, a delibare la relativa questione. 10.6. Passando all'esame del settimo motivo (sub 8.7), con cui il ricorrente ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso nel delitto di cui al capo Q, si premette che esso concerne l'usura, aggravata dalla circostanza di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., in danno di (OMISSIS), contestata come commessa da (OMISSIS), in concorso e previa intesa con l'imputato, per avere elargito, in epoca prossima al settembre (OMISSIS), un prestito di 300,00 Euro a (OMISSIS), facendosi promettere interessi usurari, con un tasso medio praticato del 60% mensile. La Corte territoriale, dopo aver richiamato l'ampia analisi compiuta dai giudici di primo grado, ha evidenziato gli elementi scaturiti dalla testimonianza dell'inquirente (OMISSIS), da coniugare con il contenuto delle intercettazioni dei due colloqui intercorsi fra (OMISSIS) e (OMISSIS); nel corso di essi, mediante l'indicazione della somma mutuata e di quella che (OMISSIS) si era impegnato a restituire, era emerso il tasso usurario praticato, nonche' si era rilevato che a (OMISSIS) era stato fatto presente che il mancato pagamento del dovuto alle scadenze previste avrebbe comportato l'insorgenza di spiacevoli ritorsioni. I giudici del merito hanno evidenziato che (OMISSIS) parlava con (OMISSIS) al plurale, per se' e per gli altri che gestivano l'usura. Hanno poi rilevato che dalle dichiarazioni di (OMISSIS) era emerso che (OMISSIS) (detto (OMISSIS)), passato agli (OMISSIS) dopo il duplice omicidio e lo scompaginamento dei (OMISSIS), aveva intrapreso l'attivita' delinquenziale nel ramo dell'usura in concorso, appunto, con (OMISSIS) e con (OMISSIS), specificando che si trattava di sistematica attivita' di prestito usurario tarata su tasso mensile, con prestito di 1.000,00 Euro e restituzione di 1.450,00. La Corte di assise di appello, valutando le ragioni del gravame in relazione alle risultanze istruttorie, ha confermato che era stato provato che, nel periodo di interesse, l'usura per il clan (OMISSIS) era gestita direttamente da uno dei vertici, individuato appunto in (OMISSIS), e da (OMISSIS), il quale, nell'effettuare i singoli prestiti, non aveva agito in proprio, ma quale collaboratore esecutivo dell'imputato e, quindi, emissario della consorteria. A corroborare questa articolata valutazione delle prove raccolte ha, d'altro canto, contribuito l'analisi dei contatti fra lo stesso (OMISSIS) e altro debitore assoggettato a usura, (OMISSIS), dai quali era risultato che (OMISSIS), in ritardo con i pagamenti, si era rivolto, per giustificare il differimento, direttamente a (OMISSIS), scavalcando (OMISSIS), a riprova del legame diretto fra (OMISSIS) e la vittima nella costituzione e nell'esecuzione del patto usurario, senza l'emersione di perplessita' alcuna in ordine al atto che la persona a cui si riferiva (OMISSIS), per assumere disposizioni, e a cui si era rivolta anche (OMISSIS) fosse soggetto diverso dall'imputato. Tale convincimento e' stato vieppiu' rafforzato dal richiamo fatto dai giudici di appello della parte di conversazione fra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui il primo aveva illustrato al secondo le conseguenze deleterie che gli sarebbero state destinate nell'ipotesi in cui questi, non adempiendo puntualmente, avesse incrinato il sinallagma funzionale di natura criminale su cui si reggeva il patto. Parlando in terza persona, ma con argomentazione che lo coinvolgeva necessariamente, (OMISSIS) aveva paragonato il mancato versamento degli interessi usurari al mancato pagamento del dovuto al meccanico che ripara l'automobile, con la differenza che - mentre con quest'ultimo una chiacchierata avrebbe potuto essere sufficiente a risolvere il contenzioso - con "loro" non c'era altro verso che pagare, altrimenti "hai chiuso" perche' succede "un macello...". La complessiva analisi svolta dalla Corte territoriale, in uno a quella gia' sviluppata dalla Corte di assise, resiste alle censure mosse dalla difesa dell'imputato. Le connessioni ineludibili fra l'usura in danno di (OMISSIS) e il ruolo direttamente svolto da (OMISSIS), in quel preciso contesto spazio-temporale, nel governo e nella gestione di quegli specifici rapporti usurari sono state evidenziate in modo congruo e non illogico dai giudici di appello. Essi hanno basato, infatti, le loro persuasive conclusioni sulla coordinata acquisizione i) della sicura pluralita' dei concorrenti nell'usura in danno di (OMISSIS), ii) della certa, diretta dipendenza in quel periodo di (OMISSIS) unicamente da (OMISSIS) per la gestione di quei rapporti di usura e iii) della dimostrata connotazione associativa del reato, con la prospettazione evidente all'usurato della reazione di stampo mafioso che sarebbe seguita al suo inadempimento. Approdo coerente e' stato, dunque, quello di ritenere provato il contributo concorsuale dell'imputato per la sua consapevole condotta autorizzativa e direttiva. Si conferma, dunque, il principio di diritto secondo cui, in tema di reati associativi, il ruolo di partecipe, pur se di livello apicale, rivestito da taluno nell'ambito della struttura organizzativa criminale non e' di per se' solo sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilita' per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all'organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, rispondendo dei reati fine solo coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato e dovendo escludersi qualsiasi forma di responsabilita' anomala da posizione o da riscontro ambientale (Cass. Sez. 2, n. 36251 del 24 novembre 2020, Morelli, Rv. 280315 - 01; Cass. Sez. 1, n. 24919 del 23 aprile 2014, Attanasio, Rv. 262305 - 01). La doglianza e', pertanto, infondata. 10.7. Passando all'esame dell'ottavo motivo (sub 8.8), con esso (OMISSIS) si duole dell'attribuzione di responsabilita' per il reato di cui al capo 5, ossia il reato di cui all'articolo 12-quinquies Decreto Legge n. 306 del 1992 (oggi articolo 512-bis c.p.) in relazione alle operazioni, realizzate in concorso con altri, di intestazione fittizia a (OMISSIS), a scopo elusivo, alla (OMISSIS) che gestiva dal 27 ottobre (OMISSIS) la sala da gioco di (OMISSIS) denominata (OMISSIS) e dal 23 agosto (OMISSIS) quella di (OMISSIS), denominata (OMISSIS). La motivazione fornita dai giudici di appello relativamente alla commissione di tale reato anche da parte dell'imputato (quale socio occulto e amministratore di fatto dal momento della costituzione e fino al suo arresto, avvenuto il 12 aprile (OMISSIS), allorquando socio e amministratore era diventato (OMISSIS)) ha dato conto, oltre di quanto affermato in termini specifici dalla Corte di assise, anche di ulteriori, altrettanto specifici, riferimenti all'apporto dato dall'inquirente (OMISSIS). Questi aveva analizzato altre conversazioni captate, da cui era emerso l'interesse costante di (OMISSIS) per le sale da gioco, particolarmente per la (OMISSIS), in ordine alla quale era stato accertato che a gestirla in via effettiva - in relazione a concreti atti (pagamenti, forniture, disposizioni al personale) - era certamente (OMISSIS), detto (OMISSIS), cosi' disvelando la titolarita' e disponibilita' effettiva dell'azienda. Sono state citate anche le conversazioni di (OMISSIS) con il preposto alla sala giochi Sagliocco, da cui e' stata tratta la necessita', per i conversanti, di informare l'imputato in merito alla gestione del bar. Altrettanto l'inquirente aveva fatto illustrando l'esito delle captazioni che avevano visto direttamente coinvolto (OMISSIS) con riferimenti inequivoci alla gestione dell'altra sala da gioco, ossia la (OMISSIS), sia nei lavori alla struttura, sia nel rapporto con i dipendenti, sia nelle questioni di cassa; illustrando, inoltre, in modo coerente il profilo diacronico di tale gestione, dipendente anche in questo caso dall'intestazione fittizia a (OMISSIS), posta a copertura della titolarita' effettiva del bene in capo all'imputato, sino al punto che, quando questi era stato arrestato e la famiglia (OMISSIS) aveva individuato in (OMISSIS) la persona che doveva farne le veci (punto sulla cui connotazione giuridica si tornera' in seguito), il complicarsi della situazione, in particolare per il ruolo di "capetto" assunto da (OMISSIS), aveva indotto i conversanti ad auspicare la sollecita scarcerazione di (OMISSIS). Anche per tali ragioni la Corte territoriale ha, con argomenti adeguati, individuato in (OMISSIS) l'originario dominus, titolare ed effettivo amministratore delle due attivita' aziendali facenti capo alla suindicata societa', agente in stretto coordinamento con (OMISSIS), a sua volta collocato in modo piu' coperto. L'intervento acquisitivo, a fini elusivi, delle attivita' in questione da parte degli (OMISSIS), in particolare di (OMISSIS), e' stato congruamente ricollegato alle date di acquisizione delle stesse da parte delle (OMISSIS) Societa' Cooperativa, nel tempo, pure precisato, in cui questa societa' era risultata formalmente ma fittiziamente partecipata e gestita da (OMISSIS), per essere emersa l'effettiva titolarita' sociale e amministrazione di (OMISSIS). Il riferimento alle vicende pregresse, su cui si e' soffermato il ricorrente, non puo' pertanto rilevare. Si osserva, al riguardo, che delitto di trasferimento fraudolento di valori configurabile anche nel caso in cui, al fine di eludere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniale, vengano acquistate di fatto le quote di una societa' commerciale o di servizi gia' operativa, anche lasciandone immutata la titolarita' formale in capo a terzi, che cosi' vengono ad acquisire il ruolo di soggetti interposti (Cass. Sez. 2, n. 2080/19 del 6 dicembre 2018, Calabrese, Rv. 274963 - 01; Sez. 2, n. 5647 del 15 gennaio 2014, Gobbi, Rv. 258343 - 01). Per il resto, le contestazioni svolte dalla difesa integrano altrettante incursioni nella valutazione di merito, sia quando prospettano differenti interpretazioni del tessuto captativo, sia quando propongono di rileggere il ruolo di (OMISSIS) in relazione alle corrispondenti risultanze, sia quando sostengono un ruolo dell'imputato diverso da quello accertato e limitato alla personale gestione del bar, non della sala giochi; tutto cio', in contrasto con l'adeguato e non illogico discorso giustificativo offerto dai giudici del merito. Anche questo motivo, di conseguenza, e' da ritenersi privo di fondamento. 10.8. In ordine ai motivi di cui ai punti 8.15 e 8.18, inerenti rispettivamente alla critica per il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla lamentata infrazione del divieto di reformatio in peius per la mancata diminuzione della pena pur dopo l'elisione del reato di cui al capo N, si tratta di doglianze che devono ritenersi assorbite dall'annullamento con rinvio relativo ai reati indicati, per le medesime ragioni esposte con riguardo alle posizioni precedenti, in specie quella di (OMISSIS). 10.9. L'analisi delle questioni poste dal ricorso di (OMISSIS) ((OMISSIS)) esaurisce anche la trattazione del contenuto della depositata memoria con motivi aggiunti. 11. (OMISSIS). 11.1. Per quanto concerne il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), il motivo sub 9.2, inerente alla critica della ritenuta sussistenza dell'associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS), deve considerarsi gia' trattato nel corso della prima parte della motivazione. 11.2. In ordine al motivo sub 9.1, la critica della sentenza impugnata in relazione all'affermata partecipazione di (OMISSIS) alla consorteria non e' dotata di pregio. I giudici del merito hanno considerato le dichiarazioni rese dai collaboratori che hanno individuato nell'imputato un attivo partecipe del clan e hanno tenuto conto che, proprio per tale appartenenza, (OMISSIS) aveva visto la sua abitazione attinta da colpi di arma da fuoco, ma si era ben guardato dal denunciare il reato. L'episodio e' stato descritto in ogni dettaglio nella motivazione della sentenza di primo grado in virtu' della testimonianza dell'inquirente (OMISSIS) che ne aveva precisato l'estrema gravita'. Erano stati esplosi cinque colpi di arma da fuoco ad altezza d'uomo, m. 1,70, con i proiettili che avevano attinto la porta di ingresso dell'abitazione di (OMISSIS), elementi da cui la Polizia aveva desunto che gli aggressori avevano sparato per uccidere; tuttavia, (OMISSIS), chiamato a fornire informazioni sull'accaduto, non aveva dato alcuna indicazione. Si e' preso atto, poi, che, secondo le dichiarazioni di (OMISSIS), il ruolo di (OMISSIS) nella vita associativa ha riguardato l'attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti, attivita' praticata anche da (OMISSIS). Anche (OMISSIS) ha indicato in (OMISSIS), riconosciuto in foto, uno dei soggetti di cui disponeva (OMISSIS) che governava per il clan l'attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti nella zona di (OMISSIS) di (OMISSIS). Inoltre, sia (OMISSIS) che (OMISSIS) hanno individuato in (OMISSIS) uno fra i componenti del clan che, dopo l'omicidio di (OMISSIS), si erano attivati per reperire il libro mastro che aveva predisposto (OMISSIS), importante strumento di verifica degli specifici terminali degli affari illeciti di quest'ultimo e, dunque, del gruppo dei (OMISSIS), scompaginato dagli (OMISSIS) che si erano insediati nel loro territorio ed erano subentrati nelle attivita' criminali dai medesimi gestite. La conclusione della Corte territoriale e' stata, dunque, nel senso che (OMISSIS) ha consapevolmente rivestito, con le condotte analizzate, un suo ruolo dinamico all'interno del clan in guisa tale da far emergere la sicura dimostrazione della permanenza costante del vincolo associativo. E' l'esito di una valutazione congrua della serie di elementi emersi, non confutata dalla constatazione che in questo processo (OMISSIS) non e' stato raggiunto dalla concomitante imputazione relativa alla commissione di reati fine. Per l'integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso non e', invero, necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma e gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale, la prova della partecipazione potendo essere desunto anche dal compimento di una o piu' attivita' significative nell'interesse dell'associazione criminale (Cass. Sez. 2, n. 18559 del 13 marzo 2019, Zindato, Rv. 276122 - 01). La doglianza non e', in conclusione, dotata di fondamento. 11.3. Per quanto attiene al terzo motivo, la contestazione mossa dal ricorrente in merito alla motivazione fornita dalla Corte territoriale per negare anche a lui il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non merita considerazione. I giudici di appello hanno indicato in modo preciso i fattori che, nella valutazione complessiva compiuta, hanno condotto all'esclusione del riconoscimento di tali attenuanti: i) la gravita' estrema del reato associativo aggravato; ii) la sussistenza dei precedenti penali; iii) l'assenza di una qualsivoglia manifestazione di ravvedimento, sintomatica, alla stregua degli elementi esaminati, della persistente intraneita' al sodalizio e della convinta adesione al sostrato culturale su cui il clan (OMISSIS) ha costruito, con l'intimidazione, la penetrazione nel tessuto economico del territorio di riferimento generando il fenomeno di diffusa omerta' emerso anche nel corso processuale; iiii) la carenza di qualsiasi altro elemento di segno contrario alla valutazione negativa cosi' risultante. Posto quanto precede, si considera che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito puo' limitarsi a prendere in esame - tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p. - quello che ritiene nel caso concreto dotato di rilievo preminente e atto a determinare, o meno, il riconoscimento delle medesime, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato e alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Cass. Sez. 2, n. 23903 del 15 luglio 2020, Marigliano, Rv. 279549-02). In tal senso, il giudice del merito non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo necessario e sufficiente che egli, con motivazione insindacabile in sede di legittimita', ove essa sia non contraddittoria, dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Cass. Sez. 5, n. 43952 del 13 aprile 2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01). Lo stesso comportamento processuale dell'imputato costituisce un elemento suscettibile di valutazione, considerato, fra l'altro, che (a seguito di Corte Cost., sent. n. 182 del (OMISSIS) ) rientra tra gli elementi di cui il giudice deve tener conto, secondo i criteri dell'articolo 133 c.p., anche la condotta positiva del condannato successiva al reato. Esso, peraltro, deve essere considerato nel quadro degli altri elementi ponderati dal giudice del merito, sicche' non e' escluso che questo fattore, ove pure favorevole all'imputato, possa essere reputato inadeguato al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche, sulla base di una motivazione che esponga il rilievo preponderante da annettere ad altre ragioni, tali da risultare determinanti per la decisione, motivazione non sindacabile in sede di legittimita', ove non risulti contraddittoria (Cass. Sez. 3, n. 1913/19 del 20 dicembre 2018, Carillo, Rv. 275509 - 03). Nel caso in esame, anche il rilievo del comportamento processuale e' stato insindacabilmente apprezzato in senso sfavorevole all'imputato. Nel solco di tali principi, la Corte di assise di appello ha, con argomenti adeguati e coerenti, giustificato il diniego delle circostanze di cui all'articolo 62-bis c.p. annettendo valore preminente, in senso ostativo, agli elementi suindicati. A fronte di una motivazione chiaramente espressa sul punto, senza essere inficiata da aporie logiche, il sindacato di legittimita' - siccome dovrebbe inammissibilmente sondare la prospettata preminenza dei diversi elementi indicati dal ricorrente - risulta totalmente precluso. 11.4. Il ricorso di (OMISSIS) va, dunque, rigettato. 12. (OMISSIS) ( (OMISSIS)). 12.1. In ordine alla posizione di (OMISSIS), la doglianza sub 10.1. articolata dalla sua difesa mira a criticare l'individuazione e la valutazione, da parte dei giudici di appello, degli elementi in base ai quali e' stata ritenuta la sua partecipazione al clan (OMISSIS), con motivazione che il ricorrente stima viziata da poverta' contenutistica. Il motivo, in parte vulnerato da incursioni nel giudizio di merito sull'interpretazione delle singole fonti di prova e sulla loro sinergia dimostrativa, non si profila fondato. La Corte territoriale ha indicato gli indici fattuali a cui ha collegato la concreta e fattiva messa a disposizione di (OMISSIS) a beneficio dell'attivita' della consorteria criminale promossa e governata dai suoi congiunti. Oltre a subentrare ai fratelli, dopo i loro arresti, nel settore delle slot machines, con interessi nel comparto del riciclaggio, l'imputato era risultato in costante, strettissimo collegamento con i vertici del sodalizio, partecipando anche alle riunioni segrete organizzate dal gruppo dopo gli attentati subiti da (OMISSIS). (OMISSIS) era stato intercettato a parlare anche di armi con (OMISSIS) e a meditare su possibili ritorsioni a seguito degli attentati patiti da (OMISSIS). Del suo contributo avevano riferito sia (OMISSIS), sia (OMISSIS), in termini articolati, ma - come hanno stabilito con ragionamento non illogico i giudici di secondo grado - in modo non inconciliabile, il primo avendo anche sottolineato che (OMISSIS) aveva preso a calci nel sedere (OMISSIS), il secondo avendo offerto dettagli in merito alle consegne, che (OMISSIS) aveva fatto a lui e a (OMISSIS), di importanti quantitativi di sostanza stupefacente da distribuire. (OMISSIS) aveva parlato specificamente della condotta dell'imputato, spiegando che questi, pur avendo una mentalita' diversa da quella dei congiunti, si era impegnato nelle attivita' proprie dell'associazione e, pur non avendone lo spessore per limiti comportamentali, aveva preso il posto del fratello quando questi era stato arrestato, anche per garantire a (OMISSIS) tutto cio' che necessitava. L'inserzione e la costante messa a disposizione di (OMISSIS) nel clan omonimo e' risultata confermata, secondo la Corte territoriale, dalla prontezza con la quale egli si era attivato per sostituire i fratelli quando essi erano stati arrestati, continuando a perseguire gli obiettivi che i primi avevano fissati, cosi' dimostrando la sua piena intraneita' all'associazione, non confondibile con il legame familiare, e confermando che la messa a disposizione pregressa si estendeva fino all'apporto del concreto contributo all'attivita' e al funzionamento dell'organizzazione. Le contestazioni mosse dal ricorrente non riescono a neutralizzare la congruita' e la linearita' delle considerazioni svolte dai giudici di appello, una volta depurate dalle segnalate incursioni nella valutazione di merito (fra l'altro, con riferimento alla diversa interpretazione delle conversazioni fra l'imputato e (OMISSIS)). La doglianza va, quindi, disattesa. 