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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3117 del 2022, proposto da Vi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Sc., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; contro Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via (...); per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V, n. 6618 del 2021, resa tra le parti; Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024 il Cons. Stefano Fantini e udito per le parti l'avvocato Sc.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- La Vi. s.r.l., quale organismo intermediario, ha svolto attività di soggetto attuatore della "sovvenzione globale" disposta dalla Commissione CEE con decisione C/93256/5 del 16 febbraio 1993; con provvedimento in data 29 giugno 1998 la Regione Campania, in sede di rendicontazione finale, formulava dei rilievi sul suo operato, con conseguente richiesta di restituzione di euro 525.370,00, in considerazione del pagamento delle spese in favore delle imprese destinatarie dei contributi comunitari oltre i termini stabiliti dalla convenzione. La società Vi. ha impugnato detto provvedimento lamentando che l'ordine di recupero non ha valutato l'imputabilità del ritardo; con un successivo ricorso ha poi gravato la determinazione regionale del 3 luglio 2000, recante alcune variazioni in rettifica e la richiesta di rimborso; con i motivi aggiunti ha poi impugnato anche la determinazione in data 2 maggio 2002. 2. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, con sentenza n. 2919 del 2004, previa riunione, ha respinto i ricorsi. 3.- Avverso tale sentenza ha esperito appello la Vi. s.r.l., allegando di avere portato a termine le attività delegatele e che il superamento dei termini, presupposto del recupero, non era imputabile alla sua condotta, ma alla Regione Campania, che aveva tardato nel corrispondere il secondo acconto. 4. - Con la sentenza 14 gennaio 2009, n. 142 questa V Sezione ha accolto l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha annullato i provvedimenti gravati; ha in particolare rilevato che, ferma l'insindacabilità in sede di giurisdizione amministrativa della decisione finale della Commissione CEE, gli atti assunti dalle Autorità italiane chiamate ad operare nel quadro della c.d. coamministrazione (tipica dei procedimenti nazional-comunitari) restano soggetti alle regole dell'ordinamento interno, e non può pertanto essere negato il fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale. La sentenza ha inoltre ritenuto che il mancato rispetto dei termini della convenzione sia imputabile alla Regione Campania, e non già a negligenza dell'organismo intermediario, precisando altresì che gli interessi attivi sono imputati alla sovvenzione globale e non all'organismo intermediario. 5. - A seguito della sentenza n. 142 del 2009, da ultimo indicata, la società Vi. ha adito il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione di Salerno, chiedendo la condanna della Regione Campania al risarcimento del danno da illegittimità provvedimentale; con sentenza n. 2038 del 2013 il ricorso è stato dichiarato inammissibile per violazione dell'art. 30, comma 5, cod. proc. amm. La Vi. s.r.l. ha esperito appello avverso detta decisione, che è stata riformata dal Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 4 ottobre 2021, n. 6618, la quale ha dichiarato il ricorso di primo grado ammissibile, respingendolo però nel merito. In particolare, la sentenza della Sezione, chiarito che doveva aversi riguardo al termine di prescrizione per la proposizione della domanda (trattandosi di azione di risarcimento antecedente all'introduzione del termine di decadenza da parte del cod. proc. amm.), ha però respinto il ricorso ritenendo non configurabile il danno reputazionale e il danno da perdita della chance di partecipare ad altri programmi di attuazione di fondi europei, in quanto non conseguenza immediata e diretta della mancata disponibilità del denaro. Con riguardo alla domanda di pagamento degli interessi attivi e della rivalutazione monetaria, la sentenza ha poi affermato che si tratta di pretesa già azionata in sede di ottemperanza alla sentenza n. 142 del 2009 e ritenuta parzialmente fondata (con esclusione della rivalutazione monetaria) dalla sentenza n. 3800 del 2010, con la conseguenza che la presente domanda incorre in violazione del principio del ne bis in idem. Infine la sentenza ha ritenuto inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in sede di appello, la domanda di Vi. diretta ad ottenere la liquidazione, da parte della Regione, delle somme che aveva rendicontato e ritenuto inammissibili in sede di verifica, in quanto sostenute dopo la data limite di spesa del 30 giugno 1997. 6. - La Vi. s.r.l. chiede in questa sede in via rescindente la revocazione della predetta sentenza, deducendo: a) con riguardo alla statuizione di cui al punto 2.4 della motivazione, di reiezione della domanda di pagamento degli interessi in quanto già proposta in sede di ottemperanza alla sentenza n. 142 del 2009 della Sezione, definita con la sentenza n. 3800 del 2010, che la sentenza non ha considerato che l'importo di euro 143.181,29, relativo al primo acconto, non era voce di danno, ma riattribuzione della somma spettante all'organismo intermediario, mentre la domanda di risarcimento di euro 229.440,24 riguardava gli interessi maturati sul ritardato accreditamento del secondo acconto, dovendosi dunque ritenere estranea alla richiesta avanzata in sede di ottemperanza alla sentenza n. 142 del 2009. L'errore revocatorio, per la ricorrente, consisterebbe nell'avere ritenuto la domanda di risarcimento per euro 229.440,24 già proposta in sede di ottemperanza, a causa di un difetto di lettura dell'oggetto del predetto giudizio. Parimenti erronea, per la ricorrente, è la statuizione di reiezione della richiesta di rimborso della polizza assicurativa per euro 43.899,00, che sarebbe già stata valutata e riconosciuta dalla sentenza della Sezione n. 3854 del 2015, la quale, al contrario, si è interessata della questione dei premi pagati dal consorzio alla propria compagnia assicuratrice; b) con riguardo al capo 3 della sentenza, che ha ritenuto inammissibile (in quanto proposta per la prima volta in appello) la domanda volta ad ottenere il pagamento delle somme rendicontate e ritenute inammissibili in quanto pervenute oltre la data del 30 giugno 1997, la ricorrente deduce di avere proposto in primo grado la domanda di risarcimento pari ad euro 428.834,15. 7. - Si è costituita in resistenza la Regione Campania eccependo l'inammissibilità e comunque l'infondatezza nel merito del ricorso. 8.- All'udienza pubblica del 18 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.- Il ricorso per revocazione è inammissibile. Rileva il Collegio che, in termini generali, l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395 n. 4 cod. proc. civ., è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo. Viceversa esso non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione (in termini Cons. Stato, V, 29 ottobre 2014, n. 5347; V, 11 giugno 2013, n. 3210; Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1; Ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2; Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3). 2. - Nella fattispecie in esame non si rinvengono gli elementi tipici dell'errore di fatto revocatorio. 3. - In particolare, procedendo alla disamina della prima doglianza, la ricorrente ritiene frutto di abbaglio l'assunto contenuto nel paragrafo 2.4 della sentenza impugnata, secondo cui la "domanda (di pagamento degli interessi attivi e della rivalutazione monetaria) è già stata formulata in sede di ottemperanza alla sentenza di questa Sezione n. 142 del 2009 e riconosciuta ammissibile (...) e fondata (...) dalla sentenza (...) n. 3800 del 2010" limitatamente agli interessi e con esclusione della rivalutazione monetaria, con conseguente preclusione alla riproposizione della stessa domanda. Deduce in particolare che il riconoscimento della somma di euro 143.181,29 consisteva nella riattribuzione dell'importo spettante all'organismo intermediario, e non già in una voce di danno, come sancito dalla sentenza n. 142 del 2009; il secondo errore consisterebbe nel ritenere che la domanda di risarcimento per euro 229.440,24 sia stata già proposta nella sede di ottemperanza, definita con la sentenza n. 3800 del 2010, così confondendo l'importo di euro 143.181,29 (relativo al primo acconto) con la somma di euro 229.440,24 riferita al secondo acconto (il secondo acconto era estraneo alla sentenza n. 142 del 2009 e dunque al giudizio di ottemperanza). Di conseguenza, la richiesta risarcitoria sarebbe stata proposta solo con il ricorso conclusosi con la sentenza del Tribunale amministrativo regionale di Salerno n. 2038 del 2013, e poi reiterata in appello. Lamenta la ricorrente un ulteriore errore revocatorio in relazione alla richiesta di rimborso della seconda polizza assicurativa, che, secondo la sentenza impugnata, sarebbe stata già esaminata e riconosciuta dalla sentenza della Sezione n. 3854 del 2015; al contrario, quest'ultima pronuncia ha riguardato il danno subito da Vi. per la stipula della polizza fideiussoria sul primo acconto. La prima critica è inammissibile, in quanto non attiene ad un errore di fatto revocatorio, né ad un punto non controverso, ma impinge nella successiva attività di interpretazione del giudice e di qualificazione giuridica della fattispecie. E' indubbio che la sentenza n. 3800 del 2010 abbia affermato che "nella specie sono dovuti gli interessi legali sulla somma relativa al debito da restituzione degli interessi attivi, riconosciuto dalla sentenza n. 142/2009, e pari ad euro 143.181,29, mentre su tale somma non è dovuta la rivalutazione monetaria, in quanto non vi è stata la dimostrazione da parte della società creditrice di aver subito un danno maggiore". Non merita positiva valutazione in sede revocatoria neppure l'allegazione che contesta la sentenza nella parte in cui avrebbe confuso tra importo dovuto con il primo e il secondo acconto, solamente il primo essendo stato oggetto della sentenza n. 142 del 2009, e dunque del giudizio di ottemperanza. Anche in tale caso il Collegio non può esimersi dal rilevare che tale doglianza non enuclea un'errata percezione, di immediata e semplice rilevabilità, del contenuto materiale degli atti del giudizio, ma coinvolge l'attività valutativa del giudice. Si tratta dunque di doglianza inammissibile, essendo la revocazione il mezzo processuale previsto dall'ordinamento per eliminare l'ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o dell'abbaglio dei sensi, e non già per sottoporre ad ulteriore sindacato giurisdizionale una valutazione giuridica delle domande e delle eccezioni, ovvero del materiale probatorio, che, in astratto, potrebbe anche avere dato luogo ad un errore di giudizio, in quanto altrimenti si tradurrebbe in un inammissibile terzo grado di giudizio. Non è ravvisabile neppure il secondo errore revocatorio con riguardo alla richiesta di rimborso della seconda polizza assicurativa, che, secondo la sentenza impugnata, sarebbe stata già esaminata e riconosciuta dalla sentenza della Sezione n. 3854 del 2015; non si evince infatti una svista nella percezione del portato della sentenza da ultimo indicata e comunque l'erronea interpretazione del giudicato, se del caso, dà luogo ad un errore di diritto. Non può, inoltre, trascurarsi di considerare che il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e quindi non solo le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le questioni proponibili sia in via di azione, che di eccezione, le quali, anche se non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici necessari della pronuncia. Ciò comporta che, per definire la regola dell'autorità del giudicato, è sufficiente l'individuazione dell'interesse e del bene della vita tutelato dalla pronuncia del giudice, il quale non può essere rimesso in discussione in un successivo giudizio (Cass., I, 15 giugno 2022, n. 19302). 4. - Con il secondo motivo si lamenta poi, con riguardo al capo 3 della sentenza, come erroneamente la sentenza abbia ritenuto inammissibile (in quanto proposta per la prima volta in appello) la domanda volta ad ottenere il pagamento delle somme rendicontate e ritenute inammissibili in quanto pervenute oltre la data del 30 giugno 1997, avendo la ricorrente proposto in primo grado la domanda di risarcimento pari ad euro 428.834,15. Il motivo è inammissibile, in quanto la sentenza di cui si chiede la revocazione ha enucleato l'ambito oggettivo della domanda svolta in giudizio (essenzialmente in termini di inadempimento, da parte della Regione, della convenzione), mentre in primo grado la domanda era stata proposta come domanda di risarcimento per costi aggiuntivi sostenuti in dipendenza dei ritardi nel versamento delle somme della "sovvenzione globale". E' evidente come dunque, anche in tale prospettiva, la pronuncia non sarebbe frutto di un errore revocatorio, ma di interpretazione e valutazione del contenuto delle domande. 5. - In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile, ciò precludendo il riesame del merito della controversia già precedentemente decisa. La particolare complessità della vicenda processuale costituisce ragione giustificatrice della compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Stefano Fantini - Consigliere, Estensore Alberto Urso - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto SOCIETA’ DI CAPITALI. AZIONE EX ARTT. 2467, 2497-QUINQUIES E 2033 C. C. O ARTT. 2497 E 2043 C.C. Dott. Carlo De Chiara Presidente Dott. Massimo Falabella Consigliere Dott. Eduardo Campese Consigliere - rel. Dott. Luigi D’Orazio Consigliere Ud. 09/04/2024 PU Cron. R.G.N. 32864/2019 Dott. Paolo Fraulini Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 32864/2019 r.g. proposto da: FALLIMENTO METAL CHAIN S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore dott. Massimo di Luzio, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dagli Avvocati Marco De Rosa ed Alfredo Irti, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via Andrea Vasalio n. 22. -ricorrente - contro TRAFILERIE VENETE S.A.S. DI ZANETTI PAOLO & C., con sede in Santa Lucia di Piave (TV), alla via Trieste n. 10, in persona del legale rappresentante pro tempore, e ZANETTI PAOLO, entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Marco Francescon, con cui elettivamente domiciliano in Roma, al Viale Liegi n. 58, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo Cancrini. - controricorrenti - avverso la sentenza n. 3412/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, pubblicata il 29/08/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 09/04/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; udito, per il ricorrente, l’Avv. Marco De Rosa, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso; udito, per la controricorrente, l’Avv. Marco Francescon, che ha concluso chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione; letta la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. depositata dalla parte ricorrente. FATTI DI CAUSA 1.Il 13 aprile 2005, Metal Chain s.r.l. ricevette da Trafilerie Venete (all’epoca s.p.a.) un finanziamento di € 2.000.000,00. Le due società non erano collegate, ma il socio di maggioranza, nonché amministratore, era in entrambe Paolo Zanetti. Il denaro fu parzialmente (€ 500.000,00) utilizzato per restituire un precedente finanziamento dalla prima ottenuto da Weissenfels s.p.a. 1.1. Il 12 gennaio 2006, Metal Chain s.r.l. ricevette da quest’ultima un ulteriore finanziamento di € 2.200.000,00, subito utilizzato per rimborsare quello precedentemente concessole da Trafilerie Venete. Successivamente, il 2 ottobre 2007, fu messa in liquidazione e, nel 2011, lo Zanetti ne divenne socio unico, vendendo poi, nel 2012, le quote alla madre, che fu nominata liquidatrice. Il 31 gennaio 2013, la medesima società fu dichiarata fallita. 1.2. Il Fallimento Metal Chain s.r.l., pertanto, agì in giudizio, innanzi al Tribunale di Venezia, Sezione Impresa, chiedendo la condanna di Trafilerie Venete s.a.s. e del socio accomandatario Paolo Zanetti a restituirgli la somma di € 2.000.000,00, invocando l’applicazione del combinato disposto degli artt. 2467, 2497-quinquies e 2033 cod. civ. e, in subordine, la loro responsabilità per fatto illecito ex artt. 2497 e 2043 cod. civ. 1.3. Costituitisi i convenuti, che contestarono integralmente le avverse pretese, l’adito tribunale, con sentenza del 26 luglio /19 settembre 2017, n. 2044, disattese l’eccezione di incompetenza da essi formulata e rigettò le domande attoree. 1.3.1. In particolare, ravvisò la legittimazione del curatore fallimentare ad agire ex art. 2497 cod. civ. “solo con riferimento all’azione dei creditori” ed escluse l’applicabilità dell’art. 2467 cod. civ., poiché Trafilerie Venete s.a.s. non era socia di Metal Chain s.r.l. ed il rimborso era avvenuto molti anni prima della dichiarazione di fallimento. Negò, inoltre, l’applicabilità dell’art. 2497- quinquies cod. civ., atteso che la direzione sarebbe stata svolta da persona fisica, cioè dal socio amministratore della prima, e non da una società capogruppo. 2. Pronunciando sul gravame promosso dal menzionato Fallimento contro detta decisione, l’adita Corte di appello di Venezia lo respinse con sentenza del 25 luglio/29 agosto 2019, n. 3412, resa nel contraddittorio con Paolo Zanetti e Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. 2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) considerò corretto l’assunto del tribunale che aveva negato al curatore fallimentare la legittimazione ad agire, in rappresentanza della fallita, per la responsabilità del soggetto che avrebbe esercitato poteri di direzione e coordinamento e riconosciuto al medesimo curatore soltanto la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spettante ai creditori; ii) rimarcò, comunque, che, in base all’art. 2497 cod. civ., è il legislatore a prevedere che al curatore spetti l’esercizio dell’azione dei creditori e non anche quella dei soci, i quali mantengono la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta; iii) ritenne che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione del finanziamento anomalo erogato da Trafilerie Venete (all’epoca s.p.a.) a Metal Chain s.r.l. nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata. Opinò, infatti, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento; iv) negò l’applicabilità dell’art. 2497-quinquies cod. civ. a Paolo Zanetti, che era stato amministratore di entrambe le società e che, in forza dei poteri gestori derivatigli di tali funzioni, aveva deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso in oggetto; v) osservò che, non trovando applicazione, per quanto si è detto, l’art 2467 cod. civ., era priva di rilevanza, per la decisione del giudizio, la questione dell’utilizzazione dell’art. 2497-quinquies cod. civ. in relazione a persone fisiche; vi) evidenziò, quanto al preteso esercizio, da parte dello Zanetti, di poteri di direzione e coordinamento della società di cui era socio di maggioranza e, quindi, dell’ipotizzata esistenza di una holding individuale, che la presenza di un socio dominante non era sufficiente per affermare l’esistenza di una holding di fatto; vii) con riguardo, infine, alla richiesta, formulata in via subordinata, di condanna di Trafilerie Venete s.a.s. e di Paolo Zanetti al risarcimento dei danni subiti da Metal Chain s.r.l., negò la sussistenza dei relativi presupposti per la mancanza di un illecito in quanto la restituzione del finanziamento aveva costituito l’adempimento di una obbligazione, sicché neppure era ipotizzabile qualsivoglia danno. 3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con unico controricorso, Paolo Zanetti e Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. 3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 21 aprile/19 giugno 2023, n. 17531, ha ritenuto «che le tematiche introdotte con questo giudizio, specie con riferimento alla questione della legittimazione attiva del curatore riconosciuta unicamente per l’azione dei creditori (art. 2497 c.c.) e non anche nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione nonché alla questione relativa al rimborso del finanziamento senza postergazione meritino un approfondimento ad una pubblica udienza per il rilievo nomofilattico ed in ragione dell’assenza di precedenti specifici». Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza, in occasione della quale il Fallimento ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il primo motivo di ricorso denuncia la «Violazione degli artt. 2497, 2043 c.c. e 24 Cost. per la negata legittimazione attiva della società (per essa: del curatore fallimentare) a chiedere il risarcimento del danno da abuso dei poteri di eterodirezione. Omesso esame di un fatto che ha formato oggetto della discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.››. Viene censurata l’affermazione della corte distrettuale secondo cui non sarebbe stato indicato l’interesse del curatore fallimentare ad agire, per conto della società, al fine di ottenere un risarcimento per i danni conseguenti all’abuso dei poteri di eterodirezione stante l’azione riconosciuta ai creditori. Si sostiene di aver fatto riferimento ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2497 cod. civ., richiamando esplicitamente l’ordinanza emessa in sede cautelare dal Tribunale di Venezia che aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione nonché le ordinanze emesse con riguardo al caso Ligresti ed alla vigenza attuale dell’interpretazione autentica della menzionata disposizione imposta dal d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009. Si critica, inoltre, l’assunto della medesima corte secondo cui costituirebbe una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e, poi, anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio da cui dipende quello stesso valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata autonomamente risarcita. Si osserva, in linea generale, che l’azione risarcitoria promossa dai soci di minoranza nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione deve ritenersi inammissibile quando la società si è già attivata eventualmente anche in sede giudiziale nei confronti della propria controllante al fine di ottenere un risarcimento conseguente a detta attività. 1.1. Tale doglianza si rivela in parte inammissibile ed in parte infondata. 1.2. È inammissibile laddove denuncia un vizio motivazionale, atteso che: i) l'attuale testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (come modificato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile, ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 29 agosto 2019), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest'ultimo profilo (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, «giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999)». 1.3. La censura è infondata, invece, laddove insiste nell’affermare la riconoscibilità della legittimazione ad agire del curatore fallimentare, in rappresentanza della società fallita, al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati alla società medesima dall’attività di eterodirezione e coordinamento su di essa esercitata. 1.3.1. Invero, l’art. 2497 cod. civ., – inserito nel Capo IX (come sostituito dal d.lgs. n. 6 del 2003, con decorrenza dall’1 gennaio 2004), intitolato “Direzione e coordinamento di società”, del Titolo V, del Libro Quinto del codice civile – rubricato “Responsabilità”, così testualmente dispone (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica apportata al suo comma 3, dal d.lgs. n. 14 del 2019): “1. Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. 2. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. 3. Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. 4. Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”. Va ricordato, inoltre che ai sensi dell'art. 19 del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, il riportato comma 1 si interpreta nel senso che «per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria». 1.4. Tanto premesso, rileva, innanzitutto, il Collegio che l’appena riportata disposizione codicistica – chiara nel suo tenore letterale – attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione ivi prevista ai soci ed ai creditori della società soggetta all'altrui attività di direzione e coordinamento. 1.4.1. Più precisamente, la norma disciplina espressamente la responsabilità, nei confronti dei soci della società eterodiretta, “per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale” e, verso i creditori sociali, “per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società”. 1.4.2. Con riguardo alla posizione del socio, la dottrina ha evidenziato che trattasi di un’ipotesi di risarcibilità del danno meramente riflesso da lui subito, in deroga, quindi, al principio di generale irrisarcibilità di tale tipo di danno. 1.4.2.1. Infatti, il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale altro non è che il riflesso del danno subito (direttamente) dalla società eterodiretta, che importa una riduzione del valore del patrimonio sociale e, dunque, una riduzione del valore delle partecipazioni dei soci. 1.4.2.2. L'azione di responsabilità riconosciuta ai soci dall'art. 2497 cod. civ. consente al socio della società soggetta ad altrui direzione e coordinamento di agire nei confronti dell'ente che tale direzione e coordinamento abbia malamente esercitato, al fine di ottenere, in proprio favore, il risarcimento di danni incidenti sostanzialmente sul patrimonio della società e, così, per conseguenza solo indiretta, su quello suo personale, avendo il legislatore richiamato il concetto di pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione sociale. 1.4.3. Quanto alla posizione dei creditori sociali, invece, perché possa essere affermata la responsabilità derivante dall’illecito esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società, occorre che il patrimonio della società eterodiretta sia stato danneggiato. In altri termini, deve esserne stata lesa l’integrità, con conseguente annientamento o riduzione della generica garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.). 1.4.3.1. Pertanto, il pregiudizio ai creditori, ai sensi dell’art. 2497, comma 1, cod. civ., è quello all’interesse, che loro pertiene, strumentale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale della loro debitrice, quale presupposto per favorire il buon esito del proprio credito. 1.4.4. La norma non prevede, per contro, la legittimazione ad agire della società sottoposta all'attività di direzione e coordinamento, titolare del patrimonio direttamente danneggiato dalle condotte abusive della controllante. Essa, inoltre, attribuisce al curatore fallimentare la legittimazione all’esercizio della sola azione dei creditori sociali, non anche di quella sociale, né di quella dei soci, quest’ultimi mantenendo, come si è già riferito, la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta. 1.5. La mancata previsione di detta società tra i soggetti titolari dell’azione di cui all’art. 2497 cod. civ. non appare in contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che, come affatto condivisibilmente opinato dalla corte lagunare, «la fattispecie tutela beni che fanno capo direttamente ai soci: la redditività ed il valore della partecipazione sociale. La tutela, invece, dell’integrità del patrimonio è riconosciuta nell’interesse dei creditori sociali e – come si è detto – il curatore è legittimato ad agire in rappresentanza della collettività. Nell’insieme, la tutela apprestata dal legislatore è completa, poiché, riconoscendosi il diritto sia dei soci sia dei creditori ad ottenere il risarcimento dal soggetto esercitante l’attività di direzione e coordinamento, non rimangono esclusi soggetti danneggiati. Rappresenterebbe, invece, una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e poi anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio, da cui dipende quel medesimo valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata (o può essere) autonomamente risarcita» (cfr. pag. 8-9 della sentenza impugnata). 1.5.1. Anche i lavori preparatori, del resto, depongono nel senso che il curatore è legittimato a proporre unicamente l’azione spettante ai creditori sociali. Da essi, infatti, – come opportunamente rimarcato anche dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – si desume agevolmente la piena consapevolezza del legislatore delegato del 2003 nella propria scelta definitiva: basti pensare, da un lato, alla cancellazione del terzo comma dello schema, con conseguente soppressione della legittimazione della società eterodiretta a promuovere l’azione di responsabilità contro la società dominante, già concessa ad azionisti “esterni” e creditori della società abusata; dall’altro, alla riconduzione di tale azione (degli azionisti “esterni” e dei creditori) alla violazione di una regola di condotta stabilita dal legislatore in funzione di una tutela diretta degli interessi che ad essi fanno capo (rispettivamente, redditività e valore della partecipazione, e solvibilità della società). 1.5.2. In altri termini, il dato letterale dell’art. 2497, comma 4, cod. civ., che espressamente si riferisce alla sola azione dei creditori sociali (la quale, effettivamente, con il fallimento o l’amministrazione straordinaria della società eterodiretta, diviene azione di massa, al pari dell’azione ex art. 2394 cod. civ.), nemmeno è superabile alla luce dei criteri interpretativi di cui all’art. 12 delle Preleggi. Esso, invero, è collocato all’interno della norma che disciplina, ai commi precedenti, la responsabilità della società che esercita illegittimamente attività di direzione e coordinamento verso la controllata per i pregiudizi arrecati sia ai soci, sia ai creditori sociali dell’ente eterodiretto, sicché l’attribuzione della legittimazione al curatore o al commissario straordinario della sola azione dei creditori, manifesta, come ritiene anche la dottrina maggioritaria, una precisa scelta del legislatore e non la si può ritenere una mera omissione. 1.6. Neppure persuade, infine, la tesi secondo cui le critiche derivanti dalla mancata previsione della legittimazione dell’organo della procedura nella fattispecie in esame avrebbero trovato riscontro nella formulazione dell’art. 291 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): formulazione, che, data l’omnicomprensività, potrebbe essere interpretato nel senso dell’ampliamento della legittimazione del curatore. 1.6.1. Invero, proprio la nuova normativa del CCII si presta a diverse ed opposte interpretazioni, sollecitate dalla più attenta dottrina. 1.6.1.1. Infatti, l’art. 255 di detto Codice, rubricato “Azioni di responsabilità” (“1. Il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può promuovere o proseguire, anche separatamente: a] l’azione sociale di responsabilità; b] l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile; c] l’azione prevista dall’articolo 2476, ottavo comma, del codice civile; d] l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile; e] tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge”) detta le disposizioni per la legittimazione generale alle azioni di responsabilità da parte del curatore della liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto dall’art. 307 CCII per il commissario della liquidazione coatta amministrativa (“L’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa o dell’ente in liquidazione, a norma degli articoli 2393, 2394, 2476, primo, sesto e ottavo comma, 2497 del codice civile, è esercitata dal commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione”). 1.6.1.2. Non si rinviene, dunque, come è evidente, la previsione di una legittimazione generale ed indistinta, ma, come sottolineato dalla più accorta dottrina, un’enunciazione puntuale delle azioni di responsabilità esperibili. Invero, anche la norma di chiusura di cui alla lett. e) dell’art. 255 ha una finalità volta a circoscrivere le azioni risarcitorie spettanti alla curatela alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, così superandosi la legittimazione del curatore ad esercitare le azioni di responsabilità senza ulteriori precisazioni. 1.6.2. In definitiva, è delineata un’impostazione più rigorosa che non riconosce al curatore un generalizzato potere di rappresentanza. Con la conseguenza che le disposizioni che attribuiscano tale potere al curatore debbono considerarsi quali norme eccezionali, al di fuori delle quali la legittimazione della curatela quale organo rappresentativo della massa dei creditori deve essere esclusa. 2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la «Violazione di legge per interpretazione ed applicazione errate degli artt. 2033, 2467 e 2497- quinquies c.c.››. Si deduce che l’art. 2033 cod. civ. deve trovare applicazione non solo laddove la causa manchi totalmente ma anche allorquando il pagamento indebito sia riferibile ad una ragione genetica nulla ed inefficace. Si sostiene che, nel caso della restituzione di finanziamento “anomalo”, non viene in essere un pagamento prima della scadenza, bensì l’assenza di un elemento sostanziale (il mancato avverarsi della condizione legale dell’assenza di sovraindebitamento o di tensione finanziaria della società) perché possa configurarsi l’attualità del debito stesso di restituzione. Si precisa, altresì, che la postergazione legale dei finanziamenti “anomali” riguarda tutti i finanziamenti del genere, non solo quelli restituiti entro l’anno anteriore al fallimento, e deve essere assistita da una normativa che la salvaguardi. Si puntualizza pure che, «In realtà, il Fallimento attore non ha esercitato l’azione prevista dal primo comma, parte seconda, dell’art. 2467 c.c. per la retroversione “automatica” di finanziamenti “anomali” rimborsati nell’anno anteriore al fallimento: ha esercitato domanda di ripetizione per un rimborso avvenuto anteriormente». 2.1. Tale doglianza si rivela infondata. 2.2. Invero, il Fallimento ricorrente, come si è appena riferito, ha sottolineato di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (per la retroversione automatica di finanziamenti anomali rimborsati nell’anno anteriore al fallimento), ma di aver promosso, in via concorrente con l’azione ex art. 2497 cod. civ., la domanda di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. in relazione ad un “finanziamento anomalo” rimborsato anteriormente all’anno predetto. 2.3. Giova premettere, allora, che: i) l’art. 2467, comma 1, cod. civ. nel testo, qui applicabile ratione temporis, risalente al d.lgs. n. 6/2003, prevede che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, o in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e deve essere restituito alla massa qualora effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; ii) giusta l’art. 2497-quinquies cod. civ., le regole relative ai finanziamenti dei soci nell’ambito della società a responsabilità limitata sono richiamate nel caso di finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (finanziamenti discendenti o orizzontali). Da tale previsione consegue, allora, che la disciplina in esame si applica ai finanziamenti effettuati non solo a favore della società a responsabilità limitata, ma anche di società di altro tipo; inoltre, le medesime regole assumono rilievo non soltanto nel caso in cui il finanziamento sia effettuato dal socio, ma anche da terzi, purché si tratti o della società che esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti della società finanziata o da altri soggetti comunque sottoposti a tale società; iii) nel caso di specie, la corte territoriale ha accertato che Trafilerie Venete s.a.s. di Zanetti Paolo & C. aveva concesso un finanziamento alla Metal Chain s.r.l., poi fallita, senza esserne socia (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata). La stessa corte, inoltre, ha ritenuto che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione di detto finanziamento, erogato nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata e considerato, altresì, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento. 2.4. Fermo quanto precede, opina il Collegio che, tra le differenti ricostruzioni interpretative che hanno interessato l’art. 2467 cod. civ. nel testo in precedenza indicato (quella che, privilegiando il dato letterale, qualifica l’azione attribuita al curatore come ripetizione dell’indebito e quella che, in una differente prospettiva, riconduce la regola ai principi del diritto concorsuale, configurandola alla stregua di un’azione revocatoria di carattere speciale, trattandosi di un’inefficacia ex lege del rimborso, supportata da una presunzione assoluta della scientia decotionis), è senz’altro preferibile quella che riconduce il rimedio ivi disciplinato ad una fattispecie di revocatoria speciale. 