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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 308 del 2023, proposto da Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), Unione Pedemontana Parmense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti So.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. Co., Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Lu. Ug. S.r.l., Ce. Fi. S.p.A., non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) del provvedimento 7/9/2023 dell'Unione Pedemontana Parmense - Sportello unico Attività produttive che ha rilasciato alla controinteressata il provvedimento conclusivo di SUAP relativamente all'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis); b) del provvedimento, firmato in data 7/9/2023, con il quale il Comune di (omissis) ha comunicato allo Sportello Unico la conclusione dell'iter istruttorio per il rilascio del PdC n. 6/2023 per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); c) del Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 che il Comune di (omissis) ha rilasciato alla controinteressata per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); d) della delibera 19/6/2023 n. 28 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); e) della delibera 9/5/2023 n. 64 della Giunta Municipale del Comune di (omissis); f) della delibera 31/7/2023 n. 44 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Unione Pedemontana Parmense e di So.Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento previa sospensione dei provvedimenti in epigrafe indicati con i quali è stato rilasciato il Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 dal Comune di (omissis) alla controinteressata per l'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis). La So.Co. S.r.l. si è costituita in giudizio spiegando le proprie difese con atto del 28 novembre 2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria l'1 dicembre 2023. L'Unione Pedemontana Parmense, costituitasi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria difensiva in pari data. Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2023 parte ricorrente ha rinunciato alla richiesta di misura cautelare. Con atto depositato in giudizio il 18 luglio 2024 l'Unione Pedemontana Parmense ha spiegato le proprie argomentazioni finali ed ha replicato alle avverse doglianze con atto del 26 luglio 2024. La ricorrente ha depositato in giudizio memoria conclusiva il 18 luglio 2024 e replicato alle avversarie controdeduzioni con atto del 26 luglio 2024. Il Comune resistente ha depositato in giudizio memoria finale il 18 luglio 2024 e di replica il 26 luglio 2024. La controinteressata So.Co. S.r.l. ha depositato memoria difensiva il 16 luglio 2024 e replicato con atto del 26 luglio 2024. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024 dopo la discussione la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte ricorrente ha evidenziato in punto di fatto che la Ga. è una società che esercita l'attività di vendita di despecializzato alimentare (con una SV fino a 1499 mq.) nonché di prodotti per animali - PET - (con una SV di 316 mq): tali attività vengono esercitate in (omissis), Largo (omissis), in locali posti a circa 700 ml dai luoghi di cui si discute e posti lungo la medesima arteria veicolare rispetto a quella ove dovrebbe sorgere l'esercizio autorizzato con gli atti gravati; da ciò la difesa attorea assume la piena legittimazione della ricorrente al ricorso (quale soggetto insediato nella zona) nonché il suo interesse al ricorso per l'evidente concorrenza che il nuovo esercizio farebbe alla ricorrente con il correlativo rilevante danno economico. In particolare l'esponente lamenta che: - lungo la via (omissis) il Comune di (omissis) ed il SUAP hanno assentito la completa ridefinizione dell'assetto dell'intera area ove sorgeva lo stabilimento di stagionatura ex Fi., prevedendo: a) la demolizione dell'esistente fabbricato (un solo fabbricato), b) la realizzazione di due nuovi fabbricati con destinazioni prima non ammesse con rilevanti modifiche planimetriche e la divisione in due distinti comparti, c) una completa rivisitazione degli spazi, dei parcheggi, della viabilità interna ed esterna al lotto, d) la realizzazione di opere fuori comparto da parte del soggetto attuatore (opere delle quali neppure si attesterebbe la conformità urbanistica); - le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere: U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.). Dagli elementi sopra riportati, parte attrice rappresenta che nella fattispecie non si tratterebbe di un intervento di ristrutturazione edilizia bensì, più propriamente, di un intervento di ristrutturazione urbanistica con la conseguente illegittimità dell'intero procedimento seguito dal Comune di (omissis). In punto di fatto la controinteressata ha precisato che: - si tratta di un intervento di recupero di un complesso produttivo già destinato alla stagionatura di salumi, da tempo dismesso nella sua attività, complesso produttivo che si trova in comune di (omissis) ed è distinto nel catasto di questo comune come segue: a. stabilimento industriale censito al catasto urbano di (omissis), al foglio (omissis), particelle (omissis) sub (omissis)Cat A\3 e sub (omissis) Cat D\7, in ditta alla Lu. Ug. S.r.l. alla stessa pervenuto mediante conferimento di cui all'atto costitutivo della società con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. in data 22 dicembre 1998 n. rep. 17891, racc. 4941 debitamente registrato; l'area di posa e pertinenza dello stabilimento industriale identificata dal foglio (omissis) particella (omissis) è estesa per mq 15410; b. terreni censiti al catasto terreni di (omissis): foglio (omissis) particella (omissis) bosco ceduo di mq 1790 - RD Euro 5,08 - RA Euro 1,66, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 540 - RD Euro 1,53 - RA Euro 0,50, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 340 - RD Euro 0,97 - RA Euro 0,32, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 31.070 - RD Euro 144,42 - RA Euro 240,69, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 1.500 - RD Euro 6,97 - RA Euro 11,62. I suddetti terreni appartengono alla Ce. Fi. S.p.A. in seguito ad atto di fusione per incorporazione della Ce. Fi. S.p.A. nella Ro. S.p.a. con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. di Roma del 12.12.2005 rep. 25968 racc. 9418; - dal punto di vista urbanistico, nel vigente strumento (PSC - piano strutturale comunale), l'area interessata dal complesso produttivo è così qualificata: "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento (D5)"; - il compendio immobiliare è caratterizzato dalla presenza di un vetusto fabbricato a destinazione produttiva, avente una volumetria complessiva, nelle varie parti in cui è composto, di mc 54.156 circa, ubicata su un'area estesa mq 50.650 (tutta la proprietà a seguito dell'esproprio per realizzare una rotatoria in zona pari a mq. 2.523, risulterà pari a mq 48.127 al netto dell'area espropriata), con una superficie occupata e coperta pari a mq 4.538 circa (superficie costruita mq 10.626 circa): l'altezza del fabbricato oscilla dai mt 31 nei punti più alti, per passare gradualmente a mt 28, fino ad arrivare a mt. 24, nella parte di maggiore estensione; - il complesso immobiliare, nella parte direttamente interessata dal progetto di intervento in discussione, è ubicato, nel vigente PSC, all'interno del territorio urbanizzato, e l'intervento si caratterizza per la demolizione del dismesso fabbricato produttivo, con ricostruzione, pressoché sulla medesima area di sedime, di un nuovo compendio immobiliare con dimezzamento delle dimensioni volumetriche e di superficie utile e con dimezzamento della precedente altezza; - la superficie costruita passa dagli esistenti mq 10.626 ai mq 4.183, mentre il volume scende da mc complessivi 54.146 ai mc 31.320: l'altezza, anche prendendo a riferimento solo quella del corpo più grande, che è, come già visto, pari a mt 24, diventa, nella parte più alta, di mt 8, per scendere fino a mt 6. La controinteressata, alla luce dei dati soprariportati, evidenzia che la riduzione complessiva, che si intende apportare alla dimensione del compendio esistente, può definirsi significativa nell'ottica di riuso e/o rigenerazione urbana. Con il primo motivo di ricorso "Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Falsa rappresentazione. Difetto di motivazione. Violazione degli artt. 20 L. reg. n. 15/2013, dell'Allegato A tale Legge sub lett h), nonchè dell'art 13 L. reg. n. 24/2017" la ricorrente ha dedotto che non sussisterebbero i presupposti per il permesso di costruire in deroga ai sensi all'art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013 che ammette la possibilità di rilasciare simile titolo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, qualora il Consiglio Comunale ne attesti l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; la norma richiamata, sottolinea la difesa attorea, prevede siffatta modalità solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia mentre tale possibilità non è prevista relativamente alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica. Quanto all'intervento di cui è causa, l'esponente lamenta che dalla descrizione presente nella relazione tecnica descrittiva allegata alla delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 emergerebbe che lo stesso si sostanzia in un intervento di ristrutturazione urbanistica: dal raffronto tra le tavole dell'inquadramento catastale, ove compare un unico imponente fabbricato (pg. 2 della relazione tecnica), con quanto rappresentato a pag. 9 della relazione di inquadramento urbanistico dell'intervento, ove compaiono 2 edifici denominati comparto A e comparto B, una viabilità interna, dei parcheggi pubblici e le aree di cessione per verde, parcheggi e passaggi pedonali, oltre ad opere fuori comparto, scaturirebbe che si è in presenza di un radicale intervento di trasformazione di una area vasta (50.650 mq. è l'area di proprietà e 21.852 mq. l'area di intervento) ove, sulla base di quanto indicato nella relazione tecnica descrittiva, in luogo del preesistente fabbricato (che copre una superficie di circa 5.000 mq e si sviluppa su più piani per altezze massime di circa 28/32 ml per una superficie complessiva di circa 10.600 mq. ed un volume di circa 54.000 mc a destinazione produttiva), il soggetto proponente intende a) attivare attività commerciali e terziarie, b) demolire il preesistente fabbricato, c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard), e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis), f) introdurre nuove destinazioni d'uso. Assume, quindi, da tali considerazioni parte attrice che si tratti di un intervento di ristrutturazione urbanistica come definito dalla lettera h) dell'allegato alla L. R. n. 15/2013 che definisce quali "interventi di ristrutturazione urbanistica" gli interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale: la difesa attorea richiama a comprova della proposta lettura il disposto dell'art. 13 della L. R. n. 24/2017 quale indiretta conferma di ciò, visto che la deroga ha riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto il PdC convenzionato il luogo del PdC tout court previsto dal PRG. Stigmatizza l'esponente che la modifica del titolo edilizio per l'attuazione degli interventi non rientra tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013, con correlativa ulteriore dedotta illegittimità degli atti impugnati. Al riguardo la Ga. S.r.l. segnala che essa ha interesse anche sotto tale profilo poiché gli atti qui impugnati condizionavano il rilascio del permesso di costruire alla approvazione-sottoscrizione della convenzione urbanistica sicché la caducazione della previsione del PdC convenzionato comporta il venir meno del necessario (perché così deliberato) presupposto per tale rilascio. Rimarca la difesa attorea che i provvedimenti gravati sarebbero tutti finalizzati a rilasciare un permesso di costruire in deroga per un intervento diverso e più esteso rispetto a quello disciplinato dall'art. 20, comma 2-bis, L. reg. n. 15/2013 che consente il rilascio di un permesso di costruire in deroga solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia e non per quelli di ristrutturazione urbanistica, che sono interventi profondamente diversi sicché l'ammissibilità dell'una o dell'altra forma di intervento deve essere prevista dallo strumento urbanistico generale. Secondo la prospettazione attorea, la ristrutturazione urbanistica comporta un intervento vasto che richiede adeguata ponderazione ed adeguata partecipazione: di norma gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono attuati mediante PUA ovvero PRU e cioè atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi, distinto in due fasi, quella di adozione e quella di approvazione (quest'ultima preceduta dalle osservazioni che chiunque può formulare). Evidenzia sul punto la ricorrente che nella fattispecie tutto il procedimento sarebbe stato sottratto alla fase delle osservazioni che il Comune non ha consentito restando del tutto irrilevante l'ipotetica partecipazione di cui il Comune fa cenno negli atti gravati, attività ben diversa dal consentire la reale partecipazione e la presentazione di osservazioni. La difesa attorea precisa che la formulata censura riguarda tutti gli atti impugnati in quanto tutti finalizzati e concorrenti a consentire il rilascio del PdC in deroga ed in particolare: 1) la delib. GM 9/5/2023 che ha avallato il procedimento in questione, ha ritenuto la sussistenza dell'interesse pubblico ed ha illegittimamente ritenuto - in difformità da quanto previsto dallo strumento urbanistico - la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un PdC convenzionato allorquando il vigente PRG non lo prevede; 2) la delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 che ha dichiarato la sussistenza dell'interesse pubblico al fine del rilascio del PdC in deroga e che lo stesso doveva essere un PdC convenzionato (mutamento di titolo edilizio che non rientra tra le deroghe ammesse dall'art. 20 L. reg. n. 15/2013); 3) la delibera C.C. 31/7/2023 che ha approvato lo schema di convenzione e ribadito la sussistenza dei presupposti per il rilascio del PdC convenzionato ed in deroga; 4) gli atti del SUAP e del Comune di (omissis) indicati in epigrafe che hanno dichiarato la positiva conclusione del procedimento, rilasciato il provvedimento conclusivo di SUAP e rilasciato il PdC convenzionato ed in deroga n. 6/2023. La controinteressata nella memoria di costituzione ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che la addotta distanza di 700 metri, tra il nuovo previsto esercizio commerciale e quello della società ricorrente, escluderebbe l'interesse a ricorrere, dato dalla vicinitas, precisando che la distanza sarebbe di almeno di mt. 1000: non si tratterebbe nemmeno del medesimo bacino di utenza, non solo per la genericità della espressione, ma per la distanza che separa i due esercizi e la netta distinzione tra gli stessi, che ne consegue, rimarcando che il principio della concorrenza e della relativa libertà porta ad un criterio interpretativo che favorisca la attività economico commerciale. Sul primo motivo di gravame, volto a sostenere che l'art. 20, comma 2-bis della L.R. n. 15/2013 prevede la possibilità di rilasciare un permesso di costruire in deroga "solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia, mentre del tutto correttamente tale possibilità non è prevista alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica", la difesa della controinteressata replica che: - la qualificazione da attribuire all'intervento realizzando va individuata alla luce di quanto prevede l'allegato alla L.R. n. 15/2013 ("definizione degli interventi edilizi") che, alla lettera f), dispone, tra l'altro, che "Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologie, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sulla accessibilità, per la installazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico"; - nella norma richiamata, sottolinea la So.Co., si puntualizza quanto segue: "Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente": da ciò la controinteressata desume che questa definizione, completata con la descrizione delle opere ricomprese nella categoria di intervento che ne occupa, fotografa l'intervento realizzando, così come descritto alla stessa pagina 6 del ricorso. L'intervento realizzando, pertanto, risulterebbe pianamente ascrivibile all'istituto della ristrutturazione edilizia, non sconfinando nella categoria della ristrutturazione urbanistica, dato che non stravolge lo stato dei luoghi, ma, semplicemente, rimedia alla situazione di degrado in cui si trovano. Inoltre, secondo la prospettazione della controdeducente, la natura stessa dell'intervento non sarebbe rilevante per due ragioni: - la prima discende dalla formulazione testuale dell'art. 20, comma 2-bis, della L.R. n. 15/2013, che, dopo aver elencato le condizioni per il rilascio del permesso di costruire in deroga, continua precisando che "... fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del decreto legge 6/12/2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214": a sua volta, l'art. 31 così richiamato prevede che "Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Ad avviso di So.Co., considerato che l'apertura di nuovi esercizi commerciali non può essere sottoposta a contingentamenti "o altri vincoli", evidentemente, anche la qualificazione della categoria di intervento che li riguardi non può rappresentare un qualche ostacolo, dovendo lasciare il passo alla "libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi"; - sulla seconda la controinteressata richiama il comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 laddove prevede che "Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché in via transitoria gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'art. 7 ter della L.R. 20/2000...": non avendo il Comune di (omissis) provveduto a dare attuazione alla norma così richiamata, ne conseguirebbe la rilasciabilità del permesso di costruire in deroga, alla sola condizione della realizzazione di un intervento di riuso e rigenerazione urbana, a prescindere dalla natura dell'intervento realizzando. La So.Co.. controdeduce sulla censura relativa alla scelta del permesso convenzionato in luogo del "PdC tout court previsto dal PRG" sottolineando che tale opzione risulta in completa "sintonia" con l'art. 11 della L. n. 241/90, che consente alle amministrazioni di "concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi ed in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo": tale modalità di azione amministrativa non esulerebbe dall'ambito del permesso di costruire in deroga, non essendo questa la finalità della sottoscrivenda convenzione, che è volta a regolare e disciplinare, anche sotto il profilo delle garanzie riconosciute al Comune, l'intervento realizzando. Quanto al provvedimento autorizzativo, la controinteressata evidenzia che la deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19/6/2023, alla pagina 7, ritiene la proposta di rilascio del permesso di costruire in deroga "meritevole di considerazione in quanto: a) l'intervento proposto recupera un'area dismessa e già edificata all'interno del perimetro del territorio urbanizzato riducendo le superfici edificate ed i volumi esistenti; b) le nuove destinazioni d'uso previste costituiscono un elemento di integrazione e miglioramento della rete commerciale esistente ad oltre 15 anni dall'ultimo intervento significativo di potenziamento della rete; c) le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali; d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali; f) la previsione di nuovi pubblici esercizi permette la nascita di nuovi punti di aggregazione in un nuovo contesto urbano ed in prossimità di importanti aree verdi pubbliche e di una rilevante emergenza ambientale rappresentata dal torrente Baganza; g) l'intervento si colloca lungo la rete di viabilità esistente caratterizzata oggi da un naturale utilizzo da parte degli abitanti non generando di fatto un significativo aumento del traffico; h) la realizzazione dei collegamenti ciclo pedonali permette di raggiungere l'area da parte di una consistente numero di abitanti insediati; i) la previsione delle aree pubbliche e la realizzazione delle piste ciclabili previste permette di collegare le aree del torrente Baganza agli insediamenti esistenti determinando un punto di accesso qualificato per lo sviluppo di un futuro percorso ciclo pedonale lungo il torrente ad integrazione dei percorsi recentemente sviluppati e promossi dalla amministrazione ed ipotizzati nei documenti di futura pianificazione; ...". Sulla prospettata illegittima pretermissione della fase partecipativa, la So.Co.. ha sottolineato che nessuna norma prevede tale fase procedimentale, la cui omissione non può, di conseguenza, condizionare la legittimità dell'atto finale della procedura di deroga. L'Unione Pedemontana Parmense ed il Comune di (omissis) hanno evidenziato in fatto che: - la società So.Co.. S.r.l., in qualità di promissaria acquirente e munita di procura speciale firmata dai rappresentanti di Fi. e Ug., presentava al SUAP del Comune di (omissis) un'istanza, con allegata la relativa documentazione (pratica SUAP n. 429/2023/SUAP/UPP), acquisita agli atti dell'Unione Pedemontana in data 4 aprile 2023 (prot. n. 6381, doc. 1 in actis), volta ad ottenere un permesso di costruire convenzionato e in deroga, ex artt. 19-bis e 20, L.R. n. 15/2013, per l'esecuzione di alcuni interventi di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi., posta in via (omissis); - tale area è classificata dal vigente strumento urbanistico come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA, all'interno della quale è presente un aggregato di fabbricati multipiano a destinazione produttiva ed una tettoia per una superficie coperta di oltre 4.600 mq, una superficie costruita di oltre 10.600 mq ed un volume complessivo di oltre 54.000 mc; - a seguito di istruttoria, con delibera n. 64 del 09.05.2023 la Giunta del Comune di (omissis) deliberava di proporre al Consiglio comunale la valutazione preventiva dell'interesse pubblico per la concessione in deroga alle destinazioni d'uso richieste, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, nelle more della conclusione della conferenza di servizi, dopo aver rilevato che, con l'intervento proposto, si intende "recuperare un'area desueta, riattivando attività commerciali e terziarie a servizio della comunità, riqualificando l'area attraverso il riequilibrio di volumi e funzioni, nel rispetto dei vincoli presenti. Il progetto prevede quindi la demolizione dei preesistenti fabbricati ad uso commerciale produttivo per il settore alimentare (ex-stagionatura prosciutti), facile occasione di degrado, e la nuova edificazione di fabbricati di minore impatto volumetrico a servizio delle residenze e delle attività limitrofe, da destinare ad usi commerciali e di servizio" e che "i nuovi fabbricati occupano superfici e volumi inferiori di circa il 50% rispetto a quelli esistenti" (con riferimento al doc. 7 in actis); - nella medesima delibera di Giunta, tenuto conto che, in base alla normativa statale e regionale vigente, "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di contenimento del consumo del suolo ed infine di recupero sociale ed urbano dell'insediamento", si precisava che è da ritenere che "sussist[a] l'interesse pubblico dell'operazione trattandosi di intervento di riuso e di rigenerazione urbana di area dismessa da anni, nonché per i risvolti economici e sociali anche in termini occupazionali"; - con nota del SUAP (prot. 10666) del 6 giugno 2023 veniva convocata, in data 15 giugno 2023, la prima seduta della conferenza di servizi (con riferimento al doc. 8 in actis), durante la quale - come risulta dal verbale della stessa (con riferimento al doc. 9 in actis) - si concordava di demandare al SUAP di procedere anche in funzione dell'esito dei pareri/autorizzazioni che sarebbero pervenuti a riscontro della presentazione della documentazione integrativa da parte del proponente; - con delibera del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023, dopo aver dato conto di tutta la documentazione tecnica allegata all'istanza di permesso di costruire convenzionato e in deroga, si attestava l'interesse pubblico dell'intervento proposto, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, confermandosi quanto già rilevato nella delibera di Giunta, tra cui, segnatamente, il fatto che la proposta pervenuta doveva considerarsi meritevole di considerazione per le ragioni riportate in narrativa dalla difesa delle due Amministrazioni (con riferimento al doc. 10 in actis); - con successiva deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31 luglio 2023 si provvedeva all'approvazione dello schema di convenzione attuativa - quale atto terminale del procedimento e di regolazione e sintesi degli interventi coinvolti -, alla cui sottoscrizione risulta subordinata l'efficacia del permesso di costruire, dandosi altresì atto che sussistono i presupposti per il rilascio del medesimo permesso di costruire ai sensi degli artt. 19-bis e 20 L.R. n. 15/2013 (con riferimento al doc. 11 in actis), e rilevandosi che: " - l'intervento proposto rientra nei casi previsti per l'applicazione del Contributo straordinario (CS) ai sensi dell'art. 16 comma 4 lett. d-ter del DPR 380/2001 e articoli 4.4. e 4.5. della D.A.L. 186/2018 (Disciplina del contributo di costruzione ai sensi del titolo III della legge regionale 30 luglio 2013, n. 15 "Semplificazione della disciplina edilizia", in attuazione degli articoli 16 e 19 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia"), da versare nella misura pari al 50% del Maggior Valore Generato dalla Trasformazione (MVGT); - in applicazione agli articoli sopra richiamati a fronte dei costi di trasformazione e la significativa riduzione delle volumetrie insediabili la deroga alle destinazioni d'uso non configura di fatto un aumento di valore delle aree; - il soggetto attuatore si è reso comunque disponibile a realizzare opere di urbanizzazione utili a qualificare l'ambito di intervento, tra cui le strade, piste ciclabili e le aree di verde pubblico"; Le Amministrazioni eccepiscono preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e per carenza di interesse ad agire, sotto due profili. Il primo attiene al rilievo che la società ricorrente, al di là di una sommaria allegazione circa il fatto di esercitare un'attività di vendita alimentare despecializzata, posta sulla stessa arteria veicolare, non avrebbe dimostrato di subire un effettivo pregiudizio: la difesa delle resistenti sottolinea che il requisito della vicinitas ai fini della sussistenza dell'interesse a ricorrere, con riguardo ai titolari di attività commerciali insediate nelle vicinanze, non è sufficiente, dovendo essere dimostrato anche il concreto pregiudizio, che, in ipotesi di tal fatta, è individuabile in un pregiudizio almeno potenziale ai propri fatturati derivante dall'intervento in questione (con rinvio a Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2025). In secundis, gli Enti stigmatizzano che l'esponente medesima riconosce che l'eventuale pregiudizio risulterà configurabile nella sola ipotesi in cui sia dimostrato - ma, come viene addotto nel ricorso, potrà esserlo eventualmente allorquando sarà acquisita tutta la documentazione progettuale allo stato non ancora reperita (si veda il punto 5 a pag. 4 del ricorso) - che l'intervento assentito è riconducibile ad una ipotesi di ristrutturazione urbanistica, anziché di ristrutturazione edilizia; pertanto, il pregiudizio che sarebbe patito dalla ricorrente risulterebbe del tutto ipotetico, non essendo, al momento, in mancanza di detta documentazione, neppure ipotizzabile che l'intervento non sia qualificabile come un intervento di ristrutturazione edilizia e che gli atti impugnati presentino vizi di legittimità . Quanto al primo motivo di ricorso, le Amministrazioni rammentano che il permesso di costruire in deroga è previsto dall'art. 14 D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in particolare, che, in base al diritto eurounitario, "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali". Di conseguenza, sintetizzano le controdeducenti, per ottenere il permesso di costruire in deroga per interventi di ristrutturazione edilizia è necessario: i) che sia approvata una deliberazione del Consiglio comunale con cui si attesti l'interesse pubblico di tali interventi di ristrutturazione edilizia; ii) che l'interesse pubblico sotteso a tali interventi sia individuabile nella realizzazione di finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; iii) che, in ogni caso, si tenga conto che, allorquando si intendono realizzare insediamenti commerciali, deve essere garantita la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, configurando la stessa un principio generale dell'ordinamento nazionale. Le Amministrazioni aggiungono che tale disposizione legislativa nazionale è stata completata da alcune disposizioni regionali, ossia dall'art. 20, commi 2-bis e 3, L.R. n. 15/2013: mentre al comma 2-bis, in conformità a quanto stabilito dall'art. 14, comma 1-bis, D.P.R. n. 380/2001, si ribadisce che sono di interesse pubblico gli interventi di ristrutturazione edilizia "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", al successivo comma 3 si aggiunge che "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19". Nella fattispecie, sottolineano gli Enti, come emergerebbe in modo espresso da quanto riportato nella deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19.06.2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39 L.R. n. 19/2012, di tal che dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dall'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente. Dai citati riferimenti di diritto positivo le controdeducenti assumono che un intervento di ristrutturazione edilizia non si pone in contrapposizione rispetto (potendo essere giustapposto) a interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio, essendo tutti realizzabili mediante un permesso di costruire in deroga. Nel caso concreto, come viene riportato nell'atto dell'Unione Pedemontana Parmense (prat. SUAP prot. n. 6381/2023) del 15 giugno 2023 (doc. 9 in actis), il procedimento unico avviato per il rilascio del predetto permesso di costruire riguarda un intervento di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi. e, inoltre, con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione del contributo straordinario, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27.09.2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Sul permesso di costruire convenzionato occorre, ad avviso delle Amministrazioni, in particolare tener conto che, al comma 1 dell'art. 19-bis L.R. n. 15/2013, si stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali", mentre al comma 2 del medesimo articolo si dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce, tra l'altro, "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". Nella fattispecie, le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (i.e. strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) sono tutte opere di urbanizzazione, come si desume dall'art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001 (rinviando sull'afferenza alle strade residenziali delle piste ciclabili a Cons. Stato, Sez. V, 25 giugno 2007, n. 3637), e dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis): tali opere, stigmatizzano gli Enti, trattandosi di opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Quanto alla destinazione urbanistica, le Amministrazioni aggiungono che nella deliberazione della Giunta comunale n. 64 del 9 maggio 2023 (doc. 7 in actis) e nella deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis) si precisa che l'area oggetto del permesso di costruire è classificata dal vigente strumento urbanistico come zona D5-zone industriali e che la deroga richiesta è relativa alle destinazioni d'uso per l'introduzione degli usi U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, e che la medesima riguarda un intervento specifico, restando l'area classificata come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA; pertanto, concludono le Amministrazioni, tali modificazioni alle destinazioni d'uso preesistenti sono da considerare legittime, sia in ragione del fatto che rientrano nel novero delle destinazioni d'uso ammesse dagli strumenti urbanistici vigenti (rinviando a T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21 giugno 2006, n. 875 e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 26 novembre 2009, n. 792), sia per il fatto che non comportano un aumento della superficie coperta prima dell'intervento previsto, risultando dunque conformi agli strumenti urbanistici vigenti (con riferimento a Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1444). In punto di presunta incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti dell'intervento oggetto del premesso di costruire convenzionato e in deroga, che avrebbe richiesto una nuova pianificazione urbanistica, le Amministrazioni ritengono che le argomentazioni attoree siano del tutto generiche. Con il secondo motivo "Violazione del principio di buona ammnistrazione e di imparzialità . Difetto di motivazione. Perplessità " la ricorrente ha dedotto che dagli atti del procedimento (ed in particolare dalle impugnate delibere di Giunta e di Consiglio Comunale) risulta che il Comune avrebbe deciso di avvalersi di ignoti consulenti, i cui onorari erano a carico della controinteressata: la difesa attorea sottolinea che di tali consulenti non risulterebbe la nomina da parte del Comune, né eventuali pareri di legittimità, rimarcando che ciò avrebbe privato il Comune di un supporto imparziale del quale non vi sarebbe traccia negli atti impugnati, che - ad avviso della ricorrente - sembrerebbero stati redatti dallo stesso proponente in considerazione del fatto che il Comune non avrebbe assunto alcuna valutazione autonoma o critica, incluse quelle relative alla opere fuori comparto ed al fatto che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento di alcun contributo straordinario (il che avrebbe privato il Comune di (omissis) della possibilità di incassare una somma considerevole). Sul punto la controinteressata, oltre ad eccepire la genericità delle censure attoree, rimarca l'inesistenza di alcun obbligo riguardante il ricorso ad un aiuto esterno il quale, se richiesto in futuro, non comporterà un onere a carico della parte pubblica, visto quanto previsto nello schema di convenzione sottoscrivenda. Le Amministrazioni resistenti evidenziano che la circostanza che le spese necessarie possano essere addossate al privato non dovrebbe destare alcuna perplessità, non soltanto perché è ciò che normalmente avviene con riferimento all'istruttoria che viene compiuta in relazione a piani particolareggiati, ma anche in ragione del fatto che, nel conferimento dei medesimi incarichi, l'Amministrazione non potrà che seguire le procedure previste dalla normativa vigente a presidio dell'imparzialità e del buon andamento, a nulla rilevando quale sia la fonte di finanziamento di tali spese. In ogni caso, si tratterebbe di un motivo inammissibile, atteso che con il ricorso non si è inteso contestare il conferimento di specifici incarichi, con riferimento ai quali non si vede quale sia l'interesse a ricorrere della odierna ricorrente: la presunta ed adombrata collusione dell'Ente con il privato sarebbe pretestuosa e da azionarsi, in ogni caso, avanti le competenti Procure. Con il terzo motivo "Violazione dell'art. 6 D.L.vo n. 152/2006. Difetto di istruttoria e di motivazione" la ricorrente censura il mancato ricorso alla procedura di Valutazione ambientale strategica. In particolare, rappresenta che l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), prevede che deve essere effettuata una V.A.S. per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli: tale norma, sottolinea la difesa attorea, deve intendersi comprensiva anche delle ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni (qual è quella in questione poiché l'area è estesa ben 50.650 mq) e con rilevante impatto sull'ambiente circostante, così com'è nel caso in esame in considerazione del fatto che in luogo di uno stabilimento di stagionatura prosciutti (con conseguente ridotta capacità attrattiva del traffico veicolare) vengono realizzate ben 2 strutture commerciali con correlativa grande attrattività che impatta in modo rilevante sul territorio felinese. Sul punto la controinteressata controdeduce che l'art. 6 del D. Lgs. n. 152/2006 non si applicherebbe agli interventi in questione poiché non hanno impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale: nel caso concreto, sottolinea la So.Co.., l'impatto può solo essere positivo, agendosi in rigenerazione di una zona che si trova in situazione di diffuso (e pacificamente accertato) stato di grave degrado ambientale ed urbanistico. Le Amministrazioni resistenti, sul terzo motivo di ricorso, ricordano che l'art. 6, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 prevede che debba essere effettuata una V.A.S. con riguardo a piani e programmi "a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto". Nel caso di specie l'Amministrazione comunale e l'Unione dei Comuni non hanno inteso approvare alcun piano o programma, bensì avviare un procedimento unico rivolto al rilascio di un permesso di costruire convenzionato ed in deroga inerente ad un intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia di un'area dismessa e già edificata, all'interno del perimetro del territorio urbanizzato, che ha comportato - con riferimento alla ricostruzione dei fatti sopra riportata - una riduzione delle superfici edificate e dei volumi esistenti, escludendo un'incidenza significativa sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo "Violazione dei principi generali e dell'obbligo di assentire interventi edilizi conformi agli strumenti urbanistici. Ulteriore violazione dell'art. 20 L. Reg. n. 15/2013" la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, non oggetto di variante neppure sullo specifico punto: sarebbe, pertanto, evidente l'illegittimità degli atti impugnati per mancanza dell'attestazione della necessaria conformità urbanistica. La difesa attorea sottolinea l'interesse a tale censura in quanto ciò avrebbe sicuramente condizionato l'orientamento dei consiglieri votanti e, inoltre, tale intervento incrementerebbe l'accessibilità alle strutture concorrenti con quelle ove la ricorrente esercita le proprie attività . La controinteressata sul punto rileva che oggetto del contendere è un permesso in deroga a quanto prevede lo strumento urbanistico, per cui le eccezioni sollevate nel quarto motivo non terrebbero conto, evidentemente, di questa premessa; inoltre, i confini della deroga sono stati così delimitati a pagina 6 della deliberazione consiliare n. 28 del 19 giugno 2023 ove si precisa che "Tenuto conto che la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come zona D5 - Zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentato dall'art. 40 delle vigenti NTA", conclamando, ad avviso della controdeducente, la carenza di fondamento del motivo. Le Amministrazioni resistenti contestano l'assunto attoreo, rimarcando che l'opera in questione è costituita da un percorso pedonale e ciclabile, da realizzare lungo la Strada Provinciale ed intorno al perimetro della futura rotatoria all'incrocio con via Baldi fino al confine della proprietà del soggetto attuatore, della larghezza di ml. 2,50 e completo di sottofondo con geotessile, pavimentazione in ghiaia o calcestre con soluzioni alternative al cordolo in cemento e predisposizione per la futura realizzazione della pubblica illuminazione che si prevede sia realizzata, come risulta dalla documentazione tecnica, all'interno delle fasce di rispetto stradale. Si tratterebbe, dunque, di un'opera di supporto alle infrastrutture già esistenti e la cui realizzazione non richiederebbe alcuna modifica degli (essendo sempre consentita dagli) strumenti urbanistici vigenti, proprio in quanto risulta afferente a strade residenziali e viene realizzata all'interno delle fasce di rispetto. Illustrate le posizioni delle parti il Collegio ritiene di principiare dallo scrutinio della sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del presupposto della c.d. vicinitas e per carenza dell'interesse al ricorso. Sul punto recentemente il Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7371 ha rilevato che, come chiarito dall'Adunanza plenaria del 9 dicembre 2021, n. 22, la vicinitas non assorbe l'interesse a ricorrere e per tale ragione, in assenza di un simile interesse, la domanda proposta sulla base della mera vicinitas va dichiarata inammissibile: la rilevanza processuale della vicinitas va, infatti, sotto il profilo sistematico, ricondotta alla legittimazione a ricorrere che, in quanto tale, non può assorbire l'ulteriore condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere. In proposito, l'Adunanza plenaria, nella pronuncia citata, ha chiarito che la vicinitas comporta una sorta di presunzione dell'interesse a ricorrere e di conseguenza la necessità di allegazioni ulteriori o di prova in merito a tale interesse si configureranno soltanto in presenza di contestazioni delle parti o di richieste di chiarimenti del giudice. Ne discende che allorquando ricorre la fattispecie della c.d. vicinitas, la verifica dell'interesse a ricorrere assume normalmente una rilevanza in termini negativi: di interesse a ricorrere si tratta essenzialmente quando ne sia esclusa o contestata la sussistenza. Pertanto, la vicinitas non è sufficiente a dimostrare l'interesse a ricorrere, per il quale è necessaria l'allegazione di pregiudizi derivanti dall'atto impugnato. In particolare, la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146 ha ribadito che il criterio della vicinitas (nella sua duplice, ancorché in parte differente, declinazione di "vicinitas edilizia" e "vicinitas commerciale") è idoneo al più a radicare la legittimazione attiva, ma non anche l'interesse a ricorrere, per il quale è comunque sufficiente l'allegazione, anche solo in astratto, di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato: il principio in questione, affermato dalla richiamata sentenza dell'Adunanza plenaria n. 22 del 2021, risulta confermato anche ad una compiuta disamina della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ribadisce - quanto al criterio della vicinitas - l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse a ricorrere, per la cui prova è necessaria, ancorché sufficiente, l'allegazione in astratto di pregiudizi connessi al provvedimento impugnato. La decisione del Consiglio di Stato in esame ricorda che "anche di recente, infatti, la Corte di cassazione ha adoperato il criterio in questione, mera "formula riassuntiva" (così Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2023 n. 11367, § . 