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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO sezione IV CIVILE Il giudice dr.ssa Valeria Di Donato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N.R.G. 19848 dell'anno 2018 TRA (...) (C.F. (...)) con l'avv. NISIVOCCIA ETTORE ATTORE E (...) FONDO V.S. in qualità di impresa designata per il Piemonte per la liquidazione dei sinistri a carico del F.G.V., in persona del legale rappresentante pro tempore, (P.I. (...)), con l'avv. VA.CA. CONVENUTA E (...) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, (P.I. (...)) con l'avv. GH.MA. CONVENUTA OGGETTO: azione ex art. 283 D.Lgs. n. 205 del 2009 e ex art. 2051 cod. civ. rassegnate dalle parti le seguenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha evocato in giudizio la SOCIETA' (...), in qualità di Impresa Designata per il Piemonte per la Liquidazione dei Sinistri a carico del F.G.V., e l'(...) S.p.a., esponendo che: - il giorno 25.09.2016 alle ore 17,30, alla guida del motociclo di sua proprietà Honda Hornet, di colore nero, tg (...), assicurato presso A.I. S.p.a., percorreva la Strada Statale n. 20 in direzione di Cuneo, costituita da un'unica carreggiata a doppio senso di circolazione, separata da segnaletica orizzontale, allorché, giunto nel Comune di Vernante, all'altezza della progressiva chilometrica 97, nell'approssimarsi ad una curva sinistrorsa al fine di evitare un veicolo di colore grigio proveniente dall'opposto senso di marcia che invadeva la semicarreggiata percorsa - veicolo rimasto sconosciuto e che non si fermava per prestare soccorso - per evitare l'impatto, compiva una manovra di deviazione verso destra; - nel compimento della deviazione di emergenza si immetteva in uno spiazzo presente sul margine destro della Strada Statale, tratto dismesso della vecchia statale di proprietà di (...) S.p.a., con fondo stradale sconnesso, tanto che nel transitarvi rovinava al suolo riportando lesioni gravi; - successivamente, il manto stradale del suddetto spiazzo veniva parzialmente ripristinato dalle buche e asperità presenti alla data dell'incidente; - al momento dell'accadimento il suddetto slargo era di libero accesso e privo di segnale di divieto e di avviso della presenza di sconnessioni; - sul luogo interveniva il servizio 118 che lo trasportava presso l'Ospedale di Cuneo; - a seguito del sinistro riportava frattura composta epifisi distale radio di sinistra, che veniva trattata con gesso, frattura scapola destra, frattura amielica del corpo di D8 e dei processi trasversi frattura processo spinoso di D6, D7 e D8; - residuava un'invalidità permanente del 22-23%, con invalidità temporanea nel complesso di 150 giorni; - aveva sostenuto spese mediche per Euro 2.964,75; - il motociclo aveva riportato danni per Euro 9.126,06, come da preventivo emesso dalla carrozzeria; - aveva venduto la motocicletta per l'importo di Euro 2.500,00 in data 29.11.2017 a fronte della antieconomicità del ripristino; - il valore dell'abbigliamento indossato e andato distrutto era pari ad Euro 1.000,00. Ciò premesso, ha dedotto che la responsabilità del sinistro era da attribuirsi al conducente del veicolo rimasto sconosciuto che aveva invaso l'opposta corsia di marcia costringendolo a deviare verso destra, nonché all'(...), in qualità di ente tenuto alla manutenzione dello slargo dissestato che aveva determinato la caduta. Ha chiesto, pertanto, la condanna delle parti convenute un solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti all'esito del sinistro, quantificati rispettivamente in Euro 16.454,64 ed Euro 93.376,50. L'(...) S.p.a. si è costituita in giudizio contestando la domanda attorea ed eccependo che: - non era stata fornita alcuna prova del fatto storico, stante il mancato intervento dell'autorità di polizia e la mancata segnalazione all'ente stesso; - alcuna anomalia era ravvisabile nell'area in cui si era asseritamente verificato il sinistro; - l'area in oggetto era, in ogni caso, interdetta al traffico dei veicoli trattandosi di un reliquato stradale del vecchio tracciato della SS20 e il relativo stato manutentivo era consono rispetto all'impiego esclusivo da parte dell'(...); - la responsabilità del sinistro, secondo le allegazioni dell'attore, era da attribuirsi sia alla condotta di guida del veicolo rimasto sconosciuto e alla compiuta invasione della corsia di marcia di DEGA, sia alla condotta dell'attore stesso che ove avesse tenuto un'andatura di guida conforme alle prescrizioni di cui agli artt. 141 e 143 del Codice della Strada, tenendosi al margine destro della carreggiata e adeguando la velocità alle condizioni della strada, avrebbe potuto evitare l'evento. Ha, altresì, contestato le avversarie richieste risarcitorie e ha chiesto, in via principale, il rigetto della domanda e, in via subordinata, accertare, ex art. 1227 cod. civ., il concorso colposo del creditore nella causazione dell'evento e dei danni e conseguentemente diminuire il risarcimento secondo la gravità della colpa accertata in capo a (...) e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, escludendo in ogni caso il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. La SOCIETÀ (...) si è costituita in giudizio contestando la domanda attorea e deducendo che, in base alle stesse allegazioni dell'attore, la causa del sinistro era da attribuirsi ad un'autonoma uscita di strada del motociclo dovuta alla incapacità del guidatore di governarlo, in violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 140, 141 e 143 del CDS. Ha rilevato che la caduta del motociclo e le conseguenti lesioni del guidatore non sarebbero scaturite dall'asserita altrui invasione di corsia, bensì dal transito del motociclo sullo spiazzo sconnesso e caratterizzato da buche. Inoltre, solo ipotizzando una circolazione del veicolo rimasto sconosciuto completamente nell'opposta corsia di marcia troverebbe spiegazione una deviazione del motociclo fuori dalla sede stradale ordinaria, in quanto, diversamente, ove il ciclomotore fosse transitato tenendosi al margine destro, non sarebbe stata necessaria alcuna deviazione. Ha contestato l'avversaria quantificazione del danno e ha chiesto, in via principale, il rigetto della domanda; in via subordinata, contenere l'eventuale condanna entro i limiti del solo danno concretamente provato in corso di causa, ed in nesso causale con l'evento riferibile al contegno di guida del veicolo rimasto sconosciuto, con esclusione di ogni danno derivante dalla caduta del centauro in area (...) S.p.a., e comunque entro i limiti di cui all'art. 283, secondo comma, C.d.A.. La presente azione è proposta nei confronti dell'(...) S.p.a. ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. e nei confronti della SOCIETÀ (...) ai sensi degli artt. 283 e 287 del D.Lgs. n. 209 del 2005 che consentono al soggetto che abbia subito un danno dalla circolazione di veicoli e natanti per i quali vi sia l'obbligo di assicurazione e che siano rimasti non identificati, ossia sconosciuti, di ottenere il risarcimento dall'impresa designata dall'IVASS, ai sensi dell'art. 286 del citato decreto. Secondo il consolidato orientamento della S.C. "il danneggiato il quale promuova richiesta di risarcimento nei confronti del F.G.V., sul presupposto che il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato (art. 19, primo comma lett. A, L. 24 dicembre 1969, n. 990), ha l'onere di provare sia che il sinistro si è verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di un altro veicolo o natante, sia che questo è rimasto sconosciuto; a quest'ultimo fine è sufficiente dimostrare che, dopo la denuncia dell'incidente alle competenti autorità di polizia, le indagini compiute o quelle disposte dall'autorità giudiziaria, per l'identificazione del veicolo o natante investitore, abbiano avuto esito negativo, senza che possa addebitarsi al danneggiato l'onere di ulteriori indagini articolate o complesse, purché egli abbia tenuto una condotta diligente mediante formale denuncia dei fatti ed esaustiva esposizione degli stessi." (cfr. Cass. n. 15367/2011; n. 12304/2005). L'attore, pertanto, è tenuto a provare: il fatto storico dell'incidente, la condotta dolosa o colposa del conducente, la circostanza che questo sia rimasto sconosciuto. La speciale procedura risarcitoria prevista dagli artt. 283 e ss. del D.Lgs. n. 209 del 2005 - nata dalla necessità sociale di non lasciare prive di risarcimento le vittime di incidenti stradali nelle specifiche ipotesi contemplate nei menzionati articoli, fra cui quelle da sinistro causato da veicolo, soggetto all'obbligo assicurativo e non identificato - non importa, difatti, alcuna deroga all'ordinario regime probatorio che onera colui che agisce della prova dell'effettivo verificarsi del sinistro e delle sue modalità, della sua derivazione causale dal comportamento colposo del conducente del veicolo non identificato e delle conseguenze lesive subite. La disciplina in esame si collega a quella codicistica concernente la responsabilità aquilana in tema di circolazione dei veicoli, lasciandola immutata, anche per quanto attiene alla prova di siffatta responsabilità, sicché l'obbligo del Fondo di risarcire i danni derivati da sinistro, cagionato da veicolo rimasto sconosciuto, può essere affermato anche in base alle presunzioni di cui all'art. 2054 c.c. (cfr. Cass. civ. 3237/1995). "La garanzia assicurativa della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli e dei natanti predisposta dalla L. n. 990 del 1969 non sostituisce, ma integra la tutela sanzionatoria della responsabilità civile. Essa, cioè, è configurata come un sistema di tutela che completa, ma non rimpiazza la tutela della responsabilità civile e non intende assicurare un risarcimento a prescindere dalla colpa del danneggiante ... Conseguentemente, il danneggiato che promuova richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 19, primo comma lett. a), della L. 24 dicembre 1969, n. 990, deve provare che il sinistro si è verificato per condotta dolosa o colposa di altro veicolo o natante, il cui conducente sia rimasto sconosciuto". (cfr. Cass. n. 10484/2001). Presupposti per l'applicazione di questa previsione sono, dunque, che il veicolo responsabile del sinistro non sia stato individuato, e di conseguenza non sia stato possibile risalire alle generalità del proprietario, e che ciò sia accaduto senza colpa della vittima (cfr. Cass. n. 24449/2005). Come osservato dalla S.C. "La norma pertanto va letta come se dicesse risarcibili da parte dell'impresa designata i sinistri causati da veicoli non identificati, ne' identificabili con l'uso dell'ordinaria diligenza. 2.5. La natura diligente o meno di qualsiasi condotta giuridicamente rilevante va compiuta alla stregua dei precetti dettati dell'art. 1176 c.c.. Tale norma stabilisce che è negligente colui il quale tiene una condotta difforme da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto il bonus pater familias, ovvero la persona di normale avvedutezza e media istruzione e sensibilità. Nel caso di sinistro stradale causato da veicolo non identificato, pertanto, la responsabilità dell'impresa designata sorge allorché possa affermarsi che la vittima abbia tenuto una condotta negligente ai sensi dell'art. 1176 c.c., cioè difforme da quella esigibile da qualunque altra persona normale nelle medesime circostanze. Il relativo giudizio non va compiuto a priori, stabilendo quali siano le condotte dell'automobilista responsabile che giustificano la mancata identificazione, ma a posteriori, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto. Quel che rileva dunque ai fini del sorgere dell'obbligazione a carico dell'impresa designata non è accertare se vi sia stata una fuga del responsabile, ma se il veicolo per qualsiasi ragione non sia stato identificato, e se vi sia stata una condotta diligente della vittima." (cfr. Cass. n. 274/2015). Pertanto, se deve escludersi l'obbligo, per il danneggiato, di compiere veri e propri atti di indagine o accertamenti ispettivi (cfr., in questo senso, Cass., sez. III, 19 settembre 1992, n. 10762; Cass., 8 marzo 1990, n. 1860), deve anche escludersi la responsabilità dell'impresa designata per conto del (...) quando l'omessa identificazione del responsabile sia ascrivibile a negligenza della vittima. Ciò posto, ritiene questa giudice che, dal quadro probatorio formatosi in corso di causa sia emerso che il sinistro in oggetto si sia verificato secondo le modalità descritte in citazione per fatto e colpa del veicolo rimasto sconosciuto e che sia stata, altresì, dimostrata l'impossibilità di identificare il veicolo nonostante l'uso dell'ordinaria diligenza, salva la sussistenza di un concorso di colpa dell'attore, per i motivi di seguito esposti. In via preliminare, quanto alle deduzioni sollevate dalla difesa della SOCIETÀ (...) relative all'omessa denuncia all'Autorità Giudiziaria da parte dell'attore, è sufficiente richiamare l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell'azione di risarcimento del danno esperita nei confronti dell'impresa designata dal F.G.V., né il danneggiato è tenuto ad attivarsi per identificare il veicolo in quanto l'accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della denuncia o della querela costituisce un mero indizio, non riguarda la diligenza della vittima nel consentire l'individuazione dei responsabile, ma la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo rimasto non identificato per circostanze obiettive e non imputabili a negligenza della vittima." (cfr. Cass. n.21983/2022). La denuncia contro ignoti costituisce, pertanto, un mero indizio che può essere liberamente valutato dal giudice congiuntamente agli altri elementi probatori acquisiti al giudizio ma che, di per sé, ha una valenza probatoria neutra. Nella fattispecie in esame, tenuto conto del quadro probatorio formatosi all'esito dell'istruttoria e all'emersione della prova del verificarsi del sinistro secondo le modalità dedotte in citazione, l'omessa denuncia alle competenti autorità non assume, a parere di questo Tribunale, alcun significato dirimente, né smentisce o affievolisce la ricostruzione dei fatti attorea. Quanto al riparto dell'onere probatorio, occorre premettere che grava sull'attore l'onere di "provare sia l'imputabilità del sinistro in capo al veicolo rimasto sconosciuto, sia il nesso eziologico tra i danni riportati e l'evento, ferma restando la dimostrazione di aver comunque agito in modo prudente ed accorto. Dunque, l'intervento del F.G.V. non incide sulla regola generale dell'onere probatorio in capo al danneggiato, che dunque deve ordinariamente le modalità del sinistro e l'attribuibilità dello stesso alla condotta dolosa o colposa del conducente del veicolo responsabile, ma anche dimostrare che tale veicolo è rimasto sconosciuto." (cfr. Tribunale Torre Annunziata sez. II, 19/01/2023, n.170), "con l'ulteriore precisazione che su tale profilo non incide il difetto (o il ritardo) di presentazione della denuncia da parte del danneggiato" (cfr. Tribunale Monza sez. II, 23/11/2022, n.2367). Ciò posto, l'attore ha adempiuto al proprio onere probatorio così come sopra delimitato, essendo stati dimostrati, all'esito della prova orale e sulla base della documentazione prodotta (verbale di PS, doc. n. 5), sia il verificarsi del sinistro nelle circostanze di tempo e di luogo dedotte in citazione, sia la dinamica dello stesso, sia, infine, la impossibilità di identificare il veicolo che ha determinato la manovra di emergenza posta in essere dall'attore. In particolare, il teste (...), presente al momento del fatto e della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare trattandosi di soggetto privo di rapporti di parentela con l'attore, ha integralmente confermato il verificarsi del sinistro secondo le modalità descritte in atto di citazione, riferendo, all'udienza del 28.1.2020 "Avevamo fatto un giro domenicale come facevamo spesso e scendendo giù a una curva verso sinistra c'era una macchina di colore grigio credo un'utilitaria che ha invaso la carreggiata ed è venuta verso (...) e lui per non prenderla in pieno ha deviato sulla destra ed è andato a finire in una piazzola. ADR: prima del sinistro (...) si trovava sulla destra della carreggiata. L'invasione della carreggiata è avvenuta con quasi metà dell'auto perché se fosse entrata tutta lo avrebbe preso in pieno. Non capisco come abbia fatto l'auto a non fermarsi per veder cosa fosse successo. L'auto è andata via come se nulla fosse. Infatti la mia ragazza dopo questa cosa disse "Basta moto". Va chiarito sul punto che l'annotazione nel verbale di accettazione al P.S. nella parte dedicata alla (...) del seguente tenore "...la caduta dal racconto degli amici è avvenuta poiché il paziente non ha impostato male la curva ed è andato diritto venendo sbalzato dalla moto" (cfr. documento allegato alle memorie 183 comma sesto dell'(...)) ha indotto questa giudice, vista la scarsa chiarezza della formulazione della frase, a rimettere la causa sul ruolo "per esaminare nuovamente il testimone (...), nonché per l'escussione della teste (...) e della teste di riferimento sopra indicata ..." (cfr. ordinanza del 22.07.2022). Sul punto, quindi, è stato nuovamente escusso il teste (...) che ha dapprima confermato quanto dichiarato all'udienza del 28.1.2020 ("stavamo facendo la strada e prima di fare la curva ho visto una macchina che si allargava sulla nostra corsia e (...) per evitarla ha raddirizzato la moto ed è andato dentro l'area di rimessa", e ha, dunque, precisato in ordine a quanto indicato nel citato verbale: "ho parlato con i medici che mi hanno chiesto cosa fosse successo. Inizialmente il medico ha fatto la battuta che si fa ai motociclisti "ha sbagliato a fare la curva, è andato diritto?" e io ho detto "No, non ha impostato male la curva ha raddirizzato ed è andato dentro la piazzola per evitare una macchina". Lui comunque era cosciente. ADR: Preciso che il medico mi ha chiesto "ha impostato male la curva è andato diritto?" e io ho risposto: "No, non ha impostato male la curva, ha evitato una macchina ed è andato diritto" ADr: confermo che (...) si è prima spostato verso destra per evitare l'auto che aveva invaso la sua corsia e poi è andato diritto, non so spiegare perché nel referto non sia indicato che avevo riferito della presenza di un'altra macchina, non ho scritto io le dichiarazioni. ADR: Preciso anche che ero l'unico a cui è stata chiesta la dinamica, non c'erano altre persone quando il sanitario mi ha interrogato. La mia ragazza era rimasta in sala d'attesa. ADr: eravamo nei limiti di velocità, non siamo criminali, facevamo giri domenicali con le compagne. Non ricordo quale fosse il limite. Ero a circa 100 metri dal sig. (...) quando è avvenuto il sinistro, nel dettaglio non ricordo. ADR: Preciso che il (...) ha inclinato la moto per fare la curva verso sinistra poi si è spaventato vedendo l'auto che arrivava sulla sua corsia e si è spostato verso destra raddirizzando la moto e andando verso destra, andando poi diritto, era all'inizio della curva. ADR: non ricordo in quale punto della piazzola sia entrato ma non aveva finito la curva quando si è tirato su ed è poi andato diritto. ADR: La macchina ha invaso la corsia del (...) quando aveva ormai quasi terminato la sua curva e poi è subito rientrata altrimenti l'avrei presa anch'io. ADR: la macchina era un'utilitaria, di colore chiaro, grigio penso." (cfr. verbale di udienza del 13.09.2022). Il teste ha, dunque, riportato nel dettaglio il colloquio intercorso con il personale sanitario e ha fornito una spiegazione convincente di quanto descritto nel verbale di Pronto Soccorso, riferendo di aver risposto alle domande postegli dal personale sanitario; ciò risulta compatibile con la descrizione della dinamica della caduta in forma negativa ("NON ha impostato male la curva"). Va, inoltre, considerato, anche con riguardo alla scheda del servizio 118, che l'omessa menzione nel verbale in oggetto di un veicolo rimasto sconosciuto quale causa della manovra effettuata dall'attore non solo non è idonea a inficiare la testimonianza resa da (...) ma è del tutto compatibile con il contesto redazionale dei suddetti documenti e le finalità di compilazione. Difatti, sia il verbale di pronto soccorso sia la scheda del 118 non sono redatti al fine di fornire una ricostruzione della dinamica del sinistro, bensì di acquisire informazioni utili rispetto alla cura del paziente, per cui è ben possibile che in essi non si rinvengano dettagli relativi alle esatte modalità del sinistro, ove non rilevanti rispetto alle prestazioni specifiche che il personale di soccorso e medico - sanitario devono eseguire al momento dell'intervento. La testimonianza resa dal teste (...) concorda, peraltro, con quella resa dalla sua fidanzata, (...), che, escussa d'ufficio ex art. 257 c.p.c., ha confermato, seppur de relato, la presenza di un veicolo rimasto sconosciuto che avrebbe causato l'uscita di strada di (...). sul punto, difatti, ha dichiarato: "... ero presente quando il sig. (...) ha avuto l'incidente. Ero sulla moto del mio compagno come passeggera, (...). Eravamo dietro (...) che era davanti a noi. ... essendo dietro non vedo davanti. ... non ho assistito al sinistro perché avevo la faccia rivolta verso la montagna e non ho visto nulla, ho visto solo poi (...) per terra. Il mio compagno ha iniziato a frenare e l'ho sentito urlare quindi mi sono tirata un po' più su e ho visto che (...) era per terra. L'ho visto quando stavamo entrando nella piazzola per soccorrerlo. ... ho chiesto al mio compagno come fosse caduto (...) e lui mi ha accennato che c'era una macchina che gli ha tagliato la strada,poi sono scoppiata a piangere" Quanto alla valenza probatoria della testimonianza raccolta, si richiama l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli de relato in genere, depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità" (cfr. Cass., sez. VI, 17 febbraio 2016, n. 3137). Risulta, quindi, provato che il sinistro per cui è causa sia stato cagionato dalla parziale invasione della corsia di marcia percorsa da (...) da parte di un'utilitaria di colore grigio, rimasta sconosciuta stante l'impossibilità sia per l'attore sia per gli altri presenti di compiere qualsiasi attività idonea all'identificazione. Sul punto, occorre sottolineare che, in base alla ricostruzione della dinamica del sinistro emersa dall'espletata prova testimoniale, l'utilitaria avrebbe invaso la corsia di marcia percorsa da (...) nel tratto curvilineo per rientrare nella propria corsia immediatamente ("... la macchina è subito rientrata ... Non capisco come abbia fatto l'auto a non fermarsi per veder cosa fosse successo. L'auto è andata via come se nulla fosse.") e poi proseguire senza alcuna sosta, quindi nel tempo necessario per percorrere la curva, ossia un tempo minimo, palesemente insufficiente per individuare il numero di targa della vettura. Si tratta, difatti, di un veicolo che sostanzialmente ha affrontato una curva invadendo parzialmente l'opposta corsia di marcia e ha proseguito la marcia, su una strada non trafficata: non si vede in che modo l'attore o i testi escussi che lo seguivano a distanza di 100 metri e che si sono fermati nella piazzola per prestare soccorso all'amico avrebbero potuto prendere il numero di targa del veicolo che non risulta abbia né rallentato, né che si sia fermato. Così ricostruita la dinamica del sinistro, va considerato che, sulla base delle dichiarazioni rese dal teste S., tenuto conto delle caratteristiche della strada, deve ritenersi presuntivamente provato che (...) non viaggiasse vicino al margine destro della propria corsia di percorrenza. Sul punto occorre rilevare che il teste (...) ha dichiarato che l'utilitaria rimasta sconosciuta ha invaso l'opposta corsia di marcia con "quasi metà dell'auto" ("L'invasione della carreggiata è avvenuta con quasi metà dell'auto perché se fosse entrata tutta lo avrebbe preso in pieno ..." e"...prima di fare la curva ho visto una macchina che si allargava sulla nostra corsia e (...) per evitarla ha raddirizzato la moto ed è andato dentro l'area di rimessa. ... confermo che (...) si è prima spostato verso destra per evitare l'auto che aveva invaso la sua corsia e poi è andato diritto,... Preciso che il (...) ha inclinato la moto per fare la curva verso sinistra poi si è spaventato vedendo l'auto che arrivava sulla sua corsia e si è spostato verso destra raddirizzando la moto e andando verso destra, andando poi diritto, era all'inizio della curva."). In base alla relazione tecnica del perito Ceriali prodotta da parte attrice (doc. n. 3), il tratto di strada in cui si è verificato il sinistro ha una larghezza di 7,50 metri; la circostanza non è stata specificamente contestata. Tenuto conto che, ai sensi dell'art. 61 del CDS, la larghezza massima di un veicolo non può eccedere i 2,55 m e che l'auto rimasta sconosciuta è stata definita dal teste (...) come un'utilitaria, con larghezza presumibilmente inferiore a quella massima indicata, l'invasione della corsia percorsa da (...) non può essere stata superiore a 1,275 m, ciò volendo ipotizzare che l'auto avesse la larghezza massima consentita. Ne consegue che lo spazio di corsia residuo era pari a 2,47 m e, come tale, sufficientemente largo per evitare lo scontro con l'auto anche senza alcuna deviazione a destra, laddove il conducente del ciclomotore si fosse già trovato sul margine destro della corsia. Il fatto che (...) abbia dovuto "raddirizzare la moto" e spostarsi verso destra per evitare "di prendere in pieno" l'auto che si era allargata sulla sua corsia di marcia fa desumere che egli non viaggiasse sul margine destro della corsia bensì più verso il centro. Deve, pertanto, ritenersi accertata la violazione da parte dell'attore del disposto dell'art. 143 C.d.S. nella parte in cui prescrive che "I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera. 2. I veicoli sprovvisti di motore e gli animali devono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata. 3. La disposizione del comma 2 si applica anche agli altri veicoli quando si incrociano ovvero percorrono una curva o un raccordo convesso, a meno che circolino su strade a due carreggiate". Pare opportuno precisare che l'art. 143 C.d.S., comma 1 prescrive al conducente di un veicolo a motore non solo di tenere la mano destra della carreggiata, ma di tenersi vicino al margine destro (cfr. Cass. n. 1663 del 1994) e, in particolare, il più possibile vicino al margine destro in prossimità di una curva. Il sinistro, pertanto, è causalmente imputabile anche alla condotta tenuta da (...) che non rispettando l'obbligo della rigorosa tenuta della mano destra in prossimità di una curva ha violato il precetto di cui all'art. 143 C.d.S. e non ha fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 2054 cod. civ., non avendo provato di avere integralmente conformato la propria condotta di guida a tutte le regole cautelari vigenti. DEGA avrebbe, difatti, dovuto procedere lungo il margine destro della carreggiata, ancor più nell'approssimarsi di un tratto curvilineo della strada potendo in tal caso ragionevolmente tentare di evitare di deviare verso destra e uscire fuori strada, sicché questi deve ritenersi responsabile della causazione del sinistro, con contributo valutabile in una percentuale del 30%. Non sono, invece, emersi elementi oggettivi da cui desumere che l'attore, come ipotizzato dalle parti convenute, abbia superato il limite di velocità vigente o abbia tenuto una velocità non consona rispetto alle condizioni della strada. Anzi, sul punto il teste (...) ha dichiarato "procedevamo entro i limiti a circa 50 km/h...". Così ripartite le rispettive quote di responsabilità, va, altresì, affermata la sussistenza della concorrente responsabilità dell'A. S.p.a. nella determinazione dell'evento dannoso, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. Sul punto parte attrice ha dedotto che, a seguito della manovra di emergenza alla quale veniva costretto per la condotta del veicolo rimasto sconosciuto, entrava in uno slargo posto a margine della carreggiata, cadendo a terra a causa del manto stradale estremamente sconnesso, caratterizzato dalla presenza di buche profonde. L'A. ha contestato l'applicabilità della disciplina dettata dall'art. 2051 cod. civ. deducendo che tale area, esterna alla carreggiata, costituisse un reliquato stradale interdetto al pubblico transito e, quindi, non soggetto ad alcun obbligo di manutenzione da parte dell'ente stesso. Dall'espletata prova testimoniale è emerso che effettivamente l'area in oggetto non è destinata al pubblico transito, essendo un ex reliquato (...) posta ad esclusivo servizio dell'ente stesso. Sul punto il teste (...), capo cantoniere (...) SS20, ha dichiarato: "...si tratta di un ex reliquato (...) interdetto alla circolazione, non è una piazzola di sosta. All'epoca era in usoesclusivamente ad (...) e dietro la struttura che si vede nella foto (doc. n. 2) c'è una proprietà privata.... l'interdizione al traffico si desume dalla linea marginale continua presente sulla strada. Non ci sono cartelli o altro in quanto non è una piazzola. .... non ci sono recinzioni o altro in quanto non devono esserci essendo sufficiente la linea marginale...". Analogamente il teste (...), geometra dipendente (...), ha dichiarato: "...E' area interdetta al traffico in quanto reliquato (...) Non è area soggetta a traffico e quindi non è in manutenzione viene utilizzata solo per la sosta dei mezzi di servizio... L'area non è recintata e non ci sono cartelli che ne impediscono l'uso "come se fosse un prato" ai bordi della strada. Non c'è nulla che separa la carreggiata da quello spiazzo. L'unica demarcazione è la linea bianca che definisce la strada ...". Entrambi i testimoni hanno, poi, precisato che vi è un tratto in cui la linea che delimita la carreggiata e accede all'area è tratteggiata (cfr. dichiarazioni teste (...): "Confermo che c'è un tratto in cui la linea è tratteggiata ma è come un passo carraio cioè una zona per consentire l'accesso ad uso privato cioè serviva per entrare e uscire dall'area quando c'era il deposito"; e dichiarazioni teste (...): "...la linea è continua però c'è un tratto dove è "tratteggiata" per consentire l'accesso all'unica persona residente per non lasciarla interclusa. Preciso che il tratto tratteggiato è in corrispondenza al reliquato ma serve per l'accesso a quella persona al suo uso esclusivo..."). In base alle riportate testimonianze e alla documentazione fotografica prodotta, posto che non è contestata la proprietà dell'area in capo all'(...) S.p.a. e, dunque, la qualificazione dell'ente come custode, si evince che lo slargo in oggetto, posto al margine della carreggiata, alla stregua di una vera e propria piazzola, benchè non possa qualificarsi come tale e non sia destinata al pubblico transito ovvero alla sosta delle auto di passaggio, di fatto non è un'area interdetta, né delimitata in alcun modo ma, anzi, caratterizzata dalla presenza di una linea tratteggiata che normalmente segnala la possibilità di accesso. La sussistenza del rapporto di custodia e l'assenza di segnalazioni specifiche di interdizione al transito, nonché la posizione a margine della carreggiata alla stregua di una piazzola rendono applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 cod. civ. atteso che l'area in oggetto era di fatto agevolmente accessibile da chiunque percorresse quel tratto di strada, al di là della qualificazione formale della stessa come "banchina" o "pertinenza", secondo le definizioni di cui all'art. 3 del C.d.S. Sul punto, appare utile richiamare i principi dettati dalla S.C. secondo cui "L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile." (cfr. Cassazione civile sez. III, 18/10/2011, n.21508). Con specifico riferimento alle strade pubbliche la S.C. ha avuto modo di precisare che "la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori o pertinenze,..." (cfr. Cass. n. 26527/2020). "L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico si presume responsabile, quale custode ex art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse alla struttura della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che venga fornita la prova che il danno era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile. Tale responsabilità non è limitata alla sola carreggiata in sé per sé, ma si estende anche agli elementi accessori o alle pertinenze della strada teatro del sinistro." (cfr. Corte appello Roma sez. V, 05/04/2022, n.2237). Né rileva, ai fini dell'esonero da responsabilità, che la condotta colposa dell'utente abbia contribuito alla causazione dell'evento dannoso, essendo la stessa è idonea ad integrare il caso fortuito solo laddove presenti i connotati di eccezionalità e imprevedibilità tali da determinare l'interruzione del rapporto causale fra la situazione della cosa e il sinistro. La giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato che "la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può escludere la responsabilità del custode solo "ove sia colposa ed imprevedibile" (Cass. n. 25837/2017), ossia "quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo" (Cass. n. 18317/2015), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente "carattere di imprevedibilità ed eccezionalità" (Cass. n. 2660/2013); in tal senso, anche i più recenti arresti di legittimità, pur affermando che il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 10c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire "quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale" (Cass. n. 2480/2018 e Cass. n. 9315/2019)" (cfr. già cit. Cass 26527/2020). Nella fattispecie in esame, tenuto conto della posizione dello slargo rispetto alla strada, dell'assenza di segnali di interdizione o altre delimitazioni e della presenza di una linea tratteggiata, non può in alcun modo qualificarsi come imprevedibile o inevitabile il comportamento dell'utente in transito che acceda all'area, per una qualsivoglia ragione dettata da una situazione di emergenza. Ciò posto, dalle testimonianze raccolte e dalla documentazione fotografica prodotta è emerso che l'area in oggetto fosse in stato di totale abbandono e tale da poter comportare pericoli per eventuali utenti in transito. Il teste (...) ha così descritto l'area: "La piazzuola era a bordo strada c'erano buche e rami d'albero. Quando ho parcheggiato la moto, ci ho messo del tempo a mettere il cavalletto perché erano presenti buche". Ancora, la teste (...) ha confermato lo stato di dissesto della piazzola: "Quando siamo arrivati (...) era per terra che urlava dal male e siamo entrati nella piazzola dove era (...) e si faceva fatica a stare in piedi perchè la piazzola era in uno stato pietoso.... ricordo che facevo fatica a stare in piedi nella piazzola perché era piena di buche e c'erano rami di alberi e pietre"; la teste (...) ha riferito: "...ci siamo fermati in una piazzola che era disastrata da quello che posso ricordarmi, con buche e detriti.". Infine, il teste (...) ha confermato il pessimo stato manutentivo dell'area, riferendo di essere egli stesso caduto dalla moto pur procedendo a passo d'uomo: "...nella piazzola dove c'erano mattoni, detriti buche ... Anch'io sono caduto per quello ma ero quasi fermo e non ho avuto danni". Risulta, dunque, provato che (...), dopo aver evitato l'autovettura che ha parzialmente invaso la propria corsia di marcia, sia stato costretto a spostarsi sulla destra e sia perciò finito nell'area di competenza dell'A., per poi cadere dalla moto a causa delle buche e dei dissesti presenti in detta area. Il teste (...) sul punto ha chiarito "Credo che luiabbia preso una buca ed è stata sbalzato dall'altra parte, per fortuna aveva il paraschiena, altrimenti non oso immaginare dove avrebbe potuto essere. ...io ho visto la moto che si è puntata in avanti e poi lui che è sbalzato in avanti quindi credo proprio che abbia preso una buca, quale non saprei dirlo. C'erano più buche.". In ordine alla sussistenza del nesso causale tra la caduta e lo stato dissestato dell'area è sufficiente richiamare quanto statuito dalla S.C. secondo cui "la causa è sempre individuata presuntivamente in relazione al contesto". (cfr. Cass. n.9140/2013 "Così, ad esempio, se un'autovettura slitta in un punto della strada dov'è presente del brecciolino, la causa dello slittamento ben potrà essere attribuita alla presenza di quel materiale anche se non vi siano stati testi che abbiano assistito alle modalità del fatto. Lo stesso vale per le cadute su pavimento bagnato, o lungo scale con gradini sconnessi e così via. Il vizio della motivazione sta allora nell'aver escluso la sussistenza di nesso causale solo perché non v'erano testi che avessero assistito alle modalità della caduta (il che dipende esclusivamente dal caso), senza scrutinare se a diverse conclusioni potesse in ipotesi pervenirsi sulla scorta dell'apprezzamento di fatti idonei ad ingenerare presunzioni, così consentendo di inferire la ricorrenza del fatto ignoto (causa della caduta) da quello noto (presenza di materiali di risulta) alla luce delle nozioni di fatto comune esperienza, che integrano com'è noto una regola di giudizio."). Risulta, inoltre, dalla perizia tecnica prodotta da parte attrice la compatibilità dei danni riportati dalla moto con un contatto avvenuto in "assetto verticale": "L'assenza di danni sia al cupolino...sia di abrasioni riferibili a contatto radente, costituiscono elementi che oggettivano una modesta velocità del motociclo al momento della compressione violenta...In ragione della concentrazione e ubicazione dei danni patiti, lo scrivente ritiene che gli avvallamenti presenti nel tratto in questione fossero decisamente profondi..." (doc. n. 3). Ne consegue che va affermata la responsabilità solidale dell'A. e della SOCIETA' (...) (nella misura del 70%) nella determinazione dell'evento dannoso, sussistendo un rapporto di concausa inscindibile nella causazione del sinistro tra la negligenza ed imprudenza del veicolo pirata e lo stato di dissesto dell'area pertinenziale, fermo il concorso di colpa dell'attore ai sensi dell'art. 1227 cod. civ. La caduta di (...) è stata, difatti, cagionata sia dalla manovra di emergenza da quest'ultimo posta in essere per evitare lo scontro con l'auto che ha invaso l'opposta corsia di marcia, non marciando l'attore il più possibile vicino al margine destro, sia dalla presenza di buche profonde nell'area di pertinenza. Se è pur vero che senza la manovra di emergenza causata dalla automobile rimasta sconosciuta, DEGA non si sarebbe spostato nella piazzola alla sua destra, è altrettanto vero che se la piazzola fosse stata priva di buche e in buono stato di manutenzione, con elevato grado di probabilità, la caduta sarebbe stata evitata. Ciò posto, stante l'applicabilità dell'art. 2055 cod. civ., va evidenziato che l'accertamento e la ripartizione delle quote di responsabilità di ciascun convenuto nella determinazione dell'unico evento dannoso attiene ai soli rapporti interni tra i condebitori solidali ma non può liberare ciascuno di essi dall'obbligo di essere tenuti per l'intero nei confronti del creditore principale. Il fondamento della norma di cui all'art. 2055 c.c. non è, difatti, quello di alleviare la responsabilità dei concorrenti nella produzione del danno bensì quello di rafforzare la garanzia del danneggiato, consentendogli di rivolgersi per l'intero a ciascuno dei soggetti responsabili senza doverli perseguire pro quota. La questione della gravità delle colpe gravanti su ciascuno dei coautori del danno e dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate attiene esclusivamente al riparto interno tra i condebitori solidali in caso di domanda di accertamento da parte di almeno uno di essi, per l'eventuale successivo esercizio dell'azione di condanna in regresso. In altri termini la graduazione delle colpe tra i soggetti responsabili di un medesimo fatto illecito, avendo soltanto la funzione di ripartire internamente tra i coobbligati l'obbligazione risarcitoria, non elimina affatto la solidarietà tra loro esistente, sicché, se anche nel corso del giudizio emerga la graduazione di colpa tra i vari corresponsabili, ciò non preclude al danneggiato la possibilità di essere integralmente risarcito da uno solo dei corresponsabili (cfr. Cass. n. 291/2011). Nella fattispecie in esame, non avendo i convenuti formulato espressa domanda di accertamento delle rispettive quote di responsabilità e di condanna dell'altro condebitore a tenerli indenni e manlevarli per le rispettive quote di responsabilità, la questione del riparto non può essere esaminata. Né può essere accolta la domanda di parte convenuta SOCIETÀ (...) di contenimento della condanna entro i limiti del solo danno in nesso causale con la condotta di guida del veicolo rimasto sconosciuto, stante il già richiamato disposto dell'art. 2055 cod. civ. In ordine alla quantificazione del danno, questa giudice condivide le conclusioni della CTU dr.ssa (...), il cui elaborato peritale è lineare e immune da vizi logici, secondo cui: "1-Si tratta di esiti di politrauma caratterizzato da frattura amielica della VI, VII e VII vertebra dorsale, con cedimento del corpo della D8, frattura processi trasversi bilaterali della D8 e dello spinoso D6-D7-D8 con successiva instabilità, frattura della scapola destra ed epifisi distale del radio sinistro. Si è reso necessario intervento di stabilizzazione con artrodesi D6-D7-D8 con uncini e barre estesa da D6 a D10. Ha eseguito riabilitazione. I postumi non sono suscettibili di miglioramento. 2-I postumi sono rappresentati da dorsalgie con riduzione dei movimenti del busto; da artralgie al polso sx e alla scapola sx. Il residuo danno biologico è valutabile in ambito di RC, in misura del 20% (venti per cento). IBT: 25 giorni a totale; 35 gg al 75%; 60 gg al 50% e trenta gg al 25%. Tutte le attività comportanti il sollevamento di gravi e movimenti di flesso estensione del busto, saranno svolti con grave disagio e usura. Per quelle attività comportanti la stazione eretta prolungata e la deambulazione protratta, queste saranno svolte con disagio e affaticamento. 3-Si tratta di lesioni obiettivabili. 4-Le lesioni sono compatibili con l'evento descritto in atti. 5- Le lesioni ed i postumi non sono stati influenzati da precedenti morbosi e /o da trattamenti inadeguati. 6-omissis 7-ITT: mesi 4. M. uno al 50%. Non incidenza sulla specifica. 8- omissis 10- Non sono prodotte spese" (cfr. elaborato peritale depositato il 1 marzo 2021). Ai fini della liquidazione del danno, trattandosi di lesioni superiori al 9%, occorre far riferimento ai criteri di elaborazione giurisprudenziale adottati dal Tribunale di Milano le cui tabelle, aggiornate al 2021 (cfr. Cass. n. 7272/2012 secondo cui se le "tabelle" applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l'introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d'appello) ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione), prevedono una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali che relazionali, nonché del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di sofferenza soggettiva, ossia dunque il danno biologico e il danno morale, unitariamente considerati, secondo un valore medio personalizzabile in ragione delle peculiarità del caso concreto. Non può tacersi sul punto che, la Suprema Corte, con la pronuncia n. 12408/2011, al fine di garantire la parità di trattamento tra gli utenti della giustizia e limitare le macroscopiche divergenze nella liquidazione del danno non patrimoniale soprattutto per le percentuali di invalidità superiori al 9%, ha affermato che i criteri per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano devono considerarsi "il valore da ritenersi "equo", e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità." È stato, poi, di recente precisato dalla S.C. che ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da lesione della salute secondo le Tabelle di Milano, ove si accerti la sussistenza, nel caso concreto, tanto del danno dinamico-relazionale (cd. biologico) quanto del danno morale, il "quantum" risarcitorio deve essere determinato applicando integralmente i valori tabellari (che contemplano entrambe le voci di danno), mentre, ove si accerti l'insussistenza del danno morale, il valore del punto deve essere depurato dall'aumento percentuale previsto per tale voce, salvo procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico (con esclusione, dunque, della componente morale), qualora sussistano i presupposti per la personalizzazione di tale tipologia di pregiudizio (cfr. Cass. n. 15733/2022). Quanto al danno cd. morale, l'atto di citazione introduttivo del giudizio non contiene alcuna indicazione un'invocazione meramente nominale del danno morale; senza alcuna reale prospettazione della sofferenza soggettiva sottesa a tale voce di danno; e tanto meno di elementi di fatto denotanti presuntivamente la detta sofferenza. Nel caso in esame, dunque, posto che il danno cd. morale non è stato né allegato né provato, il danno non patrimoniale di natura permanente, considerata la percentuale di invalidità del 20% e l'età del danneggiato al momento del sinistro (46 anni), deve essere liquidato in Euro 50.807,00, cui va aggiunto l'importo complessivo di Euro 8.875,00 per il periodo di invalidità temporanea (Euro 100,00 x 25 gg. = Euro 2.500,00 + Euro 100,00 x 35 gg x 75%= Euro 2.625,00 + Euro 100,00 x 60 gg. x 50% = Euro 3.000 + Euro 100,00 x 30 gg. x 25% = Euro 750,00), per un totale di Euro 59.682,00. La suddetta somma, come si evince dalle premesse su esposte, è omnicomprensiva del danno non patrimoniale subito dall'attore e comprende sia gli aspetti anatomo - funzionali che quelli relativi alla vita di relazione e alle attività quotidianamente svolte dal soggetto, nonché la sofferenza legata al trauma riportato. Quanto al danno patrimoniale derivato dal danneggiamento dell'abbigliamento motociclistico e del casco, quale evidenziato e desumibile dalla documentazione fotografica prodotta, si osserva quanto segue. Parte attrice ha depositato uno scontrino fiscale dell'importo di Euro 380,00 del 12.03.2016, con indicazione "caschi" per cui si presume che tale costo sia relativo ad almeno due caschi, per il valore di Euro 190,00 per ciascuno; essendo l'acquisto avvenuto sei mesi prima del sinistro, si reputa equa una riduzione del 30% del valore di acquisto, con un danno liquidabile in Euro 133,00. Per quanto attiene l'abbigliamento motociclistico, in assenza di un documento che ne provi la quantificazione, il valore e l'epoca di acquisto, si ritiene necessario procedere a una valutazione equitativa, con una stima totale di Euro 300,00. Quanto ai danni riportati dal motociclo, parte attrice ha allegato che i costi di riparazione di cui al preventivo redatto dalla C.N.L. s.a.s. il 17.2.2017 ammontavano a Euro 9.126,06 (doc. n. 9) e ha dedotto che poiché la riparazione risultava antieconomica il veicolo è stato venduto a terzi al costo di Euro 2.500. Sul punto occorre richiamare l'orientamento giurisprudenziale consolidato, condiviso da questa giudice, secondo cui "la domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, quando abbia ad oggetto la somma necessaria per effettuare la riparazione dei danni, deve considerarsi come richiesta di risarcimento in forma specifica, con conseguente potere del giudice, ai sensi dell'art. 2058, comma 2, c.c., di non accoglierla e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di un somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo. " (Cass. n. 10196/2022; n. 11160/1997). Nella fattispecie in esame, essendo stata dedotta dalla stessa parte attrice l'antieconomicità della riparazione e non essendo stata tale circostanza oggetto di contestazione specifica da parte dei convenuti che, anzi, vi hanno aderito, il danno deve essere valutato sulla base dei richiamati criteri e, dunque, con il riconoscimento di una somma pari alla differenza tra il valore commerciale del bene prima e dopo il sinistro. In assenza di prova del valore commerciale del bene ante sinistro - non avendo la parte prodotto listini di riviste specializzate riportanti il relativo valore, né una perizia di stima - l'unico parametro di riferimento utile per il calcolo si rinviene nella polizza di assicurazione stipulata con (...) il 2.9.2016 (doc. n. 1) che indica il "valore assicurato" del motociclo nell'importo di Euro 3.250,00. Da tale somma va sottratto l'importo del relitto pari a Euro 2.500 (prezzo a cui il bene è stato venduto a terzi), per un importo residuo di Euro 750,00. Alcuna somma può essere riconosciuta per il danno da mancato guadagno relativo al periodo di inabilità temporanea nel corso del quale l'attore non avrebbe potuto svolgere la propria attività lavorativa di agente assicurativo, non essendo stata dimostrata alcuna contrazione di reddito in relazione a tale periodo. (...) si è, difatti, limitato a produrre le dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2015 e 2016 (antecedenti al verificarsi del sinistro) ma ha omesso di produrre le dichiarazioni dei redditi degli anni 2017 e 2018 relative alle annualità 2016 e 2017 nel corso delle quali vi è stata l'asserita impossibilità di attendere alla propria attività lavorativa, dalle quali si sarebbe agevolmente potuto evincere, tramite un mero raffronto con le annualità precedenti, l'effettiva sussistenza di una contrazione di reddito. Sul punto, come osservato dalla giurisprudenza di merito, occorre rilevare che "La riduzione della capacità lavorativa subìta in conseguenza di un sinistro stradale costituisce danno patrimoniale risarcibile autonomamente qualora provochi una riduzione della capacità di guadagno da parte del danneggiato. Tale danno va provato allegando l'attività lavorativa svolta dal danneggiato prima del sinistro e la contrazione o azzeramento del reddito percepito: in sostanza il danno da incapacità lavorativa va liquidato calcolando il reddito effettivamente perduto dal danneggiato (da provare con i documenti attestanti il reddito pregresso quali dichiarazioni dei redditi, buste paga, etc.) e quello perso a causa del sinistro". (cfr. Corte appello Genova sez. II, 31/03/2022, n.350). Ancora, "A seguito di sinistro stradale che abbia comportato, per il danneggiato, un periodo più o meno lungo di degenza, ai fini della relativa richiesta risarcitoria l'esistenza di un periodo di incapacità lavorativa non rappresenta motivo sufficiente per il riconoscimento del danno da lucro cessante, posto che il fondamento della pretesa è rappresentato non dalla perdita totale o parziale della capacità lavorativa, ma dalla conseguente ed effettiva diminuzione del guadagno correlata all'inabilità, in relazione alla quale l'onere della prova incombe sul danneggiato." (cfr. Tribunale Torino sez. IV, 09/09/2022, n.3538). Infine, non può essere riconosciuto l'importo di Euro 2.964,75 richiesto per le spese mediche asseritamente sostenute dall'attore a causa del sinistro; non risulta, difatti, prodotta agli atti la documentazione attestante il relativo esborso. Si precisa a riguardo che il doc. n. 7 indicato in atto di citazione come comprovante le spese è, in realtà, il certificato PRA di vendita del motociclo; la stessa CTU ha accertato che "non sono state prodotte spese". In definitiva, applicata la decurtazione del 30% sulla somma complessiva di Euro 60.865,00 in ragione dell'apporto concorsuale della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, il danno deve essere complessivamente liquidato in Euro 42.605,50. Su tale somma, già rivalutata all'attualità, vanno calcolati gli interessi legali, previa devalutazione al momento del fatto (25.9.2016) e rivalutazione di anno in anno secondo gli indici Istat dal fatto al soddisfo, per l'importo finale di Euro 43.948,88. Va ancora rilevato che, come osservato dalla difesa della SOCIETA' (...), secondo il disposto dell'art. 283 D.Lgs. n. 209 del 2005, nel caso di cui al comma 1, lett. a) il risarcimento è dovuto solo per i danni alla persona. In caso di danni gravi alla persona, il risarcimento è dovuto anche per i danni alle cose, il cui ammontare sia superiore all'importo di Euro 500,00, per la parte eccedente tale ammontare. Tale disposto va interpretato, come statuito dalla Suprema Corte, nel senso che in caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato, il danno alle cose è risarcibile solo se dal fatto siano derivati anche danni alla persona consistiti in una invalidità superiore al 9%, ai sensi dell'art.138 Cod. Ass"(cfr. Cass. 24214/2015). Nella fattispecie in esame, avendo il danneggiato riportato un'invalidità pari al 20% va affermata la responsabilità della Società (...) anche rispetto al danno patrimoniale, dedotto l'importo di Euro 500,00. Ne consegue che Società (...) e (...) S.p.a. vanno condannati in solido al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 43.948,88 e (...) S.p.a. al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al soddisfo. Le spese di lite, tenuto conto del concorso di colpa dell'attore nella determinazione dell'evento dannoso, sono compensate nella misura del 30% e seguono la soccombenza per il residuo 70% e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 19014/2007) e in base ai parametri medi di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Le spese di CTU seguono la soccombenza e sono poste a carico delle parti convenute in solido. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro SOCIETA' (...), in qualità di impresa designata dal F.G.V. e (...) SPA, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - Accoglie parzialmente la domanda e per l'effetto condanna la SOCIETÀ (...) e l'(...) S.p.a. al pagamento in solido in favore di (...) della somma di Euro 43.948,88 e (...) S.p.a. al pagamento in favore di (...) dell'ulteriore somma di Euro 500,00, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo. - Compensa le spese di lite nella misura del 30%. - Condanna SOCIETÀ (...) e (...) S.p.a. al pagamento in favore di (...), delle spese processuali per il residuo 70% che liquida in complessivi Euro 5.331,20, oltre contributo unificato e marca, rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, nonché Iva e Cpa e successive occorrende. - Pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti convenute. Così deciso in Torino il 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dalla parte civile (OMISSIS), nato a (OMISSIS); PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/12/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI che ha concluso chiedendo. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22 dicembre 2020 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia del Tribunale di Forli' dell'8 gennaio 2019 con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati assolti - rispettivamente, per non aver commesso il fatto e perche' il fatto non costituisce reato - dall'imputazione loro ascritta ai sensi degli articoli 113, 40 cpv., 590, commi 1, 2, 3 e 6 c.p.. 1.1. Agli imputati era stato contestato, in particolare, di avere, in cooperazione tra loro, per negligenza, imperizia, ed imprudenza, il (OMISSIS) in qualita' di proprietario dell'abitazione e del pertinente giardino teatro dell'infortunio, la (OMISSIS) per aver dato materiale incarico alla vittima - e quindi entrambi nella veste di committenti dei lavori, titolari di specifica posizione di garanzia - cagionato a (OMISSIS) lesioni personali gravissime. Secondo la ricostruzione accusatoria, gli imputati avevano commissionato un pericoloso lavoro di potatura in quota ad un pensionato assunto "in nero", non dotato di adeguata esperienza tecnica e di idonee attrezzature (casco protettivo, piattaforma o altri presidi antinfortunistici), svolgente in modo autonomo l'attivita' di giardinaggio. A causa dell'utilizzo di un'attrezzatura da lavoro inadeguata - per come, invero, facilmente percepibile da parte degli stessi committenti - per tagliare un grosso ramo di un albero di robinia alto circa dieci metri, il giorno (OMISSIS) il (OMISSIS) era salito su una scala prestatagli dal conoscente (OMISSIS), legando con una corda il ramo da recidere e consegnando l'altra estremita' alla (OMISSIS) e allo (OMISSIS), dicendo loro di non tirarla finche' costui non fosse ridisceso dalla scala. Tagliato il ramo, il (OMISSIS) era, quindi, sceso dalla scala, nel mentre la (OMISSIS) e lo (OMISSIS), del tutto improvvidamente, avevano tirato la fune, causando la caduta del ramo che, colpendo la vittima, aveva causato a quest'ultima lesioni personali gravissime, consistite in "tetraplegia ipertronica incompleta asia a livello nEurologico c7 post-traumatica con vescica nEurogena ed infezioni delle vie urinarie recidivanti". 1.2. Il giudice di primo grado aveva escluso la responsabilita' degli imputati ritenendo in primo luogo accertato, quanto alla ricostruzione fattuale, che il (OMISSIS), al fine di consentire una caduta controllata, avesse, in realta', attaccato l'altro capo della corda ad un albero vicino, per poi essere stato improvvisamente colpito, non appena disceso dalla scala, dal ramo dell'albero, reciso solo parzialmente ed inaspettatamente distaccatosi. Il Tribunale aveva escluso la ricorrenza di un'ipotesi di culpa in eligendo nei confronti degli imputati, sul presupposto che il (OMISSIS), al momento del fatto, gia' da tempo stava svolgendo attivita' di giardinaggio, tanto da divenire un suo vero e proprio lavoro, possedendo un camioncino ed essendo dotato di scarponi, di tuta antinfortunistica e di sega elettrica. Per la (OMISSIS), pertanto, il (OMISSIS) si sarebbe posto come persona del tutto idonea ad eseguire i lavori di potatura richiesti, da lui, peraltro, gia' reiteratamente eseguiti presso altre abitazioni, senza la necessita' di predisposizione di particolari presidi. Per il giudice di primo grado, quindi, non era esigibile nessuna condotta alternativa da parte della (OMISSIS), anche considerato che l'uso di un casco o di altri presidi antinfortunistici non avrebbe comunque evitato il trauma lesivo alla vittima. Con riguardo alla posizione del (OMISSIS), invece, era stata esclusa ogni sua responsabilita' per non aver partecipato alla vicenda, non avendo avuto contatti con il (OMISSIS) e non essendo stato neppure presente sui luoghi in occasione del sinistro. 1.3. Interposto appello dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna e dalla parte civile, la Corte territoriale ha confermato la decisione assolutoria di primo grado, ritenendo che la rinnovazione istruttoria svolta, mediante l'esame testimoniale del (OMISSIS), non fosse risultata idonea a modificare la ricostruzione fattuale operata da parte del primo giudice. E' stato condiviso, quindi, il giudizio del Tribunale circa l'insussistenza di una culpa in eligendo da parte degli imputati, osservato che il (OMISSIS) non aveva assunto nessuno specifico obbligo di garanzia, stante l'univoca prova rappresentata dalla mera sua titolarita' formale dell'immobile, e che non era stata fornita nessuna indicazione alternativa da parte degli appellanti idonea a modificare la valutazione ex ante operata dai par t21 primo giudice in ordine all'inesigibilita' di una condotta alternativa da parte della (OMISSIS), congruamente limitatasi ad affidare la potatura di un albero ad un soggetto esperto, senza poter concretamente prevedere la pericolosita' del lavoro e la necessita' di predisposizione di particolari presidi. 2. Avverso la sentenza della Corte di merito hanno proposto ricorso per cassazione, con due differenti atti, la parte civile costituita (OMISSIS) ed il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna. 2.1. La parte civile ha dedotto tre motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito vizio di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione. La Corte di appello avrebbe, in particolare, errato nel non aver valorizzato alcune dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso dell'escussione svolta dinanzi al secondo giudice, quali il fatto che costui si fosse inizialmente rifiutato di effettuare il lavoro, adducendo che lo stesso, stante la particolare altezza, dovesse essere espletato con l'utilizzo di una piattaforma, da costui non posseduta, ed infine accettando il lavoro solo in conseguenza della particolare insistenza avuta da parte dei committenti. Lamentava, inoltre, che, pur avendo nuovamente ribadito la versione dei fatti per cui il capo della corda cui era attaccato il ramo era stato da lui collocato nelle mani della (OMISSIS) e dello (OMISSIS) - che l'avevano inopinatamente tirato, a seguito di un'incomprensione o per difetto di udito -, tale dichiarazione era stata ingiustamente svilita dalla Corte di merito, senza che fosse stata adeguatamente vagliata la sua attendibilita' di testimone. A differenza delle dichiarazioni rese dallo (OMISSIS), che ben potevano essere mendaci per il timore di rendere propalazioni di natura auto-accusatoria, le dichiarazioni della parte civile erano da ritenersi assolutamente credibili, in quanto del tutto coerenti, prive di astio nei confronti degli imputati e tali da corrispondere, quanto alla modalita' di verificazione dell'accaduto, con quanto ritenuto presumibilmente avvenuto secondo il locale funzionario comunale responsabile del verde pubblico, sentito dal Tribunale ai sensi dell'articolo 507 c.p.p.. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato contraddittorieta' della motivazione con riguardo alla disposta assoluzione degli imputati dalla condotta omissiva impropria loro ascritta, osservando che, quale che fosse stata la reale dinamica dell'incidente, sussisteva comunque la prevedibilita' del rischio e la pericolosita' del lavoro, considerato che, per come accertato dai giudici di merito: il lavoro era stato svolto in quota, con i connessi pericoli di precipitazione di cose dall'alto; il (OMISSIS) era sprovvisto di casco e di idonei sistemi di protezione; non era stato previsto l'utilizzo di una piattaforma; la persona offesa aveva svolto il lavoro utilizzando tecniche considerate ormai desuete. Di tutto cio' ben potevano essere consapevoli gli imputati, apparendo di facile percezione che l'attrezzatura utilizzata dal (OMISSIS) fosse palesemente inadeguata rispetto allo svolgimento della potatura di un albero in quota. Rispetto alla decisivita' del superiore assunto, sarebbero del tutto inconferenti, quindi, le argomentazioni, invece utilizzate dai giudici di merito, per cui il casco protettivo, ovvero la predisposizione di una piattaforma, non avrebbero potuto comunque scongiurare le lesioni riportate dalla vittima, cosi' come la circostanza che quest'ultima avesse gia' in precedenza svolto diverse attivita' di potatura di alberi. Con il terzo motivo, il (OMISSIS) ha eccepito, infine, inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 590, 113, 40, comma 2, c.p., nonche' degli articoli 107 e 122 Decreto Legislativo n. 9 aprile 2008, n. 81, lamentando che la sentenza impugnata non avrebbe correttamente applicato le disposizioni indicate, non avendo, in particolare, chiarito le ragioni per cui: gli imputati, ed in particolare il (OMISSIS) proprietario del fondo, non fossero committenti dei lavori, e quindi titolari della posizione di garanzia; i prevenuti non avrebbero potuto immediatamente percepire l'inadeguatezza delle misure precauzionali adottate dal (OMISSIS); vi sarebbe stata la mancanza di adozione delle precauzioni normativamente richieste per l'espletamento dei lavori in quota; a fronte di tutte le indicate omissioni, fosse stato dato comunque rilievo al mero accertamento dei motivi per cui si era verificata in concreto la caduta del ramo dall'alto. 2.2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna ha eccepito, con un unico motivo di doglianza, mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione riguardo all'applicazione della legge penale in relazione all'assoluzione per il reato omissivo improprio ex articolo 590 c.p.. In seno al suo ricorso, infatti, il Procuratore generale ha dedotto doglianze del tutto coincidenti con quelle eccepite dalla parte civile, in particolar modo riguardanti la prevedibilita' della pericolosita' del lavoro e l'inadeguatezza dell'attrezzatura avuta dal (OMISSIS). Il ricorrente ha, altresi', precisato che il (OMISSIS), in quanto proprietario del terreno e committente del lavoro, ricopriva in modo effettivo, unitamente alla di lui consorte, la posizione di garanzia ex articolo 40, comma 2, c.p., avendo avuto contatti con il (OMISSIS) presso il suo negozio, e quindi avendo avuto piena consapevolezza dell'espletamento del lavoro da parte di costui. Dovrebbe conseguentemente essere responsabile, al pari della coimputata, della mancata adozione di adeguate misure precauzionali da parte del lavoratore ferito. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in accoglimento dei proposti ricorsi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 4. Il difensore della parte civile ha depositato successiva memoria, con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso della parte civile e' fondato, con conseguente pronti'ncla annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili/ con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, mentre deve essere dichiarata l'inammissibilita' del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna. 2. Con riferimento, infatti, a tale ultima impugnazione, deve essere osservato come il reato contestato ai prevenuti risulti estinto per intervenuta prescrizione, essendo decorso il relativo termine in data 17 giugno 2021, e come, quindi, il ricorso sia stato proposto da soggetto privo dell'interesse ad impugnare, conformemente all'esegesi resa da questa Corte di legittimita' per cui e' inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto qualora, dopo la pronuncia della sentenza impugnata, sia maturata la causa estintiva del reato, salvo che emerga un interesse concreto del pubblico ministero alla decisione rispondente a una ragione esterna al processo obiettivamente riconoscibile - nel caso di specie, invero, non ravvisabile - (cfr. Sez. 4, n. 44951 del 15/10/2021, Capozzo, Rv. 282243-01; Sez. 6, n. 34069 del 29/09/2020, Cozzolino, Rv. 279928-01). In termini generali, nel rispetto dei principi fissati dagli articoli 591 e 568, comma 4, c.p.p., per proporre impugnazione occorre avervi interesse, e tale ultimo deve essere concreto - e cioe' mirare a rimuovere l'effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato - e persistere sino al momento della decisione (cosi', tra le tante, Sez. 1, n. 1695 del 19/03/1998, Papajani, Rv. 210562-01). L'interesse ad impugnare, concreto ed attuale, deve sorreggere anche il ricorso proposto dal pubblico ministero, che, pertanto, puo' essere ravvisato solo qualora l'impugnazione sia presentata dall'organo dell'accusa per far valere l'illegittimita' della situazione derivante dal provvedimento la cui rimozione o modifica sia tale da incidere in modo effettivo sulla posizione dell'imputato, e cioe', nella prospettiva accusatoria, per comportare la condanna del medesimo o, quantomeno, l'aggravamento delle conseguenze sanzionatorie lato sensu intese. Il mezzo di impugnazione, pertanto, deve perseguire un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. 4, n. 16029 del 28/02/2019, Briguglio, Rv. 275651-01). Cio', all'evidenza, non e' dato ravvisare nel caso di specie, essendo venuta meno agli effetti penali la res iudicanda per l'intervenuta prescrizione del reato. 3. Invece fondati sono i motivi di censura dedotti dalla costituita parte civile (OMISSIS) in ordine ai dedotti vizi inerenti alla mancata adeguata valutazione della titolarita' da parte degli imputati della posizione di garanzia, in quanto committenti dei lavori, nonche' della prevedibilita' da parte di costoro del rischio e della pericolosita' insiti nel lavoro affidato alla persona offesa, con conseguente configurabilita' di una culpa in eligendo nei loro confronti. 3.1. Di certo l'indicata conclusione non attiene all'aspetto concernente la ricostruzione della vicenda fattuale e, quindi, alla determinazione della concreta modalita' con cui l'infortunio del (OMISSIS) si e' effettivamente verificato. Come osservato, infatti, sussiste un'evidente discrasia tra la ricostruzione effettuata dalla persona offesa - ancora ribadita nella svolta rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, disposta ai sensi dell'articolo 507 c.p.p. - per cui il ramo sarebbe caduto, colpendo il (OMISSIS), a causa della condotta imprudente della (OMISSIS) e dello (OMISSIS) che, per una incomprensione o per un difetto uditivo, avrebbero impropriamente tirato la corda assicurata al suddetto arbusto, ovvero quella, ritenuta in sentenza, per cui, invece, il ramo, tagliato solo parzialmente, sarebbe caduto verticalmente, senza sollecitazioni esterne, nel mentre la persona offesa si trovava ai piedi della scala. L'accertamento della dinamica del sinistro attiene, infatti, ad una valutazione afferente al merito, e dunque ad un aspetto non sindacabile in questa sede di legittimita' laddove, come nel caso di specie, la stessa sia stata rappresentata con motivazione adeguata e congrua, esente da vizi logici. 3.2. Invece fondate sono le ulteriori censure eccepite dal (OMISSIS) in ricorso, ed in primo luogo quella per cui vi sarebbe contraddittorieta' ed illogicita' della motivazione, per essere stata disposta l'assoluzione degli imputati pur a fronte di una palese prevedibilita' del rischio e della pericolosita' del lavoro, derivante dal fatto che, a prescindere dall'esatta dinamica di verificazione dell'infortunio, per come era facilmente percepibile da parte degli imputati: il lavoro era stato svolto in quota, con i connessi pericoli di precipitazione di cose dall'alto; il (OMISSIS) era sprovvisto di casco e di idonei sistemi di protezione; non era stato previsto l'utilizzo di una piattaforma; la persona offesa aveva eseguito il lavoro utilizzando tecniche ritenute ormai desuete. In tale ottica, inoltre, risulta anche corretta la considerazione espressa dalla parte civile in ricorso per cui la Corte di merito avrebbe illogicamente omesso di conferire rilievo'gal fatto che, per quanto dichiarato dal (OMISSIS) nel corso della sua escussione in appello, costui si era inizialmente rifiutato di effettuare il lavoro, adducendo che lo stesso, stante la particolare altezza, dovesse essere espletato con l'utilizzo di una piattaforma, da lui non posseduta, ed infine accettando di eseguire la potatura solo in ragione della particolare insistenza (av da parte dei committenti. A fronte delle indicate considerazioni, sono di insufficiente e non decisivo rilievo le valutazioni, invece rese dai giudici di merito, per cui il casco protettivo, ovvero la predisposizione di una piattaforma, non avrebbero comunque potuto scongiurare le lesioni riportate dalla vittima. La Corte di appello ha, infatti, inequivocabilmente osservato che, anche a voler ritenere che la dinamica del sinistro sia stata quella piu' favorevole agli imputati - e cioe' quella per cui il ramo sarebbe caduto da solo e non perche' tirato dalla corda tenuta in mano dalla (OMISSIS) - la persona offesa aveva riportato lesioni a causa "di una metodologia operativa desueta tanto che, per un errore di calcolo nella profondita' del taglio, mentre il (OMISSIS) era a terra, veniva colpito dal ramo e sbalzato all'indietro". Orbene, l'indicato aspetto, giudizialmente accertato dai giudici di merito, risulta non logicamente e congruamente valutato dalla Corte di appello, laddove ha ritenuto di escludere la responsabilita' dei prevenuti sul generico e diverso presupposto per cui, comunque, l'utilizzo dei dispositivi di protezione non avrebbe potuto impedire la verificazione dell'evento. Rispetto, poi, alla ritenuta carenza di prova circa la sussistenza negli imputati della consapevolezza della difficolta' del lavoro e dei rischi ad esso connessi, il Collegio rileva come la motivazione resa dalla Corte territoriale pecchi di non sufficiente ragionevolezza, posto che la persona offesa era stata richiesta di intervenire in solitudine ad oltre tre metri di altezza - tanto da richiedere l'aiuto, per lo svolgimento delle operazioni, della (OMISSIS) e dello (OMISSIS) - con una motosega in mano, senza alcuna attrezzatura di appoggio, ma solo legato a delle corde, per procedere ad un taglio di rami che, come e' ovvio, sarebbero pericolosamente caduti dall'alto. La mancata presa di coscienza dei rischi connessi all'intervento, pertanto, e' tema che non e' stato adeguatamente vagliato dalla Corte di appello, presentando indubbie aporie logiche ed incertezze argomentative le valutazioni espresse in proposito, mentre esso, invece, assume un imprescindibile rilievo ai fini della valutazione della sussistenza di una culpa in eligendo nella condotta riferibile agli imputati, invece irragionevolmente e contraddittoriamente esclusa, conseguente al fatto che costoro si erano rivolti, per lo svolgimento del lavoro, ad un soggetto privo di adeguata preparazione professionale e di un'attrezzatura idonea, nonche' incapace di adottare una metodologia operativa consona alla specifica prestazione cui era stato chiamato. 3.3. Parimenti fondato e' il motivo con cui il (OMISSIS) ha lamentato vizio di violazione di legge, per non essere state chiarite le ragioni per cui gli imputati, ed in particolare il (OMISSIS) proprietario del fondo, non fossero titolari di una posizione di garanzia nei confronti della persona offesa. La Corte di appello, infatti, non ha affrontato, in modo puntuale, la valutazione delle ragioni per cui il (OMISSIS) non avrebbe avuto nessuno specifico obbligo di garanzia nei confronti del (OMISSIS), avendo solo genericamente affermato che, rispetto a costui, sarebbe "stata provata esclusivamente la titolarita' formale del terreno". In termini ancor piu' generali, la Corte di merito non ha compiutamente e logicamente valutato la questione relativa alla riferibilita' colposa dell'evento agli imputati, quali di titolari di una specifica posizione di garanzia. Tale aspetto, invero, discende nei loro confronti - in quanto committenti del lavoro di potatura dell'albero posto nella loro proprieta' - in ragione di quanto previsto dall'articolo 89 Decreto Legislativo n. 81 del 2008, per il quale e' committente il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. L'indicata qualifica, allora, puo' indubbiamente fondare un giudizio di responsabilita' colposa per un eventuale infortunio derivante dalla scelta dei lavoratori, prevedendosi un vero e proprio obbligo in capo al proprietario committente di verificare l'idoneita' tecnico-professionale dei lavoratori autonomi prescelti, in relazione anche alla pericolosita' dei lavori affidati (cosi', tra le tante, Sez. 4, n. 5409 del 16/11/2021, dep. 2022, Vidiri Tavassi, Rv. 282606-01). 4. Rilevano, dunque, plurime incoerenze, illogicita' e carenze nella motivazione resa con il provvedimento impugnato che rendono necessario procedere, in accoglimento del ricorso proposto dalla parte civile (OMISSIS), all'annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui deve essere anche demandata la regolamentazione delle spese tra le parti relative a questo giudizio di legittimita'. Contestualmente, deve essere dichiarata l'inammissibilita' del ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresi' la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimita'. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MONTAGNI Andrea - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CENCI Daniele - rel. Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/11/2021 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TASSONE KATE, che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi. uditi i Difensori: e' presente l'Avvocato (OMISSIS), del Foro di ASTI, in difesa di (OMISSIS), il quale, illustrati i motivi di ricorso, insiste nel loro accoglimento; e' presente anche l'Avv.ssa NUBILE STEFANIA, del Foro di TORINO, in difesa di (OMISSIS), che, dopo aver illustrato le motivazione del ricorso, chiede di annullare la sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Torino il 19 novembre 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dagli imputati, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Cuneo il 21 settembre 2018, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto (OMISSIS) ed (OMISSIS) responsabili, in cooperazione ex articolo 113 c.p., del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina anti-infortunistica, fatto commesso il 30 marzo 2015, in conseguenza condannando ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno alle parti civili e stimate le stesse equivalenti all'aggravante, operata la riduzione per il rito, alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa. 2. I fatti, in estrema sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito. 2.1. Avendo il Comune di Boves (CN) appaltato i lavori per la realizzazione di una pista forestale alla s.n.c. " (OMISSIS)", nel primo pomeriggio del 15 gennaio 2015 il dipendente della " (OMISSIS)" (OMISSIS), mentre stava procedendo con una motosega all'abbattimento di un'alta betulla, e' stato colpito al capo (non si e' accertato se nell'occasione protetto da casco o meno) da un pesante ramo, che gli ha provocato gravi fratture che lo hanno condotto a morte il 30 marzo 2015. 2.2. Sono stati ritenuti responsabili dell'accaduto, in cooperazione colposa tra di loro, ai sensi dell'articolo 113 c.p.p., gli odierni ricorrenti. 2.2.1. (OMISSIS) e' stato ritenuto responsabile in qualita' di datore di lavoro (essendo amministratore delegato della " (OMISSIS)"), per avere solo assai genericamente previsto nel piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) il rischio di caduta di oggetti dall'alto, senza fare specifico riferimento alle evenienze che possono accadere in un fitto bosco, quale, ad esempio, quella dell'albero che, cadendo, colpisca un altro albero, e per avere omesso di informare e di formare adeguatamente il lavoratore dipendente (OMISSIS), anche tenuto conto che la " (OMISSIS)" era un'impresa edile, non un'impresa boschiva, che era la prima volta che si accingeva a tale tipo di attivita', che la vittima, che generalmente era impiegata come autista, non aveva mai svolto in precedenza l'attivita' di taglialegna e che non erano stata disposte efficaci misure per la verifica circa l'effettivo impiego dei dispositivi di protezione individuale, primo tra i quali il casco protettivo. 2.2.2. Quanto al geometra (OMISSIS), che era stato nominato coordinatore della sicurezza dal Comune committente, premesso che, diversamente dalle previsioni, non si aveva, in realta', la compresenza di piu' ditte da coordinare, i Giudici di merito hanno ritenuto che lo stesso abbia, tuttavia, effettivamente svolto l'incarico, recandosi piu' volte nel cantiere boschivo, cosi' di fatto ingerendosi nella esecuzione dei lavori, ed in un'occasione in particolare contestando formalmente il mancato impiego del casco protettivo. In tale veste l'imputato ha anche redatto un piano di sicurezze e di coordinamento (acronimo: P.S.C.), non meno generico del P.O.S., di cui ricalca il testo, e, avendo fatto, appunto, accesso in piu' occasioni, non si e' reso conto delle manchevolezze della ditta, che, anche solo avuto riguardo al profilo formale, risultava impiegare personale non adeguatamente formato per il pericoloso lavoro di abbattimento degli alberi. 3.Cio' premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite separati ricorsi curati da distinti Difensori di fiducia, affidandosi ciascuno a piu' motivi, con i quali si denunziano promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione. 4.Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) (due motivi). 4.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell'articolo 40 c.p. e vizio motivazionale, quanto al difetto di valutazione controfattuale della efficacia salvifica degli adempimenti che si assumono essere stati omessi da parte dell'imputato. Rammentato che si e' addebitato a (OMISSIS) di non avere formato ne' informato adeguatamente il dipendente, il ricorso pone il tema della concretizzazione - o meno - nel caso di specie dello specifico rischio che le regole cautelari miravano a fronteggiare e della prova che il comportamento osservante avrebbe evitato l'evento pregiudizievole e della verifica, di tipo controfattuale, della efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito. Inoltre, sotto il profilo della causalita' della colpa, si sottolinea avere la Difesa gia' con l'atto di appello sostenuto che, essendo incerta la dinamica dell'incidente, non puo' dirsi con certezza che la somministrazione al dipendente di una diversa formazione avrebbe impedito l'evento dannoso poi verificatosi. Sotto tale profilo, la sentenza impugnata non spiegherebbe perche' il comportamento alternativo lecito (cioe', nel caso di specie, una differente formazione ed un piu' elevato numero di lezioni teorico-pratiche, come indicato alla p. 13 della motivazione), avrebbero determinato un diverso sviluppo degli accadimenti. Non si sarebbe indagato, insomma, sul tema della causalita' giuridica, e non solo materiale. Si richiamano precedenti di legittimita' stimati pertinenti. Le sentenza di merito non avrebbero indagato aspetti rilevanti, tra i quali: quale fosse l'albero abbattuto, la sua altezza e le sue caratteristiche, quale tecnica sia stata adoperata per abbatterlo, se prima sia stata o meno ispezionata l'area attorno all'albero da tagliare, verso quale direzione la pianta sia caduta, la correttezza e la prudenza nell'attivita' di taglio da parte dei soggetti agenti, se la vegetazione fosse fitta o meno, se il ramo che ha colpito la vittima appartenesse alla pianta tagliata o ad un'altra, se la persona offesa indossasse o meno il casco protettivo, tema quest'ultimo di rilevante importanza e che non sarebbe stato adeguatamente sondato, poiche' ben potrebbe essere accaduto che il lavoratore indossasse correttamente il casco e che, pur rimanendo a debita distanza, sia stato colpito da un ramo di pianta diversa da quella abbattuta. Si tratta di aspetti - si evidenzia - gia' segnalati con l'atto di appello ma trascurati nella decisione che si impugna. In conseguenza, la Corte territoriale avrebbe posto in essere "Un approccio che svaluta la conoscenza del fatto (...), esprime l'adesione ad un condizionalismo debole, che veicola nella causalita' il senso comune, in cui il tassello del mosaico da asportare in via controfattuale non e' un dato scientifico, ma un assioma: si poteva fare di piu', si poteva fare di meglio, quindi la causalita' non manca mai. Ragionando cosi', si apre una voragine tra omissione ed evento: la responsabilita' diventa oggettiva ed il nesso causale affermato a prescindere da qualsiasi condizionamento reale tra omissione ed evento: la responsabilita' diventa oggettiva (...) solo quando sia stata individuata l'origine eziologica dell'accadimento lesivo, e' possibile accertare se la violazione della regola cautelare abbia cagionato l'evento o meno" (cosi' alla p. 7 del ricorso). La sentenza si fonderebbe su giudizio probabilistici, supposizioni e congetture ed incerto sarebbe il "punto di partenza del discorso (...) Solo una volta acquisita la certezza processuale che il casco non fosse stato calzato dal lavoratore, ovvero non fosse stata stato osservato un corretto distanziamento dalla zone delle operazioni, oppure fosse stata trascurata l'ispezione delle fronde, sara' possibile immaginarne le ripercussioni in tema di impedimento dell'evento effettivamente verificatosi" (cosi' alla p. 8 dell'impugnazione). In altre parole, i Giudici di merito non avrebbero adeguatamente affrontato ne' il tema dell'accertamento della causalita' materiale ne' quello della verifica della causalita' giuridica, accontentandosi solo del vago ragionamento che si rinviene alla p. 13 della sentenza impugnata, ove ci si limita ad affermare che le omissione colpose da parte del datore di lavoro si pongono come antecedente causale dell'evento occorso. Ad avviso del ricorrente, pero', seguendo "questa linea di ragionamento, l'inadempimento dell'obbligo di adeguata valutazione dei rischi, e di conseguente formazione del lavoratore, presenterebbe un'indiscriminata relazione di cause ed effetto, che prescinde dalle caratteristiche del caso concreto. Se l'imprenditore non valuta correttamente il rischio, se non forma a dovere il lavoratore, l'ambiente di lavoro risulta insicuro, di talche' qualsiasi evento lesivo che si verifichi sarebbe sempre da collegare causalmente alla incompleta valutazione dei fattori di rischio" (cosi' alla p. 9 del ricorso). Cosi' procedendo, pero', secondo la Difesa, si giungerebbe ad una inammissibile responsabilita' di tipo oggettivo, del genere "accertata l'omessa valutazione di un qualsiasi rischio, l'imprenditore sarebbe responsabile per qualsiasi evento dannoso", in contrasto con il costante insegnamento di legittimita', secondo cui "In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il rapporto di causalita' tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo non puo' essere desunto soltanto dall'omessa previsione del rischio nel documento, di cui al Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 4, comma 2, (documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro), dovendo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si e' concretizzato. (Nella specie, con riferimento all'infortunio sul lavoro causato dal trascinamento delle braccia dell'operatrice nei rulli in movimento di un macchinario, la sentenza impugnata aveva affermato che ove fosse stato operato l'inserimento della previsione di tale rischio nel suddetto documento, l'infortunio sarebbe stato evitato)" (Sez. 4, n. 8622 del 04/12/2009, dep. 2010, Giovannini, Rv. 246498). La sentenza impugnata, dunque, andrebbe annullata, perche' il ragionamento controfattuale sarebbe privo di imprescindibili elementi. 4.2. Con il secondo motivo (OMISSIS) censura violazione dell'articolo 533 c.p.p. e vizio di motivazione per l'omesso esame critico dei contenuti della relazione di indagine infortunio del Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (acronimo: Spresal) della Asl in data 22 settembre 2015 nonche' dei motivi di appello svolti sul punto. Si rammenta che il servizio Spresal non aveva ravvisato violazioni da parte del datore di lavoro, nemmeno quanto al tema della valutazione dei rischi e della formazione dei dipendenti, mentre a differenti conclusioni e' giunto il consulente del P.M., svolgendo i rilievi critici poi posti a fondamento dell'editto di accusa. La divergenza tra le due qualificate valutazioni, gia' espressamente sottolineata nell'atto di appello (sub nn. 4-6), avrebbe imposto ben altra ed approfondita motivazione, dovendo verificarsi la "tenuta" del ragionamento giudiziale alla luce del principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", essendo "altrimenti (...) immanente la sussistenza di dubbi intrinseci alla sentenza di condanna, connessi all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalita'" (cosi' alla p. 14 del ricorso). 5. Ricorso nell'interesse di (OMISSIS) (quattro motivi). 5.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., per avere sia il Tribunale che la Corte di appello pronunziato condanna sulla base di profili di colpa specifica relativi a fatti che non formavano oggetto dell'imputazione e rispetto ai quali al ricorrente non sarebbe stato consentito di approntare una difesa effettiva. Si rammenta che nella richiesta di rinvio a giudizio si era contestato ad (OMISSIS) un unico profilo di colpa specifica, consistente nell'avere previsto nel piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.) di cui al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 100 a fronte di un rischio di caduta di materiale dall'altro, misure di prevenzione e protezione tipiche di un cantiere edile, e non gia' di un cantiere forestale, ove si sarebbero dovuti abbattere alberi. Il ricorrente evidenzia come il P.S.C. risalga al 24 luglio 2013, cioe' sia di data anteriore all'assegnazione dei lavori alla s.n.c. (OMISSIS), e che, pertanto, in assenza di ulteriori contestazioni di colpa generica, l'imputato si e' determinato a chiedere di essere giudicato con il rito abbreviato, nell'ambito del quale ha depositato memoria difensiva con la quale ha sostenuto: a) l'inapplicabilita' del titolo IV del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 ai lavori forestali, che, dunque, non erano stati recepiti nel P.S.C. redatto in fase di progettazione; b) che, in ogni caso, il P.S.C. redatto in fase di progettazione ha perso efficacia nella fase esecutiva per il mancato verificarsi della compresenza di piu' imprese ed e' stato, dunque, sostituito da un "piano sostitutivo di sicurezza", presentato nel novembre 2014 dalla societa' " (OMISSIS)", unica assegnataria dell'appalto; c) ancora, che, in ogni caso, anche ove il P.S.C. redatto dal geom. (OMISSIS) fosse inopinatamente ritenuto efficace, tale documento sarebbe in concreto idoneo a prevenire i rischi, in virtu' del combinato disposto tra le misure generali ivi indicate e le misure specifiche contenute nel P.O.S. della " (OMISSIS)", come peraltro evidenziato dal consulente della Difesa e da quello del P.M.; d) infine, che la contestata genericita' del P.O.S. non avrebbe avuto alcun ruolo causale o concausale nella verificazione dell'evento, che non e' riconducibile ad un rischio interferenziale ma ad un rischio tipico e specifico dell'attivita' della societa' " (OMISSIS)". Cio' posto, segnala criticamente che la sentenza di primo grado, in realta', "ha operato un'evidente metamorfosi dell'unico profilo di colpa specifica - di natura per cosi' dire "documentale" - contestato nel capo d'imputazione, fondando il giudizio di responsabilita' penale dell'odierno ricorrente su profili di omessa vigilanza attinenti alla fase di esecuzione dei lavori presso il cantiere, mai indicati nella richiesta di rinvio a giudizio" (cosi' alla p. 5 del ricorso). Confrontando l'addebito (formalmente elevato dal P.M.), di redazione di un documento contenutisticamente generico in un momento antecedente l'assegnazione dell'appalto, quindi una condotta attiva documentale, con quello (ritenuto sussistente nella sentenza del Tribunale) di mancata verifica della adeguatezza della persona offesa rispetto alla mansione del taglio di alberi che le era stato affidato, differente profilo di genere omissivo, si ritiene essere in presenza di un macroscopico difetto di correlazione tra accusa e sentenza, che renderebbe nulla la decisione del G.u.p. del Tribunale di Cuneo, non essendosi realizzato contraddittorio processuale in ordine a tale profilo, con grave danno per il diritto di Difesa (che aveva peraltro optato per il rito abbreviato). A tale innovativo aspetto se ne e' aggiunto un altro, avendo la Corte territoriale - assume il ricorrente - introdotto e ritenuto sussistente un ulteriore profilo di colpa specifica che non era contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio ne' era stato contestato nel corso del processo di primo grado: si legge, infatti, alla p. 14 della sentenza di appello che (OMISSIS), pur essendosi recato nel cantiere e pur avendo rilevato il mancato impiego dei dispositivi di protezione individuale, non e' intervenuto e non ha assunto provvedimenti efficaci ed effettivi, quale, ad esempio, la sospensione dei lavori, ed inoltre che l'imputato non ha verificato il P.O.S. della societa' " (OMISSIS)". Ebbene, tali ulteriori nova, concernenti condotte omissive relativa alla fase esecutiva, avrebbero ulteriormente minato il diritto di difesa dell'imputato, che non ha potuto esercitare nessun contraddittorio o prendere posizione. Donde - si assume - la nullita' di entrambe le sentenze di merito, adottate in violazione dell'articolo 521 c.p.p.. 5.2. Con il secondo motivo si denunzia promiscuamente violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 100 e del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, articolo 131 e vizio di motivazione in relazione alla rilevanza causale delle presunte carenze del piano di sicurezza e di coordinamento (acronimo: P.S.C.). Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina del piano di sicurezza e coordinamento e non si sarebbe confrontata specificamente con i motivi svolti nell'impugnazione di merito concernenti il profilo della causalita' della colpa relativo alla contestata carenza del P.S.C. Premesso che il geom. (OMISSIS) ha ricevuto dal Comune di Boves incarico di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (C.S.P.) in relazione alla realizzazione di una pista forestale e che nel luglio 2013, cioe' prima dell'inizio dei lavori, ha redatto il P.S.C. prescritto per l'evenienza che, a seguito dell'affidamento, si verificasse la compresenza, sincronica o diacronica, di piu' imprese, sottolinea il ricorrente che una sola impresa e' intervenuta nel cantiere, cioe' la " (OMISSIS)", sicche' non si e' mai verificata la situazione di interferenza tra imprese che potesse rendere efficace il P.S.C. redatto dall'imputato; inoltre, al momento dell'infortunio la vittima stava compiendo un'attivita' connotata da un rischio specifico proprio dell'impresa appaltatrice, rischio rispetto al quale il P.S.C. non avrebbe potuto avere un ruolo precettivo. Cio' e' comprovato, del resto, come posto in luce dal consulente della Difesa, geom. (OMISSIS), dalla circostanza che la " (OMISSIS)" ha presentato, insieme al P.O.S., un "piano sostitutivo di sicurezza" (P.S.S), la cui funzione e' proprio quella di sostituire il P.S.C. allorche' i lavori vengano eseguiti da un'unica impresa. L'imputato nell'atto di appello ha rivolto la propria critica - anche - al tema della causalita' della colpa, ossia della rilevanza eziologica o meno delle prescrizioni del P.S.C., che al momento dell'infortunio non solo non era cogente ma che era sostituito per legge dal citato P.S.S., rispetto all'infortunio verificatosi in assenza di rischio interferenziale, ma tale aspetto della rilevanza causale non e' stato affrontato nella sentenza impugnata, che ha eluso il tema richiamando la doverosita' della redazione del P.S.C. e l'essersi (OMISSIS) recato in cantiere. Si sottolinea, inoltre, avere la decisione del Tribunale, alla p. 8, richiamato la circostanza che il P.S.C. non contemplava i rischi specifici derivanti dall'abbattimento di alberi, senza, tuttavia, considerare che i rischi specifici "intra-aziendali" esulano dall'ambito di intervento del P.S.C. e dalle funzioni del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, come puntualizzato dalla S.C. ("In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attivita', alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di piu' imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attivita' dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha annullato parzialmente con rinvio la sentenza di condanna del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione al decesso causato dalla precipitazione dal tetto di un dipendente dell'impresa appaltatrice dei lavori di rimozione delle lastre di copertura, rilevando che non era stato accertato se si trattava di un rischio generico, relativo alla conformazione generale del cantiere, ovvero di un rischio specifico attinente alle attivita' oggetto del contratto di appalto)": Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, dep. 2017, Bellotti e altro, Rv. 269046). Quanto, poi, all'affermazione della Corte di appello circa la genericita' contenutistica e la carenza del P.S.C., osserva il ricorrente come la sentenza impugnata non si e' confrontata con il rilievo critico, svolto nell'atto di appello, basato sulla relazione tecnica del c.t. della Difesa, secondo cui l'attivita' di taglio di piante e di alberi e' estranea alla definizione di cantiere di cui al titolo IV della del Decreto Legislativo n. 81 del 2008; con la conseguenza che il P.S.C. non dovrebbe regolamentare i rischi interferenziali relativi a tale attivita', appunto, esclusa. Non senza considerare - prosegue il ricorso - che, secondo quanto ritenuto dal consulente del P.M. (alla p. 9 dell'elaborato scritto), l'applicazione congiunta ed integrata delle disposizioni del P.S.C. redatto in fase di progettazione e del P.O.S. di " (OMISSIS)" rispetto all'attivita' forestale deve ritenersi esaustiva. Non avendo la sentenza spiegato perche' si distacca da pareri tecnici, si ravvisa un vizio di motivazione che con il ricorso viene denunciato (richiamandosi al riguardo precedente di legittimita' stimato pertinente). 5.3. Con il terzo motivo si censura violazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 e, nel contempo, difetto di motivazione in relazione alla ritenuta omessa verifica della formazione da parte del ricorrente e alla sua rilevanza causale. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina sulla verifica della formazione dei dipendenti delle imprese appaltatrici da parte del coordinatore per la sicurezza ed avrebbe omesso di motivare adeguatamente sia in ordine alla evidenza della carenza formativa, secondo i Giudici di merito da rilevarsi da parte dell'imputato, sia sulla rilevanza causale nel caso di specie di tale profilo di colpa specifica. Nell'atto di appello si era contestata l'affermazione che competesse al coordinatore della sicurezza la verifica "in concreto" della correttezza e della completezza della formazione dei lavoratori delle imprese appaltatrici, spettando al coordinatore la verifica di tipo documentale ed essendo onere del datore di lavoro controllare la effettivita' della formazione, come del resto chiarito dalla S.C. nella motivazione della pronunzia di Sez. 4, n. 27165 del 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735. L'affermazione, che si rinviene alla p. 14 della sentenza impugnata, circa la carenza di formazione dei lavoratori emergente gia' documentalmente da un punto di vista formale sarebbe, poi, meramente assertiva ma indimostrata, cio' non emergendo da nessun atto processuale, e - anzi - sottolineandosi che la polizia giudiziaria intervenuta non ha rilevato carenza quanto alla formazione dei lavoratori. Inoltre, i Giudici di merito non hanno spiegato perche' l'eventuale sussistenza di omissioni sul piano formativo dei lavoratori abbia avuto una efficacia causale diretta sulla verificazione dell'infortunio. 5.4. Infine, con l'ultimo motivo (OMISSIS) lamenta violazione di legge, sia quanto al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 sia quanto alla omissione di pronunzia, ed illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta omessa vigilanza del coordinatore sulle attivita' di cantiere e sulla contestazione di omessa sospensione dei lavori da parte dell'imputato. La Corte di merito non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione sulle attivita' di cantiere, poiche' dal testo della sentenza impugnata non sarebbe possibile ricavare l'esistenza dei presupposti che avrebbero imposto la sospensione dei lavori da parte del coordinatore ne' la rilevanza causale dell'iniziativa rispetto al verificarsi dell'infortunio. Ribadito che la contestazione di non avere adottato provvedimenti efficaci e di non avere attivato poteri di sospensione delle attivita' lavorative e' stata introdotta direttamente dal Giudice di appello (p. 14 della sentenza) e che su cio' la Difesa non ha potuto esercitare il contraddittorio, si sottolinea, al contrario, che avere (OMISSIS) effettuato piu' accessi ed avere in un'occasione, il 7 gennaio 2015, peraltro in presenza di lavori diversi, con oggetto sbancamento del piano stradale e non gia' di taglio di alberi, stigmatizzato il mancato uso dei dispositivi di protezione individuale (p. 7 della decisione impugnata) dimostrerebbero la professionalita' e la diligenza dell'imputato nello svolgimento del proprio compito di "alta vigilanza", anziche' il contrario. In ogni caso, la sentenza sarebbe carente di motivazione, lacunosa, illogica ed in contrasto con il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 92 nella parte in cui non spiega per quali ragioni, cioe' in presenza di quali presupposti, l'imputato avrebbe dovuto adottare l'ordine di sospensione dei lavori, previsione che il richiamato articolo 92 riconnette al caso di grave ed imminente pericolo. Si trascura, inoltre, che documentalmente emerge che la situazione di mancato impiego dei dispositivi individuali, riscontrata il 7 gennaio 2015, era risolta allorquando, dopo otto giorni, la mattina del 15 gennaio 2015, l'imputato si e' nuovamente recato sul cantiere, constatando la regolarita' della situazione; mentre l'infortunio si e' verificato nel pomeriggio dello stesso giorno, dovendosi al riguardo evidenziare come esuli dalla responsabilita' del coordinatore per la sicurezza l'infortunio causato da fattori estemporanei e contingenti, come, ad esempio, l'uso improprio di strumenti di lavoro ovvero la rimozione di protezioni esistenti, e come "In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attivita' lavorative, che e' demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilita' del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio intento allo smontaggio di una rete metallica con l'ausilio di una scala inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica dell'adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d'appalto, tra le quali non rientrava l'attivita' svolta dal lavoratore)" (cosi', ex plurimis, Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991). In conclusione, ad avviso del ricorrente, non soltanto la sentenza sarebbe illogica nella mancata effettuazione di un corretto giudizio controfattuale rispetto all'efficacia eziologica' quanto ad un profilo di colpa specifica non previamente contestato all'imputato e sul quale non si e' svolto il contraddittorio, ma sarebbe anche carente nella individuazione dei presupposti per il ricorso al potere di sospensione ed inoltre illogica nella misura in cui attribuisce rilievo ad un evento contestato una settimana prima del fatto, il 7 gennaio 2015, e comunque gia' risolto, come gia' constatato nel corso dell'accesso della mattina del 15 gennaio 2015, quando (OMISSIS) ha verificato - e verbalizzato - una situazione regolare, difettando cosi' i presupposti per l'attuazione del potere di sospensione delle attivita' lavorative. Entrambi i ricorrenti chiedono, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata. 6. Il P.G. nella requisitoria scritta del 13 ottobre 2022 ha chiesto il rigetto del ricorso. 7. E' stata tempestivamente chiesta la trattazione orale del procedimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato e deve essere accolto, mentre va rigettato quello di (OMISSIS); per i seguenti motivi. 2. Partendo, per comodita' espositiva, da quello nell'interesse del datare di lavoro, (OMISSIS), l'impugnazione, sotto l'apparente richiamo alla categoria della violazione di legge, si limita a denunziare, nonostante la doppia conforme, pretesi vizi motivazionali, essenzialmente incentrati sull'affermazione che l'istruttoria sulla esatta dinamica dell'infortunio sarebbe insufficiente, tuttavia senza adeguatamente aggredire il cuore della motivazione di condanna, che e' non illogicamente ne' incongruamente - incentrata sulla estrema genericita' e, dunque, sulla inadeguatezza del P.O.S., che si limitava a indicare possibili pericoli "dall'alto", peraltro in presenza di un'attivita' pericolosa che veniva posta in essere per la prima volta da parte di una ditta edile, non giu' forestale, e nello specifico da parte di un lavoratore non adeguatamente formato ne' informato, che in genere veniva adibito alle - ben diverse - mansioni di autista. Ne' si apprezza la possibile significativita' della segnalata divergenza tra la valutazione operata in un primo momento dai tecnici della U.S.L. e quella del consulente del Pubblico Ministero, confluita nell'editto e valutata nel contraddittorio delle parti. 3. Quanto al ricorso nell'interesse di (OMISSIS), va disatteso il primo motivo di impugnazione, mentre gli ulteriori risultano, almeno in parte, accoglibili; per le ragioni che ci si accinge ad illustrare. 4. La - denunziata - violazione degli articoli 521-522 c.p.p. non sussiste. 4.1.Infatti, la giurisprudenza di legittimita' ritiene possibile, quantomeno quando nel capo d'imputazione originario siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati senza che cio' valga a realizzare diversita' o mutamento del fatto, con sostanziale ampliamento - talora vera e propria modifica - della contestazione; ed in genere si giustifica tale interpretazione con il rilievo che il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'agente globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicche' l'imputato e' posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui e' chiamato a rispondere. Si tratta di consolidato orientamento di cui sono espressione, tra le altre, Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313 (resa in un caso di colpa medica), secondo cui "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversita' o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'articolo 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilita', in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'articolo 521 c.p.p.. (Nella specie, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna del medico per le lesioni colpose gravissime cagionate, in esito ad un parto, ad un neonato, anche per la violazione del dovere di informare la partoriente in ordine alle possibili complicanze per un parto per via vaginale per le dimensioni del nascituro, laddove la contestazione riguardava altri profili di colpa)" (nello stesso senso v. gia' Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, dep. 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973; Sez. 1, n. 11538 del 23/10/1997, Geremia, Rv. 209136). Piu' recenti pronunzie ribadiscono la formula secondo cui, appunto, "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversita' o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'articolo 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilita', in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'articolo 521 c.p.p." (cosi', ex plurimis, Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, p.c. in proc. Di Landa, Rv. 273265). Inoltre, si e' ritenuto non costituire significativo mutamento del fatto un rimprovero di colpa generica, ossia negligenza, pur in presenza di un'imputazione che verte su profili di colpa specifica, peraltro passando da un rimprovero all'agente per fatto commissivo ad un rimprovero per fatto omissivo (cosi' nella assai peculiare vicenda in cui e' intervenuta la decisione di Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, ric. p.c. Galdino De Lima Rozangela in proc. Castellano ed altri, Rv. 274500, cfr. spec. sub nn. 9-11 del "considerato in diritto", pp. 47 e ss.). Il solo limite che si ritiene esistere consiste nella effettuata verifica in senso positivo circa la concreta possibilita', per l'imputato, di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione, con richiamo con richiamo, talora esplicito, talaltra implicito, a Sez. U, n. 16 del 19/96/1999, Di Francesco, Rv. 205619, secondo cui "Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, si' da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (principio di diritto quasi testualmente ribadito da Sez. U, n. 36651 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). E le numerosissime, conformi, decisioni successive delle Sezioni semplici della S.C. valorizzano, in sostanza, l'esigenza evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi in concreto: e' appena il caso di richiamare, a mero titolo di esempio, tra le tante, Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, T. Decreto Ministeriale n., Rv. 251081; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera e altri, Rv. 254419; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio e altri, Rv. 265946; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569: particolarmente chiara, in tale prospettiva, la risalente puntualizzazione, che va in questa sede ribadita, di Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo ed altro, Rv. 232423, secondo cui "In tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (articoli 516-522 c.p.p.