Sentenze recenti balconi aggettanti

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE VIII CIVILE - 2 COLLEGIO La Corte, nelle persone dei Magistrati: dott. GIUSEPPE STAGLIANO' - Presidente dott.ssa GEMMA CARLOMUSTO - Consigliere dott.ssa BIANCAMARIA D'AGOSTINO - Giudice Ausiliario rel. riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 7987 R.G.C. dell'anno 2016, rimessa in decisione all'udienza collegiale del 12 gennaio 2023, vertente TRA (...), elett.te dom.ta in M.(R.), Corso T. n.11, presso lo Studio Legale dell'Avv. Ma.An., che la rappresenta e difende come da procura in atti -Appellante - E Condominio Via (...) n.36 in R., in persona dell'Amministratore p.t., elett.te dom.to in Roma, Via (...), presso lo Studio Legale dell'Avv. Vi.Ma., che lo rappresenta e difende come da procura in atti - Appellato - OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10811/2016 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10811/2016 in r.g. n. 69807/2012 che - a definizione del giudizio promosso dalla stessa G. nei confronti del Condominio Via (...) n. 36 in R. ed avente ad oggetto l'impugnazione della delibera dell'assemblea condominiale datata 10.10.2012 - respingeva la domanda dell'attrice condannandola al pagamento delle spese di lite. L'appellante censurava la sentenza impugnata nei motivi di gravame chiedendone la riforma e concludendo affinché la Corte, contrariis reiectis, volesse così provvedere: "in via istruttoria, ammettere CTU al fine di valutare come il degrado dei cassoni-fioriere sia derivato esclusivamente dalla carenza e/o assenza e deperimento della impermeabilizzazione interna delle fioriere stesse con assoluta mancanza della dovuta manutenzione e spese ad esclusivo carico dei proprietari di tali fioriere facenti parte integrante dei balconi aggettanti oltre, se ritenuto necessario, prova per interpello e, all'esito prova per testi, sulla seguente circostanza: 1) vero che le fioriere esistenti sui balconi aggettanti della palazzina 2/b di proprietà dei sigg.ri (...) sono ripiene di terra e utilizzate da essi proprietari per la messa a dimora di fiori. T.A.B.. In via principale, dichiarare nulla e/o annullabile e/o di nessun effetto la delibera assembleare del 10.10.12, nella parte in cui determina che le spese dei frontalini dei balconi aggettanti debbano essere ripartite fra tutti i condomini e non ai soli proprietari del balconi stessi, con il favore delle spese tutte di entrambi i gradi di giudizio, oltre spese generali, cassa avvocati ed iva come per legge.". Si costituiva l'appellato Condominio così concludendo: "Piaccia all'Ill.ma Corte di Appello adita, contrariis reiectis: - accertare e dichiarare la decadenza della Sig.ra (...) dall'impugnazione e, comunque, dichiarare il presente appello, tardivamente proposto, totalmente inammissibile e/o improcedibile; - in ogni caso, rigettare tutte le domande formulate da (...), in quanto inammissibili e/o infondate, in fatto e in diritto, e comunque non provate, con conferma della sentenza impugnata; con vittoria di compensi e spese di lite, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA". In via istruttoria, qualora la Corte lo ritenga rilevante ai fini del rigetto delle domande dell'appellante, si insiste nella richiesta di prova testimoniale e di CTU così come formulate nella comparsa di costituzione e risposta in appello alla quale si rimanda". A seguito di istanza formulata dall'appellante all'udienza del 28.04.2022 di autorizzazione alla presentazione della querela di falso, la Corte, con ordinanza depositata in data 20.06.2022 non autorizzava la presentazione della stessa in quanto non ammissibile, "rilevato che la prova testimoniale richiesta dall'appellante risulta avere ad oggetto circostanze non idonee a dimostrare l'asserita falsità dell'attestazione riportata nella relata di notifica, concernente l'avvenuta affissione, da parte dell'Ufficiale giudiziario, dell'avviso di deposito alla porta dell'abitazione della sig.ra (...)". All'udienza collegiale del 12 gennaio 2023, precisate le conclusioni e, da parte dell'appellante, effettuata - in una alle conclusioni - la dichiarazione ex art. 221 c.p.c. con richiesta di sospensione del giudizio "ai fini della proposizione di querela di falso dinanzi al Tribunale di Roma", la causa veniva trattenuta in decisione con termine per memorie conclusionali e repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE Va preliminarmente esaminata la dichiarazione ex art. 221 c.p.c. proposta dall'appellante in data 12.01.2023, avente ad oggetto la relata di notifica della sentenza n. 10811/2016 del Tribunale di Roma, che certificava la notifica al domicilio eletto sulla porta dello Studio Legale ex art. 140 c.p.c.. Le argomentazioni poste dall'appellante a sostegno della querela di falso ed i capitoli di prova ivi articolati sono sostanzialmente i medesimi della precedente richiesta di autorizzazione alla querela di falso proposta dall'appellante dinanzi a questa Corte all'udienza del 28.04.2022 e sono pertanto già stati oggetto di vaglio e decisione con ordinanza resa in data 15 giugno 2022, depositata in cancelleria in data 20.06.2022, nella quale la Corte, a scioglimento della riserva di cui all'udienza del 26.05.2022, non riteneva ammissibile la querela di falso rilevato che "la prova testimoniale richiesta dall'appellante risulta avere ad oggetto circostanze non idonee a dimostrare l'asserita falsità dell'attestazione riportata nella relata di notifica". Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte: "In tema di querela di falso, la formulazione dell'art. 221 c.p.c., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell'istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito, davanti al quale sia stata proposta la querela di falso, è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. (Cass. Sezioni Unite 23/06/2010, n. 15169)" (Cass. n. 33750 del 16.11.2022). Nella specie, l'appellante argomenta ed articola prove in contrasto con il contenuto stesso della relata di notifica redatta dall'Ufficiale Giudiziario, ove si attesta la temporanea assenza del destinatario, mentre a detta dell'appellante lo stabile ove era ubicato lo Studio Legale sarebbe stato interessato da lavori in corso tali da non consentire l'immissione di missiva alcuna nella cassetta delle lettere, pertanto la Corte non ritiene sussistenti i presupposti per la proposizione della querela di falso. La dichiarazione ex art. 221 c.p.c. va pertanto dichiarata inammissibile per i suesposti motivi. L'appellato Condominio eccepisce preliminarmente l'inammissibilità dell'appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 325 e 326 c.p.c. e quindi la decadenza dall'impugnazione e la tardività della stessa. L'eccezione fondata e merita accoglimento. La sentenza oggetto di gravame è stata notificata ex art. 140 c.p.c. presso il procuratore costituito al domicilio risultante dall'Albo degli Avvocati di Roma, con raccomandata spedita in data 8.06.2016: la notifica della sentenza si perfezionava in data 18.06.2016, mentre l'appello veniva notificato tardivamente in data 16.12.2016. L'appello va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza, con conseguente condanna dell' appellante al pagamento, in favore dell' appellato Condominio, delle spese per il grado di appello, come liquidate in dispositivo, secondo le tariffe professionali vigenti con gli importi medi delle voci dello scaglione di riferimento, esclusa la fase istruttoria. Sussistono i presupposti di cui all'art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012 per il versamento, da parte dell' appellante, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. Dichiara inammissibile la dichiarazione ex art. 221 c.p.c. proposta dall'appellante; 2. Dichiara inammissibile l'appello proposto da (...) nei confronti del Condominio Via (...) n. 36 in R. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10811/2016 in r.g. n. 69807/2012 ; 3. condanna l' appellante al pagamento, in favore dell'appellato Condominio, delle spese di lite per il grado di appello liquidate in complessivi Euro 3.770,00, oltre accessori di legge; 4. dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012 per il versamento, da parte dell' appellante, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. Così deciso in Roma il 23 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6734 del 2018, proposto da La Ma. S.r.l. in persona del Rappresentante Legale Ma. Ch., rappresentata e difesa dall'avvocato Ta. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Pe. in Roma, corso (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 641/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 febbraio 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l'avvocato Ta. Ch. per parte appellante; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza di demolizione n. 42 dell'8 febbraio del 2016 e del diniego dell'istanza di accertamento in conformità dell'11 agosto successivo. Avverso la decisione sono sollevati i seguenti motivi di appello: 1. Error in procedendo et in iudicando laddove statuisce disapplicazione della norma regolamentare disciplinante le modalità di misurazione delle distanze tra fabbricati. Incongruità della motivazione. Eccesso di potere per sviamento. Obliterazione di consolidati principi giurisprudenziali. Artt.: 9 D.M. n. 1444/1968 e 30, paragrafi 13/14, del regolamento edilizio del Comune di (omissis)". 2. Error in procedendo et in iudicando della sentenza appellata. Omesso scrutinio di profilo decisivo al fine del decidere. Eccesso di potere per sviamento." 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. In diritto si osserva che la parte appellante ha realizzato, in difformità del permesso di costruire n. 6/2003 e successiva variante n. 101/2007, interventi edilizi sul fabbricato sito in via (omissis) del Comune di (omissis), che sono stati, prima, oggetto dell'ordinanza di demolizione e, successivamente, del diniego dell'istanza ex art. 36 T.U. Edilizia, atti entrambi ricordati in premessa. In particolare, quest'ultimo provvedimento è stato motivato dalla circostanza che la parte di fabbricato sul lato sud-est era stata edificata a distanza inferiore di 10 metri dal corpo di fabbrica frontistante, in violazione dell'art. 9 del D.M. n. 1444/1968. 4. Il primo motivo di appello contesta all'amministrazione appellata, ed alla sentenza impugnata che ne ha condiviso l'opinione, di non aver considerato che, se non si fossero fatti rientrare nel calcolo i balconi, ossia gli elementi aggettanti dell'edificio, la distanza tra il fabbricato della società appellante e quello frontistante sarebbe stata, non di metri 9,65, come contestato, ma decisamente superiore ai metri dieci prescritti dalla normativa statale. A tal proposito, la parte insiste nel ritenere applicabili i paragrafi 30 e 31 del Regolamento Edilizio Comunale del Comune di (omissis) - recepito con Delibera Giuntale Regione Campania n. 287 del 2017 - a norma dei quali nel computo delle distanze fra gli edifici non devono essere ricomprese le cd. "parti aggettanti" dell'edificio. 4.1. Il motivo è infondato. Prima di tutto si osserva che il Regolamento Edilizio Comunale di Grumo Nevano non esclude espressamente dal calcolo delle distanze gli elementi aggettanti. Al contrario, nella previsione di cui all'art. 30, paragrafi 13-14, in merito al distacco degli edifici prevede che la distanza minima deve essere misurata dalle pareti finestrate, ma non dalle sporgenze (non meglio definite NdR), ad eccezione di quelle che siano "bovindi" (finestre ad arco), di tal che è quanto meno dubbio che abbia escluso i balconi e gli altri elementi aggettanti, che sono architettonicamente caratterizzati in questo senso, ancor più delle suddette figure. In ogni caso, ed a tutto voler concedere, la previsione di cui al Regolamento, se così interpretata, sarebbe violativa del disposto di cui all'art. 9 del D.M. 1444/1968, in tema di distanze, norma non derogabile che è da sempre stata interpretata dalla Cassazione come disposizione che esige di calcolare, in quella previsione, anche i balconi e gli altri elementi aggettanti, ritenuti volumi a tutti gli effetti. Ex multis Cassazione civile sez. II, 17/09/2021, n. 25191 "In tema di distanze legali fra edifici, non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica o ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati." Tanto meno può avere rilievo, in questo senso, l'approvazione del regolamento tipo - che, secondo la parte appellante, avrebbe convalidato i principi di cui al Regolamento edilizio - all'esito della Conferenza Unificata del 20 ottobre del 2016, di cui alla ricordata Delibera della Giunta Regionale Campania n. 287 del 2017, perché, anche a volerla ritenere normativa vigente al momento del provvedimento di rigetto, la stessa non sarebbe stata comunque in vigore al momento dell'abuso, rendendo carente la fattispecie in esame del requisito della cd. "doppia conformità ". Correttamente, dunque, il giudice di prime cure ha disapplicato la previsione di regolamento, ritenendo corretto il diniego di sanatoria opposto dall'ente intimato. 5. Il secondo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di non aver considerato la possibilità di applicare, in un'ottica conservativa, una sanzione alternativa a quella demolitoria, attesa la minima entità dell'intervento in contestazione. Segnatamente la parte, richiamando la ratio igienico-sanitaria posta a base della normativa in tema di distanze, ritiene che il minimo sforamento, registrabile qualora si volesse applicare il criterio di calcolo più rigoroso, delle previsioni da essa contemplate, avrebbe giustificato una misura meno afflittiva, in ossequio al principio di proporzionalità . 5.1. Anche questo motivo è infondato. Esso si basa infatti sull'erroneo presupposto che, in presenza di valori-soglia di delimitazione delle distanze pre-determinati dalla legge, si possa ciò non pertanto graduare la gravità della violazione, mentre siffatta possibilità non sembra trasparire dalla normativa sopra-emarginata, che tende, fondandosi su di una presunzione legale, alla rigidità applicativa. D'altronde l'applicazione di misure conservative dell'abuso, oltre a corrispondere ad una scelta ampiamente discrezionale dell'autorità procedente, non sindacabile come tale in sede di legittimità, può essere disposta in presenza di presupposti rigidi - ossia il pregiudizio statico che deriverebbe all'intero immobile dalla demolizione - che non sono presenti nel caso di specie, né sono stati allegati dal richiedente. 6. Questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte appellata, che si liquidano in complessivi euro tremila,00 (euro3000,00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5436 del 2016, proposto dai signori Br. Lo. e Gi. Bi., rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Bo. e En. Gi., con domicilio eletto presso lo studio associato Gr. in Roma, corso (...); contro il comune di (omissis) e la regione Lombardia, non costituiti in giudizio; nei confronti la società Je. S.r.l. e il signor Pi. Pa. Pr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (sezione seconda) n. 482 del 9 marzo 2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2022 il consigliere Alessandro Verrico; Nessuno presente per le parti; Vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati Ma. Bo. ed En. Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è rappresentato dal permesso di costruire PE n. 147/2012 rilasciato dal comune di (omissis) in favore della società Je. s.r.l. e del sig. Pi. Pa. Pr. per la demolizione di un capannone ad uso produttivo e la costruzione di un nuovo edificio residenziale in via (omissis), nonché dalle NTA del vigente PRG del medesimo comune, per come applicate con tale provvedimento. 2. In particolare, ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio, in fatto si precisa quanto segue: i) la società Je. s.r.l. e il sig. Pi. Pa. Pr. presentavano la d.i.a. n. 61/2008 per l'edificazione di un nuovo edificio residenziale in sostituzione del preesistente capannone; il titolo veniva in parte dichiarato illegittimo con la sentenza n. 822 del 2011 della sez. IV del Consiglio di Stato; ii) in data 8 agosto 2011 la società Je. presentava nuova d.i.a. n. 133/11 per l'edificazione sulla medesima area (mapp. (omissis)) di un nuovo edificio residenziale della volumetria dichiarata di mc. 1707; la società in seguito rinunciava a detto titolo, con conseguente dichiarazione di improcedibilità del relativo giudizio di ottemperanza per cessazione della materia del contendere; iii) con il permesso di costruire n. 147/2012 del 19 novembre 2012, rilasciato a favore della società Je. s.r.l. e del sig. Pi. Pa. Pr., veniva assentita la demolizione di un capannone esistente e la successiva nuova costruzione di edificio familiare residenziale, da realizzarsi in via (omissis) nel comune di (omissis) (foglio (omissis), mappali (omissis)), a confine con l'area dei signori Br. Lo. e Gi. Bi.; iv) questi ultimi, in data 31 gennaio 2013, presentavano all'Amministrazione di (omissis) un'istanza/diffida per l'avvio del procedimento per la declaratoria di decadenza del permesso di costruire ex art. 15, comma 4, d.P.R. n. 380 del 2001, in ragione della sopravvenuta entrata in vigore della legge regionale n. 21 del 2012 (in particolare, della previsione di cui all'art. 4); v) il comune, con provvedimento del 18 marzo 2013, riscontrava negativamente tale diffida. 3. I signori Br. Lo. e Gi. Bi. proponevano ricorso dinanzi al T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano (r.g. n. 283/2013), affidandolo a tre motivi, in tal modo rubricati: 1) "illegittimità del titolo edilizio e delle NTA del vigente PRG quanto al computo della superficie fondiaria, con errata inclusione di strade pubbliche esistenti e conseguente eccesso di volumetria assentita"; 2) "violazione delle norme e dei principi applicabili in tema di altezze, volumi, distanze, ecc."; 3) "ulteriore illegittimità per violazione di altre norme urbanistiche". 3.1. Con successivo atto di motivi aggiunti, i ricorrenti impugnavano altresì la nota comunale del 18 febbraio 2013 emessa in riscontro negativo alla richiesta dei ricorrenti di avvio del procedimento amministrativo ai fini della pronuncia di decadenza del permesso di costruire e chiedevano la condanna del resistente comune ex art. 34 c.p.a. all'adozione del richiesto provvedimento di decadenza previo riesame dell'istanza. Il ricorso per motivi aggiunti si fondava sulle due seguenti censure: 1) "violazione dell'art. 15 del DPR 380/2001 ed eccesso di potere sotto svariati profili"; 2) "errata interpretazione e applicazione della normativa regionale sopravvenuta di cui all'art. 4 LR 21/2012 e dell'art. 15, comma 4, del DPR 380/2001, violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili". 4. Il T.a.r. per la Lombardia, sez. II, con la sentenza n. 482 del 9 marzo 2016, ha respinto il gravame e ha condannato gli attori al pagamento delle spese di lite. 5. Gli originari ricorrenti hanno proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, gli appellanti hanno affidato l'appello a tre motivi (estesi da pagina 8 a pagina 36 del ricorso). 5.1. Nessuno si è costituito per resistere. 5.3. Gli appellanti, in data 24 ottobre 2022, hanno depositato documentazione e, in data 4 novembre 2022, hanno depositato ulteriore memoria, insistendo nelle proprie difese e conclusioni. 6. All'udienza del 6 dicembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Preliminarmente, il Collegio: a) rileva l'inammissibilità - per violazione del divieto dei nuovi mezzi di prova in appello sancito dall'art. 104 comma 2 c.p.a. - di tutta la produzione documentale versata da parte appellante nel corso del presente grado di giudizio; b) esamina direttamente il ricorso di primo grado - che, del resto, individua e perimetra ab origine l'oggetto del giudizio, ai sensi dell'art. 104 c.p.a.; c) rileva che i motivi aggiunti del primo grado, non essendo stati riproposti nella presente sede di appello, si intendono rinunciati. 8. Nel merito, si rileva che, con un primo motivo, i ricorrenti deducevano che, in violazione degli artt. 4 e 36 delle n. t.a. del PRG (che consentirebbero di calcolare a fini volumetrici la sola superficie privata destinata eventualmente a fascia di rispetto stradale o destinata ad allargamento di strade pubbliche esistenti o alla viabilità in generale), nel computo della superficie fondiaria (SU ex art. 4 NTA) dell'area d'intervento (mapp. (omissis)), necessario ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria, venivano inclusi anche i sedimi stradali occupati dalle vie pubbliche (omissis) e (omissis); invero, non tenendo conto dell'attuale sedime stradale, la superficie fondiaria dei mapp. (omissis) sarebbe assai inferiore a quella catastale, indicata nelle tavole di progetto, con la conseguenza che l'indice di fabbricabilità fondiaria di 1 mc/mq non risulterebbe rispettato. 8.1. La censura si rivela in primo luogo inammissibile laddove con essa si finisce nella sostanza per tutelare interessi afferenti al comune di (omissis). Per altro verso, la censura è infondata, in primis, in ragione dell'assenza di una adeguata dimostrazione probatoria dell'uso pubblico delle strade, le quali risultano essere di proprietà privata, tenuto conto che tali sono i mappali (omissis), dove insistono i sedimi delle vie (omissis) e (omissis). Ad ogni modo, si osserva che: a) ai sensi dell'art. 4 delle NTA, la superficie fondiaria "è quella catastale, comprensiva anche delle aree destinate all'adeguamento delle strade già di proprietà pubblica e/o aperte al pubblico transito da più di tre anni all'atto dell'adozione del presente piano, delle aree destinate alla formazione della nuova rete della viabilità e degli spazi di sosta e di verde attrezzato"; b) ai sensi dell'art. 36 ("Zone V") delle NTA, sono computabili nel calcolo della superficie fondiaria (SU), anche le "aree V", destinate alla viabilità e agli impianti ed attrezzature per il trasporto pubblico, che comprendono anche le zone e le fasce di rispetto, destinate alla realizzazione e all'ampliamento di assi viari e di trasporto, nonché alla realizzazione di parcheggi pubblici e di percorsi pedonali e ciclabili. Dalla lettura combinata di tali previsioni consegue, pertanto, che ai fini del calcolo della SU la superficie da considerare è quella catastale, nella quale vengono ricomprese anche le aree di cui all'art. 36 delle NTA, quindi anche quelle destinate alla viabilità, comprensive delle zone e delle fasce di rispetto, volte alla realizzazione di parcheggi pubblici, percorsi pedonali e ciclabili, oltre che all'ampliamento di assi viari e di trasporto. In ragione di ciò, risulta che nel caso di specie siano state legittimamente computate le intere superfici dei mappali ai fini del calcolo della SU. 9. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti: a) deducono la violazione della disciplina sull'altezza massima degli edifici in zona omogenea B, prevista dall'art. 8 d.m. n. 1444/1968, sotto due distinti profili: a.1) essendo stata superata l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, non essendo a tal fine rilevante il rispetto della previsione dell'art. 22, lett. c) delle NTA, secondo cui l'altezza massima degli edifici nelle zone B1/R residenziali è di 12 metri in caso di nuova edificazione, stante la prevalenza della normativa nazionale di cui all'art. 8 del d.m. n. 1444/1968, che fissa l'altezza massima dei nuovi edifici nelle zone "B" facendo riferimento a quella degli "edifici preesistenti e circostanti"; a.2) ad ogni modo essendo stata superato il limite di altezza di 12 metri, in quanto il locale sottotetto sarebbe in realtà abitabile e dovrebbe pertanto essere calcolato a tali fini; b) lamentano la presunta violazione della disciplina sulle distanze minime fra fabbricati, sostenendo che la stessa andrebbe calcolata non nel rispetto dell'art. 9 del d.m. n. 1444/1968 (distanza minima di 10 metri fra pareti finestrate), bensì secondo la diversa previsione dell'art. 3.4.12 del Regolamento locale di igiene, per cui la distanza fra l'edificio erigendo e il fabbricato dei ricorrenti dovrebbe essere maggiore dell'altezza dell'edificio più alto. Ad ogni modo non sarebbe rispettata neanche la distanza prevista dall'art. 9 del d.m. n. 1444/1968, a tal fine dovendo considerare anche i balconi aggettanti (della larghezza di circa 1 metro) previsti sulla facciata ovest (ai vari piani) dell'edificio costruendo. 9.1. Anche tali censure risultano infondate, oltre a rivelarsi inammissibili nel momento in cui con una di esse si finisce nella sostanza per tutelare interessi afferenti a soggetti privati diversi dai ricorrenti, laddove si considera, ai fini della violazione del limite di distanza tra edifici, una porzione di parete diversa da quella frontistante la parete dell'edificio dei ricorrenti (v. sub § 9.5). 9.2. Com'è noto, per gli edifici siti in zona omogenea B, l'art. 8 d.m. n. 1444/1968 prevede che: "l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiari di cui all'art. 7". Al riguardo, per la definizione del concetto di "circostante o limitrofo" rileva la costante giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 settembre 2014, n. 4553; 14 maggio 2014, n. 2469), secondo cui, in applicazione del criterio letterale (privilegiato dall'art. 12 delle preleggi), la locuzione "edifici circostanti" indica lessicalmente gli edifici che si trovano intorno all'area oggetto del permesso, senza a tali fini poter estendere l'area di interesse ad ulteriori concetti come zona o fasce territoriale o comparto. Ciò nonostante, l'intento di restringere l'area di confronto non può essere portata all'estremo di poter ritenere rilevanti ai fini del calcolo dell'altezza ammissibile i soli edifici confinanti, trattandosi di locuzione di distinto significato oggettivamente riferibile ad un ambito più circoscritto. 9.3. In ragione di ciò, si ritiene che possano fungere da parametro ex art. 8 d.m. n. 1444/1968 le costruzioni (almeno tre), di altezza pari o superiore a quella di 12 metri, che, sebbene non confinanti con il terreno interessato dall'erigendo edificio, insistano nell'area circostante, comunque circoscritta e non eccessivamente estesa. Invero, a circa 200 metri dalla palazzina oggetto di contestazione, o comunque ad una distanza inferiore, insistono edifici che raggiungono anche i 14 metri di altezza, come si evince dalla documentazione versata in atti in primo grado sia dalla società intimata in data 20 luglio 2015 che dal comune resistente in data 8 gennaio 2016 (con riferimento a quest'ultima, in particolare dalla riproduzione fotografica dell'inquadramento territoriale con vista aerea, che rappresenta chiaramente la vicinanza degli edifici con altezza simile a quella dell'immobile in esame). 9.4. Ciò posto, occorre rilevare l'inammissibilità della censura fondata sul carattere di abitabilità del locale sottotetto, essa fondandosi su una congettura, ossia sull'ipotesi della mera futura possibilità di adibire ad abitazione il locale lavatoio. 9.5. Infine, si palesa infondata anche la censura afferente al mancato rispetto della normativa sulle distanze tra edifici. Al riguardo, risulta infatti irrilevante, nel particolare caso di specie, l'invocata disciplina di cui all'art. 3.4.12 del Regolamento locale di igiene, trattandosi di norma non sempre cogente (indicativo al riguardo è l'utilizzo dell'espressione "di regola", contenuta nell'art. 3.4.12) e finalizzata a rimuovere eventuali "ostacoli all'aeroilluminazione", che, nella presente fattispecie, tuttavia non si ravvisano. Ciò posto, ritenuta pertanto applicabile la disciplina di cui all'art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che prescrive, per i nuovi edifici, la distanza minima assoluta di dieci metri tra le pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, si osserva che, per costante giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1670), la funzione della norma è quella di assicurare che fra edifici frontistanti non si creino intercapedini dannose per la salubrità, in quanto tali da non permettere un adeguato afflusso di aria e di luce, essendo quindi volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie. Peraltro, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare, perpendicolare ed ortogonale, in quanto, come detto, lo scopo perseguito dal legislatore è quello di evitare le intercapedini dannose (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1993, n. 7048). Come correttamente rilevato dal primo giudice, risulta quindi determinante l'avvenuta presentazione da parte della società Je. s.r.l. della segnalazione certificata di inizio attività (in data 28 settembre 2015), con cui si prevedeva l'eliminazione dei balconi in aggetto collocati nel lato sud-ovest. La censura deve quindi ritenersi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che i quattro balconi eliminati sono situati nella porzione di facciata direttamente fronteggiante l'edificio dei ricorrenti, non potendo rilevare ai fini della persistenza dell'interesse la presenza dei due rimanenti balconi nella porzione di parete non in diretta corrispondenza con la parete dell'edificio dei ricorrenti. 10. Con il terzo motivo di ricorso si deduce che: a) l'intervento edilizio in esame, prevedendo la demolizione integrale di un capannone ad uso produttivo e la contestuale edificazione al suo posto di un nuovo fabbricato residenziale, si configurerebbe come una sostanziale modifica della destinazione d'uso con sostituzione integrale del tessuto edilizio esistente ed indubbio aggravio del carico urbanistico della zona, ritenendosi quindi necessario, piuttosto che un permesso "semplice", il previo piano attuativo ovvero, quantomeno, il c.d. titolo edilizio "convenzionato" previsto dall'art. 18 NTA del PRG; b) ai sensi dell'art. 5 delle NTA - che per le "Aree di pertinenza" stabilisce che il vincolo pertinenziale "dura con il durare degli edifici" - il comune, per far cessare il vincolo di pertinenza relativo al lotto unico originario di proprietà del signor Pr., avrebbe dovuto porre, quale condizione di efficacia della nuova edificazione, la previa demolizione dell'edificio produttivo; c) considerato che l'intervento edilizio riguarda due mappali di proprietari diversi (il mappale (omissis) di proprietà di Je. e il mappale (omissis) di proprietà Pr.), il Comune, facendo applicazione dell'art. 5.6 delle NTA, avrebbe dovuto richiedere il previo convenzionamento fra proprietari. 10.1. La prima delle tre censure risulta infondata, atteso che, ai sensi del citato art. 18 NTA del PRG, la richiesta del c.d. titolo convenzionato, piuttosto che essere obbligatoria, rappresenta una facoltà rimessa all'Amministrazione, nel caso in cui sia necessario disciplinare specifici aspetti esecutivi o gestionali del titolo abilitativo ovvero incrementare le dotazioni urbanizzative o di standard dell'area di interesse. Circostanza, quest'ultima, peraltro insussistente nel caso di specie, alla luce della sufficiente urbanizzazione dell'area come assodata dall'ente locale. 10.2. La seconda censura deve essere dichiarata improcedibile alla luce dell'intervenuta demolizione del capannone produttivo, situato nel terreno di proprietà del signor Pr., come risultante dal rapporto del tecnico istruttore dell'Amministrazione del 30 giugno 2015 (in atti). 10.3. Infine, parimenti priva di fondamento è la terza delle tre censure descritte sub § 10, atteso che il signor Pr., nel sottoscrivere la domanda di permesso di costruire, ha esplicitamente prestato il proprio consenso all'edificazione. 11. In conclusione l'appello deve essere respinto. 12.Nulla sulle spese del presente grado di giudizio non essendosi costituite le parti intimate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello (r.g. n. 5436/2016), come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla sulle spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2022, con l'intervento dei magistrati: Vito Poli - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Alessandro Verrico - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE XVII CIVILE Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 35664/2019 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all'udienza del 30/11/2022 e promosso da: CONDOMINIO (...), (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, sito in Roma, via (...), elettivamente domiciliato in Roma, via (...), presso lo studio dell'avv. St.Ba., che la rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione OPPONENTE contro (...) S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, (P.IVA (...)), con sede legale in R., via (...), elettivamente domiciliato in Roma, via (...) presso lo studio dell'avv. Pa.D'I., (C.F. (...)), che la rappresenta e difende giusta procura in atti OPPOSTA OGGETTO: appalto - opposizione al decreto ingiuntivo n. 6926/2019 MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE In data 3/4/2019 il Tribunale Ordinario di Roma, su ricorso proposto dalla s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, emetteva il decreto ingiuntivo n. 6926/2019, N.R.G. 13649/2019, con cui ingiungeva al Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, il pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 35.914,51, oltre ad interessi e spese, così ripartita: - Euro 7.201,80 di cui alla fattura n. (...) del 05/05/2017, emessa quale ventiduesima rata; - Euro 11.201,80 relativi alla fattura n. (...) del 15/06/2017, emessa quale ventitreesima rata; - Euro 11.201,80 riferiti alla fattura n. (...) del 11/07/2017, emessa quale ventiquattresima rata; - Euro 18.397,24 in relazione alla fattura n. (...) del 05/09/2017, emessa quale saldo lavori; - Euro 12.088,13 di cui alla nota di credito n. (...) del 04/10/2018, emessa, ai sensi dell'art. 26 D.P.R. n. 633 del 1942, a seguito del conto finale redatto dal direttore dei lavori in pari data. Con atto di citazione notificato in data 27/5/2019 il Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, conveniva in giudizio avanti all'intestato Tribunale la s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 6926/2019, N.R.G. 13649/2019, emesso dal Tribunale di Roma in data 3/4/2019 e notificato il 16/4/2019, chiedendone la revoca, eccependo l'infondatezza dell'avversa pretesa. L'opponente, nel contestare l'inesatto adempimento della controparte, chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della s.r.l. (...) all'eliminazione, a sue spese, dei vizi e delle difformità delle opere realizzate, oppure di ridurre del prezzo dell'appalto ad Euro 36.00,00, in ogni caso con condanna dell'opposta al risarcimento dei danni. Con comparsa del 12/11/2019 si costituiva in giudizio la s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo il rigetto dell'opposizione e ribadendo la fondatezza della propria domanda. L'ingiungente, invero, deduceva di aver eseguito, nel rispetto delle leges artis e della buona tecnica, tutte le lavorazioni commissionatele dal condominio opponente, comprese le varianti all'originario contratto richieste dalla committente, seguendo pedissequamente le indicazioni fornite, durante tutto il corso dei lavori, dal D.L. ing. (...), anche in conformità della deliberazione assembleare del 5/2/2016. Esperiti gli incombenti preliminari, rigettata l'istanza di chiamata in causa del terzo (...) e concessi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., il giudice disponeva c.t.u., quindi, all'udienza del 30/11/2022, svoltasi in modalità cartolare, assumeva la causa in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Con il primo motivo di opposizione il Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, eccepisce l'improcedibilità dell'avverso ricorso monitorio per il mancato espletamento del tentativo di conciliazione di cui all'art. 21 del contratto inter partes. L'eccezione è priva di pregio. Il rapporto controverso non rientra tra quelli per i quali il D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede l'esperimento della procedura di mediazione quale condizione di procedibilità, venendo in rilievo un contratto di appalto, così come è esclusa l'applicabilità della disciplina in materia di negoziazione assistita di cui all'art. 3 del D.L. n. 132 del 2014, conv. con L. n. 162 del 2014, essendo stata introdotta la presente causa con ricorso monitorio. Quanto al tentativo di conciliazione previsto dall'art. 21 del contratto, rubricato "Clausola di conciliazione", secondo cui "In ogni caso, le parti convengono che prima di ricorrere all'autorità giudiziaria sarà esperito il tentativo di conciliazione presso l'organismo di conciliazione, iscritto al Ministero della Giustizia, che verrà indicato ad istanza della parte più diligente", si rileva che le parti non hanno sanzionato l'omesso esperimento del tentativo di conciliazione con l'alcuna sanzione di carattere processuale, quindi non potrebbe ricondursi alla sua violazione improcedibilità del ricorso monitorio proposto dall'ingiungente. Con il secondo motivo l'opponente contesta l'avversa pretesa creditoria, eccependo l'inadempimento della controparte, per avere quest'ultima ultimato i lavori con ritardo rispetto alle previsioni contrattuali ed in violazione delle leges artis. La doglianza è parzialmente fondata per quanto di ragione e va accolta nei limiti di seguito indicati. L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge, pertanto l'eventuale carenza dei requisiti probatori per la concessione del provvedimento monitorio può rilevare solo ai fini del regolamento delle spese processuali e la sentenza non può essere impugnata solo per accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (cfr. Cass. civ. n. 16767 del 23/07/2014). Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della pretesa creditoria dell'ingiungente, deve aversi riguardo all'intero materiale probatorio offerto dalla parte opposta anche in sede di opposizione, non potendo il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio. In tema di prova dell'adempimento di un'obbligazione, inoltre, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. sez. un. n. 13533 del 30/10/2001). Orbene, benché ai sensi del combinato disposto degli artt. 633 e 634 c.p.c., per i crediti relativi a somministrazione di merci e di denaro, nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori, gli estratti autentici delle scritture contabili costituiscono prova scritta idonea a legittimare la concessione del decreto ingiuntivo nei confronti anche di soggetti non imprenditori (cfr. Cass. civ. n. 14363 del 16/11/2001; Cass. civ. n. 13429/2000), in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore è tenuto a fornire piena prova dei fatti costitutivi del credito, non potendo avvalersi, nei confronti del debitore che non sia imprenditore, né del regime speciale previsto per l'emissione del decreto ingiuntivo, né della norma sulla efficacia probatoria tra gli imprenditori prevista dall'art. 2710 c.c.. In altri termini, se in sede monitoria per l'emissione del decreto ingiuntivo è sufficiente la produzione degli estratti autentici delle scritture contabili attestanti l'esistenza del credito vantato, in fase di opposizione, la mera indicazione delle risultanze del libro giornale del creditore non è idonea ad interrompere la prescrizione. Quanto alla valenza probatoria delle fatture commerciali in fase di opposizione, è noto che la stessa, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, s'inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo e si struttura secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all'altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito. Onde, quando tale rapporto, per la sua natura o per il suo contenuto, sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può, attese le sue caratteristiche generiche (formazione ad opera della stessa parte che intende avvalersene), assurgere a prova del contratto, ma, al più, rappresentare un mero indizio della stipulazione di quest'ultimo e dell'esecuzione della prestazione indicata, mentre nessun valore, nemmeno indiziario, le si può riconoscere tanto in ordine alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto tant'è che, contro e in aggiunta al contenuto della fattura, sono ammissibili prove anche testimoniali dirette a dimostrare eventuali convenzioni non risultanti dall'atto, ovvero ad esso sottostanti (cfr. Cass. civ. n. 8126 del 2004; Cass. civ. n. 10434 del 2002). Invero, un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa, né determina inversione dell'onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza. Pertanto nel processo di cognizione che segue all'opposizione a decreto ingiuntivo, la fattura contestata non costituisce fonte di prova assoluta, in favore della parte che l'ha emessa, dei fatti che la stessa vi ha dichiarato (cfr. Cass. civ. n. 17050 del 5/8/2011). Nella specie, l'opposta ha provato l'esistenza del rapporto contrattuale sotteso al monitorio, avendo versato in atti il contratto d'appalto inter partes stipulato 13/11/2015, con cui il Condominio (...) ha affidato alla s.r.l. (...) l'esecuzione dei lavori di cui alla lettera a) delle premesse del regolamento contrattuale e dalla certificazione sottoscritta dal direttore dei lavori (...) il 4/10/2018 risulta che le opere sono state eseguite a regola d'arte. In particolare, risulta dagli atti e dalla c.t.u. espletata in corso di causa che il fabbricato oggetto di causa è situato in R., Via (...) della (...) n. 54/b, strada che congiunge Via (...) di (...) a Via dell'A. nel tratto tra il viadotto e Via dei (...), ricadente all'interno del XV Municipio (ex XX). La zona è servita esclusivamente dai mezzi pubblici su gomma, con la fermata più vicina lungo la stessa Via degli (...) della (...) e lo stabile è stato realizzato con struttura in calcestruzzo armato, in virtù della concessione edilizia n. 3499 del 30/12/1955 lungo il declivio della collina ricompresa fra Via (...) e la sottostante Via (...) della (...). Con particolare riferimento ai lavori su cui si controverte, nel 2014 l'assemblea del Condomino di Via degli (...) della (...) n. 54b (Condominio (...)) deliberava l'esecuzione dei lavori di manutenzione delle coperture, delle facciate e delle vie d'accesso al garage ed alla palazzina. In seguito, con delibera dell'assemblea del condominio del 27/02/2015, veniva approvato il capitolato d'appalto ed il computo metrico redatto dall'ingegner (...) per le opere di manutenzione straordinaria esterna del fabbricato, nominando lo stesso quale direttore dei lavori. I lavori previsti consistevano essenzialmente in: - ripristino delle impermeabilizzazioni in ampia parte delle coperture e in tutti i balconi aggettanti, con demolizione e sostituzione delle pavimentazioni esistenti; - ripristino di tutte le parti strutturali dei solai danneggiati dalle impermeabilizzazioni; - ripresa delle finiture intonaco o faccia a vista, dei sottobalconi, dei frontalini e dei cornicioni; - pulizia e successivo trattamento idrofugo dei mattoni faccia vista; - tinteggiatura delle ringhiere e dei corrimani in ferro; - tinteggiatura dei telai in ferro degli infissi della scala; - ripulitura dell'atrio di ingresso al fabbricato (pavimento, pareti, soffitto); - integrazione della pavimentazione in porfido esistente davanti all'atrio di ingresso fino ai piedi della scalinata; - riparazione delle infiltrazioni dell'area posteriore al fabbricato (lato est) e realizzazione di pavimentazione e zoccolino; - risistemazione del locale condominiale adiacente all'ingresso dei garage; - realizzazione di impianto di antenna centralizzata. Il 13/11/2015 veniva stipulato il contratto di appalto con cui il Condominio (...) affidava alla s.r.l. (...) l'esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria dell'immobile sito in R., Via (...) della (...) n. 54/b ed erano parte integrante del contratto: - elaborato n. 1 - capitolato d'appalto - elaborato n. 2 - computo metrico - elaborato n. 3 - elenco prezzi e voci di computo - elaborato n. 4 - schemi planimetrici - elaborato n. 5 - modulo d'offerta. L'importo complessivo a misura era fissato in Euro 244.402,59, oltre all'IVA. Rispetto al capitolato d'appalto originario e all'offerta approvata in data 01/07/2015 venivano stralciati i seguenti lavori indicati nel documento denominato "E. prezzi e voci di computo" redatto dalla s.r.l. (...): - parte dei lavori, relativi alla voce n. 20 "I. lavaggio a pressione ..." nella misura di mq 982,36 sottratti dalla quantità complessiva di mq. 1.997,23, per un importo in detrazione di Euro 3.929,44: - parte dei lavori relativi alla voce n. 29 "Trattamento idro repellente" nella misura di mq 982.36, da sottrarre dalla quantità complessiva di mq. 1.997.23, per un importo in detrazione di Euro 11.788,32: - le opere relative alla sistemazione del locale condominiale adiacente all'ingresso del garage e precisamente le voci n. 58. 59, 60, 61. 62. 63, 64, per un importo in detrazione di Euro 9.879,65. I prezzi unitari delle singole lavorazioni previste in appalto indicati nell'(...) prezzi e voci di computo, a base dell'importo di affidamento ed allegato al contratto, erano fissi ed invariabili e non soggetti a revisione. Era previsto il pagamento delle opere in n. 24 rate mensili, ciascuna pari ad 1/24 del valore contrattuale, a partire dall'inizio lavori e da corrispondere entro il decimo giorno di ogni mese, in corrispondenza almeno di pari avanzamento dei lavori, come accertato dal DL in contraddittorio con l'impresa; eventuali opere aggiuntive sarebbero state pagate in sei rate, a far tempo dal mese successivo a quello dell'esecuzione dei lavori. Era stata demandata la fissazione dell'inizio dei lavori a data da concordare tra il committente, l'appaltatore e il (...), la durata contrattuale di n. 240 giorni naturali e consecutivi, salvo il caso di eventuali opere aggiuntive richieste dal condominio tramite la direzione dei lavori, oltre ad eventuali periodi di proroga per avversità atmosferiche o cause di forza maggiore, con la fissazione della penale di Euro 150,00 per ogni giorno di ritardo imputabile all'appaltatrice. L'articolo 5 del contratto disponeva che "L'Appaltatore non può apportare variazioni a quanto previsto negli allegati costituenti parte integrante del presente contratto né alle modalità di esecuzione delle opere, salvo preventiva autorizzazione scritta del Committente e, per quanto di competenza, del Direttore dei Lavori. Tale autorizzazione del direttore dei lavori, per avere valenza, deve essere necessariamente assentita dal committente e/o dal responsabile in nome e per conto del committente stesso previa delibera condominiale. L'appaltatore si impegna a segnalare per iscritto a mezzo lettera raccomandata al direttore dei lavori le anomalie che eventualmente dovessero essere riscontrate in fase di esecuzione delle opere". All'art. 6 era, invece, precisato che "Il Committente può apportare variazioni a quanto previsto negli elaborati allegati al presente contratto e costituenti parte integrante ed alle modalità di esecuzione dell'opera attraverso una specifica variante scritta o mediante specifico ordine di servizio scritto della (...) da comunicare con congruo anticipo all'Appaltatore". Era poi sancito dall'art. 11 l'affidamento del controllo sui lavori al (...). Il 3/12/2015 l'amministratore del Condominio di Via (...) della (...) n. 54/b presentava al Municipio XV di Roma Capitale, ai sensi dell'art. 6, comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001, la comunicazione di inizio dei lavori, in cui era indicato che la direzione dei lavori era affidata all'ingegner (...) e che le opere sarebbero state eseguite dalla s.r.l. (...), con termine fissato al 30/07/2016. Il c.t.u. ha evidenziato che la documentazione relativa ai lavori è scarsa e che, in ogni caso, è emerso dagli atti che il 5/7/2016 l'ing. (...), con un messaggio di posta elettronica, comunicava all'impresa che i condomini avevano chiesto l'esecuzione di opere aggiuntive, segnatamente la realizzazione della finitura in cls della rampa di accesso al fabbricato (dall'altezza dei parcheggi fino all'ingresso del garage), di un corrimano sulla parte sinistra della stessa rampa e la ripulitura delle parti comuni all'interno del garage, il cui preventivo è stato poi trasmesso dall'impresa all'ingegner (...) il 21/07/2016. Il 15/10/2016 il direttore dei lavori ha redatto una relazione in cui ha dato atto che, a quella data, i lavori erano quasi ultimati, essendo stati smontati i ponteggi e che dovevano essere ancora eseguiti alcune opere di ripristino all'interno degli appartamenti, la sistemazione della zona antistante il portone d'ingresso, il completamento del sistema di smaltimento delle acque meteoriche e alcune lavorazioni aggiuntive richieste dai condomini. Il 20/10/2016 il Condominio approvava il preventivo redatto dalla s.r.l. (...) il 21/7/2016, affidando a quest'ultima ulteriori lavori inerenti al rifacimento della rampa di accesso ai garage e alla fornitura e posa in opera di un corrimano da installarsi lungo la stessa rampa di accesso, per l'importo complessivo di Euro 12.320,00 (Euro 11.250,00 + Euro 1.070,00) e l'esecuzione dei lavori necessari alla eliminazione degli inconvenienti lamentati da alcuni condomini a seguito delle abbondanti piogge verificatesi, senza la fissazione di un cronoprogramma. L'accettazione formale da parte dell'impresa dei lavori autorizzati dall'assemblea condominiale avveniva con nota del 12/01/2017, in cui si indicava che i lavori relativi al rifacimento della rampa (Euro 11.250,00, oltre IVA), al corrimano in ferro (Euro 1.070,00, oltre IVA) e ad ulteriori opere (Euro 2.530,00 oltre IVA), per il costo complessivo di Euro 14.850,00, oltre IVA, avrebbero avuto inizio entro gennaio 2017, senza indicare i tempi di esecuzione ed il condominio ha autorizzato l'inizio dei lavori per il 25/01/2017. Con comunicazione via posta elettronica del 3/2/2017, l'amministratore del condominio chiedeva all'impresa di sospendere i lavori per consentire il collaudo delle opere eseguite da altra impresa e non è in atti la documentazione relativa alla ripresa dei lavori, eccetto una comunicazione a mezzo posta elettronica del 26/05/2017, con cui l'appaltatrice comunicava all'amministratore che i lavori sarebbero ripresi successivamente. Il 5/7/2017 l'impresa comunicava alla committente l'ultimazione dei lavori extra contratto, presentando il resoconto finale Il 30/10/2017, nel corso dell'assemblea condominiale, il direttore dei lavori comunicava di non aver redatto il consuntivo dei lavori, poiché non erano ancora stati ultimati e venivano denunciati vizi afferenti a crepe lungo la rampa e all'assenza di rifiniture ed alcuni condomini denunciavano allagamenti nei terrazzi. L'assemblea condominiale affidava, quindi, all'ingegner (...) l'incarico di realizzare i disegni per il montaggio di due grondaie nella parte posteriore del fabbricato e di chiamare una ditta specializzata per il loro montaggio, ma il 5/11/2017 il (...) segnalava l'inutilità dei lavori indicati dall'Assemblea. A seguito della trasmissione del conto finale, su incarico del condominio, il 9/4/2018 era redatta la relazione tecnica provvisoria da parte dell'ingegner (...), in cui, oltre alla descrizione delle opere previste e di quelle realizzate, erano descritti i vizi denunziati dai condomini e venivano, inoltre, valutati economicamente sia i lavori eseguiti, pari ad Euro 244.233,64, che le detrazioni da applicare per effetto dei costi necessari all'eliminazione dei danni riscontrati, pari ad Euro 28.500,00. Il 2/5/2018 l'ingegner (...) emetteva il conto finale dei lavori definitivo, per l'importo complessivo, relativo alle opere comuni, di Euro 250.138,47, oltre all'IVA e ad una serie di interventi di competenza dei singoli proprietari esclusivi. A seguito della trasmissione del conto finale definitivo, su incarico del Condominio, il 26/06/2018 veniva redatta una seconda relazione tecnica da parte dell'ingegner (...), c.t.p. dell'opponente, in cui, oltre alla descrizione delle opere previste e di quelle realizzate, venivano descritti i vizi denunziati dai condomini ed erano, inoltre, stimati in Euro 11.137,83 i lavori non eseguiti, da detrarre dal computo finale, e in Euro 28.500,00 le detrazioni da applicare per l'eliminazione dei danni riscontrati. Il 30/06/2018 l'ingegner (...) emetteva la relazione tecnica concernente gli "Interventi previsti per la risoluzione delle problematiche pendenti", in cui indicava le modalità risolutive delle problematiche segnalate dai singoli condomini, il 31/07/2018 l'ingegner (...) comunicava al Condominio che, a far tempo dal 20/8/2018, avrebbero avuto inizio i lavori per la risoluzione delle problematiche pendenti, che avrebbero avuto una durata di circa dieci giorni e si sarebbero svolti secondo le modalità indicate nella precedente relazione del 30/06/2018, quindi, in data 03/10/2018, veniva redatto, in contraddittorio fra la direzione dei lavori e l'impresa, il verbale di sopralluogo, in cui era indicato che tutti i lavori di cui al progetto e al relativo capitolato erano stati positivamente eseguiti ed erano state eliminate le cause delle problematiche evidenziatesi; rimanevano da completare i soli interventi di ripristino, essenzialmente tinteggiature, presso gli interni 9, 9a e 9b che sarebbero stati eseguiti non appena le murature si fossero asciugate. Come indicato nel paragrafo 4, in data 04/10/2018 il direttore dei lavori emetteva il certificato di regolare esecuzione dei lavori, in cui veniva confermato che le opere previste dal contratto erano state eseguite a regola d'arte ed in conformità al progetto ed alle altre indicazioni impartite dalla DL, ad eccezione di alcuni interventi di ripristino dei danni causati dalle infiltrazioni dalla copertura, in particolare presso gli interni n. 9, 9a e 9b (principalmente lavori di tinteggiatura). Il 26/10/2018 l'ingegner (...) redigeva un'ulteriore relazione, in cui esprimeva le sue ragioni sull'operato dell'impresa e della direzione dei lavori, ipotizzando l'applicazione della penale di Euro 150,00/giorno per almeno 641 giorni di ritardo nell'esecuzione dei lavori, a cui risultava allegata una nota redatta dall'ingegner (...), in cui era indicato che in data 24/09/2018 erano stati completati i lavori per gli interventi di risoluzione delle problematiche pendenti residuali ai lavori di ristrutturazione del fabbricato. Ciò posto, all'esito degli accertamenti compiuti dal c.t.u., è emerso quanto segue, in ordine ai vizi denunziati dai condomini: - al piano V, interno 9b, di proprietà di (...), risultano risolti i problemi derivanti dalle infiltrazioni, di cui permangono le tracce; alcune infiltrazioni, tuttavia, sembrano essere state provocate da mancata sigillatura fra infissi (finestre o lucernari) e murature, quindi esulano dall'oggetto delle indagini peritali svolte. Gli unici punti in cui i danni sono riconducibili ai vizi delle opere di impermeabilizzazione della copertura, eseguiti dalla parte opposta, riguardano la stanza a quota più bassa, lato nord-est e la pannellatura a soffitto posta lungo la scala interna di collegamento fra i piani IV e V. Per il ripristino di dette opere e di quelle necessarie negli appartamenti contraddistinti dagli interni 9 e 9a il direttore dei lavori, di concerto con l'impresa, nel certificato di regolare esecuzione del 04/10/2018, ha stimato il costo necessario di Euro 2.000,00, ritenuto congruo dal c.t.u.; - piano IV, interno 9, di proprietà di (...): allo stato attuale appaiono risolti tutti i problemi legati ad infiltrazioni, di cui rimangono le tracce, i cui effetti debbono ancora essere eliminati. Per il ripristino di dette opere e di quelle necessarie negli interni nn. 9 e 9b il direttore dei lavori, di concerto con l'impresa, nel certificato di regolare esecuzione del 04/10/2018, ha stimato un costo complessivo di Euro 2.000,00, ritenuto congruo dal c.t.u. e risultano risolte le problematiche inerenti alla terrazza pertinenziale a seguito dello spostamento dei pluviali; - piano IV, interno 9, di proprietà di Lotti. Allo stato attuale risultano risolti i problemi legati ad infiltrazioni, le cui tracce devono ancora essere eliminate: per il ripristino di dette opere e di quelle necessarie negli appartamenti int. nn. 9a e 9b, il direttore dei lavori, di concerto con l'impresa, nel certificato di regolare esecuzione del 04/10/2018 ha stimato congruo un importo complessivo di Euro 2.000,00, ritenuto equo dal c.t.u.; - piano III, interno 8, di proprietà di Scordia: allo stato attuale appaiono risolti tutti i problemi legati ad infiltrazioni e risanati i danni da essi provocati. Nel citato report relativo alla riunione 20/7/2018 ore 15:30, era indicato che il distacco di intonaco e pignatte nel bagno erano dovuti a fenomeni preesistenti alle attività lavorative dell'impresa; - piano III, interno 7, di proprietà di (...): sono stati risolti i problemi di cui alla citazione; - piano studi, interno 4, di proprietà di (...): sono stati risolti i vizi derivanti da infiltrazioni e risultano eliminati i relativi danni; - piano di copertura: nella documentazione facente parte integrante del contratto di appalto del 13/11/2015 era previsto che il tetto fosse impermeabilizzato mediante posa di membrana bitume polimero elastoplastomerica a base di bitume distillato, plastomeri ed elastomeri, armata con "non tessuto" di poliestere puro a filo continuo. Nondimeno, l'impermeabilizzazione è stata realizzata, per la quasi totalità, con pannelli coibentati in poliuretano espanso rivestito in alluminio preverniciato di colore rosso e non è stata versata in atti una variante sottoscritta dal condominio che preveda la modifica introdotta. Alcuni documenti prodotti riguardano, tuttavia, tale questione: in particolare, il 21/06/2016 l'impresa comunicò al direttore dei lavori il prezzo per eseguire la coibentazione del tetto con pannelli in polistirolo espanso rivestiti in alluminio (lastre grecate), di cui trasmise le caratteristiche tecniche il successivo 02/02/2016. Il 31/05/2016 il condomino (...) trasmise una comunicazione a mezzo posta elettronica al direttore dei lavori e all'amministratore, dolendosi, tra l'altro, che il tetto fosse stato realizzato in colore rosso anziché verde, citando in tal senso una riunione informale del 05/02/2016, in cui era stata presa tale decisione "deliberata in riunione tra Condominio e la ditta A.". L'amministratore di condominio, il 01/03/2016, trasmise all'ingegner (...) un messaggio di posta elettronica, comunicando che il condomino (...) si era lamentato della realizzazione del tetto in colore rosso e che era stato eccessivamente rialzato rispetto a quanto deciso nella suddetta riunione. Il (...) rispose all'amministratore come segue: "Per quanto riguarda i lavori in corso di svolgimento sulla copertura, faccio presente che si stanno svolgendo secondo quanto previsto e descritto durante la riunione di condominio dello scorso 5 febbraio. In particolare, si è parlato di una razionalizzazione delle varie falde attualmente presenti, che avendo delle differenti pendenze addirittura opposte in alcuni punti comportano una serie di compluvi e di raccolta di acqua; i pannelli che stiamo installando riunificano le varie pendenze senza però modificare le altezze di gronda e di colmo ovvero i punti più bassi e più alti delle falde. In tal modo si possono creare alcune zone dove l'attuale tetto è più alto dell'esistente (anche di 50 cm) ma lo scopo è proprio quello di eliminare, cambi di pendenza che sono fonte di pericolo per future infiltrazioni. Il colore del tetto rosso mi sembra che fosse quello scelto in sede di assemblea, in sostituzione dell'attuate colore verde e nero delle guaine esistenti, perché si è fatto riferimento al colore delle tegole anche esistenti sulla copertura, eliminando il verde che non aveva riferimenti". Nella relazione sull'avanzamento dei lavori del 15/10/2016 il (...) affermava che a tale data era stata eseguita "la revisione completa del manto di copertura come deliberato in apposita assemblea". Nel report relativo alla riunione del 20/7/2018, ore 15:30, tenutasi fra il (...), l'amministratrice del condominio, avv. (...), l'ing. (...) e l'arch. (...) (collaboratore del prof. (...)) furono trattati vari argomenti, ma non fu rilevato che l'impermeabilizzazione del tetto fosse stata realizzata in difformità da quanto inizialmente previsto dal contratto d'appalto. Al contrario, fu avanzata l'ipotesi di aggiungere un'ulteriore lamiera grecata nella zona di tetto soprastante la camera di proprietà di (...) ed il 24/09/2018 l'ingegner (...) redasse una nota in cui indicò che tutte le opere di ripristino della copertura del tetto erano state correttamente eseguite. Ciò posto, risulta dagli atti sopra citati che la modifica relativa alle modalità di impermeabilizzazione della copertura era stata concordata fra tutte le parti (impresa, direttore dei lavori e committenza) anche se non trasfusa in uno specifico documento. In ordine alla rampa dei garage, sono state rinvenute alcune zone in cui lo strato superiore di finitura a spina di pesce è saltato, nonostante gli interventi suggeriti dall'ingegner (...) nella citata Relazione del 30/06/2018: è pertanto necessario, come indicato dal c.t.u., procedere ad un'ulteriore sistemazione dei due punti precedentemente segnalati. Le opere da eseguire possono essere compendiate come segue: - battitura di tutta l'area in cui è stata eseguita la finitura superficiale a spina di pesce; - rimozione delle parti risonanti; - pulizia delle zone rimosse; - applicazione di primer a base cementizia; - ripresa dello strato di finitura a base di miscela cementizia additivata, per l'importo stimabile in Euro 1.00,00. Opere varie esterne. Le zone esterne oggetto del sopralluogo sono il fascione del prospetto antistante il fabbricato e il camminamento posto alle spalle dell'edificio. L'area non trattata è stimabile in circa: (15,00 ml x 4,00 ml) =60,00 mq. Le lavorazioni previste su tale area erano indicate, alle voci 2, 43, 46, 49, 65 del computo metrico contrattuale. - voce 2 - ponteggio: 60,00 mq x 12 Euro/mq = 720,00 Euro - voce 36 - stangoni in marmo: 15 ml x 10 Euro/ml = 150,00 Euro - voce 46 - rasatura: 60,00 mq x 9,50 Euro/mq = 570,00 Euro - voce 49 - tinteggiatura: 60,00 mq x 14,00 Euro/mq = 840,00 Euro - voce 65 - eliminazione piante rampicanti: 30% x 300,00 Euro = 90,00 Euro per un totale di Euro 2.370,00. Garage di proprietà (...). Le problematiche riscontrate non sono imputabili all'operato dell'appaltatrice; appartamento posto al piano garage di proprietà (...): per quanto verificato, appaiono risolti tutti i problemi legati ad infiltrazioni e risanati i danni da essi provocati. Il c.t.u. ha rilevato, inoltre, che la modifica legata alla diversa impermeabilizzazione della copertura, stimata dall'impresa in Euro 12.220, non ha inciso economicamente sul computo finale, avendo il direttore dei lavori applicato le corrispondenti medesime voci di computo, contrattualmente previste in complessivi Euro 8.892,00, anche se l'intervento di ripristino era previsto soltanto sul 40% della superficie, mentre l'intervento eseguito ha riguardato il 100% della copertura in falde del tetto. Contrariamente al disposto dell'art. 3 del contratto di appalto, non fu redatto un verbale di inizio dei lavori, ma può presumersi che abbiano avuto inizio il 03/12/2015, come comunicato dal Condominio al (...) di R. (...), pertanto la loro ultimazione sarebbe dovuta avvenire il 30/07/2016, avuto riguardo alla durata prevista di n. 240 giorni naturali consecutivi per l'esecuzione delle opere, salve le eventuali avversità atmosferiche o sospensioni. Il 15/10/2016 il direttore dei lavori indicò che a detta data i lavori risultavano sostanzialmente ultimati, essendo stati peraltro smontati e spostati tutti i ponteggi. Considerati i fenomeni meteorologici che hanno interessato l'area di cantiere, la data di ultimazione dei lavori è riconducibile al 15/09/2016: ne consegue che le opere appaltate dal Condominio all'impresa con il contratto del 13/11/2015 sono state ultimate il 15/10/2016, con n. 21 giorni di ritardo rispetto alla data del 24/09/2016, desumibile dall'art. 3 del contratto. La penale di cui all'art. 3 del contratto è, quindi, applicabile per l'importo di Euro 3.150,00. Il c.t.u. ha, quindi, concluso nel senso che l'esecuzione delle opere oggetto del contratto di appalto inter partes stipulato il 13/11/2015 è avvenuta a regola d'arte, per un importo complessivo di Euro 250.138,47, oltre all'IVA, essendo stati sanati dall'impresa i difetti esecutivi emersi in corso d'opera. I lavori sono stati ultimati con n. 21 giorni di ritardo, a cui corrisponde una penale contrattuale complessiva di Euro 3.150,00. I danni provocati dai difetti esecutivi emersi in corso d'opera sono stati tutti ripristinati, ad esclusione di quelli tuttora presenti negli interni nn. 9, 9a, 9b e quelli lungo la rampa dei garage, per i quali è stimabile un costo di ripristino pari, rispettivamente, ad Euro 2.000,00 e ad Euro 1.000,00, per complessivi Euro 3.000,00. Deve, quindi, detrarsi dal complessivo importo preteso dall'odierna opposta in sede monitoria il complessivo importo di Euro 6.150,00, sicché il credito dell'impresa appaltatrice è pari ad Euro 29.764,51. Il decreto ingiuntivo opposto va, quindi, revocato e il Condominio (...) va condannato al pagamento in favore della s.r.l. (...) della somma di Euro 29.764,51, oltre agli interessi come per legge dal dovuto al saldo. Deve essere, invece, respinta la domanda riconvezionale proposta dal Condominio (...), alla luce delle risultanze istruttorie e della c.t.u. espletata in corso di causa. Si ritiene equo, stante la parziale soccombenza reciproca, compensare tra le parti le spese processuali nella misura di un quarto ed alla prevalente soccombenza segue la condanna dell'opponente a rifondere all'opposta la residua parte, liquidata come in dispositivo. Per le medesime ragioni, si ritiene equo compensare tra le parti le spese di c.t.u. nella misura di un quarto, dovendosi porre la restante parte a carico dell'opponente. P.Q.M. visti gli artt. 645 e 281-quinquies c.p.c.; il Tribunale Ordinario di Roma, definitivamente pronunziando sull'opposizione proposta con atto di citazione notificato in data 27/5/2019 dal Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, avverso la s.r.l. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis: ACCOGLIE parzialmente l'opposizione e, per l'effetto, REVOCA il decreto ingiuntivo n. 6926/2019, N.R.G. 13649/2019, emesso dal Tribunale Ordinario di Roma in data 2/4/2019; DICHIARA tenuto e, per l'effetto, CONDANNA il Condominio (...) al pagamento in favore della s.r.l. (...) della somma di Euro 29.764,51, oltre agli interessi come per legge dal dovuto al saldo; COMPENSA tra le parti le spese di lite in misura di un quarto e CONDANNA il Condominio (...) a rifondere all'opposta la residua parte, che liquida in Euro 5.250,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge; COMPENSA tra le parti le spese di c.t.u. nella misura di un quarto e (...) la restante parte definitivamente a carico del Condominio (...). Così deciso in Roma il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Anna Mantovani - Presidente relatore dr. Irene Lupo - Consigliere dr. Francesca Vullo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1433/2021 promossa in grado d'appello DA (...) SRL (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in PIAZZA (...) 00186 ROMA presso lo studio dell'avv. GU.FE., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20135 MILANO presso lo studio dell'avv. GE.DA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLATO avente ad oggetto: Vendita di cose immobili SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) ha convenuto in giudizio (...) s.r.l. chiedendo al Tribunale di Milano di accertare la legittimità del proprio recesso, ex art. 1385, co. 2, c.c., con conseguente condanna di parte convenuta al pagamento della somma di Euro 450.000,00, oltre interessi, e, in via alternativa, di dichiarare la risoluzione, per inadempimento di (...), del contratto preliminare di compravendita concluso dalle parti in data 14/11/2016, con condanna di parte convenuta alla restituzione di Euro 300.000,00, oltre interessi, nonché al risarcimento del danno. A fondamento delle proprie domande, (...) ha esposto di aver stipulato in data 14/11/2016 con (...) - quale impresa costruttrice e promittente venditrice - un contratto preliminare avente ad oggetto l'acquisto di un appartamento, un box e di una cantina, in costruzione, con impegno a rogitare entro il 30/10/2017, con corrispettivo pattuito in complessivi Euro 750.000,00. Alla sottoscrizione del contratto preliminare, aveva provveduto al versamento dell'importo di Euro 150.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, e in data 04/04/2017 aveva versato l'ulteriore importo di Euro 150.000,00 a titolo d'acconto prezzo, come previsto da contratto. Ha esposto altresì di aver denunziato già da maggio 2017, e poi in via formale in data 13/09/2017, con mail indirizzata al Direttore dei Lavori, irregolarità inerenti ai canali di scolo delle acque piovane dei balconi aggettanti (c.d. doccioni). In assenza di adeguato riscontro, in data 24 novembre 2017 il proprio procuratore aveva inviato a mezzo pec una missiva con cui si chiedeva formalmente la consegna immediata del certificato di agibilità dell'immobile, dell'attestazione in conformità dell'appartamento, del vincolo di asservimento dell'area datata 10/03/2016, ed in cui veniva specificamente richiesta un'assunzione di responsabilità da parte del venditore per le irregolarità edilizie eccepite, il tutto entro il termine di gg. 15. Con la stessa mail, si invitava Costruiremilano alla stipula del definitivo nel termine massimo del 29 dicembre 2017. Ha spiegato che, in riscontro a tali comunicazioni, in data 1 dicembre 2017 l'avvocato della società (...), dopo aver negato ogni addebito, a sua volta invitava la (...) alla stipula del rogito per la data del 29 dicembre 2017, dichiarando altresì che la società aveva ultimato l'esecuzione dei lavori. In data 15 dicembre 2017, però, la stessa (...) comunicava formalmente alla (...) l'intenzione di non presentarsi all'incontro per la sottoscrizione del definitivo, sull'assunto che nulla avrebbe fatto promittente venditrice al fine di porre rimedio alle irregolarità contestate. In data 29 dicembre 2017, preso atto della mancata presenza di (...) avanti al notaio, (...) ha comunicato alla promissaria acquirente il proprio recesso, con conseguente risoluzione del contratto di compravendita. A seguito di tale vicenda, (...) ha agito in giudizio, in sintesi deducendo l'inadempimento di (...), per il fatto di non aver portato a termine i lavori di costruzione e completamento dell'appartamento promesso in vendita entro il termine contrattualmente convenuto, da ritenersi quale termine essenziale; nonché la irregolarità edilizia dell'appartamento medesimo, per avere la società costruttrice realizzato pluviali di facciata ("doccioni") che scaricano acqua piovana direttamente in strada anziché all'interno dei canali di raccolta in fogna. Ha quindi chiesto, in via principale, che venisse accertato il grave inadempimento della convenuta e, conseguentemente, la legittimità del proprio recesso ex art. 1385 c.c., con condanna di (...) al pagamento dell'importo di Euro 450.000,00 (pari al doppio della caparra, di Euro 150.000,00, oltre alla restituzione degli ulteriori Euro 150.000,00, versati a titolo di acconto del prezzo), oltre interessi. In via alternativa, ha chiesto che venisse dichiarata la risoluzione del preliminare di vendita del 14/11/2016, per fatto e colpa della promittente venditrice, con condanna di quest'ultima alla restituzione della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi ed oltre risarcimento del danno. Si è regolarmente costituita (...) s.r.l., contestando l'ammissibilità nonché il fondamento della rappresentazione attorea. Nel merito, ha eccepito che l'appartamento promesso in vendita sarebbe stato ultimato a regola d'arte e nel rispetto delle normative edilizie e che lo stesso sarebbe stato in realtà pronto per l'uso sin da data antecedente a quella fissata per la stipula (29 dicembre 2017). Contestando le censure di parte attrice, ha in particolare evidenziato la regolarità dei canali di scolo relativi ai balconi dell'immobile promesso in vendita, in quanto conformi all'art. 11, comma 6, dell'allegato RRIF (Regolamento per le reti interne di fognatura dei fabbricati ed il loro scarico finale) al Regolamento Edilizio di Milano, dalla cui lettura si evincerebbe la piena legittimità dei doccioni di cui trattasi con scarico diretto su strada delle acque meteoriche. In ogni caso, ha dedotto la scarsa importanza delle irregolarità contestate da parte attrice, inidonee, in quanto tali, a costituire motivo legittimante il recesso dal contratto. Ha quindi chiesto il rigetto di tutte le domande di (...), a ragione dell'insussistenza del ritardo nell'ultimazione dei lavori nonché dell'inesistenza, o, comunque, della scarsa importanza del preteso inadempimento relativo ai doccioni, in ogni caso inidoneo a giustificare il rifiuto alla stipula del definitivo. In via riconvenzionale, (...) ha chiesto a sua volta che venisse dichiarata la legittimità del proprio recesso, comunicato con lettera del 29 dicembre 2017, in conformità alla clausola risolutiva espressa contenuta nell'articolo 12 del contratto preliminare, che attribuisce alla parte promittente venditrice la facoltà di sciogliere il vincolo contrattuale ai sensi degli artt. 1456 e 1385 c.c. nel caso di mancata presentazione della parte promissaria acquirente alla stipula dell'atto definitivo. Per l'effetto, ha chiesto che venisse dichiarato il proprio diritto di ritenere la caparra confirmatoria versata dalla (...) (Euro 150.000,00), ai sensi dell'art. 1385, co. 2, c.c.. Sempre in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna di controparte al pagamento a proprio favore degli importi sostenuti per l'esecuzione di opere extracapitolato, oggetto di distinto contratto d'appalto, per Euro 13.805,91, nonché per la loro successiva rimozione, per Euro 28.850,00, oltre interessi, per una somma complessiva di Euro 42.655,91. Ha comunque offerto la restituzione in favore della promissaria acquirente della somma percepita a titolo di acconto sul prezzo (Euro 150.000,00), al netto di quanto da quest'ultima dovuto per le opere extracapitolato e per le spese di rimozione, chiedendo altresì che la (...) restituisse le due fideiussioni di Euro 150.000,00 ciascuna, emesse dalla (...), e consegnate alla promissaria acquirente in sede di sottoscrizione del contratto preliminare e in occasione del versamento dell'acconto del prezzo. Da ultimo, ha chiesto la condanna di (...) ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Il giudice ha disposto, ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c., il pagamento da parte di (...) in favore dell'attrice della sola somma non contestata di Euro 107.344,09, come risultate dall'acconto prezzo a suo tempo versato, previa deduzione dell'importo di Euro 42.655,91, richiesto da (...) in via riconvenzionale per le personalizzazioni richieste e per la rimozione delle stesse. Nelle more del processo (...) ha instaurato procedimento cautelare incidentale per sequestro conservativo sui beni di proprietà di (...) s.r.l., che è stato rigettato per difetto di periculum in mora. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3184/2021, ha accertato la legittimità del recesso di (...) in relazione al contratto preliminare di compravendita concluso in data 14/11/2016 con (...) s.r.l., ed ha rigettato le altre domande riconvenzionali proposte dalla convenuta nei confronti della (...), con condanna di (...) a corrispondere all'attrice la complessiva somma di Euro 342.655,91, pari al doppio della caparra versata ed alla parte residua di acconto prezzo versato e non ancora restituito dalla (...), oltre interessi sino al soddisfo. Ha invece condannato parte attrice a restituire alla convenuta le due fideiussioni da quest'ultima rilasciate ed emesse dalla (...), per Euro 150.000,00 ciascuna. Infine, ha condannato (...) alla refusione di due terzi delle spese legali sostenute da (...), con compensazione di un terzo, ed ha rigettato le domande di condanna per responsabilità processuale aggravata rispettivamente proposte dalle parti. Il primo giudice, dopo aver ritenuto non essenziale il termine previsto nel preliminare di vendita per la stipula del contratto definitivo (20/10/2017), ha anzitutto escluso, sotto questo profilo, l'inadempimento imputabile di (...), in quanto i lavori inerenti all'immobile promesso in vendita risultavano ultimati nei primi di dicembre, e, dunque, nei termini in cui ambo le parti si erano rese disponibili per la sottoscrizione del contratto definitivo. Ha invece ritenuto fondata la contestazione attorea in merito alla pretesa irregolarità degli scarichi d'acqua dei balconi aggettanti a quella data, come emergerebbe dalle due ordinanze di regolarizzazione emesse dal Comune di Milano, in data 5 aprile 2018, e 20 novembre 2018. Ha qualificato tali irregolarità alla stregua di "onere non apparente" gravante sulla cosa venduta ai sensi dell'art. 1489 c.c., consistente nel persistere del potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di regolarizzazione), tale da poter incidere sul libero godimento del bene e sul suo valore. Con il che, ha ritenuto la gravità dell'inadempimento del promittente venditore e ha dichiarato, per l'effetto, la legittimità del recesso di (...) dal contratto preliminare, con condanna della convenuta, ai sensi dell'art. 1385, co. 2 c.c., alla corresponsione in favore dell'attrice del doppio della caparra ricevuta (pari ad Euro 300.000,00), oltre interessi. In conseguenza di tale specifico profilo d'inadempimento imputabile a Costruendo, il primo giudice ha rigettato la speculare domanda riconvenzionale di parte convenuta ex art. 1385, co. 2, c.c. Quanto alla domanda di restituzione dell'acconto di prezzo di Euro 150.000,00, ha condannato (...) nei limiti della somma di Euro 42.655,91, posto che Euro 107.344,09 erano già stati corrisposti in corso di causa. Ha quindi respinto la domanda riconvenzionale di (...), con cui si chiedeva accertarsi il suo diritto - trattenendo l'importo da quanto dovuto a titolo di restituzione - al pagamento del corrispettivo per Euro 42.655,91, a titolo di adempimento del contratto di appalto ed a titolo di rimborso delle spese sostenute per rimuovere le modifiche apportate su richiesta. Precisamente, quanto al valore pattuito per la realizzazione di opere di personalizzazione (Euro 13.805,91), ha affermato che a nulla è tenuta (...) non essendosi il contratto definitivo concluso per colpa di C.. In ordine, invece, ai costi di rimozione delle stesse (Euro 28.850,00), ha escluso il diritto di (...) di pretendere i relativi importi in quanto le prove orali assunte non avrebbero dato atto di tale circostanza. Ha invece accolto la domanda riconvenzionale di parte convenuta relativa alla restituzione delle due fideiussioni rilasciate da (...) ed emesse dalla (...), con condanna di (...) alla restituzione in favore della società costruttrice di Euro 150.000,00, per ciascuna di esse. In punto di spese processuali, in considerazione della soccombenza di parte attrice in riferimento all'istanza di procedimento cautelare incidentale, ne ha disposto la compensazione per un terzo, e ha condannato (...) alla refusione in favore di (...) per i residui due terzi. Infine, ha rigettato le domande ex art. 96 c.p.c. rispettivamente proposte dalle parti. Avverso la citata sentenza ha proposto appello (...) s.r.l., chiedendo l'integrale riforma e sollevando sei sostanziali motivi di gravame: I. Con il primo motivo d'appello, ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ravvisato l'inadempimento imputabile a (...) in riferimento all'irregolare collocazione dei canali di scarico acque (doccioni). Contrariamente alla ricostruzione del primo giudicante, ha evidenziato di aver realizzato detti scarichi, relativi ai balconi, in conformità al progetto approvato dal Comune di Milano all'esito di una conferenza di servizi alla quale aveva preso parte, mediante rilascio di parere positivo del 10 giugno 2016, lo stesso Ufficio Fognature; nonché che erano state rispettate le disposizioni del nuovo regolamento fognature del Comune di Milano (art. 11, comma 6, dell'allegato RRIF al Regolamento Edilizio di Milano). Parte appellante, quindi, ha dedotto il proprio affidamento incolpevole circa la regolarità di dette opere, regolarità che veniva solo più tardi disconosciuta con ordinanza di regolarizzazione del 5 aprile 2018 del Comune di Milano. Sul punto, ha altresì evidenziato la scarsa rilevanza dei rilievi segnalati dall'Ufficio Fognature, dal momento che le pretese difformità sarebbero state pacificate con una proposta di definizione concordata, approvata dal Comune medesimo, in data 6 giugno 2018, e con cui (...) ha superato i rilievi, sostenendo un esborso di soli Euro 240,00 per piano. Invece, quanto alla seconda ordinanza di regolarizzazione del 20 novembre 2018, altresì invocata dal primo giudice a fondamento del proprio decisium, ha spiegato che la stessa avrebbe riguardato rilievi del tutto diversi da quelli sollevati con ordinanza del 5 aprile 2018, ed attinenti, piuttosto, ad uno scarico relativo al tetto del fabbricato (e che, dunque, nulla aveva a che vedere con i balconi aggettanti su suolo pubblico di cui alla precedente ordinanza); II. con il secondo motivo, ha chiesto di accertarsi la nullità della sentenza per violazione dell'art. 101, co. 2, c.p.c., per aver il primo giudice d'ufficio riqualificato la domanda di recesso della (...) come legittima in conseguenza della affermata esistenza di un "onere non apparente" sul bene promesso di vendita, ai sensi dell'art. 1489 c.c., prospettazione mai sottoposta all'attenzione delle parti, e sulla quale, dunque, non si sarebbe correttamente formato il contraddittorio; III. con un terzo sostanziale motivo (segnatamente, motivi III, IV e V) ha censurato la sentenza nella parte in cui avrebbe erroneamente ritenuto l'applicabilità dell'art. 1489 c.c., nonché l'imputabilità dell'inadempimento in questione. Ha infatti spiegato che l'art. 1489 c.c., dettato in materia di "vizi non apparenti", non avrebbe potuto trovare applicazione, non solo per la materialità e riconoscibilità dei vizi denunciati relativi ai doccioni, ma anche in quanto il preteso onere non apparente, contrariamente a quanto affermato dal giudice, non avrebbe affatto limitato il libero godimento del bene promesso in vendita, ulteriore condizione necessaria per invocare l'applicazione della citata norma. In ogni caso, ha escluso l'imputabilità a sé di pretesi vizi, posto che, alla data del 29 dicembre 2017, per la parte promittente venditrice la progettazione dei doccioni doveva ritenersi perfettamente regolare in quanto realizzatasi per come a quella data autorizzato dal Comune di Milano insieme al Permesso di Costruire; IV. con un quarto sostanziale motivo (segnatamente, motivo VI), lamenta il fatto che il primo giudice avrebbe omesso ogni indagine relativamente alla gravità del preteso inadempimento di (...) in rapporto all'economia generale del contratto. In particolare, ha esposto che (...) ha rimediato al preteso inadempimento con un complessivo esborso appena superiore ad Euro 500,00 (considerato il costo dell'intervento e la sanzione), dunque vistosamente sproporzionato rispetto al danno da mancata vendita di Euro 750.000,00, al quale andava incontro (...) medesima a causa del rifiuto a contrarre di (...); V. con un quinto sostanziale motivo (segnatamente, motivo VII), l'appellante ha riproposto le domande riconvenzionali già svolte nel primo grado, con cui chiede l'accertamento della legittimità del recesso di (...) dal contratto preliminare e la declaratoria del diritto a ritenere la caparra confirmatoria di Euro 150.000,00; nonché la condanna della (...) a corrispondere i costi sostenuti per la realizzazione delle opere di personalizzazione commissionate alla (...) sulla base del separato e distinto contratto di appalto stipulato tra le parti; VI. con un sesto ed ultimo motivo (segnatamente, motivo VIII), ha censurato la sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna di (...) alla refusione delle spese in favore di (...) per i due terzi, sul punto adducendo che, la corretta comparazione di tutte le domande svolte da (...) e rigettate dal primo giudice, avrebbe dovuto portare quantomeno ad una compensazione integrale. Si è ritualmente costituita (...), contestando la fondatezza dell'appello ex adverso proposto e insistendo per l'integrale conferma della sentenza impugnata. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello proposto da (...) s.r.l. è fondato, nei limiti di seguito esposti, e per le ragioni che seguono la sentenza emessa dal Tribunale di Milano deve essere riformata. 1. Anzitutto, occorre evidenziare che, ai fini del presente giudizio, deve preliminarmente essere valutata la censura svolta dall'appellante rispetto alla decisione del tribunale che ha ritenuto legittimo il recesso di (...), ai sensi e per gli effetti dell'art. 1385, co. 2, c.c. L'appellante (...) ha dedotto che, relativamente al preliminare di compravendita immobiliare, concluso con (...) in data 14/11/2016, parte promissaria acquirente si sarebbe resa inadempiente all'obbligo di stipula del definitivo alla data che era stata comunicata del 29 dicembre 2017. Ha infatti spiegato che, per via di pretese difformità urbanistiche relative all'immobile medio tempore riscontrate da parte di tecnici incaricati dalla (...), quest'ultima decideva di non presentarsi all'appuntamento fissato innanzi a notaio in quella data. In ragione di tale mancata presentazione, con una pec dello stesso giorno, (...) ha comunicato di avvalersi della clausola risolutiva prevista nel preliminare di vendita, con automatico scioglimento del vincolo contrattuale. Dal canto suo, a fronte di tale vicenda, (...) ha citato in giudizio (...), chiedendo che fosse accertato il grave inadempimento della convenuta ex art. 1455 c.c. e, per diretta conseguenza, la legittimità del proprio recesso ex art. 1385, co. 2, c.c., in sintesi dolendosi del ritardo nel completamento dell'appartamento nonché delle irregolarità dei "doccioni" di scarico delle acque realizzati sui balconi aggettanti della palazzina. 1.1. A tal riguardo, deve premettersi che, tra i diversi profili di censura, (...), nei motivi secondo e terzo, ha lamentato che il giudice di prime cure avrebbe, d'ufficio, autonomamente ritenuto legittimo il recesso dell' odierna appellata in conseguenza della esistenza di un "onere non apparente" sul bene promesso in vendita, ai sensi dell'art. 1489 c.c., consistente nel persistere del potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di regolarizzazione), tale da poter incidere sul libero godimento del bene e sul suo valore. Ebbene, si deve ritenere, per contro, che la vicenda per cui è causa deve essere interpretata e trattata proprio quale accertamento della legittimità del diritto di recesso ex art. 1385, co. 2, c.c. esercitato dalla promissaria acquirente, e non alla guisa di vendita gravata da vincolo non apparente - ossia non visibile e non percepibile - ai sensi e per gli effetti dell'art. 1489 c.c. Ciò, non solo perchè si tratta di una ricostruzione della vicenda mai prospetta dalle parti in causa, ed ai limiti del potere di ri-qualificazione delle domande giudiziali di cui il giudice dispone, ma oltretutto in quanto una simile interpretazione del contenuto sostanziale della domanda della (...) non risulta nemmeno strettamente confacente rispetto ai caratteri della presente controversia, che verte attorno ad un vizio attinente alla "materialità" del bene compravenduto (in particolare, vizio dei doccioni), oltretutto visibile e percepibile da controparte. Da ultimo, si aggiunga che l'art. 1489 c.c. non avrebbe potuto comunque trovare applicazione alla luce del fatto che, come meglio verrà di seguito affrontato, il preteso "onere non apparente" non limitava il libero godimento del bene promesso in vendita, ulteriore condizione necessaria per invocare la detta norma. 1.2. Tanto chiarito, si osserva ora che, tenuto conto della finalità economica del rapporto contrattuale, ed alla luce altresì della necessaria comparazione tra gli inadempimenti reciproci, come dedotti da ambo le parti in causa, si evince chiaramente che la promissaria acquirente si è rifiutata di concludere il definitivo - rendendosi dunque pacificamente del tutto inadempiente alla propria obbligazione di conclusione del definitivo - in ragione di una problematica di scarsa importanza, con la conseguenza che il recesso di (...) dal vincolo contrattuale non può ritenersi legittimo. S'impone, al riguardo, il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che la disciplina dettata dall'art. 1385, co. 2, c.c., in tema di recesso per inadempimento nell'ipotesi in cui sia stata prestata caparra confirmatoria, non costituisce una deroga alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che allorquando siano prospettati inadempimenti reciproci, il giudice deve adottare quegli stessi criteri che si applicano nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, e, dunque, dovrà procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambi i contraenti in relazione al contratto, di modo da stabilire quale di essi abbia fatto venire meno, con il proprio comportamento, l'interesse dell'altro al mantenimento del negozio (Cass. 9317/16). Nel caso di specie, la promissaria acquirente si è sottratta all'obbligo di stipula di un contratto definitivo del valore di Euro 750.000,00 (per il quale erano già stati versati Euro 300.000,00) a fronte di una problematica risolta con Euro 240,00 (oltre ad una sanzione di Euro 266,00). Parte appellante ha infatti diffusamente spiegato che l'irregolarità accertata con ordinanza di regolarizzazione del Comune di Milano del 5 aprile 2018, in riferimento al sistema di scarico dei balconi aggettanti, è stata risolta con una definizione concordata nella quale (...) ha proposto di superare i detti rilievi a fronte di un esborso minimo pari ad Euro 240,00 per balcone; che tale proposta è stata approvata dall'Ufficio Fognature e che la stessa è stata attuata dalla società, come attestato con documentazione del 31 luglio 2018, e che per le predette irregolarità la sanzione amministrativa irrogata è stata pari ad Euro 266,00, dunque molto contenuta. Quanto emerso porta ad escludere la gravità dell'inadempimento di (...), che è stato rimediato con esborso pari a circa Euro 500,00, rispetto ad un contratto del controvalore di Euro 750.000,00, e, al contempo, a negare la legittimità del recesso di (...), in quanto visibilmente sproporzionato rispetto al risibile valore dei contestati vizi. Ulteriormente, si osserva che un simile giudizio di bilanciamento tra reciproci inadempimenti deve essere effettuato avendo quale riferimento temporale il 29 dicembre 2017, data in cui avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo, anche su espressa richiesta della P.. Giova infatti evidenziare che, a quel momento, non si erano ancora conclusi i controlli amministrativi volti a rilevare le irregolarità urbanistiche, quest'ultimi ultimatisi solo al più tardi, in pendenza del primo grado di giudizio, e comunque a rapporti contrattuali già interrotti. Sicché, a fortori, deve ritenersi del tutto ingiustificata la condotta di (...) che, pur non avendo avuto a quella data piena contezza circa le difformità emerse, decideva comunque di non presentarsi alla sottoscrizione del rogito. Inoltre, è la stessa promissaria che, dopo aver sollevato per la prima volta i dubbi circa il deflusso delle acque meteoriche dei balconi aggettanti, per il tramite del proprio architetto incaricato, in data 13 settembre 2017, con una successiva pec del 24 novembre 2017, forzava i termini per la stipula del definitivo, esortandone la conclusione, di fatto precludendo ogni tentativo di verifica della portata dei vizi e della loro emendabilità. 1.3. Da ultimo, si evidenzia che la sproporzione tra i reciproci inadempimenti, oltre a rilevare in via del tutto inequivoca dal raffronto tra il prezzo pattuito per la vendita, da un lato, ed i costi sostenuti da (...) per riparare alle dette irregolarità urbanistiche, dall'altro, può altresì desumersi dal carattere recessivo che assumono siffatte contestazioni in merito alla stessa funzione economica del bene. Si osserva infatti che, ai fini dell'inadempimento, è necessario verificare l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al godimento ed alla commerciabilità del bene portato in contratto. Ebbene, si deve ritenere che le irregolarità dei doccioni, censurate dalla (...) in prossimità della stipula del definitivo, non incidono, in quanto tali, sull'attitudine dell'immobile promesso in vendita ad assolvere la sua funzione economica-sociale. Di ciò ne è ulteriore prova il fatto che a distanza di qualche mese, nel marzo 2018, lo stesso immobile veniva acquistato da un nuovo acquirente, a prezzo sostanzialmente immutato (Euro 730.000,00). 1.4. Alla luce di tutto quanto emerso, deve perciò accogliersi il primo motivo d'appello (e, di conseguenza, le ragioni sottese ai motivi III, IV, V e VI), non essendo ravvisabile, per contro, un inadempimento imputabile di (...), che, per un verso non poteva ritenersi inadempiente per ritardata consegna, come già affermato dal giudice di primo grado, affermazione non più censurata dalla (...) (che non ha svolto appello incidentale sul punto), e che quindi, a fronte dell'ingiustificato rifiuto in relazione alla conclusione del definitivo di vendita da parte di (...), si è legittimamente avvalsa della clausola risolutiva di cui in contratto, che attribuiva alla promittente venditrice la facoltà di sciogliere il vincolo contrattuale nel caso di mancata presentazione della promissaria acquirente alla stipula del definitivo. Ne consegue, per l'effetto, il rigetto della domanda svolta dalla (...) di accertamento dell'inadempimento di (...), e per contro l'accertamento del diritto di (...) al trattenimento della caparra per Euro 150.000,00, in accoglimento parziale del sostanziale quinto motivo d'appello (segnatamente, motivo VII), con cui (...) ha riproposto la domanda riconvenzionale ex art. 1385, co. 2, c.c. La decisione del Tribunale quindi, relativamente a tali domande, viene integralmente riformata. 2. Non può invece essere accolta la seconda e distinta domanda riconvenzionale svolta in primo grado da (...), e riproposta in appello nel contesto del quinto motivo di censura (segnatamente, motivo VII), con cui si chiede il pagamento della complessiva somma di Euro 42.655,91 a titolo di adempimento del secondo e distinto contratto appalto, per opere extracapitolato richieste da parte promissaria acquirente, ed a titolo di rimborso delle spese sostenute per la rimozione di dette modifiche. Quanto al valore delle opere realizzate, previsto in contratto per Euro 13.805,91, si deve infatti ritenere che, trovando il contratto in questione propria giustificazione causale nel trasferimento della proprietà dell'appartamento, ed essendo tale contratto risolto, nulla è dovuto a (...) per l'esecuzione delle opere medesime. In riferimento ai costi di rimozione, quantificati da (...) per Euro 28.850,00, dagli atti di causa non emerge con sufficiente chiarezza la prova che la società costruttrice avrebbe effettivamente provveduto alla rimozione di dette opere. Non solo, infatti, l'escussione dei testi, nel primo grado, farebbe ritenere che (...) nulla avesse fatto a dispetto di quanto dalla stessa asserito (il Direttore Lavori sul punto aveva dichiarato che "Da quanto ho potuto verificare fino alla consegna dell'immobile al nuovo acquirente, le modifiche extracapitolato realizzate su richiesta della Sig.ra (...) non sono state rimosse dalla convenuta"), ma è altresì verosimile che le opere di personalizzazione siano rimaste nell'appartamento di cui è causa all'odierno proprietario, se è vero che l'immobile originariamente promesso in vendita alla (...) veniva di lì a poco trasferito in proprietà ad un nuovo acquirente, nel marzo 2018. A tal riguardo, si aggiunga altresì che da detto secondo contratto di compravendita immobiliare si desume chiaramente che le opere di personalizzazione eseguite dalla società su richiesta della (...) non hanno comportato alcuna significativa diminuzione del valore dell'immobile medesimo, posto che lo stesso veniva venduto per un importo simile al pattuito (Euro 730.000,00). Quindi sul punto resta ferma la statuizione del tribunale che ha condannato (...) alla restituzione dell'importo di Euro 42.655,91, che la stessa aveva trattenuto quando ha restituito l'importo relativo all'acconto prezzo. Conclusivamente, deve essere riformata la sentenza di primo grado nel senso che viene esclusa la condanna di (...) al pagamento in favore di (...) dell'importo di Euro 300.000,00, mentre resta fermo il capo in cui (...) è stata condannata alla restituzione di Euro 42.655,91, come sopra espresso. Sulla base di tale decisione, nel caso in cui vi sia stato il pagamento da parte dell'appellante dell'importo stabilito dal giudice di primo grado, (...) ha svolto domanda di restituzione, domanda che deve essere accolta, nel senso che la (...) è tenuta alla restituzione di quanto percepito in eccesso, oltre interessi legali dal giorno del percepimento al saldo. 4. Con la riforma della sentenza di primo grado deve essere disposta una nuova regolamentazione delle spese di lite. La (...) risulta prevalentemente soccombente, in quanto la sua domanda è stata integralmente rigettata, salvo che quanto alla domanda di restituzione di parte dell'acconto prezzo per Euro 42.655,91, su cui (...) risulta soccombente. Pertanto, all'esito complessivo della controversia, deve essere disposta la compensazione parziale delle spese nella misura di un quinto delle stesse, e la condanna della (...) alla rifusione a (...) dei residui quattro quinti, secondo la liquidazione di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3184/2021, così provvede: 1) In parziale accoglimento dell'appello, dichiara legittimo il recesso di (...), e per l'effetto accerta il diritto della stessa al trattenimento della caparra di Euro 150.000,00; 2) Conferma la condanna di (...) srl alla restituzione di Euro 42.655,91; 3) Rigetta ogni altra domanda proposta da (...); 4) Condanna (...) alla restituzione di quanto eventualmente percepito in eccesso in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dal giorno del percepimento al saldo; 5) Condanna (...) alla rifusione a (...) srl delle spese di primo e secondo grado nella misura del 80% e compensa il residuo 20%, spese liquidate per l'intero per il primo grado in complessivi Euro 14.100,00 oltre rimborso forfetario spese generali, iva e c.n.p.a., e per il presente grado in complessivi Euro 10.000,00, oltre rimborso forfetario spese generali, Iva e c.n.p.a.. Così deciso in Milano il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 456 del 2023, proposto dalla società Vi. Si. A& A S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ad. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via (...); contro il Ministero della cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); il SUAP- Sportello unico attività produttive del Cilento, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le Province di Salerno e Avellino e il Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per l'ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 2022 n. 6920, che ha accolto il ricorso n. 3223/2022 R.G. proposto dalla Vi. Si. A& A S.r.l. per la riforma della sentenza del T.a.r. Campania, sezione staccata di Salerno sez. II 5 ottobre 2021 n. 2089, che aveva a sua volta respinto il ricorso di I grado n. 1148/2021 R.G. proposto contro gli atti con i quali il Comune di (omissis) aveva negato l'assenso alla trasformazione in balconi di sei finestre dell'H. Vi. Si., immobile di proprietà della ricorrente, sito a (omissis), frazione (omissis), via (omissis) e censito in catasto al foglio (omissis), particella (omissis); e la dichiarazione di nullità, previa sospensione a) della nota 15 dicembre 2022 prot. 9196 dello Sportello unico attività produttive - SUAP Cilento di nuova conclusione negativa della conferenza di servizi; b) del parere urbanistico contrario 9 dicembre 2022 prot. n. 24089 espresso dal Responsabile dell'area V - Sportello unico edilizia - SUE - Urbanistica e demanio del Comune di (omissis), acquisito al protocollo del SUAP il giorno 10 dicembre 2022 al n. 9065; c) del parere contrario 9 dicembre 2022 prot. n. 29091 P della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le Provincie di Salerno ed Avellino, acquisito al protocollo del SUAP il giorno 10 dicembre 2022 al n. 9063; e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: - la ricorrente è proprietaria dell'H. Vi. Si., un albergo che si trova a (omissis) di (omissis) ed ha come indirizzo postale il numero (omissis) della via (omissis); - per descrivere più precisamente lo stato dei luoghi, che deve ritenersi fatto localmente notorio, occorre aggiungere che il fabbricato dell'hotel ha pianta rettangolare e due piani fuori terra e sorge sul lungomare di (omissis), che nel punto di interesse prende il nome di lungomare (omissis) quanto alla strada aperta alle automobili e lungomare (omissis) quanto al percorso pedonale. Il fabbricato si trova nel punto in cui il lungomare (omissis) fa una curva verso l'interno, in corrispondenza appunto con lo spigolo dell'edificio, e riprende poi l'andamento parallelo al mare, ma a maggior distanza da esso, diventando appunto la via (omissis), che è separata dal mare stesso da un altro edificio, estraneo ai fatti di causa; - l'immobile è classificato dal vigente strumento urbanistico generale come ricadente in "zona A/2 -Preesistenze storiche - tessuto storico-ambientale" e dal Piano del Parco nazionale del Cilento come "zona D- Urbana", categoria "B- Edifici con particolari caratteristiche tipologiche tradizionali"; - la zona è altresì disciplinata da un piano di recupero, che prevede quali interventi siano ammissibili sull'esistente (ricorso, p. 2 § 1, si tratta di fatti incontestati); - la zona è infine sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del D.M. 4 luglio 1966 (doc. 7 ricorrente, parere della Soprintendenza, il fatto specifico è incontestato), e ciò comporta che per gli interventi edilizi come quello per cui è processo sia dovuta l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42; - l'intervento edilizio per cui appunto è processo interessa la facciata del fabbricato che guarda la via (omissis), ad angolo retto rispetto al lungomare e alla facciata dell'albergo che ha la vista sullo stesso; - la società ricorrente ha progettato un intervento sulla facciata in questione, descritto negli atti impugnati come "trasformazione di sei delle sette finestre attualmente presenti all'ultimo livello del "prospetto est" (rivolto verso via (omissis)) con altrettante aperture a tutta altezza (cioè con delle porte/finestre arcate nella parte superiore) con relativi balconi a filo muratura composti da tre elementi aggettanti in ghisa lavorata, ancorati al cordolo della muratura, sui quali poggerà la pietra di calpestio in unico elemento a mensola, supportata da altri elementi in ferro e dotati di ringhiera". Per la precisione, si fa riferimento al parere contrario della Soprintendenza 9 dicembre 2022 prot. n. 29091 P (doc. 7 ricorrente), ma la descrizione è concorde con quella, meno dettagliata, che ne fa il Responsabile dell'ufficio comunale nell'ulteriore parere contrario 9 dicembre 2022 prot. n. 24089 (doc. 6 ricorrente); - lo stato di fatto e lo stato di progetto risultano comunque dalle fotografie e dal rendering prodotti in I grado dall'amministrazione come doc. ti 15 e 16; - per questo intervento, la società ha presentato una prima segnalazione certificata di inizio attività - SCIA, sulla quale la competente conferenza di servizi presso il SUAP Cilento ha espresso un diniego; - la società ha impugnato questo diniego con il ricorso di I grado T.a.r. Campania Salerno 1148/2021 R.G.; - il ricorso è stato respinto con la sentenza di quel Giudice sez. II 5 ottobre 2021 n. 2089 di cui in epigrafe, che la società ha impugnato con l'appello 3223/2022 R.G. di questo Consiglio; - la sentenza della cui ottemperanza si tratta, sentenza di questa Sezione 4 agosto 2022 n. 6920, ha accolto il ricorso e, come da dispositivo, ha annullato gli atti impugnati in I grado; - la sentenza stessa, in motivazione, scrive testualmente: "una delle ragioni del parere negativo è stata la carenza della documentazione tecnico-amministrativa che doveva essere integrata prima di determinarsi per un rigetto anche perché il vincolo esistente sulla zona, per quanto di interesse dell'edificio da esaminare, è meramente paesaggistico e quindi le relazioni tecniche di cui agli artt. 146, comma 6, e 169, comma 2, d.lgs. 42/2004 erano essenziali. Per quanto attiene al parere vero e proprio è evidente che i precedenti interventi sulla parte esterna dell'edificio che furono autorizzati, sebbene dopo un annullamento del primo parere da parte del T.a.r., sono molto più impattanti di quello proposto in questa sede. Anche la parete su cui sono stati realizzati i balconi aggettanti è rivolta verso il mare e l'abbassamento delle finestre per realizzare dei balconi non aggettanti, se è vero che ovviamente aumenta gli spazi vuoti rispetto ai pieni, non determina uno stravolgimento della facciata. Orbene, se il parere non può essere annullato per nullità derivante da violazione o elusione del giudicato perché quello a suo tempo autorizzato era un intervento diverso effettuato molti anni fa, si tratta di un termine di paragone rilevante per valutare l'esistenza o meno di una disparità di trattamento. Il Collegio ritiene che questa disparità di trattamento esista e giustifichi l'annullamento degli atti impugnati con riedizione dei poteri amministrativi che dovrà essere tempestivo e non tardivo come ha ben evidenziato la società appellante nel procedimento concluso con l'adozione degli atti impugnati. La Soprintendenza dovrà essere interessata quando saranno state predisposte le relazioni richieste in occasione del parere annullato che questa volta la Soprintendenza dovrà effettuare anche mediante un paragone approfondito con gli interventi autorizzati in passato." - a fronte di ciò, il SUAP Cilento ha nuovamente convocato la conferenza di servizi ed ha emesso un nuovo diniego, sulla base di due pareri contrari, il primo dell'ufficio urbanistica ed edilizia del Comune di (omissis), ed il secondo della Soprintendenza (doc. 8 ricorrente, provvedimento SUAP); - il citato parere contrario comunale premette che l'edificio, sulla base del piano di recupero per cui si è detto, è classificato come edificio di categoria B, sul quale per quanto qui interessa, "in relazione all'adeguamento funzionale degli spazi abitativi è consentito spostare ed integrare le aperture esistenti esclusivamente su facciate interne o - comunque - sulle facciate prive di interesse architettonico o di valore di cortina, purché vengano rispettate le seguenti norme: 1) è consentita l'apertura di finestre, mentre è assolutamente vietata l'apertura di balconi" - lo stesso parere dà atto che "la facciata dell'edificio oggetto di intervento è prospiciente via (omissis), percorso individuato nella Tav. 12 del Piano di Recupero quale percorso principale fra quinte stradali di valore ambientale" che collega via (omissis) con il Lungomare (omissis) e che l'edificio stesso non è fra quelli, specificamente indicati dal piano, per i quali è ammessa la ristrutturazione edilizia; - per queste ragioni, ritiene quindi l'intervento non consentito, in quanto localizzato su un prospetto da ritenersi tutelato dalle norme citate (doc. 6 ricorrente); - per parte sua, la Soprintendenza, nel parere contrario pure sopra citato, motiva come segue; - la Soprintendenza premette che l'intervento "propone un'ulteriore modifica all'aspetto formale del fabbricato interessato nel corso degli anni da varie trasformazioni ed ampliamenti che non ne hanno, sino ad ora, cancellato la percezione e la lettura delle caratteristiche (costruttive, tipologiche e formali) proprie del medesimo" e riguarda un edificio "di antica costruzione (già presente nel Catasto di Impianto di (omissis)) che rappresenta una testimonianza epocale di un modus costruendi dell'architettura nobiliare tradizionale e che risulta di particolar interesse anche paesaggistico sia per i caratteri formali e costruttivi che lo denotano, sia perché parte della quinta e, in generale, dell'edificato storico prospiciente l'antico approdo delle Ga. ed il lungomare dì (omissis) ì quali, pur avendo subito negli anni alcune alterazioni, ancora conservano un equilibrio ed un'armonia, consolidatasi nei tempo, e continuano a qualificare, sotto il profilo storico-ambientale e testimoniale, il relativo contesto sottoposto a tutela...." - la Soprintendenza aggiunge che "il fabbricato de quo, seppure non sottoposto direttamente al vincolo di cui all'art. 10 del D. Lvo n. 42/2004 s.m.i. e negli anni trasformato in struttura ricettiva, preserva alcune specificità e soluzioni ovvero degli elementi architettonici ricorrenti nell'abitato storico quali, ad esempio, la struttura in muratura, la compattezza del volume e la prevalenza dei pieni sui vuoti nei fronti. Al contempo, il fabbricato conserva la sua connotazione dí palazzo signorile isolato pur essendo parte integrante del fronte edificato che funge da sfondo scenico nelle principali, quanto maggiormente suggestive, viste dell'abitato storico di (omissis) (ad esempio dal litorale, da mare e dai percorsi storici) ed incide particolarmente nelle vedute di insieme godibili nella zona..." - la Soprintendenza aggiunte ancora che "il "prospetto est", oggetto dell'intervento in esame, non è di minor interesse rispetto alla facciata rivolta verso il mare, poiché contiene l'iniziate ingresso principale agli ambienti residenziali (qualificato dal portale a tutto sesto) provenendo dall'abitato ed è percepibile dall'antico approdo delle Gatte che costituisce uno degli scorci e dei siti più suggestivi di (omissis). Si tratta, perciò, di un ambito della zona storica che, pur avendo subito negli anni alcune alterazioni, preserva un equilibrio ed un'armonia, consolidatasi nel tempo, e che continua a qualificare, sotto il profilo storico-ambientale e testimoniale, il relativo contesto sottoposto a tutela. il prospetto in questione è più circoscritto rispetto alle altre facciate della costruzione presentando due soli livelli emergenti dagli spazi pubblici, aperture signorili al c.d. "piano terra" posizionate ancora in modo confacente essendo salvaguardate da un rapporto equilibrato degli interpiani e/o degli interspazi tra le aperture esterne attualmente esistenti nel medesimo fronte unitamente alle cornici modanate ed alla tipologia degli infissi. Tali rapporti tra le bucature è essenziale per il decoro e la sobrietà dell'articolazione compositiva delle facciate; la soluzione progettuale apporta una significativa compromissione all'aspetto formale della costruzione poiché altera sia la compattezza dell'edificio rendendo prevalenti le bucature sui pieni, sia l'equilibrio tipico nel rapporto tra le bucature e la muratura ovvero quello tra gli interspazi vuoti/pieni in verticale svuotando e comprimendo lo spazio chiuso del prospetto che allo stato ancora circonda correttamente le aperture principali ovvero conferendo un ruolo dì preminenza inappropriato alle porte/finestre del sottotetto; l'intervento previsto contribuisce, perciò, a modificare i connotati originari e, al contempo, l'armonia compositiva originaria delle facciate nonché inserisce, nel suo insieme, una nuova interazione negativa nel contesto della località protetta che sono la ragione stessa per cui la medesima zona è sottoposta a vincolo con il D.M. 4/7/1966, ai sensi della normativa dl tutela paesaggistica attualmente vigente" - la Soprintendenza rileva infine che "la documentazione amministrativa è carente rispetto al d.lgs. n. 42/2004 s.m.i. mancando delle Relazioni tecniche istruttorie dell'U.T.C. di (omissis)...pertinenti sia alla materia paesaggistica, sia agli aspetti urbanistico-edilizi e del parere della Commissione Locale per il Paesaggio. La documentazione trasmessa, inoltre, non comprova la liceità complessiva della costruzione per come attualmente si presenta, seppure tale aspetto sia essenziale" (doc. 7 ricorrente); - la società ha impugnato questo provvedimento, ed i pareri ad esso presupposti, con ricorso per ottemperanza e dichiarazione di nullità degli stessi, sulla base di tre motivi; - con il primo di essi, ritiene che il parere della Soprintendenza sia elusivo del giudicato, in quanto sarebbe una mera riedizione del parere originario annullato e non conterrebbe quanto prescritto dal giudicato stesso. Mancherebbe in particolare della "preventiva acquisizione e valutazione delle relazioni tecniche di cui agli artt. 146, comma 6, e 169, comma 2 d.lgs. 42/2004" e del "paragone approfondito con gli interventi autorizzati in passato sul medesimo immobile" (ricorso, p. 7); - con il secondo motivo, deduce ulteriore violazione del giudicato per il fatto dell'acquisizione di un nuovo parere del Comune, che non sarebbe stato prescritto, dato che l'annullamento riguardava solo il parere della Soprintendenza; - con il terzo motivo, deduce comunque violazione del giudicato da parte del parere comunale, che sarebbe contraddittorio rispetto al precedente parere favorevole, ritenuto ancora valido ed efficace, sarebbe errato nel merito perché l'intervento non riguarderebbe balconi aggettanti, ma una semplice "ringhierina" (ricorso p. 9 quarto rigo dal basso) e comunque, essendo in ipotesi un provvedimento di secondo grado che annullerebbe il precedente parere, avrebbe richiesto una comunicazione di avvio del procedimento; - il Ministero della cultura ha resistito, con atto 30 gennaio 2023, e chiesto che il ricorso sia respinto; - alla camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione, previo avviso alle parti della possibilità di definirla con sentenza in forma semplificata; - il ricorso è fondato e va accolto, ai sensi e nei limiti di quanto appresso; - il primo motivo è fondato, perché come evidente la Soprintendenza non si è conformata a quanto prescritto dalla sentenza della cui ottemperanza si tratta. Il testo di quest'ultima infatti prescrive che la Soprintendenza stessa rinnovi il proprio parere avendo acquisito dal SUAP, qui l'organo competente a rilasciare l'autorizzazione, la relazione tecnica di cui all'art. 146 comma 7 del d.lgs. 42/2004 (il riferimento al comma 6 e al comma 2 del successivo art. 169, che trattano d'altro, è un evidente refuso), e nel rinnovarlo compia "anche... un paragone approfondito con gli interventi autorizzati in passato", il che nella specie non è avvenuto; - anche il secondo motivo è fondato, perché nel caso di specie l'annullamento, riferito propriamente al provvedimento finale, ovvero alla deliberazione della conferenza di servizi, si è riferito solo ed esclusivamente al parere della Soprintendenza in esso recepito, e non ad altri pareri acquisiti. Pertanto, se l'amministrazione avesse voluto rinnovare per intero l'istruttoria, si sarebbe dovuta pronunciare in tal senso in modo esplicito; - l'accoglimento del secondo motivo assorbe il terzo, che riguarda il contenuto del parere comunale, e non il mero fatto della sua acquisizione; - in conclusione, gli atti impugnati vanno dichiarati nulli; il SUAP dovrà quindi pronunciarsi nuovamente dopo avere trasmesso la relazione tecnica suddetta alla Soprintendenza, e dopo che questa avrà espresso il proprio parere con le modalità illustrate. Salvo che il SUAP, con un autonomo atto di amministrazione attiva, non ritenga di rinnovare per intero l'istruttoria, nel rispetto dei presupposti di legge, dovranno invece essere tenuti fermi gli apporti istruttori già acquisiti; - le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe (ricorso n. 456/2023 R.G.), lo accoglie e per l'effetto dichiara la nullità della nota 15 dicembre 2022 prot. 9196 del SUAP Cilento, del parere urbanistico 9 dicembre 2022 prot. n. 24089 del Comune di (omissis) e del parere 9 dicembre 2022 prot. n. 29091 P della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le Provincie di Salerno ed Avellino, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione. Condanna in solido le parti resistenti a rifondere alla società ricorrente le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 3.000 (tremila/00), oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, se dovuti. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA III SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Giacomo Rocchetti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 3556/2015, promossa da: (...) (C.F: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. BR.BI. del foro di Como; ATTORE contro SOCIETA' (...) S.(...) (C.F/P.I: (...)), in persona del legale rappresentante p.t. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. SE.FI. del foro di Milano; CONVENUTO e con la chiamata di (...) (C.F: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. AN.DE. del foro di Milano; (...) S.P.A. (C.F/P.I: (...)), in persona procuratore p.t. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. MA.RA. del foro di Pavia; TERZI CHIAMATI Oggetto: proprietà - distanze legali tra costruzioni. CONCISA ESPOSIZIONE DEL FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 22.05.2015, (...), nella premessa di essere proprietario del fondo sito in P. P. M. (P.) alla via M. n. 9 e del fabbricato sovrastante, ha evocato in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale, la (...) S.r.l. in qualità di proprietaria del fondo confinante, esponendo: - che in forza di permesso di costruire n. 7/2010, la società convenuta iniziava i lavori di costruzione di un nuovo edificio residenziale sulla via M. n. 7 di P. P. M. (P.), posto a confine con la sua proprietà; - che a seguito dei rilievi svolti dall'ufficio tecnico del Comune interessato, dietro sua specifica richiesta, risultava che l'immobile era stato costruito a distanza inferiore a quella legale; - che, in particolare, l'edificio risultava essere realizzato ad una distanza variabile da un minimo di 7,92 mt. ad un massimo di 8,23 mt in luogo della distanza minima stabilita in 10 metri dall'art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 per gli edifici portanti pareti finestrate (perizia geom. (...), doc. 4); - che a riscontro dell'illecito edilizio, il Comune ordinava la sospensione dei lavori (ord. n. 31 del 25.11.2011, doc. 5) e, annullando parzialmente il permesso di costruire, irrogava alla società una sanzione amministrativa pecuniaria (Det. n. 1 del 28 maggio 2013, doc. 3); - che il mancato rispetto della distanza determinava gravi danni all'attore, di natura patrimoniale (per la limitazione del godimento del fondo e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, da ritenersi "in re ipsa", senza necessità di specifica attività probatoria) e non patrimoniale (dal senso di oppressione avvertito dall'interno della abitazione per la riduzione di luce e aria, quale componente di un danno alla salute); - che il procedimento di mediazione instaurato, dopo la richiesta stragiudiziale di rimessione in pristino e risarcimento rivolta alla società convenuta, dava esito negativo. Tanto premesso, l'attore ha agito, in sede civile, per sentire accertare la responsabilità della convenuta nella costruzione dell'edificio a distanza inferiore rispetto a quella legale, con condanna alla demolizione delle opere e al risarcimento dei danni, patiti e patendi, per un importo non inferiore ad Euro 48.000,00, salvo quello diverso e maggiore da accertare in corso di causa. Con comparsa di risposta del 4.09.2015, si è tempestivamente costituita in giudizio la Società (...) S.r.l., rilevando ed eccependo: - che le opere venivano realizzate sotto la direzione dei lavori e nel rispetto delle tavole di progetto dell'ing. (...), verso il quale si era trovata costretta ad agire in separato giudizio per il risarcimento di danni, subiti e subendi in conseguenza dell'errore del professionista (giudizio già pendente dinanzi a questo Tribunale, in primo grado, in fase di precisazione delle conclusioni; doc. 4); - che l'attore aveva già agito dinanzi al TAR nei confronti del Comune di Pieve Porto Morone (PV), notificando il ricorso anche alla società convenuta quale contro interessata, risultando pendente in primo grado l'annullamento del provvedimento che irrogava la sanzione amministrativa pecuniaria per l'illecito edilizio accertato (doc. 6); - che la violazione delle distanze stabilite dallo strumento urbanistico locale e dalla normativa, assoluta e inderogabile, prescritta dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 era da addebitarsi esclusivamente all'inadempimento del progettista, il quale nelle tavole di progetto e nella relazione tecnica allegate per il rilascio del permesso di costruire, ometteva di indicare l'esistenza del fabbricato attoreo a confine dell'area destinata alla costruzione del nuovo edificio residenziale; - che la società aveva pagato la sanzione pecuniaria irrogata dal Comune, quantificata in Euro 36.450,00, sanando l'abuso edilizio; - che, in ogni caso, la situazione determinata dal mancato rispetto della distanza non aveva determinato alcun concreto vantaggio alla società, mentre aveva migliorato le condizioni del fabbricato attoreo, dal momento che la costruzione demolita e sostituita dal nuovo fabbricato era a distanza ancora inferiore rispetto al confine (2 mt). Sulla base di tali premesse e deduzioni, la convenuta ha chiesto l'autorizzazione alla chiamata in causa del terzo responsabile per essere manlevata dalle conseguenze dell'eventuale accoglimento delle domande attoree e rappresentato l'esistenza di ragioni di connessione con la causa civile e profili di pregiudizialità con quella amministrativa che, stante il rischio di un potenziale conflitto tra giudicati, avrebbero dovuto portare alla sospensione di questo procedimento. In sede di prima udienza (ud. 30.09.2015), il giudice inizialmente designato rilevava lo smarrimento del fascicolo d'ufficio contenente i fascicoli delle parti costituite ed assegnava loro un termine per la ricostruzione dei rispettivi atti. Quindi, ricostruito il fascicolo d'ufficio (ud. 6.11.2015), è stata autorizzata la chiamata in causa dell'ing. (...), con differimento dell'udienza al 20.04.2016 nel rispetto dei termini minimi di comparizione. Con comparsa di risposta del 30.03.2016 si è costituito il terzo chiamato, contestando gli addebiti e le censure al suo operato mosse dalla società chiamante ed eccependo, in particolare, come fosse da ravvisare nella fattispecie una concorrente responsabilità del Comune di Pieve Porto Morone, il quale ometteva le verifiche prodromiche al rilascio del permesso di costruire, e della stessa costruttrice, la quale ometteva di rilevare e segnalare, in corso di esecuzione dei lavori, le eventuali carenze progettuali. Sul piano risarcitorio, pur rilevando la contemporanea pendenza dell'altro giudizio, tra le stesse parti, avente il medesimo oggetto, riproponeva le difese in ordine al comportamento tenuto dalla società nella determinazione del danno (vale a dire, l'avere prestato acquiescenza alla sanzione amministrativa irrogata, senza muovere contestazioni o impugnazioni giudiziali), mentre sulla domanda attorea si limitava a censurarne l'intento speculativo rispetto alle reali condizioni e alla destinazione del fabbricato. Ha altresì avanzato istanza di chiamata in causa dell'impresa di assicurazione della responsabilità civile professionale, (...) S.p.a., al fine di essere manlevato e tenuto indenne dalle conseguenze di un'eventuale soccombenza. Instaurato il contraddittorio con la terza chiamata, si è infine costituita (...) S.p.a. eccependo l'inoperatività della garanzia ed insistendo per il rigetto delle domande e, in subordine, per la condanna limitatamente alla quota di responsabilità dell'assicurato con applicazione dello scoperto nella misura prevista in contratto. All'udienza del 18.01.2017 sono stati assegnati gli ulteriori termini per l'appendice scritta. All'esito, con ordinanza del 16.05.2017, il giudice designato - ravvisando profili di opportunità dettati dal rischio di un conflitto di giudicati - sospendeva il giudizio in attesa della definizione della causa civile, pendente in grado di appello, avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pavia nella causa promossa da (...) S.r.l. nei confronti dell'ing. (...) e della sua impresa di assicurazione (R.G. n. 5929/2016), nonché della definizione del processo amministrativo pendente dinanzi al TAR sede di Milano (R.G. n. 110/2014) sull'annullamento della sanzione pecuniaria irrogata dal Comune di Pieve Porto Morone per l'accertata violazione delle distanze tra costruzioni. Il presente giudizio ha subito, quindi, una sospensione dal 16.05.2017 al 21.05.2021, data di deposito del ricorso in riassunzione ad opera di parte attrice, in seguito alla definizione dei giudizi certificati dal passaggio in giudicato di entrambe le decisioni (l'ultima del TAR Lombardia-Milano, definita con sent. 360/2021, pubblicata l'8.02.2021 e passata in giudicato con attestazione del 5.05.2021). La causa è stata riassegnata sul ruolo di altro magistrato della Sezione Terza civile, in sostituzione del precedente trasferito. Reintegrato il contraddittorio a seguito della tempestiva riassunzione, il giudizio è proseguito in fase istruttoria con l'acquisizione dei documenti ritualmente prodotti e una consulenza tecnica d'ufficio con l'ausiliaria ing. (...) (ord. istr. 14.10.2021). Nelle more, il fascicolo è pervenuto sul ruolo dello scrivente quale nuovo giudice titolare, in sostituzione del precedente in congedo di maternità (v. prov. pres. del 9.05.2022). Dinanzi allo scrivente sono state svolte le attività di esame della CTU (ud. 16.06.2022) e dei successivi chiarimenti scritti alla relazione definitiva (dep. rel. il 27.07.2022). In vista dell'udienza del 22.09.2022, celebrata in modalità cartolare ai sensi dell'art. 221, co. 4 L. n. 77 del 2020 e s.m.i., le parti hanno precisato le seguenti conclusioni: - per parte attrice: "Nel merito: accertata la responsabilità della (...) s.r.l. nella costruzione dell'edificio di cui in narrativa in spregio al dettato dell'art. 9 D.M. n. 1444 del 1968, condannare la società convenuta alla demolizione dell'edificio realizzato in violazione delle distanze al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi per un importo non inferiore ad Euro 48.000,00 così come indicato in narrativa, salvo quel diverso e maggiore importo da accertare in corso di causa. Con vittoria di spese e compensi di causa. In via istruttoria: si ribadisce la richiesta di integrazione della CTU in termini di pregiudizio economico legato alla potenzialità edilizia della proprietà (...). In subordine, qualora il Giudice ritenga di avere tutti gli elementi per giudicare, si chiede allo stesso di pronunciarsi in conformità ai criteri illustrati nelle note difensive depositate per l'udienza cartolare del 22.09.2022, nella propria veste di peritus peritorum."; - per parte convenuta: "IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO - Respingere tutte le domande formulate da parte attrice in quanto palesemente infondate in fatto ed in diritto per tutte le ragioni esposte in narrativa. IN VIA SUBORDINATA Nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande o di parte delle stesse svolte dall'attrice, condannare (...) (C.F.: (...) e P.IVA: (...)) a manlevare e tenere indenne la convenuta (...) S.p.a. dalle domande accolte e da ogni pregiudizio economico. IN (...) - Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, spese generali, I.V.A. e C.P.A. inclusi e liquidazione delle stesse secondo i parametri tabellari di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della complessità della causa e dell'attività effettivamente svolta dal difensore. IN VIA ISTRUTTORIA - Ammettere prova per testi sui seguenti capitoli di prova: Capitolo 1: "Vero che (...) S.r.l. nel 2009 intendeva dar corso ad opere edilizie di carattere residenziale situate presso il Comune di Pieve Porto Morone (PV) e all'uopo conferiva all'Ing. (...) l'incarico di progettista, coordinatore della sicurezza e direttore dei lavori". Capitolo 2: "Vero che a (...) era stato imposto da (...) S.r.l. di realizzare un elaborato conforme agli strumenti urbanistici". Capitolo 3: "Vero che in data 22/02/2011 il Comune di Pieve Porto Morone (PV), in persona del responsabile del servizio tecnico sig. (...), rilasciava alla società (...) S.r.l. il permesso di costruire n. 7/10 avente ad oggetto la "... sostituzione di edificio esistente con nuovo edificio residenziale composto da sei unità abitative e da sei locali adibiti a parcheggio ...", il tutto ubicato in Via G.M. n. 7/B come da documento n. 7 che mi si rammostra". Capitolo 4: "Vero che il sig. (...) è proprietario di un magazzino adibito a deposito di materiale vario e dotato di finestre verso il lotto di (...) S.r.l. e che tale magazzino è collocato a circa due metri dal margine della proprietà e, quindi, dal muro perimetrale dell'edificio preesistente come da documento n. 2 che mi si rammostra". Capitolo 5: "Vero che le opere realizzate d. S.r.l. rispecchiavano le tavole di progetto redatte dall'Ing. (...)". Capitolo 6: "Vero che l'Arch. (...) rilevava che nelle tavole allegate alla richiesta del permesso di costruire succitato veniva fornita una rappresentazione imprecisa dello stato di fatto dell'area di progetto e dei sedimi limitrofi, essendo stata omessa la presenza, nelle piante nei prospetti e nelle sezioni, dell'edificio del sig. (...) prospiciente a quello in costruzione, come da documenti numeri 8 e 9 che mi si rammostrano". Capitolo 7: "Vero che il 28 maggio 2013 il Responsabile del Servizio Tecnico dell'Unione dei Comuni di Pieve Porto Morone, Badia Pavese e Monticelli Pavese determinava di irrogare in capo a (...) S.r.l. la sanzione pecuniaria di Euro 36.450,00 pari al valore venale della porzione di edificio abusivamente eseguita e dava tto che la corresponsione di tale sanzione produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria, come da documento n. 11 che mi si rammostra". Si indicano a testi, su tutti i capitoli di prova: (1) Arch. (...), domiciliato in P., Via V. E. n. 23/C; (2) Arch. (...), domiciliato presso il Comune di Pieve Porto Morone (PV), Via (...); (3) Arch. (...), domiciliato presso il Comune di Pieve Porto Morone (PV), Via (...). - Nella denegata ipotesi in cui il Giudice dovesse ritenere di ammettere, tutte o in parte, le eventuali prove dedotte dalle Parti, si chiede sin d'ora di essere ammessi a prova contraria sulle stesse con i testi che ci si riserva di indicare nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 3."; - per il terzo chiamato: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Pavia, contrariis reiectis - nel merito, in via principale, previe le declaratorie del caso, respingere le domande formulate dalla convenuta (...) S.r.l. nei confronti dell'ing. (...); - in subordine, nella non creduta ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande formulate dalla convenuta (...) S.r.l. nei confronti dell'ing. (...), condannare (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, a tenere indenne e manlevato l'ing. (...) nei limiti ed alle condizioni di polizza; Con espresso richiamo a tutto quanto dedotto e prodotto e alle istanze istruttorie in atti. - spese di lite rifuse"; - per la terza chiamata: "Piaccia al Tribunale Ill.mo, in persona del Giudice Unico designato, contrariis reiectis, così giudicare: - respingere ogni domanda proposta nei confronti del terzo chiamato ing. (...) in quanto infondata in fatto e in diritto; - respingere, in ogni caso, ogni domanda proposta dal terzo chiamato ing. (...) nei confronti della (...) S.p.a. poiché infondata in fatto e in diritto per le ragioni indicate nell'atto di costituzione della medesima compagnia chiamata (paragrafo 1 della comparsa di costituzione e risposta); - in via subordinata e nella denegata ipotesi di ritenuta responsabilità/corresponsabilità del terzo chiamato ing. (...) e di sussistenza della garanzia assicurativa, determinare il grado di colpa del medesimo terzo chiamato e liquidare l'eventuale indennizzo dovutogli per la sola quota di danno a lui direttamente e personalmente imputabile, tenendo altresì conto della percentuale di danno non indennizzabile (c.d. "scoperto") ai sensi di polizza; - in ogni caso con il favore delle spese, competenze ed onorari di giudizio.". Quindi, la causa è stata trattenuta in decisione, con termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. RAGIONI GIURIDICHE DELLA DECISIONE 1. In via preliminare, si rileva che la difesa dell'ing. (...) ha reiteratamente prospettato una grave lesione del contraddittorio, in danno delle ragioni della parte, in seguito alla attestazione, da parte della Cancelleria, dello smarrimento del fascicolo cartaceo depositato dal precedente difensore in data 30.03.2016, non rinvenuto nel fascicolo d'ufficio. Essa segue all'iniziale segnalazione da parte del CTU (ing. (...) Licursi), autorizzata al ritiro dei fascicoli di parte, del mancato rinvenimento del "faldone separato" contenente i documenti allegati al suo fascicolo, a cui il giudice ha ovviato disponendo: da un lato, la prosecuzione dell'indagine peritale con i documenti già ritualmente prodotti dalle altre parti e con quelli eventualmente reperibili "aliunde", ove ritenuti dal CTU necessari per rispondere ai quesiti affidati; dall'altro lato, onerando la parte di avviare le ricerche del proprio fascicolo (ord. 18.01.2022). Agli atti risulta che il difensore della parte interessata abbia fatto richiesta alla Cancelleria di ricercare il fascicolo e, in caso di mancato rinvenimento, di attestarne lo smarrimento (v. ist. 8.02.2022), L'eccezione come sopra svolta richiede una breve presa di posizione da parte del Tribunale, il quale ne ravvisa la genericità. Non può ritenersi possibile predicare un "vulnus" al diritto di difesa senza specificare quali documenti ritualmente prodotti e non più disponibili al fascicolo d'ufficio (perché involontariamente smarriti o dispersi), siano da ritenere indispensabili per supportare adeguatamente le argomentazioni difensive svolte in relazione alla posizione assunta dal terzo chiamato nel presente giudizio. Dall'elenco dei documenti allegati alla comparsa di costituzione e risposta del 30.03.2016 dal precedente difensore (Avv. F.), si evince come quasi tutte le prove documentali richiamate in narrativa riguardassero la pratica edilizia curata dall'ing. (...) (es. variante DIA, prov. Comune di Pieve Porto Morone, presentazione pratiche edilizie, comunicazione della Polizia locale, richiesta alla Provincia, tavole di progetto, richiesta di accesso agli atti, risposte dell'ente comunale, rilascio permesso di costruire, ecc.), da ritenere - con ogni probabilità - disponibile presso gli uffici competenti del Comune depositario, a cui il CTU è stato ancheappositamente autorizzato ad accedere per estrarre copia di quella ritenuta rilevante per rispondere ai quesiti affidati. Non risultano specifiche osservazioni o eccezioni rivolte all'attività di ricerca del CTU (siccome incompleta o non esaustiva), né istanze di accesso agli atti della P.A. da parte del subentrato difensore (o del CTP) per l'eventuale recupero di copia dei documenti dettagliati in elenco nella comparsa di costituzione e risposta, attraverso cui il nuovo difensore avrebbe potuto autonomamente tentare la ricostruzione del fascicolo di parte (v. a proposito Cass. n. 3055/2013; Cass. n. 11352/2010). Tra gli altri, risultano in elenco anche gli atti processuali relativi al giudizio incardinato presso questo Tribunale (R.G. n. 2655/2012) tra (...) S.r.l. e l'ing. (...), ai quali la parte avrebbe potuto chiedere di accedere per le verifiche del caso. Ad ogni modo, la doglianza avanzata dalla difesa del terzo chiamato è altresì contrastante con la richiesta - immediatamente dopo (v. nota di trattazione scritta dell'8.06.2022) - di "estromissione" dal giudizio, per essere intervenuto il giudicato sulle medesime questioni oggetto di domanda tra le stesse parti e per avere già estinto il debito risarcitorio riconosciuto in favore di (...) S.r.l.. Sui rapporti tra i due giudizi e sugli effetti del giudicato se ne tratterà nel prosieguo della decisione. Basti ora evidenziare che la (irrituale) richiesta di estromissione del terzo chiamato implica una valutazione di disinteresse a coltivare, nel presente giudizio, le stesse difese sul merito già affrontate e decise in via definitiva dalla Corte d'Appello di Milano n. 829 del 16.02.2018, il che esclude che la parte abbia dato un peso effettivo allo smarrimento dei documenti allegati al fascicolo da parte della Cancelleria. Alla luce di quanto sopra, la decisione può e deve comunque essere assunta sulla base della documentazione disponibile e ritualmente prodotta agli atti del giudizio, tra cui le sentenze pronunciate nei paralleli processi, civile e amministrativo, con parziale identità di parti rispetto a quelle dell'odierno giudizio. 2. Prima di esaminare le domande avanzate dall'attore, occorre brevemente riepilogare la vicenda intercorsa tra le parti. Con permesso di costruire n.7/10 del 22.02.2011, l'Ufficio tecnico del Comune di Pieve Porto Morone (PV), sulla base delle previsioni di progetto dell'ing. (...) (v. all. 3 rel. CTU), autorizzava la (...) S.r.l. alla r.I.V.M. n. 7/B di un nuovo edificio residenziale composto da sei unità abitative e sei locali parcheggio in sostituzione di un edificio esistente ad uso deposito, il tutto secondo il PGT vigente nell'ambito della zona urbanistica "TR2", ossia quella prevalentemente residenziale a media densità edilizia. Come è dato apprendere dalla relazione tecnica asseverata dall'ing. (...) del 1.06.2010 (v. all. 3 rel. CTU), l'intervento edilizio prevedeva la demolizione dell'edificio produttivo e dei porticati di pertinenza preesistenti per lasciare il posto a nuove unità abitative ad uso residenziale. Il fondo destinatario dell'intervento edilizio confina con quello in proprietà dell'attore (sito in V.M. n. 9) sin dal 9.10.1972 (v. atto di compravendita sub. all. 5 rel. CTU). Come risulta dalla documentazione prodotta (doc. 2 e 3 fasc. att.), in data 5.07.2011 il sig. (...) chiedeva all'Ente preposto l'effettuazione di un sopralluogo per la verifica delle distanze tra l'erigendo fabbricato e il manufatto di sua proprietà, posto in prossimità dello stesso. In seguito all'espletamento del sopralluogo sarebbe emerso che la distanza tra i due edifici variava da un minimo di 7,91 m ad un massimo di 8,23 m, portando l'Amministrazione ad annullare parzialmente, in autotutela, il permesso di costruire e ad irrogare una sanzione pecuniaria alla società costruttrice, ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2011, motivando la scelta per "l'impossibilità di rimuovere in via amministrativa i vizi dell'atto annullato". Avverso il Provv. del 28 maggio 2013 che quantificava la sanzione irrogata in Euro 36.450,00, l'attore ricorreva dinanzi al T.A.R. Lombardia - Milano, promuovendo nel gennaio 2014 un giudizio (R.G. 110/2014) nei confronti del Comune di Pieve Porto Morone, coinvolgendo la (...) S.r.l. in qualità di contro-interessato, lamentando l'illegittimità del provvedimento sanzionatorio pecuniario (in luogo di quello ripristinatorio) per violazione di legge ed eccesso di potere. La società, che nel frattempo decideva di pagare la sanzione pecuniaria al fine di sanare l'abuso edilizio, promuoveva (nel 2012) azione civile nei confronti dell'ing. (...) per sentire accertare l'esclusiva responsabilità del professionista nella violazione della distanza minima prescritta per le costruzioni aventi pareti finestrate dagli strumenti urbanistici locali e dalle norme integrative di cui al D.M. n. 1444 del 1968 e ottenerne la condanna, anche generica, al risarcimento di tutti i danni subiti e di quelli che eventualmente avrebbe subito in conseguenza del suo inadempimento. Al giudizio incardinato, in primo grado, dinanzi a questo Tribunale (R.G. n. 2655/2012), veniva chiamata anche U. assicurazioni per garantire l'eventuale responsabilità professionale dell'assicurato. Il giudizio civile, per quanto di interesse, si è concluso in primo grado (sent. n. 819 del 30.05.2016, doc. 12 fasc. conv.) con l'accertamento dell'esclusiva responsabilità professionale dell'ing. (...) e la condanna al risarcimento del danno subito da (...) S.r.l. pari al costo della sanzione pecuniaria irrogata oltre agli interessi, mentre veniva rigettata la richiesta di una condanna generica ex art. 278 c.p.c. per insussistenza dei presupposti di operatività della norma richiamata (danni futuri meramente eventuali). Riconosciuta l'operatività della polizza a garanzia della "sanzione inflitta ai clienti dell'assicurato", (...) S.p.a. veniva condannata a tenere indenne l'assicurato dal risarcimento dovuto alla società, dedotta la percentuale di scoperto prevista dal contratto. Avverso la sentenza di primo grado, tutte le parti hanno interposto appello in via principale (ing. S.) e in via incidentale (G. S.r.l. e U.), trovando - in esito al gravame - rigetto da parte della Corte territoriale (Corte App., Milano, sent. n. 829 del 16.02.2018, doc. 1 ric. in riass.) con conferma integrale della decisione assunta dal giudice di prime cure. Parimenti, il processo amministrativo ha trovato conclusione con declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione per "carenza di interesse" del ricorrente (non avendo egli impugnato il Provv. n. 1 del 2012 che irrogava la sanzione pecuniaria, quale atto dotato di effettiva lesività) e rigetto della domanda di risarcimento del danno da illegittimo comportamento della P.A. per assenza dei suoi presupposti costitutivi (TAR Lombardia - Milano, sent. n. 360 del 8.02.2021, doc. 2 ric. in riass.). Entrambe le sentenze risultano passate in giudicato (l'ultima alla data del 5.05.2021), come da certificazione delle rispettive Cancellerie ex art. 124 disp. att. c.p.c. Nella pendenza di tali processi, si è detto, il giudice inizialmente designato decideva la sospensione del presente giudizio per ragioni di "opportunità", legate agli altri accertamenti incidentali, onde evitare il rischio di un potenziale conflitto di giudicati. Non ci si soffermerà sull'esistenza (o meno) dei presupposti della sospensione necessaria del processo (su cui funditus, da ultimo, Cass., Sez. Un., ord. 13.10.2022, n. 30148). Si rende piuttosto necessario evidenziare che l'analisi del rapporto di possibile interferenza fra le decisioni e, ormai, di efficacia dei giudicati nei giudizi con parziale identità di parti, non può prescindere dal merito, ossia dalla situazione sostanziale che rappresenta il fatto dedotto in giudizio. È evidente che il ricorso amministrativo avente ad oggetto (in tesi) l'impugnazione del provvedimento che irroga al trasgressore, in presenza di opere illegittime e di parziale annullamento del permesso di costruire, la sanzione pecuniaria sostitutiva dell'ordinaria sanzione demolitoria, ai sensi dell'art. 38 del T.U. Edilizia, non ostacola l'azione civile di danno e di riduzione in pristino promossa dal vicino nei confronti del proprietario confinante per il rispetto delle distanze legali tra costruzioni, dettate dal codice civile o dei regolamenti integrativi. 3. In tema di distanze tra costruzioni, si è andata consolidando in giurisprudenza (dopo l'intervento di Cass., Sez. Un., n. 14953/2011) l'opinione secondo cui il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies (cosiddetta "legge urbanistica"), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (cfr. Cass., sez. II, n. 624/2021). Ovvero l'indicazione secondo cui, in tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all'art. 873 c.c., con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata (ove oggetto di impugnazione) o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata, essendo consentita alle Amministrazioni locali solo la previsione di distanze superiori (conf. Cass. n. 741/2012; Cass. n. 24013/2014; Cass. n. 15458/2016; Cass. n. 29732/2017; Cass. n. 985/2020; per la giur. amministrativa, v. ex multis Cons. Stato n. 374/2017; Cons. Stato n. 354/2013; Cons. Stato n. 5759/2011; Cass. n. 5759/2011; Cons. Stato n. 3094/2007). Ciò che, nel caso di specie, pare non essere stato a fondo soppesato è che le controversie concernenti le distanze tra costruzioni (o di queste dai confini) sono assoggettate al regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione di norme in materia, è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (con giurisdizione del G.O.) e, dall'altro, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'Amministrazione, con cui tale attività sia stata autorizzata, consentita e permessa, da far valere di fronte al giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 1692/2015; conf. Cons. Stato, Sez. IV, n. 81/2016; conf. Cass. n. 25475/2010). Peraltro, nella giurisdizione amministrativa i rapporti privatistici tra i confinanti vengono presi in esame solo quando siano per sé evidenti, o quando gli interessati abbiano di loro iniziativa rappresentato agli uffici comunali eventuali contese in grado di incidere sulla legittimazione a chiedere il titolo edilizio (così T.A.R. Milano, sez. II, n. 1643/2020). È dunque infondato l'assunto - sostenuto dalla difesa di parte convenuta - secondo cui la tutela in forma specifica avanzata, in questa sede, dall'attore debba essere dichiarata "inammissibile" o "del tutto infondata" per le scelte operate dalla P.A. o per l'esito del ricorso amministrativo (v. comp. concl. (...) S.r.l., pag. 29-34). Sul punto, occorre preliminarmente osservare che la possibilità di invocare l'efficacia del giudicato amministrativo nella causa civile di danno presuppone (tra le altre) che entrambe abbiano ad oggetto situazioni giuridiche di diritto soggettivo, vale a dire che il giudice amministrativo sia chiamato a definire una questione di diritto soggettivo nell'ambito delle attribuzioni giurisdizionali esclusive dalla quale dipende la fattispecie costitutiva del diritto controverso in sede civile, non essendo altrimenti sufficiente una ragione di connessione tra un interesse legittimo e il diritto soggettivo (cfr. Cass., sez. VI-3, n. 20491/2018). Ebbene, dinanzi alla fattispecie sussumibile nel già citato art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001 - secondo cui in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, la quale produce, al momento del pagamento, i medesimi effetti del permesso in costruire in sanatoria - il privato interessato all'annullamento del provvedimento adottato dalla P.A. vanta chiaramente un interesse legittimo alla rimozione dell'atto, senza nemmeno che dall'eventuale accoglimento del ricorso possa discendere automaticamente la sanzione demolitoria. Nel caso di specie, il pagamento dell'oblazione da parte di (...) S.r.l. (fatto pacifico tra le parti, nonché documentato come da motivazioni della sentenza civile sopra cit.) ed il definitivo rigetto (in rito) del ricorso amministrativo contro il provvedimento che quantifica la sanzione pecuniaria (in luogo di quello che la irroga, l'unico dotato di lesività diretta), hanno determinato il consolidamento degli effetti del titolo abilitativo in sanatoria in capo alla società, i quali sono suscettibili di incidere esclusivamente sotto il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la Pubblica Amministrazione. Non è dubitabile, infatti, che l'intervento sanzionatorio di opere edilizie abusive e la demolizione di opere realizzate in violazione delle prescritte distanze legali tra costruzioni, affidati rispettivamente al Comune ed al Giudice civile, perseguano finalità diverse: l'una relativa al ripristino della situazione urbanistica lesa e l'altra alla repressione della condotta antigiuridica del costruttore attuata in violazione di norme poste a tutela dei rapporti di vicinato. Non a caso, il permesso di costruire è rilasciato "fatto salvi i diritti di terzi che debbono essere riservati e rispettati" (v. all. 3 rel. CTU), nel senso che la sua efficacia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati. Un tale distinguo - nel rispetto del riparto tra poteri di controllo e sanzionatori della P.A. e della giurisdizione tra G.O. e G.A. - si è stato sviluppato in modo costante nella giurisprudenza della Suprema Corte, nel senso che "il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), perché queste riguardano solo l'aspetto formale dell'attività costruttiva, con la conseguenza che, così come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia allorquando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l'aver eseguito la costruzione in conformità della ottenuta licenza o concessione non esclude di per sè la violazione di dette prescrizioni e quindi il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni" (cfr. Cass. n. 4833/2019; conf. ex multis Cass. n. 17487/2014; Cass. n. 20848/2013; Cass. n. 17286/2011; Cass. n. 4961/2010; Cass. n. 7563/2006; Cass. n. 4372/2002; Cass. n. 10173/1998; Cass. n. 10875/1997). "Il ruolo del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha infatti ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la pubblica amministrazione, ma non può impedire l'esercizio dell'azione civilistica intrapresa dal vicino per far rispettare la normativa in tema di distanze, che siano queste previste dal codice civile o dagli strumenti urbanistici. Per il differente ordine in cui le azioni si muovono, essa non è subordinata all'annullamento dell'atto concessorio." (cfr. Cass., sez. II, n. 21119/2015; conf. Cass., sez. II, n. 9869/2015; Cass., Sez. Un. n. 13673/2014; Cass., sez. II, n. 19650/2013; Cass. Sez. Un. n. 21578/2011). Da tali principi può dunque essere affermato che, da un lato, in presenza di una violazione delle norme sulle distanze, l'esistenza di un provvedimento di concessione edilizia (anche in sanatoria) non preclude al vicino il diritto di chiedere la riduzione in pristino, vertendosi in materia di diritti soggettivi (Cass., Sez. Un., n. 21578/2011; Cass. Sez. Un., n. 9555/2002; Cass., sez. II, n. 3737/1994); dall'altro, e correlativamente, che il carattere abusivo della costruzione non attribuisce al vicino, per ciò solo, il diritto di chiedere la riduzione in pristino, qualora le norme sulle distanze siano state rispettate (cfr. Cass. n. 9386/2019; conf. Cass., Sez. Un., n. 5143/1998). 4. Fermo quanto premesso, giova ricordare che l'azione volta al ripristino delle distanze legali tra costruzioni assume natura reale e risulta modellata sullo schema dell'actio negatoria servitutis (ex art. 949 c.c.), in quanto non si limita ad "accertare" la situazione antigiuridica al diritto dominicale dell'attore, ma mira a salvaguardare il diritto di proprietà dalla imposizione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l'esercizio attuale, quanto il suo eventuale acquisto per usucapione (cfr. Cass. n. 867/2000; Cass., Sez. Un., n. 13523/2006; Cass. n. 19289/2009; Cass., Sez. Un., n. 14953/2011; Cass. n. 871/2012; Cass. n. 10005/2015; Cass., Sez. Un., n. 10318/2016; Cass. n. 1395/2017; Cass. n. 14710/2019; Cass. n. 10069/2020; Cass. n. 15142/2021). Ne consegue che, sul piano della legittimazione dal lato passivo (cfr. Cass., Sez. Un., n. 2951/2016), il contraddittorio risulta correttamente instaurato nei riguardi dell'attuale proprietario della costruzione che si assume illegittima (che, nel caso di specie, si identifica anche quale "costruttore" e cioè l'autore dell'illecito), potendo essere solo costui il destinatario dell'ordine di demolizione che tale azione tende a conseguire (cfr. Cass., sez. II, n. 13072/1995). Secondo gli ordinari criteri di riparto dell'onere della prova, in tema di distanze legali, il proprietario che ne lamenti la violazione a causa della realizzazione di un'opera su un fondo limitrofo è tenuto a dare prova sia del fatto della costruzione che di quello della dedotta violazione (cfr. Cass., sez. II, n. 15041/2018; conf. Cass., sez. II, n. 18021/2022), mentre spetta a chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o estinto, provare i fatti sui quali si fonda la propria eccezione. Nel caso di specie, non si ravvisano effettive contestazioni da parte della convenuta sull'applicabilità dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968. La sua difesa si è infatti limitata, prima della riassunzione del processo sospeso, ad invocare la responsabilità del progettista per la violazione (riconosciuta come esistente) della distanza legale dei 10 mt. tra le pareti finestrate dell'immobile (preesistente) di parte attrice; dopo la riassunzione, la difesa si è spostata essenzialmente a contestare le conseguenze risarcitorie di siffatta violazione, sul presupposto della inammissibilità e/o infondatezza della tutela ripristinatoria. Ad ogni modo, la documentazione ritualmente prodotta dalle parti e quella legittimamente acquisita dal CTU nel corso degli accertamenti peritali non lasciano dubitare della sussistenza degli elementi costitutivi della domanda di rimessione in pristino. La dedotta violazione della distanza minima di 10 mt. tra pareti finestrate dei due fabbricati trova conferma non soltanto dagli atti amministrativi o dalla irrogazione della sanzione pecuniaria da parte del Comune di Pieve Porto Morone, alla quale è seguita l'oblazione da parte della società convenuta, ma è stata anche oggetto di una compiuta analisi nel parallelo giudizio civile (a cui è rimasto estraneo l'attore), all'esito del quale è stata definitivamente riconosciuta la responsabilità del progettista verso il proprietario dell'immobile in costruzione per gli errori e false rappresentazioni nel progetto circa l'esistenza, oltre il confine, del fabbricato di parte attrice. Si tratta - riguardo a queste ultime - di prove raccolte in un altro giudizio tra le altre parti (parziale identità), delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, che possono essere utilizzate quali "prove atipiche" dal giudice civile, in mancanza di divieti di legge, per formare il proprio convincimento, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione (cfr. Cass. n. 22954/2015; conf. Cass. n. 840/2015; Cass. n. 2409/2005; Cass. n. 20335/2004). La consulenza tecnica d'ufficio disposta nel presente giudizio ha avuto poi il pregio di evidenziare gli aspetti tecnici della vicenda, raccogliendo legittimamente - nel contraddittorio con i CT di parte - tutte le informazioni ritenute necessarie ai fini della decisione (conf. Cass. n. 1901/2010), restituendo anche veste grafica e topografica all'oggetto dell'accertamento. Corretta è la premessa metodologica (pag. 8 e pag. 11 rel. CTU) ed il criterio di calcolo cd. lineare adottato dal CTU per l'analisi delle distanze tra le costruzioni (v. Cass. n.9649/2016; Cass. n. 28147/2022, ma anche Cons. Stato n. 4465/2020). Ciò posto, si può con certezza affermare (rinviando, per completezza, alle pag. 8-11 rel. CTU) che: - gli immobili oggetto di causa insistono nel Comune di Pieve Porto Morone (PV), rispettivamente sui map. (...) (proprietà (...)) e map. (...) (proprietà (...) S.r.l.), confinano tra loro e si fronteggiano parzialmente. - sebbene appaiano divisi catastalmente dal canale d'irrigazione "Cavo Marocco", questo risulta "tombinato" al confine ed i due fondi sono effettivamente separati da un muro di recinzione che evidenzia il CTU essere un residuato dai lavori di costruzione dell'erigendo edificio residenziale, dopo la loro sospensione (v. rel. CTU, pag. 3 ss e comparto fotografico allegato, sub. all. 2, in part. foto n.4 e 12); - la porzione che fronteggia l'immobile di (...) si estende per c.a. 103 m2 lordi, con sagoma rettangolare, copertura a unica falda (di recente rifacimento), suddivisa in due locali comunicanti di cui solamente il primo verso sud è dotato di due finestre fronteggianti il fabbricato della convenuta, mentre quest'ultimo presenta balconi aggettanti per 1,20 mt; - il fabbricato della convenuta è stato edificato previa demolizione di un preesistente edificio artigianale ubicato lungo il confine orientale del mappale (...) verso la proprietà (...); il fabbricato di "nuova costruzione" risulta arretrato rispetto al confine con eccezione della minor porzione settentrionale che è ancora ubicata al confine del lotto; l'edificio si articola su due piani fuori terra con balconi sporgenti lungo tutto il fronte del piano primo, con eccezione di una piccola porzione settentrionale che è costituta da un solo piano fuori terra; - le distanze tra i fabbricati variano da un valore minimo di 2,09 metri a un valore massimo di 7,14 metri, in violazione dei 10 mt previsti dalla normativa inderogabile, recepita a livello locale dall'art. 14 delle NTA del PGT del Comune di Pieve Porto Morone (PV) vigente al momento del rilascio del permesso di costruire (2011); - la violazione risale al momento della costruzione e permane tutt'ora. Si tratta di conclusioni, quelle dell'ausiliario tecnico dell'Ufficio, pienamente condivisibili anche in diritto, considerato che per le finalità della norma - posta a salvaguardia dell'interesse pubblico sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano, quando uno dei due abbia una parete finestrata - la disciplina sulle distanze dettata dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 trova applicazione (v. per tutte, da ultimo, Cass., sez. II, n. 35780/2022): 1. anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata (Cass., Sez. Un., n. 1486 del 1997; Cass. n. 1984/1999) e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del muovo edificio o dell'edificio preesistente (Cass. n. 13547/2011) o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all'altro (Cass. n. 8383/1999); 2. quando gli edifici sono in posizione di "antistanza", intesa come circoscritta alle porzioni di pareti che si fronteggiano in senso orizzontale, non necessariamente in modo parallelo ma anche con andamento obliquo, purché fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (Cass. n. 4175/2001); 3. nel caso in cui i due edifici siano contrapposti solo per un tratto (perché dotati di una diversa estensione orizzontale o verticale, o perché sfalsati uno rispetto all'altro), ipotesi dinanzi alla quale il giudice che accerta la violazione deve ordinarne la demolizione fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano (Cass. n. 4639/1997). Risultano invece irrilevanti, sul piano giuridico (oltre che tardive rispetto agli oneri assertivi e probatori), le osservazioni critiche dei CTP, fatte proprie dalle difese del convenuto e del terzo chiamato, sulla verifica della regolarità edilizia (anche) del fabbricato di parte attrice. In linea di continuità con i principi di diritto sopra espressi, secondo i quali la (eventuale) natura abusiva della costruzione (previamente realizzata) rileva unicamente nei rapporti con l'amministrazione pubblica e non anche ai fini del rispetto delle distanze legali (cfr. Cass. n. 21354/2017), la giurisprudenza è rimasta ferma nel ribadire che le disposizioni dettate dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 trovano applicazione in relazione alla situazione concreta, a prescindere dalla distanza delle abitazioni già esistenti, dalla loro eventuale abusività o da altre disposizioni in senso contrario contenute negli strumenti urbanistici (cfr. Cass., sez. II, n. 2637/2021; Cons. Stato, n. 2086/2017). Per quel che concerne il computo dei balconi del fabbricato della società nel calcolo delle distanze - questione discussa dai CTP e correttamente demandata dal CTU al vaglio del giudicante (v. rel. CTU pag. 12 e all. 10 osservazioni CTP ing. Alessio) - la soluzione non può essere quella della loro esclusione, in quanto non v'è alcuna prova che i balconi realizzati sull'immobile frontistante non abbiano le caratteristiche per essere considerati alla stregua di "pareti finestrate". Per "pareti finestrate", ai fini della soggezione al rispetto delle distanze di cui all'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, devono intendersi tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno quali porte, balconi, finestre di ogni tipo, che assicurano la possibilità di esercitare la veduta; di conseguenza, normalmente, i balconi contribuiscono a definire "finestrata" una parete, poiché assicurano la possibilità di esercitare la veduta, rendendosi pertanto necessario tenerne conto nel calcolo delle distanze tra edifici antistanti. In sostanza, per l'esclusione dei balconi dal computo delle distanze non basta riferirsi alle sole dimensioni (come nel caso di specie, in cui si insiste sulla larghezza dei balconi in misura inferiore a quella minima di 1,50 mt. prevista dalla normativa locale per l'inclusione degli "aggetti", genericamente indicati), essendo piuttosto rilevante la funzione assolta da tali "corpi di fabbrica". Solo le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica ed ornamentale (come fregi, sculture in aggetto, mensole, lesene, risalti verticali, gli aggetti) ossia quelle che non assumono alcuna caratteristica strutturale (corpo di fabbrica) o di prolungamento della vita abitativa dell'edificio, non sono computabili ai fini del calcolo della distanza legale tra costruzioni (cfr. Cass., sez. II, n. 25191/2021; v. anche Cons. Stato, sez. VI, n. 521/2021). Pertanto, in argomento si è detto anche che: "In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c.c. con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla L. urbanistica n. 1150 del 1942, come modificata dalla L. n. 765 del 1967 - stabilisce la distanza minima di mt. dieci tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. dieci, violando il distacco voluto dalla cd. legge ponte" (cfr. Cass. n. 5594/2016). Va da ultimo osservato che la convenuta non ha neppure eccepito, né dimostrato, la ricorrenza in concreto di altre situazioni di esonero dal rispetto della normativa sulle distanze. In primis, nessuna eccezione di sorta viene avanzata con riferimento all'applicabilità dell'art. 9, co. 1 del D.M. n. 1444 del 1968 rispetto alla zona urbanistica del territorio di Pieve Porto Morone (PV) in cui ricadono entrambi gli immobili, sicché la disposizione che prescrive la distanza minima assoluta di m. 10 dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti tra deve ritenersi pienamente operante nel caso di specie (anche dopo l'intervento legislativo più recente ad opera dell'art. 5, co. 1 lett. b-bis) del D.L. n. 32 del 2019, conv. con mod. dalla L. n. 55 del 2019, quale legge di interpretazione autentica dell'art. 9, comma 2 del d.m. cit.; v. Cass. n. 7027/2021). In secondo luogo, solo un accenno è stato dedicato alla realizzazione dell'edificio residenziale da "previa demolizione del fabbricato preesistente", senza che l'argomento abbia portato alla cognizione del giudice ulteriori elementi capaci di sostenere che l'intervento edilizio de quo debba essere qualificato come (mera) "ricostruzione" piuttosto che "nuova costruzione". Ciononostante, la CTU ha avuto modo di evidenziare - rispondendo alle osservazioni critiche del CT di parte convenuta - che "il fabbricato preesistente, ubicato in corrispondenza del confine della proprietà di (...), presentava altezza superiore e, soprattutto, non è stato demolito e ricostruito "in sagoma", dovendo quindi sottostare per la sua interezza alle norme sulle distanza; è pertanto corretta l'indicazione della superficie edificata in violazione a queste ultime" (pag. 15 rel. CTU), il che conduce a ritenere esclusa ogni possibilità di esonero dal rispetto delle distanze, comunque non provata. In effetti, è stato ripetutamente affermato in sede di legittimità che, nell'ambito delle opere edilizie, come può ricavarsi dal Testo Unico di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), che ha riprodotto della L. n. 457 del 1978, art. 31 a cui oggi integralmente rinvia, peraltro, anche l'art. 27 della L.R. n. 12 del 2005, a seguito delle modifiche apportate dall'art. 5 della L.R. n. 18 del 2019, la semplice "ristrutturazione" si verifica soltanto se gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura. Viceversa, è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, tali componenti e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta alla disciplina delle distanze legali vigente al momento della sua realizzazione (cfr. Cass. n. 20428/2022, che richiama in motiv. Cass., Sez. Un., n. 21578/2011; Cass. n. 14902/2013; Cass. n, 17043/2015; Cass. n. 15041/2018, la quale ha qualificato come "nuova costruzione" un edificio che presentava, rispetto a quello preesistente, un lieve incremento della superficie ed un modesto aumento del volume; Cass. n. 473/2019; Cass. n. 20079/2021; Cass. n. 4009/2022; Cass. n. 18021/2022). Per completezza, merita di essere evidenziato anche il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, per il quale: "Rientrano nella nozione di nuova costruzione, di cui all'art. 41 sexies L. n. 1150 del 1942, anche ai fini dell'applicabilità dell'art. 9 D.M. n. 1444 del 1968 per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l'edificazione di un manufatto su un'area libera, ma altresì gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente; né assume rilevanza, in senso contrario, il disposto dell'art. 2 bis, comma 1 ter, D.P.R. n. 380 del 2001, nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall'art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 76 del 2020, conv. con modif. in L. n. 120 del 2020, giacché tale norma, se prevede che possano rientrare nella nozione di ricostruzione anche opere che aumentano il volume o modificano la sagoma dell'opera da costruire, richiede pur sempre che l'intervento sia realizzato nel rispetto delle distanze preesistenti, e cioè di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui è stato realizzato l'intervento originario" (cfr. Cass. n. 20428/2022; Cass. n. 21441/2022; conf. Cass. n. 21578/2011 in motiv.). In definitiva, atteso il carattere assoluto del diritto leso, la domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze è meritevole di trovare accoglimento. La convenuta va quindi condannata a rimuovere e/o demolire le opere edilizie inerenti all'immobile poste a distanza inferiore dei 10 mt. dalla parete finestrata dell'edificio antistante di proprietà attorea, limitatamente alle porzioni evidenziate nella relazione di CTU (pag. 14, segnate con il colore rosso) corrispondenti a 49,91 m2 al piano terra e a 35,83 m2 al piano primo, oltre a 21,90 m2 di balconi. 