27.2, pronunzia della Sezione che ha affrontato un delicato caso di vicinitas commerciale, raffrontata alla tutela della concorrenza e alla salvaguardia dei c.d. bacini di mercato) di individuazione della sussistenza di una posizione legittimante, distinguendolo dalla differente condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere, anche nel solco di quanto indicato dalla citata pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 21/2022". Il Consiglio di Stato da atto dell'esistenza di un orientamento della Corte di Cassazione che accoglie una nozione più ampia di "vicinitas", in ragione del quale tale "formula riassuntiva" "è, invero, sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l'interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un'opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa" (Cass. civ., ord. 30 giugno 2021 n. 18493), principio di diritto rimarcato anche in altre pronunce (Cass. civ., ord. 18 gennaio 2024, n. 2000; ord. 19 marzo 2024 n. 7326); tuttavia, tutte queste pronunzie, "ad avviso del Collegio, non risultano difformi, nella sostanza, dall'orientamento della citata sentenza n. 22/2021 dell'Adunanza plenaria, che ha affermato come "nella realtà dei fatti e nella dinamica dei giudizi la riflessione sulla legittimazione proceda non disgiunta da quella dell'interesse e siano entrambe fortemente condizionate dalla situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa" (sentenza, quella della Plenaria, espressamente richiamata dall'ordinanza della Cassazione n. 7326/2024). Inoltre, nelle pronunce messe in evidenza, all'affermazione "in astratto" del principio, si accompagna anche l'affermazione che la prova del pregiudizio (che, dunque, deve sussistere) non debba essere fornita "in concreto" (ma, evidentemente, rimanere in punto di allegazione) e l'ulteriore puntualizzazione che, nel caso oggetto dello scrutinio di legittimità, gli interessati avessero allegato, nei precedenti gradi di merito, un pregiudizio riconnesso alle opere oggetto dei provvedimenti impugnati". In sintesi secondo il Consiglio di Stato "si trae che, almeno in astratto, a livello di mere allegazioni risulta sufficiente ad integrare l'interesse ad agire l'affermazione di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato". Nella fattispecie di cui è causa, gli effetti pregiudizievoli addotti dalla società ricorrente, in base alle allegazioni di parte, discendono dall'impugnato permesso di costruire in deroga alla pianificazione urbanistica e dalla conseguente convenzione, che prevede, in esecuzione della delibera comunale, la riqualificazione della zona interessata con attivazione di una nuova struttura commerciale concorrenziale. Come chiarito dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146, "in punto di diritto, va ribadito che "la legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius, siccome volti nella sostanza a contrastare la libera concorrenza e la libertà di stabilimento" (Cons. Stato, sez. IV 29 marzo 2018 n. 1977, ripresa da Cons. Stato, sez. IV, n. 11367 del 2023, cit.). Inoltre, "la prova del pregiudizio derivante dall'insediamento della nuova impresa che si vuol contestare debba esser data in modo rigoroso, senza che esso si possa presumere, e che si debba trattare di un pregiudizio significativo" (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2022 n. 7704)". In applicazione di questi principi, il Collegio rileva che nello specifico, quanto ai profili collegati alla concorrenza, la ricorrente ha depositato in giudizio una nota tecnica, a firma dall'Ing. Borrini (doc. n. 6 di parte ricorrente in actis) in cui si evidenzia: a) la distanza tra l'esistente esercizio commerciale CONAD (che svolge la sua attività nell'immobile Ga.) e il punto di insediamento del nuovo complesso commerciale, b) l'insufficienza di tale distanza al fine della differenziazione dei bacini di utenza con riferimento alla tipologia di territorio in cui i due esercizi commerciali sono inseriti; c) la circostanza che si tratta di esercizi posti sulla medesima direttrice di collegamento con il capoluogo (rendendoli di servizio anche per le zone limitrofe); d) la sostanziale equivalenza tra due esercizi in termini di accessibilità e tipologia di merci; e) l'idoneità del nuovo esercizio commerciale a stornare clientela e fatturato; f) l'incidenza sullo stesso valore immobiliare e commerciale della proprietà Ga.. La difesa attorea rimarca che l'idoneità concorrenziale è stata ritenuta dallo stesso Comune di (omissis) con la delibera C.C. n. 28 del 19 giugno 2023, il quale a pagina 7 ha riconosciuto che: "d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali". Inoltre, il Collegio rileva che nella medesima deliberazione a pagina 10 si legge "RITENUTO evidenziare che: -la rete commerciale del comune di (omissis) non ha subito significative modifiche negli ultimi 15 anni dopo l'apertura del complesso commerciale posto sulla stessa via (omissis) e denominato Centro val Baganza; -la proposta commerciale pervenuta si presenta come concorrenziale nei confronti delle medio strutture alimentari presenti sul territorio ed in particolare nei confronti di quelle che si attestano lungo Via (omissis); - i rimanenti spazi a destinazione di pubblico esercizio o di medie strutture non alimentari integrano l'offerta di spazi commerciali mettendo a disposizione contenitori per nuove imprese non insediate o per il potenziamento di imprese esistenti che al momento non troverebbero sul territorio comunale opzioni in merito". In disparte il minimo differenziale metrico segnalato dalle parti (la ricorrente ritiene che l'intervento sorgerà a 700 metri dal proprio stabilimento mentre le controparti indicano 1000 metri di distanza), appare chiaramente sia dalle puntuali allegazioni di parte attrice sia dal tenore del provvedimento comunale citato che la riqualificazione di cui è causa possa astrattamente incidere sugli interessi commerciali di parte ricorrente e nel concreto, attraverso la concessione del permesso di costruire, potrebbe dispiegare effetti pregiudizievoli da tutelarsi nel caso di difformità rispetto al modello legale. Pertanto, si rinvengono sia la legittimazione ad agire che l'interesse a ricorrere. Sul merito della controversia, il Collegio rileva che con il primo motivo di ricorso si assume che il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato solo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia e non di ristrutturazione urbanistica, come, invece, si sostanzierebbe il caso di specie. In particolare, si deduce che sarebbe da escludersi la ristrutturazione edilizia in quanto nel caso concreto sarebbe realizzato un intervento vasto con cui si intende avviare attività commerciali e terziarie, demolire il preesistente fabbricato, realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari e con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi, creare una strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione, dare vita ad un percorso pedonale ed introdurre nuove destinazioni d'uso; la deroga, inoltre, avrebbe riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto - in luogo del PdC tout court previsto dal PRG - il PdC convenzionato, che confermerebbe trattarsi di una ristrutturazione urbanistica e che non rientrerebbe tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013. Qualificato come ristrutturazione urbanistica, la difesa attorea assume che l'intervento dovrebbe essere attuato mediante PUA ovvero PRU, ossia atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi. Con il secondo motivo, l'esponente prospetta che il Comune non abbia assunto alcuna valutazione autonoma o critica del progetto, in particolare sulle opere fuori comparto, ed evidenzia che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento del contributo straordinario. Con il terzo motivo, parte attrice reclama l'effettuazione della V.A.S., richiamando l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), poiché l'applicazione di tale procedura va osservata per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, comprese le ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni e con rilevante impatto sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, il quale non è stato oggetto di variante neppure sullo specifico punto. Sullo speciale procedimento edilizio derogatorio di cui si discute, il Collego richiama la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, laddove si precisa che "l'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina il procedimento di rilascio dei permessi di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, in linea con il costante insegnamento di questo Consiglio (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616), è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale". In particolare, sottolinea la decisione in esame, "in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo; peraltro, come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2019, n. 7228; id., 7 settembre 2018, n. 5277; id., 26 luglio 2017, n. 3680)". Di qui va, preliminarmente, chiarito che in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici la discrezionalità amministrativa affidata all'Ente comunale è di particolare ampiezza, concretizzandosi in una decisione di natura urbanistica attraverso lo strumento provvedimentale del permesso in deroga: lo scrutinio giurisdizionale è perimetrato dai criteri della manifesta illogicità e del travisamento dei fatti. Il quadro normativo di riferimento è composto dall'art. 14, D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in ossequio al diritto eurounitario, in particolare, che "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali" (testo vigente ratione temporis). Il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444". Il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, "Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967", dispone all'art. 7 i limiti di densità edilizia, all'art. 8 i limiti di altezza degli edifici e all'art. 9 i limiti di distanza tra i fabbricati. Quanto alle norme regionali, la L.R. Emilia-Romagna n. 15 del 2013, per quanto rileva nella presente controversia, articola le seguenti disposizioni: - l'art. 19-bis "Permesso di costruire convenzionato": "1.Qualora le esigenze di urbanizzazione stabilite dalla pianificazione urbanistica vigente possano essere soddisfatte in conformità alla disciplina in materia di governo del territorio con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali. 2. La convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali"; l'articolo si completa delle disposizioni attuative; - art. 20, "Permesso di costruire in deroga": "1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale. 2. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie, di accessibilità e di sicurezza e dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica. 2 bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale, che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 3. Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2013 e del bilancio pluriennale 2013-2015)". In sintesi, il citato art. 20 prevede il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici "esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico" e la deroga "può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica"; per gli interventi di ristrutturazione edilizia, poi, la deroga è ammessa solo in relazione all'interesse pubblico attestato dal Consiglio comunale "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", con infine una specifica previsione riguardante gli "interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente". La norma aggiunge che per gli insediamenti commerciali, come quello di cui è causa, resta fermo il rispetto dell'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici) laddove il Legislatore nazionale, in ossequio al diritto eurounitario, delinea il principio dell'eccezione delle limitazioni all'attività commerciale rispetto alla regola generale della libera concorrenza. Incontestato che si tratti di un intervento rivolto anche all'apertura di un esercizio commerciale, pertanto, le norme nazionali e regionali citate in materia di permesso di costruire in deroga vanno interpretate alla luce del principio europeo di tutela della libera concorrenza. Nel caso concreto, quindi, la sussunzione della fattispecie nel modello legale può osservare il seguente percorso logico: - in forza del comma 2-bis dell'art. 20 della L.R. Emilia-Romagna n. 15/2013 citato, in caso di interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa se la deliberazione del Consiglio comunale attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento: nel caso di specie l'intervento assentito presenta, come meglio si avrà modo di precisare nel prosieguo della trattazione, sicuri elementi qualificanti di ristrutturazione edilizia (demolizioni e ricostruzioni) e le Amministrazioni hanno chiaramente rilevato l'interesse pubblico alla rigenerazione urbana, non contestato da parte attrice; - il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è consentito per interventi di interesse pubblico, compresi gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana, "nonché, in via transitoria, [per] gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione" alle c.d. misure incentivanti: come sottolineato dalle Amministrazioni resistenti e come emerge in modo espresso da quanto riportato a pag. 4 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter, L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39, L.R. n. 19/2012; - di conseguenza, dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dalla disposizione transitoria di cui all'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente: nel caso di specie è incontestato, infatti, che si tratti di rigenerazione e riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, in quanto la ricorrente, come esposto in narrativa, ritiene che l'intervento sia rivolto a "a) attivare attività commerciali e terziarie; b) demolire il preesistente fabbricato; c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard); e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis); f) introdurre nuove destinazioni d'uso". Non è posto in contestazione, inoltre, che il permesso abbia ad oggetto una zona in disuso e degradata con ridefinizione del patrimonio edilizio esistente (demolizione e realizzazione fabbricati più diffusi ma di altezza contenuta) e rigenerazione e riqualificazione urbana (accessi, anche pedonali, parcheggi); - la delibera del Consiglio comunale impugnata evidenzia che l'intervento di recupero è rivolto anche a soddisfare gli interessi commerciali degli operatori della zona in ossequio al citato principio della concorrenza; - l'oggetto della deroga può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica: sulla destinazione d'uso l'Amministrazione comunale ha valutato la compatibilità urbanistica precisando che "la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come Zona D5- zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA" (pag. 6 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 - doc. 10 in actis). Le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere, come precisato anche dalla ricorrente, U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.) e l'Amministrazione, senza alcun travisamento dei fatti alla luce delle concrete allegazioni delle parti, le ha ritenute destinazioni d'uso compatibili con le norme tecniche dello strumento urbanistico vigente nonché "ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali". Tali considerazioni poggiano, condivisibilmente, sulla assimilabilità e compatibilità di un insediamento commerciale con le funzionalità e gli impatti sottesi alle "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento". Sulla densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, parte attrice non oppone contestazioni riguardo il progetto di cui è causa in relazione alla specifica compatibilità delle opere con lo strumento urbanistico. La ricorrente, tuttavia, rimarca che il permesso di costruire in deroga può riguardare solo singoli interventi e singoli edifici e non già interventi di ristrutturazione urbanistica che comportano variazioni territoriali più significative interessando modifiche dei lotti, degli isolati, della viabilità pubblica, così riferendosi alla definizione di "Interventi di ristrutturazione urbanistica" contenuta nella lettera h) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013. Va, tuttavia, osservato che nel medesimo Allegato, la lettera f) definisce, nella parte che interessa, "Interventi di ristrutturazione edilizia", "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, nonché la realizzazione di volumi tecnici necessari per l'installazione o la revisione di impianti tecnologici. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Sulle modificazioni territoriali consentite il Collegio rileva che l'intervento, così come descritto anche dall'esponente, presenta certamente i caratteri delle opere edilizie (demolizione e ricostruzione di fabbricati) nel quadro di una complessiva - ed incontestata - rigenerazione urbana, nonchè attività che possono assumere rilievo urbanistico: in ordine a queste ultime, le Amministrazioni hanno puntualmente evidenziato che nella fattispecie le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) - come si evince dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis) - consistono in opere di urbanizzazione, che rientrano in quelle previste dall'art. 16, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001 e, come tali, chiaramente, sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Alla luce delle considerazioni esposte, non appare provato che nella fattispecie si possa conclamare un abuso dello strumento del permesso di costruire in deroga in quanto, come emerge dalla citata lettera f) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente anche attraverso demolizioni e ricostruzioni, come nel caso di specie, non ostandovi ex se la pluralità di edifici interessati; inoltre, le opere di urbanizzazione primaria previste - che pur possono astrattamente concorrere a variazioni territoriali aventi uno specifico e autonomo rilievo urbanistico - sono direttamente e strettamente collegate all'intervento di riqualificazione edilizia e, complessivamente, sono rispondenti all'interesse pubblico manifestato dall'Ente per finalità di rigenerazione urbana. In ogni caso, anche qualora l'intervento in questione non fosse esclusivamente riconducibile nell'ambito della ristrutturazione edilizia, in ragione del citato e articolato concorso di opere edilizie e di opere di urbanizzazione, la fattispecie può rientrare nella tipologia di opere contemplate dal comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 che, in via transitoria, alle condizioni menzionate (ossia l'assenza dell'applicazione da parte del Comune delle misure c.d. incentivanti, come avvenuto nel caso di specie) consente di assentire un permesso di costruire in deroga per gli interventi di "riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente": in tale endiadi, ai fini dell'applicazione della disposizione transitoria, sono chiaramente comprese anche le opere idonee a modificare il tessuto urbanistico-edilizio di zona, così ampliando la portata del'permesso di costruire in derogà a casi che ne sono in via ordinaria esclusi. Inoltre, come già osservato, nella fattispecie gli specifici parametri di legge sono stati rispettati a seguito di ampia ed approfondita istruttoria e la lamentata modifica dei lotti e degli isolati "significativa" di un intento pianificatorio illegittimo non risulta sorretta da concrete allegazioni visto che è confermato che la superficie totale della zona interessata, salvo le opere fuori comparto già esaminate nel senso della loro compatibilità urbanistica, resta la medesima. Ulteriormente, la redistribuzione dei volumi dei fabbricati, oltre a comportare una incontestata riduzione degli stessi, se è derogatoria rispetto allo strumento urbanistico, tale deroga è proprio l'oggetto della normazione esaminata ed è con essa compatibile come si è già avuto modo di considerare: infatti, il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili". Quanto alle specifiche censure contenute nel secondo motivo di ricorso, va osservato che, come evidenziato dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, il permesso di costruire in deroga è decisione di rilevanza urbanistica, pertanto assimilabile a quello di pianificazione per quanto nel rispetto dei limiti indicati, censurabile in questa sede solo per manifesta irragionevolezza o travisamento dei fatti, che il Collegio non ritiene di ravvisare nella fattispecie. Infatti, sulla qualificazione data all'intervento dalla deliberazione comunale n. 28/2023 (pag. 8) laddove si valuta positivamente l'interesse pubblico, l'Ente precisa che si tratta "di intervento di riuso e di rigenerazione urbana e di riqualificazione urbanistico edilizia di area dismessa da anni - tramite ristrutturazione con demo ricostruzione", nonché verifica che "le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali" (pag. 7) ed, infine, dà atto dell'"evidenza pubblica e comunicazione dell'intervento e alla procedura in deroga ad eventuali contro interessati ai sensi ed agli effetti del comma 2 dell'Art. 14 - Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici del DPR 380 ed ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 presentando la proposta progettuale". Dagli elementi descritti emergono, quindi, valutazioni che apprezzano l'intervento concreto alla luce della consistenza territoriale all'epoca presente (area dismessa e in degrado) in relazione alle destinazioni d'uso previste dal vigente PRG - con considerazione delle eventuali problematiche di accessibilità, di sicurezza e dei profili ambientali e dei beni culturali - nel rispetto della trasparenza. Inoltre, alla conferenza di servizi sono state chiamate le numerose Amministrazioni competenti, alcune delle quali hanno chiesto integrazioni documentali (doc. 6 Comune di (omissis) in actis) e disposto prescrizioni (indicate anche nel provvedimento Autorizzazione unica SUAP doc. 14 - Unione Pedemontana Parmense in actis); nella delibera n. 28/2023 del Comune di (omissis) si dà atto del parere favorevole del Responsabile del Servizio comunale in ordine alla regolarità tecnica, ai sensi dell'art. 49, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000; nel permesso di costruire in deroga (doc. n. 12 - Unione Pedemontana Parmense) sono dettagliatamente indicati e valutati gli elaborati progettuali presentati dal progettista asseveratore, allegati alla domanda di permesso. Pertanto, gli elementi esposti, ossia la compiuta ponderazione da parte delle Amministrazioni procedenti dell'interesse pubblico alla rigenerazione urbana e delle caratteristiche fattuali del progetto così come presentato rispetto agli interessi primari rappresentati e protetti dagli Enti coinvolti in conferenza di servizi, portano a ritenere infondate, per quanto rileva nel presente giudizio, le censure attoree formulate nel secondo motivo di ricorso in ordine al difetto di istruttoria sulla consistenza dei fatti. La prospettata influenza determinante nella predisposizione degli atti comunali da parte del soggetto proponente non è sorretta da concrete allegazioni nel presente giudizio che possano condurre a ritenere invalidi i provvedimenti amministrativi impugnati. Quanto alla rilevata questione relativa al contributo straordinario, le Amministrazioni hanno precisato che con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione dello stesso, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla Delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27 settembre 2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato, ove insiste l'intervento di cui è causa, in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Come è stato puntualmente indicato nella deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 2023 (pagg. 8-14), il soggetto attuatore ha proposto la corresponsione del contributo straordinario mediante la realizzazione delle seguenti opere pubbliche e cessioni di aree: i) un percorso pedonale e ciclabile, e relativi attraversamenti protetti lungo Via (omissis); ii) un percorso pedonale e ciclabile ortogonale alla Provinciale e di collegamento con il Parco di Via Gramsci; iii) la cessione di un'area di mq 3.773 sul lato ovest della proprietà da adibire a verde pubblico attrezzato; iv) la cessione di un'area di mq 1.626 lungo la via per (omissis) per la realizzazione del percorso ciclopedonale e della relativa fascia verde di protezione stradale. La citata deliberazione prevede, inoltre, che "Il contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come inizialmente proposto è calcolato applicando il preziario regionale vigente per la realizzazione di opere pubbliche" e ritiene opportuno "accogliere la proposta di corresponsione del contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come sopra descritte, per un ammontare complessivo minimo di Euro 272.003,72 come indicato in fase di presentazione iniziale della proposta da integrare a seguito delle decisioni assunte in sede di conferenza dei servizi". Tale passaggio motivazionale consente di ritenere infondata la censura relativa alla mancata applicazione del contributo straordinario e di evidenziare che non vi è, conseguentemente, alcuna contestazione sulle modalità di calcolo. Sul rilievo relativo all'ammissibilità del permesso di costruire "convenzionato", come visto, il comma 1 dell'art. 19-bis, L.R. n. 15/2013, stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali"; il comma 2 del medesimo articolo dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce: "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". I rilievi posti dalla ricorrente sulla forma convenzionale del permesso attengono sostanzialmente al paventato abuso dello strumento e non alla astratta compatibilità del modello operativo dell'accordo con il permesso di costruire in deroga; la sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito delle ipotesi concesse dal legislatore per fare uso dello strumento del permesso di costruire in deroga è, come già visto, priva di profili di illegittimità . In concreto il convenzionamento è principalmente rivolto ad assolvere agli "obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici" in quanto il soggetto attuatore è chiamato, anche ai fini della corresponsione del contributo straordinario, alla realizzazione delle opere sopradescritte. Di conseguenza, non vi sono ragioni per ritenere incompatibile lo strumento convenzionale con il permesso di costruire in deroga nella fattispecie concreta né per ritenere che tale modello operativo possa celare un illegittimo intervento di pianificazione urbanistica. Conseguentemente, non risulta fondata la reclamata necessaria applicabilità al caso di specie del procedimento pianificatorio "ordinario" - compresi gli oneri partecipativi -, anche sotto le forme della variante di piano e della Valutazione Ambientale Strategica, in considerazione dei ravvisati presupposti per il rilascio del permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico in forma convenzionata: tale strumento, come visto, è definito dalle norme in materia in deroga all'ordinario procedimento urbanistico ai fini dell'autorizzazione di un intervento edilizio a finalità e sostanza rigenerativa urbana, e come tale è scandito nei presupposti propri e nei contenuti specifici, come già si è esaminato, senza essere ricondotto dal Legislatore nazionale e regionale al procedimento urbanistico ordinario. In conclusione, per le ragioni esposte, l'eccezione di inammissibilità del ricorso va respinta ed i quattro motivi di ricorso sono infondati. In considerazione della complessità della materia, sussistono giustificati motivi per l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto, Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6687 del 2023, proposto da Ma. Vi. Fi. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Se. Co., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Ga. Ro., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Le. in Roma, via (...); Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); nei confronti Ma. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Li., En. So., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Quarta n. 3203/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, della società Ma. s.r.l., del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti. 1. Gli odierni appellanti, nella dichiarata qualità di proprietari di alcune unità immobiliari facenti parti dell'edificio condominiale sito in Napoli, alla via (omissis), hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il T.a.r. Campania ha respinto il ricorso di primo grado, come integrato dai motivi aggiunti, avente ad oggetto la domanda di annullamento degli atti con i quali è stata autorizzata la ricostruzione dell'edificio ex Catasto, (in particolare, del permesso di costruire per un intervento di demolizione e ricostruzione, ai sensi dell'art. 5 della legge regionale 19/2009 s.m.i., richiesto dalla società Ma. s.r.l., in riferimento all'edificio di sua proprietà, ex Catasto, sito, in Napoli, in Via (omissis), foglio (omissis), p.lla (omissis), di cui alla disposizione dirigenziale del Servizio Sportello Unico Edilizia - Area Urbanistica - Comune di Napoli n. 274 del 29 marzo 2021). 1.1. Con sentenza n. 3203/2023, il T.a.r. Campania ha respinto il ricorso introduttivo del giudizio e il ricorso per motivi aggiunti, condannando i ricorrenti anche al pagamento delle spese del giudizio di primo grado in favore del Comune di Napoli e della società Ma. s.r.l. (le spese sono state compensate nei confronti del Ministero della Cultura). 2. Gli odierni appellanti hanno contestato la sentenza di primo grado con cinque articolati motivi. 2.1. Con il primo motivo dell'atto di appello, gli appellanti deducono errores in judicando et in procedendo; motivazione errata anche per errati presupposti in fatto e in diritto. Evidenziano che, con il primo e con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio (meglio articolati nei motivi aggiunti), avevano dedotto l'illegittimità dei provvedimenti impugnati per aver l'Amministrazione comunale autorizzato, ai sensi dell'art. 5 della l.r. 19/2009, la demolizione dell'edificio preesistente - di 7 piani, alto 29 mt, destinato ad uffici pubblici - e la contestuale ricostruzione di un edificio diverso per sagoma, destinazione e volumetria (modificata in aumento); avevano sostenuto che l'intervento edilizio assentito non era qualificabile come "ristrutturazione edilizia", ma come "nuova costruzione", con la conseguenza che non avrebbe potuto essere autorizzato, in quanto effettuato in area ricadente in zona urbanistica "A" sottoposta a vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 42/2004 (essendo ricompresa nei 300 metri dalla linea di battigia). A giudizio degli appellanti, il giudice di primo grado avrebbe errato nel qualificare il fabbricato demolito (ex Catasto) come un edificio residenziale, in quanto diversa era la sua destinazione urbanistica, per essere stato destinato ad uffici del Catasto. Il T.a.r. Campania non avrebbe tenuto conto di quanto disposto dall'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001. In conclusione, l'Amministrazione comunale avrebbe erroneamente qualificato l'intervento edilizio in questione come ristrutturazione edilizia, ritenendo applicabile allo stesso l'art. 5 della l.r. n. 19/2009; venendo in rilievo una nuova costruzione, la predetta disposizione legislativa non sarebbe stata applicabile al caso di specie. 2.2. Con il secondo motivo di appello, gli appellanti deducono errores in judicando et in procedendo; errati presupposti di fatto e di diritto. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, i ricorrenti (odierni appellanti) avevano dedotto che i provvedimenti impugnati erano viziati (per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. d del d.P.R. 380/2001, della l.r. n. 19/2009, dell'art. 12 delle n. t.a della variante generale al p.r.g. approvata con decreto P.G.R.C. n. 323 del 11 giugno 2004; per eccesso di potere, in relazione alla sussistenza di presupposti erronei e omessa istruttoria) per aver autorizzato l'incremento del 35% della volumetria esistente, nonostante l'edificio preesistente avesse una destinazione "direzionale" o "produttiva". Il T.a.r. Campania ha respinto le censure, ritenendo che il permesso di costruire n. 274/2021 avesse (implicitamente) autorizzato il cambio di destinazione d'uso dell'intero edificio (in residenziale), evidenziando quindi la sussistenza del requisito per l'applicazione del beneficio di cui all'art. 5 del Piano casa, in quanto la norma regionale (art. 5 della l.r. della Campania n. 19/2009) non prevede che il requisito della prevalente destinazione residenziale debba essere posseduto anteriormente rispetto al rilascio del titolo edilizio abilitativo. Gli appellanti contestano le conclusioni del giudice di primo grado, evidenziando che la particolare destinazione prevista dalla legge regionale deve costituire presupposto indefettibile per usufruire dei benefici del piano casa e non può lo stesso requisito essere formato per effetto dal medesimo titolo edilizio. In altri termini, a giudizio degli appellanti, la destinazione residenziale deve costituire il presupposto di fatto e di diritto per poter beneficiare dell'incremento di volumetria previsto dalla norma regionale. Il giudice di primo grado avrebbe integrato la motivazione del provvedimento impugnato, ritenendo che l'Amministrazione comunale avesse implicitamente autorizzato la modifica della destinazione urbanistica del fabbricato; l'interpretazione fatta propria dal T.a.r. Campania si porrebbe in contrasto con il carattere straordinario ed eccezionale dell'art. 5 della l.r. n. 19/2009, non suscettibile di una applicazione estensiva. 2.3. Con il terzo motivo di appello, gli appellanti deducono errores in judicando et in procedendo; illogicità e contraddittorietà della motivazione. Con il terzo motivo di ricorso introduttivo del giudizio (violazione dell'art. 3, comma 1, lett. d del d.P.R. 380/2001 e degli artt. 3 e 5 l.r. 19/2009; violazione degli artt. 58 e 124 delle n. t..a della variante generale al P.R.G., approvata con decreto P.G.R.C. n. 323 del 11 giugno 2004; violazione dell'art. 142, comma 1, lettera a, d.lgs. 42/2004; eccesso di potere per presupposto erroneo ed omessa istruttoria), i ricorrenti (odierni appellanti) avevano lamentato che si sarebbe potuto accedere al regime derogatorio del cd. "piano casa" solo se il fabbricato demolito fosse stato realizzato o ristrutturato negli ultimi cinquant'anni dalla richiesta di provvedimento autorizzativo dell'intervento. Secondo l'art. 3 della l.r. n. 19/2009 (nel testo modificato dalla l.r. n. 1/2011), gli interventi edilizi di cui agli artt. 4, 5, 6 - bis e 7 della predetta legge non possono essere realizzati in relazione ad edifici che, al momento della presentazione della richiesta di permesso di costruire, risultino collocati all'interno di zone territoriali omogenee di cui all'art. 2, lett. a), d.m. 1444/1968, ad eccezione "degli edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi 50 anni qualora non rientrino in altri casi di esclusione ai sensi del presente articolo". La predetta eccezione non sarebbe invocabile nel caso di specie, dal momento che l'edificio oggetto della demolizione è stato ultimato negli anni '60, mentre l'istanza di permesso di costruire è stata presentata dalla società controinteressata il 31 dicembre 2019. Il giudice di primo grado ha respinto la censura, facendo propria l'interpretazione resa nel parere dell'Avvocatura comunale n. 948835 del 31 ottobre 2018 (richiamato nel permesso a costruire impugnato), secondo cui il termine dei 50 anni a ritroso avrebbe dovuto "computarsi dall'entrata in vigore della L.R. 1.2011, di modifica della L.R. n. 19/2009 che ha introdotto la relativa opzione estensiva originariamente non contemplata dall'art. 3, comma 1 lett. b) della cit. L. 19/2009. Tale interpretazione invero appare la più rispondente al dato normativo nonché la più coerente con una esigenza di certezza e di uniformità atteso che, a ritenere diversamente, la decorrenza di tale arco temporale muterebbe di volta in volta, in base al momento di presentazione delle istanze di rilascio dei titoli edilizi". Gli appellanti contestano questa interpretazione, in quanto non troverebbe riscontro nel dettato letterale della norma. Il giudice di primo grado non avrebbe considerato che l'interpretazione proposta dagli odierni appellanti consentirebbe una maggiore tutela dei valori storico - ambientali degli edifici siti in zona omogenea territoriale "A"; inoltre, la legge regionale era destinata ad operare per un arco temporalmente limitato (per le sole istanze presentate entro il termine perentorio (prorogato) del 31 dicembre 2021), sicché l'eccezionalità e la transitorietà della norma ne imponevano una rigorosa interpretazione letterale. 2.4. Con il quarto motivo di appello, gli appellanti deducono: errores in judicando et in procedendo; motivazione errata; difetto di istruttoria e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e dello stesso principio dispositivo istruttorio della parte privata. Con il quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio, i ricorrenti (odierni appellanti) avevano lamentato che, in violazione dell'art. 8 del d.m. 1444/1968 e in carenza assoluta di istruttoria, il parere della Sovrintendenza n. 14142 del 29 dicembre 2020 di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 146 d.lgs. n. 42/2004 era motivato ("sotto il profilo paesaggistico le opere... non risultano in contrasto con i caratteri paesaggistici del sito di intervento e del suo contesto in quanto vanno ad inserirsi in un contesto già caratterizzato da edifici di notevole altezza"), assumendo come parametro l'altezza degli edifici "adiacenti" e non quella (indicata dall'art. 8 d.m. 1444/1968) degli edifici circostanti di carattere storico - artistico. A conferma del carattere sostanziale della censura i ricorrenti avevano depositato una perizia asseverata dell'arch. Grazia Torre, descrittiva degli edifici circostanti a carattere storico - artistico, evidenziando la maggiore altezza (mt. 38,50) del realizzando edificio e in particolare considerando i seguenti compendi immobiliari posti nelle immediate vicinanze, di seguito indicati: - Palazzo della Do. Ve. (oggi, caserma Za.), edificato in epoca angioina, e rimaneggiato più volte nei secoli, fino allo stato attuale risalente al periodo fascista di altezza di 24 mt, posto sullo stesso lato dell'ex palazzo del Catasto; - Teatro Mercadante ed edificio annesso, costruiti tra il 1776 e il 1778, di altezza rispettiva di 22 mt e 26 mt; - alcuni edifici di Via Depretis, dovuti al Risanamento nel 1890, tutti alla stessa altezza in origine di 26 mt; - edificio della Camera di Commercio, avente un'altezza di 31 mt. Nella sentenza impugnata il T.a.r. Campania ha escluso la fondatezza di tale censura sulla scorta delle acquisizioni istruttorie avvenute nell'ambito di altro giudizio, in fattispecie analoga (in particolare, la Soprintendenza, cui era stato affidato la verificazione tecnica per accertare l'altezza dei manufatti di valore storico artistico siti nell'area circostante rispetto all'edificio demolito, si era così espressa: "in adiacenza al fabbricato in costruzione non ci sono ulteriori edifici di carattere storico - artistico"). Gli appellanti evidenziano che la Sovrintendenza si è espressa con riferimento ad edifici adiacenti, mentre l'art. 8 del d.m. 1444/1968 si riferisce agli edifici circostanti. L'adiacenza presuppone una contiguità tra edifici non prevista dall'art. 8 del d.m. n. 1444/1968, che mira ad evitare che il pregio della zona, caratterizzato dalla presenza di edifici di valore storico - artistico, possa essere alterato dalla costruzione del nuovo edificio. Sostengono che la scelta del giudice di primo grado di decidere sulla scorta di acquisizioni istruttorie di altro giudizio violi il principio del contraddittorio e si ponga in contrasto con l'art. 64, comma 3, del codice del processo amministrativo (il giudice può disporre anche di ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione). Il potere acquisitivo previsto da tale norma non può tradursi in una violazione del principio del contraddittorio. 2.5. Con il quinto motivo di appello, gli appellanti deducono error in judicando et in procedendo. In sintesi, si dolgono del fatto che il giudice di primo grado abbia respinto il motivo aggiunto (con cui si lamentava l'omissione di indagini necessarie per effettuare i lavori in sicurezza), ritenendolo generico "non avendo i ricorrenti neanche specificato quali sarebbero le indagini ed i monitoraggi preliminari indebitamente pretermessi". Le conclusioni del giudice di primo grado sarebbero sconfessate dalla censura in cui si lamentava l'omissione delle "indagini preliminari e precedenti il rilascio del titolo ed all'adozione delle misure previste dalla normativa in materia, e segnatamente dal Dlgs 81/2008, per evitare che gli edifici circostanti subiscano dannose ripercussioni, dovute a vibrazioni o scuotimenti o alla semplice esposizione al pericolo di tale evenienza dannosa". Si indicava il dato normativo violato (d.lgs. 81/2008), precisandosi in punto di fatto che le indagini omesse avrebbero dovuto coinvolgere tutti i fabbricati circostanti, ivi compreso quello dove sono site le unità immobiliari dei ricorrenti, per verificare se i lavori di demolizione e successiva ricostruzione li avrebbero danneggiati o avrebbero comunque potuto determinare pericolo di dissesti statici e quindi pregiudizio alla pubblica e privata incolumità . Avevano evidenziato inoltre che la realizzazione del nuovo fabbricato comporterà scavi di notevole profondità nel sottosuolo (essendo previsti due livelli di box auto interrati, a poca distanza dal mare), senza alcun riferimento alle indagini preliminari necessarie per effettuare in sicurezza l'intervento di demolizione. L'errore sarebbe stato quello di prevedere le indagini geologiche solo in corso di lavori e non prima del rilascio del titolo edilizio. Il contenuto della censura sarebbe stato tutt'altro che generico e meritava una adeguata istruttoria per verificarne la fondatezza; di qui la riproposizione della censura di violazione dell'art. 3 della l. 241/1990, delle norme in materia di sicurezza ci cui d.lgs. n. 81/2008, del principio di precauzione di cui all'art. 191 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 3. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Napoli, il Ministero della Cultura e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli nonché la società Ma. s.r.l. (controinteressata). 4. La società Ma. s.r.l., ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. ha riproposto le eccezioni di rito sollevate nel giudizio di primo grado; in particolare, ha chiesto: a) la declaratoria di inammissibilità (rectius, irricevibilità ) del ricorso di primo grado, per tardività, sostenendo che dal cartello di cantiere (installato in data 13 dicembre 2021) le parti ricorrenti avrebbero potuto acquisire, usando l'ordinaria diligenza, la consapevolezza dell'esistenza del provvedimento autorizzatorio e della sua lesività ; il ricorso di primo grado era stato notificato il 18 luglio 2022, quando il termine decadenziale previsto per l'impugnativa era ormai decorso; b) la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per difetto di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere; la società controinteressata ha richiamato i principi enunciati dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 22/2021, evidenziando che, sulla base delle coordinate ermeneutiche ivi enunciate, ai fini dell'impugnativa dei titoli edilizi rilasciati a terzi, il ricorrente deve dimostrare: - di essere titolare di un diritto reale su un immobile confinante o contiguo a quello oggetto dell'attività costruttiva (cd. vicinitas); - che l'edificazione altrui determina un effettivo pregiudizio al suo immobile; - che tale pregiudizio, per essere giuridicamente apprezzabile, deve consistere nel deprezzamento dell'immobile ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell'ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata, non avendo alcuna rilevanza la perdita di amenità, intesa come mera riduzione della visuale dalla propria abitazione. Nel caso di specie, i ricorrenti (in primo grado) si sarebbero limitati a dedurre genericamente un pregiudizio derivante dall'attività edificatoria, ma non ne avrebbero fornito la prova, in particolare in termini di pregiudizio economico; né sarebbe stata in alcun modo dedotta la compromissione dei beni della salute e dell'ambiente per gli abitanti della zona. Senza voler invertire l'onere della prova, la società controinteressata ha richiamato la perizia degli architetti Blumetti ed Esposito, depositata in primo grado, evidenziando che nella predetta perizia era stata effettuata la ricognizione dell'effettivo stato di fatto, dimostrandosi che, nel caso di specie, non sussisterebbe né la vicinitas né un reale pregiudizio derivante dall'attività edilizia assentita con il permesso di costruire impugnato. Per quanto concerne la vicinitas, la società ha evidenziato che il fabbricato nel quale sono ubicate le unità immobiliari di proprietà degli odierni appellanti e il fabbricato oggetto dell'intervento edilizio in questione (ex Catasto) sono separati da via (omissis) e che l'edificio da costruire si troverà ad una distanza maggiore rispetto a quella che separava il fabbricato degli appellanti dall'edificio demolito (ex Catasto). Né sarebbe stato provato alcun pregiudizio in termini di deprezzamento delle unità immobiliari degli appellanti ovvero in termini di compromissione dei beni della salute e dell'ambiente. In particolare, la società controinteressata ha fatto rilevare che la distanza tra gli immobili dei ricorrenti e l'edificio in corso di costruzione sarà maggiore di quella esistente con l'edificio demolito (il nuovo edificio verrà costruito in arretramento rispetto alla strada, con la conseguenza che la distanza tra lo stesso e le pareti finestrate delle unità immobiliari degli appellanti, si incrementerà, con conseguente aumento di aria, luce e soleggiamento). La società controinteressata ha sostenuto che la sostituzione dell'edificio preesistente con uno di maggior pregio, circondato da un'area a verde, apporterà anzi un oggettivo vantaggio anche in termini di pregio architettonico della zona e un miglioramento della qualità complessiva dell'insediamento abitativo. Ha fatto rilevare inoltre che gli odierni appellanti non possono, neanche in astratto, lamentare una lesione del diritto alla veduta, giacché, come è noto, il diritto di veduta è quello riconosciuto dall'art. 907 c.c., concernente l'esistenza di aria e luce sufficienti per consentire la inspectio e la prospectio, che nella specie non sarebbero in alcun modo pregiudicate, considerata la rilevante distanza tra edifici; l'oggetto delle doglianze sarebbe una mera riduzione della visuale, che non può di per sé configurare l'interesse ad agire in sede giurisdizionale; c) la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per mancanza dei presupposti per la proposizione del ricorso collettivo. 5. Con memoria depositata in data 2 novembre 2023, gli appellanti hanno contestato la fondatezza delle eccezioni di rito riproposte in appello dalla società controinteressata, evidenziando che dal cartello di cartiere non era possibile desumere le effettive dimensioni del realizzando edificio e quindi il carattere lesivo del provvedimento impugnato. Con riguardo alla eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di legittimazione ad agire e di interesse a ricorrere, hanno richiamato la relazione dell'arch. Torre depositata nel giudizio di primo grado. Hanno contestato anche la terza eccezione di rito, evidenziando di essere proprietari di unità immobiliari nell'ambito del medesimo condominio, con la conseguenza che sarebbero ravvisabili i presupposti per la proposizione del ricorso collettivo. 6. Con memoria depositata in data 6 novembre 2023, la società Ma. s.r.l. si è soffermata sui motivi di appello, evidenziandone l'infondatezza e chiedendo conseguentemente la reiezione dell'appello. 7. Con ordinanza collegiale n. 10919/2023, questa Sezione ha disposto di procedere ad alcuni adempimenti istruttori, attraverso l'istituto della verificazione tecnica. 8. Con successiva ordinanza collegiale n. 2826/2024, è stata accolta l'istanza di proroga dei termini assegnati al verificatore per l'esecuzione degli adempimenti istruttori. 9. In data 6 maggio 2024, il verificatore ha depositato la relazione definitiva di verificazione nella quale sono state formulate le seguenti conclusioni: a) la distanza del fabbricato nel quale sono ubicati gli appartamenti di proprietà degli odierni appellanti dalla nuova costruzione verrà incrementata rispetto all'edificio ex Catasto, per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato di circa m. 13,50 (rispetto all'area di sedime del fabbricato demolito); b) la distanza della caserma Za. dal precedente fabbricato (ex Catasto) era di mt. 59,80; c) la caserma Za. ha un'altezza di mt. 26,90, ma è già circondata da palazzi di altezza superiore (in particolare, dall'Hotel Romeo, avente una altezza di mt. 38,20); il nuovo fabbricato avrà un'altezza di mt. 38,50 (incrementata di mt. 11 rispetto all'ex Catasto); d) nonostante l'incremento della altezza del nuovo fabbricato rimarranno invariate le condizioni di soleggiamento e illuminazione delle abitazioni degli appellanti, per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato rispetto a via De Gasperi; vi potrebbe essere una riduzione della visuale, ma solo per le unità abitative collocate ai piani più alti; e) la realizzazione del nuovo fabbricato non inciderà sulla visibilità della Caserma Za., per l'arretramento del nuovo fabbricato e per la presenza di altri palazzi più alti. 10. Con memorie di replica depositate rispettivamente in data 11 giugno e 13 giugno 2024 gli appellanti e la società controinteressata hanno insistito per l'accoglimento delle rispettive conclusioni. 11. All'udienza pubblica del 4 luglio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 12. In via preliminare, il Collegio è chiamato ad esaminare le eccezioni di rito ritualmente riproposte in grado di appello dalla società controinteressata, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. 13. Non può essere accolta l'eccezione di irricevibilità, per tardività, del ricorso introduttivo del giudizio. Secondo principi giurisprudenziali consolidati, di recente ribaditi da questa Sezione, la prova della tardività dell'impugnazione di un provvedimento amministrativo deve essere rigorosa e va data dalla parte che la eccepisce, la quale è tenuta a dimostrare quale fosse effettivamente la data alla quale la controparte ha acquisito piena conoscenza dell'atto da impugnare (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 aprile 2023 n. 4134). Nel caso di specie, non è stata fornita (dalla società controinteressata, che ha sollevato la relativa eccezione) la prova che l'installazione del cartello di cantiere e le informazioni ivi riportate consentissero ai ricorrenti (odierni appellanti) di acquisire consapevolezza degli elementi progettuali dell'opera edilizia autorizzata dal Comune di Napoli e, quindi, di apprezzare l'effettiva lesività dell'intervento edilizio intrapreso dalla società Ma. s.r.l. sulla base degli atti impugnati. 14. Fondata (anche alla luce delle risultanze della verificazione tecnica) è invece l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per difetto di interesse. 13.1. Con riguardo alle condizioni dell'azione giurisdizionale, in materia di impugnazione di titoli abilitativi edilizi, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 9 dicembre 2021, n. 22) ha avuto modo di stabilire i seguenti principi di diritto: a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso, quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambe e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione ad agire, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; b) l'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) l'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione fosse rilevata d'ufficio dal giudicante, nel rispetto dell'art. 73, comma 3, c.p.a. In ipotesi di impugnazione di un titolo edilizio, il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione ad agire, non vale dunque da solo e in automatico a dimostrare anche la sussistenza dell'ulteriore condizione dell'azione, costituita dall'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2023 n. 7371). Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, una volta affermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambe e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, costituente elemento fisico - spaziale quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l'area sulla quale sono destinati a prodursi gli effetti dell'atto contestato, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; va dunque valutato caso per caso se l'eventuale annullamento del titolo edilizio possa comportare effetti di riduzione in pristino rispetto all'opera edilizia, che si rivelino concretamente utili per il ricorrente, e non meramente emulativi, non essendo sufficiente la mera finalità demolitoria: l'interesse a ricorrere deve consistere in un'utilità ulteriore che il ricorrente mira a conseguire proponendo la sua azione; l'ordinamento giuridico non tutela infatti azioni meramente emulative (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 agosto 2022 n. 7609). 14.2. Nella relazione depositata dal Comune di Napoli - Area urbanistica nel giudizio di primo grado viene rappresentato quanto segue: "Giova premettere che l'immobile in questione ricade in zona A della Variante generale al Prg, al di fuori del centro storico così come perimetrato dal Prg approvato con Dm 1829 del 31.03.1972, ed è classificato come unità edilizia di recente formazione di cui agli articoli 63 e 124 delle Nta. L'immobile ricade, inoltre, in area d'interesse archeologico di cui alla tavola t4 della citata Variante e sottoposto alle disposizioni della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio Dlgs 4212004 art. 142 comma I lettera a) territori costieri compresi in una fascia di 300 m dalla linea di battigia". Nella relazione di verificazione depositata nel giudizio di appello viene confermato che: "L'area su cui era ubicato il fabbricato del Catasto è classificata come "zona A - insediamenti di interesse storico" ed è normata dall'art. 63 e 124 delle Norme di Attuazione "Edilizia di Recente formazione". Dalla documentazione tecnica versata in atti e dalla copiosa documentazione fotografica depositata dalle parti nel corso del giudizio risulta che l'area in relazione alla quale è previsto l'intervento edilizio di demolizione e ricostruzione (oggetto del presente giudizio) ricade in zona omogenea A fortemente urbanizzata e antropizzata, caratterizzata dalla significativa presenza di costruzioni di notevole altezza. In sede di verificazione tecnica è stato accertato che il palazzo nel quale sono ubicate le unità immobiliari degli odierni appellanti (sito in via (omissis)) ha una altezza di mt. 35,00; il fabbricato previsto nel progetto edilizio assentito dalla Amministrazione comunale avrà un'altezza di mt. 38,50; sarà dunque più elevato rispetto al fabbricato demolito - ex Catasto (che aveva un'altezza di mt. 27,50), ma sarà arretrato di mt. 13,50 rispetto alla precedente area di sedime. 14.3. In disparte la considerazione secondo la quale la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà alcun effetto di rilievo per gli appellanti titolari delle unità immobiliari poste al piano terra o ai primi piani del fabbricato antistante o addirittura prive di affaccio su via (omissis) (il che ingenera forti dubbi anche sulla ammissibilità del ricorso collettivo, non essendo le posizioni giuridiche soggettive dei ricorrenti, odierni appellanti, omogenee o assimilabili sul piano sostanziale), il verificatore ha accertato che la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà una incidenza significativa (in termini di soleggiamento, aria e luce) anche con riguardo alle unità immobiliari poste ai piani superiori del fabbricato di via (omissis) n. 45, in quanto la maggiore altezza del nuovo fabbricato sarà compensata dal suo arretramento di mt. 13,50 rispetto alla precedente area di sedime. 14.4. Dalla relazione di verificazione sembra doversi inferire che alcuni degli appellanti titolari delle unità abitative collocate ai piani più alti e con affaccio su via (omissis) potrebbero avere una riduzione della visuale panoramica, che tuttavia non assume rilevanza sul piano giuridico, tenendo conto, da un lato, delle altezze elevate degli altri palazzi limitrofi (così come riportate nella relazione di verificazione tecnica) e, dall'altro, del carattere fortemente urbanizzato e antropizzato della zona. Recentemente, questa Sezione, con sentenza 6 settembre 2024 n. 7464, ha avuto modo di ribadire che l'interesse alla tutela della visuale panoramica costituisce "un interesse di mero fatto, come tale, di regola, inidoneo a configurare una lesione giuridicamente rilevante utile ad integrare la condizione dell'interesse a ricorrere", richiamando una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale ".... la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi.....Nondimeno, il diritto di veduta consistente nella fruizione di un piacevole panorama....esige che di esso sia previamente accertata l'esistenza. Ebbene, la veduta panoramica può essere acquistata, oltre che in via negoziale (a titolo derivativo), anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione (a titolo originario), necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta....l'esistenza del diritto di veduta del panorama non può essere riconosciuta, indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale rispetto all'opera contestata. Ove bastasse, ai fini di ritenere validamente costituita la servitù di veduta panoramica, la mera esistenza in fatto di detta veduta, prima che l'opera contestata ne compromettesse l'esercizio, sarebbe leso il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali" (Cassazione civile, Sez. II, 22 giugno 2023 n. 17922). È bensì vero che la visuale panoramica, anche se priva di una diretta protezione giuridica, può rappresentare una qualità che incide sulla migliore fruibilità dell'immobile e quindi sul suo valore economico e in questo senso, come ricordato dalla Adunanza plenaria, la sua compromissione può, in concreto, integrare i presupposti di un pregiudizio idoneo a configurare l'interesse a ricorrere, ma deve comunque trattarsi di un pregiudizio effettivo e "serio": deve cioè trattarsi di una visuale effettivamente fruibile e connotata da evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio, proprio per evitare che l'iniziativa giudiziaria finisca per essere piegata a fini meramente emulativi o comunque estesa sino a ricomprendere profili di danno meramente soggettivi, disancorati da dati di realtà (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 settembre 2024 n. 7464). Nel caso di specie, la relazione di verificazione e la copiosa documentazione fotografica depositata in giudizio non consentono di ravvisare un reale pregiudizio (suscettibile di apprezzamento economico) alla posizione giuridica soggettiva degli odierni appellanti, in termini di riduzione della visuale panoramica, quale conseguenza della realizzazione dell'intervento edilizio autorizzato dal Comune di Napoli, in quanto, come sopra evidenziato, l'area in questione è caratterizzata da una forte urbanizzazione ed è già connotata dalla presenza di palazzi di notevole altezza (come quello degli appellanti). 14.5. Neppure viene in rilievo un pregiudizio alla posizione giuridica degli odierni appellanti sotto il profilo della tutela del patrimonio storico - artistico della zona. Degli edifici di carattere storico - artistico indicati dagli appellanti solo il Palazzo della Do. Ve. (oggi, caserma Za.) risulta collocato in area limitrofa rispetto al fabbricato dell'ex Catasto. La verificazione disposta nel giudizio di appello ha definitivamente chiarito che la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà alcuna incidenza significativa sulla visibilità della Caserma Za., per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato e in considerazione del fatto che la Caserma Za. è già circondata da palazzi più alti. La realizzazione del nuovo edificio non può quindi comportare l'effetto di pregiudicare la visibilità degli "edifici circostanti di carattere storico - artistico", che è la finalità perseguita dalla disposizione normativa di cui al d.m. n. 1444/1968. 14.6. Né sono idonee a radicare l'interesse delle parti appellanti le deduzioni articolate nell'ultimo motivo di appello, in ordine agli effetti della realizzazione dell'intervento edilizio contestato sulla sicurezza statica degli edifici circostanti, in quanto, da un lato, la società Ma. s.r.l. ha prodotto in sede di presentazione della istanza di permesso di costruire una relazione geologica e geotecnica datata marzo 2019, corredata da indagini relative alla caratterizzazione stratigrafica, geotecnica e sismica dell'area oggetto dell'intervento edilizio, dall'altra, prima del rilascio del permesso di costruire in questione, il Comune di Napoli aveva acquisito il parere espresso dal Servizio Difesa Idrogeologica del Territorio (nota del 26 febbraio 2020) relativamente proprio agli aspetti inerenti i tematismi geolitologici e idrogeologici che interessavano l'intervento in questione. Nel predetto parere è stata stabilita una serie di prescrizioni da rispettare nella fase di esecuzione dell'intervento di demolizione e di scavo, anche con riguardo al monitoraggio della falda acquifera. L'osservanza da parte della società Ma. s.r.l. delle prescrizioni impartite dalla Amministrazione attiene alla fase esecutiva dei lavori e non alla legittimità del provvedimento impugnato; conseguentemente, l'eventuale inosservanza delle predette prescrizioni potrebbe rilevare (ove ne ricorrano i presupposti) sotto il profilo del risarcimento del danno cagionato, ma non in ordine alla legittimità del provvedimento impugnato. 15. In conclusione, l'atto di appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado deve essere confermata con diversa motivazione (in accoglimento della eccezione sollevata dalla società controinteressata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di interesse). 16. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate nel dispositivo a favore del Comune di Napoli e della società Ma. s.r.l., sono poste a carico delle parti appellanti; sono compensate nei confronti del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, in ragione della costituzione formale. Il compenso spettante al verificatore viene definitivamente posto (in solido) a carico delle parti appellanti; esso verrà liquidato con autonomo provvedimento. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, in accoglimento della eccezione sollevata dalla società controinteressata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado, per difetto di interesse. Condanna gli appellanti (in solido) al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nei confronti del Comune di Napoli e della società Ma. s.r.l., che liquida, per ciascuna delle predette parti, in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge; spese compensate nei confronti del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli. Il compenso spettante al verificatore viene definitivamente posto (in solido) a carico delle parti appellanti; esso verrà liquidato con separato provvedimento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore Eugenio Tagliasacchi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7046 del 2023, proposto da Da. Av. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Ia., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro Comune di Napoli in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Ga. Ro., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Le. in Roma, via (...); Ministero della Cultura, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); nei confronti Ma. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Li., En. So., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Quarta n. 3202/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, del Ministero della Cultura, del Ministero dell'Interno e della società Ma. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti. 1. Gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il T.a.r. Campania ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di annullamento degli atti con i quali è stata autorizzata la ricostruzione dell'edificio ex Catasto, (in particolare, del permesso di costruire per un intervento di demolizione e ricostruzione, ai sensi dell'art. 5 della legge regionale 19/2009 s.m.i., richiesto dalla società Ma. s.r.l., in riferimento all'edificio di sua proprietà, ex Catasto, sito, in Napoli, in Via (omissis), foglio (omissis), p.lla (omissis), di cui alla disposizione dirigenziale del Servizio Sportello Unico Edilizia - Area Urbanistica - Comune di Napoli n. 274 del 29 marzo 2021). 2. Gli appellanti premettono di essere proprietari di alcune unità immobiliari ubicate in fabbricati siti di fronte all'edificio ex Catasto, in Napoli, alla via (omissis) (numeri civici (omissis)); a seguito dell'accesso agli atti effettuato da uno di essi (sig. Ma. Ma.), gli appellanti hanno avuto modo di apprendere che: - la società Ma. s.r.l. ha chiesto e ottenuto dal Comune di Napoli, in riferimento all'edificio ex Catasto, ricadente in Zona A della variante generale al P.R.G. (decreto P.G.R.C. n. 323 dell'11 giugno 2004), classificato come unità edilizia di recente formazione (art. 124 delle N.T.A.), il rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un intervento di demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, come previsto dalla legge regionale n. 19/2009 (si tratta della demolizione di un edificio esistente a carattere produttivo/direzionale e ricostruzione di un edificio ad uso residenziale); - l'istanza è stata presentata, ai sensi dell'art. 5 l.r. Campania 19/2009 s.m.i. (c.d. "piano casa"); - l'edificio ex Catasto, oggetto di intervento, aveva destinazione d'uso produttivo/direzionale; era alto mt. 29 e si sviluppava per 7 piani fuori terra; il nuovo edificio sarà composto da 11 piani fuori terra e due piani interrati. 3. Avverso il permesso di costruire i ricorrenti (odierni appellanti) hanno proposto ricorso al T.a.r. Campania, lamentando il pregiudizio che avrebbero subito per effetto dalla realizzazione dell'intervento edilizio proposto, incidente (a loro dire) non solo sul godimento delle unità immobiliari di loro proprietà, ma anche sul valore commerciale delle stesse, per effetto della riduzione di aria e di luce, oltre che di veduta panoramica. 4. Il T.a.r. della Campania ha respinto il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, oltre accessori di legge, in favore sia del Comune di Napoli che della società Ma. s.r.l. (controinteressata); le spese sono state compensate nei confronti delle altre parti costituite. 5. Gli appellanti hanno contestato la sentenza impugnata con cinque articolati motivi. 5.1. Con il primo motivo di appello, gli appellanti contestano il capo di sentenza, con il quale il giudice di primo grado ha rigettato il quarto motivo di ricorso, deducendo: violazione dell'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 e s.m.i.; violazione dell'art. 8 del d.m. n. 1444/1968; violazione dell'art. 124 n. t.a. della variante generale al p.r.g. approvata con decreto P.G.R.C. n. 323 dell'11 giugno 2004). Fanno rilevare che, con ordinanza del 21 ottobre 2022, il giudice di primo grado ha disposto incombenti istruttori, chiedendo alla Soprintendenza di specificare se il nuovo fabbricato potesse inserirsi nel relativo contesto, anche con riferimento precipuo all'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico. La Soprintendenza, con nota del 3 febbraio 2023, in relazione all'art. 8 del d.m. n. 1444/1968, ha precisato che in adiacenza al fabbricato in costruzione non ci sono edifici di carattere storico - artistico. Pur dando atto che la giurisprudenza amministrativa, in applicazione del criterio letterale (privilegiato dall'art. 12 delle preleggi), ha sostenuto che la locuzione "edifici circostanti" indica lessicalmente gli edifici che si trovano intorno all'area oggetto del permesso, senza a tali fini poter estendere l'area di interesse ad ulteriori concetti come zona o fasce territoriale o comparto, gli appellanti ritengono che, ai fini del calcolo dell'altezza ammissibile, non si possa tener conto dei soli edifici confinanti, trattandosi di locuzione questa ("edifici confinanti") diversa da quella di "edifici circostanti". Evidenziano che l'art. 8 del d.m. 1444/1968 è una disposizione con efficacia immediatamente precettiva. Il termine "circostante" indica ciò "che sta intorno e vicino" sicché il suo significato non può essere ristretto ai soli edifici immediatamente confinanti (con quello oggetto dei lavori). Nondimeno con l'espressione "altezza degli edifici circostanti" la norma fa riferimento per l'appunto all'altezza di ogni edificio "circostante" nel senso che ciascuna delle altezze degli edifici di carattere storico-artistico diviene il limite che vincolerà l'altezza delle "eventuali trasformazioni o nuove costruzioni". Nella vicenda in esame la Soprintendenza, per rispondere al quesito, avrebbe dovuto tener conto che, sul medesimo fronte stradale dell'edificio ex Catasto, sorge la Caserma Za. vale a dire l'edificio Do. Ve., oggi Caserma della Guardia di Finanza. Tale edificio non è solo un fabbricato storico, bensì è soprattutto un palazzo monumentale di Napoli, ubicato in via (omissis), la cui costruzione è risalente ai secoli XIV-XVI. L'omessa verifica circa l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico - artistico in rapporto con l'edificio previsto nel progetto edilizio assentito, tra i quali spicca l'edificio Caserma Za. - inficerebbe, per difetto di istruttoria e per violazione del d.m. 1444/1968, il parere della Soprintendenza del 29 dicembre 2020 prot. 14142 e, per l'effetto, l'autorizzazione paesaggistica del 29 gennaio 2021 prot. 8, che su di esso si fonda. 5.2. Con il secondo motivo, gli appellanti contestano il capo di sentenza con il quale è stato respinto il primo motivo di ricorso, deducendo: violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 124 delle n. t.a. della Variante generale al P.r.g. (decreto P.G.R.C. n. 323 dell'11 giugno 2004); violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, sia in riferimento alla data di presentazione della domanda di rilascio del p.d.c. (30 dicembre 2019), sia in riferimento alla data di rilascio del p.d.c. (29 marzo 2021); violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della l.r. n. 19/2009 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380/2001. Gli appellanti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado ha ritenuto che la disciplina eccezionale e premiale contenuta nella legge regionale della Campania n. 19/2009 consenta nel caso di specie l'aumento della volumetria esistente, con portata espressamente derogatoria rispetto al regime ordinario dettato dagli strumenti urbanistici vigenti. Gli appellanti contestano queste conclusioni, evidenziando che: a) alla base della previsione di cui all'art. 5, comma 1, l.r. n. 19/2009 s.m.i. vi è un intervento di ristrutturazione edilizia che, in ragione del disposto di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001 s.m.i., ricomprende anche gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti; b) alla data della istanza presentata dalla società Ma. s.r.l. l'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001, come modificato dall'articolo 30, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013 n. 69 (conv., con mod., dalla l. 9 agosto 2013 n. 98), in punto di definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, prevedeva che "...Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente". Secondo la tesi degli appellanti, l'interpretazione dell'art. 5, comma 1, l.r. n. 19/2009, alla luce delle definizioni del d.P.R. 380/2001, avrebbe dovuto indurre il Comune a ritenere che l'intervento per cui è causa - che incide su un'area soggetta a vincolo paesaggistico e che pacificamente non rispetta il limite della sagoma preesistente - non rientrava nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001, qualificandosi invece come intervento di nuova costruzione, non ammissibile nella zona di riferimento per la quale, ai sensi dell'art. 124, comma 2, N.T.A.,... "sono consentiti interventi fino alla ristrutturazione edilizia di cui all'art. 12 della parte I delle presenti norme, a parità di volume", con ulteriore concorrente profilo di illegittimità del permesso di costruire, per omessa considerazione delle definizioni di cui all'art. 3 d.P.R. 380/2001, di indefettibile esame per la corretta applicazione delle disposizioni del piano casa. 5.3. Con il terzo motivo di appello, gli appellanti contestano il capo di sentenza, con il quale il giudice di primo grado ha rigettato il secondo motivo di ricorso, deducendo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della l.r. n. 5/2009 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione dell'art. 124 delle n. t.a. della variante generale al p.r.g. di Napoli; errore sui presupposti; difetto di motivazione. Fanno rilevare che il T.a.r. ha rigettato il secondo motivo di ricorso sulla base della considerazione che l'intervento premiale di cui all'art. 5 della l.r. n. 19/2009 è stato ritenuto ammissibile, intendendosi per "volumetria esistente", non già, solo, la volumetria lorda già edificata, bensì anche la "volumetria edificabile", ovverosia quella potenzialmente ammissibile, in base alle disposizioni urbanistiche contenute nel vigente P.R.G. del Comune di Napoli, che, nella specie ammettono la destinazione residenziale, come previsto dall'art. 124 delle NTA della Variante al PRG del Comune di Napoli, in combinato disposto con l'art. 21 delle medesime NTA. A giudizio degli appellanti, la sentenza impugnata sarebbe affetta da errore sui presupposti, prescindendo essa dalla natura delle previsioni del piano casa e dal conseguente ambito dalla loro interpretazione. Evidenziano che le norme sul piano casa costituiscono norme eccezionali che non possono essere interpretate oltre alle ipotesi espressamente previste. A giudizio degli appellanti, sarebbe evidente che, rispetto alla definizione di cui all'art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 19/2009 che la congiunzione "o" presenta ipotesi alternative che, in quanto tali, sono escludenti ciascuna rispetto a tutte le altre. Orbene, il caso in esame corrisponderebbe oggettivamente alla fattispecie di volumetria lorda già edificata e non rientrerebbe in nessuna delle altre fattispecie indicate nella lettera e). L'intervento in questione, riguardando un edificio preesistente a totale destinazione direzionale e quindi neanche in minima parte con destinazione residenziale, non poteva essere soggetto alle previsioni del piano casa, data l'inconfigurabilità della percentuale minima del cinquantacinque per cento del volume esistente dell'intero edificio, richiesta dalla legge (artt. 2 e 5 l.r. n. 19/2009). Sotto altro profilo, accertata l'inapplicabilità delle previsioni del piano casa, si eccepisce che l'art. 124 n. t.a. consente sì interventi fino alla ristrutturazione edilizia, come rilevato dal T.a.r. nel capo di sentenza impugnato (peraltro nei termini di cui al motivo I di appello), ma a parità di volumi e di altezze, con esclusione di qualsiasi possibilità di maggiori dimensioni; ne conseguirebbe il contrasto anche con l'art. 124 n. t.a. da parte del permesso di costruire per avere lo stesso consentito volumi e altezze maggiori di quelli preesistenti. 5.4. Con il quarto motivo, gli appellanti contestano il capo di sentenza con il quale il giudice di primo grado ha respinto il terzo motivo di ricorso, deducendo: violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l.r. n. 5/2009 e s.m.i.; errore sui presupposti; difetto di motivazione. Evidenziano che il T.a.r. ha respinto il terzo motivo di ricorso, condividendo l'interpretazione resa dalla stessa Avvocatura municipale, nel parere del 31 ottobre 2018, secondo la quale il termine dei 50 anni, a ritroso, fino all'intervenuta realizzazione o ristrutturazione dell'edificio, deve computarsi dall'entrata in vigore della legge regionale n. 1/2011, di modifica della l.r. n. 19/2009, che ha effettivamente introdotto la relativa opzione estensiva, originariamente non contemplata dall'art. 3, comma 1, lett. b), della predetta legge. Il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto delle seguenti circostanze: - la l.r. n. 19/2009 non è una legge con effetti duraturi, essendo destinata ad operare per un arco temporalmente limitato, sempre dietro presentazione di un'istanza che deve precedere la loro esecuzione e dalla quale deve, peraltro, emergere la rispondenza dell'intervento alle specifiche finalità perseguite dal legislatore regionale; - tale interpretazione scaturisce dalla previsione di cui all'art. 12 norma finale e transitoria comma 1 l.r. 19/2019 s.m.i.; detta disposizione, in origine, prevedeva che le istanze finalizzate ad ottenere i titoli abilitativi, denuncia inizio attività o permesso a costruire, richiesti dalla vigente normativa nazionale e regionale per la realizzazione degli interventi di cui agli articoli 4, 38 5, 6-bis, 7 e 8 dovessero essere presentate entro il termine perentorio di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge di modifica; termine prorogato, con carattere di perentorietà, sino al 30 settembre 2022, e non oggetto di ulteriori proroghe. L'eccezionalità della legge e l'obbligo di interpretarla in modo letterale e rigoroso e la sua accertata provvisorietà, comporterebbero che il termine di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), non possa che essere fatto decorrere dal momento della presentazione della domanda. Ciò in quanto la certezza del diritto è rappresentata proprio dalla riconosciuta provvisorietà della legge e dei suoi effetti che discendono dalla presentazione di espressa istanza, in relazione alla quale vanno calcolati, a ritroso, i cinquant'anni di cui all'art. 3, comma 1, lettera b). 5.5. Con il quinto motivo di appello, gli appellanti contestano il capo di sentenza, con il quale il giudice di primo grado ha respinto il quinto motivo di ricorso, deducendo: difetto di istruttoria circa le indagini che avrebbero dovuto precedere la demolizione dell'edificio in ossequio al principio di precauzione di cui all'art. 191 del T.F.U.E.; errore sui presupposti; difetto di motivazione. Il T.a.r. ha rigettato il quinto motivo di ricorso, ritenendo generiche le censure sollevate dai ricorrenti in ordine alla mancata acquisizione di indagini preliminari e di monitoraggio che avrebbero dovuto precedere la demolizione o comunque coinvolgere i condominii insistenti sulle aree circostanti l'edificio ex Catasto. A giudizio degli appellanti, l'errore commesso dal T.a.r. sarebbe consistito, da un lato, nell'omesso esame del quinto motivo di ricorso incentrato sull'illegittimità delle previsioni del permesso di costruire rispetto alle verifiche da compiere in ordine alla sicurezza statica dei fabbricati presenti nella zona dell'intervento edilizio in questione (verifiche, che sono state ancorate esclusivamente agli scavi successivi alla demolizione, tanto in violazione del principio di precauzione, ai fini della prevenzione di eventuali danni); dall'altro, nell'omesso esame di un documento di sicura rilevanza, quale è il rapporto di intervento di soccorso dei Vigili del Fuoco del 21 dicembre 2022 (depositato dai ricorrenti nel giudizio di primo grado in data 26 gennaio 2023), che ha accertato la presenza di acqua nelle cantinole e nei locali di alloggio degli ascensori di alcuni edifici di Via (omissis) (dove ricadono le unità immobiliari degli appellanti). 6. Gli appellanti hanno formulato anche istanza di verificazione per accertamenti tecnici relativi al fabbricato denominato caserma Za.. 7. Si è costituita in giudizio la società Ma. s.r.l. (controinteressata). 8. In data 7 settembre 2023, sulla base dell'impegno della società controinteressata a non realizzare opere in sopraelevazione, nelle more della discussione del merito dell'appello e sino alla pubblicazione della decisione che definirà il giudizio, i difensori delle parti costituite hanno chiesto l'abbinamento al merito dell'istanza cautelare formulata in via incidentale nell'atto di appello e la fissazione, con la massima urgenza, dell'udienza di trattazione dell'appello. 9. Con memoria depositata in data 11 settembre 2023, la società Ma. s.r.l. (controinteressata) ha riproposto, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., le eccezioni di rito sollevate nel giudizio di primo grado; in particolare, ha chiesto: a) la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto proposto in assenza dei presupposti per la proposizione di un ricorso collettivo, stante la sussistenza di posizioni di conflitto di interesse tra i ricorrenti; b) la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per difetto di legittimazione ad agire e di interesse a ricorrere; c) la declaratoria di inammissibilità (rectius, irricevibilità ) del ricorso di primo grado, per tardività, sostenendo che dal cartello di cantiere, installato in data 3 maggio 2021, le parti ricorrenti avrebbero potuto acquisire consapevolezza dell'esistenza del permesso di costruire e della sua lesività ; il ricorso di primo grado è stato notificato il 19 novembre 2021, quando il termine decadenziale previsto per la impugnativa era ormai decorso. 9.1. Nel merito, la società controinteressata ha contestato la fondatezza dei motivi di appello e ne ha chiesto la reiezione. 10. Con ordinanza di questa Sezione n. 3809/2023, si è dato atto della rinuncia alla istanza cautelare. 11. In data 27 ottobre 2023, la società Ma. s.r.l. ha depositato una perizia a firma degli architetti Ro. Bl. ed Esposito Monica, nella quale si sostiene che la Caserma Za. è già circondata da edifici più alti e, conseguentemente, la realizzazione dell'edificio previsto nel progetto presentato non comporterebbe un peggioramento della visibilità di questo edificio; si fa rilevare inoltre che anche l'edificio ex Catasto (ormai demolito) era più alto della Caserma Za.. 12. Nella memoria di replica depositata in data 16 novembre 2023, gli appellanti hanno contestato le conclusioni della perizia depositata dalla società controinteressata, ribadendo, da un lato, il carattere storico - artistico della Caserma Za. ed evidenziando, dall'altro, che detto edificio è visibile dall'area dell'edificio ex Catasto; hanno insistito sulla necessità di accertamenti istruttori con riguardo a quest'ultimo profilo. 13. Nella memoria di replica depositata in data 16 novembre 2023, la società controinteressata ha insistito per l'accoglimento delle eccezioni di rito precedentemente formulate e comunque per il rigetto, nel merito, dell'appello. 14. Con ordinanza collegiale n. 10921/2023, questa Sezione ha ravvisato la necessità di procedere ad alcuni accertamenti in merito ad elementi di fatto controversi tra le parti costituite, disponendo verificazione tecnica. Con successiva ordinanza collegiale n. 2827/2024 è stata accolta l'istanza di proroga dei termini assegnati al verificatore per l'esecuzione degli adempimenti istruttori di cui alla precedente ordinanza collegiale. 15. In data 6 maggio 2024, il verificatore ha depositato la relazione finale, nella quale sono state formulate le seguenti conclusioni: a) la distanza del fabbricato nel quale sono ubicate gli appartamenti di proprietà degli odierni appellanti dalla nuova costruzione verrà incrementata rispetto all'edificio ex Catasto, per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato di circa mt. 13,50 (rispetto all'area di sedime del fabbricato demolito); b) la distanza della caserma Za. dal precedente fabbricato (ex Catasto) è di mt. 59,80; c) la caserma Za. ha un'altezza di mt. 26,90, ma è già circondata da palazzi di altezza superiore (in particolare, dall'Hotel Romeo, avente una altezza di mt. 38,20); il nuovo fabbricato avrà un'altezza di mt. 38,50 (incrementata di mt. 11 rispetto all'ex Catasto); d) nonostante l'incremento della altezza del nuovo fabbricato rimangono invariate le condizioni di soleggiamento, aria e luce delle unità immobiliari di proprietà degli appellanti, per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato rispetto a via (omissis); vi potrebbe essere una riduzione della visuale, ma solo per le unità abitative collocate ai piani più alti; e) la realizzazione del nuovo fabbricato non inciderà sulla visibilità della Caserma Za., per l'arretramento del nuovo fabbricato e per la presenza di altri palazzi più alti posti nelle immediate vicinanze della predetta Caserma. 16. In data 23 maggio 2024 si è costituita in giudizio la società PQ. s.r.l., dichiarando di essere subentrata - a seguito del progetto di fusione per incorporazione della FE. CO. s.p.a. e della contestuale scissione parziale non proporzionale approvata da IM. GA. s.p.a., la predetta società (PQ. s.r.l.) - "in tutti i rapporti sostanziali, attivi e passivi, anche processuali, che riguardano gli immobili interessati dal presente giudizio di appello...." e insistendo per la riforma della sentenza impugnata. 17. Nella memoria depositata in data 3 giugno 2024 la società Ma. s.r.l. ha ribadito l'assenza di interesse dei ricorrenti (odierni appellanti) alla proposizione del ricorso, atteso che solo alcuni degli appellanti (ossia, quelli titolari delle unità abitative poste ai piani più alti) riceverebbero una riduzione della veduta; tuttavia, anche rispetto a questi ultimi, tale elemento non sarebbe sufficiente a radicare l'interesse a ricorrere, non traducendosi in un effettivo deprezzamento dell'unità immobiliari facenti capo ad essi e non determinando la realizzazione del nuovo fabbricato una compromissione dei beni della salute e dell'ambiente; in ogni caso, il pregiudizio asseritamente subito dai ricorrenti non sarebbe stato adeguatamente comprovato. 18. Con memoria di replica depositata in data 13 giugno 2024, gli appellanti hanno contestato le conclusioni della verificazione soprattutto con riguardo al soleggiamento, ritenendo che esse siano basate su studi superficiali e non documentati "come già dimostrato nelle osservazioni del C.T.P. degli appellanti (Prof. Arch. Ing. Fa. Ia.) alla bozza di relazione di verificazione e in quelle alla versione definitiva (trasfuse nella memoria degli appellanti del 3 giugno 2024)". 19. All'udienza pubblica del 4 luglio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 20. In via preliminare, il Collegio è chiamato ad esaminare le eccezioni di rito ritualmente riproposte in grado di appello dalla società controinteressata, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. 21. Non può essere accolta l'eccezione di irricevibilità, per tardività, del ricorso introduttivo del giudizio. Secondo principi giurisprudenziali consolidati, di recente ribaditi da questa Sezione, la prova della tardività dell'impugnazione di un provvedimento amministrativo deve essere rigorosa e va data dalla parte che la eccepisce, la quale è tenuta a dimostrare quale fosse effettivamente la data alla quale la controparte ha acquisito piena conoscenza dell'atto da impugnare (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 aprile 2023 n. 4134). Nel caso di specie, non è stata fornita (dalla società controinteressata, che ha sollevato la relativa eccezione) la prova che l'installazione del cartello di cantiere e le informazioni ivi riportate consentissero ai ricorrenti (odierni appellanti) di acquisire consapevolezza degli elementi progettuali dell'opera edilizia autorizzata dal Comune di Napoli e, quindi, di apprezzare l'effettiva lesività dell'intervento edilizio intrapreso dalla società Ma. s.r.l. sulla base degli atti impugnati. 22. Fondata (anche alla luce delle risultanze della verificazione tecnica) è invece l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, per difetto di interesse. 22.1. Con riguardo alle condizioni dell'azione giurisdizionale, in materia di impugnazione di titoli abilitativi edilizi, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 9 dicembre 2021 n. 22) ha avuto modo di stabilire i seguenti principi di diritto: a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso, quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambe e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione ad agire, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; b) l'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) l'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione fosse rilevata d'ufficio dal giudicante, nel rispetto dell'art. 73, comma 3, c.p.a. In ipotesi di impugnazione di un titolo edilizio, il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione ad agire, non vale dunque da solo e in automatico a dimostrare anche la sussistenza dell'ulteriore condizione dell'azione, costituita dall'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2023 n. 7371). Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, una volta affermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambe e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, costituente elemento fisico - spaziale quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l'area sulla quale sono destinati a prodursi gli effetti dell'atto contestato, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; va dunque valutato caso per caso se l'eventuale annullamento del titolo edilizio possa comportare effetti di riduzione in pristino rispetto all'opera edilizia, che si rivelino concretamente utili per il ricorrente, e non meramente emulativi, non essendo sufficiente la mera finalità demolitoria: l'interesse a ricorrere deve consistere in un'utilità ulteriore che il ricorrente mira a conseguire proponendo la sua azione; l'ordinamento giuridico non tutela infatti azioni meramente emulative (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 agosto 2022 n. 7609). 22.2. Nella relazione depositata dal Comune di Napoli - Area urbanistica nel giudizio di primo grado viene rappresentato quanto segue: "Giova premettere che l'immobile in questione ricade in zona A della Variante generale al Prg, al di fuori del centro storico così come perimetrato dal Prg approvato con Dm 1829 del 31.03.1972, ed è classificato come unità edilizia di recente formazione di cui agli articoli 63 e 124 delle Nta. L'immobile ricade, inoltre, in area d'interesse archeologico di cui alla tavola t4 della citata Variante e sottoposto alle disposizioni della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio Dlgs 4212004 art. 142 comma I lettera a) territori costieri compresi in una fascia di 300 m dalla linea di battigia". Nella relazione di verificazione depositata nel giudizio di appello viene confermato che: "L'area su cui era ubicato il fabbricato del Catasto è classificata come "zona A - insediamenti di interesse storico" ed è normata dall'art. 63 e 124 delle Norme di Attuazione "Edilizia di Recente formazione". Dalla documentazione tecnica versata in atti e dalla copiosa documentazione fotografica depositata dalle parti nel corso del giudizio risulta che l'area in relazione alla quale è previsto l'intervento edilizio di demolizione e ricostruzione (oggetto del presente giudizio) ricade in zona omogenea A fortemente urbanizzata e antropizzata, caratterizzata dalla significativa presenza di costruzioni di notevole altezza. In sede di verificazione tecnica è stato accertato che i palazzi nei quali sono ubicate le unità immobiliari degli odierni appellanti (siti in via (omissis) numeri civici (omissis)) hanno una altezza di mt. 35,00/37,30; il fabbricato previsto nel progetto edilizio assentito dalla Amministrazione comunale avrà un'altezza di mt. 38,50; sarà dunque più elevato rispetto al fabbricato demolito - ex Catasto (che aveva un'altezza di mt. 27,50), ma sarà arretrato di mt. 13,50 rispetto alla precedente area di sedime. 22.3. In disparte la considerazione secondo la quale la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà alcun effetto di rilievo per gli appellanti titolari delle unità immobiliari poste al piano terra o ai primi piani dei fabbricati antistanti o addirittura prive di affaccio su via (omissis) (il che ingenera forti dubbi anche sulla ammissibilità del ricorso collettivo, non essendo le posizioni giuridiche soggettive dei ricorrenti, odierni appellanti, omogenee o assimilabili sul piano sostanziale), il verificatore ha accertato che la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà una incidenza significativa (in termini di soleggiamento, aria e luce) anche con riguardo alle unità immobiliari poste ai piani superiori degli altri fabbricati di via (omissis), in quanto la maggiore altezza del nuovo fabbricato sarà compensata dal suo arretramento di mt. 13,50 rispetto alla precedente area di sedime. 22.4. Dalla relazione di verificazione sembra doversi inferire che solo alcuni dei titolari delle unità abitative collocate sui piani più alti e con affaccio su via Alcide (omissis), non necessariamente appellanti, potrebbero avere teoricamente una riduzione della visuale panoramica, che tuttavia non assume rilevanza sul piano giuridico, tenendo conto, da un lato, delle altezze elevate degli altri palazzi limitrofi (così come riportate nella relazione di verificazione tecnica) e, dall'altro, del carattere fortemente urbanizzato e antropizzato della zona. Recentemente, questa Sezione, con sentenza 6 settembre 2024 n. 7464, ha avuto modo di ribadire che l'interesse alla tutela della visuale panoramica costituisce "un interesse di mero fatto, come tale, di regola, inidoneo a configurare una lesione giuridicamente rilevante utile ad integrare la condizione dell'interesse a ricorrere", richiamando una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale ".... la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi.....Nondimeno, il diritto di veduta consistente nella fruizione di un piacevole panorama....esige che di esso sia previamente accertata l'esistenza. Ebbene, la veduta panoramica può essere acquistata, oltre che in via negoziale (a titolo derivativo), anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione (a titolo originario), necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta....l'esistenza del diritto di veduta del panorama non può essere riconosciuta, indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale rispetto all'opera contestata. Ove bastasse, ai fini di ritenere validamente costituita la servitù di veduta panoramica, la mera esistenza in fatto di detta veduta, prima che l'opera contestata ne compromettesse l'esercizio, sarebbe leso il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali" (Cassazione civile, Sez. II, 22 giugno 2023 n. 17922). È bensì vero che la visuale panoramica, anche se priva di una diretta protezione giuridica, può rappresentare una qualità che incide sulla migliore fruibilità dell'immobile e quindi sul suo valore economico e in questo senso, come ricordato dalla Adunanza plenaria, la sua compromissione può, in concreto, integrare i presupposti di un pregiudizio idoneo a configurare l'interesse a ricorrere, ma deve comunque trattarsi di un pregiudizio effettivo e "serio": deve cioè trattarsi di una visuale effettivamente fruibile e connotata da evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio, proprio per evitare che l'iniziativa giudiziaria finisca per essere piegata a fini meramente emulativi o comunque estesa sino a ricomprendere profili di danno meramente soggettivi, disancorati da dati di realtà (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 settembre 2024 n. 7464). Nel caso di specie, la relazione di verificazione e la copiosa documentazione fotografica depositata in giudizio non consentono di ravvisare un reale pregiudizio (suscettibile di apprezzamento economico) alla posizione giuridica soggettiva degli odierni appellanti, in termini di riduzione della visuale panoramica, quale conseguenza della realizzazione dell'intervento edilizio autorizzato dal Comune di Napoli, in quanto, come sopra evidenziato, l'area in questione è caratterizzata da una forte urbanizzazione ed è già connotata dalla presenza di palazzi di notevole altezza (come quello degli appellanti). 22.5. Neppure viene in rilievo un pregiudizio alla posizione giuridica degli odierni appellanti sotto il profilo della tutela del patrimonio storico - artistico della zona. Degli edifici di carattere storico - artistico presenti nella zona solo il Palazzo della Do. Ve. (oggi, caserma Za.) risulta collocato in area limitrofa rispetto al fabbricato dell'ex Catasto. La verificazione disposta nel giudizio di appello ha definitivamente chiarito che la realizzazione del nuovo fabbricato non avrà alcuna incidenza significativa sulla visibilità della Caserma Za., per effetto dell'arretramento del nuovo fabbricato e in considerazione del fatto che la Caserma Za. è già circondata da palazzi più alti. La realizzazione del nuovo edificio non può quindi comportare l'effetto di pregiudicare la visibilità degli "edifici circostanti di carattere storico - artistico", che è la finalità perseguita dalla disposizione normativa di cui al d.m. n. 1444/1968. 22.6. Né sono idonee a radicare l'interesse delle parti appellanti le deduzioni articolate nell'ultimo motivo di appello, in ordine agli effetti della realizzazione dell'intervento edilizio contestato sulla sicurezza statica degli edifici circostanti, in quanto, da un lato, la società Ma. s.r.l. ha prodotto in sede di presentazione della istanza di permesso di costruire una relazione geologica e geotecnica datata marzo 2019, corredata da indagini relative alla caratterizzazione stratigrafica, geotecnica e sismica dell'area oggetto dell'intervento edilizio, dall'altra, prima del rilascio del permesso di costruire in questione, il Comune di Napoli aveva acquisito il parere espresso dal Servizio Difesa Idrogeologica del Territorio (nota del 26 febbraio 2020) relativamente proprio agli aspetti inerenti i tematismi geolitologici e idrogeologici che interessavano l'intervento in questione. Nel predetto parere è stata stabilita una serie di prescrizioni da rispettare nella fase di esecuzione dell'intervento di demolizione e di scavo, anche con riguardo al monitoraggio della falda acquifera. L'osservanza da parte della società Ma. s.r.l. delle prescrizioni impartite dalla Amministrazione attiene alla fase esecutiva dei lavori e non alla legittimità del provvedimento impugnato; conseguentemente, l'eventuale inosservanza delle predette prescrizioni potrebbe rilevare (ove ne ricorrano i presupposti) sotto il profilo del risarcimento del danno cagionato, ma non in ordine alla legittimità del provvedimento impugnato. 23. In conclusione, l'atto di appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado deve essere confermata con diversa motivazione (in accoglimento della eccezione sollevata dalla società controinteressata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di interesse). 24. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate nel dispositivo a favore del Comune di Napoli e della società Ma. s.r.l., sono poste a carico delle parti appellanti; sono compensate nei confronti del Ministero della Cultura e del Ministero dell'Interno, in ragione della costituzione formale. Il compenso spettante al verificatore viene definitivamente posto a carico delle parti appellanti; esso verrà liquidato con autonomo provvedimento. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, in accoglimento della eccezione sollevata dalla società controinteressata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado, per difetto di interesse. Condanna gli appellanti (in solido) al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nei confronti del Comune di Napoli e della società Ma. s.r.l., che liquida, per ciascuna delle predette parti, in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge; spese compensate nei confronti del Ministero della Cultura e del Ministero dell'Interno. Il compenso spettante al verificatore viene definitivamente posto (in solido) a carico delle parti appellanti; esso verrà liquidato con separato provvedimento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore Eugenio Tagliasacchi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1275 del 2022, proposto dai signori Ni. Ba. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, non costituita in giudizio; nei confronti E-Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ce. Ma. e Fa. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 00370/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura e di E-Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati come da verbale quanto al passaggio in decisione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso al T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia, integrato da motivi aggiunti, i signori Ni. Ba. ed altri, in qualità di proprietari di immobili limitrofi nonché residenti nell'area di intervento, hanno impugnato il permesso di costruire n. 011/2021, rilasciato in data 6.4.2021 dal Comune di (omissis), alla ditta E-Co. S.r.l. "per l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione con ampliamenti di fabbricati ad uso residenziale per la costruzione di n. 6 unità abitative, su immobile sito in (omissis), Via (omissis) e censito catastalmente al fg. (omissis) - mapp. (omissis)". 2. L'area in questione, dichiarata di notevole interesse pubblico, denominata "Le sponde del fiume Na.", è sottoposta a vincolo paesaggistico con D.M. 1.7.1955, ai sensi dell'art. 2, numero 3, della L. 1.6.1939 n. 1989. La stessa area rientra nel Piano Paesaggistico Regionale del Friuli Venezia Giulia. Le particelle oggetto dell'intervento, inoltre, ricadono all'interno del PAC "Ambito del Centro Storico del Capoluogo", in zona omogenea A/A1 (di conservazione). 3. Hanno anche impugnato gli atti presupposti, tra cui l'autorizzazione paesaggistica, rilasciata in data 3.2.2021, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, dal Responsabile dell'Unità Operativa Urbanistica /Edilizia Privata/Ambiente del Comune di (omissis) ed il presupposto parere favorevole del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia dd. 18.1.2021, con numero GEN-GEN 2021-1396. 4. Assumevano che la realizzazione dell'intervento in questione avrebbe determinato una riduzione del pregio storico, architettonico e paesaggistico dell'intera area e, quindi, anche delle abitazioni di loro proprietà e che la realizzazione, sul mappale n. (omissis), di un nuovo fabbricato, avrebbe ostruito l'unico punto visivo che si ha da via(omissis) e dalle loro abitazioni verso il fiume Na. e la città (omissis); pertanto articolavano motivi di ricorso per violazione e falsa applicazione di diverse disposizioni di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili relativi ai presupposti legittimanti l'intervento. 5. Con sentenza n. 370 del 2021 il T.a.r per il Friuli Venezia Giulia ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse. Il giudice di primo grado, in particolare, ha rilevato che: a) i ricorrenti "non avevano fornito alcuna prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla loro sfera giuridica ovvero del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione dell'intervento edificatorio" (cfr. p. 8) e ciò anche con riferimento al paventato rischio geologico. b) mancava persino un principio di prova circa il pregiudizio asseritamente patito, non potendosi ritenere sufficiente allo scopo la generica affermazione per cui "la eliminazione del fabbricato di cui al fg. (omissis), mapp. (omissis), facendo venire meno la tipologia "a corte" del compendio immobiliare, sostituendola con una tipologia tipica delle costruzioni a schiera, determina il venir meno di quelle caratteristiche architettoniche per le quali l'area nella quale ricadono le abitazioni dei ricorrenti, ha ricevuto una particolare considerazione da parte dello stesso Comune di (omissis), tanto da inserirla nel PAC Ambito del Centro Storico e da classificarla quale zona A-A1 "di Conservazione" . Con conseguente riduzione del pregio, anche economico, delle abitazioni dei ricorrenti"; c) le stesse deduzioni difensive del Ministero della Cultura (MIC) - riportate per esteso a p. 6 e 7 della sentenza - che illustravano con dovizia di dettagli la mancanza di profili di pregio architettonico degli immobili oggetto dell'intervento, erano rimaste incontestate; d) incidentalmente, in motivazione, affermava anche la inammissibilità del ricorso, in quanto proposto in via collettiva nonostante non vi fosse identità di posizione processuale in punto di interesse a ricorrere, come poi comprovato dalla stessa documentazione fotografica. 6. Avverso la predetta sentenza i ricorrenti hanno interposto appello, per chiederne la riforma in quanto errata in diritto, riproponendo al contempo i motivi di merito non esaminati dal T.a.r. in quanto assorbiti dalla pronuncia in rito. 7. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis), il MIC e la società E-Co. S.r.l. per resistere al gravame, chiedendo la conferma della sentenza del T.a.r. in rito e, in ogni caso, argomentando in ordine alla infondatezza dei motivi di ricorso riproposti dagli appellanti e relativi alla legittimità dei titoli autorizzatori impugnati. 8. Alla udienza pubblica del 15 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie difensive e di replica con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive. 9. Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità delle perizie di parte depositate dagli appellanti (doc. 3) e, a confutazione, dalla società controinteressata, nel presente grado, stante il divieto posto dall'art. 104, comma 2, c.p.a.. Sempre in via preliminare il Collegio, stante l'ampia documentazione fotografica depositata dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, ritiene di non poter accogliere - in quanto non rilevante - la richiesta degli appellanti di disporre una CTU o una Verificazione volta ad accertare: "lo stato dei luoghi; la visuale dalla proprietà di ciascun ricorrente e dalla Via(omissis sul centro storico di (omissis), nonché l'impatto che i nuovi volumi avranno su tale visuale; le caratteristiche fisiche, geologiche (se pianeggianti o meno), urbanistiche ed architettoniche delle aree e degli immobili oggetto degli interventi". La predetta documentazione fotografica consente infatti di accertare tutti gli elementi di fatto necessari per la decisione della controversia, anche in relazione alla questione della sussistenza dell'interesse a ricorrere. 10. Nel merito l'appello è infondato. 11. Merita, in particolare, di essere confermata la statuizione con cui il T.a.r. ha dichiarato la inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per difetto di interesse alla impugnazione. 12. Il punto è stato oggetto dei primi due motivi di censura con i quali gli appellanti hanno dedotto: 1. "Violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., richiamato dall'art. 39 c.p.a., nonchè dell'art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a., quanto all'esistenza dell'interesse al ricorso.". 2. "Erronea valutazione dei fatti posti a base della decisione, con riferimento alle (affermate) insufficienti e mancate contestazioni dei ricorrenti". 12.1 Lamentano, in particolare, che il T.a.r. avrebbe errato nel considerare insussistente l'interesse al ricorso che invece era stato specificato dai ricorrenti sin dal ricorso introduttivo e individuato nei seguenti profili di danno, conseguenti alla trasformazione edilizia autorizzata: a) la realizzazione dell'intervento oggetto del permesso di costruire, comportando la demolizione di un fabbricato che rappresenta una testimonianza della tipologia costruttiva dell'800, e la realizzazione - in sostituzione di tale fabbricato e della tipica struttura "a corte" del complesso immobiliare - di unità abitative in linea, c.d. "a schiera", con caratteristiche tipologiche proprie delle costruzioni moderne, determinerebbe una evidente riduzione del pregio storico, architettonico e paesaggistico dell'intera area e, quindi, anche delle abitazioni di proprietà di tutti i ricorrenti che in tale area si collocano; b) l'intervento oggetto del permesso di costruire prevede la realizzazione, sul mappale n. (omissis), di un nuovo fabbricato che ostruisce l'unico punto visivo che si ha da via (omissis), lungo la quale risiedono tutti i ricorrenti - oltre che dalle abitazioni di 9 dei 10 ricorrenti - verso il fiume Na. e il centro storico di (omissis); c) l'erronea valutazione della situazione di rischio geologico di un'area delicatissima qual è quella posta lungo la "forra del fiume Na." andrebbe apprezzata anche sotto il profilo dell'interesse dei ricorrenti a che, nell'area di insediamento delle loro abitazioni, si realizzino interventi edilizi che non pongano alcun dubbio sul versante della sicurezza geologica. Interesse che, sul piano dei beni lesi dagli atti impugnati, si tradurrebbe nella lesione della aspettativa a condurre una vita serena all'interno della propria abitazione e, in definitiva, a non avere una riduzione della qualità di vita conseguente al depauperamento della qualità dell'insediamento abitativo. 12.2. Inoltre il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere incontestato il documento sui c.d. coni visivi depositato dalla società controinteressata (cfr. doc. 3 deposito 5.6.2021) poiché la contestazione sarebbe desumibile proprio dalla documentazione fotografica depositata dai ricorrenti (cfr. doc. da 33 a 37, deposito del 21.10.2021) che comprova la sussistenza di una visuale panoramica da via(omissis e dai singoli immobili, suscettibile di essere pregiudicata dalla realizzazione del nuovo fabbricato. 13. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati. 13.1. Come noto l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 22 del 2021, per quanto di interesse, ha affermato i seguenti principi: a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato; b) l'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) l'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d'ufficio dal giudicante, nel rispetto dell'art. 73, comma 3, c.p.a.; d) la valutazione sull'interesse al ricorso va, in ogni caso, condotta in concreto, caso per caso. 13.2. Ha poi rammentato che il pregiudizio necessario a sostanziare l'interesse al ricorso, a fronte di un intervento edilizio contra legem, è rinvenuto in giurisprudenza nel possibile deprezzamento dell'immobile, confinante o comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell'ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata. Situazioni quali possono essere la diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma anche le menomazioni di valori urbanistici, le degradazioni dell'ambiente in conseguenza dell'aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico. 14. Tanto rammentato in punto di diritto, il Collegio è dell'avviso che l'eliminazione della tipologia tradizionale a "corte" del complesso immobiliare oggetto dell'intervento di demolizione e ricostruzione su diverso sedime, in favore di quella "a schiera" ritenuta più moderna, non possa integrare di per sé una menomazione dei valori urbanistici esistenti nella zona di insediamento abitativo, idonea a configurare l'interesse al ricorso, poiché siffatta modifica di carattere architettonico non incide sul concreto ed effettivo godimento degli immobili in proprietà degli appellanti né sul loro valore commerciale. 14.1. Non esistono, infatti, massime di comune esperienza secondo cui il passaggio da una architettura "a corte" ad una "a schiera" possa incidere sui valori urbanistici di zona al punto da arrecare forme di pregiudizio al godimento degli immobili limitrofi, come accade invece, ad esempio, in caso di modifica delle altezze, delle distanze, dei volumi, della destinazione d'uso, o del frazionamento di un immobile in più unità abitative in relazione al carico urbanistico. Si tratta di un dato rimesso ad apprezzamenti e giudizi del tutto soggettivi, disancorati da dati condivisi e verificabili circa la sua portata pregiudizievole né sono noti dati od orientamenti che ricollegano differenti valori economici nel mercato immobiliare alle due tipologie architettoniche. 14.2. In ogni caso la stessa rilevanza della modifica tipologica, in termini di minore amenità del luogo sotto il profilo architettonico, e quindi paesaggistico in senso lato, è stata smentita dalla Soprintendenza che ha espresso un parere di compatibilità paesaggistica del progetto, stante il rispetto delle caratteristiche architettoniche dell'edificio oggetto di intervento e dell'ambito tutelato circostante; in particolare la Soprintendenza, nell'esercizio della propria discrezionalità tecnica e con giudizio non affetto da profili di manifesta irragionevolezza alla luce dello stato dei luoghi (attestato dall'ampia documentazione fotografica in atti), ha affermato (cfr., doc. 18, fascicolo di primo grado) che "l'intervento proposto risulta compatibile con il vincolo paesaggistico e con il contesto dello stato dei luoghi, atteso che i lavori proposti non contrastano con le caratteristiche architettoniche dell'edificio e dell'ambito tutelato circostante"). 14.3. Del resto anche le abitazioni di alcuni degli appellanti sono di nuova costruzione e non rispettano la tipologia "a corte" (si veda in particolare la documentazione fotografica in atti relativa all'immobile di due degli appellanti). 14.4. Il Comune ha poi chiarito che rispetto al sito oggetto del permesso di costruire impugnato non vi sono prescrizioni ex art. 10 delle N.T.A. del P.A.C. del Centro Storico che assicurano particolari tutele per edifici di rilevante valore architettonico ed inoltre che la demolizione del fabbricato identificato al mapp. (omissis) e l'impiego della volumetria in altro sito sono stati autorizzati ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli art. 35 e 38 della legge regionale n. 19/2009, stante l'attestazione di accertata precarietà statica del fabbricato in questione: l'intervento, in definitiva, lungi dall'arrecare un danno alla qualità urbanistica dell'area avrà l'effetto di riqualificarla, anche in ragione delle opere di urbanizzazione connesse all'intervento (ad es. verde pubblico attrezzato). 15. Quanto all'interesse alla tutela della visuale panoramica, il Collegio evidenzia, in via generale, che si tratta di un interesse di mero fatto, come tale, di regola, inidoneo a configurare una lesione giuridicamente rilevante utile ad integrare la condizione dell'interesse a ricorrere. 15.1. Ancora di recente la Corte di Cassazione ha chiarito infatti che ".... la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi.....Nondimeno, il diritto di veduta consistente nella fruizione di un piacevole panorama....esige che di esso sia previamente accertata l'esistenza. Ebbene, la veduta panoramica può essere acquistata, oltre che in via negoziale (a titolo derivativo), anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione (a titolo originario), necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta....l'esistenza del diritto di veduta del panorama non può essere riconosciuta, indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale rispetto all'opera contestata. Ove bastasse, ai fini di ritenere validamente costituita la servitù di veduta panoramica, la mera esistenza in fatto di detta veduta, prima che l'opera contestata ne compromettesse l'esercizio, sarebbe leso il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali.". Nella specie l'interesse alla conservazione della veduta panoramica sul fiume e sulla città di (omissis) rappresenta un interesse di mero fatto in quanto non oggetto di protezione giuridica, secondo le modalità chiarite dalla giurisprudenza civile; pertanto gli appellanti non possono invocarne la lesione per giustificare la presente iniziativa giudiziaria poiché un tale bene non appartiene al loro patrimonio e cioè al novero dei beni cui l'ordinamento assicura la propria protezione giuridica mediante i rimedi giudiziari. 15.2. È indubbiamente vero che la visuale panoramica, anche se priva di una diretta protezione giuridica, può rappresentare una qualità che incide sulla migliore fruibilità dell'immobile e quindi sul suo valore economico e in questo senso, come ricordato dalla Adunanza Plenaria, la sua compromissione può, in concreto, integrare i presupposti di un pregiudizio idoneo ad configurare l'interesse a ricorrere. Ma deve comunque trattarsi di un pregiudizio effettivo e "serio": deve cioè trattarsi di una visuale effettivamente fruibile e connotata da evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio, proprio per evitare che l'iniziativa giudiziaria finisca per essere piegata a fini meramente emulativi, o comunque estesa sino a ricomprendere profili di danno meramente soggettivi, disancorati da dati di realtà . 15.3. Venendo al caso di specie, dalla documentazione fotografica versata in atti in primo grado dai ricorrenti e dalla controinteressata risulta che: a) gli immobili a) e b) (stando, per comodità espositiva, alla descrizione contenuta nel documento di analisi dei coni visivi depositato dalla controinteressata in data 5 giugno 2021 allegato 4) non presentano alcuna visuale panoramica suscettibile di essere limitata, anche solo in parte, dalla nuova costruzione (tant'è che gli stessi ricorrenti non depositano alcuna doc. fotografica per smentire le allegazioni della società controinteressata); ciò vale anche per l'immobile e) i cui coni visivi si aprono in altra direzione rispetto al centro storico cittadino (cfr. foto 36 deposito ricorrenti del 21 ottobre 2021 che evidenzia solo un modesto raggruppamento di case sul perimetro esterno del nucleo storico, visibile da lontano). b) i restanti immobili c) (cfr. foto 33 deposito ricorrenti del 21 ottobre 2021), f) (cfr. foto 35 deposito ricorrenti del 21 ottobre 2021) e d) (cfr. foto 34 deposito ricorrenti del 21 ottobre 2021) presentano elementi di possibile interferenza ma nel caso dell'immobile f) la veduta ante operam è limitata ad una porzione marginale di abitato (essendo la visuale del nucleo storico ostruita dalla presenza di altro edificio adiacente), consistente in un agglomerato di abitazioni, peraltro visibile in lontananza, che non consentono - come per l'immobile e) - di ritenere sussistente una veduta panoramica di pregio, suscettibile di incidere sul godimento e quindi sul valore economico dell'immobile, con conseguente inconfigurabilità di un pregiudizio giuridicamente apprezzabile e quindi azionabile. Lo stesso dicasi per l'immobile c) per il quale la visuale sul centro storico era, ante operam, in buona parte ostruita dalla porzione di fabbricato da demolire (per il recupero e la traslazione della cubatura) e dove residua una minima visuale laterale dalla finestra posta al secondo piano, suscettibile di essere pregiudicata dal nuovo fabbricato erigendo: in sostanza per il fabbricato c) vi è una traslazione di un ostacolo visivo preesistente che non introduce apprezzabili elementi di pregiudizio, essendo comunque presente un fabbricato nel cono visivo che interferisce con la visuale panoramica. Il pregiudizio serio manca anche in relazione all'immobile d) poiché la foto depositata dagli appellanti, che parrebbe comprovare un reale impatto visivo, è stata scattata dalla finestra del secondo piano fuori terra che affaccia tuttavia sull'immobile confinante (che ostruisce la vista) e non verso l'area di sedime dove dovrà sorgere la nuova costruzione: in definitiva è stata scattata sporgendosi lateralmente, a destra, dalla finestra del secondo piano che non ha però una veduta diretta sul fondo oggetto dell'intervento. 15.4. Non sussiste pertanto una visuale panoramica realmente godibile la cui compromissione possa arrecare un qualche danno agli immobili in quanto: -l'ansa del fiume Na. non è visibile dalle abitazioni degli appellanti; - la visuale, laddove esistente, non ha ad oggetto il quadro d'insieme del centro storico ma di "scorci" che raffigurano, nella maggior parte dei casi, i tetti delle case; ed anche nel caso (immobile del signor Barbiani) in cui è percepibile, in lontananza, la chiesa ed il nucleo centrale dell'abitato, si tratta di cono visuale ridotto, laterale, a distanza ragguardevole. - non si tratta di visuale diretta ma, nella maggior parte dei casi, di visuale laterale; - la visuale è sempre da finestre e mai da balconi (che consentendo un godimento non occasionale e versatile della veduta, attribuiscono pregio effettivo all'immobile); - la stessa Soprintendenza ha escluso l'esistenza di una visuale panoramica meritevole di tutela e ciò anche con riferimento alla visuale da via(omissis. 15.5. Da quanto precede emerge invero la parziale fondatezza del secondo motivo di appello per avere effettivamente i ricorrenti contestato con documentazione idonea fotografica il documento della controinteressata di analisi dei coni visivi - finalizzato a comprovare l'insussistenza di ogni interferenza del nuovo fabbricato con la visuale degli immobili dei ricorrenti - dimostrando possibili marginali profili di interferenza del nuovo fabbricato con la visuale panoramica fruibile da alcuni degli immobili dei ricorrenti che tuttavia non consentono di configurare un pregiudizio serio, come tale meritevole di tutela e quindi apprezzabile dal punto di vista dell'interesse a ricorrere. 15.6. La parziale fondatezza della doglianza non muta dunque - per le ragioni esposte - le conclusioni cui è pervenuto il T.a.r., trattandosi di prova comunque inidonea a comprovare la sussistenza dell'interesse al ricorso e non consente pertanto di procedere all'esame del merito del ricorso. 16. Le conclusioni che precedono vanno confermate anche quanto al rischio geologico: le allegazioni dei ricorrenti sono infatti del tutto generiche poiché non è dato comprendere come la ristrutturazione (sebbene con ampliamento) di immobili preesistenti ed uno spostamento di volumetria preesistente possano pregiudicare la sicurezza geologica dei siti dove insistono i loro immobili atteso che la pressione antropica sul suolo, derivante dell'edificato, resta sostanzialmente invariata. In particolare solo l'ampliamento o il fatto in sé della traslazione delle volumetrie possono rappresentare un quid novi suscettibile in astratto di poter incidere sull'equilibrio geologico dell'area ma gli appellanti non hanno chiarito il possibile pregiudizio alla loro sfera giuridica derivante da tali eventi. 17. Nel discende che deve essere confermata la statuizione di inammissibilità del gravame per difetto di interesse a ricorrere. Dalla infondatezza del primo motivo di appello e nonostante il parziale accoglimento del secondo, discende la conferma della sentenza appellata, sebbene con motivazione parzialmente diversa, con conseguente assorbimento dei restanti motivi di appello attinenti alla legittimità dei titoli autorizzatori rilasciati dal Comune e dal MIC, ivi compreso il terzo con il quale gli appellanti hanno contestato la statuizione del T.a.r. relativa alla inammissibilità del ricorso collettivo in ragione della ritenuta non omogeneità delle posizioni "processuali" dei ricorrenti. L'assorbimento va dichiarato anche rispetto alla eccezione di improcedibilità del gravame, per omessa impugnazione delle varianti successivamente adottate, sollevata dalla società controinteressata. 18. Infondato è anche il quarto motivo di appello relativo al regolamento delle spese del giudizio di primo grado, poste a carico dei ricorrenti soccombenti e liquidate dal T.a.r. in euro 4.500,00 oltre accessori di legge. In particolare gli appellanti hanno dedotto "Violazione e falsa applicazione degli artt. 26 c.p.a. e 92 c.p.c..". Lamentano che il T.a.r. avrebbe errato nel non compensarle in ragione del contrasto di giurisprudenza circa la autonomia del requisito processuale dell'interesse al ricorso rispetto alla legittimazione ad agire, superato, solo successivamente alla proposizione del ricorso, dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 22 del 2021 mentre avrebbe dovuto compensarle ricorrendo, senza dubbio, nel caso di specie il presupposto dei "gravi ed eccezionali motivi", secondo quanto previsto dall'art. 92 c.p.c., richiamato dall'art. 26 c.p.a.. 18.1 Il motivo è infondato poiché gli appellanti, sin dal ricorso introduttivo (cfr. p. 7-9) avevano correttamente allegato il pregiudizio patito, in linea con il principio di diritto poi affermato dalla Plenaria. La soccombenza non è stata applicata in conseguenza di una regola processuale affermata successivamente alla proposizione del ricorso ma in ragione del difetto di prova circa la sussistenza dell'interesse al ricorso, alla luce della documentazione fotografica versata in atti e delle deduzioni difensive delle parti. La scelta del T.a.r. non è dunque irragionevole né affetta da manifesta abnormità e pertanto non ricorrono i presupposti chiariti dalla giurisprudenza amministrativa per poterla sindacare nel merito essendo stata data piana applicazione al principio generale della soccombenza. 19. L'appello deve pertanto essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra gli appellanti, da un lato, ed il Comune di (omissis) e la società E-Co. S.r.l., dall'altro, e si liquidano come da dispositivo. Sussistono giusti motivi per disporne la integrale compensazione nei rapporti tra gli appellanti ed il MIC, costituitosi con comparsa meramente formale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna gli appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del grado che si liquidano in euro 3.000,00 in favore del Comune di (omissis) ed in ulteriori euro 3.000,00 in favore della società E-Co. S.r.l., oltre IVA, CAP e spese generali come per legge. Compensa le spese del grado nei rapporti tra gli appellanti ed il Ministero della Cultura. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere, Estensore Ofelia Fratamico - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2902 del 2021, proposto dalla società Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ora della cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); la Provincia di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ch. Li. e Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. in Bologna, piazza (...); nei confronti del Comune di (omissis), dell'Unione dei Comuni della (omissis) e della Soprintendenza beni architettonici, arti e paesaggio per le Province di Ravenna, Forlì -Cesena e Rimini, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del T.a.r. Emilia Romagna, sede di Bologna, sez. II, 29 dicembre 2022 n. 868, che ha respinto il ricorso n. 1033/2015 R.G. proposto per l'annullamento: a) del decreto 6 agosto 2015 n. 89, conosciuto in data non precisata, con il quale il Presidente della Provincia di Rimini ha espresso valutazione di impatto ambientale - VIA negativa sul progetto presentato dalla Ca. S.r.l. con istanza 29 dicembre 2014 prot. n. 46654 per la realizzazione di un impianto di gestione di rifiuti inerti e speciali non pericolosi in Comune di (omissis), località (omissis): b) della deliberazione 17 novembre 2014 n. 1, con la quale l'assemblea dei Sindaci della Provincia di Rimini ha attribuito le funzioni amministrative al Presidente; e per la condanna dell'amministrazione provinciale intimata al risarcimento del danno: Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Rimini e del Ministero; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente appellante, impresa attiva nel settore del trattamento dei rifiuti, ha presentato con atto 29 dicembre 2014 prot. n. 46654 alla Provincia di Rimini, ente competente in base alla l.r. Emilia Romagna 18 maggio 1999 n. 9 allora vigente, istanza per ottenere la positiva valutazione di impatto ambientale - VIA per il progetto di realizzazione di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti, discarica di rifiuti inerti e discarica di rifiuti speciali non pericolosi in località (omissis) - Fontanelle in Comune di (omissis) (cfr. doc. A in I grado ricorrente appellante, diniego 6 agosto 2015 di cui oltre, p. 64 del file, comprendente anche il relativo ricorso). 2. Nelle sue linee generali, l'impianto è descritto come diviso in cinque aree ovvero settori di intervento, ovvero: a) un'area cantiere comprensiva di un impianto di trattamento e recupero rifiuti inerti, un'area per la messa in riserva dei rifiuti in attesa di trattamento e recupero, un'area accettazione, uffici, pesa e servizi; b) un settore "Nord 1" destinato a discarica di rifiuti speciali non pericolosi; c) un settore "Nord 2" destinato a recupero ambientale; d) un settore "Sud 1" destinato a discarica di inerti; e) un settore "Sud 2" destinato in un primo tempo a raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminari e poi a discarica di inerti. Si precisa poi che l'impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti ha una potenzialità di circa 120 mila tonnellate/anno, la discarica per rifiuti speciali non pericolosi ha una potenzialità di 3.352.500 tonnellate e la durata della gestione operativa dell'impianto è stimata in 30 anni (per tutto ciò, sempre doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 65 del file). 3. La ricorrente appellante allega che inizialmente il Comune di (omissis) avrebbe espresso un orientamento favorevole al progetto, attraverso l'approvazione di un piano attuativo avente ad oggetto un impianto similare e attraverso la posizione del Sindaco nel procedimento di VIA (appello, p. 4 § § C e D). 4. In linea di fatto, dagli atti di causa risulta quanto segue. 4.1 Con deliberazione della Giunta 17 aprile 2014 n. 43 (doc. 2 in I grado ricorrente appellante), il Comune di (omissis) aveva approvato un piano urbanistico attuativo di iniziativa pubblica avente ad oggetto la realizzazione da parte della ricorrente appellante su terreni di sua proprietà di un "centro per il trattamento e il recupero di materiali inerti da costruzione e demolizione per terre e rocce da scavo". 4.2 Alla seduta 24 marzo 2014 della conferenza di servizi convocata per decidere sull'istanza di VIA ha partecipato anche il Sindaco del Comune di (omissis), il quale ha verbalizzato (doc. 4 in I grado ricorrente appellante p. 7 del file) che: "il comune di (omissis) ha un'estensione di 54 km2 con una profonda differenza tra zona valliva incentrata su industria ed artigianato e zona apicale prettamente dedicata al turismo e alle bellezze paesaggistiche; nel territorio comunale vi sono 3 cave dismesse, di cui due hanno subito iniziative di ricomposizione mentre una, quella in oggetto, necessita di interventi, anche a seguito degli ultimi movimenti franosi; l'intento dell'amministrazione comunale era quello di promuovere sul sito un centro di recupero e riciclo di inerti (P.U.A. 2012); successivamente la ditta proprietaria, con propria iniziativa, richiede anche l'aggiunta di una discarica dí inerti e di rifiuti speciali non pericolosi; il sito potrebbe assumere importanza anche per quanto riguarda l'incentivazione degli enti pubblici ad effettuare e rispettare i dettami sui cosiddetti "acquisti verdi"; il territorio provinciale ad oggi non possiede alcun sito in cui è presente una discarica di inerti; il Comune si impegna, eventualmente, ad attivarsi per far reinvestire sul territorio vallivo i proventi della ecotassa che la ditta dovrà versare alla Regione per eseguire l'eventuale attività di discarica". 5. Con istanza 2 febbraio 2015 prot. n. 3369, la società ha poi domandato alla stessa Provincia il rilascio della necessaria autorizzazione integrata ambientale - AIA (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 65 del file). 6. La ricorrente appellante allega ancora che successivamente al proprio progetto per cui ora è causa come reso successivamente noto gli enti locali coinvolti avrebbero manifestato invece ostilità "elevata al rango istituzionale" (appello, pp. 4-6 § § D, E, F, dal quale la citazione, G, H ed I). 7. In linea di fatto dagli atti di causa, e in particolare dalle premesse del provvedimento di diniego impugnato, risulta quanto segue. 7.1 Con note ricevute dalla Provincia il 13 aprile 2015 prot. nn. 12043, 12044 e 12046, i vicini Comuni di (omissis) hanno manifestato posizioni negative sul progetto (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 67 del file § h). 7.2 Con nota sempre 13 aprile 2015 prot. n. 12038, lo stesso ha fatto il Comune di Rimini (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 67 del file § h). 7.3 Con deliberazione 29 aprile 2015 n. 10 del Consiglio, la Provincia di Rimini ha approvato un ordine del giorno che, tra l'altro, impegna il Presidente a "valutare compiutamente l'impatto ambientale che una discarica di cosi elevate dimensioni avrebbe per i prossimi 30 anni sull'ambiente di un'area così delicata qual è la Valmarecchia" (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 68 del file § m e doc. 14 Provincia, delibera citata). 7.4 Con deliberazione 23 aprile 2015 n. 18 del Consiglio, trasmessa alla Provincia di Rimini con nota 4 maggio 2015 prot. n. 14742, il Comune di (omissis) ha a sua volta approvato un ordine del giorno che impegna il Sindaco e la Giunta "ad esprimere, anche con il presente atto, netto e formale dissenso politico e forte perplessità di carattere tecnico riguardo al progetto" (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 68 del file § n). 7.5 Ancora, con deliberazione 9 maggio 2015 n. 15 del Consiglio, trasmessa alla Provincia di Rimini con nota 12 maggio 2015 prot. n. 16011, l'Unione dei Comuni della Valmarecchia ha a sua volta manifestato contrarietà al progetto (doc. A in I grado ricorrente appellante a p. 69 del file § o e doc. 13 Provincia, delibera citata). 8. Con il provvedimento del Presidente 6 agosto 2015 n. 89 di cui in epigrafe (doc. A in I grado ricorrente appellante, cit.), la Provincia ha espresso valutazione di impatto ambientale negativa sul progetto. 9. Contro questo provvedimento, la società ha proposto il ricorso di I grado, sostenendo in sintesi estrema che l'organo tecnico avrebbe proceduto "sotto dettatura" degli organi politici, e quindi secondo logica non avrebbe espresso una valutazione serena e obiettiva (cfr. appello p. 7 seconda riga del § O; v. anche il ricorso di I grado alle pp. 18 e ss.). 10. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto questo ricorso, ritenendo sempre in sintesi estrema corretto e congruo l'operato dell'amministrazione. 11. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene quindici motivi, di riproposizione dei corrispondenti motivi di I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti, come segue. Come si precisa per chiarezza, l'impugnazione ripropone la sola domanda di annullamento, non la domanda risarcitoria proposta in I grado, che quindi si intende rinunciata ai sensi dell'art. 101 comma 2 c.p.a. 12. Con il primo di essi, alle pp. 4-10 dell'atto, deduce violazione del principio di separazione fra le funzioni di indirizzo politico dell'ente locale e quelle di gestione amministrativa. 12.1 La parte appellante richiama in proposito la sentenza della Corte costituzionale 3 maggio 2013 n. 81, secondo la quale assegnare, come fatto nella specie dal legislatore regionale, la competenza a decidere della VIA alla Giunta, che è organo politico della Provincia, si giustificherebbe in tanto in quanto questa decisione "tenga conto dell'attività istruttoria svolta dai dirigenti tecnici, e non ne prescinda" (appello, p. 8 § 1.2 in fine). Ciò nella specie non sarebbe avvenuto, dato che a dire della parte l'istruttoria tecnica sarebbe stata "interamente condizionata" da una previa e in tesi irrituale decisione politica (appello, p. 9 prime righe). 12.2 Il Giudice di I grado ha respinto questo motivo e sostenuto che il Consiglio provinciale, in quanto competente ad approvare il relativo piano urbanistico, avrebbe senza dubbio competenza anche a pronunciarsi assumendo "una posizione politica sull'apertura di un impianto di trattamento rifiuti comprendente una discarica, attraverso l'approvazione di un ordine del giorno" (sentenza impugnata, p. 9 § 1.4). 12.3 A dire della parte appellante, ciò sarebbe errato, in quanto i poteri di approvazione del piano territoriale provinciale sarebbero altra cosa rispetto all'espressione di un orientamento sfavorevole all'opera per cui è causa, tenuto conto poi che il piano stesso classifica l'area come potenzialmente idonea alla localizzazione di una discarica; diversamente, l'Ufficio VIA provinciale sarebbe stato costretto a chiudere in anticipo la conferenza di servizi stante la pregiudiziale e insuperabile contrarietà all'opera espressa dagli organi politici. 13. Con il secondo motivo, alle pp. 10-12 dell'atto, riferito specificamente alla deliberazione 17 novembre 2014 n. 1 dell'assemblea Sindaci della Provincia di Rimini (doc. B in I grado ricorrente appellante) deduce violazione dell'art. 1 comma 55 della l. 7 aprile 2014 n. 56. 13.1 La delibera in questione è stata adottata nel momento in cui, dopo l'abolizione dell'elezione diretta degli organi provinciali e la riforma dell'ente, i cui organi sono ora il Presidente, il Consiglio, composto da consiglieri eletti con un'elezione di secondo grado, e l'Assemblea del Sindaci, si trattava, nelle more dell'approvazione del nuovo statuto, di ripartire le competenze amministrative dell'ente stesso fra i nuovi organi. 13.2 La deliberazione in parola assegna (doc. B in I grado ricorrente cit. p. 83 del file) al Presidente le competenze in materia di VIA già della soppressa Giunta, ma ciò a dire della parte appellante sarebbe illegittimo, in quanto non previsto da alcuna norma. 13.3 Il Giudice di I grado ha respinto il motivo e sostenuto che si tratterebbe di soluzione ragionevole, trattandosi dell'organo responsabile dell'amministrazione quotidiana dell'ente. 13.4 A dire della parte appellante, ciò sarebbe errato, perché si sarebbe dovuta invece seguire la disciplina in materia di prorogatio e perché comunque in questo modo la decisione sarebbe stata presa da un organo che già si era dichiarato contrario all'approvazione 14. Con il terzo motivo, alle pp. 12-16 dell'atto, deduce propriamente violazione degli artt. 19 e ss. del d.lgs. 152/2006. 14.1 In proposito, sostiene in sintesi che la VIA non potrebbe, a differenza di quanto fatto nel caso di specie, tenere conto dei valori paesaggistici se non nel caso, non ricorrente nella specie, in cui "ci si trovi in zone tutelate sotto il profilo paesaggistico e ciò in forza di un vincolo imposto ai sensi del codice dei beni culturali di cui al d.lgs. n. 42/2004" (appello, p.13 § 3.3). 14.2 Il Giudice di I grado ha respinto il motivo e osservato che l'ambiente come bene giuridico, se pure "articolato in una pluralità di componenti", è valore da apprezzare nella sua unitarietà, senza possibilità di svilire ad un rango secondario uno di questi componenti, come quello paesaggistico (motivazione, § 3.4 del "diritto"). 14.3 A dire della ricorrente appellante, ciò sarebbe errato, in quanto "stando al codice dell'ambiente, il bene paesaggio deve essere preso in considerazione in sede di VIA unicamente in presenza di immobili e di aree tutelate ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio", ciò che nella specie non ricorre (appello, p. 15 § 3.10). 15. Con il quarto motivo, alle pp. 16-19 dell'atto, deduce eccesso di potere per travisamento del fatto da parte del rapporto di valutazione. 15.1 Il rapporto VIA ha negato la valutazione positiva dell'intervento in particolare per la sua visibilità da diversi punti panoramici, ovvero il centro storico di (omissis), il forte di (omissis), il castello di Montemaggio e la strada provinciale 22 Le. (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, pp. 35 e ss.) e ciò sulla base di fotografie dello stato dei luoghi (doc 11.1 in I grado ricorrente appellante) e di una mappa elaborata al computer di visibilità teorica (doc. 11.2 in I grado ricorrente appellante). 15.2 Il Giudice di I grado ha nella sostanza condiviso questa valutazione (§ § 4.1-4.3 del "diritto") e osservato anzitutto che "la Rocca di (omissis) (classificato tra i "Borghi più belli d'Italia") è notoriamente e universalmente conosciuta per il pregio artistico, architettonico e paesaggistico, il sito interessato dall'impianto risulta ben visibile dai punti di visuale considerati lungo la SP 22 Le. (da n. 1 a n. 7 dell'allegato 3 del rapporto ambientale - doc. 11-1 ricorrente), arteria panoramica utilizzata dai turisti per accedere al Borgo. Ad identica conclusione si è pervenuti con la procedura di validazione (pag. 33), senza che possa incidere il tipo di mezzo adoperato per percorrerla". 15.3 Il Giudice di I grado ha ancora osservato che "Il sito prescelto ricade altresì con evidenza nel campo visivo della Fortezza rinascimentale (cfr. foto da n. 17 a n. 20) tenuto conto della sua collocazione ad un'altitudine di circa 600 metri, che permette di dominare sull'intera vallata e che vanifica l'invocato effetto-distanza (si tratta, peraltro, di pochi chilometri). Ben identificabili risultano, dal sito, sia il (omissis) che il (omissis) (foto n. 8 e n. 1)". 15.4 Il Giudice di I grado ha infine osservato che "nello stesso "quadro di riferimento ambientale" elaborato dall'impresa istante... nella parte dedicata al "Paesaggio ed impatto visivo" (pag. 29) si afferma che "L'intrusione percettiva è indubbia anche se il sito non ha un'areale di percettibilità visuale particolarmente esteso" e si propone di "razionalizzare le attività di conferimento in discarica e di recuperare contestualmente le porzioni esaurite oltre alla realizzazione di misure di mitigazione importanti consistenti in cortine vegetate e schermature visuali" che "permetterà nel medio periodo (7/8 anni dall'attuale) di produrre importanti mitigazioni paesaggistiche". Sono espressamente ammessi sia il significativo impatto visivo sia il lasso temporale medio-lungo necessario per disporre di un'efficace barriera arborea" (cfr. doc. 5 Provincia, rapporto citato, nuovamente prodotto in grado di appello). 15.5 A dire della parte ricorrente, ciò sarebbe errato sulla base delle valutazioni dei propri esperti, e il Giudice di I grado avrebbe errato a non ammettere la richiesta verificazione, per la quale insiste. 16. Con il quinto motivo, alle pp. 19.21 dell'atto, deduce ulteriore travisamento del fatto per presunto errato apprezzamento dell'assetto finale del sito. 16.1 Un'altra ragione per la quale il rapporto ambientale ha negato la valutazione positiva consiste nell'attuale stato dei luoghi, che non richiederebbe una ricomposizione ambientale, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente appellante. 16.2 Il rapporto stesso (doc. 11 in I grado ricorrente, p. 38) fa riferimento ad un verbale di sopralluogo redatto il giorno 10 dicembre 2009 in contraddittorio con la Regione Emilia Romagna, la Regione Marche, il Corpo Forestale dello Stato, la Provincia di Pesaro e Urbino, la Provincia di Rimini, il Comune di (omissis) e la ditta Bu. Un. S.p.a., allora titolare di una concessione per l'estrazione della marna dal sito, concessione terminata a giacimento esaurito e osserva che in base a questo verbale risulta un buono stato di manutenzione dell'area. 16.3 In base a questi dati e alle fotografie prodotte dalla Provincia (doc. 11.1 in I grado ricorrente), il Giudice di I grado ha ritenuto (§ 5.4 del "diritto") "una sostanziale sistemazione dell'area (connotata da un progressivo degrado) salvo la mancanza di copertura verde" nonché "un cratere alquanto ridimensionato, risultando un declivio ed emergendo la necessità dei soli inserimenti arborei". 16.4 Ad avviso della parte appellante, ciò sarebbe errato in quanto "la sola documentazione fotografica non rende ragione della dimensione effettiva del cratere residuato dall'attività di cava, né degli impianti di natura vegetazionale, e dei trattamenti sulla stratigrafia e sulla idrologia del terreno sottostante, che sarebbero necessari per una effettiva rinaturalizzazione dei luoghi" (appello, pp. 20-21 § 5.1). 17. Con il sesto motivo, alle pp. 21-23 dell'atto, deduce ulteriore travisamento del fatto quanto a un presunto errato apprezzamento dell'incidenza negativa dell'opera sul paesaggio, con argomenti sostanzialmente ripetitivi di quanto già dedotto nel motivo quarto. 18. Con il settimo motivo, alle pp. 23-25 dell'atto, deduce ancora eccesso di potere in quanto il rapporto ambientale avrebbe erroneamente ritenuto l'inadeguatezza degli accessi stradali al sito. 18.1 Il rapporto in questione (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, cit. a p. 32) sul punto osserva: "la previsione di un alto numero giornaliero di viaggi (che portano ad una rilevante frequenza oraria di passaggi) da parte di mezzi pesanti, per un periodo ipotizzato di circa trenta anni, causerebbe un incremento di impatti negativi (carico, rumore, vibrazioni, inquinamento atmosferico, pericolosità stradale) per le infrastrutture stradali, le attività commerciali e, soprattutto, le abitazioni situate lungo le suddette strade, nonché un traffico stradale non accettabile, soprattutto in un'area, a monte dello svincolo dell'area industriale(omissis), lungo la S.P. 22 "Le.", caratterizzata essenzialmente e per lo più da traffico, sia di automezzi che di cicli, locale e turistico, in un contesto ambientale e paesaggistico di pregio, fruito anche da attività ciclistiche sportivo / turistiche. Infatti, l'utilizzo di tale strada che porta in primis alla Rocca di (omissis) e successivamente a (omissis) è uno dei classici percorsi utilizzati dal cicloturismo sia locale che internazionale. Il cicloturismo, soprattutto negli ultimi anni, è uno dei prodotti turistici di tipo nuovo ormai ampiamente affermatosi nel territorio riminese e che vede la provenienza oltre che nazionale sia europea che extraeuropea", con valutazione condivisa dal Giudice di I grado (§ 7 del "diritto"). 18.2 A dire della parte appellante, si tratterebbe di un giudizio errato, anzitutto perché non sarebbe stata considerata la possibilità di presentare un progetto migliorativo e poi perché il percorso dei propri mezzi sarebbe estraneo ai percorsi cicloturistici, i quali sono poi utilizzati nei giorni festivi, quando la propria attività sarebbe chiusa. 19. Con l'ottavo motivo, alle pp. 26-27 dell'atto, deduce ulteriore eccesso di potere per errato apprezzamento del fatto quanto all'interferenza del progetto con zone boschive. 19.1 Il rapporto ambientale (doc. 11 in I grado ricorrente, cit. pp. 15-16) evidenzia che il progetto interessa in parte aree classificate dal Piano territoriale provinciale come boscate e quindi non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento rifiuti; osserva ancora che il progetto stesso per essere realizzato comporterebbe una variante alla pianificazione comunale per cui queste stesse aree diverrebbero invece idonee a questo uso, con evidente compromissione della tutela. 19.2 Il Giudice di I grado ha condiviso quest'ordine di idee osservando in sintesi (§ 8.2 del "diritto") che se anche queste aree fossero escluse da un intervento diretto, nondimeno si troverebbero comunque all'interno del perimetro dell'impianto. 