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalita' alle quali sono dirette, cosicche' non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilita' di difesa dell'imputato. In altri termini, poiche' la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. (Da queste premesse, la Corte ha escluso la violazione del principio suddetto in una fattispecie in cui l'imputato, a fronte della contestazione per il reato di lesioni personali volontarie, era stato condannato per quello di lesioni colpose)"). 4.2. Ebbene, alla luce del riferito principio, risulta non essere stato leso il diritto di difesa, avendo avuto modo l'imputato di confrontarsi nel processo, in particolare modo attraverso la proposizione di impugnazione (arg. ex Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, P.G. in proc. Castaldo Mario, Rv. 281997-09; Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948; Sez. 2, n. 47413 del 17/10/2014, Grasso, Rv. 260960; Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri e altri, Rv. 261047; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Bilizzi e altri, Rv. 258138; Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256652; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic e altro, Rv. 254649). 5. Quanto, invece, agli ulteriori motivi di doglianza, la decisione impugnata non tiene conto dei seguenti - consolidati - principi di diritto: "In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in re/azione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori per il reato di omicidio colposo di un lavoratore travolto dal crollo di un solaio durante la sua demolizione, effettuata in contrasto con quanto progettato, senza spiegare perche' tale lavorazione fosse riconducibile al rischio interferenziale e perche' egli potesse e dovesse essere a conoscenza di tale demolizione)" (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489); e "In tema di infortuni sul lavoro, l'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al d. lgs 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rischi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attivita' della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di piu' imprese. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del datore di lavoro dell'impresa che stava eseguendo nel cantiere opere murarie, per le lesioni riportate - in conseguenza della caduta di un pannello durante il disarmo di quelli utilizzati per la realizzazione del cornicione del tetto - dal titolare di altra impresa che nel medesimo cantiere avrebbe dovuto eseguire le opere idrauliche, accompagnato dal primo in un'area sottostante al ponteggio al fine di valutare gli interventi di assistenza muraria da effettuare in relazione agli impianti idrici da realizzarsi)" (Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, Rv.281014). Infatti, dovendosi applicare tali principi, occorre convenire con il ricorrente circa la non necessita', nel caso di specie, di nomina del coordinatore per la sicurezza, poiche', come spiegato nelle sentenze di merito (p. 10 della decisione impugnata e p. 7 di quella di primo grado), la originaria ipotesi di compresenza di piu' ditte impegnate nel cantiere non si e' in concreto realizzata, essendovi unicamente la presenza della " (OMISSIS)". 5.1. Cio' posto, il punto che non sembra essere stato colto appieno dai Giudici di merito e' che si da' atto essersi (OMISSIS) comportato in concreto come se vi fosse necessita' del coordinatore, pur non essendovi compresenza di piu' imprese, prima redigendo un piano, che si assume generico, poi effettuando accessi e segnalando formalmente la necessita' di corretto uso dei caschi - e si tratta di circostanze di fatto non contestate dal ricorrente - senza, tuttavia, approfondire le implicazioni, logiche e giuridiche, di tale ricognizione di un ruolo svolto ovvero di ruoli svolti "di fatto". Partendo da tale constatazione, la Corte di merito non si e' posta la domanda, che sarebbe stata doverosa, se (OMISSIS) si sia, per cosi' dire, "volontariamente accollato" la posizione di garanzia di coordinatore per la sicurezza, impropriamente impiegando in sentenza (p. 14), per descrivere il ruolo di (OMISSIS), il termine "ingerenza", che, invece, a rigore, dovrebbe riferirsi alla condotta attiva di piu' imprese, volendo intendere - deve ritenersi lo svolgimento di fatto delle funzioni tipiche del garante, in specie coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e/o in fase di esecuzione, mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto. E, ove si risponda a tale domanda in senso affermativo, non ci si e' interrogati circa le conseguenze che possano/debbano trarsi da tale "auto-assunzione", tenendo a mente la distinzione (cfr. Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongascia, Rv. 240393) tra: coordinatore per la progettazione, ai sensi del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 90, comma 3, e articolo 91 (gia' Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 4), che ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (acronimo: P.S.C.), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; e coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 90, comma 4, e articolo 92 (gia' Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5), che ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneita' del piano operativo di sicurezza (P.O.S.), piano complementare di dettaglio del P.S.C., che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni. Si dovra' necessariamente puntualizzarsi se ed eventualmente quale ruolo o quali ruoli abbia in concreto svolto l'agente, se cioe' quello di coordinatore per la progettazione e/o quello di coordinatore per l'esecuzione, aspetti di decisiva importanza, che non risultano chiari in sentenza, al fine di offrire risposta alle questioni poste con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso. 5.2. Ove, dunque, si ritenga di dover inquadrare il ruolo eventualmente svolto dal ricorrente in quello di coordinatore per la progettazione, si terra' necessariamente conto che "In tema di infortuni sul lavoro, nel caso in cui i lavori contemplino l'intervento di piu' imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, il coordinatore per la progettazione risponde per l'infortunio riconducibile all'inadeguata valutazione, nel piano di sicurezza e di coordinamento, del rischio interferenziale, e alla mancata previsione di misure di sicurezza idonee a prevenirlo. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilita' del coordinatore per la progettazione per il decesso di un lavoratore caduto dal tetto di un edificio, per non avere previsto, nel piano di sicurezza e coordinamento, l'imbragatura dei lavoratori addetti a lavorazioni sul tetto diverse da quelle di sostituzione dei lucernari)" (Sez. 4, n. 17213 del 15/02/2019, Danzi, Rv. 275713). 5.3. Infine, ove si intenda risolta in senso affermativo la questione dello svolgimento di fatto, da parte dell'imputato, delle funzioni di coordinatore nella fase esecutiva, con specifico riferimento al contenuto dell'ultimo motivo di ricorso, appare meramente affermata, ma in realta' non dimostrata, la ricorrenza di un caso di doverosita' da parte di (OMISSIS) dell'adozione di ordine di sospensione dei lavori Decreto Legislativo n. 81 del 2008, ex articolo 92 non misurandosi i decidenti con una circostanza fattuale e con un principio di diritto. Le si indica: A) si legge alle pp. 6 e 14 della stessa sentenza impugnata ed alle pp. 7-8 di quella di primo grado che l'imputato, dopo avere riscontrato il mancato impiego del casco protettivo, ne aveva gia' raccomandato l'uso ai lavoratori; B) costituisce punto fermo in materia di infortuni sul lavoro - deve ribadirsi - che non compete al coordinatore per l'esecuzione il puntuale controllo, momento per momento, delle singole lavorazioni, controllo che e' demandato ad altre figure (tra le numerose, oltre alle gia' richiamate Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, e Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, v. anche: Sez. 4, n. 34869 del 12/04/2017, Leone, Rv. 270756; Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735; Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536). 5.4. Si impone, in definitiva, un nuovo giudizio che, prendendo le mosse dalla corretta ricostruzione in fatto rispetto alle emergenze istruttorie, prima, e dal corretto inquadramento in diritto, poi, dell'effettivo ruolo eventualmente svolto del ricorrente ovvero degli effettivi ruoli avuti nella peculiare vicenda, tragga, con il necessario rigore logico, le conseguenti implicazione, sotto il profilo della eventuale doverosita' giuridica di un agire dell'imputato in maniera difforme da come agito, senza trascurare il profilo della c.d. causalita' della colpa nel caso di specie, profilo che e' stato efficacemente affrontato dalla Difesa nel secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e, gia' prima, nell'atto di appello ma che non e' stato adeguatamente risolto nella sentenza impugnata. 6. Consegue dalle considerazioni svolte la reiezione del ricorso di (OMISSIS), con condanna dello stesso, per legge (articolo 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali, ed invece l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS) con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PADOVA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Margherita Longhi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8551/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ZA.MA., elettivamente domiciliato in VIA (...), 6 35121 PADOVA presso il difensore avv. ZA.MA. ATTORE contro COMUNE DI BATTAGLIA TERME (C.F. (...)) CONVENUTO CONTUMACE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio il Comune di Battaglia Terme, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza del sinistro a lei occorso in data in data 15.9.2018 in via (...). A sostegno della domanda esponeva: -che in data 15.9.2018, verso le 23.30, stava attraversando da un lato all'altro la strada denominata Via (...) in Comune di Battaglia Terme quando, improvvisamente, inciampava a cadeva rovinosamente a terra; -che la caduta era stata provocata da una griglia di ferro posta alla base di un albero lungo il marciapiede, rialzata rispetto all'asfalto e tale quindi da costituire una vera e propria insidia, essendo anche assente l'illuminazione; -che il pericolo era imprevedibile dal momento che il rialzo della griglia non era segnalato in alcun modo; -che a seguito della caduta aveva riportato lesioni, tra cui in particolare frattura bimalleolare della caviglia sinistra con fratture composte del domo astragalico. Alla prima udienza del 23.10.2020 nessuno si costituiva per il Comune convenuto, il quale veniva dichiarato contumace. In data 18.11.2020 la causa veniva assegnata al ruolo di questo giudice. Concessi i termini di cui all'art. 183 comma sesto cpc e depositate le relative memorie, la causa veniva istruita mediante prova testi e CTU medico legale. All'udienza del 28.4.2022, veniva rinviata per la discussione e decisione ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 22.9.2022, previo deposito di note difensive conclusive. 2. La domanda è fondata. Quanto all'an della responsabilità, la ricostruzione del fatto offerta dall'attrice ha trovato conferma in sede istruttoria. In particolare, il teste (...), ha affermato che "la sera dell'incidente era stata nel mio locale. (...) Quel giorno stavo chiudendo il locale e ho visto la signora inciampare sulla grata alla base della pianta. Sono uscito dal mio ristorante e ho visto la signora (...) che aveva già attraversato la strada". Il teste ha poi riconosciuto nella foto allegata dall'attrice (terza foto sub doc.1) la grata in cui quest'ultima è inciampata. Il teste (...), inoltre, dichiarava: "Salita sul marciapiede, la signora è inciampata all'altezza della grata. Preciso che era accanto a me ed improvvisamente è caduta. Una volta a terra ho potuto vedere che c'era una grata rialzata. Una volta caduta a terra, è stata chiamata l'ambulanza perché la signora non riusciva a rialzarsi." Entrambi i testi hanno poi confermato che il luogo dell'incidente non era illuminato (cfr dichiarazione (...) "confermo che il lampione era spento. Confermo che era spento anche il lampione dall'altro lato della strada...." e dichiarazione teste (...) "nel punto in cui la signora è caduta non c'era luce....ricordo che dove eravamo noi la luce non c'era...."). La ricostruzione dei testi non presenta elementi tra loro contraddittori né particolari salti logici. Essa conferma, in particolare, due elementi rilevanti per la ricostruzione dell'incidente: da un lato, la presenza di una grata rialzata posta alla base della pianta e occupante in parte il marciapiede, dall'altro la scarsa illuminazione del luogo. E' ragionevole ritenere che la combinazione di questi due fattori abbia creato una situazione pericolosa per la sicurezza di un pedone concretamente impossibilitato a percepire la sconnessione della grata, collata in prossimità di un attraversamento e comunque in zona deputata al camminamento dei pedoni, e a individuare la possibilità di utilizzare un percorso diverso. Inoltre, non ricorrono elementi che consentano di affermare che, nel caso di specie, l'attrice si sia comportata in maniera imprudente. Questa, infatti si è limitata a salire e a percorrere il marciapiede per salire sull'auto a seguito dell'attraversamento della strada. Il Comune, inoltre, restando contumace non ha fornito elementi ulteriori da cui poter desumere la sussistenza del caso fortuito. Secondo costante giurisprudenza, "la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità" (Cass. n. 15761/2016; Cass. N. 9315/2019, Cass. N. 20943/2022; Cass. 9610/2022). Pertanto, sulla base delle testimonianze sopra richiamate, deve ritenersi provato il nesso causale. Del pari provato il nesso causale tra l'evento accorso e i danni sofferti dall'attrice, come accertato in sede di consulenza tecnica medico legale (cfr pagg.13 e seguenti elaborato ctu). In merito alla liquidazione del danno, va in primo luogo evidenziato che per liquidazione del danno non patrimoniale ci si può riferire alle tabelle del Tribunale di Milano. In particolare, quanto a detta tipologia di danni, la liquidazione non può che essere equitativa e deve muovere da una "uniformità pecuniaria di base", che assicuri che lo stesso tipo di lesione non sia valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto e che risponda altresì a criteri di elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione all'effettiva incidenza della menomazione subita dal danneggiato a tutte le circostanze del caso concreto (Cass.22272/2018; Cass. 5801/2019). Poste tali premesse, le tabelle del Tribunale di Milano consentono una liquidazione equitativa che, pur flessibile nei suoi esiti, assicura l'uniformità pecuniaria di base mediante la predisposizione del relativo punto-base: in particolare, può farsi applicazione delle tabelle aggiornate del 2021, vigenti al momento della decisione, il cui punto base è comprensivo della rivalutazione monetaria alla data della presente sentenza (sulla necessità, trattandosi di debito di valore, di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione, vedi Cass. 16788/2015; Cass. 2167/2016). Passando all'esame dei danni subiti dall'attrice in forza del sinistro per cui è causa si richiamano gli esiti della consulenza tecnica medico - legale svolta dal dott. (...), ampiamente motivati, coerenti con il quesito sottoposto dal giudice e non contestati dall'attrice. Il CTU ha verificato che le lesioni consistono in una "una frattura bi-malleolare scomposta alla caviglia sinistra, trattata chirurgicamente con riduzione cruenta e osteosintesi sia al malleolo peroneale che tibiale" (pag.13 elaborato CTU). Dopo aver delineato dettagliatamente l'iter clinico cui si è stata sottoposta l'attrice in seguito all'incidente (pagg. 13-14), il consulente ha rilevato che "attualmente, nonostante la rimozione dei mezzi di sintesi, residua un importante sofferenza e limitazione articolare alla caviglia sinistra, che si presenta ancora ingrossata. In particolare, va segnalato che, nonostante la rimozione dei mezzi di sintesi, permane un'anchilosi dell'estensione della tibiotarsica (T-T), che, essendo ancora impossibile oltre all'angolo retto, condiziona una deambulazione con zoppia sinistra. La sofferenza articolare alla caviglia sinistra si compendia anche di una limitazione, più contenuta, alla flessione della tibio-tarsica e all'articolazione sotto-astragalica, nonché con segni di modesta instabilità articolare" (pag.15 elaborato Ctu). Allo stato attuale, in seguito all'incidente e al percorso riabilitativo successivo, residua "un carico evidentemente dolente, confermato dal persistere di una rilevante ipomiotrofia di coscia e, soprattutto, di sura, a oltre tre anni dal sinistro. In base a tale quadro articolare disfunzionale della caviglia sinistra, appare del tutto attendibile l'impossibilità alla corsa e anche la difficoltà ad utilizzare la frizione dell'auto." (pag.15). Al quadro descritto va, infine, aggiunta la presenza di una modesta cicatrice post-operatoria (pag.15 elaborato ctu). Quanto al danno non patrimoniale, il consulente ha quindi concluso per la sussistenza "un danno biologico permanente quantificabile nella misura del 12% (dodici)". Inoltre, "E' conseguito un periodo di inabilità temporanea biologica assoluta di 1 (uno) giorno, più un periodo di inabilità temporanea biologica parziale al 75% di 37 (trentasette) giorni, ulteriori 40 (quaranta) giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 50% ed ulteriori 60 (sessanta) giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 25%" (pag. 15 elaborato ctu). Quanto al danno biologico temporaneo, può prendersi a riferimento il punto base per Euro 99,00, comprensivo della componente per danno biologico (Euro 72,00) e per danno da sofferenza soggettiva interiore media (Euro 27,00). E dunque, considerando un periodo di inabilità temporanea biologica assoluta di 1 (uno) giorno, un periodo di inabilità temporanea biologica parziale al 75% di 37 (trentasette) giorni, ulteriori 40 (quaranta) giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 50% ed ulteriori 60 (sessanta) giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 25%, il danno biologico temporaneo è quantificato in complessivi Euro 6311,25. Per calcolare il danno biologico permanente, individuato al 12% dal consulente tecnico (pag.15), considerata l'età danneggiato al momento del sinistro (31 anni), la percentuale di invalidità permanente (12%), il punto danno biologico (Euro 2.453,72), l'incremento per sofferenza soggettiva (+ 28%) Euro 687,04, il danno biologico permanente è da quantificarsi in Euro 32.036 Non vi è luogo ad alcuna personalizzazione in aumento, in ragione sia dell'assenza di allegazioni sul punto. La somma delle voci per danno biologico temporaneo (Euro 6311,25) e per danno biologico permanente (Euro 32.036,00) ammonta ad Euro 38.347,25. Quanto al danno patrimoniale, si tratta in particolare delle spese mediche sostenute dall'attrice a seguito del sinistro. Sul punto, il consulente tecnico ha ritenuto che le spese documentate siano complessivamente congrue e pertinenti con l'evento in esame, per un totale di Euro 2.948,34 (pagg.15-16 elaborato ctu), mentre non sono prevedibili spese mediche future. 3. In conclusione la domanda deve essere accolta, con conseguente condanna del Comune convenuta al pagamento in favore di parte attrice, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, della somma di complessivi Euro 41.295,59. Su detta somma sono dovuti gli interessi al saggio legale sulla somma de-valutata ai valori del mese di settembre 2018 (cioè alla data del sinistro) e quindi rivalutata di anno in anno fino alla data della presente decisione (secondo il criterio posto da Cass. S.U. 1712/1995); oltre ad interessi di cui all'art. 1284, comma 4, c.c. dalla data di pubblicazione del presente provvedimento fino al saldo. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia sulla base del decisum (cause di competenza del tribunale da scaglione fino a Euro 52.000,00), della trattazione e dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 secondo i valori minimi per tutte le fasi del giudizio, considerata la semplicità delle questioni in fatto e in diritto trattate e la contumacia del Comune. Le spese della consulenza tecnica vanno poste definitivamente a carico del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: ACCOGLIE la domanda proposta da (...) e, per l'effetto CONDANNA il comune di Battaglia Terme al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 41.295,59 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale; CONDANNA il comune di Battaglia Terme al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 786 per spese ed Euro 3972 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; PONE le spese di CTU definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Padova il 22 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo emessa in data 11/11/2019; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Odello Lucia, che, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento in composizione monocratica in data 05/04/2016, con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, per il reato di sequestro di persona in concorso, commesso ai danni di (OMISSIS), in (OMISSIS). 2. In data 30/06/2020 (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 125 e 177 c.p.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), per l'erronea valutazione delle risultanze probatorie dal parte della Corte territoriale, non essendo stato chiarito in base a quali elementi fosse sostenibile che la (OMISSIS) era stata costretta a salire a bordo dell'auto con violenza, posto che era stato accertato come la don% fosse accidentalmente caduta in terra prima di entrare nell'auto, per cui le escoriazioni dalla predetta riportate erano derivate da tale accidentale caduta, e non certamente da violenza posta in essere dagli imputati; ne' la condanna puo' fondarsi sulle impressioni del verbalizzate, appuntato dei CC (OMISSIS), anche considerato che la persona offesa era sempre rimasta in possesso del suo telefono cellulare, con cui era in contatto con il fidanzato; che la macchina a bordo della quale si trovava viaggiava a bassa velocita', anche considerate le condizioni di traffico cittadino, il che non avrebbe impedito alla donna di chiedere aiuto nel corso del breve arco temporale in cui era rimasta a bordo della detta vettura; ne', infine, sono state correttamente valutate le dichiarazioni dei coimputati - riportate in ricorso - che, considerate le modalita' del loro arresto, non avrebbero potuto concordare tra loro una comune versione difensiva; al piu', quindi, la condotta avrebbe potuto essere inquadrata ai sensi dell'articolo 610 c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile. La vicenda processuale in esame - come si evince dalla motivazione delle sentenze di merito che, in caso di "doppia a conforme", rappresentano un unico ordito argomentativo - era scaturita dalla denuncia di (OMISSIS), che aveva segnalato la privazione della liberta' personale, da parte di alcuni cittadini rumeni, in danno della sua fidanzata, (OMISSIS), a seguito di una lite tra il denunciante ed un suo collega di lavoro, (OMISSIS), da cui era scaturita un'aggressione ai danni del denunciante da parte del (OMISSIS) e di altri cittadini rumeni, culminata nel sequestro della (OMISSIS). La Polizia giudiziaria, avvisata dal predetto denunziante, in particolare, assisteva al sopraggiungere di una vettura, dalla quale scendevano due persone, che si avvicinavano al denunciante con fare minaccioso; all'interno dell'auto, sul sedile posteriore, era seduta la (OMISSIS), nel mezzo di altri due uomini, i quali, a loro volta, scendevano dall'auto; la ragazza, accortasi della presenza degli operanti, a quel punto usciva dall'auto in lacrime. Dalle complessive risultanze istruttorie il (OMISSIS) era individuato come colui il quale, insieme ad altri due individui, aveva dapprima aggredito il (OMISSIS), a seguito della richiesta, da questi formulata, di corresponsione del salario dovutogli e, quindi, aveva costretto la (OMISSIS), trascinandola a terra dopo averla presa per i capelli, a salire nell'auto a bordo della quale si erano poi allontanati. Il (OMISSIS) aveva anche sottratto il cellulare alla ragazza per rispondere al (OMISSIS) - che era riuscito a darsi alla fuga dopo l'aggressione e che aveva poi telefonato alla sua fidanzata - alt scopo di costringere quest'ultimo a recarsi ad un nuovo appuntamento. La (OMISSIS), in particolare, aveva riferito che il (OMISSIS) aveva lo scopo di aggredire nuovamente il suo fidanzato, ed a questo fine aveva chiamato una quarta persona, recandosi all'appuntamento fissato, a cui assistevano anche i carabinieri a cui il (OMISSIS) si era rivolto. La ragazza specificava anche che il (OMISSIS), prima di recarsi all'appuntamento, aveva spezzato in due un bastone, consegnandone una meta' ad uno dei rumeni presenti nella vettura e tenendo per se' l'altra meta'; dichiarava di essere stata seduta nell'auto, al centro tra due rumeni e di essere stata minacciata di essere legata ad un albero. Il (OMISSIS), a sua volta, ammetteva di essersi difeso, nel corso della colluttazione, con un coltello, e di essere riuscito a sfuggire al (OMISSIS) che lo inseguiva con un bastone; essendosi reso conto, dopo la fuga, che la sua fidanzata non era tornata a casa, le aveva telefonato, ma alla chiamata aveva risposto il (OMISSIS), che aveva minacciato di legare la ragazza ad un albero o di gettarla nel lago, mentre egli sentiva la (OMISSIS) piangere e gridare, per cui si era rivolto ai Carabinieri, insieme ai quali si era recato all'appuntamento con il (OMISSIS). All'esito di detta ricostruzione, la Corte territoriale ha considerato come la (OMISSIS) fosse stata privata della sua liberta' personale a seguito della violenza attuata nei suoi confronti, essendo stata costretta a salire in auto, non potendo discenderne per la presenza di due persone ai suoi fianchi; tale situazione si era protratta per circa un'ora, in cui la (OMISSIS) era rimasta alla merce' del (OMISSIS) e dei suoi sodali, continuando ad essere oggetto di minacce. A fronte di detta ricostruzione, alla luce di una valutazione del compendio probatorio che si palesa del tutto logica, coerente ed immune da censure rilevabili in sede di legittimita', il motivo di ricorso risulta irrimediabilmente versato in fatto, reiterativo di argomenti gia' posti all'esame del giudice del gravame e, quindi, privo di un serio confronto con la motivazione della sentenza impugnata. La critica difensiva si limita ad una riproposizione della alternativa tesi fornita dall'imputato e dai correi, sostenendo che la ragazza era spontaneamente salita a bordo dell'auto, essendo scivolata accidentalmente a terra, senza alcuna violenza da parte di terzi, non essendo stato il bastone di cui aveva riferito la (OMISSIS), e rinvenuto nel veicolo, utilizzato per minacciare la ragazza; ne' questa aveva chiesto aiuto, posto che l'auto viaggiava ad una velocita' ridotta, ne' era scesa dalla vettura. In altri termini, quindi, il ricorso si fonda su di una rilettura alternativa delle fonti di prova, optando per una diversa ricostruzione del fatto, operazione del tutto estranea al perimetro del giudizio di legittimita', in quanti le censure aspirano ad una rivalutazione del compendio probatorio preclusa in questa sede. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di legittimita' quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. U., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. La novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la possibilita' di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimita', sicche' gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova. E' stato ulteriormente precisato che la modifica dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), per effetto della L. n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella gia' effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali puo' essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorieta' della motivazione rispetto ad essi sia percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099). Ne discende, pertanto, l'inammissibilita' del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAMMINO Matilde - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M. - Consigliere Dott. ARIOLLI G. - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/10/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DI LEO Giovanni, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio per il ricorso di (OMISSIS); l'annullamento senza rinvio con rideterminazione della pena, per il ricorso di (OMISSIS); il rigetto del ricorso di (OMISSIS); la dichiarazione di inammissibilita' per tutti gli altri ricorsi. E' presente l'avvocato CALABRESE FRANCESCO del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS). Il medesimo difensore e' presente in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di VIBO VALENTIA in difesa di: (OMISSIS), come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato VENETO CLARA del foro di Roma, in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS), come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. L'avvocato (OMISSIS) e' presente anche in sostituzione, per delega orale, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) ANTONINO del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS). L'avvocato (OMISSIS) deposita nomina difensore di fiducia e procura speciale per (OMISSIS). Il medesimo difensore e' presente anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di LOCRI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS)NICO del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS) (nato nel 1964) e in sostituzione, per delega orale, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS) (nato nel 1964), (OMISSIS), (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di: (OMISSIS). E' presente l'avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di Locri, in difesa di: (OMISSIS), come da nomina a sostituto processuale depositata in udienza. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa della parte civile COMUNE DI CINQUEFRONDI e, in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI, in difesa della parte civile COMUNE DI ANOIA, come da nomina sostituto processuale depositata in udienza. Tutti i difensori degli imputati insistono per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. L'avvocato (OMISSIS) per le parti civili COMUNE DI CINQUEFRONDI e COMUNE DI ANOIA deposita conclusioni scritte e note spese ed insiste per il rigetto e/o declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi degli imputati. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per l'annullamento della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 3/10/2019 (dep. 6/7/2021) che ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Reggio Calabria il 16/10/2017 a seguito di rito abbreviato, nei termini e con riferimento ai diversi reati di seguito precisati. (OMISSIS) (risponde dei delitti di cui ai capi 1 (delitto associativo) e 56 (violazione della legge armi in concorso con (OMISSIS)); per effetto della continuazione dei reati di cui al presente giudizio con quelli di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 27.10.2016, la C.A. determina la complessiva pena in anni tredici mesi quattro di reclusione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. 1.1. Si censura anzitutto la sussistenza e la corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di concreta operativita' di tale gruppo travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi sotto l'irrinunciabile profilo della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a tale autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non direttamente discesa dalla presunta cosca (OMISSIS). Ne', al riguardo, poteva farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) era stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterni del metodo mafioso. Parimenti non poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente al quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta', tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 1.2. Quanto poi alla specifica condotta associativa addebitata alla ricorrente, questa era stata tratta dalla Corte territoriale dal compimento dei reati fine. Invece, il rapporto di coniugio ed il fatto che la stessa eseguiva o meglio obbediva alle sole direttive del marito deponeva non per l'esistenza del vincolo associativo, bensi' "per essere frutto di un vincolo di tipo familiare di sottomissione alla volonta' del marito tipico delle zone dell'entroterra calabrese", con cio' dovendosi semmai registrare solo lo schema giuridico del concorso nei reati fine. Mancava in punto di dolo l'affectio societatis. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 81 e 133 c.p.. La censura attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti operati a titolo di continuazione (sul punto si richiama il recente arresto delle S.U. del 24 giugno 2021). 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. (capo 56, circostanza ritenuta sotto il profilo dell'agevolazione). La Corte di merito non aveva fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza in capo alla ricorrente del dolo specifico di favorire l'associazione, anziche' il singolo sodale (il marito (OMISSIS)). 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 99 c.p.. Si era posto a fondamento della recidiva un unico precedente risalente all'anno 2006, senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con il precedente reato, con cio' omettendo di uniformarsi ai criteri dettati da questa Corte in materia. (OMISSIS) (in riforma della sentenza di primo grado, anni otto e mesi quattro di reclusione ed Euro 22.800,00 di multa, in relazione ai reati di cui ai capi 23), 24) esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e 26), con la sola recidiva infraquinquennale). Al riguardo, deduce: 1. violazione del principio di ragionevole durata del processo ex articolo 111 Cost. e articolo 6 Convenzione EDU. Si censurano i lunghi tempi occorsi per il giudizio e per la redazione della sentenza impugnata che avevano precluso il raggiungimento delle finalita' di giustizia insite nel principio della ragionevole durata del processo, valevole tanto piu' per il ricorrente chiamato a giudizio sulla scorta di un materiale investigativo privo della necessaria pregnanza. 2. violazione della L. n. 895 del 1967, articolo 1, in ordine al capo 23) della rubrica (il ricorrente avrebbe agito contattando i fornitori delle armi e operando quale mediatore con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). La censura attiene anzitutto alla valenza probatoria del compendio intercettivo, ossia delle conversazioni ambientali captate nell'abitazione del (OMISSIS), inidonee a ricostruire quale tipo di attivita' illecita il ricorrente avesse eseguito nello specifico ed anzi la cui attenta lettura deponeva per una diversa ed alternativa interpretazione in favore dell'imputato. Si trattava di conversazioni prive di un contesto dimostrativo, comportamentale ed effettuale, ma solo di tipo strettamente narrativo vertenti su fatti vissuti sui quali vi e' comunanza di conoscenza. Dalle conversazioni, prive di specifici riferimenti al ricorrente, non emergeva alcun contributo del ricorrente sia nella fase della trattativa che in quella della conclusione dell'accordo volto alla compravendita delle armi al quale non vi era stato seguito, ne' elementi sufficienti per avvalorare l'ipotesi dell'intermediazione in senso stretto, stante l'assenza dei necessari connotati di serieta' della trattativa intrapresa. Analoga carenza dimostrativa aveva il richiamo al propalato dei collaboratori (OMISSIS) Lorenzo e (OMISSIS), privi di riferimenti al ricorrente. 3-4. violazione di legge in relazione all'articolo 115 c.p. Si lamenta, tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione (dedotto separatamente), anche l'omessa motivazione in ordine alla prospettazione difensiva volta, nell'ipotesi in cui si attribuisse al ricorrente il ruolo di intermediario, a ricondurre la vicenda nell'alveo dell'articolo 115 c.p., trattandosi di una trattativa mai giunta ad un accordo e non traducendosi l'attivita' posta in essere dal ricorrente, priva della necessaria offensivita', in un'attivita' di partecipazione ad un reato. 5. violazione della L. n. 895 del 1967, articolo 1in ordine al capo 24) della rubrica (illegale detenzione di diverse armi affidate in custodia a (OMISSIS)). Si lamenta che la prova di responsabilita' sia stata ricavata dal contenuto incerto e generico di un'unica intercettazione alla quale non prendeva parte il ricorrente (contenente un telegrafico riferimento a "Turi"), intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La frase profferita dal (OMISSIS) ("Turi lo stesso") non era evocativa di alcunche', non indicava la tipologia di armi, il periodo in cui sarebbero state detenute dal ricorrente e poi date al (OMISSIS), ne' il canale di approvvigionamento. Difettava quella minima relazione stabile con l'arma necessaria per integrare la illegale detenzione. 6. violazione dell'articolo 56 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capo 26 della rubrica, aver preso parte con gli altri correi ad una trattativa volta all'acquisto di sostanza stupefacente). Si lamenta che il ricorrente, additato di avere contattato i fornitori, tra cui uno di nazionalita' albanese, sia stato chiamato a rispondere di una condotta del tutto indeterminata in relazione alle modalita' di consegna, disponibilita' e tipologia di droga. Anche in tal caso l'affermazione di responsabilita' si fondava su un'unica intercettazione etero accusatoria, priva di valenza dimostrativa in ordine ad una trattativa in merito all'acquisto di sostanza stupefacente, che la Corte territoriale aveva valorizzato a carico del ricorrente con una motivazione aspecifica ed acritica, ricorrendo a mere congetture al fine di superare l'assenza di profili di offensivita' nella condotta tenuta dall'imputato. L'ipotesi tentata doveva escludersi su entrambi i piani: quello dell'idoneita', in quanto nessun incontro per la trattativa vi era stato, ne' la merce era stata visionata; non erano indicati i contatti esterni al gruppo; nessun riferimento alla natura strumentale che la partita di droga doveva assumere per comprare la partita di armi; gli elementi conducevano nel senso di escludere che vi fosse stata una trattativa affidante; quello dell'univocita', trattandosi semmai di meri atti preparatori da cui non era possibile ritenere probabile l'instaurazione di una trattativa con i venditori che avevano la disponibilita' della droga. 7. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 23) della rubrica nella componente oggettiva "concernente le modalita' dell'azione". Si censura la motivazione della sentenza impugnata per avere riservato, sul tema, un'unica trattazione di carattere congiunto a tutti i coimputati. Quanto al metodo, l'aggravante non era configurabile per la mancanza di metodiche mafiose, ne' al riguardo era pertinente il richiamo alla condanna annoverata dal ricorrente nella veste di partecipe per associazione di tipo mafioso. 8. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 23) della rubrica nella componente soggettiva concernente la direzione della volonta' di agevolazione mafiosa. La circostanza che il ricorrente fosse in contatto con soggetti intranei o contigui alla cosca non era sufficiente a dimostrare la consapevolezza della direzione finalistica di tale contributo e che si fosse per cio' solo determinato ad agire. Si era dunque operato un salto logico che il dato fattuale della contiguita' non consentiva, dovendo lo scopo di agevolazione della cosca costituire l'obiettivo diretto e non rilevando possibili vantaggi illeciti indiretti o il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca. 9. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 26) della rubrica nella componente oggettiva "concernente le modalita' dell'azione". Si era al cospetto di motivazione cd. a cascata, assumendosi il rilievo delle considerazioni svolte riguardo la vicenda relativa alle armi, a cui sarebbe stato finalizzato l'acquisto della droga. Nessun riferimento, invece, vi era ad elementi della condotta caratterizzanti il metodo mafioso. 10. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. con riguardo al capo 26) della rubrica nella componente soggettiva concernente la direzione della volonta' di agevolazione mafiosa. Sul punto si possono richiamare le argomentazioni spese a proposito dell'analogo motivo di cui al capo 23) della rubrica. 11. Vizio di motivazione con riferimento ai capi 23) e 26) della rubrica. La motivazione della sentenza impugnata attraverso una copiatura di quella di primo grado aveva omesso di esprimere una propria critica valutazione alle censure mosse con l'atto di appello, con particolare riferimento alla sussistenza dell'aggravante speciale. 12. violazione di legge penale in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione in ordine al reato di cui al capo 26) della rubrica. L'ipotesi tentata (cosi' come contestata) e l'esclusione dell'aggravante speciale (in caso di accoglimento del motivo di ricorso) determinerebbero la prescrizione del reato, trattandosi di fatto risalente al (OMISSIS). 13. violazione di legge con riferimento all'applicazione della recidiva. Si era ricavata la circostanza dalla mera elencazione delle precedenti condanne annoverate dal ricorrente, cosi' operando un automatismo non consentito, occorrendo, invece, una valutazione degli elementi che la legge indica quali rivelatori di un giudizio di pericolosita' qualificata del reo, tale da dimostrare che il nuovo illecito contestato sia sintomo della pericolosita' dell'imputato. 14. violazione di legge penale in relazione all'articolo 62-bis c.p.. La censura attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato su richiami riferiti genericamente a tutti gli imputati e priva della valutazione complessiva degli indici oggettivi (nessuna arma era stata rivenuta) e soggettivi (buon comportamento processuale, avendo il ricorrente sin da subito chiarito la sua posizione depositando memoriale) e non tenendo conto che i precedenti penali erano risalenti nel tempo. 15. Con memoria in data 23/12/2021, la difesa del ricorrente ha fatto pervenire motivi aggiunti, con i quali si e' ulteriormente argomentato sui profili di censura attinenti: all'assenza della componente oggettiva concernente le modalita' dell'azione e soggettiva inerente alla direzione della volonta' dell'agevolazione mafiosa con riferimento all'aggravante speciale contestata in relazione ai capi 23) e 26) della rubrica; all'aumento di pena apportato per la ritenuta recidiva. (OMISSIS) (in riforma della sentenza di primo grado, anni sei e mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo 1) della rubrica, quale partecipe con il ruolo di "sgarrista" della locale di (OMISSIS); disposta la misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni due). Al riguardo, deduce: 1. vizio di motivazione in relazione all'articolo 192 c.p.p., commi 2 e 3 e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza di validi elementi di riscontro alle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che ha indicato il ricorrente come partecipe al sodalizio di cui al capo 1) della rubrica con la qualifica di "sgarrista" e che sarebbe stato "portato" da (OMISSIS). Si trattava di un'indicazione generica, priva di una ben precisa collocazione funzionale; ne' riscontri potevano trarsi dall'operato riconoscimento fotografico, ovvero dalla circostanza che fosse stato accertato che il ricorrente era proprietario, per come affermato dal collaboratore di giustizia, di un tabacchino in (OMISSIS), trattandosi di una circostanza nota. Ne' valenza indiziante poteva parimenti assegnarsi al contenuto dell'intercettazione ambientale captata a casa del (OMISSIS) ove si era fatto riferimento a "quello dei tabacchi", termine del tutto generico e privo di elementi convolgenti verso il ricorrente; l'impiego del termine "infamone" contenuto nelle stesse intercettazioni ambientali poi non era evocativo di un ruolo assunto nella cosca, bensi' di un giudizio dispregiativo mosso dal (OMISSIS), il quale cosi' additava coloro che erano ritenuti inaffidabili per essere scelti per la formazione della sua nuova compagine. Ne' il ricorrente era stato mai registrato come frequentatore di casa (OMISSIS). Non si era poi apprezzato, ai fini del giudizio di credibilita' del collaboratore, che i testi addotti dalla difesa avevano dichiarato che il ricorrente si era rifiutato di rifornire lo (OMISSIS) di sigarette senza che questi le pagasse, comportamento di per se' incompatibile con una comune intraneita' nella stessa cosca. Ne' elementi di reita' si ricavavano dalle dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS), cugino del ricorrente, il quale nulla aveva riferito in ordine alla partecipazione dell'imputato alla cosca di âEuroËœndrangheta, limitandosi a riferire di aver da questo ricevuto delle schede telefoniche intestate a persone difficilmente individuabili, per un prezzo doppio rispetto al valore di mercato, circostanza, anche questa, che logicamente strideva con un'opera prestata a favore di un comune sodale. Assenza di decisivita' andava poi riconosciuta ai meri rapporti di frequentazione con coimputati citati in sentenza, rilevanti, semmai, ai soli fini dell'applicazione di misure di prevenzione. In conclusione, anche laddove si fosse ritenuto il ricorrente partecipe (in realta' semmai si trattava di un "cane sciolto" per come avvalorato da precedenti per delitti comuni dotati di "autonomia"), difettava l'indicazione dell'avvenuta attivazione del soggetto a favore dell'organizzazione mafiosa mediante apporti contributivi di carattere significativo. 2. vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La sentenza impugnata aveva fondato il diniego sulla scorta dell'automatica appartenenza del ricorrente alla cosca di âEuroËœndrangheta, omettendo qualsiasi verifica della rilevanza o meno dei contributi forniti e del ruolo concretamente svolto (in termini n. 33913 del 2001). Ne' gli indici di disvalore spesi a proposito del ricorrente erano allo stesso riferibili, trattandosi, peraltro, di soggetto incensurato ed al quale non erano stati contestati i delitti fine). 3. omessa motivazione in ordine al motivo di appello con cui si censurava l'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata. (OMISSIS) (in riforma della sentenza del GUP, per effetto della continuazione dei reati qui giudicati con quelli di cui alla sentenza della Corte -di Appello di Reggio Calabria del 6/03/2003, irrevocabile il 7/06/2004, nonche' della gia' ritenuta continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria dell'11/07/2013, irrevocabile il 24/11/2013 determina la complessiva pena in anni 20 e mesi 4 di reclusione; capi 1) ed 80) della rubrica (reato associativo ed estorsione in concorso con (OMISSIS) ai danni del (OMISSIS)). Al riguardo deduce: 1. vizio di motivazione per acritica copiatura della sentenza di primo grado (mancanza di autonoma valutazione) ed omesso confronto con i temi difensivi dedotti tra i quali la data di cessazione della permanenza (e conseguente individuazione della norma da applicare) e il correlato accertamento della condotta, se apicale o meno. 2. violazione dell'articolo 416-bis c.p. e articolo 238-bis c.p.p. (tema della sussistenza e persistenza dell'omonima cosca). Si era ricavata la responsabilita' del ricorrente in ordine al delitto di cui al capo 1) operando una non consentita traslazione - mediante il richiamo all'articolo 238-bis c.p.p. - dei fatti accertati con le sentenze irrevocabili acquisite (relative ai procedimenti cd. "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)") che, invece, lungi dal porsi in similitudine e continuita', non si innestavano con gli elementi emersi nell'odierno processo. Le sentenze irrevocabili oltre a riguardare fatti del tutto diversi e non conciliabili con quelli oggetto del presente giudizio - essendosi evidenziato come dal compendio probatorio emergesse una netta frattura finalistica che consentisse di affermare una mutazione genetica della cosca - erano stati dalla Corte di merito ritenuti sufficienti a dimostrare la persistente mafiosita' del ricorrente. Non vi era, infatti, la prova certa della perduranza della cosca, ne' della continuita' dell'agire del gruppo. Ne' a tale fine era significativo l'episodio estorsivo citato in sentenza (ai danni del (OMISSIS)). Insomma, la storia giudiziaria non poteva rendere immanente quel metodo processualmente accertato in contesti temporali e modali differenti, altrimenti ridondandosi in una sorta di "colpa di autore" ricavata dal precedente penale. In conclusione, mancava nella sentenza impugnata l'indicazione degli ulteriori elementi fattuali che avrebbero concorso con l'accertamento giudiziale a fondare il convincimento della continuita' dell'agire del gruppo (peraltro il collaboratore (OMISSIS) aveva riferito dell'esistenza di una spaccatura all'interno della locale di (OMISSIS)). Con conseguente assenza di autonome conferme probatorie in ordine alla valenza del fatto accertato nelle decisioni giudiziali divenute irrevocabili. 3. violazione dell'articolo 416-bis c.p. con riferimento alla partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1) (svalutazione del dichiarato del collaboratore (OMISSIS)). La sentenza impugnata aveva anzitutto omesso di considerare le dichiarazioni "scagionanti" del collaboratore (OMISSIS), il quale nel descrivere la storia dei (OMISSIS) aveva precisato come non facessero parte della âEuroËœndrangheta e nulla aveva riferito con riguardo alla loro partecipazione alla locale di (OMISSIS), sottolineando l'autonomia del ricorrente che non dava conto a nessuno del suo agire, escludendo altresi' di avervi commesso in concorso delle estorsioni. Al di fuori del contesto associativo andava, quindi, letta l'ipotesi estorsiva citata dalla Corte di merito a sostegno dell'ipotesi accusatoria. 4. violazione dell'articolo 416-bis c.p., comma 2, (condotta di partecipazione con competenza specifica e quasi esclusiva nel settore delle estorsioni). Si richiamano sul punto i due profili di "criticita'" portanti dei motivi di ricorso: l'assenza di motivazione sulla sussistenza della cosca (OMISSIS) e sul ruolo assunto dal ricorrente. La sentenza impugnata aveva finito per sostituire al necessario dato fattuale di sostegno, il dato ambientale che ne fa da sfondo, tenuto conto che l'agire del ricorrente non si inseriva in un contesto associativo, risultando semmai ed in ipotesi un "cane sciolto". La partecipazione effettiva del ricorrente, da dover intendersi in senso dinamico-funzionalistico, era soltanto apoditticamente affermata (si richiamano le affermazioni "liberatorie" del collaboratore (OMISSIS)). Ne' potevano assumere valenza causale ai fini associativi le estorsioni che avrebbe commesso il ricorrente in quanto non confluivano nella cd. "bacinella" a disposizione della âEuroËœndrangheta (pag. 91 sentenza di primo grado). Mancavano quindi le necessarie evidenze per potersi affermare che il ricorrente avesse contribuito alla realizzazione dei fini perseguiti dal sodalizio, tantomeno con caratteri direttivi. 5. violazione dell'articolo 416-bis c.p., comma 4, (natura armata dell'associazione). Si lamenta che l'attribuzione della circostanza al ricorrente - in assenza di contestazioni inerenti alle armi e a posizioni operative in tale settore - sia stata affermata sulla base di un mero nesso "meccanicistico", confondendo il gruppo (OMISSIS), dotato di armi, con il ricorrente a tale âEuroËœndrina estraneo. Mancava un accertamento in termini di consapevolezza, non essendo al riguardo pertinente il riferimento al passato giudiziale del ricorrente. 6. violazione dell'articolo 629 c.p., in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. (assenza di elementi connotanti l'estorsione di cui al capo 80). Del tutto congetturale era la motivazione in punto di identificazione del ricorrente quale autore del delitto estorsivo. Inoltre, non era stato chiarito in cosa fosse consistito l'attivismo del ricorrente (significativo che la stessa sentenza di merito parli di minacce velate ed indirette). Si era finito per identificare il contributo del ricorrente in una sorta di responsabilita' di posizione. L'assenza di contesto mafioso della vicenda non consentiva neppure - nonostante il difetto di tipizzazione della condotta - di richiamare l'ipotesi della cd. estorsione ambientale. 7. violazione dell'articolo 416-bis.1 c.p., in relazione all'estorsione di cui al capo 80) della rubrica, ritenuta sia nel metodo che nell'agevolazione; assenza degli elementi costitutivi dell'aggravante speciale nella duplice declinazione. Dalla stessa motivazione resa dalla Corte d'appello si ricavava la mancanza degli elementi soggettivi e oggettivi costitutivi dell'aggravante. La condotta non evocava i caratteri tipici dell'intimidazione mafiosa, difettando l'attuazione di condotte minacciose, violente od intimidatorie. Inoltre, gli eventuali proventi estorsivi non sono stati destinati ad avvantaggiare il gruppo mafioso, bensi' sono stati destinati al mantenimento in vita dello stesso. 8. violazione dell'articolo 99 c.p., commi 4 e 5. Si erano posti a fondamento dell'aumento di pena dovuto al riconoscimento della recidiva precedenti risalenti nel tempo per i quali il ricorrente ha scontato la pena. Si era incentrata l'attenzione sul casellario giudiziale del ricorrente, omettendo, invece, di apprezzare il ruolo marginale assunto, circoscritto anche a livello di arco temporale, in totale assenza di contatti con altri soggetti pregiudicati. Insomma, si era operato una sorta di automatismo punitivo, in assenza dell'indicazione di pertinenti parametri individualizzanti significativi della personalita' del reo e del grado della colpevolezza, in forza dei quali si possa ritenere che la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (mancava il cd. nesso accrescitivo di pericolosita'). Si era poi erroneamente riconosciuta la recidiva infraquinquennale quando invece il precedente reato del ricorrente risaliva ad epoca piu' remota (v. sent. proc. (OMISSIS)). 9. violazione dell'articolo 62-bis c.p. La censura attiene al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non essendosi tenuto conto delle necessita' rieducative individuabili attraverso l'analisi del fatto e la personalita' dell'imputato (i precedenti erano datati nel tempo). 10. violazione dell'articolo 2 c.p., comma 4, in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 416-bis c.p. nella formulazione antecedente alla L. 27 maggio 2015, n. 69 e, precisamente, con riguardo al trattamento sanzionatorio stabilito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, stante l'assenza di prova che la condotta associativa si sia protratta in un tempo successivo all'entrata in vigore della legge del 2015. L'estorsione risultava commessa nel 2014 e la perduranza della contestazione di carattere associativo non era stata dimostrata. 11. violazione degli articoli 133 e 81 cpv. c.p. quanto alla determinazione della continuazione esterna tra le varie pronunce di condanna considerate. La censura muove dall'accoglimento delle doglianze in punto di delimitazione della condotta di partecipazione (ante 2015), di esclusione del ruolo direttivo e della recidiva che hanno portato la Corte di merito a ritenere piu' grave il reato di cui al capo 1) dell'odierno processo. 12. violazione di legge con riguardo alla statuizione sulla decadenza da prestazioni previdenziali e pensionistiche in genere (L. n. 92 del 2012, articolo 2, commi 58-63). Con l'applicazione automatica della revoca delle prestazioni in questione si era inciso su diritti quesiti di tipo assistenziale fondati su ragioni di salute ed incidenti anche su nuclei familiari, in violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e di parita' di trattamento. 13. vizio di motivazione (anche con riguardo all'ulteriore atto di gravame del 25/6/2018) per mera apparenza della medesima in punto di confisca dei beni (a pag. 47 del ricorso sono indicati quelli rimasti assoggettati al vincolo reale), trattandosi di compendio del tutto modesto e "sopportabile" del nucleo familiare. 14. Con memoria in data 23/12/2021, la difesa del ricorrente ha ulteriormente argomentato tanto in ordine alla censura relativa alla mancata applicazione della disciplina sanzionatoria antecedente alla riforma del 2015 in ordine al delitto di cui al capo 1) della rubrica (questione che investe anche la delimitazione temporale della condotta di partecipazione attribuita al ricorrente), quanto con riferimento alla richiesta di revoca della confisca in ragione dell'assenza dei requisiti di sproporzione e di liceita' del patrimonio del ricorrente. (OMISSIS) (conferma, anni quattro mesi quattro di reclusione ed Euro 3.200 di multa per i reati di cui ai capi 81) e 82) della rubrica, con l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.; tentativo di estorsione e danneggiamento seguito da incendio ai danni di (OMISSIS)). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 56 - 629 c.p. e articolo 416-bis.1 c.p. La censura investe la responsabilita' del ricorrente in ordine al tentativo di estorsione ai danni di (OMISSIS) ed al connesso danneggiamento seguito da incendio di cui ai capi 81) e 82) della rubrica con l'aggravante speciale. Il ricorrente si duole del fatto che la prova e' rappresentata solamente dalle dichiarazioni della persona offesa, prive di riscontri e a suo giudizio inattendibili, in considerazione della posizione contrapposta rispetto agli interessi dell'imputato. Inoltre, lamenta il mancato esame dei motivi di appello al riguardo dedotti, essendosi la sentenza impugnata limitata a richiamare le valutazioni operate in punto di affermazione di responsabilita' del primo giudice, cosi' operando un'acritica sovrapposizione della decisione di primo grado e, dunque, finendo per rendere una motivazione del tutto apparente. Si erano posti a fondamento della responsabilita' due elementi privi di valenza dimostrativa costituiti dal rapporto parentale del ricorrente con il (OMISSIS), che annoverava condanne per fatti della stessa specie, e l'aver assistito alle operazioni di danneggiamento mediante incendio del fratello (OMISSIS), omettendosi di considerare che la p.o., pur addebitando il gesto ai (OMISSIS), non aveva visto ne' il ricorrente ne' altri familiari appiccare il fuoco presso il proprio cantiere. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Difettavano gli elementi costitutivi della circostanza aggravante ad effetto speciale, non ravvisabili nelle modalita' della richiesta presuntivamente estorsiva, cio' non bastando a caratterizzarla come "mafiosa"; anche a voler dare credito alle dichiarazioni della p.o. non emergeva che si trattasse di una richiesta formulata nell'interesse della cosca che opererebbe nel territorio di (OMISSIS), con la conseguenza che la circostanza non solo era stata supposta, ma restava anche indimostrata, in quanto la condotta sarebbe stata tutt'al piu' riconducibile ad una generica richiesta estorsiva (nemmeno risultava menzionato il nome di (OMISSIS)), priva dei caratteri mafiosi, che non potevano desumersi dalla mera reazione della vittima, dovendo invece la condotta essere oggettivamente idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri proprio dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale evocata. Ne' risultava operata una concreta verifica della funzionalita' della condotta all'agevolazione dell'attivita' dell'organizzazione criminale e del dolo specifico che avrebbe animato l'agire del ricorrente. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in ragione della giovane eta' dell'imputato, dell'assenza di precedenti penali, dell'estraneita' al contesto associativo e stante la condotta tenuta post delictum. Del tutto indimostrati e di carattere congetturale erano gli elementi di disvalore posti a fondamento del diniego dalla sentenza impugnata. (OMISSIS) (riforma, venti anni di reclusione ed Euro 9.000 di multa per i reati di cui ai capi 1) e 39) della rubrica, ritenuta la continuazione con i reati giudicati dalla medesima Corte di Appello con sentenza del 17/2/2003, irrev. il 7/6/2004). Al riguardo, deduce: 1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, nonche' mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione, in relazione agli articoli 81, 99 e 133 c.p., nonche' articolo 187 disp. att. c.p.p.. 1.1. Si censura, anzitutto, la scelta operata dalla Corte di merito in ordine al criterio di identificazione della "pena piu' grave" da porre come pena base per gli aumenti in continuazione dei reati oggetto del presente giudizio ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, stante l'errata applicazione del principio della pena irrogata "in concreto" in luogo di quello della pena prevista in astratto per la violazione piu' grave. In particolare, la pena base avrebbe dovuto essere stabilita sul piu' grave delitto associativo di cui alla sentenza irrevocabile del procedimento cd. "Il (OMISSIS)", in quanto in tale sede all'imputato era stato attribuito un ruolo qualificato, superiore a quello di partecipe riconosciuto al medesimo ricorrente all'interno dell'odierno procedimento. 1.2. Inoltre, un'ulteriore violazione di legge era ravvisabile nel calcolo operato per gli aumenti dovuti alla continuazione, in quanto nel procedimento irrevocabile erano stati contenuti in anni uno per il capo 7) ed anni uno per il capo 1), mentre la sentenza impugnata "per il capo 1) ne ha ritenuti due per il medesimo capo di imputazione, raddoppiando quanto irrevocabilmente stabilito dalla sentenza irrevocabile del procedimento "Il (OMISSIS)". La Corte territoriale non aveva quindi osservato il principio di diritto affermato dalla S.C. secondo cui il giudice e' tenuto a rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena gia' coperte da giudicato, cosi' violando il principio del divieto della reformatio in peius. Peraltro, a tale conclusione la Corte di merito era pervenuta in assenza di una congrua motivazione. 1.3. Infine, trattandosi di reato continuato e, dunque, di un unico procedimento, la Corte di merito avrebbe dovuto decurtare dalla pena base scelta l'aumento operato a titolo di recidiva dal giudice di primo grado. (OMISSIS) e (OMISSIS) (riforma in ordine al trattamento sanzionatorio, rispettivamente anni sei di reclusione ed Euro 22.000 di multa per il primo imputato e anni cinque di reclusione ed Euro 22.300 di multa per il secondo, in ordine ai capi 23) e 26), concorso nella messa in vendita di armi da guerra - parte acquirente - e tentata compravendita di stupefacenti) Con distinti ricorsi, i cui motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto sovrapponibili (con le necessarie distinzioni anche in ordine alle doglianze relative all'aggravante speciale ed al trattamento sanzionatorio), deducono: 1. violazione ed erronea applicazione dell'articolo 110 c.p. in relazione alla L. n. 895 del 1967, articolo 1 e relativo vizio di motivazione. La censura attiene alla sussistenza della partecipazione concorsuale dei ricorrenti al reato contestato (si ipotizza la messa in vendita di armi), in ragione delle caratteristiche peculiari della norma incriminatrice e dell'imputazione elevata. (OMISSIS): si rappresenta che il ricorrente non ha concordato con nessuno il prezzo, modalita' e quantita' delle armi, configurandosi, tutt'al piu', un generico interesse all'acquisto di armi, non fondato su una reale ed oggettiva capacita' di portare a compimento l'intento, a causa della mancanza di ogni presupposto, essendo "improspettabile" lo svolgimento di un ruolo specifico in seno alle prodromiche fasi di approvvigionamento delle armi. Vi e' l'assoluta carenza motivazionale della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto di non operare distinzione di sorta circa la natura ed il contenuto delle intercettazioni ambientali, intercorse all'interno dell'abitazione del (OMISSIS), al fine di verificare la partecipazione del ricorrente all'acquisto delle armi stesse; invero, la Corte di merito ha ritenuto che in relazione all'ipotesi delittuosa contestata, ai fini della consumazione del delitto, fossero sufficienti delle trattative negoziali aventi ad oggetto la cessione di armi, e quindi che da una parte vi fossero potenziali acquirenti, dall'altra parte potenziali venditori, ma si evidenzia come al ricorrente venga contestato di aver visionato le armi, mentre le trattative per l'acquisto sono state condotte da altri soggetti, quali (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali si relazionavano con (OMISSIS). Gli elementi declinati dai giudici di merito (reperire i finanziamenti per l'operazione e l'essersi recato personalmente a visionare le armi) non sono dunque sufficienti alla configurazione dell'ipotesi delittuosa "porre in vendita" di cui al capo 23), per cui e' intervenuta condanna. Giorni: richiamati gli arresti di questa Corte in ordine agli specifici presupposti necessari per integrare la fattispecie criminosa contestata nella declinazione di "porre in vendita" (di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1come sostituito dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9) lamenta come il giudice di appello avesse errato nel sussumere la fattispecie concreta in quella descritta dal legislatore nella norma incriminatrice richiamata. Invero, al fine di evitare una retrocessione non consentita della soglia di punibilita', evidenzia come la stessa giurisprudenza, pur riconoscendo rilievo alla fase della trattativa, ne esige, mediante una lettura costituzionalmente orientata, la serieta', nei termini di una concreta idoneita' della stessa a determinare la conclusione dell'affare illecito. Le stesse conversazioni captate erano invece riferibili ad un possibile acquisto delle armi da parte degli imputati (contrariamente a quanto ipotizzato nell'imputazione), tant'e' che lo stesso giudice del merito era ricorso alla figura dell'intermediario. Quanto ai potenziali acquirenti delle armi nessun elemento portava ad individuarne i destinatari, con cio' venendo a mancare un elemento di fattispecie, caratterizzata dalla finalita' di trasferire armi a terzi (e non essendo sufficiente un generico interesse ad acquistarle). Peraltro, contraddittoria era la motivazione della sentenza impugnata laddove, per un verso, escludeva la rilevanza ai fini della consumazione del delitto in esame della prova della positiva conclusione della trattativa e, per altro verso, affermava come i successivi discorsi captati tra (OMISSIS) e (OMISSIS) confermassero l'avvenuto acquisto delle armi da parte di terzi alla luce della loro esistenza e della serieta' dell'offerta per come "nella prospettazione accarezzata dagli acquirenti (OMISSIS) e (OMISSIS)". 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 110, 56 e 73. Anche con riguardo a tale fattispecie (capo 26) dal contenuto della conversazione ambientale dell'11.3.2014 emergeva la mancanza di elementi per ritenere provato il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente, non ricavandosi il prezzo di vendita, la quantita' e le modalita' di pagamento, tutti indici rivelatori, necessari per poter documentare il tentato delitto in contestazione. La censura investe, pertanto, il discrimine tra tentativo punibile e la condotta penalmente rilevante, ricavata dalla Corte di merito sulla scorta di elementi privi del necessario significato dimostrativo ed avvalorata mediante il ricorso ad una motivazione di carattere illogico. Si era poi valorizzato in modo "circolare" il materiale indiziario raccolto per la violazione della legge armi a sostegno di differente fattispecie in ragione di un'asserita strumentalita' tra fattispecie di per se' inidonea ad assumere autonoma valenza dimostrativa. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p. La sentenza impugnata risulta altresi' censurabile nella parte in cui ritiene sussistente l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 (ora 416-bis.1 c.p.), sul presupposto che attraverso la propria condotta l'indagato ha arrecato vantaggio al sodalizio mafioso riconducibile al (OMISSIS), ma tale valutazione merita censura, in quanto mancava il dolo specifico, ossia la volonta' di favorire ovvero di facilitare l'attivita' del gruppo, vantaggio che non poteva trarsi in via "automatica" neanche nel caso in cui il soggetto avvantaggiato sia posto in un ruolo apicale all'interno della presunta consorteria, sussistendo quantomeno il dubbio in merito alla ricorrenza di tale aggravante, posto che il ricorrente non e' stato mai coinvolto in fatti di criminalita' organizzata ovvero in altri reati, ne' sono stati certificati rapporti di frequentazione con soggetti controindicati. Il ricorrente (OMISSIS) censura, altresi', la valenza del riferimento alla qualita' di "soggetto orbitante" per via dell'excursus giudiziario di alcuni suoi parenti, operato dalla Corte di merito ai fini dell'applicazione dell'aggravante nei confronti del ricorrente. Richiamati gli arresti di questa Corte sul tema, si lamenta come la finalita' agevolatrice sia stata esclusivamente dedotta e, dunque, non possa trovare applicazione in relazione ad entrambi i capi di imputazione contestati. 4. ( (OMISSIS)) violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione agli articoli 133 e 62-bis c.p.. Non si era apprezzato il ruolo marginale rivestito dal ricorrente nell'ambito della piu' ampia e complessa vicenda illecita oggetto di giudizio, finendo per ricorrere ad una sorta di motivazione collettiva priva della necessaria aderenza con la posizione del ricorrente, priva di un ruolo di primo piano o decisionale. (OMISSIS) (conferma, anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 7.400,00 di multa per i reati di violazione della legge armi di cui ai capi 71 (limitatamente alla detenzione) e 72 (cessione), esclusa per entrambe le fattispecie l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., ritenuta la continuazione e la contestata recidiva). Al riguardo, deduce: 1. omessa e/o illogica motivazione con riferimento alle censure contenute nell'atto di appello in ordine alla responsabilita' dell'imputato per il reato di cui al capo 71). La sentenza impugnata, pur non ritenendo provato l'elemento portante dell'intero impianto accusatorio, quale l'identificazione dell'imputato nel soggetto soprannominato "Brigante" (promissario acquirente del coimputato (OMISSIS) di una pistola calibro 38), confermava la penale responsabilita' del ricorrente mediante un richiamo "pressoche' totale" alla sentenza di primo grado ed alle "ancor valide considerazioni del G.I.P.". 2. mancanza e/o illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e, in particolare, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. I giudici di seconde cure avrebbero omesso di operare una valutazione quantitativa della pena in ordine alla posizione di ciascun imputato, ivi compreso il ricorrente, limitandosi ad enunciare i principi generali in materia di commisurazione del trattamento sanzionatorio, senza effettuarne la necessaria personalizzazione ai fini del calcolo della pena. 3 inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in particolare della L. n. 895 del 1967, articolo 7, comma 1, stante la mancata mitigazione della pena che la Corte territoriale avrebbe dovuto apportare al trattamento sanzionatorio in forza della enunciazione di detta circostanza attenuante nell'editto accusatorio recepito in sentenza. Inoltre, risultava "eccessivo" anche l'aumento applicato per la continuazione, stante la ritenuta possibilita' di ritenere assorbite le condotte di cui al capo 71) nell'ipotesi delittuosa contestata con il capo 72) dell'imputazione. (OMISSIS) (riforma, dieci anni di reclusione per i reati di cui ai capi 1) e 61) della rubrica, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale e ritenuta la continuazione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'artt 125 e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza e corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di concreta operativita' travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi di tale gruppo sotto il profilo irrinunciabile della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a detto autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non discesa dalla presunta cosca " (OMISSIS)". Ne' all'uopo poteva farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) fosse stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status individuale ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e, dunque, a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterno di detto metodo mafioso. Ne' al riguardo poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente a quel quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta' tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si erano poste a fondamento dell'aggravante condotte realizzate dal ricorrente allorche' era ancora minorenne senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con il precedente reato. (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) (riforma, dieci anni e otto mesi di reclusione per il reato di cui al capo 1 della rubrica). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 stesso codice ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., nonche' del disposto di cui all'articolo 546 c.p.p., lettera e). La censura attiene alla connotazione "mafiosa" dell'associazione contestata, con particolare riguardo alla sussistenza del metodo nell'accezione intesa dalla giurisprudenza di legittimita' al riguardo richiamata. Si lamenta, poi, l'assenza di elementi idonei ad avvalorare l'appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso, anche quale condivisione di condotte delittuose concrete, tratta da alcune vicende collaterali che, sia isolatamente che, unitariamente considerate, erano prive di valenza dimostrativa: cosi' il collaboratore di giustizia (OMISSIS), seppur riferendo di essere stato affiliato alla âEuroËœndrangheta nel lontano 1994 alla presenza del ricorrente, il quale avrebbe quantomeno rivestito la carica del Vangelo, non disponeva di un patrimonio conoscitivo valido in quanto poi allontanato dalla cosca, ne' riferiva riguardo a condotte associative che il ricorrente avrebbe posto in essere nel periodo storico oggetto di contestazione, tantomeno in ordine alla semplice condotta di messa a disposizione. Anzi lo stesso collaboratore aveva dichiarato che il ricorrente si era allontanato dall'ambiente criminale di riferimento in occasione della tragica morte del figlio, episodio che la Corte di merito aveva ritenuto in modo congetturale rafforzativo dei legami criminali con la famiglia (OMISSIS). Ne' le conversazioni telefoniche captate all'interno dell'abitazione del (OMISSIS), al di la' dei propositi da questi avanzati, erano evocative di un diretto coinvolgimento del ricorrente in attivita' associative; il riferimento che il (OMISSIS) aveva operato, nell'ambientale del 15 marzo 2014, ai figli del ricorrente (OMISSIS) e (OMISSIS) ed alla circostanza che l'imputato fosse stato "capo societa'" da una vita ovvero fosse stato sempre "il referente numero uno", era tutt'al piu' evocativo della risalenza nel tempo di condotte di cui non era stata operata una verifica in ordine alla loro effettiva attualizzazione. Cosi', quale mero riferimento di carattere familiare doveva intendersi quanto riferito al (OMISSIS) dal figlio del ricorrente (OMISSIS) ("mio padre ora me l'ha detto, fate quello che volete, fatevi una strada a me ha detto, a me lasciatemi consigli"), che la Corte di merito invece aveva ritenuto espressivo di un placet paterno ad entrare nella âEuroËœndrina distaccata del (OMISSIS). Insomma, si era tratta la prova della partecipazione da un compendio intercettivo insufficiente, i cui dialoghi avevano significato equivoco, non essendo evocativi del contesto criminale in cui i conversanti pur agiscono, in assenza di un materiale coinvolgimento nelle attivita' della cosca e di riferimenti che, anche in ragione dei termini impiegati, erano riferibili al passato. Da qui la necessita' di rinvenire elementi di riscontro, non presenti agli atti di causa. In sostanza, dalle intercettazioni non poteva ricavarsi la prova di alcuna contiguita' di carattere delittuoso che si fosse tradotta in un contributo di carattere stabile, avente effettiva rilevanza causale, ma semmai emergeva una normalissima relazione conoscitiva che non avrebbe mai potuto sottintendere la sussistenza di alcun interesse di carattere illecito. Difettavano nel compendio probatorio evidenziato dai giudici di merito gli elementi dimostrativi di una condotta dinamica e funzionalmente connessa al perseguimento del programma criminale del sodalizio, anche nella veste di "consigliori" che la sentenza impugnata aveva apoditticamente ascritto al ricorrente. Peraltro, le stesse conversazioni additate al ricorrente (quelle del 15 e 18 marzo 2014) erano equivoche financo in ordine alla sua certa identificazione (indicato come "(OMISSIS)", da ricondursi invece al nipote della persona da affiliare, mentre il ricorrente ne era lo zio) quale soggetto che avrebbe dovuto essere consultato da (OMISSIS) e (OMISSIS) per inserire tra i sodali il figlio di (OMISSIS) (ossia (OMISSIS) cl. (OMISSIS)), pure nipote dello (OMISSIS), senza la cui approvazione il (OMISSIS) non si sarebbe sentito sicuro; al piu' si trattava di comunicazioni giustificate dal legame di parentela e comunque non vi era prova che tale intendimento avesse avuto seguito. Ne' indici dimostrativi di intraneita', per come asseverato dalla Corte di legittimita', potevano ricavarsi da alcune sporadiche frequentazioni che la sentenza impugnata aveva citato ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)). Le conversazioni poi non vedevano protagonista il ricorrente, bensi' terze persone, ne' potevano assurgere a riscontro delle accuse mosse dal collaboratore di giustizia (OMISSIS). Nessun concreto elemento era stato valorizzato a disvelare la perpetrazione di delitti fine (neppure contestati al ricorrente), ovvero il rafforzamento del proposito criminale dei propri stretti congiunti. In conclusione, mancava l'individuazione di elementi idonei ad asseverare la condotta di partecipazione, occorrendo un contributo idoneo a fornire efficacia al mantenimento in vita e al perseguimento degli scopi del sodalizio, non essendo all'uopo sufficiente la mera vicinanza o disponibilita' episodica ad aiutare un esponente di vertice, necessitando per assurgere nell'area del penalmente rilevante di un carattere continuativo e fiduciario. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, la censura attiene all'assenza di prova che il ricorrente avesse una qualche disponibilita' di armi. Congetturale era l'aver ricondotto la disponibilita' di armi al sodalizio facendo ricorso al notorio, traducendosi, in difetto dei necessari elementi fattuali di sostegno, in una petizione di principio. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. Non si era doverosamente apprezzata la condotta processuale del reo improntata alla celere definizione del processo e priva di atteggiamenti di carattere dilatorio. (OMISSIS) (in riforma, rideterminata la pena, previa esclusione della contestata recidiva, in anni otto di reclusione per il delitto di cui al capo 1), in qualita' di componente in possesso del "Vangelo"). 1. Con un unico motivo di ricorso, deduce la "violazione dell'articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) con conseguente motivazione illogica". Si lamenta che la sentenza impugnata ha confermato la responsabilita' penale del ricorrente affermata dal primo giudice unicamente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), omettendo di indicare le condotte materiali attraverso le quali si sarebbe concretizzato il contributo prestato all'associazione di stampo mafioso. Inoltre, si deduce come il propalato del collaboratore di giustizia sia privo dei necessari risconti esterni individualizzanti, idonei a dimostrare la effettiva partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale. Cio' posto, si deduce, altresi', l'insufficienza della detenzione della dote del "Vangelo" ad integrare l'elemento materiale del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., in quando non espressivo della necessaria "messa a disposizione" del ricorrente a favore del gruppo criminale (all'uopo si richiamano anche i principi espressi nella recente sentenza delle S.U. del 27/5/2021). (OMISSIS) (riforma, dieci anni di reclusione per i reati di cui ai capi 1) e 61) della rubrica, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale e la continuazione). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., nonche' del disposto di cui all'articolo 546 c.p.p., lettera e). La censura attiene alla connotazione "mafiosa" dell'associazione contestata, con particolare riguardo alla sussistenza del metodo nell'accezione intesa dalla giurisprudenza di legittimita' al riguardo richiamata. Si lamenta, poi, l'assenza di elementi idonei ad avvalorare l'appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso, anche quale condivisione di condotte delittuose concrete, che era stata tratta da alcune vicende collaterali che, sia isolatamente che unitariamente considerate, erano prive di valenza dimostrativa: cosi' il collaboratore di giustizia (OMISSIS) non menzionava il ricorrente tra gli adepti, ne' disponeva di un patrimonio conoscitivo valido in quanto poi allontanato dalla cosca; le due conversazioni telefoniche captate all'interno dell'abitazione del (OMISSIS) del 13 e 15 marzo 2014 non erano evocative di un diretto coinvolgimento in attivita' associative; non vi era prova certa della partecipazione del ricorrente, unitamente al germano (OMISSIS), ad un incendio subito da (OMISSIS) che i due avrebbero commesso in concorso con il (OMISSIS), fatto tuttavia privo di rilievo associativo; mero dato di carattere familiare doveva riconoscersi al riferimento fatto da (OMISSIS) al padre (OMISSIS) nel corso della conversazione del 15 marzo 2014 (che la Corte invece aveva ritenuto espressivo di un placet paterno rivolto ai figli ad entrare nella âEuroËœndrina distaccata di (OMISSIS)). Insomma, si era tratta la prova della partecipazione da un compendio intercettivo insufficiente, i cui dialoghi avevano significato equivoco, non essendo evocativi del contesto criminale in cui i conversanti pur agiscono, in assenza di un materiale coinvolgimento nelle attivita' della cosca. Da qui la necessita' di rinvenire elementi di riscontro, non presenti agli atti di causa. In sostanza, dalle intercettazioni non poteva ricavarsi la prova di alcuna contiguita' di carattere delittuoso che si fosse tradotta in atto attraverso un contributo di carattere stabile, avente effettiva rilevanza causale; semmai emergeva una normalissima relazione conoscitiva che non avrebbe mai potuto sottintendere la sussistenza di alcun interesse di carattere illecito. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 ed in ordine all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, la censura attiene all'assenza di prova che il ricorrente avesse una qualche disponibilita' di armi. Congetturale era l'aver ricondotto la disponibilita' di armi al sodalizio facendo ricorso al notorio, traducendosi, in difetto dei necessari elementi fattuali di sostegno, in una petizione di principio. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Si lamenta l'assenza di finalizzazione, in relazione alle contestazioni mosse al ricorrente, delle utilita' che sarebbero derivate dalla ritenuta attivita' illecita posta in essere rispetto alle finalita' del sodalizio, tantomeno l'utilizzo del metodo mafioso. Ne' a tale fine era dimostrativo il ritenuto concorso dei ricorrenti con il (OMISSIS) nell'episodio del danneggiamento ai danni del (OMISSIS), in quanto riferibile unicamente ai rapporti intercorrenti tra quest'ultimi due. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione agli articoli 62-bis e 133 c.p.. Non si era doverosamente apprezzata la condotta processuale del reo improntata alla celere definizione del processo. (OMISSIS) (primo grado: responsabile dei reati di cui ai capi 1, 14 (esclusa l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7), 20, 21, 22, 23, 26, 28, 34, 36, 37, 42, 49, 50, 51, 53, 54, 55, 56, 57, 58 (previa riqualificazione nella fattispecie di cui agli articolo 455 c.p. e L. n. 203 del 1991, articolo 7), 59, 60, 63, 75, 77, 78, 79 e, per l'effetto, ritenuta la contestata recidiva, e previo riconoscimento della continuazione, lo condanna alla pena finale di anni 20 di reclusione ed Euro 74.000 di multa. Appello: rigetto appello del P.M.; riforma: per effetto della continuazione dei reati qui giudicati con quelli di cui alla sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 21.3.2018 esecutiva il 4.9.2018 ridetermina la pena in complessivi anni 29 di reclusione ed Euro 90.000,00 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. La censura attiene alla sussistenza e corretta individuazione degli elementi costitutivi della âEuroËœndrangheta " (OMISSIS)", atteso che l'assenza di tale concreta operativita' travolgeva la possibilita' di cogliere i tratti mafiosi di tale gruppo sotto il profilo irrinunciabile della ricorrenza della forza di intimidazione imposta dal precetto penale. Ne' a tale fine era sufficiente il mero richiamo ad una sorta di contiguita' con la locale di (OMISSIS), come se cio' bastasse a conferire a detto autonomo gruppo un gia' avvenuto, precedente ed effettivo assoggettamento omertoso della popolazione, soprattutto non potendosi strumentalizzare una condizione di assoggettamento e di omerta' nel relativo ambiente territoriale non discesa dalla presunta cosca (OMISSIS). Ne' all'uopo poteva -farsi riferimento al fatto che il (OMISSIS) sia stato gia' coinvolto in processi di mafia, non essendo sufficiente tale status individuale ad attribuire caratura mafiosa al gruppo criminale e, dunque, a soddisfare l'elemento caratteristico dell'intimidazione esterna, cioe' la proiezione e il radicamento esterni di detto metodo mafioso. Ne', al proposito, poteva richiamarsi la c.d. intimidazione interna, ossia la messa a disposizione dei presunti correi rispetto ai presunti capi, difettando di quella necessaria proiezione esterna di cui si e' detto. In conclusione, i giudici di merito avevano finito per attribuire illogicamente al quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice i contorni di una circostanza di carattere "soggettivo" e di "derivazione locale", di guisa che qualunque entita' criminosa creata da soggetti provenienti da realta' territoriali ad elevata infiltrazione mafiosa finirebbe per colorarsi putativamente dell'attributo della mafiosita'. In realta' tenuto anche conto dell'esiguo numero dei componenti, dell'assenza di reali mezzi materiali per ottenere ed estrinsecare il metodo mafioso, si trattava al piu' di un sodalizio semplice. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p., articoli 81, 133 e 78 c.p.. 2.1. La censura attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti operati a titolo di continuazione. 2.2. Si lamenta, poi, la violazione ad opera del giudice del merito del criterio moderatore di cui all'articolo 78 c.p., posto che lo stesso in sede di cognizione si applica dopo la determinazione della pena finale complessiva oltre che degli aumenti interni anche di quelli relativi al riconoscimento del vincolo della continuazione con fatti reato di altro procedimento, in ossequio al principio di unicita' della pena stabilito dall'articolo 80 c.p.. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si lamenta che a base dell'applicazione della recidiva la Corte di merito abbia fatto ricorso a mere formule di stile, registrandosi, pertanto, una motivazione meramente apparente. (OMISSIS) (riforma, anni nove, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed Euro 24.800 di multa per i reati di cui al capo 23), 25) escluso la L. n. 203 del 1991, articolo 7 e 26), ritenuta la contestata recidiva reiterata e specifica, nonche' la continuazione) 1. violazione di legge, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con riguardo al riconoscimento della fattispecie consumata per i reati di cui al capo 23) - articoli 99 e 110 c.p., L. n. 895 del 1967, articolo 1, articolo 416-bis.1 c.p. -, nonostante l'esito inconcludente delle trattative per la compravendita delle armi. Tale qualificazione giuridica risultava irragionevolmente divergente rispetto a quella conferita alla omologa condotta, contestata al ricorrente al capo 26), consistente nella partecipazione ad un'attivita' prenegoziale, finalizzata alla compravendita di stupefacenti, e qualificata in termini di reato tentato. Tale differente valutazione giuridica delle due condotte, la cui omogeneita' risultava rilevabile tanto con riguardo al disvalore sociale da queste espresso quanto con riferimento alla formulazione sintattica e terminologica delle norme incriminatrici che le prevedono, aveva condotto anche ad una irragionevole disparita' del trattamento sanzionatorio, per effetto dell'applicazione della diminuente di cui all'articolo 56 c.p. alla sola condotta avente ad oggetto le sostanze stupefacenti. Dunque, a fronte delle due condotte omologhe di cui ai capi 23) e 26), consistenti nella partecipazione alle trattative per la compravendita di armi e di sostanze stupefacenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere il medesimo trattamento, sia in punto di qualificazione giuridica a titolo di tentativo, sia in punto di trattamento sanzionatorio. 2. violazione di legge, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione "in relazione all'imputazione oggettiva e soggettiva dell'aggravante delle c.d. armi da guerra rispetto ai reati di cui al capo 23)", in quanto difettavano elementi probatori idonei a dimostrare l'inclusione di dette armi nell'oggetto della trattativa. Anzi, il propalato del collaboratore (OMISSIS) non colmava tale vuoto probatorio e le risultanze captative escludevano qualsivoglia consapevolezza del ricorrente circa la serieta' delle trattative aventi ad oggetto la compravendita di armi da guerra. 3. illogicita' e contraddittorieta' della motivazione con riguardo al reato di cui al capo 25) - articolo 99 c.p. e L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, articolo 416-bis.1 c.p. -, in quanto le risultanze probatorie non consentivano di identificare il ricorrente nel soggetto per cui conto ed a cui favore (OMISSIS) avrebbe custodito le armi, in considerazione della equivocita' del contesto captativo e della insussistenza di immagini fotografiche attestanti la traditio delle armi. 4. illogicita' della motivazione e travisamento della prova in relazione al riconoscimento della responsabilita' penale del ricorrente a titolo di concorso personale nel il reato di cui al capo 26) - articoli 99, 56, 81 e 110 c.p. Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e articolo 73 -, in particolare nella compravendita di cocaina, in quanto dalle risultanze probatorie e dall'ordinanza cautelare emessa nei confronti dell'imputato e richiamata in sentenza emergerebbe che la condotta di compravendita di stupefacente aveva ad oggetto esclusivamente droghe leggere, non anche droghe pesanti. 5. illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla imputazione soggettiva dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p. per i reati di cui ai capi 23) e 26), in quanto difettava in capo al ricorrente sia la proiezione teleologica personale sia la consapevolezza circa la finalizzazione della condotta dei concorrenti, volta alla agevolazione del sodalizio di stampo mafioso. Inoltre, il riferimento ad una "comune fratellanza" dei correi, attestato dalle intercettazioni telefoniche, era stato erroneamente inquadrato dai giudici di merito come certificazione della destinazione sodale degli eventuali proventi delle attivita' illecite, dovendo invece intendersi come un mero richiamo alla reciproca affidabilita' dei soggetti agenti, nell'ambito di una concorsualita' limitata al singolo affare. 6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto i giudici di merito avevano arbitrariamente confinato nel limite minimo la diminuente ex articolo 56 c.p., ed irragionevolmente riservato al ricorrente un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto al concorrente (OMISSIS), pur nella piena sovrapponibilita' della condotta concorsuale e del ruolo rivestito nella medesima fattispecie delittuosa, ed a fronte della condotta collaborativa del ricorrente. 7. Con memoria depositata in data 17/12/2021, la difesa del ricorrente ha depositato motivi aggiunti, con cui si insiste nell'accoglimento dei motivi proposti con il ricorso principale. (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (conferma della sentenza impugnata, capi 68), ritenuta la condotta di detenzione di armi comuni da sparo, 69) e 70), con esclusione per tutti i reati l'aggravante ex articolo 416-bis.1 c.p., con la continuazione e la recidiva, anni cinque mesi otto di reclusione ed Euro 3.000.00 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento ai capi 68) e 70); in subordine riqualificazione dei fatti contestati nella forma tentata con conseguente rideterminazione della pena. 1.1. Il primo rilievo attiene all'assenza di valenza dimostrativa della prova d'accusa, fondandosi questa esclusivamente sul contenuto di una captazione ambientale (in data 21.3.2014 all'interno dell'abitazione del (OMISSIS)), priva di riscontro avendo avuto esito negativo la perquisizione volta a rinvenire le armi. Si trattava, dunque, di ipotesi di "armi parlate". 1.2. Il secondo rilievo investe la corretta qualificazione giuridica del fatto alla luce del significato ricavabile dalle intercettazioni, in quanto, pur avendo il ricorrente manifestato al (OMISSIS) il suo interesse per l'acquisto delle armi, le stesse non gli erano state consegnate per l'ora tarda e le difficolta' a recuperare il materiale balistico dal luogo in cui era custodito. La responsabilita' dell'imputato era stata dunque tratta esclusivamente dall'acquisita consapevolezza che il (OMISSIS) aveva delle pistole occultate che avrebbe dovuto consegnargli (evidentemente sconoscendo il ricorrente persino il luogo in cui erano state nascoste). Per potersi configurare il concorso nei reati di detenzione illegale di armi, rileva il ricorrente, e' necessario avere la disponibilita' dell'arma, ossia che il soggetto versi in una situazione di fatto tale per cui possa in qualsiasi momento utilizzarla. La semplice consapevolezza che altri ne abbiano il possesso non e' sufficiente ad integrare la fattispecie di detenzione illegale. L'assoluzione dal reato di porto di cui al capo 68), in ragione dell'assenza di prova della consegna dell'arma da (OMISSIS) all'imputato, avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti anche sulla ritenuta detenzione. Parimenti doveva escludersi che il ricorrente avesse messo in vendita delle armi, per come contestatogli al capo 70), in difetto di un concreto acquirente che avesse manifestato interesse all'acquisto ovvero che fosse stato dal ricorrente contattato per la vendita. Ne' a conferma dell'esistenza di un pregresso accordo che il ricorrente avrebbe concluso per vendere una delle armi "prelevate" dal (OMISSIS) poteva assumere valenza di prova il contenuto della conversazione citata sul punto dalla sentenza impugnata: la sollecitazione che il ricorrente avrebbe rivolto al (OMISSIS) di avere l'arma era una mera giustificazione per ottenere la celere consegna dell'arma. 2. violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al delitto di cui al capo 70) della rubrica. L'assenza di prova che il ricorrente avesse effettivamente prelevato le armi a casa del suocero (OMISSIS) precludeva che potesse contestarsi a suo carico la ricettazione. Peraltro dall'intercettazione posta a fondamento dell'affermazione di responsabilita' non emergeva con certezza il tipo di munizionamento dell'arma oggetto della ricezione (se cal. 9x21 normale o Luger), ne' la consapevolezza in capo al ricorrente del tipo di calibro, aspetti di rilievo non ricavabili da un contenuto intercettivo che risultava invece poco intellegibile, con la conseguenza che non si poteva ritenere esistente il delitto presupposto di cui al Decreto Legislativo n. 204 del 2010, articolo 5 che vieta la vendita di armi corte semiautomatiche che sono camerate per il munizionamento nel calibro 9x19 parabellum. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'eccessivita' della pena inflitta - dosimetria della pena. Mancava un'adeguata motivazione sulle ragioni che avevano indotto il giudice del merito a discostarsi dal minimo (stabilito sul reato di cui al capo 69 nella misura di quattro anni ed Euro 1.500 di multa), tenuto conto che era stato anche asseverato il ruolo marginale dell'imputato nella vicenda. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'aumento operato per la recidiva. A parte il rilievo sulla mancanza di una specifica contestazione in ordine al tipo di recidiva, difettava un'attenta valutazione della gravita' dell'illecito commesso in relazione alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal reo, nonche' la valutazione di continuita' con le precedenti condanne. 5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e conseguente giudizio di bilanciamento con la recidiva, a fronte della correttezza del comportamento processuale tenuto dall'imputato e della positiva personalita' del ricorrente (precedenti datati, condotta priva di indole proclive all'azione criminosa, assenza di sintomi di pericolosita'). 6. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'aumento di pena ex articolo 81 cpv. c.p.. Mancava una dettagliata motivazione sulla misura degli aumenti, tanto piu' necessaria stante lo scostamento della pena base dal minimo edittale. (OMISSIS), cl. (OMISSIS) (riforma, anni otto e mesi otto di reclusione per il reato di cui al capo 1), con posizione qualificata, con la recidiva reiterata ed infraquinquennale). Al riguardo, con due distinti ricorsi, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla prova dell'appartenenza del ricorrente all'interno della consorteria mafiosa di (OMISSIS) con la dote del vangelo. Premessa la distinzione della valutazione in tema cautelare rispetto a quella di cognizione, tenuto conto che la sentenza impugnata aveva richiamato a sostegno dell'affermazione di responsabilita' le motivazioni della sentenza della S.C. resa nell'ambito del giudizio di cautela, e richiamata la giurisprudenza anche recente a S.U. di questa Corte sul tema della partecipazione, evidenzia come, al di la' di mere propalazioni (il riferimento e' all'interrogatorio di (OMISSIS) e ad una conversazione intercettata di (OMISSIS)), non vi siano elementi atti a far ritenere concretamente uno stabile inserimento del ricorrente nella struttura organizzativa dell'associazione di stampo âEuroËœndranghetista. Peraltro, con riguardo al contenuto dell'intercettazione ambientale del (OMISSIS), il riferimento al ricorrente era solo nominativo e quello all'autovettura in suo possesso - peraltro una delle piu' comuni - veniva fatto da altro conversante, il (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla locale di (OMISSIS), all'esistenza dei reati fine e all'apporto contributivo del ricorrente. Travisamento delle emergenze processuali. La Corte di appello aveva omesso di apprezzare che nessun coinvolgimento del ricorrente nei molteplici delitti fine attribuiti alla cosca era stato asseverato; nessun avvistamento nei luoghi deputati agli incontri, nessun rapporto con i soggetti coinvolti, nessuna partecipazione a riunione di âEuroËœndrangheta. Tale assenza di contributi strideva con una ricostruzione che attribuiva al ricorrente un ruolo significativo all'interno della cosca. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'assenza di riscontri circa la partecipazione ai reati fine e all'intraneita' del ricorrente nella locale di (OMISSIS). Si lamenta che il giudizio di responsabilita' si fondi esclusivamente sul conferimento di una dote, in assenza di ogni ulteriore e valido riferimento ad un ambito partecipativo concreto e dinamico rispetto al gruppo di riferimento, non avendo mai posto in essere l'imputato specifiche attivita' o preso parte a riunioni di settore. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla contestazione di far parte di un'associazione armata. La censura attiene all'assenza di elementi dimostrativi della conoscenza da parte del ricorrente della disponibilita' in capo ai sodali coimputati di armi. Il ricorrente, peraltro, mai era stato visto presso il locale ove sarebbero avvenuti gli spostamenti delle armi. 5. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena. Si censura l'omissione da parte dei giudici di merito degli indici positivi che avrebbero consentito la concessione delle attenuanti generiche; i precedenti erano datati nel tempo; travisati quelli di polizia; successivamente la condotta era stata improntata a rettitudine. 6. "sulla recidiva" (reiterata ed infraquinquennale). Si lamenta l'assenza di idonea motivazione in ragione del fatto che il precedente annoverato risale all'anno 2000 e si tratterebbe di un reato diverso da quello in contestazione. Peraltro, si faceva riferimento ad un passaggio tra societa' minore e societa' maggiore che non risulta avere alcun nesso con le contestazioni subite nei due procedimenti penali. 7. violazione di legge per mancato rispetto del principio della successione di leggi penali. La condotta associativa del ricorrente resterebbe confinata agli anni precedenti al 2010, ancorata ai precedenti penali che risalgono ai primi anni 2000 e, dunque, occorreva applicare il piu' favorevole trattamento sanzionatorio precedente alla modifica del 2008, piu' favorevole al ricorrente. (OMISSIS) (parziale accoglimento appello del PM, condanna per il reato di cui al capo 10) limitatamente alla prima condotta in relazione alla rivelazione del nominativo del possibile autore dell'omicidio di (OMISSIS) e, esclusa l'aggravante di cui alla Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, mesi 6 di reclusione, con sospensione condizionale della pena e non menzione; conferma dell'assoluzione del ricorrente per i reati di cui ai capi 11) e 12) per non aver commesso il fatto con rigetto sul punto dell'appello del PM). Al riguardo, deduce: 1. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione all'erronea applicazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis" in quanto la Corte territoriale avrebbe dapprima disposto la riassunzione della testimonianza del collaboratore (OMISSIS), sulla scorta della ritenuta decisivita' delle sue dichiarazioni ai fini del ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, e successivamente avrebbe escluso detta prova dal novero degli elementi fondativi della condanna del ricorrente. Inoltre, stante la riapertura istruttoria, la Corte territoriale avrebbe dovuto adottare una decisione "piu' prudente", ponendo alla base della sentenza di condanna elementi probatori nuovi, e non la propria alternativa interpretazione del compendio intercettivo. 2. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione dell'articolo 326 c.p.". Posto che il delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio non risulta configurato quando la notizia divulgata sia divenuta di dominio pubblico, ne' quando essa sia rivelata a persone che ne siano gia' venute a conoscenza, nel caso di specie nessuna rivelazione di notizie coperte dal segreto di ufficio vi era stata da parte del ricorrente, essendosi al piu' limitato a comunicare al correo una notizia "gia' nota in paese", e comunque al solo fine di agevolare l'utile prosecuzione delle indagini. Inoltre, in considerazione dei connotati ontologici della condotta del ricorrente, si censura l'erronea sussunzione del fatto sotto l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo 326 c.p., comma 1 punita a titolo di dolo, in luogo della fattispecie di cui al comma 2 della medesima norma, punita a titolo di colpa. 3. "violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e) per illogicita' e per difetto di motivazione" nella parte concernente la ritenuta integrazione dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'articolo 326 c.p., anche alla luce dell'obbligo di motivazione rafforzata gravante sul giudice d'appello in caso di ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado. In particolare, il vizio di logicita' dell'impianto motivazionale in ordine alla ritenuta rilevanza penale della condotta del ricorrente deriverebbe dalla rivelazione del nome del possibile autore dell'omicidio di (OMISSIS), sulla base dalla irragionevole premessa secondo cui all'ottenimento di informazioni utili all'attivita' investigativa deve pervenirsi mediante richieste vaghe e generiche. Inoltre, si censura la assoluta mancanza di motivazione con riguardo all'elemento psicologico del reato ex articolo 326 c.p., comma 1, per il quale e' intervenuta la condanna in appello del ricorrente, non sorretta da alcuna valutazione idonea a giustificare l'inquadramento dell'elemento soggettivo nel dolo piuttosto che nella colpa. 