5. Sul piano delle conseguenze derivanti dall'illecito edilizio, l'attore lamenta di avere subito tanto un danno patrimoniale, quanto un danno alla sfera non patrimoniale e, segnatamente, a quella "biologica ed esistenziale". Con riferimento al primo, la sua difesa si richiama all'indirizzo giurisprudenziale della S.C., a mente della quale, "in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l'effetto, certo ed indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria" (cfr. Cass. n. 25475/2010 e altre). Sulla base di tali principi, ribaditi anche in comparsa conclusionale, l'attore sostiene che il danno patrimoniale vada quantificato in Euro 48.000,00 (contestando i calcoli e le considerazioni svolte, sul punto, dal CTU), sulla base delle seguenti considerazioni: - l'illecita costruzione di (...) S.r.l. crea un peso, una "limitazione permanente" alla proprietà (...), che si estende al fondo, in termini di "deprezzamento commerciale immediatamente riscontrabile al fabbricato attuale" e di "limitazione del pieno godimento di comodità, tranquillità e amenità"; - il fabbricato in futuro potrebbe essere ampliato o potrebbe avere una diversa destinazione rispetto a quella attuale (uso magazzino), insistendo in zona residenziale, e quindi potrebbe assumere un valore commerciale anche più alto rispetto a quello del CTU; - quel che conta è la "potenzialità edilizia che ha la proprietà"; - l'importo così quantificato è equo rispetto al vantaggio economico che l'illecito ha generato per (...) S.r.l., la quale si sarebbe assicurata un maggior ricavo ed il risparmio dei costi di demolizione. Tali deduzioni non sono coerenti con le premesse e con la ratio degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità richiamata a sostegno. È evidente che la tesi attorea ha travisato i principi di diritto dettati dall'orientamento della Seconda Sezione della Suprema Corte in tema di danno al diritto di proprietà, dal momento che finisce per allegare e quantificare il pregiudizio patrimoniale "proiettandolo nel futuro", nel quale però non avrebbe modo di esistere, essendo già soddisfatto (ed eliminato) dalla tutela in forma specifica. Va a tal fine ricordato che, secondo l'insegnamento della S.C., "in tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell'opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme non rispettate e non del valore di mercato dell'immobile, diminuito per effetto della detta violazione, poichè tale pregiudizio è suscettibile di eliminazione" (cfr. Cass. n. 18220/2020; conf. Cass. n. 14294/2018; Cass. n. 19132/2013; Cass. n. 17635/2013). In altre parole, il danno da limitazione del godimento del proprio fondo per l'abusiva imposizione di una servitù (di mantenimento dell'immobile antistante a distanza inferiore a quella legale), ove accompagnato alla richiesta di demolizione del fabbricato costruito a distanza illegale, è un danno che necessariamente guarda al "passato" e non al futuro, ossia al tempo intercorso tra l'esecuzione dell'illegittima attività edificatoria e la riduzione in pristino. In tal senso viene anche definito come un danno di carattere "transitorio", traducendosi in una limitazione temporanea (appunto) al godimento pieno ed esclusivo del diritto di proprietà (art. 832 c.c.). Solo se ravvisato in questi termini è ammesso il richiamo alla teoria del danno in "danno in re ipsa" (danno conseguenza e non danno evento) - al quale va preferita la definizione di "danno presunto" o "danno normale", privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato, dopo l'intervento nomofilattico di Cass., Sez. Un., 15.11.2022, n. 33645, dal quale si traggono molteplici spunti interpretativi anche per la fattispecie in esame, senza pretese di esaustività - non potendo giammai la prova presuntiva coprire pregiudizi che non rappresentano un danno emergente (perdita subita del godimento), ma un mancato guadagno (lucro cessante). Peraltro, nel caso di specie, il lucro cessante paventato dall'attore si basa su "supposizioni" o mere congetture (v. osservazioni CTP ing. L., all. 9 rel. CTU) e viene contraddetto dalla eliminazione del pregiudizio che deriva dalla tutela in forma specifica, come correttamente ha evidenziato anche il CTU (pag. 19 rel. CTU: "In riferimento all'ultimo punto del quesito, si osserva che in caso di arretramento del fabbricato il pregiudizio valutato non sarebbe persistente."). Non colgono nel segno le critiche mosse dalla difesa tecnica di parte attrice sui criteri utilizzati dal CTU per la quantificazione della limitazione del godimento della proprietà (in termini di limitazione di "orientamento, di prospetto e di luminosità rispetto alla distanza di 10 metri"; v. pag. 17 ss rel. CTU), i quali invece si adattano alla valutazione del danno effettivamente subito (perdita subita) ed alla sua temporaneità, tenendo conto in concreto della posizione del fondo, delle reali caratteristiche del fabbricato (definite "scadenti") e della sua destinazione (uso magazzino). Non si ritiene che le restanti argomentazioni critiche (alcune delle quali evocano, in punto di "equità" del risarcimento, una valenza punitiva non ammessa, in generale, nel nostro ordinamento) possano portare ad una quantificazione superiore del danno subito. Valga il principio di più recente affermazione della stessa Seconda Sezione della Cassazione - che merita di essere condiviso, in quanto maggiormente in linea con i più recenti interventi sul tema del "danno in re ipsa" - secondo cui: "Seppure è vero che la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina potenzialmente un danno, per l'imposizione di una servitù di fatto che causa una perdita di valore del fondo gravato, non di meno spetta al proprietario dello stesso l'onere di darne prova, sia pure mediante ricorso a presunzioni semplici, indicando quindi gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c. , possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito" (cfr. Cass., sez. II, 6.07.2022, n. 21441). Dunque, l'entità economica del danno patrimoniale corrisponde - secondo il condivisibile parere del CTU - al 23,5% del valore di mercato dell'immobile, determinato in Euro 26.000,00, sicché la diminuzione di valore della proprietà di parte attrice risulta essere pari ad Euro 6.110,00 (senza "arrotondamenti" a ribasso, non giustificati). Trattandosi di un debito di valore, per giurisprudenza consolidata, spettano al danneggiato sia la rivalutazione monetaria (che attualizza al momento della liquidazione il danno subito), sia gli interessi compensativi (volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno), oltre agli interessi legali sulla somma complessiva che ne risulta dal giorno della pubblicazione della sentenza in avanti (Cass., Sez. Un., 17.02.1995, n. 171). Pertanto, recependo i principi di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite del 1995 (alla quale si sono conformate, con giurisprudenza ormai consolidata, le successive pronunce delle sezioni semplici: Cass. n. 2796/2000; Cass. n. 492/2001; Cass. n. 2588/2002; Cass. n. 5503/2003; Cass. n. 18445/2005; Cass. n. 18490/2006; Cass. n. 4791/2007; Cass. n. 9926/2010; Cass. n. 21396/2014; Cass. n. 12228/2016; Cass. n. 2037/2019; Cass. n. 24468/2020), appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell'arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali. Quanto alle modalità di calcolo, gli interessi decorrono non sulla somma valutata all'attualità, bensì su quella originaria, rivalutata anno per anno. Nella specie, l'importo sopra liquidato va devalutato alla data del fatto (nel caso di specie è possibile assumere la data dell'ordinanza di sospensione dei lavori del 25.11.2011; doc. 3 fasc. att.) e poi, su detto ultimo importo - rivalutato anno per anno secondo le variazioni ISTAT FOI relative al costo della vita - vanno calcolati gli interessi legali, fino alla data di deposito della presente sentenza. Spettano, inoltre, gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo. Entro tali limiti va contenuto l'accoglimento della domanda e condannata la (...) S.r.l. al risarcimento del danno. Nulla può essere riconosciuto all'attore a titolo di danno non patrimoniale "da oppressione" per l'asserita riduzione di luce ed aria al fabbricato. Anzitutto, sono impropri i richiami al concetto di "abitabilità o di "abitazione", laddove è pacifico e comprovato dalle fotografie raccolte dalla CTU che si è dinanzi ad un fabbricato ad uso magazzino, in condizioni peraltro scadenti, senza alcuna concreta allegazione e prova in ordine al tipo di attività svolta dal (...) e alla frequenza degli ambienti o del suo utilizzo. L'attore assume inoltre (in modo del tutto generico) di avere subito un danno alla salute in conseguenza dell'illecito edilizio, senza darne alcuna dimostrazione, essendo il danno biologico subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertata. Si consideri poi anche il fatto che la situazione preesistente in cui versava lo stato dei luoghi era addirittura peggiore - in termini di godimento di luce ed aria - rispetto a quella che si è determinata a seguito della nuova edificazione, essendo stato accertato in sede di consulenza tecnica d'ufficio che "l'intervento edificatorio promosso da (...) abbia migliorato le condizioni di disponibilità di luce e aria della parete finestrata del magazzino del Sig. (...), che in origine era posizionato a circa 2 metri dal precedente fabbricato artigianale con altezza al confine di circa 6 metri e altezza al colmo di circa 9 metri" (pag. 16, rel. CTU). Ebbene, se ciò non esclude il danno patrimoniale al diritto di proprietà (eziologicamente correlato alla nuova situazione di illiceità, derivante dall'attività edificatoria intrapresa sul fondo vicino da (...) S.r.l., previa demolizione dell'edificio esistente), nei limiti sopra precisati, lo stesso non può dirsi per il danno alla persona, il quale è legato alla "vivibilità" dell'immobile. 6. A questo punto, occorre passare ad esaminare la domanda promossa dalla società convenuta nei confronti del terzo chiamato. In via preliminare, va superato il rilievo della difesa dell'ing. (...) che vorrebbe sentire "rinunciata" la domanda della società chiamante (salvo poi concludere per il suo rigetto) perché non riproposta nella prima memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c., in quanto l eccezione è pretestuosa ed infondata. Non solo non basta, per ritenere presuntivamente abbandonata una domanda (espressamente e tempestivamente proposta), la sola mancata trascrizione nelle conclusioni degli atti successivi o nella prima memoria ex art. 183, co. 6 c.p.c. all'uopo dedicata, dovendosi anche accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, non emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (cfr. Cass. n. 31571/2019), ma nel caso di specie nemmeno è utilmente spendibile siffatto principio di diritto, allorché la convenuta ha espressamente riproposto, in sede di precisazione delle conclusioni, la domanda già avanzata, in via subordinata, con la chiamata in causa del terzo ("Nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande o di parte delle stesse svolte dall'attrice, condannare (...) (C.F.: (...) e P.IVA: (...)) a manlevare e tenere indenne la convenuta (...) S.p.a. dalle domande accolte e da ogni pregiudizio economico"). Sulla qualificazione della domanda, si nota come la chiamata in causa del progettista da parte della società convenuta è accompagnata dalla volontà di riversare su quest'ultimo, ritenuto l'esclusivo responsabile dell'illecito, le conseguenze economiche dell'eventuale accoglimento delle domande attoree, senza tuttavia il rifiuto della propria legittimazione passiva. Nemmeno l'attore - nel corso del giudizio, anche dopo la riassunzione - ha mai manifestato la volontà di estendere le domande nei confronti del terzo chiamato. I rapporti processuali sono, dunque, separati e vanno affrontati in modo distinto (v. Cass. n. 23977/2019). Tale premessa è utile per affermare che sul rapporto tra il convenuto e il terzo chiamato, l'autorità di giudicato assunta dalla sentenza della Corte d'Appello di Milano (sent. n. 829/2018 del 16.02.2018 e certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c. della cancelleria del 19.04.2021) preclude, in questa sede, ogni possibilità di discutere nuovamente degli stessi fatti per i quali l'ing. (...) è stato definitivamente riconosciuto responsabile nei confronti di (...) S.r.l. della violazione della distanza legale minima dei dieci metri rispetto al fabbricato di proprietà dell'attore, per errore professionale commesso in sede di redazione del progetto (falsa rappresentazione dello stato dei luoghi) e per il quale è stata condannato a risarcire a quest'ultima il danno emergente, commisurato agli esborsi sostenuti per l'oblazione della sanzione pecuniaria irrogata dalla P.A. Si ravvisa, nella fattispecie, l'efficacia preclusiva del cd. giudicato esterno sulle medesime questioni attinenti all'an debeatur (i.e. responsabilità esclusiva del progettista per lo stesso fatto illecito da inesatto adempimento della prestazione professionale), le quali precludono a questo giudice ogni riesame (anche in punto di eccezioni o mere difese) della vicenda sostanziale già affrontata e decisa, in modo definitivo, tra le stesse parti, nel giudizio conclusosi in grado di appello con sentenza passata in giudicato. A tal fine, giova il richiamo al principio affermato in svariate situazioni dalla Corte di Cassazione, secondo cui: "Qualora in due giudizi tra le stesse parti siano fatti valere due crediti fondati sul medesimo rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo." (cfr. Cass., sez. III, n. 27013/2022). Ciò non toglie che gli effetti del giudicato coprano solamente il "dedotto e il deducibile", nel senso che l'ambito di operatività del giudicato "è correlato all'oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull'esistenza del diritto azionato, ma anche sull'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti", e non possono essere estesi "a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi, fermo restando il requisito dell'identità delle persone" (cfr. Cass., sez. I, n. 33021/2022). Orbene, alla luce di tali principi di diritto, non è possibile ritenere che il giudicato possa avere investito anche i danni per i quali la società chiede, in questa sede, di essere manlevata dal terzo chiamato, giacché gli stessi non erano (né avrebbero potuto essere) dedotti in quella sede, essendosi il giudizio instauratosi, in primo grado (R.G. n. 2655/2012), ben prima della proposizione della domanda da parte dell'attore nei confronti della società convenuta, quando nemmeno era più possibile una "specificazione" della domanda ivi svolta. A leggere le motivazioni con cui la Corte d'appello ha rigettato l'appello incidentale interposto, sul punto, dalla (...) S.r.l., confermando integralmente la decisione di questo Tribunale in primo grado, la richiesta avanzata in quel giudizio dalla società nei confronti del professionista di una condanna generica al risarcimento dei "danni futuri", ossia delle "possibili conseguenze pregiudizievoli che potrebbe subire a seguito di iniziative giudiziarie intraprese dal confinante C.", è stata respinta proprio per l'inconfigurabilità di una condanna generica al risarcimento di danni dipendenti da un evento solamente "futuro ed incerto" al momento della sua proposizione (per riprendere le parole della Corte, di "danni futuri del tutto indeterminati nell'attualità e solamente prospettati come ipotetici ed eventuali"; cfr. pag. 29, doc. 1 ric. riass.), non ottenibile con la previsione di cui all'art. 278 c.p.c. Questo non significa che, una volta concretizzatosi, quel danno possa essere fatto valere con una domanda di condanna non generica, ma specificamente rivolta ad evitare le conseguenze pregiudizievoli derivate in capo alla società. Legittimare una contraria interpretazione significherebbe stravolgere l'efficacia del giudicato, il quale non può logicamente coprire ciò che non poteva essere dedotto in un giudizio, tra le stesse parti, svoltosi antecedentemente alla comparsa (quantomeno dell'an debeatur) di un danno civile suscettibile di risarcimento. Non si ritiene, pertanto, inammissibile la domanda sottesa alla chiamata in garanzia del professionista, dovendosi ritenere l'ing. (...) - ormai definitivamente - l'esclusivo responsabile del fatto illecito di cui è stata chiamata rispondere la società convenuta nei confronti dell'attore e, quindi, il soggetto obbligato a tenere indenne quest'ultima dai pregiudizi patrimoniali che la condanna in questa sede comporta. 7. Se quanto detto consente di escludere, in via derivata, anche la possibilità di (ri)valutare il "grado della colpa" attribuibile al professionista assicurato, in quanto profilo investito dal giudicato che ne accerta l'esclusiva responsabilità e che è opponibile anche alla terza chiamata (...) S.p.a., lo stesso non può dirsi con riguardo alla copertura assicurativa, poiché l'operatività della garanzia prestata dalla compagnia era stata limitata, nel giudizio pregresso, al solo danno emergente riconosciuto alla società (sanzioni inflitte ai clienti dell'assicurato), rimanendo assorbito (anche in grado di appello) l'esame della questione per altre tipologie di danno. Ciò posto, la domanda di manleva del professionista nei confronti dell'impresa che ne assicura la responsabilità civile verso terzi in forza di polizza "(...)" n. (...), deve ritenersi fondata e meritevole di accoglimento. È infatti forzata e non conforme alle regole dell'ermeneutica contrattuale l'interpretazione delle condizioni di assicurazione proposta dalla difesa della terza chiamata e, segnatamente, della clausola "C3 lett. q", per la quale "l'assicurazione (...) non comprende i sinistri da perdite patrimoniali derivanti da errata interpretazione di vincoli urbanistici, regolamenti edilizi locali e di altri vincoli imposti dalle pubbliche autorità", salvo che per i casi di deroga espressamente previsti dall'art. 9 cond. part. (tra cui le "sanzioni inflitte ai clienti dell'assicurato" e le "spese di frazionamento e/o nuovo calcolo di millesimi nonché spese di registrazione al catasto") (doc. 1 fasc. terza). Come afferma autorevolmente la Suprema Corte, l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (cfr. da ultimo, Cass., sez. VI-3, n. 32786/2022 e altre in motiv.). Nel caso in disamina, l'assicurazione prescelta dall'assicurato (garanzia "C") obbliga la compagnia a tenere indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, di danni corporali e danni materiali involontariamente cagionati a terzi in relazione allo svolgimento dell'attività descritta in polizza. Ebbene, ciò che è stato addebitato all'operato del progettista non attiene certo ad una "errata interpretazione" di vincoli urbanistici, ecc., bensì ad una "falsa rappresentazione dello stato dei luoghi" nelle tavole di progetto presentate alla P.A., affinché (...) S.r.l. potesse ottenere il permesso di costruire. In nessun atto, né amministrativo, né processuale, è stato contestato al progettista di avere male "interpretato" i vincoli imposti dagli strumenti urbanistici o dai regolamenti edilizi locali, tale per cui da tale errore interpretativo sia derivata la violazione delle distanze rispetto al fabbricato vicino con pareti finestrate. Per sostenere tale assunto si dovrebbe piuttosto dire che l'ing. (...) avesse avuto ben presente l'esistenza del fabbricato attoreo a distanza inferiore a quella minima di legge e tuttavia, lanciandosi in una ipotetica e del tutto soggettiva interpretazione del PGT vigente (art. 14) e della normativa primaria dettata dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 sulle distanze tra costruzioni aventi pareti finestrate, avrebbe finito erroneamente per ritenersi legittimato, in forza di tale sua interpretazione, a non indicare nelle tavole di progetto l'esistenza del fabbricato del sig. (...) e/o di potere indicare, al suo posto, una generica "area cortilizia di altra proprietà". Tesi, questa, che lascia il tempo che trova e che non risulta essere stata giammai sostenuta, nemmeno implicitamente, nelle motivazioni delle sentenze rese, in primo grado e in appello, tra le stesse parti del pregresso giudizio. In definitiva, l'impresa di assicurazione è obbligata a tenere indenne e manlevare l'assicurato da tutti i costi e spese che la società (...) S.r.l. è condannata a pagare e sostenere nei confronti del proprietario frontista danneggiato, i quali comprendono sia i costi che si renderanno necessari per ottemperare alla condanna in forma specifica (i.e. per la rimozione e/o demolizione delle porzioni del fabbricato costruite a distanza inferiore a quella legale), sia il danno patrimoniale nei limiti di quanto riconosciuto per capitale e interessi, con l'applicazione dello scoperto del 20% per sinistro come previsto dal contratto. 8. Nella regolamentazione delle spese di lite, in nome del principio di causazione e della soccombenza ex art. 91 c.p.c., occorre avere riguardo all'esito complessivo del giudizio, salvi gli opportuni contemperamenti previsti al ricorrere delle situazioni contemplate dall'art. 92 c.p.c. Tra queste, può ravvisarsi reciproca soccombenza - come ha chiarito, da ultimo, il massimo consesso a Sezioni Unite - sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr. Cass., Sez. Un., n. 32061/2022). Nel caso di specie, riguardo ai capi di condanna formulati dall'attore nei confronti della convenuta e della decisione parzialmente favorevole, si ritiene ricorrano i presupposti per una compensazione parziale delle spese, nella misura di un terzo. La compensazione investe anche i costi di CTU e quelli da sostenere per la consulenza tecnica di parte, la quale partecipa tra le spese del giudizio, avendo natura di allegazione difensiva tecnica (cfr. Cass. n. 30289/2019). La compensazione in questione va, tuttavia, applicata non sull'importo indicato nella parcella del geom. (...) (Euro 8.000,00 per onorari, oltre accessori e anticipazioni), come da nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., in quanto eccessivo e sproporzionato, se si tiene conto degli onorari liquidati al CTU (Euro 3.000,00) e dei motivi della decisione (sulle osservazioni avanzate dal CTP), bensì nella misura della metà dell'importo richiesto dal CTP (Euro 4.718,00), da ritenersi equo e sufficiente per la difesa tecnica espletata in giudizio. Nel rapporto di garanzia tra la società e il terzo chiamato, la regolamentazione delle spese segue la soccombenza integrale di quest'ultimo. Quanto al rapporto tra l'assicurato e l'impresa di assicurazione, le spese possono essere regolate secondo il criterio della soccombenza, con le seguenti considerazioni: - avendo l'assicuratore contestato - in via adesiva - la fondatezza della chiamata in manleva dell'assicurato, essa soccombe insieme a lui e può essere condannata, in solido con quest'ultimo, alla rifusione delle spese in favore del danneggiato chiamante vittorioso (cfr. Cass. n. 925/2017); - avendo l'assicurato formulato la domanda di manleva in termini generali ("a tenere indenne e manlevato l'ing. (...) nei limiti ed alle condizioni di polizza"), non possono ritenersi escluse anche le spese processuali, giacché l'obbligo di rimborso sorge oggettivamente per la sola circostanza che il detto assicurato sia stato costretto a difendersi in una controversia che abbia causa in situazioni rientranti nella garanzia assicurativa. D'altronde, in materia di assicurazione della responsabilità civile, "l'assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché dellespese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel "genus" delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore" (cfr. da ult. Cass., sez. III, n. 29926/2022; Cass. n. 18076/2020). - le spese di chiamata in causa dell'assicuratore non costituiscono né conseguenza del rischio assicurato, né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18076/2020; Cass. n. 10595/2018). La liquidazione delle spese è rimessa al dispositivo e segue i parametri dettati dal D.M. n. 55 del 2014 e s.m. da ultimo con D.M. n. 147 del 2022, il quale trova applicazione con riferimento alle "prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore", ossia da far data dal 23.10.2022 (art. 6 D.M. cit.) (scaglione di valore da Euro 26.001 Euro 52.000,00, tutte le fasi, parametri medi). Le spese di CTU, già liquidate con decreto di pagamento del 16.06.2022, sono poste definitivamente e per i due terzi direttamente a carico della impresa di assicurazione, onde evitare l'eccessiva frammentazione delle quote e dei rimborsi dovuti in ragione delle soccombenze "a catena". La restante parte di 1/3, in ragione della compensazione parziale delle spese tra l'attore e la convenuta, rimane a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accerta e dichiara che l'immobile sito in P. P. M. (P.), alla via (...) M. n. 7/B di proprietà della Società (...) S.r.l., catastalmente identificato al C.F. del medesimo Comune al fg. (...), (...), sub. vari, è stato edificato a distanza inferiore a quella legale assoluta di metri 10 dalle pareti finestrate dell'immobile antistante di proprietà di (...), catastalmente identificato al C.F. del medesimo Comune al fg. (...), (...), sub. vari, in violazione dell'art. 14 delle NTA del PGT locale ratione temporis vigente e dell'art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; - per l'effetto, ordina alla Società (...) S.r.l. la rimozione e/o la demolizione di tutte le opere edilizie poste a distanza inferiore a quella legale di dieci metri dalle pareti finestrate del fabbricato di proprietà di (...), limitatamente alle porzioni evidenziate nella relazione di CTU dell'ing. Ro.Li. (v. pag. 14 rel. CTU, evidenziate con il colore rosso) corrispondenti a 49,91 m2 al piano terra e a 35,83 m2 al piano primo, oltre a 21,90 m2 di balconi, dando atto della inesistenza di servitù di mantenimento dei fabbricati antistanti a distanza inferiore a quella legale nei limiti precisati; - accoglie parzialmente la domanda di risarcimento per equivalente e, per l'effetto, condanna la Società (...) S.r.l. a pagare a (...) un importo pari ad Euro 6.110,00 per la perdita patrimoniale subita in conseguenza dell'illecito edilizio, oltre interessi sulla somma devalutata alla data del fatto (25.11.2011) e rivalutata anno per anno secondo le variazioni ISTAT FOI sul costo della vita, sino alla pubblicazione della sentenza. Sulla somma così determinata sono dovuti gli interessi di mora al saggio legale dalla pubblicazione della sentenza e fino al soddisfo; - accertata l'esclusiva responsabilità del progettista ing. (...) in relazione all'illecito edilizio per effetto del giudicato esterno intervenuto, sul medesimo fatto, nel giudizio civile concluso con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 829/2018 del 16.02.2018, condanna l'ing. (...) a manlevare e tenere indenne la Società (...) S.r.l. da tutti i costi e spese necessari per la rimozione e/o demolizione delle opere edilizie di proprietà poste a distanza inferiore a quella di dieci metri dalla parete finestrata dell'immobile antistante di proprietà di (...) e dal risarcimento del danno patrimoniale accordato a quest'ultimo per capitale e interessi; - accertata l'operatività della garanzia assicurativa per la r.c. verso terzi prestata da (...) S.p.a. in forza di polizza "(...)" n. (...), condanna la compagnia terza chiamata a manlevare e tenere indenne l'assicurato ing. (...) da quanto questi è stato condannato a versare e/o sostenere in esito al presente giudizio in favore della parte vittoriosa, dedotta la percentuale di danno non indennizzabile ("scoperto") pari al 20% per sinistro come in polizza, incluse le spese processuali che è costretto a rifondere alla Società (...) S.r.l., entro i limiti del massimale; - condanna la Società (...) S.r.l. a rifondere a (...) le spese del giudizio, che si liquidano in Euro 545,50 per spese esenti, Euro 3.145,50 per spese di CTP (già compensate di 1/3 sugli importi dimidiati) ed Euro 5.078,00 per compensi (di cui Euro 1.701,00 fase studio; Euro 1.204,00 fase intr.; Euro 1.806,00 fase istr.; Euro 2.905,00 fase dec., - Euro 2.538,20 per compensazione di 1/3 ex art. 92 c.p.c.), oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna l'ing. (...) e per lui, anche in solido ed entro i limiti di cui sopra, (...) S.p.a., a rifondere le spese del giudizio in favore della Società (...) S.r.l. che si liquidano in Euro 518,00 per spese esenti ed Euro 7.616,00 per compensi (di cui Euro 1.701,00 fase studio; Euro 1.204,00 fase intr.; Euro 1.806,00 fase istr.; Euro 2.905,00 fase dec.), oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA come per legge; - condanna (...) S.p.a. al rimborso delle spese di lite in favore dell'ing. (...), che si liquidano in Euro 518,00 per spese esenti ed Euro 7.616,00 per compensi (di cui Euro 1.701,00 fase studio; Euro 1.204,00 fase intr.; Euro 1.806,00 fase istr.; Euro 2.905,00 fase dec.), oltre 15% rimb.forf. spese generali, IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente i costi di CTU, già liquidati con separato decreto del 16.06.2022, in capo a (...) S.p.a. nella misura di 2/3 e per la restante parte (1/3) in capo a (...) per compensazione ex art. 92 c.p.c., determinando in tal modo il regresso pro quota tra le parti che le hanno eventualmente anticipate. Così deciso in Pavia il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. CARRATO Aldo Consiglie - Dott. PAPA Patrizia - rel. Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 11181-2017 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), come da procura in calce al ricorso, con indicazione dell'indirizzo pec; - ricorrente - contro (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore; - intimato - avverso la sentenza n. 511/2016 della CORTE D'APPELLO sez.dist. di (OMISSIS), depositata il 14/10/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/06/2022 dal consigliere Dott. PATRIZIA PAPA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROSA MARIA DELL'ERBA che ha chiesto il rigetto della decisione. FATTI DI CAUSA 1. In accoglimento dell'impugnazione proposta da (OMISSIS) con ricorso del 1/7/2010, il Tribunale di (OMISSIS) dichiaro' la nullita' delle delibere assembleari del (OMISSIS), in (OMISSIS), adottate in data 8/2/2007, 3/5/2007 e 16/12/2008, relativamente alla decisione di realizzare i lavori di ristrutturazione della facciata dello stabile condominiale, compresi i terrazzini in proprieta' esclusiva e i ballatoi e alla approvazione della ripartizione delle relative spese, anche per la parte concernente gli interventi su terrazzini e ballatoi: sostenne che le prime due delibere dell'8/2/2007 e del 3/5/2007 fossero "nulle per impossibilita' dell'oggetto perche' assunte in pregiudizio della sicurezza del fabbricato e per illiceita' dell'oggetto posto che, tramite esse, l'assemblea... (aveva) approvato la realizzazione di opere edili in aperta violazione di legge di carattere imperativo finalizzate a garantire l'incolumita' delle persone"; con queste delibere era stato infatti deciso di far realizzare opere in cemento armato sulla base di un computo metrico e di una relazione tecnica sottoscritte da un geometra e di affidare la direzione dei lavori ad altro geometra, in violazione del Regio Decreto 11 febbraio 1929, n. 274, articolo 16, lettera M). In accoglimento dell'appello proposto dal Condominio, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza n. 511/2016 pubblicata in data 14/10/2016, in riforma della sentenza di primo grado, dichiaro' la nullita' soltanto parziale delle delibere assembleari dell'8/2/2007 e del 16/12/2008 limitatamente, per la prima delibera, al conferimento dell'incarico di direttore dei lavori al geom. (OMISSIS) e, per la seconda delibera, alla ripartizione della relativa spesa tra tutti i condomini, rigettando per il resto l'impugnazione. In particolare, la Corte territoriale rilevo' che, nell'assemblea dell'8/2/2007, erano stati raccolti otto preventivi ed era stata costituita una commissione di condomini, integrata dal direttore dei lavori, per la scelta del preventivo da approvare e questa commissione aveva poi adottato la delibera del 3/5/2007, proponendo l'affidamento dell'incarico all'impresa (OMISSIS) s.r.l.; la delibera di ratifica di tale scelta e di approvazione della ripartizione provvisoria delle spese relative ai lavori di ristrutturazione della facciata, nonche' il riepilogo provvisorio delle spese e l'assegnazione dell'incarico all'impresa suddetta era stata invece adottata con delibera condominiale del 19/6/2007, non impugnata dalla condomina (OMISSIS). Per quel che qui ancora rileva, quindi, la Corte confermo' la parziale nullita' della delibera assunta in data 8/2/2007 per nullita' dell'oggetto, in conseguenza della nullita' del contratto di prestazione d'opera, poi stipulato in data 10/11/07, con cui era stata conferita la direzione dei lavori ad un geometra invece che ad un ingegnere, nonche' della delibera del 16/12/2008 che aveva ripartito tra tutti i condomini la spesa per il relativo compenso. Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi; il Condominio non ha svolto difese. RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo, la ricorrente ha prospettato la violazione dell'articolo 1137 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I n. 5 c.p.c., per avere la Corte d'Appello omesso la valutazione delle cause di nullita' della delibera condominiale assunta in data 8/2/2007 per impossibilita' ed illiceita' dell'oggetto nella parte in cui si e' stata approvata l'esecuzione delle opere di rifacimento della facciata condominiale includenti i terrazzini aggettanti in cemento armato, senza considerare che prima ancora dell'affidamento della direzione dei lavori ad un geometra, era stata ugualmente illegittima la decisione di fare realizzare quelle opere, implicanti strutture aggettanti in cemento armato, sulla scorta di calcoli e relazioni tecniche a firma di un geometra. Con il secondo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione dell'articolo 1137 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I n. 5 c.p.c. per avere la Corte d'Appello omesso di valutare le cause di nullita' della delibera condominiale del 16/12/2008 nella parte in cui e' stata approvata la ripartizione delle somme richieste per l'esecuzione delle opere di rifacimento della facciata condominiale includenti i terrazzini aggettanti in cemento armato nonostante la nullita' del contratto di appalto in relazione al vizio evidenziato con il primo motivo. Con il terzo motivo, (OMISSIS) ha censurato la sentenza d'appello per violazione degli articoli 1316 e 1418 c.c., per avere la Corte d'Appello di (OMISSIS) omesso di pronunciare la nullita' della delibera condominiale del 16/12/2008 nella parte in cui ha approvato la ripartizione delle somme richieste per le opere di rifacimento dei terrazzini aggettanti in cemento armato, ritenendo che l'avere espresso un voto favorevole all'approvazione fosse incompatibile con la deduzione del vizio, laddove la nullita' del contratto di appalto a cui inerivano le spese ripartite, conseguente alla violazione di norme di carattere imperativo, era certamente rilevabile d'ufficio e non sanabile dalla volonta' dei condomini. Con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli articoli 1316 e 1418 c.c. in relazione all'articolo 360 comma I n. 5 c.p.c., per avere omesso la Corte d'Appello di (OMISSIS) di pronunciare in ordine alla nullita' della delibera condominiale in data 16/12/2008 nella parte in cui approvava la ripartizione delle somme richieste per le opere di rifacimento dei terrazzini aggettanti in cemento armato realizzate in esecuzione del contratto d'appalto, senza rilevare la nullita' di quest'ultimo per violazione della legge 05/11/1971 n. 1086,articolo 4, secondo cui "le opere... devono essere denunciate dal costruttore all'ufficio del genio civile, competente per territorio, prima del loro inizio", atteso che dalla comunicazione del 30/10/2013, inviata alla (OMISSIS) a mezzo fax e versata a verbale del (OMISSIS), non risultava "depositata nessuna pratica"; la Corte territoriale, pertanto, non avrebbe rilevato l'assenza di concessione edilizia. Con il quinto motivo, (OMISSIS) ha, infine, eccepito la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360 comma I n. 4 c.p.c. per avere la Corte d'Appello di (OMISSIS), dichiarando la nullita' soltanto parziale della delibera del 16/12/2008 di ripartizione delle spese, omesso di pronunciarsi sulla inapplicabilita' dell'articolo 63 disp. att. c.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla l. n. 220 del 2012) alle somme richieste per l'esecuzione delle opere di rifacimento dei terrazzini aggettanti in cemento armato in quanto di proprieta' del singolo condomino e non costituenti spese condominiali. 