19.3 A dire della parte appellante, ciò sarebbe nella sostanza non influente, dato che non si andrebbe a intervenire direttamente su di esse. 20. Con il nono motivo, alle pp. 27-29 dell'atto, non deduce in realtà alcuna censura e si limita ad osservare che il Giudice di I grado ha accolto il corrispondente motivo di I grado, peraltro osservando che l'accoglimento del motivo è ininfluente ai fini dell'esito finale, dato che l'atto impugnato è plurimotivato, ovvero si regge su più ragioni autonome e indipendenti fra loro. 21. Con il decimo motivo, alle pp. 29-30 dell'atto, deduce ancora eccesso di potere per presunto errato apprezzamento della compatibilità dell'impianto con gli obiettivi di sostenibilità ambientale previsti dalla pianificazione. 21.1 Il rapporto ambientale (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, cit.) rileva in proposito che il progetto appare in contrasto con gli obiettivi previsti per la Valmarecchia dalla Val SAT annessa al Piano territoriale provinciale, vale a dire dallo strumento che in Emilia Romagna, a norma della l.r. 21 dicembre 2017 n. 24 integra appunto nella valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale i profili della valutazione ambientale strategica - VAS prevista dalle norme nazionali con gli aspetti territoriali. 21.2 La ricorrente appellante ha contestato questo giudizio e osservato che invece il progetto, a suo dire, sarebbe coerente con uno di questi obiettivi, ovvero con il recupero delle cave dismesse. 21.3 Il Giudice di I grado ha respinto il motivo, osservando che l'impatto del progetto e il lungo tempo previsto per la sua operatività, profili già descritti sopra al § 2, implicano un impatto non indifferente sull'area, tale da escludere la compatibilità con l'obiettivo di recupero indicato, dato che "il recupero delle aree degradate e di cava non importa necessariamente un'ulteriore e prolungato sfruttamento" (§ 10 del "diritto"). 21.4 A dire della parte appellante, ciò sarebbe errato e denoterebbe un non consentito sovrapporsi della valutazione del Giudice su un obiettivo in realtà del tutto consentito dalla pianificazione. 22. Con l'undicesimo motivo, alle pp. 30-32 dell'atto, deduce falsa applicazione dell'art. 208 d.lgs. 152/2006. 22.1 Il più volte citato rapporto ambientale individua come ulteriore ragione per negare la valutazione favorevole la circostanza per cui l'area di intervento non è tutta di proprietà dell'interessata. Da un'osservazione presentata, risulta infatti (doc. 11 in I grado ricorrente p. 35) che certa In. Mo., dichiaratasi contraria al progetto, è comproprietaria con altri soggetti di una porzione di terreno distinta al relativo catasto al foglio 25 particella 237 situata in parte all'interno del settore Nord 1. 22.2 Il Giudice di I grado ha condiviso questa valutazione e osservato che se è vero che "l'approvazione del progetto implica dichiarazione di pubblica utilità e consente di procedere all'espropriazione delle aree... purtuttavia l'amministrazione ha segnalato che la suddetta circostanza non era stata evidenziata in sede di presentazione del progetto, insinuando un ulteriore profilo deficitario nella proposta" (§ 11.2 del "diritto"). 22.3 Ad avviso della parte appellante, ciò sarebbe errato perché al progetto si potrebbero sempre presentare integrazioni ovvero miglioramenti (appello, p. 31 § 11.3). 23. Con il dodicesimo motivo, alle pp. 32-33 dell'atto, deduce violazione del d.lgs. 13 gennaio 2003 n. 36 in relazione all'allegato I. 23.1 Il rapporto ambientale, come ulteriore ragione di diniego, individua la circostanza per cui "l'impianto proposto è situato a brevissima distanza (da zero a qualche decina di metri) da diverse civili abitazioni (specialmente nella frazione Fontanelle, dove è situato lo stesso impianto) tale da rendere impossibile qualsivoglia tentativo di mitigazione ambientale" (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, p. 31). 23.2 A dire della parte ricorrente, ciò sarebbe irrilevante, perché la norma sopra citata, nel fissare i criteri costruttivi degli impianti di discarica, richiede di valutar "le condizioni locali di accettabilità dell'impianto nel contesto territoriale" esclusivamente con riguardo alla distanza dai "centri abitati" e non dalle singole abitazioni. 23.3 Il Giudice di I grado ha respinto queste argomentazioni e affermato che "al di là delle regole sulle distanze legali introdotte per i soli centri abitati, l'aspetto della pluralità di unità abitative dev'essere preso in considerazione nella ponderazione comparativa degli interessi in conflitto. Anche se l'elemento non è ex se preclusivo, costituisce fonte di ulteriore criticità - per i diversi residenti nelle immediate adiacenze - da vagliare unitamente agli altri valori che risulterebbero lesi dall'insediamento produttivo. Non si tratta, in altri termini, di dilatare in maniera ingiustificata il concetto di "centro abitato", bensì di soppesare tutti i fattori oggettivamente problematici" (motivazione, § 12.2 del "diritto"). 23.4 La parte appellante contesta questa conclusione e sostiene che essa violerebbe la norma di legge citata. 24. Con il tredicesimo motivo, alle pp. 33-35 dell'atto, deduce ulteriore eccesso di potere per presunto errato apprezzamento del fatto. 24.1 Il rapporto ambientale, con valutazione condivisa dal Giudice di I grado individua ancora come ragione di diniego la presenza (doc. 11 in I grado ricorrente appellante, p. 31) nelle vicinanze dell'impianto di un agriturismo e di diverse aziende agricole. 24.2 Ad avviso della parte appellante, ciò non rileverebbe perché a suo dire in materia di VIA "le matrici ambientali [effetti sulla salute dell'uomo, la fauna, la flora, il clima, etc.] ed anche la tutela del paesaggio" sarebbero tutelabili solo "a condizione che... ci si trovi in presenza di zone espressamente vincolate" (appello, p. 34 § 13.4). 25. Con il quattordicesimo motivo, alle pp. 35-36 dell'atto, deduce ulteriore violazione dell'art. 208 d.lgs. 152/2006 nella parte in cui prevede che l'autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento rifiuti "sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori". Sostiene in particolare, difformemente da quanto ritenuto dal Giudice di I grado, che dalla norma si ricaverebbe l'impossibilità per il Comune di opporsi a progetti di questo tipo. 26. Con il quindicesimo motivo, alle pp. 36-37 dell'atto, deduce infine violazione del principio di proporzionalità, nel senso che, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di I grado, la Provincia avrebbe dovuto autorizzare il progetto per una minore estensione, essendo comunque possibile una modifica progettuale. 27. La Provincia, con atto 8 aprile 2021, e il Ministero, con atto 29 marzo 2021, hanno chiesto che l'appello sia respinto. 28. Con memoria 10 marzo 2024, in ottemperanza al decreto del Presidente della Sezione 1 febbraio 2024 n. 119, la società ha confermato il proprio perdurante interesse alla decisione. 29. Con memoria 25 maggio 2024 per la ricorrente appellante e con memoria 27 maggio 2024 per la Provincia, nonché con repliche 6 giugno 2024 per entrambe, le parti hanno ribadito le rispettive asserite ragioni. In particolare, la Provincia (memoria 27 maggio 2024 p. 2) ha eccepito la inammissibilità dell'appello per mancanza di specificità dei motivi ai sensi dell'art. 101 c.p.a. e nel merito ha difeso i contenuti del provvedimento impugnato e della sentenza di I grado. 30. Alla pubblica udienza del giorno 27 giugno 2024, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione. 31. L'eccezione preliminare di inammissibilità di tutto l'appello per asserita violazione del principio di specificità dei motivi, dedotta dalla Provincia, è infondata, in quanto, a semplice lettura, l'atto contiene la richiesta critica della decisione di I grado, come risulta da quanto riportato sopra. 32. Ciò posto l'appello è infondato nel merito e va respinto, per le ragioni esposte di seguito. 33. E'infondato il primo motivo, centrato sui presunti condizionamenti politici che a dire della parte avrebbero determinato il diniego della VIA. 33.1 In termini generali, in base alla sentenza della Corte costituzionale 81/2013 citata anche dalla parte appellante il giudizio contenuto nella VIA può essere demandato all'organo politico di un ente anche perché nel relativo operato "possono affiancarsi e intrecciarsi complesse valutazioni che coinvolgono una pluralità di interessi che assumono particolare rilievo politico". Inoltre, per gli artt. 19 e ss. del d.lgs. 152/2006, nel giudizio di VIA si tiene conto anche delle osservazioni degli amministrati, e quindi è del tutto legittimo che un ente che di costoro è esponenziale, tra l'altro sulla base di una legittimazione democratica, assuma sul progetto in esame una propria presa di posizione, senza che ciò configuri di per sé un abuso. 33.2 Ciò posto, nel caso presente, la commissione VIA ha tenuto conto anche di problematiche scientifiche e non solo della contrarietà degli enti locali, espressa peraltro per ragioni di tutela ambientale e non in termini qualificabili come emulativi: così il verbale della conferenza di servizi 24 giugno 201 (doc. 9 in I grado ricorrente appellante), ove si dice appunto che fra gli elementi da valutare vi è anche la volontà dei cittadini del territorio, espressa da loro organi democraticamente eletti, ma che la valutazione non si limita a questo. 34. Va respinto anche il secondo motivo di appello, che contesta l'attribuzione al Presidente della Provincia delle competenze in materia di VIA nell'ambito del nuovo ordinamento degli organi di quest'ente. In aggiunta all'osservazione del tutto condivisibile fatta dal Giudice di I grado, per cui è effettivamente il Presidente l'organo competente alla gestione quotidiana dell'ente, si deve infatti aggiungere che l'istituto della prorogatio invocato dalla parte appellante in base all'art. 1 comma 2 d.l. 16 maggio 1994 n° 293 convertito nella l. 15 luglio 1994 n° 444, non si applica agli organi di rilevanza costituzionale ovvero agli enti locali. Non si può poi ritenere che il Presidente stesso nel caso concreto fosse incompatibile con l'atto adottato, dal momento che questi non consta essersi espresso negativamente sul progetto al di fuori dall'esercizio delle sue funzioni (v. doc. 5 in I grado ricorrente, estratto articoli di stampa). 35. È infondato anche il terzo motivo di appello, centrato sulla presunta impossibilità di tenere conto dei valori paesaggistici nel giudizio di VIA relativo a progetti non situati in zone tutelate. Il principio di cui all'art. 131 comma 4 seconda parte del d.lgs. 42/2004 impone infatti ai soggetti pubblici, e specificamente alle province, di assicurare comunque, a prescindere da specifici vincoli, "qualora intervengano sul paesaggio,... la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari" e ciò non può non riferirsi anche al giudizio di VIA, anche in base all'art. 5 comma 1 lettera c) del d.lgs. 152/2006, per cui la VIA stessa prende in considerazione fra l'altro l'impatto sul paesaggio, a prescindere dall'esistenza o inesistenza di vincoli. 36. I motivi dal quarto al settimo sono connessi, in quanto censurano tutti, sotto diversi aspetti, un presunto illogico esercizio della discrezionalità di cui l'amministrazione dispone in materia, nei termini esposti sopra ai § § da 15 a 18. Come tali, vanno esaminati congiuntamente e risultano anch'essi infondati. Il Collegio condivide in pieno le considerazioni svolte dal Giudice di I grado e riportate negli stessi § § 15-18, e aggiunge che la parte appellante in sostanza non dice per quali ragioni concrete l'esercizio della discrezionalità si sarebbe tradotto in esiti abnormi, ma si limita ad un rinvio puro e semplice alla propria documentazione in atti, rinvio non ammissibile come tale, per violazione del noto principio di specificità dell'impugnazione. Per costante giurisprudenza poi non è consentito contrapporre ad una non illogica valutazione della p.a preposta alla gestione di determinati interessi, la valutazione anche in sé plausibile di un esperto di parte: per tutte C.d.S. sez. IV 30 agosto 2023 n. 8043. 37. È a sua volta infondato anche l'ottavo motivo: sul punto, non si può che ripetere quanto già affermato dal Giudice di I grado (v. sopra § 19.2), ovvero che, come non contestato, le zone boscate ricadono effettivamente nel perimetro dell'impianto. A fronte di ciò, non si può condividere l'affermazione della parte per cui su di esse l'impianto stesso non influirebbe, in base al noto principio logico, prima che giuridico, per cui protestatio contra factum non valet. 38. Il nono motivo di appello va ancora respinto, perché, secondo la prospettazione della parte stessa (cfr. sopra § 20) non è in realtà un motivo, dato che non svolge alcuna critica riguardo alla sentenza impugnata. 39. Il decimo motivo va a sua volta respinto per lo stesso ordine di ragioni esposto per respingere i motivi dal quarto al settimo. Ancora una volta, vi sono valutazioni non illogiche dell'amministrazione, condivise dal Giudice di I grado, nel senso ricordato sopra al § 21.3, ovvero in sintesi nel senso che il recupero di una cava esaurita non deve necessariamente comportarne un ulteriore e prolungato sfruttamento. A queste valutazioni, che lo si ripete non sono illogiche, la parte contrappone un proprio punto di vista, che in astratto può essere non implausibile, ma non può essere valorizzato in questa sede senza formulare giudizi di merito non consentiti a questo Giudice. 40. Anche l'undicesimo motivo va respinto: la parte, come si è visto sopra al § 22, non nega le criticità ravvisate dall'amministrazione nel progetto, nella parte in cui esso non considera la proprietà di una terza persona, la citata In. Mo.; afferma però che vi si potrebbe rimediare attraverso integrazioni ovvero miglioramenti successivi. Ciò non è all'evidenza condivisibile, dato che un qualsiasi progetto va valutato per quello che esso è nel momento della valutazione, senza tener conto di modifiche future ed eventuali, delle quali oltretutto non sono neanche precisati gli esatti termini. 41. Il dodicesimo motivo va a sua volta respinto, dato che il Collegio condivide sul punto le valutazioni espresse dal Giudice di I grado e riportate sopra al § 23.3, valutazioni a fronte delle quali la parte appellante si limita a contrapporre la propria diversa opinione. 42. Il tredicesimo motivo ripete la tesi già espressa nel terzo motivo di appello e quindi si può respingere richiamando gli argomenti già sviluppati sopra al § 35 per quest'ultimo. 43. Anche il quattordicesimo motivo è infondato. In disparte il rilievo per cui la norma stessa è dettata per l'AUA, e non per la VIA di cui si ragiona qui, l'art. 208 d.lgs. 152/2006 non impedisce affatto ai Comuni di opporsi ai progetti da assentire con l'autorizzazione unica da essa prevista. Così come ritenuto, per tutte, da C.d.S. sez. IV 10 agosto 2020 n. 4991 il valore di variante allo strumento urbanistico dell'autorizzazione stessa comporta non che essa prevalga comunque su una difforme pianificazione urbanistica del Comune interessato, ma che di questa pianificazione, ove esistente, si debba tener conto, se del caso superandola con una motivazione che deve però essere corretta e congrua. 44. Da ultimo, il quindicesimo motivo va respinto per le stesse ragioni esposte nel respingere il motivo undicesimo: l'amministrazione deve valutare il progetto così come esso le viene presentato e in mancanza di norme che glielo consentano, nella specie inesistenti, non può autorizzarlo con integrazioni o modifiche introdotte di propria iniziativa: nel concetto, rientra all'evidenza l'approvazione parziale che a dire della parte appellante si sarebbe dovuta adottare. 45. L'appello in conclusione va respinto; le spese nei confronti della Provincia di Rimini seguono la soccombenza e si liquidano così come da dispositivo, in misura comunque congrua rispetto ai minimi previsti dai parametri di cui al D.M. 13 agosto 2022 n. 147 per una causa di valore indeterminabile e difficoltà media; si possono invece compensare nei confronti dell'amministrazione statale costituita, in ragione dell'attività difensiva solo formale da essa svolta. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 2902/2021 R.G.), lo respinge. Condanna la ricorrente appellante Ca. S.r.l. a rifondere alla Provincia di Rimini le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 5.200 (cinquemiladuecento/00), oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, se dovuti. Compensa le spese del giudizio nei riguardi delle amministrazioni statali costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Rosario Carrano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Brescia Terza Sezione Il Giudice Onorario del Tribunale di Brescia, dott. Antonio Cocchia, a seguito dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 04/03/2024, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 931/2023 R.G. promossa da: Parte_1 (c.f. C.F._1), Parte_2 (c.f.C.F._2), Parte_3 (c.f. C.F._3, Pt_4(...) (c.f. C.F._4), Parte_5 (c.f.C.F._5 ), Parte_6 (c.f. C.F._6, Parte_7 (c.f. C.F._7), Parte_8 (c.f.C.F._8, Parte_9 (c.f. C.F._9), (...) Pt_io (c.f. c.f._io) rappresentati e difesi dall'Avv. Ma.Ve (c.f. c.f._ii con studio in Brescia, con elezione di domicilio in Indirizzo Telematico presso il difensore, giusta procura; ATTORI contro: Controparte_i (C.F. p.iva_i), corrente in Rodengo Saiano (BS), Viale ... (civici dal 2 al 24), in persona della amministratrice pro tempore CONVENUTO CONTUMACE CONCLUSIONI Le parti hanno così concluso. Parte attrice: in via principale, dichiarare l'illegittimità, la nullità e/o l'annullabilità della delibera condominiale del 24/10/2022, in quanto assunta sulla scorta di un atto emulativo ex art. 833 c.c., come dedotto nella narrativa del presente atto. Con la rifusione delle spese e compensi di lite nonché con rifusione delle spese inerenti la fase introduttiva della mediazione. In via istruttoria: si chiede ammissione di prova per interpello del Geom. Persona_1 amministratore del condominio convenuto contumace, sulle circostanze dedotte e non ammesse. FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con atto introduttivo ritualmente notificato in data 24/01/2024, a mezzo pec all'indirizzo di posta certificata dell'Amministratore pro tempore del cp_i convenuto, Email_i attribuito dal sito ini-pec al Geom. Per_i (...) le odierne parti attrici impugnavano la delibera del 24/10/2022. Il cp_i non si è costituito, rimanendo così contumace, dopo che l'assemblea condominiale aveva già deliberato di non partecipare alla mediazione. La causa veniva ritenuta di natura documentale, pertanto, fissata udienza di precisazione delle conclusioni al 04/03/2024, il giudizio veniva trattenuto in decisione con la concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche ex art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con la delibera impugnata, il cp_i convenuto decideva a maggioranza di rimuovere gli orti e gli arbusti esistenti negli spazi condominiali. Le parti attrici ritengono illegittima la delibera in oggetto, nella parte in cui non vi è una giustificazione per la rimozione degli orti dalle parti comuni e per quale motivo il cp_i debba farsi carico di tale costo non necessario, lamentando così la violazione dell'art. 833 c.c. Con successiva delibera del 14/12/2022 il cp_i deliberava di non costituirsi nel procedimento di mediazione e di sospendere la delibera impugnata, in attesa della decisione giudiziaria. La difesa attrice, ritiene che la decisione di rimuovere gli orti sia scaturita come ritorsione da parte di uno dei condòmini, a seguito del rigetto della propria opposizione giudiziaria con sentenza di codesto Tribunale nel 2021. Indipendentemente da ciò, è importante sottolineare che in effetti, né la delibera impugnata, né la successiva, con cui il cp_i ha autonomamente deciso di sospendere l'efficacia della delibera impugnata, forniscono alcuna spiegazione del perché il cp_i dovrebbe sostenere i costi per la rimozione degli arbusti e degli orti insistenti nelle parti comuni, ed a fronte di quale eventuale vantaggio per la comunità. In linea generale, va ricordato che secondo l'articolo 833 c.c. il proprietario non può compiere atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. Per aversi "atti emulativi" in senso proprio, la giurisprudenza, sulla base di un'interpretazione letterale della norma sopra detta, richiede il concorso di due elementi indefettibili: uno di tipo oggettivo, che consiste nella mancanza di utilità per chi compie l'attività, e uno di tipo soggettivo (c.d. animus nocendi), che è rappresentato dalla consapevolezza e volontà di nuocere o arrecare molestie o danno ad altri (Cass. civ., Sez. II, 27/06/2005, n. 13732). La norma ha la finalità di assicurare che l'esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall'ordinamento, impedendo cioè che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l'effetto di recare pregiudizio ad altri. In buona sostanza, l'atto deve essere obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma di per sè idoneo ad arrecare danno a terzi. L'assemblea di condominio ha certamente il potere di decidere, nell'interesse collettivo, le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, come anche quello di modificare - revocando una o più precedenti delibere, benché non impugnate da alcuno dei partecipanti - quelle in atto, ove intenda rivalutare la corrispondenza dell'innovazione ai limiti segnati dagli artt. 1120 e 1121 c.c. (Cass. civ., sez. II, 04/02/2021, n. 2636); di conseguenza sempre in ambito condominiale, non è stata ritenuta emulativa la decisione dell'assemblea che ha deliberato il ripristino di una recinzione fra la terrazza a livello comune e la proprietà individuale di un singolo condomino, poiché tale iniziativa deve ritenersi volta a garantire l'accesso a tutti i condomini alla parte comune e a preservare la stessa da fenomeni acquisitivi per usucapione (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2005, n. 13732). Nel caso di specie, difetta una qualsivoglia giustificazione per la decisione condominiale impugnata in questa sede. La definizione dell'abuso di diritto è la seguente: "ogni forma anormale di esercizio di un diritto che, senza realizzare alcun interesse per il suo titolare, provoca un danno o un pericolo di danno per altri soggetti". Esempio codicistico è quello relativo agli atti emulativi: l'art. 833 c.c. pone il divieto al proprietario di porre in essere atti che abbiano il solo fine di nuocere o recare molestia ad altri. La Corte di Cassazione ha evidenziato che l'abuso del diritto presuppone: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extra-giuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. Conseguentemente, la Suprema Corte ha avuto modo di statuire che: "L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore" (Cass. 18 settembre 2009 n. 20106). Inoltre, si rimarca come anche in ambito condominiale possa operare l'abuso di diritto. Un esempio è stato dato dalla decisione della Corte d'Appello di Firenze del 19 settembre 2012, in cui si legge che rappresenta abuso del diritto l'impugnazione di una delibera da parte di un condòmino non ritualmente convocato, ma comunque presente alla riunione. La giurisprudenza ha poi asserito che un abuso del diritto in ambito condominiale può dirsi sussistente "quando la causa della deliberazione sia deviata dalla funzione tipica" (Trib. Roma 17 aprile 2019). Nel caso di specie non è dato comprendere il motivo alla base della decisione impugnata. Non è stato illustrato l'eventuale problema costituito dagli orti di cui è stata decisa la rimozione e non si comprende per quale motivo i condòmini dovrebbero sobbarcarsi delle spese per eliminare un proprio bene. Per questi motivi, si accoglie l'impugnazione attorea e si annulla la delibera impugnata. Infine, con riferimento alla spese di lite, le stesse seguono la soccombenza per principio generale ex art. 91 c.p.c., tuttavia in considerazione della mancata opposizione e della autosospensione della delibera impugnata, valutando in modo parzialmente positivo il comportamento di parte convenuta, considerando, inoltre, la non complessità delle attività giudiziali espletate, le stesse vengono mitigate e liquidate come da seguente dispositivo P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, - Accoglie la domanda di parte attrice ed annulla la delibera impugnata del 24/10/2022; - Condanna il cp_i convenuto al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.000,00 per competenze legali relative alla fase di mediazione ed alle fasi giudiziali effettivamente espletate, oltre ai costi di mediazione, anticipazioni giudiziali, rimborso delle spese generali, CPA e IVA come per legge. Così deciso in data 10 giugno 2024 dal TRIBUNALE ORDINARIO di Brescia.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10433 del 2019, proposto da Vi. Ga., Vi. Ga., rappresentati e difesi dall'avvocato Em. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Asl di Caserta, Regione Campania, Provincia di Caserta, Autorità Bacino Regionale Campania Centrale, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 2512/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante per l'annullamento della delibera di C.C. n. 77 del 30 luglio 12, recante adozione del PUC e della delibera di C.C. n. 36 del 18 novembre del 2013, recante approvazione del PUC, pubblicata sul BURC n. 69 del 9.12.13, entrambe del Comune di (omissis), oltre che degli atti presupposti, connessi e conseguenti. Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi d'appello: I) ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 32 L. R. 16/04 II) ERROR IN IUDICANDO - DIFETTO DI MOTIVAZIONE. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. La questione centrale del ricorso, riproposta con il presente gravame, è la contestazione mossa allo strumento urbanistico (PUC del comune di (omissis)) di non aver previsto la perequazione per comparti, così danneggiando indebitamente coloro che, come la parte appellante, possiedono terreni ricadenti in zona vincolata. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso, sostenendo che la perequazione urbanistica per comparti non è obbligatoria, ma corrisponde ad una scelta discrezionale dell'amministrazione. 4. In via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello opposta dalla parte appellata. L'atto di gravame ha infatti sufficientemente specificato i motivi posti a fondamento dell'impugnazione della sentenza di primo grado, chiarendo le ragioni del dissenso della parte rispetto agli approdi ivi raggiunti. 5. Il primo motivo d'appello deduce la violazione dell'articolo 32 della L. Regionale n. 16/2004 e/o comunque la contraddittorietà di previsioni di piano che, come quelle impugnate, non prevedano una urbanizzazione per comparti, con le conseguenti misure perequative tra i proprietari. La parte appellante sostiene, innanzitutto, che quello perequativo è divenuto oramai principio generale della regolamentazione urbanistica per l'effetto ri-equilibratore che lo caratterizza e che lo fa divenire l'unico sistema in grado di garantire imparzialità alle scelte dell'amministrazione. La doglianza in esame aggiunge che l'obbligo di programmare per comparti edificatori era, nel caso di specie, specificamente imposto al comune appellato dall'art. 32 della L. Regionale n. 16 del 2004. 5.1. Il motivo è complessivamente infondato. 5.1.1. Innanzitutto, ferma l'indubbia utilità del meccanismo perequativo per le garanzie di imparzialità della P.A. che offre, si osserva che la cd." urbanistica per comparti" resta una delle possibili alternative cui l'amministrazione può ricorrere per le scelte programmatiche di governo del territorio. Infatti l'attuale assetto del diritto dell'urbanistica (materia di legislazione concorrente), desumibile dal complessivo impianto della legge n. 1150/1942, non solo non consente di considerarla una misura obbligatoria, ma tuttora la prospetta come misura eccezionale, così come è sempre stata ritenuta speciale l'urbanistica per accordi che ne rappresenta l'antenata più prossima. Tanto perché l'attività di programmazione urbanistica è caratterizzata, come è noto, da un'altissima discrezionalità tecnica (e anche, per certi versi, politica) di competenza consiliare, che la rende refrattaria, di regola, alla possibilità di una gestione concordata, o comunque, induce a considerare quale ius singulare non applicabile analogicamente, né estensibile in via interpretativa, qualsiasi previsione che prescriva stringenti obblighi nella sua conduzione. In altre parole, stante la natura strutturalmente unilaterale di detta tipologia di attività, il principio ad essa applicabile è di norma quello della massima libertà delle sue determinazioni, salva la facoltà dell'amministrazione di auto-vincolarsi, anche ricorrendo ad accordi con privati o a meccanismi perequativi pre-determinati, da esercitarsi attraverso la previsione di clausole apposite. 5.1.2. Quanto al citato articolo 32 della L. Regionale Campania n. 16 del 2004, in disparte quanto sopra osservato sull'impalco emergente dalla legge urbanistica statale, quella disposizione, nella versione all'epoca vigente, come rivela l'uso dell'ausiliare "possono", autorizzava, al comma 1 - senza renderli obbligatori - i piani urbanistici a prevedere comparti edificatori e ad attribuirgli corrispondenti valori perequativi. In considerazione di quanto osservato, peraltro, anche senza quest'ultimo dato testuale, per avere efficacia precettiva, una disposizione che imponga il ricorso ad una misura perequativa dovrebbe avere un'inequivoca portata obbligante, che il citato articolo 32 certamente non possedeva. 5.2. Di tal che, considerato che il Consiglio comunale di (omissis) non ha inteso avvalersi di questa possibilità, la pretesa della parte appellante, per come è formulata, non può ritenersi legittima. 5.3. In ogni caso, come condivisibilmente affermato dal TAR, il motivo in esame presuppone erroneamente che la mancata previsione di misure compensative, a livello di piano, ne precluderebbe la concessione in fase attuativa. Per contro, il tendenziale consensualismo tra amministrazione e privati nella gestione delle attività di interesse pubblico, ribadito dal comma 1 bis dell'art. 1 della L. 241 del 1990, pervade tutto il corso della relazione amministrazione/cittadino, potendosi ricorrere ad esso, sia nella fase della decisione, che in quella di concreta attuazione del rapporto, dunque nulla impedirà all'amministrazione, " a valle" dell'attuazione del piano, di ricorrere a sistemi perequativi onde venire incontro alle esigenze che dovessero essere eventualmente rappresentate dalla parte appellante. 6. Il secondo motivo d'appello contesta difetto di motivazione e contraddittorietà delle delibere impugnate. Segnatamente, la parte appellante evidenzia che la destinazione ad agricolo del fondo è stata impressa solo nel 2002, mentre al contrario, secondo la precedente regolazione, l'area era definita quale "residenziale". In ogni caso - aggiunge- vi sarebbe contraddittorietà con particelle limitrofe, che presenterebbero una ben più proficua destinazione, malgrado la loro prossimità a quelle controverse, senza che siano stati addotti validi motivi a fondamento della giustificazione. 6.1. Il motivo è infondato. Va premesso che, come poc'anzi accennato, l'attività di programmazione urbanistica, anche per la natura assembleare e rappresentativa degli organi che l'amministrano, è caratterizzata da un altissimo tasso di discrezionalità tecnica, che alleggerisce sensibilmente anche gli obblighi motivazionali ordinariamente incombenti sulla P.A. e che sono peraltro in parte assolti dal dibattito consiliare compendiato nei lavori preparatori. Ciò detto, all'esito di un giudizio estrinseco di legittimità, i provvedimenti impugnati non risultano essere stati frutto di un uso palesemente disfunzionale, o comunque abusivo del relativo potere. Tanto meno la parte ha indicato concreti elementi dai quali desumere l'esistenza di favoritismi verso terzi e/o di comportamenti emulativi in danno della parte appellante. Al contrario, per quanto riguarda la qualificazione delle aree in proprietà di quest'ultima, il parere contrario emesso dal Tecnico progettista sulle osservazioni rassegnate dalla parte - integralmente recepito nell'atto di approvazione del PUC dal consiglio comunale - si presenta congruamente motivato, privo di palesi illogicità ed irragionevolezza, anche considerato che, come del resto riconosciuto dalla parte appellante, la destinazione agricola delle aree in suo possesso risale al 2002 e che i vincoli attualmente insistenti sulle aree sono perfettamente coerenti con quest'ultima. A nulla rilevando una, peraltro risalente al lontano 1987, diversa destinazione. 7. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 3000,00 (eurotremila,00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio celebratasi da remoto del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1384 del 2021, proposto dalla società Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; nei confronti delle società GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato To. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; sul ricorso numero di registro generale 1851 del 2021, proposto dalla società Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro il Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti delle società GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato To. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; sul ricorso numero di registro generale 8136 del 2023, proposto dalla società Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; nei confronti delle società GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato To. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; per l'annullamento ovvero la riforma, previa sospensione (ricorso n° 1384/2021 R.G.) della sentenza T.a.r. Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, 30 dicembre 2020 n. 1485, che ha respinto il ricorso n. 384/2020 R.G. proposto per l'annullamento: della deliberazione 4 gennaio 2020 n. 6, pubblicata all'albo pretorio dal giorno 21 gennaio 2020, con la quale il Consiglio comunale di (omissis) ha adottato ai sensi dell'art. 11 comma 4 della l.r. Puglia 27 luglio 2001 n. 20 il piano urbanistico generale - PUG, in particolare quanto all'emendamento all'art. 31.1 delle norme tecniche di attuazione- NTA con cui si dispone che per i procedimenti amministrativi aperti prima di 30 giorni dalla data di adozione del piano stesso continua ad applicarsi la normativa previgente; e di ogni atto connesso, consequenziale e presupposto; (ricorso n° 1851/2021 R.G.) della sentenza T.a.r. Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, 30 dicembre 2020 n. 1485, che ha pronunciato sul ricorso n. 1568/2019 R.G. integrato da motivi aggiunti, proposto: (ricorso principale) per l'annullamento a) della deliberazione 26 settembre 2019 n. 19, pubblicata all'albo pretorio dal 22 ottobre 2019, con la quale il Consiglio comunale di (omissis) ha disposto il rinvio sine die dell'acquisizione gratuita da parte del Comune di aree a standard urbanistici ex lege nell'ambito del procedimento di rilascio del permesso di costruire di cui alla domanda presentata il giorno 11 marzo 2019 dalla GL. Ga. Su. S.r.l. e dalla En. S.r.l. per realizzare un locale commerciale destinato alla vendita di prodotti alimentari e non alimentari con somministrazione di alimenti e bevande in (omissis) alla via (omissis), angolo via (omissis); nonché per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune sulla predetta istanza di permesso di costruire; (motivi aggiunti) per l'annullamento b) della deliberazione 25 maggio 2020 n. 37, pubblicata all'albo pretorio dal giorno stesso, con cui il Commissario straordinario del Comune di (omissis), con i poteri del Consiglio comunale, ha sospeso l'acquisizione di cui sopra fino alla pronuncia definitiva del Giudice amministrativo sulla questione sottesa al giudizio T.a.r Puglia Lecce n. 384/2020 R.G.; e in ogni caso degli atti connessi, presupposti ovvero consequenziali; In particolare, la sentenza ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale e accolto i motivi aggiunti; (ricorso n° 8136/2023 R.G.) della sentenza T.a.r. Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. I, 4 agosto 2023 n. 1017, che ha respinto il ricorso n. 594/2021 R.G. integrato da motivi aggiunti proposto per l'annullamento dei seguenti atti del Comune di (omissis), concernenti l'intervento di apertura di una media struttura di vendita di generi alimentari e non alimentari con somministrazione di alimenti e bevande da realizzare a (omissis), via (omissis) angolo via (omissis), sul terreno distinto al catasto al foglio (omissis) particelle (omissis), come da domanda di rilascio di permesso di costruire ovvero provvedimento unico presentata dalla GL. Ga. Su. S.r.l. il giorno 11 marzo 2019: (ricorso principale) a) della deliberazione 29 marzo 2021 n. 13, pubblicata all'albo pretorio dal giorno 8 aprile 2021, con la quale il Consiglio comunale ha disposto in merito alla "Acquisizione gratuita da parte del Comune di aree a standard urbanistici ex lege. Proponente GL. Ga. Su. S.r.l."; (I motivi aggiunti, depositati il giorno 23 settembre 2021) b) della deliberazione 12 agosto 2021 n. 38, pubblicata all'albo pretorio dal 10 settembre 2021, con la quale il Consiglio comunale ha disposto un'integrazione alla precedente delibera n. 13/2021; (II motivi aggiunti, depositati il giorno 18 novembre 2021) c) dell'atto 21 ottobre 2021 rep. n. 36050 e racc. n. 19025 Notaro Ta., di (omissis) (Lc), registrato a Lecce il giorno 26 ottobre 2021 al n. 25238 atti pubblici, di cessione gratuita dalla En. S.r.l. al Comune di aree a standard urbanistici; d) della determinazione 15 ottobre 2021 n. 23, con la quale il Responsabile del 3° settore - Assetto del territorio ha dato atto della gratuità della cessione delle aree citate; (III motivi aggiunti, depositati il giorno 1 febbraio 2022 e IV motivi aggiunti, depositati il giorno 26 aprile 2022); e) del permesso di costruire 24 gennaio 2022 n. 09, rilasciato dal predetto Responsabile del 3° settore con identificativo n. 01201949724040 - pratica REP_PROV_LE/LE-SUPRO 18456/11-03-2019; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e delle società GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La parte appellante Ma. S.r.l. si oppone al progetto delle controinteressate appellate GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l., le quali intendono aprire a (omissis), in via (omissis) angolo via (omissis), una media struttura di vendita di generi alimentari e non alimentari con somministrazione di alimenti e bevande, in termini correnti un supermercato con annesso snack bar. 2. Per affermare la propria legittimazione ad agire ed il proprio interesse, la Ma. S.r.l. come va premesso per chiarezza, allega di essere titolare di una media struttura di vendita di generi alimentari e non alimentari, all'insegna "Famila", che si trova a (omissis) in via (omissis) ed opererebbe regolarmente dal 13 agosto 2015; allega poi che la struttura progettata dalla controinteressata andrebbe ad aprire a poche centinaia di metri dalla propria, sì da incidere nello stesso bacino di clientela e da poter quindi determinare un apprezzabile calo del proprio volume di affari (cfr. da ultimo atti di appello n. 1384/2021 alle pp. 2-4, n. 1851/2021 a p.5 e più diffusamente n. 8136/2023 alle pp. 6-9). 3. Tanto premesso, i fatti rilevanti si possono riassumere così come segue. 3.1 Il giorno 11 marzo 2019, prot. n. 18456 il rappresentante della GL. Ga. ha presentato allo Sportello unico per le attività produttive - SUAP del Comune intimato appellato l'istanza per ottenere il permesso di costruire necessario a realizzare il supermercato di suo interesse, meglio descritto come una struttura di complessivi 2160 mq, da realizzare su un lotto identificato al catasto al fg. (omissis), part. (omissis) e classificato dallo strumento urbanistico generale, vigente in quel momento, ovvero dal programma di fabbricazione approvato con decreto della Giunta regionale 13 luglio 1981 n. 5724, come zona B/3 di espansione edilizia. 3.2 In base all'art. 18 del "Regolamento Comunale per la disciplina di medie e grandi strutture di vendita", le medie strutture di vendita come quella in questione devono garantire, oltre agli standard minimi di parcheggio pertinenziale previsti dalla legge 14 marzo 1989 n. 122, anche la cessione degli standard urbanistici pubblici di cui all'art. 5 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444. 3.3 L'art. 5 del D.M. 144/1968 prevede appunto che nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, ad ogni 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, debba corrispondere una quantità minima di 80 mq di standard, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi. 3.4 Ai fini del rispetto di questa dotazione di standard per le zone B3, il Comune, per orientamento dei propri uffici amministrativi, ritiene non consentita la monetizzazione. 3.5 Di conseguenza, per rispettare il regolamento adeguandosi a questa interpretazione, nella stessa istanza 11 marzo 2019, la GL. Ga. ha offerto di cedere gratuitamente le aree necessarie, per una superficie totale di mq 1714. 3.6 Gli uffici comunali competenti, dopo istruttoria, hanno ritenuto in sintesi che le aree offerte fossero idonee allo scopo. 3.7 Su questa istanza e sulla relativa istruttoria, è stato convocato il Consiglio comunale, competente come è noto ad esprimersi quando si tratti di acquisti immobiliari dell'ente. 3.8 Nelle more della convocazione, la Ma. S.r.l. ha portato a conoscenza degli organi comunali un esposto alla competente Procura della Repubblica, da lei presentato per denunciare una presunta illiceità penale dell'operazione così come in concreto ipotizzata. 3.9 Di conseguenza, con deliberazione 26 settembre 2019 n. 19, il Consiglio ha sospeso l'acquisizione, e quindi il procedimento relativo, per maggiori approfondimenti istruttori. 4. Contro questa delibera 19/2019, la GL. Ga. e la En. hanno proposto il ricorso di I grado T.a.r. Puglia Lecce n. 1568/2019 R.G. 5. Successivamente, il Comune, con deliberazione del Consiglio 4 gennaio 2020 n. 6, ha adottato una revisione del piano urbanistico generale - PUG, e nelle relative norme tecniche di attuazione - NTA ha previsto l'ultrattività delle norme del vecchio piano di fabbricazione, all'art. 31.1 per i procedimenti amministrativi aperti prima dei 30 giorni precedenti l'adozione del PUG e all'art. 31.5 per le pratiche SUAP la cui istruttoria tecnica fosse conclusa alla stessa data, e di conseguenza anche per la pratica della GL. Ga.. 6. Contro questa delibera 6/2020, la Ma. ha proposto il ricorso di I grado T.a.r. Puglia Lecce n. 384/2020 R.G. 7. Nelle more di questi due giudizi, con deliberazione 25 maggio 2020 n. 37 del Commissario straordinario con i poteri del Consiglio, il Comune ha ancora sospeso il procedimento di acquisizione delle aree, stavolta sino a pronuncia definitiva sul citato ricorso T.a.r. Puglia Lecce 384/2020, ritenendo pregiudiziali le questioni ivi in discussione. 8. Contro questa delibera 37/2020, la GL. Ga. e la En. hanno proposto motivi aggiunti nel ricorso T.a.r. Puglia Lecce n. 1568/2019 R.G. (per tutto quanto sin qui esposto, v. doc. 1 in I grado ricorrente nel ricorso n. 8136/2023 R.G., delibera 29 marzo 2021 n. 13, di cui subito, nonché doc. 9 in I grado ricorrente nel ricorso n. 8136/2023 R.G., domanda di permesso di costruire 11 marzo 2019; all. 2 al ricorso di I grado nel ricorso n. 1384/2021 R.G., delibera di sospensione 26 settembre 2019 n. 19; all. ti 3 e 4 all'appello nel ricorso n. 1851/2021, delibera di adozione del PUG 4 gennaio 2020 n. 6 e testo delle NTA citate e all. 2 ai motivi aggiunti di I grado nel ricorso n. 1384/2021 R.G., delibera di sospensione 25 maggio 2020 n. 37). 9. Il T.a.r. Puglia Lecce ha deciso i ricorsi sin qui citati così come segue. 9.1 Con sentenza della sez. I 30 dicembre 2020 n. 1483, ha deciso il ricorso n. 1568/2019, e in particolare ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale ed accolto i motivi aggiunti, annullando la delibera commissariale di sospensione del procedimento. In motivazione, il T.a.r. ha in sintesi osservato che ai sensi dell'art. 2 della l. 7 agosto 1990 n. 241, "le cause di interruzione o sospensione del termine assegnato all'amministrazione per provvedere sulle istanze del privato, finalizzate all'adozione di un determinato provvedimento, sono tipiche e di stretta interpretazione e non lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da qualsivoglia esigenza estranea" alle previsioni di legge. 9.2 Con sentenza della sez. I sempre del giorno 30 dicembre 2020 n. 1485, ha respinto il ricorso n. 384/2020, ritenendo in sintesi che la previsione di piano contestata in generale non violasse la norma dell'art. 12 comma 2 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380 sulle misure di salvaguardia e fosse nel caso di specie motivata correttamente, avuto riguardo ai principi giurisprudenziali in materia di motivazione degli atti pianificatori. 10. Contro queste due sentenze, ha proposto impugnazione la Ma., nei termini ora esposti in ordine logico. 11. Contro la sentenza 1483/2020, ha proposto l'appello n. 1851/2021 R.G. di questo Consiglio, anch'esso chiamato alla pubblica udienza di oggi 29 febbraio 2024, nel quale deduce un unico motivo, di violazione dell'art. 2 della l. 241/1990. A dire della parte appellante, la norma in questione non si applicherebbe al caso di specie, in cui non si sarebbe di fronte ad un procedimento amministrativo che "consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio", ma alla decisione di stipulare o non stipulare una convenzione urbanistica, in tesi quella volta alla cessione delle aree, che sarebbe rimessa, sempre a dire della parte, alla assoluta discrezionalità del Consiglio comunale; aggiunge poi la parte che la sospensione non sarebbe sine die, essendo subordinata alla definizione del ricorso di cui si è detto, e sarebbe in ogni caso giustificata, date le molteplici criticità, fatte valere nelle sue impugnazioni, del progetto per cui è causa. 12. In questo procedimento n. 1851/2021 R.G. il Comune non si è costituito; si sono costituite la GL. Ga. e la En., con atto 3 marzo 2021, ed hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque respinto nel merito. 13. Sempre in questo procedimento n. 1851/2021 R.G. la Ma. con istanza 11 marzo 2021, la ricorrente appellante ha richiesto un decreto cautelare monocratico, data la prosecuzione del procedimento da parte del Comune nei termini di cui oltre. A questa istanza alla quale la GL. Ga. e la En. si sono opposte con memoria 12 marzo 2021. Il Presidente della Sezione ha accordato la cautela, sotto il profilo del pericolo nel ritardo, con decreto 12 marzo 2021 n. 1265. 14. Ancora in questo procedimento n. 1851/2021 R.G. in vista della camera di consiglio del giorno 18 marzo 2021, fissata per decidere dell'istanza cautelare in sede collegiale, l'appellante, con memoria 15 marzo 2021, da una parte e la GL. Ga. e la En., con memoria 15 marzo 2021, hanno meglio sviluppato le rispettive difese. La Sezione, con ordinanza 19 marzo 2021 n. 1436, ha respinto l'istanza cautelare. 15. Sempre in questo procedimento n. 1851/2021 R.G., da ultimo la GL. Ga. e la En., con memoria 29 gennaio 2024, e la ricorrente appellante, con replica 9 febbraio 2024, hanno ribadito le rispettive asserite ragioni. 16. Contro la sentenza 1485/2020, la Ma. ha proposto l'appello n. 1384/2021 R.G. di questo Consiglio, chiamato alla pubblica udienza di oggi 29 febbraio 2024, nel quale deduce due motivi, così come segue. 16.1 Con il primo motivo, deduce propriamente violazione del citato art. 12 comma 3 del T.U. 380/2001. 