4. "violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla quantificazione della pena". La censura e' invero strettamente connessa all'erronea qualificazione della condotta del ricorrente come integrativa della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., comma 1, con conseguente applicazione della sanzione penale prevista per l'ipotesi dolosa, in luogo di quella stabilita dal comma 2 della norma in esame, che punisce il fatto commesso a titolo di colpa. (OMISSIS) (in accoglimento dell'appello del P.M. dichiarato colpevole del reato di cui al capo 1) e condannato alla pena di anni 8 di reclusione). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge sotto il profilo dei presupposti del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p.. Si richiama sul tema la recente sentenza delle S.U. di questa Corte secondo cui - con un chiaro sbilanciamento verso il modello causale - per integrare la condotta non e' sufficiente la mera affiliazione formale, ma occorre un apporto causale che si concreti nella realizzazione di un qualsiasi apporto alla vita e all'esistenza dell'associazione. Alla messa a disposizione deve dunque accompagnarsi un quid pluris dimostrativo di una maggiore pregnanza dell'azione delittuosa. La sentenza impugnata, invece, aveva fondato la condotta di partecipazione facendo esclusivo richiamo al modello organizzatorio. Il ruolo "attivo" del ricorrente non poteva ricavarsi dalla vicinanza allo (OMISSIS) al momento dell'agguato ai danni di questi o dalla condanna nel procedimento (OMISSIS), in quanto il tentato omicidio dello (OMISSIS) era diretta conseguenza dell'omicidio (OMISSIS) e non era legato alle dinamiche associative relative alla locale di (OMISSIS); la condanna subita dal ricorrente nel procedimento (OMISSIS) non atteneva alla contestazione associativa mafiosa. In conclusione, si lamenta l'assenza di contributi rilevanti ai fini della partecipazione, in relazione ad una cosca i cui riferimenti spaziali, locali e temporali restavano indefiniti. 2. vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del sodalizio mafioso. Nei fatti mancavano gli elementi tipizzanti di una cosca di âEuroËœndrangheta: assoggettamento ed omerta', programmazione di delitti (non contestati al ricorrente); gestione invasiva delle attivita' commerciali, ottenimento di profitti o vantaggi ingiusti, indici di partecipazione. Cosi' dal compendio intercettivo del (OMISSIS) emergeva la narrazione di fatti vecchissimi non scansionati nel tempo. Quanto al ricorrente, vi era stato un ribaltamento della decisione assolutoria del primo giudice, nonostante le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) - ritenute idonee a delineare il profilo associativo del ricorrente quale referente della locale di (OMISSIS) in grado di negoziare alleanze in vista di scontri con le altre cosche - che non rinvenivano nel narrato dello (OMISSIS), di carattere incerto ed oscillante, valido riscontro ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3. La Corte d'appello, nel ribaltare la sentenza di primo grado, si era limitata a sostituire la propria differente valutazione a quella svolta dal primo giudice, senza giustificare adeguatamente la chiave interpretativa accusatoria privilegiata e senza confutare puntualmente le argomentazioni su cui si fondava l'esito favorevole del giudizio di primo grado, dimostrandone la fallacia. Peraltro non si era tenuto nel debito conto che, nella ricognizione operata dal (OMISSIS) dei soggetti affiliati alla locale, il ricorrente non era stato menzionato, sebbene lo (OMISSIS) lo indicasse dal 2001 quale partecipe del suo gruppo. Del resto, lo stesso collaboratore, risentito al dibattimento, aveva ammesso di avere inizialmente mentito al P.M. nell'escludere il ruolo certo di associato del ricorrente, per poi, invece, accusarlo quando il procedimento era stato incardinato dinanzi al GUP distrettuale. Tale discrasia, originata da una dichiarata falsita', doveva condurre il giudice ad escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del propalante. 3. vizio di motivazione in ordine all'aggravante di essere l'associazione armata. Nessuna motivazione vi era sul perche' le armi del (OMISSIS) fossero dell'associazione. Peraltro, la mancata riconducibilita' di (OMISSIS) ad una precisa âEuroËœndrina, l'assenza di reati fine al medesimo contestati, avrebbe richiesto uno sforzo motivazionale maggiore in ordine alla sua consapevolezza. 4. violazione di legge con riguardo alla successione di leggi penali nel tempo. La censura attiene alla corretta individuazione dei connotati spazio-temporali della condotta di partecipazione, comunque realizzatasi in epoca antecedente all'anno 2010, di talche' la disciplina applicabile andrebbe rinvenuta nel trattamento sanzionatorio piu' favorevole al ricorrente precedente alla modifica del 2008. 5. Con motivi aggiunti in data 24/12/2021, la difesa del ricorrente ha ulteriormente argomentato in ordine alla mancanza della credibilita' soggettiva del (OMISSIS), dell'attendibilita' intrinseca dello (OMISSIS), richiamandosi al riguardo anche l'esito favorevole al ricorrente del compendio intercettivo. (OMISSIS) e (OMISSIS) (riforma: capo 38) estorsione aggravata dalle persone riunite in concorso, nonche' dall'articolo 416-bis.1 c.p., esclusa l'aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, in continuazione con il delitto di furto aggravato ex articolo 625 c.p., n. 7 di cui al capo 40) per (OMISSIS), esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.) ed assoluzione dal delitto associativo per entrambi per non aver commesso il fatto; anni 6 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa per (OMISSIS); anni 6 mesi 4 di reclusione ed Euro 5.200,00 di multa per (OMISSIS)). Al riguardo, con distinti ricorsi - che possono trattarsi unitariamente stante la natura comune e sovrapponibile delle censure, ad eccezione del motivo n. 6 dedotto da (OMISSIS) in ordine al reato di furto al medesimo contestato al capo 40) - deducono: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 110 c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 con riferimento all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), articolo 416-bis.1 c.p., articoli 192 e 530 c.p.p.. La censura attiene alla sussistenza di un compendio probatorio idoneo ad asseverare la sussistenza del delitto estorsivo di cui al capo 38) di cui (OMISSIS) e' stato ritenuto autore in concorso con (OMISSIS). Premessa l'assoluzione dei ricorrenti dalla contestazione associativa che li vedeva deputati a commettere estorsioni per conto della locale cosca di âEuroËœndrangheta, si sostiene che la vicenda vada ricondotta ad una lite sulla titolarita' ad impossessarsi di un albero di faggio caduto a causa delle intemperie, frutto di incomprensioni in ordine alla prassi esistente in quel di (OMISSIS) - successivamente persino regolamentata con Delib. del consiglio comunale - per la raccolta di legna da alberi caduti, i cui rami sarebbero serviti al padre di (OMISSIS) per alimentare il forno della sua attivita' commerciale. In sostanza, i ricorrenti avrebbero contestato allo (OMISSIS) (la persona aggredita nel corso della lite) di avere raccolto alcuni rami di faggio ai quali erano interessati; lo (OMISSIS), invece, rivendicava la legittimita' del suo operato, sostenendo che la ditta Cartolano per cui lavorava (egli era il genero del titolare) si era regolarmente aggiudicata la relativa gara di appalto per il taglio degli alberi in questione, precisando, altresi', di avere ottenuto il benestare della locale cosca di âEuroËœndrangheta a cui aveva versato la tangente. A sostegno della prova di colpevolezza, la Corte di merito aveva richiamato un compendio intercettivo caratterizzato dall'assenza ai dialoghi captati dei ricorrenti e, dunque, in ipotesi, dotato di valenza meramente indiziante, nel caso in esame privo dei necessari connotati di gravita', precisione e concordanza; si era poi valorizzata un'intercettazione di cui la Corte di merito aveva travisato il contenuto (ritenendo la pretesa avanzata riferita a piu' alberi anziche' ad un solo, reale oggetto del contendere), traendone l'errata conclusione che i ricorrenti fossero interessati ad un egemone abusivo accaparramento di legna nei boschi (tutti i faggi caduti dalle intemperie), cosi' riconducendo la vicenda ad un'estorsione consumata. Inoltre, si era omesso di considerare, ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, che la ditta per cui lavorava la persona aggredita non disponeva di un'autorizzazione alla raccolta dei faggi abbattuti dalle intemperie; inoltre, l'esito delle indagini svolte e le dichiarazioni rese dai testi sentiti dalla difesa ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) consentivano di ricondurre la causale della lite al mancato rispetto di usi civici comunali (nel senso che in caso di caduta di alberi, il primo che se ne avvedeva poteva segnarli acquisendo cosi' il diritto di poter presentare al comune la domanda e poterlo prelevare). 2. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento del tentativo ex articolo 56 c.p. in relazione all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3. La doglianza riguarda la mancava di prova dell'avvenuta consumazione del reato, cio' non potendosi ricavare dall'intercettazione ambientale del 13/3/2014, citata in sentenza, che non dava conto di come la questione fosse stata poi "sistemata", ossia se il faggio conteso fosse stato consegnato al ricorrente. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'articolo 393 c.p., rientrando la condotta contestata al ricorrente nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, stante l'esistenza di una controversia tra le parti ed avendo agito a tutela delle ragioni di un terzo (il padre (OMISSIS)) e in assenza di un profitto altrui. 4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di estorsione aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p.. Difettava il presupposto su cui era stata costruita l'aggravante: non si trattava piu' di un'estorsione di cosca, essendo entrambi i ricorrenti stati assolti dall'appartenenza all'associazione di stampo âEuroËœndranghetista; inoltre era stato anche escluso che dell'estorsione ne fossero a conoscenza i cd. maggiorenti (nella specie (OMISSIS) il (OMISSIS) e (OMISSIS)) e che fosse stata commesso con il loro benestare; la condotta criminosa era stata ricondotta ad un'iniziativa autonoma dei due cugini (OMISSIS) che si contrapponeva al benestare che lo stesso (OMISSIS) aveva rilasciato alla ditta del (OMISSIS) per la raccolta del legname, per come si ricavava dalle conversazioni immediatamente successive all'aggressione perpetrata dai ricorrenti: (OMISSIS) evidenziava che la condotta da costoro tenuta costituiva un disonore per tutta la famiglia considerato che con i loro comportamenti erano venuti meno gli accordi inizialmente assunti con l'imprenditore (OMISSIS), tanto che se lo avesse saputo (OMISSIS) Lino (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), l'unico a salire sulla cabina del trattore condotto dallo (OMISSIS) ed aggredirlo fisicamente, azione non supportata dal cugino (OMISSIS), il quale era intento a trattenere il cugino ostacolando l'aggressione. 6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di furto contestato al capo 40). Si era ricavata la responsabilita' dal contenuto etero-accusatorio di intercettazioni, erroneamente ritenute non soggette ai canoni di cui all'articolo 192 c.p.p., comma 3. Si trattava, invece, di conversazioni alle quali non aveva partecipato l'inputato (per la precisione di un de relato di un de relato in quanto (OMISSIS) racconta ai suoi interlocutori cio' che avrebbe appreso da (OMISSIS), il quale a sua volta lo avrebbe appreso da (OMISSIS)) e, dunque, necessitanti di elementi di riscontro. Ne' elementi di conferma del coinvolgimento del (OMISSIS) potevano trarsi dal contenuto incerto di un'annotazione di PG richiamata da cui emergeva soltanto il sospetto del coinvolgimento del ricorrente, unitamente ad altri, per essere stato sorpreso a tagliare alberi nell'ambito pero' di un'attivita' lavorativa autorizzata dal committente. 7. violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della dosimetria della pena. L'esclusione di una pena stimata sui minimi edittali era supportata dal richiamo di indici di gravita' del reato riferiti a contesti mafiosi ovvero a riferimenti a condotte vessatorie di tipo estorsivo gia' inflitte alla vittima da cui i ricorrenti erano stati ritenuti estranei (gli imputati erano stati assolti dal delitto associativo e non figuravano come concorrenti nell'estorsione mafiosa ai danni del (OMISSIS) contestata al capo 39, attribuita invece ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS)). Peraltro, si era indicata a cagione della gravita' del fatto anche la circostanza che la vittima avesse addirittura ricevuto la solidarieta' di altro âEuroËœndranghetista (il (OMISSIS) ed i suoi prossimi congiunti), quando, invece, dal capo di imputazione si ricavava che il (OMISSIS) avrebbe interrotto l'aggressione e sarebbe stato "solidale" con il ricorrente. 8. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e conseguente giudizio di bilanciamento con l'aggravante in contestazione. Oltre i rilievi indicati al motivo dedotto in punto di dosimetria della pena, si era erroneamente valorizzata in punto di gravita' l'aggressione commessa limitata ad un semplice strattonamento. Il ricorrente, poi, era incensurato e di giovane eta'. (OMISSIS) (riforma, anni sette e mesi quattro di reclusione per il reato di cui al capo 1) con il ruolo di partecipe, esclusa la contestata recidiva). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 416-bis c.p. e articolo 192 c.p.p. (capo 1 dell'imputazione). La censura, gia' ritenuta fondata in sede cautelare, attiene all'assenza di motivazione in ordine alla verifica dell'attualita' dell'inserimento del ricorrente nel sodalizio mafioso contestato, posto che il compendio investigativo acquisito non consente di storicizzare tale attivita', individuandone con precisione l'epoca in cui collocare temporalmente la condotta in disamina; ne' le conversazioni captate, ne' le frequentazioni registrate consentivano di attualizzare la condotta in termini di permanente e stabile messa a disposizione per il perseguimento dello scopo sociale (gli stessi contatti che il ricorrente avrebbe tenuto con soggetti appartenenti al sodalizio erano datati, trattandosi di tre sporadiche frequentazioni tra il 2009 ed il 2014, mentre la misura restrittiva era stata applicata con ordinanza del 4/1/2016). Mancava, quindi, una motivazione rafforzata che desse conto delle differenti ragioni che, sul piano della prova, deponevano per una conclusione differente da quella assunta, anche con l'avallo di questa S.C. (si cita la sentenza n. 568/2017 della 5 Sezione), in sede di riesame cautelare, ove si era stigmatizzata proprio l'assenza di motivazione in merito al perdurare della condotta associativa di presunta adesione al gruppo da parte del ricorrente (sul punto si riporta anche il relativo passaggio della sentenza di questa S.C.). La stessa attivita' che secondo la sentenza impugnata sarebbe dimostrativa dell'intraneita' del ricorrente - ossia la presunta affiliazione del (OMISSIS) che l'imputato avrebbe promosso - risaliva al 1994. Ne', al proposito, era decisivo il riferimento, ricavato dalle propalazioni del collaboratore (OMISSIS), all'aver fatto parte di una sorta di "collegio di anziani" appartenenti all'omonima cosca, ai quali sarebbe stato demandato il compito di gestire i proventi delle estorsioni riconducibili a tale sodalizio mafioso successivamente al 2004. Invero, i riferimenti del collaboratore attenevano a (OMISSIS) e la Corte di merito nulla aveva spiegato perche' tale evocazione fosse riferibile anche al ricorrente. Peraltro, lo stesso imputato era stato ritenuto estraneo a detta compagine nel processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Palmi nel 2001, per come implicitamente ritenuto dallo stesso capo di imputazione che additava il ricorrente non di far parte dell'omonima cosca (OMISSIS) (ipotesi elevata a carico di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma di appartenenza alla locale di (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'attribuzione al ricorrente dell'aggravante speciale di essere l'associazione armata. Si era tratta la consapevolezza in capo al ricorrente della natura armata dell'associazione dal fatto che "storicamente" le cosche mafiose operanti sul territorio oggetto di giudizio hanno abitualmente fatto uso di armi. Si era quindi operato un inammissibile automatismo, in contrasto con i canoni soggettivi della circostanza, soprattutto in considerazione dal fatto che gli elementi rafforzativi di detta "storicita'" erano tratti dalle captazioni del (OMISSIS), risalenti al 2013, a fronte di una prova della partecipazione ancorata al 2004. (OMISSIS) (riforma, anni quattordici di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, in ordine ai reati di cui ai capi 1) e 39) con la recidiva e, quanto al capo 39, ritenuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 121 e 192 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera c) e articoli 416-bis e 629 c.p.. Si censura anzitutto la decisione impugnata per la mancata disamina delle questioni poste con l'atto di appello che attenevano alla sussistenza del reato associativo. In particolare, le doglianze si riferiscono ai seguenti temi: assenza di motivazione in ordine al preliminare profilo della credibilita' del collaboratore (OMISSIS); assenza di attendibilita' intrinseca per le evidenti contraddizioni che caratterizzavano il narrato del predetto; assenza di riscontri individualizzanti; forte risentimento di rancore e astio del collaboratore nei confronti del ricorrente; assenza di conoscenza sulle ipotetiche dinamiche associative per l'ammissione da parte dello stesso collaboratore di aver abbandonato detti contesti; assenza di specifiche condotte diverse da quella a cui il collaboratore avrebbe preso parte; inimicizia confermata dal collaboratore; assenza di ulteriori emergenze indiziarie deponenti per il riconoscimento degli addebiti mossi; natura de relato delle informazioni apprese e riferite dal collaboratore; assoluta inconciliabilita' tra la circostanza che vede il figlio dell'odierno ricorrente concorrente nel pestaggio ai danni dello (OMISSIS) e quella secondo la quale il (OMISSIS) aveva gia' concordato la faccenda con il padre; assenza di ulteriori fonti dichiarative; "inconducenza" dei colloqui captati rispetto alle imputazioni. A fronte di tali censure la motivazione resa dalla sentenza impugnata era fumosa e ridondante, fondata su argomenti non dirimenti, ne' risolutori, cosi' registrandosi una motivazione apparente e dunque assente. Era stato omesso un concreto esame delle risultanze processuali disponibili; in buona sostanza non emergeva dal provvedimento impugnato nessuna chiara intellegibile ragione legittimante il convincimento adottato. 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p.. Si lamenta di avere posto a base della circostanza aggravante e soprattutto dell'esorbitante aumento di pena, delle condotte risalenti agli anni 90, senza considerare il lasso di tempo intercorso e l'assenza di correlazione con i precedenti reati e addirittura valorizzando una piu' recente assoluzione, cosi' snaturando le caratteristiche dell'istituto della recidiva che si fonda esclusivamente sull'esistenza di condanne e non di meri precedenti giudiziari che hanno coinvolto l'imputato. Al fine di verificare se la reiterazione dell'illecito fosse effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un'accresciuta pericolosita' del ricorrente, si era omesso di effettuare una relazione tra i fattori significativi della condotta sottoposta in quel momento al giudizio della Corte d'appello e quelli rinvenienti dal pregresso corredo penale del prevenuto. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 416-bis.1 c.p.. Apodittica era anche l'affermazione della ricorrenza dell'aggravante del metodo mafioso e dell'agevolazione mafiosa con riferimento al delitto estorsivo di cui al capo 39) della rubrica. Sebbene l'aggravante fosse stata ricavata nella sua declinazione agevolativa, la sentenza impugnata non aveva puntualmente delineato il percorso logico argomentativo seguito per ritenere ipotizzabile la sussistenza della contestata circostanza aggravante anche sotto il profilo agevolatore, tenendosi soprattutto conto che la circostanza sotto tale veste ha natura soggettiva e dunque presuppone la prova del dolo specifico di favorire l'associazione, con la conseguenza che questo fine deve costituire l'obiettivo diretto della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti, ne' il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all'effettiva ed immediata coincidenza degli interessi del capo mafia con quelli dell'organizzazione. La Corte di merito, in realta', con una motivazione apparente, dava per scontato che le attivita' economiche e le presunte condotte estorsive fossero esercitate nell'interesse dell'associazione mafiosa e non nell'esclusivo interesse del ricorrente, nonche' il fatto che l'imputato intendeva favorire il sodalizio mafioso senza alcun dato dimostrativo di tale apodittica asserzione. Difettava poi l'indicazione di qualunque elemento che desse conto che il ricorrente si fosse avvalso delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e, dunque, le concrete modalita' di esplicazione del metodo mafioso. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 81 cpv. c.p.. La doglianza attiene all'omessa motivazione in ordine agli aumenti disposti per la continuazione, in contrasto con il recente orientamento affermato anche dalle S.U. di questa corte con la recente sentenza del 24 giugno 2021. - Il ricorrente articola, poi, da pag. 20 a pag. 57 del ricorso diversi motivi in punto di partecipazione all'associazione mafiosa clan (OMISSIS) e in ordine a delitti di intestazione fittizia indicati come capi f) e g), alla natura armata dell'associazione e al diniego delle attenuanti generiche. In particolare, deduce altresi': 5. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e)in relazione all'articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p.. 6. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 512-bis c.p. (capi F e G). 7. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis.1 c.p.. 8. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 416-bis c.p., comma 4. 9. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p., comma 2. 10. violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 133 e 62-bis c.p.. (OMISSIS) (conferma, anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa per il reato di furto di cui all'articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., n. 7 esclusa gia' dal primo giudice l'aggravante mafiosa). Al riguardo, deduce: 1. violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di furto contestato al capo 40) della rubrica. La censura si fonda sulle analoghe argomentazioni poste a fondamento del motivo di ricorso svolto dal coimputato ricorrente (OMISSIS). 2. violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della dosimetria della pena. 3. violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche. (OMISSIS) (rigetto appello PM e imputato, conferma; responsabile dei reati di cui ai capi 30) e 32), esclusa per tutti l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e, per l'effetto, ritenuta la continuazione e la contestata recidiva, anni 4 mesi 8 di reclusione ed Euro 12.000 di multa). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 192, 533 e 546 c.p.p. ed agli articoli 56, 110, L. n. 895 del 1967, articolo 2 contestato al capo 30) della rubrica. Si lamenta che il tentativo di acquisto dal (OMISSIS) di armi comuni da sparo e da guerra ad opera del ricorrente sia stato tratto da un travisato contenuto del compendio intercettivo, di cui era stata valorizzata (e riportata) soltanto una parte ("stasera arrivano di nuovo"), cosi' ritenendosi che il (OMISSIS) avesse riferito al ricorrente che le mitragliette skorpion gia' la sera stessa sarebbero state nella disponibilita' del soggetto che avrebbe dovuto cederle, mentre l'intera frase era di diverso tenore: "ora penso che stasera arrivano di nuovo", da cui invece avrebbe dovuto trarsi, essendosi il (OMISSIS) espresso in termini dubitativi, che questi non avesse alcuna disponibilita' nemmeno mediata delle armi, ma solamente conosceva una persona che spesso aveva la disponibilita' di armi comuni da sparo e da guerra che poneva in vendita. Tale differente lettura trovava conferma nel complesso della captazione, da cui si ricavava che il (OMISSIS) si era limitato a riferire al ricorrente che non era in grado di sapere se avesse avuto modo di incontrare la persona che si occupava della vendita di armi e di non sapere se questa persona avesse la disponibilita' delle stesse. Ad analoghe conclusioni, risultando il contenuto dell'intercettazione travisato, doveva giungersi anche con riferimento all'attivita' di compravendita delle pistole Glock tra (OMISSIS) ed il ricorrente. Anche in questo caso dalla captazione risultava che il (OMISSIS) non avesse alcuna disponibilita' delle pistole considerato che il ricorrente gli manifestava la disponibilita' all'acquisto qualora il coimputato ne fosse venuto in possesso (.. "se ti capita.. sai che li vogliamo noi.."). In conclusione, mancava la prova di un accordo per la cessione di armi (soltanto una biunivoca disponibilita' ad acquistare e vendere), alla cui base doveva necessariamente esservi una concreta disponibilita' di armi, assente nel caso in esame. La mera offerta delle armi ad opera di chi non ne ha ancora la disponibilita' non assurge infatti a tentativo punibile, bensi' a mero atto preparatorio. Il (OMISSIS) avrebbe ceduto le armi al ricorrente soltanto laddove fosse stato in grado di reperirle (tanto che allo stesso (OMISSIS) contraddittoriamente non si era elevata alcuna imputazione di detenzione per come riconosciuto dagli stessi giudici di appello che ne avevano evidenziato allora la figura di mero intermediario). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 125, 192, 533 e 546 c.p.p. ed al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 56, 110, 73 contestato al capo 32) della rubrica (tentativo di acquisto di sostanza stupefacente). La doglianza attiene alla pregnanza contenutistica del compendio intercettivo censurato sotto il profilo dell'assenza dei canoni dell'esatta comprensione e credibilita' del narrato. Contraddittoria era la motivazione della stessa sentenza impugnata che dapprima riconosce il (OMISSIS) come mero latore delle necessita' del ricorrente presso il fornitore escludendo, implicitamente di conseguenza, che abbia la disponibilita' dello stupefacente anche solo mediata e, poi, afferma che aveva la disponibilita' mediata della droga eventualmente detenuta presso il fornitore, ove il (OMISSIS) avrebbe dovuto recarsi per concludere l'attivita' di compravendita, di talche' in mancanza della prova dell'effettivo raggiungimento dell'accordo doveva ritenersi configurato il tentativo. In realta', il (OMISSIS) non aveva alcun potere dispositivo della sostanza; il terzo era dedito in maniera del tutto autonoma al traffico di droga e tra questi ed il (OMISSIS) non intercorreva alcun rapporto di affari, per come comprovato dagli stessi dialoghi intercettati. L'assenza di disponibilita' diretta e/o indiretta da parte del (OMISSIS) della sostanza escludeva la possibilita' di configurare il tentativo, non potendosi ritenere la mera manifestazione di propositi criminosi come un atto prodromico alla conseguente cessione di sostanza stupefacente. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 99 c.p., comma 4, e articolo 125 c.p.p.. La motivazione sulla recidiva era di stile, avendo omesso la sentenza impugnata di indicare le ragioni per cui, nel caso concreto, era prevedibile la ricaduta nel reato da parte del ricorrente. A fronte, invece, dell'assenza di sintomaticita' di maggiore colpevolezza e pericolosita' dell'imputato ricavabile dai reati per cui e' processo in rapporto ai precedenti annoverati. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 132 e 133 c.p. e articoli 125, 192 e 546 c.p.p.. Si lamenta la mancanza di un'adeguata motivazione a sostegno del trattamento sanzionatorio inflitto. (OMISSIS) (rigetto dell'appello del P.M. e, previa esclusione della aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 in relazione al capo 7), ridetermina la pena in anni 9 di reclusione, in ordine ai reati di cui ai capi 1) (compresa l'aggravante per la associazione armata), 2), 7) 11) e 12) della rubrica; violazione legge armi e articoli 326 e 378 c.p.). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione all'articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p., articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., articolo 416-bis.1 c.p. (capi 1, 11 e 12 dell'imputazione). La censura attiene all'esistenza di un valido compendio probatorio ed alla tenuta della motivazione che era stata posta a fondamento dell'affermazione di responsabilita', riproduttiva di quella del primo giudice e "sganciata" rispetto alle doglianze della difesa che investivano, in primo luogo, il giudizio espresso sull'attendibilita' del collaboratore di giustizia (OMISSIS) e sulla chiamata da questi effettuata nei confronti del ricorrente indicato quale partecipe dell'associazione di cui al capo 1). Non si era infatti considerato che il collaboratore fosse da tempo estraneo al presunto consesso criminale ("tralasciato" da oltre 10 anni) ed animato da sentimenti di rancore contro l'imputato (a cagione della frequentazione del ricorrente con il carabiniere (OMISSIS) e della convinzione, nutrita dal ricorrente, che fosse stato lo (OMISSIS) ad avere distrutto le coltivazioni del fondo del suocero), argomenti che incidevano sull'intrinseca credibilita' del narrato. Ne' poteva colmarsi tale lacuna facendo riferimento al fatto che il collaboratore avesse riferito circostanze apprese da altri, trovandosi, in tal caso, al cospetto di una "chiamata de relato" la cui valutazione deve essere ancor piu' rigorosa. Al riguardo, non era decisivo, trattandosi di circostanza travisata in quanto non espressa in termini di certezza, richiamare il dichiarato dell'agente di PG (OMISSIS) che avrebbe escluso conflitti tra il ricorrente ed il collaboratore. Lo stesso ricorrente aveva escluso di avere riferito all' (OMISSIS) dei suoi contrasti con l'imputato, avendone invece parlato con il maresciallo Miozzo come dallo stesso confermato in una relazione di servizio. Ne' si poteva indicare a riscontro del narrato del collaboratore circa l'avvenuta affiliazione del ricorrente l'ambientale del (OMISSIS), posto che mentre lo (OMISSIS) ne attribuiva l'iniziativa al (OMISSIS), il (OMISSIS) invece la riconduceva a se' medesimo. Ne' il riferimento, riscontrato, in ordine alle dicerie sullo stato di gravidanza di (OMISSIS), che il collaboratore aveva affermato di avere appreso dal ricorrente, poteva costituire elemento utile in quanto per affermazione dello stesso (OMISSIS) alla (OMISSIS) si trattava di un'invenzione (essendo la relazione tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) divenuta di dominio pubblico, lo (OMISSIS) aveva cercato di saggiare la riservatezza della donna, inventando la rivelazione da parte di (OMISSIS); tale versione era stata poi modificata successivamente dal collaboratore adducendo che tale "ritrattazione" era dovuta all'intervento del (OMISSIS), il quale lo avrebbe pregato di modificare la versione offerta alla donna). In conclusione, l'unico elemento di prova in ordine al reato associativo era rappresentato dalle dichiarazioni non riscontrate dello (OMISSIS). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione agli articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., articolo 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e 581 c.p.p. (capi 1, 11 e 12 dell'imputazione). La condanna si fondava su un pregiudizio. Smentito dalla logica e dalle emergenze istruttorie, secondo cui sarebbe fondata la tesi complottista del "doppio gioco" utilizzata dal ricorrente per sapere in anticipo le mosse degli inquirenti e mantenere nei loro confronti un sicuro credito che lo esentasse da responsabilita'. Con il (OMISSIS) vi era un rapporto di inimicizia tanto che tale imputato aveva maturato il proposito di ucciderlo, l'imputato era inviso alla maggior parte del gruppo in ragione dei suoi rapporti di amicizia con le forze dell'ordine che, notoriamente, precludono l'accesso a tali consessi criminali. La circostanza che le cimici all'interno del locale il Fungo (additato quale luogo di incontri di cosca) fossero state apposte da altri corpi di polizia differenti da quelli "vantati" dal ricorrente, smentiva sul punto l'affermazione dello (OMISSIS), il quale additava il ricorrente della relativa informazione. Il ricorrente era un confidente della polizia (non riceveva informazioni ma le forniva), ma cio' che riferiva non era dovuto alla sua intraneita' alla cosca, bensi' a notizie che poteva apprendere da voci correnti in quel territorio, come avevano confermato l'isp. (OMISSIS) e l' (OMISSIS), escludendo che fosse affiliato alla âEuroËœndrangheta. Cosi' illogico era affermare che il ricorrente non si portasse piu' presso il suo fondo confinante con quello del (OMISSIS) perche' consapevole che la PG vi avesse installato delle telecamere all'esterno, trattandosi di mera deduzione del (OMISSIS) e dovendosi, invece, tale comportamento al fatto che si era avveduto che il (OMISSIS), ivi sottoposto agli arresti domiciliari, in realta' vi incontrava personaggi di "malaffare", facendo anche uso in qualche occasione di armi (come confermato dal maresciallo (OMISSIS) in una sua annotazione). L'ulteriore circostanza che il ricorrente negasse il saluto al (OMISSIS) (ritenuto altro associato) deponeva nel senso dell'estraneita', in quanto condotta contraria ai codici di cosca. Se il (OMISSIS) ed i suoi avessero ritenuto il ricorrente responsabile di non averli avvisati della presenza delle videocamere, sarebbero stati questi a prendere le distanze e non il ricorrente (distanza quale fattore di estraneita' al gruppo). Peraltro, la convinzione del (OMISSIS) si fondava non tanto sul rilievo che il ricorrente fosse stato informato dalla PG, bensi' perche' aveva apposto un lucchetto all'ingresso della sua proprieta', come a volere stabilire le distanze dal (OMISSIS) stesso. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'att. 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articoli 546 e 581 c.p.p. (capi 2 e 7 dell'imputazione). Anche in relazione a tali capi di imputazione, di cui il n. 2) generico nella sua formulazione (facendosi riferimento all'acquisto e/o detenzione di armi di vario genere), la prova si fondava sulle dichiarazioni frazionate, progressive e generiche del collaboratore (OMISSIS). Cosi' il successivo riferimento al tale (OMISSIS) che avrebbe contattato il ricorrente nell'ambito del traffico di armi intrattenuto con lo (OMISSIS) era privo di qualsiasi riscontro. Dalle stesse dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS) - il quale, pur non ricordando il nome dell'imputato, avrebbe assistito ad una presunta trattativa tra l'imputato ed il (OMISSIS) - emergeva che non era il ricorrente a cedere le armi a quest'ultimo, bensi' il contrario, con la conseguenza che non sarebbe allora il ricorrente il fornitore del gruppo. Dallo stesso compendio intercettivo emergeva come nessuno degli affiliati facesse affidamento sull'imputato per acquistare o vendere armi. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) "in relazione agli articoli 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, e articoli 546 e 581 c.p.p. (capo 7 dell'imputazione)". L'affermazione di responsabilita' dell'imputato per la cessione di una pistola (a (OMISSIS) che per tale ragione sarebbe stato poi arrestato) era priva dell'indicazione di una prova concreta, fondandosi esclusivamente su uno stralcio di un'intercettazione estrapolata dal contesto e non risultando neppure accertato se poi il (OMISSIS) sia mai stato arrestato per la detenzione di un'arma. La detenzione dell'arma poteva ascriversi a causa lecita (dono ricevuto dall'avv. (OMISSIS); armi legittimamente detenute e poi cedute a (OMISSIS)). 5. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) "in relazione agli articoli 416-bis, 326 e 378 c.p., 416-bis.1 c.p., articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 581 c.p.p. (capi 2 e 7 dell'imputazione)". L'aggravante si fondava sul "pregiudizio" secondo cui il ricorrente sarebbe stato affiliato proprio a (OMISSIS) che, per sua stessa ammissione, sarebbe stato tralasciato da tempo (dal 2013). Non era quindi illogico sostenere che il ricorrente avesse agito nell'interesse del singolo, anziche' del gruppo di riferimento, stante l'assenza di prova di legami con la cosca. 6. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e) in relazione all'articolo 321 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, articolo 12 sexies articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articoli 546 e 581 c.p.p.. La censura investe la legittimita' e la motivazione del provvedimento di confisca. Contraddittoria era la motivazione con cui la Corte di merito aveva rigettato la richiesta di perizia sulle capacita' economiche dell'imputato. Ne' congrue erano le motivazioni in forza delle quali si era ritenuto che l'imputato avesse tenuto un tenore di vita adeguato e non indigente. Provenienza lecita avevano le somme rinvenute sul c/c del germano, in quanto si trattava di un conto su cui confluivano gli stipendi del congiunto.. 7. Con memoria in data 21/12/2021, la difesa del ricorrente ha proposto motivi aggiunti. In particolare, si argomenta ulteriormente sulla censura relativa al giudizio di attendibilita' del collaboratore (OMISSIS), all'assenza di validi riscontri esterni alla chiamata in correita', alla mancanza di una condotta di partecipazione. A tale ultimo proposito, si evidenzia come il ricorrente non avrebbe fornito alcun contributo al mantenimento in vita dell'associazione. Non era stata riscontrata la circostanza che l'imputato fosse l'armiere della cosca ovvero che avesse riferito ai presunti sodali notizie apprese da appartenenti alle forze di polizia. Anzi egli continuamente informava l' (OMISSIS) di circostanze utili alle indagini. Alle propalazioni dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine ad un presunto ingresso del (OMISSIS) nella locale di (OMISSIS), non vi era un elemento dimostrativo che all'affiliazione fosse seguito un comportamento attivo del ricorrente finalizzato a contribuire al mantenimento ed al rafforzamento del sodalizio in contestazione. Infine, si insiste con riguardo al vizio di motivazione dedotto con riferimento alla condotta di cui al capo 2) della rubrica ed all'assenza della relativa circostanza aggravante ad effetto speciale. (OMISSIS) (vedi sub motivi di ricorso del coimputato (OMISSIS)) (OMISSIS) (conferma, anni sei di reclusione ed Euro 7.000 di multa, in ordine ai capi 44), in esso assorbito il capo 19) e per come riqualificato, 45), in esso assorbita la sola detenzione del capo 44), 46), 47) e 48) della rubrica). Al riguardo, deduce: 1. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e) in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 1 e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in riferimento ai reati contestati ai capi 44), 45), 46) e 47). Preliminarmente si censura la sentenza impugnata per non aver dato in modo diffuso conto delle ragioni per cui erano state disattese le censure mosse con l'atto di appello. Con riguardo alle violazioni della legge armi relative alle 11 pistole Glock, si lamenta l'assenza di un valido compendio probatorio dimostrativo della detenzione e del successivo porto ad opera del ricorrente, alla luce sia della natura millantatoria che ammantava i discorsi tra (OMISSIS) e l'imputato, sia del contenuto di un'intercettazione ambientale del 13 marzo 2014 da cui emergeva che, alla data delle contestazioni (accertato l'11.3.2014), il ricorrente non era in possesso delle armi (che sarebbe state "portate" dai presunti venditori al ricorrente) e, dunque, non poteva farne oggetto di porto in luogo pubblico (al (OMISSIS)), stante l'autonomia e diversita' delle due fattispecie. Relativamente, poi, alla contestazione della L. n. 110 del 1975, articolo 23, comma 3, (capo 45 illegale detenzione delle pistole di cui sopra, aventi matricola abrasa), dalla stessa conversazione riportata in sentenza risultava che la condotta di alterazione era riferibile a terzi ("no i numeri gliel'ha tolti"; conversazione tra il ricorrente e l'ordinante (OMISSIS)). 2. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione all'articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e) in riferimento al reato contestato al capo 48 (tentativo di acquisto di 10 kg di marijuana). Difettavano gli elementi di fattispecie, non avendo l'attivita' preparatoria assunto uno sviluppo tale da integrare il tentativo punibile. Le trattative, infatti, si erano arrestate ad un punto tale da non poter neppure presumere che l'accordo si sarebbe potuto concludere in un momento successivo. Ne' ai fini dell'affermazione di responsabilita' soccorreva la prova logica, in quanto sfornita del necessario corretto procedimento valutativo degli indizi e in assenza di un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali. 3. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. Il riconoscimento della circostanza si fondava su una motivazione priva di rigore logico, posto che il ricorrente non era un associato mafioso, ne' la famiglia di appartenenza risultava vicina a contesti mafiosi, ne' tantomeno i suoi congiunti estranei a procedimenti di criminalita' organizzata. Gli elementi probatori raccolti non consentivano di dimostrare la conoscenza da parte del ricorrente del fine diretto delle condotte, ossia dell'agevolazione della cd. cosca scissionista. Ne' era decisivo a tale fine il contenuto dell'intercettazione in cui il ricorrente avrebbe invitato i gemelli (OMISSIS) a trascorrere un periodo di latitanza a (OMISSIS), trattandosi di proposta priva di serieta'. Peraltro, con riguardo alla comune posizione del (OMISSIS), il giudice del merito era pervenuto a risultati opposti. 4. violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla quantificazione della pena. La mancata concessione delle attenuanti generiche. Il diniego si fondava su una non consentita ritenuta incompatibilita' tra l'aggravante mafiosa e le attenuanti generiche comuni. CONSIDERATO IN DIRITTO (OMISSIS) Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine alla sussistenza del delitto associativo e' manifestamente infondato. 1.1. Sulla natura mafiosa dell'omonimo sodalizio capeggiato dal (OMISSIS), vedi quanto argomentato a proposito del motivo sub 1. con riferimento alla posizione di detto coimputato. 1.2. La seconda parte del primo motivo relativo alla compartecipazione della ricorrente in seno al sodalizio di cui al capo 1) della rubrica e' del tutto generico. La ricorrente non si confronta, infatti, con i molteplici elementi a carico declinati dai giudici di merito a conferma del ruolo dalla medesima assunto all'interno dell'associazione capeggiata dal marito. Invero, la condotta di partecipazione risulta essere stata ricavata da un serie di condotte di carattere servente e strumentale all'attuazione delle finalita' della cosca che danno ragionevolmente conto di come la ricorrente, lungi dal rivestire la mera qualita' di concorrente eventuale nei reati commessi dal (OMISSIS), in realta' sia a costante disposizione delle esigenze connesse al sodalizio, deponendo in tal senso le chiare condotte dimostrative declinate dai giudici di merito che danno conto di come l'imputata partecipi attivamente ai dialoghi con gli altri correi, intervenga nelle questioni relative agli affari di cosca e sia portatrice di un apporto conoscitivo di carattere proprio che criticamente introduce nei molteplici dialoghi intercettati (che vertono su questioni illecite) ai quali prende autonomamente parte. Del resto, la (legittima) prospettazione difensiva volta a ricondurre la ricorrente al ruolo di familiare culturalmente supina dei voleri del marito, additato di essere il capo dell'omonima âEuroËœndrina di riferimento, non rinviene - anche in ragione degli elementi sottesi a tale deduzione - alcun riscontro negli atti processuali menzionati dalla sentenza impugnata, vertendosi piuttosto in una sorta di militanza ubbidiente comune a quella che notoriamente si registra in molti affiliati di tali consessi e, nel caso in esame, tradotta in atto attraverso la commissione di un numero rilevantissimo di reati se si considerano quelli gia' coperti dal giudicato e ritenuti in continuazione (capi H, P, Q, U, V, W, X, Y, Z, come tali aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7), nonche' mediante condotte definite di tipo operativo (si cita, tra le tante, la manutenzione delle armi trafficate dal (OMISSIS)). Le conversazioni intercettate che la Corte di merito passa puntualmente in rassegna (si consideri tra le tante anche quella che evidenzia il comportamento tenuto dalla ricorrente dopo l'esecuzione delle perquisizioni ove partecipa alle strategie da adottarsi per il rinvenimento delle armi di cui al casolare e "con contributo fattivo ed a sangue freddo" sui progetti di fuga degli interessati, vedi pag. 1011) sorreggono, in punto di fatto, l'assegnazione di un ruolo tutt'altro che passivo, emergendo, al contrario, quello della donna che non si comporta da moglie solo passivamente convivente ma si mostra come il braccio risolutivo, attivo e fattivo del (OMISSIS), anche a causa della sua condizione di ristretto domiciliare; al riguardo, infatti, si e' specificato come la ricorrente lasci che il marito istruisca alla âEuroËœndrangheta i piu' giovani tra cui proprio il loro figlio (OMISSIS), abile maneggiatore di armi con il colpo in canna, di cui conosce i nascondigli nella terra e di cui realizza il trasporto dal casolare alla casa per mettere in mostra pistole e droga. Gia' solo questo sarebbe elemento idoneo a dimostrare come ci si trovi di fronte ad una donna di âEuroËœndrangheta, che collabora all'educazione in questo senso finalizzata del proprio figlio appena tredicenne. Proprio tale ultimo aspetto da' ragionevolmente conto anche della sussistenza del dolo e dell'aggravante speciale ritenuta sotto la forma dell'agevolazione mafiosa, risultando i contributi dati per un verso sostenuti dall'a ffectio societatis e, per altro, dalla direzione finalistica di rafforzare la cosca, nel cui diretto interesse la stessa ricorrente e' additata di agire. In tal senso, risulta essersi gia' pronunciata la stessa sentenza che ha giudicato e condannato l'imputata per gli ulteriori (e numerosi) delitti fine commessi che, oltre a trovare piena condivisione, sono stati direttamente ricondotti al consesso criminoso in cui si inserivano e che volevano favorire. Del resto, anche i comportamenti tenuti allorche' si scoprono i video di sorveglianza dell'abitazione collocati dalla P.G. ed il marito viene arrestato, danno conto di come la ricorrente fosse attivamente e scientemente parte del disegno perseguito, in ottica associativa, dal coniuge. Si precisa, infatti, nella sentenza impugnata, che ella discuteva, alla pari dei sodali, ed anzi mostrando a tratti una maggiore lucidita', circa le possibili conseguenze dell'attivita' di video sorveglianza, e si impegnava, una volta tratto in arresto il marito, nella gestione del patrimonio della consorteria, preoccupandosi di far riscuotere dai sodali i residui crediti vantati. In conclusione, la prova della condotta di partecipazione non solo e' stata correttamente tratta dai numerosissimi delitti fine - tra i quali assume spiccato rilievo quello relativo al recupero delle armi dell'associazione per conto del marito contestato al capo 56) - posto che attraverso essi si manifesta in concreto l'operativita' dell'associazione medesima (Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254233; Sez. 2, n. 19435 del 31/372016, Rv. 266670), ma rinviene altresi' precisi elementi dimostrativi in ulteriori comportamenti che, pur non assurgendo ad autonome fattispecie di reato, risultano causalmente espressivi, tanto sul piano oggettivo che soggettivo, di diretta intraneita'. Nessuna violazione di legge ne' vizio di motivazione e', dunque, ravvisabile nella sentenza impugnata per avere ritenuto la ricorrente parte attiva degli affari illeciti gestiti direttamente dalla âEuroËœndrina dell'allora marito, stabilmente a disposizione del pactum sceleris, ed in grado di offrire un concreto ed efficace contributo al mantenimento in vita ed al rafforzamento del sodalizio, emerso in questo procedimento. 2. Il secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene sufficiente motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione della ricorrente, essendosi specificamente precisato come "gli aumenti qui comminati per la continuazione tengono conto del progressivo incremento dell'azione criminale della (OMISSIS) che solo oggi appare connotato di un ruolo servente, ma non meno centrale nella conduzione degli affari illeciti della cosca" (vedi pag. 1025)". 3. Il terzo motivo relativo alla sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa con riguardo al delitto di cui al capo 56) della rubrica e' manifestamente infondato. Ai fini della sussistenza dell'aggravante speciale non solo rileva quanto gia' esposto sub 1.2, ma altresi' l'attribuzione alla ricorrente, in forza di pregnanti indici fattuali (vedi pag. 1023 ove si cita l'episodio relativo al recupero delle armi della cosca, pienamente dimostrativo della volonta' di servizio nei confronti del gruppo), del ruolo di parte integrante di quel progetto espansionistico che vuole il proprio marito al centro di una evoluzione futura della cosca piu' baricentrica nei grossi affari della tratta delle armi per rifornire esponenti delle maggiori cosche calabresi, quale fedele collaboratrice in queste attivita'. 4. Il quarto motivo in ordine alla sussistenza della recidiva (ritenuta nella forma semplice) e' inammissibile poiche' del tutto generico, non confrontandosi con la motivazione resa dalla Corte di merito (pagg. 10231024), la quale risulta avere operato una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacita' a delinquere del reo, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneita' della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacita' a delinquere della ricorrente che giustifichi l'aumento di pena, in ragione anche della tipologia del reato in precedenza commesso (una tentata estorsione), definito in linea con le emergenze e la personalita' dell'imputata per quanto emerso nel presente giudizio. (OMISSIS) Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione del principio della ragionevole durata del processo e' inammissibile. La censura, infatti, e' formulata in modo del tutto generico e, con riguardo all'epoca di commissione dei reati, priva di sanzione processuale. 2. Il secondo motivo relativo alla vicenda del traffico di armi di cui al capo 23) della rubrica e' manifestamente infondato. In proposito deve osservarsi che la sentenza impugnata nell'esposizione degli elementi di prova a carico del ricorrente e degli altri coimputati (vedi pagg. 536 ss.) ha chiarito, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, insindacabile in questa sede, le ragioni per le quali ha ritenuto asseverato il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda oggetto di imputazione. Al riguardo, si sono richiamate molteplici conversazioni di chiaro significato indiziante. Tra queste, la sentenza impugnata, anche ai fini della corretta identificazione del ricorrente, ha segnalato quella in cui il capo cosca (OMISSIS), aveva parlato con i coimputati del medesimo reato (OMISSIS) e (OMISSIS) del prezzo delle armi, interrogandosi con costoro sul guadagno che avrebbero ricavato dalla programmata vendita; nel contesto discorsivo (OMISSIS) si era riferito a tale "(OMISSIS)" (ossia il ricorrente), che sarebbe dovuto intervenire nella negoziazione, aggiungendo che qualcuno si sarebbe dovuto portare a (OMISSIS), paesi che, secondo le notizie acquisite in atti, sono quelli di nascita e residenza dell'indagato; altri discorsi riguardanti la trattativa per la compravendita di armi sono elencati nel provvedimento impugnato e da essi emerge che (OMISSIS) aveva evocato la presenza di una persona, che appellava indifferentemente (OMISSIS) o (OMISSIS). A completare il coinvolgimento del ricorrente, la sentenza impugnata ha citato le comunicazioni tramite facebook con il (OMISSIS), nonche' la pluralita' di visite effettuate dal ricorrente presso l'abitazione del capo cosca, nello stesso contesto temporale in cui questi si incontrava con i coimputati, accertate tramite visione diretta da parte di personale di polizia giudiziaria, nonche' i numerosissimi messaggi telefonici intercorsi tra i due. Alla luce degli elementi di fatto declinati in sentenza, e' stato correttamente ricavato come, con ogni evidenza, la trattativa avesse riguardato armi e munizioni, comuni e da guerra, ad elevata potenzialita' offensiva (tra cui kalashnikov, skorpion, bazooka), per un totale di 68 pezzi, secondo le chiare indicazioni contenute nei dialoghi captati, alcune in migliori condizioni e piu' ambite ed altre meno interessanti ma comprese nel pacchetto dell'offerta. In questo contesto, il ricorrente e il (OMISSIS) sono indicati come coloro che tenevano i contatti con i fornitori delle armi e mediavano tra questi (fornitori anche tra loro differenti a seconda dei propri canali di rifornimento) e la parte acquirente, ovvero (OMISSIS) ed il duo (OMISSIS)- (OMISSIS). La sentenza impugnata, pertanto, risulta avere indicato validi e diretti elementi di coinvolgimento dell'imputato nella trattativa illecita, aventi carattere individualizzante in quanto acquisiti nel mentre venivano registrati gli incontri dello stesso ricorrente con il (OMISSIS) e lo scambio tra di loro di diversi messaggi, con la conseguenza che l'assenza del propalato dei collaboratori di giustizia - che rinviene, peraltro, una spiegazione non affatto illogica con riguardo alla vicenda in esame essendosi evidenziate le ragioni "strategiche" che avrebbero condotto il ricorrente a non rendere partecipe di tali traffici lo (OMISSIS) e i motivi per cui non vennero rivolte domande al (OMISSIS) sul punto (vedi pag. 629-630) - non risulta affatto decisivo ai fini della prova di colpevolezza. In tale chiaro quadro probatorio il motivo di ricorso finisce per proporre un'interpretazione alternativa dei dati di indagine, che oltre ad essere inammissibile, risulta smentita dalle emergenze processuali indicate nelle sentenze di merito. 3.4. Il terzo ed il quarto motivo in ordine alla corretta sussunzione della vicenda relativa alle armi nell'alveo della condotta penalmente rilevante, con esclusione dell'ipotesi del cd. "quasi-reato" di cui all'articolo 115 c.p., sono infondati. Dalle ampie trascrizioni delle conversazioni, compiutamente riportate nella sentenza impugnata, con costanti riferimenti da parte del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del duo (OMISSIS)- (OMISSIS), all'acquisto di armi, la Corte di merito, senza illogicita', ha correttamente ritenuto l'apporto assicurato dal ricorrente idoneo, tanto sul piano causale che soggettivo, ad assumere rilievo sotto il profilo concorsuale, in aderenza ai principi piu' volte affermati da questa Corte, secondo cui lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011; in termini anche in relazione alla stessa vicenda in sede cautelare, Sez. 5, n. 21235 del 2017). Ai fini dell'integrazione della condotta punibile, con esclusione, quindi, dell'ipotesi del "quasi-reato" prospettata nel ricorso, si e' anche evidenziato, in punto di fatto, come il (OMISSIS) avesse personalmente accompagnato (OMISSIS) e (OMISSIS), grazie all'interessamento del (OMISSIS), a visionare le armi oggetto della trattativa; inoltre, si era fatto portavoce del prezzo proposto dal gruppo acquirente presso i fornitori. Dal canto suo, il (OMISSIS), pur ristretto presso il suo domicilio, non solo aveva negoziato il prezzo e le condizioni di vendita, ma aveva anche organizzato gli incontri tra i fornitori, (OMISSIS) e (OMISSIS) per visionare la merce. Questi ultimi due imputati, oltre a recarsi personalmente a visionare le armi, ed a discuterne delle condizioni di vendita, si erano adoperati, al pari del (OMISSIS), per reperire la liquidita' necessaria e gli acquirenti finali. Pertanto, non si e' trattato, secondo la descrizione fatta dai giudici di merito, di un semplice fatto di essersi accordati con altri in relazione alla commissione di un reato a cui non e' seguita la messa in atto del proposito criminoso (articolo 115 c.p.), bensi' di avere compiuto sistematicamente un'attivita' materiale improntata a serieta' e concretezza, alla realizzazione della quale ciascun coimputato ha apportato un contributo tanto di carattere materiale che morale, volta all'attuazione di quel proposito criminoso. Le condotte evidenziate dai giudici di merito integrano, all'evidenza, il concorso materiale nel reato di cui alla imputazione. Sotto tale profilo, quindi, gli imputati hanno posto in essere una vera e propria attivita' di intermediazione, giuridicamente riconducibile nel concetto di "porre in vendita" di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1. Sul punto correttamente risulta richiamata dalla sentenza impugnata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui integra il reato previsto dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9 anche la semplice offerta in vendita delle armi, non essendo necessario che alla condotta dell'agente siano seguiti effetti traslativi della proprieta' o la materiale consegna del bene, ma solo che risulti accertato lo svolgimento di trattative serie tra i soggetti interessati alla negoziazione (Sez. 1, n. 10071 del 25/06/2014, dep. 2015, Rv. 262691), ed ancora a mente della quale lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni senza licenza integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 (mod. dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9), ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta diponibilita', nei potenziali contraenti delle armi e del denaro o l'accettazione dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, Sentenza n. 5570 de111/11/2011, dep. 2012, Rv. 251835; in termini con riguardo al (OMISSIS) in sede cautelare, vedi Sez. 5, n. 21235 del 2017). Quanto al ricorrente, poi, sebbene legittimamente in un'ottica difensiva si e' tentato di parcellizzarne la posizione al fine di escludere la pregnanza contenutistica del contributo offerto, la lettura unitaria della vicenda correttamente operata dai giudici di merito ne consente di apprezzare il rilievo causale (anche in termini di rafforzamento dell'operato degli altri correi), vertendosi in un'ipotesi in cui tutti i contributi nelle diverse forme prestati, vertenti alla realizzazione dello stesso fine, assumono valenza punibile, in ossequio al principio della tipizzazione unitaria del concorso di persone nel reato, basata sul criterio dell'efficienza causale della condotta di ciascun concorrente, non essendo richiesto che tutti pongano in essere la condotta tipica. 5. Il quinto motivo in ordine alla sussistenza del delitto di cui al capo 24) e' generico. Invero, l'affermazione di responsabilita' non solo poggia sull'affermazione, particolarmente significativa in ragione dell'autorevolezza del personaggio e del contesto riservato in cui e' riferita, del (OMISSIS), il quale rende noto ai conversanti che anche il ricorrente gli aveva affidato in custodia le sue armi, ma e' altresi' avvalorata, quanto alla sua pregnanza contenutistica, da precisi riferimenti che attengono anzitutto alla convergenza dei dialoghi sulle armi ed alla piena capacita' del (OMISSIS) tanto di assurgere a mediatore di "sistema", quanto di risultare un possessore di armamentari di spiccato rilievo. Inoltre, e si tratta di un ulteriore elemento significativo in quanto attualizza l'affermazione del (OMISSIS) nel relativo contesto d'accusa, si precisa come il riferimento si collochi allorche' si stanno imbastendo delle trattative volte all'acquisto di armi e droga, in particolare il duo (OMISSIS) e (OMISSIS), attraverso l'intermediazione del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del ricorrente (i quali agiscono anche per mezzo di canali di rifornimento tra loro ulteriori e differenti), e' interessato principalmente alle armi da guerra, nel cui stock accetta di prendere "anche quelle brutte" o di tipo comune, meno interessanti per i loro acquirenti. Nel premurarsi, il (OMISSIS), di rassicurare gli acquirenti sulla bonta' della trattativa, precisa che armi del tipo evidentemente di quelle ricercate per l'occasione dai suoi interlocutori (principalmente armi da guerra, come si e' visto) il (OMISSIS) ed il ricorrente non ne possedevano attualmente in modo diretto, per il momento, mentre le armi di altro genere che erano state gia' in loro possesso erano nella disponibilita' detentiva del (OMISSIS), che le custodiva per loro conto. A riscontro di questa ipotesi, la sentenza impugnata richiama anche gli esiti del procedimento n. 1982/14 RGNR dda (le cui sentenze passate in giudicato sono state acquisite in atti e prodotte anche dalla difesa degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, che rimarcano il quantitativo particolarmente significativo di armi e munizioni e l'esistenza di un canale privilegiato di approvvigionamento e di una sfera clientelare ben affiatata), in cui venivano monitorati e videoripresi gli accessi continui nella proprieta' del (OMISSIS) dei personaggi rientranti nel circuito criminale di tale imputato, che ivi si recavano per portare o, viceversa, per acquistare armi e droga, che risultavano detenute o in un casolare/rudere prospiciente alla sua dimora, utilizzato dagli imputati quale deposito per il predetto materiale, oppure - per brevissimi spazi temporali - appoggiati provvisoriamente presso la stessa sua dimora (si cita, tra i tantissimi scambi videoripresi, quello relativo al fucile d'assalto Ak 180 cal. 5,56 mm con matricola parzialmente illeggibile trasportato dentro l'abitazione del (OMISSIS) da Papaluca Emanuele e ricevuto dalla (OMISSIS), odierna imputata, moglie del (OMISSIS), unitamente ad una pistola e poi ritirato e trasportato da (OMISSIS) fuori dall'abitazione del (OMISSIS) - e sequestratogli il (OMISSIS) - a testimonianza della sua abitudine a detenere in proprio e per conto terzi simili materiali. 6. Il sesto motivo relativo al capo 26) della rubrica, in merito all'attivita' finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina ed alla sussistenza del tentativo punibile, e' infondato. Invero, la sentenza impugnata ha precisato come la deduzione, secondo la quale dalle conversazioni oggetto di captazione non emergerebbe una chiara attivita' tra i colloquianti finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente, risulti smentita dal tenore dei colloqui captati, nel corso dei quali si fa specifico riferimento all'acquisto non solo della marijuana, ma anche della "polvere", la cocaina appunto, come risulta chiaro dai riferimenti del (OMISSIS), che propone ai suoi interlocutori di pagare una parte del corrispettivo delle armi, tramite la cessione anche di cocaina e specificamente proponendo a (OMISSIS) di acquistare droga da trattare, evidenziando in proposito la necessita' di "assumere" un altro ragazzo per finire in tempo il lavoro. Lo stesso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) riferivano al (OMISSIS) di aver visionato in occasione della visita ai fornitori con il Lanari, oltre alle armi, marijuana e lo stesso (OMISSIS) in proposito precisava agli interlocutori di effettuare per l'acquisto una controproposta ad un prezzo inferiore; inoltre, oltre a tale trattativa vi era in corso anche un'altra trattativa avviata anche con fornitori di nazionalita' albanese contattati dal ricorrente. La predetta operazione di finanziamento, a mezzo del procacciamento anche della cocaina, si legge nelle stesse parole del (OMISSIS) e si realizza sempre attraverso il pieno coinvolgimento del ricorrente. Peraltro, a riprova della serieta' e dello stato di avanzamento della trattativa, la sentenza impugnata, a riscontro che lo stupefacente in arrivo era del "materiale", gia' dentro casa del (OMISSIS), come dallo stesso ammesso, o comunque trattabile con i sistemi ed i mezzi ben conosciuti a detto coimputato, di cui egli era gia' in possesso, cita anche la condanna definitiva del predetto e della moglie nel procedimento penale antecedente a quello odierno (n. 1982/2014 RGNR) per la detenzione a fini di spaccio di grammi 600 di cocaina, accertata il 22 marzo 2014, e di grammi 1.029 di cocaina rinvenuta e sequestrata il 24 marzo 2014 presso il rudere/casolare antistante l'abitazione dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), da cui sono risultati ricavabili 49.416,6 mg di principio attivo puro e ricavabili 320,4 dosi medie singole. Si tratta, infatti, di un periodo di poco contemporaneo alle trattative in atto per l'acquisto di ulteriori partite di cocaina da utilizzare quale merce di scambio o di finanziamento dell'operazione di acquisto per le armi da dirottare verso il mandamento fonico con l'intermediazione dei concorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS). Pertanto, correttamente il giudice del merito ha ricondotto la corposa contrattazione, sebbene non conclusa, alla figura del tentativo, alla luce del numero di incontri anche rischiosi tra le parti, della visione della merce, delle trattative per mezzo anche di contatti esterni al ristretto gruppo criminale agente, dei continui tentativi di reperire, anche a mezzo dei finanziatori, quanto necessario a comprare l'intera partita di armi da guerra di vario genere, sia pure mediante il ricavato della vendita della droga, del passaggio di parziali somme di denaro dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e dal (OMISSIS) al (OMISSIS) per la formazione di una liquidita' iniziale su cui contare per ottenere parte delle armi e della droga da acquistare anche per il gruppo (OMISSIS) (a tale proposito si richiamano anche i "desiderata" espressi dai coimputati (OMISSIS) "affascinati dall'idea del possesso e dell'acquisto di mitra da guerra", vedi pag. 205, 217 e 219 della sentenza impugnata). Tali elementi, nei limiti del sindacato demandato a questa Corte volto a verificare l'esistenza di una logica motivazione in ordine ai punti censurati, risultano idonei a dar conto della sussistenza di un valido compendio probatorio in ordine al reato contestato. Peraltro, anche riguardo a tale ipotesi di reato, la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando riter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018, Rv. 273961; in termini con riguardo alla vicenda cautelare, Sez. 5, n. 21235 del 2017). 7-8-9-10 e 11. I motivi dedotti in tema di sussistenza, rispetto ai delitti di cui ai capi 23) e 26) della rubrica, dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sono inammissibili e/o infondati. Quanto ai dedotti vizi di legittimita' in ordine alla sussistenza dell'aggravante speciale con riguardo ai delitti in materia di armi e di droga (limitatamente ai capi 23 e 26, essendo stata esclusa con riguardo al capo 24 gia' dal primo giudice), va anzitutto precisato che le doglianze sono inammissibili per carenza di interesse laddove censurano la circostanza nella declinazione del metodo. Invero, sebbene nel capo di imputazione sia stata elevata, in relazione a tutti i delitti fine, in modo disgiuntivo ("ovvero") la contestazione tanto per essersi avvalsi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis c.p. (metodo), quanto al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo (agevolazione), gia' il primo giudice ha ritenuto configurabile l'aggravante speciale esclusivamente con riguardo alla finalita' di agevolazione della locale di âEuroËœndrangheta, per come si legge a pag. 436 e ss. della relativa sentenza. Quanto, invece, all'agevolazione, osserva il Collegio che la motivazione ha dato ampiamente conto delle ragioni per le quali e' stata ritenuta l'aggravante speciale in favore della compagine facente capo al (OMISSIS); sono stati, infatti, menzionati i dati della pluralita' di trattative illecite in essere tra i due, le caratteristiche e le quantita' di armi - comuni e da guerra - e droghe pesanti e leggere - oggetto del commercio illecito, ponendo in luce, in modo conseguenzialmente coerente, la necessita' di poter contare su ingenti risorse finanziarie da parte degli acquirenti, di cui la cosca aveva la disponibilita', nonche' i notevoli guadagni che ne avrebbe ricavato tramite la vendita, tesi ad aumentare il potere ed il prestigio criminale del nascente gruppo. In tale cornice, e' stata sottolineata la costanza di rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dirigente del sodalizio mafioso, che in quel frangente storico stava realizzando il progetto criminale di dare vita ad un proprio autonomo sodalizio delinquenziale, con l'appoggio della famiglia (OMISSIS). Peraltro, sul punto, va rimarcato come questa Corte abbia affermato che integra la circostanza aggravante la condotta di agevolazione del vertice di un'associazione mafiosa che, in ragione della coincidenza tra interessi del capo, beneficiario della condotta, e quelli dell'associazione, si traduca in un ausilio al sodalizio criminale nel suo complesso (Sez. 5, n. 36842 del 10/06/2016, Rv. 268018). Nel caso in esame, plurimi sono gli elementi indicati dai giudici di merito (vedi anche in particolare la parte della sentenza impugnata dedicata alla cosca (OMISSIS)) che danno conto di una obiettiva "inscindibilita'" tra gli interessi perseguiti dal (OMISSIS) e l'omonima cosca di riferimento, a favore della quale le molteplici attivita' illecite erano finalisticamente dirette. Concorre, poi, ad avvalorare, sul piano soggettivo, l'attribuzione al ricorrente dell'aggravante speciale - nel senso di ritenere che egli abbia agito in base a tale finalita' o comunque l'abbia condivisa e fatta propria - anche lo specifico contesto di criminalita' organizzata descritto dai giudici di merito in cui i reati vengono a collocarsi. In particolare, si e' precisato come il traffico di armi costituisse il viatico per implementare la forza di potere e di capacita' intimidatoria delle cosche della fonica interessate al loro acquisto e delle cosche della tirrenica (in primis quella rappresentata dal (OMISSIS)) e destinato, negli intenti degli imputati, a creare un canale stabile di rifornimento a cui stavano dando vita soggetti ben calati in detto contesto risultando gia' condannati per associazione mafiosa ( (OMISSIS), (OMISSIS) e lo stesso ricorrente) o contigui a tali consessi ovvero additati di essere "fedeli emissari delle organizzazioni territoriali di riferimento" (il duo (OMISSIS)- (OMISSIS)). I continui riferimenti nel compendio intercettivo alla "comune appartenenza mafiosa", quale comune determinatore di un'iniziativa destinata a ripetersi nel tempo proprio in ragione dell'affidabilita' "soggettiva" dei rispettivi partecipanti, in ragione della storiografia criminale da ciascuno annoverata e dei legami, anche parentali, annoverati con le varie cosche di interesse, danno ragionevolmente conto di come ciascuno avesse ben presente la chiara finalizzazione di agevolazione mafiosa della rispettiva condotta, stante anche l'assenza di una lettura alternativa priva delle necessarie probanti allegazioni. Ne', poi, per come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, osterebbe al riconoscimento dell'aggravante l'individuazione di una sola cosca di âEuroËœndrangheta favorita, ben potendo la finalita' agevolativa investire piu' "famiglie" mafiose, soprattutto allorche' ci si trova al cospetto di un'organizzazione a matrice unitaria raggruppatasi sotto l'organo di vertice costituito dal direttorio "la cd. Provincia" a capo dei tre mandamenti jonico, tirrenico e della citta' di Reggio Calabria (Sez. 5, n. 48676 del 14/05/2014, Rv. 261912). L'aver poi accertato come l'acquisto della droga fosse funzionale a finanziare quello delle armi, costituente il viatico per implementare la forza di potere e di capacita' intimidatoria delle cosche di âEuroËœndrangheta che, quale compenso, avrebbero ricevuto parte dell'arsenale, cosi' incrementando il bottino di armi detenute per conto di tutti, da' correttamente conto della sussistenza dell'aggravante speciale stante la necessaria strumentalita' tra i due reati ed il loro collegamento finalistico, per come, peraltro, gia' accertato nella sentenza passata in giudicato della Corte di appello di Reggio Calabria emessa a carico di (OMISSIS) e dei coimputati del (OMISSIS) nel procedimento n. 1982/14 RGNRDDA. 12. Il dodicesimo motivo di ricorso relativo alla prescrizione del reato di cui al capo 26) e' inammissibile poiche' si fonda su una prospettata insussistenza dell'aggravante speciale che invece non e' stata neppure esclusa in questa sede; inoltre, la censura omette di tenere conto delle numerose sospensioni legali della prescrizione pure intervenute nel corso del processo (quantificate in complessivi giorni 929) di cui e' stato dato atto espressamente in sentenza. 13. Il tredicesimo motivo di ricorso in ordine alla recidiva e' manifestamente infondato, risultando la Corte di merito avere indicato le specifiche ragioni a sostegno dell'aumento di pena e della persistenza della maggiore capacita' a delinquere dell'imputato. I precedenti annoverati dall'imputato - tra i quali si sono indicati la condanna per associazione mafiosa ed il riconoscimento della finalita' agevolatrice in ordine al delitto di usura, unitamente all'applicazione ed alla violazione reiterata delle misure di prevenzione - risultano logicamente dimostrativi di una stile di vita caratterizzato da contatti con ambienti criminali mafiosi e, pertanto, si legano con i fatti oggetto del presente giudizio quale rinnovata conferma di una maggiore pericolosita' sociale. 14. L'ultimo motivo di ricorso in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. Invero, nessun vizio di illogicita' sconta la sentenza impugnata per avere riservato una motivazione unitaria al relativo diniego, tenuto conto che il profilo ostativo attinente alla particolare gravita' dei reati accomuna piu' ricorrenti, in quanto commessi in concorso tra loro. Peraltro, con riguardo specifico alla posizione dell'imputato, si sono richiamati anche i precedenti penali, di indubbia gravita' e tanto basta a rendere congrua la motivazione, alla luce del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62-bis c.p. e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163). 15. Nulla aggiungono i motivi aggiunti di decisivo ai fini dell'accoglimento delle censure svolte con il ricorso principale. (OMISSIS); Il ricorso e' fondato nei limiti di cui in motivazione. Infondato nel resto. 1. Il primo motivo in ordine alla partecipazione del ricorrente alla locale di (OMISSIS) e' infondato. In punto di fatto, la Corte di merito, anche mediante il richiamo della sentenza di primo grado, ha ripercorso analiticamente le risultanze processuali che risultano fondate: sulle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS) e (OMISSIS) Lorenzo; sulle intercettazioni delle comunicazioni fra presenti realizzate all'interno dell'abitazione di Landini Giuseppe e sulla contestuale individuazione degli interlocutori attraverso una videocamera posta all'interno di un palo per l'illuminazione pubblica collocato nei pressi di detta abitazione. Con particolare riguardo alla posizione del ricorrente, il collaboratore (OMISSIS) ha dichiarato che tale (OMISSIS), un tabaccaio con un negozio sito a (OMISSIS) salendo verso la montagna, faceva parte della cosca, subordinato al capo cosca (OMISSIS), ed ha riconosciuto la persona da lui indicata nel (OMISSIS), che effettivamente ha una rivendita di tabacchi a (OMISSIS) nella zona indicata da (OMISSIS). Il secondo elemento valorizzato nella sentenza impugnata e' rappresentato dal contenuto di una conversazione fra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso della quale il primo elenca gli affiliati storici alla cosca di (OMISSIS) e gli anziani ancora operativi, citando "quello dei tabacchi, quello infamone"... a (OMISSIS), (OMISSIS) lo ha portato", che e' stato inteso come chiaro riferimento a (OMISSIS), subordinato al (OMISSIS). Sono indicati, poi, i riscontri costituiti dalla accertata frequentazione, da parte del ricorrente, del (OMISSIS) e di altri pregiudicati, nonche' dalle affermazioni di (OMISSIS) secondo cui il ricorrente utilizzava la sua rivendita di tabacchi per rifornire la criminalita' organizzata di schede telefoniche intestate a terze persone e quindi idonee ad eludere le investigazioni. La sentenza impugnata ha dunque indicato una serie di elementi dotati di particolare significato indiziante, la cui convergenza e combinazione logica consentono di avvalorare la chiamata in correita' rivolta dallo (OMISSIS) al ricorrente. A tale riguardo, rileva, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, anche l'accertata frequentazione del ricorrente proprio con il (OMISSIS), il quale a detta del collaborante l'avrebbe "portato" all'interno della cosca di âEuroËœndrangheta. Se infatti le mere frequentazioni con soggetti pregiudicati non possono valere di per se' quale esclusivo elemento dimostrativo della partecipazione, cio' non toglie che possano assumere valenza di riscontro alla chiamata in correita' allorche' confermative di una circostanza narrata dal collaboratore. Peraltro, nel caso in esame, la rilevanza di tale frequentazione ai fini della prova del narrato del collaboratore e' anche ulteriormente confermata dal riferimento all'esistenza del rapporto di cosca che lega il ricorrente con il (OMISSIS) che si trae dalle intercettazioni ambientali effettuate a casa del (OMISSIS), di particolare significato probatorio in quanto provenienti da un soggetto storicamente a pieno titolo facente parte della cosca di (OMISSIS) che conversa con altri soggetti ad essa intranei (il (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS), nonche' la moglie (OMISSIS)). La circostanza, poi, che proprio un esponente autorevole come il (OMISSIS) abbia definito il ricorrente, durante la conversazione, un "infamone", termine generalmente utilizzato per indicare un traditore o un delatore e, a detta della difesa, certamente non un associato mafioso, non si pone affatto in termini di inconciliabilita' logica con il riconoscimento della qualifica di associato in quanto la sentenza impugnata, mediante una lettura unitaria di quanto captato, ha evidenziato come tale termine sia stato riferito dal (OMISSIS) anche a soggetti ai quali era stata addirittura attribuita la "Santa". Pertanto, anche laddove non si ritenesse logica la conclusione della sentenza impugnata laddove giunge ad assegnare a tale termine non il significato di tradimento, bensi' di caratura criminale, resta il fatto, indubbio, che il ricorrente, nell'ambito della ricognizione degli accoliti che il (OMISSIS) faceva nell'ottica di costituire una sua autonoma compagine, sia stato chiaramente additato come partecipe alla locale, in cui era entrato per iniziativa del (OMISSIS), per come riferito, in modo del tutto convergente, dal collaboratore (OMISSIS) che gli attribuisce anche la dote di "sgarrista", grado superiore al picciotto. Il fatto che il (OMISSIS), poi, sia rientrato o meno nelle "grazie" del (OMISSIS) poco importa, in quanto al ricorrente e' mossa l'accusa di avere fatto parte della locale di (OMISSIS) e non dell'articolazione interna riferibile al (OMISSIS) ed al suo progetto autonomista. La convergenza proveniente dal (OMISSIS) in punto di attendibilita' del narrato del collaboratore rende di conseguenza del tutto priva di decisivita' la doglianza attinente all'ipotizzato risentimento che lo (OMISSIS) avrebbe nutrito nei confronti dell'imputato in ragione di un rifiuto per un acquisto di sigarette avvenuto senza pagare, profilo che comunque la Corte di merito svaluta con motivazione non manifestamente illogica anche in ragione del fatto che l'accaduto non sarebbe avvenuto al cospetto di affiliati. Anche con riguardo al contenuto della condotta di partecipazione la sentenza impugnata sfugge ai vizi di legittimita' denunziati: per un verso si precisa, in termini logici, che l'attribuzione al ricorrente di una dota superiore a quella base di mero picciotto a disposizione e che ne ha determinato un avanzamento nella compagine sia necessariamente dipesa, per il contesto criminale di riferimento, da meriti acquisiti proprio nella realizzazione di compiti ed attivita' funzionali agli interessi ed obiettivi illeciti perseguiti dalla cosca; per altro si valorizza la capacita' del ricorrente di rifornire i criminali di identita' telefoniche sicure, anche con il ricorso al commercio in nero, come la contravvenzione per abusivo gioco d'azzardo presso il suo locale confermerebbe, dimostrativa della sua propensione ad esercitare ivi anche attivita' non ufficiali e non registrabili dal punto di vista dei commerci assentiti e regolari. 2. Fondato, invece, risulta il secondo motivo con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo, la Corte ha fondato il diniego sul rilievo che si tratterebbe di una affiliazione "fiduciaria" da parte di maggiorenti del gruppo risalente nel tempo e sostanziata da condotte di vita che consentivano l'anonimato a pericolosi personaggi, esecutori di atroci crimini. Con riguardo al primo profilo di disvalore legato alla condotta di partecipazione, si tratta di un'affermazione generica in quanto non accompagnata dai necessari elementi di specificazione tanto con riguardo alla insistenza temporale che alla natura "fiduciaria" del vincolo. Inoltre, con riguardo ai comportamenti dimostrativi di soggettiva capacita' criminale, quello di avere fornito schede telefoniche di copertura viene legato, in punto di disvalore, all'esecuzione di atroci crimini, circostanza quest'ultima indimostrata e dunque del tutto assertiva. 3. Anche il terzo motivo con cui si lamenta l'omessa motivazione in ordine alla durata dell'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata (obbligatoria nel caso di specie) risulta fondato, non avendo la Corte di merito esaminato il relativo motivo di appello articolato sul punto dal ricorrente (n. 5, pag. 23 dell'atto di appello) e dovendo il giudice del merito dare conto, anche succintamente, delle ragioni in forza delle quali stabilisce il limite di durata della misura di sicurezza. Se, infatti, in tema di associazione di tipo mafioso, l'applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall'articolo 417 c.p. non richiede da parte del giudice della cognizione di merito l'accertamento in concreto della pericolosita' del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarieta', il giudice e', invece, tenuto a motivare adeguatamente in ordine al corretto uso del potere esercitato quanto alla determinazione, superiore al minimo di legge (quale e' il caso in esame), della durata della misura applicata (Sez. 2, n. 23797 del 17/07/2020, Rv. 279486). 4. Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Va, invece, rigettato il ricorso nel resto e dichiarata, ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione (mancanza e/o apparenza) sul rilievo di un'acritica copiatura della sentenza del primo giudice, e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, con una tecnica espositiva riferibile a tutte le posizioni degli imputati, ha dapprima evidenziato, mediante l'espresso richiamo a quella di primo grado, gli elementi probatori posti a carico del ricorrente, per poi passare ad esaminare i motivi di appello, dedotti in modo specifico facendo riferimento alle diverse censure sollevate, in relazione alle quale ha fornito adeguata motivazione (in particolare quanto al ruolo attribuito al ricorrente si veda sub 2-3-4. ultimo cpv.; con riferimento alla permanenza della condotta di partecipazione contestata si veda sub 10). Il richiamo, pertanto, della decisione del primo giudice non priva affatto di alcuna autonomia grafica e valutativa la sentenza impugnata che si "nutre" di diffuse argomentazioni aventi carattere autonomo e critico. 2-3-4. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso - che possono trattarsi unitariamente stante la stretta connessione delle questioni poste attinenti alla sussistenza della contestazione associativa ed alla partecipazione del ricorrente a tale consesso di stampo âEuroËœndanghetista - sono generici e manifestamente infondati. Quanto alla condotta di partecipazione del ricorrente all'omonima cosca di âEuroËœndrangheta, la Corte territoriale, lungi dall'operare una sorta di non consentita "traslazione" temporale tra i precedenti giudicati per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. (cd. processi Il (OMISSIS) e (OMISSIS), che coprono il periodo sino all'11/1/2012) e le prove in quei procedimenti acquisite, ha invece fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall'imputazione, sicche' l'esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo' rilevare solo quale elemento significativo di un piu' ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all'interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Rv. 275586). Al riguardo, infatti, la sentenza impugnata ha indicato una serie di elementi, di particolare significato e dotati di novum, che consentono di ritenere mai interrotta l'adesione dell'imputato all'omologo consesso mafioso, del quale si e' asseverata la persistenza. Cosi', a detti fini, rileva anzitutto ed in modo particolare l'episodio estorsivo di cui al capo 80) della rubrica ai danni della ditta del (OMISSIS), essendosi evidenziato come si trattasse della "ripresa" di un'attivita' estorsiva gia' in essere prima che l'imputato venisse arrestato a cagione delle pregresse accuse e che aveva formato gia' oggetto di contestazione e condanna proprio nel procedimento che aveva asseverato la partecipazione del ricorrente all'omonima cosca (c.d. processo (OMISSIS) ove il ricorrente veniva condannato oltre che per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., anche per le estorsioni continuate aggravate commesse ai danni di (OMISSIS), nella qualita' di gestore di fatto dell'impresa boschiva intestata al padre (OMISSIS)). E che si trattasse di un'estorsione di cosca e' correttamente tratto non solo dai chiari riferimenti contenuti nelle intercettazioni ove e' lo stesso imprenditore soggiogato a collegare tale iniziativa ad una vicenda estorsiva non ancora sopita, nonostante le denunce poi ritrattate a seguito di danneggiamenti ritorsivi, ma anche perche' la pretesa doveva comprendere quanto dalla ditta percepito per l'esecuzione di lavori aggiudicati nel periodo di detenzione del ricorrente. Volere conto dei lavori illo tempore eseguiti significa che la vicenda estorsiva non si e' mai interrotta, a prescindere dalla carcerazione subita dal ricorrente. Una richiesta, pertanto, che rinveniva una precisa causale nella persistenza del pizzo imposto dalla cosca su un'attivita' economica che aveva caratterizzato l'illecito agire di tale sodalizio per come giudizialmente accertato e per come ricavato dai chiari riferimenti operati a tale vicenda dallo stesso (OMISSIS) nel corso dei dialoghi intercettati che la colloca proprio nell'ambito delle estorsioni operate dalle cosche di âEuroËœndrangheta in quel territorio, al pari di quelle realizzate ai danni della ditta del (OMISSIS) che vedeva coinvolto altro appartenente della famiglia (OMISSIS) (capo 38 della rubrica) ed il cui placet, unitamente a quello del (OMISSIS), aveva consentito alla ditta (peraltro di provenienza territoriale "esterna") di lavorare in quel territorio. Insomma, una storia che si ripete con analoghe modalita' di imposizione del pizzo e del controllo dei lavori pubblici e privati, in cambio di una presunta guardiania sui beni delle ditte, tipico dell'agire dei consessi mafiosi di stampo âEuroËœndranghetista. La Corte territoriale supera, pertanto, con congrua motivazione, la lettura parcellizzata dell'episodio che offre (legittimamente) la difesa e lo cala nell'ambito di una situazione di fatto - asseverata anche autonomamente in questo processo (sulla scorta del captato del (OMISSIS) e dei diversi delitti fine commessi ascrivibili alla cosca (OMISSIS)) - caratterizzata da un'insistenza delle cosche sulle attivita' imprenditoriali locali e territoriali di riferimento in cui si colloca la condotta del ricorrente che, dunque, non puo' ritenersi avulsa, per quanto dagli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente riferito, dal contesto associativo di cui costituisce la diretta espressione. Del resto, il rimprovero mosso al (OMISSIS) di non essersi subito portato al cospetto del ricorrente appena uscito di prigione - per risolvere la questione e l'imbasciata dal primo operata verso l'imputato, per il tramite di uno dei suoi figli, affinche' si ragionasse, costituiscono ulteriori indici che qualificano il fatto estorsivo, conferendogli "l'esatto nome". La riconducibilita' di tale vicenda ad un contesto mafioso e, dunque, in continuita' col precedente giudicato, rinviene nella sentenza impugnata anche un'ulteriore conferma, laddove si riportano alcuni episodi che, pur non assurgendo alla soglia di reati fine, sono indicati come dimostrativi del fatto che il ricorrente, uscito di prigione, si comportasse come "capo mafia". Si citano, al riguardo, il messaggio, rivolto dall'imputato ad un tale per non avergli inviato i saluti in carcere, durante la detenzione, a differenza di quanto fatto da altri suoi congiunti. Un rimprovero che, in assenza di altre causali e del contesto di insieme, e' stato logicamente ricondotto ad una mancanza di rispetto che doveva essere prestato alla persona del ricorrente, per come avvalorato anche dagli allusivi riferimenti ai rapporti dell'imputato in quell'occasione evocati con i " (OMISSIS)" ed i " (OMISSIS)" ed al timore di possibili ritorsioni ai danni di chi tale codice d'onore non aveva rispettato; la pretesa, espressa con tono minaccioso e prepotente, di pagare alla meta' del prezzo quanto l'imputato si apprestava ad acquistare in un negozio di giocattoli; le pressanti richieste ai macellai della zona di comprare da lui la carne, come riferito dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), richieste che venivano esaudite in ragione del fatto che gli interlocutori, impauriti, erano ben consapevoli del suo spessore criminale. Si tratta, all'evidenza, di comportamenti di carattere "prevaricatorio" che, proprio per esser stati realizzati successivamente alla scarcerazione, si prestano ad essere interpretati come causalmente volti a riaffermare la presenza dell'autorita' del ricorrente e dell'omonima cosca sul territorio. A tale riguardo, e' importante sottolineare come lo stesso giudice del merito, a conferma della sua lettura, precisi come proprio nelle sentenze passate in giudicato, tra gli elementi evocativi dell'appartenenza al consesso mafioso, siano stati accertati altri comportamenti di tal genere, se non del tutto analoghi. Ma allora del tutto logico e conseguenziale e' legare, a tale rinnovato contesto di carattere impositivo, la vicenda estorsiva citata in premessa, ove la natura "qualificata" del reato e' del tutto coerente con la natura "mafiosa" di tali comportamenti volti a riaffermare il controllo del territorio ad opera della stessa famiglia che ivi aveva esercitato il potere. Ed a tanto il ricorrente poteva proprio per la posizione da sempre occupata nell'omonima cosca, circostanza a tutti nota, per come dalla sentenza esplicitato in forza dei dichiarati acquisiti dai soggetti menzionati nei vari episodi. Con la conseguenza che, se questo e' il contesto che fa sfondo al reato estorsivo, l'affermazione difensiva secondo cui - contrariamente al passato - i proventi li avrebbe intascati direttamente l'imputato senza finire nella "bacinella" a disposizione della cosca, non e' idonea a scardinare, sul punto, la logicita' della motivazione, avendo al proposito la Corte territoriale precisato come permanessero i connotati di agevolazione mafiosa seppur diversamente riferibili al diverso, ma parimenti rilevante fine, di riaffermare il potere âEuroËœndranghetistico della cosca (OMISSIS), cosi' agevolandone la sopravvivenza in via molto piu' efficace di un formale rituale âEuroËœndranghetistico (vedi oltre sub 7). Infine, a corredo dell'intraneita', sono state evidenziate anche le frequentazioni con altri coimputati, essendo stati censiti controlli sul territorio con il capo della locale (OMISSIS), lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) (con quest'ultimo nel segmento temporale coperto dalla odierna contestazione). Di conseguenza, privo di decisivita' e' il rilievo difensivo - tratto dalle dichiarazioni dello (OMISSIS) - dell'assenza di un battesimo e di una formale affiliazione del ricorrente. Nel caso in esame, la Corte di merito, anziche' partire dal dato formale, si e' mossa da quello sostanziale, in ossequio all'orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale non e' essenziale, in quanto cio' che rileva e' la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che possono emergere anche da significativi "facta concludentia" (ex multis, Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571; in termini, anche la giurisprudenza sull'affiliato "di fatto" ossia di colui che agisce con metodo mafioso contribuendo con la commissione di azioni delinquenziali poste in favore di se stesso e del gruppo di appartenenza e con spartizione dei proventi: Sez. 1, n. 6992 del 30/01/1992, Rv. 190658). In senso analogo, si e' affermato che, pur mancando la dimostrazione dell'inserimento formale, il giudice del merito puo' acquisire la prova del coinvolgimento attraverso la dimostrata partecipazione a delitti-fine ovvero ad altre attivita' della cosca che assumano significativita' tale da dimostrare proprio lo stabile inserimento nel contesto criminale di quel determinato gruppo mafioso, assumendo al contempo rilievo l'esistenza di un progetto delinquenziale che quel determinato gruppo si professa di realizzare attraverso il ricorso al metodo intimidatorio ed al clima di omerta' e collusione capace di imporre in un determinato territorio od ambiente operativo (Sez. 2, Sentenza n. 56088 de112/10/2017, Rv. 271698). Nessuna illogicita' "sconta", pertanto, la sentenza impugnata per avere affermato che "il battesimo qui e' dato dal territorio e dal riconoscimento della loro supremazia e potere, che viene vissuto come ineluttabile dai cittadini del piccolo comune di (OMISSIS), incapaci di denunciare tali soprusi". Tra l'altro, la censura in punto di valenza a discarico delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e' anche parziale, in quanto non si confronta con l'altra parte della sentenza, che assume rilievo anche ai fini della persistenza del delitto associativo, in cui si da' atto di come il collaboratore, pur non attribuendo ai (OMISSIS) affiliazioni formali, ne evoca il riconoscimento di gruppo mafioso insistente nel territorio, al quale, unitamente ai (OMISSIS), era stata riconosciuto il predominio sulle attivita' estorsive, condizione che si rammenta non era venuta meno nonostante le successive fratture tra i vari gruppi familiari facenti capo alla locale. Del resto, ad esclusione di qualunque profilo di illogicita' della motivazione resa sul punto, si precisa anche che lo stesso (OMISSIS), che pure si descrive come ritualmente affiliato, si reputa e si definisce come "appartenente", unitamente ad altri accoliti, ai (OMISSIS), dotati di rappresentativita' autonoma dagli (OMISSIS) e dai (OMISSIS). Quanto, poi, all'esistenza e persistenza dell'omonima cosca operante nell'ambito della locale di (OMISSIS), la Corte di merito, partendo dal notorio giudiziario e dalle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), ha operato una lettura unitaria dei vari episodi estorsivi oggetto del presente giudizio, con riguardo alle posizioni dei coimputati (OMISSIS), per cui e' stata ritenuta la continuazione - in relazione al reato associativo di cui al capo 1) e l'altro episodio estorsivo ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) - con lo stesso giudicato che interessa il ricorrente, e (OMISSIS), reo di avere commesso un'estorsione seguita da danneggiamento ai danni dell'imprenditore (OMISSIS), ritenuta aggravata ex articolo 416-bis.1 c.p. proprio perche' riconducibile al contesto di cosca di cui si e' detto (capi 81 e 82 della rubrica). A tali fatti si sono poi aggiunti altri episodi, tra i quali assumono rilievo anche quelli di carattere "prevaricatorio" in precedenza narrati, unitamente alle conversazioni captate presso l'abitazione del (OMISSIS), che avvalorano la contestazione dell'esistenza di un gruppo mai effettivamente sopito nell'ambito delle dinamiche illecite caratterizzanti il territorio oggetto di rispettiva insistenza, con particolare riguardo al settore delle estorsioni. In tale contesto, risultano certamente significativi, in quanto espressione dell'autorevolezza e del mutuo riconoscimento che la "cosca" (OMISSIS) rinviene anche negli altri organismi della cui qualificazione mafiosa non si discute, gli incontri avuti rispettivamente da (OMISSIS) e (OMISSIS) con rappresentanti della cosca (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine alla risoluzione di questioni coinvolgenti gli affari riferibili alle cosche di âEuroËœndrangheta (vedi pagg. 478 e 479). Infine, sulla scorta del narrato dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' di quanto captato presso l'abitazione del (OMISSIS), ha escluso, in aderenza con gli elementi di fatto sopra menzionati, che il gruppo (OMISSIS) fosse stato "confinato" in una realta' a se' stante, svincolata dal contesto di âEuroËœndrangheta, precisando come i conflitti del passato che avevano visto contrapposti, da un lato (OMISSIS)- (OMISSIS) a (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS), avevano trovato composizione avendo questi ripreso a spartirsi "il giogo estorsivo" anche in forza della loro risalente parentela, oltre che perdurante partecipazione associativa alla âEuroËœndrangheta, quale elemento territoriale di appartenenza e di risalente congiunzione. L'approccio ermeneutico seguito dai giudici di merito volto a rintracciare i comportamenti estorsivi o di "prepotenza" mafiosa del passato, per come giudiziariamente accertati, che da sempre hanno caratterizzato l'agire dei (OMISSIS) agli occhi della comunita' locale, per derivarne le similitudini e la continuita' con il presente, appare operazione giuridica e fattuale, in termini di accertamento dei fatti contestati, pienamente legittimita' e dotata di idonea efficacia probatoria e motivazionale. Con la conseguenza che l'affermazione in chiave difensiva che vuole i (OMISSIS) non "dare conto" allo (OMISSIS) non assume decisivo rilievo ai fini dell'esclusione della loro rilevanza mafiosa, essendo, al contrario, stata contestualizzata dalla Corte di merito nella "rappresentativita'" esterna che i (OMISSIS) si erano meritati sul campo. I (OMISSIS) erano dunque una "garanzia" di potere mafioso anche per i terzi e lo erano in quanto dotati di una percentuale risalente di "autonomia" dal resto della compagine mafiosa della locale di âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), rispetto alla quale erano pure percepiti dall'esterno come "un nome" autonomo a cui rivolgersi in caso di alleanze o richieste di autorizzazioni (al proposito si citano anche i riferimenti dell'altro collaboratore (OMISSIS)). In conclusione, il giudice del merito ha declinato idonei indici probatori ad asseverare tanto la continuita' della partecipazione del ricorrente all'omonima cosca di âEuroËœndrangheta, quanto della perdurante insistenza dell'omonima cosca sul territorio di rispettiva competenza. Ed a tale riguardo, non privo di rilievo risulta il riferimento giurisprudenziale citato dalla Corte di merito che attribuisce valore anche al dato parentale. Invero, con decisione resa proprio in relazione ad una cosca di âEuroËœndrangheta operante nel mandamento tirrenico, e' stato ritenuto logico affermare che, una volta accertata l'esistenza di una organizzazione delinquenziale a base familiare ed una non occasionale attivita' criminosa dei singoli esponenti della famiglia, nulla impedisce al giudice di attribuire alla circostanza che vi siano legami di parentela tra un soggetto e coloro che nella associazione occupano posizioni di vertice o di rilievo valore indiziante in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso (cosi', in parte motiva, Sez. 5, n. 50999 del 14/10/2014; conf., Sez. 5, n. 18491 del 22/11/2012, dep. 2013, Rv. 255431). Infine, con riguardo alla doglianza sul ruolo apicale o meno attribuito al ricorrente, la relativa censura e' inammissibile per carenza di interesse e poiche' non si confronta con la motivazione resa: la sentenza impugnata (vedi pagine 491 e 500 della sentenza impugnata), infatti, anche sulla scorta della determinazione della pena operata dal primo giudice e in aderenza col capo di imputazione che contesta al ricorrente la qualita' di componente, ha espressamente attribuito al ricorrente la figura del mero partecipe. 5. Il quinto motivo in tema di sussistenza dell'aggravante di essere l'associazione armata e' inammissibile poiche' finisce per riprodurre l'analoga censura mossa con i motivi di appello, a fronte di pertinenti argomentazioni spese al riguardo dalla Corte di merito. La sentenza impugnata, infatti, partendo dall'esclusione dell'esistenza di un'insanabile frattura dei (OMISSIS) con i gruppi riferibili a (OMISSIS)- (OMISSIS) ed anzi valorizzando l'elemento di congiunzione costituito dalla rinnovata intesa nel settore estorsivo con costoro raggiunta, ha correttamente operato una lettura unitaria delle diverse âEuroËœndrine facenti parte della locale, in capo alla quale si e' accertata la diffusa disponibilita' di armi di cui potevano disporre, all'occorrenza, gli associati, anche in ragione di comuni canali di riferimento (si pensi all'armiere (OMISSIS)). Peraltro, proprio con riguardo ai (OMISSIS), quale elemento rivelatore anche della consapevolezza in capo al ricorrente della disponibilita' di armi, sono state indicati i traffici di armi effettuati dallo (OMISSIS) (appartenente, per sua stessa ammissione, alla cosca (OMISSIS)) relativi al commercio di fucili con matricola abrasa e pistole in favore del (OMISSIS), armi procurate dall'armiere (OMISSIS) (si tratta delle vicende di cui ai capi 2 e ss. della rubrica), nonche' le stesse modalita' con cui era avvenuto l'omicidio, commesso dal figlio del ricorrente sparando dei colpi di pistola, di (OMISSIS) e (OMISSIS). La mancata contestazione del possesso di armi in capo al ricorrente nel presente procedimento non e', dunque, idonea ad elidere la contestata aggravante, che impone un diverso trattamento sanzionatorio proprio in forza della generica disponibilita' o agevole reperimento di armi da parte degli associati, condizione questa ben evidenziata dalle sentenze di merito che hanno messo piu' volte in risalto come non solo i diversi componenti della locale fossero armati (al riguardo basti pensare ai numerosissimi capi di imputazione all'uopo elevati), ma vi fosse un canale di approvvigionamento aperto nel "settore" utilizzato anche da soggetti gravitanti o provenienti da diverse cosche del mandamento. A conferma delle conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di merito, va evidenziato che questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide, ha affermato che, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'aggravante della disponibilita' di armi, di cui all'articolo 416-bis c.p., commi 4 e 5, e' configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino. (Fattispecie relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule "locali" di âEuroËœndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilita' dell'anzidetta aggravante, e' necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula "locale" che abbia la concreta disponibilita' delle armi - Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Rv. 276831). 6-7. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso relativi alla sussistenza e corretta qualificazione dell'ipotesi estorsiva di cui al capo 80) della rubrica sono manifestamente infondati. Per come evidenziato a proposito del paragrafo dedicato alla persistenza dell'omonima cosca (OMISSIS) ed alla partecipazione in seno ad essa del ricorrente, l'estorsione di cui al capo 80) della rubrica costituisce prosecuzione di analoga condotta, ai danni della stessa p.o., ritenuta, con effetto di giudicato, gia' caratterizzata, per metodo ed agevolazione, dall'aggravante mafiosa; in sostanza, ne segue la traccia euristica e si "nutre" della pregressa valenza causale delle minacce rivolte alla vittima, la quale, rea di avere denunciato, era stata anche punita subendo il danneggiamento dei beni della sua ditta. E che tale fosse la situazione allorche' il ricorrente rinnovo' la pretesa estorsiva si ricava in modo chiaro dai dialoghi che la p.o. ha con il (OMISSIS), dal quale emerge come il timore di subire ritorsioni, financo di carattere personale, laddove non avesse acceduto alla reiterata tangente, fosse ben presente alla mente della vittima, tanto da aver determinato la corresponsione del pizzo. Del resto, tale stato di soggezione e timore si ricava anche dal comportamento assunto dal (OMISSIS) allorche' ha notizia che il ricorrente sia stato scarcerato ed ha ripreso a girare nel Paese; si precisa, infatti, in sentenza, come la p.o. si guardo' bene dall'incontrare l'imputato, tanto da venire da questi poi rimproverata per non essersi portata al suo cospetto. Nel reato di estorsione, ha piu' volte precisato questa Corte, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioe' privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, Rv. 272884). La circostanza, poi, dedotta dalla difesa che vuole i (OMISSIS) non minacciati dal ricorrente in forza del fatto che il danneggiamento subito nel 2009 e' stato commesso dal collaboratore (OMISSIS) (cognato dell'imputato), non e' affatto decisiva, in quanto la sentenza impugnata, anche mediante il richiamo dei dialoghi intercettati, ha precisato come alla p.o. fosse ben chiaro come la ritorsione in passato subita per avere denunciato l'estorsione subita, portando all'arresto dell'odierno ricorrente, fu determinata dai (OMISSIS). Del resto, tale affermazione rinviene un elemento confermativo proprio nella circostanza che la difesa adduce quale elemento a discarico: il fatto che, a seguito all'arresto dell'imputato, il danneggiamento ai beni della p.o. fu realizzato dallo (OMISSIS) e' espressivo di come quell'estorsione, lungi dall'essere un fatto illecito "privato" ascrivibile al ricorrente, fosse al contrario, ritenuta un affare di cosca, tanto che al gesto ritorsivo viene incaricato lo (OMISSIS), il quale, per sua stessa ammissione, fa parte della cosca (OMISSIS) ed era deputato a commettere azioni di tal genere. Infine, l'ulteriore rilievo che i "piccioli" pretesi dal ricorrente non fossero stavolta finiti nelle tasche della cosca non e' parimenti decisivo ai fini dell'esclusione dell'aggravante speciale nella forma dell'agevolazione, in quanto la sentenza impugnata, con motivazione congrua con cui il motivo di ricorso non si confronta specificamente, ha precisato come, con tale condotta, si realizzasse l'asservimento del territorio ai voleri mafiosi e dunque si agevolava la cosca, per come avvalorato anche dai ripetuti comportamenti di carattere prevaricatore assunti dal ricorrente al fine di dimostrare coram populo la sua rinnovata egemonia nell'ambito dell'omonima cosca. Anche laddove si ritenesse pertanto che i proventi di questa specifica estorsione siano stati trattenuti, contrariamente al passato, dal ricorrente, vi sarebbe comunque una riaffermazione del potere âEuroËœndranghetistico della cosca (OMISSIS) idoneo a rafforzarne metodo e capacita' impositiva e quindi ad agevolarne la sopravvivenza in via molto piu' efficace di un formale rituale âEuroËœndranghetistico. 