2. I primi quattro motivi - che possono essere trattati congiuntamente per continuita' di argomentazione - sono fondati. E' opportuno premettere e ribadire, per quel che ancora qui rileva, che le S.U. di questa Corte, con sentenza n. 9839 del 14/04/2021 hanno precisato che l'articolo 1137 c.c., per sua formulazione non consente di ritenere che la categoria della nullita' delle deliberazioni condominiali sia interamente espunta dalla materia delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini, neppure dopo la riforma del 2013. Esistono infatti categorie, nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge: accanto alle ipotesi di annullamento, pertanto, devono essere mantenute, quali nullita', le ipotesi residuali in cui sussistano quei vizi talmente radicali "da privare la deliberazione di cittadinanza nel modo giuridico". E' questo il caso della "impossibilita' dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico", da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione. L'impossibilita' materiale dell'oggetto della deliberazione va valutata con riferimento alla concreta possibilita' di dare attuazione a quanto deliberato; l'impossibilita' giuridica dell'oggetto, invece, va valutata in relazione alle "attribuzioni" proprie dell'assemblea. In ordine all'impossibilita' giuridica dell'oggetto, vale la pena di osservare che l'assemblea, quale organo deliberativo della collettivita' condominiale, puo' occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni; essa e' abilitata ad adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio (avendo le attribuzioni indicate dall'articolo 1135 c.c. carattere meramente esemplificativo), purche' destinato alla gestione delle cose e dei servizi comuni. Percio', l'assemblea non puo' perseguire finalita' extracondominiali e non puo' occuparsi dei beni appartenenti in proprieta' esclusiva ai singoli condomini, perche' qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non puo' essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che e' il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. Allo stesso modo residua quale nullita' l'ipotesi della "illiceita'" che ricorre quando la deliberazione condominiale, seppure adottata nell'ambito delle attribuzioni dell'assemblea, risulti avere un "contenuto illecito" (articolo 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario a "norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume". Sono pure nulle, pertanto, le deliberazioni assembleari che abbiano un contenuto contrario a quelle norme non derogabili dalla volonta' dei privati, poste a tutela degli interessi generali della collettivita' sociale o di interessi particolari che l'ordinamento reputa indisponibili, assicurandone comunque la tutela. La ricorrente (OMISSIS) ha prospettato al Tribunale prima e, poi, alla Corte d'appello un vizio del contratto di appalto per la realizzazione della ricostruzione dei balconi aggettanti in cemento armato consistente nella redazione "del computo metrico" e della "relazione tecnica" ad opera di un geometra, in violazione del Regio Decreto 11 febbraio 1929,articolo 16, lettera M), n. 274; ha rilevato altresi' che la delibera condominiale del 16/12/2008 ha approvato uno stato di ripartizione contenente anche le spese relative ai lavori effettuati sulle parti non comuni, ma in proprieta' individuale (i terrazzini) come tali anche escluse dalla previsione dell'articolo 63 disp. att. c.c. (nella formulazione "ratione temporis" applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla l. n. 220 del 2012). La Corte d'appello, riformando la pronuncia di nullita' del Tribunale, pur riconoscendo che la tipologia di opere appaltate esorbitava dalla competenza di un geometra quanto a direzione dei lavori, non ha esaminato il profilo di invalidita' della delibera dell'8/2/2007 e, poi, del 16/12/2008 che ha provveduto alla ripartizione delle spese come prospettato rispetto alla prospettata progettazione da parte di un geometra: omettendo questa verifica, non si e' confrontata con il principio per cui, a norma dell'articolo 16, lettera m), Regio Decreto 11 febbraio 1929, n. 274, non modificato dalla L. n. 1068 del 1971, la competenza dei geometri e' limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione - anche parziale - di strutture in cemento armato e, in via d'eccezione, si estende anche a queste strutture, a norma della lettera l) del medesimo articolo, soltanto con riguardo alle piccole costruzioni accessorie nell'ambito degli edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone; e', infatti, riservata agli ingegneri la competenza per le costruzioni civili, anche modeste, che adottino strutture in cemento armato (Sez. 2, Sentenza n. 18038 del 02/09/2011; Sez. 2, Sentenza n. 19292 del 07/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 17028 del 26/07/2006). In tal senso, sarebbe stato invece necessario verificare se effettivamente fosse stato un geometra a provvedere alla redazione della relazione tecnica (non rilevando in se', invece, la redazione del solo computo metrico, in quanto operazione di mera definizione dei costi di costruzione) e se la tipologia di opere appaltate esorbitasse dalla competenza della figura professionale incaricata anche per l'affidamento della progettazione. Allo stesso modo la Corte d'appello ha omesso di accertare se la tipologia di opere appaltate fosse sussumibile nella previsione dell'articolo 6 del D.P.R 6 giugno 2001 n. 380, di qualificare quindi tali opere come di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione e di verificare, sulla scorta degli elementi istruttori acquisiti in primo grado e qui riprodotti con il quarto motivo di ricorso, se la realizzazione dei lavori risultasse regolarmente denunciata o assentita, per escludere altro profilo di nullita' del contratto di appalto per contrarieta' a norma imperativa. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari sez. di (OMISSIS) in diversa composizione perche' provveda alle verifiche suesposte. Dall'accoglimento dei primi quattro motivi deriva l'assorbimento del quinto, concernente l'applicazione dell'articolo 63 disp. att. c.c. anche alle spese relative alle opere realizzate sulle porzioni dell'immobile in proprieta' esclusiva, atteso il nesso di stretta dipendenza tra la questione della nullita' dell'oggetto e la questione della ripartizione delle spese. 3. Decidendo in rinvio, la Corte d'appello di Cagliari sez. di (OMISSIS) statuira' anche sulle spese di legittimita'. P.Q.M. accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbendo il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'appello di Cagliari, sez. di (OMISSIS) in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE SECONDA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice dott.ssa Maria Filomena De Cecco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al N.R.G. 1966/2019, trattenuta in decisione all'udienza del 6.10.2022 con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, promossa da: (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa, anche disgiuntamente fra loro, dagli Avv.ti Si.Ci. ed An.Ma., entrambi del Foro di Firenze; -attrice- contro (...) (C.F. (...) ) rappresentata e difesa dall'Avv. Ro.La. del Foro di Firenze; -convenuta- CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE A seguito della sentenza non definitiva n. 497/2022, con la quale questo Giudice ha rigettato le domande proposte sub a), b) e c) delle conclusioni di (...), la causa è stata rimessa sul ruolo per lo svolgimento di CTU per l'accertamento della violazione delle norme sulle distanze legali denunciata dalla stessa (...) e, svolta la CTU, all'udienza del 6.10.2022 è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni sopra riportate, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli atti difensivi finali. La domanda di (...) volta all'accertamento della violazione da parte della convenuta (...) delle norme sulle distanze legali con riferimento alla piscina esterna interrata, ai due balconi aggettanti sul resede frontale e alla piantumazione di siepe ed alberi a ridosso del confine con la proprietà dell'attrice deve essere accolta per quanto di ragione. Ed invero, premesso che il CTU, geometra (...), ha dato atto che i regolamenti locali non contengono norme sulle distanze che possono interessare gli elementi per cui è causa e che pertanto le sue valutazioni sono state effettuate con riferimento a quanto sancito dal codice civile, in merito ai duebalconi realizzati da (...) sulla facciata del proprio immobile, posto in (...) n. 6, di fronte al resede a confine con quello di proprietà (...), il CTU ha accertato che i due balconi risultano allineati e sono posti al primo ed al secondo piano dell'edificio; che per gli stessi l'accesso è stato interdetto con l'installazione di una ringhiera posta nella mazzetta della portafinestra e che la distanza misurata dall'esterno del parapetto al confine con la proprietà (...) è risultata di mezzo metro, mentre l'art. 905 c.c. prevede la distanza di un metro e mezzo. Il consulente tecnico di parte convenuta ha contestato dette conclusioni evidenziando come i due balconi sarebbero in realtà delle pensiline atte a supportare il solo peso proprio, come attestato anche nella relazione di calcolo a firma dell'Arch. (...) allegata all'attestazione di conformità in sanatoria 129/PE/2018, e che avrebbero pertanto solo una funzione estetica, anche per l'impossibilità di accesso determinata dalla presenza della ringhiera posta nella mazzetta della portafinestra. Da ciò deriverebbe al più una veduta laterale ed obliqua - non quindi, diretta- la cui distanza, misurata dall'infisso verso l'altrui confine, è di circa cm. 85/90, nel pieno rispetto dell'art. 906 c.c., che prevede una distanza minima di cm 75, ma la presenza di persiane agli infissi, che occupano tutta la profondità della pensilina, impedisce anche detta veduta laterale. Il CTU ha tuttavia ritenuto la circostanza che i balconi non siano agibili totalmente ininfluente, confermando che i due balconi rientrano nella normativa dell'art. 905 c.c. che prevede la distanza dal confine di un metro e mezzo mentre la distanza misurata è di mezzo metro. Dette conclusioni non convincono. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, ricordato da entrambe le parti, la ratio posta a base delle disposizioni limitative dell'apertura di vedute sul fondo vicino si identifica nell'esigenza di tutelare il proprietario di quest'ultimo contro le molestie derivanti dall'altrui esercizio di vedute a troppo breve distanza, così da violare l'intimità della sua vita privata, di talché la ratio stessa viene meno allorquando, sebbene la distanza dell'opera, misurata con i criteri dettati dagli artt. 905 e 906 cod. civ., sia inferiore a quella minima prescritta, la possibilità della inspectio e della prospectio è esclusa in radice dall'esistenza di schermi o altri accorgimenti idonei ad impedire stabilmente e permanentemente l'una e l'altra. La stessa Corte ha inoltre più volte ribadito che l'eliminazione di vedute abusive, le quali consentono di prospicere et inspicere in alienum, non deve necessariamente essere disposta dal giudice mediante la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il corpus della violazione denunciata, ben potendo, invece, la violazione medesima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali, pur contemperando, giustapponendoli, i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso concreto (v. sentenze 9.7.1975 n.2699, 12.12.1978 n. 5894,11.5.1979 n. 2698, nonché 8.9.1970 n. 1320, 20.3,1975 n. 1061,29.12.1987 n. 9643). Ed è quanto mai evidente che, se è consentito eliminare la violazione disponendo validi accorgimenti, essa non è neppure configurabile qualora tali accorgimenti già esistano e siano idonei ad impedire ogni veduta (così tra le più chiare Cass. 1996/1450; nello stesso senso vedi anche Cass. 2005/2959 e 2006/9640). Nel caso che ci occupa il CTU ha dato conto e documentato con fotografie estremamente chiare la presenza di una ringhiera in ferro, fissata stabilmente e definitivamente nella mazzetta delle portefinestre di entrambi i balconi, che ne impedisce il loro utilizzo in quanto tali, non consentendo di accedervi, e la presenza di persiane agli infissi, che occupano tutta la profondità della pensilina - estremamente ridotta e inidonea a supportare il peso di persone- e che non possono aprirsi oltre la linea perpendicolare alla portafinestra stessa, così impedendo completamente anche una visione obliqua. Le caratteristiche strutturali dei due piccoli balconi e la presenza delle ringhiere e delle persiane che ne escludono l'idoneità all'inspicere e al prospicere in alienum, impediscono pertanto di ritenere integrata la violazione denunciata dall'attrice. Circa la piscina interrata costruita dalla stessa C. all'interno del resede di sua proprietà il CTU ha accertato che i lati che interessano i confini con la proprietà (...) sono il lato nord-est ed il lato sudest e che la distanza misurata fra la rete e il bordo interno della vasca va sul lato nord-est da metri 2,05 a metri 1,80 e sul lato sud-est da metri 2,85 a metri 3,20. Egli ha altresì precisato che la piscina interrata non è da considerare "costruzione" ai fini delle distanze e che per le piscine non esistono norme che disciplinino specificamente le distanze che le stesse devono avere dai confini, sicché l'unico articolo del codice civile che potrebbe essere applicato, per analogia, è l'art. 889 "Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi", che prevede una distanza dal confine al punto più vicino del perimetro interno di due metri, per cui, ove si ritenesse applicabile detta norma, il mancato rispetto riguarderebbe una linea obliqua che va da cm 0 a cm 20 sul lato nord-est. Tanto premesso deve rilevarsi che per le piscine completamente interrate nel terreno, quale quella che ci occupa, la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la piscina, quando sia completamente incassata nel terreno, e quindi sia priva di opere che la innalzano oltre il livello dello stesso, non è rilevante ai fini della violazione delle distanze legali, non configurando la stessa un corpo edilizio idoneo a creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità dell'ambiente collocato tra gli edifici (vedi TAR Campania 2015/3520). La normativa sulle distanze legali, infatti, essendo diretta ad evitare la formazione di stretti e dannosi spazi per evidenti ragioni di igiene, aereazione e luminosità, comporta la sua inapplicabilità relativamente ad un manufatto completamente interrato, qual è una simile piscina (cfr. TAR Lombardia 1988/428). Detta impostazione risulta confermata anche dalla giurisprudenza della Corte di legittimità che afferma che ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall'art. 873 e segg. c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente; e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall'uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione (Cass. 2014/9679; 2011/4277; 2007/20574). Quanto poi all'applicabilità in via analogica dell'art. 889 c.c. alle piscine interrate, la Cassazione ha ripetutamente affermato che "l'obbligo del rispetto delle distanze previsto per pozzi, cisterne e tubi può essere affermato anche per le opere non espressamente contemplate dalla norma dell'art. 889 cod. civ. (nella specie serbatoio), ma soltanto se sia accertata in concreto, sulla base delle loro peculiari caratteristiche, l'esistenza di una uguale potenzialità dannosa che imponga una parità di trattamento" (così Cass. 1986/3643 e sentenze ivi richiamate e Cass. 2010/25475), potenzialità dannosa che è stata espressamente esclusa dal CTU (a pag. 6 della sua relazione). Alla luce di quanto sopra deve pertanto escludersi che la piscina interrata per cui è causa abbia violato le norme sulle distanze legali. Per quanto concerne, infine, le piante lungo il perimetro del resede di proprietà C. a confine con quello di proprietà della (...), premesso che tutte le parti hanno concordato in sede di sopralluogo effettuato con il CTU che si tratta di siepe e non di essenze ad alto fusto, il CTU ha dato atto che i lati interessati dalla verifica sono gli stessi della piscina e che le distanze sono risultate le seguenti: sul lato nord-est la misura fra il tronco e la rete è di 30 cm; sul lato sud-est la misura fra il tronco e la rete è di 20 cm. Da quanto sopra discende che dette piante violano il disposto dell'art. 892, comma 1, n. 3 c.c., che per le siepi impone di osservare la distanza minima dal confine di 50 cm, sicché deve essere ordinata alla convenuta la loro retrocessione alla distanza legale dal confine con la proprietà (...). Deve infine darsi atto che in ordine alla domanda proposta da (...) sub e) delle conclusioni formulate in citazione, ella non ha provato, né chiesto di provare nulla, né nulla ha dedotto in nessuna delle comparse conclusionali e memorie di replica depositate, né l'ha riproposta in sede di precisazione delle conclusioni all'udienza del 6.10.2022, sicché la stessa deve intendersi rinunciata. Atteso l'accoglimento solo di una delle domande formulate dall'attrice sub a), b), c) e d), si ravvisano giusti motivi compensare le spese di lite tra le parti in misura di un quinto, ponendo i restanti quattro quinti a carico dell'attrice, spese liquidate per l'intero come in dispositivo, in base ai parametri medi di cui al paragrafo 2 delle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 1947 per lo scaglione indicato dall'attrice al momento dell'iscrizione della causa al ruolo (da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00). Non possono, invece, essere riconosciute le spese per la consulenza tecnica di parte richieste dalla convenuta, in mancanza di prova dell'esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi escludere che l'assunzione dell'obbligazione sia sufficiente a dimostrare il pagamento (così, da ultimo, Cass. 2022/21402). Le spese di CTU, come già liquidate, vengono invece poste per due terzi a carico definitivo dell'attrice e per un terzo a carico definitivo della convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Firenze, definitivamente decidendo, RIGETTA la domanda di (...) con riferimento alla piscina esterna interrata e ai due balconi aggettanti sul resede frontale, mentre la ACCOGLIE con riferimento alla siepe lungo il perimetro del resede di proprietà C. a confine con quello di proprietà della (...) e per l'effetto CONDANNA (...) alla retrocessione della siepe alla distanza di almeno 50 cm. dal confine con la proprietà (...) o alla sua eliminazione; DICHIARA le spese di lite compensate tra le parti nella misura di un quinto, e CONDANNA (...) a rifondere a (...) i restanti quattro quinti, spese che liquida per l'intero in Euro 5.077,00 per onorari, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. PONE le spese di CTU, come già liquidate, per due terzi a definitivo carico di (...) e per un terzo a definitivo carico di (...). Così deciso in Firenze il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE VIII CIVILE - SECONDO COLLEGIO La Corte, nelle persone dei Magistrati: dott. GIUSEPPE STAGLIANO' Presidente dott.ssa GEMMA CARLOMUSTO Consigliere dott.ssa BIANCAMARIA D'AGOSTINO Giudice Ausiliario rel. riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2195 R.G.C. dell'anno 2018, rimessa in decisione all'udienza collegiale del 14 luglio 2022, vertente TRA (...) elettivamente do.to in Roma alla Via (...), presso lo Studio dell'Avv. Ma.Ba., che lo rappresenta e difende come da procura in atti - Appellante - E Condominio di Via (...) in persona del legale rappresentante pro tempore elett.te dom.to in Roma Viale (...) n. 35 presso lo studio dell'Avv. Se.Gu., che lo rappresenta e difende come da procura in atti - Appellato - OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20089/2017 CONCLUSIONI: come in atti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20089/2017 che - a definizione del giudizio R.G. n. 69075/2013 proposto dallo stesso nei confronti del Condominio di Via (...), n. 30 ed avente ad oggetto l'impugnazione della delibera dell'assemblea condominiale del 16.09.2013 - aveva respinto la domanda attorea con condanna al pagamento delle spese di lite. Parte appellante censurava la sentenza impugnata nei motivi di gravame chiedendone la riforma e concludendo affinché la Corte, contrariis reiectis, volesse così provvedere: "in totale riforma della sentenza quivi impugnata, dichiarare la nullità e/o annullabilità delle delibere di cui ai punti 6 e 7 dell'O.D.G. adottate dall'Assemblea del Condominio di Via (...) n. 30 in Roma il 16.09.2013, avendo il consesso condominiale approvato il consuntivo per l'esecuzione di opere di rifacimento dei frontalini e dei parapetti esterni dei balconi, di proprietà esclusiva, imputando, illegittimamente, la spesa tra tutti i condomini, contrariamente a quanto statuito dall'art. 14 del regolamento Condominiale, nonché in violazione delle norme dettate in materia, ex art. 117 c.c. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di entrambi i gradi di giudizio". Si costituiva l'appellato Condominio concludendo per il rigetto dell'appello, la conferma della gravata sentenza con vittoria delle spese di lite del grado. All'udienza collegiale del 14 luglio 2022, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con termine per memorie conclusionali e repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE Nel primo motivo di gravame l'appellante lamenta l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia per aver il giudicante di prime cure ritenuto irrilevante ai fini della decisione, senza neppure menzionarlo nel decisum, il regolamento di condominio, che all'art. 14 lett. B poneva a carico dei proprietari esclusivi dei balconi le spese di riparazione degli stessi "per evitare la rovina anche parziale o il distacco di elementi che li compongono". La doglianza è priva di pregio e va respinta, poiché il regolamento condominiale all'art. 14 regola fattispecie diversa da quella in esame, in particolare disciplinando l'attribuzione delle spese di manutenzione straordinaria dei balconi aggettanti di proprietà esclusiva dei singoli condomini ma senza riferirsi per ciò stesso anche ai frontalini, che costituiscono invero la parte più esterna dei balconi e possono avere una specifica valenza anche estetica rispetto alla facciata dell'intero fabbricato ed essere assoggettati ad una disciplina normativa ad hoc. Nel secondo motivo di gravame l'appellante si duole dell'erronea applicazione dell'art. 1117 c.c., poiché nella fattispecie in esame i frontalini sarebbero dei semplici prolungamenti di cemento armato dell'appartamento dal quale protendono, senza contribuire in alcun modo ad imprimere all'estetica dell'edificio una determinata fisionomia. La doglianza è destituita di fondamento e va respinta. Secondo univoco orientamento della Suprema Corte, le spese per la manutenzione dei frontalini sono a carico di tutti i condomini e non solo dei proprietari dei balconi, costituendo parti comuni ex art. 117 c.c., laddove svolgono una funzione di tipo estetico rispetto all'intero stabile: "In tema di condominio, gli elementi esterni, quali i rivestimenti della parte frontale (c.d. frontalini) e di quella inferiore, e quelli decorativi di fioriere, balconi e parapetti di un edificio, svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero stabile, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3), c.c., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno" (Cassazione civile sez. II, 19/09/2017, n. 21641). Nella specie, dalle foto allegate in atti si rileva che la facciata esterna del fabbricato, pur non essendo di particolare pregio architettonico, è tuttavia resa armonica, gradevole e dinamica proprio dalla presenza dei rivestimenti della parte frontale e perciò questi ultimi, i cd. frontalini, vanno qualificati beni comdominiali ed assoggettati alla disciplina di cui all'art. 1117 c.c.. La censura sollevata dell'appellante non appare pertanto alla Corte sussistente in relazione ai motivi dedotti, ritenendosi corretto ed immune da censura l'iter logico giuridico seguito dal giudice di prime cure, che ha legittimamente respinto la domanda attorea con decisione condivisibile nella sua parte motiva. L'appello va pertanto integralmente respinto, restando assorbita ogni altra questione. Le spese di lite seguono la soccombenza, con condanna dell'appellante al pagamento delle stesse in favore dell'appellato Condominio come liquidate in dispositivo, secondo le tariffe professionali vigenti con gli importi medi delle voci dello scaglione di riferimento, esclusa la fase istruttoria. Sussistono altresì i presupposti di cui all'art. 1 comma 17 L. 228/12 per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. Respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 20089/2017; 2. Condanna l'appellante al pagamento in favore dell'appellato Condominio delle spese di lite del grado, che liquida in complessivi Euro 3.770,00, oltre accessori di legge; 3. dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1 comma 17 L. 228/12 per il versamento, da parte dell'appellante dell'ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato. Così deciso in Roma il 23 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ANCONA PRIMA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Ancona - I sezione civile- composta dai seguenti magistrati: Dott. Gianmichele Marcelli - Presidente Dott. Pier Giorgio Paslestini - Consigliere Dott.ssa Annalisa Gianfelice - Consigliere Rel. Ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile in secondo grado, iscritta a ruolo al n. 695/2019 e promossa DA CURATELA FALLIMENTO (...) S.R.L. in persona del Curatore Avv. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Re.Co. del Foro di Ancona - APPELLANTE - CONTRO CONDOMINIO VIA (...) A/B A. in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Si.Ro. del Foro di Macerata APPELATO - APPELLANTE INCIDENTALE - e (...) rappresentata e difesa dall'Avv. Roberta Boccardo del Foro di Ancona APPELLATA - OGGETTO: appello avverso la sentenza n.30/2019 pubblicata il 18.01.2019 emessa dal Tribunale di Ancona in materia di appalto. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Condominio Via(...) 3 a/b di A. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 593 del 2016 emesso dal Tribunale di Ancona, con cui veniva ad esso ingiunto il pagamento della somma pari ad Euro 35.996,71, oltre accessori, dovuta a titolo di saldo del corrispettivo maturato in relazione ai lavori di manutenzione straordinaria eseguiti presso l'immobile condominiale sito in A. in Via(...) 3, in forza delle fatture n. (...) e n. (...) dell'anno 2009 e n. 2 del 21.1.2010. Si costitutiva in giudizio, a mezzo di comparsa con istanza di chiamata di terzo, Curatela del Fallimento (...) S.r.l. argomentando l'infondatezza dell'opposizione e chiedendone il rigetto. Si costitutiva la terza chiamata (...), proprietaria di due unità immobiliari site nel Condominio, deducendo il mancato assolvimento dell'onere probatorio a carico di parte opposta e contestando il criterio di ripartizione delle spese straordinari e concludeva chiedendo il rigetto della domanda di manleva avanzata da parte opponente. Ad esito del giudizio, istruita la causa mediante prova per testi, veniva emessa la sentenza gravata con la quale il Tribunale di Ancona accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto. In particolare, il Giudice, da un lato rilevava l'infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo all'amministratore dell'intero condominio, ritenuto quale unico soggetto fornito di rappresentanza processuale in ordine a qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio; dall'altro lato rilevava la fondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Condominio in ordine all'obbligazione dedotto in giudizio. Nello specifico, il Giudice interpretando i principi di diritto enunciati nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 9148 del 2008, argomentava che, dovendosi ritenere la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall'appaltatore retta dal criterio della parziarietà, l'obbligazione assunta nell'interesse del condominio avrebbe dovuto essere imputata ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall'art. 1123 c.c., non essendo tale norma limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese. Riteneva, pertanto, che la Curatela avrebbe dovuto agire nei confronti di ciascun condomino inadempiente, nei limiti della rispettiva quota. Avverso la sentenza ha proposto appello Curatela del Fallimento (...) S.r.l. con i motivi indicati come in parte motiva; si è costituito Condominio Via(...) 3 a/b A. contestando il gravame in quanto infondato in fatto ed in diritto e proponendo contestualmente appello incidentale in punto di spese processuali; si è costituita (...) contestando il gravame in quanto infondato in fatto ed in diritto e chiedendone il rigetto. All'udienza del 19.4.2022 la causa è stata trattenuta a sentenza a seguito del deposito di note telematiche. Per ragioni di carattere logico-giuridico questo Collegio ritiene opportuno esaminare in primo luogo il secondo motivo di gravame con cui l'appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui, dalla natura parziaria delle obbligazioni condominiali - non contestata dalla Curatela - ha fatto conseguire la carenza di legittimazione passiva del condominio. In particolare, argomenta parte appellante come sia diritto del creditore richiedere ed ottenere un titolo esecutivo nei confronti del Condominio, nella persona dell'amministratore, salvo poi metterlo in esecuzione pro quota solo sui singoli condomini morosi, previa notifica agli stessi, anche se costoro non sono specificatamente indicati nel titolo. Il motivo è fondato. A riguardo questa Corte rileva che non è in discussione il principio espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui "ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà" (Cfr. Cass. S.U. n. 9148 del 2008; Cass. n. 13505 del 2019). Tuttavia, secondo quanto correttamente osservato da Cass. n. 27363 del 2018 "la natura parziaria dell'obbligazione, alla luce delle nuove disposizioni codicistiche, non esclude che il creditore possa evocare in giudizio, alternativamente, i singoli condomini morosi oppure il Condominio in persona dell'amministratore pro tempore, conseguendo, in tal modo, un titolo da mettere in esecuzione avverso i singoli condomini per la quota di rispettiva competenza, operando la parziarietà come regola di imputazione interna del debito" (Cfr. Trib. Lamezia Terme n. 652 del 2020). Ebbene, a corroborare in maniera decisiva tale prospettazione interpretativa, deve porsi la conclusione a cui sono pervenute le stesse Sezioni Unite nella pronuncia su menzionata, secondo le quali "il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno". A fronte di tali considerazioni, dunque, appare evidente il fraintendimento in cui è caduto il Giudice di prime cure in quanto i principi delineati dalle Sezioni Unite sono volti ad ed evitare la richiesta in giudizio dell'intero importo in via solidale ad un solo condomino non avendo in effetti mai espresso un orientamento come quello fatto proprio nella pronuncia di prime cure, ritenendo carente di legittimazione passiva il Condominio. Infatti, le azioni precluse secondo il sistema introdotto dal legislatore con la L. n. 112 del 2012 sono due: aggredire i beni dei condomini virtuosi senza prima aver escusso quelli morosi, a fronte del novellato art. 63, co. 2, disp. att c.c. che, in ogni caso, non può trovare applicazione nel caso di specie ratione temporis; agire contro un singolo condomino (virtuoso o meno) per l'intero credito. In definitiva, nel caso in cui l'amministratore condominiale stipuli un contratto con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, rispettivamente riguardanti l'intero debito (condominio) e le singole quote dei condomini, tenuti al relativo pagamento in ragione e nella misura della partecipazione al condominio. Come correttamente osservato dalla maggioranza della giurisprudenza di merito e legittimità, se anche l'obbligazione è parziaria, non si crea un limite al diritto di azione del creditore: questi può indifferentemente chiamare in giudizio i singoli condomini morosi o il condominio perché, in entrambi i casi, ottiene un titolo da porre in esecuzione nei confronti dei singoli condomini per la quota di rispettiva competenza, operando la parziarietà come regola di imputazione interna del debito. E, appunto, l'art. 63, co. 2, disp. att. c.c., nella novellata formulazione, sancisce che l'amministratore sia tenuto a indicare al terzo chi sono i condomini morosi ai fini dell'esecuzione forzata oltre a stabilire che non si può aggredire i virtuosi se non in caso di insuccesso dell'esecuzione intrapresa nei confronti dei morosi. Pertanto, è possibile procedere a esecuzione forzata nei confronti del singolo condominio sulla scorta di un titolo formatosi contro il condominio (Cfr. Cass. n. 199 del 2017; Trib. Roma n. 3270 del 2020). La fondatezza del secondo motivo di appello ha carattere assorbente delle censure mosse nel primo motivo, con cui la Curatela lamenta la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell'art. 101 co. 2, c.p.c., argomentando che, pur essendo pacifico che l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, prima di statuire su di essa il Giudice avrebbe dovuto disporre l'assegnazione di un termine al fine della instaurazione del contraddittorio tra le parti sulla questione ritenuta dirimente. Valgano le considerazioni formulate in merito al primo motivo di gravame. Sul punto il Collegio si limita, ad abundantiam, ad osservare che secondo Cass. n. 11724 del 2021 "l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, stabilito dall'art. 101, comma 2, c.p.c., non riguarda le questioni di solo diritto, ma quelle di fatto ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese". Con il terzo ampio motivo di gravame parte appellante ripropone le proprie difese già formulate in primo grado, relativamente all'eccezione formulata dal condominio opponente - odierno appellato - in ordine alle allegazioni probatorie della (...) S.r.l. a dimostrazione del proprio credito. In particolare, la Curatela argomenta come mai prima dell'opposizione il Condominio avesse contestato il credito vantato dalla società né mai avesse denunciato la presenza di vizi di difformità dei lavori di manutenzione straordinaria eseguiti. Ritiene, pertanto, di non essere tenuta ad assolvere il proprio onere probatorio stante la natura di ricognizione di debito delle dichiarazioni contenute nel fax del 21.03.2011 a firma della allora Amministratore di Condominio (ved.si doc. 12 fascicolo monitorio). Lamenta, inoltre, l'intervenuta decadenza da parte del Condominio in relazione alla domanda di accertamento di responsabilità per vizi ex art. 1669 c.c., eccependone ad ogni modo la genericità nel merito. Il motivo è fondato. È pacificamente acquisito in giurisprudenza (Cfr. Cass. S.U. n. 7448 del 1993; Cass. n. 17371 del 2003) che l'opposizione ex art. 645 c.p.c. non introduca un giudizio autonomo e neppure un grado autonomo, ma costituisca solo una fase del giudizio già pendente a seguito del ricorso per ingiunzione proposto dal creditore, giudizio che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario ed ha ad oggetto la domanda proposta dal creditore in via monitoria. Ciò comporta, in effetti, che a seguito di opposizione, il giudizio da sommario si trasforma in giudizio a cognizione piena e, pertanto, il creditore-opposto (attore in senso sostanziale) ha l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto vantato e, in particolare, l'esistenza e la misura del credito, e il debitore-opponente (convenuto in senso sostanziale) deve dare dimostrazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito ex adverso fatto valere, se eccepiti. Ebbene, in materia di appalto, questa Corte ritiene appena il caso di ricordare che "l'appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha, in effetti, l'onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura, dell'entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell'ammontare del credito le fatture emesse dall'appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte" (Cfr. ex multis, Cass. n. 33575 del 2021; Cass. n. 26517 del 2018; Cass. n. 10860 del 2007). Più dettagliatamente, giova richiamare il principio di diritto affermato in giurisprudenza secondo cui "in materia di corrispettivo dovuto per l'appalto privato, laddove il committente contesti l'entità del dovuto, non costituisce prova del credito vantato dall'appaltatore, la fattura dallo stesso emessa, trattandosi di documento di natura fiscale, valido come prova scritta a soli fini della concessione del decreto ingiuntivo ma che, trattandosi di documento proveniente dalla parte, non costituisce prova del credito contestato nel giudizio di merito conseguente all'opposizione, governato, quanto ai principi della prova e del relativo onere, dalle regole comuni. Allo stesso modo, in detto giudizio, la prova del credito vantato dell'appaltatore non può essere tratta dalla contabilità del direttore dei lavori, se non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l'abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali" (Cfr. Cass. n. 10860 del 2007; Trib. Firenze n. 54 del 2021). Ebbene, alla luce dei principi richiamati, non vi è dubbio che nel caso di specie i documenti prodotti debbano ritenersi idonei a fornire la prova della conoscenza del committente dell'entità dei lavori complessivamente svolti e, correlativamente, il corrispettivo dovuto dalla committenza. In particolare, deve rilevarsi come l'opera sia stata verificata dal Direttore dei Lavori ed il Condominio abbia provveduto ad approvare, in sede di assemblea, la contabilità relativa ai lavori senza riserve - come emerge dal tenore letterale del fax del 21.3.2011(ved.si doc.12 fascicolo monitorio)- manifestando la volontà di accettare l'opera, quanto meno per facta concludentia. Sul punto la Corte di legittimità ha avuto modo di precisare che "in tema di appalto, l'art. 1665c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto concludente la "ricezione senza riserve" da parte di quest'ultimo anche se "non si sia proceduto alla verifica". I soli pagamenti eseguiti dal committente a titolo di acconto, sulla base dell'avanzamento dei lavori, non sono idonei, in sé, a supportare l'assunto della sussistenza della intervenuta accettazione tacita dell'opera, neppure per "facta concludentia", in assenza di qualunque richiamo a una effettiva consegna dell'opera medesima" (Cfr. Cass. n. 13224 del 2019). Nel caso di specie, è pacifica la consegna dell'opera- realizzatasi nel caso specifico con la messa a disposizione del bene a favore del committente -e la ricezione senza riserve da parte del committente che, come già chiarito, può avvenire anche senza formule sacramentali, ricorrendo anche nel caso in cui il committente compia un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettarla e che sarebbe incompatibile con quella di rifiutarla. Decisivo, sul punto appare il tenore della raccomandata a/r del 27.7.2010 (ved.si doc. 3 e 4 comparsa di costituzione Curatela primo grado), in cui l'Amministrazione condominiale ha dichiarato per iscritto di riconoscere l'ammontare del debito che il Condominio doveva corrispondere alla (...) S.r.l., imputabile a (...) in base a quanto deliberato dall'assemblea, nonché la correttezza nella esecuzione delle opere realizzate. Nella missiva, mai contestata durante il giudizio- viene richiamato l'importo dovuto dalla Sig.ra (...), pari ad Euro 41.091,24 e viene altresì riconosciuto l'avvenuto versamento da parte della stessa di Euro 6.759,75 in data 18.12.2009 ed Euro 1.852,00 in data 12.07.2010 - così come comprovato dalla documentazione prodotta ed allegata alla raccomandata. Pertanto, tale documento ben può considerarsi come accettazione dell'opera e, nel contempo, come un riconoscimento del debito, atteso che "il riconoscimento del debito, ex art.1988 c.c., non esige formule speciali e può risultare anche implicitamente da un atto compiuto dal debitore per una finalità diversa dall'effetto ricognitivo, oppure può essere rivolto ad un terzo, purché rechi la manifestazione della consapevolezza dell'esistenza del debito e abbia il carattere della volontarietà" (Cfr.ex multis, Trib. Livorno n. 471 del 2021; Cass. Ord. n. 9097 del 2018; C.App. Napoli n. 3536 del 2020). È opportuno ricordare che è ormai principio consolidato in giurisprudenza che "il riconoscimento di debito non ha efficacia sostanziale, ma meramente processuale: esso determina l'inversione dell'onere della prova a carico del debitore, in deroga all'ordinario regime per cui spetta a chi agisce in giudizio per far valere un credito provare i fatti costitutivi e l'importo dello stesso; ne discende che spetta al debitore provare l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa di controparte; ha cioè l'onere di dimostrare che le somme richieste non sono dovute, o per essere le stessa già state onorate, o per non avere il creditore svolto, in tutto o in parte, le prestazioni dedotte" (Cfr. Cass. n. 24451 del 2020). A tale onere probatorio l'opponente - odierno appellato - non ha adempiuto, limitandosi a contestare, per la prima volta in sede di opposizione, l'importo richiesto dalla Curatela. Si consideri, ad ogni modo, che le fatture non sono mai state contestate da parte appellata né per quello che riguarda i lavori eseguiti né per quanto concerne gli importi fatturati, potendosi, pertanto, ritenere acquisita la prova della sussistenza del diritto del corrispettivo in merito. Ed ancora, a corroborare le conclusioni raggiunte si richiama la testimonianza del Direttore dei Lavori, Geom. (...), il quale ha chiarito la circostanza per cui la fatturazione della (...) S.r.l. e il successivo pagamento da parte del Condominio avvenissero in base ai SAL da lui redatti in qualità di direttore dei lavori, così come espressamente stabilito, peraltro, nell'art. 14 del contratto di appalto. Sul punto si osserva che "in tema di appalto, i "SAL" che certificano lo stato di avanzamento dei lavori, fondamentali per la corretta tenuta della contabilità, possono essere considerati prova del diritto dell'appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantità di lavori eseguiti e prezzi applicati, che l'opera è difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta. Essi, dunque, acquistano piena prova dei fatti descritti, salva prova contraria" (Cfr. C.App. Firenze n. 1292 del 2921). Né tale prova contraria è stata fornita da parte appellata, gravata del relativo onere anche per il principio di vicinanza della prova, allegando il Condominio la presenza di non meglio precisati vizi dell'opera in maniera del tutto generica, affermando la scarsa qualità del lavoro eseguito. Infatti, in tema di vizi e difetti dell'opera appaltata fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche "per facta concludentia", spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate" (Cfr. Sezioni Unite n. 11748/2019). L'accoglimento dell'appello principale comporta l'assorbimento delle ragioni di gravame esposte nell'appello incidentale, relative alla compensazione delle spese disposte disposta dal giudice di prime cure. Va accolta infine la richiesta di manleva avanzata dal Condominio nei confronti di (...), atteso che Il convenuto vittorioso in primo grado, a fronte del rigetto della domanda di manleva, formulata in via logicamente subordinata nei confronti di un terzo chiamato in garanzia, come effetto riflesso del rigetto della domanda risarcitoria avanzata dall'attore, non ha l'onere di proporre nel giudizio di appello, un'impugnazione incidentale potendo limitarsi a riproporre la domanda di manleva non accolta, in base alla disciplina dell'art. 346 c.p.c. sulla riproposizione delle domande o eccezioni non accolte in primo grado. (cfr. Cassazione civile sez. III, 27/06/2011, n. 14090). Sul punto va osservato che la morosità del condomino è provata, atteso che la terza chiamata V. ha formulato contestazioni relative ai lavori nei confronti dell'impresa appaltatrice - con argomentazioni che vanno disattese per i medesimi motivi sopra esposti - ed ai criteri di ripartizione delle spese con riguardo ai balconi, chiedendo l'applicazione per il riparto delle tabelle millesimali, con argomentazione che va disattesa a fronte di Cassazione sentenza 1156/2015, secondo cui i balconi cosiddetti aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, sono di proprietà esclusiva del proprietario di questa, dovendosi considerare comuni solo gli elementi decorativi delle parte frontale ed inferiore del manufatto, qualora si inseriscano nella facciata di prospetto dell'edificio (cfr. Cassazione, sentenza 6624/2012), con la conseguenza che le spese di manutenzione sono a carico del proprietario. Va dato atto, ai fini della manleva, dell'avvenuto pagamento da parte della V. della somma di Euro 9.246,60, pagamento ammesso nella comparsa di costituzione in appello. In conclusione l'appello principale va accolto, e in totale riforma della sentenza di primo grado va rigettata l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal Condominio appellato; va invece disatteso l'appello incidentale del Condominio e accoltala domanda di manleva del medesimo nei confronti di (...). La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue la soccombenza in ossequio al disposto dell'art. 91 c.p.c.. P.Q.M. La Corte d'Appello definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Curatela Fallimento (...) S.r.l. nei confronti di Condominio Via(...) 