Sentenze recenti azione di rivendicazione

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  • Il diritto di proprietà, quale diritto reale primario, può essere fatto valere erga omnes attraverso l'azione di rivendicazione, la quale consente al proprietario di ottenere la restituzione del bene indebitamente posseduto da terzi. Tuttavia, tale azione è soggetta a precisi limiti temporali e procedurali, come il rispetto dei termini di impugnazione e delle regole sulla competenza territoriale, la cui inosservanza può comportare il rigetto della domanda. Inoltre, il proprietario che abbia omesso di esercitare tempestivamente l'azione di rivendicazione può essere condannato al risarcimento del danno per l'occupazione sine titulo del bene, in applicazione del principio di responsabilità civile per fatto illecito. In tali ipotesi, il giudice è tenuto a valutare con rigore la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria, al fine di garantire un equo contemperamento tra le posizioni delle parti in causa e l'effettiva tutela del diritto di proprietà.

  • In tema di trust, la domanda di restituzione degli immobili conferiti dal disponente nel patrimonio segregato, basata sulla denunciata nullità del negozio istitutivo, non s'iscrive in un'azione di natura reale, bensì personale, essendo mirata ad attuare, in forza dell'accertamento della mancanza del titolo, il diritto alla riconsegna della res, e prescindendo, di converso, dall'accertamento del diritto di proprietà.

  • Il diritto di proprietà può essere fatto valere mediante l'azione di rivendicazione, volta a ottenere la restituzione del bene da parte di chi lo detiene senza titolo, ovvero mediante l'azione di restituzione, esperibile quando il possesso del bene è cessato per la scadenza di un rapporto di concessione, come il comodato. Pertanto, la qualificazione della domanda come azione di restituzione, anziché di rivendicazione, è corretta quando il possesso del bene da parte del convenuto trova la sua causa giuridica in un precedente rapporto concessorio, come il comodato, venuto meno per la morte del comodatario. In tal caso, il convenuto non è tenuto a dimostrare il proprio diritto di proprietà, ma solo il titolo in base al quale deteneva il bene, mentre grava sul proprietario l'onere di provare la cessazione del rapporto concessorio che legittimava il possesso del convenuto. La valutazione della natura della domanda rientra nell'ambito del giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata sulla base delle risultanze processuali.

  • Il diritto di proprietà è un diritto reale primario che conferisce al titolare il potere di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, nei limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. Pertanto, l'azione di rivendicazione, quale azione reale volta a far valere il diritto di proprietà, può essere esercitata solo da colui che dimostri la titolarità del diritto di proprietà sul bene oggetto della controversia. In mancanza di tale prova, la domanda di rivendicazione deve essere rigettata, indipendentemente dalla qualificazione giuridica della stessa come azione di rivendicazione o di regolamento di confini. Infatti, anche nell'azione di regolamento di confini, la legittimazione attiva spetta unicamente ai proprietari confinanti, sicché la mancata prova della titolarità del diritto di proprietà esclude la possibilità di esercitare tale azione. Pertanto, il giudice, accertato il difetto di prova della proprietà in capo all'attore, deve rigettare la domanda, senza necessità di procedere alla qualificazione giuridica della stessa.

  • Il contratto di affitto agrario, pur se pattuito per una durata inferiore al termine minimo di quindici anni previsto dalla legge, è nullo solo nella parte in cui stabilisce una durata inferiore, essendo la clausola sostituita di diritto con il termine legale, salvo che le parti non siano state assistite dalle rispettive organizzazioni professionali agricole nell'esercizio della deroga, in ossequio alle finalità di tutela del contraente debole perseguite dalla normativa speciale. Pertanto, il proprietario del fondo può ottenere la restituzione del bene alla scadenza del termine quindicennale, ovvero in caso di disdetta regolarmente comunicata, senza che rilevi la mera allegazione di un contratto verbale di affitto, in assenza di prova della sua esistenza e dei requisiti di validità. Inoltre, il proprietario che agisce in rivendicazione, pur dovendo fornire la prova del proprio diritto di proprietà, può beneficiare di opportuni temperamenti dell'onere probatorio, qualora il convenuto abbia implicitamente riconosciuto la titolarità del bene in capo all'attore o ai suoi danti causa, ovvero non abbia contestato specificamente le allegazioni probatorie da questi prodotte.