8. L'ottavo motivo di ricorso in punto di sussistenza della recidiva e' manifestamente infondato. 8.1. Invero, la sentenza impugnata, con congrua motivazione (vedi pag. 495), ha dato atto di come i reati di cui al presente giudizio siano espressivi di un'accentuata pericolosita' sociale del ricorrente ponendosi in perfetta continuita' - anche tipologica - con i precedenti penali specifici, dimostrativi di un vissuto dettato dalla persistente scelta di "sposare da decenni la regola âEuroËœndranghetista come unica e basilare opzione di vita e di sussistenza". 8.2. Inammissibile, invece, perche' non dedotto in appello (vedi pagg. 17, 18 e 19 atto di appello) e comunque perche' l'aumento apportato e' conseguenza anche della recidiva reiterata e specifica, e' la censura relativa alla mancata esclusione della recidiva infraquinquennale. 9. Il nono motivo di ricorso in tema di diniego delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato. Gli indici positivi addotti risultano generici e, comunque, la motivazione in forza della quale se ne e' addotta la mancata concessione e' pienamente congrua, alla luce della gravita' dei fatti commessi, in quanto riferibili ad un contesto di carattere mafioso alla cui persistenza tali condotte sono volte, nonche' al vissuto del ricorrente, espressivo di una scelta delinquenziale di carattere immanente, alla luce dei precedenti penali specifici annoverati, ai quali si aggiunge anche, quale ulteriore indice di disvalore, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale che risulta essere stata al ricorrente applicata ed in costanza della quale ha commesso il reato estorsivo. 10. Il decimo motivo di ricorso, che rinviene ulteriori sviluppi nella memoria depositata e relativo alla correttezza del trattamento sanzionatorio inflitto in relazione al perimetro della permanenza del delitto associativo, e' manifestamente infondato. La Corte territoriale, con riferimento al tempus commissi delicti, ha correttamente ricostruito il reato di cui al capo 1) della rubrica, in aderenza alla specifica contestazione elevata al ricorrente ("dall'11.1.2012 in poi"), in termini di attuale permanenza dalla precedente condanna del 2012 sino alla data della sentenza del GUP (16/10/2017), sulla base di precisi indici dimostrativi. Al riguardo, errato e' il riferimento al fatto che la condotta del ricorrente si arresterebbe al settembre 2014 con la consumazione del reato estorsivo. Cio' che rileva, infatti, e' l'appartenenza al sodalizio, condotta che non si esaurisce con quella della commissione del singolo delitto fine pur rientrante nel programma associativo, ma si concreta - per come recentemente ribadito dalle S.U. di questa Corte (sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889) - per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua âEuroËœmessa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Peraltro, a conferma della partecipazione, i giudici del merito, come evidenziato nei precedenti paragrafi, hanno evocato molteplici comportamenti di carattere prevaricatorio ed additati di significanza mafiosa, realizzati anche dopo l'estorsione commessa ai danni dei (OMISSIS) (all'11/4/2015 sono riferibili le "doglianze" del Guerrisi; le confidenze del Prestileo sono collocate nel dicembre 2014). Cio' che conta, pertanto, ai fini della corretta delimitazione del periodo temporale e' che i giudici di merito abbiano motivatamente dato conto che, proprio attraverso quei comportamenti (uniti anche a. quelli degli altri coimputati aventi lo stesso nomen), si sia rinnovata in modo evidente la persistenza dell'omonima cosca sul territorio, corredata dalla sua fama e potere locale. In assenza, pertanto, di chiari indici fattuali di recesso anticipato o del venir meno della cosca (perche' sgominata nella sua intera articolazione), correttamente dal punto di vista sanzionatorio si e' fatta applicazione della piu' severa legge del 2015 e non di quella del 2008, in ossequio al principio affermato da questa Corte secondo cui, in tema di successione di leggi penali nel tempo, il regime sanzionatorio applicabile al reato di cui all'articolo 416-bis c.p. deve determinarsi con riferimento alla data di cessazione della permanenza cosi' come contestata, se in forma cd. chiusa, se in forma cd. aperta, ovvero "sino ad oggi" e cioe' alla data del rinvio a giudizio. (In applicazione del principio, la Corte ha precisato che nelle ipotesi di contestazione in forma cd. aperta, quando cioe' il capo di imputazione contesti la partecipazione "in permanenza attuale", vale quale momento finale consumativo della condotta associativa quello coincidente con la sentenza di primo grado, alla cui data, pertanto, va individuata la pena prevista).(Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476). 11. L'undicesimo motivo di ricorso in ordine alla determinazione della continuazione esterna tra le diverse pronunce di condanna considerate ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio, e' inammissibile poiche' poggia sul riconoscimento di vizi di legittimita' dedotti in punto di delimitazione della condotta di partecipazione (ante 2015), di esclusione del ruolo direttivo in capo al ricorrente e della recidiva che risultano essere stati motivatamente esclusi dalla sentenza impugnata per come evidenziate nei precedenti paragrafi. Di talche' si appalesa inammissibile - anche per quanto evidenziato nei paragrafi immediatamente precedenti, anche il motivo aggiunto dedotto sul punto. 12. Il dodicesimo motivo in ordine alla legittimita' della pena accessoria applicata e' manifestamente infondato. 12.1. Al riguardo, risulta fornita una congrua motivazione giustificativa, essendosi posto l'accento sull'azione parassitaria che il ricorrente ha esercitato sulla popolazione del relativo comune incompatibile con i presupposti giustificativi del pubblico contributo. 12.2. Quanto, poi, alla dedotta incostituzionalita' della disposizione di legge che dispone la revoca del beneficio, la doglianza non si confronta con la decisione resa sul punto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 137 del 25/5/2021, che ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalita' dell'articolo 2 della legge in esame, sollevata in riferimento agli articoli 3, 25 e 38 Cost., salva l'ipotesi che la revoca riguardi il caso, che non si attaglia al ricorrente, del condannato ammesso a scontare la pena in regime alternativo al carcere. 13. Anche il tredicesimo motivo di ricorso - i cui vizi denunziati sono richiamati nella memoria depositata - in ordine alla legittimita' della disposta confisca (motivazione mancante e/o apparente) e' inammissibile. 13.1. Va. Anzitutto, escluso che la sentenza impugnata abbia omesso di esaminare i motivi di impugnazione all'uopo sollevati dal ricorrente: invero, la Corte territoriale, nel riassumere i motivi di impugnazione, richiama espressamente "l'ulteriore atto di impugnazione depositato dalla difesa", nonche' le relative doglianze, richiamate dal ricorrente anche in questa sede (vedi pag. 468 e ss.). 13.2. Quanto, poi, ai presupposti della confisca, la sentenza impugnata (vedi pagg. 502-505) risulta corredata da congrua motivazione, avendo, alla luce degli esiti degli accertamenti investigativi compiuti sul patrimonio dei (OMISSIS) e delle allegazioni difensive, specificamente individuato i beni in relazione ai quali, per le circostanze, tempi e modalita' di acquisto, non fosse verosimile la riconducibilita' ad una provvista lecita e quelli, invece, del tutto coerenti con la redditivita' accertata, tanto che si e' disposto il dissequestro. Il ricorso sul punto di appalesa, quindi, inammissibile poiche' a fronte della valutazione operata, da parte del giudice del merito, degli elementi reddituali del nucleo familiare interessato dal sequestro, ripropone, sotto il profilo della omessa o carente motivazione, questioni riguardanti l'accertamento della sproporzione, non consentiti in questa sede, essendo il ricorso per cassazione ammesso solo per violazione di legge. Ne' i profili di inammissibilita' rilevati risultano "colmabili" con quanto evidenziato nei motivi aggiunti, privi, peraltro, di valenza decisiva. (OMISSIS); Il ricorso e' inammissibile. 1-2. I primi due motivi di ricorso che riguardano il delitto di cui al capo 81) della rubrica, possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente legati - per come e' formulata l'imputazione - al contesto ambientale in cui l'accusa colloca la genesi e lo sviluppo dell'ipotesi estorsiva. Con riferimento alle censure relative all'attendibilita' della persona offesa, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104). Nel caso in esame, la Corte d'appello risulta essersi fatta carico di apprezzare le dichiarazioni della persona offesa in punto sia di attendibilita' soggettiva che oggettiva, alla luce degli altri elementi acquisiti nel processo di cui si e' dato conto nella sentenza impugnata. Peraltro, le valutazioni della p.o. risultano compiutamente valutate nel contesto degli ulteriori elementi passati in rassegna dal giudice di primo grado, la cui motivazione risulta essere stata anche graficamente riportata nella sentenza impugnata. La Corte di merito ha infatti operato in modo logico e non contraddittorio la valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni del (OMISSIS), giudicate "precise, dettagliate e costanti, internamente coerenti ed esenti da incongruenze". In punto di fatto, la sentenza impugnata ha richiamato le dichiarazioni rese dalla vittima del reato estorsivo (OMISSIS) (OMISSIS) - sulla cui attendibilita' si era gia' pronunciata la Corte di legittimita', richiamando la giurisprudenza consolidata sulla valenza indiziaria delle dichiarazioni delle persone offese (Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 2014, Puente Suarez, Rv. 258870; Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010, M., Rv. 24788301) - che riferiva delle modalita' con cui era stato fermato dal ricorrente che, con toni intimidatori, gli aveva chiesto la consegna della somma di Euro 3.000,00, specificandogli che tale consegna avrebbe impedito all'imprenditore di subire ulteriori danni. A seguito del rifiuto della vittima di consegnare la somma richiesta, si verificava un danneggiamento incendiario in un cantiere edile allestito dalla ditta "(OMISSIS)", di cui (OMISSIS) era l'amministratore, da quest'ultimo immediatamente collegato alle richieste di denaro dal ricorrente effettuate. In questo contesto, la Corte di merito ha ritenuto dimostrati anche gli elementi costitutivi dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., atteso che l'intimidazione rivolta dal (OMISSIS) alla vittima - che si concretizzava nella frase richiamata cosi' riportata: "Mi devi dare 3.000/00 Euror che mi servono... Questi sono per evitare possibili danni in seguito" - non consentiva interpretazioni alternative, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui la frase in questione veniva pronunciata, idonee a determinare una condizione di coartazione psicologica nella vittima. Si e', inoltre, evidenziato, che la riconducibilita' del successivo danneggiamento incendiario alla sfera di operativita' del clan (OMISSIS) era corroborata da un ulteriore dato circostanziale costituito dal fatto che alle operazioni di spegnimento dell'incendio del cantiere della ditta "(OMISSIS)" da parte dei vigili del fuoco erano presenti, a modo di esemplarita', numerosi soggetti collegati alla cosca reggina, tra cui il fratello del ricorrente, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Infine, si e' sottolineato che il collegamento del ricorrente al clan (OMISSIS) di (OMISSIS) emergeva dal coinvolgimento del suo nucleo familiare nella gestione di un'ulteriore vicenda estorsiva, posta in essere in danno di un imprenditore locale, (OMISSIS), cosi' come richiamata nelle sentenze di merito. Va, pertanto, escluso che la sentenza impugnata sia incorsa nelle dedotte violazioni di legge e vizi motivazionali censurati dalla difesa del ricorrente, nei termini prospettati in ricorso. Al riguardo, la Corte di merito ha posto a fondamento del giudizio di sussistenza degli elementi costitutivi dell'aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, tre profili valutativi, sui quali si e' soffermata analiticamente e in termini immuni da censure. Il primo di tali profili riguarda le modalita' dell'avvertimento rivolto dal ricorrente alla vittima che non consentivano interpretazioni alternative, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui la frase intimidatoria in questione veniva pronunciata e del condizionamento psicologico subito dal (OMISSIS), della cui attendibilita' si e' detto, conformemente alla giurisprudenza consolidata richiamata (Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 2014, Puente Suarez, cit.; Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010, M., cit.). Il secondo di tali profili valutativi attiene alla circostanza che alle operazioni di spegnimento delle fiamme sviluppatesi nel cantiere della ditta "(OMISSIS)" da parte dei vigili del fuoco erano presenti numerosi soggetti collegati alla famiglia (OMISSIS), tra cui il fratello del ricorrente, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), corroborando ulteriormente il dato investigativo della riconducibilita' dell'azione incendiaria alla sfera di operativita' della cosca (OMISSIS) di (OMISSIS). Si evidenzia, infine, che il collegamento del ricorrente alla cosca (OMISSIS) e al controllo illecito delle attivita' economiche svolte nell'area di (OMISSIS) emerge dal coinvolgimento del nucleo familiare dell'indagato nella gestione di un'altra vicenda estorsiva, coeva ai fatti in contestazione, posta in essere in danno di (OMISSIS). In questa cornice, non manifestamente illogico e' aver ritenuto l'aggravante presente in entrambe le declinazioni, sia sotto il profilo del metodo mafioso, utilizzato da (OMISSIS) per commettere le condotte contestategli al capo 81), sia sotto il profilo dell'agevolazione mafiosa, considerato che, con la sua condotta, il ricorrente mirava a favorire l'attivita' dell'omonima cosca âEuroËœndranghetista, operante nell'area reggina di (OMISSIS) e capeggiata dal padre. Sulla scorta di tali plurimi e convergenti elementi indiziari, valutati unitariamente, nel rispetto degli orientamenti dettati in materia da questa Corte, la sentenza impugnata ha affermato la riconducibilita' dell'episodio delittuoso estorsivo alla sfera di operativita' della cosca (OMISSIS) di (OMISSIS), dalla quale se ne e' fatto correttamente discendere il riconoscimento dell'aggravante speciale. E' stata, dunque, compiuta un'operazione di ermeneutica processuale pienamente rispettosa delle emergenze indiziarie e delle indicazioni fornite da questa Corte di legittimita' in materia, correttamente richiamate dalla sentenza impugnata, secondo cui "La valutazione della prova impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, e di verificare se essi, ricostruiti in se' e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verita' processuale" (Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Rv. 248128; in termini in fase cautelare, Sez. 6, n. 57837/2017). 3. Il terzo motivo in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e' manifestamente infondato, risultando enunciati nella sentenza impugnata pertinenti indici di disvalore del fatto che e' stato ricondotto nell'ambito di un contesto mafioso che ne ha determinato l'agire per come chiaramente percepito dalla p.o. e rivelatosi nelle modalita' della condotta. Il diniego, pertanto, trova adeguata motivazione in punto di gravita' del reato e della connessa pericolosita' sociale che ha reso logicamente recessivo, nell'ambito della valutazione discrezionale demandata al giudice del merito, l'indice positivo costituito dalla giovane eta' del ricorrente al momento del fatto, in ossequio al principio stabilito da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). (OMISSIS). 1. Il ricorso e' fondato nei sensi di cui in motivazione. E', invece, inammissibile nel resto. 1.1. La censura formulata in ordine ai criteri seguiti ai fini dell'individuazione del reato piu' grave su cui stabilire la pena base e' manifestamente infondata. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che i giudici di merito, in conformita' al principio di diritto enunciato dalle S.U. (sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Rv. 255347), hanno individuato la pena piu' grave in astratto, facendo riferimento a quella stabilita per il delitto contestato al capo 39) dunque nel reato di cui agli articoli 99 e 110 c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2 con riferimento all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 ed articolo 416-bis.1. c.p. - in quanto ex codice punito con pena il cui massimo edittale, in ragione anche del concorso dell'aggravante speciale di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 che rileva ex articolo 63 c.p., comma 4, risulta maggiormente afflittivo rispetto a quello previsto tanto per il delitto associativo non qualificato contestato nel presente giudizio, quanto del reato associativo con partecipazione qualificata per cui il ricorrente ha riportato condanna nell'ambito del procedimento cd. Il (OMISSIS) (collocandosi la condotta associativa nel 1999 e, dunque, in epoca antecedente alla riforma sanzionatoria introdotta dalla legge del 2005), i cui fatti sono stati ritenuti avvinti dal medesimo disegno criminoso con quelli oggetto del precedete giudizio e valutati quoad poenam in continuazione. Peraltro, l'individuazione del delitto estorsivo aggravato tanto dal comma 2 in relaz. all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, quanto dall'articolo 416-bis.1 c.p. risulta piu' grave anche del reato associativo con partecipazione qualificata attribuito al ricorrente nella sentenza irrevocabile i cui fatti sono stati ritenuti avvinti dalla continuazione con quelli oggetto del presente processo (all'epoca dei fatti, il delitto ex articolo 416-bis c.p., comma 2, era punito con una pena massima inferiore a dieci anni di reclusione). Correttamente, pertanto, la Corte di merito e' partita dalla pena base corrispondente a quella determinata dal primo giudice per il piu' grave delitto estorsivo, con la conseguenza che anche su tale aspetto il motivo e' manifestamente infondato. 1.2. Fondato, invece, e' il profilo di censura dedotto in tema di violazione del divieto di reformatio in peius. Nel rideterminare la pena in continuazione con i fatti di cui alla sentenza irrevocabile del procedimento cd. "Il (OMISSIS)", la Corte di merito risulta, con riferimento al reato di cui al capo 1), per cui erano stati in quel procedimento inflitti anni uno di reclusione, disposto un aumento pari ad anni due di reclusione, cosi' raddoppiando quanto irrevocabilmente statuito dalla sentenza della medesima Corte di appello del 17/2/2003, irrev. il 7/6/2004. Al riguardo, questa Corte ha, infatti, stabilito, che in tema di applicazione della disciplina della continuazione, il giudice della cognizione, che individui il reato piu' grave in quello sottoposto al suo esame e i reati satellite in quelli gia' giudicati con sentenza irrevocabile, nella rideterminazione della pena, e' vincolato al rispetto del divieto di "reformatio in peius" di cui all'articolo 597 c.p.p., comma 3, non potendo, pertanto, quantificare l'aumento della pena per detti reati satellite in misura superiore rispetto a quella originariamente disposta nella sentenza divenuta irrevocabile (ex multis vedi: Sez. 3, n. 13725 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 275187; Sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, dep. 2016, Rv. 265733). Va, pertanto, eliminato dalla pena complessivamente inflitta dalla sentenza impugnata l'aumento, pari ad anni uno di reclusione, apportato in violazione del divieto di reformatio in peius, cosi' pervenendosi ad una pena legale di anni diciannove di reclusione, ferma restando la pena pecuniaria. A tale operazione di calcolo puo' procedere direttamente il Collegio, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l). 1.3. Quanto, poi, al rilievo secondo cui l'unificazione dei reati in continuazione non consentirebbe di ritenere la recidiva, in quanto i reati gia' giudicati perderebbero, a tale fine, la loro autonomia, va ribadito il consolidato principio affermato da questa Corte secondo cui non esiste incompatibilita' tra gli istituti della recidiva e della continuazione, potendo quest'ultima essere riconosciuta anche tra un reato gia' oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato. Invero, il secondo procedimento non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma e' fondata su una mera "fictio iuris" a fini di temperamento del trattamento penale (in termini Sez. 2, n. 18317 del 2016, Rv. 266695; Sez. 3, n. 54182 del 2018, Rv. 275296). Anche su tale aspetto il motivo proposto risulta manifestamente infondato. 2. In conclusione, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, che ridetermina in anni diciannove di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa. Va dichiarato inammissibile il ricorso nel resto. (OMISSIS) e (OMISSIS); I ricorsi sono infondati. 1. Il motivo di ricorso, con cui si censura la ritenuta partecipazione dei ricorrenti alle trattative per l'acquisto di armi anche da guerra, non e' fondato. Al riguardo, infatti, la sentenza impugnata ha indicato, con congrua motivazione, idonei elementi dimostrativi della compartecipazione dei ricorrenti nella fattispecie di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 1. Ed invero, in punto di fatto la Corte di merito - dopo aver dato atto del fatto che (OMISSIS), capo dell'omonimo sodalizio era solito incontrarsi, tra gli altri, con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - evidenzia che, sulla base del tenore dei colloqui di cui alle intercettazioni ambientali a casa del (OMISSIS) e dalle videoriprese nei pressi dell'abitazione dello stesso, si appurava che, a partire dal (OMISSIS), era in corso una trattativa illecita con personaggi della Locride, venuti a discutere dell'affare a casa del (OMISSIS); in particolare, si precisa che, quella mattinata, il coimputato riceveva la visita di (OMISSIS) e (OMISSIS) e, nel corso di quella stessa giornata, il (OMISSIS) veniva invitato a recarsi a casa del (OMISSIS); nell'occasione il (OMISSIS) veniva notiziato del fatto che il giorno successivo era stato organizzato un nuovo incontro con i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS) presso il bar "(OMISSIS)" e nel prosieguo del dialogo si aveva modo di accertare che l'oggetto della trattativa erano armi e droga, e che il (OMISSIS) si poneva quale anello di congiunzione tra i due ricorrenti, potendo muoversi in vece del (OMISSIS), all'epoca sottoposto al regime degli arresti domiciliari; in data 11 marzo 2014, a casa del (OMISSIS) che si trovava gia' in compagnia del (OMISSIS), si portava anche (OMISSIS), il quale riferiva ai presenti anche l'esito dell'incontro avuto col (OMISSIS), sostenendo che sia lui che il predetto (OMISSIS) erano stati condotti in vari luoghi a visionare "la merce" che comprendeva anche armi a canna corta; in particolare, il (OMISSIS) chiedeva ai presenti se avessero visionato Kalashnikov o Skorpion e nel prosieguo il (OMISSIS) dichiarava di aver visionato Kalashnikov con colpi a raffica, oltre all'"erba", e Skorpion di cui erano disponibili 78 pezzi; sempre nel corso della conversazione provvedevano, poi, a "fare i conti", anche con riguardo alla "polvere"; il (OMISSIS) ribadiva che i fornitori avevano a disposizione armi in prevalenza Skorpion, sicche' gli interlocutori effettuavano calcoli per valutare il costo complessivo dell'operazione, mentre il (OMISSIS) discuteva della necessita' di reperire il denaro per l'acquisto delle armi, nonche' i soggetti ai quali rivenderle; sia il (OMISSIS) che il (OMISSIS) nel commentare le armi visionate alludevano specificamente anche a Kalashnikov di matrice russa, analoghi a quelli visti a casa del (OMISSIS), riscontrando quanto riferito dal collaborante (OMISSIS), circa il possesso di tali armi da parte del (OMISSIS); nel corso della conversazione il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) facevano riferimento ad armi militari ed ad una "parabellum" da guerra. Dalle ampie trascrizioni delle conversazioni, compiutamente riportate nella sentenza impugnata, con costanti riferimenti da parte del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del duo (OMISSIS)- (OMISSIS), all'acquisto di armi, oltre che alla sostanza stupefacente, la Corte di merito, senza illogicita', ha correttamente ritenuto l'apporto assicurato dai ricorrenti idoneo, tanto sul piano causale che soggettivo, ad assumere rilievo sotto il profilo concorsuale, in aderenza ai principi piu' volte affermati da questa Corte, secondo cui lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1, ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011; in termini in relazione alla stessa vicenda in sede cautelare, Sez. 5, n. 21235/2017). Invero, l'argomentazione della Corte territoriale secondo la quale il (OMISSIS)- al pari del (OMISSIS) - ha partecipato alla trattativa per l'acquisto delle armi, come emerge dal chiaro tenore delle conversazioni oggetto di intercettazione, non si presta a censura. La deduzione svolta dalla difesa del (OMISSIS), secondo cui il giudice del merito avrebbe dovuto scindere le posizioni dei colloquianti, emergendo una sorta di ruolo "passivo" dell'imputato rispetto agli altri, essendosi limitato solo a visionare le armi e non a partecipare alle trattative per il loro acquisto, appare priva di fondamento, in ragione del contenuto dei dialoghi come riportati dalla sentenza impugnata (che ripercorre sul punto quella di primo grado), interpretati senza illogicita' nel senso della impossibilita' di scindere in sostanza una mera visione delle armi, non finalizzata ad un acquisto delle stesse, alla luce proprio dell'evolversi della vicenda connotata, in ragione anche del contesto fattuale descritto e della "professionalita'" criminale dei soggetti partecipanti, da affidabile serieta'. Al riguardo, va ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, questa Corte, con orientamento espresso anche a Sezioni unite (S.U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389), l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' e nella fattispecie l'interpretazione effettuata dai giudici di merito non si presenta illogica, bensi' del tutto razionale in relazione alle espressioni adoperate, anche letteralmente evocative dei traffici ipotizzati. Ne' in questa sede puo' chiedersi a questa Corte, in assenza di travisamenti, di sostituire il proprio giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti svolti dal giudice di merito circa l'attendibilita' delle fonti di prova e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione risulti adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, come nella fattispecie in esame all'esito della non illogica lettura dei colloqui oggetto di captazione. 2. Infondato, si presenta altresi' l'ulteriore motivo di ricorso, relativo al capo 26) della rubrica, in merito all'attivita' finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina. Invero, la deduzione, secondo la quale dalle conversazioni oggetto di captazione non emergerebbe una chiara attivita' tra i colloquianti finalizzata all'acquisto di sostanza stupefacente risulta smentita dal tenore dei colloqui captati, riportati nelle sentenze di merito, nel corso dei quali si fa specifico riferimento all'acquisto non solo della marijuana, ma anche della "polvere", la cocaina appunto stante la tipologia della sostanza che la distingue notoriamente dalle altre droghe leggere oggetto di trattativa, come risulta chiaro dai riferimenti del (OMISSIS), che propone ai suoi interlocutori di pagare una parte del corrispettivo delle armi, tramite la cessione anche di cocaina e specificamente proponendo a (OMISSIS) di acquistare droga da trattare, evidenziando in proposito la necessita' di "assumere" un altro ragazzo per finire in tempo il lavoro. Lo stesso (OMISSIS) ed il (OMISSIS) riferivano al (OMISSIS) di aver visionato in occasione della visita ai fornitori con il (OMISSIS), oltre alle armi, marijuana e lo stesso (OMISSIS) in proposito precisava agli interlocutori di effettuare per l'acquisto una controproposta ad un prezzo inferiore; inoltre, oltre a tale trattativa ve ne era in corso anche un'altra avviata anche con fornitori di nazionalita' albanese contattati dal coimputato (OMISSIS). Tali elementi si presentano idonei a dar conto della sussistenza di un valido compendio probatorio in ordine al reato contestato, nei limiti del sindacato demandato a questa Corte, volto al controllo dell'esistenza di una motivazione logica in ordine ai punti censurati. Peraltro, anche riguardo a tale ipotesi di reato, la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando riter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018, Rv. 273961; in termini con riguardo alla vicenda cautelare Sez. 5, n. 21235/2017). 3. Inammissibile poiche' del tutto generica e' la censura mossa con riguardo alla ritenuta sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. (nella declinazione dell'agevolazione). Invero, a fronte di una diffusa e puntuale motivazione con cui la Corte territoriale da' ampiamente e ragionevolmente conto degli elementi di fatto dimostrativi tanto dell'obiettiva finalizzazione dei reati commessi dai ricorrenti all'agevolazione degli interessi della cosca locale capeggiata dal (OMISSIS), quanto della piena consapevolezza in capo a ciascun imputato di inserirsi nell'ambito di traffici delittuosi chiaramente evocativi del contesto associativo investigato (vedi sul punto pagg. 685-694), il motivo dedotto finisce per riproporre le medesime doglianze mosse con l'atto di appello, omettendo di confrontarsi con le puntuali argomentazioni rese dalla sentenza impugnata. Quanto al (OMISSIS), va poi evidenziato che i riferimenti di carattere "parentale" oggetto di censura in ordine al loro rilievo nel motivo di ricorso, in realta' sono stati correttamente evocati dalla Corte di merito, unitamente ai precedenti giudiziari e di prevenzione, al fine di escludere che all'imputato fosse estraneo il contesto delinquenziale di stampo mafioso in cui si muoveva e nell'ambito del quale i fatti indubbiamente risultano collocarsi. Sul piano oggettivo, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l'aggravante speciale sul rilievo che i ricorrenti si sono interfacciati ed hanno posto in essere trattative con (OMISSIS), che, secondo quanto emerso al processo e dalla sua storia personale avvalorata dalle sentenze irrevocabili a suo carico citate, rappresenta un autentico punto di riferimento della criminalita' organizzata di stampo âEuroËœndranghetista nel territorio di riferimento. In tale contesto, non affatto illogica si presenta la motivazione della sentenza impugnata secondo cui il fatto che (OMISSIS) abbia stretto accordi con i ricorrenti, quanto alle attivita' delittuose in contestazione, "non lascia adito a dubbi circa la sussistenza della circostanza aggravante, atteso che la natura e la quantita' delle armi detenute e poste in vendita, nonche' la mole, la quantita' e le caratteristiche delle stesse (unitamente a variegato munizionamento), rappresentando un autentico arsenale di elevata potenzialita', risultano pienamente dimostrative di un mercato clandestino di armi, foraggiato dalla ricchezza della consorteria ed alimentato proprio al fine di aumentare il "prestigio" criminale del gruppo e le risorse illecite dallo stesso accumulate e riutilizzate per il programma criminoso della consorteria, cosi' determinando tale illecita attivita' posta in essere con il (OMISSIS) un ulteriore aggravamento della forza e della capacita' intimidatrice della criminalita' organizzata imperante nella zona di riferimento" (in termini Sez. 5, n. 21235/2017). Quanto alla consapevolezza di operare a vantaggio del sodalizio mafioso, la Corte di merito, con argomenti scevri da vizi logici, ha evidenziato come lo stesso (OMISSIS) nel corso di un colloquio con il (OMISSIS), noto trafficante in materia di armi, abbia messo in risalto l'intensita' del suo legame con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) evidenziando che questi ultimi avrebbero operato nell'interesse di "tutti loro", con cio' logicamente dando ad intendere come agli stessi fosse ben presente il contesto di criminalita' organizzata in cui operavano - peraltro tre dei coimputati coinvolti nei traffici risultavano gia' condannati per associazione di stampo mafioso come (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - ed a vantaggio del quale le loro condotte causalmente si prestavano. Piu' volte sono, infatti, declinati termini di consapevole ed affidabile contiguita' allorche' il (OMISSIS) indica il duo " (OMISSIS)- (OMISSIS)": si tratta, all'evidenza, di un dato fattuale di particolare pregnanza in quanto proveniente da quel soggetto che proprio con riguardo al traffico di armi faceva uno dei caposaldi dell'attivita' criminale del gruppo territoriale di stampo mafioso di riferimento.. Si precisa, poi, che e' lo stesso (OMISSIS) a rassicurare il (OMISSIS) circa la diffusivita' dei suoi canali di distribuzione delle armi, in specie da guerra, e dell'intento manifestato di rendere stabile il traffico d'armi intrapreso in vista di sistematiche forniture future. Non illogica e', dunque, la "chiosa" finale riportata nella sentenza impugnata a corredo motivazionale sulla sussistenza dell'aggravante contestata, allorche' si sottolinea che "non v'e' chi non veda che portare "cassette" di armi per armare ciascuna famiglia della Locride, non di una singola pistola di emergenza, e' una condotta con ogni evidenza percepibile e percepita come un'azione servente interessi paramilitari di famiglie involte in assetti criminali qualificati che in Calabria sono appannaggio esclusivo della âEuroËœndrangheta, come pure risulta dimostrato dalle parentele e dalla storiografia delinquenziale dei protagonisti, che per tale rifornimento si sono avvalsi di "âEuroËœndranghetisti" di chiarissima notorieta' per i livelli apicali e le doti di âEuroËœndrangheta raggiunti (" Pure se arrivano cinquecento pezzi per volta, pure sopra a questa, ne prendono pure mille"). 4. Manifestamente infondato e' il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio dedotto da (OMISSIS). La Corte di merito, infatti, lungi dall'aver fatto ricorso in punto di diniego di generiche e di determinazione pena ad una motivazione collettiva che facesse ridondare a carico del ricorrente indici di disvalore propri di altre posizioni, ha invece fatto riferimento a puntuali elementi attinenti alla gravita' dei fatti contestati, in ragione del contesto e dello scenario delinquenziale in cui le condotte si collocano, caratterizzate dall'organizzazione di un traffico d'armi che nei propositi dei rispettivi protagonisti doveva assumere notevoli dimensioni. In forza dell'indicazione di tali indici di gravita' del reato e di spiccato allarme sociale, non manifestamente illogico e' l'aver considerato "recessivo" lo stato di incensuratezza dell'imputato, condizione, per cio' solo, non sufficiente, ex articolo 62-bis c.p., comma 3, a fondare il riconoscimento delle attenuanti generiche. Analogamente rinviene congrua motivazione anche la determinazione della pena, avendo la Corte di merito evidenziato specifici indici di disvalore che giustificano, nell'ambito di una valutazione discrezionale propria del giudice del merito, lo scostamento dal minimo edittale. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato, in quanto afferente all'asserito difetto e/o illogicita' della motivazione che, invece, la lettura della sentenza impugnata consente di escludere essendo la decisione connotata da lineare e coerente logicita', conforme alla completa ed esauriente disamina degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di merito. Inoltre, le censure si riducono ad una rivalutazione del fatto e ad una lettura alternativa dei dati probatori rispetto a quella asseverata dalla Corte territoriale, estranea al sindacato di legittimita', nonche' avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Peraltro, il motivo di ricorso in esame risulta riproduttivo delle doglianze avanzate con atto d'appello in punto di responsabilita' penale dell'imputato, gia' vagliate e disattese dalla Corte territoriale come emergente dalla parte motiva del provvedimento impugnato, con cui il ricorrente non si confronta. Nel caso di specie, i giudici di seconde cure, pur avendo escluso che l'imputato potesse individuarsi nel soggetto additato come "(OMISSIS)", hanno, al contempo, evidenziato, a carico dello stesso, elementi probatori di carattere individualizzante pienamente idonei ad asseverarne la penale responsabilita', alla luce anche delle argomentazioni operate dal primo giudice, specificamente richiamate. In tale senso, e' stato valorizzato il contenuto delle captazioni telefoniche ed ambientali, che hanno comunque consentito ai giudici di merito di ritenere provata l'identificazione del ricorrente quale accompagnatore del (OMISSIS) e quale partecipante alle conversazioni aventi ad oggetto il prelievo e la detenzione delle armi da fuoco (come dimostrato dai rumori metallici, quali quelli ricondotti allo scarrellamento, tipici del maneggio di armi da fuoco), sulla scorta del riconoscimento vocale ad opera della p.g. (non specificamente contestato), dell'uso del nome proprio utilizzato per presentarsi al (OMISSIS), nonche' dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS). Ne' l'accertata "dimestichezza del ricorrente con i modelli e i costi delle armi" (p. 929) risultava posta, contrariamente a quanto dedotto, a fondamento dell'affermazione di responsabilita', avendo invece a tale fine la sentenza impugnata valorizzato altri e pregnanti elementi (intercettazioni telefoniche ed ambientali, dichiarazioni del (OMISSIS)). 2. Il secondo motivo di ricorso afferente al trattamento punitivo e' manifestamente infondato. Il diniego delle attenuanti generiche risulta sorretto da motivazione congrua e scevra da vizi logici, per questo insindacabile in sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Al riguardo, a fronte dell'assenza di qualsiasi elemento positivo in ordine alla loro valutabilita', si sono richiamati puntuali indici di disvalore, costituiti dal precedente penale annoverato dal ricorrente e dalla gravita' della condotta delittuosa consistente nella detenzione di una pluralita' di armi di calibro, provenienza e marca assai diverse tra loro. In tal senso, viene in rilievo il principio affermato da questa Corte secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590). Ne' il trattamento sanzionatorio risulta rinvenire generica motivazione, avendo la Corte di merito dedicato a detti fini anche uno specifico paragrafo per ciascun imputato ove sono indicati gli elementi fondanti la misura della pena inflitta, cosi' assolvendosi all'onere di motivazione. 3. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Infatti, il calcolo della pena, come risultante dalla riduzione dovuta all'applicazione della L. n. 895 del 1967, articolo 7 e' sorretto da motivazione esente da manifesta illogicita', ed e', pertanto, insindacabile in Cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419). La Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, ha dato conto dell'operativita' dell'istituto di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 7, comma 1, specificando che esso deve essere applicato all'esito della determinazione della pena, ma come elemento determinativo della pena base. Infatti, la L. 2 ottobre 1967, n. 895, articolo 7, come modificato dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497, articolo 14, non prevede una circostanza attenuante rispetto ai delitti di cui ai precedenti articoli da 2 a 4, ma configura altrettanti autonomi reati, caratterizzati dalla diversita' dell'oggetto (arma comune da sparo anziche' arma da guerra), e cioe' di un elemento essenziale e non circostanziale, cui corrisponde l'autonomia della relativa sanzione, che, per le armi comuni, e' determinata "per relationem" (Sez. 1, n. 49127 del 21/12/2017, Rv. 274551; Sez. 1, n. 38626 del 21/10/2010, Rv. 248664). Infine, si rileva la genericita' dell'ultimo profilo dedotto con il terzo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale congruamente motivato in ordine all'aumento operato a titolo di continuazione (vedi pag. 939). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. In ordine alle censure relative alla sussistenza della cosca (OMISSIS) ed alla natura mafiosa di tale sodalizio, vedi le argomentazioni spese a proposito del comune motivo sub 1 riferito alla posizione del coimputato (OMISSIS) 2. Il secondo motivo relativo all'applicazione della recidiva e' manifestamente infondato. Nella sentenza impugnata si rinviene congrua motivazione in ordine all'applicazione della recidiva. Si e', infatti, evidenziato come il ricorrente e il fratello (OMISSIS) coimputato, anch'egli ricorrente, nonostante la giovane eta' siano dediti alla commissione di delitti sin da minorenni, annoverando precedenti penali reiterati per violazione della legge sulle armi, porto, danneggiamento, numerose resistenze a p.u., lesioni, sino al tentato omicidio con arma da fuoco del 2008 per cui erano ancora in esecuzione pena. Anche nel loro caso, si osserva, la detenzione e' stata ininfluente ai fini rieducativi, anzi "il progetto criminale che covano e l'attaccamento viscerale alle armi ed alle trattative illecite, oltre alla voglia di trovare braccia per ampliare la potenza del clan sono tutte dimostrazioni della recrudescenza della loro pericolosita' sociale, affatto scalfita dalle risposte giudiziarie" (vedi pag. 1043). Nel caso in esame, con riguardo alla posizione di ciascun ricorrente, la sentenza impugnata ha dato atto di come i reati commessi siano espressione, per modalita' e contesto ed i precedenti penali specifici annoverati da ciascun imputato, di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto, costituendo la condotta significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (ex multis, Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo relativo alla sussistenza del sodalizio di stampo mafioso di cui al capo 1) della rubrica e alla condotta di partecipazione del ricorrente e' manifestamente infondato. Quanto alla sussistenza di una cosca di stampo mafioso in quel di (OMISSIS) e, in particolare, della ndrina " (OMISSIS)" possono integralmente richiamarsi le motivazioni rese a proposito di tale coimputato e dei figli del ricorrente. Quanto alla condotta di partecipazione, la Corte di merito, lungi dal fondarla in una mera contiguita' compiacente ovvero sulla scorta della vicinanza o della generica disponibilita' manifestata dal ricorrente nei riguardi di esponente di spicco del sodalizio (il (OMISSIS)) a cagione dei rapporti familiari che lo legano agli altri soggetti coinvolti (in particolare i figli (OMISSIS) e (OMISSIS)), ha indicato, con argomentazioni congrue e coerenti, una pluralita' di elementi, la cui lettura unitaria risulta dimostrativa dell'appartenenza del ricorrente all'associazione âEuroËœndrangheta locale di (OMISSIS), per come emergente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS), unitamente al contenuto delle conversazioni ambientali intercettate. La sentenza impugnata, anche mediante il richiamo grafico di quella di primo grado, si e' lungamente soffermata sulla deposizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS)Rocco (OMISSIS), evidenziandone l'attendibilita' riscontrata non solo sulla base delle argomentazioni contenute nell'ordinanza genetica del G.I.P. di Reggio Calabria ma anche sul rilievo che, sulla scorta dell'attivita' avviata a seguito delle dichiarazioni di tale collaborante, tutti gli imputati del procedimento n. 1982/14 R.G.N. R. sono stati condannati in sede di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, ad eccezione del (OMISSIS) nei cui confronti si e' proceduto separatamente. La sentenza impugnata ha evidenziato come il racconto del collaboratore sulle attuali dinamiche della locale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) abbia trovato pieno riscontro nel contenuto della conversazione captata, in cui l'interlocutore principale (OMISSIS), personaggio di spicco della locale di (OMISSIS), ha indicato l'odierno ricorrente come affiliato al sodalizio criminale con la dote di "v (OMISSIS)", insignito anche della prestigiosa carica di "capo societa'" (sull'importanza che assume l'attribuzione di un grado qualificato all'interno della consorteria e sulla sua idoneita' ad assurgere ad elemento dimostrativo della partecipazione associativa vedi quanto riportato a proposito della posizione di (OMISSIS), sub 1), 2) e 3) e gli orientamenti di questa Corte ivi citati). Sul punto, va precisato che la dedotta mancata coincidenza temporale tra il propalato del collaboratore e il periodo oggetto di captazione non priva di rilievo dimostrativo quanto dallo stesso riferito, in quanto l'attribuzione di un ruolo "vestito" che il dichiarante attribuisce al ricorrente nell'ambito del sodalizio investigato si pone in stretta continuita' logico-temporale con gli accadimenti successivi e le condotte che nelle stesse conversazioni ambientali vengono additate al ricorrente che proprio nel contesto riferito rinvengono la loro genesi e giustificazione causale (vedi sul punto pag. 393 ss. della sentenza impugnata). Di cio' vi e' un preciso riferimento nella sentenza impugnata che con argomentazione pertinente evidenzia come il profilo criminale del ricorrente era descritto dal collaboratore, peraltro in termini (di capacita' di "fermare" o di "decidere l'avanzamento in carriera dei sodali) corrispondenti a quelli che assumera' nelle parole intercettate del (OMISSIS). Quanto, poi, ai riferimenti al ricorrente tratti dalle conversazioni captate, la Corte di merito ha spiegato con argomentazioni lineari e coerenti le ragioni per le quali, nonostante il (OMISSIS) abbia pronunciato tale espressione al tempo passato, sia ancora attuale il vincolo che lega l'imputato al sodalizio mafioso. In particolare, il (OMISSIS), nel riconoscere nello (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)) colui che lo aveva aiutato nella sua progressione criminale di stampo mafioso, lo ha indicato come il referente numero uno della locale di (OMISSIS), e lo stesso figlio del ricorrente, (OMISSIS), ha affermato, nel corso del colloquio captato intercorso con il (OMISSIS), che il progetto di quest'ultimo di costituire una nuova cosca trovava il placet del padre (OMISSIS), che aveva autorizzato i propri figli a prendere parte al progetto criminale in questione. E', dunque, evidente che il ruolo di consigliere che lo (OMISSIS) si e' ritagliato all'interno della consorteria non attiene affatto a meri rapporti familiari, come invocato nel ricorso, essendosi lo stesso si' espresso - sulla base della ricostruzione operata dalle sentenze di merito - su questioni riguardanti progetti che coinvolgono (anche se non solo) i figli, ma nell'ambito del sodalizio criminoso che fa capo al (OMISSIS). Del resto, che non si tratti di un ruolo destinato a restare defilato e' rimarcato dalla Corte di merito laddove riferisce che (OMISSIS) (OMISSIS) si era rivolto al ricorrente per ottenere il permesso di ingrandire la cosca e inserire tra i sodali il figlio di (OMISSIS) (âEuroËœu Liscio), svolgendo tale approvazione una precisa rilevanza causale in ordine all'inserimento di terzi nella "nuova" compagine. A conferma di cio' e del ruolo di natura apicale svolto dal ricorrente nella locale di (OMISSIS), la sentenza impugnata, valorizzando il contenuto della conversazione intercettata in data 18 marzo 2014, fa riferimento al potere di veto allo stesso riconosciuto dai suoi interlocutori in merito alle nuove affiliazioni all'interno del sodalizio criminale. Se e' pur vero che il ricorrente sul punto ha contestato di essere il "(OMISSIS)" richiamato nella conversazione captata, va osservato che, per orientamento consolidato di questa Corte, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito la quale, se logica - come nel caso di specie - in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (vedi S.U. n. 22471 del 26.2.2015, Rv. 263715). Peraltro, nel caso in esame, la sentenza impugnata declina una molteplicita' di elementi che vanno oltre il nominativo che emerge dalle conversazioni (vedi pagg. 397 ss.), con la conseguenza che la doglianza sul punto assume anche profili di genericita'. In conclusione, l'assunzione del ruolo di "consigliori" all'interno di una nuova articolazione di locale di âEuroËœndrangheta da parte di chi, nell'ambito di tale associazione, vi abbia gia' assunto un ruolo di rilievo e' condotta idonea ad essere sussunta nell'alveo della partecipazione, in quanto attiene al momento costitutivo del sodalizio, e' funzionale alla selezione degli affiliati e, dunque, confacente allo svolgimento proficuo dei fini associativi, incide sull'integrita' ed affidabilita' della cosca e sulla sua tenuta territoriale anche ai fini del successivo riconoscimento interno ed esterno ed assicura un'assistenza "tecnico-criminale" stabile su cui il sodalizio puo' contare nel tempo (anche in ragione dell'affiliazione dei figli nella compagine). 2. Il secondo motivo in ordine alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione armata e' manifestamente infondato. L'esclusione quantomeno dell'ignoranza inevitabile la si ricava, infatti, dal ruolo di rilievo allo stesso assegnato e dalla carica comunque ricoperta nel panorama associativo di stampo âEuroËœndranghetista, da cui logicamente discende la conoscenza della struttura anche armata del sodalizio investigato, in relazione al quale viene chiamato ad intervenire con i suoi benestare e di cui e' informato anche tramite i figli. Ne' manifestamente illogico risulta al riguardo l'ulteriore argomento speso dalla sentenza impugnata che fa leva sul particolare rapporto di fiducia esistente con i figli che con il ricorrente si confrontano sulle dinamiche associative, tra le quali, per come ben evidenziato dai giudici di merito, spiccano proprio quelle in materia di armi presso l'abitazione del (OMISSIS). 3. Manifestamente infondato e', infine, il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio, essendosi richiamati a fondamento del diniego della concessione delle attenuanti generiche e in punto di determinazione della pena (peraltro stabilita nel minimo edittale la pena base sul reato associativo aggravato dall'essere l'associazione armata) pertinenti indici di disvalore tanto attinenti alla gravita' delle condotte, che si inseriscono in continuita' con un percorso associativo radicato volto alla creazione anche di articolazioni ben piu' agguerrite, quanto alla pericolosita' sociale essendo gravato da precedenti penali anche di rilievo. La circostanza, poi, che il ricorrente non abbia fatto ricorso ad una strategia processuale dilatoria e' elemento generico non essendosi circostanziata l'affermazione con il riferimento a quelle attivita' od atti processuali in cui il consenso o la mancata opposizione della difesa hanno giovato alla ragionevole durata del giudizio e non potendosi all'uopo ritenere sufficiente la scelta di procedere col rito abbreviato, atteso che la valutazione premiale di tale scelta e' gia' posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 2, n. 24312 del 25/3/2014, Rv. 260012; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 12/2/2009, Rv. 242861). (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il motivo in ordine alla condotta di partecipazione e' manifestamente infondato, in quanto l'asserita apparenza ed illogicita' della motivazione e' confutata dalla lettura della sentenza impugnata, che risulta corredata da una motivazione connotata da lineare e coerente logicita' conforme all'esauriente disamina degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di merito. Inoltre, il motivo di ricorso e' volto a prefigurare una rivalutazione ed un'alternativa lettura delle fonti di prova, estranee al sindacato di legittimita' ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Le censure dedotte, peraltro, si traducono in mere doglianze in punto di fatto, non ammesse in sede di legittimita', stante l'insindacabilita' della sentenza di merito in punto di ricostruzione dei fatti contestati quando corredata da una motivazione congrua, coerente e scevra da vizi logici. Ebbene, la sentenza impugnata da' conto degli elementi fondativi della responsabilita' penale dell'imputato, tra i quali assume sicuro rilievo il propalato del collaboratore di giustizia (OMISSIS), la cui attendibilita' e' stata approfonditamente vagliata dai giudici di merito, alla luce di plurimi riscontri esterni alla chiamata in correita'. A differenza di quanto enunciato nella prospettazione difensiva, infatti, la Corte territoriale enuclea molteplici elementi espressivi del collegamento esistente tra il ricorrente ed il contesto di criminalita' organizzata oggetto del presente procedimento giudiziario. In tale prospettiva, e' stata evidenziata la rappresentativita' dell'assenso del ricorrente per conto della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) ai fini dell'apertura di un locale notturno nella zona di operativita' della cosca, vicenda che trova riscontro negli esiti di altra inchiesta cosiddetta (OMISSIS), definita con sentenza irrevocabile, nonche' il propalato di altro collaboratore di giustizia ( (OMISSIS)). Peraltro, in tale contesto si colloca il dato relativo alle frequentazioni del ricorrente con i coimputati, cui e' contestata l'appartenenza al medesimo sodalizio criminale. In tale prospettiva viene in rilievo il principio di diritto affermato da questa Corte, cui i giudici di merito risultano essersi adeguati, in forza del quale nel delitto di associazione mafiosa, pur essendo escluso che le "frequentazioni" possano autonomamente essere poste a fondamento di una affermazione di responsabilita', e' possibile che, a fronte di una intrinsecamente valida chiamata di correita', le relazioni qualificate con altri esponenti della stessa organizzazione criminale, tra cui quelle con soggetti posti in posizione verticistica, valgono da riscontro esterno ex articolo 192 c.p.p., comma 3, e siano pertanto idonee ad essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' per il delitto di associazione mafiosa (Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, Rv. 270468; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, Rv. 269659). Infatti, la Corte di merito rileva come le frequentazioni con sodali aventi ruoli apicali e l'assidua presenza del ricorrente presso il distributore TAMOIL non risultano circostanze neutre, come prospettato dalla difesa, bensi' confermative del propalato del collaboratore di giustizia in ordine all'appartenenza del ricorrente alla "locale" di (OMISSIS), nonche' espressive della volonta' dell'imputato, anche dopo la sorveglianza speciale e l'attenzione investigativa subita nel procedimento (OMISSIS), di affermare la propria presenza ed il ruolo di riferimento per l'ambiente circostante. Stante quanto appena affermato, nell'ambito del medesimo motivo di ricorso, si censura la mancata indicazione di fatti leciti o illeciti idonei ad individuare la "materializzazione della condotta di partecipazione all'associazione mafiosa". Ebbene, si rende necessario precisare che la condotta del partecipe e' suscettibile di manifestarsi nella prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purche' non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all'esistenza o al rafforzamento dell'associazione. Non potendosi considerare la "messa a disposizione", al pari delle condotte di conservazione e di potenziale rafforzamento dell'associazione, un "evento" oggettivamente rilevabile alla luce della sua innegabile connotazione di immaterialita', ai fini della sua valutazione non puo' utilizzarsi il "parametro" della causalita', dovendosi invece ricorrere a quello della "rilevanza" in concreto. In tal senso, rileva quanto affermato da ultimo da questa Corte anche nelle motivazioni della sentenza della S.U. (non depositate all'atto della redazione del ricorso), secondo cui nell'irrinunciabile recupero di una dimensione probatoria, potranno venire in rilievo, oltre all'accertamento della comprovata mafiosita' del gruppo associante, la "qualita'" dell'adesione ed il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilita' criminale dell'affiliando, la "serieta'" del contesto ambientale in cui la decisione e' maturata, il rispetto delle forme rituali anche con riferimento all'accertamento dei "poteri" di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilita' pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell'associato a favore della consorteria mafiosa: gli indici rivelatori del fatto punibile devono essere tratti da elementi oggettivi e soggettivi di contesto, capaci di fungere da criterio metodologico di verifica processuale, da calibrare caso per caso, in ragione della situazione concretamente considerata (S.U., n. 36958 del 27/05/2021, dep. 11/10/2021, Rv. 281889). Nel caso di specie, gli elementi dimostrativi dello stabile inserimento del ricorrente all'interno della cosca e del ruolo allo stesso riconosciuto vengono identificati dai giudici di merito nell'ossequio dei sodali rispetto alla distribuzione delle cariche che sin dal 2012 gli venivano attribuite (" (OMISSIS)...se hai problemi ti dice ti...per me lo sto...lui deve restare lui", intercettazione telefonica riportata a p. 376 della sentenza impugnata), nonche' nell'autorizzazione per l'apertura del locale notturno nella zona di controllo della cosca di (OMISSIS), conferita dall'imputato alla cosca "amica" della vicina Polistena, che manifesta non solo la riferibilita' dell'imputato medesimo alla cosca di (OMISSIS), ma anche e soprattutto la capacita' rappresentativa del sodalizio nei confronti dei soggetti esterni. Ebbene, come evidenziato dalla Corte territoriale, gli elementi cosi' declinati nella parte motiva della sentenza risultano idonei ad integrare la condotta di partecipazione ascritta al ricorrente, che viene identificato come "vangelista", ruolo che costituisce espressione di un potere progressivamente in crescita, in forza del quale l'imputato risulta gia' destinatario delle prerogative e delle sfere di conoscenze tipiche della societa' di âEuroËœndrangheta cosiddetta maggiore. Di conseguenza, ove il ruolo formalmente conferito nella scala gerarchica caratterizzante l'organigramma interno dell'associazione corrisponda ad ambiti di rilievo via via crescenti in progressione, il valore indiziario ascrivibile al dato dell'affiliazione e' destinato ad assumere un significato maggiormente rilevante sul piano probatorio, laddove - come nel caso di specie - alla crescita per gradi corrispondano positive valutazioni "meritocratiche", in sostanza, meriti gia' acquisiti sul campo e concretati da pregresse condotte positivamente realizzate nell'interesse della compagine associativa (vedi motivazione Sez. 6, 20 maggio 2015, n. 39112; Sez. 5, n. 50839/2016; Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Rv. 269040). In questa ottica, il giudizio sulla intraneita' ad un'organizzazione di tipo mafioso puo' ben valersi dell'apprezzamento della carica formale - di rilievo nella scala dei valori interni all'associazione - rivestita dall'imputato. L'attribuzione di un grado qualificato - quale la dote all'interno del gruppo sulla base di una scala di progressione consolidata - puo' assurgere a significativo elemento dimostrativo della partecipazione associativa, ove si colleghi a ruoli e funzioni riconosciute all'interno di un territorio, ed integri una figura di riferimento indefettibile, che dimostra la sua valenza e stabilita' all'interno della compagine, per come anche avvalorato dagli indici fattuali di carattere esterno declinati nelle sentenze di merito. In tale contesto, quindi, l'incarico ulteriore nell'ambito della scala gerarchica della âEuroËœndrangheta qualifica la condotta di partecipazione e la stessa permanente messa a disposizione, non risultando, peraltro, che tale conferimento sia stato la mera conseguenza di un "tramandato" di carattere familiare. (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso in tema di affermata partecipazione del ricorrente (OMISSIS) e del fratello (OMISSIS) al sodalizio mafioso e' inammissibile quanto alle censure che investono la sussistenza dell'associazione di cui al capo 1) della rubrica; e' manifestamente infondato con riguardo alla posizione di associato attribuita dal giudice del merito a ciascun imputato. 1.1. Con riferimento alla sussistenza della cosca (OMISSIS), quale articolazione interna dell'associazione di stampo mafioso nota come locale di (OMISSIS), la doglianza e' generica in quanto il ricorrente dopo averla introdotta come premessa evocando i requisiti strutturali del sodalizio mafioso, omette specificamente di confrontarsi con la motivazione resa sul tema dalle sentenze di merito con riferimento proprio al gruppo riconducibile al (OMISSIS) ed alla sua esteriorizzazione (vedi punto 7 pagg. 527 ss.). 1.2. Quanto alla responsabilita' in ordine alla partecipazione all"associazione di stampo mafioso di cui al capo 1) della rubrica, la Corte di merito, infatti, lungi dal fondare la condotta in una mera contiguita' compiacente ovvero sulla scorta della vicinanza o della generica disponibilita' manifestata dal ricorrente nei riguardi di un esponente di spicco del sodalizio (il coimputato (OMISSIS)), ha indicato, con argomentazioni congrue e coerenti, una pluralita' di elementi, la cui lettura unitaria, risulta dimostrativa dell'appartenenza di entrambi i fratelli (OMISSIS) all'associazione âEuroËœndrangheta locale di (OMISSIS), per come emergente soprattutto dal contenuto delle conversazioni ambientali intercettate. In particolare, e' stato messo in luce come gli interlocutori abbiano pienamente condiviso il progetto di riorganizzazione della locale di (OMISSIS) mediante la costituzione di una nuova cosca " (OMISSIS)", per la quale (OMISSIS), padre del ricorrente ed illustre componente della locale di (OMISSIS), aveva dato il proprio benestare, concordando con il (OMISSIS) le regole da osservarsi per la selezione dei nuovi "affiliati" ed avallando il proposito di costui di rafforzare il proprio ruolo all'interno della stessa locale di (OMISSIS). Del resto, il particolare rilievo contenutistico dei colloqui, vertenti su aspetti essenziali dell'attivita' della cosca locale, quale il settore delle estorsioni della legna, e' logicamente evocativo di un'intraneita' al sodalizio e non di una mera aspettativa di farne parte o di asserita contiguita'. Le sentenze di merito, infatti, hanno evidenziato come in tali frangenti i colloqui non si siano limitati al richiamo di fatti storici ma come, invece, abbiano avuto riguardo alle conseguenze per la stabilita' degli affari e del predominio della cosca nel territorio di competenza e, dunque, su aspetti attinenti alle strategie da adottarsi al fine di conservare, nel settore estorsivo di interesse, il predominio. E in tale contesto, l'aver messo il (OMISSIS) al corrente gli imputati anche dell'altra estorsione della legna a cui questi non avevano partecipato, discutendo sulle strategie di imposizione del pizzo (tanto da rivangare l'estorsione perpetrata in passato ai danni del Belocco, additato di inaffidabilita' in quanto proveniente da zona diversa), da' ragionevolmente conto della pregressa esistenza di un legame di carattere necessario in forza del quale era possibile la circolarita' tra di loro di dette informazioni. La conferma di tale legame si rinviene, altresi', anche nella parte in cui la sentenza impugnata da' atto di come i ricorrenti discutano con il (OMISSIS) delle possibili nuove affiliazioni, chiedendo che di esse venisse loro dato conto e sondando la possibilita' di assoldare persone di fuori paese, nonche' di come lo stesso (OMISSIS) confermi al ricorrente ed al fratello di avere notiziato il capo locale (OMISSIS) del proposito di creare una nuova âEuroËœndrina all'interno della locale. Si tratta di tematiche di cosi' stretta pertinenza ed esclusivita' che logicamente richiedono un legame di carattere associativo gia' presente tra gli interlocutori, in quanto disvelano circostanze che - laddove improvvidamente condivise con soggetti esterni o aspiranti - potrebbe mettere in pericolo il progetto criminoso intrapreso. Declinare il nome del capo della locale - di cui in tale occasione il (OMISSIS) giunge anche a criticare la stesse capacita' direttive - e chiedere conto delle nuove affiliazioni sono elementi che presuppongono logicamente l'assunzione di un ruolo all'interno della veste associativa e l'esistenza di un pregresso e stretto legame associativo e di fiducia tra i conversanti. Non si tratta, dunque, di avere asseverato un battesimo o una manifestazione generica di disponibilita', ma di avere dimostrato che soggetti gia' affiliati alla locale di (OMISSIS) si stavano attivando concretamente per ritagliarsi uno spazio autonomo di intervento. Il richiamo, peraltro, dell'atto intimidatorio perpetrato da entrambi i ricorrenti con altro associato ( (OMISSIS)) ai danni di (OMISSIS) ed al successivo colloquio di quest'ultimo con il (OMISSIS) (parimenti intercettato), da cui emerge il contesto mafioso in cui tale atto e' maturato e si inserisce, contribuisce alla prova di colpevolezza, al pari anche della condivisa conoscenza delle armi di cui il (OMISSIS) disponeva (anche con riguardo alla provenienza ed alla necessita' di un frazionato occultamento) e della disponibilita' a questi manifestata di prestarsi ad assicurare un fattivo contributo nei relativi traffici. 2. Il motivo in ordine alla sussistenza dell'aggravante dell'essere l'associazione armata e' generico, in quanto la sentenza impugnata risulta avere richiamato precisi elementi di fatto (si vedano in particolare i paragrafi relativi anche alle contestazioni della violazione legge armi mosse al (OMISSIS) e agli altri imputati) dimostrativi tanto del possesso da parte della cosca del (OMISSIS) di armi (risultano elevati specifici capi di imputazione a carico del (OMISSIS) e di altri imputati in materia) che lo stesso aveva compravenduto, quanto dell'interesse al riguardo manifestato da entrambi i ricorrenti e della diretta conoscenza in capo agli stessi della presenza di armi, per come disvelato dalle stesse conversazioni intercettate a cui prendono parte sul tema con il (OMISSIS). 3. La riconducibilita' dell'episodio del danneggiamento mediante incendio ai danni del (OMISSIS) ad un contesto associativo e' stata motivatamente argomentata dalla sentenza impugnata evidenziando il contesto di fatto all'interno del quale origina l'azione illecita posta in essere dal ricorrente, unitamente al germano, in concorso con il (OMISSIS). Lungi, infatti, dal trattarsi dell'epilogo violento di una controversia avente carattere privatistico, per come gia' avvenuto a proposito dell'episodio relativo all'estorsione commessa dai cugini (OMISSIS) ai danni dello (OMISSIS) (capo 39), la sentenza impugnata ha evidenziato come tali "vertenze" scaturissero da una suddivisione territoriale dell'attivita' del taglio boschivo soggetta al pagamento della tangente estorsiva ad opera delle rispettive ditte interessate. Altrimenti non si spiegherebbe l'intervento del (OMISSIS), certamente non a titolo personale, ma quale soggetto deputato a garantire l'osservanza proprio di quei pacta illeciti che, a monte, dovevano assicurare ai singoli esercenti il pieno e libero svolgimento dell'attivita' di impresa in ragione del pizzo corrisposto alla cosca di riferimento. E tale lettura risulta confermata anche dall'ulteriore dato, ricavato dalle intercettazioni e riportato in sentenza, ove si da' atto che la p.o. (OMISSIS), al pari proprio di quanto aveva fatto lo (OMISSIS) nell'occasione del delitto di cui al capo 39), si era recato proprio dal (OMISSIS) - con cio' dimostrando come tale imputato fosse ritenuto un diretto ed autorevole referente delle dinamiche relative alle questioni della cosca di (OMISSIS) - al fine di far valere le sue "ragioni" e, dunque, il suo esclusivo diritto in forza della tangente pagata. Ed analogamente cio' era avvenuto anche per gli autori del gesto e, in particolare, per i fratelli (OMISSIS), essendosi anche questi portati dal (OMISSIS) con cui discutevano del merito dell'iniziativa intrapresa a sostegno del (OMISSIS) (il quale non risulta un quisque de populo ma e' ritenuto un intraneo alla cosca del (OMISSIS), per il quale si e' proceduto separatamente e la cui responsabilita' e' stata affermata nel parallelo giudizio di appello), nonche' delle conseguenze che tale gesto avrebbe potuto rappresentare per la tenuta interna ed esterna della cosca, ricevendo dal (OMISSIS) assicurazioni sull'assenza di conseguenza anche in ragione del fatto che non erano stati riconosciuti e la p.o. si sarebbe ben guardata dal denunziare. Nella ricostruzione dei giudici di merito, ai fini dell'integrazione dell'aggravante, rilevano, in particolar modo, le modalita' del fatto, quale espressione di un metodo mafioso di carattere del tutto prevaricatorio ai danni di un imprenditore gia' soggetto ad estorsione e costretto a sottostare al volere del potente, tanto che si citano a conferma anche gli episodi, non certo di contorno ma espressivi della finalizzazione della condotta, degli accessi del (OMISSIS) e dei suoi familiari presso la "bottega" del (OMISSIS), effettuati senza pagare alcunche', ovvero "l'offerta" della legna" nonostante il (OMISSIS) non avesse alcun titolo per riceverla. Ma se una condotta illecita concorre anche a rafforzare quel clima omertoso che regna in un determinato territorio - tanto che la p.o. si guarda bene dal denunciare l'accaduto per come accertato nelle investigazioni, ma si rivolge al referente della cosca che ivi insiste - del tutto illogico oltre che contraddittorio sarebbe escludere la valenza della sua ulteriore direzione finalistica che ne involge tanto il profilo causale che soggettivo in capo a chi se ne rende autore. La censura mossa, pertanto, si risolve in un'alternativa di merito, in quanto volta a prospettare una lettura differente che riconduce le modalita' di commissione del fatto alla vicenda in se' e per se' considerata, versione che risulta essere stata disattesa dai giudici di merito con congrua motivazione, non censurabile in questa sede. 4. Manifestamente infondato e' il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio, essendosi richiamati a fondamento del diniego della concessione delle attenuanti generiche e in punto di determinazione della pena (peraltro la pena base sul reato associativo e' stata stabilita nel minimo edittale al ricorrere dell'aggravante dell'essere l'associazione armata), pertinenti indici di disvalore tanto attinenti alla gravita' delle condotte, quanto alla pericolosita' sociale del ricorrente, gravato, unitamente al fratello, di precedenti penali anche di spiccato rilievo, i quali hanno commesso i reati anche in costanza di permesso premio, evenienza, quest'ultima, che rende logico l'aver affermato l'incapacita' alla rieducazione della pena. La circostanza, poi, che il ricorrente non abbia fatto ricorso ad una strategia processuale dilatoria e' elemento generico non essendosi circostanziata l'affermazione con il riferimento a quelle attivita' od atti processuali in cui il consenso o la mancata opposizione della difesa hanno giovato alla ragionevole durata del giudizio e non potendosi all'uopo ritenere sufficiente la scelta di procedere col rito abbreviato, atteso che la valutazione premiale di tale scelta e' gia' posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo (Sez. 2, n. 24312 del 25/3/2014, Rv. 260012; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 12/2/2009, Rv. 242861). (OMISSIS) Il ricorso va rigettato. 1. Il primo motivo in punto di sussistenza della cosca " (OMISSIS)" non tende a contestare la forza di intimidazione della âEuroËœndrangheta nel suo complesso o l'operativita' della stessa nel territorio di (OMISSIS), peraltro gia' giudizialmente accertata con riguardo al periodo antecedente alle contestazioni mosse nel presente giudizio, bensi' - sotto tale principale profilo - la concreta operativita' della âEuroËœndrina (OMISSIS). Al riguardo, va anzitutto precisato, quale dato di partenza, che le sentenze di merito, con motivazione congrua, hanno spiegato, citando tanto le propalazioni di un collaboratore di giustizia che i dialoghi intercettati proprio presso l'abitazione del (OMISSIS) (intervenuti tra soggetti direttamente coinvolti) che il proposito del ricorrente di costituire un'autonoma âEuroËœndrina non resto' affatto a livello di mera "cogitazione", ma si estrinseco' in atto, operando specifiche affiliazioni, con soggetti anche gia' gravanti all'interno del panorama mafioso, dotati di particolare affidabilita' anche in forza di legami parentali. Inoltre, e' stato anche chiarito come tale progetto prevedeva una realta' organizzativa comunque inserita nell'ambito delle articolazioni territoriali delle cosche di âEuroËœndrangheta (in specie della locale di (OMISSIS)), tanto che se ne auspicava il riconoscimento da parte della provincia e se ne riproducevano le formule organizzative; lo stesso (OMISSIS) ne aveva discusso con i referenti locali della cosca e ricevuto il benestare anche da alcuni notabili. Il gruppo aveva preso forma, disponeva di numerose armi, circostanza di cui erano state messe al corrente anche le cosche limitrofe, e il (OMISSIS) aveva assunto anche le relative determinazioni quale organo di vertice della omonima locale. Allo stesso (OMISSIS), in virtu' del ruolo apicale assunto sul territorio, si rivolgono poi soggetti estorti (il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) al fine di ottenere il rispetto dei patti estorsivi stabiliti con le cosche di âEuroËœndrangheta in ordine alla raccolta della legna ed al rispetto delle zone di rispettivo esercizio. In sostanza, precisa la Corte territoriale, la storiografia criminale del clan (OMISSIS) - sistematicamente inserimento in traffici illeciti in materia di armi, droga, estorsioni ed usura, per come rivelato da un collaboratore di giustizia - coincide necessariamente con quella della cosca di (OMISSIS), solo che si proietta in avanti in un tentativo di recrudescenza del potere mafioso gestito dal gruppo per una non troppo malcelata critica ai metodi "percepiti come meno efficaci" dei padri del clan e non senza coinvolgere nella evoluzione il capo (OMISSIS). Ne' a tale rinnovato intento erano di ostacolo i conflitti e le rivalita' innescatesi all'interno del gruppo madre, precisando la sentenza impugnata come tali fatti non costituissero motivo di necessaria cesura con il passato di âEuroËœndrangheta della cosca, ma anzi al contrario "sedimentassero nuovi e successivi sviluppi di cui questo capeggiato dal (OMISSIS) costituisce un frutto di sicuro rilievo per la prosecuzione della azione criminale della cosca". Se questo e' dunque il contesto di fatto asseverato dal giudice del merito, nessuna violazione di legge in ordine all'applicazione della norma sostanziale censurata, nonche' vizio di motivazione, e' dato ravvisarsi. Va anzitutto ricordato come questa Corte abbia in diverse occasioni avuto modo di puntualizzare che il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. e' configurabile - con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. "locale") di un sodalizio mafioso radicato nell'area tradizionale di competenza - anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella "madre" del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne, sostegno ai sodali in carcere, ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una gia' attuale pericolosita' per l'ordine pubblico (ex multis: Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, Rv. 268676; Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290; Sez. 5, n. 47535 dell'11/7/2018, Rv. 274138). Si e' infatti, al riguardo, osservato come diverso sia invece il caso di una neoformazione che si presenta quale struttura autonoma ed originale, ancorche' caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, giacche', rispetto ad essa, e' imprescindibile la verifica, in concreto, dei presupposti costitutivi della fattispecie ex articolo 416-bis c.p., tra cui la manifestazione all'esterno del metodo mafioso, quale fattore di produzione della tipica condizione di assoggettamento ed omerta' nell'ambiente circostante (Sez. 2, n. 24850 del 28/03/2017 - dep. 18/05/2017, Rv. 270290; Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, non mass.). Ma e' del tutto evidente come una siffatta autonomia (con tutto quel che ne consegue sul piano della analisi e della "effettivita'" del "metodo" e del clima di assoggettamento omertoso che ne deve scaturire) postuli uno iato, tra vecchia e "nuova" aggregazione, che deve porsi in termini, non soltanto strutturali, ma anche - e soprattutto - funzionali, nel senso che il sodalizio "locale" sia appunto - e "appaia" essere - entita' scollegata da qualsiasi altra struttura configurabile alla stregua di "casa madre". D'altra parte, nel ribadire i principi anzidetti a proposito dei "locali" di "âEuroËœndrangheta", questa Corte, in una ipotesi di creazione in Svizzera di una "locale" rappresentante l'articolazione di un clan calabrese, non ha mancato di focalizzare come i moderni mezzi di comunicazione propri della globalita' hanno reso noto il metodo mafioso proprio della "âEuroËœndrangheta" anche in contesti geografici un tempo ritenuti refrattari o insensibili al condizionamento mafioso, per cui non e' necessaria la prova della capacita' intimidatrice o della condizione di assoggettamento o di omerta' in quanto l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante e' assicurato dalla fama conseguita nel tempo dalla consorteria. (Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018 - dep. 21/06/2018, Demasi, Rv. 27309301). Dunque, puo' affermarsi come l'insorgenza di un nuovo "gruppo" finalisticamente e metodologicamente orientato al perseguimento di finalita' mafiose, ben possa "sfruttare" - volgendole a proprio vantaggio di sodalizio "neonato" - proprio la notorieta' ed il conseguente assoggettamento omertoso derivante dalla attivita' - pregressa e perdurante - di gruppi mafiosi gia' occupanti in maniera stabilmente radicata il medesimo ambito territoriale, soprattutto allorche' tale nuova formazione si ponga quale diretta "derivazione" di quelle storicamente insistenti proprio in quel territorio di "competenza" e al contempo si rimette all'osservanza di regole, rituali proprie dell'organismo sovraordinato, di cui si riconosce l'autorita' di carattere organico e funzionale. D'altra parte, e' del tutto evidente come la continuita' del quadro ambientale di riferimento giovi, si potrebbe dire, sul piano ontologico, quante volte il nuovo sodalizio si ponga come "derivazione" storica di altra preesistente e notoria struttura, della quale finisce per costituire una sorta di "costola", dotata di vita e operativita' proprie. Questa Corte, infatti, non ha mancato di sottolineare che, in tema di associazione di tipo mafioso, la costituzione di una nuova organizzazione, alternativa ed autonoma rispetto ai gruppi storici presenti sul territorio, puo' essere desunta da plurimi indicatori fattuali quali le modalita' con cui sono commessi i delitti-scopo, la disponibilita' di armi, l'esercizio di una forza intimidatoria derivante dal vincolo associativo, nonche' dal riconoscimento, da parte dell'associazione storicamente egemone di una paritaria capacita' criminosa al gruppo emergente. (Fattispecie in cui dalle intercettazioni telefoniche risultava che esponenti del gruppo "storico", nonostante il consolidato predominio sul territorio, manifestavano preoccupazione per la contrapposizione con il gruppo emergente, attese la capacita' di quest'ultimo di subentrare nel controllo delle attivita' illecite e la comprovata forza intimidatrice della nuova formazione - Sez. 6, n. 42369 del 17/07/2019, Rv. 277206). Ma se tutto cio' e' vero in un ambito di concorrenzialita' territoriale in cui l'esprimersi del nuovo sodalizio operi, o possa operare, come elemento di "disturbo" per i clan tradizionali, e' evidente che la "continuita'" e compresenza mafiosa sia assai piu' agevolmente dimostrabile laddove - come nella specie la nuova realta' associativa sia controllata proprio da un elemento che al vecchio gruppo egemone faceva notoriamente riferimento (il (OMISSIS)), e - soprattutto - da questo gruppo non sia stato in alcun modo "ostacolato" nei suoi iniziali propositi di dar vita ad una "propria associazione", con un nomen che non si pone in alcuna antinomia esterna con quelli di piu' risalente "tradizione" pur insistenti nel territorio di causa. Ebbene, in tale quadro di riferimento, il "manifestarsi" del gruppo facente capo al (OMISSIS) si ammanta - per modalita', struttura, "notorieta'" del contesto âEuroËœndranghetista di provenienza, insistenza operativa del nuovo gruppo proprio sullo stesso territorio di pertinenza di quello stesso contesto mafioso, senza che cio' avesse ingenerato alcun tipo di frizione (dato, questo, anch'esso "evidente" nel territorio gia' oggetto di quell'assoggettamento omertoso) - di tutte le "prerogative" mafiose che gia' connotavano in passato l'attivita' dello stesso (OMISSIS) e delle altre locali di riferimento. Una fenomenologia, dunque, quella che viene qui in discorso, distinta da quella delle cosiddette "nuove mafie locali", che hanno trovato disamina giurisprudenziale in recenti approdi di questa Corte (Sez. 2, n. 10255 del 29/2019, deo. 2020, 278745). Nelle neoformazioni, infatti, e' del tutto assente quella "assimilazione per rendita di posizione" o di utilizzo a propri fini dell'avviamento criminale ascrivibile ai consessi ivi insistenti, derivante dalla presenza sul territorio di associazioni nominativamente riconducibili al genus ed al paradigma di cui all'articolo 416-bis c.p., nel cui alveo il "nuovo" gruppo si e' formato e consolidato, condividendone gli scopi ed i metodi e realizzando la stessa tipologia di reati. La "nuova" articolazione del (OMISSIS), infatti, non solo ripete le gesta notoriamente proprie delle associazioni di stampo âEuroËœndranghetista da cui deriva, ma ha causalmente fruito, sotto il profilo rappresentativo, della traccia euristica genetica costituita dagli accertamenti giudiziari che hanno preceduto la sua formazione, della quale si e' avvalsa non mediante meri propositi di carattere intimidatorio, ma esercitando in un'ottica di continuita' in quel territorio la forza di intimidazione di tali conosciuti consessi organizzati. Insomma, una storia che si ripete, con analoghe metodologie e finalita' ed anche comprimari (a quell'ambiente riferibili), che si e' tradotta materialmente in atto. Non si assiste, dunque, ad una novazione, bensi' ad una successione a titolo particolare di un consesso che utilizza lo stesso metodo e si pone le medesime finalita' criminali del precedente, nell'ambito di un pactum avente eguale natura - perfettamente riconducibile alla medesima societatis sceleris per modello e tipo - e destinato ad insistere in una realta' territoriale notoriamente gia' adusa a confrontarsi con realta' di tal fatta. La stretta continuita' di tipo delinquenziale si lega poi ad una riscontrata operativita' interna ed esterna del gruppo, che da' ragionevolmente conto della ricaduta del nomen sulla realta' circostante e del clima che ad essa ne consegue. Quest'ultima appare evidente, si legge nella sentenza impugnata, alla luce della consolidamento del progetto criminale all'interno della stessa cosca e prendendo le mosse dalla locale di âEuroËœndrangheta gia' accertato, anche in via giudiziale, che e' quello in oggetto, riconosciuto all'esterno per il suo potere impositivo di natura estorsiva come le estorsioni del "bosco" (vicende oggetto delle contestazioni mosse ai capi 38 e 61), tra le altre, dimostrano, nonche' detentore del traffico di armi anche da guerra, che passano indisturbate da casa (OMISSIS), che unitamente al collaboratore (OMISSIS) diviene un rifornitore costante dei singoli associati e dei personaggi di altre zone criminali che con loro si interfacciano stabilmente a questo scopo, in cio' mantenendo una costante delinquenziale che consente di integrare l'accesso al nuovo progetto delittuoso come naturale evoluzione e fattivo avvicendamento di quello gia' in atto da anni ed anni. Il motivo di ricorso, pertanto, risulta infondato sotto entrambi i vizi denunziati, avendo la Corte di merito fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di associazione mafiosa, di cui ha dato atto con congrua argomentazione. 2. Il secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio presenta profili tanto di manifesta infondatezza che di infondatezza. 2.1. Manifestamente infondata e' la censura in ordine all'aumento per la continuazione. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene diffusa motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione del ricorrente (vedi pagg. 992-993). L'onere di motivazione quindi risulta reso, in ossequio anche agli orientamenti recenti assunti da questa Corte in materia (S.U., n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269). 2.2. E', invece, infondato il rilievo attinente all'esatta determinazione della pena conseguente al riconoscimento della continuazione con i fatti per cui l'imputato e' stato gia' giudicato con i fatti di cui al procedimento c.d. (OMISSIS) definitivo con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 21.3.2018 esecutiva il 4.9.2018, che a sua volta riconosceva la continuazione tra i fatti di quel processo e quelli decisi con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 20 marzo 2008 esecutiva il 2.12.2008. Al riguardo, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la pena complessivamente inflitta al ricorrente e' stata determinata - in riforma di quella inflitta dal primo giudice - nel seguente modo: ritenuti piu' gravi i fatti oggetto del presente giudizio (in ragione dell'entita' delle pene stabilite dalla legge, della tipologia dei reati contestati e del numero particolarmente elevato delle imputazioni contestate), si e' proceduto alla determinazione della pena stabilita per tali reati (indicandosi la pena base e la misura di ciascun aumento dovuto alla recidiva qualificata ed alla continuazione), nella complessiva misura di anni 47 di reclusione ed Euro 111.000,00 di multa; si e' quindi proceduto ad applicare, sulla reclusione, la regola di temperamento del cumulo materiale di cui all'articolo 78 c.p., comma 1 n. 1, stabilendosi, per l'effetto, una pena di anni 30 di reclusione ed Euro 109.000,00 di multa. Si e' provveduto poi ad applicare la diminuente di un terzo stante la scelta del rito abbreviato, cosi' giungendosi ad una pena di anni 20 di reclusione ed Euro 72.000 di multa. A questo punto si e' rideterminata ex articolo 81 cpv. c.p. in anni 9 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, indicandosi la misura di ogni aumento per ciascun reato contemplato, la pena in continuazione per i fatti di cui alle predette sentenze di condanna gia' definitive. Ad avviso del ricorrente, invece, il giudice del merito avrebbe dapprima dovuto procedere ad un'unica sommatoria ex articolo 81 cpv. c.p. delle pene stabilite per i fatti di cui al presente giudizio con quelli di cui al procedimento c.d. FIORE ed altro ad esso gia' unito in continuazione, applicare la regola di temperamento del cumulo materiale ex articolo 78 c.p. e, poi, la riduzione per la scelta del rito abbreviato, cosi' pervenendosi ad una pena finale di anni venti di reclusione ed Euro 85.000,00 di multa. Tale prospettazione non puo' tuttavia essere condivisa alla luce del condivisibile orientamento espresso dalla Quinta sezione di questa Corte (sentenza n. 47073 del 20/06/2014, Rv. 262144), al quale il Collegio intende aderire. Ora, se e' vero che la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che la pena e' stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli articoli 71 c.p.ss., fra le quali vi e' anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non puo' essere superiore ad anni trenta di reclusione (S.U., n. 45583 del 25/10/2007), e' altresi' vero che la diminuente del rito abbreviato puo' essere applicata solo nei processi celebrati col rito speciale suddetto, non essendo consentite estensioni della disciplina di favore oltre i casi espressamente stabiliti. E', infatti, affermazione ricorrente in giurisprudenza quella per cui, ove venga riconosciuta - in fase cognitiva o esecutiva - la continuazione tra piu' reati, alcuni dei quali oggetto di condanna all'esito di giudizio abbreviato, e altri di condanna all'esito di giudizio ordinario, la riduzione ex articolo 442 c.p.p. opera solo sui reati giudicati con rito abbreviato (Cass., n. 9038 del 20/11/2012; Cass., n. 33856 del 2008). Il caso oggetto del presente giudizio presenta una particolarita', rappresentata dalla interferenza del principio da ultimo richiamato col criterio moderatore posto dall'articolo 78 c.p.. Normalmente (vale dire, ove non venga in questione l'articolo 78 c.p.), la determinazione della pena viene operata, anche nel caso di piu' reati uniti per continuazione e giudicati in procedimenti celebrati con rito diverso, nel modo seguente: la riduzione di un terzo opera sulla (sola) pena irrogata all'esito di giudizio abbreviato e - ove il reato piu' grave sia quello giudicato con rito abbreviato - gli aumenti per i reati satellite avvengono secondo le regole ordinarie (senza riduzioni per il rito). Tale soluzione, valevole per i casi di minore gravita', non puo' differire da quella ipotizzabile per le situazioni piu' gravi, in cui si tratta di fare applicazione dell'articolo 78 cit.. Percio', quando il cumulo delle pene - si ripete: irrogate in procedimenti diversi, celebrati con rito diverso - supera gli anni trenta di reclusione, la riduzione di un terzo (ex articolo 442 c.p.p.) non puo' operare sull'unica pena "temperata" ex articolo 78, giacche' questa pena (come quella risultante dal cumulo materiale) esita a procedimenti celebrati con riti differenti. Alla sua determinazione concorrono, infatti, piu' reati, in ordine ai quali l'imputato ha operato scelte processuali diverse, sicche' e' da escludere l'indiscriminata estensione del trattamento di favore a tutti quelli unificati per continuazione per l'esclusiva ragione che vi e' stata, in un caso, scelta del rito speciale. In tal caso, l'autonomia dei procedimenti e l'applicazione del principio di premialita' esigono che la diminuente venga riconosciuta solo in relazione a quello celebrato in forma contratta, analogamente a quanto avviene in sede esecutiva. Si tratta, in entrambi i casi, di una diversita' di moduli applicativi nella determinazione della pena che trova giustificazione nell'oggettiva diversita' delle situazioni processuali. L'opposta soluzione ermeneutica - propugnata dal ricorrente - darebbe luogo ad un'ingiustificata disparita' di trattamento, equiparando la posizione dell'imputato giudicato col rito abbreviato a quella dell'imputato giudicato col rito ordinario (S.U., n. 35852 del 22/02/2018, Rv. 273547). La Corte di merito ha fatto quindi corretta applicazione dei principi rilevanti nella specie. 3. Il terzo motivo di ricorso in tema di recidiva e' generico, in quanto non scandito dalla necessaria critica ed analisi delle specifiche argomentazioni poste a base del capo della sentenza impugnata relativo all'applicazione dell'aggravante speciale nei confronti del ricorrente. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto l'asserita contraddittorieta' e illogicita' della motivazione sono smentite dalla lettura della sentenza impugnata, che dimostra l'esistenza di un impianto motivazionale congruo e connotato da lineare e. coerente logicita' in punto di responsabilita' penale del ricorrente e di qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo 23) dell'imputazione. Inoltre, la disamina della pronuncia oggetto di gravame sul punto evidenzia come i giudici di merito risultano aver fatto corretta applicazione ed interpretazione delle norme penali in materia di armi, sicche' le censure mosse con il motivo di ricorso in esame si traducono nella prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dettato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimita'. Infatti, nella parte motiva della sentenza impugnata si precisa come la qualificazione giuridica in termini di reato consumato della condotta di partecipazione alle trattative per la compravendita di armi risulta dalla sussunzione di detto fatto nella fattispecie di "porre in vendita" di cui alla L. n. 895 del 196, articolo 1, che per sua natura assorbe e tipizza la fase prenegoziale, collocandosi in un momento antecedente rispetto alla conclusione dell'accordo illecito. Dunque, la norma penale in esame, incriminando la condotta di messa in vendita di armi, anticipa la soglia di consumazione del reato alla sola offerta, che fenomenologicamente si estrinseca nella fase precontrattuale delle trattative e non richiede la conclusione dell'accordo di vendita ai fini del suo perfezionamento, ne' la materiale consegna delle armi. Quanto appena affermato rivela l'ontologica incompatibilita', fattuale e giuridica, della condotta di "porre in vendita" con la fattispecie del tentativo ex articolo 56 c.p., posto che gia' di per se' tale condotta risulta collocata in una fase dell'iter criminis antecedente rispetto alla conclusione dell'accordo illecito. La qualificazione giuridica della condotta di partecipazione alle trattative finalizzate alla vendita di armi in termini di delitto consumato da parte dei giudici di merito, di cui si da' conto nella parte motiva della sentenza impugnata (pagg. 639 e 660), risulta pertanto scevra da vizi logici, nonche' conforme ai principi affermati in materia da questa Corte, secondo cui ai fini dell'integrazione del delitto di vendita illegale di armi o munizioni da guerra non e' necessario che alla condotta dell'agente siano seguiti effetti traslativi della proprieta' o la traditio del bene, ma e' sufficiente "porre in vendita" lo stesso, in quanto tale nozione e' comprensiva anche delle trattative (Sez. 1, n. 5619 del 14/01/2008, Rv. 238861). Alla luce di quanto appena affermato, l'esito infruttuoso delle trattative non incide sulla qualificazione giuridica del fatto in termini di delitto consumato. Inoltre, la Corte territoriale da' conto del perfezionamento del requisito della serieta' delle trattative (desunta dalla raccolta preventiva di denaro, dal numero delle armi e dalla tipologia delle stesse, dalla serieta' dei dialoghi), ritenuto necessario ai fini della integrazione della fattispecie contestata, in tal senso aderendo al consolidato principio di diritto affermato a piu' riprese dalla giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale integra il reato previsto dalla L. n. 865 del 1967, articolo 1 anche la semplice offerta in vendita, che ha riguardo ad ogni attivita' negoziale e prenegoziale, ivi comprese le trattative, purche' serie (Sez. 6, n. 3667 del 3/12/2021, dep. 2022; Sez. 1, n. 10071 del 25/06/2014, Rv. 262691; Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011, Rv. 251835; Sez. 2, n. 43054 del 23/10/2007, Rv. 238310). Quanto alla profilata irragionevole disparita' di trattamento tra la condotta di cui al capo 23) avente riguardo alle armi e la condotta contestata al capo 26) concernente gli stupefacenti, derivante dalla qualificazione dell'una in termini di delitto consumato e dell'altra in termini di delitto tentato, seppure a fronte della loro "sostanziale omogeneita'", la censura parte da una errata premessa, che si rinviene proprio nella asserita sovrapponibilita' dei due fatti ascritti al ricorrente. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata si rileva come la diversa qualificazione giuridica della condotta in materia di armi rispetto a quella concernente le sostanze stupefacenti sia il portato della divergente attivita' posta in essere dal ricorrente nei due contesti di riferimento. Infatti, i giudici di merito hanno accertato la responsabilita' penale dell'imputato per i fatti di cui al capo 23) in quanto concorrente nella messa in vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra, e parimenti per i fatti contestato al capo 26) per aver compiuto atti diretti in modo non equivoco ad acquistare sostante stupefacenti. Ebbene, la prima condotta e' stata correttamente qualificata in termini di reato consumato, posto che l'offerta in vendita di armi, includendo la fase delle trattative, e' sufficiente al perfezionamento della fattispecie incriminatrice contestata che non richiede la conclusione dell'accordo di vendita. La seconda condotta in materia di stupefacenti, invece, e' stata ritenuta integrativa del delitto tentato alla luce della considerazione per cui la fattispecie di "acquisto" di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 non assorbe la fase precontrattuale delle trattative, richiedendo la conclusione dell'accordo tra le due parti negoziali ai fini del suo perfezionamento, e pertanto e' suscettibile di configurarsi ontologicamente e normativamente nella forma del tentativo. Infatti, la Corte territoriale, sulla scorta della considerazione per cui la fattispecie di acquisto si perfeziona quando sia stato raggiunto l'accordo sulla qualita', quantita' e prezzo, ha correttamente inquadrato la contrattazione non conclusasi nella fattispecie del tentativo, richiamando in tal senso il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui si configura il tentativo di acquisto di sostanze stupefacenti quando l'iter criminis si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749; Sez. 4, n. 6781 del 23/01/2014, Rv. 259283 e Rv. 259284). Pertanto, la qualificazione della condotta di partecipazione alla trattativa finalizzata all'acquisto di sostanze stupefacenti in termini di delitto tentato trova il proprio antecedente logico necessario sul piano fattuale nell'accertamento del diverso ruolo svolto dal ricorrente (intermediario per conto dell'acquirente), e sul piano giuridico nel differente significato normativo delle condotte tipizzate e nel differente ambito applicativo. Cio' posto, l'operazione ermeneutica ed applicativa delle norme in materia di armi e stupefacenti, di cui si da' conto nella parte motiva della sentenza impugnata, risulta esente da vizi logici e, pertanto, insindacabile in sede di legittimita'. Infine, per completezza in punto di inammissibilita', va anche rilevato che il motivo di ricorso risulta pedissequamente riproduttivo di quello di appello, esaminato e disatteso dalla Corte territoriale con argomentazioni logiche e coerenti con le risultanze probatorie, con cui il ricorrente non si confronta specificamente. 2. Il secondo motivo di ricorso, riguardante l'inclusione nell'oggetto delle trattative anche di armi da guerra, e' manifestamente infondato in quanto l'asserita illogicita' e contraddittorieta' della motivazione sono smentite dalla lettura della sentenza impugnata, che evidenzia l'esistenza di un impianto motivazionale logico, congruo e coerente con le risultanze probatorie. Il riconoscimento della circostanza aggravante delle armi da guerra, infatti, risulta sorretto dalla complessiva disamina degli elementi probatori (in particolare delle intercettazioni ambientali) dimostrativi di come l'oggetto della trattativa di compravendita includesse non solo armi comuni, ma anche e soprattutto armi da guerra (68 pezzi tra cui bazooka, CZ, kalashnikov, Skorpion), nonche' espressivi della consapevolezza del ricorrente in ordine alla qualita' delle armi, anche considerato il ruolo attivo di intermediario da questo svolto nelle trattative. Ulteriore profilo di manifesta infondatezza del motivo in esame si rinviene nella pedissequa riproduzione di censure gia' dedotte dinanzi ai giudici di merito, e da questi vagliate e disattese con motivazione scevra da vizi logici, con cui il ricorrente non si confronta. 3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla responsabilita' del ricorrente per la violazione della legge armi di cui al capo 25), e' manifestamente infondato, in quanto la disamina del provvedimento impugnato dimostra l'esistenza di un apparato motivazionale connotato da lineare e coerente logicita', conforme all'esauriente disamina dei dati probatori sul punto. In tal senso, la Corte territoriale valorizza il contenuto delle captazioni ambientali e le risultanze istruttorie gia' divenute definitive nell'ambito del procedimento 1982/14 RGNR DDA in quanto elementi idonei ad attribuire al ricorrente il ruolo di soggetto per cui conto ed a cui favore il (OMISSIS) custodiva le armi, riconoscimento ritenuto coerente e conferente con lo svolgimento dell'attivita' di intermediario nella vendita di dette armi da parte del ricorrente medesimo. A fronte dell'indicazione di tali elementi di prova, il ricorrente finisce per prospettare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, nella specie del contenuto delle captazioni telefoniche, estranea al sindacato di legittimita', trattandosi di questione di fatto rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, Rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). Quanto alla asserita mancanza di rilievi fotografici che attestino la traditio di armi da parte del ricorrente presso l'abitazione del (OMISSIS), la Corte territoriale ha ritenuto decisivo, ai fini dell'affermazione di responsabilita', il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che precisa come vi fosse un'ulteriore via di accesso alla casa del (OMISSIS), posta sul retro, che non poteva essere ripresa dalla videocamera apposta dalla PG in prossimita' dell'ingresso principale. Anche sotto tale profilo il motivo in esame si traduce, pertanto, in una prospettazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' e avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito. Va, infatti, rammentato che sono inammissibili in questa sede tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita', quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). 4. Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l'illogicita' della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per i fatti di cui al capo 26), e' manifestamente infondato. La lettura della sentenza impugnata dimostra l'esistenza di un impianto motivazionale scevro da vizi logici, che da' conto di come la Corte territoriale sia pervenuta all'accertamento della partecipazione dell'imputato alle trattative finalizzate alla compravendita di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, e non solo marijuana e hashish come prospettato nel ricorso, sulla scorta della complessiva e coerente valutazione delle risultanze probatorie acquisite sul punto. In particolare, i giudici di merito ritengono provata la circostanza che sin da subito la negoziazione illecita aveva ad oggetto sia droghe leggere che droghe pesanti ("erba" e "polvere"), in ragione del contenuto delle copiose captazioni ambientali che hanno coinvolto il ricorrente e che ne hanno confermato il ruolo di intermediario quale soggetto attivo nelle operazioni di finanziamento per l'acquisto dello stupefacente e di scelta del tipo e della quantita' di droga da acquistare. Inoltre, a conferma della inclusione delle due tipologie di sostanza stupefacente ("dell'una e dell'altra") nell'oggetto delle trattative, la Corte di merito fa riferimento all'ordinanza del Tribunale del Riesame, la quale avallava l'esistenza di un doppio binario nella negoziazione, che coinvolgeva l'acquisto o lo scambio della "polvere" (cocaina) oltre che del "fieno per cavalli" (marijuana). Cio' posto, le doglianze sollevate con il motivo di ricorso in esame si traducono in mere doglianze in punto di fatto, non ammesse in sede di legittimita', e sono volte a prefigurare una rivalutazione ed alternativa lettura del materiale probatorio, che esulano dalla portata del giudizio di questa Corte. Ulteriore profilo di manifesta infondatezza del motivo di ricorso in esame si rileva nella pedissequa riproduzione delle doglianze gia' dedotte con l'atto di appello e gia' ampiamente disattese dalla Corte di merito con argomentazioni congrue ed esenti da censure in punto di logicita' e coerenza, con cui il ricorrente non si confronta. 