11.2. Merita invece di essere accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo (10.2), inerente alla critica della motivazione relativa al ritenuto concorso dell'imputato nel reato di cui al capo S. In ordine al ruolo vicario svolto da (OMISSIS) nelle attivita' gestorie delle aziende facenti capo alla (OMISSIS), attinenti alla conduzione delle sale da gioco (OMISSIS) e (OMISSIS), ruolo vicario emerso a far tempo dall'arresto di (OMISSIS) il 12 aprile (OMISSIS), si e' gia' detto. La motivazione resa dalla Corte territoriale, se ha chiarito la qualita' e l'incidenza dell'intervento surrogatorio dell'imputato, non ha, tuttavia, fatto emergere con adeguata chiarezza se esso - avvenuto quando ormai l'originaria fattispecie criminosa di intestazione fittizia si era perfezionata - si sia sostanziato in una ulteriore operazione penalmente rilevante (oltre che sotto il profilo della partecipazione associativa, anche) sotto il profilo dell'autonoma integrazione da parte dell'imputato degli elementi costitutivi del delitto ora previsto e punito dall'articolo 512-bis c.p.. Deve muoversi, per vero, dal principio di diritto secondo cui il delitto di trasferimento fraudolento di valori integra un'ipotesi di reato a forma libera, istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene realizzata consapevolmente la difformita' tra titolarita' formale e apparente e titolarita' di fatto dei beni, con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter c.p., di guisa che sicche', per potersi affermare il concorso da parte di soggetto terzo, e' necessario dimostrare che questi abbia fornito il proprio contributo materiale o morale nel momento stesso dell'attribuzione fraudolenta, non avendo invece decisiva rilevanza l'eventuale ausilio assicurato al permanere della situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa (Sez. 3, n. 23097 del 8 maggio (OMISSIS), Capezzuto, Rv. 276199 - 01; Sez. 6, n. 13843 del 27 febbraio (OMISSIS), Lo Franco, Rv. 275372 - 01). E', d'altro canto, da precisare, in modo non contraddittorio ma speculare e coerente, che, sempre in tema trasferimento fraudolento di valori, costituiscono ulteriori ed autonome fattispecie dello stesso reato le successive e reiterate condotte di intestazione fittizia dei medesimi beni e compagini sociali al fine di coprire e mascherare la reale proprieta' dei beni, come tali autonomamente punibili, cosi' come la creazione da una originaria societa' fittizia di nuove societa' al fine di coprire e mascherare la reale proprieta' dei beni realizza un autonomo reato, e non un post-factum non punibile (Cass. Sez. 2, n. 11881 del 6 marzo 2018, Szalska, Rv. 272903 - 01; Sez. 6, n. 10024/09 del 11 dicembre 2008, Noviello, Rv. 242754 - 01). Poste tali linee esegetiche, da condividersi e riaffermarsi, si deve constatare che i giudici del merito, accertato l'intervento attivo di (OMISSIS) nella gestione delle aziende dall'aprile (OMISSIS), non hanno reso una motivazione specifica sul punto - determinante - del contributo concorsuale apportato dal suddetto imputato quando le intestazioni fittizie si erano perfezionate nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS). La partecipazione dell'imputato all'originaria operazione di intestazione fittizia, in vista del suo subingresso, al bisogno, ove fossero risultati impediti nell'azione gestoria i suoi congiunti direttamente coinvolti, in primis (OMISSIS), non ha formato oggetto di adeguata spiegazione. Ne', per converso, risultano enunciate considerazioni significative in merito all'alternativo inquadramento inerente all'eventuale evoluzione dell'intestazione fittizia dei beni, con integrazione di un ulteriore diverso fatto di reato in virtu' dell'intervento di (OMISSIS) nelle aziende dall'aprile (OMISSIS). La rilevata carenza motivazionale impone l'annullamento della sentenza impugnata quanto al reato di cui al capo 5, con rinvio per nuovo giudizio sulla posizione dell'imputato, da svolgersi nel rispetto dei fissati principi. 11.3. Infine, deve considerarsi assorbito il terzo motivo che critica la sentenza impugnata in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, doglianza che, essendo annullata la statuizione di responsabilita' dell'imputato, andra' vagliata, ove del caso, all'esito del giudizio rescissorio e della conseguente definizione del completo assetto della responsabilita' penale dell'imputato. 12. (OMISSIS). 12.1. Sono stati gia' scrutinati i temi oggetto dei primi due motivi (sub 11.1 e 11.2) del ricorso dell'imputato, il primo riguardando la critica sulla ritenuta ritualita' della partecipazione a distanza al dibattimento, il secondo afferendo alla contestazione dell'accertamento avente ad oggetto la sussistenza dell'associazione di tipo mafioso denominata clan (OMISSIS). 12.2. Per quanto concerne il terzo e il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione dell'unica tematica trattata, che critica la sentenza impugnata per avere affermato la partecipazione dell'imputato al clan (OMISSIS) senza considerare la mancanza di riscontri individualizzanti relativi alla sua posizione e limitandosi a rendere una motivazione illogica circa l'evento addotto come accertato, va detto che la Corte territoriale ha sviluppato il suo discorso giustificativo sulla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) (conosciuto come Focanera) all'associazione (escludendone pero' il ruolo direttivo), evidenziando che le prove raccolte ne avevano dimostrato la sua costante attivazione nel settore, di interesse associativo, del commercio di sostanze stupefacenti. La sua sfera di azione associativa e' stata, peraltro, illustrata in modo piu' articolato, con particolare riferimento ai contatti (specificati dall'inquirente (OMISSIS)) da lui tenuti con la famiglia (OMISSIS) di (OMISSIS) (con cui aveva rapporti di parentela), onde evitare il disturbo arrecato da suoi componenti alla sala giochi di De Santis, di interesse degli (OMISSIS). E il materiale captativo acquisito e commentato aveva fato emergere che i fruitori di tale intervento, in particolare (OMISSIS), avevano ritenuto piu' incisiva degli altri l'azione di (OMISSIS). Il suo ruolo nell'attivita' di spaccio, come emissario della famiglia (OMISSIS), e' stato descritto in ogni dettaglio sia da (OMISSIS) (che ne aveva collocato il baricentro operativo nella zona di (OMISSIS)), sia da (OMISSIS) (che lo aveva identificato come coordinatore dello spaccio, pur sempre dipendente da (OMISSIS) e (OMISSIS)), sia infine da (OMISSIS) (che lo aveva indicato come gestore di una piazza di spaccio e di una sala giochi, l'(OMISSIS)). I giudici di appello hanno analizzato la discrasia rilevata dalla difesa in ordine alla diversita' delle zone di spaccio indicate dai collaboratori, ma hanno, con motivazione non illogica, spiegato che (OMISSIS) ben aveva potuto spacciare nelle due zone in periodi non necessariamente sovrapponibili, mentre resta certa l'ulteriore indicazione di (OMISSIS) in relazione al ruolo anche di "passamano" svolto dall'imputato, ossia di intermediario distributore degli stupefacenti alla manovalanza per la vendita al dettaglio. Cosi' come di rilievo era risultata l'affermazione dello stesso secondo cui (OMISSIS) era costantemente "in mezzo agli (OMISSIS)", anche quando costoro erano andati a togliere la casa al medesimo (OMISSIS), tanto che era stato (OMISSIS) a proporgli di accettare la somma di 10.000,00 Euro e mezzo etto di cocaina, in cambio della casa. Anche (OMISSIS) ha riferito del suo ruolo nella vicenda della sottrazione della loro casa. L'insieme di elementi e' stato, pertanto, considerato, in modo congruo e coerente, dai giudici del merito tale da costituire un quadro probatorio ampiamente riscontrato. Proprio in virtu' della posizione sempre dipendente dai capi la Corte territoriale ha - come si e' detto - attribuito all'imputato la condotta di mera partecipazione, con il conseguente ridimensionamento del trattamento sanzionatorio. Le richiamate argomentazioni resistono alle censure del ricorrente, dovendosi sempre tenere presente che, come gia' si e' avuto modo di dire, il factum probandum, con riferimento al delitto di partecipazione associativa, non e' il singolo comportamento, ma la condotta partecipativa nel suo complesso. Le due doglianze si rivelano, pertanto, infondate. 12.3. Con riguardo al quinto motivo, inerente alla dedotta violazione dell'articolo 133 c.p. nella commisurazione della pena, si premette che la diversa qualificazione giuridica data al fatto ha condotto i giudici di appello a rideterminare la pena principale in anni sei di reclusione, in luogo di quella di anni nove irrogata dal primo giudice. La critica mossa dal ricorrente e' generica. Al di la' dell'interpretazione, problematica, data dai giudici di appello della cornice edittale a cui la Corte di assise aveva ancorato la commisurazione delle pene per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., la Corte territoriale ha spiegato di avere ispirato la rideterminazione di alcune pene, ritenute inadeguate per eccesso, al fine di contemplare l'esigenza di salvaguardare la finalita' dell'emenda. Ha, in tale prospettiva, tenuto presenti i criteri fissati dall'articolo 133 c.p. e ha irrogato all'imputato la pena, prossima al minimo edittale, di anni sei di reclusione. In tal senso, ha fatto riferimento alla fattispecie aggravata di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p.p., ancorata al regime ante L. 5 dicembre 2005, n. 251, nonostante che il principio di diritto operante in materia, salvo specificazioni in relazione ai casi concreti, sia nel senso che, ai fini dell'individuazione del regime sanzionatorio applicabile ai reati permanenti, nella ipotesi di successione di leggi nel tempo, deve farsi riferimento alla data del decreto che dispone il giudizio: Cass. Sez. 1, n. 44704 del 5 maggio (OMISSIS), Iaria, Rv. 265253 - 01). E' indirizzo consolidato e meritevole di riaffermazione quello secondo cui, quando venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l'obbligo di motivazione del giudice si attenua, con l'effetto che e' sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (Cass. Sez. 2, n. 28852 del 8 maggio 2013, Taurasi, Rv. 256464 - 01; v., fra le altre, per la valorizzazione della media edittale, Sez. 3, n. 38251 del 15 giugno 2016, Rignanese, Rv. 267949 - 01). Stanti tali coordinate, la doglianza, non avendo specificato in qual senso il trattamento sanzionatorio avrebbe potuto essere piu' mite, e' inammissibile. 12.4. In conclusione, il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato. 13. (OMISSIS). 13.1. Per quanto concerne il primo motivo (12.1), esso, riguardando la critica in merito alla ritenuta sussistenza dell'associazione mafiosa clan (OMISSIS), deve ritenersi trattato nel corso dell'analisi precedente. 13.2. Passando all'analisi del secondo motivo con cui la difesa fa carico ai giudici di appello di avere trascurato, con riferimento alla valutazione delle prove inerenti ai reati di cui ai capi A, U, V e AA, l'esito delle prove testimoniali introdotte per iniziativa della difesa e degli esami dello stesso (OMISSIS) e del coimputato (OMISSIS) (in relazione ai vincoli posti dalla Corte EDU nella valutazione di siffatti elementi di contrasto all'impostazione accusatoria) occorre in primo luogo rilevare che (OMISSIS) e' stato assolto dalla Corte di assise di appello dalle imputazioni relative ai reati V e AA. Per quanto concerne le relative accuse, quindi, la prospettazione del ricorrente si rivela immediatamente priva di interesse. Per il resto, la censura si profila comunque aspecifica. Il ricorrente, pur se mostra di essere consapevole del relativo limite, non ha impostato la propria censura tenendo conto del principio di diritto secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, allorquando la parte deduca l'omessa motivazione circa l'inattendibilita' delle prove non utilizzate a fini ricostruttivi, essa ha comunque l'onere di enunciare le prove non considerate e la loro influenza sull'accertamento, in modo da evidenziare come la prova ritenuta contraria possa inficiare il ragionamento del giudice (Cass. Sez. 4, n. 13329 del 8 febbraio 2018, Agresti, Rv. 273251 - 01). D'altro canto, come si vedra' scrutinando i motivi susseguenti, la critica in merito alla congruita' e logicita' della motivazione posta alla base della decisione non puo' risolversi nella mera prospettazione di inquadramenti alternativi del significato dimostrativo delle prove considerate: anche dopo la riforma dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., in forza della L. 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato della Corte di cassazione resta di quello di legittimita' e la possibilita', attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza, la contraddittorieta' o la manifesta illogicita' della motivazione anche da altri atti del processo" non le conferisce il potere di riesame critico delle risultanze istruttorie, bensi' quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di annullare il provvedimento impugnato soltanto quando la prova non considerata o travisata appare destinata a incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata. In questa prospettiva, il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, se puo' essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati, puo' ritenersi configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Cass. Sez. 2, n. 27929 del 12 giugno (OMISSIS), Borriello, Rv. 276567 - 01; Sez. 6, n. 752/07 del 18 dicembre 2006, Romagnoli, Rv. 235732 - 01). Il ricorrente, da un lato, non ha precisato quali prove assunte su sua istanza, al di la' degli esami dei due imputati, siano state in concreto dimenticate e, dall'altro, come il loro contenuto, in thesi trascurato, rivestisse valenza decisiva ai fini della pronuncia. Ne', in ogni caso, potrebbe attrarsi il vizio dedotto nella violazione di legge, dovendo ribadirsi che e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione agli articoli 125 e 546, comma 1, lettera e), c.p.p., per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, poiche' i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606, comma 1, lettera e), cit., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Cass. Sez. U, n. 29541 del 16 luglio 2020, Filardo, Rv. 280027 - 04). Le notazioni che seguono, relative all'esame delle doglianze inerenti ai reati ritenuti commessi da (OMISSIS), danno ulteriormente conto dell'approdo raggiunto in ordine a questo motivo. 13.3. Per quanto riguarda il terzo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per la motivazione giustificatrice della sua condanna per la partecipazione al sodalizio criminale, occorre osservare che i giudici di appello hanno chiarito che (OMISSIS) (soprannominato (OMISSIS)), gravato da precedenti penali per armi, oltre che per droga, e' risultato essere un elemento strettamente legato, sotto il profilo associativo, a (OMISSIS), del quale ha goduto la piu' ampia fiducia. Il suo settore di operativita' e' stato individuato in quello relativo alle slot machines, nella fase in cui, dopo l'arresto di (OMISSIS), si trattava di intervenire, sempre a supporto di (OMISSIS), che aveva la necessita' di costituire nuove cooperative per la gestione dei videogiochi. I giudici del merito hanno considerato che il ruolo di (OMISSIS) e' risultato sconosciuti ai collaboratori, ma hanno al contempo evidenziato che altre prove, in primo luogo di natura captativa, hanno dimostrato il ruolo attivo giocato dall'imputato nel sostegno dato al capoclan (OMISSIS) e, con lui, all'organizzazione. In particolare, egli si era posto costantemente al suo fianco, a fini di protezione, dopo gli attentati subiti dal leader. Alla tesi sviluppata dalla difesa, che aveva osservato come la protezione di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) fosse il frutto di un'amicizia personale, i giudici di appello hanno opposto che dall'analisi delle intercettazioni risultava che (OMISSIS) si era attribuito il ruolo di "palo". Ancora, nelle vicende relative alla gestione dei videogiochi l'imputato e' risultato attivo nel premere affinche' (OMISSIS), raggiunto da misura restrittiva, procedesse a intestare ad altri la gestione delle slot machines, affermando che era in gioco un affare da centomila Euro. Inoltre, nei contatti con gli altri, documentati dalle intercettazioni - hanno notato i giudici di appello - l'imputato si esprimeva sovente al plurale, in riferimento ad argomenti di rilievo associativo, con l'enunciazione di affermazioni sintomatiche di intraneita' al sodalizio. Tali elementi sono stati letti dai giudici di secondo grado anche in relazione a quelli che erano stati evidenziati dalla Corte di assise, sottolineando come in altre conversazioni captate e analizzate era emerso che (OMISSIS), a stretto contatto con (OMISSIS), era pienamente a conoscenza dei meccanismi finanziari che sorreggevano le dinamiche associative, in particolare segnalando alla moglie che l'esercizio commerciale destinato a forno fungeva da cassa continua dell'associazione. Alla stregua dei dati analizzati, dunque, la Corte di assise di appello ha, con argomenti congrui ed esenti da vizi logici, concluso che l'imputato ha fornito un contributo costante all'attivita' e al funzionamento dell'associazione mafiosa, non potendo, a fronte dell'adeguata spiegazione data dai giudici del merito, accedersi all'interpretazione riduttiva degli stessi elementi di prova prospettata dal ricorrente. 13.4. Il motivo sub 12.4, concernente la prospettata violazione degli articoli 512-bis c.p. e 192 c.p.p. in relazione alla valutazione degli elementi costitutivi del delitto contestato al capo U, consiste nel rilievo della illogicita' del coinvolgimento di (OMISSIS); il reato si era perfezionato con la costituzione della societa' fittizia nel settembre del (OMISSIS) e (OMISSIS) era stato collocato quale testa di legno alla guida della (OMISSIS) S.r.l., mentre l'intervento a lui contestato era stato collocato in tempo successivo, cioe' nell'ottobre (OMISSIS). Il delitto di intestazione fittizia di beni ha avuto riguardo alla condotta di (OMISSIS), reale dominus e socio occulto, (OMISSIS) e (OMISSIS) (separatamente giudicato), gestori dell'attivita' per conto degli (OMISSIS), e (OMISSIS) (separatamente giudicato), quale formale socio e amministratore della (OMISSIS) S.r.l. (semplificata unipersonale). I primi avevano attribuito fittiziamente a (OMISSIS) la titolarita' esclusiva della societa' che gestiva la sala da gioco (OMISSIS), ubicata in (OMISSIS), e la connessa attivita' di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti. In particolare, dopo l'arresto di (OMISSIS), che gestiva la sala e la conseguente revoca della licenza di pubblica sicurezza, i) era stata costituita, il 7 settembre (OMISSIS), la sopra indicata societa' unipersonale, ii) (OMISSIS), il 19 dicembre (OMISSIS), aveva acquisito la licenza amministrativa per l'installazione e l'uso di sistemi di gioco, iii) la sala era, poi, stata ristrutturata e riaperta ed alla gestione operativa erano stati di fatto preposti (OMISSIS) e (OMISSIS). I giudici di appello hanno illustrato la vicenda osservando come, dopo l'arresto di (OMISSIS), sussistesse la necessita' di sostituirlo con un altro soggetto che ne assumesse il ruolo e la funzione e hanno rilevato che la testimonianza dell'inquirente (OMISSIS) e il contenuto coordinato delle captazioni intercettate avevano fatto emergere l'accaduto. L'analisi del materiale probatorio, secondo i giudici del merito, aveva chiarito che (OMISSIS) si era relazionato con (OMISSIS) con modalita' che dimostravano che quest'ultimo sapesse che (OMISSIS) rappresentava (OMISSIS). Quanto a (OMISSIS), la Corte territoriale ha evidenziato che, nella conversazione intercettata il 12 ottobre (OMISSIS), (OMISSIS) gli aveva veicolato il messaggio minatorio a cui (OMISSIS) dava mostra di essersi gia' allineato piegandosi alle determinazioni dell'organizzazione. L'attivazione dell'imputato e' stata, quindi, inquadrata nel suo rilevante apporto affinche' (OMISSIS) subentrasse a (OMISSIS), fermi gli effetti elusivi della fattispecie in favore degli (OMISSIS), operazione che si sarebbe conclusa nel dicembre (OMISSIS). Alla stregua delle complessive considerazioni svolte dai giudici del merito deve, quindi, ritenersi insussistente l'aporia logica evidenziata dal ricorrente. Ferma restando la natura istantanea con effetti permanenti del reato di cui all'articolo 512-bis c.p., la motivazione resa dalla Corte territoriale, in coerente consecuzione con le prove raccolte e analizzate, ha configurato il ruolo di (OMISSIS) quale rappresentante di (OMISSIS) svolto nell'intera vicenda. Ruolo gia' attivo quando nel settembre (OMISSIS) si era avuta la costituzione della societa' unipersonale; ruolo rispetto al quale correttamente non e' stato attribuito determinante rilievo comparativo all'esito del separato processo instaurato nei confronti di (OMISSIS). L'intercettazione del 12 ottobre (OMISSIS) e' stata giustamente considerata come una delle prove dell'attivo coinvolgimento fin dall'inizio di (OMISSIS) nell'intera vicenda, non come l'evidenza di un suo unico intervento in essa, essendo stato del resto accertato che l'imputato, nell'interesse del dominus (OMISSIS), aveva poi contribuito a curare la gestione operativa della (OMISSIS). In tal senso, i documenti a cui ha fatto riferimento la difesa non sono stati trascurati, ma sono stati considerati non effettivamente contrastanti con il quadro probatorio suindicato, dimostrativo del contributo consapevole apportato dall'imputato nella fattispecie di intestazione fittizia a scopo elusivo oggetto di accertamento. Il motivo e', quindi, infondato. 13.5. In merito al quinto motivo, con cui il ricorrente ha lamentato la violazione degli articoli 192 e 234 c.p.p. e il corrispondente vizio di motivazione per la mancata considerazione della sentenza della Corte di appello di Roma del 15 giugno 2020, che aveva assolto (OMISSIS), separatamente giudicato per lo stesso reato di cui al capo U, per non aver commesso il fatto, occorre ritenere che, contrariamente all'avviso espresso dalla difesa, i giudici di appello hanno correttamente evitato di annettere rilevanza probatoria all'atto, impregiudicata ogni valutazione del suo contenuto. Deve riaffermarsi, sul tema, il principio di diritto secondo cui le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi e non ancora divenute irrevocabili, legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento nel contraddittorio fra le parti, possono essere utilizzate come prova, limitatamente all'esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti (Cass. Sez. U, n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231677 - 01). Non essendo stato dimostrato l'avvenuto conseguimento dell'irrevocabilita' della sentenza prodotta - tant'e' che lo stesso ricorrente ha dedotto la violazione dell'articolo 234 c.p.p., e non dell'articolo 238-bis c.p.p. - la Corte territoriale ha ineccepibilmente evitato di trarre dal documento elementi influenti sulla ricostruzione e la valutazione del fatto sottoposto al suo vaglio. Di conseguenza, la censura, in relazione allo stesso inquadramento giuridico sotteso dal ricorrente, va senz'altro disattesa. 