16.1.1. La parte premette che il Giudice di I grado ha respinto il conforme motivo dedotto nel ricorso introduttivo richiamandosi ad un precedente, la sentenza di questo Consiglio sez. IV 4 maggio 2009 n. 2793. Secondo questa sentenza, occorrerebbe distinguere. La norma sulle misure di salvaguardia si rivolge all'autorità monocratica, ciò è a dire al dirigente normalmente competente a rilasciare i titoli edilizi, e impedisce che questi operi una propria valutazione sulla realizzabilità delle opere che si pongono in contrasto con il piano adottato, affinché questo possa trovare, ove poi approvato, effettiva attuazione. 16.1.2. Diverso sarebbe il caso, che ricorrerebbe nella specie, in cui è il Consiglio comunale stesso, ovvero l'organo titolare del potere di pianificazione, "a prevedere disposizioni di raccordo tra il piano vigente e quello successivamente adottato", ritenendo con ciò possibile "realizzare quanto consentito dal piano ancora vigente", operazione in sé legittima, a patto che si determini un criterio obiettivo e certo, che nella specie non mancherebbe, per individuare gli interventi ancora realizzabili. 16.1.3. Ad avviso della parte appellante, il ragionamento qui esposto sarebbe errato. In primo luogo, la sentenza 2793/2009 sopra citata sarebbe non pertinente al caso di specie, perché relativa all'approvazione di una variante, e non di un nuovo piano. Inoltre, la regola dell'art. 12 comma 3 T.U. 380/2001 non sarebbe suscettibile di deroghe, neanche con una modalità surrettizia quale sarebbe la disciplina qui in discussione. 16.2 Con il secondo motivo, deduce infine difetto di motivazione, e sostiene che la scelta operata dal Comune nel caso di specie, anche se la si ritenesse in astratto ammissibile, sarebbe illogica e abnorme, e quindi sindacabile anche in questa sede di legittimità . 17. In questo procedimento n. 1384/2021 R.G. hanno resistito il Comune, con atto 23 febbraio 2021, e le controinteressate, con memoria 26 febbraio 2021, ed hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque respinto nel merito 18. Anche in questo procedimento n. 1384/2021 R.G., con istanza 11 marzo 2021, la ricorrente appellante ha richiesto, per le ragioni di cui si è detto sopra, un decreto cautelare monocratico, istanza alla quale le controinteressate si sono opposte con memoria 12 marzo 2021. Il Presidente della Sezione ha accordato la cautela, sotto il profilo del pericolo nel ritardo, con decreto 12 marzo 2021 n. 1266. 19. Ancora in questo procedimento n. 1384/2021 R.G. in vista della stessa camera di consiglio del giorno 18 marzo 2021, fissata per decidere dell'istanza cautelare in sede collegiale, l'appellante, con memoria 15 marzo 2021, il Comune con memoria 15 marzo 2021 e le controinteressate, con memoria 15 marzo e note di udienza 17 marzo 2021, hanno meglio sviluppato le rispettive difese. La Sezione, con ordinanza 19 marzo 2021 n. 1433, ha respinto l'istanza cautelare. 20. Sempre in questo procedimento n. 1384/2021 R.G., da ultimo il Comune con memoria 26 gennaio 2024, le controinteressate con memoria 29 gennaio 2024 e la ricorrente appellante, con replica 9 febbraio 2024, hanno ribadito le rispettive asserite ragioni. 21. Parallelamente, come si è accennato, il Comune ha riavviato il procedimento amministrativo, e con la delibera del Consiglio 29 marzo 2021 n. 13 ha deciso l'acquisizione gratuita delle aree a standard in questione (per tutto ciò, v. doc. ti 1 e 9 in I grado ricorrente nel ricorso n. 8136/2023 R.G. cit.). 22. Contro questa delibera 13/2021, la Ma. ha proposto il ricorso principale di I grado T.a.r. Puglia Lecce n. 594/2021 R.G. 23. Il Comune ha successivamente rettificato la delibera 13/2021 con la delibera di Consiglio 38/2021, e ha dato atto che interessate alla realizzazione dell'intervento, quindi sia al rilascio del permesso di costruire, sia alla cessione delle aree, erano sia la già ricordata GL. Ga., sia una sua controllata, la En. S.r.l. (doc. 1 in I grado allegato ai motivi aggiunti 23 settembre 2021 nel ricorso n. 8136/2023 R.G.; cfr. anche doc. 9 in I grado ricorrente nel ricorso n. 8136/2023 R.G., cit. a p. 9 del file). 24. Contro questa delibera 38/2021, la Ma. ha proposto i primi motivi aggiunti nel ricorso di I grado 594/2021. 25. Ancora successivamente, con la determinazione del Dirigente 15 ottobre 2021 n. 23 e con il contratto 21 ottobre 2021 il Comune ha acquistato le aree (doc. ti 3 e 4 in I grado allegati ai motivi aggiunti 18 novembre 2021 nel ricorso n. 8136/2023 R.G.). 26. Contro questa determinazione 23/2021 e contro il contratto, la Ma. ha proposto i secondi motivi aggiunti nel ricorso di I grado 594/2021. 27. Infine, il Comune ha rilasciato il permesso di costruire la struttura, provvedimento 24 gennaio 2022 n. 09 (doc. 1 in I grado allegato ai motivi aggiunti 1 febbraio 2022 nel ricorso n. 8136/2023 R.G.). 28. Contro questo permesso di costruire, la Ma. ha proposto i terzi e quarti motivi aggiunti nel ricorso di I grado 594/2021. 29. Con ordinanza sez. I 7 aprile 2023 n. 188, il T.a.r. Puglia Lecce ha respinto l'istanza cautelare contestuale a questi ultimi motivi aggiunti. 30. Contro quest'ordinanza 188/2023, la Ma. ha proposto a questo Consiglio l'appello cautelare n. 3675/2023 R.G. respinto con ordinanza della Sezione 19 maggio 2023 n. 2020. 31. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto per intero il ricorso 594/2020 in questione, sia per quanto riguarda il ricorso principale, sia per quanto riguarda tutti i motivi aggiunti. 32. Contro questa sentenza, la Ma. ha proposto impugnazione, con l'appello n. 8136/2023 R.G. di questo Consiglio, che contiene tre motivi, riassumibili come segue 32.1 Con il primo di essi (pp. 15-25 dell'atto), deduce violazione degli artt. 13 della l.r. Puglia 27 luglio 2001 n. 20 e 12 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380, in modo simile a quanto già argomentato nel primo motivo dell'appello n. 1384/2021 R.G. A suo avviso, in sintesi le misure di salvaguardia previste dalle norme indicate sarebbero "gli unici effetti immediatamente dispositivi" consentite dalla legge in sede di adozione di uno strumento urbanistico generale, e quindi l'unica ipotesi in cui il Comune potrebbe "disciplinare temporalmente" gli effetti dell'entrata in vigore del piano stesso (appello, p. 17 dal decimo rigo dal basso). Di conseguenza, sarebbe illegittima la norma introdotta dalla delibera consiliare 6/2020 di cui sopra, che fa salvi i procedimenti pendenti di cui si è detto, e avrebbe errato il Giudice di I grado a ritenere il contrario. 32.2 Con il secondo motivo (pp. 25-43 dell'atto), deduce propriamente falso presupposto e sostiene che, anche a ritenerla legittima, la norma transitoria di cui sopra non si sarebbe nel caso concreto potuta applicare. A suo avviso, la domanda originaria presentata al SUAP il giorno 11 marzo 2019 sarebbe riferibile alla sola GL. Ga., e non anche alla En., proprietaria delle aree da cedere. Di conseguenza, la delibera 38/2021 non si potrebbe considerare una integrazione, ma sarebbe volta a "conservare artatamente" gli effetti della domanda 11 marzo 2019 stessa (appello, p. 24 quarto rigo). In realtà, l'aggiunta della En. ai soggetti cui la pratica è riferibile, ad avviso della parte appellante, andrebbe considerata come una nuova domanda, datata 22 giugno 2021, ovvero con la data della delibera 38/2021, e quindi presentata non in tempo utile per fruire della norma transitoria, né con riguardo all'art. 31.1 delle NTA, né con riguardo all'art. 31.5. Invece, questa nuova domanda andrebbe valutata secondo le norme del nuovo PUG, le quali pacificamente non consentono nell'area interessata di localizzare strutture di vendita. 32.3 Con il terzo motivo (pp. 43-58 dell'atto), deduce ulteriore falso presupposto quanto ad una serie di presunte violazioni della normativa propriamente edilizia, sotto tre profili: 32.3.1 In primo luogo, il progetto prevede un edificio realizzato accorpando i lotti delineati dal piano particolareggiato di zona, che pur scaduto quanto ai vincoli preordinati all'esproprio si dovrebbe considerare ancora efficace quanto ai distacchi e all'assetto della zona. Questo accorpamento contrasterebbe quindi con il piano stesso, perché andrebbe a includere nello sviluppo dell'edificio il sedime di una strada interna al piano (pp. 43-46). 32.3.2 In secondo luogo, l'edificio in progetto supererebbe la superficie realizzabile sul lotto (pp. 46-49). 32.3.3 In terzo luogo, le aree a standard cedute sarebbero, in base ad un calcolo corretto, che considererebbe l'effettiva superficie di vendita, inferiori a quanto prescritto dai parametri di cui al D.M. 1444/1968 (pp. 49-58). 33. Con successivo atto depositato il giorno 8 novembre 2023 sempre nel procedimento n. 8136/2023 R.G., la Ma. ha proposto istanza cautelare, allegando il danno grave e irreparabile che le verrebbe dall'avvio dei lavori nel frattempo intrapreso dalle controinteressate. 34. Hanno resistito sempre nel procedimento n. 8136/2023 R.G. la GL. Ga. e la En., con atto 8 novembre e memorie 13 novembre e 27 novembre 2023, nonché il Comune, con atto 10 novembre e memoria 27 novembre 2023, ed hanno chiesto che l'appello sia dichiarato inammissibile, e comunque respinto. 35. Sempre nel ricorso n. 8136/2023, alla camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023, le parti hanno rinunciato all'istanza cautelare, in favore di una sollecita fissazione dell'udienza di merito. 36. Anche in questo procedimento n. 8136/2023 R.G., da ultimo il Comune con memoria 26 gennaio 2024, le controinteressate con memoria 29 gennaio 2024 e la ricorrente appellante, con replica 9 febbraio 2024, hanno ribadito le rispettive asserite ragioni. 37. In particolare, le posizioni delle parti nei tre procedimenti si possono riassumere così come segue. 37.1 In via preliminare, il Comune e le controinteressate hanno eccepito l'inammissibilità degli originari ricorsi della Ma. nei procedimenti nn. 1384/2021 e 8136/2023, nonché dell'appello n. 1851/2021 da essa presentato, per difetto di legittimazione e di interesse. 37.1.1 In proposito, deducono che non sussisterebbero rispetto ad essa i presupposti della cd vicinitas commerciale, né della vicinitas edilizia, né in termini generali né in particolare. In termini generali, sostengono che l'appellante farebbe valere un interesse soltanto emulativo e non sussisterebbe un effettivo pregiudizio al proprio bacino di utenza (memorie GLN ed En. 26 febbraio 2021 nel procedimento 1384/2021 e 12 marzo 2021 nel procedimento 1851/2021 a p.3; memorie Comune 15 marzo 2021 p. 4 e 26 gennaio 2021 p.3 entrambe nel procedimento 1384/2021) 37.1.2 In particolare, deducono poi, citando un precedente conforme di questa Sezione, sentenza 14 febbraio 2019 n. 1048, che a sostegno della propria legittimazione la Ma. non avrebbe dimostrato di essere titolare di una regolare autorizzazione commerciale per il proprio punto vendita. In particolare, la Ma. avrebbe prodotto soltanto (doc. 4 ricorrente in I grado nel ricorso n. 8136/2023, foliario del giorno 21 febbraio 2022) una segnalazione certificata di inizio attività in subingresso del 14 agosto 2015, che però, sulla base di un precedente della Sezione, sentenza 14 febbraio 2019 n. 1048, sarebbe insufficiente, perché non basterebbe a dimostrare la regolarità dell'autorizzazione alla quale si è subentrati (memorie GLN ed En. 13 novembre 2023 e 17 novembre 2023 alle pp. 2 e ss. nonché memoria Comune 27 novembre 2023 pp. 6-7, tutte nel procedimento 8136/2023). 37.1.3 Sul punto specifico, la Ma. (per tutte, memoria unica 9 febbraio 2023 pp. 2 e ss.) si è limitata a dedurre di essere, come si è detto, titolare di un supermercato a "qualche centinaio di metri" da quello in progetto e a richiamare la nota giurisprudenza sulla vicinitas edilizia. 37.2 Sempre in via preliminare, le controinteressate hanno comunque eccepito l'inammissibilità del ricorso n. 1384/2021, che avrebbe ad oggetto atti non impugnabili (memorie GLN ed En. 26 febbraio e 15 marzo 2021 nel procedimento 1384/2021). 37.3 Ancora in via preliminare, il Comune e le controinteressate hanno eccepito l'improcedibilità dell'appello 1384/2021 per essere ormai scaduto il termine finale di durata delle misure di salvaguardia (memorie Comune 26 gennaio 2024 a p. 6 e GLN ed En. 29 gennaio 2024 nel procedimento 1384/2021 e doc. 2 GLN prodotto il 18 gennaio 2024 nel procedimento 8136/2023, certificazione in merito). 37.4 Nel merito, la GLN e la En. hanno in ordine logico sostenuto intanto la infondatezza dell'appello 1851/2021 (memoria 15 marzo 2021), per essere le cause di sospensione del procedimento tassative, così come affermato dal Giudice di I grado. 37.5 Sempre nel merito, il Comune e le controinteressate hanno evidenziato che la disciplina prevista nel piano adottato è una legittima disciplina intertemporale, possibile sia nel caso di variante deciso dal precedente richiamato, sia nel caso di specie, di successione fra due piani ed hanno quindi chiesto la reiezione dell'appello 1384/2021 e del primo motivo dell'appello 8136/2023 (memorie Comune 15 marzo 2021 pp. 6-8 e GLN ed En. 29 gennaio 2024 p. 2 nel procedimento 1384/2021 e memoria Comune 27 novembre 2023 pp. 7-11 nel procedimento 8136/2023). 37.6 Ancora nel merito, il Comune e le controinteressate hanno chiesto la reiezione dei restanti motivi dell'appello 8136/2023, osservando quanto al secondo motivo che hanno sempre agito le due società (memoria GLN ed En. 27 novembre 2023 pp. 9 e ss. e memoria Comune 27 novembre 2023) e quanto al terzo motivo che la normativa urbanistica citata è stata rispettata (memoria Comune citata, pp. 17-23). Su quest'ultimo punto, alle specifiche deduzioni del Comune nulla la ricorrente appellante ha replicato (cfr. memoria unica 9 febbraio 2024). 38. Alla pubblica udienza del giorno 29 febbraio 2024, la Sezione ha trattenuto i ricorsi in decisione. 39. Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti, data l'evidente connessione soggettiva ed oggettiva che fra essi sussiste, in quanto relativi a momenti distinti e successivi dell'unica vicenda che oppone le parti private. 40. Ciò posto, è fondata e va accolta l'eccezione di inammissibilità dei ricorsi di I grado nei procedimenti nn. 1384/2021 e 8136/2023 e dell'appello nel procedimento n. 1851/2021, come dedotta dal Comune e dalla controinteressata, ovvero sotto il profilo del difetto di legittimazione e di interesse. Sul punto, il Collegio non vede infatti motivo di discostarsi dai principi già delineati dalla Sezione nella recente sentenza 29 dicembre 2023 n. 11367. 40.1 Come si è detto, l'appellante Ma. S.r.l. ha fondato la propria legittimazione ed il proprio interesse ad agire sul noto concetto di vicinitas, sotto il profilo tanto della vicinitas cd. commerciale quanto della vicinitas edilizia. 40.2 Ciò posto, il concetto di vicinitas commerciale è definito in generale dalla giurisprudenza come la posizione dei soggetti i quali "agendo come imprenditori nel medesimo settore, attingono al medesimo bacino di utenza e risentono, pertanto, di un effettivo danno al loro volume d'affari, in caso di apertura di una nuova impresa commerciale illegittimamente autorizzata": così la citata sentenza 11367/2023, ove ulteriori ampi rimandi. 40.3 Come ritenuto dalla sentenza 11367/2023, questa definizione va precisata sotto tre profili, concettualmente distinti, ma intersecantisi fra loro: in primo luogo, il tipo di interesse che con il ricorso in materia può esser fatto valere, in dipendenza dall'evoluzione legislativa di cui subito si dirà, profilo che rileva in punto legittimazione al ricorso; in secondo e in terzo luogo, la definizione del bacino di utenza rilevante e la prova dell'effettivo danno al volume di affari, profili che rilevano in punto interesse al ricorso. 40.3.1 Sotto il primo profilo, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che l'interesse azionabile in termini di vicinitas commerciale è appunto un interesse di tipo commerciale; ha quindi ritenuto che dedurre a questo titolo motivi di carattere edilizio - ove beninteso non vi siano gli autonomi presupposti della vicinitas edilizia- rappresenti "un uso strumentale della tutela accordata ai soggetti terzi, in materia di provvedimenti di natura urbanistico-edilizia, a tutela di un interesse di fatto, finalizzato ad ostacolare la realizzazione di uno stabilimento concorrente": così C.d.S. sez. VI 2 marzo 2016 n. 1156. 40.3.2 La giurisprudenza ha ancora ritenuto in via generale, pur senza richiamare in modo esplicito le norme di cui subito, che "la legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius, siccome volti nella sostanza a contrastare la libera concorrenza e la libertà di stabilimento": così sez. IV 29 marzo 2018 n. 1977. 40.3.3 La sentenza 11367/2023 ha sviluppato questa linea interpretativa, tenendo conto dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia. 40.3.4 Quanto all'evoluzione normativa, va osservato che la concorrenza sul mercato fra le imprese è uno degli obiettivi che l'Unione Europea, e in precedenza la Comunità Economica Europea, ha sempre promosso nel proprio interno, come risulta attualmente dall'intero capo I del titolo VII del Trattato sul funzionamento dell'Unione- TFUE, e in particolare dagli articoli 101 e 102 di esso, che vietano le intese restrittive e l'abuso di una posizione dominante sul mercato stesso. 40.3.5 A queste norme di principio, l'Unione europea ha fatto seguire norme di dettaglio, e segnatamente, per quanto qui interessa, la direttiva 2006/123/UE; essa all'art. 10 prevede, fra le condizioni di rilascio delle autorizzazioni commerciali, che i relativi regimi debbano basarsi "su criteri che inquadrino l'esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario" (comma 1), criteri che devono essere "non discriminatori" e "giustificati da un motivo imperativo di interesse generale" (comma 2, lettera a e lettera b). 40.3.6 In dichiarata attuazione di queste norme europee, il legislatore nazionale ha poi introdotto l'art. 31 comma 2 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, secondo il quale "Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali". 40.3.7 Quanto alla giurisprudenza, va poi tenuto presente il principio affermato dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio con la sentenza 8 dicembre 2021 n. 9, con riferimento specifico alla vicinitas urbanistico edilizia, ma con valore del tutto generale: la legittimazione e l'interesse sono presupposti di trattabilità del ricorso nel merito autonomi e distinti fra loro, ognuno dei quali va allegato e provato; in particolare non si può affermare che "il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso", interesse che va inteso e provato come "specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato", distinto quindi da un mero interesse di fatto al rispetto della legalità . 40.3.8 La conclusione è anzitutto nel senso di ricavare dall'art. 31 d.l. 201/2011 un limite agli interessi che sulla base della semplice vicinitas commerciale si possono far valere, e limitare quindi la legittimazione al ricorso alla tutela di interessi concernenti "la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali", ciò è a dire degli unici interessi per i quali la pubblica autorità può limitare o escludere l'insediamento di esercizi commerciali. Ammettere il ricorso a tutela di interessi di tipo diverso, infatti, andrebbe a servire un interesse di mero fatto a limitare la concorrenza a salvaguardia di una propria posizione già acquisita. 40.3.9 Sotto il secondo ed il terzo profilo, il concetto di bacino di utenza è stato definito come "l'area in cui si dispiega l'influenza economica del concorrente ed è quindi idonea a incidere sulle posizioni di mercato del controinteressato": per tutte, C.d.S. sez. IV 3 settembre 2014 n. 4480. Si tratta però, come evidente, di una definizione non determinata con precisione, e quindi tendenzialmente inadatta a selezionare i ricorsi ammissibili in un sistema in cui la concorrenza, come si è visto, è il principio generale e quindi le eccezioni devono essere interpretate in modo tassativo. 40.3.10 La sentenza 11367/2023 ha allora condiviso l'orientamento precedente della Sezione, per cui il bacino di utenza è un concetto scientifico, e coincide con "l'area raggiungibile a partire da un punto prefissato su una cartina, il cosiddetto "baricentro", seguendo gli assi stradali. L'individuazione del "bacino di utenza" implica, quindi, l'applicazione di criteri specialistici e metodi di calcolo non surrogabili attraverso la comune esperienza o la scienza privata del Giudice", né tantomeno surrogabili con le semplici allegazioni di una parte, che la controparte contesti. La sentenza ha quindi ritenuto, sulla scorta di un precedente ivi citato, che "per poter fornire la prova della c.d. vicinitas commerciale e, conseguentemente, della legittimazione a ricorrere, si palesa del tutto insufficiente la mera affermazione di parte della sussistenza di un comune "bacino d'utenza" fra la struttura commerciale erigenda e quella che agisce in giudizio a tutela del suo interesse commerciale (id est, la libera iniziativa economica) asseritamente leso". 40.3.11 Specificamente sotto il terzo profilo, va poi evidenziato quanto segue. La considerazione di fondo per cui la concorrenza è principio del sistema, salve tassative eccezioni, porta a ritenere che la prova del pregiudizio derivante dall'insediamento della nuova impresa che si vuol contestare debba esser data in modo rigoroso, senza che esso si possa presumere, e che si debba trattare di un pregiudizio significativo: per un esempio in proposito, C.d.S. sez. IV 5 settembre 2022 n. 7704, in particolare al § 10.2. 40.3.12 Tutto ciò non significa che l'imprenditore, quale soggetto stabilmente insediato sul territorio al pari di altri, non possa impugnare atti di tipo urbanistico edilizio che consentono l'insediamento di altre attività sulla base delle regole generali in materia, ovvero della vicinitas edilizia di cui si è detto e che nella specie è stata invocata. Ciò però deve avvenire pur sempre nei limiti disegnati dalla ricordata sentenza dell'Adunanza Plenaria 9/2021, ovvero in particolare dando la specifica prova di un pregiudizio che fondi il proprio interesse ad agire. 40.4 Applicando al caso concreto i principi appena delineati, non sussistono né la legittimazione né l'interesse necessari a costituire la vicinitas commerciale, né sussiste l'interesse ad agire necessario a costituire la vicinitas edilizia. 40.4.1 Quanto alla legittimazione "commerciale" ad agire, è immediato notare che la parte appellante ha fatto valere soltanto motivi di carattere urbanistico edilizio, in alcun modo collegabili ai concetti di "tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali" valorizzati dall'art. 31 del d.l. 201/2011. 40.4.2 Quanto all'interesse, sempre sul piano "commerciale", la parte appellante si è limitata ad allegare un presunto pregiudizio al proprio bacino di utenza, ma non ha offerto ulteriori elementi di prova idonei a precisare il bacino interessato e a determinare il pregiudizio stesso. 40.4.3 Infine, nemmeno è ravvisabile un interesse ad agire in termini di vicinitas edilizia. Fra l'esercizio della parte appellante e il sito programmato per il nuovo supermercato per cui è causa vi è infatti una distanza di circa 850 metri (dato ricavabile dalle mappe satellitari Go. Ea., da ritenere fatto notorio): ciò posto, non risulta nemmeno allegato quale specifico pregiudizio la nuova costruzione, che dal sito della parte appellante stessa nemmeno è visibile, potrebbe arrecare sotto il profilo edilizio ovvero urbanistico. 41. Va aggiunto per completezza che gli appelli proposti sarebbero stati comunque infondati nel merito. 41.1 Sinteticamente, è infondato l'unico motivo del ricorso 1851/2021 perché le cause di sospensione sono effettivamente tassative, come previsto in modo esplicito dall'art. 2 comma 7 della l. 241/1990. Nel caso di specie la norma è sicuramente applicabile, perché la convenzione rilevava non come a sé stante, ma come parte di un procedimento SUAP, soggetto all'evidenza alla normativa sui termini di conclusione. Non è quindi vero che il momento di conclusione della convenzione stessa fosse lasciato alla discrezionalità del Comune. 41.2 Sono ancora infondati nel merito l'appello 1384/2021 ed il conforme primo motivo del ricorso 8136/2023, in quanto è del tutto legittima una disciplina intertemporale del rapporto fra vecchio e nuovo piano urbanistico generale: così la costante giurisprudenza di questo Consiglio, per tutte la già citata C.d.S. sez. IV 4 maggio 2009 n. 2793 e le conformi 18 aprile 2013 n. 2160 e 4 maggio 2020 n. 2816. Non si può poi ritenere che nel caso di specie il potere di introdurre questa disciplina sia stato esercitato in modo arbitrario. 41.3 È ancora infondato in fatto il secondo motivo dell'appello 8136/2023, perché già l'originaria domanda di titolo unico riguardava le due società (doc. 9 in I grado ricorrente a p. 9 del file ove la En. è indicata come soggetto coinvolto). 41.4 Il terzo ed ultimo motivo dell'appello 8136/2023 è ancora infondato alla luce delle puntuali difese del Comune nella memoria 27 novembre 2023 alle pp. 17-23, non contestate nello specifico. 42. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo, in misura congrua rispetto ai valori medi previsti dai parametri di cui al D.M. 13 agosto 2022 n. 147 per una causa di valore indeterminato e di complessità elevata. Si è tenuto conto altresì, ai sensi dell'art. 26 comma 1 c.p.a. del mancato rispetto del principio di sinteticità, dato che il solo atto di appello nel procedimento n. 8136/2023 è esteso per 58 pagine complessive e circa 87 mila caratteri senza che risulti chiesta alcuna autorizzazione al superamento dei limiti massimi ammessi dal decreto del Presidente 22 dicembre 2016 n. 167. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti (ricorsi nn. 1384/2021, 1851/2021 e 8136/2023 R.G.), così provvede: a) riunisce gli appelli; b) nei procedimenti nn. 1384/2021 e 8136/2023, in riforma delle sentenze impugnate, dichiara inammissibili i ricorsi di I grado (T.a.r. Puglia Lecce nn. 384/2020 e 594/2021 R.G.); c) nel procedimento n. 1851/2021 dichiara inammissibile l'appello; d) condanna la Ma. S.r.l. a rifondere alle controparti costituite Comune di (omissis) e GL. Ga. Su. S.r.l. ed En. S.r.l. le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 8.000 (ottomila/00) onnicomprensivi per il Comune ed Euro 8.000 (ottomila/00) onnicomprensivi per l'unico patrocinio delle controinteressate, e così per complessivi Euro 16.000 (sedicimila/00), oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TRAPANI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. (...)/2020 promossa da: (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ATTORE contro (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambi rappresentati e difesi dagli Avv.ti (...) e (...) CONVENUTI CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note scritte di precisazione delle conclusioni. Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione, ritualmente notificato, (...) premetteva di essere proprietaria di una delle due unità abitative componenti il piano terra di un fabbricato sito in (...) censita al N.C.E.U. del Comune di (...) al foglio 2, particella (...) sub 3. Rappresentava che i proprietari dell'unità abitativa confinante, censita al sub 2, a far data dal mese di giugno dell'anno 2010, arbitrariamente e senza alcuna autorizzazione amministrativa e men che dire, alcun diritto, provvedevano, lungo il muro di confine tra i due immobili, ad aprire un varco rectius collocare un cancello in ferro per ivi consentirgli di accedere alla propria unità abitativa mediante l'attraversamento della veranda di proprietà dell'odierna attrice. Si doleva, inoltre, del fatto che "parte degli spiazzali condominiali, un tempo di pertinenza dell'intero fabbricato, erano stati occupati indebitamente mediante la realizzazione di opere abusive" da parte dei convenuti. Aggiungeva di aver diffidato i convenuti, in data (...), "a cessare detto non autorizzato passaggio nonché a provvedere alla rimozione di quanto realizzato sine titulo" e di aver reiterato detta diffida il (...), stante il perdurare delle turbative. Evidenziava, comunque, l'esistenza di una via di accesso alternativa per i coniugi (...) ossia un passaggio dal lato (...) Pertanto, chiedendo accertarsi l'insussistenza di alcuna servitù di passaggio sulla propria veranda, chiedeva la cessazione delle turbative e la rimozione dei manufatti, nonché il risarcimento del danno patito per le turbative poste in essere dai vicini (quantificato in misura non inferiore ad Euro 5.200,00). Si costituivano (...) e (...) contestando le deduzioni avversarie e, in via riconvenzionale, chiedendo accertarsi e dichiararsi l'acquisto a titolo originario, per destinazione del padre di famiglia, della servitù di passaggio sulla striscia antistante la veranda della parte attrice ed in subordine il relativo acquisto per usucapione. Precisavano, infatti, che l'intero fabbricato a due elevazioni era stato in origine di proprietà di un unico soggetto, (...) che, per accedervi, era obbligato ad attraversare il passaggio (...) antistante l'unita abitativa contraddistinta con il mappale (...), sub 3, attualmente appartenente all'attrice. Rappresentavano che, suddiviso l'immobile tra gli eredi di detto (...) (deceduto nel 1978), e, successivamente, trasferite le unità immobiliari alle odierne parti in causa, si era perfezionato l'acquisto della servitù di passaggio a carico del mappale (...) sub 3 ed in favore del mappale (...) sub 2. Chiarivano che il cancello menzionato da parte attrice era stato in realtà collocato su un passaggio già esistente a far data dalla fine degli anni sessanta, in prossimità dell'unità abitativa di esclusiva proprietà dei convenuti, esclusivamente per motivi di sicurezza. In ulteriore subordine, stigmatizzando l'interclusione - in caso di chiusura del varco - del proprio fondo, chiedevano la costituzione di servitù di passaggio coattivo. Ad ogni modo deducevano l'infondatezza della domanda risarcitoria. ***** La causa veniva istruita tramite approfondimento peritale e prova testimoniale; indi, avviata a decisione. Tanto premesso, è bene rammentare che l'actio negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla res dell'attore e, dunque, non soltanto all'accertamento dell'inesistenza di una pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la piena di libertà di esercizio del diritto di proprietà. Inoltre, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà - neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte - essendo sufficiente, in mancanza di specifica contestazione sul punto, la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possede (...)forza di un titolo valido. Tale azione, infatti, non mira all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione della condotta lesiva, mentre sul convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere detta attività (Cass. sent. nn. 24028/2004 e 10149/2004). Ebbene, nel caso di specie, la prova di detto diritto emerge dalla documentazione in atti, corroborata dal rilievo dei luoghi come effettuato dal nominato perito. E', infatti dalla esegesi delle clausole accessorie alla divisione che riposa il fondamento di quanto invocato dai convenuti, con ricadute tuttavia anche rispetto alla posizione della parte attrice. E' pacifico innanzitutto che gli appartamenti delle parti costituivano, in origine, insieme alla unità di piano primo, una unica proprietà di comune ascendente ((...) deceduto in (...) il (...)), in seguito suddiviso tra gli eredi con atto di compravendita e divisione del 3.10.1990. In detto contratto, a ben vedere, è distinguibile, oltre alla descrizione delle tre singole unità immobiliari che risultano comporre il fabbricato (sub a) all'esito della suddivisione, un duplice riferimento a spiazzi comuni. Da un lato, c'è il riferimento ad un "... piccolo spiazzo circostante il fabbricato ... in comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari che compongono detto fabbricato in premessa descritto alla lettera -a)"; dall'altro, il riferimento a "tutto il rimanente spiazzo comune, distinto nel N.C.T. con la particella (...) ... di uso comune tra tutte e tre le unità immobiliari di detto fabbricato". (...) i canoni di ermeneutica contrattuale, allora, dovendosi attribuire senso logico alla suddetta distinzione, descrittiva di (non di uno ma di) due spiazzi (uno piccolo ed uno rimanente e catastalmente individuabile), va valorizzata la locuzione "circostante il fabbricato", sì che detto piccolo spiazzo coincide necessariamente con una fascia che costeggia il fabbricato (circostante, appunto), fascia da "considerarsi in comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari che compongono detto fabbricato". Dunque, è vero che il titolo chiarisce più esplicitamente la situazione dominicale e degli accessori e pertinenze rispetto ai lati nord (titolarità della stradella privata di accesso) e ovest (grande spiazzo comune di accesso); per il lato est, lo stesso CTU (pag. 18 primo elaborato) ha evidenziato che Gli appartamenti dell'attore e del convenuto hanno sul lato est l'uso esclusivo (non proprietà) della fascia di area libera prospiciente la "via (...) a nord". Ma, in base a quanto sopra testualmente riepilogato, è vero anche che il titolo, sebbene non altrettanto perspicuamente, non ignora il lato sud: e cioè lo spazio prospiciente le singole proprietà di piano terra (su cui poi ciascun proprietario può esercitare l'uso esclusivo limitatamente ad un singolo spiazzo di pertinenza sito in corrispondenza ed in direzione tra ciascuna delle due casette e la via privata sita immediatamente a nord..., dunque con proiezione orizzontale - cfr. anche pag. 14 rel. CTU -). Certamente, nel caso di specie è verosimile ritenere che le attuali criticità nel compossesso di tale area discendano dalla mancata precisa delineazione testuale e planimetrica della estensione longitudinale delle aree frontistanti di uso esclusivo, rispetto al sopracitato "piccolo spiazzo circostante", risultando solo chiarita la collocazione della linea di demarcazione orizzontale (oggi muraria, ma prima solo virtuale, in uno spazio libero), tracciabile come il prolungamento ideale della parete divisoria interna tra le due singole proprietà. Tuttavia, l'esistenza risalente di una fascia di comune - e bidirezionale - passaggio pedonale prospiciente le aree di uso esclusivo (non solo quella di pertinenza (...) ma entrambe) risulta chiaramente dall'esito della prova orale con i testi di entrambe le parti: il teste (...) ha infatti confermato che i coniugi (...) per raggiungere la loro abitazione e prima di loro i loro danti causa, avevano da sempre utilizzato lo spiazzo comune antistante le due unità abitative poste al piano terra anche perché questa era ed è una scelta obbligata, nonché che detto spiazzo era ...da sempre l'unico passaggio per raggiungere l'unità abitativa posta al lato est, e che tale spiazzo prima era libero. Simmetricamente, la teste (...) ha affermato che, prima della realizzazione del muro, tutti ..., compresi i signori (...) attraversavano liberamente questo spiazzo che era a disposizione di tutti, mentre oggi ci passano solo costoro, sì che, dopo la chiusura del cancello, sia lei che la (...) per accedervi per qualsiasi causa devono chiedere il permesso ai (...) Pertanto, è vero che la sussistenza di una area comune rende illegittima la presenza di un cancello, ma solo in caso di sua chiusura o di possesso esclusivo delle relative chiavi: in altre parole, illegittima non per le ragioni addotte dalla parte attrice (ossia la dedotta abusività di ogni apertura sul muro di delimitazione, della cui parte restante infatti ella non ha chiesto la demolizione) quanto per il rispetto del principio secondo cui l'utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino è consentita, quando la stessa non alteri l'equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti di costoro (Cass. n. 1072 del 19/01/2005). Come è infatti noto, è vietato al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa di tale spazio comune. Pertanto, per detta fascia prospiciente le aree di uso singolo, salvo che intervenga diverso accordo tra le parti, trattandosi come sopra detto di area comune, in proporzione millesimale, tra tutte e tre le unità immobiliari, l'esistenza della facoltà di passaggio pedonale bidirezionale è già connaturata al titolo ed allo stato dei luoghi: naturalmente, trattandosi di spazio prospiciente private abitazioni, detta facoltà va esercitata nel costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. n. 17208 del 24/06/2008), considerando il doveroso ossequio al canone di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali. Ciò determina sia il rigetto delle domande attoree ma anche il non doversi provvedere sulle domande riconvenzionali. La domanda risarcitoria va pure respinta, non risultando allegati e provati nella presente sede atti emulativi o antigiuridici esorbitanti l'esercizio di detta facoltà. Le spese di lite (liquidate in dispositivo) e quelle occorse per la consulenza tecnica (liquidate in separato decreto) vanno compensate, attesa la specifica complessità della fattispecie, la natura dell'accertamento tecnico ed il tenore delle statuizioni. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e/o difesa disattesa e/o assorbita: - respinge le domande di parte attrice; - dichiara non doversi provvedere su ogni altra domanda; - compensa le spese di lite tra le parti e ripartisce al 50% tra attrice e convenuta le spese occorse per la C.T.U., liquidate come da separato decreto in atti.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1670 del 2022, proposto dai sigg. Ma. Ma. e Ru. Tu., rappresentati e difesi dall'avv. Do. Be., con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma; contro sig.ra Ma. Va., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Go., con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma; sig.ra Te. Gh., non costituita in giudizio; nei confronti Comune di (omissis), Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Provincia di Brescia, Cremona e Mantova, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1805 del 2022, proposto dalla sig.ra Ma. Va., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Go., con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma; contro sigg. Ma. Ma. e Ru. Tu., rappresentati e difesi dall'avv. Do. Be., con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma; nei confronti Comune di (omissis), Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Provincia di Brescia, Cremona e Mantova, non costituiti in giudizio; per la riforma quanto a entrambi i ricorsi: in parte qua della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, del 26 novembre 2021, n. 995, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione della sig.ra Ma. Va. nel giudizio r.g.n. 1670/22 e dei sigg. Ma. Ma. e Tu. Ru. nel giudizio r.g.n. 1805/22; Viste le memorie; Visti tutti gli atti della causa; Viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione orale, presentate dai difensori delle parti costituite; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2024 il Cons. Francesco Guarracino, nessuno comparso; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, integrato da motivi aggiunti, le signore Ma. Va. e Te. Gh., titolari di proprietà limitrofe, impugnavano, in una agli atti presupposti, il provvedimento del Comune di (omissis) del 25 novembre 2015 di certificazione di compatibilità paesaggistica, assenza di danno ambientale e irrogazione di sanzione amministrativa per le opere in variante al progetto di realizzazione di un nuovo edificio residenziale nell'area di proprietà dei sigg. Ma. Ma. e Tu. Ru., censita in catasto al fg. (omissis), mapp. (omissis), assentito a mezzo di autorizzazione paesaggistica del 28 giugno 2013, nonché il provvedimento comunale del 3 febbraio 2016 che, a conclusione del procedimento di accertamento e verifica, aveva attestato la conformità delle opere al progetto assentito ed escluso, pertanto, l'esercizio dei poteri inibitori sulla SCIA in variante presentata dai medesimi in data 28 gennaio 2016. Con sentenza del 26 novembre 2021, n. 995, il Tribunale adito accoglieva la domanda e per l'effetto annullava gli atti impugnati. Avverso detta sentenza è stato proposto appello dai sigg. Ma. Ma. e Tu. Ru. con ricorso rubricato al n. r.g. 1670 del 2023 e dalla sig.ra Ma. Va. con appello incidentale autonomo che è stato iscritto al n. r.g. 1805 del 2022. Il Comune di (omissis) e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio delle Provincia di Brescia, Cremona e Mantova, ritualmente intimati, non si sono costituiti in giudizio. Le parti hanno prodotto memorie e presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale. Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. - Preliminarmente va disposta la riunione degli appelli ai sensi dell'art. 96, co. 1, c.p.a. 2.1 - Il giudizio di primo grado ha riguardato la legittimità paesaggistica ed edilizia delle varianti realizzate in corso d'opera dai sigg. Ma. e Ru. nell'edificazione di un nuovo edificio (un'abitazione unifamiliare in villa su terreno acclive con doppia pendenza a quarto di promontorio, costituita da tre corpi di fabbrica di altezze diverse con sottostante piano seminterrato destinato ad autorimesse e a locali di servizio) in area del Comune di (omissis) sottoposta a vincolo ambientale paesaggistico, confinante con i terreni dove sorgevano le abitazioni delle ricorrenti, le quali, già nel corso dei lavori, avevano sollecitato il Comune all'attivazione dei suoi poteri di controllo e verifica sostenendo che il fabbricato stava subendo un illegittimo innalzamento al di sopra delle quote altimetriche indicate nel progetto assentito e dei limiti di altezza prescritti dallo strumento urbanistico, con contestuale aumento della superficie lorda di pavimento e conseguente violazione del volume massimo consentito sul lotto. 2.2 - Investito delle questioni relative al rispetto delle altezze massime, in relazione alla lamentata traslazione verso l'alto del fabbricato, e al preteso aumento di superficie utile e di volumetria sollevate dalle proprietarie confinanti mercé l'impugnazione del provvedimento di sanatoria paesaggistica, del presupposto parere della Soprintendenza e dei successivi atti di conferma propria da parte del Comune, il Tribunale ha acquisito una consulenza tecnica di ufficio per accertare se il fabbricato sia stato realizzato in conformità al progetto e alle successive varianti assentite o se ne discosti per sagoma, altezza e volume, tenuto conto delle norme tecniche comunali applicabili, nonché dell'effettiva destinazione dei locali dell'edificio medesimo. 2.3 - Con la sentenza ora appellata il Tribunale si è in parte discostato dalle conclusioni rassegnate dal C.T.U., il quale aveva escluso che l'opera presentasse le illegittimità denunciate dai ricorrenti, e, respinte le eccezioni sollevate in rito dei controinteressati, nel merito ha accolto la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati giudicando fondate le censure riguardanti l'aumento di superficie utile e di volumetria per effetto delle variazioni apportate al piano seminterrato e al piano terra dell'edificio (limitatamente alla destinazione a taverna e lavanderia del primo e all'innalzamento dell'impalcato del secondo) e, di conseguenza, le critiche rivolte all'autorizzazione paesaggistica in sanatoria (perché non consentita nel caso di creazione di superfici utili o di volumi o di aumento di quelli legittimamente assentiti) e al mancato esercizio dei poteri inibitori e repressivi da parte del Comune (perché, dal punto di vista edilizio, l'intervento in variante non sarebbe stato assentibile in quanto, esaurendo il progetto la volumetria e la superficie realizzabili, l'aumento di superficie utile, derivante dal conteggio della parte di seminterrato destinato alla permanenza anche discontinua delle persone, e l'aumento di volume, derivante dal superamento dell'altezza di m. 4,5 di una parte del piano terra, avrebbero comportato la violazione della disciplina urbanistica fissata per l'area). 2.4 - Viceversa il T.A.R. ha giudicato infondate, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, le doglianze relative alla pretesa traslazione verso l'alto del fabbricato (primo motivo del ricorso per motivi aggiunti) e al superamento dell'altezza massima assentibile (secondo motivo del ricorso principale e secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti). 3. - Con l'appello principale (n. r.g. 1670 del 2022) i controinteressati hanno sottoposto a critica la decisione di primo grado sostenendo, con quattro motivi di impugnazione, che: (i) male avrebbe fatto il T.A.R., una volta risolto che l'intervento non violava alcuna disposizione in punto di altezza dell'edificio, essendo il suo ingombro conforme alla disciplina paesaggistica ed edilizia vigente, a non astenersi dall'esame dei motivi di ricorso relativi all'aumento di superficie e di volumetria, stante l'assenza di un interesse concreto e attuale alla loro decisione; i ricorrenti, infatti, avrebbero inteso raggiungere lo scopo di evitare che l'ingombro determinato dall'intervento edilizio pregiudicasse la vista verso il lago goduta dal loro immobile, ma una volta acclarato che il nuovo fabbricato non ha violato le altezze consentite (ragion per cui, sul piano pratico, i suoi proprietari non sarebbero tenuti a intervenire sulla sagoma e sull'ingombro dello stesso, tal quale restando rispetto a quello autorizzato, potendo altrimenti ripristinare le condizioni di piena legittimità dell'immobile) essi non ricaverebbero alcuna effettiva utilità dalla decisione appellata; (ii) non sarebbe corretto l'assunto per cui l'eccedenza di superficie utile e di volumetria rispetto al consentito avrebbe dovuto precludere l'accertamento di compatibilità paesaggistica; ciò in quanto, una volta acclarato che l'ingombro e il volume fisico dell'immobile risultavano identici a quelli in origine assentiti, si sarebbe dovuto applicare il preteso principio per cui nei giudizi paesistici rileverebbe solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico, atteso che nel caso di specie l'eccedenza di superficie utile e volumetrica dell'edificio avrebbe inciso soltanto sulla distribuzione interna di detti indici; (iii) erronea sarebbe la conclusione sulla conteggiabilità del piano interrato ai fini del calcolo della superficie lorda complessiva di pavimento (Slp), poiché, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, l'art. 9.11 delle NTA dello strumento urbanistico comunale andrebbe interpretato nel senso di escludere in ogni caso dal conteggio della Slp le superfici dei piani interrati o parzialmente interrati di altezza non superiore a 2,60 metri (come nel caso in esame), anche qualora vi sia la presenza di impianti tali da assicurare la permanenza anche discontinua di persone: difatti la presenza di tali impianti (quale riscontrata nel caso in esame, essendo quei locali dotati di impianto elettrico, idrico e di riscaldamento) rileverebbe, ove accertata, esclusivamente nel senso di determinare una difformità nella destinazione d'uso rispetto a quelle eventualmente fruibili; inoltre la sentenza sarebbe incorsa in parte qua nel vizio di ultrapetizione, giacché la questione dell'interrato, sollevata per la prima volta in sede di ricorso per motivi aggiunti (motivo VII.2), sarebbe stata prospettata non in termini di creazione di volume eccedente, ma per contestare l'uso dell'interrato, ritenuto non conforme alla destinazione per esso ammessa; (iv) sarebbe erronea anche la conclusione per la quale, poiché con l'innalzamento dell'impalcato l'altezza del piano terra avrebbe superato il limite di 4,5 m entro il quale, in base all'art. 9.10 delle NTA, il volume si calcola moltiplicando la Slp per 3 quale che sia l'altezza effettiva, andrebbe conteggiata la volumetria reale del piano terra; nel caso di specie, infatti, difetterebbe il presupposto applicativo dell'art. 9.10 delle NTA che sarebbe costituito dalla presenza di un solaio inclinato, sicché dovrebbe applicarsi, come già sostenuto dal C.T.U., la disposizione normativa per il calcolo dell'altezza più aderente alla fattispecie, vale a dire quella contenuta nelle definizioni tecniche uniformi di cui all'allegato B della D.G.R. Lombardia del 24 ottobre 2018 n. XI/695 (che ha recepito l'intesa concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'art. 4, co. 1 sexies, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che definiscono l'altezza utile facendo riferimento all'altezza media ponderata. 