  • L'azione di rivendicazione, volta al recupero della materiale disponibilità di un bene di cui il soggetto si afferma proprietario, richiede la prova della proprietà in capo all'attore, il quale deve risalire fino all'acquisto a titolo originario o dimostrare il compimento dell'usucapione. Tale onere probatorio non può essere superato dalla mera allegazione di un titolo di provenienza dal comune dante causa, ove il convenuto contesti la proprietà dell'attore. Inoltre, l'attore in rivendicazione non può invocare l'effetto traslativo di un atto di transazione che, pur riconoscendo la proprietà in capo all'attore, preveda espressamente il successivo perfezionamento del trasferimento mediante atto notarile, non ancora stipulato. Infine, il condividente che abbia sostenuto spese per la conservazione della cosa comune non può pretenderne il rimborso ove non dimostri di aver previamente interpellato o avvertito gli altri partecipanti o l'amministratore, in caso di loro trascuranza.

  • Il proprietario di un immobile può agire in giudizio con l'azione di rivendicazione per ottenere la reintegrazione del proprio diritto di proprietà su un bene comune condominiale, anche senza l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, qualora il convenuto opponga soltanto un diniego volto a resistere alla domanda senza formulare una domanda riconvenzionale finalizzata ad ampliare il thema decidendum. L'azione di rivendicazione ha carattere reale e petitorio, essendo esperibile erga omnes avverso chiunque possieda o detenga la cosa, ed è finalizzata ad accertare il diritto di proprietà vantato dal legittimo titolare. Pertanto, la lesione del diritto di proprietà può provocare un danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., ma l'azione di rivendicazione e quella aquiliana hanno carattere e presupposti diversi. Ai fini dell'azione di rivendicazione, il proprietario deve dimostrare non solo l'illegittimità del possesso altrui, ma anche la titolarità del proprio diritto di proprietà, anche attraverso la prova di un acquisto a titolo originario o dell'intervenuta usucapione. Diversamente, per l'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. è sufficiente la prova dell'acquisto a titolo derivativo oppure del legittimo possesso inciso dall'altrui condotta di spossessamento. In tema di condominio, la presunzione legale di comunione di talune parti stabilita dall'art. 1117 c.c. trova applicazione anche per i beni, come il disimpegno, che siano strutturalmente destinati a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano, salvo prova contraria. Pertanto, il condomino che agisce per l'accertamento della natura condominiale di un bene non deve integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva senza formulare una domanda riconvenzionale.

  • Il diritto di proprietà è un diritto reale primario e assoluto, tutelato dall'ordinamento giuridico. L'azione di rivendicazione è lo strumento processuale a disposizione del proprietario per ottenere la restituzione del bene di sua proprietà indebitamente posseduto da terzi. L'onere probatorio a carico del rivendicante è attenuato qualora il convenuto eccepisca l'usucapione, dovendo questi dimostrare il proprio acquisto per usucapione. Il giudice, nel decidere la controversia, è tenuto a pronunciarsi sulla domanda di rivendicazione proposta, senza poter mutare la qualificazione giuridica della stessa in una mera azione di accertamento della nullità contrattuale, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