13.6. In definitiva, il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato. 14. (OMISSIS). 14.1. I primi quattro motivi (da 13.1 a 13.4), di natura processuale, sono stati gia' trattati nella precedente parte della motivazione. Anche il motivo sub 13.5, riguardante la critica all'affermata sussistenza della fattispecie associativa di cui all'articolo 416-bis c.p. contestata al capo A, deve ritenersi scrutinato. 14.2. Passando all'esame del sesto motivo, la critica della valutazione compiuta dai giudici del merito con riguardo all'accertamento della partecipazione di (OMISSIS) al clan (OMISSIS) non riesce a incrinare la motivazione offerta a sostegno di tale conclusione. La Corte territoriale ha evidenziato che la posizione di (OMISSIS) e' stata desunta dalle dichiarazioni puntuali dei collaboratori. Anzi tutto, (OMISSIS) aveva dato atto di conoscerlo da lungo tempo, fin dai tempi della scuola, frequentata insieme. Il collaboratore aveva riferito che, in ambito associativo, (OMISSIS) aveva partecipato con lui all'attivita' di recupero crediti promossa da (OMISSIS), ricordandone uno di chiara matrice violenta, nel corso del quale (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano picchiato la vittima, che era un commercialista, sottraendogli poi la catenina. Le dichiarazioni di (OMISSIS) avevano, inoltre, fatto emergere che (OMISSIS), dopo aver spacciato per conto di (OMISSIS), era passato agli (OMISSIS), divenendo un sottoposto di (OMISSIS), che lo aveva impiegato sia nell'attivita' di spaccio, dove agiva con (OMISSIS), sia nell'attivita' di recupero crediti; e, quanto agli stupefacenti, in piu' occasioni aveva offerto a (OMISSIS) di acquistarne dicendogli che gli avrebbe praticato un ottimo prezzo. I giudici di appello hanno, poi, attribuito importanza, per confermare l'intraneita' dell'imputato al sodalizio, alla condotta da lui serbata nell'episodio del chiosco (OMISSIS), nella cui attivita' era stato assunto da (OMISSIS), su suggerimento di (OMISSIS), nell'ambito dell'attivita' di protezione che aveva comportato l'erogazione di somme di denaro a (OMISSIS). L'attivita' di guardiania instaurata da quest'ultimo, con il suo sodale, era stata determinata, come la Corte territoriale ha spiegato in altra parte della decisione, dalla necessita' di instaurare, da parte dei gestori del chiosco, un rapporto di protezione con persone, quali (OMISSIS) e (OMISSIS), che, proprio in forza della loro appartenenza criminale, godessero di un prestigio tale da intimidire e, quindi, tenere lontani coloro i quali (in particolare Bombardone Giansanti) si erano gia' resi protagonisti di attentati minatori contro il chiosco. I giudici di appello hanno ribadito che la successiva uscita di scena di (OMISSIS), il quale si era messo anche a spacciare in quel luogo, era comunque avvenuta quando la situazione al chiosco era stata risolta con la ritirata di coloro che minacciavano (OMISSIS). Sul tema, come e' risultato dal richiamo della trattazione dell'argomento nella parte inerente all'accertamento della fattispecie associativa, le dichiarazioni postume di (OMISSIS) e degli altri testimoni non sono state ritenute idonee a scalfire l'essenza dell'operazione, connotata, secondo l'incensurabile - siccome congrua e non illogica - spiegazione data dai giudici di appello, dalla matrice mafiosa dell'intervento protettivo instaurato presso il chiosco (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS). Per il resto, le censure sull'attendibilita', anche estrinseca, di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) mosse dal ricorrente esorbitano nella valutazione di merito. Conclusivamente, la motivazione relativa alla sussistenza della prova piena della partecipazione attiva, consapevole e funzionale dell'imputato all'attivita' del clan (OMISSIS) - indipendentemente dal mancato, contestuale perseguimento del medesimo per specifici reati fine - risulta esposta dalla Corte di assise di appello con riferimenti adeguati e non censurabili in sede di legittimita'. Il motivo deve essere, quindi, respinto. 14.3. In ordine al settimo motivo, contenente due censure, va distinta la questione relativa alla critica per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per la concreta quantificazione della pena, da un lato, da quella relativa all'entita' della misura di sicurezza della liberta' vigilata, dall'altro. 14.3.1. La prima censura appare generica, sia nella parte in cui non si confronta in modo effettivo con i fattori di controindicazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p., sia nella parte in cui, a fronte dell'irrogazione di una pena principale prossima al minimo edittale, non spiega quali parametri i giudici di appello avrebbero trascurati nella relativa commisurazione, valendo per il resto le riflessioni svolte nella trattazione della parallela questione posta dal ricorrente (OMISSIS). 14.3.2. Fondata, invece, deve ritenersi la seconda censura. La Corte di assise di appello, nel riformulare la complessiva statuizione sanzionatoria nei confronti di (OMISSIS), ha incrementato la durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, da un anno a due anni, in assenza di impugnazione da parte del Pubblico ministero. Ora, e' vero che, in tema di liberta' vigilata, il giudice di appello, anche quando appellante sia il solo imputato, deve ritenersi titolare del potere di modificare in modo peggiorativo le modalita' di esecuzione della misura di sicurezza applicata dal primo giudice, in quanto, dovendo essere le prescrizioni idonee ad evitare occasione di nuovi reati, esse sono suscettibili di successive modifiche o limitazioni (Cass. Sez. 1, n. 48569 del 27 settembre 2017, Vecchi, Rv. 271406 - 01, la quale ha, in motivazione, puntualizzato che diversamente accade in relazione alla disciplina della misura del ricovero in casa di cura o di custodia, per la quale non e' possibile una successiva modifica peggiorativa delle condizioni applicative in appello, non essendo prevista l'individuazione di modalita' esecutive). In questo caso, pero', la Corte di assise di appello non ha individuato modifiche o limitazioni nell'ambito della misura di sicurezza applicata, bensi' dell'aumento della sua durata, da uno a due anni. L'articolo 597, comma 3, c.p.p. fa divieto di applicare una misura di sicurezza "nuova o piu' grave". Ferma restando, quindi, la possibilita' per il giudice di appello di modificare le prescrizioni stabilite dall'articolo 228 c.p., in relazione alla situazione concreta regolata con la misura di sicurezza personale, circa il quesito se, invece, l'ampliamento della durata della misura di sicurezza stessa (irrogata, evidentemente, nell'alveo del disposto dell'articolo 417 c.p.), all'esito del giudizio di appello, integri fattispecie di aggravamento della medesima, come tale non applicabile in carenza di impugnazione del pubblico ministero. Il Collegio ritiene che si versi in ipotesi di misura di sicurezza resa piu' grave dal raddoppio della sua durata, osservando che, sia pure con riguardo al diverso ambito delle misure di prevenzione, la durata e' stata ritenuta costituire un parametro idoneo a integrare l'aggravamento (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25907 del 15 gennaio 2021, Gaeta, Rv. 281447 - 01, la quale, ritenuto il divieto di reformatio in peius operante anche nel procedimento di prevenzione, ha considerato che tale divieto risulta violato nel caso in cui il contenuto precettivo della decisione di appello comporti, in assenza di impugnazione della pubblica accusa, un trattamento deteriore rispetto a quello inflitto in primo grado in termini di maggior durata temporale della misura di prevenzione, oltre che di inflizione di una misura piu' restrittiva o di incremento dei beni assoggettati a confisca). Nel caso in esame, inoltre, l'incremento della durata della liberta' vigilata applicata a (OMISSIS) e' stato deciso dalla Corte di assise di appello senza il supporto di una giustificazione specifica. Per tali ragioni, quindi, la relativa statuizione deve essere annullata. Ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., l'annullamento, nella parte di interesse, della sentenza impugnata va pronunciato senza rinvio, con il ripristino della durata di anni uno della liberta' vigilata stabilita nella sentenza di primo grado. 14.4. In conclusione, il ricorso di (OMISSIS) deve essere accolto per tale ultimo punto, con le indicate statuizioni, e rigettato nel resto. 15. (OMISSIS). 15.1. Il primo dei due motivi, anche illustrati con susseguente memoria dalla difesa dell'imputato, deve ritenersi gia' trattato riguardando la ritenuta sussistenza dell'associazione. 15.2. Quanto al secondo motivo, con il quale ci si duole della ritenuta appartenenza dell'imputato al clan (OMISSIS), la Corte di assise di appello ha osservato che la sua fattiva opera funzionale all'attivita' dell'associazione e' emersa sia nella sua partecipazione ai contatti, successivi al duplice omicidio dei (OMISSIS), instaurati dagli (OMISSIS) con (OMISSIS) (contatti comunque rilevanti in relazione alla partecipazione al clan, considerata la persistente attribuzione allo stesso del gravissimo fatto di sangue, al di la' delle ancora non definite responsabilita' personali degli imputati in questo processo), sia nell'attivita' di spaccio praticata per la consorteria, riferita concordemente dai collaboratori escussi. E' stato dai giudici del merito considerato lo specifico apporto di (OMISSIS), che, molto amico dell'imputato e del fratello (OMISSIS), aveva chiarito il ruolo di (OMISSIS) nell'instaurare i contatti con (OMISSIS) facendolo, non in lingua italiana, ma in lingua egiziana. Il collaboratore ha esposto in dettaglio i suoi contatti con l'imputato nel tempo immediatamente successivo al duplice omicidio fino all'arresto di (OMISSIS) nel (OMISSIS) e sul comune spaccio di droga. Anche quanto narrato dalla (OMISSIS) e' stato considerato come convergente, poiche' la dichiarante ha parlato del legame di (OMISSIS), pur proveniente da famiglia di lavoratori, con gli (OMISSIS), grazie ai quali aveva effettuato l'attivita' dello spaccio di sostanze stupefacenti e aveva instaurato un rapporto diretto con (OMISSIS), il " (OMISSIS)" ((OMISSIS)). Nella stessa direzione sono emerse e sono state valutate le dichiarazioni di (OMISSIS), il quale, in modo ancora piu' specifico, ha dato conto dell'inveterata attivita' di spacciatore di (OMISSIS), praticata dal 2006 al 2018, quando l'imputato era stato arrestato; e, in alcuni casi, a questa attivita' (OMISSIS) aveva affiancato, sempre per (OMISSIS), quella di recupero crediti, crediti maturati "a buffo", in dipendenza dell'acquisto di sostanze stupefacenti. Anche le risultanze fornite dagli inquirenti avevano, del resto, formato oggetto di convergente valutazione del ruolo di elemento attivo dell'associazione, impegnato nella catena distributiva degli stupefacenti, oltre che nelle altre attivita' illecite suindicate, sotto la direzione di (OMISSIS). La critica di questo assetto giustificativo non puo' essere ritenuta fondata; in primo luogo, nella parte in cui e' tesa a devitalizzare il contributo dichiarativo di (OMISSIS), prospettando le sue dichiarazioni come il frutto di una chiamata in reita' de relato, mentre i giudici del merito hanno considerato che, fino al (OMISSIS), ossia fino a quando (OMISSIS) era rimasto in loco, la conoscenza dell'attivita' illecita, soprattutto nel settore della droga, era il frutto di una sua conoscenza diretta, attese le modalita' della sua estrinsecazione, da lui conosciute anche da non intraneo alla consorteria. Questo rilievo conduce all'esclusione della dedotta causa di inutilizzabilita' di dette dichiarazioni. L'inutilizzabilita' della dichiarazione de relato deriva esclusivamente dall'inosservanza della disposizione del comma 1 dell'articolo 195 c.p.p., allorche' il giudice, su richiesta della parte, non abbia disposto l'esame della fonte diretta, ma non anche, in assenza di tale richiesta, dal mancato esercizio, da parte del giudice, del potere di ufficio conferitogli dall'articolo 507 c.p.p. e richiamato dall'articolo 195, comma 2, c.p.p. (Sez. 3, n. 6212/18 del 18 ottobre 2017, C., Rv. 272008 - 01). Sotto diverso profilo non merita condivisione l'impostazione che governa molta parte del motivo di ricorso, tesa a criticare la ritenuta forza di riscontro delle dichiarazioni dei singoli collaboratori, considerate invece correttamente convergenti rispetto al thema probandum costituito dalla partecipazione attiva e funzionale dell'imputato al clan. Inoltre, costituisce il frutto di una inammissibile prospettazione rivalutativa la sollecitazione a stralciare, dalla complessiva valutazione delle prove effettuata nella sentenza impugnata, le captazioni inerenti ai contatti con (OMISSIS) dopo il duplice omicidio, a cui aveva partecipato l'imputato, secondo quanto confermato anche dagli inquirenti che avevano esaminato i relativi dati. In conclusione, la doglianza non riesce a disarticolare il percorso argomentativo che ha condotto i giudici di appello a confermare la sussistenza della responsabilita' di (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione mafiosa. 15.3. Considerato che anche le questioni poste con la memoria contenente motivi nuovi, ivi inclusa quella relativa alla dedotta imprevedibilita' della contestazione del delitto associativo riferito a organismi inquadrabili fra le piccole mafie, sono state gia' trattate, il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato. 16. (OMISSIS). 16.1. Con riferimento al primo motivo (15.1), (OMISSIS) ha censurato la decisione impugnata che lo ha ritenuto concorrente nei reati di intestazione fittizia contestati ai capi S e T, per un verso in relazione alla mancata quantificazione delle risorse investite dagli (OMISSIS) in quelle attivita' e, per altro verso, in ordine alla mancata prova del dolo specifico della condotta accertata. Deve muoversi dall'accertamento operato dai giudici del merito in ordine ai reati suindicati. Accertato che, in ordine al reato sub S, vi era stata l'intestazione a (OMISSIS) quale formale socio e amministratore della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, frutto pero' di attribuzione fittizia (la societa' gestiva, dal 27 ottobre (OMISSIS), la sala da gioco denominata (OMISSIS) e, dal 23 agosto (OMISSIS), la sala da gioco denominata (OMISSIS)) e che, in ordine al reato sub T, vi era stata l'intestazione a (OMISSIS) quale formale socio e amministratore della (OMISSIS) S.r.l. (che gestiva la sala da gioco ubicata in (OMISSIS), alla (OMISSIS), e la connessa attivita' di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti), la Corte territoriale (rispondendo all'appello della difesa di (OMISSIS), che aveva chiesto l'assoluzione per mancata prova dell'elemento psicologico con riferimento al necessario dolo specifico, e per mancata verifica dell'ipotesi alternativa della fittizieta' determinata dall'esigenza di sottrarsi alla leva fiscale, agendo "in nero" e comunque non emergendo la volonta' dell'imputato di eludere le disposizioni normative in materia di misure di prevenzione patrimoniale) ha richiamato le acquisizioni probatorie gia' analizzate dal primo giudice e, in specie, le dichiarazioni dell'inquirente (OMISSIS) in ordine alla genesi dell'interessamento degli (OMISSIS) per quel settore di investimento e alla loro volonta' di penetrazione nel relativo settore, sia con riferimento al contesto generale, rispetto a cui era apparso evidente lo scopo elusivo di veicolare in quel profittevole ramo di investimenti i proventi accumulati, sia con riferimento alle specifiche societa' di cui ai capi S e T. Rispetto a tale ultimo scenario, i giudici di appello, rispondendo alle obiezioni sollevate dalla difesa dell'imputato, hanno evidenziato il ruolo, cruciale rispetto alla consumazione dei reati di intestazione fittizia, svolto da (OMISSIS), dimostrato con i richiami alla deposizione dell'inquirente (OMISSIS) ed alle conversazioni captate intercorse anche fra (OMISSIS) e (OMISSIS). Gli inquirenti hanno sottolineato il ruolo strategico, rilevato anche mediante l'esito di operazioni di osservazione, pedinamento e controllo, rivestito da (OMISSIS) nelle operazioni di intestazione fittizia (anche per il suo rapporto stretto con un funzionario della Polizia di Stato, affetto dal vizio del gioco), nonche' i contatti che da lui venivano coordinati con (OMISSIS) e con (OMISSIS). Alla stregua di questi elementi anche la piena consapevolezza di (OMISSIS) della portata e della finalita' elusiva delle intestazioni fittizie e' stata ritenuta provata dai giudici di appello i quali hanno, da un lato, considerato che questa sua attivazione nel settore in esame non dimostrasse la sua partecipazione all'associazione mafiosa, ma hanno, dall'altro, evidenziato che (OMISSIS) era risultato essere l'uomo che curava gli interessi degli (OMISSIS) nel settore dei videogiochi, in esso svolgendo un ruolo decisivo per favorire la penetrazione dei medesimi nel settore delle sale da gioco. Accertato quanto precede, il ricorrente non ha specificamente contestato che, nell'atto di appello, non avesse sollevato alcuna questione in ordine al profilo quantitativo della diversione patrimoniale attuata dai concorrenti (OMISSIS) mediante i fatti di reato in esame. La questione posta con l'impugnazione oggetto di esame si profila, per cio' solo, inammissibile, ai sensi dell'articolo 606, comma 3, c.p.p.. In ogni caso, quel che rileva per l'integrazione del delitto in esame e' l'avvenuta intestazione fittizia della complessiva posizione societaria, in quanto e' configurabile il reato di cui all'articolo 12-quinquies cit. quando si determini la fittizia intestazione di quote societarie in favore di soggetto estraneo alla compagine sociale, a nulla rilevando la stessa circostanza della non integralita' del simulato trasferimento delle quote, una parte delle quali permanga nella titolarita' formale del soggetto interponente (Cass. Sez. 6, n. 37901 del 21 maggio 2019, Arbolino, Rv. 276913 - 01). Quanto, poi, alla censura inerente alla carenza di motivazione relativa alla prova dell'elemento soggettivo in capo a (OMISSIS), quale concorrente nei reati di intestazione fittizia, si osserva che, alla stregua del complesso delle indicazioni fornite, i giudici del merito non hanno decampato dal condiviso indirizzo, che va qui riaffermato, secondo cui il delitto previsto dall'articolo 512-bis c.p. esige che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non e' sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarita' o disponibilita' di denaro, beni o altre utilita', essendo imprescindibile, ai fini della sua punibilita', che anche l'intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione con il dolo specifico di aggirarle (Cass. Sez. 2, n. 45080 del 14 ottobre 2021, Tarasi, Rv. 282437 - 01; Sez. 6, n. 34667 del 5 maggio (OMISSIS), Arduino, Rv. 267705 - 01). Invero, la sottolineatura del ruolo strategico, seppure settoriale, rivestito da (OMISSIS) i) nel perfezionamento delle intestazioni fittizie a scopo elusivo, avendole il medesimo predisposte e gestite per diverse societa', assumendo la responsabilita' di rivestire la posizione di intestatario fittizio, per un tempo rilevante, ii) con l'instaurazione - disvelata dall'esito delle indagini - di contatti ripetuti con in vertici dell'organizzazione criminale, al cui finale beneficio tutte le operazioni erano coordinate, onde collocare ragguardevoli investimenti in contenitori giuridici che, nelle intenzioni di chi li aveva predisposti, dovevano salvaguardarne il valore dalle sempre piu' probabili indagini finalizzate alla misure di prevenzione di natura patrimoniale, ha condotto la Corte territoriale a ritenere, in modo congruo e non illogico, che (OMISSIS) abbia condiviso, con piena consapevolezza del fine elusivo, l'intera operazione di intestazione fittizia promossa da (OMISSIS) e, per quanto di ragione, da (OMISSIS) con il primario coinvolgimento dello stesso (OMISSIS). La doglianza e', pertanto, da respingersi. 16.2. Anche il secondo motivo, con il quale si critica la motivazione nella parte relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non merita accoglimento. Se e' vero, infatti, che (OMISSIS) e' stato assolto dall'imputazione associativa, e' del pari certo che i giudici di appello hanno negato le circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p. sulla scorta di una serie di fattori reputati, con congruo giudizio di merito, ostativi, fra cui i) il comportamento processuale dell'imputato, dimostrativo dell'assenza di ravvedimento, e, specificamente, ii) il ruolo giocato dall'imputato nel complesso dell'operazione di intestazione fittizia delle sale da gioco, ritenuto denotante la chiara disponibilita' del medesimo a occuparsi di attivita' delittuose, nutrendo la piena consapevolezza del suo comportamento deviante. Si tratta di una motivazione all'evidenza adeguata e certamente non superata dalla generica doglianza formulata dal ricorrente. 16.3. In definitiva, l'impugnazione di (OMISSIS), che non ha formulato motivi su altri capi, deve essere nel suo complesso rigettata. 17. (OMISSIS) 17.1. Con riferimento al primo motivo del ricorso, con cui si e' lamentata la violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., per avere i giudici del merito modificato la condotta accertata per stabilire la responsabilita' di (OMISSIS) nella partecipazione all'associazione mafiosa, contestata con riferimento alle armi e accertata nel settore degli stupefacenti, occorre osservare che la Corte territoriale ha indicato gli elementi che hanno condotto alla conclusione che (OMISSIS) e' da ritenersi partecipe del clan (OMISSIS), articolandone l'accertamento di responsabilita' secondo il composito quadro che segue. Si rileva che, nella struttura dell'imputazione - in cui i settori di operativita' sono, comunque, indicati per prevalenza - figura anche il traffico di stupefacenti (l'anacoluto inerente a (OMISSIS) non risultando rilevante per infirmare il riferimento a quel settore di attivita' criminale per (OMISSIS)). Accertato tale rilievo, si precisa che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti - rispettivamente descritti e ritenuti - non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi, affinche' si determini il vulnus, devono porsi, tra loro, non in rapporto di continenza, ma di eterogeneita', rendendo impossibile per l'imputato difendersi (Cass. Sez. 3, n. 7146 del 4 febbraio 2021, Ogbeifun Hope, Rv. 281477 - 01). La situazione verificatasi nel caso concreto, quindi, esula da quella idonea a determinare il vizio denunziato. 