4. - Con l'appello incidentale autonomo (n. r.g. 1805 del 2022) una delle ricorrenti originarie ha gravato a sua volta la sentenza per ottenere che, in sua parziale riforma, siano accolti anche i motivi respinti in primo grado. 4.1 - Col primo motivo di gravame l'appellante incidentale ha sostenuto, in particolare, che la reiezione del motivo sull'erronea determinazione della quota di realizzazione dell'edificio e l'illegittima traslazione verso l'alto in corso d'opera del fabbricato sarebbe da riformare perché basata sulle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio che avrebbe verificato il rispetto delle quote di progetto operando in via deduttiva, sulla base di elementi opinabili, senza tenere deliberatamente conto di punti di riferimento fissi e invariabili rispetto all'area di cantiere (punti altimetrici rilevabili con precisione geometrica sia nella situazione ante operam, sia in quella post operam) quali quelli costituiti dal giardino della sig.ra Re. a valle e dal terrazzo della sig.ra Ghitti a monte dell'area di intervento; diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., la tesi della traslazione verso l'altro troverebbe riscontro nella documentazione tecnica e fotografica agli atti (segnatamente nelle planimetrie allegate al progetto, nei rilievi svolti dal perito di parte e nelle fotografie dello stato dei luoghi prodotte in giudizio), che dimostrerebbe come l'intero fabbricato sarebbe stato traslato verso l'alto con un innalzamento di m 1,55 rispetto al progetto originariamente assentito, nonché nella consulenza tecnica d'ufficio nel giudizio per accertamento tecnico preventivo svoltosi innanzi al tribunale ordinario (concluso in via transattiva) che il T.A.R. avrebbe erroneamente annoverato tra gli elementi opinabili dando credito, viceversa, a ipotesi verosimili, ma non incontrovertibili (l'individuazione quale riferimento altimetrico della quota + 0,80 m che appare indicata nella fotografia allegata al verbale del sopralluogo effettuato in data 14 dicembre 2013 dai tecnici comunali e dal direttore dei lavori). Ha dedotto, di conseguenza, che l'erronea convinzione che non vi sia stata alcuna traslazione verso l'alto del fabbricato avrebbe inficiato la correttezza anche del rigetto del motivo di primo grado sulla violazione del limite di altezza massima di 7,00 m fissato dall'art. 11.2 delle NTA del PGT del Comune di (omissis) (secondo motivo di appello incidentale) e sulla computabilità nella Slp dei locali al piano seminterrato, i quali, in realtà, emergerebbero dal profilo del terreno naturale in misura superiore a quella stabilita dall'art. 9.11, co. 8, delle NTA per essere esclusi dal conteggio della superficie (terzo motivo d'appello incidentale). Ha lamentato infine, col quarto e ultimo motivo, che il T.A.R. non si sarebbe pronunciato sulla questione della computabilità nella Slp della superficie del locale sottotetto della torretta che, riconosciuta dal C.T.U. nella bozza di relazione del 31 marzo 2021, sarebbe stata ritrattata nella relazione finale del 21 giugno 2021 sulla base di una pretesa erronea individuazione, come riferimento per il calcolo dell'altezza media del locale, alla trave d'imposta della struttura di copertura, anziché all'intradosso dei travetti di appoggio del solaio di copertura, e nell'altrettanto erronea convinzione che in base all'art. 9.11, punto IX, NTA, ai fini dell'esclusione dal calcolo della Slp sarebbe stato sufficiente che il locale sottotetto non avesse i requisiti per essere agibile. 5. - Nell'ordine logico delle questioni va esaminato per primo il motivo d'appello incidentale sul rispetto delle quote di progetto, in quanto pregiudiziale non solo al secondo motivo dello stesso appello, ma anche rispetto al primo motivo dell'appello principale sull'esistenza dell'interesse delle originarie ricorrenti a impugnare gli atti di assenso, edilizio e paesaggistico, per profili estranei alla conservazione della piena visuale del lago dalle loro proprietà, a sua volta pregiudiziale rispetto ai rimanenti motivi dei due contrapposti gravami. 5.1 - Il motivo è infondato. 5.2 - La questione della correttezza delle modalità di determinazione della quota di terreno alla quale è stato elevato il fabbricato è già stata dibattuta, in termini sovrapponibili, nel corso del primo grado del giudizio e risolta dal T.A.R. in senso sfavorevole alla tesi di parte ricorrente facendo proprie le conclusioni rassegnate sul punto dal perito d'ufficio "non essendo manifestamente irragionevole il metodo utilizzato dal CTU o frutto di un evidente travisamento del dato fattuale" (v. § 4.2.1 della sentenza appellata). 5.3 - L'appellante incidentale non ha introdotto ragioni nuove per criticare quegli esiti (l'argomento dei punti fissi e invariabili costituiti dal giardino della sig.ra Re. e dal terrazzo della sig.ra Ghitti e quello della piena attendibilità delle risultanze della consulenza espletata nel giudizio civile sono svolti, ad esempio, a pag. 2 s. della memoria di primo grado ex art. 73 c.p.a. depositata dalla ricorrente sig.ra Va. in data 10 settembre 2021; il richiamo alla specifica documentazione che dimostrerebbe la traslazione verso l'alto del fabbricato e la tavola e le fotografie riprodotte a pag. 20 s. dell'appello incidentale si ritrovano già a pag. 3 della memoria di replica depositata dalla medesima innanzi al T.A.R. in data 22 settembre 2021) e, soprattutto, non risultano esatte le sue affermazioni circa il fatto che il C.T.U. non avrebbe tenuto conto di punti di riferimento fissi e invariabili (quelli appena indicati o altri) rispetto all'area di cantiere come riferimenti oggettivi sulla cui scorta verificare l'innalzamento del fabbricato in corso d'opera e che egli si sarebbe limitato ad assumere come corretta la quota + 0,80 asseritamente individuata nel sopralluogo del 14 dicembre 2013 sulla base di ipotesi dallo stesso riconosciute come semplicemente verosimili. Le circostanze addotte trovano, infatti, smentita nella risposta alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte che precede le conclusioni finali rassegnate il 21 giugno 2021 dal C.T.U., nella quale il consulente d'ufficio ha diffusamente illustrato il procedimento seguito per la ricostruzione delle quote del terreno naturale al sedime rispetto alle quali verificare le altezze del fabbricato, dove la ricostruzione del nuovo caposaldo di riferimento non è avvenuta assumendo acriticamente la quota +0,80 tracciata con lo spray nero sul muro in prismi di cui alla documentazione fotografica risalente a precedente sopralluogo, ma effettuando una verifica di coerenza rispetto ai punti fissi ancora riscontrabili in loco ("la recinzione a confine Mo., la rimanenza del muro di contenimento del terreno naturale a confine Gr. - p.to 61 del rilievo allegato alla bozza, l'albero in prossimità dello stesso, la sommità del terreno a confine Gr., indisturbato - quota 405 rilievo Pe. e quota +6.79 del rilievo di progetto, gli spigoli del fabbricato Gr. in sottofalda") e dando conto del (minimo) scarto tra i differenti rilievi disponibili condotti rispetto alla testa di muro del confine Ri. in prossimità del confine Mo. e la testa di muro residuo di contenimento a confine Gr.. Tutto ciò risulta obliato dall'appellante incidentale, che nella sostanza si è limitata a riproporre le osservazioni svolte nel primo giudizio dal suo perito di parte e ivi fatte proprie nei suoi scritti difensivi. 6. - L'infondatezza del primo motivo dell'appello incidentale (n. r.g. 1805 del 2022) determina l'infondatezza anche del secondo motivo del medesimo appello sulla violazione del limite di altezza massima di 7 m. 7. - Può conseguentemente passarsi all'esame del primo motivo dell'appello principale (n. r.g. 1670 del 2022). 7.1. - Il motivo, concernente il parziale difetto di interesse a ricorrere nel giudizio di primo grado, è fondato. 7.2. - Per consolidato orientamento di questo Consiglio, il criterio della vicinitas, costituente elemento fisico-spaziale quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l'area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell'atto contestato, non vale, da solo e in automatico, a dimostrare la sussistenza della condizione dell'azione costituita dall'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato: dunque va valutato caso per caso se l'eventuale annullamento del titolo abilitativo possa comportare effetti di riduzione in pristino rispetto all'opera edilizia che si rivelino concretamente utili per il ricorrente, e non meramente emulativi, non essendo sufficiente la mera finalità demolitoria, poiché l'interesse a ricorrere consiste in un'utilità ulteriore che il ricorrente mira a conseguire con la sua azione e non può essere considerato sussistente in re ipsa in ragione dell'abuso edilizio dedotto (ex ceteris C.d.S., sez. II, 23 gennaio 2023, n. 738, sez. II, 22 gennaio 2024, n. 700, sulla scorta di quanto precisato da C.d.S., Ad. Plen., 9 dicembre 2021, n. 22). 7.3. - Nel caso di specie le originarie ricorrenti avevano agito innanzi al T.A.R. in qualità di proprietarie delle aree finitime al lotto di proprietà Ma.-Ru. "in forza e in ragione del (grave ed attuale) pregiudizio che l'ivi realizzando intervento stava (e tuttora sta) cagionando alle di loro proprietà, precludendone, tra l'altro, la veduta in affaccio sul vicino lago" (così a pag. 10 del ricorso di primo grado), cioè riferendo il loro interesse ad agire unicamente nei termini della rimozione del pregiudizio che la realizzazione del manufatto avrebbe arrecato alla loro vista sul lago. E se è vero che, come chiarito dall'Adunanza plenaria (n. 22 del 2021 cit.), l'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d'ufficio dal giudicante, ancora nel corso del presente grado di giudizio, dove quel dubbio costituisce il primo argomento a sostegno dell'appello principale, la sig.ra Va. (l'altra originaria ricorrente non ha impugnato la sentenza di prime cure) non ha allegato alcuna specifica lesione concreta, immediata e di carattere attuale derivante dall'avversato intervento edilizio che non fosse quella legata alla riduzione della veduta in affaccio sul lago o alla minore qualità panoramica, ambientale e paesaggistica e a una diminuzione di valore della propria abitazione (cfr. pag. 9 memoria di costituzione), i quali sono pregiudizi che dipendono dall'ingombro esteriormente percepibile dell'immobile e non dalla mera distribuzione interna dei suoi spazi. Pur adducendo, inoltre, che sarebbe "innegabile il pregiudizio che l'aumento non regolato della superficie e del volume di un edificio può avere rispetto ai proprietari confinanti" per sostenere di avere tutto l'interesse a una sentenza che affrontasse non solo gli aspetti relativi alla (parziale) occlusione della vista lago, ma anche tutte le altre questioni inerenti al corpo di fabbrica edificato dai controinteressati (cfr. pag. 5 s. della memoria conclusionale), la sig.ra Va. non ha chiarito quale sarebbe, nel concreto, quel pregiudizio e quale, dunque, l'utilità per la sua posizione sostanziale dall'accoglimento delle relative censure. Anche le nuove allegazioni, dunque, risultano insufficienti a illustrare l'esistenza dell'interesse a ricorrere per vizi relativi soltanto al volume e alla superficie del fabbricato e non alla sua sagoma esteriore. 7.4 - Pertanto il T.A.R., avendo correttamente rigettato i motivi di impugnazione sulla traslazione verso l'alto dell'edificio e sul rispetto dell'altezza massima assentibile (primo motivo del ricorso per motivi aggiunti; secondo motivo del ricorso principale e secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti), avrebbe dovuto dichiarare inammissibili i restanti motivi del ricorso di primo grado e del ricorso per motivi aggiunti per difetto dell'interesse a ricorrere. 8. - Per le considerazioni esposte, il primo e il secondo motivo dell'appello incidentale devono essere respinti, il primo motivo dell'appello principale dev'essere accolto e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata che quei motivi aveva viceversa accolto, vanno dichiarati inammissibili il primo e il terzo motivo del ricorso principale proposto in primo grado e il terzo motivo del relativo ricorso per motivi aggiunti, nonché il quarto motivo del ricorso principale proposto in primo grado (assorbito dalla sentenza appellata: ivi, § 6.1), con conseguente declaratoria di improcedibilità del terzo e del quarto motivo dell'appello incidentale. Sono assorbiti i rimanenti motivi dell'appello principale, come è logico nel caso di censure alternative ovvero subordinate (cfr. C.d.S., Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5). Di conseguenza il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti di primo grado sono in parte respinti e in parte dichiarati inammissibili. 9. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della natura delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, fatto salvo per le spese della consulenza tecnica di ufficio, che in ragione del principio della soccombenza vanno poste in solido a carico delle signore Ma. Va. e Te. Gh., ricorrenti in primo grado, nella misura liquidata dal T.A.R. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione accoglie l'appello principale (n. r.g. 1670 del 2022), in parte respinge e in parte dichiara improcedibile l'appello incidentale (n. r.g. 1805 del 2022) nei sensi di cui in motivazione e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, in parte respinge e in parte dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti di primo grado. Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio, fatto salvo per le spese della consulenza tecnica di ufficio di primo grado, che pone in solido a carico delle signore Ma. Va. e Te. Gh. nella misura già liquidata dal T.A.R. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giulio Castriota Scanderbeg - Presidente Francesco Frigida - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere, Estensore Maria Stella Boscarino - Consigliere Stefano Filippini - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2234 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Mo., Vi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Eu. Am. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 gennaio 2024 il Cons. Sergio Zeuli; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante avverso la delibera di Giunta Comunale di (omissis), provincia di Matera, n. 15/2015 nonché il ricorso per motivi aggiunti avverso la delibera del Consiglio Comunale n. 30/ 2015 e la delibera di Giunta Comunale n. 84/2015. A supporto del gravame la parte appellante, funzionario, categoria giuridica D3 in servizio presso il Comune di (omissis) e responsabile RSU Cgil-Fp, espone le seguenti circostanze - allegando la necessità di risparmiare sulla spesa del personale e di rendere più funzionale l'attività dei settori, in assenza di criteri generali predeterminati del Consiglio come di una previa informativa sindacale, la Giunta aveva adottato una rimodulazione della macrostruttura dell'ente, riducendo da quattro a tre i settori dei servizi comunali; - detta riduzione era stata ottenuta sopprimendo il Settore amministrativo - Sviluppo economico, affidato da quasi un ventennio alla responsabilità del ricorrente, area che era stata re-incardinata, come Servizio Commercio/SUAP presso il Corpo di Polizia Municipale; - con l'approvazione dell'organigramma allegato "A", nonché sulla base di quanto disposto al punto 10 del dispositivo della Delibera di Giunta Municipale n. 15/2015, erano stati individuati i responsabili dei nuovi tre settori, che in realtà erano i precedenti titolari delle vecchie aree funzionali, senza la preventiva determinazione dei criteri di attribuzione delle posizioni dirigenziali, e senza tener conto delle risultanze delle valutazioni intervenute nel tempo ad opera degli organi di controllo, né del sistema di valutazione di cui all'art. 10 del d.lgs. n150 del 2009; - solo l'esponente, per ordine di servizio del Sindaco e prima che fosse varata l'organizzazione interna dei nuovi settori, veniva trasferito ad horas, cioè allontanato dalla sede municipale di (omissis) Centro e sistemato presso i locali della delegazione/biblioteca comunale in Marina di (omissis), lontani oltre dieci chilometri dalla sede ed estranei anche agli uffici del Corpo di Polizia Municipale, presso il quale, peraltro, non avrebbe potuto essere incardinato il servizio commercio SUAP per ragioni di incompatibilità, già espresse dalle circolari ANAC; - queste circostanze inducevano la parte a gravare dinanzi al TAR il detto provvedimento; - prima della celebrazione dell'udienza di merito, l'amministrazione - a dire dell'esponente - indotta dal provvedimento emesso dal TAR ai sensi del comma 10 dell'art. 55 c.p.a. emanava ulteriori atti di macro organizzazione (deliberazione n. 30/2015 del Consiglio Comunale, deliberazione n. 84/2015 della Giunta Municipale) coi quali la parte appellante veniva posta alla dipendenze gerarchiche dell'ufficio tecnico comunale e funzionalmente incardinato presso il Corpo di polizia municipale, con conferma della pregressa sistemazione logistica; - anche questi atti ulteriori venivano ritualmente impugnati con motivi aggiunti. La sentenza impugnata ha dichiarato improcedibile il ricorso principale per non essere stati richiesti i danni, rigettando nel merito il ricorso per motivi aggiunti. Avverso di essa la parte deduce i seguenti motivi di appello: a) Motivazione contraddittoria nella parte in cui pronuncia l'inammissibilità del ricorso avverso la delibera n. 15 del 2015. b) Erronea dichiarazione di improcedibilità del ricorso introduttivo. Contrasto di motivazione con i capi 2.2.1 e 2.8 della decisione. Sussistenza dell'interesse all'accertamento dell'illegittimità dell'atto. c) Con riferimento al ricorso per motivi aggiunti. Eccesso di potere per sviamento. Illogicità manifesta, contraddittorietà ed irragionevolezza dell'azione amministrativa. Sviamento di potere. Omessa pronuncia sull'eccepita violazione dell'art. 38 della legge n. 133/2008 e degli artt. 2 e 4 del d.p.r. n. 160/2010 d)- Omessa rappresentazione di fatti rilevanti e contemporanea rappresentazione di fatti non veritieri e del difetto di istruttoria nella delibera di consiglio n. 30/2015. Violazione di legge: art. 21 nonies, c.2. L.241/90 e) Violazione di legge: art. 89, comma 2, lettera b del d.lgs. 267/2000; art. 2 comma 1 d.lgs. n. 165/2001; artt. 25, comma 2°, e 40, comma 1°, lettera a d.lgs. n. 150/2009; art. 107 e 109 d.lgs. n. 267/2000. f) Violazione di legge: art. 42, comma 2, lettera a) e art. 48, comma 3, d.Lgs. n. 267/2000. g) violazione di legge con riferimento agli artt. 89, comma 5°, art. 243-bis e segg. d.Lgs. 267/2000 per inosservanza della normativa concernente gli enti locali dissestati o strutturalmente deficitari nel procedimento indicato per la riorganizzazione degli Uffici e dei Servizi - Necessità del preventivo parere della "Commissione per la Finanza e gli Organici degli Enti Locali" del Ministero dell'Interno" ex artt. 155 e 243 d.Lgs. n. 267/2000. Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta illogicità . h) violazione di legge in riferimento agli art. 7, comma 1, legge n. 65/1986; art. 5, comma 2, L. Reg. Basilicata n. 41/2009 - Violazione dei criteri stabiliti dalla deliberazione n. 3 del 27/01/2014 del C.C. in ordine alla necessità di coprire le vacanze di organico del Corpo di Polizia Municipale. Rigetto della censura di sviamento di potere ed irragionevolezza. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. In via preliminare va disattesa l'eccezione di improcedibilità dell'appello con cui la parte appellata deduce la sopravvenuta carenza di interesse a seguito del collocamento a riposo chiesto ed ottenuto dalla parte appellante. 3.1. Quest'ultima ha infatti rappresentato l'intenzione di richiedere il risarcimento dei danni, il che, ai sensi di quanto statuito dall'Adunanza Plenaria n. 8 del 2022, è sufficiente a fondare l'attualità del proprio interesse alla coltivazione del gravame. 4. Sempre in via preliminare, va disattesa l'eccezione di inammissibilità per genericità della formulazione dei motivi d'appello. Diversamente da quanto dedotto dall'appellata, le singole doglianze, ciascuna riferibile a specifici capi della sentenza impugnata, sono sufficientemente dettagliate nelle loro argomentazioni e risultano complessivamente intellegibili nelle critiche che sollevano alla decisione gravata. 5. I primi due motivi di appello contestano, sotto diversa angolazione, la declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse pronunciata dal giudice di primo grado che ha ritenuto che la parte non avesse autonomo interesse a gravare la Delibera di Giunta Municipale n. 15 del 20 febbraio del 2015, essendo stato quest'atto "superato" dal nuovo assetto organizzativo introdotto in virtù delle successive, ossia la Delibera del Consiglio Comunale n. 30 del 29 luglio del 2015 e la Delibera di Giunta Municipale n. 84 del 16 settembre del 2015. 5.1. I motivi sono fondati. Infatti la parte appellante, sin dal ricorso introduttivo, ha contestato il potere esercitato dalla Giunta Municipale consistito nel rimodulare, in tre settori, la pianta organizzativa del Comune e nell'assegnare agli stessi i Dirigenti, senza che fossero previamente individuati i criteri di valutazione del merito. Questo, nella sua prospettazione, sarebbe avvenuto sin dal 20 febbraio del 2015 con la delibera n. 15, mentre la successiva delibera consiliare n. 30 del 29 luglio 2015 non avrebbe fatto altro che consolidare quell'assetto, nel tentativo - secondo la parte appellante mal riuscito - di adeguarlo alle criticità, in tema di incompetenza della Giunta, evidenziate dal TAR in sede di pronuncia cautelare. In altre parole, poiché i due atti, così come la terza delibera giuntale del settembre del 2015, rappresentavano una sequenza espressiva di un'unica azione illegittima, da considerare unitariamente e non atomisticamente, ne deriva la persistente attualità dell'interesse della parte a coltivare il gravame anche con riferimento alla prima delibera. A maggior ragione laddove si consideri che l'assetto organizzativo contestato venne proposto per la prima volta proprio con la delibera di Giunta n. 15 del 20 febbraio del 2015, che, nei suoi aspetti essenziali (riduzione da quattro a tre dei settori dei servizi e nomina dei precedenti dirigenti) è stata pienamente confermata dai due atti successivi e che tanto, già di per sé solo, basterebbe a ritenere persistente l'interesse a gravarla. In parte qua, pertanto, la sentenza impugnata va riformata dovendosi ricomprendere, nel tema controverso, anche la delibera n. 30/2015. 5. Il terzo motivo d'appello denuncia i vizi di carenza di istruttoria e di violazione di legge, sub specie del d.lgs. n. 150 del 2009, nella delibera consiliare n. 30 del 2015, nella parte in cui ha dato mandato alla Giunta Municipale - poi intervenuta a sua volta con la delibera n. 84/2015, ma che aveva già esercitato gli stessi poteri con la delibera n. 30 del 2015 - di rimodulare l'assetto organizzativo e di strutturare i singoli settori, senza predeterminare i criteri per l'assegnazione delle posizioni direttive né tanto meno quelli per le valutazioni delle cd. performance. 5.1. Il motivo è fondato. Come si accennava, nella vicenda controversa, se valutata complessivamente, si rileva un improprio e ripetuto esercizio di poteri non spettantigli da parte della Giunta che, inizialmente, con la delibera n. 15 del 2015 ha provveduto a riorganizzare gli uffici comunali senza attendere l'indicazione delle linee generali da parte del Consiglio e che successivamente, dopo aver ricevuto un mandato alquanto generico con la delibera consiliare n. 30 del 2015 (che, avendo confermato il contenuto della delibera giuntale 15 del 2020, ne appare piuttosto come una ratifica) ha riconfermato l'assetto organizzativo e le nomine deliberate sin dal febbraio del 2015 con la delibera n. 84/2015. Sennonché, sia nella prima che nella seconda occasione, tutto ciò è avvenuto senza seguire criteri predeterminati, soprattutto per quel che riguarda la nomina e la valutazione dei dirigenti assegnati ai singoli settori. Infatti, nella prima occasione la Giunta non avrebbe proprio potuto deliberare in assenza del mandato del Consiglio, che doveva previamente dettare i criteri direttivi; nella seconda occasione, ossia con la delibera n. 30 del 2015, quest'ultimo, prima di conferire il mandato attuativo all'organo esecutivo, avrebbe dovuto - nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 25, comma 2, e 40, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2009 - predeterminare criteri oggettivi e pubblici che la Giunta era tenuta ad applicare per la valutazione degli aspiranti ad incarichi direttivi, ivi inclusa anche la doverosa valutazione delle singole performance realizzate da ciascuno dei candidati nella precedente esperienza direttiva. Tale procedura valutativa risulta del tutto omessa dalla delibera n. 30 del 2015 e ciò ha consentito alla Giunta, con la delibera n. 84 del 2015, analogamente a quanto aveva già fatto con la delibera n. 15 del 2020, di confermare i precedenti titolari nei settori (più o meno) corrispondenti a quelli già precedentemente diretti, dopo averli rimodulati e ridotti, in assenza di criteri predeterminati e senza tener conto dei risultati in precedenza ottenuti da ciascuno di essi nelle corrispondenti funzioni di coordinamento. D'altronde, contrariamente a quanto si legge nella stessa delibera n. 50 citata, i criteri valutativi della performance erano stati puntualmente regolamentati da precedenti delibere, che erano dunque vigenti e vincolanti, cioè la Delibera consiliare n. 42 del 2010 e la Delibera di Giunta Municipale n. 134/2010, che nell'occasione sono state parimenti violate, unitamente alle ricordate previsioni di cui ai sopra citati articoli 25, comma 2, e 40, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150/2009. 5.2. Le ricordate violazioni, peraltro, evidenziano anche che i provvedimenti impugnati non sono stati preceduti da un'adeguata istruttoria come dimostra il fatto che le suddette nomine, intervenute in assenza di un'indagine strutturata in grado di supportare le singole scelte, risultano scarsamente, se non addirittura apoditticamente motivate. 5.3. I suindicati vizi trovano un'ulteriore conferma nella nomina dell'-OMISSIS- -OMISSIS- quale responsabile, oltre che dell'Ufficio Tecnico Comunale, anche di quello economico, che ricomprende anche il SUAP, ossia l'ufficio al quale è assegnata, con funzioni di coordinamento, la parte appellante. L'affidamento di due aree al prefato tecnico dovrebbe presupporre l'adeguatezza dello stesso, in base al suo profilo professionale ed alla sua esperienza lavorativa, per entrambi i ruoli. Sennonché il suddetto giudizio trova in fatto una doppia smentita: la prima nella nota, a sua firma, del 20 luglio del 2015, ossia in epoca precedente alla delibera consiliare n.30 del 2015, con la quale il predetto Dirigente dichiarava di rinunciare a dirigere l'Ufficio Tecnico ritenendo non più sussistente il necessario rapporto fiduciario con l'amministrazione. E trova altresì ulteriore smentita nella circostanza di fatto che, a pochi mesi dalla rimodulazione, con provvedimento del 23 ottobre del 2015 egli venne sostituito quale responsabile dell'UTC, da un istruttore direttivo categoria giuridica D1. Gli appena evidenziati elementi di contraddittorietà confermano or dunque che l'istruttoria procedimentale che ha preceduto le delibere impugnate, fu carente e lacunosa sotto più aspetti e che per tali motivi queste ultime devono ritenersi irreparabilmente viziate dalle denunciate illegittimità . 6. L'accoglimento del terzo motivo d'appello, conclamando, come appena osservato, l'illegittimità delle delibere impugnate, esonera questo giudice da una particolareggiata analisi degli altri motivi di gravame, che diverrebbe superflua. Pur tuttavia, sia pure sinteticamente, conviene aggiungere che gli stessi sono in parte infondati e che in altra parte non vi è interesse dell'appellante alla relativa deduzione. 6.1. Quanto al carattere discriminatorio e/o vessatorio che intenzionalmente caratterizzerebbe, in danno dell'appellante, gli atti impugnati, si tratta di una circostanza meramente supposta, dunque non provata e che è tendenzialmente priva di fondamento dal momento che l'intervento di che trattasi aveva un'ampia portata riorganizzativa che, di per sé, esclude che possa essere stata avviata per gli scopi emulativi prospettati dalla parte. 6.2. Quanto al fatto che dalla riorganizzazione non sarebbe conseguito un risparmio di spesa, anche in questo caso si tratta di circostanza non provata e che anzi ha un principio di prova contrario. Infatti non risulta che, con gli atti impugnati, siano state violate le disposizioni di cui all'art. 243 bis del d.lgs. n. 267 del 2000, in tema di piano di riequilibrio finanziario, che è stato deliberato dal Consiglio Comunale il 27 gennaio del 2014. Per contro, risultano in linea con quest'ultimo sia la disposta riduzione delle retribuzioni dei responsabili dei Settori che la riduzione dei settori da quattro a tre con la soppressione del Settore Servizi amministrativi, istituzionali e per lo sviluppo economico, scelta quest'ultima che, ad un giudizio estrinseco, si rivela immune dai vizi indicati in gravame. Invece, il ricorso a personale esterno che, successivamente alla proposizione del gravame, si è reso necessario per le precarie condizioni organizzative e finanziarie dell'ente locale, non costituisce attività immediatamente lesiva della posizione giuridica della parte appellante, rendendo inammissibile la relativa doglianza per carenza di interesse. 6.3. Quanto all'illogicità di collocare il SUAP nell'ambito del Settore Polizia Locale, in disparte che trattandosi di atti di macrorganizzazione, detta scelta era caratterizzata da accentuata discrezionalità amministrativa, non è del tutto esatta la ricostruzione in fatto presupposta dal motivo in analisi. Infatti il SUAP e l'area economica sono stati gerarchicamente inquadrati nel II Settore, Area Servizio Economico e (solo) funzionalmente collegati al settore di Polizia Municipale, né su tale specifico aspetto può avere particolare rilevanza, evidentemente, la scelta allocativa sul dove collocare l'ufficio. 6.4. Va altresì escluso che, nel rimodulare l'Ufficio di Polizia Locale la delibera abbia violato l'art. 7, co. 1, L. n. 65/1986 e art. 5, co. 2, L. Regionale Basilicata n. 41/2009 perché, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, la valutazione richiesta dalla disposizione va riferita al numero dei posti previsto in organico, e non al personale effettivo in servizio. 7. In definitiva, vanno accolti i primi tre motivi d'appello e, per l'effetto, vanno in parte qua annullate le delibere impugnate. Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore della parte appellante che si liquidano in complessivi euro 7000,00 (eurosettemila,00), di cui euro 3000,00 (eurotremila,00) per il primo grado, ed euro 4000,00 (euroquattromila,00) per il secondo grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio, in collegamento da remoto, del giorno 10 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: MAURO MOCCI - Presidente - PROPRIETA’ GIUSEPPE GRASSO - Consigliere - ANTONIO MONDINI - Consigliere - Ud. 27/02/2024 – PU STEFANO OLIVA - Rel. Consigliere - R.G.N. 1552/2022 CESARE TRAPUZZANO - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 1552-2022 proposto da: GONFALONE IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. SARA CALZI e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione - ricorrente - contro FICANI ALESSIA e CASSINA STEFANO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VAL PUSTERIA n. 22/15, nello studio della dott.ssa MERCEDES CORREALE, rappresentata e difesa dagli avv.ti ALESSANDRA TONONI CORREALE e EUGENIO ANTONIO CORREALE - controricorrenti - avverso la sentenza n. 3209/2021 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 05/11/2021; udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere Oliva; udito il P.G., nella persona del dott. ROBERTO MUCCI; uditi l’avv. Sara Calzi per la parte ricorrente e l’avv. Eugenio Antonio Correale per la parte controricorrente FATTI DI CAUSA Con atto di citazione notificato il 1.6.2012 Gonfalone Immobiliare S.r.l. evocava in giudizio Ficani Alessia e Cassina Stefano innanzi il Tribunale di Milano, invocandone la condanna a restituire nella disponibilità della società attrice la porzione del lastrico solare di copertura del locale di proprietà della predetta, che i convenuti avevano occupato, nonché al risarcimento del danno derivante dalla denunziata occupazione. Si costituivano in giudizio i convenuti, resistendo alla domanda e chiedendo di estendere il contraddittorio nei confronti di Molteni Angelo Maria, Molteni Gloria e Molteni Sonia, eredi di Zoni Emanuela, a sua volta figlia ed erede di Zoni Renato, dante causa dei convenuti, per essere da loro garantiti dal pregiudizio derivante dall’eventuale accoglimento della domanda attorea. Invocavano inoltre, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’usucapione del diritto di proprietà del lastrico contestato, ovvero in subordine del diritto di uso esclusivo dello stesso. In esito alla chiamata in causa si costituivano i terzi, resistendo alla domanda spiegata nei loro riguardi. Nel corso del giudizio, poi, tra gli stessi ed i convenuti interveniva una transazione. Con sentenza n. 8176/2019 il Tribunale, preso atto della transazione di cui anzidetto, dichiarava estinto il rapporto processuale tra convenuti e terzi chiamati; rigettava invece la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale, dichiarando l’acquisto per usucapione, in favore del convenuto Cassina, della proprietà della porzione di lastrico oggetto di causa. Con la sentenza impugnata, n. 3209/2021, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame proposto dall’odierna ricorrente avverso la decisione di prime cure, confermandola. Propone ricorso per la cassazione della sentenza di primo grado Gonfalone Immobiliare S.r.l., affidandosi a sei motivi. Resistono con controricorso Cassina Stefano e Ficani Alessia. Con istanza datata 28.6.2023 la società ricorrente ha invocato la sollecita fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso. Ambo le parti hanno depositato memoria. Sono comparsi all’udienza pubblica del 27.2.2024 l’avv. Sara Calzi per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, l’avv. Eugenio Antonio Correale per la parte controricorrente, che ha concluso per il rigetto, ed il P.G., che ha concluso per l’inammissibilità. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della non usucapibilità del lastrico, alla luce della sua peculiare conformazione e funzione. In particolare, su di esso si aprirebbero le uniche aperture, realizzate mediante finestre su strutture sopraelevate rispetto al piano del lastrico, atte a garantire luce ed areazione del sottostante locale di proprietà della società ricorrente, che tuttavia i convenuti, odierni controricorrenti, avrebbero ostruito con numerose piante, in guisa tale da impedire il passaggio di aria, rendendo impossibile l’apertura delle finestre, e limitare gravemente il passaggio della luce. Ad avviso della società ricorrente, poiché le strutture esistenti sul lastrico di cui è causa assolverebbero alla funzione di dare aria e luce al sottostante locale di sua proprietà, altrimenti privo di qualsiasi apertura, esse non potrebbero essere oggetto di usucapione, poiché la piena esplicazione del diritto di proprietà, derivante dal riconoscimento del predetto acquisto a titolo originario in favore del Cassina, renderebbe impossibile assicurare la funzione di areazione e fonte di luce a vantaggio del fondo sottostante. La censura è infondata. Va premesso che la deduzione del vizio di omesso esame è preclusa, ope legis, dalla presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Ciò nondimeno, anche riqualificando la censura in termini di violazione di legge, è necessario affermare che il diritto di proprietà acquisito a titolo originario, mediante l’istituto dell’usucapione, è soggetto, come qualsiasi diritto di proprietà, da un lato alle limitazioni derivanti dalla eventuale insistenza, sul bene usucapito, di diritti reali a favore di terzi, e dall’altro al limite generale del divieto degli atti emulativi. L’assicurazione della funzione di fonte di aria e luce assolta dalle finestre oggetto del motivo in esame non è dunque impedita, né limitata, dal fatto che la proprietà del lastrico sia stata usucapita dal Cassina, poiché l’odierna ricorrente conserva il diritto di far accertare l’esistenza di una eventuale servitù a favore del fondo sottostante, di sua proprietà, ed a carico di quello usucapito dal predetto Cassina, ovvero di chiederne la costituzione in via coattiva mediante la dimostrazione della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge, nonché l’ulteriore diritto di agire per far cessare eventuale condotte emulative poste in essere dal proprietario del lastrico a suo danno. Né può sostenersi che l’usucapione possa essere impedita in funzione della peculiare conformazione del bene che ne forma oggetto. L’usucapione, infatti, come qualsiasi altro modo di acquisto della proprietà, incide soltanto sul regime giuridico del bene, ma non è idonea, in sé, a modificarne la concreta e specifica consistenza. Il cespite usucapito, in altri termini, continua a rimanere uguale a sé stesso, poiché l’usucapione non incide sulle caratteristiche ontologiche del cespite, ma regola soltanto il suo statuto proprietario. Non sussiste, dunque, né incompatibilità tra l’esistenza di aperture di aria e luce sul lastrico ed il riconoscimento della sua usucapione in favore del Cassina, né preclusione, derivante dal predetto riconoscimento, delle azioni che la società ricorrente può esperire a tutela della sua proprietà, sottostante al lastrico oggetto di causa. Con il secondo motivo, la società ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato l’esistenza della dichiarazione a contenuto confessorio, asseritamente contenuta nell’atto di vendita con il quale gli odierni controricorrenti avevano acquistato il cespite di loro proprietà, contiguo al lastrico oggetto di causa; né avrebbe adeguatamente valutato il contesto in cui si collocherebbe la missiva del dicembre 1978, con la quale la società odierna ricorrente aveva diffidato il dante causa degli odierni controricorrenti ad eliminare i vasi posti sul lastrico de quo; né avrebbe, infine, apprezzato correttamente il contenuto del contratto preliminare a suo tempo intercorso tra gli eredi Zoni e gli odierni controricorrenti, nel quale alcuna menzione del lastrico solare in questione veniva fatta. La censura è inammissibile, sia perché formulata in termini di omesso esame, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme, sia perché in realtà non si lamenta la mancata considerazione di un fatto storico, ma piuttosto l’omessa, o scorretta, valutazione di diversi elementi di prova. Sul punto, va ribadito, da un lato, che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, “… dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi “fatti” nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio. Mentre, dall’altro lato, va considerato che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui “L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Con il terzo motivo, la società ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che il Cassina aveva asserito di aver avuto il godimento esclusivo, pubblico ed indisturbato del lastrico oggetto di causa tra il 1950 ed il 1970. La Corte distrettuale avrebbe dunque dovuto limitare la sua indagine solo al predetto periodo, ed avrebbe erroneamente affermato che l’interversione del possesso si era realizzata nel 1978; in tal modo, il giudice di merito avrebbe fondato la sua decisione su una causa petendi diversa da quella proposta dagli attori in riconvenzionale. La censura è inammissibile, sia in relazione alla impossibilità di introdurre il vizio di omesso esame nel caso di specie, sia per carenza di specificità, poiché la società ricorrente non riporta in modo preciso i passaggi delle difese degli odierni controricorrenti dai quali si ricaverebbe l’assunto proposto con la doglianza in esame. Inoltre, va ribadito il principio secondo cui “La causa petendi nelle azioni a difesa del diritto di proprietà e degli altri diritti reali di godimento, individuandosi questi solo in base al loro contenuto (cioè, il bene che ne costituisce l'oggetto), si identifica con il diritto stesso e non, come nei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.), la cui deduzione, necessaria ai fini della prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda; conseguentemente, l'allegazione, nel corso del giudizio o in appello, di un titolo di acquisto diverso, quale l'usucapione, rispetto a quello inizialmente dedotto, non importa mutamento della domanda e della situazione giuridica con essa fatta valere” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7033 del 21/06/1995, Rv. 492998). Infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, “I diritti assoluti –reali o di status– si identificano in sè e non in base alla loro fonte (amplius quam semel res mea esse non potest), come invece accade per i diritti obbligatori; pertanto l' attore può mutare il titolo –atto o fatto, derivativo o costitutivo– in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (artt. 183, 189 e 345 c.p.c.) e oneri (art. 292 c.p.c.) della modifica della causa petendi; ne' sussiste violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.) se il giudice accoglie il petitum in base ad un titolo diverso da quello invocato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4460 del 20/05/1997, Rv. 504515; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9851 del 10/10/1997, Rv. 508713; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3749 del 15/04/1999, Rv. 525414; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15907 del 18/12/2000, Rv. 542705, la quale ultima fa riferimento al concetto di “contenuto sostanziale della domanda”). In definitiva, dunque, “La causa petendi delle azioni a difesa della proprietà o della comproprietà, a differenza delle azioni accordate a tutela dei diritti di credito, è lo stesso diritto vantato dall'attore e non il titolo che ne costituisce la fonte; sicché, la specificazione del modo di acquisto del diritto reale a difesa del quale si agisce non comporta, in quanto rivolta a determinare più compiutamente la causa petendi, mutamento della domanda e della situazione giuridica con essa fatta valere e non dà luogo in appello alla proposizione di una domanda nuova, preclusa dall'art. 345 c.p.c.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5894 del 20/04/2001, Rv. 546134). Anche in materia di diritti eterodeterminati, peraltro, il più recente orientamento di questa Corte è rivolto nella medesima direzione: si è infatti affermato che “In tema di azione per il risarcimento dei danni, nel suo nucleo immodificabile la domanda non va identificata in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa (che costituisce oggetto della qualificazione del giudice), bensì esclusivamente in base al bene della vita e ai fatti storici-materiali che delineano la fattispecie concreta; ne consegue che, se i fatti materiali ritualmente allegati rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti ed indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte”(Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10049 del 29/03/2022, Rv. 664475). Ciò che rileva, ai fini della individuazione dell’oggetto della domanda, è quindi il cd. bene della vita del quale la parte invoca la tutela. Nel caso di specie, il Cassina e la Ficani avevano chiesto, in via riconvenzionale, accertarsi l’intervenuta usucapione del lastrico di cui 10 è causa, allegando, a fondamento di tale pretesa, la sussistenza di un possesso esclusivo ultraventennale esercitato uti dominus sul bene. L’accertamento condotto dal giudice di merito non è affatto andato oltre i termini della domanda riconvenzionale, in quanto la Corte di Appello si è limitata, del tutto correttamente, a valutare le risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito e a verificare se, sulla base di esse, si potesse configurare, o meno, la sussistenza dei presupposti per l’invocato acquisto della proprietà del lastrico per usucapione. Con il quarto motivo, la società ricorrente si duole dell’omesso esame di una serie di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., costituiti, in particolare, dalle trattative intercorse tra le parti per l’acquisto del lastrico, dall’esistenza di una ipoteca costituita sullo stesso dalla odierna ricorrente, nonché dalle spese sostenute da quest’ultima per la sua manutenzione. Anche questa censura è inammissibile, per le medesime ragioni già esposte in relazione al secondo motivo, in quanto essa nasconde, in realtà, una richiesta di revisione del giudizio di fatto e della valutazione delle prove operati dalla Corte distrettuale. Inoltre, va considerato che l’esistenza di trattative per l’acquisto, pur costituendo un elemento di fatto significativo nell’ambito della valutazione delle rispettive condotte delle parti, e dunque del proprietario del bene, da un lato, e del soggetto che intenda usucapirlo, dall’altro lato, non implica di per sé rinuncia al diritto di far valere l’usucapione del bene che ne forma oggetto, in caso di loro fallimento, ben potendosi configurare ipotesi in cui le predette trattative, indipendentemente dal grado del loro approfondimento, siano state ispirate allo scopo di prevenire o abbreviare i tempi di una lite. In termini, cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27170 del 26/10/2018, Rv. 651019 secondo cui l’intavolazione di trattative con i titolari del diritto 11 di proprietà ai fini dell'acquisto in via derivativa dello stesso può far presumere la c.d. volontà "attributiva" del diritto e dunque il riconoscimento dell’altruità della proprietà del bene, cosa che resta invece esclusa quando tali iniziative siano ispirate dalla diversa volontà di evitare lungaggini giudiziarie per l'accertamento dell'usucapione, ovvero di prevenire in via conciliativa la relativa lite. L’accertamento della rilevanza e della valenza delle trattative predette compete, ai fini della prova della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione, si risolve in un accertamento di fatto, devoluto al giudice di merito. Con il quinto motivo, la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c. o in subordine il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per omessa ammissione della prova testimoniale che la società aveva articolato nel corso del giudizio di merito. La censura è inammissibile, sia perché non riproduce i capitoli di prova dei quali lamenta la mancata ammissione, con conseguente carenza di specificità della doglianza ed impossibilità del collegio di apprezzarne l’eventuale rilevanza e decisività, sia perché in ogni caso non considera che, alla luce dei precedenti di questa Corte già richiamati in relazione allo scrutinio della seconda censura, il giudizio sulla ammissibilità, decisività e rilevanza dei singoli mezzi di prova, come del resto il loro apprezzamento, e quindi la scelta di quelli, tra essi, ritenuti più probanti, appartiene al giudice di merito. Peraltro, la sentenza impugnata dà atto che le istanze istruttorie alle quali si riferisce la censura in esame non erano state riproposte da Gonfalone Immobiliare S.r.l. in sede di precisazione delle conclusioni in prime cure, e dunque il Tribunale le aveva ritenute rinunciate (cfr. pag. 17 della sentenza impugnata). La società odierna ricorrente non 12 contesta tale circostanza, ma anzi la conferma espressamente, riconoscendo di non aver provveduto all’incombente per un mero errore materiale (cfr. pag. 26 del ricorso). La statuizione del giudice di merito, inoltre, è del tutto conforme all’insegnamento di questa Corte, poiché va ribadito che “Nel caso in cui il giudice di primo grado non accolga alcune richieste istruttorie, la parte che le ha formulate ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello, neppure ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c. (testo previgente alle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012), in quanto il giudizio d'indispensabilità, operato dal giudice del gravame, riguarda le nuove prove e non quelle dichiarate inammissibili o tacitamente rinunciate” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15029 del 31/05/2019, Rv. 654190; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11752 del 15/05/2018, Rv. 648705; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5741 del 27/02/2019, Rv. 652770). La sola eccezione alla presunzione di rinuncia insita nella mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, delle istanze istruttorie non ammesse nel corso del giudizio, è costituita dal caso in cui “… dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l'esame degli scritti difensivi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33103 del 10/11/2021, Rv. 662750). In tale eventualità, tuttavia, la parte che ricorra in cassazione avverso la statuizione del giudice di merito, ritenendola non coerente con il principio da ultimo richiamato, è onerata di riproporre puntualmente, nel motivo di censura, sia le conclusioni rassegnate nel 13 giudizio di merito, sia le istanze non ammesse, al fine di consentire al collegio la verifica della sussistenza della connessione necessaria tra queste ultime e le domande proposte, e di poter apprezzare la sussistenza della volontà inequivoca di insistere sulla richiesta di prova. Nel caso di specie, tale onere non è stato totalmente adempiuto, poiché la società ricorrente ha riprodotto le conclusioni rassegnate in prime cure, nelle quali si faceva genericamente riferimento a tutte le richieste precedentemente formulate, ma non i capitoli di prova (riprodotti, questi ultimi, parzialmente soltanto a pag. 30 del ricorso, ma in relazione al contenuto del sesto ed ultimo motivo di impugnazione, per la cui trattazione si rinvia infra). Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Infine, con il sesto ed ultimo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1146 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’elemento dell’animus possidendi in capo agli eredi Zoni, senza considerare che il possesso esercitato dal loro remoto dante causa sul lastrico di cui è causa si era interrotto con la sua morte e non si era trasferito agli eredi, in assenza di prova, da parte di questi ultimi, di aver proseguito nella medesima relazione con la res già propria del de cuius. La censura è infondata. La Corte di Appello, sul punto, ha ritenuto che la prova del fatto che gli eredi dello Zoni abbiano continuato a possedere il lastrico di cui è 14 causa, in termini analoghi a quello del loro dante causa, si ricava dalla circostanza che l’esistenza della situazione di possesso del bene è stata espressamente prevista, e disciplinata, da apposita clausola contenuta nel contratto di vendita dal quale gli odierni controricorrenti traggono il loro dritto. Con detta clausola, secondo il giudice di merito, gli eredi Zoni avrebbero implicitamente confermato, ai loro aventi causa, la sussistenza dei presupposti –possesso pacifico, in buona fede, ininterrotto, pubblico ed ultraventennale– per l’usucapione del lastrico di cui è causa (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata). Inoltre, la Corte territoriale ha anche evidenziato che “… sia la successione nel possesso fra Mosconi Renata e Zoni Emanuela che l’accessione di Stefano Cassina hanno riguardato una situazione di possesso già esercitato per il tempo utile ad usucapirlo, di talché appaiono irrilevanti le dedotte diverse manifestazioni di volontà asserite (e genericamente) tutte intervenute successivamente al 1999, da parte sia della moglie che della figlia di Renato Zoni, che hanno continuato a possedere un bene in relazione al quale era già maturato il termine per la declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione” (cfr. pag. 17 della sentenza). La Corte distrettuale, dunque, ha esaminato anche le circostanze alle quali si riferisce il capitolato istruttorio riportato dalla società ricorrente a pag. 30 del ricorso ed ha considerato che le circostanze di fatto alle quali esso faceva riferimento –tutte evidentemente successive alla morte di Zoni Renato– fossero irrilevanti ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della invocata usucapione, essendosi quest’ultima già maturata in epoca anteriore al suindicato decesso. Trattasi di valutazione di fatto, non implausibile, alla quale la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai 15 risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto –ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto. PQM la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 27 febbraio 2024. IL PRESIDENTE Mauro Mocci IL RELATORE Stefano Oliva