2.4.1. Ciò non soltanto perché lo stesso art. 70, comma 2, l.fall. sancisce un obbligo di restituzione da revocatoria allorché si riferisce a “colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto”, ma anche, e soprattutto, perché opinare diversamente (qualificando, cioè, il rimedio de quo come azione di ripetizione dell’indebito) risulterebbe in chiaro contrasto proprio con quanto previsto dallo stesso art. 2467 cod. civ., laddove, al comma 1, seconda parte, limita l’obbligo di restituzione al rimborso percepito nell’anno anteriore al fallimento: previsione, questa, che si rivelerebbe assolutamente inutile se la ricostruzione del rimedio in termini di azione ex art. 2033 cod. civ. fosse fondata, giacché quest’ultima dovrebbe portare, di per sé, ad ammettere che anche i rimborsi effettuati oltre l’anno prima dall’apertura del fallimento siano oggetto di ripetizione, sulla base, appunto, della disposizione indiscriminata di cui all’articolo 2033 cod. civ. 2.4.2. In altri termini, come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, è proprio «la limitazione temporale dell’obbligo di restituzione al solo rimborso percepito nel periodo sospetto di un anno anteriore al fallimento, insieme con la complessiva destinazione della disciplina contenuta nell’art. 2467 alla tutela dei creditori, a far piuttosto propendere per la tesi che vede nel suddetto obbligo l’espressione di una vera e propria revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di cui all’art. 65 l.fall.». 2.5. Resta solo da ricordare, a conferma della correttezza della soluzione ermeneutica qui prescelta, che il CCII ha abrogato, all’interno dell’art. 2467 cod. civ. (e, quindi, anche dell’art. 2497-quinquies cod. civ.), la regola di diritto concorsuale, ponendola nell’ambito dell’art. 164 CCII, rubricato “Pagamenti di crediti non scaduti e postergati”, che, ai commi 2 e 3, sancisce che “2. Sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore. Si applica l’art. 2467 secondo comma, codice civile. 3. La disposizione di cui al comma secondo si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuato a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti”. 2.5.1. Il legislatore, dunque, non colloca più la norma, chiaramente di diritto concorsuale, all’interno del codice civile, ma la inserisce nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria, equiparandola a quella relativa ai pagamenti di crediti non scaduti. Viene confermata, così, l’inefficacia del pagamento, rectius del rimborso dei finanziamenti, ampliandosi il periodo preso in considerazione, che decorre non più dall’apertura della procedura, ma dal deposito della domanda e, quindi, ricomprende l’anno anteriore a quest’ultimo nonché il periodo intercorrente tra il deposito della domanda e l’apertura della procedura concorsuale. 3. Il terzo motivo di ricorso prospetta la «Violazione di legge per falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 2497, 2467 e 2497-quinquies c.c. e per disapplicazione dell’art. 1218 c.c. - Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.». Si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il soggetto eterodirigente debba essere necessariamente una società o un ente e non una persona fisica, sicché, in assenza di tale organismo, non si potrebbe invocare l’art. 2497, comma 2, cod. civ. Si ascrive alla corte lagunare di non aver fatto corretta applicazione dei principi affermati da Cass. n. 26785 del 2016, secondo cui, nel caso di eterodirezione su base personale, i requisiti della spendita del nome e della struttura organizzativa vanno valutati con “minor rigore” perché, in tali casi, ben vi può essere una “organizzazione coincidente con quella delle tre società coordinate”. Quanto, poi, alla spendita del nome, si critica la medesima corte per avere omesso di considerare che Paolo Zanetti aveva esplicitamente speso il suo nome nell’operazione Weissenfels, prima di una assunzione di cariche amministrative nella newco che ne sarebbe stata protagonista. 3.1. Questa doglianza risulta complessivamente inammissibile. 3.2. Lo è, innanzitutto, laddove lamenta un vizio motivazionale, potendosi ragionevolmente richiamare, in proposito, le stesse considerazioni esposte nel precedente § 1.2. per disattendere la medesima tipologia di vizio di cui al primo motivo. 3.3. Lo è anche, però, nella parte in cui denuncia la pretesa violazione di legge, atteso che, in realtà, la censura si rivela chiaramente volta ad ottenere l’applicazione di quanto sancito dall’art. 2467 cod. civ. sul presupposto che, nella specie, si sia al cospetto di finanziamenti effettuati, in favore della società poi fallita (Metal Chain s.r.l.), da chi (Paolo Zanetti o Trafilerie Venete s.a.s., società di cui quest’ultimo era amministratore), asseritamente, esercitava attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (art. 2497-quinquies cod. civ.). 3.3.1. La sentenza impugnata, tuttavia (cfr. pag. 11) ha escluso che lo Zanetti avesse deciso ed attuato le operazioni di rimborso e finanziamento per cui è causa in forza dell’esistenza di un vincolo di sottoposizione. Secondo la corte veneziana, infatti, «Zanetti era amministratore di entrambe le società (oltre che socio di maggioranza), ed in forza dei poteri gestori che gli derivavano dalla funzione di amministratore (e non certo per l’esistenza di un vincolo di “sottoposizione”, quale può sussistere tra una società capogruppo e le partecipate), egli ha deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso di cui è causa». 3.3.2. Trattasi, come è palese, di un accertamento di evidente natura fattuale, non ulteriormente sindacabile in questa sede. Non resta, dunque, che prenderne atto e rilevare che, rispetto ad esso, le argomentazioni del motivo appaiono, sul punto, sostanzialmente volte ad ottenerne un inammissibile riesame. Il giudizio di legittimità, invero, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043 e 6257 del 2024). 3.4. A tanto deve aggiungersi soltanto che è lo stesso Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione ad aver puntualizzato (cfr. pag. 23 del suo ricorso) di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (bensì quella di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ., in relazione ad un rimborso avvenuto anteriormente all’anno di cui al menzionato art. 2467 cod. civ.), sicché la questione concretamente posta dal motivo, come già condivisibilmente rilevato dalla corte di appello (cfr. pag. 11-12 della sentenza impugnata.) – oltre che dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – diviene assolutamente irrilevante. 4. Il quarto motivo di ricorso, infine, è così rubricato: «Violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione degli articoli 2467, 2497, 2497- quinquies, 2043 ovvero 1218 c.c. e 216 l.f.». Assume il ricorrente che l’art. 2467 cod. civ., nel prevedere la postergazione necessaria del “finanziamento anomalo”, introduce un divieto di rimborso fintantoché permanga la situazione di sovraindebitamento della società finanziata e che la violazione di tale divieto costituisce un comportamento antigiuridico che, se accompagnato dall’esercizio di poteri di direzione e coordinamento di società, costituisce abuso della società eterodiretta fonte di responsabilità ex art. 2497 cod. civ. ed anche 2497-quinquies cod. civ., inquadrabile come responsabilità contrattuale ex art 1218 cod. civ. o come responsabilità ex art. 2043 cod. civ. 4.1. Questa doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento. 4.2. Invero, la corte territoriale ha escluso la configurabilità dell’illecito sia per mancanza del profilo dell’antigiuridicità, essendosi al cospetto, a suo dire, di un adempimento di obbligazione (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata), sia, in concreto, per insussistenza di danno, trattandosi di operazione cd. a “saldo invariato” (cfr. pag. 14 della medesima sentenza). 4.3. Tanto premesso, rileva il Collegio che il verificarsi delle ipotesi di cui all’art. 2467, comma 2, cod. civ. produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata, che diviene inesigibile quand’anche sia spirato il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c. 4.3.1. Come significativamente sancito da Cass. n. 12994 del 2019, «la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi». 4.3.2. Posto, allora, che la disciplina della postergazione dei finanziamenti dei soci è volta a tutelare le aspettative dei creditori terzi e della società, a fronte di richieste di rimborso relative a crediti non ancora esigibili, la violazione della regola di cui all’art. 2467 cod. civ. può dar luogo a plurime forme di tutela, tra le quali, senz’altro, – come rimarcatosi anche nella requisitoria scritta del sostituto procuratore generale – la responsabilità (per violazione di doveri tipicamente previsti dalla legge), nei confronti dei creditori (e, dunque, del fallimento), degli amministratori di una società fallita che abbiano restituito ai soci somme in violazione della norma predetta 4.3.3. Nella specie, tuttavia, il fallimento ricorrente, lungi dall’invocare la responsabilità ex art. 2394 cod. civ. e 146 l.fall., ha inteso agire, dichiaratamente, nei confronti di Paolo Zanetti, ex art. 2497 cod. civ. (cfr. pag. 6 del ricorso). 4.3.4. La corte di merito, però, ha escluso l’esistenza di attività di direzione e coordinamento da parte di quest’ultimo, sicché la censura si rivela sostanzialmente diretta ad ottenere una rivisitazione di quello stesso accertamento fattuale – non ulteriormente sindacabile, invece, in questa sede – già descritto nel precedente § 3.3.1. Non resta resta che ribadire, allora, quanto si è osservato, in proposito, nel successivo § 3.3.2., da intendersi qui richiamato. 4.4. Nemmeno può essere invocata, infine, la violazione delle norme di cui agli artt. 1218 o 2043 cod. civ., perché, come ancora una volta condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, solo se l’atto illecito (nei confronti della società o dei creditori sociali) costituisce violazione di doveri diversi da quelli tipicamente previsti dalla legge o dallo statuto in funzione dell’amministrazione della società (ma questo non è il caso di specie, integrando il rimborso di un credito inesigibile una tipica violazione dell’art. 2467 cod. civ. che concorre a conformare lo statuto dell’amministratore), ed è compiuto, quindi, al di fuori ed indipendentemente dall’esistenza e dal collegamento con il rapporto di amministrazione, gli amministratori rispondono dei danni conseguentemente arrecati alla società in sede contrattuale o extracontrattuale secondo le norme ordinarie del diritto comune. 5. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso promosso dal Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione deve essererespinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, rimarcandosi, in proposito, che il patrocinio a spese dello Stato (spettante exlege al Fallimento che agisca munito del decreto del giudice delegato ex art. 144 del d.P.R. n. 115 del 2002. Cfr., in motivazione, Cass. n. 27310 del 2020), non vale ad addossare all'Erario anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all'altra risultata vittoriosa (cfr. Cass. n. 25653 del 2020; Cass. n. 8388 del 2017). 5.1. Infine, deve darsi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre «spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento». PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso proposto dal Fallimento Metal Chain s.r.l. in liquidazione e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in complessivi € 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 aprile 2024. Il Consigliere estensore Il Presidente Dott. Eduardo Campese Dott. Carlo De Chiara
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SORRENTINO Federico - Presidente Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. PAOLITTO Liberato - Consigliere Dott. BALSAMO Milena - Consigliere Rel. Dott. PICARDI Francesca - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 24956/2019 R.G. proposto da: Agenzia delle Entrate, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato (omissis) che lo rappresenta e difende - ricorrente - contro Fr. Energia Ambiente Srl, elettivamente domiciliato in Bologna via (...), presso lo studio dell'avvocato Lo.Al. (omissis) che lo rappresenta e difende - controricorrente - avverso Sentenza di Comm.Trib.Reg. Bologna n. 1279/2018 depositata il 14/05/2018 . Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere Milena Balsamo. Udito il P.G. che ha concluso nel senso dell'accoglimento del ricorso. Sentiti i difensori delle parti. FATTI DI CAUSA 1. L'Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna ha accolto l'appello proposto dalla Società Fr. energia ambiente - (...) Srl avverso la sentenza n. 340/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Ferrara di rigetto del ricorso proposto avverso avviso di liquidazione per imposta di registro con aliquota del 3% relativa alla sentenza n. 2503/2010 emessa dal Tribunale di Ferrara in accoglimento di domanda di revocatoria fallimentare proposta nei confronti della società controricorrente e della società (...) dalla società Fr. con contestuale ordine di pagamento di somme. La società resiste con controricorso. In data, il nuovo difensore dando atto del decesso in data (omissis) del prof. avv. An.Ca. unico difensore di (...) nel presente processo, chiede rinvio dell'udienza per predisporre memorie difensive. In data 8 marzo ha depositato memoria per contestare la tardività del ricorso proposto, in quanto la sospensione dei termini ex art. 6 comma 11 D.L. 119/2018 non troverebbe applicazione agli atti di liquidazione. Il P.G. ha concluso nel senso dell'accoglimento del ricorso. Con ordinanza, questa Corte rinviava alla odierna udienza per consentire al difensore della parte di illustrare le proprie difese con memorie, depositate in data 6 maggio 2024. MOTIVI DI DIRITTO 1. In via preliminare deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto tardivamente notificato il 16 agosto 2019. 2. Ai sensi dell'art. 6, comma 11, D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, entrato in vigore il 24 ottobre, "per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019". La sentenza risulta pubblicata il 14 maggio 2018, di talché la notifica del ricorso risulta tempestiva. 3. Parimenti priva di pregio è l'eccezione secondo la quale l'Agenzia avrebbe attinto solo una delle rationes decidendi che fondano la sentenza impugnata, la quale sul rilievo dell'alternatività IVA-registro, ha escluso l'applicabilità dell'imposta in misura proporzionale. 4. Ed invero, ancorché indicata solo nella sintesi dei motivi, l'amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza d'appello ex art. 40 TUR, per aver ritenuto che il contratto a monte della revocatoria fallimentare era un contratto d'appalto soggetto ad IVA. 5. Con il primo motivo si censura la sentenza denunciando violazione dell'art. 8, comma 1 lett. b) ed e) della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e si lamenta che la CTR abbia erroneamente assimilato la sentenza del Tribunale di Ferrara, recante accoglimento di una domanda di revocatoria fallimentare di pagamento eseguito dal debitore ceduto della parte fallita, con contestuale condanna al pagamento di somme, ad una pronuncia di annullamento, applicando l'imposta di registro in misura fissa anziché proporzionale. 6. Con la seconda censura si denuncia violazione di norme di diritto (art. 40 D.P.R. n. 131/1986) e si lamenta che la CTR abbia erroneamente affermato che "i pagamenti alla cui restituzione l'odierna appellante è stata costretta dalla citata sentenza civile fondano la loro derivazione nel contratto d'appalto tra la Coop e la Fr. Srl, contratto che... era stato sottoposto ad IVA", con conseguente irrilevanza dei pagamenti, derivanti dal contratto, effettuati fra debitore ceduto e appellante. 7. Il primo motivo è fondato. Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad una imposta proporzionale del 3% quelli "recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura" mentre, per quel che rileva ai fini del giudizio, la lett. e), assoggetta ad imposta fissa quelli "che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto". Sulla base di tali disposizioni va dunque confermato che "I provvedimenti dell'Autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento o alla restituzione di somme di denaro sono assoggettati, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b), della parte prima della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 cit., a tassazione proporzionale, salvo che abbiano ad oggetto anche l'annullamento o la declaratoria di nullità dell'atto nel qual caso l'imposta deve essere determinata in misura fissa ai sensi della lett. e) del citato art. 8." (Vedi Cass. n. 32968 del 2018). La sentenza di cui si controverte ha dichiarato, in accoglimento di una revocatoria fallimentare, l'inefficacia di un pagamento di somme condannando il destinatario alla loro restituzione. Secondo quanto già più volte ritenuto da questa Corte "In tema di imposta di registro, la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare di un pagamento eseguito dal fallito è soggetta all'aliquota proporzionale di cui all'art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (prevista per i provvedimenti giudiziari recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura) - e non al pagamento della misura fissa prevista dalla successiva lett. e) del medesimo articolo (prevista per i provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto l'annullamento o la declaratoria di nullità di un atto) - perché tale sentenza possiede contenuti ed effetti diversi dalle sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto, tenuto conto che non opera alcuna caducazione dell'atto impugnato, il quale resta infatti in vita anche se privo di efficacia nei confronti del fallimento e della procedura esecutiva, e che le conseguenti restituzioni non comportano il ripristino della situazione anteriore, ma un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, consentendo il recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza sottratti" (vedi Cass. n. 16814 del 2017; conformi Cass. n. 24954 del 2013; n. 17584 del 2012 e n. 4537 del 2009). Tali pronunce hanno ad oggetto ipotesi analoghe a quella in esame, in cui la revocatoria fallimentare interviene rispetto al pagamento di somme o cessioni di crediti, la cui revocazione ha l'effetto di determinare un immediato incremento di ricchezza del fallimento, e che quindi correttamente sono state ritenute soggette ad imposta di registro, determinata in misura proporzionale ex art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e non della lett. e). (Cass. n. 15203 del 2021; Cass. n. 6875 del 2023 e Cass. n. 2281 del 2022). Né giova in senso contrario quanto ritenuto da Cass. n. 31277 del 2018 che, nella diversa ipotesi di sentenza di accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare di un contratto di compravendita immobiliare, ha ritenuto quel provvedimento soggetto a tassazione in misura fissa, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 131 del 1986, e non in misura proporzionale, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. a) dello stesso D.P.R.; tale sentenza infatti non spiega alcun effetto traslativo della proprietà del bene o di retrocessione dello stesso a favore della massa, né determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, ma si limita a rendere l'atto negoziale inopponibile ai creditori ai fini dell'esecuzione concorsuale, conferendo altresì al curatore il potere di apprensione del bene non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell'interesse della massa. Tale principio, infatti, non può essere esteso al di là del caso specifico in cui venga assoggettato a revocatoria l'atto di trasferimento di un bene considerato nella sua fisicità (nel caso di specie un immobile), ed in cui il trasferimento di ricchezza si avrà solo allorché, realizzata la vendita coattiva del cespite, ne verrà acquisito il controvalore economico (risultando poi questo atto ulteriore sottoposto alle imposte di cui alla lett. a). Al di fuori della suddetta ipotesi, invece, laddove l'atto pregiudiziale riguardi un negozio di cessione di somme o crediti, ed il suo oggetto (il denaro) transiti nel patrimonio del cessionario con il correlato effetto di confusione, in esito all'accoglimento della revocatoria fallimentare del negozio assume rilevanza non già il bene-denaro restituito, bensì il pagamento di somme o cessioni di crediti, rispetto al quale il capo della pronuncia che rileva è comunque (anche nel senso di cui all'art. 8 della tariffa) di condanna, ed ha l'effetto di determinare un immediato incremento di ricchezza del fallimento, che quindi correttamente va assoggettato all'imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi all'art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e non della lett. e) (Cass. 29.09.2021, n.26360, in motiv.). La sentenza che accoglie la domanda di revoca di atti solutori non ha infatti quale necessario presupposto la declaratoria di inefficacia del negozio "a monte" del pagamento revocato, ed essa, inoltre, non determina la mera inopponibilità di tale pagamento al fallimento, ma ha un effetto traslativo pieno, in quanto, condannando l'accipiens alla restituzione della somma di denaro in precedenza appresa e già confusa nel suo patrimonio, comporta il depauperamento di tale patrimonio, con contestuale, immediato trasferimento al fallimento della corrispondente ricchezza (cfr. Cass. n. 31277/2018 in motiv.). Pertanto, la condanna al pagamento che consegue alla revocatoria non deriva dal venir meno (per invalidità o risoluzione) del rapporto dal quale origina l'obbligazione restitutoria (nel caso in esame, il contratto di finanziamento bancario), ma provoca il sorgere di un nuovo trasferimento (quello ordinato dalla sentenza di condanna) che, dunque, si affianca al rapporto "revocato" (il quale, come detto, resta fermo inter partes) e che, come tale, è suscettibile di (nuova e non duplicata) tassazione. Vale comunque la pena di rilevare che l'azione revocatoria in ambito fallimentare ha un fisiologico effetto recuperatorio (cfr. Cass. 10233/2017; Cass. 15982/2018; Cass. 31277/2018): in particolare è stato chiarito, in un caso parzialmente sovrapponibile a quello in esame in cui all'accoglimento di essa era seguita la condanna dell'acquirente alla restituzione dell'immobile al fallimento, che tale capo della decisione, come già chiarito da questa Corte (Cass. n. 17590 del 2005 cit.), assume, piuttosto, carattere derivativo della pronuncia di accoglimento della domanda revocatoria, sanzionando l'obbligo da essa nascente di porre il bene nella piena disponibilità della massa. Infatti, a differenza che nell'azione revocatoria ordinaria, il cui vittorioso esperimento consente al creditore istante di aggredire solo successivamente, con esecuzione individuale, il bene oggetto dell'atto revocato, l'accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori (vedi Cass. Sez. 1° n. 3757 del 1985; Cass. Sez. 1° n. 2936 del 1978). L'acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall'art. 2740 cod. civ. a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore (cui compete, ai sensi dell'art. 31 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 l'amministrazione del patrimonio del fallito, anche per quanto concerne i beni sopravvenuti) il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell'interesse della massa (cfr. Cass. 31277/2018 in motivazione; Cass. del 03/08/2021, n. 22153). Per le suesposte considerazioni, rilevato che la CTR non ha fatto corretta applicazione di tali principi, il ricorso va accolto; segue la cassazione della sentenza impugnata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con il rigetto del ricorso introduttivo. 8. Anche la seconda doglianza va accolta richiamando, in tale sede, l'orientamento più volte espresso da questa Corte (cfr. Cass. nn. 4802/2011; conf. 20602/2015) secondo cui, nel caso di cessione di un credito scaturito da un rapporto soggetto ad IVA, la sentenza di condanna all'adempimento pronunciata nei confronti del debitore ceduto ed a favore del creditore cessionario è soggetta all'imposta di registro in misura proporzionale. 9. Poiché l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale si è decisa la causa, si è consolidato dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ritiene opportuno compensare tra le parti le spese processuali delle fasi di merito. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente, compensando tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, all'udienza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 17 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso per revocazione iscritto al numero di registro generale 6413 del 2023, proposto da Ia. Mi., rappresentata e difesa dall'avvocato Si. Ni., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia; contro Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Pi., con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia; nei confronti Fi. Pr., non costituita in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato - Sezione V n. 1069 del 31 gennaio 2023, resa tra le parti. Visti il ricorso per revocazione ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Emilia-Romagna; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Ni. e Ma., in dichiarata delega di Pi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso al Tribunale amministrativo dell'Emilia Romagna, la dottoressa Ia. Mi. chiedeva l'annullamento della graduatoria del concorso per la copertura, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di un posto vacante della qualifica unica dirigenziale nell'organico del personale dell'Assemblea legislativa afferente l'area settoriale omogenea A3 "Supporto al processo legislativo ed amministrativo". Il giudice adito respingeva il ricorso con sentenza n. 328 del 2016, che veniva a sua volta riformata dal Consiglio di Stato con sentenza di questa Sezione n. 8044 del 2021, che condannava la Regione alla revisione della graduatoria finale del concorso, con collocazione della dottoressa Ia. al primo posto ed aggiudicazione in suo favore della procedura selettiva interna, nonché alla ricostruzione della carriera della stessa; dichiarava invece inammissibile la domanda di risarcimento del danno in quanto generica. La dottoressa Ia., ritenendo che l'amministrazione fosse rimasta inadempiente alle statuizioni succitate, proponeva ricorso per l'ottemperanza della suddetta sentenza, affinché fossero adottate tutte le misure necessarie ad ottenere il pieno e totale soddisfacimento degli interessi legittimi e dei diritti accertati in giudizio, all'uopo chiedendo la nomina di un commissario ad acta per l'accertamento e la conseguente declaratoria di nullità della determina n. 3496 del 25 febbraio 2022, nella parte in cui non aveva adottato tutte le misure necessarie per soddisfare pienamente i diritti e gli interessi della ricorrente (in primis la ricostruzione della carriera ed il risarcimento del danno). Costituitasi in giudizio, la regione Emilia Romagna chiedeva la reiezione del ricorso. Con successivo ricorso per motivi aggiunti la dottoressa Ia. estendeva l'impugnativa all'accertamento ed alla declaratoria di nullità, in parte qua, della determina n. 10228 del 27 maggio 2022 e, per quanto occorrere possa, della proposta di assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con inquadramento nel profilo unico della dirigenza regionale dal primo giugno 2022, nonché per l'accertamento e la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni. Con sentenza 31 gennaio 2023, n. 1069, il giudice adito parzialmente accoglieva il gravame, solo con riferimento all'adeguamento del trattamento economico della ricorrente ed escludendo in particolare il risarcimento del danno, "avendolo escluso la sentenza da ottemperare per genericità della domanda". Avverso tale decisione la ricorrente proponeva ricorso per revocazione, lamentando in particolare il mancato esame della domanda risarcitoria per danno da ritardo e delle domande risarcitorie formulate in via subordinata. Con un primo ordine di censure, in particolare, la ricorrente sottopone a critica la sentenza resa in sede di ottemperanza, nella parte in cui aveva escluso che la dott.ssa Ia. avesse diritto alla percezione degli arretrati "(...) non essendo stata resa dalla ricorrente la prestazione lavorativa che costituisce la contropartita necessaria per la percezione della retribuzione", all'uopo richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali in base ai quali la "restitutio in integrum agli effetti economici, oltre che a quelli giuridici, spetta al pubblico dipendente solo nel caso di riconoscimento dell'illegittima sospensione o interruzione di un rapporto già in corso non anche nel caso in cui sia stata riconosciuta l'illegittimità del diniego di nomina al posto al quale l'interessato aspira": nella specie, il giudice non avrebbe considerato che in realtà vi era stata una illegittima sospensione e/o interruzione del rapporto in essere, In estrema sintesi, la censura della ricorrente si articola nei seguenti passaggi logici: 1) la dott.ssa Ia. sin dal dicembre 2010 sarebbe stata titolare del diritto ad essere assunta con la qualifica dirigenziale; in questi termini la decisione del Consiglio di Stato n. 8044 del 2021, avendo espressamente riconosciuto il suo diritto alla ricostruzione della carriera, avrebbe implicitamente, riconoscendo quale conseguenza immediata e diretta della riforma della graduatoria, la sottoscrizione del contratto. 2) A seguito della approvazione della graduatoria il vincitore avrebbe il diritto di sottoscrivere il contratto di lavoro e l'amministrazione, per contro, quello di sottoscriverlo. La sottoscrizione del contratto sarebbe dunque un atto dovuto e vincolato per l'amministrazione, priva di qualsiasi discrezionalità al riguardo. 3) La sottoscrizione del contratto costituirebbe la condizione per lo svolgimento in concreto di prestazione di lavoro (nella fattispecie) dirigenziale; nel caso in esame, ancorché detta condizione non si sia concretamente avverata nel mondo reale per fatto colpevole dell'amministrazione (come accertato in giudizio), la stessa dovrebbe purtuttavia considerarsi avverata - con effetto retroattivo -ai sensi degli artt. 1359 e 1360 Cod. civ. (essendo l'avveramento della condizione mancato per causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario allo stesso). Nel caso in esame, la condizione de qua non si sarebbe avverata poiché, come riconosciuto dalla Sezione nella sentenza 8044 del 2021, l'amministrazione regionale attraverso la Commissione di concorso avrebbe manifestato un interesse contrario all'avveramento della medesima. 4) Ad analoga conclusione si dovrebbe comunque pervenire alla luce di un'attenta lettura della richiamata sentenza n. 8044 del 2021, laddove si afferma che la carriera della ricorrente dovesse essere "ricostruita", in tal modo intendendo ora (sentenza n. 8044 del 2021) per allora (dicembre 2010) che si dovesse procedere (ancorché per fictio iuris) come se il contratto fosse stato sottoscritto. 5) Deduce quindi la ricorrente che l'errore di fatto in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata consisterebbe nel "non avere considerato avverata la condizione e quindi di non avere considerato il rapporto in essere con la ricorrente alla stregua di un rapporto interrotto/sospeso. Se così avesse fatto, in ossequio alla giurisprudenza citata nella stessa sentenza, il Consiglio di Stato avrebbe statuito nel senso di riconoscere alla ricorrente il diritto a vedersi riconosciuto la corresponsione dei differenziali retributivi sul trattamento stipendiale, nonché la retribuzione di posizione e quella di risultato, con decorrenza 21 dicembre 2010 a tutt'oggi e fino al 1° giugno 2022, data di effettiva immissione nel ruolo dirigenziale, con ogni altra conseguenza anche a fini pensionistici e previdenziali". Il motivo è inammissibile. Il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1824), l'errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431). Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006). L'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento. Insomma, l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640). Così, si versa nell'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053); ma se ne esula allorché si contesti l'erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita. In tutti questi casi non sarà possibile censurare la decisione tramite il rimedio - di per sé eccezionale - della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall'ordinamento (ex multis, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; IV, 26 agosto 2015, n. 3993; III, 8 ottobre 2012, n. 5212; IV, 28 ottobre 2013, n. 5187). Nel caso in esame, l'eccepita mancata considerazione dell'avveramento (per fictio iuris) della condizione, con conseguente mancata considerazione del rapporto (lavorativo) in essere con la ricorrente alla stregua di un rapporto interrotto/sospeso non potrebbe certo essere ricondotto alla categoria dell'errore "di fatto" (attinente, come già detto, la pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio), bensì a quella - insuscettibile di fondare il vizio revocatorio - dell'errore in diritto, contestando in concreto la ricorrente la mancata (o scorretta) applicazione degli artt. 1359 e 1360 Cod. civ. alla fattispecie in esame (o comunque, in ultima analisi, un'erronea interpretazione, sotto il profilo del regime giuridico ad esse applicabile, delle risultanze processuali). Si esula infatti dal vizio revocatorio ogniqualvolta si contesti alla sentenza l'erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o un'anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita (in termini Cons. Stato, IV, 14 giugno 2018, n. 3671; 22 gennaio 2018 n. 406; V, 25 ottobre 2017, n. 4928; 6 aprile 2017, n. 1610; 12 gennaio 2017 n. 56). Con un secondo ordine di censure, parte ricorrente lamenta l'erronea considerazione, ad opera del giudice dell'ottemperanza, delle proprie domande risarcitorie: la sentenza impugnata, in particolare, si limitava al riguardo a precisare che "In ogni caso, non è possibile riconoscere il risarcimento del danno, avendolo escluso la sentenza da ottemperare per genericità della domanda", in tal modo non avvedendosi che le domande risarcitorie - sia in via principale che subordinata - erano state introdotte ai sensi degli artt. 112 e 114 comma 4 Cod. proc. amm. In pratica, le domande risarcitorie formulate in sede di giudizio di ottemperanza non si fondavano (direttamente) sulla statuizione contenuta nella sentenza di questa Sezione n. 8044 del 2021, ma discendevano dall'impossibilità di dare esecuzione in forma specifica a quella sentenza: da ciò l'errore di fatto legittimante l'azione revocatoria. Essendo la domanda risarcitoria relativa al periodo 2 dicembre 2021-1° giugno 2022 relativa al comportamento omissivo tenuto dell'amministrazione dopo la pronuncia n. 8044 del 2021 (id est, al suo ritardo nell'esecuzione), il fondamento o meno (nel merito) della stessa non poteva certo riposare su quanto argomentato nella medesima sentenza in ordine a diversi (e pregressi) profili risarcitori. Tale domanda non sarebbe stata quindi esaminata dalla Sezione, in quanto erroneamente intesa come derivante dalla propria precedente sentenza n. 8044 del 2021. Il motivo è fondato. Nelle conclusioni del precedente ricorso per ottemperanza, l'odierna ricorrente chiedeva, quanto alla domanda di risarcimento, "condannare l'amministrazione a risarcire i danni subiti e subendi dalla ricorrente a causa della mancata esecuzione della sentenza n. 8044/21, dal 2 dicembre 2021 (data di deposito della sentenza) fino alla piena esecuzione della stessa, come meglio esposto in narrativa, oltre a interessi, rivalutazione monetaria dal dovuto fino al saldo". Nel medesimo ricorso veniva all'uopo precisato (a titolo di "Domanda risarcitoria", p. 5): "si chiede altresì che l'Ecc.mo Collegio Voglia accertare gli ulteriori danni subiti dalla ricorrente a causa del contegno dell'amministrazione dal 2 dicembre 2021 (data di deposito della sentenza) fino alla piena esecuzione della stessa, ai sensi dell'art. 2043 c.c., a causa dell'illecita e palese violazione del giudicato da parte dell'amministrazione. Nella quantificazione dei danni, dovrà tenersi conto dei differenziali sul trattamento stipendiale, nonché della retribuzione di posizione e di quella di risultato, nonché prevedere la liquidazione di somma determinata in via equitativa per la lesione della professionalità della ricorrente, che ancora ad oggi non è stessa assunta nel ruolo dirigenziale". A fronte di tale articolata richiesta, la sentenza attualmente impugnata esclusivamente statuiva in ordine al risarcimento dei danni a suo tempo considerato dalla Sezione con la sentenza della cui ottemperanza si trattava ("non è possibile riconoscere il risarcimento del danno, avendolo escluso la sentenza da ottemperare per genericità della domanda"), ma nulla diceva in ordine alle ulteriori voci di danno venute in essere successivamente alla pubblicazione di quest'ultima (sulle quali, ratione temporis, la stessa non poteva essersi pronunciata). Ciò detto quanto alla fase rescindente del giudizio revocatorio, resta da definire - quanto alla successiva fase rescissoria - la fondatezza o meno, nel merito, della domanda risarcitoria a suo tempo formulata dalla dott.ssa Ia. nella sede del giudizio di ottemperanza. Ritiene il Collegio che tale richiesta vada accolta, nei termini che si precisano. Risulta dagli atti che la Regione Emilia Romagna aveva provveduto, solamente con determinazione n. 10228 del 27 maggio 2022, alla ricostruzione della carriera della ricorrente riconoscendole la qualifica dirigenziale con decorrenza dal 21 dicembre 2010; a decorrere da tale data, per qualsiasi effetto giuridico, veniva altresì riconosciuto il trattamento previsto inizialmente nel CCNL del 22 febbraio 2010, Area II Dirigenza Regioni e Autonomie locali, e, quindi, nel CCNL del personale Area dirigenza Funzioni Locali - Triennio 2016-2018 - sottoscritto il 17 dicembre 2020. E' dunque provato in atti l'ingiustificato ritardo (decorrente dal 2 dicembre 2021, data di pubblicazione dell'ottemperanda sentenza, al 27 maggio 2022) nel dare puntuale attuazione alla pronunzia della Sezione mediante assunzione della ricorrente: ne consegue che l'amministrazione va condannata a risarcire i danni da questa subiti, in primis quelli patrimoniali come confermati ancora all'odierna udienza e corrispondenti al differenziale dello stipendio da dirigente non percepito nel predetto intervallo di tempo, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo, nonché i correlati accessori previdenziali. Sono altresì dovuti i correlati danni non patrimoniali, che possono essere liquidati in via equitativa nella misura del 10% dei precedenti. Il ricorso per revocazione va dunque parzialmente accolto, nei termini di cui in motivazione. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, parzialmente lo accoglie, nei termini di cui in motivazione. Condanna la Regione Emilia-Romagna al pagamento, in favore della ricorrente Ia. Mi., delle spese di lite del giudizio revocatorio, che complessivamente liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre Iva e Cpa se dovute. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Valerio Perotti - Consigliere, Estensore Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Marina Perrelli - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9894 del 2023, proposto da Ministero dell'Istruzione e del Merito, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Br. Sc. Gr. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Vi. Fe., Eu. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII n. 10094/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Br. Sc. Gr. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 il Cons. Marco Valentini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Vi. Fe. e l'avvocato dello Stato Gi. Gr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con la sentenza di cui è chiesta la revocazione è stata accolta la domanda della Br. Sc. Gr. S.r.l. che ha agito per l'ottemperanza alla sentenza n. 4918/2023 del Consiglio di Stato la quale, in riforma della sentenza gravata n. 12453/2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha accolto i secondi motivi aggiunti di primo grado, con il conseguente annullamento del provvedimento di diniego di iscrizione nell'albo dei soggetti certificatori n. 23821 del 18 maggio 2018, reso dal Ministero dell'Istruzione e del Merito, e l'indicazione di riesaminare l'istanza di parte in conformità ai criteri di cui alla medesima sentenza. Il ricorso per ottemperanza è stato ritenuto fondato, non risultando in giudizio che il Ministero dell'Istruzione e del Merito avesse dato seguito alle statuizioni della sentenza n. 4918/2023, nonostante il sollecito rivolto in via stragiudiziale dalla ricorrente e la successiva notifica del ricorso. La decisione di ottemperanza ha lasciata impregiudicata ogni questione, all'esito del termine per l'ottemperanza in forma specifica, inerente alla domanda risarcitoria proposta in via subordinata. In data 18 dicembre 2023 è stato quindi depositato il ricorso per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 10094/2023. Si è costituita in giudizio la Br. Sc. Gr. S.r.l.., che in data 7 marzo 2024 ha depositato memoria. In data 26 marzo 2024 ha depositato documentazione difensiva la parte ricorrente. In data 5 aprile 2024 ha depositato memoria di replica la Br. Sc. Gr. S.r.l. Nella camera di consiglio del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO L'amministrazione ricorrente deduce che l'impugnata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII n. 10094/2023, è viziata da errore revocatorio ex artt. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e 106 cod. proc. amm. In particolare, secondo la ricorrente, il giudice dell'ottemperanza avrebbe erroneamente fondato la propria statuizione sulla supposta sussistenza di un fatto la cui veridicità risulterebbe incontrovertibilmente esclusa dagli atti di causa, dando per presupposto che il provvedimento n. 35816 del 16.6.2023, con cui l'Amministrazione aveva negato la richiesta di certificazione presentata dalla parte avversa, vada riferito all'elenco contenuto nel D.M. 7.3.2012, n. 3889. A dire della ricorrente, invece, il provvedimento n. 35816 non può in alcun modo essere riferito al citato decreto ministeriale, in quanto esso rappresenta l'esito provvedimentale di un procedimento amministrativo del tutto nuovo e autonomo, introdotto e disciplinato dal successivo D.M. 10 marzo 2022, n. 62, che rimane estraneo al perimetro oggettivo del giudizio di ottemperanza. Per la ricorrente si tratta di un errore di fatto revocatorio, rilevabile con evidenza dalla lettura degli atti di causa, non derivante da un'inesatta attività di valutazione e di apprezzamento delle domande delle parti, delle risultanze probatorie o degli atti della causa, ma da una mera svista, una falsa lettura o percezione degli atti di causa. Nel caso di specie, è stata dichiarata la verità di un certo fatto - la riconducibilità del provvedimento n. 35816 del 16.6.2023 all'elenco del D.M. n. 3889 del 2012 - quando risulta evidente, invece, la sua non veridicità dalla lettura degli atti di causa. Né il provvedimento in esame, soggiunge la ricorrente, potrebbe essere stato altrimenti ricompreso da parte del Collegio nel perimetro del giudizio di ottemperanza, nel cui ambito non rientra la valutazione della domanda di parte proposta sulla base del nuovo e successivo D.M. 10 marzo 2022, n. 62. Il provvedimento n. 35816 del 16.6.2023 più volte richiamato, avviato sotto la nuova disciplina prevista nel 2022, in quanto nega il bene della vita cui la parte istante aspirava, ha natura immediatamente lesiva e deve essere impugnato secondo i termini previsti all'art. 29 c.p.a. In mancanza di tempestiva impugnazione, il provvedimento non può essere sindacato in sede di ottemperanza, non venendo in questione una violazione o elusione del giudicato da parte dell'Amministrazione all'atto del riesercizio del potere. In conclusione, la statuizione della sentenza di ottemperanza risulta per la ricorrente l'effetto di un errore materiale del giudice rispetto alla rilevazione degli atti della causa. Tale errore risulta determinante in quanto incorre un nesso di causalità tra la erronea presupposizione e le statuizioni della sentenza. Secondo la parte ricorrente, la sentenza impugnata è viziata da errore revocatorio anche con riferimento alle statuizioni relative alla domanda di risarcimento del danno formulata. Ritiene la parte ricorrente che nell'ammettere la proposizione della domanda risarcitoria per equivalente da parte della British School Group S.r. l. nel caso di oggettiva impossibilità di esecuzione in forma specifica della sentenza n. 4918/2023, il Giudice dell'ottemperanza muove dall'erroneo presupposto che parte avversa abbia già proposto la domanda risarcitoria nelle more del giudizio di cognizione a norma dell'art. 30 c.p.a., mentre questa non risulta mai stata esercitata né nel giudizio di primo grado, né in quello di appello. Evidenzia la parte ricorrente che chi agisce in sede di ottemperanza può proporre l'azione risarcitoria soltanto per i danni connessi all'inottemperanza e non anche quelli derivanti dall'illegittimità del provvedimento annullato per opera della sentenza da ottemperare. Nel caso di specie, quello che la parte avversa chiede per la prima volta in sede di ottemperanza è proprio il risarcimento del danno subito per non aver potuto esercitare l'attività di ente certificatore dal 2017 ad oggi. La domanda risarcitoria attiene ad un periodo antecedente alla formazione del decisum, avuto luogo in data 17/05/2023 con la pubblicazione della sentenza n. 4918, giacché fino a tale data non sussisteva alcun titolo che legittimasse la pretesa dell'appellante ad una condotta di facere dell'Amministrazione, visto l'esito positivo per quest'ultima del primo grado di giudizio. In data 7 marzo 2024, come richiamato, ha depositato memoria la Br. Sc. Gr. S.r.l., deducendo preliminarmente che all'indomani della pronuncia del Consiglio di Stato che ha confermato l'obbligo del Ministero di portare in esecuzione la sentenza n. 4918/2023 e di procedere ad iscrivere il Br. Sc. Gr. S.r.l., ora per allora, nell'elenco di cui al D.M. 3889/2012, il Ministero, in data 2.12.2023, ha inviato alla società l'avvio del procedimento relativo alla valutazione dell'istanza presentata in data 9.05.2017 in esecuzione della citata sentenza n. 4918/2023. In data 12.01.2024 il Ministero dell'Istruzione e del Merito ha inviato il preavviso di rigetto dando dieci giorni alla società non solo per rispondere alle osservazioni e per produrre ulteriore documentazione, richiesta dall'Amministrazione con il preavviso medesimo. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito ha definitivamente concluso il procedimento con il provvedimento prot. 15736 del 12.02.2024 con il quale ha nuovamente negato l'iscrizione della Br. Sc. Gr. S.r.l. nell'elenco degli enti certificatori, in palese violazione delle sentenze del Consiglio di Stato. In diritto, nella predetta memoria si sostiene che il ricorso per revocazione sia del tutto infondato e basato su presupposti palesemente errati, di fatto volto solamente ad eludere il giudicato. Il giudice dell'ottemperanza ha infatti chiarito che l'elenco di cui al D.M. 3889/2012 è quello ancora oggi vigente e che il Ministero deve valutare l'istanza del Br. Sc. Gr. S.r.l. ora per allora senza che possa assumere alcun rilievo il preavviso di rigetto del 16 giugno 2023 relativo al D.M. 62/2022. La ricostruzione del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, si afferma nella citata memoria, è chiara. Da un lato vi è il D.M. n. 62/2022, relativo ad un nuovo albo ancora non entrato in vigore ed il cui iter è tutt'ora in corso; dall'altro vi è l'albo di cui al D.M. 3889/2012, oggetto sia della sentenza del Consiglio di Stato n. 4918/2023 (passata in giudicato) che della successiva n. 10094/2023, nei cui confronti la società ha interesse a vedere rivalutata, ora per allora, la sua istanza alla stregua dei criteri individuati dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4918/2023. Il Consiglio di Stato, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso per revocazione, non ha mai collegato il preavviso di rigetto del 16 giugno 2023 all'elenco del D.M. 3889/2012, ma anzi ha chiarito proprio che il preavviso di rigetto riguarda, al contrario, un procedimento successivo (iniziato nel 2022) che esula dal giudizio innanzi al Consiglio di Stato. Quindi la sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato n. 10094/2023 fonda la propria statuizione sull'esistenza di un fatto assolutamente veritiero e già accertato dal Consiglio di Stato nella precedente sentenza n. 4918/2023 passata in giudicato. Ne consegue che alcun errore di fatto sussiste, alcuna svista, falsa lettura o percezione degli atti di causa. In ordine alle censure inerenti la domanda di risarcimento del danno, formulata ai sensi dell'art. 112 comma 3 del cod. proc. amm., nella richiamata memoria si evidenzia che le censure sollevate dal Ministero dell'Istruzione e del Merito non possono in alcun modo essere sollevate con il ricorso per revocazione. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno avanzata da parte ricorrente, sulla quale peraltro il giudice non si è pronunciato, ma si è solo riservato a valle del procedimento di ottemperanza, non si comprende, evidenzia la richiamata memoria, ove sarebbe l'errore di fatto in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato. Considerato che entrambe le sentenze del Consiglio di Stato hanno riconosciuto l'obbligo del Ministero dell'Istruzione e del Merito di rivalutare l'istanza presentata dalla società, ora per allora, con effetto retroattivo, la domanda di risarcimento del danno sorgerà qualora l'Amministrazione rendesse impossibile portare in esecuzione le due sentenze ma la quantificazione deve necessariamente abbracciare il periodo a partire dal diniego dell'iscrizione originario perché il Consiglio di Stato aveva statuito l'obbligo, per l'Amministrazione, di valutare la richiesta di iscrizione ora per allora. Il ricorso per revocazione è inammissibile. Rileva il Collegio, preliminarmente, l'estrema linearità che connota la sentenza di ottemperanza oggetto di istanza revocatoria. In effetti, tre punti fermi emergono dall'esame degli atti di causa come specificamente rilevanti ai fini della decisione. Il primo concerne l'obiettiva inerzia dell'amministrazione rispetto all'esecuzione del giudicato di cui alla sentenza di appello n. 4918/2023 del Consiglio di Stato, che ha riformato la decisione di primo grado n. 12453/2018 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. Si evidenzia che tale inerzia, espressamente e documentatamente richiamata nella sentenza di ottemperanza di cui si chiede la revocazione, comprende il mancato riesame della richiesta di iscrizione secondo i criteri fissati nella sentenza di questo Consiglio n. 4918/2023 che ha annullato il provvedimento di diniego di iscrizione del 18 maggio 2018, stabilendo sul piano conformativo che tale riesame avvenisse al fine di valutare la richiesta di iscrizione della Br. Sc. Gr. S.r.l. nell'elenco degli enti certificatori, trasmessa in data 9 maggio 2017, ai sensi del D.M. n. 3889 del 2012 e secondo i criteri fissati in sentenza. Il secondo concerne l'irrilevanza ai fini di causa della nuova disciplina dettata nel 2022, dovendo il giudice valutare gli elementi del contenzioso, in attuazione del principio tempus regit actum, alla luce dell'elenco di cui al D.M. n. 3889 del 2012, di cui all'originaria domanda. Il tema dello specifico rapporto tra il D.M. n. 3889 del 2012 e il preavviso di rigetto del 16 giugno 2023, ritenuto dal giudice dell'ottemperanza non pertinente al perimetro del giudizio, è stato specificamente affrontato nel punto 2.3 della sentenza di ottemperanza e alcun errore di fatto da poter porre fondatamente a base della domanda revocatoria emerge in concreto dall'esame degli atti di causa e dagli argomenti dedotti in ricorso per le ragioni sopra rappresentate. Il terzo punto concerne l'irrilevanza ai fini del presente giudizio della questione posta nella domanda revocatoria sul risarcimento del danno, in quanto la sentenza di ottemperanza non si pronuncia nel merito, formulando una riserva in mera ipotesi. Conclusivamente, ritiene il Collegio non sussistere l'errore revocatorio ex artt. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e 106 cod. proc. amm, evocato dalla ricorrente, non emergendo nella revocanda decisione alcun fatto la cui veridicità risulti incontrovertibilmente esclusa dagli atti di causa. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso per revocazione. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile e condanna i ricorrenti a rifondere in favore della Br. Sc. Gr. S.r.l. le spese del giudizio, che si liquidano in complessivi euro 3000,00, (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Angela Rotondano - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Marco Valentini - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9506 del 2022, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...) contro Ministero dell'istruzione e del merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato in Roma, via (...) per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 396/2021. Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione e del merito; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Oggetto del giudizio è la richiesta di revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 396 del 12 gennaio 2021 resa nei giudizi riuniti iscritti ai RR.GG. nn. 5765, 5953, 6642, 6666 e 8570 del 2019, sentenza con cui sono stati definitivamente respinti i ricorsi di primo grado proposti, tra gli altri anche dalla ricorrente, per l'annullamento degli atti relativi al corso-concorso per dirigenti scolastici di cui al decreto del direttore generale del Miur n. 1259 del 23 novembre 2017. Con ricorso dinanzi al Tar Lazio la ricorrente, infatti, impugnava gli esiti delle prove scritte del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici, indetto con il citato DDG, sollevando plurime censure avverso le operazioni selettive che sosteneva essere inficiate da vizi di legittimità sia sostanziali che procedurali. Con sentenza in forma semplificata n. 8670 del 3 luglio 2019 il Tribunale adito accoglieva il ricorso ritenendo fondato il solo motivo di censura attinente all'illegittima composizione della commissione esaminatrice, convocata in seduta plenaria per l'adozione della griglia di valutazione a specificazione dei criteri di massima già definiti dal comitato tecnico scientifico. Con distinti appelli, il Ministero dell'istruzione ed alcuni controinteressati soccombenti impugnavano la sentenza del Tar ed ottenevano in via cautelare l'ordinanza n. 3514 del 12 luglio 2019, con cui la sezione VI accoglieva la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata in ragione dell'interesse pubblico al completamento della procedura concorsuale e alla conseguente copertura dei posti vacanti e disponibili banditi. Con sentenza n. 396 del 12 gennaio 2021 la sezione VI di questo Consiglio di Stato accoglieva gli appelli principali, ritenendo non fondata la censura attinente alla illegittima composizione della commissione esaminatrice riunitasi in seduta plenaria per l'approvazione della griglia di valutazione, e rigettava i motivi di doglianza riproposti dalla ricorrente in ordine ai lamentati vizi di illegittimità per sviamento e violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e par condicio. Con ricorso ex art. 106 c.p.a. (RG n. 7080/2021) la ricorrente impugnava una prima volta la sentenza n. 396/2021 prospettando vizi revocatori derivanti dal successivo rinvenimento di documenti decisivi alla definizione favorevole del giudizio, in particolare: l'acquisizione degli elaborati presentati dai candidati risultati idonei e parte del cd. "codice sorgente" per il funzionamento della piattaforma telematica. Deduceva, altresì, l'errore di fatto compiuto in ordine al mancato esame di censure mosse circa le ragioni di incompatibilità del commissario prof. -OMISSIS-. Con sentenza n. 8516 del 4 ottobre 2022 la sezione VII di questo Consiglio di Stato dichiarava inammissibile l'impugnazione straordinaria: - quanto ai motivi formulati ai sensi dell'art. 395 comma 1 n. 3), stante la mancata dimostrazione del dies a quo ai fini della verifica del rispetto del termine decadenziale di proposizione del rimedio, nonché per l'assenza di decisività dei documenti successivamente acquisiti; - quanto alla domanda di revocazione proposta ai sensi dell'art. 395 comma 1 n. 4) e, dunque, per "un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa", osservando visto che lo stesso non può coinvolgere mai la successiva attività di ragionamento ed apprezzamento (o d'interpretazione e valutazione) che forma il convincimento del Giudice né, tanto meno, può riguardare la asserita erronea interpretazione delle norme applicabili. Con il ricorso in epigrafe la ricorrente ha proposto una seconda volta domanda di revocazione della sentenza n. 396/2021, asseritamente dopo aver appreso che la Procura della Repubblica di Roma ha concluso le indagini avviate nei confronti di alcuni commissari facenti parte dei collegi operanti nella Regionale Lazio (commissioni nn. 13, 14, 15, 18, 19 e 20), ravvisando ipotesi di reato ex art. 479 c.p. per falsità delle dichiarazioni contenute nei verbali. Ritiene la ricorrente che, come più volte rappresentato nel corso del giudizio, le anomalie comportamentali ravvisate dalla Procura della Repubblica emergerebbero dal raffronto tra le attestazioni formali e l'analisi dei dati e metadati generati dalla piattaforma, sicché sarebbero passibili di disamina e considerazione dal giudice amministrativo nelle more delle doverose verifiche penali. Osserva che si tratterebbe di disfunzioni che non soltanto riguarderebbero le sotto-commissioni oggetto di indagine dalla Procura di Roma ma connoterebbero anche altre sotto-commissioni, come sarebbe dimostrato dalla presentazione di esposti anche in altre sedi: indagini che getterebbero ombre sulla correttezza delle operazioni selettive e, quindi, sul rispetto dei principi di imparzialità e neutralità della procedura di reclutamento. Nel dedurre "Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395 cod. proc. civ." la ricorrente opina che le recenti circostanze - conosciute a seguito di pubblicazione a mezzo stampa - e l'acquisizione degli esiti dell'indagine penale legittimerebbero la rimeditazione delle conclusioni rassegnate nella decisione impugnata, con rivalutazione delle doglianze prospettate nel giudizio alla luce degli accertamenti compiuti dall'autorità inquirente. Il rigetto del ricorso sarebbe scaturito, a parere della ricorrente, da una valutazione solo parziale dei fatti di causa, il cui apprezzamento sarebbe suscettibile di influire in modo preponderante sul giudizio, ben potendo quest'ultimo sortire un esito diverso laddove venissero prese in considerazione le discordanze oggettive tra il contenuto dei verbali e le risultanze informatiche, in quanto segno evidente dell'inidoneità della piattaforma a garantire condizioni minime di trasparenza delle operazioni concorsuali. Il Ministero dell'istruzione, unica parte alla quale è stato notificato il ricorso, si è costituito formalmente depositando documentazione fra cui una relazione a firma del dirigente dell'ufficio VII contenzioso della Direzione generale per il personale scolastico, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'istruzione e del merito recante l'illustrazione della vicenda procedurale e le controdeduzioni dell'amministrazione. In particolare nella suddetta relazione si opina che il ricorso sarebbe strumentale e tautologicamente volto a conseguire un'utilità in difetto della benché minima prova di resistenza, così presentandosi come abuso del mezzo processuale concretizzatosi in una vera e propria lite temeraria. Il Ministero ha, altresì, depositato documentazione in cui dà conto della sopravvenienza di disposizioni normative e amministrative che farebbero comunque venire meno l'interesse della parte ricorrente alla decisione. Con memoria depositata in data 27 marzo 2024 la parte ricorrente, nel replicare alle avverse eccezioni di temerarietà della lite, ha comunque chiesto di dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, con compensazione delle spese di giudizio, avendo la stessa potuto presentare domanda di partecipazione al concorso riservato di cui l'art. 5, comma 11 quinquies del decreto legge 29 dicembre 2022, n. 198. Con separato atto depositato in pari data il difensore della parte ricorrente ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 16 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Va premesso in rito che, per giurisprudenza costante, l'omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti in una causa inscindibile non determina l'inammissibilità del gravame ma la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa, anche laddove il litisconsorte necessario pretermesso non sia stato neppure indicato nell'atto di impugnazione, pena la nullità del procedimento e della sentenza che l'ha concluso (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2021, n. 2114; id., sez. VI, 21 marzo 2019, n. 8065; Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2016, n. 1875). Ciò posto, pur dovendosi rilevare che l'impugnazione è stata proposta soltanto nei confronti del Ministero dell'istruzione, il Collegio ritiene di non disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti necessarie, in ossequio al principio di economia del giudizio cui si ispira l'art. 49 comma 2, c.p.a., secondo cui "l'integrazione del contraddittorio non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato". 3. Sempre in via preliminare il Collegio rileva che con l'art. 5, comma 11 quinquies del decreto legge 18 novembre 2022, n. 176, recante "Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica", introdotto in sede di conversione con legge 13 gennaio 2023, n. 6, ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione (dunque, a decorrere dal 28 febbraio 2023), il legislatore, al dichiarato fine "di coprire i posti vacanti di dirigente scolastico", nonché di "prevenire le ripercussioni sull'Amministrazione dei possibili esiti dei contenziosi pendenti in relazione" al concorso indetto con decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 1259 del 23 novembre 2017 (oggetto del presente giudizio) ha previsto l'organizzazione di un corso intensivo di formazione con espletamento di una prova finale, le cui modalità di partecipazione dovranno essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge n. 198 del 2022, al quale sono ammessi a partecipare, ai fini che in questa sede rilevano, i candidati al concorso indetto con DDG 23 novembre 2017 n. 1259, che "abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova scritta del predetto concorso". 3.1. La parte appellante, dunque, versa proprio nelle condizioni previste dalla suddetta previsione tanto che, come ha dichiarato, è stata ammessa a partecipare al corso intensivo, come stabilito dal successivo comma 11 sexies del citato articolo 5, a seguito del superamento, "con un punteggio pari ad almeno 6/10, di una prova scritta, basata su sistemi informatizzati, a risposta chiusa". Ne deriva, quindi, che, per effetto della richiamata sopravvenienza normativa, l'appellante ha conseguito il bene della vita sotteso alla proposizione del giudizio in trattazione. Pertanto il ricorso, analogamente a quanto disposto in giudizi analoghi (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 9 maggio 2023, n. 4697), va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.. Infatti, in caso di espressa dichiarazione della parte di non aver più alcun interesse alla decisione del ricorso, il giudice non può decidere la controversia nel merito, né procedere di ufficio, né sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire, ma solo adottare una pronuncia in conformità alla dichiarazione resa, poiché nel processo amministrativo, in assenza di repliche o diverse richieste ex adverso, vige il principio dispositivo in senso ampio, nel senso che parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell'azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione, in tal modo provocando la presa d'atto del giudice, il quale, non avendo il potere di procedere di ufficio, né quello di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire, non può che dichiarare l'improcedibilità del ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2021, n. 4789). 4. In considerazione della natura della sopravvenienza alla base della declaratoria di improcedibilità del ricorso e del tenore della difesa del Ministero intimato, che ha insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione per insussistenza dei relativi presupposti, si ritiene che la regolazione delle spese del giudizio vada effettuata alla luce del principio della soccombenza virtuale (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. VII, 29 marzo 2024, n. 2976 e 4 ottobre 2022, n. 8515, che hanno dichiarato inammissibili analoghi ricorsi per revocazione proposti da altri ricorrenti aspiranti alla medesima procedura concorsuale). In particolare, il Collegio ritiene che, laddove la causa non fosse stata decisa nel senso dianzi prospettato in ragione della succitata sopravvenienza legislativa, il ricorso per revocazione sarebbe stato dichiarato inammissibile, sia sotto il profilo della tempestività del rilievo dell'asserito vizio, sia sotto il profilo della decisività del vizio medesimo ai fini della decisione. 4.1. Sotto un primo profilo l'inammissibilità emerge ictu oculi dalla rubrica dell'unico motivo, denominato "Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395 cod. proc. civ.", dal quale risulta chiaramente che le censure sono rivolte non già contro la sentenza che ha definito il giudizio di merito, bensì avverso la sentenza che ha deciso il ricorso per revocazione, in contrasto con il divieto posto dall'art. 107, comma 2, c.p.a.. 4.2. Inoltre la proposta revocazione è inammissibile perché le stesse argomentazioni in questa sede riproposte sono state già ritenute inidonee a configurare le ipotesi di cui all'art. 395 comma 1, n. 3), dalla sentenza di questa sezione n. 8515 del 4 ottobre 2022, sicché la mera riproposizione delle stesse viola il principio del ne bis in idem, che opera anche nel processo amministrativo, il quale comporta che al giudice del medesimo grado di giurisdizione è precluso di pronunciarsi su questioni già definite da sentenza, con la conseguenza che è inammissibile che una questione già decisa possa essere oggetto di una nuova decisione (sia pure confermativa) dopo il passaggio in giudicato della precedente (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2013, n. 3657). Costituisce ius receptum, affermato in relazione al processo amministrativo di appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; sez. V, 16 febbraio 2015, n. 806) che, ai sensi degli artt. 2929 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., applicabili anche al processo amministrativo, la regola del ne bis in idem presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta, e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2021, n. 3618). 4.3. Nel caso di specie, come risulta testualmente dagli atti, la domanda revocatoria formulata nel presente giudizio è identica a quella proposta, unitamente ad altre, nel giudizio n. 7084/2021 (il cui contenuto è più ampio) definito con sentenza n. 8516/2022; identiche sono, altresì, le ragioni invocate a sostegno di tale domanda, di talché la proposizione del nuovo ricorso determina una evidente duplicazione di giudizi, in violazione appunto del principio del ne bis in idem. La rilevata identità delle domande e delle ragioni poste a fondamento delle stesse non è scalfita dalla circostanza, prospettata dalla parte, della conclusione delle indagini preliminari, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, con cui è stata contestata la commissione di alcune fattispecie criminose a carico di alcuni commissari del concorso oggetto di causa. Infatti la suddetta circostanza - stante la mancata specificazione, da parte della ricorrente, di quale fattispecie di reato si sarebbe verificata - non integra nessuna delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 395 c.p.c. per la proposizione della revocazione. 4.4. Invero non sono idonei a realizzare la fattispecie di cui all'art. 395 n. 1 la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio - su fatti decisivi della controversia - o la mancata produzione di documenti, che possono configurare comportamenti censurabili sotto il diverso profilo della lealtà e correttezza processuale, ma non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall'ordinamento al fine di pervenire all'accertamento della verità (cfr. Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5522). 4.5. Il n. 2 del medesimo art. 395 configura un caso di revocazione straordinaria, che ricorre nell'ipotesi in cui si sia giudicato in base a prove false, allorché tale falsità sia stata riconosciuta (dalla parte vittoriosa) o dichiarata (dal giudice) successivamente alla sentenza, oppure anche anteriormente a questa, ma a condizione che la parte interessata non ne avesse avuto notizia. Inoltre, la giurisprudenza afferma costantemente che la prova della falsità deve essere precostituita alla domanda, escludendo pertanto che il relativo accertamento possa costituire oggetto del giudizio di revocazione (cfr. Cass. civ. sez. I, 29 agosto 1998, n. 8650). La conclusione delle indagini da parte della Procura della Repubblica non è qualificabile come "uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario", ipotesi prevista dal n. 3. 4.6. Quanto al motivo di cui al n. 4 è noto che l'errore di fatto, che legittima l'impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi, sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia (cfr. Cass., sez. un., 9 maggio 2007, n. 10637). L'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c., è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; il caso non ricorre invece nell'ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2024, n. 771; id. sez. III, 18 gennaio 2024, n. 608; id. sez. IV, 19 ottobre 2023, n. 9100, id. sez. II, 12 ottobre 2023, n. 8902). 4.7. Non costituiscono vizi revocatori né l'errore di diritto sostanziale o processuale, né l'errore di giudizio o di valutazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 13 dicembre 2023, n. 34854). In altre parole, l'errore produttivo di revocabilità della sentenza è l'errore ostativo del giudice, l'erronea percezione di un fatto obiettivamente certo, e non controverso fra le parti (il lapsus gnoseologico), errore senza il quale il giudice avrebbe indubitabilmente orientato in maniera differente il proprio giudizio. Non rientrano, invece, fra i casi di revocazione: 1) l'errore sul fatto oggetto di contestazione fra le parti e rimesso alla valutazione del giudice proprio al fine di dirimere il conflitto; 2) l'errore non percettivo, ma intellettivo del giudice, ossia quello - ascrivibile in ipotesi anche ad ignoranza culturale, sia in generale, che specificamente giuridica - consistito non nell'avere udito o visto o letto male, ma nell'avere seguito un percorso sillogistico non corretto, traendo conclusioni intellettive non coerenti con la premessa del dato di fatto, il che è l'errore di valutazione vero e proprio, o errore di convincimento, che può essere di fatto o di diritto (cfr. Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608). 4.8. Infine i motivi di cui ai numeri 5 e 6 non sono stati neanche prospettati. Conclusivamente, per quanto precede, in mancanza della rilevata improcedibilità, il ricorso sarebbe stato dichiarato inammissibile. 5. A tanto consegue la regolamentazione delle spese di lite secondo il principio di soccombenza virtuale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore dell'amministrazione appellata, delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila) oltre oneri di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 4370 del 2023, proposto da AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e ADER-Agenzia delle Entrate Riscossione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Pi. Za., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Al. e Mi. Dalla Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Al. in Verona, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 1635/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Pi. Za.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi e udito per la parte appellante l'avvocato dello Stato Lo. Vi.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso del 2022 il signor Pi. Za., in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, ha chiesto al Tar per il Veneto l'annullamento: - della comunicazione ad oggetto "comunicazione di iscrizione ipotecaria", Documento n. 07720221460000006007, Fascicolo n. 2022/1431, intestata all'Agenzia delle Entrate - Riscossione competente per la provincia di Padova (PD), e ricevuta dal ricorrente a mezzo racc. a.r. il 1 luglio 2022, con allegato "Dettaglio delle somme da pagare" - (relativo: - alla cartella di pagamento n. 07720207150031965000 asseritamente notificata il 24 marzo 2015 di totali Euro 471.172,81 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2004/05, 2005/06, 2006/07, 2007/08; - alla cartella di pagamento 07720207180215018000, asseritamente notifica il 22 dicembre 2018 per totali Euro 242.064,02 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2000/01 e 2003/04; - alla cartella di pagamento n. 07720207280165249000 asseritamente notificata il 27 novembre 2008 per totali Euro 143.965,22 - ente creditore "non censito" - per prelievi latte ed interessi relativi ai periodi 2001/02 e 2002/03; - alle spese di procedura per un totale di Euro 2.634,04; e quindi con indicazione di "Totale dovuto alla data del 01/06/2022" pari ad Euro 859.838,09) - con la quale si avverte dell'avvenuta iscrizione ipotecaria ai sensi dell'art. 77 del d.p.r. n. 602/73 con "nota 12311/2083 del 30/05/2022" sui beni immobili di proprietà del ricorrente in Comune di (omissis) (VI) per un importo pari al doppio di quello risultante dal prospetto nella sezione "Dettaglio delle somme da pagare"; - di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto, comprese le cartelle di pagamento riportate nell'allegato "Dettaglio delle somme da pagare" alla comunicazione descritta sub 1 - già sopra indicate -, ed i relativi ruoli, nonché la Nota di iscrizione ipotecaria Registro Generale n. 12311 e Registro Particolare n. 2083 del 30 maggio 2022 presso l'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Vicenza - Territorio - Servizio di Pubblicità Immobiliare, nella parte in cui detti atti, anche se non conosciuti, incidono nella sfera giuridica dello stesso ricorrente. 2. Il signor Za., dopo aver precisato di esercitare da sempre l'attività di allevamento di mucche da latte, esponeva le seguenti circostanze in punto di fatto: - con atto di "Costituzione di Fondo Patrimoniale" del 20 settembre 2000, il ricorrente e sua moglie avevano costituito in fondo patrimoniale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 167 e segg. c.c., i beni immobili di proprietà dello stesso ricorrente, catastalmente distinti al Catasto del comune di (omissis), foglio (omissis), mapp. nn. (omissis), nonché al Catasto del comune di (omissis), foglio (omissis), mapp. nn. (omissis); - la costituzione del fondo patrimoniale pertanto opponibile ai terzi, essendo stata, oltre che trascritta (doc. 4), anche annotata nel registro degli atti di matrimonio; - in data 1° luglio 2022, il ricorrente ha ricevuto una serie di comunicazioni di iscrizione ipotecaria tra cui anche quella descritta in epigrafe ed impugnata con il presente ricorso relativa ai beni costituiti in fondo patrimoniale siti in Comune di (omissis), e comunque a cartelle mai notificate allo stesso ricorrente, asseritamente inerenti "prelievi latte" relativi alle annate dal 2000/01 al 2007/08. 3. A sostegno dell'impugnativa avverso i provvedimenti dianzi citati, venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. In via preliminare ed assorbente: illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 170 c.c. - Eccesso di potere per illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, violazione di procedimento tipizzato e carenza di motivazione. II. Illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 77, d.p.r. n. 602/73, dell'art. 7, l. n. 212/200 e dell'art. 3, l. n. 241/90 - Eccesso di potere per illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, violazione di procedimento tipizzato e carenza di motivazione. III. Illegittimità derivata per illegittimità degli atti presupposti. III.I In via preliminare ed assorbente: intervenuta prescrizione della pretesa creditoria - Conseguente nullità e/o comunque illegittimità delle iscrizioni ipotecarie eseguite dall'ADER - Eccesso di potere per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia. III.II - Nullità e/o comunque illegittimità, propria e derivata, degli atti impugnati, per nullità e/o comunque illegittimità comunitaria derivata dei provvedimenti di compensazione nazionale e di imputazione di prelievo (per tutti i periodi indicati nella comunicazione impugnata) per violazione e falsa applicazione dei Reg. (CEE) n. 3950/92, n. 536/93, n. 1256/1999, n. 1392/2001, n. 1788/2003, n. 595/2004, n. 1234/2007 e n. 72/2009 sia per effettuazione delle compensazioni nazionali in contrasto con la normativa UE sia per mancata verifica in concreto delle produzioni nazionali dichiarate - Eccezione di nullità degli atti presupposti siccome emanati sulla base di norme interne, attributive del potere, che debbono essere disapplicate per contrarietà al diritto comunitario - Mancata disapplicazione della normativa interna non conforme ai regolamenti comunitari - Violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 34, l. n. 119/03, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, degli artt. 1 e 3, l. n. 241/1990, degli artt. 2, 3, 11, 24 e 97 della Costituzione nonché dell'art. 4, comma 3, TUE (ex art. 10 TCE) - Eccesso di potere per violazione del principio di primazia del diritto UE, del principio di leale cooperazione di cui all'art. 4, comma 3, TUE (ex art. 10 TCE), dei principi unionali di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento, di proporzionalità, di non discriminazione e di effettività, nonché per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, carenza assoluta di motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità nonché dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa, del giusto procedimento, di partecipazione, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 11, 24 e 97 della Cost. - Violazione degli artt. 1, 6 e 13, CEDU. III.III - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, Reg. (CE) n. 536/93, dell'art. 7, Reg. (CE) n. 1392/01 e dell'art. 13, Reg. (CE) n. 595/03, dell'art. 21-bis, l. n. 241/1990, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, del d.m. n. 321 del 03.09.1999 (art. 1, 2 e 6), e successive modifiche ed integrazioni, degli artt. 12 e segg., d.p.r. n. 602/73, degli artt. 1 e 7, l. n. 212/2000, ancora degli artt. 1 e 3, l. n. 241/90, e degli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3-bis, l. n. 53/94, degli artt. 6-bis e 6-ter, d.lgs. n. 82/05, dell'art. 16-ter, l. n. 221/12, degli artt. 26 e 50, d.p.r. n. 602/73, dell'art. 60, d.p.r. n. 600/73 - Eccesso di potere per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell'interesse pubblico nonché dei principi di partecipazione, di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Mancata notifica e/o nullità della notifica degli atti presupposti - Mancanza di esigibilità delle somme iscritte a ruolo. III.IV. - Nullità e/o comunque illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 170 cc., degli artt. 1, 3, 21-bis e 21-septies, l. n. 241/90, dell'art. 10, comma 34, l. n. 119/2003, degli artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies, l. n. 33/2009, degli artt. 10, 12, 25, 49, 50 e 77, d.p.r. n. 602/73, degli art. 1, 3 e segg., l. n. 241/90, dell'art. 7, l. n. 212/00, dell'art. 1283 c.c., nonché dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, Reg. (CEE) n. 536/93, dell'art. 8, Reg. (CEE) n. 1392/2001 e dell'art. 15, Reg. (CEE) n. 595/2004 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsa rappresentazione della realtà, violazione di procedimento, sviamento dell'interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, carenza assoluta di motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità nonché dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa, del giusto procedimento, di partecipazione, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. - Nullità e/o annullabilità della comunicazione di iscrizione ipotecaria impugnata e degli atti presupposti per mancanza dei requisiti essenziali - Contestazione della procedura di iscrizione ipotecaria finalizzata al recupero dei prelievi - Contestazione dell'an e del quantum della pretesa indicata - Contestazione della pretesa di interessi, anche di mora. 3.1 Si chiedeva anche la condanna delle Amministrazioni convenute al pagamento di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente a seguito dell'invio delle comunicazioni impugnate, nella misura che sarà determinata e quantificata in corso di causa - con riserva di quantificazione - anche a seguito di espletanda CTU, o che comunque sarà determinata in via equitativa dal giudice per le voce di danno di non agevole o di impossibile quantificazione, anche ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 26 c.p.a.. 4. Le Amministrazioni resistenti, nonostante la regolarità della notifica, non si sono costituite nel giudizio di primo grado. 5. Con sentenza n. 1635/2022 il Tar per il Veneto ha accolto il ricorso, annullando per l'effetto l'atto impugnato. 5.1 Il Tar ha posto a sostegno della propria decisione le seguenti considerazioni: "- Rilevato che il ricorrente ha impugnato il provvedimento di iscrizione ipotecaria concernente le cartelle di pagamento per i prelievi di quote latte relative alla propria attività aziendale; - che le Amministrazioni resistenti, nonostante la regolarità della notifica, non si sono costituite in giudizio; - che, all'esito dell'udienza del 26 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione e viene decisa in forma semplificata sussistendone i presupposti; - che i terreni sottoposti ad iscrizione ipotecaria coincidono con i mappali oggetto di una convenzione matrimoniale sottoscritta nel 2000; - che la convenzione matrimoniale è trascritta a margine dell'atto di matrimonio ed è, quindi, opponibile a terzi (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2019, n. 12545); - che gli asseriti debiti in relazione ai quali è stata effettuata l'iscrizione ipotecaria non concernono debiti contratti per i bisogni della famiglia (Cass.civ., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983; id., sez. trib., 27 febbraio 2020, n. 5369); - che il ricorso, pertanto, è fondato per le ragioni di carattere assorbente sopraindicate e sviluppate nella prima censura dedotta e, conseguentemente, il provvedimento di iscrizione ipotecaria impugnato deve essere annullato". 6. Avverso la citata sentenza del Tar per il Veneto hanno proposto appello l'AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e l'Agenzia delle Entrate Riscossione ADER, per i motivi che saranno più avanti esaminati. 7. Si è costituito il signor Pi. Za., in proprio e quale titolare dell'omonima azienda agricola, chiedendo il rigetto dell'appello. 8. Con ordinanza n. 2456/2023 la Sezione ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della fissazione del merito a breve, rinviando per la trattazione del merito all'udienza del 16 novembre 2023. 9. In esito all'udienza del 16 novembre 2023 è stata emanata l'ordinanza n. 10134/2023 (pubblicata il 27 novembre 2024) con la quale si sono invitate le parti a prendere posizione su una questione considerabile dirimente per l'esito del giudizio. Tale questione riguardava la definizione degli ambiti di operatività del fondo patrimoniale per quanto rilevante in questa sede. Nel termine assegnato le parti hanno presentato memorie con le quali hanno preso posizione sulla questione prospettata nella citata ordinanza. 10. All'udienza del 4 aprile 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Parte appellante propone due motivi di appello: a) nullità dell'appellata pronuncia per essere stata emessa in forma semplificata in carenza dei dedicati presupposti di cui all'art. 60 c.p.c.; b) inopponibilità del fondo patrimoniale all'Agente per la riscossione in quanto nella fattispecie non si applica l'art. 170 c.c. e comunque, insussistenza della prova del fatto che i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza della circostanza. 1.1 L'appellato: a) eccepisce l'inammissibilità del ricorso in appello per cessata materia del contendere a seguito della cancellazione dell'iscrizione ipotecaria da parte dell'ADER; b) contesta il fondamento nel merito dei due motivi di appello; c) ripropone tutti gli altri motivi proposti in primo grado. 2. Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla difesa del signor Za.. In particolare la difesa di parte appellata sostiene che: - dopo pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata (28 novembre 2022), ed esattamente in data 7 dicembre 2022, l'ADER ha dato spontanea esecuzione alla sentenza di annullamento di primo grado, cancellando in via definitiva l'iscrizione ipotecaria annullata; - l'iscrizione di cui è causa non potrà più "rivivere" essendo stata definitivamente cancellata nemmeno in caso di accoglimento dell'appello, tutto incentrato sulla legittimità di tale iscrizione; - da ciò l'inammissibilità dell'appello (proposto in data 28 aprile 2023, ossia a distanza di mesi dall'avvenuta cancellazione dell'ipoteca di cui è causa) per cessata materia del contendere. 2.1 L'eccezione non può essere accolta. Come ribadito in udienza dalla difesa di parte appellante, AGEA ha cancellato l'ipoteca in diretta esecuzione della sentenza appellata, provvisoriamente esecutiva. L'esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell'Amministrazione soccombente non fa venir meno l'interesse della stessa all'appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo; secondo questo indirizzo - applicativo dell'effetto espansivo esterno della sentenza di riforma in appello previsto dall'art. 336,comma 2, c.p.c. - solo nel caso in cui emerga in modo esplicito la volontà dell'Amministrazione di accettare l'assetto di interessi conseguente alla sentenza di primo grado potrebbe ipotizzarsi un interesse contrario a quello palesato con la proposizione dell'appello (Cons. Stato, sez. V, 11/06/2019, n. 3911). Nella specie l'Amministrazione si è limitata a dare doverosamente esecuzione alla sentenza impugnata, ma non ha in alcun modo manifestato la volontà di accettare le statuizioni in essa contenute. Al contrario, appare palese la volontà di AGEA di coltivare l'appello. L'interesse alla decisione sull'appello persiste. 3. Il primo motivo di appello è rubricato: Violazione e falsa applicazione art. 60 c.p.a. - nullità della sentenza e comunque sua ingiustizia per avere il TAR deciso la causa, con pronuncia in forma semplificata, all'udienza dedicata all'esame della domanda di cautela, pur a fronte della mancata costituzione delle Amministrazioni resistenti AGEA, senza neppure tentare l'ordine di esibizione documentale. Parte appellante sostiene che: - la pronuncia appellata è nulla per essere stata emessa in forma semplificata in carenza dei dedicati presupposti di cui all'art. 60 c.p.c., in particolare dell'accertamento del requisito della completezza della istruttoria; - l'incompletezza dell'istruttoria è evidente in considerazione del fatto che le Agenzie resistenti non si sono costituite in giudizio; - il primo Giudice, in palese violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa delle Agenzie resistenti, ha ritenuto di poter definire il contenzioso con sentenza in forma semplificata, nonostante la notifica del ricorso nei confronti dell'ADER si fosse perfezionata in data 28/09/2022, ovvero solo 30 giorni prima dell'udienza camerale tenutasi il 26/10/22 e dunque, alla data dell'udienza cautelare, fosse ancora pendente il termine previsto dall'art. 46 c.p.a. per consentire alla stessa di "costituirsi, presentare memorie, fare istanze, indicare i mezzi di prova (..) e produrre documenti". 3.1 Il motivo è infondato. La possibilità della pronuncia di merito "immediata" in sede di decisione della domanda cautelare è prevista dalla normativa processuale come una variante propria della relativa fase, in chiave di accelerazione (e di semplificazione) del giudizio, le parti intimate ritualmente notificate sono perciò a conoscenza di tale possibilità, all'evidenza incoraggiata dal legislatore quantunque rimessa in concreto al prudente apprezzamento del Collegio, e quindi, se il giudizio cautelare è regolarmente tenuto secondo i termini di cui all'art. 55, comma 5, cod. proc. amm., possono (ovvero è loro interesse) costituirsi ed essere presenti nell'udienza camerale per ogni connesso adempimento, nonché per l'eventuale opposizione alla definizione immediata del giudizio, potendo in camera di consiglio prospettare tra l'altro l'incompletezza dell'istruttoria e la necessità di assumere mezzi di prova; depone in tal senso la previsione per cui il collegio pronuncia sull'istanza cautelare nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno "dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione" (art. 55, comma 5. citato) e può definire il giudizio in forma semplificata sentite le parti costituite "purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso " (art. 60, comma 1), venendo evidentemente ritenuta la completezza del contraddittorio con il perfezionamento dell'ultima notificazione e consentita perciò l'ipotesi della sentenza breve nella camera di consiglio convocata dal ventesimo giorno successivo (in motivazione, Cons. Stato, sez. VI, 04/06/2015, n. 2755). Il richiamo operato, da parte delle appellanti, alla pronuncia del Consiglio di Stato n. 1752/2022 non priva di fondamento la conclusione appena esposta perché nella specie il primo giudice ha deciso la controversia (non correttamente, come si dirà ) su un punto di diritto ritenuto dirimente: attraverso la costituzione in udienza dinanzi al TAR, nei termini prima indicati, parte appellante avrebbe potuto ben esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa su detto punto, anche attraverso (si ribadisce) la richiesta di mezzi istruttori utili ad una cognizione piena del rapporto, il che non è invece avvenuto. L'appellante non ha provato di essere stata privata, nella specie, delle necessarie garanzie procedimentali che è, viceversa, l'aspetto su cui si era appuntata la decisione n. 1752/2022. Per concludere sul punto, il giudizio dinanzi al TAR, per quanto svoltosi indubbiamente con molta, forse troppa, rapidità (data la novità delle questioni dedotte), non ha visto, non almeno sul piano "formale", la lesione del contraddittorio ai danni della originaria parte resistente. 4. Il secondo motivo di appello è rubricato: Violazione e falsa applicazione art. 170 c.c. - Erroneità della sentenza nella parte in cui dichiara l'illegittimità dell'iscrizione ipotecaria - richiesta di autorizzazione a produrre nuovi documenti in ragione dell'erroneità e ingiustizia della pronuncia resa in prime cure, e/o siccome indispensabili ai fini della decisione ex art. 104, co. 2, c.p.a. Le appellanti censurano la decisione nella parte in cui il Tar ha annullato il provvedimento impugnato affermando che: "gli asseriti debiti in relazione ai quali è stata effettuata l'iscrizione ipotecaria non concernono debiti contratti per i bisogni della famiglia (Cass. civ., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29983; id., sez. trib., 27 febbraio 2020, n. 5369)". La difesa di AGEA e ADER sostiene che il fondo patrimoniale non è opponibile all'Agente per la riscossione in quanto nella fattispecie non si applica l'art. 170 cc e comunque, qualora ritenuto che tale disposizione sia applicabile alla fattispecie, non sussiste alcuna prova del fatto che i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore fosse a conoscenza della circostanza. 4.1 Sotto un primo profilo si contesta l'applicabilità dell'art. 170 del codice civile, affermando che: - l'art. 170 c.c., in quanto norma speciale, deroga alla regola generale della garanzia patrimoniale generica, ed è insuscettibile di applicazione analogica; - l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 d.p.r. n. 602 del 1973 non è riconducibile all'ipotesi di ipoteca volontaria o giudiziale di cui all'art. 2808 e ss. c.c., in quanto nella prima mancano, rispettivamente, il consenso del debitore e la pronuncia del giudice; - inoltre, l'iscrizione ipotecaria, prevista dal richiamato articolo 77 del d.p.r. 602/73, non può essere considerata un atto dell'espropriazione forzata, dovendosi piuttosto considerarla un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria; - non esistono, pertanto, le premesse su cui si basa il ragionamento svolto dal primo giudice; - l'ipoteca, atto avente natura e finalità cautelare e non di esecuzione, deve ritenersi, legittimamente apposta in quanto l'art. 170 c.c., concerne ben altra fattispecie. 4.2 Sotto un secondo profilo si eccepisce l'insussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 del codice civile, sostenendo che: - l'art. 170 c.c. prevede la necessaria sussistenza di due presupposti per l'applicabilità del limite alla pignorabilità del bene: (i) che il debito sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia; (ii) che detta circostanza fosse conosciuta dal creditore; - il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia; - sono ricompresi nei detti bisogni anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi; - non possono essere sottratti all'azione esecutiva dei creditori i beni costituiti per bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione del tenore di vita familiare, così da ricomprendere anche i debiti derivanti dall'attività professionale o di impresa di uno dei coniugi qualora il fatto generatore dell'obbligazione sia stato il soddisfacimento di tali bisogni, da intendersi in senso ampio; - quanto alla prova dell'estraneità del fatto generatore del credito ai bisogni della famiglia, l'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., ed in particolare che il debito per cui si procede sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore sia a conoscenza di tale estraneità, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale; - è onere del contribuente fornire prova dell'estraneità delle obbligazioni a bisogni familiari poiché vi è presunzione che l'attività lavorativa in genere (inclusa quella imprenditoriale) è svolta per assolvere esigenze a carattere familiare; - il fondo patrimoniale non rappresenta un limite alla soddisfazione della pretesa sui beni che vi sono conferiti, salvo che il debitore dia prova che il fatto generatore dell'obbligazione sia stato posto in essere per esigenze e finalità sue proprie, estranee a quelle familiari, in quanto di carattere voluttuario o meramente speculativo. In mancanza di tale prova opera la presunzione di inerenza; - in ogni caso, quand'anche fosse stata dimostrata la natura voluttuaria o speculativa dell'operazione da cui sia sorto il debito, lo stesso debitore avrebbe dovuto provare anche che l'ente di esazione ne fosse a conoscenza; - la costituzione del fondo rappresenta, quindi, un vincolo prima di tutto per chi lo ha costituito (cfr. artt. 168 e 169 c.c.) e solo in via residuale, al fine di garantire l'effettività di tale cautela, per i creditori, nel limite in cui però sia data prova che questi ultimi avessero, tra l'altro, legale conoscenza del fondo (per l'avvenuta annotazione a margine dell'atto di matrimonio); - in mancanza delle suddette prove continua ad operare una presunzione iuris tantum di inerenza ai bisogni della famiglia, con piena efficacia del diritto dell'esponente di soddisfarsi su tutti i beni del patrimonio del debitore ex art 2740 c.c., ivi inclusi quelli conferiti nel fondo patrimoniale; - il privato - nel contestare la legittimità dell'iscrizione ipotecaria, perché avvenuta al di fuori delle condizioni legittimanti previste dall'art. 170 c.c. - aveva l'onere di allegare e dimostrare i fatti costitutivi dell'illegittimità dell'iscrizione. 4.3 La parte appellata ha contestato il fondamento del secondo motivo di appello sostenendo che: - la procedura di riscossione doveva necessariamente rispettare le condizioni previste dall'art. 170 c.c., ma così non è stato, come già accertato in primo grado; - agli atti del giudizio di primo grado era presente tutta la documentazione necessaria alla dimostrazione della regolare costituzione del fondo patrimoniale: da ciò la pacifica opponibilità del fondo patrimoniale ai terzi e quindi anche alle Amministrazioni appellanti; - il prelievo supplementare ha natura peculiare: non è un debito "ordinario" derivante da un'attività agricola o di impresa in genere, e neppure un tributo, ma piuttosto una restrizione dovuta a regole di politica dei mercati o di politica strutturale, equiparata ad una "irregolarità ", ed è quindi una misura patrimoniale imposta, di carattere restrittivo, al verificarsi di determinate condizioni, che non dipendono solo dai singoli produttori, ma anche dalle scelte effettuate dagli Stati membri, per consentire il riequilibrio del mercato agricolo in applicazione del regime comunitario delle quote latte; - una siffatta misura patrimoniale, quale è appunto il prelievo supplementare, non solo non può essere considerato un debito contratto per i bisogni essenziali di una famiglia per la propria vita ordinaria e quotidiana, ma neppure rientra tra i debiti, essenziali o voluttuari che siano, normalmente contratti da un'azienda agricola produttrice di latte e neppure tra quelli di natura tributaria, attenendo non tanto alla gestione imprenditoriale o societaria (dipendenti, rapporti con i fornitori, approvvigionamenti, scorte vive e scorte morte, tasse e imposte), ma derivando invece e soprattutto dall'applicazione data dallo stesso Stato italiano alla normativa comunitaria, ed particolare da una delle Amministrazioni appellanti, ossia da AGEA; - le stesse Amministrazioni appellanti erano certamente a conoscenza della particolare natura del credito in questione e dell'assoluta e manifesta estraneità dello stesso ai bisogni della famiglia; - tutti i presunti debiti posti a base dell'iscrizione ipotecaria di cui all'atto impugnato in primo grado, sono sorti in epoca successiva alla costituzione del fondo patrimoniale; - il credito portato dalle cartelle di pagamento poste a base dell'iscrizione ipotecaria, non è pertanto un credito derivante da un'obbligazione contratta per soddisfare i bisogni della famiglia e quindi i beni del signor Za. facenti parte del fondo patrimoniale non possono essere oggetto di iscrizione ipotecaria; - nella sentenza n. 1979/2023 il Consiglio di Stato ha statuito nel senso propugnato dalla difesa di parte appellata. 4.4 Con ordinanza n. 10134/2023 il Collegio, dopo (i) aver rilevato che tema centrale della presente controversia è il rapporto tra i debiti assunti per ragioni professionali o imprenditoriali e la soddisfazione dei bisogni della famiglia del debitore; e (ii) aver richiamato gli orientamenti più recenti in materia di fondo patrimoniale, ha chiesto alle parti di prendere posizione sui seguenti temi e fatti: "- individuazione della nozione di "bisogni della famiglia" e individuazione del rapporto di tale nozione con la nozione di "obbligazione contratta per i bisogni della famiglia"; - individuazione del criterio attraverso il quale identificare i crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale; - natura dei crediti inerenti i cosiddetti "prelievi di quote latte" e relativi interessi e loro astratta riconducibilità alla nozione di debiti contratti per i bisogni della famiglia; - ruolo del giudice, anche di quello amministrativo, nell'accertamento della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia; - riparto degli oneri probatori tra debitore e creditore in ordine ai presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c.; - operatività concreta dei temi citati nel caso di specie, dando contezza delle condizioni fattuali della parte debitrice". 4.5 Le parti hanno presentato memorie nelle quali hanno puntualizzato la loro posizione riguardo temi e fatti appena richiamati. 4.6 Il secondo motivo di appello è fondato. 4.7 Il Collegio non ignora quanto statuito dalla pronuncia di questa Sezione n. 1979/2023, ampiamente richiamata da parte appellata a sostegno della tesi della infondatezza del motivo di appello. Cionondimeno nel caso di specie non possono trovare applicazione le argomentazioni svolte in quella pronuncia. 4.8 In ordine al primo profilo del secondo motivo di appello con il quale si sostiene che l'art. 170 del codice civile non impedisce l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 d.p.r. n. 602 del 1973, giova richiamare Cassazione civile, sez. trib., 25/05/2016, n. 10794 secondo cui l'inserimento di beni in un fondo patrimoniale non osta all'iscrizione sugli stessi dell'ipoteca da parte dell'Agente per le riscossioni: ciò in quanto le preclusioni previste dall'art. 170 c.c. (che prevede il divieto di esecuzione sui beni del fondo tranne che per obbligazioni contratte per soddisfare i bisogni della famiglia) attengono solo all'esecuzione, rappresentando l'ipoteca iscritta dall'Agente per le riscossioni un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria. Di seguito le considerazioni della Suprema Corte: "Non ignora il Collegio che questa Corte, anche di recente (Sez. 3, n. 1652 del 29/01/2016; Sez. 5, n. 3600 del 24/02/2016; Sez. 6-5, Ord. n. 23876 del 23/11/2015), ha affermato l'applicabilità dell'art. 170 cod. civ. anche all'iscrizione ipotecaria d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 77 e lo ha fatto richiamando il precedente di Sez. 3, n. 5385 del 05/03/2013, il quale a sua volta richiama Sez. 5, n. 7880 del 18/05/2012. Entrambi i precedenti da ultimo citati però - e tralaticiamente anche quelli più recenti - argomentano sulla base della premessa che l'ipoteca ex art. 77 d.p.r. cit. abbia natura di atto funzionale all'esecuzione forzata (premessa essenziale al ragionamento, posto che l'art. 170 cod. civ., si riferisce espressamente, quale attività il cui compimento vieta sui beni del fondo e sui frutti di essi, alla "esecuzione"). Sez. 5, n. 2880 del 2012, in particolare, evoca al riguardo "il tradizionale criterio secondo cui nel concetto di atti di esecuzione rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione stricto sensu, ma tutti i possibili effetti dell'esecutività del titolo e, dunque, anche l'ipoteca iscritta sulla base dell'esecutività del titolo medesimo", con ciò dunque chiaramente postulando, sia pure alla stregua di tale lato criterio definitorio, la possibilità di definire l'iscrizione de qua quale "atto di esecuzione". Tale premessa non può più, però, essere tenuta ferma alla luce della ricostruzione dell'istituto operata, come noto, dalle Sezioni Unite di questa S.C. con sentenza n. 19667 del 18/09/2014. Come noto, infatti, tale pronuncia - richiamata e confermata in motivazione più di recente anche da Sez. U, ord. n. 15354 del 22/07/2015 - ha escluso che l'iscrizione ipotecaria prevista dal d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, possa essere considerata un atto dell'espropriazione forzata, dovendosi piuttosto essa essere considerata "un atto riferito ad una procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria". Tale affermazione di principio, dalla quale non si vede ragione per discostarsi, non può non riverberarsi nella materia qui trattata, nella quale, venuta meno la premessa ricostruttiva fondata come detto sulla qualificazione dell'iscrizione ipotecaria d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 77 come "atto dell'esecuzione", viene meno anche l'applicabilità dell'art. 170 cod. civ., non sembrando superabile il dato testuale sopra già evidenziato, tanto più ove si consideri che, ponendo la norma una eccezione alla regola della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 cod. civ., la stessa è da ritenersi soggetta a interpretazione tassativa". 4.9 Al di là del precedente appena richiamato cui, a quanto consta al Collegio, la Suprema Corte non sembra avere dato in seguito particolare continuità, è dirimente rilevare come sia fondato il secondo profilo del secondo motivo di appello. 4.9.1. Sulla individuazione della nozione di "bisogni della famiglia" e sulla individuazione del rapporto di tale nozione con la nozione di "obbligazione contratta per i bisogni della famiglia". La disciplina del fondo patrimoniale e la ratio del vincolo di destinazione ruotano in gran parte intorno alla locuzione "bisogni della famiglia" contenuta negli artt. 167 e 170 c.c. Il fondo è funzionalmente conformato sullo scopo di soddisfare detti bisogni e costituisce una modalità di adempimento tanto dell'obbligo contributivo primario che di quelli di mantenimento. I bisogni della famiglia sono quelli legati a esigenze (attuali o future) della vita dei componenti della famiglia, siano esse comuni a tutti o siano esigenze individuali capaci di coinvolgere l'interesse della famiglia nel suo complesso. Esiste una esigenza di riconoscibilità sociale dei bisogni rilevanti, quindi di un ancoraggio oggettivo delle esigenze della persona all'interno della famiglia, commisurate anche nella loro estensione alle condizioni economiche di questa. La giurisprudenza tende peraltro ad ampliare la nozione di "bisogni della famiglia", così riequilibrando in favore della tutela dei creditori. Di recente Cassazione civile, sez. III, 08/02/2021, n. 2904, ha affermato: "Si è da questa Corte posto d'altro canto in rilievo che i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì (analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata l. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali) nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento e dall'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (v. Cass., 7/1/1984, n. 134). In altri termini, i bisogni della famiglia debbono essere intesi in senso lato, non limitatamente cioè alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma avendo più ampiamente riguardo a quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo, e al miglioramento del benessere (anche) economico della famiglia (cfr. Cass., 19/2/2013, n. 4011), concordato ed attuato dai coniugi (cfr. Cass., 23/8/2018, n. 20998: Cass.,19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385)". Ma l'estensione della nozione di "bisogni della famiglia" significa anche estendere le ipotesi di "aggredibilità " dei beni che compongono il fondo patrimoniale con il rischio di vanificarne la ratio. Sul punto significativo un passaggio di Cass. civile, sez. III, 15/03/2006, n. 5684: "È stato osservato che in questo modo si finisce con l'estendere i bisogni della famiglia alle attività attinenti alla vita lavorativa dei singoli componenti, legittimando l'espropriazione dei beni del patrimonio familiare per finalità contrarie alla "ratio" dell'istituto". Appare più appagante un approccio che non si limiti a dare rilevanza alla mera esistenza del fondo patrimoniale, ma affidi all'interprete il compito di esaminare le caratteristiche della situazione concreta, secondo un'indagine casistica, così da accertare ogni volta se il debito sorto nell'esercizio dell'impresa possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni della famiglia. Conviene richiamare un ulteriore passaggio della già citata sentenza della Cassazione n. 2904/2021: "Atteso che l'art. 170 c.c., disciplina l'efficacia sui beni del fondo patrimoniale di titoli che possono giustificare l'esecuzione su di essi (v. Cass.,5/3/2013, n. 5385), il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura - ex contractu" o "ex delitto - delle obbligazioni (v. Cass., 26/7/2005, n. 15603; Cass., 18/7/2003. n. 11230), ma nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (v. Cass.,8/7/2003, n. 11230: Cass., 31/5/2006. n. 12998. E, conformemente, da ultimo, Cass., 19/6/2018, n. 16176, Cfr. altresì Cass., 7/7/2009, n. 15862)..... Con particolare riferimento ai debiti derivanti dall'attività professionale o d'impresa del coniuge, anche se la circostanza che il debito sia sorto nell'ambito dell'impresa o dell'attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (v. Cass., 26/3/2014, n. 15886; Cass.,7/7/2009, n. 15862), risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività d'impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12998, ove si è sottolineato come la finalità di sopperire ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa). È pertanto necessario l'accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi (v. Cass.,24/2/2015, n. 3738), avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto. Va al riguardo per altro verso sottolineato che il vincolo di inespropriabilità ex art. 170 c.c., deve essere contemperato con l'esigenza di tutela dell'affidamento dei creditori. Atteso che la prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ove come nella specie venga proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest'ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 29/1/2016, n. 1652; Cass., 19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385; Cass., 7/2/2013, n. 2970; Cass., 15/3/2006, n. 5684). Poiché il vincolo de quo opera esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l'obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, si è sottolineato come tale consapevolezza debba sussistere al momento del perfezionamento dell'atto da cui deriva l'obbligazione. La prova dell'estraneità e della consapevolezza in argomento può essere peraltro fornita anche per presunzioni semplici (v. Cass., 17/1/2007, n. 966; e, conformemente, Cass.,8/8/2007, n. 17418. Con riferimento alla prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori quale condizione per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, cfr. Cass., 11/2/2005, n. 2748). È pertanto sufficiente provare che lo scopo dell'obbligazione apparisse al momento della relativa assunzione come estraneo ai bisogni della famiglia". Per debiti contratti nell'interesse della famiglia si devono intendere, oltre alle spese per le esigenze connesse al mé nage domestico-familiare secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia stessa, anche le spese afferenti le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le spese per esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. 4.9.2 Individuazione del criterio attraverso il quale identificare i crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale. Come affermato da Cass. Civile, sez. trib., 07/06/2021, n. 15741: "il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni (legale o contrattuale), ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia (Cass. n. 15862/2009). Il principio è stato nel tempo confermato e ulteriormente sviluppato da questa Corte, affermando che in tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c., anche per le obbligazioni tributarie, se strumentali ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità ai bisogni della famiglia (Cass. n. 23876/2015). Ed ancora, si è affermato che il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l'esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura dell'obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l'esercizio dell'attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall'attività professionale o d'impresa del coniuge, dovendosi accertare se l'obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. n. 3738/2015; Cass. n. 23876/2015; Cass. n. 25443/2017)". 4.9.3 Natura dei crediti inerenti i cosiddetti "prelievi di quote latte" e relativi interessi e loro astratta riconducibilità alla nozione di debiti contratti per i bisogni della famiglia. Non possono essere condivisi gli argomenti esposti da parte appellata circa la natura peculiare del prelievo supplementare e la sua non riconducibilità (per definizione) alla nozione di "debito contratto per i bisogni essenziali di una famiglia". Come già detto, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento potrà essere realizzato in via esecutiva sui beni del fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia. Non esiste, pertanto, un credito che, per definizione, non possa essere considerato contratto per i debiti della famiglia. La regola della piena responsabilità del fondo è applicabile ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con le esigenze familiari. Tale inerenza può sussistere anche con riferimento al prelievo supplementare: l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia. La circostanza che il debito sia sorto nell'ambito dell'impresa o dell'attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia. 4.9.4 Ruolo del giudice, anche di quello amministrativo, nell'accertamento della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia. Come si è già detto, è compito del giudice (nella specie: amministrativo, investito in questa "particolare materia" di giurisdizione esclusiva) accertare la relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto. 4.9.5 Riparto degli oneri probatori tra debitore e creditore in ordine ai presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c. Si è già avuto modo di affermare che grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest'ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Come ribadito da Cass. civile, Sezioni Unite, 08/06/2021, n. 15911 "(i)n tema di riscossione coattiva, l'iscrizione ipotecaria di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l'obbligazione tributaria (...) sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l'onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell'obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa". 4.9.6 L'adempimento degli oneri probatori nel caso concreto. Per dimostrare la non inerenza dei debiti per prelievi latte rispetto ai bisogni della famiglia, parte appellata allega le seguenti circostanze: (i) i coniugi Za., nel 2000, hanno costituto un fondo patrimoniale sui beni di loro proprietà ; (ii) il signor Za. è proprietario anche di altri beni in Sandrigo, che non fanno parte del fondo patrimoniale, e sui quali l'ADER ha iscritto ipoteca per gli stessi (pretesi) debiti per prelievi latte di cui è causa; (iii) i prelievi latte per i quali era stata iscritta ipoteca sui beni di (omissis) rientranti nel fondo patrimoniale, sono relativi alle annate dal 2000/01 al 2007/08 e quindi sono tutti successivi alla costituzione del fondo patrimoniale, avvenuta nel settembre 2000; (iv) tali pretesi debiti per prelievo latte, sono asseritamente portati da una serie di cartelle di pagamento di cui si contesta: la notifica, l'intervenuta prescrizione, l'illegittimità comunitaria della stessa, la mancata notifica dei titoli legittimanti l'iscrizione a ruolo e la mancanza dei requisiti essenziali (v) l'iscrizione ipotecaria di cui è causa, è già stata cancellata dall'ADER nel dicembre 2022; (vi) è velleitario pensare che il signor Za. possa oggi ancora possedere le dichiarazioni dei redditi o la documentazione bancaria degli anni cui si riferiscono i fatti: è quindi evidente che la prova della non inerenza dei (pretesi e sempre contestati) debiti per prelievi latte al soddisfacimento dei bisogni della famiglia non può che essere data per presunzioni semplici. Il signor Za. conclude sul punto affermando che: - nel caso di specie, si può sicuramente presumere la non inerenza dei (pretesi e sempre contestati) debiti per prelievi latte rispetto ai bisogni della famiglia; - si tratta infatti di (pretesi) debiti che non sono stati contratti per soddisfare direttamente ed immediatamente i bisogni della famiglia, ma nemmeno per le esigenze imprenditoriali del signor Za., derivando esclusivamente dalle normative europee dettate al fine riequilibrare il mercato comunitario del latte e dipendendo anche da situazioni (la produzione nazionale e le quote non utilizzate) correlate a situazione del tutto estranee all'attività del medesimo resistente; - le stesse Amministrazioni appellanti, una delle quali è proprio quella che ha calcolato e imputato il prelievo supplementare creditrici erano certamente a conoscenza della particolare natura del credito in questione e dell'assoluta e manifesta estraneità dello stesso ai bisogni della famiglia. Nessuna delle circostanze addotte è pertinente: (i) non rileva l'esistenza di altri beni; (ii) non rileva il momento del sorgere del credito; (iii) non rilevano i presunti vizi (omesse notifiche, etc.) che riguardano gli ulteriori motivi del ricorso in primo grado; (iv) non rileva l'intervenuta cancellazione dell'iscrizione ipotecaria; (v) non rileva la natura del debito, per le ragioni esposte. Alla luce dei principi sopra richiamati in tema di onere della prova, parte appellata non ha fornito neanche un principio di prova né dell'estraneità del credito in oggetto all'ambito dei "debiti contratti per bisogni della famiglia", né della consapevolezza da parte del creditore dell'estraneità o meno dell'obbligazione de qua ai bisogni della famiglia. Al contrario si tratta di un'obbligazione sorta in dipendenza dell'esercizio dell'attività d'impresa svolta dal coniuge Pi. Za., dai cui proventi (sino a prova contraria) l'intera famiglia trae il proprio sostentamento, come tale intendendosi il soddisfacimento delle primarie esigenze di vita dei componenti di detta famiglia. 5. Per le ragioni esposte deve essere accolto il secondo motivo di appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il primo motivo di ricorso in primo grado. Non di meno, avendo parte appellata riproposto ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. (da p. 17 in poi della memoria di costituzione) i restanti motivi del suo originario ricorso in primo grado, assorbiti dal TAR, tra i quali in particolare l'eccepita prescrizione della pretesa creditoria, deve essere dispone la prosecuzione del giudizio per la trattazione di tali censure, di non pronta ed immediata soluzione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) respinge l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposta da parte appellata; b) respinge il primo motivo di appello; c) accoglie il secondo motivo di appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il primo motivo di ricorso in primo grado. Fissa per la trattazione delle censure non esaminate dal Tar e riproposte dall'appellato l'udienza pubblica del 19 settembre 2024. Ordina che la presente sentenza non definitiva sia eseguita dall'autorità amministrativa. Spese al definitivo. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore
Corte di Appello di Catania -seconda sezione civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI CATANIA (...) Riunita in camera di consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati: dott. (...) dott.ssa (...) dott.ssa (...) relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. r.g. (...)/23 promossa DA: (...) delle (...) -(...) S.p.A. (già (...) S.p.A.), in persona del legale rapp.te p.t., con sede (...), (...), P. IVA (...) elettivamente domiciliata in (...)# della (...) 185, presso lo (...) dell'Avv. (...) c.f. (...), che la rappresenta e difende giusta procura in atti. - Appellante CONTRO (...) nata a (...) il (...) cod. fisc. (...) e residente (...)e (...) nata a (...) il (...) cod. fisc.: (...) entrambe elettivamente domiciliate in (...) presso lo studio dell'Avv. (...) (cf.: (...)) che le rappresenta e difese per mandato in atti; - Appellate E (...) nato a (...)# in data (...), codice fiscale (...)## res.te in (...) di (...); - Appellato contumace Oggetto: Revocatoria ordinaria. All'udienza del 5/3/24, la causa, a seguito di discussione orale, veniva posta in decisione. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) S.p.A., in persona del (...) pro tempore, conveniva in giudizio (...) e (...) al fine di sentir dichiarare inefficace nei confronti dell'ente di riscossione l'atto di compravendita del 27.12.2010 trascritto il (...) e sottoscritto tra (...) da una parte, e (...) ed (...) dall'altra, avente ad oggetto la quota di 1/9 indiviso del diritto di proprietà di (...) relativo a diverse unità immobiliari site in (...) di (...) n. 64, e precisamente: - vano terrano in corso di costruzione con corte di pertinenza, superficie catastale mq 153, identificato al (...) del Comune di (...) di (...) al foglio 11, part. 64, sub. 3, (...) s.n., piano terra in corso di costruzione; - appartamento in corso di costruzione posto al piano secondo, superficie catastale mq 115, identificato al (...) del Comune di (...) di (...) al foglio 11, part. 64, sub. 5, (...) s.n., piano secondo in corso di costruzione; - appartamento posto al primo piano, identificato al (...) del Comune di (...) di (...) al foglio 11, part. 64, sub. 7, (...) s.n., piano primo, cat. A/2, cl. 3, vani 6, r.c. Euro 371,85; - appartamento posto al primo piano, identificato al (...) del Comune di (...) di (...) al foglio 11, part. 64, sub. 8, (...) s.n., piano primo, cat. A/2, cl. 2, vani 6, r.c. Euro 123,95; - tratto di terreno pertinenziale, identificato al (...) del Comune di (...) di (...) al foglio 11, part. 1030, vigneto di 3, di are 00.52, r.d. Euro 0,21 e r.a. di Euro 0,13. Parte attrice esponeva di essere creditrice nei confronti di (...) della somma complessiva di euro 170.933,70 a titolo di tributi iscritti a ruolo e divenuti esecutivi e che l'atto di vendita aveva sottratto le predette unità immobiliari alla garanzia del credito, arrecando così pregiudizio alle ragioni del creditore, così da rendere impossibile o più difficoltoso il soddisfacimento del suo credito. Si costituivano (...) e (...) le quali eccepivano preliminarmente il difetto di legittimazione attiva della (...) S.p.A. e, nel merito, deducevano l'assenza dei presupposti per la revocatoria dell'atto de quo; ciò dovendosi desumere, in primo luogo, dalla mancanza del consilium fraudis, ossia della sussistenza in capo al terzo della consapevolezza di arrecare un pregiudizio al soddisfacimento del credito, chiedendo, pertanto, il rigetto della domanda. (...) rimaneva contumace. Istruita la causa a mezzo produzione documentale, n. (...)/2023 pubbl. il (...), il Tribunale di (...) rigettava la domanda con condanna di parte attrice al pagamento delle spese di giudizio. Avverso detta sentenza, con atto notificato in data (...), proponeva appello (...) delle (...) eccependone, preliminarmente, la nullità, deducendone l'erroneità e chiedendone la riforma, per le ragioni illustrate in seno all'atto di appello, con vittoria di spese e compensi. Si costituivano in giudizio, (...) e (...) resistendo al gravame del quale chiedevano il rigetto con il favore delle spese. Non si costituiva (...) All'udienza del 5/3/24, a seguito di discussione orale la causa veniva posta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente occorre dichiarare la contumacia di (...) il quale, sebbene regolarmente citato, non si è costituito. 1.) Con il primo motivo di gravame, l'appellante eccepisce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 301 c.p.c., poiché emessa all'esito di un procedimento nel corso del quale si è verificata la morte del difensore costituito di una delle parti in causa. 1.1) (...) è fondata e deve essere accolta. Dalla documentazione in atti, risulta che in data (...), veniva a mancare l'avv. (...) difensore costituito di (...) S.p.A., senza che il giudizio venisse interrotto; Sull'argomento la Suprema Corte ha ritenuto che "la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo dell'unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito determinano l'automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altri parti non ne hanno conoscenza, con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, la quale può essere impugnata per tale motivo, solo dalla parte colpita dagli eventi sopra descritti, poiché le norme che disciplinano l'interruzione sono finalizzate alla sua esclusiva tutela"(Cass.23486/ 2021; Cass. 1574/ 2020). Per quanto sopra, la sentenza n. (...)/2023, pubblicata dal Tribunale di (...) in data (...), deve essere dichiarata nulla. Non integrando, la mancata interruzione del giudizio ex art. 301 c.p.c., una delle ipotesi tassative in cui il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice a norma dell'art. 354 c.p.c., diviene operante il potere-dovere del giudice d'appello di decidere nel merito previo compimento dell'attività istruttoria, eventualmente, impedita "in prime cure" dall'anzidetta irregolarità (ex plurimis Cass 1073/09). Si premette che il decesso del sopra indicato legale è avvenuto dopo che lo stesso aveva depositato comparsa conclusionale e, pertanto, nessuna ulteriore attività istruttoria è stata espletata dopo la sua morte. 2.) Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo all'(...) delle (...) proposta dalle appellate. La suddetta eccezione è infondata atteso che, secondo quanto previsto dalla circolare n. 52 del 09.12.2005, con la quale sono stati forniti dei chiarimenti all'art. 49 del D.P.R. 602/1973 - successivamente modificato dal comma 415 della legge n. 311/2004 - "per la riscossione di somme iscritte a ruolo e non pagate, il concessionario può altresì promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore". Non vi è dubbio, che tra le azioni a tutela del credito rientri quella revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c. 3) Passando al merito della questione, occorre valutare la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento dell'azione proposta. L'azione di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., presuppone l'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria ed il debitore disponente, l'effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell'atto traslativo, la ricorrenza, in capo al debitore stesso, della consapevolezza che, con l'atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori e la consapevolezza del pregiudizio, da parte del terzo acquirente, nel caso di atti a titolo oneroso (c.d. scientia damni o scientia fraudis a seconda che l'atto dispositivo sia posteriore o anteriore al sorgere del credito). In considerazione del fatto che il creditore è soggetto terzo rispetto all'atto dispositivo di cui chiede l'inefficacia, risultando problematico offrire attraverso mezzi probatori diretti, la dimostrazione dell' atteggiamento soggettivo del debitore e eventualmente del terzo, richiesto nel caso in cui si tratti di atto a titolo oneroso, la prova del consilium fraudis, così come dello stato psicologico del terzo (scienza damni e partecipatio fraudis), può essere fornita attraverso l'utilizzo di elementi presuntivi, e la valutazione del giudice su tali presunzioni semplici (conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto), se congruamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità. E' orientamento consolidato della Suprema Corte, ritenere integrato il presupposto del consilium fraudis del debitore e della partecipatio fraudis del terzo, solo ed esclusivamente nel caso in cui risulti provata la sussistenza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, tali cioè da essere considerati alla stregua di presunzioni semplici ai sensi dell'art. 2729 c.c.. In linea generale possono essere considerati elementi indiziari dai quali i desumere l'elemento soggettivo in capo al debitore e al terzo (in caso di atto a titolo oneroso) : - peculiari rapporti che legano i soggetti dell'atto dispositivo, di parentela (come nel caso di trasferimento da padre a figlio), di affinità o di convivenza, rapporti lavorativi - le ambigue modalità di pagamento, ovvero se non sia stata data prova del pagamento; - sperequazione tra prezzo pattuito e valore di mercato (prezzo irrisorio o esiguo rispetto al valore del bene); - anomalie temporali, ad es. la tempestività con cui il debitore si spoglia dell'intero compendio immobiliare per sottrarlo all'aggressione dei creditori o lo stretto intervallo tra la messa in mora da parte del creditore e la disposizione del patrimonio da parte del debitore; - concatenazione temporale tra vari eventi per il breve periodo in cui sono stati compiuti e la vendita contestuale di una pluralità di beni in tale ipotesi si afferma che l'esistenza e la consapevolezza del pregiudizio sono in re ipsa (ex plurimis Cass n. 22824/2022). Nel caso che ci occupa, dalla documentazione in atti risulta che l'(...) delle (...) s.p.a. è creditrice di (...) per la somma di euro 170.933,70, portata su estratti di ruolo, aventi ad oggetto i crediti tributari. Premesso che, ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria è sufficiente l'allegazione di un credito litigioso, eventuale e dunque la ragionevole aspettativa di un credito (Cass. 11755/18), ininfluente appare il fatto che (...) ha proposto ricorso alla (...) nonché impugnazione di alcune cartelle, davanti al Tribunale del (...) Per quanto attiene all'eventus damni, ossia il pregiudizio per il creditore, la Corte di Cassazione sul punto ha chiarito che "a fondamento dell'azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio, ma anche in una modificazione qualitativa di esso" (Cass. Civ. n. 1896/2012). In virtù di tale principio, "grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore" (Cass. Civ. n. 16221/2019). Nel caso che ci occupa, parte attrice ha dato prova dell'intervenuta modificazione della garanzia patrimoniale, mentre nessuna prova è stata fornita dal debitore circa il proprio patrimonio residuo, tale da potere garantire il soddisfacimento del creditore. Per quanto sopra, non vi è dubbio che l'atto dispositivo per cui è causa abbia arrecato un pregiudizio alle ragioni creditorie, tenuto conto che il debitore, con l'atto dispositivo in oggetto, si è spogliato totalmente della propria quota immobiliare. Passando ad esaminare l'elemento soggettivo, vi è da dire che l'atto dispositivo è stato posto in essere successivamente rispetto ai crediti portati dalle cartelle di cui agli estratti di ruoli allegati; pertanto, trattandosi di atto a titolo oneroso, il creditore è tenuto a fornire la prova della consapevolezza di arrecare un pregiudizio al creditore, e ciò non solo in capo al debitore, ma anche in capo al terzo. Non occorre l'intenzione di nuocere, basta la mera consapevolezza che quell'atto dispositivo diminuisca la garanzia patrimoniale generica, e tale prova può essere data anche mediante presunzioni (Cass. Civ. n. 27546/2014). Pur non essendovi dubbio sulla consapevolezza in capo all'alienante (...) di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, atteso che, lo stesso ha ceduto, seppure in quota parte, tutto il proprio patrimonio immobiliare, del tutto sfornite di dimostrazione sono rimaste le affermazioni di parte attrice, circa la sussistenza della partecipatio fraudis delle terze acquirenti, non essendovi prova che (...) e (...) fossero consapevoli di ledere le ragioni creditorie mediante l'atto di vendita in questione. Nessun elemento, seppur di natura presuntiva, è stato fornito da parte attrice che possa far desumere detta consapevolezza. Infatti, premesso che le sorelle del (...) odierne appellate, non sono conviventi con quest'ultimo, il semplice legame di parentela, non può far ritenere che le stesse fossero a conoscenza dell'esposizione debitoria del congiunto o delle sue difficoltà economiche. Inoltre, l'alienazione in oggetto ha riguardato 1/9 di un piccolo compendio immobiliare, ricevuto per successione dal padre, di cui i 6/9 si appartengono alla madre che vi vive e che vanta diritto di abitazione. Anche il prezzo di vendita, di Euro. 13.000,00, vista la quota di proprietà del (...) pari ad 1/9, appare congruo, lasciando presumere che l'atto dispositivo in questione fosse volto a regolare i rapporti successori tra i fratelli. Per quanto sopra, in mancanza di prova circa la partecipatio fraudis delle convenute, la domanda deve essere rigettata. 4) Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza. Giova osservare che la liquidazione delle spese di lite deve essere effettuata, in considerazione del valore della controversia (Euro. 170.937,70) e dell'attività difensiva spiegata, secondo i criteri di cui al d.m.147/22, in quanto la stessa interviene successivamente all'entrata in vigore del citato decreto, secondo i parametri minimi, stante la limitata difficoltà. Nulla sulle spese per la parte contumace. P.Q.M. LA CORTE DI APPELLO definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. (...)/23 R.G. così statuisce: dichiara la nullità della sentenza n. (...)/23, emessa dal Tribunale di (...) in data (...); rigetta la domanda di revocatoria proposta dall'(...) delle (...) s.p.a.; condanna (...) delle (...) s.p.a. alla refusione delle spese del primo grado di giudizio in favore delle appellate costituite, che liquida in complessivi euro 7.052,00, di cui Euro. 1.276,00 fase di studio, Euro. 814,00 fase introduttiva, Euro. 2.835 fase istruttoria e Euro. 2.127,00 fase decisionale, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito. condanna (...) delle (...) s.p.a. alla refusione delle spese del presente giudizio in favore delle appellate costituite, che liquida in complessivi euro 7.160,00, di cui Euro. 1.489,00 fase di studio, Euro. 956,00 fase introduttiva, Euro. 2.163 fase di trattazione e Euro. 2.552,00 fase decisionale, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE (artt. 544 e ss. c.p.p.) Il Tribunale in composizione collegiale, composto dai magistrati - Dott.ssa Cinzia Apicella - Presidente estensore - Dott. Federico Noschese - Giudice - Dott. Giuseppe Palumbo - Giudice alla pubblica udienza del 27.03.2024, con l'intervento del P.M., rappresentato dal Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Michele Migliardi - e con l'assistenza del Cancelliere, M.V. ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA nei confronti di: Si.Fr. nato a Si. (S.) il (...), ivi domiciliato alla via P. n.65, libero presente Difeso di fiducia dagli avv.to G.M. del Foro di Nocera Inferiore IMPUTATO A)del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 1 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, distraeva il patrimonio della predetta società tramite assegni circolari e versamenti di denaro effettuati in suo favore dal c/c della Mg. s.r.l. nel periodo ricompreso tra il 27/07/2015 e il 07/02/2017 per un totale di Euro 70.000,00 e prelievi in contanti effettuati nello stesso periodo per un totale di Euro 39.800,00. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) ) B) del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 2 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in. Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, con lo scopo di procurare a sé un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, sottraeva i libri e le scritture contabili della predetta società rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) P.O. Dr. Gi.Fr., Curatore Fallimentare con studio in Nocera Inferiore alla Via (...). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso ai sensi dell'art. 429 c.p.p. in data 24.02.2022, era disposto il giudizio in sede collegiale nei confronti di Si.Fr. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale distruttiva e documentale meglio descritti in rubrica. Alla prima udienza del 27.04.2022, rilevata l'errata indicazione nel decreto che dispone il giudizio dell'avv.to N.A. quale difensore di fiducia dell'imputato, veniva acquisita la nomina del difensore dell'imputato, avv.to N.P.; in conseguenza, il Collegio disponeva la notifica del decreto e verbale alla P.O. e rinviava l'udienza, onerando il PM alla citazione del teste. Alla successiva udienza del 19.10.2022, veniva depositato atto di rinuncia del precedente difensore e nomina di nuovo difensore di fiducia dell'imputato, Avv. A.P., la quale chiedeva termine a difesa, termine accolto dal Tribunale e pertanto si rinviava ad altra udienza del 26.04.2023, onerando il PM alla citazione del Curatore Fallimentare Dr. G.F. In tale udienza veniva depositata ulteriore nomina di difensore di fiducia da parte dell'imputato, peraltro assente, in favore dell'avv.to G.M. e di seguito, verificata la regolarità della costituzione delle parti, si dichiarava aperto il dibattimento, invitando le Parti a formulare le proprie istanze istruttorie. L'Accusa produceva sentenza dichiarativa di fallimento della Società Mg. s.r.l. in Liquidazione datata 23.03.2018, nonché chiedeva di produrre all'esito della escussione del curatore fallimentare la relazione ex art. 33 L.F.con relativa integrazione, mentre la Difesa produceva un verbale di deposito di documentazione a firma del cancelliere della Sezione Fallimentare del Tribunale di Nocera Inferiore. All'esito veniva escusso il curatore fallimentare dr. G.F., unico teste di lista dell'Accusa, e all'esito veniva acquisita la relazione da lui redatta ex art. 33 legge fall.; di seguito si rinviava all'udienza del 23.11.2023 per l'eventuale esame dell'imputato se fosse comparso e per la discussione. Nell'udienza del 23.11.2023, tuttavia il P.M. chiedeva la correzione della data di commissione del reato, indicando al posto del 23.08.2013 la data corretta di emissione della sentenza di fallimento datata 23.03.2013 e pertanto si rinviava il processo per la discussione all'udienza successiva del 07.02.2024, udienza che subiva tuttavia ulteriore rinvio al 27.03.2024, attesa l'adesione del difensore all'astensione indetta dall'Unione Camere Penali. Nell'odierna udienza, presente l'imputato, questi rendeva spontanee dichiarazioni ed all'esito, dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale, le Parti formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale decideva con separato dispositivo, pubblicato in udienza mediante lettura. Si.Fr., nella qualità di amministratore unico e poi di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018 con sede sociale in Si. via P. n. 65 ed avente oggetto sociale attività di acquisto, vendita, permuta e locazione di terreni agricoli ed immobili, nonché installazione, manutenzione e riparazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico, è imputato del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale di cui comma 1 con le modalità di cui alle imputazioni riportata in rubrica. Il procedimento trae origine dai rilievi formulati dal curatore fallimentare, dr. G.F., di cui è stata acquisita la relazione ex art. 33 L.Fall, nel corso nella procedura concorsuale seguita alla dichiarazione di fallimento della citata società con sentenza n. 18/2018 emessa il 23.03.2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore ed acquisita agli atti. Infatti, dalla relazione redatta dal curatore dr. F. ai sensi dell'art. 33 Legge fall. è emerso che la società fallita ovvero la "Mg. S.r.l. in Liquidazione" è stata costituita in data 20.11.2009 in Sarno con un capitale sociale deliberato di Euro 10.000, mentre quello versato effettivamente risultava pari ad Euro 2.500; detto capitale all'atto della dichiarazione di fallimento risultava ripartito in quote di Euro 9.800 (Euro 2.450 effettivamente versate) detenuta dal socio L.G. e la quota di Euro 200 (Euro50 effettivamente versate) detenuta dalla società "G.A. s.r.l.", a seguito del pignoramento di quota societaria dell'odierno imputato S.P.F., il quale oltre che socio era anche amministratore unico della società decotta. Il curatore nella relazione dava anche atto che dal fascicolo della CCIAA di Salerno non risultavano bilanci presentati dalla società fallita e che in data 29.02.2016 la società Mg. Srl veniva posta in scioglimento anticipato, con la nomina del liquidatore nella persona del Si.Fr.. Questi, si era anche presentato presso il suo studio in data 8.05.2018 per l'audizione prevista dalla normativa e di cui è stato anche redatto apposito verbale. Da tale escussione del Si. era emerso che le cause che avevano causato il dissesto della suddetta società erano da attribuirsi - secondo il liquidatore - alla scarsità di attività lavorativa, riconducibile alle difficoltà da parte dei clienti ad ottenere i finanziamenti per l'installazione di nuovi impianti soprattutto fotovoltaici. Il curatore nella propria relazione dava atto del deposito presso la Cancelleria del Tribunale di Nocera Inferiore di parte della documentazione contabile e fiscale relativa alla società Mg. srl ma che la stessa non risultava esaustiva, non consentendo di ricostruire le posizioni sia creditorie che debitorie della fallita, mancando peraltro l'elenco dei creditori ed anche dei debitori nonché tutti i Bilanci di esercizio ed i registri Iva ed il Libro Giornale. Il curatore si era anche recato in data 30.03.2018 presso la sede legale della società fallita, ove alcun elemento riconducibile alla società era stato rinvenuto ed anzi presso il locale ove era indicata la sede sociale risultante, aveva riscontrato P esistenza di altra attività commerciale con insegna di altra società ovvero la "I.M.G. S.r.l.s.", ove peraltro, al momento del sopralluogo, si trovava svolgere attività proprio il liquidatore della fallita ovvero l'odierno imputato Si.Fr.. A riprova di ciò, lo stesso dr. F. aveva effettuato un acquisto al fine di acquisire uno scontrino fiscale della società ivi operante e poi anche la visura camerale di tale diversa società. Sempre dalla relazione ex art. 33 legge fallimentare poi emergeva che dalle ispezioni ipotecarie, il curatore aveva rilevato che la fallita aveva alienato in data 29.07.2015 alla "A2M" ( società consortile a responsabilità limitata) una consistenza immobiliare sita nel Comune di Nocera Inferiore alla via A. n. 233, mentre dal Pubblico Registro Automobilistico non risultavano beni mobili registrati intestati alla fallita né sussistevano segnalazioni dalla C.R. e C.A.I.. A seguito delle richieste di informativa sia all'Agenzia delle Entrate che alla Guardia di Finanza di Scafati, erano emersi invece rapporti di natura finanziaria con la B.M.P., documentazione che, a seguito di integrazione della citata relazione ex art. 33, una volta acquisita, attestava movimentazioni non anomale fino a giugno 2015 ma, a decorrere dal luglio 2015, emergeva che da un saldo negativo del conto societario, si giungeva ad un saldo positivo di circa 108.000 Euro, derivante dal versamento di assegni circolari per un valore di Euro 145.000, incassati per l'alienazione di un immobile ( per il quale poi il curatore ha avanzato azione revocatoria). A seguito dello scioglimento anticipato e della messa in liquidazione della società avvenuto ad inizio 2016 e fino al giugno 2017 si notava la variazione sul conto della società fallita che da un saldo positivo di Euro 145,000 passata in meno di un armo e mezzo ad un saldo di nuovo negativo di Euro 200,00. Pertanto, nel periodo compreso tra luglio 2015 e febbraio 2017, veniva rilevate movimentazioni bancarie anomale in uscita a titolo di prelevamenti continui per Euro 39.800, poi con emissione di assegni circolari per Euro 40.000 e anche con bonifici per Euro 31.400 circa, tutti disposti sempre a favore del Si.Fr. quale liquidatore. Invece dalle movimentazioni bancarie in entrata, si rilevavano versamenti in contanti per Euro 26.560, versamenti con assegni circolari per l'alienazione dell'immobile per Euro 140.000 e versamenti di altri assegni circolari per Euro 14.000 circa. In sintesi, si evincono uscite di oltre Euro 70.000 dal conto corrente della fallita in favore del sig. Si. mediante assegni circolari e bonifici bancari (questi ultimi per circa 31.400 Euro), nonché ulteriori prelievi in contanti effettuati dal conto corrente della società per una somma complessiva di Euro 145.000,00. Va anche aggiunto che dalla relazione ex art. 33 L F. emergeva che dalla consultazione del cassetto fiscale