  • Il diritto di proprietà, tutelato erga omnes, costituisce il fondamento dell'azione di rivendicazione, con la quale il proprietario può agire per ottenere la restituzione del bene detenuto sine titulo da terzi. Tale azione si distingue dall'azione personale di restituzione, che presuppone invece l'esistenza di un precedente rapporto obbligatorio tra le parti, come la locazione o il comodato, e mira all'adempimento dell'obbligo di restituire il bene. Pertanto, quando l'attore agisce per ottenere il rilascio di un immobile detenuto dal convenuto in assenza di qualsiasi titolo legittimante, la domanda deve essere qualificata come azione di rivendicazione, con il conseguente onere probatorio a carico dell'attore di dimostrare il proprio diritto di proprietà sul bene. Il giudice, nel qualificare la domanda, non è vincolato dalle espressioni utilizzate dalla parte, ma deve accertare il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate e dalle precisazioni fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concretamente richiesto, nel rispetto dei limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella esercitata. Ove l'attore abbia agito in rivendicazione, lamentando la detenzione sine titulo del bene da parte del convenuto, il giudice non può fondare il rigetto della domanda sulla mancata espressa richiesta di una statuizione negativa sulla sussistenza di un titolo legittimante la detenzione, essendo tale questione implicita nella domanda di rilascio. Inoltre, la parte attrice può proporre in via alternativa o subordinata sia l'azione reale di rivendicazione, sia l'azione personale di restituzione, senza che ciò integri una domanda nuova inammissibile.

  • Il proprietario di un bene mobile, che ne abbia perduto il possesso per fatto altrui, può agire in giudizio con l'azione di rivendicazione ex art. 948 c.c. per ottenere l'accertamento del proprio diritto di proprietà e la restituzione del bene da parte di chi lo detenga senza titolo. L'onere probatorio gravante sull'attore in una azione di rivendicazione, pur essendo oneroso, non ha carattere assoluto e può essere attenuato quando il convenuto non contesti l'originaria appartenenza del bene al comune autore o ai danti causa dell'attore, essendo sufficiente in tal caso che il rivendicante dimostri l'acquisto del bene in base al proprio titolo di proprietà. Pertanto, il proprietario di un bene mobile che ne abbia perduto il possesso per fatto altrui può agire in giudizio con l'azione di rivendicazione per ottenerne la restituzione, dimostrando il proprio titolo di acquisto, anche senza dover risalire alla prova della proprietà di tutti i precedenti titolari, qualora il convenuto non contesti l'originaria appartenenza del bene al comune autore o ai danti causa dell'attore.

  • L'azione di rivendicazione, volta ad ottenere la restituzione di un bene immobile di cui si afferma la proprietà, richiede la prova rigorosa della titolarità del diritto di proprietà in capo all'attore, attraverso la c.d. "probatio diabolica", non essendo sufficiente la mera allegazione della proprietà o la produzione di documentazione che attesti la titolarità in capo a soggetti diversi dal convenuto. Pertanto, l'azione non può essere qualificata come azione personale di restituzione, con elusione del relativo onere probatorio, quando la condanna al rilascio viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene in assenza di un titolo giustificativo della detenzione, dovendosi in tal caso configurare l'azione come rivendicatoria. L'azione personale di restituzione è, infatti, finalizzata ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una res che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto in forza di un negozio giuridico, non presupponendo necessariamente nel tradens la qualità di proprietario. Diversamente, l'azione di rivendicazione ha il suo fondamento nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale l'attore deve fornire la piena dimostrazione, a pena di rigetto della domanda per difetto di prova della legittimazione (rectius: titolarità) attiva.

  • L'azione di rivendica e quella di regolamento di confini si differenziano tra loro giacché nel primo caso - che presuppone un conflitto di titoli - l'attore non ha incertezza alcuna circa il confine (che è anzi indicato in modo certo e chiaro) e chiede la restituzione della porzione di fondo usurpata, indicandone con esattezza estensione e misura, mentre nel secondo - in cui la contestazione involge non già i titoli di proprietà, ma la delimitazione dei rispettivi fondi - l'attore non solo non è sicuro "ab initio" dei confini del proprio fondo, ma neppure è certo che questo sia stato parzialmente occupato dal convenuto. Ne consegue che, ove venga attribuito un erroneo "nomen iuris" all'azione, occorre avere riguardo all'effettiva natura della controversia, così che, ove l'attore, pur dichiarando di esercitare un'azione di regolamento di confini chieda, con espressione precisa ed univoca, l'affermazione del suo diritto di proprietà su zone possedute dal convenuto ed il rilascio di esse, indicando come vero un determinato confine a lui più favorevole, la domanda deve essere qualificata come azione di rivendica. (Leggi l'ordinanza estesa)