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di LIVORNO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Massimiliano Magliacani ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1032/2019 promossa da: (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) Attrice contro (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) Convenuto Nonché contro (...) C.F. (...) con il patrocinio dell'avv. (...) TERZO CHIAMATO Nonché contro (...) - (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) INTERVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. a) La causa veniva assegnata a questo Magistrato il (...), quando prendeva servizio al Tribunale di Livorno. I. Con atto ritualmente notificato, (...) citava in giudizio il (...) Indirizzo_5 per sentirlo condannare all'allontanamento di cinque bidoni per la raccolta differenziata dei rifiuti collocati vicino al cortile esterno e sotto la finestra della camera da letto dell'abitazione dell'attrice, ubicata a piano terreno in (...) (...) (...), facente parte del (...) - (...), in quanto dai bidoni provenivano immissioni di cattivi odori e rumori intollerabili ai sensi dell'art. 844 cc, la tenuta dei bidoni costituiva un atto emulativo ai sensi dell'art. 833 cc, nonché al risarcimento del danno. II. Con comparsa depositata in data (...), si costituiva in giudizio il (...), il quale osservava che: con ordinanza sindacale n. 85 del (...) il (...) aveva istituita la raccolta dei rifiuti con la modalità cd. "porta a porta" nella zona ove era ubicato il condominio convenuto; con lettera raccomandata in data (...) l'amministratore del condominio convenuto aveva chiesto ad (...) e al (...) la creazione di un'isola ecologica o il collocamento dei cassonetti nei pressi di (...) ma l'(...) con lettera del (...) , aveva risposto che i cassonetti dovevano essere collocati nell'area esterna condominiale, che collegava (...) con (...) due bidoni riservati al condominio per rifiuti organici e per vetro erano stati collocati in (...) e gli altri cinque bidoni riservati al condominio erano stati collocati nel luogo che aveva dato luogo all'azione giudiziaria dell'attrice; i bidoni erano stati collocati nel luogo indicato da (...) e che non sussistevano atti emulativi e immissioni intollerabili ai sensi dell'art. 844 cc. Il (...) convenuto domandava quindi il rigetto della domanda o in subordine chiedeva l'autorizzazione a chiamare in garanzia il Terzo (...) III. Con atto depositato in data (...) , interveniva in giudizio il (...) e domandava l'accertamento della intollerabilità delle immissioni provenienti dai bidoni per i rifiuti in uso al (...) e l'allontanamento dei bidoni per i rifiuti ad una distanza non inferiore a 5 metri dal fabbricato condominiale. IV. All'udienza del (...) l'(...) (...) non si costituiva e veniva conseguentemente dichiarata contumace. V. Con ordinanza cautelare in data (...) il Tribunale di Livorno ordinava all'(...) di "trovare una diversa collocazione per i bidoni della raccolta differenziata in uso al (...) e di spostare gli stessi ad una distanza di almeno cinque metri dal (...) e dalla proprietà di (...)" e l'ordinanza veniva ottemperata dall'(...). V. Dopo l'ordinanza di ammissione delle prove, assunta in data (...), si costituiva in giudizio in data (...) (...) e chiedeva il rigetto delle domande dell'attrice. VI. La causa veniva istruita a mezzo delle prove orali e documentali introdotte dalle parti e a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio e trattenuta in decisione all'udienza del (...). MOTIVI DELLA DECISIONE. Dalla lettura degli atti di parte si può arrivare alla conclusione che cinque bidoni destinati alla raccolta dei rifiuti del (...) di (...) (...) sono stati collocati nel (...), d'accordo tra il predetto (...) e la terza chiamata (...) (...), sulla strada pubblica di (...) di (...), vicino al civico 36. Ciò premesso, non sono applicabili gli artt. 833 e 844 cc, in quanto destinati a regolamentare il rapporto tra fondi confinanti o comunque tra fondi. Nel caso di specie, le cose che originano le immissioni nel fondo dell'attrice (...) (...) risultavano collocati, almeno prima dell'adozione dell'ordinanza cautelare del (...) (...), sulla strada pubblica di (...). L'istruttoria orale ha dato la prova che le immissioni di odore e rumore provenienti dall'uso e dalla pulizia dei cassonetti disturbavano la vita quotidiana e l'uso della proprietà della (...) (...) (cfr. testimonianza (...) udienza del (...)). Dalla consulenza medico legale datata (...) , emerge che l'attrice, a causa delle immissioni di cattivi odori e rumori provenienti dai cassonetti, pativa un danno transitorio alla salute di natura psichica nella misura del 6% dell'invalidità per la durata di 500 giorni, senza lasciare postumi permanenti. Sussiste, quindi, una responsabilità da cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 cc ed il danno viene liquidato in via equitativa, tenuto conto dell'età dell'attrice e della natura della sofferenza psichica, facendo applicazione delle tabelle milanesi del 2021, nella misura di Euro 90,00 al giorno, con conseguente liquidazione del danno nella misura di Euro 45.000,00 (Euro 90,00 x 500). La somma viene poi rivalutata in base agli indici ISTAT e aumentata degli interessi dalla citazione del (...) alla data della sentenza fino ad Euro 55.446,52. Responsabili del danno sono il (...) e la terza chiamata (...) in quanto dalle lettere del (...) in data (...) e della (...) del (...) emerge che i due soggetti si sono accordati sul posizionamento dei cassonetti, senza tenere conto del possibile danno che le immissioni di rumore e di cattivo odore poteva essere causato a terzi dall'uso e dalla pulizia dei cassonetti stessi in violazione del principio di solidarietà ai sensi dell'art. 2 della Costituzione. La custodia rilevante ai sensi dell'art. 2051 cc deriva dall'uso dei cassonetti, sia da parte del condominio, con il posizionamento dei rifiuti, sia da parte di AAMPS, per la pulizia e rimozione dei rifiuti dai cassonetti. Per l'effetto il (...) viene condannato a pagare a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2051 cc a (...) la somma di Euro 55.446,62, con gli interessi dalla notifica della citazione ai sensi dell'art. 1284 IV comma cc. In relazione alla domanda di garanzia spiegata dal (...) nei confronti di (...) occorre osservare come il danno sia stato cagionato con concorso di colpa dai due soggetti al terzo (...) L'obbligazione nei confronti del terzo danneggiato è solidale ai sensi degli artt. 1294 cc e 2055 cc. La responsabilità deve essere ripartita in parti uguali in quanto la colpa si presume uguale ai sensi dell'art. 2055 III comma cc. Per l'effetto (...) viene condannata a pagare al (...) la metà del danno pari ad Euro 27.723,31. L'intervento operato dal (...) - (...) viene qualificato ai sensi dell'art. 105 II comma cpc e viene ritenuto inammissibile per carenza di interesse. Venendo al regolamento delle spese processuali, (...), soccombente, viene condannato ai sensi dell'art. 92 cpc alla refusione delle spese di lite a favore di (...) spese che vengono liquidate nella misura di Euro 350,00 per spese ed Euro 5.000,00 per onorari di avvocato, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge. (...), soccombente, viene condannata ai sensi dell'art. 92 cpc alla refusione delle spese di lite a favore di (...), spese che vengono liquidate nella misura di Euro 150,00 per spese ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti metà delle spese di lite. Le spese di CTU, liquidate con decreto del (...) , vengono poste a carico solidale di (...) e (...) (...) (...) (...). Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra (...) (...) - (...) e (...) (...). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro (...), nonché da (...) (...) di (...) (...) contro (...) (...) e da (...) contro (...), ogni diversa deduzione ed eccezione disattesa e respinta, così provvede: rigetta la domanda di accertamento della violazione degli artt. 844 e 833 cc; condanna il (...) a pagare a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2051 cc a (...) la somma di Euro 55.446,62, con gli interessi dalla notifica della citazione ai sensi dell'art. 1284 IV comma cc.; condanna (...) a pagare al (...) la somma di Euro 27.723,31, con gli interessi a decorre dalla notifica dell'atto di chiamata in causa ai sensi dell'art. 1284 IV comma cc; condanna (...) a pagare a titolo di rimborso delle spese di lite a (...) la somma di Euro 350,00 per spese anticipate ed Euro 5.000,00 per onorari di avvocato, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge; condanna (...) a pagare a titolo di rimborso delle spese di lite al (...) la somma di Euro 150,00 per spese ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensate la rimanente metà; pone le spese di CTU a carico solidale di (...) (...) e (...) di (...) (...); Così deciso in Livorno il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Relatore Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Cu.Vi. nato a C il (Omissis) avverso l'ordinanza del 24 gennaio 2023 del Trib. Libertà di Catanzaro udita la relazione svolta dal Consigliere Guardiano Alfredo; lette/sentite le conclusioni del PG Picardi Antonietta che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con l'ordinanza di cui in premessa il tribunale di Catanzaro, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro, in data 29 dicembre 2022, ha applicato nei confronti di Cu.Vi. la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa e all'abitazione di quest'ultima, in relazione al reato ex art. 612 bis, c.p., oggetto dell'imputazione provvisoria, commesso in danno di Gi.Ro. 2. Avverso l'ordinanza del tribunale del riesame ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Cu.Vi., lamentando: 1) violazione di legge, in punto di mancanza di autonoma valutazione da parte del giudice dell'impugnazione cautelare, che si è limitato a riproporre le ragioni poste a fondamento dell'ordinanza cautelare impugnata, anche con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di cui all'art. 612 bis, c.p., e all'attualità del profilo cautelare, avendo il tribunale del riesame omesso di considerare la rilevanza della revoca della querela da parte della persona offesa e della circostanza che quest'ultima non ha assolutamente modificato il proprio stile di vita; 3) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. 3. Con requisitoria scritta del 7 luglio 2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa Picardi Antonietta, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con memoria del 7 settembre 2023, il difensore di fiducia del Cu.Vi., insiste per l'accoglimento del ricorso. 3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni. 4. Preliminarmente va fatta chiarezza sulla questione della remissione della querela da parte della persona offesa. Il tema non è stato affrontato dal tribunale del riesame, sul presupposto che la dedotta remissione della querela fosse una circostanza sopravvenuta, estranea al thema decidendum. Su tale profilo il difensore del Cu.Vi. si sofferma nei motivi di ricorso, sia pure al limitato fine di sottolineare come la dedotta circostanza, non valutata dal tribunale del riesame, abbia inciso sui gravi indizi di colpevolezza e sull'attualità dell'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa, determinandone il venir meno (cfr. pp. 3 e 6 del ricorso). Solo con la menzionata memoria del 7 settembre 2023, il ricorrente deduce specificamente il venir meno della condizione di procedibilità, stante la remissione della querela da parte della persona offesa, che, nel corso della testimonianza resa in dibattimento (come da relativo verbale allegato alla memoria, in conformità al principio dell'autosufficienza del ricorso) ha escluso che l'imputato abbia proferito nei suoi confronti "minacce reiterate nei modi indicati dall'art. 612, secondo comma", circostanza che, ove sussistente, avrebbe reso irretrattabile la querela, ai sensi dell'art. 612 bis, co. 4, c.p. Orbene sul punto si osserva, innanzitutto, che non risulta agli atti, consultabili in questa sede, essendo stato dedotto un error in procedendo, alcuna formale remissione di querela, seguita da una formale accettazione da parte dell'imputato, ai sensi dell'art. 340, c.p.p., condizioni indispensabili, ai sensi del combinato disposto degli artt. 152, 155, c.p. e 340, c.p.p., affinché la remissione della querela produca l'effetto estintivo del reato previsto dall'art. 152, co. 1, c.p. La necessità di una formale remissione di querela, seguita da una formale accettazione del querelato, è, infatti, imposta dalla previsione dell'art. 612 bis, co. 4, c.p.p., secondo cui la remissione della querela può essere soltanto processuale, con esclusione, dunque, della remissione extraprocessuale, espressa o tacita che sia, dovendosi intendere per remissione processuale quella disciplinata dal combinato disposto degli artt. 152, c.p., e 340, c.p.p. (cfr. Sez. 4, n. 16669 del 08/04/2016, Rv. 266643). Sotto diverso profilo, va rilevato, in aggiunta a quanto già osservato, che il tema dedotto in memoria non aveva formato oggetto di una specifica deduzione nei motivi di ricorso (con i quali, come si è detto, la dedotta remissione della querela era finalizzata a dimostrare l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e dell'attualità delle esigenze cautelari), dovendosi, pertanto, qualificare come motivo nuovo, la cui inammissibilità deriva, ai sensi dell'art. 585, co. 4, secondo periodo, c.p.p., dall'inammissibilità dei motivi originari. 5. Tali ultimi motivi, invero, risultano inammissibili, perché del tutto generici e aspecifici, nonché manifestamente infondati e versati in fatto. Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all'adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Cass., sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Cass., sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104), essendo sufficiente ai fini cautelari un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell'imputato (cfr. Cass., sez. II,10.1.2003, n. 18103, rv. 224395; Cass., sez. III, 23.2.1998, n. 742). Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento di conferma emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all'accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all'esigenza di completezza espositiva" (cfr. Cass., sez. V, 20.10.2011, n. 44139, O.M.M.). Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Catanzaro abbia fatto buon uso di tali principi, in quanto, con motivazione approfondita e immune da vizi, in cui sono stati presi in debita considerazione i rilievi difensivi, ha ritenuto sussistente il requisito dei gravi indizi di colpevolezza a carico del Cu.Vi., in ordine al reato oggetto della contestazione. Ciò sulla base di un'attenta ricostruzione delle risultanze investigative, fondate sulle dichiarazioni della persona offesa, sottoposte a penetrante vaglio critico da parte del giudice dell'impugnazione cautelare, che ha evidenziato come "il propalato della vittima appaia coerente, lineare, circostanziato quanto ai tempi, ai luoghi e all'autore della condotta illecita, oltre che scevro da intenti calunniatori o vendicativi", conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, non trovando applicazione nei confronti della persona offesa le regole di valutazione della prova dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p., previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214). Il tribunale del riesame, inoltre, pur non essendo necessario, ha individuato riscontri esterni al narrato della Gi.Ro., con particolare riferimento all'aggressione fisica da quest'ultima patita per mano dell'imputato, nel referto medico dell'Ospedale pugliese (Omissis) di Ca., attestante l'esistenza di un trauma cranico non commotivo, con prognosi di guarigione in cinque giorni, e nelle informazioni fornite da Ca.Gi., che ha assistito alle fasi immediatamente successive alla menzionata aggressione. Del tutto esaustiva deve ritenersi la motivazione dell'ordinanza impugnata anche sotto il profilo della ritenuta sussistenza di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, avendo il tribunale del riesame specificamente chiarito come la Gi.Ro., che "viveva da sola ed era abituata a condurre una vita riservata", avesse "maturato un perdurante e grave stato di ansia e di paura a causa della frequenza delle condotte dell'indagato". A fronte di tale limpido argomentare, i rilievi difensivi con cui si eccepisce la mancanza di autonoma valutazione da parte del tribunale del riesame e la sussistenza degli elementi costituitivi del reato in contestazione, risultano del tutto generici e versati in fatto, oltre che manifestamente infondati. Sul punto non assume valore decisivo il fatto che la persona offesa, nel corso della deposizione testimoniale resa in dibattimento, il cui relativo verbale, come si è detto, è stato allegato alla memoria difensiva, abbia escluso di essere stata minacciata dall'imputato, ammettendo solo di avere subìto l'aggressione fisica in precedenza indicata e di essere stata esposta a una serie di atti emulativi (definiti dalla donna "dispetti, dispettucci"), consistenti nello spostamento e nel rovesciamento del bidone della spazzatura, posto all'esterno della sua abitazione. Come è noto, infatti, assolutamente costante è l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui integrano il delitto di atti persecutori ex art. 612-bis, c.p., anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in prolungata sequenza temporale (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013, Rv. 257560; Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, Rv. 273622. Nel caso in esame accanto all'aggressione fisica in danno della Gi.Ro., sfociata nelle indicate lesioni, anche a non voler considerare le minacce, vanno comunque evidenziati quanto meno gli atti emulativi consistenti nello spostamento ovvero nel rovesciamento dei bidoni di immondizia di fronte alla sua porta di casa, correttamente valorizzati dal tribunale del riesame, costituenti vere e proprie molestie, essendosi concretizzati tali atti in un'indebita ingerenza nella sfera individuale della persona offesa, idonea a comprometterne la serenità e la libertà psichica, come dimostrato in tutta evidenza dal conseguente insorgere nella Gi.Ro. del denunciato grave stato di ansia e di paura, derivante dalla consapevolezza di essere esposta alle intemperanze e alla violenza del Cu.Vi. 6. Manifestamenti infondati e generici appaiono anche i rilievi formulati in ordine alla sussistenza della ritenuta esigenza cautelare di tutela della collettività. Si osserva, al riguardo, come il Collegio condivida il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), c.p.p., dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare, dovendosi considerare, nella valutazione del pericolo di recidiva al momento dell'adozione della misura, il tempo trascorso dal fatto contestato e la peculiarità della vicenda cautelare (cfr. Cass., sez. VI, 27.11.2015, n. 3043, rv. 265618; Cass., sez. III, 27.10.2015, n. 49318, rv. 265623; Cass., sez. V, 24.9.2015, n. 43083, rv. 264902). Orbene tali profili sono stati attentamente considerati dal tribunale del riesame, che, intervenuto poco tempo dopo il verificarsi dei fatti, ha evidenziato la persistenza del proposito criminoso del ricorrente, tale da consentire di esprimere legittimamente un giudizio in termini di attualità e concretezza del pericolo di recidiva Pericolo, reso particolarmente elevato dalla prognosi sulla probabile reiterazione di occasioni criminose, di cui il ricorrente sarebbe in grado di approfittare, che il giudice della impugnazione cautelare ha ricollegato, sulla base di un ragionamento dotato di intrinseca coerenza logica, alla gravità dei fatti, che, attraverso l'aggressione fisica culminata nel pugno sferrato al volto della donna non appena quest'ultima aprì la porta di casa, denotano una particolare pericolosità sociale dell'imputato, in tutta evidenza incapace di contenere le sue pulsioni, nonché alla circostanza che quest'ultimo è stato deferito all'autorità giudiziaria il 24 agosto del 2022, dunque in epoca non lontana nel tempo dai fatti per cui si procede, per il porto ingiustificato di un coltello. La conclusione cui è giunto il tribunale del riesame appare, pertanto conforme alla previsione dell'art. 274, lett. c), c.p.p., (non modificata, sul punto, dalla novella legislativa del 16 aprile 2015, n. 47), nella parte in cui prevede che il giudizio sulla personalità dell'indagato o dell'imputato possa fondarsi, alternativamente, su comportamenti o atti concreti o sui suoi precedenti penali, interpretata da un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel senso che gli elementi per una valutazione di pericolosità possono trarsi anche solo da comportamenti o atti concreti - non necessariamente aventi natura processuale, pur in difetto di precedenti penali (cfr. ex plurimis, Cass., sez. V, 25.9.2014, n. 5644, rv. 264212). 7. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento ed, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo fissare in Euro 3000,00 euro, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell'art. 52, co. 5, D.Lgs. 30/06/2003 n. 196. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52, D.Lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma il 13 settembre 2023. Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. GENTILI Andrea -Presidente Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Relatore Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Lu.Gi., n. a M il (Omissis) avverso la sentenza del 17/03/2023 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Filippi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore della parte civile, avv. Ta.Bo., la quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore dell'imputato, avv. An.DA. in sostituzione dell'avv. Ca.Mu., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 17 marzo 2023, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la decisione con cui l'odierno ricorrente era stato condannato alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per il reato di violenza sessuale continuata commesso in danno della figlia adottiva infraquattordicenne. 2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, violazione della legge processuale e conseguente nullità per aver la Corte territoriale respinto l'istanza di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato all'udienza del 17 marzo 2023, in tal modo violandone il diritto alla salute ed il diritto di difesa. L'imputato - si allega - non era in grado di partecipare con lucidità alla suddetta udienza a seguito di un ricovero al pronto soccorso, protrattosi per oltre sei ore, subito il giorno precedente, con dimissioni avvenute dopo le ore 23 e prognosi di un giorno con diagnosi di "sincope". 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 172, comma 3, 585 e 603 cod. proc. pen. per essere stati erroneamente ritenuti inammissibili per tardività i motivi aggiunti depositati in data 5 dicembre 2022 rispetto all'udienza fissata il successivo giorno 20. Poiché i quindici giorni liberi richiesti dalla legge scadevano il 4 dicembre, che era giorno festivo, il termine per il deposito sarebbe slittato ex lege al giorno successivo. Si allega, inoltre, che era erroneo il rilievo secondo cui i primi due motivi aggiunti, vertenti su temi di integrazione probatoria, non erano stati formulati con l'impugnazione principale, posto che l'art. 603 cod. proc. pen. consente di avanzare le richieste di nuove prove anche con i motivi aggiunti. 4. Con il terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione nella parte in cui è stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per nuova audizione testimoniale della madre della persona offesa al fine di verificare se il viaggio in Romania dalla stessa compiuto fosse avvenuto nel 2013 o nel 2014. Ciò avrebbe consentito di chiarire l'incerta collocazione temporale del primo episodio di violenza denunciato, che, qualora fosse databile al 2013, minerebbe irrimediabilmente la credibilità della persona offesa, trattandosi di fatti che sarebbero avvenuti prima dell'audizione della minore nel procedimento di adozione. Nel collocare il fatto all'inizio del 2014 la sentenza recava illogica motivazione. 5. Con il quarto motivo si denuncia l'illogicità della motivazione anche con riguardo alle argomentazioni spese per disattendere le doglianze proposte dall'appellante sulla ritenuta attendibilità della persona offesa, frutto di un'analisi parziale delle deposizioni testimoniali. Oltre all'incertezza sulla collocazione temporale dei fatti - si lamenta - la sentenza aveva illogicamente giustificato le contraddizioni sul numero di episodi di violenza subiti quali riferiti alla psicologa ed alla preside e sull'affermazione della ragazza di aver taciuto per paura del padre a fronte della ritenuta determinazione da lei mostrata agli assistenti sociali. Si erano inoltre illogicamente superate le doglianze difensive sulla affermata inconsapevolezza della natura sessuale delle condotte, sulle modalità di redazione del diario, sulle ragioni per cui la ragazza poteva essere stata indotta a mentire. 6. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale incriminatrice e vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minore gravità - illegittimamente negata enfatizzandosi il legame genitoriale ed omettendosi una valutazione globale dei fatti, caratterizzata invece da scarsa invasività sessuale - nonché con riguardo all'eccessivo aumento praticato per la continuazione ed all'immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, in tema di legittimo impedimento dell'imputato, e legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisita la certificazione medica addotta a sostegno dell'istanza di rinvio, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità per l'imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018, dep. 2019, Falcione, Rv. 275285; Sez. 4, n. 7979 del 28/01/2014, Basile, Rv. 259287). Ed invero, posto che l'impedimento che giustifica il rinvio del processo - tanto dell'imputato quanto del difensore - dev'essere assoluto, la documentazione medica che lo comprova non può limitarsi ad indicare una limitazione funzionale od una prognosi, senza precisare il grado di intensità della patologia e la sua attitudine a determinare l'impossibilità a lasciare l'abitazione, trattandosi di elementi essenziali per la valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell'impedimento, non riscontrabili nel caso in cui si tratti di una diagnosi e di una prognosi che, secondo nozioni di comune esperienza, denotino l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (Sez. 3, n. 48270 del 07/06/2018, P., Rv. 274699-02). In considerazione della generica diagnosi che aveva determinato l'imputato a rivolgersi al pronto soccorso (sincope) e della limitatissima durata della prognosi (un giorno) senza specificazione alcuna di un'impossibilità di lasciare il domicilio e/o di conseguenze di carattere psichico, l'allegato difetto di lucidità a partecipare coscientemente al processo risulta del tutto apoditticamente affermato in ricorso ed il rigetto dell'istanza di rinvio per difetto di un assoluto impedimento non presta il fianco a critiche. 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato in diritto e, comunque, inammissibile per genericità. 2.1. Dal primo angolo visuale va ribadito che, in materia di termini processuali, la regola di cui all'art. 172, comma 5, cod. proc. pen., secondo la quale "quando e stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere", implica che vanno esclusi dal computo il dies a quo nonché il dies ad quem (Sez. 3, ord. n. 30333 del 23/04/2021, Altea, Rv. 281726). Nel conto alla rovescia che vien fatto allorquando si tratti di risalire di un certo di numero di giorni rispetto ad un momento processuale per individuare il termine da rispettarsi per il compimento di un atto previsto a pena di decadenza ed in particolare nel caso previsto dall'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., il dies a quo e costituito dall'udienza, mentre il dies ad quem e quello individuato calcolando a ritroso il termine fissato. Ne deriva che se quest'ultimo cade in giorno festivo, la proroga di diritto prevista dall'art. 172, comma 3, cod. proc. pen., diversamente da quanto si allega in ricorso, porta ad individuare il dies ad quem nel giorno non festivo cronologicamente precedente a quello di scadenza (Sez. 4, n. n. 944 del 15/12/2022, dep. 2023, Selvaggio, Rv. 283932), che, nel calcolo a ritroso, è, appunto, quello "successivo". L'interpretazione - condivisa dalla giurisprudenza civile di questa Corte con riguardo all'applicazione dell'identico principio statuito nell'art. 155, quarto comma, cod. proc. civ. (Cass. civ., Sez. 3, n. 8496 del 24/03/2023, Rv. 667109-02; Cass. civ., Sez. 6, ord. n. 21335 del 14/09/2017, Rv. 645702-01) ed espressamente affermata nel più recente codice del processo amministrativo (cfr. art. 52, comma 4, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) - e, del resto, l'unica conforme alla ratio sottesa alla previsione di siffatti termini, che mirano ad assicurare che il giudice e/o le altre parti processuali possano fruire di uno spazio temporale minimo per valutare l'atto compiuto, spazio che, altrimenti, sarebbe ingiustificatamente compresso. 2.2. Al di là di questo assorbente rilievo in diritto, la Corte territoriale ha correttamente osservato che le richieste istruttorie si riferivano a temi non devoluti con l'impugnazione principale e, per ciò solo, erano comunque inammissibili. Nel contestare tale conclusione il ricorrente travisa la ratio deciderteli: il giudice d'appello non ha certo affermato l'impossibilità di richiedere la rinnovazione istruttoria con i motivi aggiunti (ciò che è espressamente consentito dall'art. 603, comma 1, cod. proc. pen.), ma ha fatto applicazione del condivisibile e risalente principio giusta il quale i motivi nuovi di impugnazione debbono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, Comitini, Rv. 262343; Sez. 6, n. 45075 del 02/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666; Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013, Vatavu Ionut, Rv. 254485). 2.3. Quanto al restante contenuto dei motivi aggiunti - riferiti ai motivi originariamente proposti - la contestazione e comunque generica perché non allega a quali specifiche doglianze, nuove rispetto a quelle originaria, la Corte territoriale non avrebbe dato risposta. Va qui ribadito, difatti, che nel giudizio di legittimità non ci si può genericamente lamentare dell'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879; Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-02; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704; Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, Rv. 258962). 3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite. 3.1. Assolutamente corretto - e neppure questo contestato - e il rilievo secondo cui, nel caso di specie, la richiesta di rinnovazione istruttoria doveva essere valutata ai sensi della previsione di cui al primo comma dell'art. 603, cod. proc. pen., e non già ai sensi del secondo comma di tale disposizione: essa, dunque, poteva essere accolta soltanto "se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti". Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale impossibilità sussiste unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410). D'altra parte, come confermato anche da questa Corte nella sua più autorevole composizione, la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso, appunto, esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968). Proprio per questo, tra l'altro, secondo un orientamento da tempo consolidato, il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli Srl, Rv. 275114; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina e a., Rv. 245009; Sez. 6, n. 5782/2007 del 18/12/2006, Gagliano, Rv. 236064). In sede di ricorso per cassazione, pertanto, la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher e aa., Rv. 265323), mentre il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 25/01/2021, Rv. 280589). Tanto nel giudizio di appello, quanto in quello di legittimità e invece inammissibile la doglianza circa l'omessa istruttoria che attenga ad una attività "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974; Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, Duval Perez, Rv. 256173). 3.2. Nel caso di specie, diversamente da quanto si allega in ricorso, la sentenza impugnata (pagg. 11-12) reca articolata e non illogica motivazione nel collocare il primo episodio di violenza nel gennaio 2014, in base ad indizi gravi, precisi e concordanti. Si tratta, dunque, di non illogica ricostruzione del fatto che - giusta i principi di cui infra immediatamente si dira sub §. 4.1. - non può essere ulteriormente scrutinata in questa sede. 4. Il quarto motivo di ricorso e inammissibile in relazione a tutte le doglianze sollevate, generiche e manifestamente infondate perché meramente ripetitive di questioni già adeguatamente vagliate e risolte dai giudici di merito, nuovamente sollevandosi in questa sede questioni non deducibili perché afferenti alla valutazione delle prove, ed in particolare dell'attendibilità del racconto della persona offesa, ed alla ricostruzione del fatto. 4.1. Ed invero, i motivi del ricorso per cassazione non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito con non illogica motivazione. Essendo stato nella specie dedotto il solo vizio di motivazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deve premettersi che il controllo di legittimità consentito sul punto non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l'apprezzamento del giudice di merito, ma e circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato contenga l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo e non meramente apparente (cioè idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata), che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni, né illogicità evidenti (cfr. Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). Quanto alla illogicità della motivazione come vizio denunciabile, la menzionata disposizione vuole che essa sia manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643). L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione sono infatti precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non e sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruita e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Quanto alla dichiarazioni della persona offesa, e noto che le stesse possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte e aa., Rv. 253214; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajo e aa., Rv. 261730; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104). Del resto, proprio nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali, la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi (Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251661; Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Poggi, Rv. 232018). Qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci - ciò che, secondo la citata decisione delle Sezioni unite, può avvenire allorquando la persona offesa si sia costituita parte civile - questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312). 4.2. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali principi e il ricorso si limita a reiterare le doglianze proposte con l'appello e a criticare le non illogiche ragioni addotte nel provvedimento impugnato per disattendere quelle doglianze. La sentenza (pagg. 12-20) ha accuratamente e diffusamente analizzato, attestandola, l'attendibilità intrinseca della persona offesa, escludendo intenti calunniatori o emulativi rispetto ad analoghe condotte riferite da un'amica, come pure suggestioni, condizionamenti o desideri di attirare su di sé l'attenzione della madre. È stata inoltre adeguatamente motivata l'attendibilità estrinseca delle sue dichiarazioni, essendosi ella peraltro confidata con le amiche prima di rivelare i fatti in ambiente scolastico ed avendo la Corte territoriale non illogicamente argomentato le ragioni del non immediato disvelamento ed attribuito ai fatti oggetto di processo l'oggettivo malessere psicologico mostrato dalla minore, anche con il compimento di atti di autolesionismo, atti che, interpretando non illogicamente il racconto della stessa ed escludendo alternative cause, la sentenza riconduce ai fatti oggetto di processo. Essendo questi stati adeguatamente ricostruiti e collocati nel tempo, non inficiano la ricostruzione neppure le doglianze circa la diversa frequenza degli abusi che la minore avrebbe riferito alla psicologa della scuola, avendo la stessa teste dichiarato, secondo quanto riportato in ricorso, che con lei la ragazza non era voluta entrare nei particolari, sicché - in disparte il giudizio sulla attendibilità del ricordo della testimone - non si tratta di dichiarazioni sul fatto che possano essere confrontate con quelle, più dettagliate, precise e concordi, ad altri testimoni riferite, poi descritte nel diario ove, su richiesta della madre, la giovane ricostruì in dettaglio l'accaduto e quindi rese, in contraddittorio, nella sede processuale. 5. L'ultimo motivo è in parte inammissibile ed in parte, e comunque, infondato, non ravvisandosi profili di illogicità nella motivazione. 5.1. Certamente inammissibile e la doglianza - del tutto genericamente formulata in chiusura del ricorso - di omessa motivazione rispetto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non richieste con l'appello, stando al non contestato riepilogo dei motivi di gravame contenuti nella sentenza impugnata. Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il ricorso sul punto e inammissibile per genericità. 5.2. Con riguardo al diniego della circostanza attenuante speciale, in diritto va premesso che la giurisprudenza di questa Corte e granitica nel richiedere la necessità di una valutazione globale del fatto, avendo indicato come particolarmente significativi per discriminare la gravità dell'offesa - anche al di là della tipologia di atto sessuale compiuto (cfr. Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S., Rv. 260501), che, tuttavia, certamente costituisce un oggettivo parametro idoneo a lumeggiare molti degli altri (cfr. Sez. 3, n. 965 del 26/11/2014, dep. 2015, N. e a., Rv. 261635) - i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età (cfr. Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, L., Rv. 269600; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, K., Rv. 263821; Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516), l'occasionalità o la reiterazione delle condotte nei riguardi del medesimo soggetto passivo (Sez. 3, n. 13729 del 22/11/2018, dep. 2019, C., Rv. 275188; Sez. 3, n. 4960 del 11/10/2018, dep. 2019, S. Rv. 275693). Tutti questi elementi vanno in particolare analizzati nell'ottica del principale giudizio che dev'essere al proposito compiuto, quello volto ad accertare il grado di compressione della libertà sessuale così come il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (Sez. 3, n. 6502 del 24/05/2019, dep. 2020, C., Rv. 278543; Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L., Rv. 277615; Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, C., Rv. 259196). Quanto all'abuso della fiducia e al legame affettivo con la vittima, il più recente orientamento interpretativo di questa Corte e nel senso che ben può essere negata l'attenuante della minore gravità del fatto nel caso in cui la violenza sessuale sia perpetrata dal genitore ai danni del proprio figlio, trattandosi di condotta che, profanando gravemente la sfera sessuale della vittima, determina uno sviamento dalla funzione di accudimento e protezione propria della figura genitoriale (Sez. 3, n. 23078 del 17/12/2021, dep. 2022, G., Rv. 283233). La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei riportati principi, richiamando la pluralità degli atti sessuali (anche di quelli commessi nel pur unico contesto temporale del primo episodio: v. pagg. 1-2 sentenza), con conseguente non lieve compressione della libertà sessuale Al di là del grado di invasività degli atti compiuti (pure questo, peraltro, incongruamente sminuito in ricorso), la gravità dell'abuso del rapporto genitoriale a fronte della tenera età della bambina (all'incirca dodicenne), le pesanti conseguenze psicologiche determinate nella minore, tradottesi - come non illogicamente ritenuto secondo quanto già più sopra precisato - anche in atti di autolesionismo. 5.3. Incensurabile e la motivazione circa l'adeguatezza del contenuto aumento di sei mesi per la continuazione con il secondo episodio, come pure il riferimento al proposito effettuato alle condotte di "ammiccamento" sessuale che lo avevano preceduto, certamente valutabili ai sensi dell'art. 133, secondo comma, cod. pen. 6. Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. L'imputato va inoltre condannato alla rifusione, in favore dello Stato, delle spese sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio dello stato, senza necessità di procedere alla liquidazione dei compensi, spettando questa al giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato in sede di emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (v. Sez. U, ord. n. 5464 del 26/09/2019, De Falco, Rv. 277760 - 01). P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso in Roma il 25 ottobre 2023. Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2024.
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