17.2. La questione introdotta con il secondo motivo di ricorso, riguardando la critica generale della valutazione di attendibilita' dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e' da ritenersi gia' trattata nella prima parte della motivazione. In ogni caso, delibando la corrispondente materia in relazione alla terza doglianza (sub 16.3), con cui si e' prospettato il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' penale di (OMISSIS) per il reato associativo, va considerato che la Corte di assise di appello, al di la' del ruolo dell'imputato nel duplice omicidio, non trattato in questo processo, ne' pervenuto a conclusioni dimostrative della sua responsabilita' in altra sede, ha annoverato fra gli elementi acquisiti a suo carico, i) il concorso nell'aggressione perpetrata da (OMISSIS) ai danni del giornalista (OMISSIS) e al suo collaboratore, ii) le dichiarazioni di (OMISSIS), che aveva riferito della sua attivita' di spaccio di sostanze stupefacenti nella (OMISSIS) di (OMISSIS), in cui aveva preso il posto di (OMISSIS), quando questi, per motivi personali, era stato ucciso, e da quel momento aveva ricoperto un incarico di maggiore responsabilita' indicando ai clienti il distributore a cui in concreto fare capo nella (OMISSIS). Il collaboratore (OMISSIS) ha, poi, precisato che, quando egli aveva proposto a (OMISSIS) di vendere in piazza, questi aveva accettato. (OMISSIS) ha, inoltre, affermato che, quando aveva attivato la relativa distribuzione degli stupefacenti, ad (OMISSIS) gli stupefacenti venivano forniti da (OMISSIS), in un rapporto di collaborazione durato qualche anno. Anche (OMISSIS) ha confermato l'incarico di (OMISSIS) ad (OMISSIS) in merito alla gestione della distribuzione della droga in (OMISSIS). Occorre altresi' considerare che la sentenza di primo grado aveva specificato che al convergente racconto dei collaboratori si era aggiunta la testimonianza dell'inquirente (OMISSIS) il quale aveva evidenziato, a conferma delle dichiarazioni richiamate, che sovente (OMISSIS) era stato controllato in compagnia dei componenti del gruppo (OMISSIS) e di persone vicine agli (OMISSIS), quale (OMISSIS), in tale direzione essendo stato ritenuto non casuale il suo allarmante ruolo di guardaspalle di (OMISSIS) nella vicenda criminale pure segnalata. Posto questo complesso di elementi - pur depurato dal riferimento alla vicenda omicidiaria - e richiamata l'incensurabilita' della, adeguata e non illogica, valutazione di attendibilita' intrinseca dei dichiaranti, deve ritenersi che la complessiva critica svolta dal ricorrente al ragionamento svolto dalla Corte territoriale non ne scalfisce l'efficacia argomentativa. Per il resto, la contestazione del ruolo nella compagine associativa sfocia nella prospettazione di un diverso assetto valutativo di merito e, in ogni caso, non incide sulla dimostrata attivita' dell'imputato, risoltasi in un concreto contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione e al rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione, con riferimento al ramo di attivita' sopra evidenziato. La doglianza sub 16.3, anche in relazione a quella sub 16.2, va pertanto disattesa. 17.3. Il quarto motivo, in cui e' criticata la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui conferma il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sconta i limiti gia' rilevati per le precedenti posizioni, stante anche i connotati di gravita' specifica riconnesso all'attivita' associativa ascritta all'imputato, essendo pervenuti i giudici di appello a valutare come preminenti i plurimi fattori ostativi, tutti sussistenti per (OMISSIS), al riconoscimento delle attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p.. Ne' puo' censurarsi il piu' severo, rispetto ad altri partecipi, trattamento sanzionatorio stabilito dai primi giudici e confermato dalla Corte di assise di appello per l'imputato, in ragione dell'univoca considerazione, comunque emergente dal complesso della motivazione resa, della marcata rilevanza della sua partecipazione all'associazione. 17.4. In definitiva, il ricorso di (OMISSIS), da valutarsi nei limiti del devoluto, deve essere rigettato. 18. (OMISSIS). 18.1. I primi tre motivi del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato afferiscono a questioni processuali gia' trattate; questioni riprese anche nei motivi aggiunti rassegnati dalla difesa e sopra richiamati al punto 18.8. Anche la tematica sollevata da (OMISSIS) in merito al mancato deposito dei verbali delle dichiarazioni di (OMISSIS), di cui al motivo sub 18.4, ha gia' formato oggetto di trattazione. Ulteriormente, il quinto motivo di ricorso, con cui il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale in punto di ritenuta sussistenza dell'associazione di stampo mafioso e delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto, quinto e sesto, c.p., e' da considerarsi gia' scrutinato nei sensi che precedono. 18.2. In ordine al sesto motivo, con cui il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per l'erronea applicazione dell'articolo 416-bis cit. sotto il profilo dell'accertamento della sua appartenenza al clan (OMISSIS) e il concomitante vizio di motivazione, estrinsecatosi nella valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, occorre prendere atto che la Corte territoriale - a fronte dell'avvenuta, gia' in primo grado, derubricazione del suo ruolo a quello di semplice partecipante - ha attribuito valore probatorio alle dichiarazioni provenienti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che, seguendo varie modalita' descrittive, hanno descritto il suo ruolo di elemento, attivo nella distribuzione delle sostanze stupefacenti, posto a servizio degli (OMISSIS). (OMISSIS) ha sottolineato che il compito di (OMISSIS) si svolgeva a livello rilevante, in quanto non di basso rango. Inoltre, (OMISSIS) ha fornito dettagli specifici, ivi inclusi la situazione di debito in cui si era venuto a trovare (OMISSIS) rispetto agli (OMISSIS) e il proposito, confidatogli dall'imputato, di voler lasciare (OMISSIS) non appena avesse estinto il debito che lo gravava. Era stato precisato che (OMISSIS), con specifico riferimento agli anni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riforniva tutta la piazza, mediante varie persone, 24 ore su 24, fornendo le sostanze stupefacenti anche a (OMISSIS). (OMISSIS) aveva mostrato a (OMISSIS) anche tutti gli accorgimenti adottati per l'occultamento delle sostanze stupefacenti sotto gli ascensori dei palazzi e le modalita' del successivo recupero per la vendita. Il complesso delle indicazioni fattuali ritenute attendibili e convergenti ha delineato, secondo i giudici del merito, la figura di (OMISSIS) come quella di un consapevole partecipe dell'attivita' associativa, al cui ramo di attivita' di distribuzione delle sostanze stupefacenti ha apportato un contributo costante e di rilevante spessore. La censura articolata dalla difesa, nella parte in cui contesta la valutazione di attendibilita' intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni dei tre collaboratori, si scontra, soccombendo, con la congrua e non illogica motivazione resa sull'argomento in entrambe le decisioni di merito, incensurabile in questa sede. Consegue il rigetto della complessiva doglianza. La parte di essa, non esigua, dedicata ai caratteri dell'associazione mafiosa sviluppata dalla difesa deve ritenersi presa in esame e delibata, in senso sfavorevole al ricorrente, nella trattazione relativa all'individuazione della fattispecie associativa. 18.3. In ordine al settimo motivo, le questioni poste in tema di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di commisurazione della pena principale (che i giudici di appello hanno ridotto a quella di anni sei di reclusione) risultano manifestamente prive di fondamento per le ragioni gia' illustrate con riferimento alla posizione del ricorrente (OMISSIS), a cui occorre quindi richiamarsi. La contestazione dell'applicazione della misura di sicurezza risulta assolutamente generica, dal momento che la sua durata (anni due) e' restata inalterata rispetto a quella fissata nella sentenza di primo grado e non sono state dedotte dal ricorrente violazioni di legge o vizi di motivazione. 18.4. In conclusione, il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato. 19. (OMISSIS). 19.1. A parte le questioni processuali trattate in comune con la posizione di (OMISSIS), deve considerarsi gia' scrutinata la materia oggetto della prima doglianza (sub 19.1), relativa alla prospettata violazione della legge penale per la ritenuta qualificazione del clan (OMISSIS) come associazione mafiosa e per la ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 416-bis, commi quarto, quinto e sesto, c.p.. 19.2. Il secondo motivo critica la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello hanno confermato l'affermazione di responsabilita' dell'imputato per la partecipazione all'associazione. La difesa lamenta, fra l'altro, la brevita' delle considerazioni dedicate dalla Corte territoriale alla posizione di (OMISSIS), ma omette di considerare il richiamo agli elementi di prova descritti nella sentenza di primo grado che ha dedicato alla posizione di (OMISSIS) un'analisi particolarmente approfondita e dettagliata. La Corte territoriale ha osservato che le fonti di prova accusatorie per (OMISSIS) sono state individuate nelle dichiarazioni dei collaboratori e nei risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali. E, pur avendo ritenuto la matrice dell'estorsione di cui al capo R estranea al contesto criminale del clan (OMISSIS), ma valutando anche la concorrente responsabilita' del delitto di cui al capo Q, in concorso con (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha considerato il compendio di elementi a carico dell'imputato pur sempre tale da giustificare la condanna. Al riguardo, i giudici di appello, da un lato, hanno sottolineato come dall'analisi del materia captativo fosse emerso che (OMISSIS) agitava costantemente il prestigio criminale degli (OMISSIS) per dare maggior peso alle minacce rivolte alla persona estorta e, dall'altro, hanno ritenuto rilevante il convergente contributo dichiarativo di (OMISSIS), il quale aveva chiarito che (OMISSIS), pur essendo fidanzato con una nipote di (OMISSIS), era elemento molto vicino agli (OMISSIS) da cui acquistava anche la cocaina. Nello stesso senso, (OMISSIS) ha puntualizzato che (OMISSIS) lavorava per (OMISSIS) ((OMISSIS)) nei settori criminali dello spaccio di stupefacenti e dell'usura. Questi riferimenti sono stati dalla Corte di assise di appello aggiunti all'analitico esame compiuto dai giudici di primi grado, che avevano attribuito rilievo alle dichiarazioni dell'inquirente (OMISSIS), le quali avevano consentito di formulare la piu' adeguata interpretazione delle captazioni telefoniche e ambientali e la portata del fatto di usura in danno di (OMISSIS) (emblematico della pronta disponibilita' dell'imputato a fare uso di violenza e intimidazione, facendosi scudo del metus indotto dal clan (OMISSIS)); compendio analizzato anche in rapporto alle sue conversazioni con (OMISSIS), riguardanti una diversa posta debitoria, ma ritenute, dai giudici del merito, rappresentative del paradigma delle modalita' comportamentali dell'imputato, strettamente collegato a (OMISSIS). Il complesso degli elementi posti a base della valutazione dei giudici di appello fornisce una base giustificativa congrua ed esente da vizi logici quanto alla ritenuta partecipazione di (OMISSIS) al clan (OMISSIS), con la prestazione, in dipendenza osmotica dal suddetto (OMISSIS), di un consapevole e costante contributo alla conservazione e al funzionamento della consorteria; devono, infine, reputarsi gia' considerate le deduzioni in punto di verifica della prevedibilita' della figura delle piccole mafie sviluppate anche da (OMISSIS) nell'ambito di questo motivo. Il motivo non ha, pertanto, giuridico fondamento. 19.3. Il terzo motivo censura la conferma dell'affermazione di responsabilita' dell'imputato per l'usura in danno di (OMISSIS) di cui al capo Q, reato gia' trattato in relazione alla posizione del concorrente (OMISSIS) ((OMISSIS)). La deduzione del carattere meramente congetturale del concorso nel reato di (OMISSIS) e' stata specificamente valutata e considerata priva di giuridico fondamento analizzando la posizione di (OMISSIS) e, quindi, non possono che richiamarsi le considerazioni gia' svolte. Logicamente arbitraria si rivela, poi, la prospettazione del ricorrente di assimilare le modalita' commissive inerenti alla fattispecie sub Q a quelle attinenti al delitto contestato sub N, riguardanti un distinto titolo di reato e contesti differenti. Gli elementi esposti e analizzati anche dalla Corte territoriale, con particolare riferimento alle indicazioni date dall'inquirente (OMISSIS) ed alle captazioni dei colloqui direttamente intercorsi fra (OMISSIS) e (OMISSIS), sono stati posti alla base di un congruo discorso giustificativo della prova del delitto di usura. Il motivato - in termini gia' accertati come incensurabili - concorso nel delitto di (OMISSIS) e le modalita' della condotta di (OMISSIS) hanno fornito adeguata ragione della funzionalizzazione associativa del reato, anche per la ritenuta valenza rafforzativa del contributo attivo fornito dall'imputato al clan (OMISSIS). La doglianza e', quindi, infondata. 19.4. In ordine al motivo successivo, con cui il ricorrente si duole, con riferimento all'estorsione di cui al capo R, della mancata ammissione di una prova decisiva, costituita dalla testimonianza della cognata di (OMISSIS), e del vizio di motivazione in merito alla ritenuta fattispecie antigiuridica, occorre premettere che, con riguardo a questa estorsione, contestata come commessa in danno di (OMISSIS), la Corte di assise di appello, svolta istruttoria suppletiva, ha considerato che, con l'atto di impugnazione, l'imputato non aveva contestato la materialita' del fatto costitutivo, ossia l'avere costretto (OMISSIS) a consegnargli una somma di denaro superiore a 800,00 Euro, materialmente consegnatagli dal nonno della persona offesa, in due rate, una il 12 dicembre (OMISSIS) e l'altra tra il 21 e il 22 dicembre (OMISSIS). All'esito dell'escussione della persona offesa dal reato, i giudici di appello hanno concluso che la matrice associativa e mafiosa della dazione dovesse escludersi e hanno stimato accertato che (OMISSIS) avesse costretto (OMISSIS) a versargli il danaro, adducendo di esigerlo per avere (OMISSIS) usato violenza a una ragazza, cognata dell'imputato. (OMISSIS), escusso, aveva confermato le accuse e le minacce di (OMISSIS) nonche' la costrizione al versamento del denaro, somme poi effettivamente versate da suo nonno, negando pero' di avere arrecato alcuna offesa alla ragazza indicata dall'imputato. La difesa aveva chiesto di derubricare il fatto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma la Corte ha escluso la fondatezza di tale prospettazione, da un lato, segnalando l'assenza di querela e di prova del fatto di violenza di cui l'imputato aveva accusato (OMISSIS), escludendo anzi di poter compiere un accertamento incidentale in merito e, dall'altro, escludendo in ogni caso la titolarita' di una pretesa risarcitoria di (OMISSIS), per di piu' in danno del nonno di (OMISSIS). Accertato quanto precede, la prima parte della doglianza non ha prospettato in modo fondato la violazione della disciplina del codice di rito in tema di omessa assunzione di una prova decisiva con riferimento all'escussione della cognata dell'imputato. Si deve considerare che la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello puo' costituire violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 2), mentre negli altri casi puo' essere prospettato il vizio di motivazione previsto dalla lettera e) dell'articolo 606 cit. (Cass. Sez. 1, n. 40705 del 10 gennaio 2018, Capitanio, Rv. 274337 - 01; Sez. 1, n. 3972/14 del 28 novembre 2013, Ingui', Rv. 259136 - 01). E, sotto corrispondente profilo, non puo' trascurarsi il concetto per il quale, con il ricorso per cassazione, puo' essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12 aprile 2018, Impellizzeri, Rv. 273577 - 01). Nel caso in esame, esclusa la sopravvenienza della prova in thesi non ammessa, trattandosi di fonte che, stando alla sua prospettazione, l'imputato conosceva fin dalla contestazione dell'accusa a suo carico, la Corte di merito ha, con motivazione specifica, adeguata e non illogica, annesso credibilita' alle dichiarazioni del (OMISSIS), persona offesa del delitto di estorsione. Tale approdo ha determinato - al di la' dei riferimenti al limite dell'accertamento incidentale relativo della presunta violenza di (OMISSIS) ai danni della cognata - l'irrilevanza dell'ammissione dell'ulteriore prova testimoniale. Vale, sul tema, ribadire che le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p. comma 3, - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto (Cass. Sez. U, n. 41461 del 19 luglio (OMISSIS), Bell'Arte, Rv. 253214 - 01; Sez. 2, n. 43278 del 24 settembre (OMISSIS), Manzini, Rv. 265104 - 01). Peraltro - e in via dirimente - l'analisi svolta dalla Corte territoriale ha accertato che, anche a voler dare per dimostrata la vicenda sottostante addotta da (OMISSIS) per minacciare (OMISSIS) e farsi consegnare il danaro, l'intervento minatorio dell'imputato non e' stato affatto finalizzato a tutelare esclusivamente i supposti interessi risarcitori della cognata, tenuto anche conto del tenore della conversazione intercettata, per altro verso non essendo egli in nessun modo titolare della addotta pretesa. E questa immixtio nella tutela del - presunto - diritto di altra persona, al fine di trarne un vantaggio per se', accertata dai giudici del merito esclude che potesse da parte della Corte del merito qualificarsi il delitto contestato come concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni (in tal senso v. la motivazione di Cass. Sez. U, n. 29541 del 16 luglio 2020, Filardo, Rv. 280027 03). Il motivo, pertanto, si rivela privo di pregio. 19.5. Per quanto concerne il quinto motivo, vanno distinte due parti della complessiva critica. 19.5.1. La censura nello stesso contenuta, volta a dedurre l'incongrua considerazione delle condizioni di adottabilita' della misura di sicurezza per l'erronea applicazione del disposto di cui all'articolo 417 c.p., e' inammissibile. Si osserva che la Corte di assise, affermata la responsabilita' di (OMISSIS) anche per il delitto associativo, lo ha condannato alla pena principale di anni dodici di reclusione e alle corrispondenti pene accessorie e ha applicato al medesimo la misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di due anni. La Corte di assise di appello, a sua volta, ha escluso la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. con riferimento al reato sub R (l'estorsione in danno di (OMISSIS)), ha ridotto la pena principale ad anni sette di reclusione e, fra le altre statuizioni, ha confermato l'applicazione e la durata della liberta' vigilata. La conferma (non peggiorativa) della statuizione sulla liberta' vigilata segue all'assenza di specifici motivi di appello riguardanti la verifica delle condizioni di applicabilita' della misura di sicurezza. L'avere omesso di impugnare quella statuizione innanzi alla Corte di assise di appello determina l'inammissibilita' della deduzione in questa sede della medesima questione, ai sensi dell'articolo 606, comma 3, c.p.p.. Anche per quanto concerne la critica al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche l'impugnazione non merita accoglimento, alla stregua delle considerazioni svolte per le posizioni precedenti, da richiamarsi anche in riferimento a quella dell'imputato (OMISSIS). 19.5.2. Fondata si profila, invece, la censura relativa alla quantificazione, all'interno della commisurazione della complessiva pena per il reato continuato, dell'aumento stabilito per il reato sub R. La Corte di assise, per determinare la pena principale complessiva di anni dodici di reclusione, aveva fissato la pena base di anni dieci di reclusione per il reato associativo e l'aveva aumentata di anni uno di reclusione per il reato sub R e di anni uno di reclusione per il reato sub S. La Corte di assise di appello, per determinare la pena principale complessiva di anni sette di reclusione, ha fissato la pena base di anni cinque di reclusione per il reato associativo e l'ha aumentata - in modo identico rispetto al primo grado - di anni uno di reclusione per il reato sub R e di anni uno di reclusione per il reato sub S. Sennonche', come ha segnalato il ricorrente, il reato di estorsione sub R e' stato depurato della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., cosi' risultandone circoscritta la gravita' del fatto. I giudici di appello hanno lasciato immutato l'aumento apportato dalla Corte di assise per la medesima violazione, pur se ne avevano apprezzabilmente ridimensionato la gravita': cio' hanno fatto, peraltro, senza spiegare la ragione dell'inalterato aumento di pena per il meno grave reato. Ora, come si afferma, in tema di divieto di reformatio in peius, che il giudice di appello - il quale, accogliendo il motivo di gravame proposto dal solo imputato riguardante una regiudicanda integrata da piu' reati unificati dal vincolo della continuazione, riconosca l'esistenza di una circostanza attenuante in precedenza negata e influente sia sulla pena base che su altri elementi rilevanti per il calcolo - deve necessariamente ridurre la pena complessivamente inflitta con riferimento al reato base e ai reati satellite, salvo che per questi ultimi venga confermato, con adeguata motivazione, l'aumento in precedenza disposto e fermo restando che il risultato finale dell'operazione si concluda con l'irrogazione di una pena complessiva corrispondentemente diminuita rispetto a quella in precedenza irrogata (Cass. Sez. 3, n. 3214/15 del 22 ottobre 2014, A., Rv. 262021 - 01), cosi' deve corrispondentemente ritenersi che, quando elide una circostanza aggravante, il giudice di appello deve necessariamente tenerne conto anche con riferimento all'individuazione della pena irrogata per il corrispondente reato, pur se satellite, salvo che la conferma del precedente aumento sia giustificata da un'adeguata motivazione, tale da giustificare la ragione per la quale la pregressa commisurazione dosimetrica risulti congrua anche in relazione alla piu' contenuta gravita' del reato, diversamente o non piu' circostanziato. L'esigenza di una esplicita e coerente giustificazione al nuovo assetto dosimetrico si profila tanto piu' evidente ove si ponga mente al principio di diritto, da ultimo sottolineato dalle Sezioni Unite, secondo cui, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato piu' grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Cass. Sez. U, n. 47127 del 24 giugno 2021, Pizzone, Rv. 282269 - 01). 