  • Il proprietario che esperisce l'azione di rivendicazione (art. 948 c.c.) al fine di ottenere la restituzione di un bene immobile indebitamente occupato da un terzo, deve fornire la prova rigorosa del proprio diritto di proprietà, anche mediante titoli di acquisto o usucapione, senza poter ricorrere a presunzioni o altri mezzi di prova meno stringenti. Diversamente, il convenuto può limitarsi a contestare la pretesa dell'attore, senza essere gravato dall'onere di dimostrare la sussistenza di un proprio diritto reale sul bene. Nell'azione negatoria di servitù (c.d. actio negatoria servitutis), invece, grava sul proprietario del fondo l'onere di provare esclusivamente il proprio diritto di proprietà, anche per presunzioni, mentre spetta al convenuto dimostrare la sussistenza del diritto reale di servitù da lui vantato, al fine di superare la presunzione di libertà del fondo.

  • Il diritto di proprietà, tutelato dall'azione di rivendicazione di cui all'art. 948 c.c., può essere fatto valere erga omnes nei confronti di chiunque detenga o possieda il bene, a prescindere dal titolo di acquisto vantato dal proprietario. Pertanto, il giudice di appello, nel riqualificare la domanda originariamente proposta come azione di restituzione in azione di rivendicazione, non commette vizio di extrapetizione, essendo tale potere-dovere rientrante nelle sue attribuzioni, purché operi nell'ambito delle questioni riproposte con il gravame e non introduca nuovi elementi di fatto. Inoltre, in caso di azione di rivendicazione, il legittimato passivo è chiunque detenga o possieda il bene, essendo a costui onere dimostrare la legittimità del proprio possesso o detenzione per ottenere il rigetto della domanda. Infine, l'azione di rivendicazione è imprescrittibile, a differenza dell'azione di restituzione.

  • Il proprietario che agisce in rivendicazione di un bene immobile ha l'onere di provare rigorosamente il proprio titolo di proprietà, risalendo anche attraverso i propri danti causa fino all'acquisto a titolo originario, mediante la c.d. "probatio diabolica". La mera produzione di certificati catastali non è sufficiente a dimostrare la proprietà, in quanto costituisce solo un elemento indiziario e sussidiario. L'azione di rivendicazione si differenzia dall'azione di restituzione, in quanto la prima si fonda esclusivamente sul diritto di proprietà tutelato erga omnes, mentre la seconda presuppone l'esistenza di un precedente rapporto obbligatorio tra le parti che giustificava la consegna del bene. Pertanto, chi agisce in rivendicazione non può eludere il rigoroso onere probatorio facendo ricorso all'azione di restituzione. Inoltre, le doglianze relative all'irregolarità della lottizzazione dei suoli esulano dalla giurisdizione del Giudice Ordinario, essendo di competenza del Giudice Amministrativo. Infine, la domanda risarcitoria è rigettata per carenza di allegazione e prova in ordine all'an e al quantum del danno, non essendo nemmeno integrabile attraverso la prova testimoniale o la consulenza tecnica d'ufficio.