della fallita come depositario delle scritture contabili il Dott. A.M., il quale aveva trasmesso le dichiarazioni fiscali per gli anni fra il 2009 ed il 2016, ad eccezione dell'anno 2013 per il quale non risultava depositata alcuna dichiarazione fiscale; mentre nell'anno 2017 risultava presentata solo la dichiarazione IVA con un credito IVA pari ad Euro 12.300, disconosciuto dalla Agenzia delle Entrate e successivamente ripresentato comunque dalla fallita. L'attivo fallimentare rinvenuto dal curatore consisteva in due immobili, composte da n. 2 posti auto scoperti siti in N. I. mentre risultava al passivo fallimentare l'insinuazione di n. 2 domande da parte dell'avv. Cuomo e della Si. S.p.A.; inoltre risultava anche una posizione debitoria della fallita nei confronti della sig.ra V.A., quale creditore istante il fallimento, per la somma di Euro 56.291,00 derivante da una sentenza di condanna. In sede di dibattimento il curatore dr. F. ha confermato sostanzialmente il contenuto della sua relazione ex art. 33 L F. precisando che la declaratoria di fallimento della società risaliva al mese di marzo 2018 e nell'ambito dell'attività svolta, è stata acquisita prima dalla Guardia di Finanza l'informativa in ordine ai rapporti finanziari riconducibili alla fallita ed al legale rappresentante ed anche quale liquidatore della società (poi identificato in S.) e successivamente la copia degli estratti di conto corrente bancario della società ad opera della filiale di Si. della B.M.P., da cui sono stati riscontrati movimenti in uscita a titolo di prelievi in contanti senza giustificazione per circa 39.000,00 Euro, assegni circolari emessi per 40.000,00 Euro, nonché bonifici per 31.400,00 Euro tutti in favore sempre del Si. ovvero del liquidatore, peraltro unico che poteva gestire e movimentare il conto corrente. In ordine poi alla documentazione depositata presso la Sezione Fallimentare dall'imputato, il dr. F. specificava che la Curatela non aveva potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria della fallita in quanto era stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e né tantomeno dei debitori: in particolare mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché, oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e dei debitori, non risultavano mai stati depositati presso il Registro delle imprese i Bilanci di Esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il teste poi, su domanda della Difesa, precisava che il fallimento veniva introdotto da V.A., quale dipendente della società, sulla base di un decreto ingiuntivo ottenuto per mancata riscossione di emolumenti lavorativi per l'importo di circa 50.000 Euro e che vi erano stati altri interventi di insinuazione ed il passivo fallimentare ammontava a circa 100.000 Euro, di cui circa la metà nei confronti della suddetta dipendente ed altri debiti tributari per cui si insinuava al passivo anche la Agenzia Entrate nonché vi erano anche poche migliaia di euro nei confronti di qualche fornitore della fallita. Nella relazione ex art. 33 L.F. risultavano solo due soggetti insinuati in quanto, alla data di deposito della stessa, solo due creditori erano insinuati al passivo, ma successivamente se ne sono insinuati altri come indicato nella relazione integrativa. Inoltre, da verifiche svolte, è emerso poi che la fallita aveva posizioni creditorie di insinuazione al passivo in altre procedure concorsuali che sono state però tutte chiuse per assenza di attivo e che tale posizione creditoria non poteva essere vantata dal liquidatore in quanto tale, ma dalla società fallita giacché il Si. non avrebbe mai potuto riscuotere il credito personalmente; in ordine poi a tali procedure creditorie, precisava il curatore, non vi erano state più notizie, per cui è stata fatta anche un'azione revocatoria autorizzata dal Giudice delegato che è stata respinta in sede civile per mancanza del presupposto di fraudolenza nell'atto di compravendita impugnato. A seguito delle domande poste dal Presidente del Collegio, il teste specificava che il Si.Fr., prima di divenire liquidatore della società ne era il legale rappresentante e successivamente, nel 2015 la società veniva posta in stato di scioglimento e messa in liquidazione; che quindi dal 2015 alla data di dichiarazione di fallimento nel 2018, l'imputato risultava liquidatore della società. Inoltre riferiva che l'oggetto sociale della fallita riguardava inizialmente la costruzione, vendita e pennuta di terreni e immobili per poi però specializzarsi nella realizzazione e l'installazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico e che l'imputato, in sede di audizione, aveva attribuito la causa scatenante del fallimento all'eccessiva difficoltà da parte dei potenziali clienti ad avere fonti di finanziamento per sopportare gli esborsi per gli impianti. Il curatore dichiarava altresì che effettivamente all'atto della liquidazione veniva posta in vendita una consistenza immobiliare, oggetto poi di revocatoria, anche se solo dopo sono state riscontrate ulteriori consistenze immobiliari in capo alla fallita, ovvero due posti auto siti ih N. I. però alienati in fase di liquidazione per circa Euro 35.000,00. In ordine poi alle attività svolte sul conto corrente della società fallita, il teste chiariva che nel 2015 quando la società ha incassato la somma di Euro 145.000,00 per la vendita del bene immobiliare la somma è confluita sul c/c della società, conto gestito solo dal liquidatore in quanto non vi erano altri soggetti deputati ad operarvi: tale somma è stata poi oggetto di continui movimenti bancari fino a svuotate il c/c della società nel luglio 2017 con un saldo negativo di 200,00 Euro, peraltro le finalità di tali movimenti non sono mai state accertate, in quanto il Si. in sede di audizione dinanzi a lui non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione. La situazione descritta in definitiva, secondo il curatore, anche per la poca documentazione prodotta, non ha consentito una corretta ricostruzione degli affari della società, giacché si era potuto rilevare documentalmente solo l'esistenza di alcuni crediti non incassati e la vendita di beni immobiliari, i cui ricavi erano stati sottratti al patrimonio societario in epoca di poco precedente il fallimento. Infine, va rilevato che nell'ultima udienza, l'imputato ha reso spontanee dichiarazioni in cui lo stesso sostanzialmente ha ammesso di avere prelevato di volta in volta la somma di Euro 145.00,00 dai c/c della società fallita, ritenendo che la stessa fosse di sua spettanza giacché "provento" della vendita un immobile di sua proprietà e che dunque non incorresse in alcun illecito. La breve esposizione che precede, consente al Collegio di pervenire ad una conclusione certa in ordine ai fatti oggetto dell'imputazione ed alla certa attribuzione all'odierno imputato, così come desumibile dalla attività istruttoria espletata sulla base delle indagini effettuate dagli organi inquirenti: il curatore ha evidenziato, in base alla documentazione acquisita nel corso della procedura fallimentare, i dati probatori che hanno individuato in capo al Si., quale liquidatore, ima condotta "distrattiva" di somme della società fallita nonché, dalla documentazione contabile prodotta dallo stesso imputato, la estrema difficoltà nel procedere ad una effettiva ricostruzione del patrimonio aziendale e del volume di affari della fallita e ciò a causa proprio della incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie. Alla luce di tali verifiche e dalla documentazione in atti, emergono in capo al Si. concreti e certi profili di responsabilità penale in qualità di liquidatore, derivanti dal fatto che dal conto corrente intestato alla società fallita sono uscite somme in favore dello stesso senza una apparente e ragionevole motivazione, anche in considerazione delle esposizioni debitorie, peraltro inadempiute, ed oggetto di ammissione al passivo fallimentare della procedura in esame e dunque la suddetta condotta va a configurare l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione da parte del liquidatore della società cosi come contestata al capo A) all'imputato. A sostegno di tale valutazione, si pone la documentazione probatoria prodotta dal P.M., contenente la sentenza dichiarativa di fallimento e la relazione ex art. 33 l. fall. con relativa integrazione, che ha trovato ampia conferma nella deposizione resa dal curatore dr. G.F. dinanzi al Collegio all'udienza del 26.04.2023. Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità a cui questo Collegio si riporta, in tema di responsabilità del liquidatore per la condotta di bancarotta fraudolenta : "la "vendita, da parte del liquidatore della società poi fallita, di beni sociali, con modalità tali da configurarsi quale operazione priva, ex ante, di qualunque grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, con la consapevolezza da parte dell'autore di diminuire il patrimonio per scopi estranei al mandato liquidatorio, costituisce condotta dissipativa integrante il suddetto reato, (cfr. Cass. Penale Sez. V, sentenza n. 34812 del 20.05.2019). Nella vicenda in esame assume dunque particolare rilievo la circostanza evidenziata dal curatore in ordine alle attività svolte sul conto corrente a decorrere dall'anno 2015, allorquando la società ha venduto una consistenza immobiliare, incassando la somma di Euro 145.000,00, somma che è confluita sul conto corrente della società gestito peraltro dal solo liquidatore ovvero dal S.. In particolare, fino a luglio 2017, il conto corrente è stato oggetto di continue movimentazioni ( in sostanza prelievi), sino a presentare un saldo negativo mediante il compimento di diverse operazioni bancarie, le cui finalità non sono mai state accertate, in quanto il Si. non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione né al curatore né in concreto dinnanzi a questo Collegio in sede di dichiarazioni spontanee giacché l'affermazione di ritenere la somma in questione come "di esclusiva pertinenza" perché provento di un " proprio" bene immobile, appare non credibile e peraltro in contrasto con le esposizioni debitorie della società dal Si. gestita, debiti di cui lo stesso imputato irragionevolmente ha smentito l'esistenza sempre in sede di dichiarazioni spontanee ( " ragion per cui non ritenevo di fare danni ad alcuno e non è stato fatto danno ad alcuno...... Perché tutte le persone che hanno avuto rapporti con la Mg. , la società, sono stati soddisfatti..." cfr. verbale del 27.03.2024) Va in ogni caso osservato che tali operazioni di " svuotamento" del c/c societario da parte dell'imputato, risultano essere assolutamente anomale ed, in ogni caso, hanno ridotto sensibilmente la consistenza patrimoniale della società e le garanzie dovute verso i creditori. In materia di bancarotta patrimoniale la giurisprudenza di legittimità ha anche evidenziato che: "Una volta accertato che il fallito ha avuto nella sua diponibilità determinati beni, nel caso in cui non renda conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificare la destinazione, si deve dedurre che essi Si. stati dolosamente distratti, in quanto il fallito ha l'obbligo di dimostrare la destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio" (cfr. ex multis Cass, penale - sentenza n. 12833 del 11.11.1999 e Cassazione Penale - sentenza n. 13118 del 18.12.2010). Dagli atti processuali sussiste in capo all'imputato anche la condotta di cui al capo B). Infatti anche in relazione al mancato deposito regolare da parte del Si. delle scritture contabili e dei libri sociali obbligatori, il curatore ha evidenziato che la documentazione contabile e fiscale prodotta dall'imputato non è risultata esaustiva per la mancanza delle scritture obbligatorie per legge ed in tal modo non ha potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria, in quanto è stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e debitori; in particolare, mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e debitori, non sono mai stati depositati presso il Registro delle imprese i bilanci di esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il quadro probatorio descritto risulta sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi richiesti per la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato dal P.M., il quale si configura allorquando la mancanza delle scritture contabili obbligatorie non dipenda da un'omissione dell'imprenditore, che non abbia provveduto ad istituire i libri e le scritture prescritte dalla legge, ma abbia anche con condotta attiva operato per distruggere, sottrarre o falsificare le scritture esistenti, allo scopo preciso di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. In sintesi, affinché possa configurarsi il reato di bancarotta fraudolenta documentale è necessario l'elemento soggettivo del dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori e tale elemento nel caso di specie risulta provato dalle attività istruttorie espletate. In virtù di tanto risulta dimostrata la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, giacché è incontestabile che si sia verificata una non trascurabile e duratura omissione nella redazione delle scritture contabili obbligatorie finalizzata ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita atteso che anche la data del deposito dell'ultimo bilancio presso la Camera di Commercio risale all'anno 2014. Tale dato a contrario risulta provare la presenza fino a tale data di scritture contabili obbligatorie occultate o distrutte subito dopo tale data. Va osservato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale " l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, Si. stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Fattispecie in cui per la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa era stato necessario fare capo a fonti di documentazione esterne, nonché ad appunti del fallito, costituenti di fatto una contabilità "in nero", che avrebbero dovuto restare celati al fine di coprire il sistema di evasione di imposta e il drenaggio di risorse finanziarie verso conti correnti personali). ( cfr. Cass Sez. V -, Sentenza n. 1925 del 26/09/2018 ). Appare evidente che in relazione proprio alla condotta di cui al capo A) il dolo specifico emerge in re ipsa: l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 216 n. 2) l. fall. richiede che lo scopo perseguito dall'agente sia finalizzato specificamente a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Dagli esiti istruttori appare evidente che l'odierno imputato ha consapevolmente tenuto in modo incompleto ed irregolare le scritture contabili, in modo tale da rendere impossibile ricostruire con chiarezza l'entità del volume di affari della società fallita proprio per occultare la distrazione fraudolenta dei beni del fallimento come formulata nell'imputazione di cui al capo A). Passando alla pena, il Collegio ritiene, ai sensi dei criteri valutativi ai dell'art. 133 c.p. appaia congrua la pena anni due e mesi due di reclusione ( pena base anni tre, ridotta perle circostanze ex art. 62 bis c.p. ad anni due, aumentata per l'art. 219 L.Fall alla pena sopra indicata), pena superiore di poco rispetto al minimo edittale per la gravità delle condotte in relazione alla attività di impresa in concreto desumibile dagli atti dibattimentali. Si ritiene che possano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, atteso che l'imputato, pur non avendo inteso rendere interrogatorio, ha cercato, mediante dichiarazioni spontanee, di chiarire le concrete attività societarie e le cause della decozione. Sul punto va osservato che la meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, la cui la ragion d'essere è anche quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto dell'autore dello stesso, non può mai essere data per scontata o per presunta. ( ex multis Cass penale Sez. I sentenza n.29679 del 13.06.2011). Va riconosciuta poi la continuazione ex art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942 come contestata trattandosi di più condotte di bancarotta fraudolenta. Sul punto ormai per acclarata giurisprudenza di legittimità: "nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219 comma 2, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p." (cfr. S.U. Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 ). Va altresì applicata ex lege ai sensi dell'art. 216 comma 3 L. Fall. all'imputato la pena accessoria della inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa che si quantifica come congrua, sulla base delle modalità esecutive dei reati in contestazione, in base alla pena detentiva inflitta nella durata di anni tre, di poco superiore alla pena inflitta. P.Q.M. Letti gli artt. 533- 535 c.p.p. dichiara Si.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A) e B) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ritenuto l'aumento per l'art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942, lo condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 216 comma 3 L.Fall. dichiara l'inabilitazione dell'imputato all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni tre. Letto l'art. 545 bis c.p.p. avvisa l'imputato della possibilità di accedere, previa manifestazione del consenso, alle pene sostitutive previste dall'art. 20 bis c.p. diverse dalla pena pecuniaria. Preso atto della mancata espressione del consenso alla possibile sostituzione della pena detentiva inflitta con pena sostitutiva diversa da quella pecuniaria, conferma il dispositivo di condanna. Motivazione riservata a giorni 60. Così deciso in Nocera Inferiore il 27 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Oggetto: 185 Composta da Dott. Federico Sorrentino Presidente Dott. Oronzo De Masi Consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla Consigliere R.G.N. 25355/2017 Dott. Liberato Paolitto Consigliere rel. Ud. 5/12/2023 Dott. Francesca Picardi Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 25355/2017 R.G. proposto da Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del suo legale rappresentante p.t., con domicilio eletto in Roma, via della Badia di Cava n. 62, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Borracesi, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuliano Berti Arnoaldi Veli; – ricorrente – contro Agenzia delle Entrate; – intimata – avverso la sentenza n. 1132/1/2017, depositata il 28 marzo 2017, della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna; Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 5 dicembre 2023, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto; udito l’avvocato Giuliano Berti Arnoaldi Veli; Registro Invim Accertamento udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA 1. – Con sentenza n. 1132/1/2017, depositata il 28 marzo 2017, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha rigettato l’appello proposto dalla parte, odierna ricorrente, avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro emesso in relazione alla registrazione di sentenza del Tribunale di Bologna che recava accoglimento di revocatoria fallimentare proposta dalla Leucci industriale S.p.a., in amministrazione straordinaria. 1.1 – Il giudice del gravame ha rilevato che, secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, la «sentenza di revocatoria fallimentare dichiara la "mera inefficacia dell'atto" … nei confronti della procedura fallimentare, realizzando un "trasferimento di ricchezza in favore del fallimento"», così che doveva trovare applicazione la disposizione di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 8, lett. b), della tariffa allegata, parte prima (con conseguente tassazione dell’atto nella misura proporzionale del 3%); diversamente, pertanto, da quanto dedotto dall’appellante, nella fattispecie non ricorreva il presupposto di applicazione della tassazione in misura fissa di cui all’art. 8, lett. e), cit., in quanto detta disposizione – che rivestiva «carattere speciale rispetto alla regola generale contenuta nella lettera b) del citato art. 8» - doveva ascriversi alle ipotesi in cui si verificava la «"…caducazione dell'atto impugnato", vale a dire sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto». 2. - La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. – Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. assumendo, in sintesi, che la gravata sentenza aveva omesso di pronunciare sulle «questioni» poste con l’atto di appello nel quale si era dedotto, per un verso, che la disposizione di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 8, lett. e), della tariffa allegata, Parte prima, non poteva considerarsi speciale rispetto a quella contemplata dallo stesso art. 8, alla lett. b), e, per il restante, che all’àmbito di applicazione della tassazione in misura fissa [art. 8, lett. e), cit.] doveva ascriversi ogni effetto restitutorio determinato dall’atto giudiziario sottoposto a tassazione di registro, pertanto (anche) quello conseguente – piuttosto che a nullità, annullamento o risoluzione del contratto – a «caducazione degli effetti dell’atto», come, per l’appunto, nella fattispecie della revocatoria fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 70). Il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 70, ed al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 8 della tariffa allegata, parte prima, riproponendo (così) la ricorrente le medesime questioni interpretative già dedotte a fondamento del primo motivo di ricorso; - si assume, allora, che alla pronuncia giudiziale della revocatoria fallimentare deve ascriversi un contenuto restitutorio – di ripristino della situazione patrimoniale preesistente – secondo lo stesso dettato normativo (art. 70, cit.) e che, pertanto – una volta esclusa la specialità della disposizione di cui all’art. 8, lett. e), cit., rispetto a quella contemplata dal medesimo art. 8 alla lett. b), - alla prima di dette disposizioni deve essere ricondotta (anche) la fattispecie caducatoria che, nella revocatoria fallimentare, involge gli effetti dell’atto revocato; pronuncia, questa, nella quale la condanna «rappresenta … un elemento meramente dipendente dalla revoca e non in rapporto sinallagmatico con essa» e che, peraltro, determina – piuttosto che un trasferimento di ricchezza - «un recupero di somme temporaneo funzionale alla ripartizione in favore dello stesso soggetto che aveva effettuato la restituzione». 2. – Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento. 2.1 – Com’è inequivoco secondo i contenuti decisori sopra ripercorsi, il giudice del gravame ha dato conto del gravame proposto dalla parte, odierna ricorrente, e lo ha disatteso – richiamata la pertinente giurisprudenza di legittimità che è stata condivisa – rilevando che alla disposizione di cui all’art. 8, lett. e), cit., - cui si ascrivevano (solo) le ipotesi in cui la pronuncia giudiziale determinava la «"…caducazione dell'atto impugnato", vale a dire sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto» - doveva riconoscersi natura speciale «rispetto alla regola generale contenuta nella lettera b) del citato art. 8» e che la sentenza recante accoglimento della revocatoria fallimentare comportava «un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento». E’, pertanto, del tutto evidente che le questioni poste col gravame – e, in tesi, pretermesse – sono state definite alla stregua di un’attività interpretativa (dei dati normativi) non conciliabile con le (in quanto contrapposta alle) prospettazioni della parte appellante che (così) sono state implicitamente (ma inequivocamente) disattese. Né, del resto, il vizio di omessa pronuncia può correlarsi al partito esame di ogni deduzione articolata dalla parte sulla quaestio iuris che risulta controversa, nella fattispecie rilevando, dunque, che la pretesa svolta in punto di règime di tassazione dell’atto giudiziario (in misura fissa piuttosto che proporzionale) è stata disattesa, come detto, recependo arresti della giurisprudenza di legittimità e secondo contenuti che risultano incompatibili con le prospettazioni della parte. 3. – Del pari destituito di fondamento è il secondo motivo. 3.1 – Occorre premettere che, con riferimento alla fattispecie impositiva in trattazione, la Corte, con consolidato orientamento interpretativo, ha statuito che la sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare, producendo l'effetto giuridico del recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza assenti e realizzando un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, è soggetta ad aliquota proporzionale ai sensi dell'art. 8, primo comma, lett. b), della prima parte della tariffa, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell'autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori (comportanti, quindi, un trasferimento di ricchezza), mentre la lett. e) del medesimo articolo, norma speciale e di stretta interpretazione, determina l'imposta in misura fissa in relazione ai provvedimenti che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni o la risoluzione di un contratto (dunque, in funzione meramente restitutoria e di ripristino della situazione patrimoniale anteriore; v., ex plurimis, Cass., 8 marzo 2023, n. 6875, in motivazione; Cass., 23 febbraio 2021, n. 4740; Cass., 13 maggio 2019, n. 12685; Cass., 4 dicembre 2018, n. 31277; Cass., 7 luglio 2017, n. 16814; Cass., 6 novembre 2013, n. 24954; Cass., 12 ottobre 2012, n. 17584; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4537; Cass., 31 ottobre 2005, n. 21160). 3.2 - A fondamento del principio di diritto - che il Collegio condivide, e cui, pertanto, va data continuità - la Corte ha rimarcato che: - tra le disposizioni di cui all’art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, cit., si pone «un rapporto da genere a specie, non essendovi dubbio, anche in ragione del loro tenore letterale, che la norma di cui alla lett. b) ha carattere di regola generale, mentre la previsione di cui alla lett. e) ha, rispetto ad essa, carattere speciale»; difatti «la disposizione di cui alla lett. b) colpisce i provvedimenti giudiziari che dispongono un trasferimento di ricchezza, mentre il legislatore ha ritenuto di applicare l'aliquota in misura fissa nei casi in cui il provvedimento comporti una caducazione del titolo del precedente trasferimento e la condanna conseguente abbia contenuto e funzione meramente restitutori, mirando a ripristinare la situazione patrimoniale qua ante actum»; - in ragione di detto rapporto di specialità, le ipotesi previste dalla lett. e) risultano di stretta interpretazione, «in quanto sottoposte ad una disciplina diversa, sicché essa non può essere estesa oltre i casi espressamente contemplati dalla legge»; - la sentenza che pronuncia la revocatoria fallimentare di un atto di cessione del credito ovvero di un pagamento «possiede contenuti ed effetti diversi dalle sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto, dal momento che, a differenza di queste, essa non opera alcuna caducazione dell'atto impugnato, che rimane in vita sia pure privo di efficacia nei confronti del Fallimento e della procedura esecutiva.»; - in dette evenienze, la sentenza di revocatoria fallimentare «non comporta un ripristino della situazione anteriore, ma un trasferimento di ricchezza in favore del Fallimento, che vede incrementata la massa fallimentare. L'effetto giuridico della sentenza che accoglie l'azione di revocatoria fallimentare e dispone le conseguenti restituzioni è infatti ravvisabile, … nel mero recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza assenti, situazione che realizza, per l'appunto, un trasferimento di ricchezza in favore del Fallimento.». 4. - Le spese del giudizio di legittimità non vanno regolate tra le parti, in difetto di attività difensiva della parte che è rimasta intimata, mentre sussistono, nei confronti della ricorrente, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1-quater). P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023. Il Presidente dott. Federico Sorrentino Il Consigliere estensore dott. Liberato Paolitto
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MESSINA Il Tribunale di Messina, seconda sezione civile, in persona del Giudice monocratico, dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2014 R.G., introitata per la decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 15 settembre 2023, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., promossa da (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso da se stesso ai sensi dell'art. 86 c.p.c.; attore contro (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), rappresentate e difese dall'avv. (...) convenute e contro (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...) Convenuta (...) I procuratori delle parti hanno concluso come in atti e verbali di causa. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione, notificato in data 20 novembre 2018, (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...) chiedendo dichiararsi la simulazione ovvero la revoca ai sensi dell'art. 2901 c.c. dell'atto a rogito del (...) del 30 gennaio 2006, rep. n. (...) e racc. n. (...), con il quale (...) aveva venduto a (...) il diritto di usufrutto e a (...) e (...) la nuda proprietà dell'immobile sito in (...), via (...) 24, censito al (...) del Comune di (...) al foglio (...), particella (...), subalterno (...) e del posto auto esterno censito al (...) del Comune di (...) al foglio (...), particella (...), subalterno (...). In particolare, l'attore ha evidenziato l'esistenza di un suo credito nei confronti di (...) (pari ad Euro 20.480,71) per attività professionale svolta nell'interesse di quest'ultima nel procedimento iscritto al n. (...)/2000 R.G. (Tribunale di Roma), così come definitivamente accertato nella sentenza n. (...)/2008 emessa dal Tribunale di Roma in data 26 maggio 2008. (...) ha chiesto, pertanto, dichiararsi l'inefficacia del predetto atto notarile per simulazione relativa, ritenendo che anche la nuda proprietà dell'immobile fosse stata acquistata da (...) e che l'intestazione alle minori (...) e (...) fosse solo fittizia; l'attore, in subordine, ha rilevato la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 2901 c.c. per la revocazione dell'atto, previa qualificazione del medesimo come donazione indiretta della nuda proprietà dell'immobile da parte di (...) nei confronti delle nipoti (...) e (...) Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 22 marzo 2019, si sono costituite in giudizio (...) e (...) le quali hanno eccepito, in via preliminare, l'intervenuta prescrizione dell'azione avversaria, e, nel merito, contestato la fondatezza della domanda svolta, chiedendone il rigetto. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20 marzo 2019, si è costituita in giudizio (...) la quale ha contestato la fondatezza della domanda svolta, chiedendone il rigetto (...) i termini e(...) art. 183, comma VI, c.p.c. e in assenza di ulteriore attività istruttoria, la causa è stata assunta assunta in decisione all'udienza del 15 settembre 2023, previa assegnazione dei termini di cui all'art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda di parte attrice deve essere rigettata. Va, in primo luogo, rigettata la domanda di simulazione svolta da (...) Per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, "ad integrare gli estremi della simulazione di un negozio, non è sufficiente la prova che, attraverso l'alienazione di un bene, il debitore abbia inteso sottrarlo alla garanzia generica dei creditori, ma è necessario provare specificamente che questa alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che né l'alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, né l'altra parte abbia inteso acquisirla" (Cass. Civ., sez. II, 20.10.2008, n. 25490). Prova che può essere fornita dal terzo anche per mezzo di presunzioni semplici, purché fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c. (cfr. Cass. Civ., sez. III, 11.04.2006, n. 8428; Cass. Civ., sez. I, 26.11.2008, n. 28224; Cass. Civ., sez. II, 26.11.2019, n. (...)). Orbene, nel caso di specie, l'attore non ha assolto l'onere probatorio sullo stesso gravante in ordine all'asserito carattere simulato dell'atto oggetto dell'odierno giudizio, non avendo articolato attività istruttoria sul punto né fornito elementi presuntivi tali da rivestire la valenza dimostrativa di cui all'art. 2729 c.c., affinché dal fatto noto si possa risalire a quello ignoto da provare (cfr. Cassazione civile sez. II, 11/11/2022, n. (...), per la quale "quanto alla interposizione fittizia di persona, la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all'accordo simulatorio non solo dell'interposto e dell'interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all'intesa raggiunta tra i primi due soggetti, assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell'interponente, ragion per cui la prova dell'accordo simulatorio deve avere ad oggetto la partecipazione del terzo all'accordo stesso"). Invero, gli elementi indiziari indicati da parte attrice per dimostrare in via presuntiva l'accordo simulatorio (quali la conoscenza da parte di (...) della propria posizione debitoria nei confronti dell'attore, la giovane età delle acquirenti della nuda proprietà e la non veridicità della provenienza delle somme a disposizione delle minori per l'acquisto dell'appartamento) non sono sufficienti a dar luogo a quelle presunzioni gravi, precise e concordanti della presenza tra la venditrice ((...) e le acquirenti di un preciso accordo simulatorio e in particolare della asserita totale assenza di volontà da parte della venditrice di procedere al trasferimento nei confronti di (...) non solo del diritto di usufrutto, ma anche della nuda proprietà dell'immobile oggetto di compravendita. Deve, altresì, rigettarsi la domanda revocatoria, non emergendo in atti prova che l'atto possa qualificarsi come donazione indiretta della nuda proprietà dell'immobile da parte di (...) nei confronti delle nipoti. (...) condivisibile orientamento giurisprudenziale, infatti, seppur la revoca colpisce l'acquisto immobiliare, in quanto effettivo frutto della donazione indiretta (Cassazione civile sez. II, 13/06/2023, n. 16680), la valutazione in ordine all'esistenza di una donazione indiretta richiede la prova che tale acquisto immobiliare sia stato effettuato con denaro appartenete al debitore, avendo la giurisprudenza osservato che "in caso di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente ma con intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso abbia inteso beneficiare, la vendita costituisce un mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l'attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario, per cui si ha donazione indiretta non già del danaro ma dell'immobile, poiché quest'ultimo è il bene che entra nel patrimonio del beneficiario" (cfr. Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, n. 29924). Andando ad analizzare il caso di specie, va, invero, osservato che (...) non ha fornito prova che l'acquisto della nuda proprietà dell'immobile sia stato effettuato con denaro appartenente a (...) Va, infatti, osservato che (...) e (...) nella qualità di genitori di (...) e (...) (queste ultime minorenni al momento dell'acquisto immobiliare), hanno dichiarato nell'atto di compravendita che l'importo di Euro 20.000,00 era stato precedentemente corrisposto alla parte venditrice e nell'allegata autorizzazione del Giudice tutelare emerge che tale acquisto sarebbe stato effettuato con "somme di pertinenza delle figlie minori, accumulate negli anni grazie a periodici regali di amici e parenti". Ebbene, a fronte di tali emergenze documentali l'attore ha genericamente dedotto "la palese non veridicità, considerato il loro ammontare, della provenienza delle somme a disposizione dei minori per l'acquisto dell'appartamento" (pag. 7 dell'atto di citazione), senza fornire prova in ordine alla paventata falsità delle dichiarazioni fornite dai genitori al Giudice tutelare, ma soprattutto in ordine alla circostanza che la somma versata per l'acquisto della nuda proprietà dell'immobiliare sia appartenuta esclusivamente a (...) Va, infatti, osservato che l'attore non solo non ha fornito prova documentale di tale circostanza, ma non ha, altresì, chiesto l'assunzione di prove costituende sul punto, con la conseguenza che non appare al presente Giudice che sussistano nel caso di specie elementi indiziari gravi, precisi e concordanti della allegata donazione indiretta, ossia che l'acquisto della nuda proprietà dell'immobile sia avvenuto con denaro proprio di (...) Alla luce di quanto dedotto, le domande di parte attrice devono essere rigettate, restando assorbita ogni altra domanda, eccezione e difesa. Le spese di lite, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come liquidate in dispositivo secondo i parametri tra i minimi e i medi di cui al D.M. n. 55/2014 (cfr. Cassazione civile sez. III, 13/02/2020, n.3697 per la quale "il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall'attore, a tutela del quale viene proposta l'azione revocatoria stessa"), stante il valore della causa, seguono la soccombenza, con la conseguenza che (...) deve essere condannato al pagamento delle medesime nei confronti di (...) e (...) P.Q.M. Il Tribunale di Messina, (...) in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento n. (...)