19.6. In definitiva, il ricorso di (OMISSIS) va accolto soltanto in relazione a quest'ultimo punto, con annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione dell'aumento per la continuazione per il reato di cui al capo R e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma. 20. (OMISSIS). 20.1. Per quel che concerne i primi due motivi del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), deve osservarsi che la Corte di assise di appello ha focalizzato l'attivita' svolta dall'imputato in proiezione associativa con riferimento all'ultimo segmento della vita del clan, prima dell'emissione delle misure cautelari del gennaio 2018. (OMISSIS), insieme a (OMISSIS), aveva affiancato (OMISSIS), divenendone fra i piu' intimi collaboratori. Di grande rilievo e' stato considerato il versamento di denaro in favore di (OMISSIS), dimostrativo della persistente considerazione del suo ruolo preminente, affidato da (OMISSIS) a (OMISSIS), considerato dal capoclan non solo per il rapporto di amicizia ma soprattutto per la sperimentata intraneita' al sodalizio delinquenziale. I giudici del merito, come emerge dalla coniugazione delle due conformi decisioni, hanno - valutando le captazioni - considerato provato che (OMISSIS), dopo i due attentati patiti da (OMISSIS), aveva il compito di accompagnare quest'ultimo e lo aveva fatto quando (OMISSIS) si era recato presso (OMISSIS) (OMISSIS). In altre circostanze erano state intercettate le sue conversazioni con (OMISSIS) e poi con (OMISSIS) che lo aveva addirittura messo a parte del suo proposito omicida ai danni di (OMISSIS) per una questione relativa a un'attivita' commerciale da cui (OMISSIS) non traeva guadagno. Poi, in ulteriori occasioni, l'imputato era stato intercettato nella sua azione di persuasione della compagna di (OMISSIS) affinche' cooperasse nel convincere quest'ultimo ad allontanarsi da (OMISSIS) dopi i due attentati subiti, in altra conversazione avendo interloquito in merito alla questione della relativa scorta. Il complesso degli elementi emersi ha integrato, secondo il congruo giudizio espresso dalla Corte territoriale, la dimostrazione che, certamente nel non breve lasso di tempo considerato, (OMISSIS) si sia determinato a giocare un ruolo cruciale di assistenza e protezione del capoclan (OMISSIS), sia divenendone strumento nei rapporti con il clan (OMISSIS), compresa la messa in atto del versamento deferente al corrispondente capo detenuto, sia curandone la sicurezza e interloquendo con l'altro vertice (OMISSIS), sia prendendo l'iniziativa per sollecitarne le opzioni, in senso rafforzativo della sicurezza del medesimo. Compito svolto con autonomia e capacita' di iniziativa, da cui i giudici del merito hanno, con argomentazioni lineari, derivato l'accertamento del concreto contributo apportato dall'imputato alla conservazione e al rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione, senza che la carenza di apporti dichiarativi dei collaboratori relativamente alla sua posizione possa generare - come prospettato dal ricorrente - elementi ostativi all'inquadramento di (OMISSIS) quale componente effettivo dell'organizzazione, essendosi estrinsecate le sue condotte in epoca e ambito in cui i collaboratori ben hanno potuto non conoscerne il compimento e la valenza per l'organizzazione. I due motivi vanno, dunque, disattesi. 20.2. Passando all'esame del terzo motivo, inerente alla critica della sentenza impugnata per l'entita' del trattamento sanzionatorio riservato a (OMISSIS) e per il confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche, va ricordato che la Corte di assise di appello ha ridotto la pena principale irrogata a (OMISSIS) da anni dodici ad anni cinque di reclusione. Entita' che, tenuto conto della fattispecie associativa pluriaggravata accertata, si profila - pure rispetto al retrodatato quadro edittale di riferimento a livello tale da non potersi considerare riducibile (se si considera il diverso e piu' elevato minimo stabilito dal quadro normativo). In ordine alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, l'inammissibilita' della censura emerge alla stregua delle riflessioni gia' espresse per le precedenti posizioni, a cui occorre richiamarsi. 20.3. L'impugnazione proposta da (OMISSIS) deve, dunque, essere rigettata. 21. (OMISSIS). 21.1. Va ritenuto infondato il primo motivo con cui il ricorrente ha censurato la sentenza di appello per non avere la Corte territoriale dato risposta alla doglianza di nullita' della sentenza di primo grado perche' viziata da mancanza della motivazione. A parte il rilievo che dall'esame della decisione emessa dalla Corte di assise era dato trarre l'essenza delle ragioni che avevano determinato i giudici di primo grado ad addivenire alla condanna dell'imputato, i giudici di appello hanno tenuto conto del principio di diritto secondo cui la stessa mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall'articolo 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullita' della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Cass. Sez. U, n. 3287/09 del 27 novembre 2008, R., Rv. 244118 - 01; fra le successive, Sez. 6, n. 58094 del 30 novembre 2017, Amorico, Rv. 271735 - 01). 21.2. Venendo, per seguire un ordine logico, all'esame del terzo motivo, si osserva che la partecipazione dell'imputato al clan (OMISSIS) e' stata dalla Corte di assise di appello ritenuta dimostrata in relazione all'attivita' da lui posta in essere nel settore dei videogiochi. Sono state analizzate le intercettazioni raccolte sull'argomento e, piu' in generale, sull'attivita' di rilievo associativo dell'imputato. Nel corso delle captazioni (OMISSIS) era stato intercettato mentre discorreva con (OMISSIS) di armi e, in particolare, mentre si interessava della gestione organizzata degli apparecchi inerenti ai videogiochi. Di notevole importanza e' stato reputato il comportamento tenuto dall'imputato nella vicenda del chiosco (OMISSIS). Era emerso che era stato (OMISSIS) a mettere in contatto il suo amico (OMISSIS) con (OMISSIS) ((OMISSIS)) e (OMISSIS) e poi questi ultimi erano stati assunti dal primo per tenere a bada le persone pericolose che avevano perpetrato atti minatori ai danni dell'attivita' imprenditoriale di (OMISSIS). I giudici di appello hanno accertato che il contatto fra (OMISSIS) e (OMISSIS) non era stato l'esito di una mera rimpatriata fra vecchi amici, ma il frutto del preciso intento di (OMISSIS) di rivolgersi all'unica persona che conosceva sul territorio fra quelle che avevano titolo per creare il contatto con gli esponenti del clan (OMISSIS). E (OMISSIS) aveva procurato l'intervento degli (OMISSIS) che avevano cosi' accresciuto il loro prestigio criminale. L'intraneita' di (OMISSIS) e' stata confermata, per i giudici del merito, dal comportamento tenuto dall'imputato quando era stato informato degli attentati subiti da (OMISSIS), essendo ammesso al patrimonio cognitivo riservato al circolo dei piu' vicini ai vertici dell'organizzazione criminale. Discorrendo delle condotte da tenere, (OMISSIS) aveva proposto in termini bellicosi di attuare e ritorsioni; comportamenti che, secondo la ponderata valutazione della Corte territoriale, soltanto un elemento ben inserito nel contesto associativo avrebbe potuto consentirsi di assumere. In tal senso e' stato confermato il giudizio della Corte di assise che aveva segnalato come allarmanti i propositi di reazione coltivati da (OMISSIS) con (OMISSIS) e sottolineato che gli (OMISSIS) non avrebbero coinvolto in propositi relativi a un'azione violenta una persona che non fosse di loro assoluta fiducia, ossia di sicura appartenenza associativa. A questa complessiva analisi - da cui i giudici del merito hanno derivato, con congrua e non illogica motivazione, l'accertamento della partecipazione di (OMISSIS) all'associazione, con consapevole e volontario apporto alla conservazione e all'attivo funzionamento della stessa - il ricorrente, nel motivo in esame, ha opposto riflessioni che non superano quelle della motivazione e argomenti che, contestando la forza dimostrativa delle circostanze analizzate e dequotando come meramente intuitiva la serie di considerazioni sviluppate nella sentenza impugnata, esorbitano nella, non consentita, sollecitazione a privilegiare una valutazione di merito del quadro probatorio alternativa a quella correttamente esposta nella decisione. La doglianza va, di conseguenza, ritenuta, nel suo complesso, infondata. 21.3. Il quarto motivo, che censura la sentenza impugnata in punto di confermato rigetto dell'istanza di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e lamenta la carenza di motivazione in merito alla commisurazione della pena, e' affetto dagli stessi limiti, per le ragioni gia' illustrata, rilevati con riferimento alla sovrapponibile doglianza articolata nei ricorsi che precedono. Anche la pena principale inflitta a (OMISSIS) e' stata ridotta dalla Corte di assise di appello (da otto anni) a cinque anni di reclusione e gia' si e' segnalata l'entita' minima della pena stessa. E, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non possono non richiamarsi le considerazioni svolte per i ricorsi precedenti con posizione sovrapponibile. Anche tale censura, quindi, non supera il vaglio di ammissibilita'. 21.4. E', invece, da ritenersi fondato il secondo motivo per la medesima ragione esposta nella valutazione del secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS). Anche per (OMISSIS) la Corte di assise di appello, nel riformulare la complessiva statuizione sanzionatoria nei suoi confronti, ha incrementato la durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, da anni uno ad anni due, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero. Per le ragioni gia' chiarite nel precedente caso, quindi, la relativa statuizione deve essere annullata. Ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., l'annullamento, nella parte di interesse, della sentenza impugnata va pronunciato senza rinvio, con il ripristino della durata di anni uno della liberta' vigilata stabilita nella sentenza di primo grado. 21.5. Il ricorso di (OMISSIS), dunque, deve essere accolto esclusivamente per tale ultima parte, mentre deve essere rigettato nel resto. 22. Considerazioni conclusive. 22.1 In sintesi, i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno accolti, con le conseguenti statuizioni di annullamento parziale man mano precisate, mentre vanno rigettati nel resto. Per i ricorrenti in relazione alle cui posizioni si dispone l'annullamento parziale con rinvio della sentenza impugnata, si deve procedere, ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., comma 2, alla dichiarazione di irrevocabilita' dell'affermazione di responsabilita' per i reati accertati in via definitiva per ciascuna posizione. Risultano, invece da rigettare per intero i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)RUBEN (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Alla corrispondente pronuncia consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 22.2 L'illustrata conclusione determina la conseguenza che - quanto al regolamento delle spese del grado relativo alla posizione delle parti civili Roma Capitale, Regione Lazio, Libera Associazioni, (OMISSIS), Ambulatori (OMISSIS) e Associazione Nazionale (OMISSIS), che hanno svolto attivita' processuale in questa sede - le stesse vanno poste a carico dei ricorrenti, ad eccezione del defunto (OMISSIS), anche qui soccombenti rispetto all'azione civile dalle suddette proposta nei loro confronti (con rapporto processuale instauratosi senza questioni sulla rispettiva legittimazione, come da statuizioni della sentenza di appello). Dette spese sono da liquidarsi nell'opportuna misura, relativa ai compensi professionali, di Euro 5.500,00 per ciascuna delle parti civili: tale quantificazione viene opportunamente effettuata, ex Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 articoli 12 e 16, come modificato dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, tenuto conto - in relazione alle voci precisate in ciascuna nota depositata - dell'attivita' svolta e delle questioni trattate dalle medesime, indicatori da valutarsi, nella sostanza, equipollenti. Ai suddetti compensi professionali non va aggiunto alcun ristoro di spese borsuali, non richiesto. Spetta invece alla difesa di ciascuna parte civile, ex Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 articolo 2, il rimborso delle spese forfettarie nella - giusta - misura del 15%, oltre all'IVA ed al contributo per la Cassa Previdenziale, da computarsi sull'imponibile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di: (OMISSIS) limitatamente ai reati di cui ai capi B), C) e H); (OMISSIS) limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C); (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo N); (OMISSIS), (OMISSIS), limitatamente ai reati di cui ai capi B), C), E), F) e H); (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo S); (OMISSIS) limitatamente alla determinazione dell'aumento per la continuazione per il reato di cui al capo R); con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'assise di appello di Roma. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata che ridetermina in un anno. Rigetta nel resto i ricorsi di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e dichiara, ai sensi dell'articolo 624, comma 2, c.p.p., irrevocabile l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui ai capi A), M), S), T), U) e Z), (OMISSIS) per il reato di cui al capo A), (OMISSIS), (OMISSIS), per i reati di cui ai capi A), O) e P), (OMISSIS), (OMISSIS), per i reati di cui ai capi A), Q) e S), (OMISSIS), per il reato di cui al capo A), (OMISSIS) per il reato di cui al capo A), (OMISSIS) per i reati di cui ai capi A), Q) e R), (OMISSIS) per il reato di cui al capo A). Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)Ruben (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal difensore di (OMISSIS) dopo la morte del medesimo. Condanna i ricorrenti, con la sola esclusione di (OMISSIS), alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili ROMA CAPITALE, REGIONE LAZIO, LIBERA Associazioni, (OMISSIS), AMBULATORIO (OMISSIS) e ASSOCIAZIONE NAZIONALE (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 5.500,00, oltre accessori di legge, per ciascuna di esse.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. MANCUSO Luigi F.A. - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - rel. Consigliere Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. CAIRO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/03/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TERESA LIUNI; letta la requisitoria del Procuratore generale, MARILIA DI NARDO, la quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17/3/2021 la Corte di Assise d'appello di Bari ha confermato la sentenza del 12/5/2020 del GUP del Tribunale in sede che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione per il delitto ex articolo 270 bis c.p., perche' ritenuto partecipe dell'associazione con finalita' di terrorismo internazionale denominata (OMISSIS), in qualita' di componente armato di quell'ala di tale gruppo terroristico di matrice jihadista operante nel Centro Africa (Capo A); e per gli ulteriori delitti, avvinti in continuazione, ex articolo 302 c.p.: istigazione a commettere delitti contro la personalita' internazionale e interna dello Stato (capo B), con finalita' di terrorismo; delitto di cui all'articolo 414 c.p., commi 3 e 4: apologia di reato commessa attraverso strumenti informatici o telematici (capo C); delitto di tentate lesioni (capo D) aggravate da finalita' di terrorismo e di odio religioso. Fatti accertati in Bari e altri luoghi, quanto alla partecipazione associativa dal novembre 2016 con permanenza. 1.1. Riepilogati i caratteri distintivi del delitto ex articolo 270 bis c.p., l'impugnata sentenza ha illustrato i tratti di concreta adesione dell'imputato all'associazione internazionale Daesh - Isis, pur connotata dalla non necessita' di una esplicita accettazione del nuovo partecipe da parte del nucleo associativo centrale, ne' necessitante di una conoscenza diretta degli esponenti del Califfato, essendo sufficiente la dimostrazione di un "contatto operativo" dell'aderente, che si inserisca nella struttura a rete tipica di tale associazione, la quale consta di vari snodi ed articolazioni disseminati in vari Stati. 1.2. Si e' dunque ritenuta provata tale partecipazione dell' (OMISSIS) in base ai contenuti di alcune intercettazioni telefoniche in cui l'imputato, conversando con vari interlocutori, affermava che gli attentati dovevano organizzarsi in modo da non colpire persone musulmane, dunque in luoghi con presenza di soli cristiani, individuando il giorno ideale nel 25 dicembre, ed informandosi su quale fosse la Chiesa cristiana piu' grande al mondo. La concretezza di tali propositi emergeva dalla telefonata del 9/12/2018, rivolta ad organizzare qualcosa per il successivo 27 dicembre, anche se l'interlocutore affermava di non avere ancora preparato niente. Da altre comunicazioni dell' (OMISSIS) emergevano le precauzioni che altri accoliti gli consigliavano di tenere, come il cambio del cellulare e la rarefazione dei contatti telefonici, accortezze che egli considerava e seguiva, a riprova della concreta partecipazione svolta in seno all'associazione, e della sua appartenenza alla (OMISSIS). Inoltre, era risultato che l'imputato aveva inviato la somma di cento dollari a (OMISSIS), in (OMISSIS), in favore di (OMISSIS), per partecipare ad una raccolta di fondi per pagare la cauzione per un amico arrestato, somma ingente a fronte di un reddito lavorativo di appena 300 dollari mensili. Ancora, nella chat del 15/3/2017, (OMISSIS) aveva chiesto notizie sullo (OMISSIS) in (OMISSIS) ed aveva sollecitato l'interlocutore ad unirsi all'(OMISSIS), assicurando altresi' che egli non avrebbe rivelato ai servizi segreti turchi di sostenere lo (OMISSIS) qualora lo avessero intercettato o fermato. La pianificazione di attentati era confermata dalla visione di filmati dedicati alla preparazione di ordigni esplosivi, che l'imputato aveva rinvenuto nel c.d. deep web, in un portale interamente dedicato alla raccolta di materiali propagandistici dello (OMISSIS), al quale e' possibile accedere soltanto mediante un broswer TOR, con chiave di accesso informatico riservata. 1.3. E' stata confermata la condanna anche per i delitti sub capi B) e C), entrambi ritenuti non assorbiti dalla fattispecie associativa, poiche' posti a garanzia di differenti oggettivita' giuridiche, riguardando il delitto ex articolo 270 bis c.p., la tutela della personalita' dello Stato, mentre l'istigazione a delinquere di cui all'articolo 302 c.p., e l'apologia di reato ex articolo 414 c.p., commi 3 e 4, la tutela dell'ordine pubblico. Per entrambi i delitti si e' ravvisata la certa responsabilita' dell'imputato, nel primo caso desunta dall'attivita' di indottrinamento svolta nei confronti di tale (OMISSIS), cittadino albanese, al quale (OMISSIS) aveva cercato di inculcare i precetti islamici per indurlo all'attivismo ideologico, con ricorso alla violenza e all'impiego della milizia combattente, il c.d. Jihad armato; nel secondo caso si e' valorizzata la pubblicazione sul profilo FB dell'imputato delle fotografie di alcuni martiri - cioe' autori di attentati, morti nel loro corso - in atteggiamento sorridente, c.d. "bassamat al farah", a significare che nella morte virtuosa essi avevano visto il Paradiso musulmano. 1.4. E' stata confermata la responsabilita' dell'imputato anche per le tentate lesioni per finalita' di terrorismo in danno di un ignoto passante, al quale (OMISSIS) si era avvicinato armato di una bottiglia di vetro, senza riuscire a colpirlo poiche' l'uomo era scappato gridando "aiuto", episodio accaduto a (OMISSIS), nei pressi della stazione ferroviaria, nelle festivita' natalizie tra il 2017 e il 2018. 1.5. Infine, e' stata confermata l'aggravante della transnazionalita', prevista dall'articolo 61 bis c.p., rilevando che detta aggravante puo' accedere a qualsiasi delitto (che risponda ai limiti edittali fissati dalla norma), alla cui commissione abbia contribuito un gruppo dedito ad attivita' criminali operante a livello internazionale. Infatti, l'imputato e' originario della Somalia ed aveva collegamenti con altri soggetti aderenti all'(OMISSIS) che si trovavano in (OMISSIS). 2. Avverso detta sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore, avv. Vittorio Plati', avanzando dieci motivi di impugnazione. 2.1. Vizio di motivazione, ritenuta contraddittoria con riferimento al reato di cui all'articolo 270 bis c.p.. Osserva il ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilita' dell' (OMISSIS) in ragione del contatto operativo, ancorche' flessibile, con l'organizzazione, la quale aveva consapevolezza, anche se indiretta, della sua adesione, ma tale consapevolezza indiretta non si concilia con il necessario ruolo concreto nell'organigramma criminale, ne' si concilia con i principi dettati dalla esegesi di legittimita' in ordine al rapporto biunivoco tra singolo e struttura. 