  • Il diritto di proprietà su un bene immobile può essere accertato e dichiarato in sede giudiziale mediante l'azione di rivendicazione, a condizione che l'attore provi la sussistenza del proprio titolo di acquisto e la provenienza del bene dai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere. Qualora il convenuto opponga l'eccezione di usucapione, l'onere probatorio dell'attore si attenua, essendo sufficiente la prova del proprio valido titolo di acquisto e della appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di aver iniziato a possedere, nonché la prova che tale appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto. Il compartecipe che si ritenga proprietario per usucapione di un bene in comunione, qualora sia stato convenuto per la divisione giudiziale da uno o più degli altri compartecipi, non può tralasciare di far valere l'usucapione nel giudizio di divisione, pena l'inammissibilità di tale eccezione in un successivo giudizio. La domanda di risarcimento del danno proposta dall'attore in rivendicazione è infondata ove manchi la prova, anche presuntiva, dell'esistenza e dell'entità del danno subito. Infine, l'azione per l'apposizione di termini, ove insorgano contestazioni sulla linea di confine, si qualifica come domanda di regolamento dei confini, con conseguente individuazione della linea di demarcazione tra i fondi sulla base della documentazione probatoria acquisita.

  • Il diritto di proprietà, quale diritto reale primario, attribuisce al proprietario il potere di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, nei limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. L'azione di rivendicazione, disciplinata dall'art. 948 c.c., consente al proprietario di ottenere la restituzione del bene di cui sia stato privato ingiustamente, a prescindere dalla buona o mala fede del possessore. Tuttavia, perché l'azione di rivendicazione possa essere accolta, è necessario che il proprietario dimostri non solo il proprio diritto di proprietà, ma anche che il bene rivendicato sia effettivamente parte integrante del suo fondo, senza che rilevi l'eventuale incertezza dei confini. Qualora il convenuto contesti la proprietà del bene rivendicato invocando il proprio titolo di acquisto, il conflitto non è più tra fondi, ma tra titoli, con la conseguenza che l'attore è soggetto all'onere probatorio proprio dell'azione di rivendicazione. In tal caso, il giudice non può qualificare l'azione come regolamento di confini, ma deve valutare la domanda alla stregua dell'azione di rivendicazione, verificando se il proprietario abbia fornito la prova del proprio diritto e dell'effettiva appartenenza del bene al proprio fondo. Ove tale prova non sia raggiunta, l'azione di rivendicazione deve essere respinta, anche qualora il consulente tecnico d'ufficio abbia rilevato un'occupazione abusiva di parte del fondo da parte del convenuto. Infatti, il giudice non è vincolato alle risultanze della consulenza tecnica, ma deve valutarle criticamente alla luce di tutti gli elementi di prova acquisiti, privilegiando le risultanze che appaiono maggiormente coerenti e fondate.

  • Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117 c.c., che contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stregua del titolo contrario. Pertanto, l'area esterna di un edificio condominiale, relativamente alla quale manca un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, va "ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c.". L'azione di rivendicazione non rientra tra gli atti meramente conservativi al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4, e può essere esperita dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c., salvo il caso in cui i condomini vantino la comproprietà di un'area esterna all'edificio condominiale, in forza di un titolo derivativo, per cui è necessario uno specifico mandato conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, conferito all'infuori del meccanismo deliberativo dell'assemblea, ad eccezione dell'ipotesi di deliberazione unanime. Ai fini dell'usucapione, colui che afferma di aver usucapito deve fornire la dimostrazione del come e del quando abbia cominciato a possedere "uti dominus", non essendo sufficiente a tal fine una semplice dichiarazione di aver posseduto, dovendo dare prova dei fatti storici integranti un possesso "uti dominus" e collocarli con sufficiente precisione nel tempo e nello spazio, non essendo idonei a tal fine la mera apposizione di paletti, l'affermazione di essere proprietario, cortesi concessioni di sosta e di transito a terze persone in costanza di una servitù di passaggio, in assenza di altri indizi che consentano di desumere, almeno in via presuntiva, che l'attività è svolta "uti dominus".

  • Qualora in primo grado sia stato chiesto, mediante la proposizione di un'azione di revindica (la quale involge la contestazione sul diritto di proprietà), il rilascio di un bene posseduto dal convenuto, costituisce domanda nuova, se proposta per la prima volta in appello, quella con la quale si chiede il regolamento dei confini, atteso che l'individuazione dei confini costituisce un bene giuridico diverso da quello dell'attribuzione in proprietà di un bene abusivamente posseduto dal convenuto medesimo.

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