/2018 R.G., promossa da (...) contro (...) e (...) così provvede: 1. rigetta le domande svolte da (...) 2. condanna (...) al pagamento, nei confronti in solido di (...) e (...) delle spese di lite, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge; 3. condanna (...) al pagamento, nei confronti di (...) delle spese di lite, liquidate in ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Messina il 2 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE di NAPOLI Sezione specializzata in materia d'impresa riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati: dott. (...) dott.ssa (...) di (...) relatore dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio iscritto al n. (...)/2021 R.G. TRA (...) (C .F.: (...)) rappresentato e difeso come da procura in atti dall'Avv. (...) (C.F.: (...)) con studio in (...) alla (...) 13 attrice E (...) s.r.l. (C.F. (...)) in persona dell'amministratore unico e legale rapp.te p.t. con sede in (...) alla S.S. dei (...) n. 83, rappresentata e difesa dall' Avv. (...) (C.F. (...)) e dall'Avv. (...) (C.F.: (...)) con studio in (...) alla via (...) n. 10 NONCHE' (...) s.r.l. (C.F.:(...)) in persona dell'amministratore unico e legale rapp.te p.t. con sede in (...) alla S.S. dei (...) n. 83, rappresentata e difesa dall' Avv. (...) (C.F.(...)) e dall'Avv. (...) (C.F.:(...)) con studio in (...) alla via (...) n. 10 convenute (...) revocatoria scissione (...) per parte attrice: "(...) la presente domanda e, per l'effetto ritenere e dichiarare che la (...) pose in essere l'atto di scissione di cui in premessa (notar (...) in (...) in data (...), rep. n 7892 Racc. (...), registrato in (...) in data (...) al n (...) serie (...), redatto in esecuzione della assemblea straordinaria del 27 marzo 2019) con il quale la società ha ceduto alla (...) la piena proprietà della seguente unità immobiliare sita nel Comune di (...) alla S. S. dei (...), civico n 83, costituita da un corpo di fabbrica disposto su cinque livelli e riportato nel catasto fabbricati dello Stesso Comune al foglio 14, particella (...) ai sub 2, 3 e 4 in pregiudizio della creditrice anteriore all'atto stesso (...) e per l'effetto, dichiarare la inefficacia dell'atto nei confronti della parte attrice ex art. 2901 c.c., ordinando al (...) dei (...) di (...) la trascrizione della emittenda sentenza con esonero di responsabilità. In ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari"; per la convenuta (...) s.r.l.: In via preliminare e pregiudiziale disporre ex art. 295 c.p.c. la sospensione del presente giudizio in attesa di definizione del giudizio pendente dinanzi il Tribunale di (...) e recante R.G. 3406/2019; Nel merito rigettare in toto la domanda di parte attrice perché inammissibile ed infondata in fatto e diritto, in quanto non sussistente nel caso in oggetto alcun pregiudizio alle ragioni creditorie dell'attore per tutte le motivazioni di cui in narrativa; in ogni caso, condannare l'attore, alla refusione delle spese del presente giudizio con attribuzione diretta in favore dei sottoscritti procuratori antistatari; per la convenuta (...) s.r.l.: In via preliminare e pregiudiziale disporre ex art. 295 c.p.c. la sospensione del presente giudizio in attesa di definizione del giudizio pendente dinanzi il Tribunale di (...) e recante R.G. 3406/2019; nel merito rigettare in toto la domanda di parte attrice perché inammissibile ed infondata in fatto e diritto, in quanto non sussistente nel caso in oggetto alcun pregiudizio alle ragioni creditorie dell'attore per tutte le motivazioni di cui in narrativa; in ogni caso, condannare l'attore, alla refusione delle spese del presente giudizio con attribuzione diretta in favore dei sottoscritti procuratori antistatari. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato mediante PEC il (...) deduceva: di aver svolto attività di consulenza in favore della (...) s.r.l. ( già (...) s.r.l.) dal 2004 al 2019 senza aver percepito compensi; di aver adito il Tribunale di (...) per il riconoscimento delle spettanze quantificate in euro 185.625, 76; che per atto notar (...) in (...) in data (...) (rep. n. (...) Racc. (...), registrato in (...) in data (...) al n (...) serie (...)) la (...) s.r.l. dava seguito a deliberazione dell'(...) della società, per far constare la scissione della società con trasferimento del patrimonio a società a responsabilità limitata di nuova costituzione ovvero la (...) S.r.l.; che attraverso tale atto le partecipazioni della nuova società costituenda venivano assegnate ai soci della società scissa proporzionalmente a quelle già possedute, ossia di (...) 24.500,00 (49%) al socio (...) e di (...) 25.500,00 (51%) al socio (...) quest'ultimo nominato contestualmente amministratore unico della costituenda società; che veniva trasferito alla costituenda società l'immobile sito nel Comune di (...) alla S. S. dei (...), civico n 83, costituito da un corpo di fabbrica disposto su cinque livelli e riportato nel catasto fabbricati dello Stesso Comune al foglio (...), particella (...) ai sub 2, 3 e 4; che con tale atto veniva, quindi, sottratto il predetto cespite alla garanzia del credito, frustrando le ragioni dei creditori, ed in particolare dell'attore; che essendo l' atto di disposizione a titolo gratuito, stipulato dopo il sorgere del credito e rientrante per ciò solo nella previsione dell'art. 2901 c.c., doveva ritenersi inefficace nei confronti dell'attore. Tanto premesso, deducendo la sussistenza dei presupposti dell'azione di cui all'art. 2901 c.c., concludeva come in epigrafe. Con distinte comparse si costituivano la (...) s.r.l. e la (...) s.r.l. che eccepivano: che stante la pendenza del giudizio dinanzi al Tribunale di (...) il credito dell'attore era contestato, pertanto era necessario disporre la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c.; che non sussisteva l'eventus damni in quanto con la scissione la garanzia del soddisfacimento del credito non era diminuita, stante il disposto dell'art. 2506 quater c.p.c., considerato che la società beneficiaria della scissione era responsabile in solido con la società scissa per i debiti di quest'ultima nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato; che in ogni caso non vi era la scientia fraudis in quanto l'operazione di scissione rispondeva ad esigenze di riorganizzazione della società scissa, che aveva trasferito alla costituenda società competenze in un settore totalmente distinto da quello originario e prioritario; che la notifica dell'atto di citazione relativo all'accertamento del credito dell'attore era successiva all'approvazione, da parte dell'assemblea, del progetto di scissione; che l'operazione non aveva intaccato la solidità economica della società scissa. Concludevano chiedendo in via preliminare la sospensione del giudizio e nel merito il rigetto della domanda. Concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni e riservata in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. La domanda è infondata e va pertanto rigettata. In via preliminare va disattesa la richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. proposta dalle convenute all'atto della costituzione in giudizio. In punto di diritto la Suprema Corte ha più volte affermato il principio per cui la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c. ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, quindi la sospensione può trovare applicazione solo quando in un altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell'altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione di cui all'art. 336 c.p.c. comma 2 sul cosiddetto effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione della sentenza sugli atti e i provvedimenti, comprese le sentenze, dipendenti dalla sentenza riformata o cassata ( cfr. ex plurimis in motivazione Cass. 27.10.2023 n.29897). Nel caso di specie va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene che il credito solo eventuale, anche in veste di credito litigioso, sia idoneo a far insorgere la qualità di creditore che legittima l'esercizio dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. ( cfr. Cass.SS.UU 9440/2004,Cass.240/2017, Cass.11755/2018). In particolare le (...) della Corte di Cassazione con ordinanza n.9440/2004, affermato tale principio, hanno escluso l'applicabilità dell'art. 295 c.p.c. in caso di pendenza del giudizio concernente l'accertamento del credito, in quanto la definizione di tale giudizio non costituisce antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria. Stante l'assenza di pregiudizialità tra le cause, devono ritenersi insussistenti i presupposti per disporre la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio concernente l'accertamento della sussistenza del credito dell'attore nei confronti della società scissa. Va, sempre in via preliminare, dato atto, pur in assenza di contestazioni sul punto tra le parti, che il tema dell'ammissibilità dell'azione revocatoria di atto di scissione societaria è oggetto di un contrasto annoso, tra i fautori del sistema chiuso positivamente previsto, costituito dall'opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. e dalla responsabilità solidale delle società interessate ex art. 2506 quater c.c., con la possibilità di esperire la tutela risarcitoria ex art. 2504 quater c.c. e l'esclusione della ammissibilità della declaratoria di inefficacia dell'actio pauliana ex art. 2901 c.c. , ed i fautori della opposta tesi della ammissibilità dell'azione revocatoria. Quest'ultima ha ricevuto l'avallo della Suprema Corte ( ordinanza n.(...) del 2019). (...) questo indirizzo, la revocatoria della scissione sarebbe ammissibile proprio in ragione dell'effetto traslativo che connota l'atto di scissione (parziale o totale) con assegnazione di parte o di tutto il compendio immobiliare dalla scissa alla beneficiaria, dovendosi quindi intendere nella nozione di atto di disposizione patrimoniale ogni atto idoneo a comportare il trasferimento ad un distinto soggetto di elementi attivi del patrimonio del debitore, così incidendo sulla sua garanzia patrimoniale. Il sistema rimediale approntato dal codice civile in attuazione delle direttive comunitarie, secondo questa tesi, si limita a prevedere l'opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. e la responsabilità solidale delle società partecipanti all'operazione scissoria ex art. 2506 quater ultimo comma c.c. ma non esclude in radice la diversa portata dell'azione revocatoria che avrebbe il pregio - secondo questo orientamento - di incidere non sulla invalidità dell'atto di scissione ma esclusivamente sulla sua efficacia ed opponibilità al creditore pregiudicato. Si sostiene a suffragio di siffatta tesi che l'art. 2504 quater c.c. ricollegherebbe all'iscrizione dell'atto di scissione la sola preclusione alla dichiarazione di invalidità, così non potendosi annoverare nel sistema normativo una previsione che limiti espressamente la portata e l'applicabilità dell'art. 2901 c.c. alle scissioni societarie. Tale orientamento è stato poi sposato definitivamente dalla Corte di Cassazione con una recente pronuncia, nella quale è stato affermato il seguente principio: "Conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), la revocatoria ordinaria dell'atto di scissione societaria è ammissibile, poiché mira ad ottenere l'inefficacia relativa di tale atto, così da renderlo inopponibile al solo creditore pregiudicato (al contrario di ciò che si verifica nell'opposizione dei creditori sociali prevista dall'art. 2503 c.c., che è finalizzata a farne valere l'invalidità), dovendosi ritenere che la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estende sino a ricomprendervi, sia pure in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale, a sua volta, "indiretta" ivi contenuta" (cfr. Cass. sentenza n. 12047 del 06.05.2021.). La Corte di (...) ( sentenza 30 gennaio 2020, C-394/2018) sul punto ha ritenuto che i creditori anteriori della società scissa che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale possono intentare "un'azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione". Il presupposto di questa conclusione è che il rimedio non si sovrappone all'opposizione dell'art. 2503 c.c.: in quanto si tratta invece di tutelare i creditori che risultino pregiudicati dall'operazione, visto che "la responsabilità solidale è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria" (art. 2506-bis, comma 3, ult. periodo, c.c.). Ciascuna società risultante o coinvolta nella scissione risponde nei limiti della quota di netto ricevuto dalla società scissa: qualora la destinazione pregiudichi gli interessi di un creditore, questo è legittimato ad esercitare l'azione revocatoria (...) perché la destinazione non produca effetto nei di lui confronti ed egli possa comunque esercitare l'azione esecutiva individuale su quel bene. In altri termini, le azioni revocatorie, a lungo ritenute inapplicabili a fusioni e scissioni, si attestano come un rimedio diverso ed oggi complementare all'opposizione, in quanto l'azione revocatoria non reagisce mai contro un vizio invalidante singoli atti, bensì contro atti validi ed ha natura di rimedio successivo, perché contesta un atto dispositivo già perfezionato, il cui effetto sia pregiudizievole per l'azione esecutiva. Sussistono, inoltre, contrasti in dottrina anche con riferimento all'atto da sottoporre a revocatoria. Ad avviso di alcuni l'oggetto della revocatoria sarebbe la delibera di approvazione del progetto di scissione, secondo altri la modificazione statutaria riorganizzativa, secondo altro orientamento ancora il singolo atto di attribuzione traslativo. (...) revocatoria, secondo la previsione di cui all'art. 2901 c.c., comporta in favore del creditore la declaratoria di inefficacia degli " atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni ", dunque l'oggetto della revocatoria è rappresentato dagli atti con cui il debitore dispone del proprio patrimonio. (...) di cui si discorre dovrebbe dunque individuarsi nell'assegnazione patrimoniale della società scissa alle società beneficiarie, quale momento indefettibile e necessario della scissione, che in quanto tale comporta una riduzione di parte o dell'intero patrimonio della società scindenda a favore dell'unica beneficiaria o della pluralità di beneficiarie. Tanto premesso, in punto di diritto l'art. 2901 c.c. individua quali presupposti: la sussistenza di un credito, inteso in senso lato, comprensivo dell'aspettativa, dunque anche un credito eventuale o litigioso; il compimento, da parte del debitore, di un atto dispositivo che arrechi pregiudizio alle ragioni del creditore ( eventus damni); che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento ( scientia damni o fraudis); trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione ( consilium fraudis). Quanto al credito, come già evidenziato con riferimento alla richiesta di sospensione del giudizio proposta da parte convenuta, è sufficiente che si tratti di una mera aspettativa, dunque anche di un credito solo eventuale. Per quanto riguarda l'eventus damni e la scientia damni, considerata la struttura bifasica della scissione, costituita dalla delibera di approvazione del progetto di scissione e dagli atti esecutivi della stessa, occorre dare atto che la dottrina tradizionale e la giurisprudenza ritengono che, quando sussiste una sequenza tra contratto foriero della frode mediante atto dispositivo e contratto esecutivo della frode determinativo del pregiudizio, la sussistenza del presupposto della scientia damni debba essere valutata con riferimento al primo rapporto , mentre la sussistenza dell'eventus damni debba essere valutata con riferimento al momento dell'esecuzione del contratto. In particolare quando sia soggetto a revoca, ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'atto di scissione, stipulato in esecuzione di una delibera, occorre provare il carattere fraudolento di quest'ultima (da cui è sorto l'obbligo di stipula dell'atto di scissione poi adempiuto) e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria dell'atto di assegnazione, indipendentemente da un'apposita domanda volta a far dichiarare l'inefficacia della delibera, fermo restando che la sussistenza del presupposto dell' "eventus damni" per il creditore va accertata con riferimento alla stipula della scissione. Si richiama sul punto la giurisprudenza formatasi con riferimento alla revocatoria dei contratti definitivi stipulati in attuazione di contratti preliminari, che può trovare applicazione anche alla sequenza delibera di scissione e atto di assegnazione. In particolare "Non sono soggetti a revoca ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. gli atti compiuti in adempimento di un'obbligazione (cosiddetti atti dovuti) e, quindi, anche i contratti conclusi in esecuzione di un contratto preliminare o di un negozio fiduciario, salvo che sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l'obbligo poi adempiuto, essendo la stipulazione del negozio definitivo l'esecuzione doverosa di un "pactum de contrahendo" validamente posto in essere ("sine fraude") cui il promissario non potrebbe unilateralmente sottrarsi" ( Cass.9970/2008) Nello stesso senso "(...) di assegnazione mediante il quale la cooperativa edilizia trasferisce al socio la proprietà dell'immobile realizzato non è soggetto a revocatoria ordinaria qualora rappresenti un atto dovuto, avendo la cooperativa accettato la specifica prenotazione del socio e avendo questi pagato il corrispettivo, a meno che l'attività preliminare all'assegnazione sia stata compiuta in frode ai creditori, a tal fine dovendosi valutare la sussistenza dell'elemento soggettivo ex art. 2901 cod. civ. con riguardo al momento dell'attività preliminare all'assegnazione e la sussistenza dell'"eventus damni" con riguardo al momento dell'assegnazione stessa" (Cass.Sez. 1, Sentenza n. 20677/2012). Ancora "In tema di azione revocatoria, sono soggetti a revoca, ai sensi dell'art. 2901 c.c., i contratti definitivi stipulati in esecuzione di un contratto preliminare, ove sia provato il carattere fraudolento del negozio con il quale il debitore abbia assunto l'obbligo poi adempiuto, e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria del contratto definitivo, indipendentemente da un'apposita domanda volta a far dichiarare l'inefficacia del contratto preliminare.. Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l'eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, la sussistenza del presupposto dell' "eventus damni" per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2901 c.c. in capo all'acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti "(Cass.Sez.3, Ordinanza 15215/2018). Tanto premesso, in punto di fatto, quanto al presupposto costituito dal credito, va rilevato che l'attore ha dedotto di non aver percepito i compensi per le prestazioni erogate a far data dal 2004 ed ha documentato di aver introdotto il giudizio di accertamento delle ragioni di credito ( cfr. atto di citazione allegato alla produzione di parte attrice). La delibera di approvazione del progetto di scissione è datata 27.3.2019 ( cfr. allegato alla produzione della (...) s.r.l.) , dunque le ragioni di credito, considerata la prospettazione della stessa parte attrice, sono antecedenti all'approvazione del progetto di scissione; al fine di individuare l'anteriorità o la posteriorità del credito rispetto alle operazioni di scissione occorre, infatti, far riferimento al momento genetico del credito e non al suo accertamento. Osserva il Collegio che, trattandosi di credito anteriore alla delibera di scissione, il creditore avrebbe potuto azionare i rimedi tipici previsti dagli artt. 2503 e ss.c.c., pertanto avrebbe dovuto allegare la sussistenza di uno specifico interesse ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell'atto di assegnazione del patrimonio immobiliare alla società beneficiaria della scissione ( adottato nella successiva data del 31.7.2019:cfr. allegato all'atto di citazione). (...) 2902, primo comma, del codice civile prevede infatti che il creditore che ha ottenuto che l'atto di disposizione del debitore che ha arrecato pregiudizio alla garanzia sul patrimonio del debitore sia dichiarato inefficace può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato. Nel caso di specie l'attore nel momento in cui avrà conseguito un titolo esecutivo potrà agire sul patrimonio della società beneficiaria ex art. 2506 -quater c.c. e nulla ha dedotto con riferimento alla utilità di una pronuncia di inefficacia dell'atto di conferimento di un cespite che per legge già ha diritto di aggredire, ma si è limitato ad affermare la maggiore onerosità dell'esecuzione da compiersi su due patrimoni distinti e l' insufficienza dei patrimoni a soddisfare le sue ragioni di credito. Sul punto va evidenziato che il progetto di scissione approvato con delibera del 27.3.2019 ( cfr. allegato alla produzione dei convenuti) ha previsto una scissione parziale proporzionale, con assegnazione dell'intero patrimonio immobiliare aziendale della (...) (...) s.r.l. ( ora (...) s.r.l.). alla costituenda società (...) s.r.l. risultante dalla scissione e assegnazione ai soci della (...) s.r.l. delle quote della nuova società in misura proporzionale; tale operazione è stata prevista Nel progetto di scissione ( cfr. allegato al verbale di approvazione depositato dalle convenute) si legge " La beneficiaria verrà ad esistenza e nel limite del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato diverrà titolare di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi inerenti gli elementi patrimoniali attivi e passivi", dunque il patrimonio della scissa conferito nella società beneficiaria continuerà a costituire garanzia per il pagamento dei crediti anteriori nei confronti della società scissa. Di conseguenza, il bene conferito alla società scissa continuerà a costituire garanzia per il pagamento dei crediti anteriori ( tra cui il credito dell'attore) della società scissa, e sullo stesso parte attrice, una volta ottenuto un titolo esecutivo, potrà agire a tutela delle proprie ragioni. Difetta, pertanto, un interesse dell'attore ad agire ex art. 2901 c.c., considerato che potrà comunque agire, in virtù della previsione di cui all'art. 2506 quater c.c. e di quanto previsto nel progetto di scissione, sul bene conferito alla (...) s.r.l. Anche la deduzione relativa alla insufficienza dei due patrimoni è priva di pregio. Dall'esame dei bilanci approvati dalla società scissa e dalla società beneficiaria al 31.12.2019, dunque successivamente all'attuazione della scissione è emerso che la (...) s.r.l. ha un patrimonio netto pari ad euro 238.637,00 (cfr. bilancio allegato alla comparsa di costituzione) e la società beneficiaria, la (...) s.r.l. ha un patrimonio netto al 31.12.2019 pari ad euro 807.541,00 ( cfr. bilancio allegato alla comparsa di costituzione), importi decisamente superiori alla somma che, secondo la prospettazione di parte attrice, costituisce il credito sub judice nei confronti della società scissa ( euro 185.625,86). A prescindere dalla sussistenza dell'interesse ad agire, in ogni caso la domanda è infondata, difettando il requisito dell'eventus damni, della scientia damni e del consilium fraudis. Per mera completezza va osservato che l'atto di scissione è un atto a titolo oneroso, in quanto la società scissa perde parte del patrimonio ma i soci ottengono un vantaggio costituito dall'attribuzione delle quote della società beneficiaria; inoltre insieme al conferimento dei beni vengono trasferite, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto della beneficiaria, anche i rapporti passivi. Va evidenziato sul punto che ai fini della revocatoria il concetto di onerosità è più ampio di quello di corrispettività, comprendendo tutti quegli atti dai quali discenda direttamente anche per il debitore un vantaggio patrimoniale; gratuito è solo l'atto che comporti una volontaria attribuzione patrimoniale in favore di un altro soggetto che non sia bilanciata da alcun vantaggio, sia pure indiretto o mediato, per il soggetto disponente. Pertanto nel caso di specie dovrebbe essere accertata la sussistenza anche del requisito del consilium fraudis, dunque la consapevolezza, da parte del terzo, del pregiudizio arrecato. Tanto premesso, deve ritenersi insussistente l'elemento dell'eventus damnida valutarsi, secondo la giurisprudenza richiamata in materia di contratti preliminari e definitivi al momento dell'atto di attuazione della scissione, dunque al momento dell'assegnazione del bene immobile in quanto, come già osservato, i patrimoni netti delle società scissa e beneficiaria hanno valori nettamente superiori al valore del credito di parte attrice e dai bilanci depositati è emersa la stabilità economica delle convenute. Va inoltre esclusa anche la scientia damni ( che deve sussistere al momento in cui viene assunta la delibera di approvazione del progetto di scissione) in quanto dall'esame del progetto di scissione emergono delle ragioni oggettive che hanno giustificato l'operazione straordinaria, consistenti nella necessità di razionalizzare la gestione di due attività distinte, una delle quali, quella conferita nella società beneficiaria, non costituente il core business della società scissa. In particolare nel progetto allegato dalle parti convenute si legge "per l'esigenza di separare le attività caratteristiche della società scissa dall'attività di gestione degli immobili non costituenti il core business aziendale..e perseguirà la duplice esigenza di migliorare l'organizzazione aziendale della scissa da un lato e dall'altro rendere più efficiente la gestione del patrimonio immobiliare nella società beneficiaria". Inoltre " la costituzione di due entità, ognuna preposta ad uno specifico settore di attività, consentirà un'allocazione ottimale degli asset materiali ed immateriali che potranno essere valorizzati in modo tale da poter acquisire risorse economico finanziarie mirate allo sviluppo delle singole attività , garantire un aumento della produttività della scissa ed una più efficiente gestione dei beni immobili oggetto di trasferimento nella beneficiaria, ottenendo altresì una semplificazione nella gestione economica, amministrativa e contabile delle due società risultanti dalla gestione" ( cfr. pagg.11 e 12 del progetto di scissione). Deve pertanto escludersi che l'intera operazione sia stata fraudolentemente predisposta per danneggiare le ragioni del creditore. Non sussistendo il presupposto della scientia damni è evidente che difetta anche il requisito del consilium fraudis. Alla luce delle osservazioni che precedono, la domanda va rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dei valori previsti dal D.M. 13.8.2022 n.147 con riferimento alle cause di valore indeterminabile e di alta complessità con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi anticipatari, pro quota e in parti uguali. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, istanza, eccezione e/o deduzione, così provvede: rigetta la domanda; condanna parte attrice alla rifusione, nei confronti delle convenute, delle spese di lite che si liquidano in euro 9000,00 per ciascuna parte per compensi professionali, oltre rimborso spese, c.p.a ed I.V.A. con distrazione in favore degli Avv.ti (...) e (...) dichiaratisi anticipatari. Così deciso in Napoli il 2 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: DANILO SESTINI Presidente CHIARA GRAZIOSI Consigliere STEFANIA TASSONE Consigliere-Rel. GIUSEPPE CRICENTI Consigliere MARILENA GORGONI Consigliere Oggetto: REVOCATORIA ORDINARIA Ud.08/01/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 8334/2021 R.G. proposto da: GIANNI FAUSTO, MACCHIA MARIA GABRIELLA, elettivamente domiciliati in Roma, via Radicofani, n. 140, presso lo studio dell’avvocato LOVELLO ORNELLA, rappresentati e difesi dall'avvocato SANTILLI ENRICO ([email protected]), giusta procura speciale in calce al ricorso. -ricorrenti- contro MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ([email protected]) che ex lege lo rappresenta e difende. -controricorrente- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 6748/2020 depositata il 29/12/2020. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’08/01/2024 dal Consigliere dr.ssa STEFANIA TASSONE; udito il PM in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. ROBERTO MUCCI, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato ENRICO SANTILLI; udito l’avvocato dello Stato GIANNI DE BELLIS; FATTI DI CAUSA 1. Con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ. il Ministero dell’Interno convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, i coniugi Gianni Fausto e Macchia Maria Gabriella, chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., l’atto del 31 maggio 2010 col quale i convenuti avevano conferito in fondo patrimoniale, per fare fronte ai bisogni della loro famiglia, le quote di alcuni beni immobili di proprietà di Gianni Fausto. A sostegno della domanda il Ministero espose che quei beni erano già stati oggetto di un sequestro conservativo a garanzia di una sentenza di condanna del Gianni Fausto emessa dalla Corte dei Conti, che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale era idoneo a pregiudicare le sue ragioni di credito e che Gianni Fausto era consapevole di tale pregiudizio. Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e rilevando che il pignoramento derivante dal citato provvedimento di sequestro conservativo si era perento per mancato deposito dell’istanza di vendita. Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale e condannò i convenuti al pagamento delle spese di lite. 2. La pronuncia venne impugnata dai coniugi soccombenti e la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 29 dicembre 2020, rigettò il gravame, confermando la decisione del Tribunale e condannando gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma ricorrono ora per cassazione Gianni Fausto e Macchia Maria Gabriella con unico atto, affidato a tre motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso. 4. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., ed il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria illustrativa. Con ordinanza interlocutoria del 19 ottobre 2022, il Collegio della Sesta Sezione Civile – 3 rilevava: a) che, innanzitutto, nella memoria di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. il difensore dei ricorrenti ha dato atto che il ricorrente Gianni Fausto era venuto a mancare nelle more del procedimento ed ha rilevato che tale circostanza assumerebbe specifico interesse ai fini della decisione, posto che il credito sul quale il Ministero ha fondato il presente giudizio deriva da una condanna della Corte dei Conti a carico del Gianni e che il relativo debito sarebbe intrasmissibile agli eredi; b) che la complessità dei motivi di ricorso, unita a quest’ultima circostanza sopravvenuta, determinava l’opportunità che la decisione venga rimessa alla pubblica udienza. 5. La causa veniva poi discussa alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2024. Il Ministero dell’Interno ha depositato memoria illustrativa. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 555 e 586 cod. proc. civ., sostenendo che sarebbe venuto meno l’interesse del Ministero ad agire in revocatoria, stante l’intervenuta vendita dei beni oggetto del fondo patrimoniale. Deducono che l’esecuzione forzata, a seguito della sentenza di condanna emessa dal giudice contabile, non è mai stata sospesa ed è esitata con l’aggiudicazione ed il decreto di trasferimento dei cespiti immobiliari costituiti in fondo patrimoniale, per cui, risultando configurabile una pregiudizialità tra l’esecuzione forzata e l’azione revocatoria, nel caso di specie sarebbe venuto meno l’interesse ad agire in capo al Ministero, creditore procedente. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. Lamentano che la corte d’appello, anziché dichiarare la carenza di interesse ad agire del Ministero, ha disposto la prosecuzione del giudizio ed è pervenuta a condannare essi odierni ricorrenti, in allora appellanti, alla rifusione delle spese di lite, erroneamente applicando il principio della soccombenza. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in riferimento all’elemento della sussistenza del credito. Deducono che il credito vantato dal Ministero, in uno con la relativa esigenza di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore, non solo non esisterebbe più, posto che i beni destinati al fondo patrimoniale sono stati oggetto di procedura esecutiva e nel frattempo venduti, ma sarebbe anche stato ab origine inesigibile, in quanto la Corte dei Conti aveva condannato Gianni Fausto al risarcimento del danno erariale non in via principale, ma in via sussidiaria rispetto ad altri soggetti. 4. In via preliminare il Collegio ritiene opportuno sinteticamente riepilogare i fatti di causa rilevanti per la decisione: -con atto del 31 maggio 2010, trascritto il 5 giugno 2010, i coniugi Gianni-Macchia costituivano fondo patrimoniale in cui conferivano due immobili (un appartamento ed una cantina di esclusiva proprietà di Gianni Fausto); -i suddetti immobili erano già oggetto di sequestro conservativo a favore dell’Erario a seguito di condanna esecutiva di Gianni Fausto in data 3 dicembre 2007; -il pignoramento immobiliare del 2008, risultante dalla conversione del sequestro conservativo è andato perento nel maggio 2011, per inattività del creditore procedente; -il Ministero ha allora trascritto un secondo pignoramento, ma solo nel maggio 2011, dunque in data successiva alla costituzione del fondo patrimoniale, e pertanto dichiarato nullo dal giudice dell’esecuzione, a seguito di opposizione all’esecuzione proposta dai debitori, con decisione divenuta definitiva; -parallelamente, il Ministero ha proposto azione revocatoria per sentire dichiarare inefficace nei suoi confronti la costituzione del fondo patrimoniale, domanda accolta dal Tribunale di Roma con sentenza 27 gennaio 2016, confermata dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma del 29 dicembre 2020, sentenza ora impugnata nel presente giudizio di legittimità; -peraltro, la procedura esecutiva è proseguita con la vendita degli immobili già di proprietà di Gianni Fausto; per il lotto 3 il ricavato è già stato oggetto di distribuzione, mentre per il lotto 4 deve ancora disporsi la distribuzione, avendo il Ministero proposto opposizione agli atti esecutivi. 5. Tanto premesso, essendo nel caso di specie pacifica ed incontestata dalle parti la giurisdizione del giudice ordinario (v. Cass., Sez. Un., 19/07/2018, n. 19280), i tre motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l’azione revocatoria, inserita nella sistematica del codice tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, non produce effetti recuperatori o restitutori del bene dismesso al patrimonio del debitore; scopo dell'azione, infatti, è quello di pervenire alla dichiarazione di inefficacia relativa dell'atto revocato, con conseguente assoggettamento del bene al diritto del revocante (e solo di questi) di procedere ad esecuzione forzata sul medesimo (cfr. Cass., 16/11/2020, n. 25862; Cass., 13/08/2015, n. 16793). L'azione revocatoria è dunque uno strumento che la legge pone a disposizione del creditore affinché' venga mantenuta integra la garanzia patrimoniale del debitore il quale, ai sensi dell’art. 2740, comma 1, cod. civ., risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. 