2.2. Erronea applicazione di legge penale con riferimento all'articolo 270 bis c.p. Il ricorrente censura il ragionamento seguito dalla Corte territoriale per ritenere la partecipazione associativa, in quanto violerebbe i principi regolatori della materia, nella parte in cui e' necessario che la condotta del singolo si innesti nella struttura organizzata, e sia espressiva dell'assunzione di un ruolo concreto nell'organigramma, con la creazione di un effettivo contatto operativo, che costituisca un legame biunivoco consapevole tra la struttura ed il singolo. L'impugnata sentenza ha invece erroneamente teorizzato la sufficienza di un contatto operativo "flessibile" con l'organizzazione, e la consapevolezza "indiretta" o mediata dall'uso di strumenti informatici dell'adesione dell'imputato, cosi' violando i canoni fissati dall'esegesi di legittimita' per individuare un'adesione associativa che sia rispettosa del principio di materialita' della condotta e non attribuisca rilevanza penale a meri atteggiamenti interiori o a condotte passive di informazione tramite web. 2.3. Ulteriore profilo di violazione di legge, riferito all'individuazione del delitto ex articolo 270 bis in rapporto all'articolo 115 c.p., si rileva nella valorizzazione del proposito dell'imputato di mettere bombe in tutte le chiese, nonche' del proposito di recarsi in (OMISSIS), intenzioni che non potrebbero ritenersi rilevanti in mancanza di successivi atti idonei: invero, il mero proposito rileva solo se accompagnato dalla idoneita' dell'associazione o del singolo a portare a compimento atti di violenza. Erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che dal contenuto intercettivo emergesse la concretezza dei propositi dell' (OMISSIS), essendo mancato il passaggio intermedio che - anche in un reato di pericolo presunto come quello in discorso - e' necessario per adeguarsi al principio di necessaria offensivita' della condotta, cioe' la predisposizione di mezzi idonei che siano potenzialmente in grado di concretizzare il proposito del compimento di atti di violenza connotati da finalita' di terrorismo o di eversione. 2.4. Violazione di legge per erronea applicazione dell'aggravante ex articolo 61 bis c.p.. L'impugnata sentenza ha individuato detta aggravante confondendo il contributo di un gruppo criminale transnazionale con l'operativita' transfrontaliera del gruppo; inoltre ha impropriamente valorizzato la provenienza dell'imputato dalla Somalia e la consultazione di siti dello (OMISSIS) al fine di realizzare i propositi di attentati a Roma. La corretta interpretazione dell'aggravante ex articolo 61 bis c.p., risiede invece nella considerazione del contributo alla commissione del reato da parte di un gruppo transnazionale, a prescindere dalla provenienza territoriale dei partecipi, e tale contributo deve apprezzarsi in termini di concorso nel reato, secondo i criteri dell'articolo 110 c.p.. 2.5. Vizio di motivazione, ritenuta mancante in relazione agli articoli 270 bis e 270 sexies c.p., per essere stata omessa la trattazione dell'elemento soggettivo del reato, con riguardo al contenuto specificante dell'articolo 270 sexies c.p., che ha chiarito che la finalita' terroristica deve esplicarsi in un grave danno a carico di un Paese o di una istituzione internazionale. 2.6. Violazione di legge in relazione al reato di cui all'articolo 302 c.p.. Afferma il ricorrente che la Corte territoriale non ha valutato la idoneita' istigatoria delle condotte dell'imputato nei confronti di (OMISSIS), onde verificarne la capacita' di determinare il rischio, non teorico ma effettivo, di indurre costui alla consumazione di reati lesivi di interessi omologhi, cioe' diretti contro la personalita' dello Stato. 2.7. Vizio di motivazione, mancante sul punto dell'aggravante del nesso teleologico ex articolo 61 c.p., n. 2. 2.8. Violazione di legge con riguardo al delitto ex articolo 414 c.p., comma 3. La motivazione per cui si e' ritenuto sussistente tale reato e' fondata esclusivamente sull'avere l'imputato postato sulla piattaforma Facebook alcune fotografie ritraenti miliziani sorridenti, ormai deceduti, e materiale propagandistico riguardante lo (OMISSIS). Ma, a prescindere dalla inconferenza di tale attivita' ad integrare il reato in questione, non si e' motivata la idoneita' di tale condotta a produrre il pericolo - non teorico ma effettivo - che altri possano commettere reati analoghi a quelli di cui si opera l'apologia. 2.9. In stretta connessione con il motivo precedente, e' stata denunciata la mancanza di motivazione relativa all'aggravante del nesso teleologico ex articolo 61 c.p., n. 2, anche se lo sviluppo del motivo ha invece, ancora una volta, richiamato l'impossibilita' che il reato istigatorio o apologetico sia integrato dalla sola pubblicazione di notizie riguardanti lo (OMISSIS), senza nemmeno riferirne il contenuto onde verificarne la natura delittuosa. 2.10. Violazione di legge con riferimento al reato di tentate lesioni aggravate ai sensi dell'articolo 604 ter c.p., in quanto nella specie potrebbe al piu' trattarsi di una condotta di minaccia. Ma anche in ordine alla ritenuta sussistenza delle tentate lesioni, non vi e' stata adeguata analisi con riferimento al criterio ordinariamente usato per il delitto tentato, della prognosi postuma con valutazione ex ante della idoneita' degli atti; nemmeno e' stata delineata la sussistenza dell'aggravante della finalita' di terrorismo e odio religioso, avendo la Corte territoriale limitato la motivazione al rilievo che in altri casi le aggressioni per detti fini erano state commesse con mezzi rudimentali. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato, ad eccezione dell'ultimo motivo, nei termini che seguiranno. 1.1. I primi tre motivi si esaminano congiuntamente, trattandosi di rilievi che sollevano criticita' in ordine alla possibilita' di configurare nei confronti dell' (OMISSIS) la contestata fattispecie del delitto ex articolo 270 bis c.p., alla luce dei principi generali di materialita' e necessaria offensivita' della condotta, che si assumono violati nel caso in esame. 1.2. E' noto che le associazioni con finalita' di terrorismo internazionale, specie quelle di matrice islamista e jihadista come nel caso in esame, presentano una struttura peculiare rispetto alle organizzazioni criminali e terroristiche interne, composte da persone, mezzi e luoghi di incontro, essendo caratterizzate da un'adesione aperta, anche se non indiscriminata, di regola realizzata con modalita' informatizzata su base planetaria, propugnando la diffusione del credo religioso e politico attraverso cellule "figlie" che, aderendo al programma, svolgono, sia pure attraverso un rapporto del tutto smaterializzato con l'organizzazione "madre", un ruolo strumentale per la realizzazione del fine criminoso, da un lato consentendo la piu' efficace forma di proselitismo e dall'altro fornendo supporti didattici operativi (quali, ad esempio, l'individuazione di obiettivi sensibili, i modi di utilizzazione di bombe ed esplosivi, i suggerimenti per rendere alto e credibile il rischio di attentati) per la realizzazione delle finalita' criminose dell'organizzazione. In tali termini hanno descritto il fenomeno associativo terroristico di matrice islamista svariati arresti di legittimita' (Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019, dep. 2020, El Khalfi, Rv. 278680; Sez. 2, n. 14704 del 22/04/2020, Bekaj, Rv. 279408), evidenziando altresi' che la spiccata pericolosita' di tali organizzazioni trova causa nella loro fluidita' strutturale: non richiedono forme particolari per l'assunzione del ruolo partecipativo, non si qualificano per articolazioni organizzative statiche ma, facendo leva sull'intensita' della cifra ideologica, possono reclutare adepti anche soltanto incitando alla jihad, da realizzare non gia' attraverso una pianificazione centralizzata di atti violenti ma per mezzo di scelte autonome del singolo quanto all'individuazione del luogo e degli strumenti di commissione del fatto e alle vittime da colpire, qualificate soltanto dall'essere infedeli, miscredenti, e quindi non aderenti a un determinato credo religioso (Sez. 1, n. 51654 del 09/10/2018, Rahman, Rv. 274985). E coerentemente a tale modello strutturale, che si e' definito "polverizzato", e' stata analizzata la peculiare modalita' di adesione del partecipe, desumibile da concrete condotte sintomatiche della condivisione ideologica delle finalita' dell'associazione, in cui si sostanzia la messa a disposizione del singolo verso il gruppo criminale e si struttura il relativo rapporto. Cosi', si e' affermato che l'adesione ad un'associazione di matrice jihadista puo' avvenire con modalita' spontaneistiche e "aperte", non implicanti una formale accettazione da parte del gruppo terroristico, ma volte ad includere progressivamente il partecipe, attraverso contatti con i livelli intermedi o le propaggini finali, anche mediatamente e flebilmente riconducibili alla "casa madre", purche' idonei a dare una qualche consapevolezza, anche indiretta, della sua adesione (Sez. 5, n. 8891 del 18/12/2020, dep. 2021, Lutumba, Rv. 280750; Sez. 5, n. 50189 del 13/07/2017, Bekaj e altri, Rv. 271647; per un'applicazione in fase cautelare: Sez. 6, n. 40348 del 23/02/2018, Affli, Rv. 274217 - 01). In tale prospettiva, si sono ritenuti rilevanti i propositi di partire per combattere gli "infedeli", la dichiarata vocazione al martirio e l'opera di indottrinamento, a condizione che l'azione del singolo si innesti nella struttura organizzata, ovverossia che esista un contatto operativo, anche flessibile, ma concreto tra il singolo e l'organizzazione che, in tal modo, abbia consapevolezza, anche indiretta, dell'adesione da parte del soggetto agente. A garanzia della rispondenza di tale modello partecipativo ai principi generali di materialita' e necessaria offensivita' delle condotte penalmente rilevanti, si e' richiesto che la condotta di partecipazione consista in un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, piu' che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in attuazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. 2, n. 25452 del 21/02/2017, Beniamino e altri, Rv. 270171: in motivazione, la Corte ha osservato che l'affermazione di penale responsabilita' dell'agente a titolo di partecipazione presuppone la dimostrazione dell'effettivo inserimento del medesimo nella struttura organizzata attraverso condotte univocamente sintomatiche, le quali possono consistere, oltreche' nell'assunzione di un ruolo concreto nell'organigramma criminale, anche nello svolgimento di attivita' preparatorie rispetto all'esecuzione del programma). 1.3. Alla luce di tali direttive, tratte dall'elaborazione esegetica di questa Corte, deve essere valutata la significativita' del materiale probatorio che le concordi sentenze di merito hanno accertato e valorizzato a carico di (OMISSIS). Pertanto, e' necessario ricapitolare i punti salienti ivi riportati a fondamento dell'affermazione di responsabilita' per il delitto di associazione con finalita' di terrorismo anche internazionale. Nel compendio probatorio, oltre a contatti informatici con utenti della rete aderenti all'ideologia jihadista dell'(OMISSIS), rilevano le intercettazioni in cui l'imputato parla con ignoti interlocutori a proposito di attentati contro gli infedeli, da effettuarsi in modo da non coinvolgere persone musulmane; all'uopo era indicato opportunamente il giorno di Natale nelle chiese italiane, progettando di colpire la piu' grande di (OMISSIS), individuata - previa consultazione informatica, nei giorni (OMISSIS) - nella (OMISSIS), e preconizzando che tutte le chiese sarebbero diventate moschee; nel progr. 977 del 9/12/2018 (OMISSIS) diceva all'interlocutore che c'era ancora un po' di tempo (fino al 27 dicembre), ma quello rispondeva che non aveva ancora preparato niente, senza smorzare i propositi dell'imputato, che ribatteva che sarebbe andato tutto bene. Vi sono poi i consigli di tale (OMISSIS) per le sorti dell' (OMISSIS), al quale il primo consigliava di cambiare casa e di fare attenzione all'uso del cellulare, di non contattare le persone per sette/otto mesi: dopo un paio di giorni, l'imputato effettivamente cambiava utenza telefonica e account di posta elettronica. Inoltre, (OMISSIS) mandava 100 dollari in (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) per concorrere alla colletta per liberare un soggetto ivi arrestato. Nella chat messenger accessoria al profilo FaceBook dell' (OMISSIS) vi erano comunicazioni intercorse con (OMISSIS), appartenente ad un gruppo terroristico frangia di Al Quaeda in (OMISSIS), al quale l'imputato diceva di volersi recare in (OMISSIS). In una telefonata di novembre 2018 auspicava che gli attentatori degli Stati Uniti del 2001 fossero considerati martiri; a dicembre 2018 commentava l'attentato terroristico di Strasburgo avvenuto il giorno prima; (OMISSIS) si riconosceva in una fotografia - contrassegnata in un angolo dalla bandiera di Daesh - raffigurante due ragazzi di spalle, armati di fucile mitragliatore, parlando con un interlocutore danese, che sarebbe stato l'altro soggetto raffigurato nella fotografia. Infine, tramite la rete TOR, riservata alla raccolta di materiale jihadista, (OMISSIS) consultava siti di propaganda (OMISSIS) utilizzati anche per la raccolta di fondi da destinare all'organizzazione, accedendovi mediante credenziali riservate; consultava anche siti reperiti nel cosiddetto deep web, per apprendere la preparazione di ordigni esplosivi. La notizia dell'arresto dell' (OMISSIS), avvenuto il 13/12/2018, era stata pubblicata nell'edizione n. 161 del 22/12/2018 dal giornale di propaganda dello (OMISSIS), che ordinariamente rivendica ogni attentato terroristico nel mondo riconducibile agli obiettivi perseguiti dall'organizzazione. Questi elementi di prova sono stati correttamente interpretati in senso indicativo dell'adesione concreta dell'imputato alla struttura madre (OMISSIS), preliminarmente rilevando che il carattere terroristico di tale associazione denominata anche (OMISSIS) - e' stato asseverato dalle risoluzioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite n. 2170 e n. 2178 del 2014 (la seconda volta a contrastare il fenomeno dei "combattenti terroristi stranieri" - foreign terrorist fighters), riconoscimento vincolante nel nostro ordinamento per effetto del recepimento legislativo delle fonti sovranazionali ed in virtu' dell'obbligo di conformazione prescritto dall'articolo 10 Cost.. Ne' puo' dubitarsi della sussistenza del rapporto "biunivoco" tra l'imputato e l'organizzazione madre, come attesta la pubblicazione della notizia dell'arresto dell' (OMISSIS) sulla rivista propagandistica jihadista "(OMISSIS)", elemento che e' stato ritenuto avvalorare la consapevolezza dell'organizzazione dell'affiliazione e dell'operativita' del suo adepto (vds. sentenza di primo grado, pag. 6). Invero, non va trascurato che la fattispecie associativa ex articolo 270 bis c.p., e' un reato di pericolo presunto, e che l'adesione all'(OMISSIS) avviene anche in forme individuali, per rispondere ad una precisa "chiamata alle armi" dei dirigenti dell'organizzazione che, proprio attraverso i media presenti nella rete internet, sollecitano i militanti sparsi nel modo a compiere atti di uccisione dei "crociati" (cristiani), considerati missioni virtuose di martirio: cio' e' stato pure evidenziato nell'impugnata sentenza, a pag. 25-26, dove si da' atto che (OMISSIS) si era collegato a siti web in cui erano fruibili file audio inneggianti al martirio in onore di Allah, nonche' imperniati su tematiche di terrorismo jihadista, tra i quali quelli del portavoce dell'(OMISSIS) (OMISSIS), ucciso il (OMISSIS), che per l'appunto incitava i fedeli in tal senso. Sull'onda di tali sollecitazioni, (OMISSIS) comunicava con (OMISSIS), manifestandogli la volonta' di recarsi in (OMISSIS), destinazione elettiva dei combattenti jihadisti, assicurando che in caso di cattura non avrebbe rivelato ai servizi segreti turchi di essere un sostenitore dello (OMISSIS). Deve condividersi dunque l'inquadramento dell'azione di (OMISSIS) nella contestazione associativa in discorso, respingendo le suggestioni difensive dirette a classificare le elencate azioni come meri atteggiamenti interiori o condotte passive di informazione tramite web. Al contrario, entrambe le sentenze di merito, con valutazione logica e congrua, hanno rilevato che l'imputato, indottrinato dalle fonti informative jihadiste alle quali accedeva tramite codici riservati - ulteriore riprova di stretti rapporti con l'organizzazione madre - stava passando all'azione, all'uopo consultando i siti di apprendimento della costruzione di ordigni esplosivi e con individuazione di obiettivi terroristici di facile approccio, come le chiese cristiane, in specie la (OMISSIS). Non risulta dunque integrata alcuna violazione dei principi di materialita' e necessaria offensivita' della condotta, essendosi i giudici di merito mantenuti scrupolosamente nei confini giurisprudenziali che si sono richiamati, con precisa descrizione degli atti compiuti dall' (OMISSIS) intesi a contribuire all'azione dell'organizzazione terroristica madre, in un rapporto di fidelizzazione intrapreso volontariamente e mantenuto nel corso del tempo, del quale il processo ha offerto numerose evidenze. 2. E' parimenti infondato il motivo di impugnazione relativo alla erronea applicazione dell'aggravante ex articolo 61 bis c.p.. Deduce il ricorrente che i giudici hanno confuso il contributo di un gruppo criminale transnazionale con l'operativita' transfrontaliera del gruppo, e che e' stata impropriamente valorizzata la provenienza dell'imputato dalla Somalia e la consultazione di siti dello (OMISSIS) al fine di realizzare i propositi di attentati a Roma; ma si tratta di critiche che non colgono nel segno. Va premesso che, in termini generali, la speciale circostanza aggravante della transnazionalita', prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4, (oggi articolo 61 bis c.p.), presuppone che la commissione di un qualsiasi reato in ambito nazionale, purche' punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall'apporto di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attivita' illecite in piu' di uno Stato (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami e altro, Rv. 255033). Con riguardo al caso in esame, l'aggravante de qua e' stata correttamente applicata. Assodato che essa puo' accedere a qualsiasi delitto, purche' questo assuma, per connotati soggettivi od oggettivi, un carattere che esula dai confini di un singolo Paese, nel caso di specie tale necessaria operativita' transnazionale e' stata individuata nei collegamenti dell'imputato con altri aderenti al Daesh ubicati in Danimarca, Somalia e Kenia, e nel proposito di realizzare attentati a Roma, nonche' di effettuare opera di proselitismo in Italia, servendosi di materiali scaricati dai siti dello (OMISSIS). A prescindere dalla provenienza di (OMISSIS) dalla Somalia, elemento che effettivamente risulta neutro rispetto all'integrazione dell'aggravante, gli ulteriori indici elencati ben concorrono ad integrare l'aggravante della transnazionalita', considerando peraltro che essa puo' applicarsi ai reati-fine consumati dai membri di un'associazione per delinquere anche in caso di immedesimazione tra tale associazione e il gruppo criminale organizzato transnazionale (Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166; Sez. 3, n. 10116 del 24/11/2020, dep. 2021, Ausili, Rv. 281481). 3. E' infondata la censura di carente trattazione dell'elemento psicologico del reato, con riguardo al contenuto specificante dell'articolo 270 sexies c.p., in quanto detta doglianza, gia' genericamente devoluta come motivo di gravame, quindi non necessitante di particolare approfondimento nella sentenza di appello (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), ripropone il tema dell'insufficienza del proposito ad integrare il compimento di atti di violenza con finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. Detto tema e' stato esaurientemente trattato nell'impugnata sentenza, da integrare con le perspicue argomentazioni esposte dal primo giudice in punto di tenuta costituzionale della fattispecie di reato a tutela avanzata dell'articolo 270 bis c.p., cosi' da dare conto dell'oltrepassato confine di rilevanza penale delle condotte dell' (OMISSIS), in prospettiva del grave danno da arrecare all'Italia e alla Chiesa Cattolica, ai sensi dell'articolo 270 sexies c.p.. L'azione dell'imputato - lungi dall'essere rimasta confinata a livello interiore - ma senz'altro connotata da particolari cautele e precauzioni (cambio dell'utenza cellulare e rarefazione dei contatti telefonici, come gli era stato raccomandato da altri affiliati; ricorso ad artifici linguistici; cancellazione di post e fotografie tratte dai siti jihadisti), rende ragione della piena consapevolezza dell' (OMISSIS) dell'illiceita' delle sue condotte, estrinsecatesi in attivita' di proselitismo ed indottrinamento, nonche' di autoaddestramento alla costruzione di armi non convenzionali da utilizzare contro i cristiani, progettazione di attacchi terroristici contro i simboli della cristianita', come la (OMISSIS), obiettivo - quest'ultimo - verso il quale l'imputato risultava concretamente impegnato e che e' stato, infatti, valorizzato dai giudici di merito a fini dimostrativi della ricorrenza dell'aggravante ex articolo 270 sexies c.pâEuro¦ Tale valutazione risulta in linea con lâEuroËœesegesi di legittimita' che, per la configurabilita' dell'aggravante della finalita' terroristica di cui all'articolo 270 sexies c.p., ha reputato insufficiente la direzione dell'atteggiamento psicologico dell'agente, richiedendo che la condotta posta in essere del medesimo sia concretamente idonea a realizzare uno degli scopi indicati nel predetto articolo (intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali ecc.". di un Paese o di un'organizzazione internazionale), determinando un evento di pericolo di portata tale da incidere sugli interessi dell'intero Paese (Sez. 6, n. 28009 del 15/05/2014, Alberto e altri, Rv. 260076: in motivazione, si e' precisato che il riferimento al "contesto", contenuto nel citato articolo 270 sexies, e sulla base del quale deve essere valutato il significato della condotta, impone di dar rilievo al pericolo del "grave danno" anche quando questo non dipenda solo dall'azione individuale considerata, ma sia piuttosto il frutto dell'innesto di essa in una piu' ampia serie causale non necessariamente controllata dall'agente, fermo restando che questi deve rappresentarsi e volere tale interazione). 