3 a/b di A. e di (...) avverso la sentenza in epigrafe, nonché sull'appello incidentale proposto da Condominio Via(...) 3 a/b di A., così provvede: - accoglie l'appello proposto da Curatela Fallimento (...) S.r.l. e per l'effetto in riforma della sentenza gravata, rigetta l'opposizione a decreto ingiuntivo; - dichiara (...) tenuta a manlevare Condominio Via(...) 3 a/b di A. di tutti gli esborsi dipendenti dalla presente pronuncia eccedenti la somma di Euro 9.246,60; - condanna Condominio Via(...) 3 a/b al pagamento, a favore dell'appellante delle spese di lite del primo grado di giudizio che si liquidano in Euro 875,00 per la fase di studio, in Euro 740,00 per la fase introduttiva, in Euro 1.600,00 per la fase istruttoria, in Euro 1.620,00 per la fase decisionale, oltre rimborso spese generali nella misura massima, iva e cap per legge; -condanna Condominio Via(...) 3 a/b al pagamento, a favore dell'appellante delle spese di lite del secondo grado di giudizio che si liquidano in Euro 1.960,00 per la fase di studio, in Euro 1.350,00 per la fase introduttiva, in Euro 3.305,00 per la fase decisionale, oltre rimborso spese generali nella misura massima, iva e cap come per legge; - condanna (...) al pagamento, a favore Condominio Via(...) 3 a/b delle spese di lite del primo grado di giudizio che si liquidano in Euro 875,00 per la fase di studio, in Euro 740,00 per la fase introduttiva, in Euro 1.600,00 per la fase istruttoria, in Euro 1.620,00 per la fase decisionale, oltre rimborso spese generali nella misura massima, iva e cap per legge; -condanna (...) al pagamento, a favore di Condominio Via(...) 3 a/b, delle spese di lite del secondo grado di giudizio che si liquidano in Euro 1.960,00 per la fase di studio, in Euro 1.350,00 per la fase introduttiva, in Euro 3.305,00 per la fase decisionale, oltre rimborso spese generali nella misura massima, iva e cap come per legge; - sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato nei confronti del Condominio appellante incidentale. Così deciso in Ancona il 19 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 25 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Roma, Sezione Ottava civile, composta dai magistrati: dott. Nicola Pannullo - Presidente dott. Gisella Dedato - Consigliere dott. Paolo Russo - Consigliere rel. riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 6601 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2017 e vertente TRA (...), elettivamente domiciliato in Roma, piazza (...) presso lo studio degli avv.ti Ri.Ca. e Be.Co. che lo rappresentano e difendono per procura a margine dell'atto di citazione APPELLANTE E Condominio di via (...), R., elettivamente domiciliato in Roma, viale (...) presso lo studio dell'avv. En.Ba. che lo rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta APPELLATO Oggetto: appello avverso la sentenza n. 15663/2017 del Tribunale di Roma RAGIONI DELLA DECISIONE Con la sentenza n. 15663/2017 del 02/08/2017, non notificata, il Tribunale di Roma, pronunciando nel giudizio instaurato da (...) nei confronti del Condominio di via (...) in R. al fine di ottenere la pronuncia di nullità/annullabilità ed illegittimità della delibera assembleare del 10/07/2014 per violazione dei criteri di riparto della spesa inerente il rifacimento dei balconi, frontalini e parapetti esterni dell'edificio condominiale, ha respinto la domanda ed ha condannato l'attore a rimborsare al convenuto le spese di lite. A fondamento della decisione il giudice di primo grado, dopo aver richiamato i principi giurisprudenziali in materia di ripartizione delle spese di rifacimento dei balconi aggettanti, ha ritenuto infondata la contestazione dell'attore in ordine all'invalidità della delibera impugnata. Con atto di citazione notificato il 04/10/2017 (...) ha proposto appello, deducendo l'erroneità e l'ingiustizia della predetta sentenza e chiedendo che la Corte, in riforma della sentenza, voglia accogliere la domanda e pronunciare la nullità/annullamento della delibera condominiale del 10/07/2014. Si è costituito in giudizio l'appellato, che ha eccepito preliminarmente ed ha contestato nel merito i motivi di impugnazione articolati dalla controparte, chiedendo il rigetto dell'appello. All'esito della verifica della costituzione delle parti, all'udienza collegiale del 24/03/2022 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 352 c.p.c., con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. L'appellante sostiene che la sentenza impugnata è oggettivamente carente di motivazione ed evidenzia la contraddittorietà del provvedimento rispetto ai richiamati principi giurisprudenziali. Deduce che è del tutto assente un ragionamento logico-giuridico che possa spiegare come il Giudicante, dopo avere citato giurisprudenza favorevole alle tesi dell'attore, abbia sovvertito completamente la decisione, rendendo una pronuncia di segno diametralmente opposto a quanto avrebbe dovuto. Afferma infatti l'appellante che alla luce dello stato dei luoghi ben rappresentato dalle fotografie in atti, i balconi facenti parte dello stabile condominiale di Via F. 9 - 11 non possono essere inquadrati nella categoria di beni di natura condominiale, non possedendo gli stessi alcun pregio estetico o funzione di abbellimento della facciata dell'edificio; infatti, detti balconi sono costituiti da un semplice piano di calpestio cinto da ringhiera in metallo avente funzione di parapetto e sono prive di rifiniture di sorta e non dotate di alcun tratto ornamentale che possa contribuire a rendere il prospetto dell'edificio esteticamente più gradevole. L'appellato contesta le deduzioni della controparte, sostenendo che i frontalini dei balconi ed i relativi elementi decorativi che li caratterizzano, anche per il solo fatto di essere stati costruiti con caratteristiche uniformi, hanno una funzione ben precisa nell'estetica e nel decoro architettonico del fabbricato condominiale. Evidenzia come vi sia, inoltre, una precisa continuità lineare tra fasce marcapiano e frontalini, tale da far supporre una chiara volontà progettuale di rendere in un insieme unitario i ritmi scanditi dai balconi con gli altri elementi orizzontali della facciata e di non considerare, pertanto, i balconi stessi come entità autonome ed isolate dal contesto architettonico della facciata. Conclude, quindi, che correttamente il Condominio appellato ha ripartito le spese per gli elementi esterni assimilabili alla facciata (es. frontalini - fasce marcapiano) tra tutti i condomini in proporzione alle singole quote di proprietà, e le spese per la manutenzione degli elementi interni del balcone (es. piano di calpestio) esclusivamente al singolo condomino proprietario del balcone. Orbene, è necessario premettere che i balconi, essendo elementi accidentali, privi di funzione portante rispetto alla struttura del fabbricato e non essendo destinati all'uso comune, ma soltanto all'uso e godimento di una parte dell'immobile oggetto di proprietà esclusiva, non costituiscono parti comuni dell'edificio, ma devono considerarsi appartenenti esclusivamente al proprietario dell'unità immobiliare corrispondente, della quale costituiscono naturale prolungamento e pertinenza (v. Cass. 29.10.1992 n. 11775, 23.06.1995 n. 7148). Nei balconi possono - eventualmente - anche ricorrere elementi decorativi che costituiscano un ornamento della facciata, assimilabili, per tale loro funzione - ai sensi dell'art. 1117 c.c. - alle parti comuni dell'edificio; però non solo la individuazione di tali elementi, ma anche la loro funzione architettonica e il conseguente regime di appartenenza (condominiale, se assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio, di pertinenza dell'appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo al decoro di quest'ultimo) non possono definirsi in astratto, ma devono essere effettuati in concreto, caso per caso, in base al criterio della loro funzione prevalente. Ed infatti, secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, in tema di condominio negli edifici, i balconi aggettanti, in quanto "prolungamento" della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, dovendosi considerare beni comuni a tutti soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Ne consegue che le spese relative alla manutenzione dei balconi, comprensive non soltanto delle opere di pavimentazione, ma anche di quelle relative alla piattaforma o soletta, all'intonaco, alla tinta ed alla decorazione del soffitto, restano a carico del solo proprietario dell'appartamento che vi accede, e non possono essere ripartite tra tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (cfr. Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624; Cass. Sez. 2, 17/07/2007, n. 15913; arg. anche da Cass. Sez. 2, 14/12/2017, n. 30071). Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, l'assemblea condominiale non può, infatti, validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni: perciò, nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, viene ritenuta nulla la deliberazione che disponga, appunto, in ordine al rifacimento della relativa pavimentazione (Cass. 15/03/2017, n. 6652; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576). Pertanto, solo laddove i balconi rechino rivestimenti esterni o elementi decorativi ed ornamentali tali da conferire al fabbricato un profilo estetico più gradevole, tali parti dei balconi debbono considerarsi comuni (Cass. 218/11, Cass. 587/11 e Cass. 21641/17). Tuttavia, l'individuazione di tali elementi, la loro funzione architettonica e il conseguente regime di appartenenza, dovendo fondarsi sulla loro idoneità ad assolvere alla funzione di rendere esteticamente gradevole l'edificio, non possono essere oggetto di un riscontro in astratto, ma devono essere frutto di una verifica in concreto, in base al criterio della loro funzione precipua e prevalente. Diversamente opinando dette parti dell'edificio sarebbero sempre beni comuni, ma ciò sarebbe in contrasto con le citate sentenze, nelle quali la S.C. ha precisato che l'accertamento della natura del balcone al fine di poterlo includere fra i beni comuni deve essere effettuato caso per caso e che i rivestimenti dei balconi in aggetto devono svolgere una funzione estetica non in quanto tali ma per le loro caratteristiche estrinseche. Ebbene, nel caso in esame non si riscontrano elementi di decoro sui balconi in aggetto (v. citate fotografie prodotte dall'attore), mancando l'apposizione di qualsivoglia fregio o elemento decorativo di pregio, tale da far ritenere i balconi parti integranti della facciata, in quanto idonei a determinare una particolare fisionomia architettonica dello stabile. Trattasi infatti di balconi muniti di semplici parapetti, del tutto anonimi e privi di elementi decorativi, e di ringhiere che non migliorano il decoro dell'edificio. Pertanto, in accoglimento dell'appello e in riforma della sentenza impugnata, di deve dichiarare che l'impugnata delibera, nella parte in cui l'assemblea ha approvato le spese straordinarie per la manutenzione dei balconi in aggetto presenti nell'edificio ripartendo la spesa fra tutti i partecipanti, risulta affetta da nullità per avere l'assemblea deciso una spesa non inerente la conservazione di beni comuni ma di proprietà esclusiva, avendo così agito, l'assemblea, al di fuori dei suoi poteri (art. 1135 c.c.). Le spese dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da prospetto che segue, con riduzione dei valori medi di cui alla tabella allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, come modificato con D.M. 8 marzo 2018, n. 37, tenuto conto della natura documentale e del grado di complessità della lite, delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare (decisum). P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) Accoglie l'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 15663/2017 pubblicata il 02/08/2017 e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara la nullità della delibera assembleare del Condominio di via (...) del 10.07.2014, con la quale l'assemblea ha ripartito, anche a carico dell'appellante (...), le spese per i lavori di manutenzione inerenti i balconi in aggetto. 2) Condanna il Condominio appellato al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite dei due gradi di giudizio, che si liquidano, per il giudizio di primo grado in Euro 518,00 per esborsi ed Euro 2.800,00 per compensi e, per il presente grado di giudizio, in Euro 777,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge. Così deciso in Roma il 21 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di L'Aquila riunita in camera di consiglio nelle persone dei sotto indicati Magistrati: Dott. Barbara Del Bono Presidente rel. Dott. Mariangela Fuina Consigliere Dott. Domenico Canosa Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. 1215/2015 R.G. promossa da: (...) APPELLANTE (...) Contro (...) APPELLATA per la riforma della sentenza n. 34/2015 resa dal Tribunale di Sulmona pubblicata in data 19 febbraio 2015. All'udienza tenutasi in data 08 febbraio 2022, svolta mediante trattazione scritta come disposto con provvedimento del Presidente di Sezione del 21 dicembre 2021, le parti hanno rassegnato le conclusioni mediante deposito di note scritte e la Corte tratteneva la causa in decisione assegnando termini ai sensi dell'art. 190 c.p.c. di sessanta giorni per comparse conclusionali e venni giorni per memorie di replica con ordinanza dell'8 febbraio 2022. FATTO E DIRITTO Con sentenza n. 35/2015 pubblicata in data 19 febbraio 2015 il Tribunale di Sulmona decideva in merito all'opposizione a decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, emesso per la somma di Euro 8.971.19. oltre interessi e spese della procedura, in favore della ditta individuale (...) di (...) odierna appellata, per il mancato pagamento dei lavori commissionatile nel mese di giugno 2012, eseguiti nel mese di luglio dello stesso anno, nei confronti del Condominio (...). Con il predetto atto di opposizione, quest'ultimo chiedeva di dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del Condominio con conseguente revoca del d.i. opposto. Il Condominio evidenziava che oggetto del di opposto erano i lavori svolti sulle proprietà esclusive dei singoli condomini, e, pertanto, non erano riferibili a lavori svolti sulle porti comuni. A conferma del proprio assunto, il Condominio evidenziava che con delibera assembleare del 2 gennaio 2013, resa all'unanimità, ciascun condomino avrebbe dovuto corrispondere le somme di esclusiva spettanza direttamente all'impresa, tanto è che l'opposta aveva accettato alcuni pagamenti dai singoli condomini, ed evidenziava che il documento sottoscritto dall'amministratore in data 28 febbraio 2013 non poteva costituire una ricognizione di debito ma una semplice attestazione della compiuta esecuzione dei lavori. Si chiedeva pertanto la revoca del decreto ingiuntivo con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio la (...) la quale, dopo la ricostruzione dei rapporti contrattuali intercorsi tra il Condominio e la Ditta evidenziava che in data febbraio 2013 l'allora amministratore di condominio riconosceva il debito contratto dall'ente di gestione per i lavori effettuati nel luglio 2012 e oggetto del d.i. opposto, (riparazione delle parti esterne delle balconate con rimozione scossaline di metallo, rimozione parti gonfie ed ammalorate, smaltimento con trasporto in discarica, rifacimento intonaci con prodotti (...) ricostruzione riporto sottostante frontalino, rifinitura bianca fratassata, fornitura e posa in opera dei materiali); il condominio non contestava l'effettiva esecuzione dei lavori riepilogati ne! documento contenente la ricognizione di debito, non contestava la natura condominiale dei lavori, l'esecuzione a regola d'arte dei lavori, non contestava l'entità della somma dovuta, non contestava di aver riconosciuto il debito per le prestazioni compiute. Veniva svolta attività istruttoria attraverso l'assunzione dell'interrogatorio formale del titolare della Ditta opposta, la causa veniva trattenuta in decisione. 1) La sentenza di primo grado: nel merito, il primo giudice rigettava l'opposizione, con conferma del d.i. opposto, e condannava l'opponente al pagamento non solo delle spese di lite ma anche alla corresponsione della somma di Euro 2.000.00 ai sensi dell'art. 96, 3°c., c.p.c.. Il Giudice riscontrava che doveva ritenersi provata sia la stipula del contratto di appalto tra l'amministratore di condominio e la ditta opposta sia l'esecuzione a regola d'arte delle opere, sia la misura del corrispettivo pattuito e non pagato, in quanto agli atti non vi era alcuna contestazione, non attribuendo alcun valore alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal titolare della ditta opposta in quanto questi non aveva reso dichiarazioni contra sé. Inoltre, Giudice di prime cure riteneva che i lavori effettuati non potevano essere imputati alle parti di proprietà dei singoli condomini in quanto relativi alla facciata dell'edificio, per le quali vige la presunzione di comproprietà, e che l'incarico era stato conferito dall'amministratore e non dai singoli condomini stante il riconoscimento dell'esecuzione delle opere e del relativo debito da parte dell'amministratore del condominio, e che nessun valore poteva attribuirsi alla delibera condominiale del 2 gennaio 2013 in quanto successiva all'esecuzione dei lavori. Nella sentenza impugnata, il Giudice riconosceva la piena legittimazione passiva dell'amministratore ai sensi dell'art. 1131, 2° c., c.c. stante la natura comune delle opere, evidenziando inoltre che non si verteva nell'ambito della novazione soggettiva, ovvero di accollo liberatorio per facta concludentia, dal momento che non poteva attribuirsi rilievo all'accettazione di pagamento pro quota da parte di alcuni condomini effettuata direttamente al titolare della ditta. Il giudice di prime cure, riteneva che nel caso de quo mancava l'elemento costitutivo della novazione soggettiva costituito dal mutamento di una delle parti del rapporto contrattuale, in considerazione del fatto che parte sostanziale del rapporto obbligatorio rimanevano, in qualità di mandanti, i singoli condomini. Pertanto, con la sentenza impugnata, veniva rigettata l'opposizione e confermato il decreto ingiuntivo opposto. 2) Appello: avverso la predetta sentenza proponeva appello il Condominio (...) contestando i punti da 7 a 13 della sentenza per i motivi di seguito indicati: 2.1) Erronea valutazione del principio della non contestazione ex art. 115 c.p.c. e dei principi in tema di onere della prova. A tale riguardo, parte appellante asseriva che se sotto il profilo dell'an debeatur - esecuzione dei lavori da parte dell'odierna appellata - non era stata mossa alcuna contestazione, lo stesso non poteva dirsi circa il quantum, contestazione desumibile già dalle conclusioni dell'atto di citazione in opposizione. Sempre riguardo al quantum, evidenziava che attraverso la produzione delle due quietanze di pagamento a firma del titolare della Ditta appellata, attestanti alcuni pagamenti effettuati prima e dopo la missiva del 28 febbraio 2013, produzioni non contestate dall'allora opposta, era chiaro che il quantum non poteva essere quello indicato nello scritto sopra richiamato e pertanto il Giudice avrebbe dovuto revocare il d.i. proprio in virtù della non contestazione delle due quietanze prodotte e non contestate. In ogni caso, evidenziava che la conseguenza della contestazione sul quantum avrebbe comportato che l'onere della prova su tale punto era da porre a carico dell'allora parte opposta odierna appellata. 2.2) Erronea valutazione dei principi in tema di legittimazione passiva e novazione soggettiva. A tale riguardo l'appellante lamenta la circostanza che il Giudice di primo grado non avrebbe dovuto ritenere applicabili al caso de quo la presunzione ex art. 1117 c.c., ante riforma, dal momento che i lavori effettuati riguardavano i balconi di proprietà esclusiva dei condomini, con conseguente dichiarazione del difetto di legittimazione passiva del condominio e con l'ulteriore errata applicazione dell'art. 1131, 2° c., c.c.. Inoltre, parte appellante riteneva che il Giudice non aveva valutato in maniera idonea il materiale probatorio dal quale si poteva evincere che il titolare della Ditta era a conoscenza che nel rapporto obbligatorio erano succeduti i singoli proprietari al Condominio, tanto è che l'appellato non aveva contestato il contenuto delle mail prodotte in giudizio, pertanto il Giudice avrebbe fatto una errata applicazione dell'art. 115 c.p.c. dal momento che parte appellata non aveva contestato che: a) il pagamento della somma di Euro 1.350.00 effettuata prima del deposito del ricorso per ingiunzione effettuato dai condomini (...) e (...) b) il rapporto obbligatorio doveva intercorrere tra il titolare della Ditta ed ì singoli condomini proprietari esclusivi. Da ciò il Condominio ritiene che il Giudice avrebbe dovuto ritenere sussistente la fattispecie della novazione soggettivi, tacita intervenuta tra le parti in relazione al pagamento dei lavori per cui è causa. 2.3) Sulla lite temeraria. A tale riguardo parte appellante chiede alla Corte di Appello un ripensamento in merito alla luce della riconsiderazione degli elementi fattuali. Si costituiva in giudizio la (...) la quale contestava nel merito l'appello proposto chiedendone il rigetto con conferma della sentenza impugnata e con condanna al pagamento di un ulteriore somma a titolo di responsabilità processuali aggravata in considerazione della totale infondatezza dell'azione proposta. 3) Motivi della decisione: nel merito l'appello deve essere rigettato. a) Per quanto concerne il primo motivo di doglianza, questo è infondato e pertanto deve essere rigettato. Parte appellante si duole che nella sentenza impugnata il Giudice di primo grado abbia ritenuto non contestato il quantum della pretesa avanzata da parte opposta -oggi appellata- omettendo così di valutare quanto dedotto in ordine alle due quietanze di pagamento prodotte in giudizio e relative a pagamenti effettuati uno in epoca antecedente e un altro in epoca successiva alla data in cui l'Amministratore di condominio ha sottoscritto la missiva contenente l'elencazione dei lavori effettuati dalla ditta oggi appellata (28 febbraio 2013). Tale argomentazione non può essere condivisa. Il decreto ingiuntivo opposto è stato emesso per la somma complessiva di Euro 8.971,19 comprensiva di iva, ovvero Euro 8.200.00 + iva al 21% = 9.922,00 alla quale è stata detratta la somma di Euro 950,81, in forza di un pagamento effettuato in data 25 marzo 2013 (come si legge nel d.i. opposto - pag. 2, punto 4). Con II memoria ex art. 183, VI c., c.p.c. parte appellante ha prodotto nel giudizio di opposizione a d.i. due quietanze di pagamento, rispettivamente di: Euro 950.00 del 16 marzo 2013 attestante il pagamento da parte del sig. (...) al titolare della ditta e di Euro 400,00 da parte del sig. (...) del 29 dicembre 2012. La suddetta produzione documentale non cambia in alcun modo i termini della questione (esattezza della somma ingiunta) né evidenzia un errore in capo al Giudice circa la prova del credito vantato, dal momento che il documento da prendere a riferimento è quello datato 28 febbraio 2013, sottoscritto per accettazione e riconoscimento di debito del condominio da parte dell'Amministratore Dott. (...) e con timbro del Condominio (...) nel quale alla data del 28 febbraio 2013 i lavori ivi descritti venivano quantificati a corpo in Euro 8.200,00 oltre iva al 21%. Pertanto, la quietanza di pagamento antecedente a tale scritto non può essere presa in esame in virtù del fatto che alla data del 28 febbraio 2013 il debito del Condominio era di euro 8.200.00 più iva. mentre la quietanza di Euro 950.00 è stata conteggiata - detratta - dal credito vantato, così come emerge nella premessa del ricorso per decreto ingiuntivo. b) Anche il secondo motivo di doglianza deve essere rigettato in quanto privo di fondamento. Parte appellante, come già scritto in precedenza, lamenta che il Giudice di prime cure ha ritenuto la sussistenza della legittimazione passiva del Condominio avendo ritenuto che i lavori eseguiti oggetto del d.i. opposto erano da considerarsi condominiali (effettuati nelle parti comuni dell'edificio) ex art. 1117 c.c. e che non vi era stata alcuna novazione soggettiva. Tale doglianza è priva di fondamento in quanto si va a scontrare con quanto emerge dalle produzioni documentali versate agli atti dalle parti in causa. Per ciò che concerne la qualificazione dei lavori come condominiali e non di esclusiva pertinenza dei singoli condomini, il Giudice di prime cure ha inteso considerarli condominiali in forza dell'art. 1117 c.c., ante riforma, mettendo quindi in correlazione: i lavori eseguiti, il predetto articolo 1117 c.c. e la giurisprudenza formatasi sul punto. Il primo giudice ha ritenuto trattarsi di lavori relativi alla facciata dell'edificio seppure nelle parti dei balconi in quanto relativi alle parti esterne degli stessi. A tale conclusione non può essere mossa alcuna critica in quanto sia la descrizione dei lavori effettuati sia la produzione documentale effettuata dal l'adora opponente con le memorie ex art. 183. VI c., c.p.c., fotografie ritraenti l'immobile, conferma tale conclusione che si condivide pienamente. Dalla disamina delle fotografie, allegate alla seconda memoria ex art. 183, VI c., c.p.c. dell'adora opposta, si evince che i lavori eseguiti hanno riguardato la parte anteriore e laterale dei balconi (frontalini) (cfr. a titolo esemplificativo: finitura bianca, ricostruzione riporto sottostante frontalino). Inoltre è pacifico in giurisprudenza che per i balconi aggettanti, ossia i balconi che sporgono dalla facciata dell'edificio, come nel caso che ci occupa, se da un lato costituiscono un prolungamento delle corrispondenti unità immobiliari e pertanto sono da intendersi come parti esclusive dei singoli condomini, dall'altro tuttavia i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale si devono considerare beni comuni a tutti quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio, contribuendo a renderlo gradevole (Cass. Civ. sent. n. 6624/12). Principio questo affermato anche in altra e più recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ. Ord. n. 27413/2018) in forza della quale: alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 568/2000: Cass. n. 14576/2004; Cass. n. 6624/2012 e. da ultimo. Cass. n. 30071/2017). ha rilevato che i frontalini dei balconi (siccome configuranti, per l'appunto, elementi decorativi della facciata del fabbricato comune) dovessero considerarsi beni comuni, la cui riparazione, perciò, sarebbe dovuta rimanere assoggettata ai criteri generali di ripartizione condominiale. Deve, quindi, trovare conferma in questa sede il principio secondo cui gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio - come i cementi decorativi relativi ai frontali (ed ai parapetti) - svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio inserendosi nel suo prospetto, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno. Da ciò ne consegue anche la piena legittimazione passiva del Condominio, avendo riguardo i lavori eseguiti parti comuni dell'edificio. Né, come sostenuto da parte appellante, si può affermare di essere in presenza di una avvenuta novazione soggettiva per facta concludentia, ove i proprietari esclusivi sono succeduti come debitori al Condominio in forza del verbale di assemblea del 2 gennaio 2013 e del pagamento effettuato da alcuni condomini direttamente nelle mani dell'odierno appellato. Come detto sopra, siamo in presenza di lavori relativi a parti comuni dell'edificio ma, in ogni caso, il verbale assembleare su indicato si pone in maniera contraddittoria rispetto al documento del 28 febbraio 2013, sottoscritto in epoca successiva al predetto verbale, e nel quale lo stesso Amministratore di Condominio riconosce il debito di Euro 8.200,00, più iva, quale debito condominiale, c) Sulla lite temeraria. In considerazione del rigetto dell'appello, si ritiene di dover confermare la condanna ex art. 96, 3° c., c.p.c. come quantificata dal Giudice di primo grado. 5) Sulla domanda per responsabilità aggravata formulata dall'appellato. Anche nel presente grado di giudizio si ritiene di dover condannare parte appellante ai sensi dell'art. 96, 3° c., c.p.c., sulla base della circostanza che le argomentazioni svolte circa il difetto di legittimazione passiva e la qualificazione dei lavori come non condominiali sono fondate su una interpretazione erronea delle norme e della giurisprudenza consolidata in materia peraltro reiterata in grado di appello. Le spese di lite di appello vengono poste in capo all'appellante soccombente secondo la liquidazione indicata in dispositivo, fatta esclusione per la fase istruttoria non svolta in secondo grado. Trova applicazione la norma di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30/5/2002. n. 115, che prevede l'obbligo del versamento da parte chi ha proposto un'impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile o rigettata integralmente di versare una ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per la stessa impugnazione (vedi Cass. S.U. n. 14594 del 2016. Cass. n. 18523 del 2014); pertanto trattandosi di appello proposto dopo il 31 gennaio 2013, l'appellante soccombente sarà altresì tenuto al versamento di un importo pari a quello già dovuto a titolo di contributo unificato. P.Q.M. definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Condominio (...) in persona dell'Amministratore pro tempore, contro la sentenza n. 35/2015 resa dal Tribunale di Sulmona e pubblicata in data 19 febbraio 2015, nei confronti di (...) di (...), in persona del titolare, così provvede: - Rigetta l'appello; - Condanna l'appellante a rimborsare parte appellata delle spese di lite liquidate in euro 3.777.00 oltre Iva. Cap e spese generali come per legge; - Condanna ex art. 96. 3° c. c.p.c. al pagamento di euro 3.777.00; - Dichiara che l'appellante è tenuto al versamento di ulteriore importo pari a quello già dovuto a titolo di contributo unificato. Così deciso nella camera di consiglio in L'Aquila in data 10 maggio 2022 su relazione della Dott. Barbara Del Bono. Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte D'Appello dell'Aquila composta dai seguenti Magistrati: Presidente - dr. Silvia Rita Fabrizio Consigliere - dr. Francesco Filocamo Giudice Ausiliario - avv. Giuseppe de Falco - rel. ed est. Ha pronunciato la seguente SENTENZA DEFINITIVA Nella causa civile iscritta al R.G. n. 1059/2019 in grado di appello promossa DA CONDOMINIO (...) di via N. n. 1, M. (P.) in persona dell'amministratore pro-tempore, S.G. s.a.s. di (...), in persona dell'accomandatario (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Ni.Ma.. APPELLANTE CONTRO (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Se.. APPELLATO Avverso la sentenza n. 1309/2019 del Tribunale di Pescara, pubblicata in data 7 maggio 2019 pronunciata a definizione del procedimento n. RG 1811/2016. MOTIVI DELLA DECISIONE I. Breve ricostruzione del procedimento di primo e di secondo grado. I.1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha convenuto in giudizio il Condominio (...), sito in M. alla N. n.1, per sentir pronunciare l'annullamento della delibera assembleare del 14.11.2015, in quanto adottata in violazione dell'art. 2 lett. m) del regolamento condominiale, con condanna di parte convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti. I.2. Il signor (...) deduceva di essere proprietario di un appartamento sito al pianterreno del condominio sopra indicato e che nell'estate del 2015 dei grossi pezzi di cemento si erano distaccati dalla soletta inferiore dei terrazzi sovrastanti il suo appartamento. Diveniva urgente la messa in sicurezza dei terrazzi ed a tale fine l'amministratore aveva incaricato la ditta (...) srl di provvedere alle opere necessarie, senza previa convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 1135 co. 2 c.c.. I.3. Sebbene i lavori interessassero i terrazzi aggettanti di pertinenza degli appartamenti del primo e secondo piano, in data 14.11.2015 l'assemblea condominiale aveva approvato il riparto tra tutti i condomini delle spese relative ai lavori, secondo lo schema predisposto dall'amministratore dell'epoca. I.4. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto, domandando il rigetto della domanda attorea e sostenendo che, in realtà, i lavori avrebbero interessato i frontalini delle terrazze, costituenti elemento della facciata dello stabile e pertanto appartenenti alla comunione condominiale, ragione per cui le relative spese dovevano porsi a carico di tutti i condomini e che quindi la delibera condominiale era legittima. I.5. Il giudice di primo grado, ritenendo sulla base dell'istruttoria disposta e, segnatamente, delle deposizioni testimoniali del signor (...), legale rappresentante della società che provvedeva all'esecuzione dei lavori nonché dell'allora amministratore di condominio, (...), che i lavori avessero principalmente interessato la soletta inferiore dei balconi, dichiarava nulla la delibera condominiale per aver posto a carico di tutti i condomini lavori che dovevano invece porsi a carico di ciascun singolo proprietario dei balconi aggettanti interessati dai lavori svolti. I.6. Contro la sentenza di primo grado propone appello il condominio già convenuto che chiede la riforma della decisione al fine di vedere dichiarata valida la deliberazione condominiale, anche per effetto di giudicato esterno maturato a seguito di altra decisione di questa stessa Corte, non impugnata, e quindi con condanna dell'appellato al pagamento delle spese di giudizio di secondo grado. I.7. Il signor (...) si costituisce rassegnando le seguenti conclusioni: ""In via principale, richiamato tutto quanto esposto, documentato e provato in atti, voglia l'Illustrissima Corte d'Appello di L'Aquila dichiarare l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., in quanto palesemente non accoglibile, condannando l'appellante alla rifusione di spese e compensi professionali relativi al grado d'appello; in via subordinata, per le stesse ragioni, respinta ogni domanda, istanza, eccezione avversaria, voglia la Corte rigettare l'appello proposto dal Condominio (...), così confermando la sentenza n. 1309/2019 emessa dal Tribunale di Pescara il 10.09.2019 e la nullità della delibera assembleare del 14.11.2015, respingendo ogni domanda conseguente e condannando l'appellante alla rifusione di spese e compensi professionali relativi al grado d'appello. In ogni caso, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.". II. Motivazioni della decisione. II.1.Eccezione di giudicato esterno. II.2. Preliminarmente l'appellante oppone un preteso giudicato esterno emerso a seguito dell'emanazione e quindi del passaggio in giudicato della sentenza di questa Corte n. 806/21, pronunciata nella controversia n. 1074/18 RG tra le stesse parti, ed avente ad oggetto un intervento di manutenzione/rifacimento della stessa natura di quello oggetto di causa, sebbene una diversa delibera di ripartizione dei lavori, adottata due anni dopo i primi urgenti lavori oggetto di questa diversa causa, ossia l'11 agosto 2017. All'uopo l'appellante deposita la sentenza debitamente munita della formula di cancelleria sulla mancata impugnazione della decisione nei termini con cui questa corte, nel confermare la decisione di primo grado del tribunale di Pescara, ha accertato che i lavori eseguiti riguardavano la facciata dell'immobile e quindi un bene condominiale i cui costi di riparazione riguardano l'intero condominio. II.3. L'eccezione di giudicato esterno è da respingere secondo le corrette osservazioni di parte appellata. Le due deliberazioni condominiali e le opere approvate con costi ripartiti nelle due decisioni, riguardano lavori distinti, sebbene strettamente intrecciati; i primi, quelli più risalenti di cui qui si discorre, a carattere urgente, svolti nell'estate del 2015 ed i successivi, più estesi, eseguiti solo tempo dopo. II.4. Correttamente l'appellata difesa segnala che la stessa intestazione delle due delibere, disposta dallo stesso amministratore, chiarisce la diversità delle cause, collegate ma non dipendenti: "la delibera qui impugnata riguarda lavori di "messa in sicurezza" mentre quella del 2017, cui si riferisce la sentenza n. 806/2021, riguarda "lavori di manutenzione straordinaria" (cfr. doc. 15), fatto che attesta incontrovertibilmente la differenza tra le due controversie sul piano sostanziale, perché dalla diversità dei lavori discende quella del criterio di riparto applicabile a lavori di messa in sicurezza, rispetto a interventi di altra natura". Anche se la differente natura non incide sul riparto delle spese se non nella misura in cui riguardino cose diverse, il che è proprio l'oggetto dell'accertamento di questo contenzioso. II.5. Nemmeno è invocabile il principio seguito dalla giurisprudenza della Cassazione secondo cui qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. sez. III 15 maggio 2018 n. 11754 e giurisprudenza ivi citata; Cass. sez. lav., 28 novembre 2017 n. 28415; 9 dicembre 2016 n. 25269; 16 dicembre 2015, n. 25304). La formazione di tale giudicato esterno sul "punto fondamentale comune ad entrambe le cause" prescinde dalla proposizione di una specifica domanda di parte. II.6. Difatti, la menzionata giurisprudenza presuppone che effettivamente vi sia un punto comune necessariamente da accertare in ambo le cause mentre nel caso che si esamina ben potrebbe essere che i lavori eseguiti precedentemente abbiano una natura e quelli eseguito dopo ne abbiano un'altra sicché l'accertamento dell'una non dipende dall'accertamento dell'altra. Non ricorre né una pregiudizialità tecnica né una pregiudizialità logica tra i due giudizi. II.7. Respinta l'eccezione di giudicato, si può trattare il merito. II.8. Secondo e terzo motivo di impugnazione: natura dei lavori e criteri di riparto delle spese. Valutazione del materiale probatorio. II.9. Il merito della questione riguarda essenzialmente la natura dei lavori eseguiti poiché, accertata questa, sarà possibile decidere come debbano ripartirsi le spese tra i condomini. Meglio ancora, è necessario a risolvere il punto controverso stabilire quale parte dei balconi è stata interessata dai lavori di rifacimento per allocare il relativo onere economico. II.10. La sentenza gravata ha valorizzato le dichiarazioni rese dal teste (...), titolare della ditta che ha eseguito i lavori il quale affermava: "Abbiamo tolto l'intonaco e la parte dell'aggetto del cemento. Il distacco avviene perché il ferro scoppia e il cemento si distacca e quella zona là l'abbiamo rimossa tutta. Non siamo andati per togliere la piastrellina, siamo andati per le zone ammalorate, stavano cadendo dei pezzi di cemento." Nello stesso senso la deposizione dell'ex amministratore di condominio, (...). Trattandosi quindi della rimozione o del trattamento di parti in cemento poste nella soletta dei balconi aggettanti, l'onere della risistemazione degli stessi doveva porsi in carico ai singoli condomini proprietari dei balconi aggettanti interessati dalle lavorazioni. II.11. L'appellante oppone in contrario che l'intervento della ditta (...) avrebbe riguardato il distacco di calcinacci dai frontalini dei balconi mediante spicconatura del solo intonaco esterno con piastrelle colorate al fine di operare poi con la sostituzione dei frontalini e quindi alla risistemazione della facciata. Non si sarebbe trattato di interventi strutturali sui balconi funzionali al consolidamento degli stessi al punto che lo stesso rappresentante dell'impresa edilizia dichiarava in primo grado nel rispondere alla domanda: "Vero che l'impresa D. srl eseguiva lavori su parti strutturali dell'edificio, effettuando anche il trattamento dei ferri di armatura, a causa del distacco di intere parti della soletta dei balconi", che :"Lo strutturale per me è un'altra cosa". II.12. La circostanza poi, aggiunge l'appellante, è confortata documentalmente dallo stesso preventivo della ditta (...) s.r.l. di proprietà del teste (...) (doc. n.2 produzione di parte attrice ove si legge: "... spicconatura dei frontalini dei balconi pericolanti ..."). Dunque l'appellante afferma che "Trattasi, insostanza, di un tipico intervento di "messa in sicurezza" che si esegue mediante "battitura", con martelletto, delle porzioni lesionate e successivo spicconamento delle stesse con rimozione dei calcinacci (circostanza di comune esperienza, anche da parte dei profani)". II.13. In effetti, la versione di parte appellante appare corroborata da altri elementi: tra cui la testimonianza del Geom. (...) che nel confermare la propria relazione (doc. n.10 in atti), dichiarava espressamente: "Non vi sono segni di intervento sulle parti strutturali dell'edificio né sulle solette dei balconi". Anche il materiale fotografico agli atti del giudizio dimostra in modo inequivocabile che il distacco aveva riguardato la rimozione di pezzi di intonaco e di cemento in corrispondenza con i frontalini al fine di eseguire un primo intervento di messa in sicurezza, poi ripreso con il rifacimento dei frontalini medesimi. Gli stessi Vigili del Fuoco intervenuti sul posto documentano la sola presenza di intonaco caduto ("alcuni pezzi del cornicione si erano staccati dall'edificio ..."). II.14. Sul punto la parte appellata replica che invece i lavori si sono resi necessari a seguito del distacco di pezzi di cemento dalla parte sottostante la soletta di calpestio dei balconi e sono consistiti nella rimozione delle parti pericolanti, prossime al distacco, e nel trattamento dei ferri d'armatura, rimasti esposti alle intemperie perché la parte cementizia non è più stata ripristinata. I balconi sarebbero anzi privi di frontalini in quanto ricoperti di piastrelle azzurre. Mancherebbero quindi i frontalini intesi come cornicioni, fregi, decorazioni esteriori del balcone. II.15. A indurre in errore l'appellante vi sarebbe una confusione definitoria tra "frontalini" e "fronte del balcone". Secondo la difesa di parte appellata, infatti, è necessario distinguere tra "frontalino - elemento estetico e non strutturale, sovrapposto al fronte della soletta con pura funzione decorativa e non funzionale all'affaccio, come ad esempio marmi, maioliche, mosaici o fregi1 - e il cosiddetto fronte della soletta, che è la parte frontale dell'aggetto cementizio che sorregge il piano di calpestio del terrazzo stesso. Il fronte della soletta è presente in qualsiasi balcone, posto che, senza, il balcone non potrebbe esistere. Il frontalino, invece, è un elemento eventuale, meramente decorativo." II.16. Questa differenziazione mal si attaglia al caso di specie in cui le prove documentali e, particolarmente, lo stesso preventivo di spesa della ditta (...) s.r.l. chiaramente depongono nel senso che l'intervento riguardasse la spicconatura dei frontalini, come testimoniato dalle immagini agli atti in cui è evidente il generale stato di ammaloramento dei balconi risultante nel distacco di diverse piastrelle di rivestimento dei balconi e quindi nel danneggiamento della facciata stessa del condominio. II.17. Come ritenuto da questa stessa Corte (Corte appello L'Aquila, 27/09/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 27/09/2019), n.1530) e dalla giurisprudenza costante della Cassazione (tra le altre si veda Cass. n. 587/2011; n. 14576/2004; n. 176/1986), i balconi aggettanti costituiscono un prolungamento della corrispondente unità immobiliare sita in un edificio condominiale e appartengono perciò in via esclusiva al proprietario di questa, salvo i rivestimenti e gli elementi della parte frontale e di quella inferiore, i quali devono considerarsi beni comuni quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Da ciò consegue che possono essere ripartite tra tutti i condomini le sole spese relative ai rivestimenti e ai frontalini (ma non ad esempio, quelle relative alle ringhiere e all'intonaco dei balconi di competenza dei proprietari delle relative singole unità immobiliari). II.18. E' principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell' art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (ex ultimis Cass. Sez. 2, 14.12.2017 n. 30071). II.19. In definitiva non si può condividere la differenziazione fatta dalla difesa di parte appellata tra "fronte" e "frontalini" e sulla scorta della documentazione agli atti (materiale fotografico, preventivo della ditta e lo stesso successivo completamento dei lavori intervenuto due anni dopo) non può che concludersi per l'accoglimento nel merito dell'appello siccome i lavori hanno riguardato il rivestimento esterno dei balconi e quindi la facciata dell'immobile il cui costo di riparazione ricade su tutti i condomini. II.20. È dunque valida la deliberazione condominiale a suo tempo assunta dal condominio recante il riparto di spesa deciso. III. Regime delle spese. III.1. L'accoglimento del gravame comporta che l'appellato (...) sia tenuto a pagare in favore dell'appellante Condominio G. pal. A di via N. n. 1, M. (P.) in persona dell'amministratore pro-tempore le spese del giudizio di primo e di secondo grado liquidate in dispositivo applicando i parametri dettati per una controversia di valore indeterminabile di bassa complessità negli ammontari minimi data la semplicità della questione e, per l'appello, senza la fase istruttoria, non tenutasi. P.Q.M. La Corte di Appello di L'Aquila, definitivamente pronunciandosi in contraddittorio delle parti costituite nella causa civile iscritta al R.G. n. 1059/2019 in secondo grado sull'appello proposto da Condominio G. pal. A di via N. n. 1, M. (P.) in persona dell'amministratore pro-tempore contro (...), avverso la sentenza n. n. 1309/2019 del Tribunale di Pescara, pubblicata in data 7 maggio 2019 pronunciata a definizione del procedimento n. RG 1811/2016, così provvede: A. Accoglie l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, rigetta la domanda di nullità della delibera assembleare del 14.11.2015 del condominio appellante e riguardante la ripartizione tra tutti i condomini delle spese relative alla fattura n. (...) del 5.8.2015 emessa dalla società (...) s.r.l. B. Condanna l'appellato (...) a pagare in favore dell'appellante Condominio G. pal. A di via N. n. 1, M. (P.) in persona dell'amministratore pro-tempore le spese del giudizio di primo grado liquidate in euro 3.972,00, oltre iva, cpa e spese generali al 15%. nonché quelle di secondo grado liquidate in euro 3.308,00, oltre iva, cpa e spese generali al 15%. Così deciso in L'Aquila il 4 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO di L'AQUILA La Corte d'Appello di L'Aquila, composta dai Magistrati Dott. Barbara Del Bono - Presidente rel. Dott. Mariangela Fuina - Consigliere Dott. Letizia Cimini - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. 1437/2018 R.G., promossa da Impresa di (...) s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Lu.Co.; APPELLANTE Contro Condominio "(...)" di S. (T.), in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. La.Fr.; APPELLATO per la riforma della sentenza n. 308/2018 resa dal Tribunale di Teramo pubblicata in data 9 aprile 2018. FATTO E DIRITTO Con sentenza n. 308/2018, pubblicata in data 9 aprile 2018, il Tribunale di Teramo decideva in merito alla domanda proposta, ai sensi dell'art. 1669 c.c., da Condominio "(...)", volta a condannare l'Impresa di (...) s.a.s al risarcimento dei danni per vizi costruttivi, così come quantificati nella precedente fase di Accertamento Tecnico Preventivo (ATP), pari a Euro 18.157,70 (Iva esclusa). L'attore (odierno appellato) rappresentava che il Condominio "(...)" consisteva in un complesso immobiliare realizzato nel 2006 dall'Impresa (...) (odierna appellante), la quale poi aveva provveduto a vendere le singole unità abitative. Lamentava che erano emerse problematiche strutturali, sia per le proprietà comuni, sia per alcune parti private, le quali venivano, fin da subito e nel corso del tempo, segnalate all'Impresa costruttrice. Ribadiva che tutti i "vizi" strutturali, emersi, venivano elencati in una perizia di parte del geom. G.P. e che questa veniva inviata all'Impresa (...) nel luglio 2013 unitamente alla lettera di denuncia dell'amministratore condominiale. Aggiungeva che la procedura di Accertamento Tecnico Preventivo (ATP), attivata dal Condominio con ricorso ex art. 696 bis c.p.c. (R.G. 27/2015 - Tribunale di Teramo), per il tentativo di bonario componimento, non andava a buon fine e che dalla perizia depositata dal CTU nominato dal Tribunale, geom. (...), risultava che i vizi accertati dal consulente erano stati causati da errata esecuzione dei lavori svolti dall'Impresa convenuta. Precisava che l'elenco dei lavori necessari per la messa in ripristino veniva quantificato dalla CTU in Euro 18.157,70+IVA. Infine, concludeva che l'Impresa (...) (convenuta-appellante) aveva ignorato le risultanze tecniche e non era intervenuta per la rimozione dei vizi denunciati e accertati dalla CTU. Si costituiva in giudizio, a mezzo del legale rappresentante p.t., l'Impresa di costruzioni (...), la quale, respingendo ogni avversa deduzione, rappresentava che, costituendosi nel procedimento di ATP, già sollevava eccezioni di improcedibilità, improponibilità, nonché prescrizione e decadenza dell'azione, sia ex art. 1667 sia ex art. 1669 c.c., eccezioni che la convenuta-appellante riproponeva in giudizio, ritenendo che l'azione consisteva in una semplice richiesta di risarcimento danni generica, non qualificata giuridicamente. In particolare, l'impresa convenuta eccepiva il difetto di legittimazione ad processum dell'amministratore, in quanto erano stati richiesti anche i danni a proprietà esclusive, non predisponendo alcun mandato ad agire da parte dei proprietari a favore dell'amministratore stesso, né vi era loro intervento in causa, e, per l'effetto, chiedeva, in via preliminare, di dichiarare la carenza di legittimazione del Condominio per i richiesti danni alle parti esclusive. Eccepiva, altresì, l'improcedibilità e inammissibilità dell'azione per intervenuta prescrizione e decadenza, sia ex art. 1669 che ex art. 1667 c.c., avendo il Condominio denunciato i vizi nel luglio 2013, tramite apposita perizia, e quindi riteneva che l'azione fosse indubbiamente prescritta 1 anno dopo, nel luglio 2014, prima ancora della richiesta di ATP e a distanza di 3 anni dalla denuncia. Contestava che il Condominio con l'atto di citazione aveva richiesto il risarcimento dei danni anche per quelle opere di ripristino di cui non era stata accertata la causa del "vizio". Aggiungeva che al quesito 5) il CTU aveva specificato che i "vizi lamentati dal Condominio non si potevano considerare vizi gravi, né, tantomeno, strutturali, in quanto il complesso immobiliare non presentava lesioni gravi tali da ritenerli strutturali. Sul punto, l'impresa tornava a rappresentare che, alla luce della CTU, non poteva esserle imputata alcuna responsabilità ex art. 1669 c.c., per mancanza dei presupposti di legge, non sussistendo, nel caso in esame, vizi strutturali o difetti costruttivi gravi, né poteva rispondere ex art. 1667 c.c. per decorrenza dei termini previsti. Sul punto, riteneva che i cosiddetti "vizi" fossero, invece, precise scelte costruttive e accettate dai condomini fin da subito, così come meglio specificato nell'allegata consulenza tecnica di parte dell'Ing. (...). Pertanto, l'impresa (convenuta-appellante) chiedeva il rigetto della richiesta attorea, con vittoria di spese e competenze di giudizio. Le parti producevano istanze documentali nel rispetto dei termini previsti dall'art. 183 c.p.c., quindi il Giudice di prime cure, ritenendo la causa matura per la decisione, fissava l'udienza per la discussione orale, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c.. 1) La sentenza di primo grado: Il giudice di prime cure, preliminarmente rigettava le eccezioni sollevate dalla convenuta impresa di costruzioni, odierna appellante. Rilevava come nella precedente fase cautelare dell'ATP tenutasi innanzi al Dott. Cappa, l'ausiliario del giudice elencava tutti i difetti riscontrati nella costruzione del Condominio (...), attribuendoli a errori compiuti durante l'esecuzione dall'Impresa convenuta. In particolare poneva l'attenzione sulle conclusioni del CTU, il quale nel rispondere ai quesiti formulati, descriveva con minuzia, nel computo metrico, tutti i vizi riscontrati nell'edificio condominiale ed il relativo costo da affrontare per la loro rimozione venivano quantificati in Euro 18.157,70 oltre all'IVA. Rigettava l'eccezione, proposta dall'impresa convenuta, di carenza di legittimazione del condominio reo di aver richiesto il risarcimento danni anche per alcune parti di proprietà esclusiva. Sul punto, il giudice di primo grado rappresentava che, dagli atti del giudizio, risultava che il Condominio chiedeva il risarcimento del danno solo per le parti comuni, a sostegno di ciò richiamava la CTU, disposta nella precedente fase di ATP, nella quale il consulente si limitava a riportare nel conteggio di Euro 18.157,70, dovuti a titolo di risarcimento danni solo quelli riportati nelle parti condominiali con l'esclusione di quelli riguardanti proprietà esclusiva di un condomino (Sig.ra (...) o (...)). Respingeva l'ulteriore eccezione sollevata da parte convenuta di prescrizione e decadenza dell'azione proposta dal Condominio, a tal proposito, argomentando come la Suprema Corte di Cassazione in diverse sue pronunce abbia avuto modo di stabilire che il termine di 1 anno dalla scoperta dei vizi entro cui il committente deve fare denuncia all'appaltatore a pena di decadenza - ai sensi dell'art.1669 c.c. - decorra dal momento in cui ci sia conoscenza effettiva dei vizi e sufficiente grado di consapevolezza da parte del committente. Sul punto, il giudice di prime cure precisava che in due sentenze di casi analoghi a quello oggetto del presente giudizio la Suprema Corte ha affermato che, in tema di azione speciale ex art. 1669 c.c., il dies a quo del termine annuale di denuncia coincide con il deposito della perizia elaborata nella procedura di accertamento tecnico preventivo (in tal senso ex plurimis Cass. civ. n. 22722/2014 e n. 22334/2009). Pertanto, il primo giudice rigettava l'azione di prescrizione e decadenza sulla scorta del fatto che nella precedente procedura di ATP, promossa dal Condominio "Panorama" nei confronti dell'impresa di costruzioni, la perizia veniva depositata l'8/09/2015 mentre l'atto di citazione risultava notificato il giorno 8/8/2016, quindi entro l'anno dal dies a quo. Nell'esame del merito, il giudice di prime cure accoglieva la domanda attorea, ritenendola fondata in fatto e in diritto. Sul punto, il giudice di primo grado rilevava come dall'esame degli atti del giudizio, emergeva l'effettiva sussistenza dei vizi sulle palazzine costituenti il Condominio (...), in particolare tornava a rappresentare come nella CTU, espletata nella fase cautelare dell'ATP (acquisita nel giudizio di primo grado), l'ausiliario del Giudice, Dott. (...) elencava, nella sua perizia, tutti i difetti riscontrati nella costruzione delle palazzine e soprattutto attribuiva questi vizi ad errori commessi durante la loro esecuzione dalla convenuta impresa di costruzioni. Riscontrava, infine, come detta CTU tecnica/descrittiva risultava ben motivata, esente da errori logico-giuridici e fondata sugli opportuni accertamenti e, pertanto, riteneva di poterla porre a fondamento della propria decisione. Alla luce di quanto sopra riportato, il Giudice di primo grado: - accertava e dichiarava l'esistenza dei vizi sulle palazzine del Condominio (...) di S. (così come descritte nella consulenza tecnica redatta nella fase dell'ATP ed acquisita al fascicolo di primo grado) e la conseguente responsabilità della convenuta quale ditta appaltatrice per non aver eseguito a regola d'arte i lavori edili commissionati; - condannava, altresì, l'impresa di costruzioni V.C. di F.C. & (...) sas quale responsabile dei danni subiti dal Condominio (...) di S. al pagamento per le causali di cui in motivazione della somma di Euro 18.157,70 oltre all'iva; - condannava, infine, la convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite. 2) Appello: Avverso la predetta sentenza proponeva appello l'Impresa di (...) s.a.s , in persona del legale rappresentante p.t., per i motivi di seguito indicati. 2.1) Erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui rigetta l'eccezione di carenza di legittimazione dell'amministratore per il risarcimento alle parti esclusive - violazione degli artt. 1130,comma 4, 1131 c.c. e 81 c.p.c. - Errata lettura degli atti di causa. Con il primo motivo di gravame, l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, in violazione degli artt. 1130, comma 4, 1131 c.c. e 81 c.p.c, ha rigettato l'eccezione di carenza di legittimazione dell'amministratore ad agire in giudizio per il risarcimento di parti di proprietà esclusiva. Sul punto, l'appellante ha argomentato che l'attore-appellato, nell'atto di citazione, ha chiesto il risarcimento dei danni "per la eliminazione dei difetti e all'interno delle singole unità e nelle parti comuni", in quanto ha riproposto all'interno dell'atto diversi asseriti vizi alla proprietà della condomina (...). In particolare, ha evidenziato che le spese riguardanti la manutenzione dei balconi (frontalini, parapetti e sotto-balconi) sono da imputarsi ai singoli proprietari. A sostegno di ciò, l'appellante ha rappresentato che una delibera condominiale che aveva imposto il riparto della spesa fra tutti i condomini, in base ai millesimi, è stata dichiarata nulla dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 20887 del 7/11/2017 che, citando la Cassazione, ha affermato che "i balconi (agettanti) di un edificio condominiale, (a meno che essi non abbiano una prevalente funzione estetica del fabbricato), non rientrano tra le parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c. non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso" (in senso conforme Cass. Civ. n. 14576/2004). Sul punto, l'appellante ha censurato la sentenza di prime cure nella parte in cui non ha tenuto conto che al n. 31) del computo metrico era individuato il restauro del parapetto e frontalino del balcone della sig.ra (...), evidenziando come questo non è bene comune dell'edificio. Pertanto, è tornata a ribadire che a fronte della richiesta dell'attore-appellato del risarcimento danni anche alle proprietà esclusive e a fronte della presenza nel computo metrico di una voce di danno ad una proprietà esclusiva, il giudice di primo grado avrebbe dovuto accogliere l'eccezione relativa alla carenza di legittimazione dell'amministratore limitatamente alla proprietà privata della condomina (...) o, comunque, avrebbe dovuto motivare l'eventuale rigetto con altre e diverse considerazioni. 2.2) Errata lettura, ricostruzione ed interpretazione delle risultanze processuali, in relazione allaqualificazione e imputazione dei vizi operata dal CTU, con conseguente errata applicazione dell'art.1669 c.c., in violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. - Carente o insufficiente motivazione. Con questa secondo motivo di gravame, l'appellante ha censurato la parte di sentenza di primo grado nella parte in cui il Giudice ha desunto che - dalla risposta data dal CTU al quesito 5) di parte convenuta (odierno appellante), tendente ad "Accertare se i vizi lamentati dal Condominio sono da considerarsi "vizi" strutturali gravi e/o possono causare rovina all'edificio o a parte di esso, in modo da intendersi inclusi nella garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. - i vizi lamentati dal condominio fossero gravi e strutturali. Sul punto, ha argomentato che il CTU rispondendo a tale quesito ha accertato che "Dal sopralluogo e dalle verifiche eseguite nelle carte della Pericolosità del Piano Paesaggistico Regionale e del Piano d'Assetto Idrogeologico della Regione Abruzzo" il complesso immobiliare non presentava lesioni gravi tali da ritenerle strutturali ed inoltre risultava edificato su un terreno che non era interessato da nessun tipo di fenomeno franoso o dissesti di nessun tipo di entità. È tornata a rappresentare che è stato il CTU a dichiarare che i "vizi" lamentati non erano gravi e, comunque, non strutturali, considerando gli stessi ricadenti sulle parti accessorie e secondarie descritte in perizia. Ha insistito che i gravi difetti che possono essere riconosciuti come meritevoli della garanzia decennale prevista dall'art. 1669 c.c., per giurisprudenza consolidata, devono essere "incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene secondo la destinazione propria di quest'ultimo ... e ...tali da compromettere la funzionalità globale dell'opera stessa o la compromissione del godimento dell'immobile secondo la sua destinazione" (Cass. Civ. Sez. Unite n. 7756/2017). Pertanto, ha precisato che i "vizi", di cui è causa erano modestissimi e riguardavano elementi accessori e secondari, che non hanno alcuna capacità di menomare la funzionalità dell'edificio, né ridurne il godimento. L'appellante ha, inoltre, constato come, da un lato, tali vizi in realtà rappresentavano precise scelte progettuali e costruttive che erano evidenti ai condomini fin dal primo momento, dall'altro che e il Giudice non ha tenuto conto che il CTU, in diversi casi, ha escluso la responsabilità dell'Impresa o non ha individuato la causa del vizio. Sul punto, l'appellante ha argomentato che il CTU ha inserito nel computo metrico finale tutti i lavori di ripristino, anche quelli che aveva dichiarato non imputabili all'Impresa o, comunque, di cui non ne era stata individuata la causa, in tal senso ha ricordato che il quesito n. 3) prevedeva che fosse determinato il costo per l'eliminazione di tutti i "vizi", non solo di quelli imputabili all'Impresa. Alla luce di ciò ha rilevato come le voci di spesa num. 8, 9, 10, 11, 12, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 26, 27, 28, 29 e 30, per un totale di Euro 10.805,00, non erano dovute, non essendone stata accertata la causa come riferibile all'Impresa, e ha insistito che il Giudice di prime cure ha omesso tale valutazione. L'appellante ha, ulteriormente, censurato il primo giudice perché ha ritenuto di applicare la garanzia prevista dall'art. 1669 c.c., in assenza di una chiara qualificazione della domanda attorea. Alla luce di ciò, l'appellante ha concluso che l'azione intentata dal Condominio, era improponibile e improcedibile per mancanza delle condizioni previste dalla legge per l'operatività della garanzia decennale e per contrasto con le risultanze peritali, essendo stati inseriti nel computo metrico tutti i lavori di ristrutturazione del Condominio e, quindi, anche quelli di cui il CTU non ha imputato la responsabilità all'Impresa. 3.3) Errata valutazione del termine di decadenza annuale per la denuncia ed errata valutazione deltermine di prescrizione dell'azione - Violazione e falsa applicazione dell'art. 1669 c.c. Con il terzo motivo di gravame, l'appellante ha censurato la sentenza del primo giudice nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di decadenza e l'eccezione di prescrizione dell'azione. In primo luogo, per quanto concerne l'eccezione di decadenza, l'appellante ha rilevato che il Condominio ha effettuato una consulenza tecnica di parte nel luglio 2013, prontamente allegata alla denuncia all'Impresa, e che tale perizia non ha fatto altro che riportare tutti i "vizi" evidenziati dalla successiva ATP. Sul punto, ha rilevato che il Condominio avrebbe dovuto provare il dies a quo della scoperta dei "vizi", quantomeno di quelli ritenuti visibili fin da subito, per dimostrare di aver fatto la denuncia entro l'anno (condizione necessaria per l'esercizio dell'azione). Pertanto, ha censurato il primo giudice, il quale ha rigettato l'eccezione di decadenza, citando due sentenze che facevano decorrere il termine per la denuncia, dal deposito dell'elaborato peritale dell'ATP, ma in casi in cui non era stata effettuata una precedente CT di parte. In secondo luogo, per quanto concerne l'eccezione di prescrizione dell'azione, l'appellante ha censurato le sentenza di prime cure nella parte in cui non ha condiviso l'assunto che il Condominio avesse avuto idonea conoscenza dei vizi e delle cause nel momento in cui ha avuto la relazione del perito di parte (nel luglio 2013). Pertanto, è tornato a rappresentare che l'azione si era prescritta un anno dopo questa data, cioè nel luglio 2014, rilevando che la richiesta di ATP (oltre il termine di prescrizione) era stata fatta quale espediente del Condominio (danneggiato) per essere rimesso in termini (utilizzo dell'Accertamento Tecnico Preventivo definito illegittimo dall'orientamento costante della Cassazione, Cass. n. 20644/2013). Si costituiva in appello il Condominio "(...)", a mezzo del legale rappresentante p.t., contestando e resistendo a tutti gli avversi motivi di gravame e chiedendo il rigetto dell'appello con vittoria di spese. 3) Motivi della decisione: In merito al primo motivo di gravame, riguardante la mancanza di legittimazione processuale dell'amministratore rispetto alle parti di proprietà esclusiva, occorre rilevare che nell'elaborato peritale non si fa riferimento a voci di danno e vizi relativi a parte che non siano condominiali. Solo una delle voci di danno ivi indicate (cfr. perizia CTU, p. 10), peraltro per la somma di Euro 350,00, riguarda il restauro del parapetto e del frontalino del balcone della condomina (...). Sul punto, la Suprema Corte (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 2 febbraio 2016, n. 1990) ha stabilito che, in tema di condominio negli edifici e con riferimento ai rapporti tra la generalità dei condomini, i balconi aggettanti appartengono in via esclusiva al proprietario di questa, ma i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. In particolare, occorre considerare che, alla luce della giurisprudenza di legittimità, i balconi, quelli tradizionali che sporgono dalla facciata dell'edificio e costituiscono un prolungamento sospeso in aria dell'appartamento, vengono detti balconi aggettanti e sono di proprietà del titolare dell'appartamento a cui ineriscono. Invece per quanto riguarda le parti del balcone che sporgono sulla facciata dell'edificio e che sono da tutti visibili come le ringhiere, le fioriere incassane nel cemento e i frontalini (ossia la parte di verniceche riveste la zona inferiore del balcone, visibile all'esterno) sono elementi di arredo e di estetica dell'edificio: per cui i relativi costi sono a carico di tutti i condomini. Secondo l'ordinanza n. 27083/18 della Cassazione, il costo della restaurazione del balcone, seppur sia un bene di proprietà della corrispondente unità immobiliare, deve essere sopportato dall'intero condominio dato che la gradevolezza estetica del rivestimento esterno dell'edificio è una questione di comune interesse condominiale. E invero, l'interesse per l'estetica dell'edificio è comune a tutti i condomini in quanto il vantaggio si risolve in un aumento del valore dell'intero stabile e, di conseguenza, dei singoli appartamenti. In tal caso l'amministratore è pienamente legittimato ad agire contro il costruttore per richiedere il risarcimento dei danni subiti dai condomini per la presenza di gravi difetti nei balconi, indipendentemente dal fatto che i vizi riguardino le parti ritenute comuni in ragione dalla funzione estetica o le parti di proprietà esclusiva. In merito al secondo motivo di gravame, giova rilevare che il costruttore è responsabile dei "gravi difetti" dell'immobile che si presentano nel corso di dieci anni dal suo compimento (art. 1669 c.c.). Ai fini della responsabilità in questione, costituiscono gravi difetti dell'edificio non solo quelli che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell'opera ma anche quelli che riguardano elementi secondari e accessori (impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti ecc.) purché tali da compromettere la funzionalità dell'opera stessa, e che, senza richiedere lavori di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati con gli interventi di manutenzione ordinaria. E invero, sul punto, la S.C., con l'ord. n. 24931/2021, ha statuito che "in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazioni d'acqua e umidità nelle murature" (in tal senso anche Cass. n. 27315/2017). Pertanto, il vizio rileva anche se relativo ad elementi non strutturali della costruzione, come rivestimenti o pavimentazione. Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione è del tutto uniforme in questo senso, e, in particolare, secondo Cass. civ. n. 10048/2018 "compete al giudice del merito, con accertamento in fatto insuscettibile di riesame in sede di legittimità, qualificare in concreto una determinata anomalia costruttiva di edificio, va richiamato che al fine di distinguere dal punto di vista giuridico il concetto di vizi che incidano sulla conservazione e funzionalità dell'edificio ex art. 1669 cod. civ. dalla diversa nozione di vizi dell'opera ex art. 1667 cod. civ. (la Corte di Cassazione) è intervenuta a sezioni unite (Cass. sez. U n. 7756 del 2017) chiarendo che sono gravi difetti dell'opera, rilevanti aifini dell'art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo" (in tal senso ex plurimis Cass. civ. sez. II, 29 aprile 2008, n. 10857; Cass. civ. sez. II, 4 novembre 2005, n. 21351). Oltre alla giurisprudenza di legittimità sopra citata, bisogna rilevare che il CTU nominato dal tribunale, nel procedimento di ATP, Geom. (...), il cui elaborato approfondito, completo e privo di contraddizioni logiche, viene fatto proprio da questo Collegio, rispondendo al quesito n.5 (pag 11), ha accertato che "i vizi lamentati dal Condominio sono dovuti ad una errata posa in opera di alcuni lavori eseguiti dall'Impresa (...) nel complesso immobiliare, vizi che nel tempo potranno continuare a causare rovina ad alcune parti degli edifici stessi e pertanto è necessario il loro ripristino". A tal proposito, occorre rilevare che nei confronti dell'appaltatore sussiste una presunzione iuris tantum di responsabilità, la quale non può essere superata con la generica prova di diligenza, ma solo con l'allegazione di fatti positivi, precisi e concordanti idonei a superarla (Cass. n. 12106/98; Cass. n. 2123/91). E invero, nel caso in esame tale onere della prova non risulta adempiuto dall'Impresa odierna appellante. Nello specifico, vengono rilevati, dalla CTU, gravi difetti dell'opera, rilevanti ai fini dell'art. 1669 c.c., i quali pur incidendo su elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), compromettono la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo. Più nello specifico, in primo luogo, viene evidenziato come la pavimentazione dei camminamenti pedonali esterni presenti delle pendenze errate che, in caso di pioggia, causano infiltrazioni e distacchi di intonaco esterno dei muretti. In secondo luogo viene rilevato come il serbatoio interrato di accumulo d'acqua risulti fuori uso. Inoltre, viene accertato che il piano seminterrato in cui sono ubicati i garage, è assoggettato ad allagamenti, mancando idoneo sistema di canalizzazione delle acque piovane; il che rende praticamente inutilizzabili tali locali (la prova di ciò grazie all'ausilio di opportune prove tecniche). Questi sono, solo, alcuni dei numerosi difetti che vengono rilevati dalla CTU, per l'eliminazione dei quali viene quantificato il costo in Euro 18.157,70, più IVA (tutti riportati analiticamente nel computo metrico della perizia), e che qualora non venga approntata la messa in ripristino "nel tempo potranno continuare a causare rovina". Alla luce di tutte le cose dette, la CTU tecnica/descrittiva, risultando ben motivata, esente da errori logico-giuridici, fondata sugli opportuni accertamenti, è da condividere pienamente. In merito al terzo motivo di gravame, relativo alla parte della sentenza di prime cure in cui vengono rigettate le eccezioni riproposte dall'appellante in tema di decadenza e di prescrizione dell'azione per il risarcimento del danno, occorre considerare che pur contestando ,il Condominio (...), odierno appellato, la presenza di vizi, con una perizia di parte, rilasciata dal geometra G.P. nel luglio 2013, secondo costante giurisprudenza di legittimità, " (...) l'identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la scoperta del vizio ai fini del computo dei termini di denuncia e di decadenza deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi dell'operaquanto al collegamento causale di essi con l'attività progettuale e costruttiva espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di elementi convincenti contrari anteriori, solo all'atto della acquisizione di idonei accertamenti tecnici" (cfr. Cass. civ. sez II, 31.01.2008, n. 2313). Ed ancora, la giurisprudenza di legittimità afferma che, in tema di azione speciale ex art. 1669 c.c.., i vizi dell'opera devono essere denunciati entro l'anno dalla loro effettiva conoscenza da parte del danneggiato ed il dies a quo di tale termine annuale di denuncia coincide con la data di comunicazione, con biglietto di cancelleria, dell'avvenuto deposito della CTU nell'ambito dell'accertamento tecnico preventivo, con interazione di detto termine con quello successivo di prescrizione (cfr. Cass. Civ., sez. II, 21.10.2009, n. 22334). Per questi motivi, quando è intervenuto un procedimento per ATP ante causam è solo con il deposito della relazione del consulente nominato in sede di ATP che deve presumersi che il committente abbia acquisito la conoscenza non solo dell'esistenza dei difetti, ma pure delle loro specifiche cause sicché è al momento di detto deposito che va fatta risalire la scoperta dei difetti dell'opera ed il decorso del termine annuale per la denuncia ai fini della decadenza, cui risulta collegato, sotto il profilo cronologico, quello successivo di prescrizione, anch'esso annuale per l'esercizio dell'azione di responsabilità. Sul punto, giova rilevare che la CTU (pag. 17), in primo luogo, ha specificato che, essendo i Condomini persone tecnicamente non preparate o in grado di definire vizi nell'esecuzione di lavori edili, "si sono potuti accorgere dei vizi solo negli anni successivi la consegna delle palazzine, precisamente al manifestarsi delle infiltrazioni, dei distacchi e delle altre situazioni di degrado createsi"; in secondo luogo, nella risposta al quesito n. 6 (pag. 11), il CTU ha rilevato che "i vizi lamentati dal Condominio non potevano essere riconosciuti o riconoscibili fin dalla riconsegna del cantiere avvenuta nel luglio del 2006 (...), in quanto la maggior parte di essi si saranno verificati nei tempi successivi la riconsegna (...) non è possibile, oggi, stabilire in quale preciso anno si siano verificati". In proposito, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare, con l'ordinanza n. 777/2020, che "il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall'articolo 1669 c.c. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. L'accertamento del momento nel quale detta conoscenza sia stata acquisita, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto (Cass. n. 4622/2002, n. 81/2000). Pertanto, la perizia del geometra (...), cui l'appellante cerca di ancorare la conoscibilità dei vizi, non è altro che un primo, conciso e generico, parere tecnico sulla base del quale il condominio Panorama ha potuto inizialmente denunciare la presenza di vizi all'impresa costruttrice; ma di certo non può costituire quella piena conoscibilità richiesta dall'art. 1669 c.c., e ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, tale da costituire il dies a quo per il calcolo dei termini di decadenza e prescrizione. E invero, tale relazione non era idonea a descrivere ai condomini la gravità dei vizi dell'opera e soprattutto a ricondurre l'effettiva riconducibilità dei disagi percepiti dai condomini ai vizi di costruzione. A conferma di quanto detto, giova precisare che dalla lettura di detta perizia di parte risulta evidente che essa costituisca solo un primo resoconto dei malfunzionamenti delle opere condominiali, senza dunque, una effettiva ed approfondita ricerca delle cause. Alla luce di quanto detto, è evidente che solo con la CTU si acquisisce una conoscenza precisa e analitica dell'esistenza dei vizi di costruzione, imputabili all'appaltatore, con indicazione puntuale dei modi per rimuoverli. E', pertanto, solo successivamente al suo deposito, all'esito dell'esperimento della procedura di ATP, avvenuto il giorno 8 settembre 2015, possono decorrere i termini di prescrizione e decadenza. Quindi, nel caso in esame, la domanda, introdotta con atto di citazione notificato il giorno 8 agosto 2016, risulta correttamente proposta entro l'anno dal dies a quo. In conclusione questa Corte ritiene l'appello infondato, con piea conferma della sentenza impugnata. Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo liquidazione indicata in dispositivo, fatta esclusione della fase istruttoria non svolta in secondo grado. Trova applicazione la norma di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che prevede l'obbligo del versamento da parte chi ha proposto un'impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile o rigettata integralmente di versare una ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per la stessa impugnazione (vedi Cass. S.U. n. 14594 del 2016, Cass. n. 18523 del 2014); pertanto trattandosi di appello proposto dopo il 31 gennaio 2013, l'appellante soccombente sarà altresì tenuto al versamento di un importo pari a quello già dovuto a titolo di contributo unificato. P.Q.M. definitivamente pronunciando sull'appello proposto da IMPRESA (...) S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, contro la sentenza n. 308/2018 emessa dal Tribunale di Teramo pubblicata in data 9 aprile 2018, nei confronti di CONDOMINIO (...) DI S., in persona dell'amministratore pro tempore, così provvede: - Rigetta l'appello; - Condanna l'appellante a rimborsare l'appellata, delle spese di lite, liquidate in Euro 3.777,00, oltre Iva, Cap e spese generali come per legge, per il secondo grado di giudizio; - Dichiara l'appellante tenuto al versamento di una somma pari a quanto già versato a titolo di contributo unificato. Così deciso in L'Aquila il 23 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2022.

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