5.1. Proprio in relazione alla finalità dell’azione revocatoria, di affermare l’inopponibilità al creditore dell’atto dispositivo lesivo della garanzia patrimoniale, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che anche il credito litigioso è un credito eventuale idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore che abilita l'esperimento sia dell'azione revocatoria sia dell'azione di simulazione (Cass., Sez. Un., 9440/2006); si è inoltre precisato che non è necessario essere titolare di un credito certo, liquido ed esigibile per proporre l'azione revocatoria ordinaria, essendo sufficiente una mera ragione creditoria, financo una aspettativa (di recente, v. Cass., 18/01/2023, n. 1414; Cass., 06/06/2011, n. 12235). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, fondato su una ratio già emergente dalla letterale formulazione del comma 1 dell'art. 2901 cod. civ., è pertanto possibile esercitare l'azione pauliana anche quando il credito è ancora una mera potenzialità, e quindi a monte persino del credito litigioso, come pure di quello sottoposto a termine e condizione. Ai fini dell'esercizio di questo strumento di tutela, ontologicamente e radicalmente preventiva, infatti, l'art. 2901 cod. civ. fornisce "una nozione lata di credito comprensiva della ragione o aspettativa" (come nota, di recente, Cass., 19/02/2020, n. 4212) ed appresta una tutela, come si può logicamente concludere, che è preventiva tanto quanto eventuale è il credito che ne è l'oggetto. 5.2. Naturale derivazione di questi principi generali è l’insegnamento dettato da questa Corte nell’ipotesi in cui il bene oggetto dell’atto dispositivo lesivo delle ragioni creditorie sia anche stato oggetto di pignoramento. Argomentando dal presupposto dell’esistenza di una procedura esecutiva, fatta oggetto di opposizione, si è infatti precisato che sussiste l’interesse del creditore all’azione revocatoria contro la vendita del bene immobile del debitore dopo il trasferimento di proprietà e prima della relativa trascrizione, dovendo essere riconosciuto il suo interesse ad ottenere un’utilità che non può essere conseguita se non con la proposizione di una domanda giudiziaria. Si osserva, infatti, che, in caso di accoglimento dell’opposizione, il creditore vedrebbe caducarsi gli effetti del pignoramento promosso nei confronti del debitore, senza certezza di poter procedere utilmente a nuovo pignoramento, sul medesimo bene ma nei confronti del nuovo proprietario, in difetto della dichiarazione di inefficacia del trasferimento ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. o, quanto meno, della già avvenuta proposizione della domanda di revocazione (Cass., 18/02/2016, n. 3179; Cass., 16/11/2020, n. 25862). 5.3. Anche in altre specifiche ipotesi, in cui si è valorizzato, unitamente all’esperimento dell’azione ex art. 2091 cod. civ., il valore di prenotazione insito nella trascrizione della relativa domanda giudiziale, questa Corte ha espressamente affermato, in considerazione delle alterne vicissitudini dei beni costituenti la garanzia patrimoniale del debitore, la persistenza dell’interesse ad agire in revocatoria da parte del creditore (cfr. Cass., 02/12/2011, n. 25850, ribadita e confermata dalla sentenza 31 maggio 2019, n. 14892, secondo cui il divieto di azioni esecutive individuali posto dall’art. 51 della legge fallimentare non osta alla procedibilità della revocatoria ordinaria già promossa dal creditore dell’alienante, ove la domanda ex art. 2901 cod. civ. sia stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’acquirente, dato che in tal caso il creditore dell’alienante, ove l’azione sia accolta, viene a trovarsi, rispetto all’immobile ormai acquisito all’attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prelazione su bene compreso nel fallimento; con la conseguenza che l’attore vittorioso, che non è creditore diretto del fallito e non partecipa quindi al concorso formale, può tuttavia ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell’immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l’alienante, per esserne soddisfatto in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali). Del pari, è stato affermato l’interesse del creditore ad agire in revocatoria avverso un atto di trasferimento immobiliare compiuto dal debitore in favore della propria moglie, cui aveva fatto seguito, nelle more del giudizio e durante il procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la retrocessione del bene nel patrimonio del debitore. Questa Corte ha infatti avuto modo di precisare che tale evento successivo non fa venir meno l’interesse del creditore all’espletamento dell’azione revocatoria, interesse che invece permane proprio per evitare il “rischio di essere pregiudicato dalle successive vicende del bene immobile in questione. Vicende le quali, è bene dirlo, potrebbero essere animate da finalità truffaldine o comunque non trasparenti. Se il debitore, infatti, potesse liberamente far venire meno l’interesse all’azione revocatoria attraverso la retrocessione del bene nel suo patrimonio, ciò aprirebbe la porta ad evidenti abusi; il debitore potrebbe, con eventuali alienazioni e retrocessioni successive, aggirare le finalità dell’azione revocatoria, esponendo il creditore alla possibilità di essere postergato rispetto ad altri creditori o, comunque, rendendo più difficile la soddisfazione del credito” (Cass., 16/11/2020, n. 25862). 6. Orbene, l’impugnata sentenza ha fatto buon governo dei suindicati principi, sulla base dei quali deve essere ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, anche in relazione alla censura che prospetta una sorta di pregiudizialità tra procedura esecutiva ed azione revocatoria, tale da escludere in capo al creditore l’interesse ad agire, che permane invece concreto ed attuale in relazione alle finalità di tutela delle sue ragioni apprestate dall’art. 2091 cod. civ. 7. Altrettanto infondato è il terzo motivo di ricorso, per le medesime ragioni indicate in sede di scrutinio del primo motivo, in disparte il non marginale rilievo per cui nel ricorso neppure viene trascritta la pronuncia della Corte dei Conti, da cui desumere la condanna in via meramente sussidiaria di Gianni Fausto, evenienza che peraltro risulta esclusa dalla espressa motivazione svolta sul punto dall’impugnata sentenza (v. p. 5). 8. Infondato è poi, nello specifico, il secondo motivo di ricorso, che censura l’errata applicazione del principio della soccombenza nel regolamento delle spese processuali tra le parti. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in riferimento al regolamento delle spese di giudizio il controllo di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (Cass., 31/08/2020, n. 18128). Per il resto, costante orientamento di questa Corte afferma che la compensazione, totale o parziale, delle spese di giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nel concorso di giusti motivi. Pertanto, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se e in quale misura debba darsi luogo alla compensazione. La pronuncia in merito alla compensazione delle spese soggiace al sindacato di legittimità solo quando il giudice, a giustificazione della disposta compensazione, “enunci motivi palesemente e macroscopicamente illogici od erronei, tali da inficiare, per la loro inconsistenza ed erroneità, lo stesso procedimento formativo della volontà decisionale” (Cass., 24/03/2021, n. 8274). Nel caso di specie, la corte territoriale ha deciso motivatamente in relazione ai suindicati principi, condannando alla rifusione delle spese la parte soccombente (v. p. 10 dell’impugnata sentenza). 9. Nella memoria illustrativa depositata prima della adunanza camerale originaria fissata, il difensore di parte ricorrente ha prospettato che, essendo nelle more del giudizio deceduto Gianni Fausto, il credito erariale, per la cui tutela è stata intrapresa dal Ministero l’azione revocatoria, sarebbe inopponibile agli eredi ai sensi dell’ art. 1 della legge n. 20/1994, per cui, in relazione a questo profilo sopravvenuto, nuovamente e d’ufficio dovrebbe essere rilevato il difetto di interesse ad agire del Ministero e l’impugnata sentenza dovrebbe essere cassata in relazione a tale rilievo. 9.1. La censura, in forza della quale, oltre che per la complessità dei motivi di ricorso, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, è infondata. Occorre anzitutto ricordare che la norma sopra citata, come novellata dall’art. 1, comma 4, del d.l. n. 543/1996, convertito nella legge n. 639/1996, espressamente prevede al primo comma: “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”. In relazione alla citata norma, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la condanna al risarcimento del pubblico dipendente si trasmette agli eredi solo quando c’è indebito arricchimento del de cuius e degli eredi stessi. Infatti, solo se vi è stato tale indebito arricchimento sia del de cuius che degli eredi, si trasmette il debito in capo a questi e può essere iniziata l’esecuzione nei loro confronti (Cass., 20/11/2018, n. 30856). Tanto premesso, proprio la previsione della suindicata norma, che esclude che il debito contabile si estingua tout court con la morte del soggetto condannato per responsabilità erariale, e che pertanto non esclude, ma soltanto limita, la trasmissibilità agli eredi del debito per risarcimento del danno all’Erario, rafforza ancor più la conclusione, come detto fondata su consolidato orientamento di questa Corte, del persistente interesse ad agire del creditore, nel caso di specie il Ministero odierno resistente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 cod. civ., fintanto che non si pervenga ad un accertamento negativo del credito, accertamento che non costituisce oggetto del presente giudizio. 10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. 11. La complessità e la peculiarità delle questioni trattate impone la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’8 gennaio 2024. Il Presidente DANILO SESTINI
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LUIGI ALESSANDRO SCARANO Presidente CHIARA GRAZIOSI Consigliere STEFANIA TASSONE Consigliere-Rel. GIUSEPPE CRICENTI Consigliere ANNA MOSCARINI Consigliere Oggetto: REVOCATORIA ORDINARIA Ud.07/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 21851/2020 R.G. proposto da: VIDA MARIA LUIGINA, domiciliata presso l’avvocato FERMI MONICA ([email protected]), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VAGO PAOLO FRANCESCO ([email protected]), giusta procura speciale a margine del ricorso. -ricorrente- contro BULAXIE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA OSLAVIA 28, presso lo studio dell’avvocato PORZIO ANTONIO HECTOR ([email protected]), rappresentato e difeso dall'avvocato DI POMPEO LAURA ([email protected]), giusta procura speciale in calce al ricorso. -controricorrente- nonché contro BARBIERI LUCIANO. -intimato- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 144/2020 depositata il 04/02/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Consigliere dott.ssa STEFANIA TASSONE; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Alessandro PEPE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato Paolo Francesco VAGO; udito l’avvocato Francesco Saverio MONNO. FATTI DI CAUSA 1. Vida Maria Luigina propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d'Appello di Brescia n. 144/2020 del 4 febbraio 2020, con cui è stato rigettato il gravame da essa proposto contro la sentenza del Tribunale di Cremona del 20 marzo 2018; con tale decisione, che aveva tra l'altro ritenuto tardivamente proposta l'eccezione di cui all'art. 2901, comma 3, cod. civ., era stata accolta la domanda revocatoria proposta da Bulaxie s.r.l., a vario titolo creditrice di Barbieri Luciano, in relazione all'atto di compravendita con cui il Barbieri aveva alienato alcuni immobili in Cremona a Vida Maria Luigina. Resiste con controricorso Bulaxie s.r.l. Barbieri Luciano, pur ritualmente intimato, non ha svolto difese. 2. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ., all’esito della quale il Collegio emetteva ordinanza interlocutoria del 19 giugno 2023, con cui riteneva opportuno riservare la decisione all’esito di una fissanda pubblica udienza e pertanto rinviava la causa a nuovo ruolo. La causa veniva poi discussa alla pubblica udienza del 7 dicembre 2023. Il Pubblico Ministero ha depositato le proprie conclusioni. La ricorrente e la resistente hanno depositato memorie illustrative. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “Art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.: violazione art. 2901, comma 3, cod. civ. in relazione al combinato disposto degli artt. 112, 166 e 167 cod. proc. civ.”. Lamenta che, erroneamente ed in contrasto con gli insegnamenti di questa Suprema Corte, la corte territoriale, confermando la decisione del Tribunale di Cremona, ha qualificato la allegazione dell’esenzione da revocatoria del pagamento del debito scaduto di cui all’art. 2091, comma 3, cod. proc. civ. come eccezione in senso stretto da formulare a pena di decadenza nel termine di cui all’art. 167 cod. proc. civ., dunque pervenendo a confermare la statuizione del tribunale, che aveva ritenuto che il fatto dell’avvenuto pagamento del debito scaduto fosse stato tardivamente prospettato da Vida Maria Luigina, in quanto dedotto nella comparsa di costituzione e risposta depositata soltanto alla prima udienza, e non entro il ventesimo giorno ad essa precedente. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “plurime violazioni … dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.”, in relazione ai vizi di cui ai nn. 3, 4 e 5, “relativamente alla erronea qualifica di “consumatore” del Barbieri ed alla erronea qualificazione del debito come non scaduto”. Precisa di aver accorpato in un unico contesto plurime distinte censure, per essere sotto vari profili viziata la medesima parte dell’impugnata sentenza (di cui a p. 10 della motivazione), che ha ritenuto il debito pagato dal Barbieri come “non scaduto”. 2.1. Con una prima censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. “Error in procedendo, art. 112 cod. proc. civ., vizio di extrapetizione per aver statuito su una questione di fatto, non dedotta dalle parti, né affermata dal tribunale, erroneamente qualificando il Barbieri consumatore”. Deduce che la corte di merito ha affermato che Barbieri Luciano fosse persona fisica alla stregua di un “consumatore”, omettendo di leggere i documenti di causa, che deponevano invece nel senso della sua attività imprenditoriale, discostandosi alla sentenza di prime cure, che menzionava <<il debito delle Cascine Gandini di Barbieri>>, e dunque incorrendo in vizio di extrapetizione, dato che l’incontestato svolgimento dell’attività di azienda agricola da parte di Barbieri Luciano non è stato oggetto di censure in appello. 2.2. Con una seconda censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., “Falsa/errata applicazione dell’art. 125 quater TUB”. Deduce che, sul presupposto della invero erronea considerazione di Barbieri Luciano come “consumatore”, la corte di merito ha escluso che il debito fosse scaduto, erroneamente ritenendo necessario un recesso in forma scritta imposto a tutela del consumatore, mentre nel caso di specie era applicabile la norma contrattuale, di cui all’atto notarile stipulato tra il Barbieri e l’istituto bancario, che riconosceva alla banca la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di credito. 2.3. Con la terza censura la ricorrente denuncia, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., “Omessa valutazione di documentazione rilevante ai fini della decisione, sempre in tema di qualifica di consumatore”. Deduce che la corte di merito è incorsa nella erronea qualificazione del Barbieri come consumatore per aver omesso di valutare la copiosa documentazione prodotta da entrambe le parti sin dal primo grado di giudizio. 2.4. Con la quarta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. “Errata valutazione della prova testimoniale, estrapolata in modo frammentario ed incompleto: travisamento dei fatti sulla qualifica di “consumatore” del Barbieri”. Deduce che la corte territoriale non ha compreso, ovvero ha ignorato, le risultanze della prova testimoniale, da cui era emerso che il Barbieri era un imprenditore agricolo. 2.5. Con la quinta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. “Errore di diritto, violazione di legge per disapplicazione degli art. 1845 cod. civ., art. 3 Contr. Finanziamento del 22.11.2005 e suo allegato C, art. 6 lettera C (Norme Bancari Uniformi)”. Lamenta che la corte di merito è incorsa in errore di diritto rilevando la cessazione (rectius: chiusura) del conto corrente, mentre nel caso di specie vi era stata revoca dell’affidamento al Barbieri, cui giuridicamente consegue l’obbligo di restituzione, rendendo così il debito scaduto, senza che sia necessaria la chiusura del conto corrente, peraltro neppure mai richiesta dalla banca. 2.6. Con una sesta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. “Errata valutazione della prova testimoniale, estrapolata in modo frammentario ed incompleto: travisamento dei fatti in tema di debito scaduto”. Lamenta, sempre in relazione alla questione del debito scaduto, che la corte territoriale ha travisato la deposizione del direttore della banca, il quale ha dichiarato di aver richiesto a Barbieri Luciano di rientrare negli interessi e nel rientro nella posizione affidata. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., “violazione ed errata applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002 mod. L. 228/2012 art. 1, comma 17”. Deduce, quale conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi, l’erronea valutazione ed applicazione del principio di soccombenza, da parte della corte d’appello, nel regolamento delle spese del proposto gravame. 4. Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui risulta dedotto in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., dato che offre una descrizione meramente discorsiva del contesto processuale, senza trascrivere il contenuto dell’eccezione proposta ex art. 2901, comma 3, cod. civ. e senza riprodurre i passaggi motivazionali censurati per violazione della suddetta disposizione normativa, non può essere accolto. Occorre premettere: 1) che, confermando sul punto la sentenza di primo grado, la corte territoriale ha espressamente affermato che la prospettazione, ex art. 2901, comma 3, cod. civ., dell'avvenuto impiego da parte del disponente Barbieri della somma ricavata dalla compravendita immobiliare in favore della Vida quale mezzo per l'estinzione un debito scaduto costituisce eccezione in senso stretto, espressamente richiamando i principi posti da questa Corte con la sentenza n. 16793 del 2015, già previamente citata nella sentenza del tribunale; 2) che pertanto la corte d'appello, come già il tribunale, ha affermato che la prospettata esenzione, costituendo eccezione in senso proprio e stretto, dunque non rilevabile d'ufficio, avrebbe dovuto essere proposta dai convenuti Barbieri e Vida nel termine perentorio di cui al combinato disposto degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ., e cioè non oltre il ventesimo giorno a ritroso a partire da quello fissato dall'attore per l'udienza di prima comparizione; le parti convenute si sono invece costituite alla prima udienza, in tal modo introducendo tardivamente l'eccezione, e dunque incorrendo nella relativa decadenza. La odierna ricorrente non contesta la tardività della sua costituzione rispetto alla prima udienza del giudizio di merito, ma sollecita un intervento nomofilattico di questa Corte, finalizzato a riqualificare l’eccezione di esenzione dalla revocatoria, di cui al comma 3 dell’art 2901 cod. civ. in termini di eccezione in senso lato, anziché in senso stretto. 4.1. Va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (vedi Cass., Sez. Un. 1099/1998; Cass., Sez. Un., 15661/2005; Cass., Sez. Un., 10531/2013), a partire dalle S.U. n. 1099/1998, la deduzione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto vantato dall’attore dà normalmente luogo ad un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, purché risulti dagli atti del processo. Il fatto integratore dell’eccezione in senso stretto deve essere, invece, o previsto espressamente dalla legge (come l’eccezione di prescrizione o l’eccezione di compensazione) oppure corrispondere all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare o ad altra situazione in cui la manifestazione della volontà della parte sia prevista strutturalmente come elemento integrativo della fattispecie difensiva (v., da ultimo, Cass., 14/02/2023, n. 4589). Orbene, questa Corte ha già avuto modo di affermare che “L'esenzione dalla revocatoria ordinaria, prevista per l'adempimento di un debito scaduto, integra un'eccezione in senso stretto, presupponendo l'allegazione in giudizio di fatti impeditivi non rilevabili d'ufficio, sicché non incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che ometta l'esame di documenti prodotti ai sensi dell'art. 345, c.p.c., a sostegno dell'eccezione di cui all'art. 2901, comma 3, c.c., sollevata per la prima volta in grado di appello e, pertanto, preclusa” (Cass., 13/08/2015, n. 16793). Il principio è stato, ed ancora di recente, ribadito da arresti successivi (Cass., 12/07/2023, n. 19963; Cass., 13/08/2015, n. 16793; Cass., 28/02/2019, n. 5806). Questa Corte ha quindi ritenuto appartenere alla categoria delle eccezioni in senso stretto anche quella di cui all’art. 2901, comma 3, cod. civ., ovvero l’esenzione dell’azione revocatoria ordinaria prevista per l’adempimento di un debito scaduto, avendo in tale fattispecie osservato che l’esenzione in parola deve essere allegata e provata, nella sua esistenza, dall’acquirente convenuto in revocatoria, non già, nella sua inesistenza, dall’attore. Il che, del resto, ben si comprende in ragione sia della natura impeditiva della fattispecie di esenzione, sia del principio di vicinanza della prova; potendo risultare, per il creditore che agisca per la revocatoria, estremamente difficile, se non del tutto impossibile, fornire la prova del fatto negativo della “non destinazione” del prezzo al pagamento di debiti scaduti del disponente (Cass., 14/02/2023, n. 4589; Cass. n. 11764/02; Cass. n. 14420/13). Ne consegue che tale fatto estintivo del diritto fatto valere dal creditore, richiedendo necessariamente l’allegazione (e la prova) di elementi che appartengono alla sfera soggettiva del debitore, non può essere rilevato d’ufficio dal giudice. 5. L’impugnata sentenza è pertanto conforme a diritto, in quanto la corte d’appello ha ritenuto preclusa l’eccezione fatta valere ex art. 2901, comma 3, cod. civ., e si è così conformata all’esistente orientamento di legittimità, rispetto al quale il ricorso non offre elementi idonei a determinarne il mutamento. 5.1. Per altro verso, poi, deve essere rilevato che la corte di merito ha confermato la sentenza di prime cure sul condiviso rilievo nel merito per cui, a prescindere alla questione di diritto relativa alla qualificazione dell’eccezione sollevata ex art. 2901, comma 3, cod. civ., il debito di Barbieri Luciano fosse stato solo parzialmente estinto con il corrispettivo ricevuto da Vida Maria Luigina e non potesse qualificarsi come “debito scaduto” per l’assenza in atti della prova di tale circostanza. 6. Il secondo motivo è parimenti infondato, in tutte le censure in cui si articola. Premesso che il motivo, pur presentandosi come “composito” o “misto”, è stato formulato in modo da poterne discernere i differenti profili, nei termini di cui di seguito ulteriormente specificati (sui limiti di ammissibilità del motivo c.d. “misto” o “composito”, si vedano, ex plurimis: Cass., Sez. Un., 06/05/2015, n. 9100; Cass., 17/03/2017, n. 7009; Cass., 23 gennaio 2019, n. 1783), tutte le censure, dedotte sotto la formale invocazione della violazione di legge, mirano sostanzialmente a sollecitare un riesame del fatto e della prova, precluso nella presente sede di legittimità. Nello specifico, poi, è infondata la censura svolta ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc., per prospettata extrapetizione, dato che, secondo costante orientamento di questa Corte, il giudice di appello incorre nel vizio di extrapetizione allorché’ pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Non è precluso, invece, allo stesso giudice l’esercizio del potere-dovere di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica diversa da quella data in prime cure con riferimento alla individuazione della causa petendi, dovendosi riconoscere a detto giudice il potere-dovere di definire l’esatta natura del rapporto dedotto in giudizio, onde precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame (cfr., tra le tante, Cass., 28/09/2022, n. 28181; Cass. n. 4744/2005 e Cass. n. 12943/2012). Infine, la censura svolta ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. viola il disposto dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di cd. “doppia conforme” e non avendo la ricorrente neppure indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, al fine di dimostrare che esse sono fra loro diverse (Cass., 09/08/2022, n. 24508.; Cass., 10/03/2014, n. 5528). 7. Il terzo motivo è inammissibile, sia là dove censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha statuito sul regolamento delle spese di lite tra le parti, sia là dove lamenta la condanna al pagamento del doppio del contributo ex art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002 succ. mod. int. In primo luogo, perché espressamente dedotto in conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi, che vengono invece rigettati. In secondo luogo, perché costante orientamento di questa Corte ha già avuto modo di affermare, sotto il primo profilo, che il regolamento delle spese di lite è rimesso alla valutazione ed alla discrezionalità del giudice di merito, con l’unico limite di non poterle addebitare alla parte totalmente o parzialmente vittoriosa (nel senso che la sua domanda viene accolta, seppure per un importo inferiore a quello indicato nel petitum), rispetto alla quale è possibile disporre la compensazione, in presenza degli altri presupposti dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (Cass., 11/10/2016, n. 20374; Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061; Cass., 22/04/2020, n. 8036). Infine, quanto al secondo profilo, perchè come affermato dalle Sezioni Unite Civili di questa Corte (Cass., Sez. Un., 20/02/2002, n. 4315), il versamento di un importo “ulteriore” rispetto all’ammontare del contributo unificato è riconducibile ad un obbligo normativo, dei cui presupposti il giudice si limita a dare atto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 7 dicembre 2023. Il Presidente LUIGI ALESSANDRO SCARANO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ANCONA Seconda Sezione Civile Riunita in Camera di consiglio in persona dei Signori Magistrati: dott. Guido Federico - Presidente dott. Maria Ida Ercoli - Consigliere dott. Simonetta Cocciolito - Consigliere Ausiliario Estensore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento n. R.G. 551/2020 promosso da Ma. s.r.l. con sede in C., via Ma. n.78, (C.F. e P. IVA (...)), in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Sp. del Foro di Rimini ed elettivamente domiciliata in Pesaro via (...) presso lo studio del difensore APPELLANTE contro Cu. s.r.l. Lp. (cod. Fisc. (...)) in persona del Curatore rag. A.G. rappresentato e difeso dall'Avv. Lu.Ma. del Foro di Urbino ed elettivamente domiciliata in Ancona, Corso (...) (studio legale Avv. St.Pl.). APPELLATA FATTI DI CAUSA Con atto di citazione regolarmente notificato il Fallimento Lp. S.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Urbino la Ma. S.r.l., chiedendo " previo accertamento del pregiudizio arrecato alla Curatela del fallimento Lp. S.r.l. dalla vendita dell'Es. 235 T di cui alla fattura n. (...) della Lp. S.r.l. (doc. n 5) revocare la predetta vendita rendendola inefficace per la curatela attrice e per l'effetto: a) condannare la convenuta alla restituzione del bene sopra indicato se ancora nella sua disponibilità; b) in via alternativa, nel caso in cui il bene, come dichiarato dalla controparte, non sia più nella disponibilità della Ma. S.r.l., condannare quest'ultima al pagamento in favore della curatela della società Lp. S.r.l. della somma di Euro 40.000,00 o a quella maggiore o minore che risulterà". Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto della domanda e in subordine, nella denegata ipotesi di accertamento del pregiudizio arrecato dalla vendita dell'Es. 235 T, condannare la Ma. S.r.l. al pagamento in favore del Fallimento Lp. S.r.l. della differenza fra il valore di vendita e la stima del mezzo operata alla luce dello stato di fatto del mezzo al momento della vendita. All' esito dell' espletata attività istruttoria (produzione documentale ) il Tribunale di Urbino con sentenza n. 65/2020 pubblicata in data 07/04/2020 accoglieva la domanda ai sensi degli artt. 2901 e dichiarava inefficace nei confronti della C.F. Lp. S.R.L. " la vendita dell'Es. 235T di cui alla fattura n. (...), descritto in atti" , con condanna della convenuta Ma. S.R.L. al pagamento delle spese di lite. Avverso detta sentenza proponeva appello la Ma. S.R.L. chiedendo dichiararsi infondate le domande proposte dal Fallimento Lp. S.r.l. e, conseguentemente, rigettare la richiesta di revoca della vendita dell'Es. 235 T; In via istruttoria insiste nella richiesta di prova per testi già formulata nel corso del giudizio di primo grado". Con vittoria di spese . Si costituiva la C.F. Lp. srl chiedendo il rigetto dell' appello. All' udienza del 13 luglio 2022 la causa veniva trattenuta in decisione. RAGIONI DELLA DECISIONE L'appellante con il primo motivo deduce la "Insussistenza dei presupposti dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c." sostenendo in particolare che la vendita non ha assolutamente leso le posizioni dei creditori del fallimento Lp. S.r.l. in quanto la Società " non aveva più le risorse economiche per far fronte alle necessarie e tuttavia costose riparazioni" e quindi il Tribunale non ha preso in considerazione l'effettivo "mutamento quantitativo e qualitativo della garanzia patrimoniale generato dall'atto dispositivo". Osserva il Collegio che ai sensi dell'art. 66 L.F. presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria sono l'effettività della lesione, intesa come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento dell'atto impugnato e la consapevolezza che con gli atti di disposizione è stata diminuita la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori; se, come nel caso di specie, l'atto di disposizione è a titolo oneroso tale consapevolezza deve essere provata anche in capo al terzo (partecipatio fraudis). Il pregiudizio richiesto dall' art. 2901 c.c. è integrato anche dalla semplice maggiore difficoltà del creditore a soddisfare il proprio diritto. ( Di recente ex multis Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 18/06/2019, n. 16221 ) . Ciò in quanto l'azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica del patrimonio del debitore assicurata al creditore, ma anche di garantire uno stato di maggiore "fruttuosità e speditezza" dell'azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia non essendo necessaria la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore ma, per converso, soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (cfr. ex multis, Cass. Sez. III, 4/7/2006 n. 15265; Cass. Civ., Sez. III, 14/10/2005, n. 19963; Cass. Civ., 24/07/2003, n. 11471). Applicando tali i principi generali al caso di specie il gravame deve essere respinto. Dagli atti risulta che il bene venduto è un Es., valutato in Euro 40.000,00, come risulta da perizia giurata allegata al piano di ristrutturazione proposto nel gennaio 2014 ( cfr. all. 3 e 4 fascicolo I parte attrice) e il bene risulta venduto dalla Soc. Lp. alla Ma. Srl il 16.1.2015 alla minor somma di Euro 5.000,00 (importo non corrisposto in denaro, ma con fornitura di inerti e prestazioni di lavoro - circostanze peraltro non contestate- ) e senza chiarezza sul perchè detto bene avesse subito un deprezzamento così importante. Va inoltre evidenziato, avuto riguardo alla scientia damni che circa un anno prima la debitrice aveva concluso un "accordo di ristrutturazione" con i creditori, apparendo pertanto ravvisabile anche la consapevolezza della propria situazione di crisi e del pregiudizio che l'atto, facendo uscire un bene al patrimonio della società, avrebbe arrecato alla regioni dei creditori. Quanto alla partecipatio fraudis, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, è anch'essa sussistente. La giurisprudenza è concorde nell' affermare che la prova della "partecipatio fraudis" del terzo, può essere ricavata anche da presunzioni semplici , il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e immune da vizi logici e giuridici ( ex multis cfr . Cass. n. 5658/2018, n. 18315; Cass. civ. Sez. VI - 3 Ordinanza, 26/01/2016, n. 1404). E nel caso in esame, dalla visura camerale in atti ( v. all ) risulta che i soci della Lp. s.r.l. e della Ma. s.r.l. sono gli stessi e quindi le parti non potevano non avere contezza della situazione patrimoniale della società ed ignorare il pregiudizio che l'atto arrecava ai propri creditori. Con il secondo motivo l'appellante rileva "Erronea valutazione delle prove e mancata ammissione delle prove testimoniali - violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.", sostenendo che il Tribunale non ha pienamente valutato l'opportunità di ammettere le prove dallo stesso proposte Il motivo deve essere respinto, dovendo ritenersi che le prove testimoniali richieste siano prive di decisività, risultando dai documenti prodotti i presupposti per l'accoglimento della domanda. Con l' ultimo motivo viene contestata la condanna alle spese di lite. Sul punto ritiene il Collegio che le spese siano state correttamente poste a carico della parte soccombente in base ai principi generali di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.. Gli importi liquidati sono conformi a quelli previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e le somme devono ritenersi congrue, avuto riguardo ai parametri normativamente fissati al numero e all'importanza delle questioni trattate e alla natura ed entità delle singole prestazioni stante il totale accoglimento della domanda attrice. Deve da ultimo rilevarsi che la curatela fallimentare, premesso che la propria domanda di condanna della convenuta Ma. srl al pagamento del prezzo del bene oggetto della revocatoria (in quanto lo stesso era stato venduto e non era più nella disponibilità della convenuta medesima), era stata rigettata dal primo giudice, ha espressamente affermato di non intendere proporre appello incidentale su tale capo della sentenza di primo grado, limitandosi a chiedere il rigetto dell'appello e " l'eventuale integrazione della sentenza di primo grado "... con la pronuncia di condanna dell'appellante al pagamento del prezzo del bene oggetto della vendita dichiarata inefficace qualora il bene non sia più nella disponibilità dell'appellante e non sia recuperabile." Tale richiesta di "eventuale integrazione della sentenza di primo grado, è evidentemente inammissibile. L'appello deve pertanto essere respinto e la gravata sentenza confermata. Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento , da parte dell' appellante dell' ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l' appello. P.Q.M. la Corte d'Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla Ma. Srl in persona del legale rappresentante p.t., contro la C.F. Lp. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Urbino n. 65/2020 pubblicata in data 07/04/2020 così dispone: - rigetta l'appello ; - condanna la Ma. Srl in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento delle spese del grado in favore dell'appellata, spese che si liquidano in Euro 5.446,00 nonché Euro. 150,00 per esborsi oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento , da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello. Così deciso in Ancona il 14 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2024.
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