4. Nei quattro motivi successivi, si sono avanzate censure in ordine alla sussistenza dei reati di istigazione a commettere delitti contro la personalita' internazionale e interna dello Stato (articolo 302 c.p.), e di apologia di reato commessa attraverso strumenti informatici o telematici (articolo 414 c.p., commi 3 e 4); in ambedue i casi si e' altresi' lamentata la mancanza di motivazione relativa all'aggravante del nesso teleologico ex articolo 61 c.p., n. 2. I motivi sono complessivamente infondati. Per entrambi i delitti, descritti ai capi B) e C), si e' contestata la idoneita' delle condotte a porre in pericolo il bene tutelato dalla norma incriminatrice, da un canto rilevando che non vi era stata potenzialita' della pretesa istigazione a determinare effettivamente l'indottrinato (OMISSIS) alla consumazione di reati lesivi di interessi omologhi, cioe' diretti contro la personalita' dello Stato; dall'altro contestando la capacita' della presunta condotta apologetica di produrre il pericolo - non teorico ma effettivo - che altri possano commettere reati analoghi a quelli di cui si opera l'apologia. Le sentenze di merito, con motivazione logica e priva di vizi giuridici, hanno dato risposte diverse. Si e' rilevato che le condotte, come descritte nelle imputazioni ed accertate alla stregua del materiale probatorio raccolto, corrispondono alle fattispecie incriminatrici sia sotto il profilo storico-materiale che per il profilo psichico. Quanto all'imputazione sub B), e' stata descritta l'azione di martellante indottrinamento attuata dall' (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS), particolarmente durante un viaggio in (OMISSIS), in cui sottoponeva l'albanese all'incessante ascolto di preghiere islamiche, nonche' mediante l'esibizione di video di esaltazione della jihad ed esprimendo commenti di elogio per gli attentatori delle Torri Gemelle di New York del 2001, considerati martiri, cosi' come l'autore dell'attentato terroristico di Strasburgo del dicembre 2018. Altresi' conforme a legge e' l'inquadramento dell'istigazione come reato formale punito a titolo di dolo generico: al riguardo lâEuroËœesegesi di questa Corte ha enunciato che "Ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 302 c.p., e' necessario che l'istigazione sia diretta ad un soggetto identificato e sia concretamente idonea a suscitare il proposito della commissione di uno o piu' delitti contro la personalita' interna od internazionale dello Stato specificamente determinati, anche se non necessariamente indicati con il loro nomen iuris" (Sez. 1 n. 36816 del 27/10/2020, Cropo, Rv. 280761). Ne consegue che si tratta di un reato di pericolo concreto e non presunto, che richiede per la sua configurazione un comportamento che sia ritenuto concretamente idoneo, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di delitti: infatti, nella struttura del reato rientra la condizione negativa che l'istigazione non sia accolta o che, se accolta, il delitto non sia commesso, sicche' la valutazione della effettiva idoneita' istigatrice della condotta risente di tale incompiutezza e deve essere considerata nelle circostanze concrete della vicenda. I termini in cui essa e' stata ritenuta concordemente sussistente dalle sentenze di merito sono logici e congruenti, e dunque non passibili di rivalutazione in questa sede. Quanto al capo C), e' stato rilevato nell'impugnata sentenza che strutturalmente il reato di istigazione ex articolo 414 c.p., e' costituito dall'esaltazione di un fatto delittuoso, finalizzata a determinarne l'emulazione, ed e' punito a titolo di dolo generico. Concretamente, si e' accertato che l'imputato aveva pubblicato sul suo profilo FaceBook, aperto ed accessibile a chiunque, materiale propagandistico dell'(OMISSIS) ed aveva condiviso video apologetici; inoltre, aveva. apposto il segnale di gradimento - cosiddetto like - a diverse pagine informatiche di siti islamisti, tra cui "(OMISSIS)", contenente pubblicazioni ostili nei confronti dei miscredenti, in particolare gli infedeli occidentali. E' stato evidenziato che, in tal modo, (OMISSIS) aveva potenziato la diffusione del materiale propagandistico, accrescendo il pericolo che altri potessero non solo emulare atti di violenza e martirio, secondo i principi della jihad, ma anche e soprattutto aderire all'associazione terroristica. Tale valutazione e' indenne da rilievi di illogicita' o vizi di legittimita', trattandosi di un congruo apprezzamento di merito strettamente aderente agli elementi probatori raccolti, dovendosi dare continuita' all'insegnamento per cui "l'esaltazione di un fatto di reato, finalizzata a spronare altri all'imitazione integra il delitto di istigazione a delinquere quando, per le sue modalita', sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti, il cui accertamento, riservato al giudice di merito, e' incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivato" (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253101). In altri precedenti arresti di legittimita', si e' ritenuta integrata detta fattispecie di reato, con le medesime modalita' espressive: "Integra il reato di apologia di uno o piu' delitti, previsto dall'articolo 414 c.p., la diffusione di un documento di contenuto apologetico mediante il suo inserimento su un sito internet privo di vincoli di accesso, in quanto tale modalita' ha una potenzialita' diffusiva indefinita" (Sez. 1, n. 47489 del 06/10/2015, Halili, Rv. 265265). E ancora: "Integra il reato di istigazione a delinquere, la diffusione, mediante l'inserimento su profilo personale Facebook, di comunicazioni contenenti riferimenti alle azioni militari del conflitto bellico siro-iracheno e all'(OMISSIS) che ne e' parte attiva, dai quali, anche solo indirettamente, possa dedursi un richiamo alla jihad islamica e al martirio, in considerazione, sia della natura di organizzazioni terroristiche, rilevanti ai sensi dell'articolo 270 bis c.p., delle consorterie di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale, sia della potenzialita' diffusiva indefinita della suddetta modalita' comunicativa" (Sez. 1, n. 24103 del 04/04/2017, Pm in proc. Dibrani, Rv. 270604: fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva disposto la liberazione dell'indagato, escludendo la rilevanza apologetica di alcune videoregistrazioni postate sul profilo Facebook tra le quali alcune, riguardanti il conflitto bellico siro-iracheno, prive di espliciti riferimenti all'(OMISSIS) e alla matrice islamica radicale che ispirava le sue azioni, ma altre inneggianti esplicitamente alla jihad e al martirio). Quanto al silenzio serbato sulle circostanze della connessione teleologica, si rileva che di esse non si e' tenuto alcun conto nella determinazione del trattamento sanzionatorio, cosi' da ritenere che siano state implicitamente disattese. Pertanto, non vi e' interesse a dedurne l'insussistenza, non avendo dette circostanze esplicato concreti effetti negativi sulla posizione dell'imputato. 5. L'unico motivo che fonda un annullamento parziale della sentenza e' quello attinente al reato di tentate lesioni in danno di un passante, aggravate dalla finalita' di terrorismo e di odio religioso (capo D). Invero, ritiene questa Corte che le accertate modalita' del fatto non siano univocamente ascrivibili alla contestata fattispecie di reato, alla stregua della stessa descrizione della vicenda che l'imputato aveva reso in un'intercettazione (progr. 777), la stessa in cui evidenziava la necessita' di compiere attentati senza danni per le persone musulmane. In tale registrazione (OMISSIS) aveva raccontato all'interlocutore che, in un'occasione - dopo aver visto un video in cui si esaltava la guerra "con questi bastardi" - si era munito di una bottiglia di vetro ed aveva minacciato un passante facendolo fuggire. Pertanto, andra' vagliata in sede di merito la ricorrenza di tale diversa fattispecie di reato, ovvero confermata quella dell'imputazione, previa verifica di ulteriori elementi che assicurino circa l'intenzionalita' lesiva perseguita nell'occasione dall'imputato. 6. A tal fine, la sentenza va annullata in parte qua, con rinvio per ulteriore esame ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Bari. Nel resto, invece, il ricorso deve essere respinto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo D) e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/01/2022 della Corte di appello di Brescia; visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gaetano De Amicis; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Picardi Antonietta, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14 gennaio 2022 la Corte di appello di Brescia ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione processuale di (OMISSIS) verso il Regno del Marocco, al fine di dare esecuzione all'ordine di applicazione della misura della custodia in carcere emessa il 10 ottobre 2019 dal Procuratore del Re presso il Tribunale di prima istanza di Marrakech per i reati di accesso fraudolento ad un sistema informatico di elaborazione dati, modifica dei dati contenuti nel sistema di elaborazione dati, falsificazione di documenti informatici, collocazione, falsificazione ed uso di mezzi di pagamento falsificati commessi in concorso con terzi. 2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore, Avv. (OMISSIS), deducendo vizi di illogicita' ed omessa motivazione in ordine: a) alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, per avere la Corte d'appello ritenuto la configurabilita' delle condotte delittuose nonostante il rilievo della mancata presenza dell'estradando sul territorio del Marocco nell'arco temporale indicato nella sentenza; b) alle condizioni di salute dell'estradando e alla mancata valutazione di un certificato medico psichiatrico. 2.1. Si prospetta, in primo luogo, la mancanza di prove dell'identificazione del (OMISSIS) quale complice di una persona ( (OMISSIS)) tratta in arresto il 23 luglio 2019 a seguito della denunzia di un istituto bancario, laddove l'estradando, unitamente ad una terza persona ( (OMISSIS)), sarebbe arrivato in (OMISSIS), ripartendo per la Bulgaria il successivo 13 luglio, senza mai incontrare il (OMISSIS) e senza alloggiare insieme a lui nel medesimo albergo in Marrakech. 2.2. Si pone altresi' in rilievo il fatto che dalle certificazioni sanitarie in atti prodotte, ma dalla Corte d'appello non valutate, l'estradando risulta affetto da stati patologici (diabete, ipertensione, insufficienza cardiaca, difetti di concentrazione, attacchi di ansia e di panico) aggravatisi durante la custodia cautelare ed incompatibili con lo stato detentivo. 3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 23 febbraio 2022 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate. 2. In ordine al primo motivo di doglianza deve rilevarsi come costituisca espressione di un consolidato orientamento di questa Suprema Corte il principio secondo il quale, in tema di estradizione processuale, in assenza di una convenzione tra gli Stati interessati ovvero in presenza di una convenzione che, come nel caso in esame, non preveda la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, l'autorita' giudiziaria italiana non debba limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda estradizionale, ma debba accertare che in essa risultino indicate le ragioni per le quali e' stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato oggetto dell'estradizione (cosi', tra le tante, Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trandate, Rv. 277560; Sez. 6, n. 40959 del 11/07/2013, Campos Cama, Rv. 258122; Sez. 6, n. 26290 del 28/05/2013, Paredes Morales, Rv. 256566). Di tale regula iuris la Corte di merito ha fatto corretta applicazione, rilevando - sulla stregua della pertinente normativa convenzionale e con motivazione immune da vizi e coerentemente basata sulle risultanze offerte dalla puntuale disamina del materiale informativo trasmesso dallo Stato richiedente - come la relativa documentazione abbia consentito di individuare l'esistenza di plurimi elementi indiziari in ordine al coinvolgimento del ricorrente nella realizzazione dei reati evocati nella domanda di estradizione, per essere giunto in Marocco assieme agli altri indagati, con i quali costantemente si accompagnava in concomitanza con la commissione dei fatti oggetto d'indagine, soggiornando nello stesso albergo e, addirittura, provvedendo in contanti al pagamento delle spese di soggiorno alberghiero sostenute dal principale indagato ( (OMISSIS) Tanislav). Ne' in questa Sede puo' prospettarsi una diversa valutazione in ordine alla consistenza del compendio indiziario sul quale si fonda la richiesta estradizionale, sollecitandosi in tal modo un tipo di sindacato che questa Suprema Corte non puo' esercitare, ove si consideri che, sulla base della Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione sottoscritta dall'Italia e dal Marocco a Roma il 12 febbraio 1971, e ratificata nel nostro ordinamento con L. 12 dicembre 1973, n. 1043, la richiamata tipologia di censure deve incontrare la sua naturale sede di trattazione e disamina dinanzi alle competenti Autorita' giudiziarie dello Stato che ha formulato il petitum estradizionale. 3. Parimenti infondata deve ritenersi, inoltre, la seconda ragione di doglianza dal ricorrente prospettata, atteso che il pregiudizio legato alla configurabilita' della nuova causa di rifiuto prevista dall'articolo 705 c.p.p., comma 2, lettera c-bis), si' come introdottavi dalla L. 3 ottobre 2017, n. 149, articolo 4 sussiste non in presenza di una qualsiasi ripercussione negativa per la salute dell'estradando, ma solo nell'ipotesi in cui dall'estradizione possano derivare conseguenze di eccezionale gravita', ossia effetti patologici importanti ed oggettivamente riscontrabili, il cui trattamento terapeutico non possa essere validamente assicurato dai presidi sanitari dello Stato richiedente (Sez. 6, n. 1354 del 27/11/2018, dep. 2019, Fioretti, Rv. 274837): evenienze, queste, non ricollegabili, si' come dalla Corte distrettuale correttamente osservato, al tipo di patologie emergenti dalla documentazione ivi prodotta dal ricorrente, ove si fa riferimento a stati patologici che non determinano un imminente pericolo di vita, ne' un'incompatibilita' con lo stato detentivo, dunque a condizioni di salute non oggettivamente inquadrabili, allo stato, nell'ambito di un pericolo il cui trattamento non possa essere proseguito ed assicurato, con le opportune modalita' e precauzioni del caso, da parte delle autorita' sanitarie del Paese richiedente. 4. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvedera' all'espletamento degli incombenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 203 disp. att. c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO SESTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Ferrari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 39903/2020 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il proc. dom. avv. CA.ST., VIA (...) POGLIANO MILANESE parte attrice contro (...) SPA (C.F. (...) ), con il proc. dom. avv. PISAPIA VITTORIO, VIA (...) MILANO (...)T. S.P.A. (C.F. (...) ), con il proc. dom. avv. DI CECCO GIUSTINO ((...)) VIA (...) ROMA, parte convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) s.p.a., al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito di alcune operazioni abusive compiute sul proprio conto corrente. L'attore in particolare esponeva: - che era titolare di un conto corrente acceso presso (...), cui accedeva una carta di credito; - che tra il 7.5.2020 e il 18.5.2020 riceveva da ignoti una mail, con una richiesta di riscatto per dati personali, nonché successive mail di phishing apparentemente provenienti da (...), con le quali gli veniva chiesto di confermare le credenziali per operare tramite l'home banking; - che l'attore non dava seguito a tali mail, ma si preoccupava di avvisare di tali comunicazioni la banca convenuta, chiedendo il blocco della carta di credito e un appuntamento; - che la banca fissava tale appuntamento solo il 20.5.2020; - che, tuttavia, nelle more e, precisamente, il 16.5.2020 l'attore notava che la sua sim telefonica (...) risultava essere stata disabilitata; - che, una volta ristabilito il proprio numero telefonico, l'attore appurava che tra il 17 e il 18.5.2020 ignoti avevano disposto sul proprio conto dei bonifici istantanei per la somma complessiva di euro 51.702,40 a favore di soggetti sconosciuti al (...); - che l'attore provvedeva a sporgere denuncia ai Carabinieri e, successivamente, in sede di ricostruzione dell'accaduto, appurava con sorpresa che la carta di credito di cui aveva richiesto il blocco era invece ancora attiva, tanto che il 17.6.2020 ignoti avevano effettuato un ulteriore prelievo, portando le distrazioni a una somma complessiva di euro 51.900,00; - che, a seguito della contestazione relativa a tali operazioni, la banca convenuta dapprima provvedeva a riaccreditare sul conto le somme sottratte, salvo in un secondo momento stornare tali importi, riconducendo il saldo del conto in passivo per euro 38.197,27; - che, così facendo, la banca provvedeva quindi a compensare l'intero importo della pensione nelle more accreditata sul conto, di fatto privando l'attore dell'unica sua fonte di sostentamento; - che la banca convenuta era responsabile del danno patito dall'attore, in quanto non aveva vigilato sul suo conto corrente, nonostante fosse stata avvisata degli attacchi informatici in corso e, al contrario, aveva fissato al cliente un appuntamento troppo avanti nel tempo; - che la banca non aveva attuato alcuna cautela, nonostante il preavviso delle anomalie esistenti, dando corso a bonifici per importi anomali, rispettivamente di 20 e di 25 mila euro; - che la banca non aveva tempestivamente bloccato la carta di credito, nonostante la richiesta in tal senso avanzata dall'attore, tanto che la stessa era risultata ancora attiva anche dopo che era stata sporta la denuncia; - che la banca non aveva adottato sistemi di sicurezza adeguati al fine di evitare che i propri clienti fossero esposti a simili truffe informatiche; - che la banca aveva violato gli obblighi in materia di tutela dei dati personali, nonché quelli dettati dalla disciplina anti riciclaggio; - che, in subordine, qualora non fosse stata riscontrata la responsabilità della banca, era comunque prospettabile la responsabilità di (...), la quale aveva consentito al rilascio di un duplicato della sua sim telefonica a soggetto non legittimato, rendendo in tal modo possibile il trasferimento dell'operatività online del conto corrente su uno smartphone diverso da quello in possesso all'attore. Si costituiva ritualmente in giudizio (...) s.p.a., contestando quanto ex adverso dedotto e, in particolare, evidenziando come la richiesta di blocco della carta di credito risalisse a un mese prima rispetto ai presunti attacchi informatici; che, su richiesta dell'attore, la banca aveva rilasciato una nuova carta di credito con numero differente, la quale, in ogni caso, era stata chiusa sempre su richiesta del (...) prima dell'ultimo prelievo oggetto di contestazione. Si costituiva altresì (...) s.p.a., a sua volta contestando la tesi attorea e, in particolare, evidenziando come il rilascio del duplicato della sim fosse stato richiesto dall'attore per tramite di un rivenditore, attraverso la sottoscrizione di un apposito modulo, cui era allegata la fotocopia della carta di identità del F.. Alla prima udienza successiva alla mediazione il procuratore di parte attrice disconosceva la firma apposta sul modulo prodotto dalla convenuta ed evidenziava la falsità del documento di identità allo stesso allegata. Senza che fosse dato corso ad attività istruttoria alcuna, il giudice rinviava all'udienza del 18.1.2022 per la precisazione delle conclusioni; adempiuto detto onere processuale, la causa era trattenuta in decisione, previo deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica ad opera delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda attorea è parzialmente fondata nei confronti della sola (...) nei limiti che di seguito si indicano. La ricostruzione dei fatti. Solo a seguito delle difese articolate dalle convenute è stato possibile ricostruire i fatti oggetto di causa, avendo parte attrice rettificato numerosi aspetti della vicenda, rispetto a quanto inizialmente articolato. In particolare, quindi, alla luce delle reciproche difese e dei dati non contestati dalle parti è possibile ricostruire come il 16.5.2020 il (...) avesse riscontrato come la propria sim telefonica non fosse più attiva; una volta recatosi presso un esercizio commerciale di (...) per ottenere il rilascio di un duplicato della sim, riabilitata l'utenza, l'attore riceveva numerosi messaggi, tra cui diversi dalla banca; effettuato, quindi, un accesso online sul proprio conto corrente, il (...) poteva constatare che tra il 17 e il 18.5.2020, ossia nel periodo in cui l'utenza telefonica era stata disabilitata, ignoti avevano potuto effettuare diverse disposizioni sul proprio conto corrente, distraendo la somma complessiva di euro 51.900,00 tramite 14 operazioni abusive. Da ulteriori verifiche si apprendeva che il mancato funzionamento dell'utenza telefonica fosse dipeso dal fatto che ignoti avessero chiesto a (...) un duplicato della sim e che, il suo rilascio di fatto aveva disabilitato la sim originaria nella disponibilità del F.. Se, pertanto, nella sostanza i fatti dedotti in giudizio sono quelli appena