5. Il quinto motivo di ricorso, avente riguardo al vizio di motivazione in relazione all'imputazione soggettiva dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1. c.p. per i fatti di cui ai capi 23) e 26), e' manifestamente infondato. Invero, la sentenza impugnata risulta essere corredata da una motivazione scevra da vizi logici in punto di riconoscimento dell'aggravante in discorso, sotto il profilo dell'agevolazione mafiosa, accertata con riguardo sia ai fatti in materia di armi sia a quelli in materia di stupefacenti. In tal senso, la Corte territoriale ha enunciato plurimi elementi dimostrativi della finalizzazione delle condotte poste in essere dal ricorrente, nonche' della consapevolezza dello stesso circa la proiezione teleologica delle operazioni illecite realizzate e condivise anche dai correi. Si e' fatto riferimento, in particolare, al contenuto dei dialoghi captati (viene sottolineato il contenuto dell'intercettazione del 15/03/2014), in cui il ricorrente veniva identificato quale soggetto intraneo alla âEuroËœndrangheta, peraltro in posizione apicale, come anche confermato dalla condanna del ricorrente, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. in qualita' di reggente nell'ambito del sodalizio mafioso operante nel territorio di (OMISSIS) e denominato (OMISSIS)- (OMISSIS)- (OMISSIS). Inoltre, anche alla luce di tali elementi, la Corte territoriale ha operato una valutazione logica e coerente delle espressioni captate, in cui il ricorrente ed i correi venivano rappresentati quali "fratelli" o "fratelli nostri" ai soggetti con cui i traffici illeciti di armi e droga venivano intrattenuti, proprio al fine di qualificarne il ruolo di affiliati, nonche' al fine di attestarne l'affidabilita' negoziale. Tali elementi, in uno con il contesto materiale e logico in cui risultano collocati, esprimono, nella valutazione dei giudici di merito, la finalizzazione ultima delle condotte negoziali e prenegoziali ascritte al ricorrente, che viene identificata nell'agevolazione e nel rafforzamento della compagine criminale di appartenenza e dei sodalizi mafiosi ad esso contigui ("famiglie"). Nella motivazione della sentenza impugnata, peraltro, si da' conto di come il dichiarato parzialmente confessorio del ricorrente, laddove quest'ultimo affermava di aver partecipato alle trattative illecite a titolo esclusivamente personale, trovi esplicita smentita nei dialoghi oggetto delle captazioni ambientali, che esprimono l'interesse dello stesso imputato e dei correi alla conclusione degli affari illeciti al fine di implementare il mercato nero delle armi in guisa da detenerne il controllo "per conto di tutti". Della valenza indiziante di tale contenuto i giudici di merito hanno fornito, pertanto, una ricostruzione coerente con l'editto accusatorio, anche operando una valutazione complessiva delle circostanze emerse, relative alla persona del ricorrente, in ragione del contesto fattuale dei dialoghi captati e del ruolo, anche associativo, rivestito da taluni degli interlocutori. I motivi di ricorso finiscono, dunque, per proporre, in questa sede, una rinnovata ponderazione delle emergenze processuali, alternativa a quella correttamente effettuata dai giudici di merito, introducendo problematiche che esulano dai limiti cognitivi del giudizio di legittimita' (ex multis Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482). Inoltre, i motivi dedotti risultano interamente riproduttivi delle doglianze gia' proposte in sede di appello ed esaminate nonche' disattese dalla Corte territoriale con motivazione congrua e scevra da vizi logici, con cui il ricorrente omette di confrontarsi. 6. Il sesto motivo di ricorso, afferente al trattamento sanzionatorio, e' manifestamente infondato in quanto la parte motiva della sentenza oggetto di gravame sul punto risulta aver fornito adeguato esame delle deduzioni difensive, e risulta essere sufficiente e non illogica. In particolare, la Corte territoriale, anche richiamando la sentenza del primo giudice, ha fatto riferimento a plurimi criteri ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, in particolare all'entita' della condotta, alla modalita' dell'azione, alla variegata tipologia di armi e narcotico trafficati, alla finalita' agevolatrice, ai precedenti penali del ricorrente, peraltro operando una diminuzione di pena per effetto dell'applicazione della disciplina maggiormente favorevole disposta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019. Pertanto, la graduazione della pena, anche in relazione alla diminuzione prevista ex articolo 56 c.p. per il tentativo, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142), cio' che, nel caso di specie, non ricorre. Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, non puo' essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, Rv. 264020; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Rv. 252880). 7. In conclusione, nulla aggiungendo la memoria depositata, va dichiarata l'inammissibilita' del ricorso. (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). Il ricorso e' infondato. 1. Il primo motivo relativo all'affermazione di responsabilita' in ordine ai delitti in materia di armi e' infondato. Anzitutto, correttamente la sentenza impugnata ha escluso la ricorrenza di un'ipotesi di "armi parlate" evidenziando come gli elementi indicativi delle caratteristiche delle armi menzionate nel corso dei dialoghi intercettati si riferissero a strumenti idonei ad offendere (all'uopo rilevano le indicazioni dei diversi calibri o dei modelli, elementi sufficienti a dare conto che non si tratta di armi giocattolo), in ragione della provenienza e del prezzo per una di esse corrisposto dal (OMISSIS) ed anche da quanto ammesso poi dallo stesso ricorrente nel riferire di avere visionato delle armi reali una volta entrato in casa del cognato (vedi pag. 906 ove si da' atto che il (OMISSIS) ne portava una alla cinta). 1.1. Quanto al capo 68), la detenzione dell'arma Beretta serie 81 e' stata correttamente tratta dal giudice del merito da un passaggio dell'intercettazione ambientale in cui e' lo stesso ricorrente a riferire al (OMISSIS) di avere la disponibilita' di un'arma (Beretta serie 81), mediante l'utilizzo del verbo avere, indicativo di possesso, in difetto di allegazione che si trattasse proprio della stessa arma legalmente detenuta dal padre, circostanza, quest'ultima, logicamente esclusa dalla Corte di merito mediante il riferimento al fatto che si trattava di un oggetto nuovo e contenuto in un pacco e che l'arma paterna, della cui serie vi e' incertezza, fosse invece stata acquistata molto tempo prima. Peraltro, la sentenza impugnata indica anche un elemento risolutivo costituito dal riferimento di un coimputato, che distingue l'arma posseduta dal ricorrente da quella di cui era titolare il padre. 1.2. Quanto alla pistola P38 calibro 9 Luger (riferibile tanto al capo 68 che a quello 70 trattandosi dell'arma per la quale vi e' contestazione di messa in vendita), la consumazione del reato di detenzione illegale e' stata ricavata dall'avvenuta conclusione del negozio di vendita intervenuto con il (OMISSIS) che prevedeva la consegna di due pistole di cui una gia' promessa in vendita da parte del ricorrente ad un terzo. La stessa Corte di merito da' atto di come la traditio non fosse intervenuta a causa di difficolta' sopravvenute (dapprima per difficolta' inerenti all'individuazione del luogo di occultamento stante l'ora notturna, poi perche' vennero scoperte le telecamere che monitoravano l'abitazione del (OMISSIS)), ma evidenzia, ai fini della consumazione, come fosse stato ormai concluso uno specifico accordo con il (OMISSIS) per l'avvenuta cessione delle armi, prontamente reperibili nei dintorni dell'abitazione del venditore (nascoste nella terra nei dintorni di casa). In forza di tale accordo, pertanto, muta la veste giuridica della detenzione delle armi compravendute da parte del (OMISSIS), il quale, da quel preciso momento, detiene nomine alieno, ossia in nome e per conto del ricorrente. Il fatto, dunque, che nel frangente monitorato dalle intercettazioni non si sia materialmente operata la consegna non e' elemento decisivo ai fini dell'esclusione del reato, in quanto, sulla scorta della ricostruzione operata dai giudici di merito, risulta come tra le parti - anche in forza dei rapporti di parentela tra le stesse intercorrenti fossero stati gia' concordati tempi, luogo e modalita' del ritiro e come fosse stabilito che quelle armi erano gia' divenute di proprieta' del ricorrente che, pertanto, ne poteva validamente disporre, anche ponendole in vendita ad un terzo al quale le aveva promesse. A conferma della validita' di tale ricostruzione, la Corte di merito cita anche la significativa circostanza di come proprio il giorno dopo fosse stato stabilito l'incontro con il terzo a cui erano gia' promesse in vendita le armi. Corretta, pertanto, risulta, sulla scorta della motivazione resa e degli elementi di fatto enunciati, la qualificazione giuridica data al fatto dalla sentenza impugnata. L'assunzione dell'impegno in capo al ricorrente di vendita delle armi in favore di un terzo, sulla scorta di un contratto gia' concluso per quanto si ricava sia dall'individuazione del compratore che del relativo prezzo di vendita, rende del tutto ragionevole la conclusione raggiunta dalla Corte di merito, in ossequio all'orientamento di questa Corte a mente del quale lo svolgimento di trattative serie tra soggetti interessati alla negoziazione di armi o munizioni senza licenza integra il reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articolo 1 (mod. dalla L. n. 497 del 1974, articolo 9), ravvisandosi in esso la condotta di "porre in vendita" prevista dalla norma, a nulla rilevando la diretta disponibilita', nei potenziali contraenti, delle armi e del denaro o l'accertamento dei limiti dei rispettivi mandati (Sez. 1, n. 5570 del 11/11/2011, dep. 2012, Rv. 251835; in termini con riguardo al caso di specie in sede cautelare (Cass. pen., sez. 5, n. 54973 del 18/11/2016). Del resto, che la trattativa, per come risulta dai dialoghi in sentenza riportati, fosse seria ed incombente, viene anche ricavato dalla particolare premura mostrata dal ricorrente nell'ottenerne la consegna, comportamento che logicamente si spiega proprio con l'obbligo negoziale gia' assunto dal ricorrente verso il terzo e non, come alternativamente prospettato nel ricorso, che lo riconduce ad un pretesto al fine di ottenere velocemente la consegna delle armi dal (OMISSIS). 2. Anche il secondo motivo di ricorso e' infondato. Quanto alla ricettazione (che attiene precisamente al capo 69, essendo invece nel capo 70 contestata la violazione della legge armi con riguardo all'ipotesi della messa in vendita), per avere acquistato dal (OMISSIS) un'arma di provenienza delittuosa, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte secondo cui, ai fini della consumazione del delitto di ricettazione, non e' necessario che all'acquisto, perfezionatosi in virtu' dell'accordo intervenuto tra le parti, segua materialmente la consegna della âEuroËœres', poiche' l'articolo 648 c.p. distingue l'ipotesi dell'acquisto da quella della ricezione (fattispecie in cui il fermo della merce di provenienza delittuosa presso la Dogana aveva impedito la ricezione da parte dell'imputato; Sez. 2, n. 40382 del 12/06/2015, Rv. 264559; conforme Sez. 2, n. 33957 del 14/06/2017, Rv. 270734). Peraltro, la censura risulta anche inammissibile nella parte in cui finisce per investire il significato delle intercettazioni con particolare riguardo alla individuazione dei modelli delle armi successivamente messe in vendita dal ricorrente, profilo che la sentenza di merito ha affrontato e risolto con motivazione non affatto illogica in ragione dei chiari elementi identificativi delle armi comuni da sparo comunque declinati nelle conversazioni e in ragione del contesto di fatto in cui avviene l'acquisto delle armi dal (OMISSIS). Il fatto che l'arma fosse con munizioni 9 Luger o 9 parabellum, implica anche l'esistenza del reato presupposto di cui al Decreto Legislativo n. 204 del 2010, articolo 5, considerato che a norma di tale disposizione le armi corte in cal. 9 Luger (9x19) pur essendo armi comuni (non da guerra per come correttamente rilevato dalla stessa sentenza impugnata accogliendo sul punto il rilievo della difesa) sono vietate ai civili e ne e' vietata anche la vendita; sono tuttavia costruibili regolarmente. Il fatto, poi, che le armi circolino al di fuori dei canali ufficiali di vendita basta a dare conto dell'elemento soggettivo del dolo generico richiesto per la sussistenza della fattispecie. 3. La dosimetria della pena, anche della pena base, e' adeguatamente motivata. La pena base e' stata correttamente parametrata su un valore prossimo al medio pari ad anni quattro di reclusione per la ricettazione, trattandosi di condotta azione che si innesta in un contestuale attivismo delinquenziale ben piu' ampio di cui la sentenza impugnata ha dato atto, essendosi anche richiamato l'ulteriore elemento di disvalore in cui il ricorrente fa anche da tramite per l'interesse al recupero di armi di (OMISSIS) e da canale di smercio per gli affari del Pronesti', oltre che del cognato (OMISSIS). 4. L'applicazione della recidiva rinviene congrua motivazione. Si da' atto, infatti, che il ricorrente annovera precedenti reiterati per reati contro il patrimonio (anche nel quinquennio), oltre al favoreggiamento personale verso il collaboratore (OMISSIS) e Giovanazzo (OMISSIS), nonche' varie pendenze per gravi addebiti in sede cautelare in materia di droga per i quali al momento della valutazione espressa dai giudici di merito si trovava contemporaneamente detenuto. Tali precedenti sono stati coerentemente apprezzati dal giudice del merito quali antecedenti di un percorso delinquenziale non interrotto alla luce anche della gravita' dei reati commessi, del contesto criminale in cui si inseriscono le condotte accertate e dei rapporti intrattenuti con soggetti di primo piano coinvolti nel presente procedimento ( (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS)). L'aumento disposto per la recidiva e' quello prescritto per legge, nella misura di due terzi della pena base, trattandosi di recidiva pluriqualificata: reiterata ed infranquinquennale. 5. Anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche rinviene congrua motivazione: al riguardo la Corte di merito ha richiamato stringenti indici ostativi, facendo riferimento vuoi alla negativa personalita' emersa e vuoi ad un atteggiamento "ondivago" anche nel dichiarato, durante il quale l'imputato continuava ad ammettere soltanto le questioni emerse in modo piu' evidente nelle intercettazioni, cercando "di edulcorare il proprio e l'altrui ruolo nelle vicende esaminate". Con la conseguenza che se e' certamente legittimo in un'ottica difensiva assumere un atteggiamento processuale volto al diniego delle contestazioni mosse, non si puo' pero' al contempo invocare la concessione delle attenuanti generiche sulla scorta di un dichiarato avente carattere parziale e privo di spontaneita'. 6. Anche l'aumento per la continuazione rinviene in ogni singolo aumento sufficiente motivazione. Si precisa, infatti, come la pena venga aumentata di un anno ed Euro 1.000 di multa per il capo 70) "consistito nella gravissima condotta di messa in vendita e quindi autonomo smercio della pistola illecita con scambio in natura e con propositi di vendita anche per la seconda da reperire, sicche' la determinazione in aumento appare piu' che giustificata e comunque contenuta alla luce della possibilita' di aumento fino al triplo della pena base a seconda della gravita' dei casi". Per la detenzione della pistola P.38 (in via mediata) e della Beretta serie 81 l'aumento - piu' contenuto di soli mesi 10 di reclusione, oltre la multa - l'aumento si fonda sul rilievo che trattasi di "ben due armi dalla micidiale potenza aggressiva". (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)). I ricorsi sono inammissibili. 1-2-3. I primi tre motivi di ricorso, che investono l'affermazione di responsabilita' per la partecipazione al sodalizio mafioso di cui al capo 1) - e di cui e' possibile una trattazione unitaria stante la connessione logica delle censure - sono manifestamente infondati. In particolare, la sentenza impugnata si e' lungamente soffermata sulla deposizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS), evidenziandone l'attendibilita' riscontrata non solo mediante il richiamo dei passaggi significativi di quella di primo grado, ma anche sul rilievo che, sulla scorta dell'attivita' avviata a seguito delle dichiarazioni di tale collaborante, tutti gli imputati del procedimento n. 1982/14 R.G.N. R. sono stati condannati in sede di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, ad eccezione del (OMISSIS) nei cui confronti si e' proceduto separatamente. Proprio lo (OMISSIS), la cui deposizione ha fatto ampia luce sulle attuali dinamiche della locale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), ha indicato l'odierno ricorrente come affiliato al sodalizio criminale con la dote di "vangelo", spiegando, attraverso il riferimento alla sua storia "criminale", la valenza di tale qualifica nella scala gerarchica dell'associazione mafiosa in oggetto. La sentenza impugnata, oltre ad aver esposto in modo articolato gli elementi fattuali in base ai quali ha identificato nel ricorrente il (OMISSIS) indicato dal collaborante (titolarita' di autovettura Panda 4x4, frequentazione di mafiosi, precisa individuazione fotografica), ha altresi' indicato quale riscontro esterno individualizzante a quanto dichiarato dallo (OMISSIS) il contenuto dell'intercettazione ambientale della conversazione tra il (OMISSIS), esponente di spicco della locale di (OMISSIS) ed in procinto di costituire una propria cosca, ed altri affiliati. Il (OMISSIS), nell'elencare i componenti della locale di (OMISSIS) proprio nella prospettiva di costituire un'autonoma propria cosca, ha fatto riferimento anche al (OMISSIS), indicando la dote di "Vangelo" rivestita dal ricorrente. Orbene, e' proprio il richiamo effettuato sia dallo (OMISSIS) che dal (OMISSIS) al ruolo di spessore assunto dal ricorrente nel sodalizio criminoso che confuta l'assunto del (OMISSIS) secondo cui l'ordinanza impugnata non avrebbe indicato il contributo specifico fornito dallo stesso a vantaggio dell'organizzazione criminale. Al riguardo, va richiamato il recente arresto delle S.U. di questa Corte a mente del quale "La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla "messa a disposizione" del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi". "Nel rispetto del principio di materialita' ed offensivita' della condotta, l'affiliazione rituale puo' costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza - alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serieta' ed effettivita', l'espressione non di una mera manifestazione di volonta', bensi' di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione" (S.U. n. 36958 del 27/05/2021, dep. 11/10/2021, Rv. 281889). Cio', pertanto, sta a significare che la condotta di partecipazione puo' essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purche' si tratti di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare la permanenza del vincolo. Di conseguenza, ove il ruolo formalmente conferito nella scala gerarchica caratterizzante l'organigramma interno dell'associazione corrisponda ad ambiti di rilievo via via crescenti in progressione, il valore indiziario ascrivibile al dato dell'affiliazione e' destinato ad assumere un significato maggiormente rilevante sul piano probatorio, laddove - come nel caso di specie - alla crescita per gradi corrispondano positive valutazioni "meritocratiche", in sostanza, meriti gia' acquisiti sul campo e concretati da pregresse condotte positivamente realizzate nell'interesse della compagine associativa (vedi sul tema anche in motivazione Sez. 6, n. 39112 del 20 maggio 2015; Sez. 5, n. 50839/2016; Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, Rv. 269040). In questa ottica, il giudizio sull'intraneita' ad un'organizzazione di tipo mafioso puo' circoscriversi all'apprezzamento della carica formale - di rilievo nella scala dei valori interni all'associazione - rivestita dall'imputato. In conclusione, l'attribuzione di un grado qualificato - quale la dote all'interno del gruppo sulla base di una scala di progressione consolidata - ben puo' assurgere ad elemento dimostrativo della partecipazione associativa, ove si colleghi a ruoli e funzioni riconosciute all'interno di un territorio, ed integri una figura di riferimento indefettibile, che dimostra la sua valenza e stabilita' all'interno della compagine. In tale contesto, quindi, l'incarico ulteriore nell'ambito della scala gerarchica della âEuroËœndrangheta qualifica la condotta di partecipazione e la stessa permanente messa a disposizione, non risultando che tale conferimento sia stato la mera conseguenza di un "tramandato" di carattere familiare. Non pertinente, pertanto, si rivela il richiamo operato, nei motivi di ricorso, all'orientamento espresso a S.U. da questa Corte nella sentenza n. 36958 del 2021 (peraltro il richiamo risulta effettuato all'informativa provvisoria della decisione, essendo le motivazioni state depositate dopo la presentazione del ricorso). Ne' tale ritenuta partecipazione risulta aver assunto nella motivazione impugnata un mero riferimento di carattere "storico", in quanto il richiamo operato dal (OMISSIS) e' logicamente riferito, per il contesto del dialogo (vertente anche sugli uomini d'onore da trascinare con se' nella scelta di dar vita ad una autonoma âEuroËœndrina) e l'uso del verbo essere all'indicativo, ad una persona intranea, con carattere di attualita' della sua appartenenza, considerato che, nella declinazione degli affiliati, il (OMISSIS) stesso fa riferimento, a mo' di distinzione, anche a soggetti non piu' a disposizione della compagine. Insomma, nessuna illogicita' nell'aver desunto che il (OMISSIS) nel corso di tale dialogo stesse facendo "la conta degli attivi". Peraltro, ad esclusione della ricorrenza di "un'astrazione dell'imputato dai contesti mafiosi", si citano anche i controlli sul territorio del ricorrente con altri coimputati, quali (OMISSIS), (OMISSIS) e l'omonimo (OMISSIS), suo cugino. A cio' va anche aggiunto che dal dialogo del (OMISSIS) riportato in sentenza risulta che il ricorrente e' noto anche all'altro conversante, (OMISSIS), pure ritenuto un associato, il quale all'imputato attribuisce il dato, riscontrato e dal medesimo ammesso in sede di interrogatorio, del possesso di una Fiat Panda 4x4, cosi' dando dimostrazione di conoscerlo con certezza. La sentenza impugnata risulta, pertanto avere fatto corretta applicazione della disposizione sostanziale censurata, anche in applicazione del principio affermato da questa Corte a mente del quale in materia di reati associativi, la commissione dei "reati-fine" dell'associazione, di qualunque tipo essa sia, non e' necessaria, ne' ai fini della configurabilita' e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 3, n. 9459, del 6/11/2015, dep. 8/03/2016, Rv. 266710). Parimenti, va escluso anche il paventato vizio di motivazione, sul rilievo, peraltro gia' affermato proprio con riferimento alla tematica in oggetto da questa Corte, che in tema di associazione di tipo mafioso l'individuazione della c.d. " dote di âEuroËœndrangheta", concernente lo "status" di un affiliato ad una consorteria âEuroËœndranghetista, costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito che, ove sorretta da una motivazione esente da vizi logici o motivazionali, non e' sindacabile in sede di legittimita' (Sez. 1, n. 35775 del 20/11/2020, Rv. 280094). 4. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla contestazione di far parte di un'associazione armata. La censura attiene all'assenza di elementi dimostrativi della conoscenza da parte del ricorrente della disponibilita' in capo ai sodali coimputati di armi. Il ricorrente, peraltro, mai era stato visto presso il locale ove sarebbero avvenuti gli spostamenti delle armi. 4. Anche il quarto motivo in ordine all'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. Sul punto, infatti, non puo' ritenersi manifestamente illogico aver ricavato la consapevolezza anche da parte del ricorrente di essere l'associazione armata - quantomeno sotto il profilo dell'esclusione dell'ignoranza incolpevole - dalla circostanza che il possesso delle armi ad opera del (OMISSIS) e della sua consorteria, in ragione dell'elevatissimo numero delle armi, della loro potenzialita' e dei suoi stabili contatti con cosche limitrofe o di altra zona della Calabria, avesse assunto proprio in ragione della circolarita' di tali informazioni all'interno del panorama della âEuroËœndrangheta, non limitato alla locale di (OMISSIS), tanto che ai traffici di armi del (OMISSIS) erano interessati e coinvolti anche soggetti di provenienza "esterna" - la valenza di una vero e propria connotazione strutturale ben nota all'intero gruppo criminale, quantomeno sotto il profilo dell"assenza dell'ignoranza inevitabile. 5. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', che, pertanto, e' insindacabile in cassazione (ex multis, Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549). Nel caso di specie, a fronte dell'indicazione di indici non dotati di particolare pregnanza e generici, si e' fatto motivatamente riferimento ai precedenti penali ed al ruolo di particolare spessore rivestito dal ricorrente nella consorteria criminale. 6. Anche il motivo sulla recidiva risulta manifestamente infondato. Nessuna manifesta illogicita' e' dato ricavarsi nella motivazione della sentenza impugnata per avere ravvisato una continuita' delinquenziale tra i reati comuni in relazione ai quali il ricorrente annovera precedenti e quello "qualificato" oggetto del presente processo. Al riguardo, va, infatti, precisato che la recidiva e' stata ritenuta nella forma reiterata ed infraquinquennale. Pertanto, non e' affatto richiesto che tra i reati presi in considerazione dal giudice del merito sussistano, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, caratteri fondamentali comuni, trattandosi, invece, di requisito prescritto in caso di recidiva specifica (ossia quella che involge delitti della stessa indole). Cio' che rileva, invece, e' che il giudice del merito dia conto, seppur con succinta motivazione, che la condotta costituisca significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). E al proposito nessuna distonia e' ravvisabile nell'aver ritenuto che i diversi precedenti penali annoverati dal ricorrente (si indicano condanne le condanne per ricettazione, truffa, usura, estorsione, bancarotta fraudolenta e falso ideologico) si pongano quale antecedente logico di una scelta delinquenziale poi rivelatasi espressiva di una maggiore gravita', nell'ambito di una escalation manifestatasi anche con l'avanzamento nel "grado" acquisito all'interno del sodalizio criminale. E' dunque il vissuto giudiziario che denota una personalita' avvezza alle violazioni di legge, ritenuta chiara espressione di una rafforzata capacita' delinquenziale alla luce della obiettiva gravita' della condotta contestata nel presente giudizio. 7. Il settimo motivo di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio ratione temporis applicabile alla condotta di partecipazione e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, lungi dall'aver "ancorato" la condotta di partecipazione al periodo in cui il ricorrente era stato coinvolto nell'ambito dell'operazione cd. Decollo (culminata in provvedimenti cautelari emessi dal GIP di Catanzaro anche per i delitti di usura ed estorsione in relazione ai quali l'imputato ha poi riportato condanna definitiva), ha fatto riferimento ad un periodo ben successivo al 2010, in ragione non solo della chiamata dello (OMISSIS) (in cui il riferimento al coinvolgimento del ricorrente nell'operazione Decollo avviene esclusivamente a fini identificativi e non per delimitare temporalmente la condotta di partecipazione), del contenuto dell'intercettazione ambientale captata in data 15/3/2014 presso l'abitazione del (OMISSIS) e dei controlli operati sul territorio con gli altri coimputati. A fronte della ritenuta permanenza della condotta di partecipazione in aderenza alla contestazione del reato di cui al capo 1) della rubrica in forma aperta e permanente ("in (OMISSIS), Anoia e localita' limitrofe dal 1995 in poi e tuttora permanente"), competeva al ricorrente specificare gli elementi di merito confermativi di un'interruzione della partecipazione da parte del ricorrente in epoca antecedente all'entrata in vigore della normativa piu' sfavorevole che si ritiene applicata per la determinazione del trattamento sanzionatorio. Peraltro, il motivo risulta inammissibile anche sotto il profilo della carenza di interesse. Invero, entrambi i giudici di merito risultano avere stabilito la pena base in anni nove di reclusione, ossia in una misura che rientra appieno nell'ambito della forbice edittale della lex mitior riferibile al periodo storico in cui si vorrebbe cessata l'appartenenza al sodalizio (soltanto alla L. 27 maggio 2015, n. 69 si deve l'innalzamento della pena da dieci a quindici anni di reclusione). Ne' l'interesse a sostegno del motivo puo' ravvisarsi nel fatto che la pena base comunque stabilita, pur compresa nella forbice edittale dei diversi interventi normativi che hanno modulato la pena (L. n. 251 del 2005 e Decreto Legge n. 92 del 2008), si sia comunque attestata sul massimo e, dunque, necessitava di una piu' stringente motivazione. Al di la', infatti, del rilievo che tale censura non e' stata mossa, va anche evidenziato come la sentenza impugnata abbia motivatamente riconosciuto al ricorrente un ruolo "qualificato", in virtu' della dote del v (OMISSIS) posseduta, evidenziando, al contempo, che l'applicazione di una pena relativa al mero partecipe (per come stabilito dal primo giudice) era conseguenza del rispetto del divieto di reformatio in peius avendo il pubblico ministero omesso di proporre appello sul punto. (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto afferente a violazioni di norme processuali smentite dagli atti processuali. Invero, la Corte territoriale ha correttamente applicato la disciplina di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3-bis, disponendo la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale a fronte dell'appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento di primo grado per motivi attinenti anche alla valutazione di prove dichiarative assunte nel corso del primo giudizio. Nel caso di specie, la Corte d'appello ammetteva l'audizione del collaboratore di giustizia (OMISSIS), sulla scorta della ritenuta decisivita' delle sue dichiarazioni ai fini della valutazione della posizione del ricorrente, limitatamente ai fatti di cui al capo 12) ("limitatamente alle imputazioni di favoreggiamento anche ascritte al (OMISSIS)", p. 12 della sentenza impugnata), rispetto ai quali la sentenza di secondo grado ha confermato l'assoluzione dell'imputato. Correttamente, il giudice di seconde cure ha disposto la riassunzione della prova dichiarativa in questione solo ed esclusivamente con riferimento ai delitti di cui al capo 12) alla luce del principio, affermato da questa Corte, secondo cui costituiscono prove decisive ai fini della valutazione della necessita' di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonche' quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti -da sole o insieme ad altri elementi di prova- ai fini dell'esito della condanna (S.U., n. 27620 del 28/04/2016 (dep. 2016) Rv. 267491). Stante il principio secondo cui nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato e' ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perche' potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti, la Corte territoriale ha escluso ogni riferimento alla prova dichiarativa in questione dalla parte motiva della sentenza in punto di condanna del ricorrente sulla scorta della valutazione di non decisivita' del propalato del collaboratore rispetto ai fatti di cui al capo 10). La decisione del primo giudice e' stata, infatti, riformata solo nella parte relativa ai reati di cui al capo 10), per i quali e' stata accertata la responsabilita' penale del ricorrente in forza di altri elementi rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, quali le intercettazioni telefoniche. La censura dedotta con tale motivo di ricorso, secondo cui l'asserita violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 3 bis, deriverebbe dalla ritenuta decisivita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia ai fini della rinnovazione istruttoria e dalla successiva elisione delle stesse dal percorso argomentativo in punto di condanna del ricorrente, risulta pertanto infondata ed anche generica, in quanto non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata. Inoltre, la Corte territoriale ha legittimamente fondato la decisione di condanna sulla scorta di una valutazione approfondita del materiale intercettivo, ammessa in sede di appello stante la assoluta pienezza di cognizione e di rivalutazione del merito di quanto e' stato devoluto, nonche' corredata da un impianto motivazionale congruo e scevro da vizi logici, adempiendo peraltro all'obbligo di motivazione rafforzata che si impone nel caso di riforma della sentenza di assoluzione di primo grado. In tale prospettiva, si rende necessario precisare il principio, affermato a piu' riprese da questa Corte, in forza del quale il giudice di appello che riformi la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (S.U. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679). La condanna in appello dell'imputato assolto in primo grado, pertanto, e' suscettibile di fondarsi anche sulla diversa valutazione dei medesimi elementi di prova posti alla base della prima decisione, purche' sia adempiuto l'obbligo di motivazione rafforzata che impone al giudice di giustificare il diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p. Dunque, dalla lettura della sentenza impugnata se ne ricava che la Corte di merito abbia fatto buon governo dei principi in materia affermati da questa Corte. 2.-3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vengono trattati congiuntamente in quanto omogenei e strettamente connessi, sono manifestamente infondati. In particolare, l'asserita violazione della legge sostanziale risulta fondata su assunti relativi alla ricostruzione dinamica della fattispecie concreta non rivisitabile nel giudizio di legittimita'. Nel caso di specie, la profilata violazione dell'articolo 326 c.p. avrebbe causa nella ritenuta idoneita', secondo la valutazione operata dai giudici di seconde cure, della condotta del ricorrente ad integrare il delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreto d'ufficio, sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Ebbene, dalla lettura della sentenza impugnata si rileva la corretta applicazione della legge penale sostanziale al caso concreto da parte della Corte territoriale mediante un'operazione, sostenuta da una motivazione non manifestamente illogica, di sussunzione dei fatti ascritti al ricorrente sotto l'ipotesi delittuosa prevista in astratto dal legislatore alla luce degli elementi probatori assunti nel corso del giudizio di merito. La Corte di appello, infatti, ha accertato la violazione, da parte dell'imputato, del dovere di segretezza impostogli in qualita' di pubblico ufficiale, mediante una condotta che e' stata ritenuta spingersi "ben oltre" la semplice sollecitazione funzionale ad acquisire informazioni utili ai fini dell'identificazione dell'autore dell'omicidio del (OMISSIS). Dalle risultanze probatorie emergeva come, proprio in tale occasione, il ricorrente forniva al (OMISSIS), suo confidente, il nominativo del possibile autore dell'omicidio, verso il quale si stavano orientando le indagini. Orbene, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, proprio l'iniziativa dell' (OMISSIS) di comunicare il nome del sospettato al (OMISSIS), nel corso dell'attivita' investigativa, integrava l'elemento oggettivo della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., stante la qualificazione dell'informazione rivelata come "non necessitata" dall'incombente investigativo e "non funzionale" ad ottenere spiegazioni circa il soggetto su cui concentrare le indagini. Anzi, era lo stesso agente ad orientare l'informatore sulla direzione assunta dall'attivita' di investigazione, in guisa da ottenere conferma circa la bonta' della pista investigativa, tuttavia assumendo il rischio concreto di compromissione della stessa mediante la rivelazione ad un extraneus dell'oggetto e della direzione delle indagini. Peraltro, contrariamente alla prospettazione difensiva, dalle intercettazioni telefoniche risultava come il (OMISSIS) non fosse venuto a conoscenza aliunde della informazione e come il nome del sospettato non fosse affatto notizia di dominio pubblico. Dunque, la Corte territoriale accertava, sulla base di tali elementi, anche l'idoneita' causale della condotta posta in essere dal ricorrente a creare un pericolo concreto per l'integrita' del bene protetto dalla norma incriminatrice in discorso, che si identifica nel buon funzionamento della pubblica amministrazione, e, nel caso di specie, nel corretto andamento dell'azione investigativa. Peraltro, i giudici di seconde cure ritenevano la non applicabilita' della causa di giustificazione ex articolo 54 c.p. alla condotta ascritta all'imputato, poiche' dalle risultanze probatorie si rilevava come il ricorrente non avesse agito poiche' costretto dalla necessita' di verificare, a pena di un male peggiore, l'esattezza della pista investigativa e che non ricorreva una situazione di urgenza tale da rendere necessario fermare il sospettato. Inoltre, la Corte d'appello rilevava la non operativita', rispetto alla posizione dell'imputato, della scriminante di cui all'articolo 51 c.p., in quanto egli non aveva agito nell'adempimento del dovere informativo cui era tenuto nel suo ruolo di ricerca del nome del soggetto autore dell'omicidio, considerato che era stato lo stesso ricorrente a fornire tale informazione al confidente e che avrebbe potuto sollecitare eventuali conoscenze dell'informatore anche senza fare il nome del sospettato, dunque anche tenendo una condotta alternativa lecita. Secondo la ricostruzione della Corte territoriale, sarebbe stato ben possibile e doveroso da parte dell'imputato sollecitare l'informatore per ottenere notizie utili a dare impulso alle indagini in corso, senza per cio' solo rivelare, alla luce dello specifico contesto di fatto delineato, il nome del sospettato. Non a caso, tali considerazioni sono coerentemente poste a fondamento dell'assoluzione dell'imputato per i fatti contestati con il medesimo capo di imputazione (concernenti il danneggiamento a mezzo di colpi di arma da fuoco subito da Improvolo (OMISSIS), ed il rinvenimento di sostanza stupefacente nella disponibilita' di un'avvocatessa, vedi capo 10), rispetto ai quali i giudici di appello hanno accertato la scriminabilita' della condotta, in quanto posta in essere nei limiti dell'esercizio del dovere informativo di cui il ricorrente era onerato. Ebbene, dalla lettura della parte motiva della sentenza impugnata, si ricava come la Corte territoriale, nella identificazione degli elementi essenziali e del disvalore espresso dalla fattispecie censurata, abbia fatto, quindi, corretta applicazione dell'articolo 326 c.p., anche alla luce dei principi di diritto espressi in materia da questa Corte, secondo cui il reato di rivelazione di segreti di ufficio e' un reato di pericolo concreto, posto a tutela del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione, la cui configurabilita' va esclusa quando la notizia sia divenuta di dominio pubblico, e quando essa, sebbene ancora segreta, sia rivelata a persone che, pur estranee alla pubblica amministrazione, ne siano gia' venute altrimenti a conoscenza, fermo restando, con riferimento a queste ultime, il limite della non conoscibilita' dell'ulteriore evoluzione della notizia stessa (Sez. U., n 4694 del 27/10/2011 (dep.2012), Rv. 251271; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 (dep.2020), Rv. 279555). Dunque, sulla base della qualificazione della fattispecie in esame come reato di pericolo concreto e non meramente presunto, rileva precisare che la rivelazione di segreti d'ufficio e' punibile, non gia' in se' e per se', ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta, come accertato nel caso di specie, in cui, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, il ricorrente, in quanto onerato dal dovere di segretezza circa la direzione assunta dalla indagini in virtu' della qualita' di ufficiale di polizia giudiziaria, avrebbe dovuto operare in guisa da ottenere dal confidente informazioni autonome ed esterne, idonee a consentire l'allargamento dell'inchiesta, "al di la' di quanto gia' maturato all'interno dell'ambiente investigativo, e soprattutto per non compromettere gli esiti e sviluppi possibili ed ulteriori" (p. 180 della sentenza impugnata). Stante quanto appena affermato, l'ulteriore profilo di censura, che concerne l'erronea applicazione dell'articolo 326 c.p., comma 1, in luogo del comma 2 della medesima disposizione normativa, derivante dalla asserita mancata considerazione dell'elemento psicologico da parte dei giudici di merito, e' manifestamente infondato in quanto volto a prospettare una ricostruzione alternativa della fattispecie concreta, non consentita in sede di legittimita'. Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, si desume come la Corte territoriale abbia operato una valutazione complessiva dei fatti ascritti al ricorrente anche sotto il profilo della colpevolezza, sulla scorta delle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di merito, che hanno condotto all'accertamento della sussistenza dell'elemento del dolo ed alla conseguente applicazione dell'articolo 326 c.p., comma 1Posto che l'elemento soggettivo richiesto ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'articolo 326 c.p., comma 1 si indentifica nel dolo, anche eventuale, deve ritenersi necessario e sufficiente che gli elementi della fattispecie siano concretamente sorretti da rappresentazione e volizione del soggetto agente, atteggiamento soggettivo che la Corte di merito ritiene sussistente e dimostrato nel caso di specie. In tale prospettiva, viene in rilievo la parte motiva della sentenza impugnata in cui i giudici di seconde cure danno conto della conoscenza, da parte del ricorrente, della segretezza dell'informazione avente ad oggetto il nome del possibile autore dell'omicidio nonche' della consapevolezza che la rivelazione di detta informazione ad un extraneus, per lo piu' vicino alle cosche di âEuroËœndrangheta, avrebbe potuto compromettere la pista investigativa su cui le indagini erano orientate. La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, specifica gli elementi espressivi della colpevolezza dell'imputato rispetto al fatto ascrittogli, che si identificano, in particolare, nella atipicita' dell'approccio con aspirazione probatoria adottato dal ricorrente, nonche' nella personale ed eccessiva fiducia riposta dall' (OMISSIS) nei confronti dell'informatore, tale da elidere "colpevolmente" il dovere di mantenere segrete le notizie circa gli iniziali approcci investigativi. Ebbene, stante l'individuazione dell'oggetto materiale del delitto di cui all'articolo 326 c.p. nelle notizie coperte da segreto, cioe' sottratte alla divulgazione in ogni tempo e luogo e nei confronti di chiunque per legge, per regolamento o dalla natura stessa della notizia che puo' recare danno all'amministrazione (Sez. 1, n. 8201 del 10/02/2010, Rv. 246623), la Corte di merito ritiene comprovata la rappresentazione in capo al ricorrente di tale elemento della fattispecie, nonche' la volontaria comunicazione dell'informazione al (OMISSIS) e la consapevolezza circa il concreto pericolo per il corretto andamento dell'attivita' investigativa potenzialmente derivante dalla divulgazione della notizia all'extraneus. La rivelazione dell'informazione riservata circa il nome del possibile autore dell'omicidio ad un soggetto estraneo alle indagini esprime, secondo la ricostruzione della Corte di merito, l'accettazione del rischio, da parte dell'imputato, che detta informazione potesse essere comunicata al soggetto indagato e che costui potesse in tal modo alterare l'esito di eventuali prove stubs o strumenti di ricerca della prova ad impatto diretto e di verifica dell'iniziale ipotesi investigativa. Tali argomentazioni rendono corretta la decisione di condanna per il delitto ascritto all'imputato a titolo di dolo, e la conseguente esclusione dell'ipotesi colposa prevista dall'articolo 326 c.p., comma 2. Alla luce di tutto quanto appena affermato, il terzo motivo di ricorso, con cui si denuncia "l'illogicita' ed il difetto di motivazione", e' manifestamente infondato in quanto la lettura della sentenza impugnata dimostra la sussistenza di un impianto argomentativo connotato da lineare e coerente logicita', conforme all'esauriente disamina dei dati probatori, nonche' idoneo a garantire una motivazione rafforzata in punto di colpevolezza dell'imputato, che si impone al giudice di seconde cure nel caso di riforma della sentenza di assoluzione di primo grado. Ebbene, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056). Inoltre, la diversa spiegazione di un fatto non puo' semplicemente basarsi sulla mera possibile alternativa, disancorata dalla realta' processuale, ma deve fondarsi su specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un "iter" logico cui si pervenga senza affermazioni apodittiche ma nelle forme corrette del ragionamento probatorio (Sez. 4, n. 7630 del 29/11/2004, Rv. 231136). Orbene, nel caso di specie la motivazione corredata al provvedimento impugnato da' conto della maggiore forza persuasiva della ricostruzione operata dai giudici di seconde cure rispetto a quella asseverata dal giudice di primo grado, idonea a comprovare la responsabilita' penale del ricorrente sul piano sia oggettivo che soggettivo oltre ogni ragionevole dubbio, sulla scorta della complessiva disamina di tutti gli elementi probatori emersi nel corso del processo. Le argomentazioni spese in ordine al secondo motivo di ricorso, che dimostrano la sussistenza di un impianto motivazionale congruo e scevro da vizi logici nonche' conforme all'obbligo di motivazione rafforzata, rilevano anche ai fini della valutazione di manifesta infondatezza delle censure dedotte con il terzo motivo di ricorso. Inoltre, le censure dedotte con il terzo motivo di ricorso risultano precluse in sede di legittimita', in quanto costituite da mere doglianze in punto di fatto, volte a prefigurare una ricostruzione alternativa rispetto a quella cristallizzata nella sentenza di secondo grado ed una diversa valutazione delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di seconde cure. 4. Il quarto motivo di ricorso, concernente il trattamento sanzionatorio, e' manifestamente infondato in quanto l'asserita inosservanza della legge penale sostanziale, da cui si fa discendere l'illegalita' della pena, e' basata su assunti relativi alla ricostruzione dinamica della fattispecie concreta non rivisitabile nel giudizio di legittimita', e la profilata illogicita' della motivazione e' confutata dalla lettura della sentenza impugnata, che evidenzia la sussistenza di un impianto motivazionale connotato da lineare e coerente logicita' anche in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Stante la manifesta infondatezza delle censure dedotte con i precedenti motivi, che costituiscono l'antecedente logico necessario del motivo di ricorso ora in esame, risulta giocoforza giungere alla medesima conclusione in ordine alla doglianza in punto di determinazione della pena. All'insindacabilita' della ricostruzione del fatto ascritto al ricorrente come integrativo dell'ipotesi delittuosa prevista dall'articolo 326 c.p., comma 1 in quanto corredata da una motivazione congrua, coerente e scevra da vizi logici in punto di responsabilita' dell'imputato, consegue la non censurabilita' in sede di legittimita' della sentenza impugnata nella parte concernente la determinazione della pena poiche' corredata da un impianto motivazionale che risulta congruo ed esente da manifesta illogicita'. In tale prospettiva, deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorche' siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'articolo 133 c.p. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 (dep.2014), Rv. 258410). Nel caso di specie, la Corte territoriale, nell'esercizio della discrezionalita' riconosciutale nell'ordinamento penale ai fini della determinazione della pena nel caso concreto, comunque stabilita in misura contenuta con il riconoscimento dei doppi benefici di legge, fa riferimento alla natura fortemente ambigua e compromessa dei rapporti tra l'imputato ed il (OMISSIS), alla violazione del limite professionale imposto al pubblico ufficiale nella relazione con il proprio informatore, alla scarsa capacita' di impermeabilita' alle pulsioni del territorio, connotato dalla forte insistenza di associazioni di stampo mafioso, ed al comportamento deontologico del ricorrente, connotato da favoritismi nei confronti del (OMISSIS). (OMISSIS). Il ricorso e' infondato. 1-2. I primi due motivi di ricorso, in tema di sussistenza del sodalizio di stampo mafioso e della relativa condotta di partecipazione ascritta al ricorrente, sono infondati. Il primo rilievo, secondo cui la sentenza impugnata non darebbe conto in termini sufficienti della consistenza e dell'operativita' della cosca della âEuroËœndrangheta operante in (OMISSIS), si scontra con due ordini di considerazioni: da un lato la giurisprudenza di questa Corte e' orientata nel senso che "In materia di associazioni mafiose "storiche", l'onere di motivazione del giudice e' significativamente attenuato in relazione all'esistenza del sodalizio, che trova conferma in decenni di storia giudiziaria, mentre non subisce alcuna incisione in relazione alla partecipazione del singolo alla consorteria, che deve sempre essere dimostrata con i parametri di giudizio tipici della fase: ragionevole probabilita' di colpevolezza nella fase cautelare o certezza non incisa dal ragionevole dubbio nella fase di merito" (Sez. 2, n. 28602 del 06/05/2015 Rv. 264138); dall'altro, nella sentenza impugnata si da' ampio conto delle affermazioni dei collaboratori di giustizia secondo cui la cosca oggetto dell'indagine e' attualmente operante ed attiva sul territorio, secondo gli schemi tipici della âEuroËœndrangheta. Quindi, l'onere motivazionale e' attenuato con riferimento all'esistenza di un sodalizio criminoso denominato âEuroËœndrangheta, strutturato in articolazioni territoriali, che si manifesta nei termini sanzionati dall'articolo 416-bis c.p., ed il dubbio prospettato circa l'attualita' della presenza dell'articolazione territoriale, denominata cosca di (OMISSIS), Anoia e localita' limitrofe, e' superato dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riportate nelle sentenze di merito, da cui emergono incontri con cadenza mensile degli associati, rapporti costanti con altre articolazioni territoriali, riunioni indette per decidere della destinazione dei proventi delle attivita' illegali, faide fra appartenenti alle diverse âEuroËœndrine, coinvolgimento degli imputati nella realizzazione di condotte illecite riferibili a detto contesto, ecc., nonche' dalle stesse captazioni ambientali del (OMISSIS), il quale proprio nel coltivare il progetto di dare vita ad un'autonoma âEuroËœndrina riferisce circostanze di spiccato rilievo sull'esistenza della locale oggetto di imputazione. Quanto al giudizio di credibilita' soggettiva del (OMISSIS), prima fonte dichiarativa a carico dell'imputato, va al riguardo evidenziato che l'attendibilita' di tale collaboratore non e' stata messa in discussione neppure dal primo giudice che ha, invece, assolto il ricorrente sulla scorta dell'assenza di validi riscontri alla chiamata. La doglianza sul punto e', peraltro, inammissibile poiche' tardiva, essendo stata introdotta con i motivi aggiunti e difettando la necessaria connessione con i motivi originariamente proposti (Sez. 2, n. 17693 del 17/1/2018, Rv. 272821; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Rv. 268980; Sez. 4, n. 12995 del 5/2/2016, Rv. 266295). In ogni caso, e' anche generica, poiche' la Corte di merito, nella motivazione a fondamento del "ribaltamento" decisorio, non solo ha integralmente riportato anche i motivi di appello del P.M., condividendone criticamente il contenuto, ove si fa riferimento all'attendibilita' di detto collaboratore, evidenziando la coincidenza del narrato con gli esiti di accertamenti giudiziali espressamente menzionati, ma vi ha dedicato apposita motivazione (pag. 426 ss.), indicando anche gli specifici punti di riscontrata convergenza col propalato dell'altro collaboratore (OMISSIS). Inoltre, nel riportare ampi stralci dello stesso interrogatorio del (OMISSIS) e nell'esaminare le dichiarazioni dell'altro collaboratore (OMISSIS), di cui si discute l'attendibilita' e la valida convergenza, ha piu' volte richiamato elementi confermativi anche del narrato del primo. Pertanto, posta l'attendibilita' del collaboratore (OMISSIS), il quale colloca il ricorrente all'interno della locale di âEuroËœndrangheta di (OMISSIS) (da lui conosciuto in carcere, con cui aveva raggiunto un tipico accordo di matrice mafiosa ovvero l'impegno di allearsi, una volta usciti dal carcere, per vincere le guerre che i rispettivi gruppi avevano in corso con cosche rivali: il gruppo (OMISSIS) con i (OMISSIS) e la cosca dei (OMISSIS) con i (OMISSIS)), la questione posta attiene all'esistenza di una motivazione rafforzata resa dalla Corte territoriale a fondamento del convincimento di condanna, rispetto a quello assolutorio al quale era pervenuto il primo giudice. Sul punto, va anzitutto precisato che l'obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell'istruttoria, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, in quanto trova fondamento nella necessita' di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado. Pertanto, la circostanza che si siano correttamente risentiti, nel contraddittorio delle parti, i due collaboratori non esaurisce il tema legato alla presenza di una motivazione che compiutamente indichi le ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado e che sia assicurato un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 2019, Rv. 278056). Cio' premesso, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di merito si sia correttamente attenuta al principio sopra indicato. AI proposito, va, infatti, ribadito che compito della Corte di legittimita' non e' quello di operare una scelta tra le decisioni contrastanti adottate dai giudici di merito, ma di verificare se il giudice di secondo grado, al quale l'ordinamento processuale consente, su appello del pubblico ministero, di pervenire ad un risultato differente sulla responsabilita' dell'imputato rispetto a quello a cui e' giunto il primo giudice, abbia dato conto, in modo esauriente, delle ragioni del suo discostamento. Ebbene, sullo specifico tema, occorreva dimostrare come il narrato dell'altro collaboratore (OMISSIS) fosse utilmente valutabile quale riscontro esterno alla diretta chiamata del (OMISSIS). E al riguardo, non puo' affatto essere condivisa la prospettazione difensiva, ribadita nei motivi aggiunti, secondo cui, una volta asseverato che un collaborante ha inizialmente mentito, il successivo dichiarato non rileverebbe, in ragione degli esiti difformi, ai fini della valutazione probatoria da compiersi alla stregua dell'articolo 192 c.p.p., comma 3. Molteplici sono infatti le disposizioni processuali che disciplinano i casi in cui il giudice possa trovarsi dinanzi a dichiarati che, pur provenienti dalla stessa fonte di prova, risultano contrastanti; cio' non toglie, tuttavia, che tali contributi debbano essere apprezzati in funzione delle regole stabilite per le diverse fasi processuali in cui sono stati acquisiti. Quanto alle chiamate in correita', pur dovendo essere spontanee, costanti, univoche e disinteressate, tuttavia ben possono assumere valore probatorio anche in mancanza di una o di alcune di tali caratteristiche, quando trovino appoggio e controllo in ulteriori elementi di prova, che conferiscono carattere di certezza circa il fatto da provare, tanto che si e' condivisibilmente affermato che la chiamata di correo ha validita' probatoria e puo' essere anche assunta quale fonte di prova, se confortata da elementi obiettivi di riscontro, anche se sia stata una o piu' volte ritrattata (Sez. 1, n. 1933 del 02/07/1973, dep. 1974, Rv. 126396). Cosi' si e' anche di recente precisato che, in tema di valutazione delle prove, la ritrattazione, da parte di un collaboratore di giustizia, di dichiarazioni accusatorie in precedenza rese non costituisce elemento in grado di escluderne di per se' l'attendibilita', potendo il giudice legittimamente riconoscere valore probatorio alle stesse, a condizione che eserciti su di esse un controllo piu' incisivo, esteso ai motivi della variazione del dichiarato, potendo anche ritenere che la ritrattazione si traduca in un ulteriore elemento di conferma delle originarie accuse. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna fondata su dichiarazioni accusatorie di un collaboratore di giustizia, successivamente ritrattate mediante l'invio di una lettera al difensore dell'imputato, il quale la depositava in copia chiedendo l'escussione del collaborante, richiesta immotivatamente disattesa dal giudice del merito che si limitava a sottolineare che la ritrattazione prodotta in copia era priva di valenza probatoria; Sez. 6, n. 35680 del 30/05/2019, Rv. 276693). Ebbene, la sentenza impugnata, con diffusa motivazione, risulta essersi criticamente soffermata sulle ragioni che avevano portato il primo giudice ad assolvere l'imputato - tanto che si e' premunita di riportarne le relative argomentazioni - pervenendo ad un ribaltamento di tale decisum sulla scorta di un approfondito esame del complesso del narrato reso da (OMISSIS), risolvendo con passaggi argomentativi congrui e sulla scorta delle dichiarazioni acquisite al processo nel contraddittorio delle parti, i dubbi del primo giudice. E a tanto si e' pervenuti - e in cio' e' ravvisabile un ulteriore profilo di infondatezza della censura difensiva - non mediante una mera valutazione differente del compendio probatorio, ma in forza di un novum costituito proprio dalla piena convergenza delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale a seguito della disposta rinnovazione. Il sapere conoscitivo del giudice di seconde cure si e', dunque, venuto ad arricchire rispetto a quanto appreso dal primo giudice. Non si e' dunque operata una "scelta" tra il contenuto dei diversi verbali di dichiarazioni rese dal collaboratore, ma nel rispetto dei principi del giusto processo; la Corte di merito si e' fatta carico di esplorare de visu le ragioni della ritrattazione a carico dell'imputato successivamente operata dallo (OMISSIS), ritenendola pienamente attendibile in ragione degli elementi di carattere logico che inizialmente lo avevano determinato ad allontanare le accuse a detto imputato, verso cui nutriva indubbia riconoscenza per averlo soccorso in occasione dell'attentato subito, fatto di particolare rilievo che, logicamente, rendeva possibile un atteggiamento iniziale volto ad escludere il coinvolgimento. Inoltre, in tale rigoroso procedere, la sentenza impugnata si e' fatta carico di passare in rassegna gli elementi di possibile "distonia", indicando per ciascuno di essi le ragioni, anche di carattere fattuale e logico, che ne hanno consentito di superare la possibile interferenza, tenuto conto anche degli ulteriori elementi di prova successivamente acquisiti (vedi pagg. 420-424). Assunta, quindi, legittimamente nell'alveo delle altre fonti di prova utili a confermare l'attendibilita' di una chiamata, le propalazioni di (OMISSIS) si prestano ad assumere valenza di idoneo riscontro alla chiamata del (OMISSIS), in ragione dei molteplici elementi di convergenza indicati dalla sentenza impugnata, peraltro non oggetto di specifica censura, in ossequio al principio enunciato da questa Corte a mente del quale la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell'incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non puo' pretendersi una completa sovrapponibilita' degli elementi d'accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l'aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, mentre non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita' (Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008, Rv. 239744; Sez. 2, n. 35923 dell'11/07/2019, Rv. 276744). In conclusione, la Corte di merito risulta avere "depurato" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dallo stesso dichiarante, pervenendo ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio". Ne' si presta ad inficiare tale risultato probatorio, in punto di univocita', la segnalata mancata menzione del ricorrente da parte del (OMISSIS) nel compendio intercettivo. Sul punto, la doglianza e' generica, in quanto non si confronta con gli argomenti, pur presenti nella sentenza impugnata attraverso l'espresso richiamo dei motivi di appello del P.M. che risultano essere stati condivisi, in cui si fornisce una spiegazione logica di tale carenza: "l'imputato non e' stato menzionato nelle significative ambientali captate a casa del (OMISSIS), dimenticandosi di considerare che il predetto - all'epoca in cui era in corso l'attivita' tecnica era detenuto (v. Operazione (OMISSIS))". Tale conclusione, peraltro, risulta logicamente avvalorata anche dalla ricognizione del contenuto delle ambientali captate presso l'abitazione del (OMISSIS) che la Corte di merito passa in rassegna. Si precisa, infatti, che i dialoghi riguardano: i soggetti con cui (OMISSIS) aveva in corso affari illeciti; i soggetti facenti parte della locale di (OMISSIS) ai quali (OMISSIS) avrebbe dovuto rendere conto del distacco della sua âEuroËœndrina (v. ad es. (OMISSIS), nella qualita' di capo locale in carica); i soggetti che (OMISSIS) si proponeva di reclutare nelle fila della sua âEuroËœndrina, nonche' gli affiliati nei confronti dei quali lo stesso muoveva delle critiche. Alla luce, dunque, del tenore dei colloqui registrati, non appare manifestamente illogica la motivazione della sentenza impugnata che, in ragione del fatto che l'imputato in quel periodo si trovava detenuto, ha ritenuto non anomalo il mancato riferimento al (OMISSIS). Infine, manifestamente infondata per genericita' e' la dedotta lacuna in ordine al periodo temporale della condotta, rinvenendosi sul punto specifica motivazione nella sentenza impugnata, laddove espressamente precisa che e' infondata, come pure piu' volte sottolineato, l'obiezione sollevata da molte delle difese in ordine all'inattendibilita' del narrato del collaboratore, avendo egli collocato il predetto rituale di affiliazione nel 2011, dopo la vicenda dell'omicidio (OMISSIS), che lo stesso (OMISSIS) avrebbe sponsorizzato, in un'epoca in cui il collaboratore viveva un momento di difficolta' all'interno del sodalizio (il periodo di c.d. "trascuranza") per avere intessuto una relazione sentimentale con (OMISSIS). Sul punto il collaboratore ha precisato che cio' gli aveva comportato un allentamento alla partecipazione alla vita associativa (ad esempio nel presenziare a riunioni di âEuroËœndrangheta, gia' diradate rispetto alla frequenza mensile di un tempo in ragione dei maggiori controlli di polizia connessi alle operazioni di polizia e giudiziarie ad ampio raggio quali "(OMISSIS)") e che tuttavia cio' non aveva causato la definitiva rottura dei rapporti con gli altri associati, ne' la sua formale dissociazione, anzi al contrario si e' evidenziato come lo stesso ne avesse guadagnato una certa autorevolezza delinquenziale legata ai traffici di armi e droga in corso al punto da porsi con maggiore autonomia ed alla pari (alle volte anche in termini di rivalita', si pensi all'incendio al capannone della GICOS commissionato dallo (OMISSIS) per ritorsione ai danni di (OMISSIS)) con i maggiorenti delle famiglie dei (OMISSIS) e dei (OMISSIS), alla luce delle fattispecie estorsive sopra esaminate ed eseguite in concorso con i predetti e con la sua fattiva collaborazione. Quanto, infine, alla condotta di partecipazione, la sentenza impugnata risulta corredata da idonea motivazione e sfugge alla violazione di legge denunciata, essendosi evidenziati idonei indici dimostrativi di una permanente e fattiva messa a disposizione del ricorrente. Richiamandosi il contenuto delle propalazioni del (OMISSIS), si e' indicato il ricorrente come il referente della locale di (OMISSIS) durante la detenzione in carcere e attivamente impegnato, una volta uscito dal carcere, a dare vita ad un'alleanza di tipica matrice mafiosa, al fine di "risolvere", anche mediante il ricorso alle armi, un conflitto in corso in danno delle cosche ostili, cosi' da assumere il controllo dei vari traffici illeciti, anche nell'ambito del settore degli stupefacenti. Essere additato come persona in grado di tessere le fila di un accordo che coinvolge altri soggetti di primo piano delle diverse consorterie coinvolte e che prevede anche la possibilita' di fronteggiare in modo ostile gli avversari denota l'esistenza in capo al ricorrente di un particolare munus che ben si coniuga anche con il rilievo che allo stesso imputato viene riconosciuto dall'altro chiamante in correita' (OMISSIS) il quale, nel riferire sulla storia criminale del (OMISSIS), gli attribuisce anche qualifiche o attributi associativi di rilievo, ricoperti nel tempo in seno alla locale. E' sempre il (OMISSIS), poi, ad apprendere dal ricorrente del danneggiamento di un nightclub riconducibile alla famiglia (OMISSIS), danneggiamento imputabile alla locale di (OMISSIS) la quale non aveva gradito l'avvio dell'attivita' nel territorio di sua "competenza" senza il suo preventivo assenso, in linea con consolidate regole mafiose, e perche' ritenuto "moralmente" riprovevole. Al di la' dell'assenza di specifica censura sul punto, si tratta comunque di un indice di conoscenza di fatti interni al sodalizio notoriamente patrimonio conoscitivo degli associati che non si rivelano a soggetti estranei alla consorteria. Si cita poi il propalato dello (OMISSIS), il quale accusa il ricorrente di essere a sua fattiva disposizione per compiere delitti, facendo comunque intendere che li abbia commessi, additandolo anche del possesso di doti e qualifiche notoriamente attribuite in ragione dei contributi criminali prestati, citando l'episodio del danneggiamento del locale night club in cui la Corte di appello lo ritiene coinvolto, nonche' quelli in cui unitamente ad altri avrebbe favorito diversi latitanti (tra cui il propalante indica (OMISSIS), di cui avrebbe anche riferito essere sempre armato). Nessun contrasto, quindi, si ravvisa nelle conclusioni raggiunte dalla sentenza impugnata con il recente arresto delle S.U. "Modaffari", per come dal Collegio precisato a proposito dei motivi di ricorso del coimputato (OMISSIS) a cui puo' rinviarsi (sub 1, 2 e 3 della relativa impugnazione). 3. Il terzo motivo di ricorso con cui si censura l'attribuzione al ricorrente dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava come l'aggravante non si fondi su una sorta di traslazione delle armi del (OMISSIS), elemento comunque di rilievo in quanto ad esso si lega la notorieta' dell'uso e dello scambio di armi in quel di (OMISSIS), bensi' su elementi di carattere individualizzante ricavati dal compendio probatorio declinato a corredo della condotta di partecipazione, quali i danneggiamenti commissionati con l'uso delle armi dallo (OMISSIS) e l'accordo di matrice mafiosa raggiunto con il (OMISSIS), consistente nell'impegno, tornati in liberta', di allearsi in danno delle cosche a loro ostili ("avevamo fatto l'alleanza... ci ha cercato l'alleanza.. ci uniamo tutti e due e spariamo sia a destra che a sinistra"), da fronteggiare anche con l'uso delle armi. Si tratta di circostanze pienamente idonee a dimostrare la consapevolezza in capo al ricorrente della disponibilita' di armi da parte della locale, di cui anch'egli avrebbe potuto, all'occorrenza, disporre. 4. Il quarto motivo in ordine alla delimitazione temporale della condotta di partecipazione e' generico. La sentenza impugnata ha, infatti, attribuito rilievo anche a condotte (la cd. alleanza) che trovano la loro collocazione nel periodo della comune detenzione con il (OMISSIS) (anni 2013 e 2014) e, comunque, anche a detto periodo la Corte territoriale riferisce l'intraneita' del ricorrente alla locale, non cessata a seguito della carcerazione, avendolo il collaboratore (OMISSIS) additato come attuale referente (piu' in particolare, nel corso dell'interrogatorio del settembre 2015, il collaboratore indicava nel (OMISSIS), conosciuto in carcere, un referente, per la locale di (OMISSIS), della consorteria mafiosa dei (OMISSIS) (cui apparteneva il (OMISSIS)) con cui aveva raggiunto un tipico accordo di matrice mafiosa, consistente nell'impegno, tornati in liberta', di allearsi in danno delle cosche a loro ostili (avevamo fatto l'alleanza... ci ha cercato l'alleanza.. ci uniamo tutti e due e spariamo sia a destra che a sinistra), ovvero i (OMISSIS) e i (OMISSIS)" (pag. 402). A fronte di tali elementi, il motivo di ricorso contrappone un'alternativa di merito - ossia che la partecipazione sarebbe cessata "sicuramente negli anni precedenti al 2010" e financo al 2008 che non solo non e' asseverata dalla sentenza impugnata, ma nemmeno supportata dall'indicazione dei relativi elementi fattuali di specifico sostegno. (OMISSIS) e (OMISSIS): I ricorsi sono inammissibili. 1. Il primo motivo di ricorso in ordine alla sussistenza del delitto estorsivo di cui al capo 38) e' manifestamente infondato. Invero, le deduzioni difensive sono volte a prefigurare un'alternativa di merito - secondo cui l'aggressione operata dai ricorrenti ai danni dello (OMISSIS) sarebbe riconducibile ad una controversia di carattere privatistico in ordine alla raccolta della legna da un albero caduto a causa delle intemperie - volta a sollecitare una rilettura delle fonti probatorie estranea al sindacato di legittimita' e riproduttiva di profili di censura gia' adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito. L'esclusione di qualunque valenza "privatistica" della vicenda si fonda, invece, su una coerente lettura del compendio intercettivo, puntualmente passato in rassegna dalla sentenza impugnata non solo sulla scorta del chiaro significato dei dialoghi, ma letto alla luce del quadro di insieme che caratterizza il narrato (a cui hanno contribuito pure le propalazioni collaborative di un coimputato), connotato dall'esistenza di specifiche dinamiche estorsive in merito alla raccolta della legna e alla delimitazione delle rispettive aree di "intervento" in capo a chi era stato dalle cosche specificamente autorizzato all'esercizio di tale attivita'. Ed e' proprio tale contesto che consente di attribuire un significato logico all'aggressione ordita dagli imputati ai danni del dipendente della ditta "rea", a torto o a ragione, di avere sconfinato dai limiti territoriali imposti dal pagamento alla cosca di riferimento. Da un lato i ricorrenti, i quali, adducendo il pretesto che la ditta del (OMISSIS), tramite lo (OMISSIS), avesse sconfinato dagli ambiti territoriali che la cosca gli aveva consentito, intendevano prendersi gli alberi caduti e, dall'altro, lo (OMISSIS) il quale, invece, riteneva di essersi legittimamente mosso nell'ambito "consentito" e per cui la ditta onorava la tangente estorsiva. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo - ed infatti sul punto nulla argomenta il ricorso - per cui una vicenda destinata a restare nell'ambito di un mero conflitto tra privati (in fondo si sarebbe trattato della mera raccolta di legna da un unico albero caduto per intemperie) assuma, invece, rilievo quale questione "della cosca di (OMISSIS)", e cio' consegua proprio all'iniziativa dello (OMISSIS), il quale nell'immediatezza dell'accaduto, ritenendo di avere correttamente operato in una zona di "spettanza", rivolge le sue rimostranze verso chi di tale consesso fa parte (il (OMISSIS)) ed e' al corrente della sottoposizione della ditta del (OMISSIS) ad estorsione. E parimenti non si spiegherebbe la ragione per cui il (OMISSIS), presente lo (OMISSIS), ritenendo corretto l'agire di quest'ultimo e pretestuose le richieste dei ricorrenti, ne renda immediatamente partecipi i fratelli (OMISSIS), appartenenti alla cosca, arrivando persino a temere, in ragione di tali avventate iniziative (il riferimento e' all'operato dei "giovani" ricorrenti) volte a sottoporre ad ulteriore estorsione soggetti che gia' pagano alla cosca il pizzo, ripercussioni sia di carattere interno che esterno. Al riguardo, si evidenzia, infatti, come l'avventata azione dei ricorrenti avrebbe potuto scatenare la reazione di (OMISSIS), il quale, avendo imposto la tangente alla ditta ed avendo assicurato con la sua parola il rispetto del lavoro accordato, avrebbe certamente compiuto gravi ritorsioni. Inoltre, si e' altresi' osservato come la vicenda avrebbe potuto incidere sull'autorevolezza esteriore del consesso mafioso additato di non far rispettare gli accordi intrapresi, portando ad esasperazione la vittima gia' soggetta ad estorsione, evocandosi, al proposito, anche un precedente che aveva portato l'estorto ( (OMISSIS), considerato, al pari del (OMISSIS), un forestiero in quanto proveniente da Giffoni) a denunciare l'accaduto all'autorita' giudiziaria. Significativo, infine, e' che uno dei ricorrenti ( (OMISSIS)) si sia poi portato dal (OMISSIS) per rassicurarlo, rappresentandogli che la questione era stata chiarita, essendo stato intimato al (OMISSIS) di non far rimuovere la legna da terra, in quanto, a suo dire, aveva - tramite l'attivita' dello (OMISSIS) sconfinato in una zona diversa da quella concordata con la locale; ed altrettanto significativo e' che il (OMISSIS) lo abbia messo al corrente delle rimostranze dello (OMISSIS) e dell'opera che egli stesso aveva intrapreso per dissuaderlo dal coinvolgere il (OMISSIS), vero dominus dell'estorsione ai danni del (OMISSIS), il quale aveva assicurato con la sua parola il rispetto del lavoro accordato. Ma se questa e' la vicenda che emerge dalle intercettazioni ed il contesto in cui si muove la condotta degli imputati - in relazione alla quale assume valenza dimostrativa del contesto impositivo sopra menzionato anche l'ulteriore significativa vicenda di cui al capo 61) che vede coinvolti da un lato i fratelli (OMISSIS) ed il Tigano e dall'altro l'imprenditore (OMISSIS) - privi di rilievo sono i riferimenti all'esistenza di prassi o di regole dettate da successivi regolamenti comunali, cosi' come nessuna illogicita' sconta la sentenza impugnata per non aver ritenuto credibili le versioni difensive rese al difensore dallo (OMISSIS) e dal (OMISSIS), in ordine al contenuto delle quali la Corte di merito risulta avere messo in evidenza lacune, contraddizioni ed anche profili di inverosimiglianza, tanto che dei relativi verbali si e' disposta la trasmissione all'autorita' giudiziaria perche' si proceda per il reato di cui all'articolo 391-ter c.p.. Infine, manifestamente infondata si rivela anche la dedotta violazione di legge in ordine alla valutazione probatoria del compendio intercettivo, considerato che la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte a mente del quale le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attivita' di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, (S.U. n. 22471 del 2015, Rv. 263714). Nel caso di specie, a differenza di quanto prospettato, va evidenziato come dalla successione temporale dei dialoghi riportati in sentenza risulti che anche il ricorrente vi ha preso parte (vedi pag. 208) ed anzi e' proprio la conversazione finale intervenuta tra questi ed il (OMISSIS) che avvalora la ricostruzione accusatoria delle precedenti conversazioni intervenute tra lo (OMISSIS), il (OMISSIS) ed i fratelli (OMISSIS). Inoltre, al di la' del chiaro contenuto delle conversazioni e del fatto che non vi sia alcun dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato, cio' che rileva ai fini dell'univocita' del dato probatorio e' che le conversazioni intervengano proprio a ridosso del fatto, senza soluzione di continuita', e riguardino soggetti che allo stesso vi hanno preso parte (lo (OMISSIS) e, da ultimo, il ricorrente), ovvero, pur non essendovi direttamente coinvolti, riferiscono di circostanze anche a carattere auto-indiziante su fatti che risultano giudizialmente accertati nel presente giudizio. 2. Il secondo motivo, con cui si prospetta l'ipotesi tentata e non consumata dell'estorsione, e' manifestamente infondato. Invero, la censura difensiva muove da un'alternativa di fatto - ossia che la contesa riguardasse il "prelievo" di un unico albero abbattuto da eventi atmosferici - che risulta essere stata motivatamente esclusa dalle sentenze di merito. Correttamente, pertanto, e' stata ricavata la consumazione dal contenuto dell'intercettazione ambientale che vede il ricorrente protagonista e che da' esplicitamente atto di come, a seguito dell'aggressione subita dallo (OMISSIS), il messaggio intimidatorio di non rimuovere il legname tagliato nella zona di "non spettanza" fosse chiaramente arrivato al destinatario (la ditta del (OMISSIS)), tanto che la questione era stata "risolta", avendo questi assunto la relativa obbligazione. 3. Il terzo motivo con cui si lamenta la mancata qualificazione giuridica del fatto quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni e' manifestamente infondato in ragione delle argomentazioni con cui la sentenza impugnata ha escluso che potesse ricondursi ad una controversia in materia di rispetto di usi civici la causale della successiva aggressione perpetrata dai ricorrenti ai danni dello (OMISSIS). 4. Anche il quarto motivo di ricorso in ordine all'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e' manifestamente infondato. Invero, la circostanza che l'estorsione non sia diretta conseguenza dell'imposizione a cui la ditta gia' sottostava, o strumentale all'attuazione della stessa pretesa, non priva la condotta di connotazioni "mafiose": la sentenza impugnata ha, infatti, precisato come l'azione aggressiva venne compiuta davanti l'abitazione di un appartenente della cosca che aveva imposto l'estorsione e con caratteri di esemplarita' e, inoltre, come la condotta si innestasse - e di cio' erano consapevoli i ricorrenti - su un'estorsione imposta dalla locale cosca, a cui la ditta pagava la tangente. Pertanto, la Corte di merito ha evocato precise circostanze di fatto che danno conto di come la vittima ebbe chiaramente a percepire che la minaccia non proveniva da comuni criminali, ma da soggetti quanto meno contigui per mentalita' e prossimi per parentela ai maggiorenti di âEuroËœndrangheta con i quali aveva preso precisi accordi per la realizzazione dell'appalto, per come avvalorato dalle successive "interlocuzioni" che con tali ambienti criminali ebbero tanto la vittima che gli autori. Al riguardo, va infatti ribadito il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilita' dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso" non e' necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilita' del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015, Rv. 263525; Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, Rv. 257065). 5. Il quinto motivo di ricorso con cui si lamenta la mancata esclusione dell'aggravante delle persone riunite e' manifestamente infondato. Invero, la doglianza muove da una lettura parcellizzata dello sviluppo della vicenda estorsiva, al fine di escludere (legittimamente in un'ottica difensiva) la valenza concorsuale attribuita alla presenza del ricorrente all'azione aggressiva ai danni dello (OMISSIS) compiuta dal (OMISSIS), che avrebbe cercato di trattenere dal portare a compimento l'aggressione Invece, il giudice del merito ha, al proposito, evidenziato come tale azione sia ascrivibile ad entrambi i ricorrenti, sia perche' avevano seguito con la loro auto lo (OMISSIS), intimandogli poi di fermarsi, sia perche' era stato (OMISSIS) a sostenere, verso la cosca che aveva imposto l'estorsione, la "bonta'" delle ragioni del loro operato, ai danni di quelle sostenute dallo (OMISSIS), nonche' a risolvere la questione con il titolare della ditta, affinche' venisse conseguito l'ingiusto profitto avuto di mira. Pertanto, correttamente le sentenze di merito hanno attribuito alla presenza congiunta di entrambi gli imputati una maggiore valenza intimidatoria dell'azione aggressiva compiuta da (OMISSIS), per come riscontrato dal chiaro comportamento dello (OMISSIS), il quale intimidito si porto' immediatamente dal (OMISSIS). Nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle piu' persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia e non che la minaccia sia resa con il contributo materiale di entrambe potendo essere posta in essere anche soltanto da taluno dei concorrenti (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Rv. 252518). Cio' che conta e' che sia riscontrata la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento della realizzazione della violenza o della minaccia, in quanto solo in tal modo si verificano, in conformita' alla "ratio" della norma, quegli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima che ne riducono la forza di reazione e giustificano l'applicazione dell'aumento della pena. Infine, va esclusa qualsiasi paventata violazione dell'articolo 522 c.p.p., in quanto ai fini della contestazione della circostanza aggravante delle piu' persone riunite non e' indispensabile una formula specifica espressa con una particolare enunciazione letterale, ne' l'indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto che lo integrano. Nel caso in esame, nel capo di imputazione risulta descritto l'intero accadimento che vede come responsabili entrambi gli imputati concorrenti e presenti al fatto enunciato; inoltre, alla luce anche del rito seguito, lo sviluppo dei fatti da cui origina la circostanza era ben noto agli imputati, con esclusione pertanto di una lesione del diritto di difesa. Di conseguenza l'aver ritenuto (vedi pag. 262) ed applicato il relativo aumento di pena si sottrae al vizio di legittimita' denunziato. 6. Il sesto motivo, in ordine all'affermata responsabilita' del (OMISSIS) per il delitto di furto di cui al capo 40) della rubrica, e' manifestamente infondato. Invero, la censura - che finisce per riprodurre il relativo motivo di appello - attiene all'interpretazione del contenuto delle conversazioni ambientali, non deducibile in questa sede, costituendo questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). Nel caso in esame, la sentenza impugnata si sottrae al vizio di legittimita' denunciato, in quanto ha dato conto, per come evidenziato nel paragrafo relativo alla sussistenza del capo 38), degli elementi in forza dei quali le captazioni assumono valenza direttamente indiziante nei confronti del ricorrente in ordine al furto di legname contestato, evidenziando come dalle stesse parole dello (OMISSIS) - il quale, come la sentenza rammenta, e' il cognato del (OMISSIS) da cui aveva appreso i fatti, nonche' soggetto ben inserito nell'ambito delle attivita' dell'impresa presso cui lavorava, tanto da essere al corrente che la stessa era sottoposta ad estorsione dalle cosche locali emergesse come il titolare della ditta (il (OMISSIS)), lungi dall'aver consentito tale abusivo accaparramento di legname, in realta' avesse finito per coprire gli imputati al fine di tenersi buone le varie famiglie mafiose che insistevano sul territorio. Nessuna attribuzione di responsabilita' pertanto de relato, ma in virtu' di precisi elementi dichiarativi acquisiti dal compendio intercettivo, pienamente utilizzabili a carico del ricorrente, in quanto provenienti da soggetti che, per le loro qualita' e in ragione del diretto coinvolgimento nelle attivita' della p.o. (lo (OMISSIS) anzitutto), sono risultati affidabili, per come anche riscontrato dagli accertamenti di PG che danno conto dell'esistenza "storica" della vicenda narrata. Ne' l'esistenza di un eventuale rapporto di lavoro che legasse all'epoca effettivamente i ricorrenti all'asserita p.o. "committente" escluderebbe il furto: posto che il (OMISSIS) ha escluso di avere consentito tale accaparramento, sarebbe comunque integrata l'ipotesi del furto aggravato dall'abuso di relazione qualificata. Infine, va dato atto che il delitto di furto aggravato (da una sola circostanza) non risulta estinto per prescrizione, tenuto conto,: ai fini della sospensione del relativo termine, vanno computati i 929 giorni di sospensione dei termini di custodia cautelare che rilevano a detto fine (Sez. 5, n. 14863 del 2020, dep. 2021, Rv. 281138). 7-8. Entrambi i motivi dedotti in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati. Tanto la dosimetria della pena che il diniego delle attenuanti generiche rinvengono congrua motivazione, essendosi evidenziati plurimi indici di disvalore attinenti alla gravita' dei reati commessi e alla capacita' a delinquere, in applicazione, peraltro, del principio espresso da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Peraltro, la pena base e' stata sostanzialmente commisurata in misure pressoche' prossima al minimo edittale (anni sette di reclusione a fronte di un minimo all'epoca del fatto di anni sei), come gli stessi aumenti per l'aggravante speciale e la continuazione per il (OMISSIS). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso in tema di partecipazione alla locale di cui al capo 1) della rubrica e' manifestamente infondato. Invero, il dato di fatto che ha consentito alla Corte di merito di affermare la continuita' partecipativa al sodalizio del ricorrente - presente nel 1994, anche nella veste di capo societa', al battesimo del propalante (OMISSIS) e promotore dell'affiliazione di (OMISSIS) - e' costituito dalla partecipazione, successivamente all'aprile 2004 (data di esecuzione delle misure cautelari di natura coercitiva nell'ambito dell'operazione cd. "(OMISSIS)"), al "consiglio degli anziani" che da quel momento in avanti si sarebbe occupato della gestione delle estorsioni consumate dall'omonima cosca di âEuroËœndrangheta. Si tratta di una circostanza di rilievo in quanto consente di attualizzare la condotta partecipativa del ricorrente nell'omonimo consesso, della cui esistenza vi e' accertamento passato in giudicato (sentenza del Tribunale di Palmi del 12/10/2001 non avente effetto di giudicato nei confronti del ricorrente in quanto all'epoca non indagato ne' imputato, dovendosi il suo coinvolgimento alle successive propalazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS)) e di attribuirgli quel connotato di stabilita' e necessaria strumentalita' al perseguimento dei comuni fini criminosi. Ebbene, sul punto la censura e' incentrata sul rilievo che il collaboratore, nel fare riferimento a coloro che avrebbero partecipato a tale summit - di spiccata valenza dimostrativa sia per l'autorevolezza dei personaggi che vi prendono parte sia per l'importanza delle questioni trattate, tanto che di tale rilievo non ci si duole - avrebbe indicato tale (OMISSIS), anziche' (OMISSIS). Tale rilievo, tuttavia, risulta privo del carattere di decisivita', in quanto dalla lettura della sentenza impugnata, la quale riporta testualmente il propalato del collaboratore, risulta che a tale riferimento nominativo venne accostato anche l'ulteriore elemento, di certa riferibilita' all'imputato, costituito dalla circostanza dell'uccisione del padre (OMISSIS), oltre chiare indicazioni relative tanto al luogo di dimora, alla professione di autotrasportatore svolta e all'arresto subito dal figlio. La convergenza poi, tratta dalle stesse conversazioni del (OMISSIS), dell'indicazione del ricorrente come colui che aveva introdotto nella locale di (OMISSIS) (OMISSIS) (garantendo per la "solidita'" di vocazione del nuovo affiliato), costituisce un ulteriore dato di conferma all'individuazione fotografica operata dal collaboratore di giustizia, oltreche' un valido elemento di riscontro alla chiamata. Cio' posto, nessuna illogicita' e violazione di legge sconta la sentenza impugnata con riguardo alla ritenuta persistenza ed apprezzabilita' della partecipazione del ricorrente anche in un arco temporale successivo alle originarie condotte poste in essere in epoca antecedente (sino al 2014), in quanto, sulla scorta anche del dichiarato (intercettato) del (OMISSIS) e dell'assenza di fatti recessivi, si e' cosi' attribuito al ricorrente un ruolo quanto mai attivo nel preservare al gruppo " (OMISSIS)" i proventi delle estorsioni in corso sotto l'egida del mandato morale, in passato assunto dalla cosca nei confronti dei figli del capo (OMISSIS) assassinato il 17/11/1987 a (OMISSIS). Il ricorrente, pertanto, e' additato di avere assunto una posizione di rilievo in quel consesso, tanto da essere stato investito del ruolo di capo societa' (carica quest'ultima che girava solo tra gli anziani del gruppo, in ragione della loro affidabilita'), manifestando una volonta' preservatrice dei diritti di "prelazione" nel campo delle estorsioni del gruppo (OMISSIS) all'interno della locale di âEuroËœndrangheta di riferimento, imponendo agli altri sodali questa sua posizione in accordo al capo locale (OMISSIS). Di conseguenza, non affatto illogico da parte della Corte di merito aver letto tale rilevante dato probatorio in un'ottica di continuita' con quel ruolo di primo piano che lo stesso ricorrente e' indicato di avere rivestito in passato sempre nell'ambito della consorteria di stampo âEuroËœndranghetista. Del resto, la partecipazione ad un summit cosi' rilevante in tanto si spiega in quanto si e' investiti di un ruolo decisionale e qualificato all'interno della âEuroËœndrina di riferimento e, pertanto, tale intervento si pone in perfetta coerenza con l'attributo passato. Il giudice del merito, pertanto, proprio mediante il riferimento a tale successivo "consesso", ha dato motivatamente conto di condotte diverse da quelle risalenti nel tempo, cosi' superando le "obiezioni" a cui si era esposta l'ordinanza cautelare in sede di riesame, per quanto affermato dalla sentenza della 5'' sezione penale di questa Corte richiamata nel ricorso (vedi pag. 2, primo capoverso). Con la conseguenza che altrettanto non prive di rilievo indiziario e di riscontro risultano le frequentazioni indicate in sentenza e registrate dal 2009 al 2014, con soggetti coimputati e indicati come appartenenti alla locale di (OMISSIS), anche con ruoli di primo piano (vengono segnalate, in particolare, quelle con il capo locale (OMISSIS), nonche' con gli attuali imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che con altri soggetti pregiudicati quali (OMISSIS) e (OMISSIS)). Il rilievo che tali incontri sarebbero stati sporadici, tenuto conto dell'ampio arco temporale in cui sono stati registrati, e' logicamente disatteso dalla Corte di merito evidenziando come, soprattutto prima delle dichiarazioni dello (OMISSIS) (2013), l'imputato non fosse oggetto di specifica attenzione investigativa, stante anche l'assenza di coinvolgimento nel procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale di Palmi che, nel 2001, aveva asseverato l'esistenza in (OMISSIS) della locale di âEuroËœndrangheta. A conferma di cio' si richiama la stessa informativa dei Carabinieri di Taurianova che e' datata 2015. In conclusione, le sentenze di merito non hanno dunque asseverato la condotta di partecipazione del ricorrente sulla scorta di un fatto accaduto nel 1994 (allorche' presenzio' al battesimo dello (OMISSIS)) e da isolate frequentazioni, ma hanno declinato ulteriori elementi fattuali, ricavati dalla piena convergenza del dichiarato dello (OMISSIS) e del captato del (OMISSIS), dimostrativi dell'assunzione di un ruolo di primo piano (capo societa') che gli consentiva di essere considerato uno degli anziani, e dunque in quanto tale legittimato ad interloquire con la Provincia, e, ancor piu', ad imporre, all'interno della locale, la linea da seguire in ordine alla spartizione dei proventi delle estorsioni, che come noto rappresentano uno dei settori "elettivi" di intervento della cosca sul territorio. E la carica di capo societa', che gli era stata riconosciuta in un determinato momento, consegue non solo ad un mero dato formale, bensi' costituisce logicamente un indicatore concreto dell'impegno prestato dal ricorrente per la realizzazione del pactum sceleris. 2. Il secondo motivo di ricorso, in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4 e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, lungi dall'operare un rigido automatismo tra la partecipazione alla âEuroËœndrangheta e la sussistenza della circostanza aggravante, ha anzitutto indicato una serie di elementi logicamente dimostrativi che il ricorrente avesse contezza dell'uso di armi ad opera della locale, precisando come i (OMISSIS) "mantenessero la signoria sulle estorsioni anche a suon di danneggiamenti e di imposizioni con la forza del loro potere, che a queste latitudini si mantiene con la notoria disponibilita' di armi in capo ai sodali, come i sequestri a (OMISSIS) hanno ampiamente dimostrato". Inoltre, ha valorizzato, in punto di corretta esclusione dell'ignoranza incolpevole, la continua notorieta' della presenza di armi nell'ambito della cosca di (OMISSIS), in ragione dei conflitti armati ivi insistenti che hanno caratterizzato nel tempo anche l'evoluzione dei rapporti tra le differenti âEuroËœndrine ed i contrasti tra le stesse sorti, quali fatti che certamente non potevano essere ignorati senza colpa da coloro che di tali consessi vi hanno fatto parte e vi hanno svolto ruoli comunque significativi come lo stesso ricorrente per un tempo apprezzabile. (OMISSIS). Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso, in ordine all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo e l'estorsione c.d della legna, e' inammissibile. Invero, in tema di vizio di motivazione questa Corte ha affermato che la sentenza di merito non e' tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26600 del 13/05/2011, Rv. 250900, Sez. 2, n. 47115/2017 non mass. pag. 4; Sez. 7, n. 43185/2021; Sez. 4, n. 37104/2021). Tanto premesso, la sentenza impugnata ha delineato il percorso logico seguito dal giudice per affermare la responsabilita' dell'imputato, indicando le molteplici fonti di prova dalle quali ha tratto gli elementi fondamentali per ritenere integrati i reati ascrittigli (vedi pag. 217 ss., con riferimento al delitto associativo), tra cui rilevano non solo le propalazioni del collaboratore di giustizia, ma anche gli accertamenti di PG di volta in volta evidenziati a conferma del narrato, le intercettazioni ambientali che contengono diretti riferimenti al ricorrente ed al ruolo di primo piano dallo stesso svolto nell'omonima locale e, quanto al reato associativo, anche la chiara riconducibilita' del delitto fine ascritto al contesto di stampo mafioso; il ricorrente, pertanto, era tenuto anzitutto a confrontarsi con detti elementi al fine di svilirne la pregnanza contenutistica. Inoltre, la Corte di merito risulta avere dato conto delle diverse questioni poste con l'atto di appello (specificamente e graficamente richiamate con riferimento alla posizione del ricorrente) e fornito diffusa ed adeguata motivazione in punto di credibilita' intrinseca ed estrinseca del collaboratore di giustizia (vedi pagine 228-244). Pertanto, anche sotto tale profilo il motivo di ricorso risulta inammissibile poiche' riproduce genericamente i motivi di appello senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni resa al riguardo dalla Corte territoriale. Ad analoga conclusione deve giungersi anche con riferimento ai profili di censura rivolti all'affermazione di responsabilita' in ordine all'estorsione ai danni dell'imprenditore (OMISSIS) per il taglio della legna nei boschi. Sul punto possono richiamarsi le argomentazioni spese a proposito delle posizioni dei cugini (OMISSIS) (vedi sub 1 dei rispettivi motivi di ricorso) da cui risulta come l'azione di quest'ultimi ai danni del (OMISSIS) - che da' origine al reato estorsivo di cui al capo 38) della rubrica - in realta', lungi dall'escludere la sussistenza del pactum estorsivo stipulato a monte dall'imprenditore con i maggiorenti della cosca locale ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), pur assumendo natura pretestuosa, proprio a tale antefatto illecito faccia riferimento, cosi' avvalorandone sul piano probatorio la stessa sussistenza. 2. Il secondo motivo di ricorso in tema di recidiva e' manifestamente infondato. Il riconoscimento della recidiva rinviene congrua motivazione, in quanto il richiamo dei precedenti penali, di particolare gravita', in tutt'uno con l'applicazione di misura di prevenzione della sorveglianza speciale che connota la pericolosita' sociale del ricorrente, si lega ad una valutazione che tiene ben conto dell'incidenza di detti fattori in ordine all'aver intrapreso un percorso delinquenziale definito "mai sopito" e culminato con i fatti oggetto del presente giudizio. In tale contesto, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di merito non ha affatto preso in considerazione i fatti associativi da cui il ricorrente era stato assolto (ben definiti nel loro perimetro temporale dalla sentenza impugnata che ne ha tenuto conto ai fini della "decorrenza" del reato di cui al capo 1), ma, anzi, ha espressamente precisato come l'adesione al codice mafioso prenda avvio proprio "a far data dal 24 settembre 2005 (limite temporale imposto dalla sentenza del processo c.d. (OMISSIS) in cui il ricorrente restava assolto)", apprezzando poi "il ruolo di tale delicatezza e potere" che gli e' stato attribuito nel presente giudizio, "che trova le sue radici nelle iniziali attivita' delinquenziali di ordine piu' sparso, ancorche' significativamente aggressive ai danni del patrimonio e della persona, nonche' sintomatiche di un peculiare approccio con il territorio". La motivazione resa si sottrae dunque ai vizi di legittimita' denunziati. 3. Anche il terzo motivo di ricorso, in ordine alla sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., ritenuto in sentenza in relazione all'estorsione di cui al capo 39) della rubrica, e' manifestamente infondato con riguardo ad entrambe le declinazioni contestate (metodo ed agevolazione). Al riguardo, la Corte di merito ha evidenziato, in punto di fatto, come il "benestare" all'accettazione del contratto per il taglio del leccio rilasciato dai due maggiorenti mafiosi (il ricorrente ed il (OMISSIS)), nell'ambito del piu' antico copione delle estorsioni della "montagna", come dimostrano i precedenti in materia (si richiamano le sentenze riversate in atti relative ai procedimenti cd. "mafie dei boschi" etc.), integri l'ipotesi classica di estorsione. Il rituale per lo "straniero" (il (OMISSIS) e' della vicina Giffoni, ma considerato "straniero" in ragione della rigida divisione criminale del territorio con cui opera la âEuroËœndrangheta), che si vede costretto a "pagare" il benestare e la guardiania ai locali âEuroËœndranghetisti solo per potere lavorare senza grandi aggressioni ai suoi beni ed al prodotto del suo lavoro, rinviene conferma proprio in questo tipo di estorsione. Si tratta del piu' rigoroso e fedele repertorio delle estorsioni di mafia, che qui trova massima realizzazione, integrando l'aggravante sotto il profilo del metodo, vieppiu' che a garanzia del patto estorsivo si collocano i due vertici delle famiglie mafiose del luogo - (OMISSIS), gia' condannato per associazione di stampo mafioso in veste di comando, e (OMISSIS) - che si spartiscono i proventi estorsivi in forza di un rinnovato patto collaborativo, gia' messo in crisi negli anni (con prevalenza della famiglia (OMISSIS) sul giogo estorsivo) dall'accidentale (mediante rissa) omicidio di alcuni dei giovani rampolli seguaci delle due famiglie, che aveva creato in passato non poche fratture tra i sodali. Pertanto, l'agevolazione mafiosa non va letta soltanto come contributo economico ai due "maggiorenti", ma come simbolo di una ricostruzione della unitarieta' mafiosa che certamente ha capacita' rafforzative e rigenerative per la âEuroËœndrangheta del luogo oltre che agevolarne le casse" (vedi pagg. 245-246). Si tratta, dunque, per quanto tratteggiato dalla sentenza impugnata, di un'estorsione di mafia in cui il pagamento del prezzo costituisce il pizzo dovuto dall'imprenditore "straniero" per poter lavorare sui territori di diretto insediamento della cosca senza incorrere in ritorsioni o danneggiamenti dei suoi beni di impresa, la cui corresponsione e' funzionale tanto alla riaffermazione del potere mafioso su quel territorio, quanto al rafforzamento della stessa cosca sul piano economico. Corretta risulta pertanto la motivazione adottata nell'aver ritenuto sussistente l'aggravante speciale con riferimento non solo alla finalita' di agevolazione mafiosa, ma anche del metodo. A questo riguardo, va, infatti, ribadito l'orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di estorsione cd. "ambientale", integra la circostanza aggravante del metodo mafioso la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l'estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato (Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Rv. 270175). 4. Il motivo con cui si deduce il vizio di omessa motivazione con riferimento agli aumenti operati per la continuazione e' manifestamente infondato. Invero, nella sentenza impugnata si rinviene diffusa motivazione in ordine alla misura degli aumenti operati per la continuazione, avendo la Corte di merito fatto precedere al relativo calcolo l'indicazione di precisi elementi di disvalore dei fatti giudicati, nonche' evidenziato anche spiccati elementi di capacita' a delinquere attinenti alla posizione del ricorrente, da intendersi riferibili anche alla misura dell'unico aumento ex articolo 81 cpv. c.p. apportato, conseguenziale al calcolo della pena base stabilita. 5-6-7-8-9-10. Le doglianze sollevate dal quinto al decimo motivo di ricorso sono inammissibili poiche' non vi sono specifici riferimenti alla posizione del ricorrente ovvero perche' si riferiscono a fattispecie di reato non oggetto di contestazione (verosimilmente le censure sono da ricondursi ad errore materiale nella collazione dell'atto essendo piu' volte richiamata la posizione di altro coimputato non ricorrente, cosi' quelle relative alla partecipazione al sodalizio mafioso, ai delitti fine di intestazione fittizia ed al ruolo qualificato allo stesso attribuito) ovvero ancora perche' del tutto generiche ed omettono di confrontarsi con le motivazioni al riguardo addotte dalla sentenza impugnata: cosi', in tema di riconoscimento della natura armata dell'associazione e dell'attribuzione della relativa aggravante al ricorrente, la censura e' generica omettendo il ricorrente di confrontarsi con le specifiche parti motivazionali dedicate dalla sentenza impugnata tanto alle ragioni che hanno portato a riconoscere detta aggravante a tutte le âEuroËœndrine od omonime cosche facenti parte della locale (pag. 26 e ss.) quanto ad ascriverla soggettivamente all'imputato (vedi pag. 247); cosi' il diniego delle attenuanti generiche e la determinazione della pena non si fonda sul generico riferimento alla gravita' del reato, ma rinviene specifica motivazione, avendo la sentenza impugnata richiamato precisi indici di disvalore relativi alla personalita' del reo (del quale si ricostruisce nella parte iniziale della relativa posizione la biografia criminale, riprendendola in tema di recidiva), all'intensita' del dolo ed alla la pericolosita' dei reati (vedi pag. 247). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine al delitto di furto di cui al capo 40) della rubrica e' manifestamente infondato per le considerazioni gia' espresse a proposito della posizione del coimputato (OMISSIS), al cui esame puo' integralmente rinviarsi. 2-3. Entrambi i motivi dedotti in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati. Tanto la dosimetria della pena che il diniego delle attenuanti generiche rinvengono congrua motivazione, essendosi evidenziati plurimi indici di disvalore attinenti alla gravita' dei reati commessi e alla capacita' a delinquere, in applicazione, peraltro, del principio espresso da questa Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269). Nel caso in esame, si e' evidenziato come il furto, ben lungi dall'essere un episodio del tutto isolato e privo di apprezzabile disvalore, in realta' si inserisca in un "disegno di tracotanza dei "locali" rispetto agli "stranieri" (la ditta del (OMISSIS) era di Giffoni), "laddove i primi si sentono in diritto "di prendersi" la legna della ditta (OMISSIS), proprio perche' l'appalto viene a realizzarsi nella loro zona, con una concetto deviato di appartenenza foriero di maggiori e piu' preoccupanti equilibri delinquenziali sui quali gli atteggiamenti e le azioni di adesione al codice mafioso in quel territorio si innestano. Pertanto, la lettura in termini di spiccata gravita' del reato operata dalla Corte territoriale non sconta alcun vizio di motivazione, in quanto anche l'azione furtiva commessa dal ricorrente in concorso con gli altri imputati risponde alla deprecabile logica di evidente approfittamento di quegli imprenditori che per lavorare in quel territorio sono costretti a pagare la tangente estorsiva ovvero a subire supinamente atti delinquenziali di depredazione del loro "patrimonio". Inoltre, la sentenza impugnata ha poi indicato, quale ulteriore elemento di disvalore attinente alla capacita' a delinquere, lo status di pregiudicato del ricorrente in conseguenza delle condanne annoverate. Ne' il fatto che la Corte di merito abbia ritenuto tali elementi idonei ad assumere valenza ostativa tanto ai fini della determinazione della pena quanto ai fini del diniego delle attenuanti generiche concreta alcuna violazione di legge, avendo questa Corte di legittimita' precisato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice puo' tenere conto piu' volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che cio' comporti lesione del principio del "ne bis in idem", in quanto legittimamente lo stesso elemento puo' essere rivalutato in vista di una diversa finalita'. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d'appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravita' del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche). (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904; Sez. 2, n. 933 dell'11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011). Pizzinqa (OMISSIS); Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo in ordine alla violazione della legge armi (capo 30 della rubrica) e' manifestamente infondato. Cio' premesso, l'error che, ad avviso del ricorrente, avrebbe portato ad un risultato di prova del tutto diverso da quello corrispondente al significato del compendio intercettivo e' costituito da un passaggio della conversazione ambientale intervenuta tra il (OMISSIS) ed il ricorrente in cui il primo, facendo riferimento al fatto che "stasera arrivano", avrebbe rassicurato l'imputato (che si poneva come acquirente) dell'effettiva disponibilita' delle armi oggetto di trattativa e, dunque, della serieta' dell'offerta. Invece, si sostiene che il riferimento all'intera frase "ora penso che stasera arrivano di nuovo", avrebbe dovuto condurre i giudici di merito alla differente conclusione che il (OMISSIS) si fosse espresso in termini dubitativi posto che, al momento, non aveva alcuna disponibilita' nemmeno mediata delle armi. Cio' premesso, la lettura della sentenza impugnata - la quale anche mediante il riferimento grafico a quella di primo grado ha riportato l'intero compendio delle conversazioni intercettate tra il ricorrente ed il (OMISSIS) consente di escludere il dedotto travisamento della prova. Infatti, va anzitutto precisato che l'esatta frase ricavata dalle intercettazioni e' la seguente: " (OMISSIS): ora penso che stasera.. stasera arrivano di nuovo.." (vedi pag. 708). Non vi e', dunque, nella frase, quell'assenza di soluzione di continuita' ("ora penso che stasera arrivano di nuovo") su cui si fonda la prospettata doglianza. Tanto basterebbe ad escludere il travisamento, in quanto l'iniziale parte ipotetica ("ora penso che stasera") e' poi seguita da un'affermativa ("stasera arrivano di nuovo"). Si rientra, pertanto, nell'ambito dell'interpretazione del contenuto dell'intercettazione e, sul punto, quanto ritenuto in sentenza, ossia che il (OMISSIS), quale intermediario, avesse la disponibilita' delle armi che andava offrendo in vendita, e' sostenuto da motivazione non manifestamente illogica. Infatti, al di la' della frase riportata - alla quale comunque segue l'ulteriore affermativa non priva di significato del (OMISSIS) ".. (inc.).. stasera li porta che oggi e' andato a trovare (OMISSIS): e non vedi ora di chiamarlo che.. (inc.) (OMISSIS):.. (inc.) te lo prendi ti faccio andare a prenderlo" - la Corte di merito ha indicato un complesso di elementi di fatto sulla scorta dei quali l'acquisto era tutt'altro che incerto nel se e nel quando, a fronte dell'imminente arrivo di nuove armi, dello stesso tipo, e stante l'affidamento che il (OMISSIS) riponeva fondatamente sulla precedente fornitura, personalmente visionata dagli intermediatori degli aspiranti acquirenti. L'offerta di armi e' stata dunque unitariamente letta alla luce delle altre vicende che avevano interessato non solo quei carichi, ma la stessa capacita' operativa del coimputato ad assumere la seria veste di intermediario nel settore, per come comprovato non solo dalle numerose condanne in materia di armi inflitte nel presente giudizio ma anche dall'ulteriore episodio relativo alla fornitura delle pistole Glock, rispetto alle quali il tenore complessivo della conversazione era tale per cui, a fronte dell'interesse del ricorrente, si registrava la precisazione del (OMISSIS) sull'oggettiva possibilita' di reperire celermente le armi. E che le pistole Glock esistessero e fossero gia' state oggetto di sistematici e coevi tentativi del (OMISSIS) di piazzarle e che si trattasse di quelle detenute presso il coimputato (OMISSIS) risulta dalla motivazione relativa alla sussistenza dei reati contestati ai capi 44), 45) e 46) della rubrica, in cui si evidenzia come il (OMISSIS), nella mattinata del 13 marzo 2014 (appena 3 giorni prima), aveva proposto alla coppia (OMISSIS) - (OMISSIS) l'acquisto, da un suo conoscente, di un carico di dieci pistole semiautomatiche di marca Glock, al prezzo di Euro 1.500 ciascuna. E', dunque, logico, affermare che la corrispondenza temporale, di tipo (Glock), di numero di armi (10) e di prezzo (Euro 1.500 ciascuna) consente di identificare proprio in (OMISSIS) il detentore ed offerente di quelle pistole, anche in considerazione che vi era un espresso riferimento al fatto che le armi erano detenute proprio a (OMISSIS). Di conseguenza, che non si sia contestata al (OMISSIS) la detenzione delle Skorpion o delle altre armi da guerra richiestegli dal ricorrente non rende illogica la motivazione di condanna, in quanto, per come osservato dalla sentenza impugnata, e' diretta conseguenza del suo ruolo di intermediazione per conto terzi, che detenevano fisicamente le armi. Ma se questa e' la prospettiva fatta propria dalla sentenza impugnata, corretta e' la conclusione che se ne ricava, reputandosi che le condotte del ricorrente costituiscano atti diretti, in maniera non equivoca, all'acquisto, e dunque ad ottenere la detenzione delle armi di cui alla imputazione. 2. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla vicenda inerente il tentativo acquisto di sostanza stupefacente dal (OMISSIS), e' manifestamente infondato. In tal caso, infatti, per come osservato dalla sentenza impugnata, la mancata certezza della realizzanda cessione si fonda su una lettura frammentaria del compendio intercettivo, eludendo il principale elemento di certezza in ordine all'effettiva esistenza e disponibilita' della cocaina in capo al (OMISSIS), ancorche' in via mediata presso terzi, e cioe' la circostanza che lo stesso (OMISSIS) descrive le caratteristiche visive della cocaina, individuata anche a mezzo del colore, indicazioni da cui e' stato corretto e ragionevole ritenere che egli l'abbia vista direttamente presso il rivenditore (vedi pag. 721 e ss.). Sul punto, pertanto, i giudici di merito risultano avere fatto corretta applicazione del principio enunciato da questa Corte a mente del quale la condotta criminosa di "offerta" di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui l'agente manifesta la disponibilita' a procurare ad altri droga, indipendentemente dall'accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un'offerta collegata ad una effettiva disponibilita', sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilita' di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalita' che "garantiscano" il cessionario (cfr., S.U., sentenza n. 22471 del 26/02/2015, rv. 263716). Se, da un lato, infatti, va tenuta distinta la ipotesi della offerta da quella della semplice promessa (in quanto quest'ultima si' caratterizza per essere incerta an et quando), dall'altro, non puo' pretendersi che l'offerente abbia presso di se' lo stupefacente, in quanto in tal caso, evidentemente, sarebbe integrerebbe la condotta di detenzione. In questa prospettiva, in punto di fatto, sono state lette dalla sentenza impugnata le iniziative del (OMISSIS) (capo 34), il quale: - proponeva al ricorrente di acquistare della cocaina da una persona di sua conoscenza, al prezzo compreso tra Euro 21.000 ed Euro 22.000, spiegando che la sostanza si presentava di colore bianco e nero, per come egli stesso aveva potuto verificare (mi ha mostrato quella cosa), ribadendo in piu' passaggi, visto l'interesse del (OMISSIS) (ce la prendiamo (OMISSIS).. pure due tre pacchi alla volta... poi andiamo a prendercela), la disponibilita' dello stupefacente (quando tu la vuoi vedere... c'e' sicuro- Sicurissimo); ne' la ricostruzione, come invece sostenuto dalla difesa, e' contraddetta dal passaggio in cui il (OMISSIS) si diceva in attesa di una risposta (mi dai la risposta allora, che altrimenti te le ordiniamo subito, Pe', poi andiamo a prendercela), essendo evidente, dal tenore complessivo del dialogo, che la trattativa necessitava dell'ulteriore specificazione del prezzo; d'altro canto, ove vi fosse stato l'accordo su prezzo e quantita', sarebbe mutato il titolo di reato; - proponeva all'imputato di acquistare dell'"erba", che era gia' nella sua disponibilita' (ce l'ho lo in mano) al prezzo di Euro 1.400 al chilogrammo e, ricevuto un iniziale diniego (no erba no), insisteva sulla qualita' del prodotto (non c'e' neanche un chicco di seme...), riuscendo cosi' a convincere l'interlocutore circa l'opportunita' di visionare la sostanza (e vediamo di veder la'). Non occorre, come prospetta il ricorrente, che l'offerta sia "effettiva", se con tale termine si vuole intendere - appunto - la possibilita' di consegnare illico et immediate "la merce", essendo sufficiente che l'offerente ne abbia la disponibilita' (non necessariamente fisica), vale a dire possa procurarsela e smistarla o farla smistare in tempi ragionevoli e con modalita' che "garantiscano" il cessionario: e, nel caso in esame, (OMISSIS), seppur agli arresti domiciliari, ben sapeva come, dove e quando procurarsi la sostanza che si impegnava a consegnare a terzi. D'altro canto, lo stesso (OMISSIS), per come risulta diffusamente dalla lettura della sentenza impugnata, era dedito, con i suoi sodali, alla stessa lavorazione della sostanza stupefacente (peraltro pure rinvenuta nel corso delle perquisizioni), ragion per cui e' stato escluso trovarsi dinanzi a mera millanteria. A fronte di tale offerta, il ricorrente mostrava ampia disponibilita', sollecitando il (OMISSIS) a farsi latore delle sue necessita' presso il fornitore; sicche', difettando la prova dell'effettivo raggiungimento dell'accordo, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto l'ipotesi tentata, come correttamente hanno richiamato il principio di diritto affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749), secondo cui si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l'iter criminis si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza. Il ripetuto riferimento della difesa alla regola di cui all'articolo 115 c.p., del resto, non tiene conto delle peculiarita' ricostruttive del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, norma come noto a piu' fattispecie (tra le condotte plurime punite vi e' infatti la sola offerta in vendita per il venditore ed il tentativo di acquisto al fine di spaccio, come le dosi richieste ed in trattativa dimostrano - si procede per chilogrammi - per il compratore: in termini per la sussistenza del tentativo di acquisto di droga in sede cautelare, vedi Sez. 5, n. 54188 del 26/9/2016). 3. Il terzo motivo in tema di recidiva e' manifestamente infondato, rinvenendo l'applicazione della circostanza aggravante adeguata motivazione in osservanza del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, in tema di recidiva facoltativa, il dovere di motivazione risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato (ex multis, Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). Nel caso in esame, con riguardo alla posizione di ciascun ricorrente, la sentenza impugnata ha dato atto di come i reati commessi siano espressione, per modalita' e contesto e per i precedenti penali specifici annoverati da ciascun imputato, di un giudizio di maggiore gravita' in termini sia di maggiore intensita' di colpevolezza che di pericolosita' sociale, nell'ambito di un percorso criminale non definitivamente interrotto. Quanto al ricorrente, e' stato motivatamente escluso che l'essere stata accertata un'unica presenza presso l'abitazione del (OMISSIS) risulti insignificante, essendosi, invece, precisato come dai dialoghi intercettati emergesse una significativa contrattazione trai due imputati ed una consuetudine acquisita di certo in precedenza. Al riguardo, in punto di fatto, si e' osservato come il ricorrente faccia riferimento anche all'emissario del (OMISSIS), " (OMISSIS)" (ossia il (OMISSIS)), dimostrando come i passaggi di merce tra i due erano affidati anche a terzi, sicche' il dato della sua presenza in loco non risulta scagionante rispetto a pregressi contatti delinquenziali. Inoltre, l'essersi rivolto al (OMISSIS), di cui si e' accertata la caratura criminale, rende logica l'affermazione resa dalla sentenza impugnata che, al di la' della intervenuta esclusione della L. n. 203 del 1991, articolo 7, il ricorrente "si serva di canali di rifornimento e di compagni di delitto assai qualificati". 4. Il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio e' del tutto generico in quanto, contrariamente a quanto dedotto, la sentenza impugnata ha indicato precisi indici tanto di gravita' dei fatti che di pericolosita' sociale che danno congruamente conto dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione sul punto (vedi pag. 729). Anche in ossequio al principio enunciato da questa Corte secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. In particolare, si e' evidenziato come la pena base si giustifichi alla luce della molteplicita' dei traffici trattati dal ricorrente presso l'abitazione del (OMISSIS), "che spaziano dalle armi da guerra (certamente non utili per episodi di violenza spicciola) all'acquisto di droga pesante, alla progettazione di recupero di animali vivi per la macellazione clandestina", elementi tutti che rendono congruo l'accesso ad un trattamento sanzionatorio non determinato nei limiti edittali. (OMISSIS): Il ricorso non e' fondato. 1-2. I primi due motivi di ricorso, i cui profili di censura investono i capi 1), 11) e 12) della rubrica, sono infondati. 1. Con riguardo al giudizio di attendibilita' intrinseca del collaboratore (OMISSIS), la Corte di merito, proprio con riferimento alla censura di assenza della pregnanza delle relative propalazioni in ragione del fatto che il collaboratore era stato "tralasciato" dalla rispettiva cosca di appartenenza, ha diffusamente affrontato la questione (nell'ambito della trattazione dei motivi comuni a piu' appellanti), evidenziando come la "percezione" di essere stato "tralasciato" da parte del collaboratore non ha corrisposto ad una cesoia con quel mondo criminale, ma al piu' ha portato ad una attenuazione della sua partecipazione attiva alle riunioni ed alla distribuzioni delle doti di âEuroËœndrangheta, mentre il suo patrimonio conoscitivo delle dinamiche criminali locali e' rimasto pressoche' inalterato. Inoltre, la sentenza impugnata si e' premunita di smentire, con congrua motivazione cosi' superando anche le ulteriori obiezioni contenute nel motivi aggiunti, che il narrato del collaboratore a carico del ricorrente fosse animato da risentimento, passando in rassegna sia le dichiarazioni complessivamente rese, sottolineando, in punto di spontaneita', come sia stato lo stesso (OMISSIS) a precisare quando le circostanze riferite erano state apprese ovvero frutto una sua deduzione o di un ripensamento, sia svalutando gli elementi difensivi citati a sostegno della falsita' delle accuse. A tale riguardo, va, infatti, precisato che le censure mosse sul punto dal ricorrente risultano ben lungi dall'integrare ipotesi di travisamento della prova (per come dedotto nei motivi aggiunti), ma attengono ad enunciati di carattere valutativo motivatamente disattesi dalla sentenza impugnata e si sostanziano in prospettate letture alternative di merito non consentite in questa sede (tanto che si allegano anche i relativi enunciati), peraltro aventi anche carattere parziale al fine di svilire (legittimamente in un'ottica difensiva) la pregnanza contenutistica delle molteplici argomentazioni rese dalla sentenza impugnata sul tema "credibilita' (OMISSIS)-vicende collegate" (annotazione di servizio del maresciallo (OMISSIS), ipotesi non gradita delle amicizie del ricorrente con il carabiniere (OMISSIS) e le forze dell'ordine ovvero convinzione che l'imputato aveva che fosse stato lo (OMISSIS) ad avere distrutto le coltivazioni del padre; vedi pagg. 108 e ss.). Esclusa quindi l'esistenza di ragioni per ritenere "spogliata" la chiamata in correita' dello (OMISSIS) e, dunque, non intrinsecamente attendibile, la sentenza impugnata sfugge ai vizi di legittimita' denunziati anche in punto di indicazione dei necessari riscontri a supportare la chiamata resa dal collaboratore di estrinseca attendibilita'. Al riguardo, infatti, l'avere il (OMISSIS), soggetto non solo intraneo alle cosche di âEuroËœndrangheta ma con un ruolo di rilievo proprio in ragione del suo vissuto (criminale), additato il ricorrente di essere un affiliato e' stato letto quale elemento di logico raccordo con il diretto riferimento di intraneita' affermato dal collaboratore (OMISSIS). A tanto si e' anche pervenuti valorizzando altra intercettazione del 2002 il cui contenuto - riferito al (OMISSIS) e proveniente da altri e differenti affiliati quali i (OMISSIS), vicini al collaboratore (OMISSIS) - e' stato riletto in termini accusatori alla luce dei nuovi elementi raccolti che hanno consentito al giudice del merito di ritenere quel riferimento, seppur privo del nominativo, assumere carattere individualizzante a carico del ricorrente. Insomma, si e' indicata una convergenza a piu' voci di spiccata ed "autorevole" provenienza da parte di personaggi riferibili o espressivi della locale di âEuroËœndrangheta. Ed a tale riguardo, con motivazione non manifestamente illogica, si e' esclusa la prospettata contraddittorieta' tra quanto dichiarato dallo (OMISSIS), che vorrebbe il (OMISSIS) affiliato con la dote di sgarrista, addetto al traffico delle armi e "iniziato" alla âEuroËœndrangheta da (OMISSIS), e viceversa quanto affermato dal (OMISSIS) nella intercettazione captata il quale si vanta di avere lui "portato" (OMISSIS). Al di la' del nucleo comune delle accuse, che additano il ricorrente di intraneita' alla locale di (OMISSIS) - e della lettura che ne da' la Corte territoriale la quale, alla luce del contesto in cui vengono captate le dichiarazioni del (OMISSIS), non esclude che si tratti di affiliazione cronologicamente scollegata - viene indicato il dato di sicuro rilievo emergente da altra captazione proveniente da altri affiliati (ed acquisita da altro procedimento, si tratta di quella dei (OMISSIS)) in cui si evidenzia - e ci si lamenta - della fulminante progressione in carriera di âEuroËœndranghetista operata dal ricorrente (vedi pag. 113). Parimenti, con motivazione congrua, si e' escluso analogo rilievo a discarico all'assenza di frequentazioni, vuoi in ragione del ruolo "doppiogiochista" attribuito al ricorrente dalle sentenze di merito (e sul punto non e' manifestamente illogico aver ritenuto che l'assenza del riscontro di persistenti frequentazioni con gli altri sodali deponesse a suo favore in ragione invece proprio del ruolo dallo stesso assunto, il quale si accompagnava anche, notoriamente, a personaggi delle forze dell'ordine), vuoi anche in ragione di un dato, costituito dal contenuto della richiesta di intercettazioni delle utenze dei vari soggetti coinvolti nel presente procedimento, ove si dava atto che il ricorrente era presentato come un usuale frequentatore dello (OMISSIS), del (OMISSIS) e di diversi componenti delle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS), ossia proprio di coloro ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) da cui proviene il contenuto intercettivo posto a fondamento dell'accusa. A conferma del ruolo partecipativo la sentenza impugnata evidenzia, altresi', un dato di carattere logico costituito dalle reazioni del (OMISSIS) - e dello stesso Tigano, il quale arriva anche a rinfacciare al ricorrente di essere "un infame" - alla scoperta della telecamera, logicamente lette in chiave associativa. Gia' il giudice di primo grado, infatti, di cui si riportano ampi stralci della motivazione, aveva osservato che, se cosi' non fosse, non si spiegherebbe l'esplosione di rabbia del (OMISSIS) alla notizia della scoperta della telecamera che lo avrebbe inchiodato alle sue responsabilita', financo a volerlo eliminare, rancore diretto unicamente verso il sodale, dal quale, con ogni evidenza, per la sua duplice "vicinanza" geografica (della sua campagna con l'abitazione (OMISSIS)) e morale (per il rapporto a doppio mandata dagli anni dell'operazione di polizia c.d. (OMISSIS)" con la polizia), era l'unico tra i suoi sodali a potergli fornire qualche avvisaglia sull'esistenza della videocamera. Inoltre, al dichiarato del (OMISSIS) la Corte di merito aggiunge anche un altro elemento di conferma costituito dal dichiarato dell'altro collaboratore (OMISSIS), il quale, nel riferire sui rapporti tra il ricorrente ed il (OMISSIS) incentrati sulle armi, attribuisce all'imputato la conoscenza del nascondiglio ove il (OMISSIS) occultava le armi nei pressi della sua abitazione: si tratta di una circostanza di spiccato rilievo conoscitivo che non puo' logicamente e notoriamente essere condivisa con chi non e' associato e, dunque, correttamente, e' stata valutata dalla Corte di merito quale indizio logico di riscontro alle "chiamate" di partecipazione. E il dichiarato del (OMISSIS) rinviene diretto riscontro nella parte in cui la sentenza impugnata, nel passare in rassegna il materiale probatorio posto a fondamento della condanna per i delitti in materia di armi (in particolare il riferimento e' al capo 2 della rubrica), richiama i relativi dialoghi tra il (OMISSIS) ed il Tigano, da cui e' stato ricavato come il ricorrente fosse un punto di riferimento nel settore su cui i coimputati facevano affidamento. In tale contesto argomentativo, la censura difensiva che incentra il profilo di inattendibilita' del collaboratore (OMISSIS) in relazione al cambio versione da questi operato sulle dicerie relative allo stato di gravidanza di (OMISSIS), difetta, pertanto, della necessaria decisivita', in quanto, anche nel caso in cui si accedesse alla prospettazione che vuole la rappresentazione fatta dallo (OMISSIS) alla donna essere fantasiosa (per saggiare la riservatezza della (OMISSIS), (OMISSIS) avrebbe inventato di essere venuto a conoscenza dal (OMISSIS) che ella era in attesa), cio' non porta automaticamente a ritenere inattendibile la prima parte della proposizione ossia a ritenere che anche la notizia al collaboratore di essere intercettato non provenisse dal ricorrente, ma fosse stata una mera intuizione dello (OMISSIS), tenuto conto che la differente versione della vicenda (OMISSIS) proviene dallo stesso (OMISSIS), nonche' dell'elemento di conferma citato dal primo giudice che richiama il riferimento fatto sul punto in ambientale da (OMISSIS). Posto, quindi, che la prova su cui si fonda la responsabilita' per il reato associativo e' stata fondata dalla Corte territoriale su una pluralita' di elementi di convergenza aventi carattere esterno ed uno dei quali anche di pregnanza autonoma (il dichiarato intercettato "eteroaccusatorio" del (OMISSIS)), la denuncia di omessa valutazione della prova "esclusiva" di accusa, ribadita anche con i motivi aggiunti, risulta infondata. Manifestamente infondata e' l'ulteriore obiezione svolta nei motivi aggiunti in ordine alla condotta di partecipazione del ricorrente al sodalizio. La sentenza impugnata tanto con riguardo al conferimento di doti ovvero di posizioni qualificate all'interno della locale, quanto con riguardo al ruolo di doppiogiochista approvato dal (OMISSIS), quanto, infine, alla vicenda delle armi, ha dato conto di come l'affiliazione, connotata da serieta' ed effettivita', si fosse tradotta in una fattiva messa a disposizione agli interessi della locale, cosi' uniformandosi ai principi dettati da questa Corte in materia (da ultimo S.U., n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889). 2. Parimenti infondata e' la doglianza mossa in ordine al concorso nei delitti di "rivelazione" e favoreggiamento, strettamente connessi, di cui ai capi 11) e 12) della rubrica, considerato che la censura si fonda su un'alternativa di merito volta ad escludere la tesi complottista del cd. "doppio gioco" utilizzata dal ricorrente per sapere in anticipo le mosse degli inquirenti e per mantenere nei loro confronti un sicuro credito che lo esentasse da responsabilita' (pag. 117 e ss.). Una volta asseverato con congrua motivazione che il ricorrente sarebbe stato affiliato alla locale di (OMISSIS), nessuna manifesta illogicita' sconta la sentenza impugnata per avere, da tale dato di fatto, operato una lettura delle emergenze processuali in senso accusatorio. Delle due l'una: se il (OMISSIS) era un affidabile confidente, tanto che la PG proprio in forza di quanto dallo stesso "diffusamente" riferito poteva ed ha potuto svolgere proficuamente indagini pervenendo anche alla cattura dei responsabili, allora non e' manifestamente illogico avere legato tale elemento di conoscenza con l'accertata intraneita' del ricorrente alla locale, unico contesto di fatto da cui egli poteva acquisire informazioni aventi carattere cosi' riservato (e ritenute apprezzabili dalla stessa PG) e notoriamente accessibili soltanto ai soggetti appartenenti. Del resto, la doglianza ripropone - quali elementi fattuali di "presupposto" - i temi dell'inimicizia dello (OMISSIS) e del (OMISSIS), quelli dell'estraneita' con gli altri presunti associati e di ostentata vicinanza con le forze dell'ordine, temi su cui invece la Corte di merito si e' lungamente diffusa e che risultano essere stati apprezzati, in termini di necessaria gravita', in modo coerente con le emergenze probatorie puntualmente passate in rassegna anche mediante il richiamo della sentenza del primo giudice (vedi al riguardo pagg. 31 e ss. e 47 e ss.). Anche rispetto a tali capi di imputazione, in cui la condotta di "fuga di notizie" avente rilievo penale risulta specificamente indicata e non genericamente ravvisata in una "capacita' ad essere sistematicamente informato di tutte le iniziative investigative", la censura muove dall'alternativa rappresentazione che il ricorrente fosse si' un confidente, ma non perche' egli facesse parte della âEuroËœndrangheta, circostanza che tuttavia stride con il contenuto delle riservate propalazioni. Ne' elementi decisivi alla fondatezza dei rilievi mossi si rinvengono nella vicenda relativa alle telecamere installate nella proprieta' del (OMISSIS): anche in tal caso l'affermazione che il ricorrente non si recasse piu' nel suo terreno confinante con quello del (OMISSIS) perche' consapevole della loro presenza (tanto da apporre un lucchetto al cancello), viene confutata nel motivo di ricorso con argomenti di merito che finiscono per proporre una differente lettura del compendio intercettivo, anche dettata da premesse ipotetiche, non consentita in questa sede. 3. Il terzo motivo di ricorso in ordine alla vicenda relativa alle armi (capi 2 e 7 della rubrica) e' manifestamente infondato. La Corte di merito ha, al proposito, evidenziato, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, come la mutua corroboration del narrato dei due collaboranti nel caso di specie non si realizza sui singoli episodi, ma sulla sostanziale omogeneita' della chiamata che vede il (OMISSIS) trafficare in armi (capo 2). In tal senso, assume valenza di riscontro esterno quanto riferito dal (OMISSIS), non potendosi esigere una completa sovrapponibilita' degli elementi d'accusa forniti dai dichiaranti dovendo privilegiarsi l'aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, mentre non e' richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova "autosufficiente" perche', in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correita' (Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008, Rv. 239744; Sez. 2, n. 35923 dell'11/07/2019, Rv. 276744). Inoltre, la sentenza impugnata cita anche riscontri: (OMISSIS), indicato dallo (OMISSIS) come colui che gli cedeva, dietro corrispettivo, le armi che poi il collaboratore cedeva a sua volta all'imputato risulta avere precedenti specifici per traffico d'armi ed essere stato trovato in possesso, nel periodo in contestazione, di un ingente quantitativo di armi e munizioni, per la cui illegale detenzione e' stato condannato. Anche il (OMISSIS) indica il (OMISSIS) come soggetto che riforniva di armi vari personaggi gravitanti negli ambienti di criminalita' organizzata. Che l'imputato fosse coinvolto nel traffico di armi viene poi ricavato anche dalle captazioni relative alla cessione di una pistola cal. 22 (capo 7 per cui e' stata esclusa l'aggravante speciale), le cui censure difensive si appalesano inammissibili in quanto volte a prospettare una alternativa lettura del compendio, motivatamente esclusa dalla Corte territoriale che ha dato conto di come si tratti di una cessione illecita in favore di (OMISSIS) (sul punto sono anche richiamate le argomentazioni del primo giudice alle pagg. 81-83). I riscontri nello specifico settore delle armi provengono anche dalle intercettazioni, essendosi evidenziato, in punto di fatto, come dal relativo compendio si ricavi che il ricorrente dialoga apertamente ed in claris della cessione di armi non legalmente detenute (vedi capo 7 in cui si ascolta dalla viva voce del (OMISSIS), cosi' come captata in ambientale in data 11 agosto 2013, la sua propensione per la cessione di armi "... lo gli avevo dato una bella pistola... una 22... bella'), ceda munizioni a mezzo del fratello minore (OMISSIS) (" (OMISSIS) (condannato dal Tribunale di Palmi con sentenza del 16.11.2018 nel troncone deciso con giudizio ordinario di questo procedimento penale c.d. saggio compagno per i capi 1, 9 (relativo ad una pistola e al munizionamento procuratogli da (OMISSIS)), 15, 27, 42, 57 e 61, inerenti altri episodi di commercio di armi anche da guerra, alla pena di anni 13 di reclusione): stamattina e' salito (OMISSIS) davanti casa... mi ha detto che mi ha dato quelle cose suo fratello, i colpi della nove."). Si e' poi valorizzato lo spessore criminale dei suoi aventi o cedenti causa come il (OMISSIS) e come (OMISSIS), indicato come colui il quale aveva, per il tramite dello (OMISSIS), piu' volte ceduto armi al (OMISSIS), e gia' condannato per essere stato trovato in possesso in periodo contemporaneo a questi fatti il 5 febbraio 2014 - di un ingente quantitativo di armi e munizioni illegalmente detenute, tra cui armi da guerra e clandestine. Sul punto si richiama altresi' l'intercettazione tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), di particolare rilievo in quanto smentisce la prospettazione difensiva secondo cui dal compendio intercettivo nessuno degli affiliati faceva riferimento al ricorrente per acquistare o vendere armi (vedi pagg. 114 e 115 della sentenza) e soprattutto consente di escludere l'ipotesi che il ricorrente si profilasse quale mero acquirente di armi, estraneo alle dinamiche delle cosche di riferimento posto che e' lui stesso che rifornisce altro sodale (il (OMISSIS)) di munizioni, sempre tramite il fratello (OMISSIS) (a mo' di consuetudine organizzativa per il narrato di (OMISSIS)) e di tale circostanza, si precisa, se ne parla tra (OMISSIS) e (OMISSIS), con la conseguenza che non e' affatto illogico l'aver ritenuto patrimonio comune della locale che il ricorrente trafficasse in armi. Che, poi, non si tratti di acquisti leciti e' ricavato dallo spessore criminale dei contraenti (il (OMISSIS) qui commercia con i personaggi piu' noti ed attivi della provincia reggina nel mercato delle armi) e dalla natura clandestina delle armi. Anche il contesto descritto dal (OMISSIS) e' quello di una intensa condivisione della "passione" per le armi di un certo "peso", richiamandosi anche l'attribuzione al ricorrente della detenzione nel suo terreno, indiviso con quello del (OMISSIS), delle numerose armi sequestrate in avvio del procedimento n. 1982/14 RGNR DDA, a conferma di quanto il (OMISSIS) lo ritenesse coinvolto e partecipe "di quell'andirivieni di armi di provenienza illecita". Il ricorrente, dunque, al pari del (OMISSIS) veniva considerato dal gruppo un estimatore ed un conoscitore di armi, che alle volte comprava ed alle volte rivendeva cosi' potenziando, anche per tale via, la forza criminale della âEuroËœndrangheta di (OMISSIS), giacche' e' notorio che la capacita' di intimidazione di un gruppo delinquenziale si accresce vieppiu' se esso si presenta ed appare ancor piu' potente, anche per essere attraverso i suoi affiliati un riferimento costante per il reperimento di armi e munizioni, come una consorteria armata capace di attuare, anche per tale via, i propri propositi criminali. E non e' affatto illogico allora sostenere, come fa la sentenza impugnata, che, in assenza di un collegamento sistematico tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), l'esistenza di un rapporto intermediato dallo (OMISSIS) conferma la natura della relazione criminale ancora attiva tra lo (OMISSIS) ed il ricorrente e rafforza la genuinita' e la spontaneita' del suo narrato che trae spunto da episodi di vita vissuta con i suoi coimputati. Il fatto che, poi, che il ricorrente - per quanto dedotto - potesse utilizzare le armi solo per "armare le braccia" dei suoi consociati oppure per anche fame mercato e' circostanza che non elide la sua qualita' di trafficante di armi. Rinviene congrua motivazione anche la ritenuta sussistenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. quanto al delitto di cui al capo 2) della rubrica, genericamente censurata nei motivi di ricorso, essendosi al riguardo affermato come le condotte tenute siano tese a rafforzare il potere criminale del gruppo di appartenenza, laddove i reiterati traffici vissuti come uno sfogo di accrescimento delle potenzialita' di difesa e di attacco del gruppo mafioso sono sintomatici della capacita' a delinquere dell'associazione di stampo mafioso in esame. E sul punto non privo di rilievo e' il riferimento al dichiarato dello (OMISSIS), secondo cui le cessioni di armi al ricorrente avvenivano nella sua qualita' di âEuroËœndranghetista, anche in ragione della natura clandestina delle stesse, logicamente compatibile con il contesto di criminalita' organizzata descritto dai giudici di merito e degli stretti canali di provenienze a quel contesto specificamente riferibili. Infine, quanto alla denunciata genericita' delle armi, la censura risulta manifestamente infondata poiche' sono richiamate le dichiarazioni dello (OMISSIS) che indica le armi facendo riferimento al modello, al calibro ed al munizionamento. Allo stesso modo il (OMISSIS). 4. Il quarto motivo, in relazione al reato di cui al capo 7) della rubrica, e' inammissibile poiche' si risolve in un prospettata alternativa significante del contenuto delle intercettazioni alle quali prende parte anche il ricorrente, che la Corte di merito ha interpretato e letto in modo logico e coerente con il contesto fattuale di riferimento. In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. (Sez. 2, n. 35181 del 22/5/2013, rv. 257784; Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389). 5. Il quinto motivo di ricorso in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. in relazione ai delitti contestati ai capi 2) e 7) della rubrica e' inammissibile. 5.1. Con riguardo al delitto di cui al capo 7), per carenza di interesse, essendo l'aggravante speciale stata espressamente esclusa (vedi pag. 127). 5.2. E', invece, manifestamente infondato con riguardo alla tenuta logica delle argomentazioni con le quali la Corte ricava l'aggravante per la violazione della legge armi contestata al capo 2) della rubrica, escludendo che tali condotte siano state realizzate a vantaggio del singolo e non della cosca. Non solo assumono rilievo, al riguardo, le decisive accuse dello (OMISSIS), una volta scrutinata e ritenuta la loro attendibilita', in quanto riferisce i traffici di armi alla cosca (a questa aggiunge il contributo fornito per la presenza di microspie presso il Fungo, tuttavia non decisivo poiche' l'aggravante deve essere riferita alle armi quali delitti fine), ma anche i numerosi passaggi motivazionali in cui la Corte di appello spiega perche' alla âEuroËœndrangheta facesse comodo avere il ricorrente tra le sue fila. Rileva, inoltre, in modo significativo, anche il contenuto dell'intercettazione tra (OMISSIS)- (OMISSIS). Sullo specifico punto il motivo di ricorso risulta anche generico in quanto si limita a riprodurre, in modo del tutto sintetico, gli argomenti di merito di "contestazione", omettendo di confrontarsi specificamente con gli arresti resi dalla sentenza impugnata. 6. Il sesto motivo in ordine alla disposta confisca dei beni e' inammissibile poiche' generico e volto a censurare la motivazione del provvedimento non consentito in questa sede ove e' ammessa soltanto la denuncia di violazione di legge. 6.1. La superfluita' di ricorrere ad una perizia di ufficio rinviene comunque congrua motivazione, sul rilievo che erano stati gia' stati allegati ed esaminati i documenti di parte ed inquadrati in una visione piu' complessiva che ben poteva formare oggetto di riesame da parte dello stesso giudice del merito, alla luce dei rilievo difensivi, non mancandosi di sottolineare che il provvedimento reale, nella sua motivazione e nei suoi presupposti genetici, ha trovato gia' ampia giustificazione in atti per come gia' precisato con analitica motivazione dalla sentenza della Sesta sezione penale di questa Corte, espressamente richiamata (sentenza n. 31510 del 24.5.2017). 6.2. Quanto alla confisca del conto corrente cointestato al fratello del ricorrente su cui confluirebbero gli stipendi di quest'ultimo, si e' evidenziato invece come si tratti di conto corrente promiscuo, sul quale il ricorrente trattiene la delega ad operare a dimostrazione che la provvista sia stata mantenuta con il significativo contributo dell'odierno imputato, che peraltro intratteneva redditizi commerci di traffico di armi che potevano consentirgli un risparmio certamente idoneo ad implementarne le iniziali somme, nonostante l'incapienza del suo reddito rispetto alle uscite ordinarie di vita. Non c'e' dunque alcun vizio di apparenza di motivazione avendo la Corte di appello evocato logici elementi di disponibilita' in capo al ricorrente delle somme comunque ivi confluite in assenza di una prova certa della esclusiva provenienza da fonti lecite del terzo, solo in questa sede affermata. (OMISSIS) (vedi sub motivazione ricorso (OMISSIS)). (OMISSIS): Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso articolato in ordine alla sussistenza dei delitti in materia di armi e' inammissibile sotto differenti aspetti. 1.1. Quanto al profilo di censura avente carattere preliminare, trattasi di doglianza del tutto generica: non puo' infatti affermarsi che la sentenza impugnata non abbia dato conto, in modo analitico, degli elementi di prova offerti dalle parti e della loro esegesi per come interpretata dal primo giudice con riferimenti mirati a quelle frasi o porzioni di dialogo da cui il primo decidente traeva argomenti di prova funzionali al proprio ragionamento probatorio e formanti oggetto dei motivi di appello specificamente richiamati. 1.2. Parimenti generica e' la doglianza riguardo alla valenza millantatoria dei discorsi intervenuti tra i due imputati, ipotesi del tutto sfornita di agganci di merito e, peraltro, contrastante anche con il passaggio delle captazioni in cui si sente maneggiare un'arma ed estrarre delle cartucce dal caricatore. Con riguardo al mancato possesso delle armi, si tratta di censura che si fonda su un'interpretazione atomistica di una delle conversazioni intercettate, inammissibile in questa sede, posto che dal complesso dei dialoghi captati tra il ricorrente ed il (OMISSIS) dall'11 al 12 marzo 2014 (che comprende anche quello su cui il ricorrente fonda la sua censura) la Corte di merito ne ha correttamente ricavato come il (OMISSIS) fosse gia' in possesso di una delle 11 Glock di cui attendeva la consegna e che stava per consegnare al (OMISSIS) l'11 marzo; pertanto, a tale rimanenza deve riferirsi il successivo dialogo in cui il (OMISSIS) chiede se le Glock sono arrivate, con conseguente assenza di interferenza sul risultato probatorio unitariamente e logicamente ricavato dal giudice del merito. Inoltre, quanto alla mancanza di effettiva detenzione delle armi (genericamente riferita nel motivo di ricorso anche a tutto il compendio) il motivo non si confronta con la motivazione resa dalla sentenza impugnata, secondo cui la consegna al (OMISSIS) di almeno una delle Glock, come esecuzione frazionata dell'accordo raggiunto con "i napoletani" per l'acquisto di un totale di undici pistole di questo tipo, ammanta di assoluta serieta' l'accordo per la transazione raggiunta e la disponibilita' in capo al (OMISSIS), sia pure ancora presso il venditore napoletano quanto alle rimanenti dieci. Quanto al porto, la circostanza che almeno una delle Glock fosse gia' nella disponibilita' del ricorrente, tanto che questi stava per consegnarla al (OMISSIS) in esecuzione dello scambio tra di loro concordato, da' contezza anche del precedente porto, costituendo un'alternativa di merito quella secondo cui tutte le armi sarebbero state portate dai presunti venditori napoletani al ricorrente. La circostanza, invece, che l'alterazione della matricola delle pistole sia avvenuta ad opera dei "napoletani" non incide affatto, per come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, sull'illegale detenzione e offerta delle armi, caratteristica di cui il ricorrente era a conoscenza per quanto asseverato dalle sentenze di merito in virtu' dei chiari riferimenti contenuti nel compendio intercettivo. Sfornita di specifica argomentazione, e', infine, la censura rivolta alla sussistenza della ricettazione contestata al capo 46). 2. Il secondo motivo di ricorso relativo al capo 48 (vicenda del tentativo di acquisto sino a 10 chilogrammi di marjivana) e' manifestamente infondato. A fronte della serieta' della trattativa, ricavata da precisi elementi di fatto declinati in sentenza e la cui rivisitazione non e' consentita in questa sede, il giudice del merito risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte - che si attaglia alla fattispecie in esame - a mente del quale si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l'"iter criminis" si sia interrotto prima della conclusione dell'accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantita', alla qualita' e al prezzo della sostanza. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per tentato acquisto, in una fattispecie in cui erano state intercettate comunicazioni tra l'imputato ed altro soggetto nelle quali il primo, manifestando la volonta' di acquistare cocaina presso un fornitore ed al prezzo indicatogli dal secondo, chiedeva a quest'ultimo di mettersi in contatto con il predetto fornitore, per verificare la disponibilita' dello stupefacente).(Sez. 5, n. 54188 del 26/09/2016, Rv. 268749). 3. Il terzo motivo in relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e' inammissibile in quanto non scandito dalla necessaria critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata. La Corte territoriale, infatti, mediante il richiamo di precisi indici fattuali costituiti dal ruolo di primo piano assunto dal (OMISSIS) all'interno della locale di âEuroËœndrangheta, dal contesto territoriale che animava i rapporti negoziali tra il ricorrente e il (OMISSIS), dal numero delle armi oggetto di compravendita, dai chiari riferimenti alle altre armi detenute dallo stesso (OMISSIS) (che non risulta essere un collezionista) e ai soggetti della sua cerchia che avrebbero dovuto recarsi a prelevarle, dalla contezza da parte del ricorrente dell'inserimento criminale dei fratelli (OMISSIS) e della possibile loro latitanza, dallo scambio di informazioni relative ad aspetti nevralgici e vitali della âEuroËœndrina del (OMISSIS) risulta avere declinato un complesso di elementi la cui combinazione logica da' ragionevolmente conto quantomeno dell'assenza di profili di ignoranza inevitabile in capo all'imputato (in termini in fase cautelare sulla sussistenza dell'aggravante speciale vedi Sez. 5, n. 4871/2017). 4. Anche l'ultimo motivo in ordine al trattamento sanzionatorio e' manifestamente infondato. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata risultano declinati una serie di indici di spiccata gravita' dei reati commessi, in ragione tanto della potenzialita' delle armi oggetto di negoziazione, quanto della quantita' di droga per lo spaccio all'ingrosso, unitamente ad indici di pericolosita' sociale desunti dalla contiguita' compiacente manifestata verso agli accoliti del (OMISSIS) (si richiama la disponibilita' in prevenzione a favorire la latitanza dei due (OMISSIS) all'epoca in permesso premio per reato di omicidio, vedi pag. 759), che danno motivatamente conto dell'espresso diniego delle attenuanti generiche, cosi' escludendosi la dedotta incompatibilita' "ontologica" con il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. In conclusione: - va annullata la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Va rigettato il ricorso nel resto e dichiarata irrevocabile l'affermazione di responsabilita'; - va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, rideterminata in anni diciannove di reclusione e 9.000,00 Euro di multa; va, invece, dichiarato inammissibile il ricorso nel resto; - vanno rigettati i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali; - vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, in ragione dei profili di inammissibilita' rilevati; - vanno condannati in solido gli imputati per i quali vi e' stata affermazione di responsabilita' per il capo 1) e per i reati per cui e' stata riconosciuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado in favore delle parti civili comune di (OMISSIS) e comune di Anoia liquidate come in dispositivo in ragione della tariffa legale e dell'attivita' defensionale svolta. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla durata della misura di sicurezza della liberta' vigilata, con rinvio a diversa sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. Rigetta il ricorso nel resto e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla pena in continuazione, che ridetermina in anni diciannove di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (cl. (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna in solido gli imputati per i quali vi e' stata affermazione di responsabilita' per il capo 1) e per i reati per cui e' stata riconosciuta l'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado in favore delle parti civili comune di (OMISSIS) e comune di Anoia che liquida in complessive Euro 5.000,00 ciascuna, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE XIII CIVILE Il Tribunale ordinario di Roma, in composizione monocratica, in persona del giudice Rossella Maria Cannizzo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 27329 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2016 tra (...), rappresentato e difeso - giusta procura - dall'avv. AN.Ri., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in VIA (...) ROMA attore e (...) S.P.A. convenuta contumace e (...) S.A.S. di (...) convenuta contumace e (...) convenuto contumace Oggetto: Responsabilità da Circolazione stradale MOTIVI DELLA DECISIONE Premesso che la motivazione che segue è redatta ai sensi dell'art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall'art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica, appare tuttavia opportuno precisare quanto all'oggetto ed allo svolgimento del processo che: Con atto notificato in data 8-11/4/2016 e poi rinnovato in data 5/1/2017 per uno dei convenuti, l'attore (...), avocava in giudizio la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, la soc. (...) s.a.s., e (...), rispettivamente assicuratore, proprietario e conducente del veicolo Opel Meriva tg. (...), per sentirli condannare insieme e in solido, al risarcimento dei danni subiti in seguito al sinistro stradale avvenuto in Roma il 7/11/2013, per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale condannare i convenuti, insieme ed in solido, al risarcimento dei tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per le ragioni di cui in narrativa, da liquidarsi nella residua misura di Euro 33.745,53 ovvero in quella diversa misura, maggiore o minore, che più parrà di giustizia all'esito della espletanda istruttoria, se del caso con valutazione equitativa. Con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria. Vittoria delle spese del giudizio, comprese le spese generali, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario." A sostegno della propria domanda, assumeva l'attore che: "Il giorno 7/11/2013 il (...) alla guida del suo motoveicolo Honda SH150 tg. (...) (a bordo del quale viaggiava anche la signora (...)), mentre percorreva via (...) veniva investito dalla Opel Meriva tg. (...) di proprietà della soc. (...) s.a.s. di (...) condotta dal sig. (...), assicurata con la soc. (...), poi fusa per incorporazione nella soc. (...) s.p.a., ora (...). 2)La responsabilità del sinistro è ascrivibile unicamente al conducente dell'autovettura Opel Meriva sopra descritta che per imperizia, imprudenza, negligenza e inosservanza delle norme che regolano la circolazione stradale, svoltava a sinistra repentinamente e a velocità troppo elevata in relazione alle condizioni del traffico, senza segnalare luminosamente la manovra e senza avvedersi della presenza del motoveicolo condotto dal (...)". Allegava modulo CAI firmato dai conducenti dei due veicoli interessati dal sinistro. Chiedeva in particolare il risarcimento dei danni da lesioni, assumendo essere il danno materiale al proprio motoveicolo già stato risarcito dalla Compagnia convenuta. Tutti i convenuti rimanevano contumaci. Svolta l'istruttoria mediante l'acquisizione della documentazione prodotta, l'ammissione delle prove orali con il deferimento dell'interpello del convenuto contumace (...) (conducente del veicolo) e l'escussione di due testimoni di parte attrice nonché mediante l'esperimento della CTU medico legale, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e quindi trattenuta in decisione con termini ex art. 190 c.p.c. all'udienza del 22 febbraio 2021, tenutasi con le modalità della "trattazione scritta" come disposta ex D.L. 17 marzo 2020, n. 18 e art. 221, L. n. 77 del 2020 come meglio indicato in epigrafe. Procedibilità Preliminarmente, va dichiarata la proponibilità della domanda avanzata nel presente giudizio, atteso che risulta ottemperato il disposto dell'art. 145 del D.Lgs. n. 209 del 2005, con il deposito della prova della tempestiva richiesta rivolta alla Compagnia assicurativa convenuta. Merito Nel merito la richiesta attorea va ridimensionata e la domanda può essere accolta nei termini che seguono. Preliminarmente va chiarito che la regola del giudizio, di norma applicabile ai sinistri stradali sulla base della quale devono essere valutati gli elementi di fatto accertati all'esito dell'istruttoria, è rappresentata dall'art. 2054, comma 2, c.c., che in caso di scontro tra veicoli, pone una presunzione di responsabilità concorsuale a carico di entrambi i conducenti, salvo prova contraria. La presunzione di concorso paritario di colpa per l'ipotesi di scontro tra autoveicoli, ha una funzione meramente sussidiaria, giacché opera solo ove non sia possibile l'accertamento in concreto, con la conseguenza che, nel caso in cui risulti che l'incidente si è verificato per l'esclusiva colpa di uno e che, per converso, nessuna colpa è ravvisabile nel comportamento dell'altro, quest'ultimo è esonerato dalla presunzione suddetta e non è, pertanto, tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (Cass., sez. III, 19.12.2008 n. 29883; Cass., sez. III, 22.4.2009 n. 9550). Nel caso in esame, a seguito della ricostruzione del sinistro così come emerge dalle risultanze probatorie e in particolare dal modello CAI compilato ove il convenuto (...) ammette di aver svoltato a sinistra senza mettere la freccia, può ritenersi provata la responsabilità dello stesso convenuto, benchè in sede di interrogatorio formale deferito non abbia confermato di non aver messo la freccia. Lo stesso ha infatti dichiarato di non ricordare sul punto se l'aveva messa oppure no. Il R. ha affermato peraltro di essere stato risarcito con un concorso di colpa. Il teste D.D., che ha affermato di aver assistito al fatto, ha confermato la manovra di svolta a sinistra dell'autovettura, manovra consentita, ma non è stato in grado di confermare nulla in merito alla segnalazione di svolta, in quanto ha dichiarato: "non so se aveva messo la freccia". L'attore non ha invero provato che il R. abbia svoltato repentinamente e a velocità troppo elevata, anzi quest'ultima doveva essere modesta dato che le auto erano ferme al semaforo come riferito dal teste D., né alcunchè si sa sulla velocità tenuta dello stesso (...). Questo giudice pertanto ritiene di attenersi alla dinamica sottoscritta sul CAI da entrambi i conducenti coinvolti e, non essendoci stata alcuna difesa o contestazione in merito alla condotta tenuta dal (...) da parte dei convenuti, ritiene che l'evento sia ascrivibile alla responsabilità di (...) il quale girando a sinistra senza segnalare la svolta con la freccia ha, di fatto, tagliato la strada alla parte attrice (in moto) che sopraggiungeva alla sua sinistra, causandone la caduta, come da CAI e da grafico allegato. Ne consegue la responsabilità dei convenuti che sono tenuti al risarcimento dei danni. Quanto al danno materiale la parte stessa assume essere già stata ampiamente risarcita, mentre contestazione c'è sul danno conseguente alle lesioni patite, per le quali ha ricevuto una somma da parte di G., che è stata trattenuta in acconto sul maggior dovuto. La G., in indennizzo diretto, ha risarcito già Euro 8.210,00 in data 6.2.2015, fondandosi su una valutazione del danno del tutto simile a quella risultata poi in sede di CTU medico legale svolta dalla dott.ssa (...). Medesima IP, qualche differenza sulla temporanea, a fronte della richiesta di 14 punti di IP da parte del (...). In particolare il (...) ha sostenuto che a seguito del sinistro lo stesso non ha più potuto svolgere l'attività di sub-aqueo pluri-brevettato. L'attore ha prodotto documentazione relativa alla sua attività sportiva come sub, la quale è stata confermata anche dal teste M.S. che ha riferito di aver fatto delle immersioni insieme al (...), in realtà nei lontani anni 2004-2005. Non ponendo in dubbio i brevetti ottenuti dal (...), né la sua attività di sub-esperto, alla luce della CTU, che appare svolta secondo la migliore scienza medica e che si è dilungata proprio sulla motivazione che l'ha spinta a negare una correlazione tra l'evento di cui al sinistro de quo e lo pneumatorace che avrebbe impedito al (...) di continuare ad esercitare l'attività di sub-esperto, questo giudice deve respingere l'ulteriore richiesta di danno relativo a questa situazione. In particolare il CTU ha infatti chiarito che: "Concludendo si ritiene che gli esiti del trauma de quo siano esclusivamente rappresentati dagli esiti disfunzionali della spalla destra con minima ripercussione funzionale a carico del rachide cervicale." Si ritiene che al sinistro de quo non siano ascrivibili gli esiti dello pneumotorace sebbene gli stessi risultino essere di lieve entità alla luce di prove di funzionalità respiratoria nei limiti della norma. Riportando e chiarendo che: "In data 07.11.2013 il signor (...) riportava trauma contusivo della spalla destra e contusione escoriata del ginocchio destro. Tali lesioni sono compatibili con la dinamica del sinistro riferita in anamnesi e riportata in atti ovvero collisione moto auto e successiva caduta al suolo Si rendeva necessario un periodo di cure con un bendaggio tipo Desault ed un successivo periodo di cicli di fisioterapia che si ritengono congruamente quantificati in 20 giorni di invalidità temporanea assoluto e 30 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%. In data 05.12.2013 il signor (...) si recava al pronto Soccorso per uno pneumotorace destro. Veniva ricoverato con diagnosi di pneumotorace spontaneo. La Tc effettuata dopo il drenaggio evidenziava "quadro di enfisema centrolobulare parasettale a piccole medie bolle, più evidente a livello dei lobi superiori". Lo pneumotorace spontaneo è una patologia caratterizzata dalla presenza di aria nello spazio pleurico, condizione che può causare il collasso del polmone. Lo pneumotorace spontaneo può essere primitivo o secondario. Il primo è più frequente nei giovani, con maggior incidenza tra i maschi, ed è generalmente causato dalla rottura di piccole bolle congenite, spesso situate all'apice polmonare, mentre nella forma secondaria la causa può essere conseguente ad altre patologie polmonari (broncopneumopatia cronica ostruttiva, soprattutto nella forma enfisematosa, rottura di ascessi o neoplasie ed altre patologie rare. In presenza di uno pneumotorace spontaneo primitivo al primo episodio e maggiore di 1-2 centimetri, il trattamento prevede il posizionamento di un drenaggio toracico così da far uscire l'aria dallo spazio pleurico e permettere al polmone di riespandersi. Per pneumotoraci spontanei di minima entità al primo episodio può essere sufficiente l'osservazione clinica. Il trattamento chirurgico per lo pneumotorace spontaneo viene indicato al primo episodio in caso di mancata riespansione polmonare o di perdite aeree prolungate per alcuni giorni dal drenaggio toracico o in caso di recidive. Nell'anamnesi riportata nella cartella clinica del Policlinico Umberto I si evidenzia che il signor (...) era un fumatore di 20 sigarette al giorno da 20 anni. Lo pneumotorace si definisce post traumatico quando viene causato un trauma contusivo o penetrante. Un grave trauma contusivo può provocare uno pneumotorace causato dalla rottura dell'albero tracheobronchiale. L'aria dallo pneumotorace può entrare nei tessuti molli del torace e/o del collo (enfisema sottocutaneo), o nel mediastino. Orbene nel caso in esame il signor (...) ha riferito di essere rimasto incastrato sotto il motoveicolo con l'arto superiore ed il torace. Dall'attenta disamina degli atti di causa però si evidenzia che nel Pronto Soccorso non furono effettuati accertamenti radiografici a carico del torace. Non venne fatto alcun esame obiettivo a carico del torace ( ematomi?) ne' venne denunziato alcun problema in tale sede anatomica ( Algia?) . Il Dott. (...) annota nei certificati successivi all'evento de quo "algia toracica", ma non venne eseguito alcun esame radiografico di controllo per eventuali fratture toraciche ( esame che di solito viene prescritto per un riferito dolore toracico post traumatico) fino al ricovero del 06.12.2013, un mese dopo l'evento traumatico. Il signor (...) dopo il primo tentativo di drenaggio all'Ospedale San Pietro fu trasferito al Policlinico Umberto I e sottoposto ad intervento chirurgico per perdite aeree prolungate. A seguito dell'intervento chirurgico l'esame istologico dei reperti operatori prelevati mostrava "segni di peneumotorace recidivante". In sostanza lo pneumotorace risultava essere recidivante e non attribuibile al sinistro di cui è causa. Nessuna prova peraltro è stata data del fatto che il (...) sarebbe finito sotto l'auto condotta da R., in quanto tale dato non è emerso da nessuna parte. Tutto ciò premesso, ritenendo la CTU priva di vizi logici, questo giudice la fa propria e, accertata la totale responsabilità (...), condanna i convenuti in solido con la compagnia assicurativa per la R.C.A. (...) SpA della convenuta, a risarcire i danni patiti dall'attore (...) secondo la liquidazione di seguito indicata. Liquidazione del danno Danno biologico Quanto all'entità del danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore della persona in tutta la sua concreta dimensione, manifestazione quotidiana del bene salute che riguarda sia l'attività lavorativa che le altre attività extra lavorative e le limitazioni imposte all'esplicazione della vitalità di un individuo nel campo lavorativo, dei rapporti sociali ed affettivi, delle attività culturali, di svago e sportive, si deve fare riferimento può farsi integrale e sicuro riferimento alle risultanze dell'espletata CTU medico legale, della Dott.ssa (...), che appaiono tratte a seguito dei più opportuni accertamenti e di una accurata disamina della documentazione prodotta dalle parti e dei fatti in contestazione e si presentano acquisite con criteri corretti e con iter logico ineccepibile; esse possono pertanto essere pienamente condivise e fatte proprie da questo Tribunale ai fini delle valutazioni da assumere in questo procedimento. Il CTU ha in particolare accertato, in conformità peraltro alle risultanze dei referti del Pronto Soccorso, e di tutta la documentazione medica prodotta, comprensiva di accertamenti strumentali, che le lesioni causalmente collegate al sinistro avvenuto il 7 novembre 2013 hanno comportato: " Postumi di trauma contusivo della spalla destra con lesione parziale del sovraspinoso e limitazione funzionale dei movimenti dell'arto superiore e minima ripecussione algica a carico del rachide cervicale". Il CTU ha riconosciuto: una inabilità temporanea totale di giorni 20; una inabilità temporanea parziale al 50% di 30 giorni; un'invalidità permanente pari al 5%. Spese mediche ritenute congrue Euro 1347,12 Ciò detto, si deve fare riferimento per la liquidazione, trattandosi nel caso di specie di danno biologico accertato compreso tra l'1% e il 9%, ai parametri posti dall'art. 139 D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 come da ultimo aggiornati. In applicazione di tali criteri nel caso di specie si liquida pertanto, in via meramente equitativa, l'importo di Euro 5.313,11 al valore attuale per l'invalidità permanente, sulla base della natura della malattia e della consistenza dei postumi (5%) dell'età del danneggiato al momento del fatto (38 anni) e del valore del punto determinato attraverso i criteri innanzi indicati. Quanto all'invalidità temporanea si liquida, in via equitativa ed al valore attuale secondo i criteri su indicati, l'ulteriore somma di Euro 1.662,15. Per un totale di Euro 6.975,26. Danno morale Tenuto conto della pronuncia della Suprema Corte SS.UU. n. 26972 del 2008 ed al fine di garantire un risarcimento integrale e personalizzato del danno non patrimoniale nella sua accezione unitaria, comprensivo anche dei pregiudizi che integrano il danno morale - senz'altro dovuto al danneggiato ai sensi degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., integrando il fatto in esame un illecito penale e comunque una violazione di diritti costituzionalmente rilevanti quale il diritto alla salute - inteso quale dolore, disagio, sofferenza e patimenti d'animo conseguenti alla malattia ed alla perdita dell'integrità fisica, ed adeguato all'effettivo grado di afflittività del danno nel caso concreto, quale può desumersi dalla natura e qualità delle lesioni, dall'età del danneggiato, dalla natura degli esiti, si liquida in via meramente equitativa la ulteriore somma di Euro 1.395,05, nei limiti stabiliti dal 3 comma dell'art.139 c.d. Assicurazione. A tali somme vanno aggiunte quelle relative alle spese mediche documentate riconosciute congrue dal CTU pari ad un totale di Euro 1347,12. Per tutti i titoli su indicati si liquidano, dunque, in via equitativa e al valore attuale, Euro 9.717,43, importo già rivalutato all'attuale (importo ottenuto partendo dal valore complessivo del danno biologico così come sopra calcolato, comprensivo del danno morale e del danno patrimoniale), somma a cui va detratto l'importo dell'acconto ricevuto in fase stragiudiziale di Euro 8.210,00 del 6.02.2015, che, opportunamente rivalutato all'attuale, è pari ad Euro 8.702,6, sulla base dell'indice Istat 1,060 dell'anno-mese dell'acconto. Il danno materiale al motoveicolo non viene preso in considerazione né liquidato in quanto è già stato totalmente risarcito come indicato dalla parte attrice nel proprio atto introduttivo. Residua dunque da pagarsi la somma di Euro 1.014,83 Lucro cessante (criteri di calcolo) Oltre alla rivalutazione del credito, già determinato nel suo complessivo ammontare ai valori attuali, vanno riconosciuti gli interessi per ritardato pagamento, interessi che vanno liquidati in conformità al consolidato orientamento assunto sul punto sulla scorta della nota pronuncia della Corte di Cassazione S.U. con la sentenza n. 1712/95. Tale sentenza da un lato ha riconosciuto la risarcibilità del lucro cessante derivato al danneggiato per la perdita dei frutti che avrebbe potuto trarre dalla somma dovuta se questa fosse stata tempestivamente corrisposta, danno liquidabile anche con l'attribuzione di interessi la cui misura va tuttavia determinata secondo le circostanze obiettive e soggettive relative al danno nel caso di specie, ad un tasso non necessariamente coincidente con quello legale; dall'altro, ha escluso che si possa assumere a base del calcolo di tale danno la somma liquidata come capitale nella misura rivalutata definitivamente al momento della pronuncia. In applicazione di tali criteri, ed in via necessariamente equitativa ex art. 2056, co. 2 c.c., si ritiene di dover determinare l'ulteriore somma dovuta a titolo di lucro cessante facendo riferimento - in assenza di elementi che consentano di ritenere nel caso di specie un investimento maggiormente remunerativo della somma - al tasso medio di redditività degli investimenti mobiliari a basso rischio (titoli di Stato, BOT, CCT ecc.) nel periodo in questione (cfr. Cass. S.U. 16-7-2008 n. 19499). Secondo quanto indicato dalla Corte tale tasso deve essere calcolato non sulla somma capitale ai valori attuali bensì con riferimento alla valore medio tra il capitale al valore attuale e il capitale devalutato alla data dell'illecito (novembre 2013), provvedendo ad adeguarne il valore utilizzando il coefficiente ISTAT relativo al periodo in questione. Nel caso in questione il conteggio risulta complesso dovendosi tener conto, da un lato dell'acconto corrisposto e dall'altro, per il suo rilievo significativo, della svalutazione monetaria medio tempore intercorsa nei periodi di tempo che vengono in considerazione. In tutte le operazioni di adeguamento del capitale si fa riferimento ai coefficienti del costo della vita (relativi ai periodi in questione) elaborati dall'ISTAT per le famiglie di impiegati ed operai. Per calcolare il danno da ritardo con le modalità indicate e con la deduzione dell'acconto, occorre individuare il valore medio del capitale nei singoli periodi di tempo in relazione al pagamento dell'acconto, tenendo altresì conto del valore dell'acconto corrisposto. In particolare occorre effettuare le seguenti operazioni: Per determinare la prima trance di interessi, tra la data sinistro e la data dell'acconto, periodo in cui l'attore non ha percepito nulla, occorre determinare l'importo del capitale da porre a base del calcolo con riferimento a due date: quella del fatto (A) e quella del pagamento dell'acconto (B), importi determinati partendo dal valore-danno ad oggi, devalutato secondo gli indici Istat alla data del sinistro e alla data dell'acconto, rispettivamente 1,060 e 1,060. Di tali importi si calcola la semisomma (= valore medio) e su questa si calcola, sulla base della Tabella Rendimenti Titoli di Stato, l'interesse annuo che risulta essere l'1.10 %, moltiplicandolo poi per i giorni trascorsi tra la data sinistro e la data acconto/365. Per determinare la seconda trance di interessi occorre da un lato prendere come addendo per la semisomma il valore totale del danno opportunamente devalutato secondo l'indice Istat del momento (data dell'acconto) e detrarvi l'importo dell'acconto corrisposto al suo valore nominale e dall'altro considerare il secondo addendo nel valore del danno calcolato ad oggi (data sentenza) detratto l'acconto rivalutato ad oggi. Si opera calcolando anche in questo caso il valore medio del capitale sul quale si applicano gli interessi, che sempre secondo la Tabella Rendimenti Titoli di Stato risultano, per il periodo in considerazione, pari allo 0,53 % annuo, moltiplicando poi per i giorni intercorrenti tra la data acconto e la data della presente decisione/365. Eseguite le su descritte operazioni, utilizzati i criteri di calcolo ed i tassi anzi esposti in osservanza delle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, sommando i valori corrispondenti agli interessi per i due periodi considerati, si ottiene l'importo di che corrisponde al totale degli interessi per lucro cessante che spettano all'attrice, valore che va sommato al danno complessivo detratto l'acconto rivalutato. Totale dovuto. Per quanto detto precedentemente, sono ancora dovuti in via equitativa all'attrice, secondo i calcoli descritti, complessivamente Euro 1.014,83 comprensivi del danno biologico, danno non patrimoniale e patrimoniale, a cui devono aggiungersi gli interessi da ritardato pagamento calcolati come indicato sub "criteri di calcolo lucro cessante", e sull'importo così ottenuto andranno calcolati successivamente gli interessi legali dalla data del deposito della presente sentenza al saldo. Spese di giudizio Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni, orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto, della L. 24 marzo 2012, n. 27 ed in conformità ai criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55) seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, al procuratore Avv. Ri.An. dichiaratosi antistatario. Spese di CTU Le spese di CTU sono liquidate in misura pari all'acconto pari a Euro 500,00, oltre IVA se dovuta, e poste definitivamente a carico delle parti convenute. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in accoglimento della domanda in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - dichiara tenuti e condanna, in solido tra loro, SPA (...), in persona del legale rappresentate pro-tempore, (...) SAS di (...) e (...), al pagamento in favore di (...), della residua somma di Euro.1.014,83, a titolo di risarcimento dei danni subiti, oltre agli interessi da ritardato pagamento calcolati come indicato in motivazione, e gli interessi legali sulla somma complessiva dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo, calcolati sull'importo ottenuto, oltre al rimborso delle spese di CTU liquidate in misura pari all'acconto. - condanna, altresì, i convenuti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che compensate per il 30% tra le parti, sono liquidate, in misura pari all'70% come in motivazione, in euro Euro 520,00 per esborsi e spese e 2.430,50 per onorari, oltre accessori di legge, da liquidarsi al procuratore Avv. Ri.An. dichiaratosi antistatario. Sentenza esecutiva. Sentenza a debito ex art. 59 lettera d, TUR. Così deciso in Roma il 3 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/10/2019 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA; lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8,), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Tassone Kate, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e del difensore del ricorrente Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso e ha documentato l'intervenuta transazione con le parti civili. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente (OMISSIS), con sentenza del 18/10/2019 in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Marsala in composizione monocratica l'11/7/2018 appellata da (OMISSIS) e dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riduceva la pena inflitta a (OMISSIS), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ad anni uno di reclusione, pena gia' condizionalmente sospesa sin dal primo grado; rideterminava nella somma di 40.000 Euro ciascuno la provvisionale in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS); rideterminava nella somma di 8000 Euro, oltre IVA, CPA, rimborso forfetario come previsto ex lege e spese documentate, con esclusione della spesa relativa al compenso del consulente tecnico di parte, le spese processuali relative al primo grado di giudizio sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e nella somma di 4000 Euro, oltre IVA, CPA, rimborso forfetario, come previsto ex lege, e le spese documentate, le spese processuali relative al primo grado di giudizio sostenute dalla parte civile (OMISSIS). Condannava l'appellante alla rifusione delle spese processuali relative al grado di giudizio sostenute dalle predette parti civili, liquidate nella somma complessiva di 3000 Euro, oltre IVA, CPA, rimborso forfetario come previsto ex lege, e spese documentate. Il giudice di appello confermava nel resto la sentenza di primo grado con la quale il (OMISSIS) era stato ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale per avere cagionato la morte di (OMISSIS) con colpa consistita nel tenere una velocita' di marcia superiore a quella consentita (59 km/h anziche' 50 km/h), nel non avere regolato la velocita' in relazione all'orario notturno ed alle condizioni meteorologiche e nel non avere conservato il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza specialmente l'arresto tempestivo del veicolo nel suo campo di visibilita' e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, evento morte cagionato urtando contro il ciclomotore condotto da (OMISSIS)i, che era a terra, ed investendo (OMISSIS) al quale procurava un poli-trauma con fratture maxillo facciali e toraciche dal quale derivava la morte di (OMISSIS) sopravvenuta in (OMISSIS), mentre il sinistro avvenne in (OMISSIS); La dichiarazione di penale responsabilita' si e' fondata sulle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS), sugli elementi confermativi emergenti dagli esiti delle perizie svolte in dibattimento dall'ing. (OMISSIS) e dalla Dott.ssa (OMISSIS) e sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS), assistente capo della Polizia Stradale davanti alla cui sede avvenne l'investimento. Rispetto alla dinamica del sinistro, avvenuto, alle ore 19,30 circa del (OMISSIS), i giudici di merito hanno ritenuto che l'automobile dell'imputato urto' prima contro il ciclomotore della vittima, che era in terra, e, poi investi' (OMISSIS), che era in terra dopo essere scivolato dal ciclomotore, mezzo che viaggiava in direzione opposta al veicolo investitore e che aveva invaso la corsia di pertinenza dell'automobilista; le lesioni riportate da (OMISSIS), compiutamente accertate dal perito (OMISSIS) in termini di assoluta compatibilita' con l'investimento, furono cagionate dall'arrotamento, prima, e dal trascinamento, poi, del corpo di (OMISSIS); questi riporto' gravi fratture al volto ed al torace, fu ricoverato con prognosi riservata che fu sciolta dopo alcuni mesi lasciando, pero', la vittima in uno stato di coma che si protrasse ininterrottamente fino al 19 giugno 2014, giorno in cui intervenne la morte. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, vizio di motivazione sub specie di avvenuto travisamento di un dato probatorio essenziale, che avrebbe determinato un grave vizio della motivazione, nonche' di mancato vaglio dei motivi di appello. Viene riportata in ricorso l'interpretazione resa dall'impugnata sentenza sulla deposizione resa dal teste (OMISSIS), in relazione alla contestualita' della caduta e dell'investimento della vittima. Il ricorrente ritiene che il tenore della testimonianza sia stato alterato, omettendo di valutare che l'ispettore (OMISSIS) riferiva di tre rumori e non di due. Verrebbe omesso che il primo rumore della caduta del ciclomotore precedeva di pochi secondi gli altri due suoni provocati dall'autovettura che impattava con il ciclomotore e con il corpo. L'omissione del dato che consentiva di parametrare gli eventi, avrebbe determinato l'errato convincimento di esclusione della contestualita' tra la caduta e l'investimento, alterando la verita' dei fatti. A sostegno della propria tesi il ricorrente riporta l'interpretazione della stessa testimonianza resa nella sentenza di primo grado, dove si evincerebbe che l'investimento avveniva dopo pochi secondi dalla caduta. La corte di appello avrebbe omesso di accertare il momento della caduta, avvenuta pochi secondi prima, come se il corpo potesse trovarsi da tempo indefinito sul selciato. La sentenza impugnata si sarebbe limitata a evidenziare la circostanza incontestata che il corpo si trovasse sull'asfalto, senza chiarire il momento della caduta. Ne' verrebbe offerta risposta sul punto ai motivi di gravame. Vengono riportate le dichiarazioni dell'imputato per evidenziare l'erroneo utilizzo delle stesse, da parte della Corte distrettuale, per confermare che la vittima fosse gia' a terra quando veniva travolta, mentre, in realta', tali dichiarazioni confermavano la quasi contestualita' tra caduta e investimento. Si richiama, poi, la relazione di servizio acquisita agli atti del giudizio dalla quale emergerebbe l'inattendibilita' del teste (OMISSIS), presentatosi, tra l'altro, dopo otto mesi, su sollecitazione delle persone offese a seguito della richiesta di archiviazione del P.M. Si lamenta la mancata motivazione sulle ragioni che hanno indotto la corte di appello a ravvisare univocita' nella lettura delle dichiarazioni del (OMISSIS) e dell' (OMISSIS) e la mancata risposta ai motivi di appello sul punto. Si richiamano gli argomenti portati all'attenzione della corte di appello per evidenziare l'inconciliabilita' delle dichiarazioni del (OMISSIS) con gli elementi spazio-temporali forniti dall' (OMISSIS). Si precisa di non richiedere, in questa sede, una rivisitazione del dato fattuale, ma esclusivamente la verifica della congruita' esplicativa della sentenza impugnata rispetto alle doglianze difensive. Ci si duole dell'illogicita' della sentenza anche laddove afferma, in relazione ai motivi di appello, che la perizia dell'ing. (OMISSIS) non era fondata sulle dichiarazioni del (OMISSIS), mentre successivamente la stessa sentenza impugnata riporta la considerazione del perito relativa all'impossibilita' di escludere la contestualita' tra impatto e caduta, in mancanza delle dichiarazioni del (OMISSIS). Tale ultima affermazione sarebbe in evidente contrasto con l'assunto degli stessi giudici sulla possibilita' dell'impalcatura accusatoria di prescindere dalla testimonianza di (OMISSIS). Il ricorrente precisa di non aver mai contestato che lo (OMISSIS) fosse riverso al suolo al momento dell'investimento. La contestazione verte sull'inevitabilita' dell'evento per contestualita' tra caduta a investimento. Si lamenta il mancato vaglio della testimonianza del (OMISSIS), soprattutto in considerazione del fatto che in assenza di tale testimonianza il P.M. aveva richiesto l'archiviazione, sulla base delle conclusioni del proprio consulente. Si rileva che la contestualita' temporale tra caduta e investimento, confermata dalla testimonianza dell' (OMISSIS), che determina l'inevitabilita' dell'evento, sarebbe esclusa unicamente sulla base degli elementi illogici, resi dalla deposizione del (OMISSIS), e degli elementi travisati della relazione di servizio dell' (OMISSIS). Si richiama il principio affermati da questa Corte sulla generale imprevedibi-bilita' di un ostacolo incontrato sulla linea di marcia. Si aggiunge che la corte di appello non chiarisce il concetto di eccezionalita' e imprevedibilita' dell'ostacolo incontrato dall'autovettura sulla sua traiettoria, rappresentato dal corpo che appariva come una massa oscura sull'asfalto. Si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore del ricorrente Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, segnalando l'intervenuta transazione tra le parti civili costitute e la Compagnia Assicurativa Generali (come da quietanze che allega) rilevando che cio' determina, conseguentemente, la estromissione delle prime dal processo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Fondata appare la doglianza relativa all'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata e al mancato riscontro di numerosi temi proposti ai giudici di appello con l'atto di gravame nel merito da parte dell'imputato e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo giudizio. 2. La prova dei fatti, come esplicita il giudice di primo grado a pag. 4 della propria pronuncia indicandolo in grassetto e sottolineandolo, e' stata desunta dalla "descrizione del sinistro fornita dal teste (OMISSIS), unico testimone oculare della vicenda mortale" e dai "molteplici dati probatori di conferma della predetta ricostruzione testimoniale emergenti dalle prove orali, documentali e tecniche acquisite nel corso del dibattimento". Dunque, centrale, per esplicito riconoscimento dei giudicanti, e' stata la testimonianza resa dal teste (OMISSIS), il quale ha dichiarato di essersi trovato a procedere sulla via Tagliata con senso di marcia inverso a quello del veicolo investitore, testimone oculare che, come viene ricordato a pag. 6 della sentenza di primo grado, e' stato rintracciato solo su iniziativa assunta dal fratello della vittima (OMISSIS) l'estate dopo i fatti, mentre della sua presenza non v'e' traccia nei rilievi di polizia giudiziaria immediatamente susseguenti al fatto, circostanze queste che devono indurre a valutarne l'attendibilita' del portato testimoniale con un rigore che non pare essere stato adoperato dai giudici di merito. L'incidente stradale mortale avvenne a (OMISSIS), alle ore 19,30, in una serata di pioggia, e in esso rimasero coinvolti la vittima (OMISSIS) (gia' riversa a terra sulla sede stradale al momento dell'impatto accanto al ciclomotore Aprilia mod. Amico 50 targato (OMISSIS) da lui condotto) e l'autovettura Skoda Octavia targata (OMISSIS) condotta nell'occasione proprio dall'odierno ricorrente (OMISSIS). (OMISSIS) riferiva di avere avuto modo di scorgere la presenza fissa della vittima sulla rete stradale, dapprima a circa 100 metri di distanza (nei pressi del negozio "(OMISSIS)" che il perito ing. (OMISSIS) attestera' trovarsi a cha 140 metri dal luogo del presumibile impatto), credendo trattarsi di un tronco d'albero, e poi a circa 40 metri di distanza, notando distintamente che si trattava di un uomo riverso terra che agitava un braccio come a chiedere aiuto. Pacificamente il veicolo investitore condotto dall'imputato procedeva sulla via Tagliata con senso di marcia dalla periferia verso il centro di Castelvetrano ed investi' dapprima il ciclomotore della vittima (gia' riverso a terra sulla fiancata destra) con lo spigolo anteriore destro (distante dal ciglio del marciapiede di destra di circa m. 3,60) - avendo gia' un assetto deviato da destra verso sinistra - e, di seguito, il conducente del ciclomotore, pure riverso a terra in una posizione piu' avanzata, sormontandone il corpo e trascinandolo per alcuni metri, imprimendogli un leggero moto di roto-traslazione in senso orario, fino alla posizione finale in cui veniva rinvenuto dai verbalizzanti; il veicolo investitore ultimava la sua corsa fino alla posizione di quiete finale sita davanti all'ingresso del vicino comando di polizia stradale. Ancora il teste (OMISSIS) precisava di aver visto l'impatto, ad una distanza di circa dieci metri, di aver altresi' notato il conducente del veicolo investitore provare a sterzare alla sua sinistra poco prima dell'impatto, senza riuscire a scongiurarlo, ed affermava che se la vittima si fosse trovata riversa sulla propria carreggiata sarebbe riuscito ad evitare di colliderla avendo gia' dal primo avvistamento ridotto la velocita' e procedendo sostanzialmente "a passo d'uomo" dopo aver capito trattarsi della sagoma di un uomo (una volta giunto a circa 40 metri di distanza). A giustificazione del fatto di non essersi presentato subito a raccontare i fatti il (OMISSIS) ha riferito infine di essersi fermato per prestare soccorso, ma di essere stato subito dopo invitato ad allontanarsi dagli agenti della Polizia Stradale, intervenuti nell'immediatezza dai locali del comando ubicato proprio di fronte al luogo del sinistro, i quali, a suo dire, evidentemente non avevano compreso trattarsi di un testimone oculare del sinistro. In proposito, la sentenza di primo grado (cfr. pag. 10) da' conto che il teste di P.G. (OMISSIS), escusso all'udienza dell'8 luglio 2016, ha riferito che all'incrocio c'era un'autovettura di colore grigio, di media cilindrata, il cui conducente e' stato invitato ad allontanarsi. Nulla dice, tuttavia, la sentenza, circa il fatto che si trattasse proprio del (OMISSIS) o se questi viaggiasse a bordo di un'auto grigia di media cilindrata. Ma soprattutto nessuno dei due giudici di merito spiega come mai, ammesso che sia stato invitato ad allontanarsi dal luogo dei fatti, il (OMISSIS) non si sia presentato spontaneamente nei giorni successivi, magari agli stessi uffici della Polizia Stradale dinanzi ai quali avvenne l'incidente, per raccontare quanto aveva visto. E nemmeno spiegano come il teste sia stato rintracciato dai familiari della vittima se il suo nome non compariva negli atti d'indagine. 3. Decisivi ai fini dell'odierno decidere sono taluni temi, su cui si era articolatamente speso l'atto di appello (cfr. atto di appello del 22/1/2019 a firma degli avv. (OMISSIS) E (OMISSIS)), e che, invece, non sono sviluppati sufficientemente - o lo sono in maniera contraddittoria rispetto alla sentenza di primo grado- nella sentenza impugnata. Il primo tema e' quello della velocita' cui procedeva l'autovettura investitrice. E' pur vero che la contestazione del profilo di colpa specifica di cui all'articolo 141 C.d.S. non necessita che sia individuata la specifica velocita' di marcia, ma reputa sufficiente che si proceda ad una velocita' non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui il mezzo si trovava a circolare (pioveva, come detto, si era di sera e percio', come legge a pag. 8 della sentenza di primo grado "le condizioni climatiche erano certamente avverse, ma non assolutamente improvvise od eccezionali da escludere del tutto la visibilita'". Cio' anche perche' - va qui ribadito- in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il rispetto del limite massimo di velocita' consentito non esclude la responsabilita' del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall'articolo 141 C.d.S. (cosi' la recente Sez. 4, n. 7093 del 27/1/2021, Di Liberto, Rv. 280549 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' per omicidio colposo, ai danni di un pedone, del conducente che, pur viaggiando a velocita' moderata, aveva omesso, attese le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilita', di tenere una condotta di guida tale da potergli consentire di avvistare per tempo il pedone ed arrestare il mezzo). L'articolo 141 C.d.S. impone al conducente di un veicolo di regolare la velocita' in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita'. E questa Corte di legittimita' ha anche chiarito che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocita', in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresi' conto di eventuali imprudenze altrui, purche' ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, Luciano, Rv. 270176, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all'attraversamento pedonale nonostante l'insistenza "in loco" di apposito sottopassaggio). Ed e' anche vero che, nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocita' relativa - vale a dire su una velocita' non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocita' - il giudice non e' tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocita' ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocita' accertata e' ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (cfr. Sez. 4, n. 8526 del 13/2/2015, De Luca Cardillo, Rv. 262449, in una fattispecie in cui l'imputato aveva mantenuto una velocita' prossima, per difetto, al limite vigente nel tratto stradale interessato dal sinistro, valutata, tuttavia, non adeguata in considerazione della scarsa visibilita' notturna, della prossimita' sia alle strisce pedonali sia all'intersezione con altra strada nonche' della presenza a bordo del motociclo da lui condotto di un passeggero privo di casco). Tuttavia, anche per valutare se la velocita' sia o meno adeguata, occorre in qualche modo individuare quella a cui il veicolo procedeva. Ebbene, la sentenza ci descrive una velocita' accertata, dal perito (OMISSIS) non inferiore ai 46-47 km/h. La impugnata, tuttavia, sul punto appare contraddittoria ed illogica - e pertanto si palesa fondata la doglianza del ricorrente sul punto - laddove prima a pag. 4 afferma che "la perizia redatta dall'ing. (OMISSIS) non si fonda affatto sulle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS)..."e poi alla successiva pag. 5 afferma "in dibattimento il perito ha ribadito...che senza le dichiarazioni di (OMISSIS) non avrebbe potuto spingersi ad escludere la contestualita' tra l'impatto e la caduta". 4. Orbene, pare chiaro che, per la valutazione della congruita' o meno di una tale velocita' su un tratto di strada rettilineo, occorre valutare da quale momento in poi l'ostacolo sulla strada si paleso' all'odierno ricorrente. Si e' detto del portato testimoniale del (OMISSIS), ma, anche per la particolarita' di un teste che si palesa poco prima dell'archiviazione della notitia criminis ed a molti mesi dai fatti, occorre confrontare con particolare rigore quel ricordo con le altre prove assunte nel processo. La tesi difensiva e', ab initio, fondata sull'affermazione, da parte dell'imputato che il ciclomotore e il suo passeggero vennero a cadergli davanti, provenienti dall'opposto senso di marcia, quasi simultaneamente all'impatto. L'imputato ha dichiarato, infatti, che non si era avveduto della presenza degli ostacoli sulla carreggiata se non allorche' era giunto a circa 1-2 metri di distanza ed aveva cercato inutilmente di sterzare alla propria sinistra. Ed e' percio' che, al di la' del ricordo del (OMISSIS), centrale nel presente processo e' la valutazione della testimonianza dell'assistente capo della P.S. (OMISSIS). A proposito di quella scrive il giudice di primo grado: "La ricostruzione fornita dal (OMISSIS) ha trovato riscontro, come detto, in vari elementi di prova acquisiti al processo. Un primo elemento di conferma puo' rinvenirsi nella relazione di servizio dell'Ass. Capo della Polizia Stradale (OMISSIS), prodotta in giudizio dalla difesa dell'imputato con il consenso delle parti, atteso che dalla stessa emerge come il verbalizzante, trovandosi all'interno dell'attigua stazione di Polizia Stradale, intento ad equipaggiare l'autovettura per uscire in servizio, aveva nell'occasione sentito due distinti suoni: il primo, riferibile chiaramente alla caduta del ciclomotore condotta dallo (OMISSIS), somigliante ad una sorta di scivolata ed, il secondo suono, dopo pochi secondi, ripetuto due volte in rapida successione, all'evidenza compatibile con l'investimento in tumultuoso susseguirsi dapprima del ciclomotore e poi della vittima". Al di la' che piu' che di "suoni" occorrerebbe parlare di "rumori", termine piu' correttamente usato nell'annotazione di servizio in questione, la difesa dell'odierno ricorrente aveva fondatamente posto l'accento (cfr. pag. 7 dell'atto di appello del 22/1/2019 a firma degli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS)) sul fatto che la testimonianza dell' (OMISSIS), piu' che con il ricordo del (OMISSIS) (che racconta di una vittima gia' da un bel po' di tempo a terra, visto che egli ebbe a vederla gia' da lontano, scambiandola per un tronco d'albero) con la ricostruzione difensiva, fondata sull'affermazione dell'imputato di una vittima che gli era caduta davanti nell'immediatezza del suo sopraggiungere. Il punto e' dirimente in termini di prevedibilita' dell'evento e di responsabilita' dell'imputato. Ebbene, sullo stesso la Corte territoriale risponde che: "il teste (OMISSIS), assistente capo della Polizia Stradale dinanzi alla cui sede di Castelvetrano avvenne il sinistro, ha riferito di avere sentito, mentre era nel garage intento con i colleghi a prepararsi per uscire in servizio, un rumore... Due rumori, si possono dividere in due fasi, due rumori, il primo un boato e poi subito dopo qualche istante, tipo come se fosse tipo da trascinamento, insomma qualcosa del genere (il richiamo e' a pag. 6 della trascrizione dell'udienza dell'8.7.2016; il teste ha anche riferito che nel momento in cui senti' i rumori stava piovendo e che, subito dopo l'uscita dal garage, comincio' a piovere piu' forte tanto che scoppiarono i tombini e la strada si allago'. Orbene, i due rumori riferiti dal teste, succedutisi a breve distanza l'uno dall'altro, corrispondono al primo impatto contro il ciclomotore ed al successivo investimento della vittima e detti rumori, percepiti in maniera distinta dal teste (OMISSIS) valgono a contrastare proprio l'assunto difensivo secondo il quale la vittima del sinistro ed il suo ciclomotore finirono in terra mentre stava passando l'appellante il quale, pur marciando a velocita' molto ridotta, non aveva percio' potuto evitare l'impatto contro quegli ostacoli che si erano posti improvvisamente e, quindi, inevitabilmente sulla sua direzione di marcia. In sintesi, le dichiarazioni del teste (OMISSIS), piuttosto che dimostrare la contestualita' tra la caduta in terra ed il doppio investimento, costituiscono un elemento di conferma alla riferita presenza in terra sia del ciclomotore che del suo conducente al momento dell'investimento...". Sul punto, tuttavia e' fondata la doglianza dell'odierno ricorrente. La Corte territoriale dice cose diverse rispetto alla sentenza primo grado ed a quanto riportato nell'annotazione di servizio del 31/10/2012 a firma dell' (OMISSIS), ove si legge di tre e non di due rumori. Scrive l' (OMISSIS) che: "in data (OMISSIS) veniva comandato in servizio di vigilanza stradale con turno 19,00/01,00 unitamente al pari qualifica (OMISSIS) Antonino ed all'Assistente Ventimiglia Simone. Durante a fase di preparazione del veicolo, che aveva luogo verso le ore 19,20 circa all'interno del garage, udiva uno stridio simile ad un rotolamento di un oggetto di plastica. Con stupore volgeva lo sguardo verso i colleghi per vedere se loro avessero capito di che cosa si trattasse quando a distanza di pochi secondi udiva un altro rumore, ripetuto velocemente due volte, questa volta simile a qualcosa calpestata da un veicolo. Intuito che si trattava di qualcosa di anomalo proveniente dall'esterno usciva per strada. A quel punto notava un corpo al centro della sede stradale ed immediatamente si avvicinava per sincerarsi delle condizioni. La persona a terra si presentava in gravi condizioni, pertanto veniva immediatamente informato il personale del 118 il quale giunto sul posto prestavano le prime cure e ne disponevano il trasporto al pronto soccorso. Mentre nella circostanza imperversava un violento temporale, si procedeva con la messa in sicurezza della zona del sinistro e a far defluire il traffico veicolare" (cosi' l'annotazione di P.G. acquisita agli atti con il consenso delle parti e dunque pienamente utilizzabile). Con l'esatto dato dei tre rumori, il primo a distanza secondo l' (OMISSIS) di "pochi secondi" rispetto agli altri due, dovra' allora confrontarsi il giudice del rinvio. Perche', diversamente da quanto sostiene la sentenza impugnata, si tratta di un dato che mette in discussione l'attendibilita' di quanto dichiarato dal teste (OMISSIS) e pare corroborare la versione difensiva di una quasi contestualita' tra la caduta del ciclomotore e i due impatti dell'auto investitrice, prima con il ciclomotore stesso e poi con il suo conducente. 5. La sentenza impugnata, infine, non opera una corretta valutazione della prova scientifica. Costituisce ius receptum di questa Corte il principio che, in virtu' del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale odi una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilita' di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purche' dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicche', ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, e' inibito al giudice di legittimita' di procedere ad una differente valutazione, poiche' si e' in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981; conf. Sez. 4, n. 34747 del 17/5/2012, Rv. 253512; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Rv. 241907; Sez. 4, n. 7591 del 20/5/1989, Rv.181382). Con le diverse tesi espresse da periti e consulenti, ancorche' sollecitata sul punto dall'atto di gravame nel merito, il provvedimento impugnato non si confronta. Come ricorda il ricorrente, nel corso delle indagini preliminari, il PM procedente aveva disposto una prima consulenza tecnica affidata al Dott. (OMISSIS)). Quest'ultimo -come ricorda il ricorrente- non disponendo della deposizione del (OMISSIS) (a quel tempo non emersa), aveva escluso ogni possibile responsabilita' dell'indagato, basandosi essenzialmente sugli elementi cronologici forniti dall'assistente capo della Polstrada (OMISSIS), vero e proprio teste de audito. I rumori percepiti da quel teste, come detto, indicavano la quasi immediatezza tra la caduta a terra del ciclomotorista e l'impatto con la sopravveniente autovettura di (OMISSIS); di talche', alla velocita' stimata di quest'ultima in 45/50 Kmh, il conducente, senza sua colpa, giammai avrebbe potuto evitare l'impatto. Aggiungeva il consulente che, anche qualora l'autovettura avesse proceduto ad una velocita' inferiore l'evento si sarebbe tuttavia verificato. Precisava il (OMISSIS) che: "Per potere addebitare anche una minima responsabilita' all'indagato nella causazione dell'evento sarebbe bastato conoscere a quale distanza trovavasi l'autovettura da questo condotta quando il ciclomotore e' caduto sulla pavimentazione" (cosi' a pag. 53 della relazione (OMISSIS) come indicato in ricorso).. Dopo le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) il PM nominava un secondo C.T. che indicava nella sua relazione come la ricostruzione del sinistro da lui operata muovesse dalla premessa fissata dalla deposizione di (OMISSIS), in stridente contrasto con la successione dei rumori percepita da (OMISSIS) che la vittima fosse riversa a terra ampiamente prima del sopraggiungere dell'auto investitrice. Veniva poi operata una complessa e articolata istruzione dibattimentale nel corso della quale, oltre gli assunti dei gia' citati consulenti tecnici del P.M. ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), si sono confrontate le opposte conclusioni dei consulenti di parte: Arch. (OMISSIS) e poi ing. Spampinato, per le parti civili, prof. (OMISSIS), per l'imputato. E, a fronte di quelle il tribunale non ha potuto che disporre una perizia d'ufficio, affidandola all'ing. (OMISSIS). A ben vedere, pero', tutte i rilievi tecnici successivi alla consulenza tecnica del (OMISSIS) non riscontrano le dichiarazioni rese dal (OMISSIS), ma partono da quelle. Ed allora prima di ogni altra considerazione il giudice del rinvio dovra' rivalutare tali dichiarazioni -anche eventualmente escutendo nuovamente tale teste con i poteri officiosi che gli riserva l'articolo 603 c.p.p. - alla luce di quelle, certamente attendibili, vista la provenienza da un pubblico ufficiale e la contestualita' rispetto ai fatti in cui sono state rese che emergono dall'annotazione di P.G. dell' (OMISSIS) e delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Marianna Cocca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 35/2020, promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FE.AN., elettivamente domiciliata presso il difensore ATTRICE contro (...) S.P.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SE.FR., elettivamente domiciliata presso il difensore CONVENUTA CONSORZIO (...) S.C.A.