riassunti, va per prima cosa depurato il contenzioso da una serie di fatti, cui si ricollegano doglianze relative a presunte negligenze da parte dell'istituto di credito, che hanno poi, come si è detto, formato oggetto di rettifica da parte della difesa attorea. In particolare va ricollocata nell'indifferenza la richiesta di blocco di una prima carta di credito rilasciata al (...): sebbene questi inizialmente ricolleghi tale vicenda ai fatti di causa, addirittura imputando alla banca di non avervi provveduto tempestivamente, tanto che la carta di credito sarebbe risultata attiva anche dopo la denuncia sporta ai Carabinieri, la convenuta ha dimostrato come in realtà la richiesta di blocco risalisse a un mese prima i fatti di causa e che la banca vi avesse immediatamente dato seguito. Parimenti, parte attrice ha dovuto rettificare la doglianza relativa alla fissazione in suo favore di un appuntamento presso l'istituto di credito con notevole ritardo, nonostante l'urgenza rappresentata dal (...), costituita dagli attacchi informatici cui era esposto: a seguito delle difese della banca, l'attore ha dovuto riconoscere come la richiesta di appuntamento non fosse stata avanzata in occasione della richiesta di blocco della carta di credito e che, conseguentemente, il denunciato ritardo o indifferenza dell'istituto di credito a fronte delle segnalazioni di attacchi informatici non rispondesse al vero. Modalità della truffa informatica. Fatte tali precisazioni, vanno a loro volta ricostruite le modalità con le quali la truffa informatica ai danni dell'attore è stata consumata. Sul punto, infatti, l'attore si è limitato a sostenere di avere dapprima ricevuto una mail di richiesta di riscatto per la restituzione dei suoi dati personali e poi una serie di mail di phishing apparentemente provenienti dalla banca, alle quali tutte non aveva dato seguito, ricollegando implicitamente l'operatività abusiva sul suo conto alla duplicazione non richiesta della sim telefonica e al difetto dei sistemi di sicurezza della banca. Sennonché, come opportunamente evidenziato da entrambe le convenute, la mera disponibilità abusiva dell'utenza telefonica dell'attore di per sé non avrebbe consentito al truffatore di operare illecitamente sul conto corrente del (...), in quanto, come documentato dalla banca, il sistema di home banking di (...) è supportato da un sistema di sicurezza forte, ossia articolato su due differenti piani distinti, costituiti da un lato da credenziali conosciute dal solo correntista (le cosiddette password statiche, rappresentate dal codice cliente e dal pin) e, dall'altro lato, da dati oggetto di possesso da parte del correntista (il codice OTP, ossia la password temporanea che viene elaborata tramite l'app della banca scaricata sullo smartphone o inviata sull'utenza telefonica certificata tramite un messaggio telefonico). In sostanza, al fine di eludere il sistema di sicurezza è necessario non solo disporre dell'utenza telefonica del correntista, in modo da poter ricevere il codice OTP, ma prima ancora bisogna conoscere le credenziali statiche del correntista, in quanto solo attraverso di esse è possibile accedere al conto online (anche se per operarvi è poi necessario la password temporanea). Ne discende, pertanto, che la sola richiesta illecita di duplicato della sim non può essere stata sufficiente a consentire al truffatore di disporre sul conto corrente dell'attore, ma certamente questi già conosceva anche le credenziali statiche del (...). Ne consegue, quindi, che da un punto di vista logico l'acquisizione illecita della utenza telefonica dell'attore ha rappresentato il momento finale della truffa informatica, dal momento che l'autore della stessa doveva già necessariamente essere a conoscenza non solo delle credenziali statiche e, quindi, dell'esistenza stessa del conto corrente presso una determinata banca, ma doveva conoscere pure il numero di telefono e quindi i dati dell'utenza telefonica accreditata al conto corrente. Tali dati, evidentemente, devono essere stati involontariamente forniti dallo stesso attore, il quale deve ritenersi abbia risposto a una delle mail di phishing ricevute, immettendo tutte le credenziali e le informazioni poi utilizzate al fine di consentire il perfezionamento della truffa. Solo in tale modo, infatti, il truffatore può essere entrato in possesso di tutti gli elementi che gli hanno consentito di operare illecitamente sul conto corrente; diversamente non sarebbe spiegabile, né tanto meno l'attore prospetta un differente modo che abbia consentito al truffatore di operare sul suo conto. Deve concludersi, pertanto, come logicamente non risponda al vero quanto sostenuto dalla difesa attorea, secondo cui il (...) non avrebbe mai dato seguito alle mail di phishing ricevute. Ciò, d'altra parte, risulta confermato anche dalla documentazione prodotta dalla banca, la quale ha estratto i log relativi agli accessi sull'home banking dell'attore, riscontrando come il 5.5.2020 risultasse essere stato effettuato un accesso proveniente da un ID differente da quello solito utilizzato dal (...): deve desumersi, quindi, che già il 5.5.2020 il truffatore avesse acquisito la disponibilità delle credenziali statiche dell'attore e, quindi, si sia attivato per conseguire altresì la disponibilità dell'utenza telefonica, mediante la richiesta di duplicato della sim risalente al giorno 16.5.2020. Ricostruita, pertanto, nei termini indicati la modalità con cui il truffatore è riuscito a operare illecitamente sul conto corrente dell'attore, si tratta a questo punto di valutare i profili di responsabilità e, quindi, la fondatezza o meno delle domande proposte con il presente giudizio. Responsabilità di (...) s.p.a. La pretesa risarcitoria nei confronti della banca muove dalla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 11 del 2010, il quale nella sostanza configura un obbligo per l'istituto di credito di rimborsare le somme oggetto di disposizioni non autorizzate dal cliente, a meno che l'operatività illecita di terzi non sia conseguenza del dolo o della colpa grave del cliente. Vanno, infatti, disattese le specifiche contestazioni inizialmente mosse all'istituto di credito e poi almeno in parte rettificate dalla difesa attorea, collegate a un asserito ritardo nel disporre il blocco della carta di credito, piuttosto che a un inadeguato sistema di sicurezza adottato a tutela dell'integrità dei conti correnti intestati alla clientela, considerato da una parte quanto già detto in ordine a una rettifica della prima doglianza, peraltro documentalmente smentita dalla convenuta e, dall'altro alto, il sistema di sicurezza forte sopra descritto, di cui la banca ha dato conto di essersi dotata e che non è stato in alcun modo contestato dall'attore. Trattasi di sistema di sicurezza rispondente ai parametri della normativa tecnica più aggiornata, rispetto ai quali non è possibile muovere censura alcuna. Del tutto generica, infine, è rimasta la contestazione su una asserita responsabilità dell'istituto di credito per omessa vigilanza sui conti correnti, considerato come non sia esigibile in capo alle banche una verifica nel merito delle disposizioni richieste dai clienti, al fine di valutarne eventuali profili di anomalia. Sotto questo aspetto, quindi, del tutto fuori luogo è il richiamo agli obblighi di vigilanza posti a carico delle banche dalla disciplina in materia di antiriciclaggio, considerato come tale normativa miri a finalità differenti dalle esigenze di sicurezza nell'operatività della clientela e che, in ogni caso, a fronte di operazioni ritenute anomale per i parametri considerati, nessuna accortezza è prevista in favore del cliente, ma solo in contrapposizione a quest'ultimo, al fine di scongiurare che questi possa commettere illeciti che la normativa è finalizzata a ostacolare. L'unico profilo di responsabilità prospettabile in capo alla banca, quindi, rimane collegato alla disciplina specifica in materia di operatività a distanza, di cui al citato D.Lgs. n. 11 del 2010. Ebbene la normativa invocata prevede come regola generale una responsabilità dell'istituto di credito in caso di operatività non autorizzata dal cliente, a meno che questa non discenda dal dolo o dalla colpa grave del cliente stesso; ergo, grava sull'operatore bancario l'onere di provare che l'illecita operatività ad opera di terzi, con riferimento alle disposizioni contestate, sia stata resa possibile dal dolo o dalla colpa grave del cliente. Tralasciato nel caso di specie il profilo soggettivo del dolo, mai prospettato dalle parti, deve ritenersi che il prestare fede a una mail di phishing già di per sé concreti i presupposti della colpa grave. Sul punto, infatti, non possono non essere considerate le campagne informative che in modo assiduo vengono proposte da tutti gli istituti di credito e, in generale, dai mezzi di comunicazione, con l'avvertimento di non immettere le proprie credenziali in siti internet o in sede di risposta a mail apparentemente provenienti da banche, in quanto trattasi di dati che nessun dipendente di banca è legittimato a richiedere; la diffusione e la capillarità di tali campagne, evidentemente in risposta alla frequenza con la quale tali mail vengono inviate a pioggia a tutti gli utenti, fa sì che oggi non possa che essere ascritto a una condotta gravemente negligente cadere in simili inganni, a meno che non si provi che il raggiro non sia stato attuato con modalità particolarmente persuasive, tali da indurre una persona di normale avvedutezza in errore sulla provenienza della richiesta e sulla plausibilità della stessa. Se, infatti, la mera richiesta di aggiornamento dati o di verifica, tale da necessitare l'inserimento delle credenziali riservate in qualche form, costituisce un tentativo di truffa agevolmente riconoscibile, anche in ragione del linguaggio utilizzato, che frequentemente evidenzia errori e imprecisioni tipiche di una traduzione automatica del testo nella lingua italiana, piuttosto che incoerenze tra i riferimenti contenuti nel messaggio e il rapporto effettivamente intrattenuto dal destinatario, diverso potrebbe essere il caso là dove il messaggio di phishing sia consequenziale a situazioni personali del destinatario, tali da rendere la richiesta particolarmente meritevole di fiducia, ossia da non consentire il sorgere di legittimi sospetti sulla stessa. Ma se è onere della banca, come sopra chiarito, dimostrare che l'operazione contestata sia stata effettuata da soggetto non legittimato grazie alla condotta dolosa o gravemente colposa del cliente, una volta che tale elemento soggettivo sia stato prospettato (per il fatto che l'operatività risulti essere stata resa possibile per avere il cliente messo a disposizione le credenziali in risposta a una mail di phishing), sarà onere di questi, in chiave di contro-eccezione, provare che in realtà l'inganno perpetrato con il messaggio era tale che, per le particolari sua modalità o caratteristiche, avrebbe potuto trarre in errore una persona di normale avvedutezza. Nel caso di specie, una volta ricostruita nei termini esposti la truffa di cui è rimasto vittima il (...), sarebbe stato onere dell'attore produrre la mail di phishing di cui era rimasto vittima, al fine di dimostrare come la stessa, in considerazione delle sue particolarità specifiche, avrebbe tratto in inganno una persona di normale diligenza; in difetto di tale produzione e, quindi, della prova dell'elemento costitutivo della sua ipotetica contro eccezione, ne consegue che debba ritenersi operante la scriminante della condotta gravemente colposa del cliente, con conseguente effetto liberatorio per la banca convenuta. Per tale ragione, pertanto, la domanda risarcitoria avanzata nei confronti dell'istituto di credito non può essere accolta. Per completezza va respinta anche l'ulteriore pretesa risarcitoria azionata nei confronti di (...), ricollegata allo scoperto creato sul conto corrente attoreo a seguito dello storno delle somme inizialmente accreditate in restituzione; l'attore, infatti, ha dedotto come, avendo in tal modo l'istituto di credito provocato uno scoperto sul conto, aveva poi di fatto interamente compensato il successivo accredito del rateo di pensione, riducendo corrispondentemente il saldo passivo gravante sull'attore. Su tali premesse, quindi, l'attore ha prospettato il proprio diritto a ottenere il risarcimento di un danno, parametrato all'importo previdenziale oggetto della compensazione parziale. Sennonché va osservato come la banca convenuta abbia sconfessato i presupposti in fatto della doglianza, evidenziando come, subito dopo che l'istituto di credito aveva accreditato la somma di euro 45.000,00 in conseguenza della contestazione mossa dal cliente, questi aveva bonificato a terzi 40.000,00 euro come premio di una polizza assicurativa e che, pertanto, lo scoperto creatosi con la retrocessione della somma in precedenza restituita, si era determinato per effetto di tale atto dispositivo, non contestato dalla difesa attorea. Responsabilità di (...) s.p.a.. La responsabilità di (...) è stata, invece, ricollegata alla fase finale della truffa perpetrata ai danni dell'attore, ossia al rilascio da parte della compagnia telefonica di un duplicato della sim assegnata al (...), con conseguente disattivazione della sim originaria. A fronte, infatti, della produzione in giudizio da parte della convenuta del modulo sottoscritto per la richiesta di rilascio del duplicato, in uno con l'allegato documento di identità del richiedente, parte attrice ha disconosciuto la firma apposta in calce alla domanda, evidenziando come la carta di identità allegata fosse un falso grossolano. Da parte sua, invece, la compagnia telefonica ha replicato, da un lato evidenziando come tale documentazione gli fosse stata trasmessa da un rivenditore autorizzato, senza che la convenuta potesse procedere direttamente all'identificazione del cliente; dall'altro lato, sul piano propriamente processuale, ha eccepito il ritardo con cui era astato effettuato il disconoscimento della firma, con l'effetto che la stessa dovesse ormai darsi per riconosciuta e che, quindi, il modulo di richiesta di duplicato dovesse considerarsi provenire a tutti gli effetti dall'attore. Per ragioni di ordine logico appare preliminare l'esame di tale secondo profilo, dovendosi effettivamente riconoscere la tardività con cui è stato effettuato il disconoscimento della firma da parte dell'attore. Ai sensi dell'art. 215 c.p.c., infatti, la parte contro la quale viene prodotta un scrittura privata è tenuta a disconoscerla entra la prima difesa utile successiva alla produzione; nel caso di specie il modulo in questione è stato allegato dalla convenuta alla propria comparsa di risposta, depositata in tempo utile ai fini di una costituzione tempestiva della parte; alla prima udienza le parti si sono limitate a eccepire il mancato preventivo esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, per cui il giudice sospendeva il processo al fine di consentire l'esperimento di tale condizione di procedibilità, fissando l'udienza successiva di comparizione delle parti; non essendo stata raggiunta una definizione amichevole della controversia; all'udienza così programmata parte attrice ha proceduto al disconoscimento della sottoscrizione. Come, quindi, eccepito dalla convenuta, deve ritenersi che tale disconoscimento sia stato effettuato tardivamente, non precludendo l'effetto di riconoscimento tacito della sottoscrizione ex art. 215 c.p.c., in quanto l'attore avrebbe dovuto formalizzare la contestazione già alla prima udienza, essendo questa la prima occasione difensiva utile per provvedervi. Va quindi, accertato quanto meno sul piano processuale come il modulo di domanda di rilascio di duplicato della sim sia stato sottoscritto dal F.. Tale prova legale, viceversa, non si estende anche al momento successivo di trasmissione di tale modulo a (...). Come si è detto, infatti, il modulo in questione, in uno con copia di una carta di identità a nome dell'attore, sono state poi trasmesse alla convenuta, la quale vi ha dato corso, emettendo il duplicato. Ebbene, è chiaro che gli effetti del modulo in questione si siano prodotti solo nel momento in cui lo stesso è giunto a conoscenza della compagnia telefonica, per cui, dato per scontato che tale modulo sia stato sottoscritto dal (...), bisogna poi verificare se lo stesso sia stato da questi trasmesso e, in caso contrario, se la sua abusiva trasmissione ad opera di terzi fosse verificabile e, quindi, riconoscibile dalla convenuta. Ai fini di tale valutazione determinante è l'esame del documento identificativo allegato alla richiesta, così come prodotto dalla stessa convenuta. Come, infatti, eccepito dalla difesa attorea, tale documento costituisce oggetto di un falso grossolano, configurandosi per le sue stesse caratteristiche come un documento oggettivamente impossibile di immediata percezione. L'esame del documento, trasmesso in copia fronte retro, infatti, evidenzia come la carta di identità sarebbe stata emessa dal Comune di Milano in favore di (...), residente in L., ma sottoscritta per emissione dal Sindaco di Arese: come si diceva, è di immediata percezione come si tratti di documento di identità impossibile, in quanto non potrebbe per definizione essere emesso da un Comune per un cittadino residente in altro Comune e sottoscritto per emissione dal Sindaco di un terzo Comune. L'indiscutibile falsità del documento, cui si aggiunge la fotografia del cittadino differente per sembianze somatiche rispetto all'attore, consente di presumere con altissimo grado di certezza che il modulo in questione non sia stato trasmesso dal (...), in quanto questi non avrebbe avuto certo la necessità di allegare alla richiesta un documento palesemente falso. La grossolanità di tale falso, inoltre, avrebbe dovuto essere agevolmente riscontrata dalla compagnia telefonica, la quale, proprio perché per la sua struttura organizzativa, al fine di assicurare una sua presenza commerciale capillare sul territorio, si avvale di terzi per le attività dirette con la clientela, avrebbe dovuto prestare una attenzione specifica al documento di identità allegato alla richiesta di duplicato della sim, al fine di verificare, nei limiti di quanto è possibile a distanza, ossia senza un contatto diretto con il richiedente, che l'istanza provenga effettivamente dal soggetto a ciò legittimato; diversamente, infatti, non si comprenderebbe neppure la ragione di raccogliere copia del documento identificativo, al fine di allegarlo alla richiesta. Ebbene, a fronte di un documento di identità palesemente contraffatto, la compagnia telefonica avrebbe dovuto astenersi dal rilasciare il richiesto duplicato, rientrando l'esame del documento, quanto meno in ragione del suo contenuto e in riferimento a dati talmente grossolani, quale condotta esigibile in forza dei canoni di diligenza qualificata propria dell'operatore professionale. Sennonché, come si è detto sopra, il rilascio del duplicato della sim di per sé non avrebbe consentito al truffatore di operare illegittimamente sul conto corrente dell'attore, ma per fare ciò questi deve necessariamente avere in precedenza consegnato tutte le credenziali statiche, evidentemente in quanto tratto in inganno da una delle mail di phishing ricevute. In forza, quindi, dell'eccezione difensiva articolata dalla convenuta, va riconosciuto un concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 primo comma c.c., considerato come il danno da questi patito si sia determinato solo per effetto della concorrente condotta negligente del (...) e di (...), il primo per avere messo a disposizione le credenziali statiche del proprio conto corrente online e i riferimenti della propria utenza telefonica, cadendo nell'inganno attuato tramite la mail di phishing; la seconda, per avere negligentemente rilasciato al truffatore il duplicato della sim, che ha consentito di conseguire la disponibilità anche delle credenziali dinamiche (la password OTP). Il pari contributo causale delle due condotte colpose impone di quantificare in misura paritetica il concorso di colpa, con l'effetto che la convenuta va condannata a risarcire l'attore per il danno patito nella misura del 50%. La quantificazione del pregiudizio, per le ragioni già esposte, non comprende il rateo della pensione compensato con lo scoperto di conto, ma deve essere circoscritto all'ammontare degli importi distratti con le operazioni abusive e, quindi, nella somma di euro 51.900,00. Per tale ragione (...) va condannata a pagare per il titolo sopra indicato la somma di euro 25.950,00, oltre a interessi dal 29.10.2020 (data di notifica della domanda, non avendo parte attrice esplicitato una differente decorrenza) al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e, per l'effetto, il convenuto va condannato a rifondere (...) di complessivi euro 7.705,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 1.005,00 per spese generali; (...) va condannata a rifondere l'attore delle spese di lite, quantificate secondo l'ammontare dei danni dalla prima risarcibili e quindi liquidate in complessivi euro 4.006,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 420,00 per spese generali ed euro 786,00 per rimborso spese. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza disattesa: - in parziale accoglimento della domanda proposta da (...) nei confronti di (...) s.p.a., condanna quest'ultima a pagare all'attore la somma di euro 25.950,00, oltre a interessi dal 29.10.2020 al saldo; - rigetta la domanda proposta dall'attore nei confronti di (...) s.p.a.; - condanna l'attore a rifondere la convenuta (...) s.p.a. delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 7.705,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 1.005,00 per spese generali; - condanna (...) s.p.a. a rifondere l'attore delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 4.006,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 420,00 per spese generali ed euro 786,00 per rimborso spese. Così deciso in Milano il 13 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2022.

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