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. IE.MA., elettivamente domiciliata presso il difensore (...) S.R.L. UNIPERSONALE (C.F. (...)), contumace TERZA CHIAMATA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La signora (...) ha convenuto in giudizio (...) s.p.a., formulando le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ill.mo Giudice adito, disattesa ogni contraria istanza e/o eccezione, in via preliminare: respingere l'eccezione di improcedibilità proposta da Consorzio (...) s.c.a.r.l. poiché infondata in fatto ed in diritto; nel merito: in via principale: accertare i fatti di causa, ovvero la responsabilità ex art. 2051 c.c. di (...) s.p.a. ... per il sinistro occorso il 05.08.2019 al km. 86+650 della Ss. 16 in località G. (F.) in cui è rimasta vittima la sig.ra (...) ..., nonché i danni patrimoniali conseguenti, subiti all'autovettura di proprietà della medesima mod. STONIC marca KIA tg. (...) e di c.d. fermo tecnico della medesima autovettura dal 05.08.2019 al 30.10.2019; per l'effetto condannare (...) s.p.a. ... a risarcire il danno patrimoniale subito dalla sig.ra (...) pari ad Euro 8.821,37 per la riparazione dell'autovettura di proprietà della medesima mod. STONIC marca KIA tg. (...); nonché al c.d. fermo tecnico della medesima nella misura di Euro 500,00, ovvero quella diversa eventualmente maggiore somma che sarà ritenuta dovuta ad esito dell'istruttoria; in via subordinata e residuale eventualmente determinata in via equitativa; il tutto maggiorato di interessi legali sino al saldo effettivo; in ogni caso, con condanna alla refusione del compenso professionale, spese generali e spese vive, incluse quelle relative alla fase di mediazione; in via subordinata: accertare i fatti di causa, ovvero la responsabilità ex art. 2043 c.c. di (...) s.p.a. ... per colpa consistita nell'inadeguata, negligente manutenzione ed errato accertamento dello stato dell'albero per cui è causa eseguito in proprio ovvero per il tramite di soggetti delegati e del conseguente sinistro occorso il 05.08.2019 al Km 86+650 della Ss 16 in località G. (F.) in cui è rimasta vittima la sig.ra (...) ... nonché i danni patrimoniali conseguenti subiti all'autovettura di proprietà della medesima mod. STONIC marca KIA tg. (...) e di c.d. fermo tecnico della medesima autovettura dal 05.08.2019 al 30.10.2019; per l'effetto condannare (...) s.p.a. ... a risarcire il danno patrimoniale subito dalla sig.ra (...) pari ad Euro 8.821,37 per la riparazione dell'autovettura di proprietà della medesima mod. STONIC marca KIA tg. (...); nonché al c.d. fermo tecnico della medesima nella misura di Euro 500,00, ovvero quella diversa eventualmente maggiore somma che sarà ritenuta dovuta ad esito dell'istruttoria; in via subordinata e residuale eventualmente determinata in via equitativa; il tutto maggiorato di interessi legali sino al saldo effettivo; in ogni caso, con condanna alla refusione del compenso professionale, spese generali e spese vive, incluse quelle relative alla fase di mediazione". La società (...) s.p.a. si è costituita, chiamando in causa il Consorzio (...) s.c.a.r.l. e la società (...) s.r.l. unipersonale e così concludendo: "in via principale: 1. accertare e dichiarare che nessuna responsabilità ex art. 2051 c.c. e 2043 c.c. è da ascrivere ad (...) s.p.a. relativamente al sinistro di cui è causa e per l'effetto rigettare integralmente tutte le domande spiegate dalla sig.ra (...) nei confronti di (...) s.p.a., poiché infondate in fatto e in diritto, per i motivi tutti spiegati in comparsa; in via subordinata: 2. nella denegata ipotesi di condanna di (...) s.p.a, condannare Consorzio (...) s.c.a.r.l. nonché (...) s.r.l. unipersonale a tenere indenne (...) s.p.a. rispetto a quanto la stessa fosse tenuta a pagare alla sig.ra (...) in dipendenza dei fatti di cui è causa ed in virtù dell'emananda sentenza". Il Consorzio (...) s.c.a.r.l. si è costituito ed ha concluso chiedendo "il rigetto della domanda attorea, con condanna della medesima attrice al pagamento delle spese processuali, con distrazione in favore del procuratore antistatario". La società (...) s.r.l. unipersonale è rimasta contumace. Il fatto può essere ricostruito come segue. In data 5/8/2019 alle ore 11.30, (...) stava percorrendo la SS 16 con direzione di marcia Ferrara - Argenta a bordo della propria autovettura tg. (...); giunta al km 86+650, il veicolo è stato colpito da una pianta ad alto fusto, che è caduta al suolo. Nei rilievi della Polizia di Stato di Argenta, intervenuta subito dopo il sinistro (doc. 2 di parte attrice), si legge: "improvvisamente una pianta d'alto fusto cadeva sulla strada dalla parte sinistra rispetto al senso di marcia, colpendo in pieno il veicolo danneggiandolo in modo serio. Nell'occorso la conducente non subiva ferite". A pag. 5 della relazione, gli agenti intervenuti hanno riportato la posizione dell'albero e da essa si evince come la pianta sia caduta completamente sulle carreggiate, invadendo quasi completamente anche quella - opposta rispetto all'argine in cui la pianta si trovava - di pertinenza dell'auto dell'attrice, la quale, transitando in quel preciso momento, è stata colpita. Così ricostruito l'evento, va ritenuta applicabile la previsione di cui all'art. 2051 c.c.: come è noto, è custode della cosa il titolare di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale o personale di godimento, ma anche chi eserciti su essa, nel proprio interesse, un potere effettivo e non occasionale, tale da consentirgli di prevedere e controllare i rischi ad essa inerenti. La nozione di danno da cose in custodia è stata molto discussa nel corso degli anni; abbandonato l'orientamento che richiedeva l'intrinseca pericolosità della cosa quale elemento costitutivo della responsabilità, nel quadro attuale della giurisprudenza, può dirsi che il custode è chiamato a rispondere anche dei danni cagionati da quei beni che sono inerti e non pericolosi. Sin dagli anni '90, in particolare, la Suprema Corte ha affermato chiaramente la natura oggettiva della responsabilità per danno da cose in custodia, spostando l'analisi dalla "colpa nella custodia" al "rischio da custodia". Fondamentale è il principio di diritto affermato dalle sentenze gemelle del 2006 (Cass. Civ. nn. 15383 e 15384 del 6 luglio 2006): "la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia, anche nell'ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della p.a., ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante". Nel caso di specie, va affermato il rapporto di custodia tra (...) s.p.a. e la pianta, causa del danno, essendo la società proprietaria del tratto stradale e della vegetazione che ivi si trova. Come chiarito dalla Suprema Corte, "l'art. 2051 c.c., nell'affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa operando sul piano oggettivo dell'accertamento del rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale" (Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza n. 2477 del 01/02/2018: in questa pronuncia ed in applicazione del suesteso principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso qualsiasi profilo di negligenza - stante la mancanza, in tesi, di qualsiasi norma che imponesse l'obbligo di recinzione di una strada statale o di vigilanza per l'eventuale attraversamento di animali - a carico dell'(...), ente proprietario della strada percorsa dal danneggiato con la propria autovettura e rimasto coinvolto in un incidente a causa della presenza di un bovino sulla carreggiata). Dunque, il soggetto che agisce per il risarcimento dei danni ha l'onere di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla strada. Sul danneggiato incombe l'onere di provare il danno, nonché il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno stesso; sul custode che voglia liberarsi della presunzione di responsabilità, invece, grava l'onere di provare l'intervento di un fattore esterno, eccezionale e imprevedibile, che abbia interrotto il nesso causale tra gli obblighi derivanti dalla custodia e l'evento lesivo. Nel caso di specie, anzitutto va rilevato che l'(...) s.p.a. non ha contestato la propria qualità di soggetto proprietario della pianta e l'esercizio della custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa, salvo indicare il Consorzio (...) s.c.a.r.l. e (...) s.r.l. unipersonale come responsabili della manutenzione, nei termini che meglio si esamineranno in prosieguo. Anzi, il rapporto di custodia di (...) s.p.a. risulta confermato dalla mail prodotta al doc. 3 dalla stessa parte convenuta, dalla quale risulta che, quella stessa mattina, il soggetto incaricato da (...) s.p.a. di effettuare controlli manutentivi su tutti gli alberi in fregio anche alla SS16, aveva comunicato la condizione dell'albero ai soggetti incaricati della manutenzione. Il che conferma che l'(...) s.p.a. aveva la responsabilità di quel tratto stradale. I danni al veicolo sono elencati nel verbale delle forze di polizia intervenute, che ne hanno verificato la compatibilità con la dinamica del sinistro descritta: ne consegue, pertanto, che deve ritenersi raggiunta la prova dell'esistenza di un nesso causale tra l'evento dannoso ed il bene in custodia. La convenuta (...) s.p.a. deduce il verificarsi dell'evento in ragione di un caso fortuito, posto che il 2/8/2019, verso le 17.40, l'intero territorio ferrarese era stato interessato da un fortunale di eccezionale intensità, con raffiche di vento che raggiungevano la velocità di 150 Km/h. Va sul punto premesso che la prova liberatoria, per il custode, può essere fornita solo attraverso il caso fortuito: ha chiarito la Suprema Corte che, in materia di responsabilità da cose in custodia, la sussistenza del caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale, forma oggetto di un onere probatorio che grava sul custode (da ultimo, Cass. Sez. Terza, Sentenza n. 13005 del 23/06/2016). Parte attrice ha contestato che la caduta dell'albero fosse effetto del fortunale avvenuto tre giorni prima e che (...) s.p.a. avesse comunque compiuto tutte le verifiche necessarie sullo stato della pianta. Invero, non risulta provata l'idoneità dell'evento del 2/8/2019 ad interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno. Infatti, il fatto è avvenuto quasi tre giorni dopo l'evento atmosferico (2 giorni e 17 ore dopo), dunque (...) s.p.a. ha avuto il tempo necessario per effettuare una verifica delle piante, verifica che avrebbe dovuto avere l'obiettivo di evitare che quelle eventualmente danneggiate dal fortunale potessero costituire un pericolo per gli utilizzatori della strada. A questo proposito (...) s.p.a. deduce che, all'esito di una verifica effettuata il 3/8/2019 (il giorno dopo il fortunale) l'albero "non sembrava in condizioni tali da farne prevedere la caduta": deduce in particolare che, dopo il fortunale, il capo cantoniere sorvegliante, sig. (...), su immediata richiesta di (...) s.p.a., aveva effettuato controlli manutentivi su tutti gli alberi ed aveva controllato anche l'albero in questione. Di tale verifica non vi è traccia documentale, il che appare anomalo, posto che (...) s.p.a. assume nella propria comparsa di costituzione che l'(...) aveva incarico di controllare "tutti gli alberi in fregio alle arterie coinvolte dal nubifragio di cui è cenno (tra cui anche la SS 16)": un controllo avvenuto in un territorio vasto diversi chilometri, come quello in cui risulta avvenuto il nubifragio, non può che essere trasferito in un rapporto di intervento, contenente l'indicazione delle piante su cui eventualmente intervenire con urgenza, quelle che richiedano un monitoraggio, quelle sane. A fronte di tale anomala carenza documentale, è evidente che il capitolo di prova formulato sul punto dalla parte convenuta nella propria memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. ("Vero è che, il 3 agosto 2019, il sig. (...) osservava l'alberatura di cui è causa la quale si presentava alla vista in condizioni tali da escluderne la caduta") si palesa come generico, in quanto a fronte dell'elevato numero di alberi controllati si chiede riferire circa una sola pianta senza una indicazione specifica di posizione nel capitolo, ma anche valutativo: non si chiede al teste di riferire le caratteristiche del fusto, della chioma, l'eventuale inclinazione in gradi, ma di valutare "condizioni" non individuate. Di qui l'inammissibilità della prova orale. Dunque, anzitutto, manca la prova che il controllo successivo al fortunale del 2/8/2019 sia avvenuto e quali esiti abbia dato e, quindi, la dimostrazione che la caduta dell'albero sia effetto di quell'evento atmosferico e comunque, anche se un indebolimento fosse legato a tale evento, come è in effetti probabile, l'omessa prova di un controllo effettivo da parte di (...) s.p.a. è idonea ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento atmosferico e il crollo della pianta. Anche relativamente agli eventi del 5/8/2019, parte convenuta non ha fornito la prova liberatoria. Sostiene parte convenuta che quella mattina il sig. (...) verificò che la pianta iniziava ad assumere una posizione potenzialmente pericolosa; anzitutto, nulla viene allegato in ordine alle ragioni di tale ulteriore controllo: non si comprende la ragione per cui, a fronte di un albero asseritamente ritenuto in buone condizioni il 2/8/2019, sia stato ritenuto necessario effettuare la successiva verifica del 5/8/2019. Ad ogni modo, l'(...) invia una e-mail delle ore 10.43 (doc. 3) all'indirizzo [email protected], indirizzo riferibile al Consorzio (...) s.c.a.r.l., che non ne ha contestato la ricezione. Nella mail si legge: "Pioppo alto circa una ventina di metri pericolosamente piegato sulla sede stradale. Allerterò immediatamente la ditta dello sfalcio erba per la rimozione. Se non si attiveranno immediatamente sarò costretto ad allertare il pronto intervento". La mail viene in rilievo con riguardo a due profili. Il primo attiene al fatto che l'addetto di (...) s.p.a., tramite il preposto (...), non ritenne necessario porre in essere alcuna precauzione sulla circolazione. In sostanza, pur verificando che l'albero era pericolosamente piegato verso la sede stradale, si limitò ad inviare la comunicazione presagendo una rimozione (attività che comunque avrebbe richiesto qualche ora), senza procedere nell'immediato a richiedere di collocare la segnaletica di pericolo o il blocco del traffico nell'area del passaggio; con ciò assumendosi il rischio di una caduta dell'albero nelle more dell'intervento, caduta puntualmente verificatasi e fonte del danno cagionato all'odierna attrice. Sotto un secondo profilo, la mail viene in rilievo in relazione alla domanda della convenuta (...) s.p.a. ha chiesto di essere manlevata dal Consorzio (...) s.c.a.r.l. e (...) s.r.l. unipersonale. La sussistenza del diritto alla manleva va anzitutto verificata in relazione al contratto tra (...) s.p.a. e Consorzio (...) scarl / (...) s.r.l. del 2/10/2018 (cfr. doc. 5 di parte convenuta). Sebbene sia contestato dalla terza chiamata costituita, non v'è dubbio che l'attività di "abbattimento di alberature pericolose per l'incolumità pubblica e la sicurezza della circolazione stradale" rientri nell'oggetto generale del contratto: in particolare, nel Capitolato Speciale Appalto (doc. 6 fascicolo di parte convenuta), al punto 5.4 (pag. 13) si legge che "per quanto attiene l'abbattimento delle alberature, l'impresa dovrà provvedere all'abbattimento delle alberature, di qualsiasi altezza dal piano di campagna, di qualsiasi essenza (anche ad alto fusto) ed in qualsiasi condizione di intervento segnalate dalla D.E.C. e dalle Autorità competenti come pericolose per l'incolumità pubblica e la sicurezza della circolazione stradale ubicate lungo pertinenze stradali oggetto del presente contratto". Dunque, al Consorzio (...) s.c.a.r.l. e a (...) s.r.l. unipersonale è appaltata solo l'attività pratica di abbattimento, ma non l'attività di controllo delle alberature pericolose che resta in capo al Direttore dell'Esecuzione del Contratto (D.E.C., organo del soggetto appaltante) e alle autorità competenti. Il controllo sulla pericolosità delle piante e la valutazione circa la conseguente richiesta di intervento spettava quindi alla convenuta (...) s.p.a., che, come si è già chiarito, non ha provato di averlo effettuato subito dopo il fortunale, ma neppure ha provato di averlo effettuato con la mail del 5/8/2019: anzitutto, con quella mail il sig. (...) non formula alcuna richiesta al Consorzio (...) s.c.a.r.l., limitandosi a comunicare che lui avrebbe richiesto l'intervento della ditta dello sfalcio (testualmente: "Allerterò immediatamente la ditta dello sfalcio erba per la rimozione") e che sempre lui avrebbe contattato il pronto intervento ("Se non si attiveranno immediatamente sarò costretto ad allertare il pronto intervento"). Non c'è alcuna richiesta di intervento al Consorzio, che viene solo notiziato, né di attivare la ditta per lo sfalcio né di allertare il pronto intervento. Non v'è prova che la ditta dello sfalcio dell'erba - forse (...) s.r.l. - sia stata notiziata, quando ed in che forma né, anche a voler interpretare la mail come una richiesta al Consorzio, essa è idonea allo scopo, non contenendo alcun elemento idoneo ad individuare la posizione dell'albero. Non è indicata la strada, il chilometro o qualunque altro elemento idoneo ad identificare, nei tempi rapidissimi che la situazione imponeva, l'albero su cui intervenire. D'altro canto, la circostanza che la mattina del 5 agosto 2019 alle ore 10.50 il sig. (...) abbia anche informato telefonicamente (...) s.r.l. è circostanza mai allegata e solo oggetto di un capitolo di prova formulato nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.: oltre ad essere la circostanza inammissibile, in quanto parte attrice aveva allegato di aver interloquito solo via mail con il Consorzio, la circostanza comunque non sarebbe stata decisiva, in quanto non idonea a provare che fosse stato indicato l'albero oggetto dell'intervento, inviata la posizione a mezzo GPS o altro e, inoltre, generica, non essendo neppure indicato con quale soggetto di (...), l'(...) si sarebbe interfacciato. Concludendo, l'(...) non ha provato né di aver provveduto al controllo dopo il fortunale del 2/8/2019, né di avere, il 5/8/2019, provveduto a mettere in sicurezza la pianta e a richiedere un intervento ai soggetti che materialmente avrebbero dovuto provvedere all'abbattimento, Consorzio (...) s.c.a.r.l. e a (...) s.r.l. unipersonale, che andranno quindi esenti da responsabilità, con conseguente rigetto della domanda di manleva formulata da (...) s.p.a. Accertata la responsabilità di (...) s.p.a., in punto di quantum si osserva quanto segue. Con riferimento al danno auto, esso va riconosciuto nella misura di Euro 8.821,37, pari al costo della riparazione dell'auto di proprietà, spesa documentata dalla fattura n.(...) del 30.10.2019 dell'officina T. - B. s.n.c. e dalla contabile di bonifico a saldo della stessa (docc. 4-5 fascicolo di parte attrice). Le contestazioni in punto di quantum della convenuta appaiono, sotto tale aspetto, del tutto generiche, soprattutto alla luce del fatto che la fattura contiene voci di dettaglio circa i lavori effettuati, voci che sono comparabili con i danni al veicolo elencati nel verbale delle forze di polizia intervenute. La signora (...) ha diritto ad essere risarcita del danno da cd. fermo tecnico dell'autovettura dal giorno del sinistro sino al 30.10.2019: non vi è dubbio che il danno "da fermo tecnico", consistente nel pregiudizio economico subito dal proprietario dell'autovettura danneggiata e derivante dall'impossibilità di utilizzare il veicolo per il lasso di tempo necessario alla riparazione della stessa, se provato, vada risarcito. Con la recente sentenza la Cassazione ha puntualizzato che il danno da fermo tecnico non può considerarsi sussistente in re ipsa, quale conseguenza automatica del sinistro stradale; ed invero, l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per la riparazione è un danno che deve essere obbligatoriamente allegato e dimostrato: "il danno da "fermo tecnico" di veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato e la relativa prova non può avere ad oggetto la mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall'uso del mezzo" (Cass. Civ., Sez. Sez. VI-III, Ordinanza n. 5447 del 28/02/2020). Tale prova è stata fornita dall'attrice. Non vi è contestazione circa il fatto che, dal sinistro fino alla riparazione del veicolo, la (...) abbia fatto uso dell'autovettura VW Up tg. (...): essendo stata ricevuta a titolo gratuito, tale opzione era certamente la più economica. Andrà rifusa all'attrice la spesa sostenuta per il maggior consumo dell'auto sostitutiva (alimentata a benzina) rispetto alla propria, per compiere il tragitto necessario a raggiungere il luogo di lavoro dalla propria residenza (per 140,2 km al giorno: doc. 21 fascicolo di parte attrice non contestato). Utilizzando il consumo medio di cui alla scheda tecnica della VW Up utilizzata in rapporto al costo della benzina nel periodo di riferimento (docc. 14 e 22 fascicolo di parte attrice) si perviene ad un costo giornaliero di Euro 8,59; compiendo il medesimo calcolo per la Kia Stonic motorizzata gpl (cfr. docc. 23 e 22) si perviene ad un costo giornaliero di Euro 6,64. La differenza, pari ad Euro 1,95, va moltiplicata per i 61 giorni lavorativi nel periodo di riferimento, dato incontestato, pervenendosi al totale di Euro 118,00. Il danno complessivo patito dalla (...) va quindi quantificato in Euro 8.939,37. Al creditore di un'obbligazione di valore spetta anche il risarcimento del danno ulteriore causato dal ritardato adempimento; nel caso in esame, gli interessi sono stati espressamente richiesti. La base del calcolo è costituito non dal credito in moneta attuale (v. Cass., Sez. Unite, 17.12.95, n. 1712), ma dal credito originario via via rivalutato anno per anno. Al momento del deposito della sentenza l'obbligazione di valore si trasforma in obbligazione di valuta e produce, altresì, interessi legali fino al pagamento. Pertanto, l'importo di Euro 8.939,37, liquidato all'attualità, va devalutato alla data del sinistro (terzo trimestre 2019: Euro 8.824,65) e successivamente rivalutato in base all'indice FOI elaborato dall'ISTAT, fino alla data della presente sentenza, con applicazione di anno in anno degli interessi maturati, al tasso richiesto da parte attrice, ossia quello legale: si perviene alla somma di Euro 8.972,91. Su tale importo vanno riconosciuti gli interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. Nessun altro danno risulta provato, non potendo essere riconosciute le spese di mediazione, non trattandosi di fattispecie per cui la stessa è prevista come condizione di procedibilità della domanda. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico di (...) s.p.a. sia in favore di (...) che del Consorzio (...) s.c.a.r.l., dovendosi distrarre queste ultime in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. Esse sono liquidate tenuto conto, per quanto riguarda i compensi professionali, dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, alla luce dell'attività complessivamente svolta, dell'istruttoria solo documentale e dello scaglione di riferimento (Euro 875,00 per fase di studio, Euro 740,00 per fase introduttiva, Euro 1.120,00 per fase istruttoria, Euro 1135,00 per fase decisoria). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa promossa da (...) nei confronti di (...) S.P.A., con la chiamata in causa del CONSORZIO (...) S.C.A.R.L. e di (...) S.R.L. UNIPERSONALE, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. accoglie la domanda e, per l'effetto, dichiara tenuta e condanna (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 8.972,91, oltre interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; 2. rigetta le domande di (...) s.p.a. nei confronti del Consorzio (...) s.c.a.r.l. e di (...) s.r.l. unipersonale; 3. dichiara tenuta e condanna (...) s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore alla rifusione in favore di (...) delle spese di lite, che liquida in Euro 264,00 per esborsi ed Euro 3.870,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e c.p.a. con aliquote di legge e se dovute, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; 4. dichiara tenuta e condanna (...) s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore alla rifusione in favore del Consorzio (...) s.c.a.r.l. spese di lite, che liquida in Euro 3.870,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e c.p.a. con aliquote di legge e se dovute. Così deciso in Ferrara il 17 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica Il Giudice dott.ssa Tiziana LOTITO all'udienza del 17.02.2021 con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa M.T. LA. (V.P.O.) l'assistenza dell'assistente giudiziario dott.ssa Na.FA. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: - (...) nato a G. il (...) ed ivi residente in via T. n. 7 Libero - assente già presente IMPUTATO A) Del reato di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p. perché con negligenza, imprudenza e imperizia, in violazione degli artt. 146 comma 1, 141 comma 1- 2 e 3, 142 comma 1 e 187 comma 1 Codice della Strada, si poneva alla guida della propria autovettura A.R. Mito tg (...) in stato di alterazione psico - fisica per l'uso di cocaina e cannabinoidi e mentre percorreva Viale (...) ad una velocità di 103,5 Km/h, superiore del 107% del limite consentito, e procedendo sulla corsia di sinistra, pur dovendo proseguire diritto, impegnava l'incrocio con Viale T., passando con il semaforo "giallo" così collidendo l'autovettura Lancia Y, tg (...), che proveniva da Viale T., cagionando la morte del conducente della stessa (...) che decedeva in ospedale a seguito delle gravi lesioni riportate nell'impatto. B) Del reato di cui all'art. 187 comma 1 bis Codice della Strada per essersi posto alla guida della propria autovettura A.R. Mito tg (...) in stato di alterazione psico - fisica per l'uso di cocaina e cannabinoidi. Con l'intervento dei difensori di fiducia avv. Al.TR. - assente e avv. Ni.MA. - assente sostituito con delega orale dall'avv. Al.SO. - presente La parte civile (...) - assente con l'avv. Ed.ZI. - presente Responsabili civili : (...) e figli, in persona del legale rappresentante p.t. - assente (...) s.p.a. - in persona del legale rappresentante p.t. - assente con l'avv. Al.AP. - assente sostituito con delega orale dall'avv. Fi.CA. - presente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 28.01.2011 il GUP sede disponeva il rinvio a giudizio innanzi al Tribunale di Taranto di (...) chiamato a rispondere del reato ascrittogli, come riportato in epigrafe. Nel corso della prima udienza, tenutasi in data 02.05.2011, il GOT rinviava il processo all'udienza del 18.07.2011 per consentire la produzione della prova della notifica all'imputato dell'atto di costituzione di parte civile da parte del difensore della stessa, come da verbale di udienza. All'udienza del 18.07.2011 il GOT rinviava il processo all'udienza del 03.10.2011 come da verbale di udienza, al quale si rimanda. All'udienza del 03.10.2011 il GOT rinviava il processo all'udienza del 09.01.2012 come da verbale di udienza, al quale si rimanda. All'udienza del 09.01.2012 il GOT rinviava il processo all'udienza del 01.02.2012 innanzi a questo giudice come da Provv. del 25 ottobre 2011 del Presidente della I Sezione Penale. All'udienza del 01.02.2012, innanzi a questo giudice, il PM ed il difensore dell'imputato nulla osservavano sulla costituzione di parte civile; il difensore della parte civile, quindi, chiedeva l'autorizzazione a citare il responsabile civile, come già richiesto con l'atto di costituzione di parte civile, e, nulla osservando le altre parti, questo giudice ordinava la citazione dei responsabili civili come da decreto del 01.02.2012 in atti, allegato al verbale di udienza, rinviando il processo all'udienza del 06.06.2012. All'udienza del 06.06.2012 il difensore della parte civile depositava copia del decreto di citazione del responsabile civile con allegato atto di costituzione di parte civile e verbale d'udienza del 01.02.2012 con prova dell'intervenuta notifica alla (...) s.p.a. ed alla (...) e figli s.r.l., chiedendo un rinvio per notificare tali atti all'imputato ed al PM; nulla osservando le altre parti, in accoglimento della richiesta del difensore della parte civile, questo giudice rinviava il processo all'udienza del 03.10.2012. All'udienza del 03.10.2012 il difensore della parte civile produceva copia del decreto di citazione del responsabile civile notificato al PM ed all'imputato presso il difensore, non essendovi a tale ultimo riguardo prova del perfezionamento della notifica e chiedeva disporsi un rinvio per comprovare l'avvenuto adempimento; nulla osservando le altre parti, in accoglimento della richiesta del difensore della parte civile, questo giudice rinviava il processo all'udienza del 07.11.2012. All'udienza del 07.11.2012 il difensore della parte civile chiedeva disporsi un rinvio del processo per notificare nuovamente il decreto all'imputato, atteso che la notifica non era stata effettuata presso il domicilio eletto e, nulla osservando le altre parti, questo giudice, in accoglimento della richiesta di rinvio del difensore della parte civile, rinviava il processo all'udienza del 09.01.2013. All'udienza del 09.01.2013 il difensore della parte civile depositava prova dell'effettuazione dell'adempimento; questo giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammetteva le prove e rinviava il processo all'udienza del 02.10.2013 per l'escussione dei testi della lista del PM e della difesa della parte civile. All'udienza del 02.10.2013 il difensore della (...) s.p.a. depositava atto di costituzione quale responsabile civile, nulla osservando le altre parti, questo giudice prendeva atto e disponeva procedersi ad istruttoria mediante escussione dei testi della lista del PM; le parti, quindi, concordavano l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, in luogo della escussione del teste (...), di quanto indicato nel verbale di udienza, al quale si rimanda, ed il PM rinunciava alla relativa escussione, nulla osservando le altre parti. Questo giudice disponeva in conformità e procedersi all'escussione degli altri due testi della lista del PM e dei due testi della difesa della parte civile presenti, acquisendo al fascicolo per il dibattimento la documentazione prodotta dal PM, come da verbale, e rinviando all'esito il processo all'udienza del 05.03.2014 per il prosieguo dell'istruttoria. All'udienza del 05.03.2014 questo giudice disponeva procedersi all'escussione del residuo teste indicato dalla difesa della parte civile, all'esame dell'imputato ed all'escussione dei testi indicati dal difensore dell'imputato e, all'esito, rinviava il processo all'udienza del 09.04.2014 per l'escussione del residuo teste indicato dalla difesa dell'imputato. All'udienza del 09.04.2014 questo giudice disponeva procedersi all'escussione del residuo teste indicato dalla difesa dell'imputato e, all'esito, rinviava il processo all'udienza del 12.11.2014 su richiesta delle parti, come da verbale. All'udienza del 12.11.2014 questo giudice rinviava il processo all'udienza del 13.05.2015 attesa l'adesione del difensore dell'imputato all'astensione indetta dalla Camera Penale di Taranto dal 10.11.2014 al 14.11.2014. All'udienza del 13.05.2015 questo giudice, rigettata la richiesta di rinvio per concomitante impegno professionale depositata da uno dei difensori dell'imputato, su richiesta congiunta del PM, del difensore del responsabile civile e della parte civile, essendosi il difensore dell'imputato rimesso al giudicante, esaminati gli atti, ritenuta la necessità al fine del decidere di disporre perizia in ordine alla dinamica complessivamente intesa del sinistro, rinviava il processo all'udienza del 23.09.2015 per il conferimento dell'incarico al perito e per la formulazione dei quesiti. All'udienza del 23.09.2015 questo giudice, conferito l'incarico al perito e formulati i quesiti, rinviava il processo all'udienza del 16.03.2016 per l'audizione del perito. All'udienza del 16.03.2016 questo giudice disponeva procedersi all'escussione del perito e, all'esito, su richiesta del difensore dell'imputato, nulla opponendo le altre parti, rinviava il processo all'udienza del 16.11.2016 come da verbale. All'udienza del 16.11.2016 questo giudice disponeva rinvio del processo all'udienza del 26.04.2017 per nuova audizione del perito, come da verbale di udienza al quale si fa integrale rimando. All'udienza del 26.04.2017, presente il perito dell'ufficio, le parti chiedevano che la risposta ai rilievi nei confronti dell'elaborato redatto venisse effettuata per il tramite di chiarimenti scritti, riservando eventuali controdeduzioni; questo giudice disponeva in conformità e rinviava il processo all'udienza del 20.09.2017 per nuova audizione del perito. All'udienza del 20.09.2017 questo giudice rinviava il processo all'udienza del 23.05.2018 su richiesta delle parti, come da verbale, al quale si rimanda. All'udienza del 23.05.2018 questo giudice rinviava il processo all'udienza del 26.09.2018, su richiesta del difensore dell'imputato, come da verbale, nulla opponendo le altre parti. All'udienza del 26.09.2018 questo giudice disponeva procedersi all'escussione del perito e, all'esito, su richiesta congiunta delle parti, rinviava il processo all'udienza del 29.05.2019 per la discussione del PM. All'udienza del 29.05.2019 questo giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento ed i verbali di prove orali assunte e, all'esito della discussione del PM, rinviava il processo all'udienza del 30.10.2019 per la discussione dei difensori della parte civile e del responsabile civile. All'udienza del 30.10.2019 questo giudice, udita la discussione delle parti come calendarizzata, rinviava il processo all'udienza del 29.04.2020 per la discussione dei difensori degli imputati. L'udienza del 29.04.2020 veniva rinviata d'ufficio a quella del 23.09.2020 con decreto del 29.04.2020 ex art. 83 D.L. n. 18 del 2020 e visti il decreto per la Sezione Penale dibattimentale e la Sezione GIP/GUP del 23.03.2020 e l'art. 36 D.L. n. 23 del 2020. All'udienza del 23.09.2020 questo giudice, all'esito della discussione del difensore dell'imputato, rinviava il processo all'udienza del 20.01.2021 per repliche, come richiesto dal PM. All'udienza del 20.01.2021 questo giudice rinviava il processo all'udienza del 17.02.2021 su richiesta congiunta delle parti. All'udienza del 17.02.2021 il PM dichiarava di non avere repliche da effettuare e, all'esito della camera di consiglio, questo giudice definiva il processo come da dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) è chiamato a rispondere innanzi al Tribunale di Taranto del reato di cui all'art. 589 comma 3 n. 2 c.p. "perché con negligenza, imprudenza e imperizia, in violazione degli artt. 146 comma 1, 141 comma 1- 2 e 3, 142 comma 1 e 187 comma 1 Codice della Strada, si poneva alla guida della propria autovettura A.R. Mito tg (...) in stato di alterazione psico - fisica per l'uso di cocaina e cannabinoidi e mentre percorreva Viale (...) ad una velocità di 103,5 Km/h, superiore del 107% del limite consentito, e procedendo sulla corsia di sinistra, pur dovendo proseguire diritto, impegnava l'incrocio con Viale T., passando con il semaforo "giallo" così collidendo l'autovettura Lancia Y, tg (...), che proveniva da Viale T., cagionando la morte del conducente della stessa (...) che decedeva in ospedale a seguito delle gravi lesioni riportate nell'impatto", nonché per il reato di cui all'art. 187 comma 1 bis Codice della Strada "per essersi posto alla guida della propria autovettura A.R. Mito tg (...) in stato di alterazione psico - fisica per l'uso di cocaina e cannabinoidi. In Taranto, il 24.04.2009". Dall'istruttoria dibattimentale è emerso quanto segue. Dalla nota della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Sezione distaccata di Manduria del 24.04.2009, protocollo (...), della quale le parti hanno concordato l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, si apprende che, in data 24.04.2009, alle ore 01,05 circa, personale operante del suddetto Compartimento veniva inviato dalla Sala Operativa della Polizia Stradale di Taranto in Viale (...) all'intersezione con viale T., in T., essendosi verificato un grave incidente stradale; che, giunti sul posto, gli operanti accertavano che l'odierno imputato, (...), intorno alle ore 01.00, alla guida dell'autovettura Alfa Romeo Mito targata (...), recante a bordo (...), che occupava il sedile anteriore destro, percorreva Viale (...) dell'abitato di Taranto in direzione di marcia verso (...); che, giunto all'intersezione con viale T., dove esiste un impianto semaforico al momento del controllo regolarmente funzionante, veniva violentemente in collisione con l'autovettura Lancia Y, targata (...), condotta da (...), solo a bordo, che, proveniente da viale T., impegnava l'intersezione stradale per proseguire dritto; che l'urto, di forte entità, avveniva nell'area di intersezione stradale e tutti gli occupanti delle autovetture riportavano lesioni; che i due conducenti, soccorsi dal personale del 118, venivano trasportati presso il Pronto Soccorso dell'ospedale SS Annunziata di Taranto, dove il (...), in prognosi riservata, veniva ricoverato in rianimazione, mentre il (...) veniva giudicato guaribile in giorni quaranta; che anche il passeggero (...) veniva trasportato all'ospedale (...) e giudicato guaribile in giorni venti; che il personale operante chiedeva poi ai sanitari dell'ospedale SS Annunziata di Taranto di sottoporre ad accertamenti sanitari i due conducenti delle autovetture; che il (...) risultava negativo agli accertamenti, mentre le analisi effettuate sul (...) facevano emergere un valore alcolemico nei limiti consentiti dalla legge e positività alla cocaina - test di screening superiore a 5.000 rispetto alla soglia di 300, nonché positività ai cannabinoidi - test di screening 109 ng/ml con valore di normalità sino a 50 ng/ml. Dalla nota del 10.09.2009 della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria protocollo (...), della quale le parti hanno concordato l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, si apprende che il personale operante del suddetto Compartimento, giunto sul posto dell'incidente stradale per cui è processo intorno alle ore 01.30, rilevava che il (...), a bordo dell'autovettura Alfa Romeo Mito di cui sopra, percorreva Viale (...) dell'abitato di Taranto con direzione di marcia da Viale (...) verso via (...) B. e, giunto nei pressi dell'intersezione stradale con viale T., ove esiste impianto semaforico regolarmente funzionante, si poneva verosimilmente sulla corsia di canalizzazione riservata ai veicoli che intendono svoltare a sinistra, nonostante dovesse proseguire dritto, impegnando l'intersezione a velocità ritenuta non commisurata alle condizioni della strada e della visibilità in ragione dell'ora notturna; che, durante la fase dell'attraversamento, giungeva da destra (...), a bordo dell'autovettura Lancia Y di cui sopra, che percorreva viale T. con direzione di marcia dal (...) verso il centro cittadino; che l'urto tra i veicoli, di notevole entità, avveniva nella parte inferiore del quadrante superiore sinistro dell'intersezione rispetto alla direzione di marcia dell'autovettura Alfa Romeo Mito e si concretizzava maggiormente tra la parte antero - laterale destra della suddetta autovettura e la parte antero - laterale sinistra della Lancia Ypsilon; che tale ultima autovettura, dopo l'urto, ruotava in senso orario andando a collidere contro la parte finale della fila dei cartelli pubblicitari esistente sul bordo del marciapiede dell'isola spartitraffico centrale, piegandone alcuni, che, fungendo da rampa, provocavano il sollevamento dell'autovettura e, successivamente, dopo l'urto contro il tronco di un albero, il suo ribaltamento; che l'autovettura Lancia Y veniva rinvenuta con la cappotta adagiata al terreno, con la parte anteriore rivolta in direzione di (...) e con l'organo propulsore sganciato dagli alloggi originari; che, a seguito della violenta collisione, l'autovettura Alfa Romeo Mito, invece, ruotava verso sinistra di circa novanta gradi, collidendo con i cartelli pubblicitari e con il palo dell'illuminazione pubblica posto sull'isola spartitraffico centrale, provocando la caduta della plafoniera ed assumendo posizione di quiete con le ruote di destra sul marciapiede ed a ridosso dei cartelli pubblicitari; che sul manto stradale dell'intersezione, nella parte inferiore del quadrante superiore sinistro rispetto alla direzione dell'autovettura condotta dal (...), veniva rilevata una scalfitura sull'asfalto lunga mt 0,32 con andamento curvilineo sinistrorso, che determinava il presumibile punto d'urto e, parallela alla prima, veniva rilevata una traccia di scarrocciamento di pneumatico lunga 2,50 metri; che i due conducenti venivano soccorsi prima da utenti della strada e, successivamente, dai Vigili del fuoco e dal personale del 118 e venivano trasportati presso il Pronto Soccorso del presidio ospedaliero SS Annunziata; che i risultati delle analisi del (...) davano esito negativo sia per l'assunzione di alcol che per quella di sostanze stupefacenti, mentre le analisi del (...) riportavano i risultati già sopra indicati sia per l'assunzione di alcol che per quella di sostanze stupefacenti; che le autovetture venivano sequestrate; che il (...), sentito dal personale della pattuglia operante nell'immediatezza dei fatti, con riguardo alla dinamica dell'incidente stradale, riferiva verbalmente di avere notato nella sua direzione di marcia che il semaforo emetteva luce gialla; che, in data 25.04.2009, alle ore 08.40, (...) decedeva; che, a causa dell'assenza di testimonianze, nonostante gli accertamenti esperiti, non era stato possibile stabilire quale dei due conducenti avesse attraversato l'intersezione in violazione della segnaletica semaforica; che a carico del (...) venivano elevate contravvenzioni per la violazione dell'art. 141 commi 3 e 8 e dell'art. 143 commi 7 e 13 del Codice della Strada per avere attraversato il centro abitato e l'intersezione stradale in ore notturne a velocità ritenuta non commisurata alle condizioni della strada e della visibilità e per avere percorso la corsia di canalizzazione di sinistra, anziché quella più libera a destra nonostante dovesse proseguire dritto. Dal verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose del 24.04.2009 della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria, del quale le parti hanno concordato la piena utilizzabilità al fine del decidere, si apprende che, posto che gli accertamenti venivano effettuati facendo riferimento alla direzione di marcia da Viale (...) lato mare verso (...) e per Viale T. dal (...) verso il centro città (ossia la direzione dei veicoli coinvolti nel sinistro), il sinistro si verificava in Viale (...) all'intersezione con Viale T., regolamentata da impianto semaforico regolarmente funzionante al momento dell'effettuato accertamento; che il Viale (...), nel tratto interessato dal sinistro, si presentava ad una carreggiata di metri 12,10 prima dell'intersezione e di metri 12,00 dopo l'intersezione, a senso unico di circolazione con tre corsie, di cui quella di destra riservata alla svolta a destra e per procedere dritto, quella centrale per procedere dritto e quella di sinistra per svoltare esclusivamente in quella direzione; che a sinistra la strada era delimitata da uno spartitraffico centrale consistente in un marciapiede rialzato della larghezza di metri sei e caratterizzato dalla presenza di alberi di alto fusto, che si interrompevano nell'area di intersezione per metri 15,70 per riprendere successivamente con le stesse caratteristiche, mentre a destra la carreggiata era delimitata da un marciapiede rialzato largo cinque metri prima dell'intersezione e di metri 4,90 dopo l'intersezione, confinante con le abitazioni civili; che Viale T., invece, si presentava come una strada ad unica carreggiata larga 17,60 metri a doppio senso, con tre corsie di marcia, quella di destra riservata a chi, proveniente dal (...), svolta a destra per immettersi su Viale (...) verso (...) oppure prosegue dritto, quella centrale per chi prosegue dritto e chi svolta a sinistra per immettersi su Viale (...) verso il mare e quella di sinistra per chi da Viale (...) si dirige verso il (...); che la carreggiata era delimitata da un marciapiede rialzato, largo a destra metri 2,50 ed a sinistra metri 1,60, confinante con civili abitazioni; che le due carreggiate erano asfaltate ed in buono stato di conservazione, il manto stradale era asciutto ed in buono stato di conservazione e l'illuminazione pubblica era sufficiente; che, su Viale T., nella direzione dal (...) verso il centro città, corrispondente alla direzione di marcia dell'autovettura Lancia Y condotta dal (...), sul palo di sostegno dell'impianto semaforico, era fissato un segnale di dare precedenza che interveniva nel caso in cui il semaforo risultava spento; che in Viale (...), nell'area di intersezione stradale con Viale T., veniva rilevata, nella parte inferiore del quadrante superiore di sinistra, una scalfitura sull'asfalto di metri 0,32, presumibile punto d'urto, e a 0,65 metri dalla stessa, con andamento curvilineo sinistrorso e parallela alla prima, veniva rilevata una traccia di scarrocciamento da pneumatico lunga metri 2,50; che a metri 4,70 dalla predetta traccia si trovava l'autovettura Alfa Romeo Mito con la parte posteriore rivolta verso il (...), la parte laterale destra a ridosso del marciapiede centrale spartitraffico con angolazione di novanta gradi rispetto alla direttrice di marcia originaria; che a metri 4,10 dello spigolo posteriore destro dell'autovettura Alfa Romeo Mito, sul marciapiede centrale spartitraffico, capovolta tra due fusti di albero, era localizzata l'autovettura Lancia Y con la parte anteriore rivolta verso (...), leggermente obliqua all'asse della strada. Dal verbale di accertamenti urgenti eseguiti sull'autovettura Lancia Y in data 24.04.2009 a cura della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria, del quale le parti hanno concordato l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, si apprende che la Lancia Y, condotta dal (...), presentava la parte anteriore fortemente introflessa con maggiore interessamento del lato sinistro, il cofano motore accartocciato, il paraurti anteriore divelto, il parafango anteriore sinistro divelto, la ruota anteriore sinistra divelta, il parabrezza frantumato, la portiera lato sinistro deformata con vetro divelto, la fiancata posteriore sinistra introflessa, il tetto abitacolo deformato, gli airbag anteriori scoppiati, il longherone anteriore fortemente deformato ed introflesso, gli organi direzionali fortemente danneggiati e l'organo propulsore danneggiato. Dal verbale di accertamenti urgenti eseguiti sull'autovettura Alfa Romeo Mito in data 24.04.2009 a cura della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria, del quale le parti hanno concordato l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, si apprende che la suddetta autovettura, condotta dal (...), presentava la parte anteriore destra fortemente introflessa con cofano motore fortemente accartocciato, il parafango anteriore destro accartocciato, il paraurti anteriore divelto, il parabrezza frantumato, la portiera anteriore destra deformata, la fiancata posteriore destra introflessa, il vetro finestrino rotto, la fanaleria anteriore divelta, gli organi direzionali danneggiati, gli organi meccanici fortemente danneggiati, gli airbag scoppiati, l'abitacolo dissestato, la fiancata sinistra strisciata, il longherone anteriore fortemente deformato ed introflesso. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 02.10.2013, si apprende che lo stesso, in servizio presso il Distaccamento di Polizia Stradale di Manduria, intervenuto sul luogo del sinistro per cui è processo subito dopo lo stesso per la effettuazione dei rilievi, si era recato subito dopo in ospedale ove il (...) riferiva di avere visto il segnale giallo del semaforo; che sul luogo del sinistro erano presenti tante persone e, pur avendo egli chiesto se qualcuno potesse riferire sul sinistro, tutti sostenevano di essere sopraggiunti successivamente, di talché non era stato identificato nessuno; che non era stato possibile verificare la luce semaforica, dal momento che non era stato possibile risalire all'orario preciso dell'incidente. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 02.10.2013, si apprende che lo stesso aveva assistito all'incidente di cui all'imputazione, alla fine del mese di aprile del 2009; che egli si trovava in coda al semaforo in Viale T., per andare verso la città, e scattava la luce verde del semaforo; che partiva una o forse due macchine, per come egli ricordava, dal momento che era intento a guardare il colore del semaforo, e, subito dopo, una Lancia Y rossa, che giungeva all'angolo dello spartitraffico dove avveniva una collisione; che dopo la Lancia Y c'era un'altra autovettura e poi la propria autovettura, di talché egli vedeva bene la collisione tra la Lancia Y ed una Alfa Romeo scura; che al momento della collisione egli era quasi giunto all'angolo e notava che la Lancia si ribaltava, andando a finire sullo spartitraffico; che la Alfa Romeo rimaneva all'angolo, dove c'erano cartelli pubblicitari ed egli svoltava a destra, perché l'angolo era impegnato dall'incidente, si fermava ed assisteva ad una situazione raccapricciante, vedendo il conducente della Lancia Y con il braccio fuori dal finestrino; che egli, essendovi tanta gente, era andato via, dal momento che tali situazioni lo toccavano; che egli era rimasto sul posto cinque o sei minuti; che il conducente della Lancia indossava la cintura; che egli svolgeva attività di commerciante ed aveva punti vendita diversi in città, anche nelle aree mercatali e si era parlato dell'incidente nel punto vendita del Quartiere (...); che la moglie della persona deceduta era una sua cliente e, parlando dell'incidente tra clienti e tra commercianti, egli aveva detto di avere assistito all'incidente; che tale notizia era giunta all'orecchio della moglie del deceduto, la quale si era recata nell'area mercatale del Quartiere (...), dove era stata divulgata la notizia; che egli si era allontanato dal luogo del sinistro perché aveva precedenti spiacevoli di incidenti stradali in famiglia ed era toccato dalla situazione; che egli non aveva ritenuto di recarsi spontaneamente presso la Polizia Stradale dopo l'incidente; che anche il conducente del mezzo che precedeva il suo si era fermato, ma non aveva visto dove fosse andato; che quando egli era andato via non erano giunti i soccorsi e nemmeno la polizia; che quando la prima macchina del semaforo aveva interessato l'incrocio, lo stesso emetteva luce verde ed anche al momento del passaggio della Lancia Y, dal momento che era ancora verde al suo passaggio; che egli non poteva dire con precisione l'orario del sinistro, avvenuto intorno all'una di notte; che egli non sapeva che la sua cliente fosse la moglie dell'uomo deceduto e non sapeva nemmeno come si chiamasse. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 05.03.2014, si apprende che lo stesso era presente al momento dell'incidente di cui all'imputazione, avvenuto intorno all'una di notte, tra il 23 ed il 24 aprile del 2009; che egli si trovava in Viale (...) e cercava di attraversare la strada, a circa una decina di metri dall'incrocio tra Viale (...) e Viale T., nella direzione del Ponte Punta Penna; che egli aveva parcheggiato la autovettura su Viale (...) ed aveva percorso circa 50 metri a piedi per giungere alle strisce pedonali, per recarsi al bar (...) a prendere un caffè; che egli si accingeva ad attraversare quando si avvedeva che stava arrivando una autovettura di colore scuro che procedeva ad elevata velocità e, pertanto, si fermava; che mentre egli si apprestava ad attraversare la strada, si avvedeva della presenza del rosso pedonale, mentre il verde pedonale scattava all'arrivo dell'autovettura scura; che, mentre egli si fermava all'arrivo dell'autovettura Alfa Romeo, quest'ultima andava a sbattere contro un'altra autovettura proveniente da viale T., che egli presumeva dovesse procedere diritto; che l'autovettura Alfa percorreva la corsia più estrema rispetto al marciapiede; che egli aveva sentito un rumore pazzesco ed aveva visto l'autovettura rossa ribaltarsi, essendo stata spostata sull'isolotto pedonale dall'impatto; che l'autovettura scura, invece, si era fermata vicino ad alcuni cartelli pubblicitari, che si trovavano al margine degli isolotti pedonali; che all'interno dell'autovettura nera erano presenti due persone; che egli era rimasto impietrito e non riusciva a capire cosa fosse successo e, successivamente, si avvicinava alle autovetture, avvedendosi della presenza di una persona nell'autovettura rossa e di due persone in quella nera; che la persona all'interno dell'autovettura rossa non si muoveva, l'autovettura era capovolta ed una parte del corpo sporgeva dall'abitacolo; che dietro l'autovettura nera non erano presenti altre autovetture ed al momento dell'impatto non era presente nessuno; che dopo un minuto era sopraggiunta un'altra autovettura su Viale (...); che egli era rimasto qualche minuto sul posto, ma non aveva pensato a chiamare i soccorsi perché tutte le persone che erano sopraggiunte avevano cercato di chiamare aiuto; che egli non aveva nemmeno visto sopraggiungere l'ambulanza, perché dopo un po' era tomato a casa, non essendo più passato dal bar; che l'autovettura dell'imputato occupava la parte più estrema della carreggiata, come se dovesse svoltare a sinistra ed invece aveva proceduto dritto; che sino a quando egli era rimasto sul posto non era intervenuta la Polizia; che egli non ricordava esattamente, ma qualche autovettura aveva certamente impegnato l'incrocio prima dell'autovettura rossa, una o forse due autovetture, ma non ne era sicuro; che l'impatto era avvenuto a livello della careggiata sulla quale viaggiava la autovettura nera. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 05.03.2014, si apprende che lo stesso la sera del 23 aprile 2009 si trovava a cena con il (...) ed il (...) e, dopo cena, prima di fare rientro a Grottaglie, si fermavano al bar (...) in Viale (...) e gli amici prendevano un caffè, andando via tutti insieme; che egli si trovava a bordo di una autovettura insieme a (...), mentre il (...) si trovava all'interno della sua autovettura con il (...); che il (...) viaggiava davanti alla autovettura ove egli si trovava, all'incirca venti o trenta metri prima e c'era ima buona visibilità in assenza di traffico; che egli vedeva il (...) spostarsi dal centro strada verso sinistra e non capiva le ragioni della manovra, durata pochi istanti, atteso che egli vedeva uscire un'autovettura proveniente dalla destra che colpiva quella del (...) sul "muso"; che l'autovettura si girava su se stessa fermandosi su un pannello pubblicitario, mentre l'altra autovettura, una Lancia, nell'impatto urtava il marciapiede, si sollevava da terra e finiva la marcia sul marciapiede, completamente capovolta; che, subito dopo avere attraversato l'incrocio, fermavano la marcia per controllare la situazione; che il (...) aveva subito parlato anche se era pieno di sangue e lamentava problemi alla gamba, chiedendo di I.; che egli si sentiva afferrare da una spalla ed allontanare, perché era arrivata la Polizia e gli operanti dicevano di allontanarsi, anche se egli comunicava di essere un amico dei feriti; che nell'altra autovettura c'era una persona, della quale fuoriusciva il braccio insieme al sangue; che la Polizia non lo aveva generalizzato, ma diceva di allontanarsi immediatamente; che quando egli aveva attraversato l'incrocio, il semaforo emanava luce verde; che nulla faceva pensare che qualcuno tra i partecipanti alla cena non fosse in grado di guidare; che dietro l'autovettura del (...) c'erano alcune macchine; che egli non aveva mai visto il (...) fare uso di sostanze stupefacenti e non aveva mai sentito nessuno che lo dicesse, altrimenti si sarebbe allontanato; che egli non ricordava se ci fossero altre autovetture provenienti da Viale T., passate prima di quella che aveva impattato con il (...). (...), titolare della cattedra di Tossicologia Forense presso l'università degli Studi di Bari, nell'elaborato redatto, acquisito al fascicolo per il dibattimento all'esito della relativa escussione all'udienza del 05.03.2014, ha rilevato che l'analisi era stata condotta sulle urine del (...) e, pertanto, il risultato analitico non poteva servire a rilevare un'eventuale guida in stato di alterazione psico - fisica dopo avere assunto sostanze stupefacenti e psicotrope e che l'analisi eseguita con metodica immunoenzimatica (come quella effettuata sul (...)) non ha valore legale, essendo considerata un test di screening di primo livello che necessita di un test di conferma di secondo livello, perché affetta da falsi positivi con percentuale dal 4% al 9% nelle migliori metodiche enzimatiche e da reazioni positive anche per assunzione di altri farmaci non stupefacenti. In sede di deposizione testimoniale, resa all'udienza del 05.03.2014, (...), confermando l'elaborato redatto, ha riferito che dall'esame effettuato sull'urina non emerge che la sostanza sia in circolo, ma che la sostanza è stata assunta in un arco temporale variabile da mezz'ora a diversi giorni prima e che l'organismo sta eliminando e che lo stesso esame dell'urina è un'analisi di tipo screening, orientativo; che il dato quantitativo 5.000 di cocaina nelle urine era un dato molto strano, indicativo che qualcosa non andava, in quanto troppo elevato, potendo dipendere da un farmaco o da un'altra sostanza simile alla cocaina, trattandosi di una quantità troppo elevata per essere presente nelle urine. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 05.03.2014, si apprende che egli si trovava a bordo dell'autovettura condotta dal (...), insieme allo stesso, dal momento che era un suo amico di vecchia data con il quale era stato a cena a Taranto; che, dopo cena, erano stati al bar (...) per un caffè e dovevano rientrare a Grottaglie; che, mentre percorrevano Viale (...), all'altezza con viale T., erano entrati in collisione con un'altra autovettura; che il semaforo emetteva luce verde; che l'autovettura del (...) si era girata due o tre volte, mentre l'altra autovettura, avendoli colpiti con lo spigolo anteriore, era planata, si era ribaltata sulla piazzola spartitraffico; che, a causa dell'urto, egli aveva subito due fratture alle costole, si era rotto il setto nasale ed aveva varie escoriazioni oltre un punto sulla lingua; che gli era stato riferito da un amico che egli aveva perso anche conoscenza per alcuni secondi; che il (...) procedeva ad una velocità moderata, anche perché il traffico era scorrevole e non c'era bisogno di correre; che egli aveva visto l'autovettura provenire all'improvviso dalla destra, a forte velocità ed aveva detto al (...) che l'autovettura stava venendo loro addosso; che il (...) aveva provato a sterzare, ma non era riuscito ad evitare l'impatto; che il (...), per quanto a sua conoscenza, non aveva fatto mai uso di sostanze stupefacenti; che egli aveva visto la luce semaforica verde accendersi appena arrivati all'incrocio, a circa dieci, quindici o venti metri dallo stesso. Dalla deposizione del teste (...), escusso all'udienza del 09.04.2014, si apprende che lo stesso era amico del (...) e la sera dell'incidente si trovava insieme allo stesso ed ad altri amici a cena a Taranto presso il ristorante (...); che, dopo cena, egli si era recato insieme agli altri al bar (...) per prendere un caffè; che egli si trovava insieme al (...) alla guida della propria autovettura, seguendo quella condotta dal (...) sul Viale (...); che non c'era molto traffico e procedevano al centro della carreggiata; che, giunti all'altezza di viale T., il (...), che stava per attraversare l'incrocio, ad un certo punto aveva tentato di fare una manovra sulla sinistra, dal momento che da destra giungeva una autovettura che lo aveva colpito in pieno; che l'autovettura del (...) transitava con il semaforo con luce semaforica verde; che l'autovettura proveniente dalla destra aveva colpito quella del (...) nella parte anteriore, sul "muso" (pagina 12 della trascrizione da fonoregistrazione); che, dopo l'incidente, oltrepassato l'incrocio, egli fermava l'autovettura per scendere dalla stessa ed insieme al (...) verificava le condizioni dei passeggeri dell'autovettura del (...); che il (...) era cosciente e diceva che gli faceva male la gamba, mentre l'altro passeggero era un po' intontito; che si era trattato di attimi perché era poi giunta la Polizia che lo aveva strattonato, dicendo di allontanarsi; che la Polizia non aveva generalizzato nessuno e successivamente erano arrivati un po' di curiosi che si erano fermati sul posto dell'incidente; che non era stato identificato nessuno dei presenti; che egli procedeva ad una velocità di 40 Km orari ed era diretto a Grottaglie; che il (...) stava bene e poteva guidare tranquillamente e non aveva problemi di alcun genere; che l'incidente era avvenuto intorno all'una di notte; che il traffico era scorrevole; che durante la serata il (...) non aveva assunto sostanze stupefacenti; che l'autovettura del (...) aveva urtato sulla parte anteriore quella del (...), che aveva fatto una sorta di rotazione, andando a sbattere sui pannelli dello spartitraffico, mentre l'altra autovettura si era capovolta ed era andata a finire sullo spartitraffico; che egli aveva fermato la sua autovettura dopo l'incrocio all'esito dell'impatto e l'autovettura del (...) si trovava in una posizione di quiete con il muso in direzione opposta rispetto alla loro marcia. In riferimento all'incidente mortale di cui all'imputazione, il consulente del PM, dottoressa Michela Papadopoli, il cui elaborato è stato acquisito in atti con gli allegati ed è stato confermato dallo stesso in dibattimento, al quale si fa integrale rimando e da intendersi in questa sede trascritto, facendosi altresì rimando alla documentazione allegata alla relazione di consulenza, ha concluso che "dall'analisi effettuata sui mezzi oggetto di sinistro e sul luogo dell'incidente nonché dallo studio esposto nella presente relazione, si può dire che il sinistro è avvenuto con la seguente dinamica. L'autovettura Alfa Romeo MITO tg (...) guidata dal signor (...) con a bordo il signor (...), percorreva in ora notturna Viale (...) con direzione di marcia da Viale (...) verso via (...) B. con una velocità di marcia elevata pari a v1 =28,75 m/s = 103,5 km/h con un eccesso del 107% rispetto al limite vigente. Giunta all'intersezione stradale con Viale T., dove esiste impianto semaforico al momento regolarmente funzionante così come dichiarato dalla Polizia Stradale intervenuta, impegnava l'intersezione a velocità non commisurata alle condizioni della strada e della visibilità, entrando in collisione con l'autovettura Lancia Ypsilon. Tale autovettura Lancia Ypsilon, targata (...), condotta dal signor (...) percorreva Viale T., con direzione di marcia dal (...) verso centro di città, ad una velocità di poco superiore al limite pari v2 = 17,07 m/s = 61,40 km/h. L'urto di natura "violenta" avveniva tra la parte antero - destra dell'Alfa Romeo Mito ... e la parte antero - sinistra della Lancia Y... - L'impianto semaforico era funzionante, così come dichiarato dalla Polizia intervenuta - Il signor (...) è passato con il giallo come da lui dichiarato, anche se in tal caso appare poco probabile che il signor (...) non abbia avuto il tempo di arrestarsi al rosso, oppure non ha rispettato il rosso - è opportuno sottolineare che il signor (...) non era nel pieno delle sue capacità al momento del sinistro in quanto risultato positivo ai test per la cocaina e cannabinoidi". In riferimento all'incidente mortale di cui all'imputazione, il consulente della parte civile, dottor Vitantonio Coriolano, il cui elaborato è stato acquisito in atti unitamente agli allegati ed è stato confermato dallo stesso in dibattimento, al quale si fa integrale rimando e da intendersi in questa sede trascritto, facendosi altresì rimando alla documentazione tutta allegata alla relazione di consulenza, nell'elaborato redatto ha rilevato che, facendo applicazione dei principi di conservazione dell'energia e della conservazione della quantità di moto, si poteva definire che la velocità di arrivo all'urto della Lancia Y era di circa 54 Km/h, mentre quella dell'Alfa Romeo Mito, condotta dall'imputato, era di 66 Km/h; che la velocità di arrivo all'urto dell'autovettura Lancia Y non era ritenuta fuori limite, in quanto la stessa autovettura era in accelerazione e, pertanto, la velocità di arrivo all'urto era quella massima raggiunta con quella accelerazione ed anzi se la velocità di arrivo all'urto fosse stata maggiore di quella calcolata, e ritenuta fuori limite, il sinistro non si sarebbe verificato, atteso che il (...) sarebbe riuscito ad oltrepassare l'incrocio ed il conducente dell'autovettura antagonista, occupando la terza corsia di canalizzazione di Viale (...), sarebbe riuscito a passare dal retro della Lancia Y, senza provocare l'incidente; che l'autovettura Alfa Romeo Mito arrivava all'urto alla velocità di 66 Km/h decelerando da una velocità di 102/105/km/h. Il consulente della parte civile ha rilevato altresì che, per come emergente dalla tempistica semaforica prodotta dal Servizio Sistema Territoriale Mobilità e Traffico del Comune di Taranto, potevano formularsi diverse ipotesi. Segnatamente il consulente della parte civile ha rilevato che "1) se il conducente dell'autovettura Lancia Y avesse impegnato l'incrocio, allorquando la lanterna semaforica di Viale T. emetteva luce "verde - gialla", necessariamente il conducente dell'Alfa Romeo Mito avrebbe avuto il "rosso" su tutte le lanterne semaforiche di Viale (...) ... Ipotesi estrema ma possibile per l'autovettura Lancia Y, in quanto per l'attraversamento dell'incrocio, il conducente dell'autovettura Lancia Y avrebbe impiegato 1,8 - 2 secondi, mentre la luce gialla aveva una durata di quattro secondi. 2) se il conducente dell'autovettura Alfa Romeo Mito avesse impegnato l'incrocio allorquando le lanterne semaforiche emettevano luce "verde" su tutte le corsie di canalizzazione ... fermo restando che il (...) non avrebbe potuto e dovuto tentare di effettuare l'attraversamento integrale dell'incrocio, ma limitarsi a svoltare a sn., allora per il conducente dell'autovettura Lancia Y vi sarebbe stata la lanterna rossa già da un secondo, per cui, ... non avrebbe nemmeno tentato di oltrepassare l'incrocio in accelerazione, in quanto può presumersi che questo, essendo cittadino tarantino, sarebbe stato ben consapevole che si trattava di attraversare una importante via cittadina, ad alta densità di traffico e molto larga, con semicarreggiate ed isola spartitraffico centrale, per un totale di circa 30 mt. 3) se il conducente dell'autovettura Alfa Romeo Mito avesse impegnato l'incrocio allorquando le lanterne semaforiche emettevano luce "verde" sulla corsia di canalizzazione adibita per la svolta a destra e diritto ... e a luce "gialla" sulla corsia di canalizzazione adibita alla svolta a sinistra per Viale T...., ipotesi che viene qui evocata in relazione alla dichiarazione dello stesso (...), questi avrebbe visto una lanterna a luce "verde" non afferente la propria corsia di marcia; contemporaneamente, il conducente dell'autovettura Lancia Y avrebbe avuto la lanterna "rossa" già da 12 secondi... 4) se il conducente dell'autovettura Alfa Romeo Mito avesse impegnato l'incrocio, allorquando le lanterne semaforiche emettevano luce "gialla" sulla corsia di canalizzazione adibita per la svolta a destra e diritto ... e a luce "rossa" sulla corsia di canalizzazione adibita alla svolta a sinistra per Viale T.... allora il conducente dell'autovettura Lancia Y avrebbe avuto la lanterna "rossa" già da 53 secondi e la stessa sarebbe durata ulteriori 32 secondi, dopo di che si sarebbe acceso il segnale di "verde". Sulla scorta di quanto esposto, pertanto il consulente della costituita parte civile ricostruiva la dinamica del sinistro, rilevando che il conducente dell'autovettura Lancia Y percorreva il viale T. con direzione di marcia dal (...) verso il centro cittadino e, tenuto conto che si muoveva da fermo, quando si trovava alla distanza di 22,6 metri prima del punto di urto, ossia 3,6 metri dalla lanterna semaforica, accelerava oltrepassandola mentre emetteva luce verde alla velocità di 21,5 Km/h e giungeva al punto di urto alla velocità sopra indicata; che il conducente della Alfa Romeo Mito, invece, circa 48 metri prima di giungere al punto d'urto, ovvero prima di giungere alla lanterna semaforica di Viale (...), si trovava sulla corsia di canalizzazione di sinistra adibita tassativamente alla svolta dei veicoli su viale T., in direzione di (...), alla velocità di circa 105 Km/h e si limitava a decelerare, verosimilmente senza frenare, non essendo state rilevate tracce di frenata, e giungeva al punto d'urto alla velocità già indicata; che l'urto tra i veicoli avveniva nella parte antero laterale destra dell'Alfa Romeo Mito ed in quella antero laterale sinistra dell'autovettura Lancia Y, tanto che, per la elevata eccentricità dell'urto, entrambe le autovetture entravano in una forte rotazione antioraria ed in forte rollio e, segnatamente, la Lancia Y urtava la parte finale dei cartelli pubblicitari esistenti sul bordo del marciapiede - spartitraffico di Viale (...) e completava il rollio capovolgendosi sul marciapiede stesso, urtando anche uno degli alberi, mentre l'autovettura Alfa Romeo, dopo l'urto, con la parte postero - laterale destra collideva con i cartelli pubblicitari, abbatteva il palo della pubblica illuminazione e saliva con le ruote di destra sul marciapiede dell'isola spartitraffico di Viale (...). In sede di deposizione testimoniale resa all'udienza del 02.10.2013 lo stesso consulente della parte civile ha riferito che, nelle ipotesi sviluppate, egli faceva percorrere all'autovettura Alfa Romeo sempre la corsia di sinistra del Viale (...); che non essendovi tracce di frenata, erano state rilevate delle direzioni di marcia; che secondo tali direzioni, anche con i calcoli effettuati, secondo cui l'Alfa Romeo giungeva all'urto con un angolo preso come asse di riferimento da Viale (...) verso via (...) B., stando su Viale (...), di sette gradi, mentre la Lancia Y giungeva con un angolo di 100 gradi circa, tenuto conto che l'incrocio non era perfettamente a 90 gradi, ma aveva un angolo proprio misurato graficamente, da quello che emergeva dal rapporto della Polizia stradale, di circa 98 gradi, riportando indietro la tempistica psicotecnica, si riscontrava che la Alfa Romeo Mito occupava la terza corsia adibita alla svolta a sinistra e non già alla corsia centrale o, meglio ancora, la prima corsia che è adibita ad andare solo diritto o per la svolta a destra; che, secondo la configurazione d'urto, se la Alfa Romeo Mito avesse percorso la corsia centrale, l'urto forse non si sarebbe nemmeno verificato, perché sarebbe riuscita a passare da tergo. In riferimento all'incidente mortale di cui all'imputazione, il consulente dell'imputato, dottor (...), il cui elaborato è stato acquisito in atti ed è stato confermato dallo stesso in dibattimento, al quale si fa integrale riferimento e da intendersi in questa sede trascritto, facendosi altresì rimando alla documentazione tutta allegata alla relazione di consulenza, ha ricostruito il sinistro rilevando che il conducente dell'autovettura Alfa Romeo Mito, alle ore 01.00 circa del 24.04.2009, percorreva la corsia centrale di Viale (...) in T., in direzione via (...) B., e, giunto all'altezza di viale T., impegnava l'area di intersezione, con il semaforo posizionato sul giallo e tanto si verificava mentre il conducente della Lancia Y, che percorreva il viale T. in direzione del centro della città, eseguiva analoga manovra; che l'impatto tra i due veicoli si verificava nell'area di intersezione in prossimità del marciapiede spartitraffico centrale ed entrambe le autovetture giungevano all'urto secondo un angolo assoluto di circa 90 gradi, con velocità di 28 Km/h per la Lancia Y e di 60 Km/h per la Alfa Romeo Mito; che l'impatto interessava la fiancata anteriore destra e la zona destra del frontale dell'Alfa Romeo e la zona sinistra del frontale della Lancia Y ed era violento ed eccentrico per entrambi i veicoli, tanto da indurre sulla Lancia Y un impulso rotatorio baricentrico orario con moto post urto in deriva a destra, accompagnato da un momento ribaltante sulla fiancata sinistra e sulla Alfa Romeo un impulso rotatorio baricentrico antiorario con moto post urto in deriva a destra; che, uscite dall'urto con velocità di 37,88 Km/h per la Alfa Romeo e di 34,91 Km/h per la Lancia Y, le autovetture raggiungevano lo stato di quiete come riscontrato dalla PG, dopo avere percorso rispettivamente la prima metri 8,81 circa ed avere ruotato in senso antiorario di 90 gradi e la seconda metri 14,62 ed avere ruotato in senso orario di 119 gradi; che il reciproco avvistamento si verificava due secondi prima dell'impatto, quando la Lancia Y e l'Alfa Romeo si trovavano ad una distanza dalla zona d'urto rispettivamente pari a 15,56 metri e 33,34 metri; che, considerando che nel caso di specie l'intervallo psicotecnico di percezione e reazione era compreso tra 1,25 e 2,25 secondi, ne discendeva che il conducente dell'Alfa Romeo non avrebbe potuto fare nulla per evitare l'impatto, anche se la velocità di marcia fosse stata contenuta nel limite di 50 Km/h. Il consulente dell'imputato, pertanto, ha concluso escludendo che "il sinistro si sia verificato per avere il conducente dell'Alfa Romeo Mito impegnato l'area di intersezione a velocità di poco superiore al limite vigente, perché il reciproco avvistamento si è verificato allorquando tempi e spazi erano ormai insufficienti ed alcuna manovra utile poteva essere messa in atto al fine di evitare la collisione" escludendo altresì che "il conducente abbia impegnato l'area dell'incrocio, percorrendo la corsia di sinistra di Viale (...)" e rilevando che il sinistro si è verificato perché uno dei conducenti ha impegnato l'area di intersezione con luce semaforica rossa e tale potrebbe essere il conducente della Lancia Y, per quanto dichiarato a SIT dal (...) (pagina 20 della relazione di consulenza). In sede di esame reso all'udienza del 05.03.2014 (...) ha riferito che la sera del sinistro egli aveva cenato a Taranto con amici, presso il ristorante (...), ed al ritorno si fermava al (...) per prendere un caffè; che il bar si trovava due o tre angoli prima dell'incidente, sulla destra ed era un bar molto frequentato; che il bar forse era denominato (...); che egli si era recato a cena con (...), (...) e (...); che egli si trovava alla guida dell'Alfa Romeo Mito e occupava la corsia centrale ad una velocità costante ed "usuale in paese" (pagina 18 della trascrizione da fonoregistrazione) e quando arrivava all'angolo tra Viale (...) e viale T., sbucava improvvisamente una macchina dalla destra; che egli ricordava perfettamente di essere passato con il verde e non aveva avuto la possibilità di frenare, buttandosi per istinto sulla sinistra nel tentativo di schivare l'impatto; che egli viaggiava su Viale (...) in direzione del Ponte di Punta Penna per tornare a Grottaglie; che egli viaggiava alla velocità di 40 o 50 km/h; che, giungendo da Viale (...), non si aveva la visuale di chi veniva dalla destra, se non arrivando direttamente all'incrocio; che dietro la propria autovettura c'erano altre autovetture, ma davanti invece no; che anche l'autovettura del (...) non era preceduta da altre autovetture; che egli non aveva assunto sostanze stupefacenti e contestava l'esito degli accertamenti, non avendo assunto sostanza stupefacente nemmeno nei giorni, nelle settimane e nei mesi precedenti; che egli non era stato sentito da nessuno nell'immediatezza dei fatti, ma era stato condotto presso l'Ospedale SS Annunziata; che intervenivano subito la Polizia ed i Carabinieri e c'erano anche i Vigili Urbani ed il personale del 118 aveva tagliato le cinture dell'autovettura per estrarlo dalla stessa, dal momento che egli aveva il femore rotto; che egli aveva saputo del decesso del conducente dell'altra autovettura dopo due o tre giorni. In atti vi è il fascicolo dei rilievi tecnici inerenti l'incidente per cui è processo della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria contenente 16 fotogrammi del luogo del sinistro e realizzati in data successiva allo stesso, nonché delle autovetture coinvolte nell'incidente, nonché il fascicolo dei rilievi tecnici planimetrici della stessa Sezione di Polizia Stradale inerenti lo stesso sinistro (ai quali si fa integrale rimando e da intendersi in questa sede trascritti anche con riferimento allo stato dei luoghi ed alla posizione di quiete dei veicoli dopo l'urto come accertata appena dopo il sinistro). Vi è altresì verbale di accertamenti urgenti sulle persone finalizzati alla verifica del tasso di alterazione conseguente all'assunzione di stupefacenti del 24.04.2009 della Polizia di Stato - Compartimento Polizia Stradale per la Puglia - Distaccamento di Manduria inerente (...), in atti quale atto irripetibile, da cui risulta che lo stesso, quale conducente dell'autovettura Alfa Romeo Mito, targata (...), era rimasto coinvolto in un incidente stradale e l'attività di rilevamento compiuta aveva fatto sorgere il sospetto di una recente assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, con conseguente alterazione delle condizioni psicofisiche, essendo stato pertanto accompagnato presso l'ospedale SS Annunziata di Taranto ed invitato a sottoporsi ad accertamento per l'assunzione di tali sostanze; vi sono altresì i risultati delle analisi effettuate per il (...) da cui risulta la effettuazione di test qualitativo droghe da abuso e il riscontro tramite test di screening di primo livello semiquantitativo della presenza di cocaina per un valore di 5000,00 (negativo fino a 300 metodo FPIA) e tramite test di screening primo livello semiquantitativo per i cannabinoidi di un valore di 109 ng/ml (negativo sino a 50 - metodo FPIA), nonché valori di alcolemia di 31 mg/dl con valori di riferimento sino a 50. Dal certificato n. 4556 del 24.04.2009 della Struttura Complessa di medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza del Presidio Ospedaliero Centrale SS Annunziata di Taranto risulta che (...) veniva ricoverato presso il reparto di rianimazione con prognosi riservata e diagnosi di politrauma della strada, trauma cranico commotivo con ematoma palpebrare bilaterale, ecchimosi e multiple f.p.c. del cranio e del volto e contusioni multiple. Dal verbale delle indagini occorrenti per la identificazione del cadavere e degli atti concernenti l'accertamento della causa della morte di (...) del 25.04.2009 risulta che la causa del decesso era da ricondurre al trauma fratturativo del cranio facciale e tali lesioni erano in rapporto causale con l'incidente stradale, non richiedendosi ulteriori riscontri e, in data 25.04.2009, pertanto, il PM dichiarava il nulla osta al seppellimento; vi è altresì comunicazione del 25.04.2009 della Struttura Complessa di anestesia - rianimazione e terapia antalgica del Presidio ospedaliero centrale SS Annunziata e S. Giuseppe (...) da cui risulta il decesso del (...) alle ore 08.40 del 25.04.2009. Orbene, così ricostruiti i fatti, non sussistono dubbi in ordine alla ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie di reato in questa sede contestate all'imputato, per come di seguito sarà esplicitato. E' dato pacificamente acquisito all'esito della compiuta istruttoria, non essendovi nemmeno contestazione a riguardo da alcuna delle parti, che, in data 24.04.2009, intorno alle ore 01.00 circa, l'autovettura Alfa Romeo Mito di cui all'imputazione condotta da (...), che procedeva in Viale (...) con direzione verso (...), all'altezza dell'intersezione con viale T., impattava violentemente con l'autovettura Lancia Y, di cui all'imputazione, condotta da (...) che percorreva tale ultimo viale con provenienza dal (...) verso il centro cittadino e, all'esito del violento urto, il (...) decedeva a cagione delle ferite riportate per il trauma conseguente all'incidente stradale verificatosi. Il personale operante della Polizia Stradale del Comparto di Manduria, il cui intervento sul posto veniva procurato dalla Sezione di Polizia Stradale di Taranto per i rilievi del caso, effettuava tutti gli accertamenti inerenti lo stato dei luoghi, tutti i rilievi planimetrici del sinistro e gli accertamenti sullo stato delle autovetture dopo l'impatto, come rinvenute, effettuando poi la ricostruzione del sinistro, come compendiata negli atti di indagine acquisiti al fascicolo per il dibattimento ai fini decisori, come concordato dalle parti, per come sopra indicati ed ampiamente sunteggiati. Sulla scorta della suddetta ricostruzione, il personale operante rilevava che il (...), a bordo dell'autovettura Alfa Romeo Mito di cui sopra, percorreva Viale (...) dell'abitato di Taranto con direzione di marcia da Viale (...) verso via (...) B. e, giunto nei pressi dell'intersezione stradale con viale T., ove esisteva impianto semaforico regolarmente funzionante, si poneva verosimilmente sulla corsia di canalizzazione riservata ai veicoli che intendono svoltare a sinistra, nonostante dovesse proseguire dritto, impegnando l'intersezione a velocità ritenuta non commisurata alle condizioni della strada e della visibilità in ragione dell'ora notturna; che, durante la fase dell'attraversamento, giungeva da destra (...), a bordo dell'autovettura Lancia Y di cui sopra, che percorreva viale T. con direzione di marcia dal (...) verso il centro cittadino; che l'urto violento tra i veicoli avveniva nella parte inferiore del quadrante superiore sinistro dell'intersezione rispetto alla direzione di marcia dell'autovettura Alfa Romeo Mito e si concretizzava maggiormente tra la parte antero - laterale destra della suddetta autovettura e la parte antero - laterale sinistra della Lancia Ypsilon; che tale ultima autovettura, dopo l'urto, ruotava in senso orario andando a sbattere contro la parte finale della fila dei cartelli pubblicitari esistente sul bordo del marciapiede dell'isola spartitraffico centrale, piegandone alcuni, che, fungendo da rampa, provocavano il sollevamento dell'autovettura e, successivamente, a seguito dell'urto contro il tronco di un albero, il suo ribaltamento; che l'autovettura Lancia Y veniva di fatti rinvenuta con la cappotta adagiata al terreno, con la parte anteriore rivolta in direzione di (...) e con l'organo propulsore sganciato dagli alloggi originari; che, a seguito della violenta collisione, l'autovettura Alfa Romeo Mito, invece, ruotava verso sinistra di circa novanta gradi, sbattendo contro i cartelli pubblicitari ed il palo dell'illuminazione pubblica posto sull'isola spartitraffico centrale, provocando la caduta della plafoniera ed assumendo posizione di quiete con le ruote di destra sul marciapiede ed a ridosso dei cartelli pubblicitari; che sul manto stradale dell'intersezione, nella parte inferiore del quadrante superiore sinistro rispetto alla direzione dell'autovettura condotta dal (...), veniva rilevata una scalfitura sull'asfalto lunga mt 0,32 con andamento curvilineo sinistrorso che determinava il presumibile punto d'urto tra le due autovetture e, parallela alla prima, veniva rilevata una traccia di scarrocciamento di pneumatico lunga 2,50 metri; che i due conducenti venivano soccorsi da utenti in transito e, successivamente, dai vigili del fuoco e dal personale del 118 e venivano trasportati presso il Pronto Soccorso del SS Annunziata; che, in data 25.04.2009, alle ore 08.40, il (...) decedeva; che, a causa della mancanza di testimoni dell'intervenuto sinistro, nonostante gli accertamenti effettuati non era stato possibile stabilire quale dei due conducenti avesse attraversato l'intersezione in violazione della segnaletica semaforica; che a carico del (...) venivano elevate contravvenzioni per la violazione dell'art. 141 commi 3 e 8 del Codice della Strada e 143 commi 7 e 13 per avere attraversato il centro abitato e l'intersezione stradale in ore notturne a velocità ritenuta non commisurata alle condizioni della strada e della visibilità e per avere percorso la corsia di canalizzazione di sinistra anziché quella più libera a destra nonostante dovesse proseguire dritto. Gli accertamenti venivano effettuati facendo riferimento alla direzione di marcia da Viale (...) lato mare verso (...) e per Viale T. dal (...) verso il centro città (ossia la direzione dei veicoli coinvolti nel sinistro), consentendo di appurare che il sinistro si verificava in Viale (...) all'intersezione con Viale T., regolamentata da impianto semaforico regolarmente funzionante al momento dell'effettuato accertamento e portavano ad una precisa individuazione delle caratteristiche topografiche e strutturali di Viale (...) e di Viale T., nei tratti interessati dal sinistro, come già sopra ampiamente indicato, nonché dei danni riportati da entrambe le autovetture coinvolte dal sinistro. Orbene, ex art. 141 comma 1, 2 e 3 del Codice della Strada, che rileva al fine dell'imputazione come ascritta al (...): "E' obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche ed alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine nella circolazione. Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile. In particolare, il conducente deve regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell'attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici". Ex art. 142 comma 1 del codice della strada, che rileva al fine dell'imputazione come ascritta al (...) "Ai fini della sicurezza della circolazione e della tutela della vita umana la velocità massima non può superare i 130 Km/h per le autostrade, i 110 km/h per le strade extraurbane principali, i 90 km/h per le strade extraurbane secondarie e per le strade extraurbane locali, ed i 50 km/h per le strade nei centri abitati, con la possibilità di elevare tale limite fino ad un massimo di 70 km/h per le strade urbane le cui caratteristiche costruttive e funzionali lo consentano, previa installazione degli appositi segnali...". Ex art. 146 comma 1 codice della strada, che rileva al fine dell'imputazione come ascritta al (...), "L'utente della strada è tenuto ad osservare i comportamenti imposti dalla segnaletica stradale e dagli agenti del traffico a norma degli articoli da 38 a 43 delle relative norme del regolamento". I test tossicologici effettuati sulle urine del (...) presso il presidio ospedaliero SS Annunziata, per il tramite di test di screening, come già indicato, hanno consentito poi di accertare che l'imputato, al momento del sinistro, risultava avere assunto sostanze stupefacenti del tipo cocaina e cannabinoidi, nelle quantità già sopra indicate. La perizia di ufficio, disposta dopo la assunzione delle prove richieste, con riguardo alla dinamica dell'incidente stradale, alla correttezza delle manovre eseguite da ciascun conducente coinvolto nel sinistro, per determinare eventualmente la responsabilità dell'evento finale in capo ad uno o ad entrambi gli automobilisti, in risposta al quesito "... esaminati gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento e ogni altro documento necessario rispetto al quale è autorizzato sin da ora all'estrazione di copia, nonché previo svolgimento di ogni operazione ritenuta utile allo scopo, esaminati pure gli autoveicoli oggetto di sequestro, con riguardo all'imputazione ascritta di cui all'art. 589, accerti la dinamica dell'incidente stradale tra l'autovettura Mito targata (...) e l'autovettura Lancia Y targata (...), avvenuto in data 25 aprile 2009 in Viale T., in conseguenza del quale ha perso la vita (...). Ove possibile, in particolare, accerti il perito, la correttezza delle manovre eseguite da ciascun conducente coinvolto nel suddetto incidente stradale, al fine di determinare la sussistenza della responsabilità dell'evento finale in capo ad uno o ad entrambi gli automobilisti e compia tutte le valutazioni necessarie ad assicurare all'Ufficio l'accertamento della verità", ha consentito di accertare quanto trasposto nella stessa relazione tecnica, con allegata documentazione e supporto informatico, della quale le parti hanno concordato l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento al fine del decidere, confermata poi in dibattimento all'udienza del 16.03.2016, alla quale si fa integrale rimando con tutti gli allegati e da intendersi in questa sede trascritta. Nelle conclusioni della suddetta relazione, si legge che "dall'esame delle risultanze svolte nel corso degli accertamenti svolti, dal calcolo della velocità dei veicoli, dalle traiettorie eseguite dagli stessi, dagli atti presenti nel fascicolo, dalle deformazioni dei mezzi, dalla topografia del sito del sinistro, si riporta qui di seguito la ricostruzione della dinamica del sinistro... : il giorno 24 aprile intorno alle ore 01.00 circa l'autovettura Lancia Y targata (...) condotta dal Sig. (...) percorreva il Viale T. diretto da EST verso direzione OVEST. Giunto nei pressi della intersezione con il Viale (...) dovendo proseguire diritto, tale conducente aveva sulla propria direttrice di marcia il semaforo proiettante luce verde e pertanto proseguiva la marcia impegnando la intersezione stradale. Tale autoveicolo procedeva alla velocità di marcia di V= 34;00 km/h, valore al di sotto del limite imposto pari a 50 Km/h, in quanto trattasi di ambito urbano. Nello stesso frangente dal Viale (...) sopraggiungeva il veicolo Alfa Romeo Mito targato (...) condotto dal Sig. (...) ... che percorreva la arteria alla velocità di marcia di V= 64,00 Km/h diretto da SUD verso NORD. La vettura Alfa Romeo impegnava la corsia di svolta a sinistra per la direzione di Viale T. lato Ovest (ovvero la prima corsia a sinistra). Il semaforo lungo il Viale (...) proiettava luce Rosso, ma il conducente della Alfa Romeo impegnava ugualmente la intersezione nonostante avesse il rosso, sulla sua direttrice di marcia. A causa di questa scelta, l'impatto tra le due vetture si verificava tra la parte anteriore destra e frontale della Alfa Romeo Mito e la parte sinistra della Lancia Ypsilon. A seguito della collisione la Lancia Y si ribaltava e terminava la sua corsa sopra l'isola spartitraffico posta centralmente alla sede stradale, mentre la Alfa Romeo Mito ruotava in senso antiorario terminando la corsa davanti all'isola spartitraffico ..." Nella stessa relazione di perizia, con riguardo al comportamento tenuto dai conducenti dei due veicoli, con riferimento a (...), conducente della autovettura Alfa Romeo Mito, si legge "il conducente di tale veicolo viaggiava in corrispondenza del Viale (...) secondo la direzione da SUD verso NORD. La velocità di tale veicolo all'urto è stata rilevata pari a V= 64,00 Km/h, mentre il limite vigente su tale arteria in quel tratto risultava essere pari a 50 Km/h in quanto trattasi di centro urbano. Non è possibile asserire se tale conducente avesse o meno rallentato la sua andatura nell'approssimarsi alla visione del veicolo antagonista. Il conducente di tale veicolo durante la marcia viaggiava sulla corsia per la svolta a sinistra sul Viale T. lato Ovest (la prima a sinistra), invece di viaggiare in corrispondenza della corsia di marcia per proseguire diritto (poteva utilizzare quella centrale o anche quella di destra). ... se tale veicolo avesse viaggiato alla velocità di 50 Km/h nella corsia centrale (direzione DIRITTO) o nella corsia di destra (direzione DIRITTO e DESTRA), l'impatto non si sarebbe verificato, corsia di propria pertinenza atteso che doveva andare diritto. Inoltre sebbene lo stesso conducente avesse impegnato la corsia centrale ed abbia reagito alla vista del pericolo, egli ha deviato a sinistra, proprio dove la Lancia Y si dirigeva, ovvero avrebbe eseguito l'esatta manovra opposta da fare (avrebbe dovuto deviare a destra). Pertanto, anche alla velocità di V= 64,00 Km/h sarebbe bastato decelerare leggermente il veicolo e/o frenare leggermente per evitare la collisione. Tale conducente ha impegnato la intersezione, molto probabilmente, con il semaforo ROSSO, innescando così la collisione con il veicolo Lancia Y. Alla luce di quanto determinato sopra per quanto riguarda la velocità, anche nel caso in cui tale conducente fosse passato con il VERDE o con il ROSSO la situazione circa la inevitabilità del sinistro rimane identica. ... Alla luce di quanto rilevato il comportamento del conducente del veicolo Alfa Romeo Mito è risultato essere di tipo attivo nella produzione del sinistro. Ovvero ha tenuto un comportamento tale da partecipare attivamente al sinistro con la sua condotta di guida. A tale conducente va ascritta la responsabilità relativa alla produzione del sinistro stradale in esame al presente procedimento penale." Con riferimento, invece, a (...), conducente dell'autovettura Lancia Y, si legge "il conducente del veicolo Lancia Y viaggiava sul Viale T. diretto da Est verso Ovest. La velocità di marcia, ovvero la velocità all'urto dell'autoveicolo, è risultata essere pari a V= 34,00 Km/h, mentre il limite risultava essere pari a V= 50 Km/h. Poiché il valore della velocità è abbastanza contenuto, è possibile che il veicolo abbia trovato il verde avvicinandosi alla intersezione ed abbia proseguito la marcia. Risulta abbastanza difficile passare la intersezione a quella velocità in quanto per attraversare tutta la intersezione occorreva percorrere 40 metri, ed avrebbe dovuto impegnare ben due diverse carreggiate (da 3 corsie cadauno avendo egli il rosso mentre le altre due carreggiate il verde, e quindi situazione di estrema pericolosità. Il conducente di tale veicolo è stato colliso nella parte anteriore sinistra e successivamente il veicolo si è ribaltato completamente. In virtù del comportamento tenuto dal conducente del veicolo Lancia Y non si ravvisano violazioni agli articoli del nuovo Codice della Strada se non fatta eccezione per l'art. 172 comma 1 lettera a). Alla luce di quanto rilevato il comportamento del conducente del veicolo Lancia Y è risultato essere di tipo fortemente passivo nella produzione del sinistro. Ovvero ha tenuto un comportamento tale da partecipare suo malgrado al sinistro. A tale conducente si ritiene non dover ascrivere alcuna responsabilità inerente al sinistro stradale". In sede di deposizione testimoniale resa all'udienza del 16.03.2016 (...), confermando l'elaborato tecnico redatto, ha riferito che egli aveva effettuato la ricostruzione del sinistro, dopo avere esaminato gli atti, partendo dalla planimetria della Polizia stradale (in atti); che il Viale (...) era formato da tre corsie, quella di destra per la svolta a destra, quella centrale per proseguire dritto e quella di sinistra per svoltare a sinistra in Viale T., direzione Ovest; che il Viale T. ha invece due corsie, una per la svolta a destra ed una, quella centrale, per proseguire dritto; che, sulla base della ricostruzione effettuata, l'autovettura Lancia Y viaggiava sulla corsia centrale di Viale T., mentre l'Alfa Romeo era posta sulla corsia di svolta a sinistra; che, a causa della velocità di marcia dell'Alfa Romeo Mito, la Lancia Y è stata collisa sulla parte anteriore sinistra ed è stata ribaltata finendo con il tetto a contatto con il terreno, mentre l'Alfa Romeo Mito ha ruotato in senso antiorario, finendo poi nella posizione di quiete; che l'incidente è stato deciso dall'Alfa Romeo perché è il veicolo che collide, indipendentemente dalla fascia semaforica verde o rossa; che, a proprio giudizio, l'Alfa Romeo era comunque passata con il semaforo rosso, atteso che per potere impegnare l'intersezione la Lancia Y aveva bisogno di percorrere 40 metri con due correnti veicolari, la prima sulla sinistra e la seconda sulla destra, quindi ad una velocità troppo bassa per passare con il semaforo rosso, avendo a disposizione due correnti da schivare; che, invece, l'autovettura Alfa Romeo doveva percorrere soltanto 26 metri per liberare l'incrocio e, con i tempi del semaforo, di cui alla pagina 49 dell'elaborato redatto (alla quale si rimanda e da intendersi trascritta), per la lanterna semaforica della Lancia Y vi era un tempo per passare con il verde di 17 secondi più quattro, quindi 21 secondi, mentre per il passaggio con il verde del veicolo Alfa Romeo c'era molto più tempo; che se l'autovettura Alfa Romeo avesse proceduto alla velocità di 50 Km/h nella corsia centrale l'incidente non si sarebbe verificato, dal momento che la stessa avrebbe evitato la collisione ; che per evitare la collisione sarebbe bastato decelerare da parte del (...), mentre il (...) non avrebbe potuto fare nulla per evitare l'impatto perché sarebbe stato colpito in ogni caso; che egli era giunto sostanzialmente alle stesse conclusioni del consulente dell'imputato e di quello della parte civile, anche in relazione alla velocità di marcia, differendo le stesse dal passaggio con il rosso o con il verde, ma capire chi fosse passato con il verde e chi con il rosso aveva poca influenza dal momento che l'incidente veniva deciso dall'autovettura Alfa Romeo, a cagione della velocità di marcia, che collideva con l'altra autovettura ribaltandola; che la visibilità nella strada era ottimale per entrambi i conducenti; che se la Lancia Y fosse partita per terza al semaforo, sarebbe arrivata in ritardo sul punto d'urto e l'impatto non si sarebbe verificato. In data 08.11.2016 il difensore dell'imputato depositava rilievi tecnici all'esito della escussione del perito dell'ufficio, da intendersi in questa sede integralmente trascritti ed ai quali si fa rimando, concludendo "1 - che nella fase anteurto, la vettura Alfa Romeo impegnava regolarmente la corsia centrale di Viale (...) ... 2 - che la vettura Lancia Y non può avere impegnato l'area di intersezione con partenza da fermo ... 3 - che allorquando Alfa Romeo e Lancia Y hanno impegnato l'area dell'intersezione, le rispettive lanterne erano posizionate sul verde e sul rosso, rispettivamente... 4 - che l'impatto è stato comunque inevitabile perché l'emergenza è sorta, per entrambi conducenti, in tempi dello stesso ordine di grandezza dei c.d. tempi di percezione e reazione... 5 - che non è attendibile la versione dei fatti, così come riferita dal sedicente teste (...)...". Tali rilievi tecnici sono stati posti dal difensore alla base di una richiesta di nuova audizione del perito dell'ufficio e quest'ultimo, al quale questo giudice disponeva sottoporsi i rilievi tecnici di cui sopra con convocazione dello stesso, depositava in data 31.07.2017 risposta per iscritto come richiesto dalle parti, nonché ulteriore risposta per iscritto all'udienza del 23.05.2018 dando atto di avere dato contezza nello stesso di un errore di calcolo commesso nella redazione dei precedenti chiarimenti depositati, nonché di avere provveduto alla rielaborazione di alcuni grafici anche in conseguenza dell'errore di calcolo riscontrato. In tale ultimo elaborato tecnico, da intendersi in questa sede integralmente trascritto ed al quale si fa rimando, in risposta ai rilievi tecnici formulati dal consulente dell'imputato si legge che "... le velocità determinate sono sostanzialmente le stesse per tutti e tre i consulenti (n.r.d. perito dell'ufficio dott. S. ed i consulenti di parte dott. (...) e dott. (...), come indicati dal perito )... Nella relazione del sottoscrivente viene riportata la posizione della Alfa Romeo nella corsia per la svolta a sinistra sul Viale T. nell'arrivo all'urto. Tale scelta viene fatta sul seguente assunto. Poiché il veicolo Alfa Romeo percorre dalla linea di arresto 18,75 metri per arrivare al punto d'urto, mentre la Lancia ne percorre 15,75 metri sempre partendo dalla linea di arresto, l'incidente si verifica solo in quella condizione cioè il veicolo Alfa Romeo impiega partendo dalla linea di arresto un tempo T= 1,05 secondi per arrivare al punto d'urto (si rimanda espressamente al grafico Caso A di cui a pagina 2 di cui alla nota depositata all'udienza del 23.05.2018,) il veicolo Lancia si trova partendo dalla linea di arresto ad una distanza di mt.9,91 ... mentre la vettura Alfa Romeo Mito si trova nel punto d'urto. Si tenga presente che è stata comunque raffigurata la posizione di urto dei due veicoli rilevata dalla P.G. operante (in tutti e tre i casi di seguito riportati). Nel caso in cui la vettura Alfa Romeo Mito si trovasse nella corsia centrale (situazione rappresentata nel Caso B della stessa nota a pagina 3 alla quale si rimanda), il veicolo Alfa Romeo Mito percorre sempre uno spazio pari a mt 18,75 per arrivare al punto d'urto della linea di arresto. Ovvero anche in questo caso, il veicolo Lancia percorre 9.91 metri nel tempo T= 1,05 secondo (tempo occorrente per arrivare nel punto d'urto dalla sua linea di arresto) e come possibile vedere la vettura Lancia si trova nettamente in ritardo e quindi non può collidere. Se adesso passiamo ad esaminare il Caso C, in cui il veicolo Alfa Romeo si trova nella corsia di destra (si rimanda all'uopo all'elaborato grafico di cui alla pagina 4 della suddetta nota da intendersi in questa sede riportato) ... il veicolo Lancia è più vicino all'ipotetico punto d'urto e la collisione si potrebbe avere con gli stessi effetti di quella realizzata effettivamente. Quindi secondo la tesi del CTP ING. (...), come è possibile verificare per quanto esposto, se consideriamo che il veicolo Alfa Romeo avesse avuto il verde mentre la Lancia aveva il rosso, l'incidente non si sarebbe potuto verificare né nel caso A e neanche nel caso B. Ne consegue purtroppo che il veicolo Lancia aveva il colore verde e che quindi chi aveva il rosso era la vettura Alfa Romeo. Si sarebbe potuto solamente verificare nel caso C, con l'unica differenza che chi decideva la collisione rimaneva sempre ed esclusivamente il conducente Alfa Romeo. Nel sinistro tornando alla situazione effettiva dell'urto, ovvero Alfa Romeo nella corsia di svolta a sinistra, abbiamo che lo stesso poteva altresì evitarsi con le seguenti velocità riportate nella tabella ...(di cui all'elaborato alla quale si rimanda) sempre considerando il veicolo marciante nella corsia di sinistra, ovvero quella adibita alla svolta a sinistra sul viale T.. Velocità tenuta dal veicolo Alfa Romeo V Km/h 56,556 e V m/sec 15,71 in quanto essendo il sinistro verificatosi con queste modalità di arrivo all'urto, occorrono 2,07 metri per evitare la collisione alla vettura Alfa Romeo. Trasformando la velocità della Alfa Romeo in m/sec pari a 17,78 m/sec e detraendo i 2,07 metri si ha un valore di 15,71 m/sec ovvero una velocità pari a 56,556 Km/h. Quindi sarebbe bastato alla Alfa Romeo che avesse proceduto alla velocità di 56 Km/h (al posto dei 64 Km/h) per poter far sviare la Lancia ed evitare il sinistro. Inoltre sebbene i due veicoli partano dalla linea di arresto e lo spazio da coprire è maggiore per la Alfa Romeo è sempre la stessa a decidere la collisione, in quanto alla fine è la Alfa Romeo che collide sul fianco della Lancia e non viceversa. Sarebbe bastato rallentare, frenare, accostare a destra ovvero 3 opzioni che potevano essere messe in atto singolarmente o tutte e tre insieme per il conducente Alfa Romeo, tenendo presente sempre che il veicolo si trovava in una corsia non adatta al proseguimento diritto. Se invece vogliamo tenere presente quanto dice il CTP Ing. (...) (pagina 5 relazione osservazioni) che pone la vettura nella corsia centrale, la stessa Alfa Romeo in quel caso aveva 4 opzioni invece di tre per evitare il sinistro: 1) rallentare 2) frenare 3) deviare a destra 4) deviare a sinistra e frenare. La situazione ipotizzata è come se il veicolo Lancia sia partito in movimento dalla linea di arresto quindi ipotizzando il suo passaggio con il colore rosso. Se invece il veicolo parte da fermo (Lancia) gli occorre più tempo per arrivare al punto d'urto e quindi la situazione è ancora più sfavorevole per il conducente Alfa Romeo. Se inoltre si tiene presente che la Alfa Romeo ha impiegato 1,05 secondi per arrivare al punto d'urto e il tempo pirotecnico per poter reagire è parimenti preso minimo pari a 1,20 secondi, si vede come il tempo è al di sotto dello intervallo psicotecnico di percezione e reazione e quindi di difficile (praticamente impossibile ) reazione da parte del conducente Lancia. La manovra secondo cui il conducente della Alfa Romeo (viaggiando nella corsia centrale) abbia messo in atto una manovra di accostamento a sinistra (tesi Ing. (...)) per evitare il sinistro, prevede se così veramente fosse, che il veicolo Lancia invece di andare in avanti potesse viaggiare all'indietro, cosa praticamente assurda. Manovra che praticamente porta comunque alla collisione tra i due veicoli e che è l'esatto opposto di quello che si doveva fare. Se il veicolo Lancia procedeva diritto, come doveva andare, alla vista della collisione poteva solo inchiodare il mezzo se mai avesse avuto il tempo (tempo pari a T= 1,05 secondi contro T= 1,20 secondi di tempo psicotecnico considerato come valore minimo). Difficilmente poteva invertire la marcia mentre la Alfa Romeo deviava a sinistra come dice il tecnico di parte (ing. (...)). Quanto poi all'attendibilità del teste (...) o di qualsiasi altro teste, il sottoscrivente ritiene elementi utili quelli oggettivi (veicoli, planimetria del sinistro, deformazioni veicoli, tracce sul sito)... ... Rimane nel caso in esame che chi collide è il veicolo Alfa Romeo, chi decide o meno, è sempre il veicolo Alfa Romeo, chi può evitare la collisione è sempre il veicolo Alfa Romeo. Purtroppo anche nel caso di passaggio con il rosso della autovettura Lancia, la situazione non cambia. Per evitare la collisione purtroppo sarebbe bastato veramente poco (56,55 Km/h contro i 64 Km/h), ma neanche quel poco è stato messo in atto e pertanto la collisione si è prodotta con i risvolti del caso". All'udienza del 26.09.2018 il perito dell'ufficio, confermando l'elaborato depositato all'udienza del 23.05.2018, di cui sopra, riferiva che dalla disamina dei tre casi riportati nell'elaborato stesso (caso A, B e C), ipotizzando come fatto dal consulente tecnico dell'imputato che l'Alfa Romeo fosse passata con il semaforo rosso, sarebbe stata in ritardo rispetto al punto d'urto e conseguentemente il sinistro non si sarebbe verificato, sia che il (...) avesse occupato la corsia centrale che quella di sinistra, mentre si sarebbe verificato se l'autovettura del (...) avesse viaggiato sulla corsia di destra, pur essendo la Lancia Y sempre in netto ritardo, ma i veicoli avrebbero avuto una posizione di quiete completamente differente, con la logica conseguenza che è plausibile che il conducente dell'autovettura Lancia Y sia passato con il semaforo verde e quello dell'Alfa Romeo con il semaforo rosso; che egli era partito dal rapporto della Polizia stradale per affermare che l'autovettura Alfa Romeo viaggiasse sulla corsia di sinistra, deputata alla svolta a sinistra, ma tale ricostruzione era stata confermata da elementi tecnici, ossia dalla posizione di quiete dei veicoli. Orbene, questo giudice ritiene di aderire a quanto accertato ed esposto dal perito dell'ufficio ed alle conclusioni rassegnate nell'elaborato di perizia d'ufficio e nelle integrazioni successive, con tutti gli allegati, nonché a quanto esposto dallo stesso in sede di deposizione testimoniale, per come sopra sunteggiato ed a cui si fa in ogni caso integrale rimando e da intendersi in questa sede riportato e trascritto, trattandosi di conclusioni pienamente condivisibili, logiche, conformi alle regole scientifiche applicate, prive di contraddizioni e idonee a superare le contestazioni mosse dal consulente tecnico dell'imputato, come sopra ampiamente sunteggiate e risultanti dalle note scritte depositate dal difensore dell'imputato, alle quali si fa ulteriormente rimando e da intendersi in questa sede trascritte, per il tramite della relazione di perizia depositata all'udienza del 23.05.2018, alla quale pure si fa rimando, e della relativa deposizione testimoniale resa. All'uopo deve osservarsi che "Ai fini della sussistenza del rapporto di causalità, è sufficiente che l'agente abbia posto in essere una condizione qualsiasi dell'evento lesivo" (Cass. Penale sez. IV sentenza 9744/84). Ed ancora "In tema di omicidio colposo deve ritenersi sussistente l'aggravante di cui all'art. 589 comma secondo cod. pen. quando, pur non violandosi una norma di comportamento contenuta nel codice della strada, ci sia stata inosservanza delle regole di generica prudenza, perizia e diligenza, recepite e trasfuse nell'art. 140 cod. strad., che impone ad ogni utente stradale di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione" (Cass. Penale sez. IV sentenza 8589/89); "ai fini della sussistenza dell'aggravante prevista dal secondo comma dell'art. 589 cod. pen. non è necessaria la violazione di una specifica norma del codice stradale, essendo sufficiente la violazione di regole di generica prudenza connesse con la circolazione stradale" (Cass. Penale sez. IV sentenza 476/91); ancora "In materia di responsabilità da circolazione veicolare, l'utente della strada ... va esente da penale responsabilità solo quando si provi che la sua condotta fu immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica (osservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline), che della colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia) e per questo tale condotta non svolse ruolo eziologico ... alcuno, presentandosi quale semplice occasione dell'evento" (Cass. Penale sez. IV sentenza 4092/89). Nel caso che ci occupa, come sopra ampiamente esposto, sulla scorta dell'istruttoria compiuta, risultano, invero, accertati con chiarezza gli elementi della condotta colposa ascritta al (...) ed il suo comportamento negligente, imperito ed imprudente, eziologicamente determinante del decesso di (...), avendo lo stesso tenuto una velocità oggettivamente superiore al limite consentito per legge nel tratto stradale percorso, avuto altresì riguardo alle circostanze di tempo dell'occorso, essendo il sinistro avvenuto nel cuore della notte, e di luogo, essendo il sinistro avvenuto al centro di una intersezione stradale (dove per espressa previsione del codice della strada - art. 141 comma 3- occorre procedere con maggiore prudenza e cautela), velocità che ha determinato l'impatto letale con l'autovettura del (...) (e che lo avrebbe determinato qualunque fosse stato il colore della luce semaforica per il (...) al momento dell'attraversamento), percorrendo la corsia di sinistra pur dovendo proseguire dritto ed impegnando l'incrocio con luce semaforica rossa, in stato di alterazione dovuta all'uso di cocaina e cannabinoidi, comportamento che viola certamente le regole cautelari sottese alla circolazione stradale di cui sopra detto, la cui violazione è appunto contestata al (...) in questa sede ed alle quali lo stesso non si è certamente uniformato. E' stato altresì posto in rilievo dal perito dell'ufficio, alle cui conclusioni si rimanda ulteriormente, apparendo le stesse condivisibili, il comportamento alternativo lecito al quale il (...) avrebbe dovuto attenersi, procedendo nella corsia di pertinenza, con riguardo alla sua direzione di marcia, e viaggiando a velocità consona a quella delle circostanze di tempo e luogo, oltre che nel rispetto dei limiti di velocità, risultando addirittura sufficiente per evitare l'impatto non già una frenata, non effettuata non essendovene traccia sul manto stradale, ma una semplice decelerazione, pure chiaramente non effettuata, con riguardo all'esito mortale dell'incidente, in ragione +dello stato di alterazione del (...) dovuto all'uso di sostanza stupefacente. Gli accertamenti effettuati presso il presidio Ospedaliero, come richiesti dal personale della Polizia di Stato, che era intervenuto sul luogo del sinistro, dal momento che entrambi i conducenti erano rimasti coinvolti in un incidente stradale e l'attività di rilevamento compiuta aveva fatto sorgere il sospetto di una recente assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope con conseguente alterazione psicofisica (si veda verbale di accertamenti urgenti sulle persone del 24.04.2009 della Polizia di Stato - Distaccamento di Manduria), come detto, consentivano di accertare l'assunzione da parte del (...) di sostanza stupefacente del tipo cocaina e di cannabinoidi, come da referti medici in atti. A tale riguardo deve osservarsi che le allegazioni difensive del difensore dell'imputato, per il tramite dell'adesione alle conclusioni del consulente (...), escusso in dibattimento ed il cui elaborato tecnico è depositato in atti, contestano da un lato la validità dei test effettuati sulle urine e non già sul materiale ematico, così consentendo di accertare la eventuale assunzione di sostanza stupefacente, ma non la decorrenza di tale assunzione ed il conseguente stato di alterazione psicofisica al momento del sinistro e della somministrazione del test e, dall'altro, in modo contraddittorio, quasi accettando la astratta validità del test effettuato nel caso concreto, apoditticamente, evidenziano che i valori eccessivamente elevati di cocaina rinvenuti nelle urine del (...) sono sintomatici di un errore nell'effettuazione delle analisi, potendo anche dipendere dall'interazione con alcuni farmaci o sostanze che il consulente non ha saputo indicare nemmeno genericamente in sede di deposizione testimoniale, avendo poi il difensore dell'imputato depositato una nota all'udienza del 13.05.2015 con allegato un parere a firma dello stesso consulente con indicazione di tali sostanze o farmaci. All'uopo si osserva che si tratta di deduzioni generiche e teoriche, non essendo state evidenziate concrete ragioni per le quali il valore assertivamente troppo elevato di cocaina rinvenuta nell'urina del (...) sarebbe indicativa di un errore nella effettuazione del test, né essendo stato allegato quale farmaco o diversa sostanza lo stesso avrebbe assunto tra quelle potenzialmente idonee ad alterare eventualmente il risultato del test. Invero, lo stesso (...) in sede di esame non ha riferito di avere assunto alcuna sostanza o farmaco particolare tra quelli compresi nell'elenco indicato dal consulente (...), essendosi limitato a negare di avere assunto sostanza stupefacente. Ancora, deve rilevarsi che, sebbene il test più attendibile sia quello del sangue, l'accertamento della guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti può avvenire anche sulla base del solo esame delle urine. Per come espresso dalla Corte di legittimità, in un caso in cui era in contestazione che fosse stato effettuato solo il test dell'urina per l'accertamento della positività alle sostanze stupefacenti, sebbene poi emergesse dagli atti che l'imputato era stato sottoposto anche ad esami ematologici, "... anche ad ammettere che sia stato espletato soltanto l'esame delle urine, è priva di fondamento l'affermazione secondo la quale i protocolli prescrivono che quest'ultimo vada obbligatoriamente associato all'esame del sangue o a quello della saliva. Viceversa dalla circolare del Ministero dell'Interno del 16 marzo 2012, che disciplina la procedura di accertamento del reato di guida in stato di alterazione psico - fisica da uso di sostanze stupefacenti, si evince che la prova dell'assunzione di queste ultime è ricavabile dall'analisi di una matrice biologica in grado di evidenziare effetti attuali - e non pregressi - sul soggetto. Ed, in quest'ottica, la menzione dell'esame del sangue o di quello della saliva assume connotati di mera esemplificazione, non escludendo la circolare la rilevanza dell'analisi di ulteriori liquidi biologici e, segnatamente, delle urine. E, infatti, in questa prospettiva, si è condivisibilmente ritenuta, in giurisprudenza, sufficiente l'analisi delle urine, specificandosi che lo stato di alterazione del conducente può essere dimostrato attraverso gli accertamenti biologici in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del controllo, senza che sia necessario espletare un'analisi su campioni di diversi liquidi fisiologici... D'altronde il ricorrente si limita a contestare genericamente la validità scientifica della metodologia utilizzata ma non adduce di avere assunto sostanze stupefacenti nei giorni precedenti all'accertamento - e in quale data - né prospetta alcun altro elemento, al fine di spiegare la positività dei risultati in un'ottica diversa da quella accusatoria" (Cass. Penale - Sez. IV- sentenza 30237/17), essendo peraltro richiesto l'accertamento di uno stato di coscienza modificato dall'assunzione di sostanza stupefacente, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione (Cass. Penale sez. IV sentenza 19035/17) e ben potendo lo stato di alterazione del conducente dell'auto essere desunto dagli accertamenti biologici dimostrativi dell'avvenuta precedente assunzione di stupefacenti, unitamente all'apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato (cfr. Cassazione penale sentenza 43486/17). Come emerso dalla istruttoria compiuta, lo stato di alterazione psicofisica del (...) correlato all'uso di sostanze stupefacenti al momento del sinistro è comprovato dagli esiti degli accertamenti biologici effettuati sulle urine, unitamente alla circostanza che gli stessi sono stati richiesti dal personale della Polizia stradale, all'esito degli effettuati rilievi, lasciando gli esiti degli stessi presumere l'uso di sostanza stupefacente ed il conseguente stato di alterazione, in ragione del sinistro verificatosi, ed avuto riguardo alle particolari circostanze del caso concreto, essendo stato accertato per il tramite dell'istruttoria che l'incidente, causato dalla condotta imperita, negligente ed imprudente del (...), ed il conseguente decesso del (...), avrebbero potuto essere evitati anche con una semplice e banale manovra di decelerazione, non effettuata dal (...) che, a cagione dello stato di alterazione conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti in cui guidava (ribadendosi che è all'uopo sufficiente una mera alterazione dello stato di coscienza), non si è avveduto affatto dell'autovettura del (...) nell'intersezione stradale. L'imputato, in sede di esame, si è limitato sostanzialmente a negare ogni addebito, dichiarando di non avere assunto sostanze stupefacenti ed affermando di avere attraversato l'intersezione stradale ove è avvenuto il sinistro a velocità moderata e con il semaforo verde, avendo effettuato una manovra di deviazione a sinistra nel tentativo di evitare l'impatto con la Lancia Y che usciva improvvisamente da destra. I testi indicati dalla difesa dell'imputato, presenti al momento del sinistro, hanno riferito, come detto, che il (...) viaggiava sulla corsia centrale di Viale (...), che aveva attraversato l'incrocio procedendo con il semaforo verde e che veniva attinto improvvisamente dall'autovettura del (...) che lo impattava sullo spigolo anteriore provenendo improvvisamente dalla destra, di talché il (...) effettuava una improvvisa manovra di spostamento a sinistra per evitare l'impatto, diversamente da quanto è emerso sulla scorta delle risultanze dell'accertamento peritale disposto d'ufficio, basato e riscontrato dai rilievi planimetrici del sinistro e dalla ricostruzione operata dalla Polizia Stradale, nonché sulle deposizioni dei testi indicati dalla difesa della parte civile presenti al momento del sinistro e dalla documentazione in atti. Il teste (...), poi, che viaggiava nella stessa autovettura del (...) come passeggero, ha riferito che la autovettura del (...) arrivava da destra a forte velocità (circostanza smentita dalle conclusioni a cui è giunto persino il consulente tecnico dell'imputato con riguardo alla velocità di marcia e di arrivo al punto d'urto dell'autovettura Lancia Y condotta dallo stesso (...)) e che, per contro, il (...) procedeva a velocità moderata (circostanza pure smentita da quanto accertato persino dal consulente tecnico dell'imputato). I testimoni indicati dalla difesa della parte civile, che hanno assistito all'incidente, hanno invece riferito che il (...) viaggiava sulla corsia di sinistra del Viale (...) (si veda deposizione del teste (...)) e che il (...) ha attraversato l'incrocio con il semaforo verde, avendo il (...) aggiunto che il (...) procedeva a velocità elevata. Quanto riferito da tali ultimi testi trova riscontro nella ricostruzione del sinistro operata dal perito dell'ufficio, di cui detto, alla quale si aderisce, e dalla stessa Polizia stradale che ha effettuato i rilievi planimetrici, sui quali si è poi basato il perito dell'ufficio, deducendosi la corsia di percorrenza del (...) dalla posizione di quiete dei veicoli dopo l'incidente. E' appena il caso di rilevare che è ininfluente al fine del decidere la circostanza che i testi indicati dalla difesa dell'imputato, presenti al momento del sinistro e con i quali lo stesso era stato a cena prima dell'incidente, abbiano riferito che il (...) non aveva assunto sostanze stupefacenti, ben potendo lo stesso averle assunte quando si trovava da solo, per comprensibile senso di ritrosia e pudore, vieppiù considerando che gli stessi testi hanno riferito di non sapere e di non avere saputo se il (...) facesse uso di droghe. Con riferimento poi a quanto riferito dal (...) e dai testi indicati dalla difesa dello stesso, presenti al momento del sinistro, con riferimento alla circostanza che l'autovettura del (...) avrebbe investito quella del (...), devono ribadirsi le conclusioni del perito dell'ufficio già evidenziate in ordine alla dinamica del sinistro, alle quali questo giudice aderisce, essendo emerso che è stata l'autovettura del (...) ad attingere violentemente quella del (...) a cagione della velocità di marcia e dell'assenza di idonee manovre a causa dello stato di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di droghe. Sulla scorta delle emergenze processuali sopra evidenziate, pertanto, con ordinanza saranno trasmessi gli atti alla Procura della Repubblica in sede nei confronti dei testi (...), (...) e (...) per le determinazioni di competenza in ordine al reato di cui all'art. 372 c.p. con riguardo alla deposizione testimoniale resa in dibattimento. Conclusivamente, pertanto, per tutto quanto sopra esposto, il (...) deve essere ritenuto colpevole dei reati ascrittigli. Con riguardo al reato di cui all'art. 187 del Codice della Strada, però, deve rilevarsi l'intervenuto decorso del termine di prescrizione in data 25.05.2015 aggiungendo al termine massimo di anni cinque, decorrente dal 25.04.2009, le sospensioni del termine di prescrizione verificatesi dal 09.04.2014 al 12.11.2014 e dal 12.11.2014 al 13.05.2015 (essendo le altre successive allo spirare di tale termine), non essendovi elementi, come detto, per addivenire ad una pronuncia assolutoria dell'imputato ex art. 129 comma 2 c.p.p. Si dispone la trasmissione degli atti del procedimento al Prefetto in sede per i provvedimenti di competenza in relazione al reato di cui all'art. 187 Codice della Strada. Con riguardo, invece, al reato per il quale interviene condanna, valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., con particolare riguardo alle modalità ed alle circostanze delle azioni, alla gravità della condotta posta in essere, alla personalità dell'imputato, ostative al riconoscimento in favore dello stesso delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., si ritiene adeguata la pena di anni tre e mesi quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali; normativamente preclusa è la concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p. E' appena il caso di rilevare che deve applicarsi ratione temporis l'art. 589 comma 3 c.p. contestato all'imputato, ex art. 2 c.p., con riguardo al trattamento di maggiore favore per il reo rispetto a quello previsto dall'art. 589 bis c.p. attualmente vigente. L'imputato, ex artt. 538 e ss c.p.p., deve essere condannato, insieme alla (...) e Figli e alla (...) s.p.a., quali responsabili civili, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile, da liquidare in separata sede, ed alla rifusione delle spese in favore della stessa liquidate come da dispositivo ed al pagamento di una provvisionale di Euro 35.000,00 per la quale è stata raggiunta la prova del danno. Si rileva che non si è proceduto alla liquidazione delle spese indicate dal difensore della parte civile con riguardo alla consulenza tecnica di parte in quanto non documentate, essendo stata allegata per la stessa una mera fattura pro forma. E' appena il caso di rilevare che irrilevante al fine di questo decidere è la clausola contrattuale che esclude la copertura assicurativa del contraente se il conducente dell'autovettura si trova al momento del sinistro sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope (di cui alla copia dello stralcio del contratto prodotto all'udienza del 05.03.2014), trattandosi di clausola da far valere nel rapporto tra le parti contraenti, per il tramite di eventuale azione di rivalsa, ma non eccepibile nei rapporti con terzi estranei al contratto, come nel caso di specie. A causa del complessità della motivazione, con riguardo alla gravità dell'imputazione ed al copioso ed articolato compendio probatorio, non si è potuto procedere alla redazione di motivi contestuali ed è stata poi richiesta, ex art. 154 comma 4 bis disp. att. c.p.p., la proroga del termine, originariamente fissato con il dispositivo in giorni 90 per il deposito della motivazione, per ulteriori 90 giorni, concessa a far data dal 18.05.2021 con decreto 72 del 12.05.2021 del Presidente del Tribunale. P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) in ordine al reato ascrittogli sub B) del decreto che dispone il giudizio per intervenuta prescrizione. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli sub A) del decreto che dispone il giudizio e lo condanna alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 e ss c.p.p. condanna il predetto imputato, nonché (...) e Figli e (...) s.p.a., quali responsabili civili, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile, (...), da liquidare in separata sede ed alla rifusione delle spese in favore della stessa da liquidare in complessivi Euro 2.420,00 oltre accessori di legge e al pagamento di una provvisionale di Euro 35.000,00. Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Dispone la trasmissione degli atti del procedimento al Prefetto in sede per i provvedimenti di competenza in relazione al reato di cui all'art. 187 Codice della Strada. Così deciso in Taranto il 17 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giorno 3 febbraio 2021 la Corte d'Appello di Napoli, Seconda sezione penale, composta dai Magistrati: dott.ssa Domenica Miele Presidente relat. dott.ssa Maria Grassi Consigliere dott.ssa Corinna Forte Consigliere con l'intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa St.Bu., e con l'assistenza del cancelliere sig.ra Im.Gu.; decidendo a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione n. 37224/2019 emessa il 5 giugno 2019 (dep. il 6 settembre 2019), che, in relazione alla sola posizione di Pi.Ci., annullava la sentenza n. 5717/2018 emessa il 5 luglio 2018 dalla Corte di Appello di Napoli, rimettendo a questa Corte per un nuovo giudizio, ha pronunciato all'udienza del 3 febbraio 2021 la seguente SENTENZA nel processo penale a carico di: 1) PI.CI., nata (...), domiciliata in Portici (NA) alla via (...) LIBERA PRESENTE Difesa di fiducia dall'avv. Di.Ge. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito di ricorso ritualmente proposto da Pi.Ci. avverso la sentenza emessa il 5 luglio 2017 dalla Corte di Appello di Napoli - di conferma della sentenza di condanna per il capo A) nei confronti dell'attuale giudicabile il 16 settembre 2016 dal GM del Tribunale di Napoli - la Corte di Cassazione, il 5 giugno 2019 (con motivi depositati il 6 settembre 2019) annullava la prefata decisione rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, demandando altresè alla Corte di Appello la regolamentazione delle spese processuali in relazione al giudizio di Cassazione. Il giudizio di legittimità era stato emesso a seguito del ricorso proposto dal Difensore dell'imputata avverso la sentenza di questa Corte di Appello, sezione prima, che, in data 5 luglio 2018, aveva confermato la sentenza di primo grado con la quale il GM del Tribunale di Napoli aveva condannato l'attuale giudicabile per il reato di cui al capo a) della contestazione in premessa. Ed invero, il Difensore dell'imputata Pi., il PM della Procura di Napoli, il PG della Procura Generale della Corte d'Appello di Napoli e le Parti Civili avevano inizialmente proposto appello avverso la già indicata sentenza di primo grado, emessa dal GM del Tribunale di Napoli in data 16 settembre 2016, con la quale, all'esito del giudizio dibattimentale ordinario, l'imputata Pi. veniva ritenuta responsabile del reato di cui al capo a) e, con le attenuanti generiche, veniva condannata alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione - condizionalmente sospesa - oltre alle spese ed al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese nei confronti delle costituite parti civili Al.El., Al. Fr. (fratelli della vittima) e Pisano Fr. (in proprio quale coniuge della vittima e nella qualità di legale rappresentante della figlia minore). La Pi. era stata assolta dall'imputazione sub b) (reato p. e p. dagli artt. 113, 449 c 1 in relazione all'art. 434 cpv CP, perché nelle qualità rispettivamente indicate al capo precedente, mediante colpa consistita in negligenza, imprudenza o imperizia, in particolare con le condotte già descritte al capo che precede le quali, determinando un sistematico diffuso difetto di cura di alberi piantati in varie parti della città di Napoli - in particolare dell'albero di pino marittimo esistente unitamente ad altri nei giardinetti siti in Via (...), altezza Piazzetta (...), già descritto al capo A) - cagionavano il disastro del crollo di tale enorme pianta, tenuto conto dei suoi effetti gravi e diffusi, nella specie la morte di Al.Cr. e il danneggiamento del veicolo sul quale la vittima si trovava, nonché della eccezionalità e palese diffusività del pericolo per l'incolumità di un numero indeterminato di persone ed un esteso senso di allarme e di emozione nella collettività. In Napoli accertato il 10 6.2013). I coimputati Re.Ca. e Fu.Ti. erano invece stati assolti da entrambe le contestazioni. Con l'impugnazione della sentenza di primo grado il Difensore della Pi. chiedeva: 1) assolversi l'imputata per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste quanto al capo a);2) la rinnovazione dell'istruttoria ex art. 603 cpp, con richiesta di disporre perizia tecnica collegiale; 3) la riduzione della pena in primo grado; 4) concedersi i benefici di legge. La sentenza di primo grado era stata altresì impugnata dal PM presso il Tribunale, con richiesta di condanna della Pi. anche per il capo b), e di condanna per Fu. e Re. per entrambi i capi in contestazione, nonché con richiesta di esclusione, per la Pi., delle attenuanti generiche concesse in primo grado. Il PG parimenti chiedeva riformarsi la sentenza assolutoria negli stessi termini della richiesta del PM di primo grado. Infine, i Difensori delle PC chiedevano, in riforma della sentenza assolutoria, affermarsi la penale responsabilità del Fu. e del Re. per i reati di cui ai capi a) e b), e la Pi. anche per quello di cui al capo b) e conseguentemente condannare gli imputati al risarcimento del relativo danno in favore delle parti civili, rideterminando la liquidazione delle spese alle parti civili quantificata dal GM adeguandola ai parametri di legge, condannando gli imputati al pagamento di una provvisionale in favore delle parti civili Fr. ed El.Al. nella misura di Euro 100.000,00 per ciascuna delle dette parti civili. Il processo di secondo grado veniva celebrato innanzi alla prima sezione penale della Corte di Napoli, con parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, che vedeva l'esame del teste a difesa dr.ssa Tr. e dell'imputato Re.. Raccolte le conclusioni delle parti, la Corte partenopea, all'esito della camera di consiglio, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il coimputato Fu.Ti. (assolto in primo grado) per il reato di cui al capo A), con la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione - condizionalmente sospesa - oltre alle spese ed al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese nei confronti delle costituite parti civili Al.El., Al. Fr. (germani della vittima) e Pisano Fr. (in proprio quale coniuge della vittima e nella qualità di legale rappresentante della figlia minore). La sentenza di primo grado veniva confermata nel resto: veniva dunque così confermata la condanna in primo grado della Pi. e l'assoluzione dei tre coimputati per il reato di cui al capo b) ex art. 530 I co. cpp. perché il fatto non sussiste (la Pi.) e ai sensi del cpv. dell'art. 530 cpp. per non aver commesso il fatto (per Fu.Ti. e Re.Ca.). Avverso tale decisione di secondo grado proponevano ricorso per Cassazione le Difese della Pi. e del Fu.Ca.. Il ricorso del Fu. veniva dichiarato inammissibile, mentre la sentenza di secondo grado veniva annullata in relazione alla sola posizione della Pi., con rinvio ad altra sezione di questa Corte per un nuovo esame dei profili cassati. La Corte di Cassazione evidenziava il difetto di motivazione della sentenza impugnata, che, a giudizio del Supremo Collegio, era gravemente carente e lacunosa, affetta da confusione tra il dato giuridico con il dato materiale, in quanto non dava conto degli singoli profili in relazione alla configurabilità di una specifica posizione di garanzia della ricorrente rispetto all'evento letale determinato dalla caduta dell'albero, ossia di un suo obbligo giuridico di impedire l'evento, espressamente rilevando che: "...... Tutto ciò non è stato adeguatamente affrontato dalla sentenza impugnata, che si limita a far discendere l'obbligo giuridico di garanzia in capo alla prevenuta dalla sita (generica) qualità di funzionario agronomo del Comune, e dallo svolgimento di una "ispezione" in senso logico ma non in senso giuridico, atteso che - come ormai definitivamente chiarito - ima mera analisi visiva (o "sopralluogo" che dir si voglia) dell'albero in questione, non può che costituire un dato ambiguo ed insufficiente ai fini della attribuzione della posizione di garante del rischio di che trattasi, non essendo stato chiarito se nella specie vi sia stata una attività di ispezione o controllo precipuamente finalizzata alla verifica dello specifico rischio di crollo dell'albero, di cui la prevenuta avesse contezza in ragione delle mansioni a lei attribuite nell'ambito dell'ufficio pubblico presso cui prestava servizio..."; nonché sotto l'ulteriore profilo della prevedibilità dell'evento: "la motivazione della sentenza impugnata appare carente e contraddittoria in merito al profilo di colpa generica che viene addebitato alla Pi.. In particolare, non viene chiarito se la funzionario, all'atto della c.d. "ispezione", fosse nelle condizioni di accorgersi, con valutazione ex ante, di una situazione di imminente pericolo di caduta dell'albero, trattandosi di pino insistente sul posto da oltre 30 anni e tenuto conto del fatto che il detto sopralluogo avvenne circa un mese e mezzo prima dell'evento". Restituito, pertanto, il processo alla Corte di Appello di Napoli per un nuovo giudizio, in data 27 settembre 2019, questo veniva assegnalo alla seconda sezione penale ed, in data 11 gennaio 2020, al cons. relatore dr.ssa Ma. (giudice del Tribunale di Napoli applicata alla Corte). Veniva poi fissata l'udienza per il 5 maggio 2020. Tale udienza veniva poi rinviata d'ufficio al 20 novembre 2020, stante la normativa emergenziale COVID19 di cui ai DD.LL. n. 11 dell'8 marzo 2020, n. 18 del 17 marzo 2020, n. 19 del 23 marzo 2020, n. 23 dell'8 aprile 2020, n. 28 del 30 aprile 2020, e di cui alla legge di conversione del 24 aprile 2020, n. 27. All'udienza del 20 novembre 2020, stante la cessazione dell'applicazione della dott.ssa Ma. - giudice del Tribunale di Napoli - il processo veniva riassegnato dalla sottoscritta Presidente di sezione a se stessa, trattandosi di processo a trattazione tabellare prioritaria, prossimo a prescrizione e tenuto conto del carico dei ruoli degli altri Consiglieri della sezione. Fatta la relazione, il PG concludeva come in epigrafe e il processo veniva rinviato all'udienza dell'8 gennaio 2021 per le conclusioni delle PC e della Difesa. All'udienza dell'8 gennaio 2021, le Difese di PC e dell'imputata rassegnavano le proprie conclusioni, all'esito delle quali il PG di udienza chiedeva un rinvio per repliche. All'odierna udienza il PG rinunciava alla replica e il Presidente, all'esito della camera di consiglio dava lettura del dispositivo allegato al verbale, con riserva del deposito dei motivi nel termine di gg. trenta. MOTIVI DELLA DECISIONE Come illustrato in premessa, il presente giudizio ha ad oggetto la sola posizione della Pi.Ci., dottoressa agronoma del Comune di Napoli all'epoca dei fatti, essendosi consolidate le decisioni nei confronti del Re. (assolto in entrambi i gradi di giudizio) e nel confronti del Fu. (condannato in secondo grado, con ricorso in cassazione dichiarato inammissibile). Il fatto dal quale trae origine il processo ebbe a verificarsi la mattina del 10 giugno 2013 in Via A(...) di Napoli all'altezza dei (...): la signora Cr.Al., mentre percorreva detta strada, alla guida della propria auto (...), proveniente da Via (...) e con direzione Vomero, fu attinta dalla caduta di un grosso albero, un pino marittimo, situato in detti giardinetti. Albero che si schiantò sulla sua vettura, provocandone lo schiacciamento del tetto, e così gravissime lesioni alla (...) con compressione della cassa toracica. Tale evento non è in contestazione in atti, né oggetto delle doglianze difensive illustrate nel ricorso per Cassazione, né della stessa decisione della Suprema Corte. Pertanto, sul punto, la Corte si riporta integralmente alla ricostruzione già operata in primo grado laddove è stata individuata quale causa dei decesso della vittima l'asfissia da soffocamento per immobilizzazione del mantice respiratorio: il CT nel corso del giudizio di primo grado ha illustrato che l'evoluzione della fenomenologia asfittica era stata piuttosto lenta e protrattasi ben oltre i 4/5 minuti, anche a causa delle ottimali condizioni cardio-circolatorie-respiratorie della vittima. Dato che aveva trovato riscontro non solo nella CT di Parte Civile, ma anche nella narrazione dibattimentale dei testi immediatamente sopraggiunti al fatto, ed in particolare in quella resa dall'ing. (...) all'udienza del 17 luglio 2015 del giudizio di primo grado, secondo il quale la donna, benché immobilizzata all'interno dell'abitacolo schiacciato dall'albero, si muoveva ancora a distanza di oltre dieci minuti dall'arrivo dei vigili del fuoco che tentavano di trarla in salvo aprendo il tetto con la fiamma ossidrica. L'impostazione accusatoria che ha condotto al rinvio a giudizio dell'attuale giudicabile, ed accolta dal giudice di primo grado (e poi dalla Corte di Appello nella decisione parzialmente cassata) si fonda essenzialmente su due elementi: 1) la condotta negligente ed imperita della giudicabile, che in quanto agronoma del comune di Napoli, avendo effettuato circa un paio di mesi prima dell'evento un sopralluogo sul posto, non avrebbe correttamente valutato le condizioni dell'albero in questione, omettendo conseguentemente di adottare gli opportuni provvedimenti, quanto meno una segnalazione al proprio ufficio della necessità di un intervento tecnico adeguato ad evitare il pericolo di crollo, (condotta così contestata e precisata dal Pm all'udienza del 1 luglio 2016): come si legge dal verbale della indicata udienza il PM chiedeva che con riferimento al capo a) dell'imputazione inerente la posizione della Pi.Ig., che, dopo le parole "del peso del ramo in parola", quindi al quart'ultimo rigo dell'imputazione della signora Pi., di aggiungere, contestandolo all'imputata presente: "e comunque ometteva di garantire, anche solo in termini di segnalazione alla direzione del suo ufficio, la dovuta periodica attività di sorveglianza, vigilanza e manutenzione dello stesso"); 2) la prevedibilità del crollo dell'albero, poi verificatosi a distanza di meno di due mesi dal sopralluogo della dott.ssa Pi.Ig.. Giova premettere, che, come è noto, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, (v. per tutte: Sez. 2, Sentenza n. 8733 del 22/11/2019, dep. 04 03/2020): la giurisprudenza di legittimità, in tema di annullamento per vizio di motivazione, ha da sempre riconosciuto come il giudice di rinvio mantenga nell'ambito del capo colpito dall'annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonché il potere di desumere - anche sulla base di elementi probatori prima trascurati - il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l'unico divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte e con l'obbligo di conformarsi all'interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questione di diritto (Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri e altri, ma anche: Sez. 2, Sentenza n. 1726 del 05/12/2017 Ud. dep. 16/01 2018). La Corte di Cassazione ha stigmatizzato la sentenza di secondo grado, annullandola, su due specifici profili: 1) la mancanza di motivazione circa la posizione di garanzia e quindi dell'obbligo giuridico di evitare l'evento, e comunque del profilo della colpa, per l'incertezza in relazione all'atto compiuto dalla Pi.Ig., al quale ricondurre il profilo di colpa, attesa l'assenza di formalizzazione dell'atto stesso, atto indicato indifferentemente, nella sentenza di primo e di secondo grado, a volte come sopralluogo e a volte come ispezione; 2) la prevedibilità dell'evento. Ebbene, osserva questo Collegio che, per un corretto inquadramento giuridico alla luce della contestazione per la quale si è proceduto, contestazione, ricordiamo, modificata dal Pm all'udienza del 1 luglio 2016, occorre innanzi tutto partire da una corretta ricostruzione del fatto, con specifico riferimento alla condotta commissiva ed omissiva posta in essere dalla attuale giudicabile alla luce della contestazione così come modificata all'udienza indicata, e sgombrare il campo da possibili fraintendimenti forieri di equivoci: a seguito della modifica della contestazione operata il 1 luglio 2016 è fuor di dubbio che la Pi. Ignorata è stata condanna non per la posizione di garanzia che ricopriva all'interno della struttura comunale, ma. bensì, per aver omesso di segnalare a chi di competenza il pericolo di caduta dell'albero, ispezionato visivamente, nella qualità di funzionario agronomo del comune di Napoli, nell'aprile 2013. Obbligo di segnalazione che le derivava dalla circostanza di aver effettuato un intervento (ispezione visiva) peculiare alla sua attività di agronoma. obbligo di segnalazione non adempiuto per la imperita e superficiale valutazione delle condizioni della pianta. Su tale intervento, sulla natura e qualificazione di tale intervento sul quale si fonda il profilo di colpa della Pi.Ig., si è molto detto sia nella sentenza di primo grado, che nella sentenza di secondo grado, ma le considerazioni svolte nelle due decisioni non sono state ritenute sufficientemente motivate dal Supremo Collegio. Ed invero, sia nella motivazione della sentenza di primo grado, che in quella di secondo grado oggetto della censura della Cassazione, ci si è basati, per la riconducibilità del fatto alla attuale giudicabile, sulla circostanza, non smentita dalla medesima, dell'avvenuto "sopralluogo" e della non corretta valutazione operata all'atto dell'esame del pino. In entrambe le decisioni, si parte dal presupposto di fatto - intrinseco alla tesi difensiva - che la Pi. si sia trovata sul posto per caso, ossia non in adempimento di un dovere di ufficio, ma bensì per fatto del tutto accidentale. Prospettiva ripresa dai giudici di legittimità, che - anche facendo leva sull'assenza della formalizzazione dell'atto, definito indifferentemente sopralluogo o ispezione - ha cassato la decisione di merito di appello per difetto di motivazione in ordine alla posizione di garanzia che la Pi. avrebbe ricoperto, e comunque in relazione al profilo di colpa, da cui sarebbe disceso l'obbligo di impedire l'evento, in quanto all'epoca la Pi. non ricopriva più alcuna carica formale di direzione del settore parchi e giardini del comune di Napoli, ma era un funzionario del settore, con delega ad alcuni affari specifici, come appresso si dirà. Occorre dunque preliminarmente che venga ricostruito, sulla scorta del materiale probatorio acquisito agli atti, a che titolo la Pi.Ig. si sia recata sul posto nel mese di aprile 2013, e, conseguentemente, se l'atto compiuto rientrasse o meno in un atto proprio del suo ufficio ed infine se da tale condotta nascesse l'obbligo giuridico di relazionare ed allertare le autorità preposte al fine di evitare che il prevedibile cedimento dell'albero cagionasse danni a cose o a persone - come poi avvenuto. Ebbene, fatte queste brevi premesse, osserva la Corte che, dagli atti del giudizio di primo grado, emerge pacificamente che: 1) la dott.ssa Pi.Ig. all'epoca dei fatti era funzionario agronomo presso il comune di Napoli, servizio qualità dello spazio urbano della direzione ambiente del comune di Napoli, servizio comunale a cui compete la manutenzione delle alberature di alto fusto nel territorio cittadino; 2) il settore nel quale la medesima era incardinata aveva espressa delega per la manutenzione degli alberi di alto fusto; 3) fino al dicembre 2012 aveva svolto le funzioni di dirigente del servizio, funzioni non rinnovate (per lei come per altri) dal gennaio 2013 per mancanza di fondi (alle funzioni de qua corrispondeva una diversa partita stipendiale). Emerge inoltre che la dott.ssa Pi.Ig. nell'aprile 2013 si recò presso i giardinetti "(...)" di Via (...), effettuando una ispezione visiva del pino marittimo in questione: nel corso di detto esame riscontrò che lo stesso era in buone condizioni. Tali circostanze sono inconfutabilmente accertate agli atti, ed ammesse espressamente dalla stessa imputata, che, più volte nel corso del giudizio di primo grado, prima del PM nel corso dell'interrogatorio reso il 27 giugno 2013, e successivamente nel corso del lungo esame reso a dibattimento e articolatosi in più udienze, nel ribadire che all'epoca del fatto non aveva funzioni dirigenziali del settore, ma che svolgeva esclusivamente l'attività di funzionario del settore medesimo, ha reiteratamente affermato di essersi effettivamente trovata a passare "a piedi" in loco, in quanto diretta alla villa (...) (ove seguiva dei lavori di piantumazione), precisando di aver osservato l'albero solo casualmente, come sua abitudine per "deformazione professionale" ogni qualvolta ella si imbatte in vegetazione. Ha poi affermato di aver così notato che l'albero era in buone condizioni, non presentava malattie evidenti, non aveva versamenti di resina, ma solo una inclinazione, tipica del fototropismo - fenomeno per il quale gli alberi tendono naturalmente ad inclinarsi verso la fonte di luce, ossia verso il sole (tesi ripresa e sostenuta dibattimento anche dai proprio consulente). Inclinazione che non presentava alcun carattere tale da determinare allarme. La presenza sul posto nel mese di aprile della Pi.Ig. è accertata non solo dalle dichiarazioni dei lesti escussi, ma anche dalla dichiarazioni rese dalla stessa in sede di esame prima al Pm e poi in sede dibattimentale. È il vicesindaco che, nell'immediatezza del crollo dell'albero, fa riferimento ad un sopralluogo di un tecnico agronomo del comune, che aveva acclarato che l'albero era in buone condizioni: lo ripeterà il vicesindaco a dibattimento; la circostanza sarà riferita anche dal teste responsabile del servizio all'epoca delle deposizione, che affermerà, appunto, che l'albero era stato visionato meno di due mesi prima da un tecnico agronomo dell'ufficio e non erano state rilevate anomalie. Lo confermerà e lo affermerà la stessa imputata, nel corso di tutte le dichiarazioni rese, anche se con la premessa di essersi trovata li accidentalmente e non per un atto di ufficio. Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni rese in sede di esame dalla Pi.Ig. - e che poi possono aver indotto in inganno anche i Giudici di legittimità circa l'atto compiuto dalla attuale giudicabile (ossia "l'ispezione" di cui si dirà diffusamente appresso) - in riferimento alla circostanza che la stessa sia trovata "accidentalmente" a passare per i giardinetti (...), siano del tutto non veritiere e smentite da inoppugnabili circostanze di fatto, circostante oggettive evidentemente non valorizzate nelle motivazioni pregresse - forse dando per scontato la conoscenza delle caratteristiche dei luoghi ove il fatto accadde. Caratteristiche dei luoghi che, pure essendo fatto notorio ed oggettivo, appare opportuno ricordare in questa sede per meglio far comprendere al lettore il perché delta non veridicità delle affermazioni dell'imputata, che tanto hanno inciso sulla valutazione della sussistenza o meno del profilo dell'obbligo di segnalazione in capo alla stessa ricadente, e quindi sulla configurabilità del profilo di negligenza, che, in uno a quello dell'imperizia di cui si dirà in seguito, rappresentano i tratti distintivi della condotta colposa della prevenuta: via (...), (ossia la strada a metà percorso della quale sono situati i giardinetti (...) ove si è verificato l'evento), è una strada in salita, che conduce verso la collina del Vomero. Considerando la direzione in salita verso il Vomero - ossia la direzione percorsa dalla Pi.Ig. con l'auto di servizio per recarsi alla (...), partendo da via Pontecorvo, sede dell'ufficio giardini (percorso così come descritto dai testi escussi in primo grado e come anche riferito dalla stessa imputata) - detta strada inizia dall'incrocio di via (...) e termina in una piazzetta dove interseca le principali arterie collinari. La strada è caratterizzata dalla presenza a sinistra, per chi sale verso il Vomero, di palazzi ed a destra da una ampia e continua veduta panoramica sul golfo di Napoli, dovuta alla circostanza che i palazzi esistenti dal lato destro sono sottoposti alla strada stessa, con quella peculiarità propria dell'urbanizzazione di vie collinari in salita: il lato destro della strada si caratterizza come bordo terminale del "terrazzamento" sul quale la strada è realizzata, rispetto alla sottostante parte degradante verso il mare. Il parco della villa (...), luogo verso il quale la Pi. afferma fosse diretta per ragioni di lavoro (rifacimento dell'alberatura del vialetto che, dall'ingresso sud del parco collinare, porta alla edificio settecentesco sito nel parco suddetto e via a seguire), come è noto, è situato alla fine di via (...) (sempre considerando la direzione in salita verso il Vomero), ad oltre 5/600 mt più avanti rispetto ai giardinetti (...), trattasi di oltre 5/600 metri da percorrere in salita provenendo dagli indicati giardinetti. Circostanze queste del tutto notorie e facilmente verificabili attraverso una qualsiasi mappa, anche online. Infine la via (...) è una strada che può definirsi a vocazione residenziale, in quanto -è fatto notorio - è caratterizzata dall'assenza di negozi - fatta eccezione per qualche alimentari - e dalla presenza di molteplici locali di svago, aperti prevalentemente la sera, per aperitivi o similia - circostanza che negli ultimi anni l'ha fatta divenire uno dei luoghi della movida serale napoletana, a dispetto della sua naturale vocazione residenziale. Ebbene, la dott.ssa Pi.Ig. nel corso dell'esame dibattimentale reso in primo grado ha più volte, e reiteratamente, affermato di essersi trovata a passare per i giardinetti (...) per mero accidente, per pura casualità, in quanto diretta, con la macchina di servizio del Comune, alla villa (...) (per le ragioni di cui sopra): avendo parcheggiato l'auto per recarsi nel suddetto parco cittadino, si era così trovata a passare a piedi per i detti giardinetti ed aveva guardato l'albero in questione effettuando, esclusivamente per deformazione professionale e non per ragioni di servizio, come dalla stessa reiteratamente ribadito, una ispezione visiva della pianta. Tant'è che quando accadde poi l'evento per il quale oggi è processo, chiamata per sapere dell'albero riferì, appunto, che aveva visto casualmente l'albero nel mese di aprile, quindi meno di due mesi prima del crollo, e che all'epoca l'albero non presentava criticità evidenti. Ebbene, appare del tutto evidente come la ricostruzione in fatto offerta dalla imputata strida fortemente con la comune logica che deriva dalla visione e notoria conoscenza della conformazione dei luoghi, come sopra, intrinsecamente contraddittoria e non credibile, nonché seccamente smentita da circostanze oggettive: Invero, per passare accidentalmente a piedi per i giardinetti (...), dopo aver parcheggiato l'auto di servizio per potersi recare alla villa (...), così come sostenuto a propria difesa dal l'imputata, è del tutto evidente che l'auto del comune dovrebbe essere stata parcheggiata necessariamente prima dei giardinetti - tenuto conto, come detto, che la via (...) veniva percorsa in salita, dalla via Pontecorvo (sede comunale del servizio giardini) in direzione Vomero, come acclarato nel giudizio di primo grado. Altrimenti non vi sarebbe potuto essere "passaggio accidentale" a piedi, o casuale che dir si voglia, per gli indicati giardinetti. Dunque, se, fosse vera tale ricostruzione offerta dal l'imputata, ne sarebbe conseguito che la vettura del comune dovrebbe essere stata parcheggiata ben oltre 5/600 metri prima dell'ingresso della villa (...), e gli occupanti, lei compresa avrebbero dovuto, per raggiungere il sito al quale erano diretti, percorrere a piedi gli oltre 5/600 metri di strada, peraltro, tutta in salita. Tuttavia, è la stessa imputata con le dichiarazioni offerte nel corso dell'esame reso il 22 gennaio 2016 nel giudizio di primo grado, a pag. 24, che rende impossibile tale ricostruzione, unica che giustificherebbe, in fatto, un passaggio accidentale per il giardinetti. Ella, a domanda del proprio difensore, espressamente affermava: "poiché non potevamo entrare con l'automezzo, perché appunto erano interdetti i luoghi in (...), abbiamo parcheggiato l'automezzo nell'ultimo tratto di via (...) e poi io sono scesa e ho proseguito a piedi, si trattava di pochi metri". Dunque, è la stessa imputata, che, per sostenere la propria tesi del passaggio "causale", afferma che l'autovettura di servizio, non potendo accedere direttamente attraverso il cancello carrabile del parco cittadino, attesi i lavori in corso al vialetto che conduce alla Villa, veniva lasciata pochi metri prima dell'ingresso del parco, mentre, come detto i Giardinetti (...) si trovano ad una distanza di gran Iunpa superiore dall'ingresso predetto, oltre 5/600 metri come è notorio e può facilmente verificarsi da una qualsiasi mappa, anche online, e non pochi metri prima, ovvero 100 metri prima, come affermerà la stessa imputata, mutando la iniziale affermazione dibattimentale, nel corso dell'esame reso il 22 gennaio 2016. Tale affermazione della Pi., ossia la assoluta casualità ed accidentalità del "sopralluogo" del 19 aprile 2013 (volta, evidentemente, ad alleggerire la propria posizione, quanto meno in termini di dubbio, sull'aver effettuato o meno un atto dell'ufficio, con le evidenti ricadute in tema di valutazione della condotta e di obblighi conseguenti) a parere della Corte è quindi del tutto inverosimile e smentita, come detto, dalle oggettive emergenze in fatto: la possibilità che la vettura di servizio sarebbe stata parcheggiata così lontano dall'ingresso, ad oltre 5/600 metri di distanza, costringendo peraltro ad un lungo percorso a piedi ed in salita gli occupanti, è smentita dalle affermazione della stessa Pi., che afferma c e l'auto veniva lasciata "pochi metri prima", o comunque, cento metri prima dell'ingresso del parco cittadino. Inoltre, detta la affermazione della "casualità del passaggio a piedi" è smentita, nel corso del giudizio di primo grado dal teste escusso, autista del comune, ha espressamente affermato che davanti ai giardinetti (...) transitavano in auto - come peraltro è logico ritenere, attesa la morfologia dei luoghi come sopra descritta. Né è ipotizzabile, e nemmeno la Difesa lo ha prospettato, che la Pi.Ig. si sia fatta lasciare 5/600 metri della destinazione per poter proseguire a piedi, senza motivo e senza alcuna ragione collegata all'ufficio, posto che era lì in quanto in servizio, visto che si stava recando, come da lei affermato, in (...) per i lavori che stava seguendo. La tesi del passaggio "accidentale" attraverso i giardinetti, a parere di questa Corte, è del tutto inverosimile, contraria ad ogni logica, totalmente smentita dalle oggettiva conformazione del luogo e delle oggettive circostanze di fatto illustrate. Ne consegue, pertanto, che deve, fuor di dubbio, affermarsi che la Pi.Ig. non si trovò "casualmente ed accidentalmente" a passare per i giardinetti (...), ma che, al contrario, vi si recò espressamente, evidentemente proprio per controllare lo stato dell'alberatura lì presente, e segnatamente lo stato del pino marittimo, poi crollato il 10 giugno 2013. Dunque si recò lì a compiere espressamente un atto dei proprio ufficio. Tanto per le ulteriori seguenti considerazioni: come emerge dagli atti del giudizio di primo grado, la dott.ssa Pi.Ig. all'epoca dei fatti era funzionario agronomo del servizio qualità dello spazio urbano della direzione ambiente del comune di Napoli, servizio comunale a cui compete la manutenzione delle alberature di alto fusto nel territorio cittadino. Come si legge dall'imputazione formulata, anche alla luce della integrazione operata all'udienza del 1 luglio 2016, l'imputata non è tratta a giudizio in quanto, nella qualità di funzionaria dell'ufficio, non avrebbe curato la potatura ovvero la messa in sicurezza della pianta. A seguito della modifica operata all'udienza di primo grado del 1 luglio 2016. le si contesta di aver sottovalutato, all'atto del sopralluogo dell'aprile 2013. le condizioni di pericolo in cui la pianta versava, non provvedendo così a segnalare alla struttura preposta la necessità di intervento. Alla medesima, dunque, non è contestata la mancata manutenzione in generale del verde cittadino, o degli alberi di alto fusto: come si legge dal capo di imputazione, la condotta imputata alla stessa è oltremodo specifica, e consiste nella omessa segnalazione del pericolo derivante dalla pianta stessa, a cagione della sottovalutazione dello stesso, sottovalutazione operata nell'ambito di un atto proprio del suo ufficio di agronomo comunale, ossia all'esito del sopralluogo di aprile 2013. Come si è detto, questa Corte ritiene indubitabilmente, per le ragioni sopra illustrate, che la Pi. non si recò casualmente sul posto, non vi passò "per caso", ma bensì vi recò lì appositamente e deliberatamente (approfittando, verosimilmente, della circostanza che comunque in quel periodo saliva in zona per seguire i lavori al parco della (...)), proprio per esaminare l'albero in questione. Ebbe, quindi, a compiere un atto del proprio ufficio di agronomo, la cosiddetta "ispezione visiva" su un albero (di cui appresso si dirà meglio), che, come da lei stessa affermato, conosceva bene, per averlo visionato più volto nel corso dell'attività svolta presso l'ufficio del comune di Napoli. Peraltro, la Pi.Ig., già responsabile di un settore - carica ricoperta con certezza fino al 31 dicembre 2012 - al quale competeva la manutenzione degli alberi di alto fusto, nella qualità aveva, all'epoca, diramato plurime circolari ed ordini di servizio (agli atti del giudizio di primo grado) in cui richiedeva espressamente particolare attenzione agli alberi di alto fusto, e segnatamente a quelli siti nei giardinetti di Via (...), più volte oggetto di segnalazioni da parte di privati cittadini. Dunque, la Pi.Ig., era a conoscenza delle problematiche dell'albero, non fosse altro perché ella stessa lo aveva individuato tra quelli da tenere particolare sorveglianza nei vari ordini di servizio emanati: è stata prodotta agli atti, in gran parte proprio dalla Difesa dell'imputata, copiosa documentazione da cui emerge che, anche negli anni precedenti al 2013, ella si era non solo occupata della manutenzione delle alberature di alto fusto ma anche, ed attivamente, della relativa attività di sorveglianza, segnalando in più occasioni la centralità di tale questione per il proprio ufficio anche in seguito alle problematiche nate dal decentramento (cfr. tra le altre le note del 2 gennaio 2007, del 4 marzo 2009, del 23 settembre 2009, del 15 dicembre 2010, del 22 dicembre 2010 e del 5 gennaio 2012), evidenziando così piena consapevolezza che i compiti di manutenzione e sorveglianza delle alberature al fine di prevenire pericoli per la pubblica incolumità erano attribuiti, per quel che concerneva gli alberi di alto fusto, al suo ufficio. Esclusa, dunque, ogni casualità del passaggio in loco, non v'è dubbio a parere di questa Corte che la Pi.Ig. si sia recata a visionare l'albero, ossia a compiere una ispezione visiva proprio nella sua qualità di agronoma del comune di Napoli: si recò espressamente in loco, proprio per esaminare l'alberatura dei giardinetti (...), proprio per esaminare quel pino marittimo oggetto di plurime segnalazioni dei cittadini, che sin da dicembre 2012 - come risulta dagli atti del fascicolo di primo grado - rappresentavano allarmati al comune la peculiare inclinazione dell'albero. Ella, procedette ad un atto del suo ufficio di agronoma comunale, ossia ad ispezione visiva dell'albero in questione, sottovalutando però le condizioni dell'albero per imperizia e negligenza, ed omettendo conseguentemente di segnalare la necessità di immediato intervento per evitare il pericolo di caduta dello stesso. Non v'è dubbio, a parere di questa Corte, che la stessa nell'occasione ebbe a compiere (se pur in maniera negligente ed imperita, come di seguito diffusamente si dirà in relazione alla prevedibilità della caduta) un atto del proprio ufficio. Come infatti ricordato da tutti i CT nel corso del dibattimento di primo grado, "l'ispezione visiva" è un atto tipico dell'agronomo, che consiste nell'esame visivo della pianta, e che non necessariamente viene trasfuso in atto formale scritto. A esso può o meno seguire una relazione scritta, che tuttavia si appalesa indispensabile laddove la pianta dovesse presentare necessità di pronto intervento a tutela della pubblica e privata incolumità, e ciò, quanto meno, al fine di lasciare traccia scritta della segnalazione di pericolo effettuata. Tant'è che ebbe a compiere, e del tutto consapevolmente, un atto proprio del suo ufficio di agronoma, che, allorché si ebbe la caduta dell'albero, richiesta di riferire sulla situazione del medesimo, la Pi. ebbe ad affermare immediatamente, ed a ribadire poi, sia nell'interrogatorio reso al PM che nel corso dell'esame dibattimentale, che, quando lo aveva "visionato" nell'aprile precedente, lo stesso era in buone condizioni e non vi era presenza di resina. Tant'è che proprio sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla Pi.Ig., il comune nell'immediatezza del fatto ebbe a diramare una nota nella quale si affermava che un funzionario agronomo aveva da poco esaminato l'albero, senza tuttavia riscontrare anomalie - nell'evidente tentativo di allontanare dall'ente, dai funzionari e dagli amministratori preposti ogni e qualsivoglia profilo di responsabilità. Era come affermare: "l'albero stava bene, lo tenevamo sotto controllo, tant'è che anche di recente un agronomo del comune lo ha "visionato" e Io ha trovato in buona salute, quanto è accaduto è un evento imprevisto e del tutto imprevedibile". È stata questa, sin dall'inizio della vicenda, con il comunicato nell'immediatezza diramato, la linea di difesa dell'Ente, rimasto così sullo sfondo del processo, non sfiorato dal processo penale, nemmeno in relazione al profilo della corretta predisposizione - nell'ambito della posizione di garanzia propria dell'ente e per esso dei suoi rappresentanti - di una catena di controllo, volta alla verifica della puntuale esecuzione delle mansioni delegate ai funzionari dirigenti i vari settori. Ente che. per effetto della regola posta dall'articolo 2051 del ce. (ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito) risponde direttamente del danno cagionato dalla cosa in custodia con obbligo di risarcimento, a meno che non si dimostri che il danno è derivato da caso fortuito o da forza maggiore, ovvero che l'evento che ha cagionato il danno abbia caratteristiche di imprevedibilità ed eccezionalità. E' questa la linea di difesa della Pi.Ig. sostenuta nel corso del giudizio che ha visto la medesima come unica imputata tra gli attori dell'apparato comunale. E tuttavia, tale linea difensiva, a parere di questa Corte, non può trovare accoglimento, trovando smentita negli atti assunti nel giudizio di primo grado, per le ragioni che qui si illustrano, e per la specificità della condotta imperita ed omissiva commessa dalla medesima - pur dovendosi dare atto che la condotta della Pi.Ig. si inserisce quale concausa nell'ambito di una più ampia sequenza di condotte approssimative, se non omissive, di sottovalutazione diffusa del pericolo derivante per la pubblica e privata incolumità dalla cattiva manutenzione del verde pubblico. Come illustrato, ritiene questa Corte che la Pi. nell'aprile del 2013 ebbe a compiere un atto proprio del suo ufficio, ossia una ispezione visiva, sull'evidente presupposto della necessità di un controllo della pianta di alto fusto, ambito di competenza del settore comunale nel quale era funzionalmente incardinata, necessità di un controllo derivante dalla pregressa conoscenza dell'albero (è la stessa Pi. che ribadisce più volte nel corso dell'esame in primo grado che "conosceva bene il pino di via (...)") delle peculiari caratteristiche dello stesso, ivi compresa la particolare inclinazione che tanto allarmava gli abitanti della zona. Tant'è che ebbe a compiere un atto del proprio ufficio di agronoma, ossia l'ispezione visiva, che fu in grado di descrivere con dovizia di particolari al Pm ed al Giudice di prime cure che l'albero non presentava malattie evidenti, ed, in particolare, che lo stesso non presentava colature di resina. Osservazioni, queste che certamente non appare possibile effettuare con "un'occhiata accidentale e di passassio" - pur se lanciata da un occhio esperto - essendo, evidentemente, assolutamente necessario che l'osservatore si avvicini alla pianta per coglierne le spie sintomatiche di una qualsivoglia malattia, e soprattutto, per poter constare se vi sia o meno presenza di resina, che, come è noto, è trasparente e quindi difficilmente visibile da una posizione non ravvicinata. Dunque, anche la descrizione della pianta fatta dall'imputata nel corso dell'interrogatorio delegato del giugno 2013 e ribadita a dibattimento è ulteriore elemento che conforta e conferma che di un vero e proprio esame della pianta si trattò, e non di fugace sguardo dato alla stessa mentre casualmente si passava di li. Ebbene, la tipicità dell'atto dell'agronomo di "ispezione visiva", che si estrinseca nell'esame esterno della pianta, non deve però trarre in inganno l'interprete e portare a sovrapporre quest'atto a quello disciplinato dalle norme processual-penalistiche. richiedendo, dunque, per il primo, regole formali peculiari del secondo, e finendo così per sovrapporre le categorie e gli istituti processual-penalistici a quelli della scienza agronoma. Certamente, e non v'è dubbio, l'utilizzo della medesima terminologia - sopralluogo, ispezione - può indurre in equivoco, e rischia di far confondere e sovrapporre categorie proprie di una scienza (quella giuridica) a quelle proprie di altra scienza (agronomia), con la evidente conseguenza della lettura ed interpretazione delle seconde alla luce e con gli strumenti della prima. Ma, come detto, l'ispezione visiva è atto tipico dell'agronomo, ed è un atto diverso da quello previsto dal codice di rito per l'assunzione delle prove (ispezione e sopralluogo) e dunque per la sua esistenza e validità non sono applicabili i requisiti richiesti dal cpp. Né deve trarre in inganno l'utilizzo, indifferentemente fatto, di detta terminologia - ispezione, sopralluogo - nel corso dell'esame dell'imputata, e dall'imputata stessa, oltre che dalle parti: è del tutto evidente che tali termini vanno contestualizzati, e non possono che riferirsi all'atto tipico dell'agronomo, atteso che di esso si sta parlano, e non certamente all'atto tipico previsto dal cpp. L'ispezione visiva, come detto, è un atto tipizzato in scienza agronoma, e non va pertanto confuso o sovrapposto all'atto tipizzato dal codice di rito. Più correttamente in scienza agronoma, come si rileva dalle relazioni riversate in atti, si parla di metodo VTA (valutazione visiva dell'albero) che consta di tre fasi: 1) Controllo visivo dell'albero al fine di ricercare sintomi esterni di difetti interni, ad esempio se la distribuzione costante delle tensioni nell'albero è disturbata a causa di malformazioni, l'albero reagisce producendo più legno nel punto sovraccaricato. In tal modo rigonfiamenti e depressioni si formano in prossimità delle cavità cariate, mentre costolature si creano vicino alle fenditure. 2) Se sono riscontrati dei sintomi bisogna procedere ad un esame più approfondito per confermare e misurare il difetto correlato. Questo è possibile sia misurando la velocità di un'onda sonora che passa attraverso la sezione trasversale sia con metodi penetrometrici. La resistenza del legno sano rimasto è determinata utilizzando il Fractometer, strumento tascabile per la valutazione del legno. 3) Conosciuta la dimensione del difetto e la qualità del legno sono applicati dei criteri di previsione di schianto per determinare se l'albero sia o meno pericoloso. Il VTA è dunque un metodo di ispezione visiva, non distruttivo per gli alberi sani, guidato dai principi della biomeccanica e basato sull'assioma della tensione costante. La valutazione visiva di primo livello consiste quindi in un'ispezione visiva di un albero, condotta al fine di identificare evidenti difetti e specifiche condizioni stazionali. È una valutazione visuale tipica che si focalizza sull'identificazione di quegli alberi che manifestano un'imminente o probabile propensione al cedimento: il valutatore realizza un'ispezione visuale, cercando di individuare i difetti evidenti, come ad esempio alberi morti, grandi cavità aperte, grandi rami morti o rotti, presenza di fruttificazioni fungine, ampi cretti o notevoli inclinazioni. La Pi.Ig., del resto, ha operato quale agronomo del comune, e non certo come agente di Pg, tenuto al rispetto dei crismi processualpenalistici: dunque l'atto dalla stessa compiuto e doviziosamente descritto più volte dalla stessa, non può e non va categorizzato alla luce delle regole processualpenalistiche, ma, bensì, alla luce della scienza - agraria--agraria - nell'ambito della quale è stato effettuato. Ne consegue che la censura sul punto, relativa alla mancata formalizzazione dell'atto, deve pertanto ritenersi del tutto superata alla luce delle esposte considerazioni. Tanto premesso, deve dunque affermarsi che la Pi.Ig. non si trovò "per caso" a passare per i giardinetti (...) e che altrettanto non si trovò "per mero accidente" ad esaminare il pino poi crollato: ella si recò lì espressamente, per compiere un atto del proprio ufficio, l'ispezione visiva, di un albero di alto fusto, alberatura rientrante nell'ambito della sua specifica competenza di agronoma, e la cui manutenzione era delegata al settore nel quale la Pi.Ig. era funzionalmente incardinata. L'atto compiuto fu però viziato da imperizia e negligenza, attesa la sottovalutazione della rilevante inclinazione della pianta verso la strada e del pericolo di caduta della stessa, caratterizzata da una folta chioma, da grossi rami sviluppatisi parallelo alla strada, non bilanciati da rami sul lato opposto - pericolo di caduta chiaramente prevedibile come appresso si dirà - pericolo che quindi ometteva di segnalare, con la conseguente verificazione dell'evento per il quale oggi è processo, neanche due mesi dopo l'ispezione. Va da ultimo sul punto rilevato che la circostanza che si sia trattato proprio dell'espletamento di un atto tipico dell'agronomo si ricava anche dalle espressioni utilizzate dalle Pi. nel corso dell'esame reso al Pm ed in quello reso a dibattimento, così come risulta dalla lettura delle verbalizzazioni operare: la Pi.Ig. utilizza, infatti, nel corso delle varie deposizioni rese, sempre il termine tecnico "ispezione visiva", ed invero non appare credibile che tale locuzione sia stata autonomamente inserita dai verbalizzanti laddove ella avesse semplicemente riferito di essersi limitata a guardare l'albero passandovi davanti in tutta fretta e senza particolare attenzione, (v. sul punto l'interrogatorio reso alla PG delegata dal PM nella fase indagini il 27 giugno 2013, acquisito all'udienza del 22 gennaio 2016, laddove ha affermato di essersi fermala a guardare l'albero per una "per una analisi visiva"....) Analisi visiva, che, come si è visto, è un atto proprio dell'agronomo, che le consentirà di affermare prima in quella sede che l'albero non presentava segni di sofferenza vegetativa, non aveva rami secchi, né colature di resina attorno al tronco. E poi di ribadirlo in dibattimento. Tuttavia, come anticipato, nel corso dell'ispezione visiva effettuata il 19 aprile 2013 (data indicata dalla stessa Difesa nelle memorie allegate agli atti) ebbe del tutto a sottovalutare la situazione statica della pianta, che, come poi riconosciuto da tutti nel corso del dibattimento, presentava una vistosa inclinazione, circostanza questa che aveva allarmato non poco gli abitanti della zona, che sin dal mese di dicembre 2012 avevano inoltrato segnalazioni di pericolo al comune di Napoli, (v. su punto le testimonianze rese in primo grado dai testimoni Si., Gu., e Ma.), era stato infatti più volte segnalato dai privati cittadini che il pino di via (...) aveva una pericolosa pendenza, che manifestava una marcata propensione al cedimento proprio a causa della eccessiva inclinazione, che faceva si che vi fosse il concreto rischio che le radici non fornissero più il corretto aggancio al suolo, in assenza di contrappeso alla folta chioma e ai grossi rami che pendevano verso terra dal lato della inclinazione della pianta, ossia sulla strada. Ebbene, nonostante tali segnalazioni, nonostante proprio la stessa Pi.Ig. avesse, per il passato, nella sua qualità di responsabile dell'area alla quale competeva la manutenzione sugli alberi di alto fusto, evidenziato la necessità di una peculiare attenzione anche alla alberatura di via (...), ebbene, nonostante tutto ciò, all'atto dell'ispezione del 19 aprile 2013, ella non rilevò nullo di anomalo, tant'è che non ritenne di fare alcuna segnalazione. E dunque, come è stato possibile che il pino, dopo neanche un mese e mezzo, sia crollato, cagionando così una orribile morte ad una giovane donna che si trovava a passare lì per caso? Era davvero una condizione, quella dell'inclinazione dell'albero, del tutto compatibile con l'ordinario, ed il crollo della pianta, come sostenuto dalla Difesa, era un evento del tutto imprevedibile, che dunque non può essere imputato alla prevenuta? Oppure l'evento era prevedibile, ed all'atto dell'ispezione visiva è stata del tutto sottostimata e sottovalutata la probabilità di verificazione di tale evento, se non addirittura non è stata affatto considerata? Ritiene questa Corte che la lettura degli atti processuali assunti dia inequivocabile risposta a tali interrogativi, e impone di affermare che il crollo dell'albero, così come avvenuto, era del tutto prevedibile, e che, conseguentemente, una ispezione visiva accorta, e non imperita come quella espletata, avrebbe imposto una segnalazione agli organi preposti con sollecitazione di interventi (se non di sfoltitura o di abbattimento della pianta, quanto meno di transennamento dell'area). Invero, dalle consulenze riversate in atti emerge pacifico che l'albero di via (...) presentava, e da tempo, una vistosa inclinazione, che gli esperti hanno classificato in una elevata classe di propensione al cedimento (classe C/D). Classe di propensione al cedimento elevata, che come si ricava dalle relazioni degli esperti riversate in atti, imponeva un monitoraggio costante della pianta, vieppiù per la circostanza che il grosso albero era allocato in un contesto urbano, in pieno centro cittadino, in una zona ad alta densità abitativa, in una strada - sulla quale pericolosamente sporgeva - ad elevata intensità di traffico veicolare. Si ricorda, come detto in premessa, che via (...) è una delle poche arterie cittadine che dalla zona bassa di Napoli consente il collegamento a quella collinare, e segnatamente tra due quartieri (Chiaia e Vomero) densamente popolati. Come si ricava dalle relazioni tecniche riversate in atti e come hanno riferito i CT a dibattimento, le Classi di Propensione al Cedimento degli alberi (CPC) - che hanno sostituito integralmente la vecchia ripartizione istituita dalla Società Italiana di Arboricoltura e denominata FRC - classificano le piante in base a due fattori principali: il pericolo, che corrisponde alla propensione al cedimento dell'albero o di sue parti oppure, in termini statistici, alla probabilità che si verifichi un cedimento, e che quanto si valuta con l'analisi visuale o anche strumentale della stabilità; ed il rischio, che è formato dal prodotto tra la pericolosità insita nella pianta (la propensione al cedimento appunto) e la vulnerabilità del luogo di potenziale caduta e, quindi, dalla relazione che lega la probabilità del verificarsi di un evento pericoloso ai danni che questo può provocare alle persone e ai manufatti. L'imputata in sede di esame ha affermato di aver avuto contezza da sempre della inclinazione dell'albero, ma che la stessa non le ha mai determinato particolare allarme, in quanto dalla medesima ricondotta al fenomeno naturale del fototropismo, ossia all'inclinazione tipica delle piante a piegarsi verso la fonte di luce, ossia verso il sole. Come è noto, si definisce fototropismo il fenomeno naturale dei vegetali che tendono ad girarsi, anche inclinandosi, verso il sole. E tuttavia deve rilevarsi che la pianta in esame, come è certo agli atti, non era inclinata verso il sole, verso il lato mare, ossia verso sud, ma bensì era inclinata verso nord (v. consulenza Ct Pm pag. 26 e ss.), ossia verso la strada, sulla quale, peraltro pericolosamente sporgeva. Dunque, quello che l'imputata ha definito in dibattimento (unitamente al proprio CT) inclinazione naturale per fototropismo della pianta, tale non era. Dunque, da tecnico agronomo ci si sarebbe dovuto almeno porre la domanda sul come mai la pianta presentasse una inclinazione opposta a quella che naturalmente avrebbe dovuto assumere. E si sarebbe potuta prestare la dovuta attenzione alla peculiare conformazione della pianta stessa, che presentava due vistosi e pesanti rami proprio dal lato nord prospiciente la strada, che crescevano paralleli alla strada, rami non controbilanciati da adeguato sviluppo della pianta dal lato opposto. Certamente una maggiore attenzione nell'ispezione visiva effettuata avrebbe consentito di comprendere che il pino era inclinato non perché andava verso il sole, ma bensì per il peso di quei due rami e della chioma, tutta spostata verso la strada per effetto della detta inclinazione. Certamente una maggiore attenzione alla conformazione della pianta avrebbe fatto notare all'osservante attento che l'albero era caratterizzato dalla presenza di due grossi rami che pendevano verso la strada, non controbilanciati dall'altro lato: non è vero, come sostenuto dalla Pi.Ig. nel corso dell'esame reso a dibattimento che il pino era lì nelle stesse condizioni e con la stessa inclinazione che aveva da 30 anni, e che, quindi, non presentava alcun allarme di sorta. 11 pino aveva subito rilevanti modifiche nel corso degli anni, come è agevole desumere dalle consulenze riversati in atti, nelle quali si dà atto della vistosa cicatrice presente sul tronco nella parte alta, che dava contezza che un ramo era stato tagliato proprio dal lato opposto a quello ove erano situati quelli incombenti sulla strada. Ebbene, pur volendo ritenere che la Pi.Ig. non sapesse di tale taglio, comunque certamente non poteva sfuggirle la evidente e peculiare conformazione della pianta, che presentava due grossi rami verso la strada, non bilanciati da niente sul lato opposto. Poteva dunque non sapere del taglio, poteva certamente non essersi avveduta della cicatrice (posta in alto), ma indubbiamente avrebbe dovuto avvedersi della "strana" e anomala conformazione della pianta, tutta sviluppata ed inclinata verso la strada. La circostanza, poi, che si trattasse di un pino marittimo, peraltro di enormi dimensioni (circa 18 metri come indicato dal CT) e non di altro albero, avrebbe dovuto allarmare ancor più il tecnico comunale, dotato di specifiche professionalità, in quanto ella non poteva certo ignorare la peculiarità dell'apparato radicale dei pini marittimi, ossia il fatto che le radici di tali piante non crescono in profondità, ma sono molto superficiali - peculiarità nota anche ai profani cittadini che quotidianamente si imbattono in strade dissestate dall'invadenza delle radici dei pini marittimi che aggrediscono l'asfalto, distruggendo il manto stradale. Apparato radicale che, essendo superficiale, certo non garantisce il massimo in termini di tenuta, ancor più se si è in presenza di vistose inclinazioni - quale quella per il quale è processo - non bilanciate da alcun contrappeso, vistosa inclinazione che, come affermato dai tecnici escussi in primo grado, spostava il baricentro fuori asse, ossia al di fuori della circonferenza del tronco. Dunque, se un pino marittimo alto 18 metri circa si inclina, e per giunta ha anche una folta chioma, con pesanti rami, che pendono dal lato inclinato, ed è de) tutto privo dal iato opposto di rami a far da contrappeso, è del tutto intuitivo, anche per chi non è esperto del settore, che le radici - che abbiamo detto sono superficiali e non profonde - possano non tenere e non riuscire a bilanciare la pianta. Inoltre, come illustrato in premessa, la via (...) è una strada in salita, che avvolge la collina, ed è caratterizzata dalla presenza di fabbricati, sul lato destro per chi sale, sottoposti alla strada stessa, proprio in ragione della pendenza del terreno. Pendenza, che come hanno riferito i tecnici a dibattimento, caratterizzava e caratterizza anche in giardinetti "(...)" nei quali insisteva il pino marittimo schiantatosi, giardinetti che sono in pendenza, dalla strada verso il parapetto che affaccia sul mare. Dato oggettivo che certo non doveva e non poteva sfuggire all'osservante e che doveva ancor più mettere in allarme circa l'effettiva tenuta dell'apparato radicale, in quanto lo stesso trovava un minor aggancio, per effetto della pendenza dei giardinetti, proprio dal lato opposto a quello della inclinazione. Tutte oggettive circostanze di fatto, del tutto sottovalutate dalla Pi.Ig. nel corso dell'ispezione visiva effettuata. Ebbene, in presenza di uno scenario di tal fatta, quanto meno un dubbio il tecnico avrebbe dovuto porselo, e segnalare la situazione, così da poter, quanto meno, transennare temporaneamente l'area, nelle more di un controllo più approfondito sulla statica della pianta. Ebbene, tutto ciò non è stato fatto, sul presupposto, più volte ribadito dalla Pi. a dibattimento, che il pino non presentava pericolo, che stava lì da trent'anni e niente era accaduto di nuovo (ed invece era stato tagliato un ramo al lato opposto all'inclinazione), e che, come dalla medesima affermato nel corso dell'esame, certamente non poteva darsi adito per la valutazione del pericolo agli allarmi lanciati da non tecnici. Tanto premesso, la Corte ritiene che un controllo attento della pianta, se pure limitato all'ispezione visiva, avrebbe dovuto allertare l'imputata circa il potenziale pericolo di caduta dell'albero, se finanche comuni cittadini si erano allarmati per la pericolosa inclinazione, segnalandola più volte all'ente preposto (v. dichiarazioni del Tagliartela, (...), del Ma. e del Si., che nel corso dell'esame reso a dibattimento di primo grado che hanno affermato di aver più volte effettuato segnalazioni al comune, sin dal dicembre 2012). L'evidenza ex ante della situazione di pericolo in cui versava la pianta come sopra descritta in fatto è stata poi acclarata in dibattimento attraverso le consulenze tecniche espletate. In particolate, il consulente del PM, che ha effettuato nell'immediatezza una ispezione in loco, e che, quindi ha potuto visionare la pianta subito dopo il crollo della stessa, potendone osservare le caratteristiche ed in particolare la base della medesima con le radici, la c.d. "ceppaia", ha minuziosamente descritto il vegetale nella relazione riversata in atti. L'agronomo del Pm, CT dott. Bu. (escusso all'udienza del 2 ottobre 2015 e la relazione del quale è stata acquisita agli atti) si è avvalso nell'espletamento dell'incarico di tre ausiliari, l'agronomo Be., l'architetto Sc. per la parte concernente la ricostruzione grafica del pino crollato e delle sue dimensioni e posizione antecedenti al crollo ed e il geologo Si. per le verifiche sulle condizioni del terreno su cui insisteva la pianta (esaminati anche essi a dibattimento all'udienza del 20 novembre 2015): egli ha individuato la causa del crollo nella condizione di notevole squilibrio della pianta, squilibrio dovuto alla abnorme crescita di due dei rami che pendevano sulla strada, non controbilanciata dalla presenza degli altri rami controlalerali, evidenziando, inoltre che alcuni di quelli che avrebbero potuto agire da contrappeso risultavano tagliati, come si ricavava dalla cicatrice presente sul tronco - lato mare. Ha inoltre rilevato il CT che i due rami che pendevano verso la strada (ed indicati nella consulenza con le sigle A2 e B2) non seguivano lo sviluppo armonico della chioma verso l'alto, erano cresciuti a dismisura, parallelamente alla via ((...)), sino a raggiungere la lunghezza di circa 8 mt e con una forte inclinazione, che il CT ha qualificato a "coda di leone". Il pino non aveva dunque una crescita armonica quale dovrebbe essere per quel tipo di pianta definita dal CT "pino ad ombrello, dove tutti i rami dovrebbero avere un aspetto verticillare, cioè andare verso l'alto, viceversa due rami, in particolare di un certo spessore erano protesi in questo modo qui, cioè verso la strada". Tale condizione aveva provocato uno spostamento del baricentro della chioma che non ricadeva, più all'interno del disco radiale del tronco, ma bensì a circa 4 metri dal fusto, determinando così una situazione di notevole pericolo. Inoltre, come stigmatizzato dal tecnico del PM, il terreno sul quale insisteva la pianta presentava una pendenza dal lato opposto a quello della strada, rendendo così ancor più precario, in quel punto, l'ancoraggio delle radici. Il CT classificava così la pianta in una classe elevata di propensione al cedimento che era indicata in quella tra C e D. Inoltre dalla consulenza espletata dal tecnico del PM emergeva che in loco erano stati effettuati una serie di accertamenti volti ad accertare le ragioni dello sradicamento della pianta, anche con riferimento ai lavori effettuati anni addietro nel canale fognario sottostante. Ebbene, dalla relazioni e dalle dichiarazioni rese a dibattimento in ordine agli accertamenti effettuati con riferimento anche con riferimento agli agenti meteorologici che si erano verificanti nel periodo immediatamente antecedente, dalla consulenza del Pm è emerso che non vi erano elementi diversi dalla statica e dall'equilibrio dal punto di vista meccanico della pianta che potessero avere contribuito al crollo: la pianta era sana, esente da fitopatologie anche nella parte radicale, in Bu. stato vegetativo; gli eventi meteorologici verificatisi nel periodo antecedente l'evento non furono significativi in termini di eccezionalità tale da poter incidere sulla stabilità dell'albero, in particolare l'indagine sul punto fece emerge che vi era stato si un allerta meteo il 26 maggio 2013, quindi venti giorni prima della caduta del pino, ma che la pioggia precipitata non fu tale da determinare smottamenti del terreno, né il vento fu tale da determinare sradicamenti. Inoltre il carotaggio del terreno sul quale la piante insisteva fece emergere che le radici erano libere di espandersi, non essendo stati rinvenuti impedimenti meccanici, tipo manufatti cementizi o altro, né rimaneggiamenti ed alterazioni ad opera dell'uomo, né, tantomeno, l'esistenza di ritenzioni idriche di natura fognaria o di altra natura che potessero aver determinato uno smottamento del terreno sottostante le radici. Infine i tecnici del PM hanno affermato più volte e reiteratamente che nel corso dell'esame della pianta, ed in particolare della ed ceppaia, non fu riscontrato alcun segno di taglio, ovvero cicatrici che potesse far pensare da un indebolimento dell'apparato radicale, e quindi della tenuta della pianta, ad opera dell'uomo. L'apparato radicale, di circa tre metri, rientrava nelle dimensioni di due o tre volte il diametro del tronco, misura ritenuta sufficiente, se pur non ottimale, tenuto conto dello sviluppo della pianta in un contesto urbanizzato, nel quale, evidentemente, le radici hanno maggiore difficoltà ad espandersi rispetto alla aperta campagna. Ebbene, anche i CT delle PC giungevano ad analoghe conclusioni sia in ordine alle cause della caduta, dovuta al baricentro fuori asse, che alla classificazione della pianta all'interno di classe elevata di cedimento in ragione delle caratteristiche descritte. In particolare poi il tecnico strutturista nominato dalla PC (ing. Au.) affermava che l'evidente squilibrio della chioma, in ragione dei pesanti rami pendenti sulla strada e non controbilanciati da rami dalla parte opposta, aveva determinato la creazione di un "braccio di leva" che gravava del baricentro, e conseguentemente un carico eccentrico, al quale le radici dell'albero ad un certo punto non erano più riuscite ad opporsi, trattenendo la pianta, determinando così il crollo della stessa. La ricostruzione della causa del crollo, così come operata dai CT del PM e da quelli delle PC, non appare scalfita dalie osservazioni e considerazioni operate dal CT della Difesa della Pi.. Invero il CT di parte difensiva, che pur afferma che trattasi di pianta in Bu. stato di salute, ha affermato che la situazione di asimmetria della parte esterna, ed in particolare della chioma, era sostanzialmente fisiologica e dovuta alla naturale reazione della pianta, attesa la sua collocazione nel contesto urbano, alla forzata competizione con le altre piante adiacenti ed alla conseguente necessità di evitare il contatto con le stesse. E tuttavia, anche a volte condividere tale assunto, ossia che lo sviluppo della pianta fosse "fisiologico" in considerazione della sua allocazione (all'interno di un giardino in un contesto urbano), non sfugge che tale atteggiamento della pianta c.d. "fisiologico" è tuttavia un atteggiamento foriero di grande pericolo per la privata e pubblica incolumità, alla luce delle considerazioni scientifiche strutturali rappresentate dai CT del PM. Invero, la circostanza che lo sviluppo del pino fosse "fisiologico" in relazione alla sua allocazione non esclude che tale fisiologia possa costituire un pericolo per la stabilità della pianta stessa: è del tutto evidente, che, pur volendo definire "fisiologico" tale anomalo sviluppo, resta il dato oggettivo ed insuperato dal CT a difesa, in relazione al profilo strutturale, e dunque in relazione al pericolo di crollo della pianta per essere il baricentro spostato fuori asse, non ricadente all'interno del tronco della pianta stessa. Pericolo conclamato a dibattimento dalla indagine scientifica effettuata dai tecnici nominati dal PM e dalla PC. ma. evidentemente, già emergente anche agli occhi di comuni cittadini, quindi di persone non tecnicamente qualificate, che, infatti, da "profani", avevano più volte allertato il comune circa il pericolo nascente dalla vistosa inclinazione dell'albero (v. dichiarazioni Si., (...) e Ma.). Né appare dirimente l'osservazione portata del tecnico a Difesa, circa l'insufficienza dell'apparato radicale a contenere l'inclinazione della pianta, di ridotte dimensioni, circa tre metri, del tutto sproporzionate per difetto rispetto all'altezza complessiva del pino (17 metri), insufficienza che il tecnico a difesa riconduce ai traumi subiti dall'apparato radicale durante l'esecuzione di lavori stradali, relativi alla sottostante condotta fognaria, e che avrebbero comportato un taglio circolare delle radici tutto intorno alla base del tronco, effettuati nel 2004: all'epoca, afferma il tecnico, sarebbero state tagliate tutte le radici orizzontali dell'albero, e quelle ricostruite spontaneamente dall'albero nell'arco di nove anni dall'intervento sarebbero state del tutto insufficienti. Ebbene, rileva a Corte che tale assunto non è confortato da alcun atto certo: la circostanza del taglio di parte della apparato radicale non appare dato certo, né nell'an, né nel quantum. Come ha dato atto già il giudice di prime cure di tali lavori stradali, asseritamente svolti nel 2004, non vi è riscontro di nessun tipo. Nonostante la sua qualifica di tecnico operante all'interno del Comune, il consulente della Difesa - come del resto la stessa imputata Pi.Ig. - non è stato in grado di produrre alcuna documentazione al riguardo, che pur doveva rinvenirsi atteso che, ove mai fossero stati effettivamente effettuati, sarebbero stati indubbiamente di grossa portata e coinvolgenti il piano di calpestio e non solo la zona profonda dei sottoservizi, atteso che avrebbero addirittura determinato - come sostenuto dal CT a difesa - imponenti recisioni circolari dell'apparato radicale, che, come detto, è oltremodo superficiale per sua natura. Il CT a Difesa, ad espressa domanda del PM ha invece riferito che dei detti lavori non è stata reperita agli atti del comune nessuna traccia. Né le specifiche indagini effettuate in merito dalla Procura hanno fornito riscontri all'assunto difensivo: sono emersi, infatti solo lavori effettuati nel 2010 all'impianto di illuminazione e nel 2009 all'impianto fognario, ma i primi non avevano comportalo alcuna operazione di scavo ed i secondi erano stati effettuati all'intersezione tra Via (...) e la (...), quindi ad una certa distanza dal punto di ubicazione dell'albero, come si rileva dalla nota dell'ACEA e dalla nota a firma dell'arch. Ie. della Direzione Centrale Ambiente, in allegato alla memoria depositata per la parte civile al GM all'udienza del 22 luglio 2016 (allegato n. 10). Infine, neanche dalla deposizione del teste, prof. (...), è possibile ricavare alcun aggancio per la tesi difensiva sostenuta, atteso che questi ha collocato ad una ventina di metri di distanza dalla pianta ì lavori fognari del 2008 sui quali era stato chiamato a testimoniare. Inoltre, a giudizio di questa Corte, appare dirimente l'osservazione fatta dal CT del Pm, che ha visionato la ceppata, che ha affermato che l'apparato radicale non presentava cicatrici evidenti da taglio delle radici e che le dimensioni dello stesso - se pure non particolarmente estese - rientravano tuttavia nei limiti fisiologici normali per una pianta inserita in un contesto cittadino. Dunque, del tutto insostenibile, in quanto non solo non provata, ma contraddetta dai fatti acquisiti, appare la tesi difensiva del taglio dell'apparato radicale quale causa esclusiva del crollo E, comunque, certo non sfugge che, anche a voler dar per buona l'affermazione del CT a difesa, circa l'asserita insufficienza dell'apparato radicale - dovuta ad interventi non meglio precisati - a trattenere al suolo la pianta, rimane comunque del tutto insuperato il dato oggettivo riscontrato, e che la Pi.Ig. non avrebbe dovuto sottovalutare, relativo alla vistosa inclinazione della pianta tale da determinare uno spostamento innaturale del baricentro, spostamento talmente evidente anche all'occhio non tecnico, tanto da aver determinato l'allarme di comuni cittadini. Invero, la vistosa inclinazione è riferita da tutti i testi escussi in primo grado e ciò a prescindere delle esaustive spiegazioni offerte sul punto dal CT del PM. circa la correttezza del calcolo effettuato in base ai rilievi operati sulla base delle foto Google degli anni precedenti (il CT ha precisato che non è condivisibile l'affermazione difensiva che la prospettiva era falsata perché le immagini erano deformate, in quanto ne sarebbero stati deformati anche i parametri relativi ai palazzi ed oggetti - auto--auto - circostanti, che, al contrario, risultavano corretti). E, quand'anche si volesse affermare - come pure è stato fatto - che tale inclinazione fosse del tutto naturale per effetto del fenomeno di fototropismo di cui si è detto, tuttavia tale affermazione non vale ad escludere il profilo della prevedibilità dell'evento, atteso che, per quanto si voglia considerare "fisiologico" l'anomalo sviluppo della chioma, dei rami paralleli alla strada, della inclinazione per fototropismo, della pendenza del terreno sul quale la pianta insisteva, sta di fatto che tutte queste circostanze che la Difesa definisce "fisiologiche" determinavano oggettivamente una pericolosa inclinazione della pianta, percepita anche dal profano, stante l'assenza di rami verso sud che potessero controbilanciare l'assetto dal pino. Inclinazione evidente che imponeva all'esito dell'esame visivo una doverosa segnalazione per evitare il rischio di cedimento. Dunque, il crollo era prevedibile, era indicato da vari ed univoci segni premonitori, che, se pur non potevano far affermare con certezza che la pianta sarebbe certamente crollata, tuttavia, come affermato dai CT escussi, indicavano una più che elevata probabilità di cedimento della stessa, che non fu tenuta in adeguata considerazione dalla attuale giudicabile. Le testimonianze assunte nel corso del giudizio di primo grado danno conto che già da mesi la situazione del pino aveva allarmato e preoccupato i residenti della zona: il teste Tagliatatela, abitante a pochi metri dai giardinetti, all'udienza del 20 novembre 2015 riferiva di aver notato "già qualche mese prima, due o tre mesi prima dell'evento" che l'albero non solo aveva un ramo che sporgeva enormemente sulla strada sino a coprire la linea di mezzeria, ma era come sbilanciato e dava la sensazione di essere pericoloso. Egli aveva discusso con varie persone del posto, anche al bar ivi ubicato, di questa situazione, che appariva allarmante, e dell'opportunità di fare qualche segnalazione perché probabilmente l'albero doveva essere potato. Tant'è che un sabato mattina del mese di maggio si era recato personalmente presso la sede comunale di Via (...) per segnalare la cosa e, non avendovi trovato nessuno, sulla via dei ritorno in piazza (...) aveva esposto il problema ad alcuni vigili urbani che gli avevano fornito un numero a cui chiamare. Aveva effettuato la telefonata col cellulare, usando il viva voce, alla presenza di un suo vicino di casa, l'ing. (...), con il quale già da tempo gli era capitato di commentare la cosa, e gli avevano risposto, rassicurandolo, che avrebbero girato la segnalazione all'ufficio Parchi e giardini. Tagliartela aggiungeva di aver anche saputo che analoga segnalazione era stata operata dal titolare del bar, anche se poi nessuno era venuto. Dai tabulati del suo cellulare acquisiti dalla Procura emergeva che la telefonata era stata fatta l'11 maggio 2013. Parimenti, il teste (...). residente in un'abitazione ai piani alti con affaccio sui giardinetti (...), riferiva che da molto tempo, da oltre un anno, aveva notato uno dei rami dell'albero sporgere perpendicolarmente proprio verso il suo palazzo in maniera anomala, e che aveva avuto la percezione che la pianta fosse del tutto squilibrata in quanto il ramo andava fuori dalla proiezione del baricentro e che i titolari del bar gli avevano sinanche riferito di aver notato, quando curavano personalmente la pulizia delle aiuole, che le radici si erano un poco alzaie come se l'albero si stesse inclinando verso la strada. Ed ancora, il teste (...). all'udienza del 17 luglio 2015 riferiva che l'albero da tempo si era inclinato verso la strada e che aveva strane oscillazioni, che aveva notato già dal precedente Natale del 2012, al punto da spaventarsi e decidere di spostarsi: aveva notato già da tale periodo che la chioma si era squilibrata e sembrava essersi determinata un'uscita della cima dal ed nocciolo di inerzia. Ed ancora, il teste Si.Gi.",a affermava che, avendo l'albero di fronte tutti i giorni, lo aveva notato inclinarsi e sin dagli inizi del mese di maggio-mentre per ovviare alla situazione di degrado e abbandono provvedeva di sua iniziativa a fare pulizia e tagliare l'erba nelle aiuole - aveva notato sul lato opposto alla strada un sollevamento del terreno accanto al pino, con formazione addirittura di una cunetta, ed una sorta di segno come una strozzatura circolare sulla corteccia a circa due metri e mezzo dalla base. Ritenendo la situazione pericolosa ne aveva parlato con persone varie della zona, sottolineando anche a loro la necessità di segnalare la situazione fino ad arrivare al 27 maggio, allorché segnalò nuovamente il pericolo ai VV.FF., purtroppo senza esito. Ebbene le testimonianze qui sinteticamente riportate sin qui sintetizzate sono del tutto inconciliabili con le affermazioni trancianti del CT a difesa, circa il crollo improvviso e assolutamente imprevedibile e non preannunciato dell'albero al suolo. Di converso, esso sono del tutto in linea con la ricostruzione degli altri consulenti, secondo i quali la situazione di squilibrio della pianta che ne determinò la caduta era risalente quantomeno ad alcuni mesi prima del 10 giugno 2013 e rilevabile anche alla mera osservazione esterna. Il CT del PM ha affermato infatti che il superamento da parte della pianta della situazione di stabilità e la sua inclinazione dovevano essersi aggravati nell'arco di qualche mese (pag. 19 dell'esame dibattimentale) che la elevata propensione al cedimento del pino da lui riscontrata poteva, sulla base delle foto utilizzate, ritenersi risalente al 2012 (v. pag. 20 della deposizione), che alla luce di tutto quanto rilevato l'albero nel mese di aprile del 2013 doveva già ritenersi meritevole di un qualche intervento finalizzato a ridurre la situazione di pericolosità, se non attraverso l'abbattimento quantomeno attraverso la riduzione sostanziale a mezzo potatura dei due rami che creavano lo squilibrio, affermando che un eventuale sopralluogo effettuato nel mese di aprile del 2013 avrebbe consentito di rilevare la necessità di siffatti interventi. Ad analoga conclusione perveniva sul punto il CT Be. che affermava che una pianta delle dimensioni del pino caduto impiega quanto meno un paio di mesi per raggiungere una tale situazione di squilibrio. E così anche il Ct di PC Sg. indicava in non meno di alcuni mesi il manifestarsi della elevata propensione al cedimento e della condizione di pericolosità riscontrata nel pino e la sua certa riconoscibilità quantomeno da parte di un occhio esperto. Ebbene, alla luce delle considerazioni svolte dai tecnici del PM e delle PC, ma anche alla luce delle testimonianze in fatto assunte, non può che affermarsi che all'atto dell'ispezione visiva della Pi.Ig. la possibile evoluzione della pianta fosse largamente prevedibile; i tecnici hanno affermato che i segni premonitori, le caratteristiche da classe di propensione al cedimento C D erano certamente presenti da almeno due mesi. Il dato trova riscontro nelle deposizioni dei testi sopra riportate, ed del tutto neutra appare la dichiarazione del Si. che ha affermato di aver visto, i primi di maggio, nel corso della pulizia del giardinetto, parte delle radici del pino scoperte. Invero, la tanto enfatizzata affermazione in esame - oggetto di specifico punto di censura della Corte di Cassazione ("tale testimonianza non è stata adeguatamente valutata dalla Corte territoriale, che non ha colto l'importanza della stessa in punto di prevedibilità dell'evento, atteso che i "segnali" di pericolo colti dal Si. erano intervenuti solo nei primi giorni di maggio, vale a dire in epoca successiva al "sopralluogo" compiuto in aprile dalla Pi.") - da un Iato, a parere di questo Collegio, avvalorerebbe, invero, il giudizio di superficialità ed approssimazione oggi formulato in relazione all'ispezione visiva - atto proprio dell'agronomo - compiuta dalla Pi.Ig., che, per l'appunto, non avrebbe notato, lei - funzionaria agronoma - le radici scoperte, notate, invece, pochissimo tempo dopo - meno di dieci giorni dopo - dal Si. - titolare di un bar. Non può, infatti, escludersi che, trattandosi di tempo oltremodo ravvicinato a quello dell'ispezione del 19 aprile, le radici, o parte di esse fossero già scoperte a quell'epoca. D'altro canto, tale circostanza, anche se eventualmente verificatasi in epoca successiva all'ispezione visiva del 19 aprile, non potrebbe essere considerata evento sopravvenuto imprevisto ed imprevedibile, tale da cagionare, da sola, il crollo della pianta, quindi evento tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta imperita dell'imputata e l'evento verificatosi: come illustrato. Ì segnali premonitori (inclinazione - innaturale--innaturale - della pianta, assenza di rami dal lato opposto a quelli pendenti sulla pubblica via, idonei a bilanciare il notevole peso di questi ultimi, pendenza del terreno sul quale la pianta insisteva) erano tali e tanti che la - eventuale--eventuale - successiva scopertura di parte delle radici non può che essersi limitata ad aggravare una pericolosa situazione di fatto già in essere, così come evidenziato dai CT nelle consulenze illustrate, che hanno pacificamente retrodatato ad almeno due mesi prima dell'evento la possibilità di classificazione della pianta in classe di propensione al cedimento C/D. Inconferente, infine, appare la circostanza che i CT del PM non abbiano affermato con certezza che guardando l'albero, si potesse affermare "l'albero crollerà", avendo i medesimi ricordato e ribadito più volte che la valutazione da fare, quella da loro fatta, e quella che avrebbe dovuto fare la Pi.Ig. all'atto della ispezione visiva, era in termini di probabilità, non, evidentemente, in termini di "certezza". L'individuazione della classe di propensione al cedimento avviene, come detto, in termini di probabilità statistica di verificazione della caduta della pianta, non in termini di certezza (se non nelle ultime caselle della classificazione, che impongono poi l'immediato abbattimento). Peraltro, in tema di causalità colposa, compilo del giudicante, è quello di verificare il nesso di causalità secondo le regole della sussunzione della causalità entro leggi scientifiche universali sufficientemente valide, secondo il criterio di alta probabilità logica della spiegazione causale ipotizzata, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. Se è pur vero che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, tuttavia va ricordato che esso è sempre configurabile laddove si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, se la condotta doverosa non fosse stato omessa. Ebbene, anche operando questo giudizio controfattuale, appare del tutto evidente la sussistenza del nesso causale tra la condotta della Pi.Ig. e l'evento morte della vittima: laddove vi fosse stata una corretta valutazione della probabilità di cedimento della pianta, e conseguentemente una tempestiva segnalazione, si sarebbe potuto evitare l'evento, mediante l'adozione di cautele necessarie volte ad impedirne la verificazione (quanto meno con transennamelo dell'area, se non con sfoltimento della pianta, e finanche all'abbattimento della stessa). Ritiene infine la Corte che le ulteriori circostanze rappresentate da ultimo dalla Difesa appaiono inconferenti ai fini che ci occupano: invero, che siano "passati" sul posto altri soggetti in epoca successiva all'ispezione visiva del 19 aprile 2013 della funzionaria oggi imputata, senza riscontrare alcuna anomalia della pianta, (episodio del maggio 2013 narrato dal teste Si. in relazione alla "visita" in loco del presidente della municipalità "Vomero-Arenella" nell'ambito della quale ricade la zona di cui si discute) appare circostanza del tutto inconferente: ammesso che effettivamente la visita fosse collegata all'allarme lanciato più volte per il pericolo di caduta dell'albero, e non ad altre ragioni (pulizia dei giardinetti, sede di raduni serali e notturni di ragazzi, con conseguente abbandono di rifiuti), e che nel corso della visita nulla di anomalo sia stato riscontrato, tale eventuale condotta, parimenti superficiale e approssimativa, non manderebbe indenne la Pi.Ig., che nella sua qualità di funzionario agronomo del comune di Napoli, ha effettuato in epoca antecedente l'ispezione visiva sottovalutando per imperizia ed imprudenza le condizioni statiche della pianta. La circostanza che il vicepresidente prima (ad inizio maggio) ed il presidente della municipalità poi (il 22 maggio) recatisi in loco non abbiano rilevato che l'albero fosse pericolosamente sbilanciato verso la strada carrabile, non significa certo che l'albero non lo fosse, e che, quindi, non lo era nell'aprile 2013. allorché la Pi. effettuò l'ispezione visiva: al di là dell'assenza di competenza specifica degli attori chiamati in causa (nessuno dei due indicati risulta essere agronomo), al più tali eventi testimoniano plasticamente come vi sia stata una complessiva e reiterata sottovalutazione del pericolo da parte delle autorità pubbliche, ed una assoluta trasversale noncuranza del problema, con conseguente assenza di doverose segnalazioni di necessità di intervento agli organi preposti. Per sostenere una tesi siffatta sarebbe occorsa la dimostrazione della verificazioni di eventi eccezionali intervenuti dopo l'ispezione visiva della Pi.Ig., tali da determinare l'improvviso acuirsi della inclinazione e quindi il conseguente schianto dell'albero. Ma, come già illustrato, così non è: il CT del PM, che pure ha esteso la propria indagine a tutte le possibili cause che avrebbero potuto determinare la caduta, ha categoricamente escluso che siano intervenuti nel periodo eventi atmosferici tali da modificare Passetto della pianta. In particolare ha affermato che il temporale di fine maggio, che pure comportò un allerta meteo, non ebbe violenza e forza tale da poter determinare esso solo l'evento: si trattò, sulla scorta delle indagini effettuate presso il servizio meteo, di un violento temporale, ma certo non avente caratteristica né di tifone, né di uragano, né di tromba d'aria con forza tale da determinare lo sradicamento di piante. E né la Difesa ha provato in contrario. Infine, si rileva che tali eventuali condotte concorrenti - che peraltro non sono state mai in contestazione - laddove eventualmente contestate ed accertate non sarebbero comunque tali da escludere il nesso causale, atteso che, alla luce del diritto vigente, il rapporto di causalità tra una data condotta e l'evento in presenza di altre cause sopravvenute viene escluso solo laddove esse siano state da sole sufficienti a determinare l'evento stesso. E dunque, così come le condotte omissive dei vigili Fu. e Re. (già coimputati della Pi.Ig.), non sono state tali da poter escludere il nesso di causalità tra la condotta della Pi. e l'evento verificatosi - parimenti ininfluenti sotto tale profilo sarebbero le eventuali riprovevoli condotte omissive di chi ricopriva all'epoca cariche politiche e/o amministrative, e non si curò di attivare tutte la cautele necessarie ad impedire l'evento (fosse anche il mero transennamento della via e dell'area circostante), atteso l'obbligo in capo alla Pi.Ig. di provvedere alla doverosa segnalazione che discende direttamente dal compimento dell'atto del proprio ufficio, ossia dall'ispezione visiva effettuata il 19 aprile 2013. Tali condotte ad avviso di questa Corte non varrebbero in ogni caso ad escludere il nesso causale per la Pi. alla luce del principio espresso dall'art. 41 co. II, c.p., atteso che le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono esclusivamente quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall'agente, nonché quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta (attiva od omissiva) dell'agente, presentino caratteri di assoluta anomalia, eccezionalità ed imprevedibilità, si da risultare del tutto imprevedibili, sia in astratto che per l'agente stesso. La Corte di legittimità ha infatti più volte chiarito che quando, come nella presente fattispecie, l'obbligo di impedire un evento ricada su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva dell'imputato, non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi in tale ipotesi un concorso di cause ai sensi dell'art. 41 co. 1 cp. In questa ipotesi la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante dal fatto commissivo od omissivo dell'agente) ad opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, ma una causa /condizione negativa grazie alla quale la prima continua ad essere efficace. La causa sopravvenuta sufficiente da sola alla produzione dell'evento e, quindi, avente efficacia interruttiva del nesso eziologico, è solamente quella del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall'agente, avulsa totalmente dalla sua condotta ed operante in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell'agente medesimo. Tale non può considerarsi la causa sopravvenuta legata a quella preesistente da un nesso di interdipendenza - la pianta era già vistosamente inclinata all'atto dell'ispezione visiva del 19 aprile e vi erano tutti gli elementi per valutare la probabilità di caduta, e quindi per procedere con la dovuta segnalazione - ed, in tal caso i fattori eziologici concorrenti - che non siano da soli sufficienti a determinare l'evento - sono, al più, tutti e ciascuno causa dell'evento in base al principio della causalità materiale fondato sull'equivalenza delle condizioni. Pari considerazioni valgono, come detto, per gli eventi atmosferici sopravvenuti che non hanno fatto altro che aggravare il già preesistente rischio di cedimento della pianta, andando ad incidere su una situazione già oltremodo precaria. La nozione di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento si riferisce, infatti, non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall'antecedente, a condizione però che esso sia caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Del tutto incontestabile, dunque, è la sussistenza del nesso casuale tra la condotta imperita e negligente della Pi.Ig. e l'evento verificatosi, pur in presenza di concause indipendenti che hanno contribuito alla verificazione dell'evento: se fosse stato correttamente valutato il pericolo di caduta della pianta e se, conseguentemente fosse stata effettuata la doverosa segnalazione, si sarebbe potuto evitare Io schianto dell'albero sulla pubblica via ed il conseguente decesso della (...). Interventi quali il transennamene della zona, la potatura, o la eliminazione ovvero riduzione dei due pesanti rami che squilibravano la pianta, avrebbero potuto evitarne il tracollo; se vi fosse stata la doverosa segnalazione si sarebbero potute adottare, quanto meno, basilari misure di sicurezza, come il transennamento o la chiusura del traffico dell'area interessata, e quindi della strada ove si trovò a transitare la vittima. E laddove, poi, non fossero state adottate dagli organi, o comunque dagli uffici competenti, certamente il tragico evento poi verificatosi non sarebbe stata addebitabile ed imputabile all'attuale giudicabile, in quanto ella avrebbe compiutamente adempiuto la condotta da lei esigibile: correttezza dell'ispezione visiva e conseguente segnalazione. Per le ragioni esposte, non v'è pertanto dubbio alcuno che sul l'imputata, funzionario agronomo in servizio proprio presso l'ufficio del Comune competente in merito alle alberature di alto fusto, gravava certamente l'obbligo giuridico, una volta effettuata l'ispezione visiva dell'albero, atto proprio e specifico dell'attività di agronomo, e preso atto della pericolosa inclinazione innaturale della pianta, e quindi della situazione di instabilità e dei rischi ad essa connessi - di attivarsi per fronteggiare tale rischio, quanto meno con una segnalazione in merito al prevedibile pericolo di crollo, affinché potessero essere attivati interventi finalizzati alla messa della pubblica e privata incolumità in sicurezza dell'albero, viste le imponenti dimensioni del pino, la sua ubicazione in un giardino pubblico, contiguo ad una pubblica via altamente trafficata, in una zona ad alta densità abitativa. La sua condotta, l'atto del suo ufficio, l'ispezione visiva, fu invece caratterizzata da superficialità ed approssimazione, dunque da imperizia e negligenza, oltre che da imprudenza, non avendo ella, con la dovuta attenzione, ispezionato visivamente l'albero, non attribuendo il giusto valore a marchiane circostanze tra le quali: 1) la vistosa inclinazione - che, peraltro era verso nord, e non verso sud (v. consulenza Ct Pm); 2) la presenza di due grossi rami dal lato della vistosa inclinazione, mentre alcuno vi era da lato opposto in grado da bilanciarne il peso; 3) la pendenza del terreno sul quale l'albero insisteva, pendenza opposta alla inclinazione dell'albero e quindi alla strada. Circostanze che avrebbero dovuto portare del tutto ad ritenere, pur volendo considerare "naturale" il fototropismo negativo della pianta, "fisiologica" la modalità di crescita della pianta - oppressa da altre alberature - stante la vistosità della inclinazione e l'assenza di contrappesi - che, quand'anche naturale e fisiologica, era tuttavia una situazione oltremodo pericolosa. Circostanze che la Pi. ometteva del tutto di considerare, con la conseguente assenza di segnalazione al proprio ufficio, al quale competeva la manutenzione degli alberi di alto fusto, circa la necessità di intervento per evitare danni a cose o a persone per il probabile e verosimile rischio di caduta della pianta. I profili della sentenza di secondo grado relativi alla dosimetria della pena non sono oggetto dell'intervento della Corte di Cassazione, e tuttavia il Collegio ritiene qui di ribadire che correttamente il giudice di primo grado ebbe a concedere le generiche, con condivisibile motivazione ("sia per lo stato di totale incensuratezza, particolarmente significativo in considerazione della non giovane età, che per la complessiva positiva personalità, desumibile dal curriculum vitae e dalla documentazione prodotta, che infine per la contenuta gravità della condotta quanto allo specifico profilo dell'elemento soggettivo"). Tali considerazioni inducono a ritenere adeguata ex art. 133 cp la pena inflitta, che va pertanto confermata. Alla conferma della condanna del giudice di prime cure, per la Pi.Ig. segue ex art. 592 cpp la condanna della stessa alle spese del presente grado di giudizio, liquidate secondo tariffa come da dispositivo. Quanto alle spese tra le parti del giudizio di Cassazione, devoluto a questa Corte dal SC, le stesse debbono ritenersi compensate, attesa la reciproca soccombenza nelle diverse fasi. P.Q.M. Letti gli artt. 623 e 605 cpp, conferma la sentenza di primo grado n. 14046/2016 del 16 giugno 2016 emessa dal GM del Tribunale di NAPOLI, appellata da Pi.Ci., che condanna alle spese dell'ulteriore giudizio, nonché alle spese sostenute per la costituzione di PC, che si liquidano in Euro 1.080,00 per ciascuna parte civile, oltre IVA e CPA se dovute come per legge e spese forfettarie al 15%. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Indica in gg. trenta il termine per il deposito dei motivi. Così deciso in Napoli il 3 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/05/2018 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. TASSONE KATE, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. Il difensore presente Avv. (OMISSIS) insiste per l'accoglimento e chiede l'annullamento dell'impugnata sentenza. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Caltanissetta ha rigettato l'istanza di revisione proposta nell'interesse di (OMISSIS) avverso la pronuncia emessa dalla Corte di Assise di Appello di Palermo, in data 28/6/2012 e divenuta irrevocabile dal 14/11/2013, che lo aveva riconosciuto colpevole, in concorso con altri, dell'omicidio perpetrato nei confronti di (OMISSIS) (aggravato dalla circostanza della premeditazione), nonche' in ordine al delitto di soppressione di cadavere (aggravato dalla circostanza di cui all'articolo 61, n. 2), e condannato alla pena di anni trenta di reclusione. Il (OMISSIS), in particolare, era imputato del reato di cui all'articolo 61 c.p., n. 4), articoli 110 e 575 c.p., articolo 577 c.p., comma 1, n. 2), 3) e 4) e comma 2, perche', in concorso con altri e con il minorenne (OMISSIS) (nei confronti del quale ha proceduto separatamente la competente autorita' giudiziaria), cagionavano la morte di (OMISSIS), soggetto sottoposto a strangolamento e deceduto per asfissia da sommersione interna; del reato di cui all'articolo 61 c.p., n. 2), articoli 110 e 411 c.p., perche', in concorso con altri e con il minorenne (OMISSIS), dopo aver assassinato (OMISSIS), ne sopprimevano il cadavere deponendolo in un fosso e ricoprendolo con della terra. 2. Con atto a firma dell'Avv. (OMISSIS) e' proposto ricorso per Cassazione nell'interesse del (OMISSIS), articolato in due motivi. 2.1 Con il primo motivo si deduce manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilita' dell'imputato. Col provvedimento impugnato, la Corte si limita a riproporre tautologicamente le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado e di appello, senza operare alcun vaglio critico delle doglianze proposte con l'atto di revisione ne', tantomeno, di quanto emerso durante la fase istruttoria del processo di revisione. Il collegio non ha tenuto conto dei rilievi difensivi e, inoltre, da' un'errata valutazione di alcuni elementi probatori, contraddicendosi con quanto emerge dagli atti processuali. In primo luogo, la difesa dell'istante produceva in giudizio un verbale di dichiarazioni del Maresciallo (OMISSIS), volte a dimostrare che la percorribilita' della strada che conduceva al luogo di ritrovamento del (OMISSIS) con una piccola utilitaria carica di tre uomini e un baule contenente un cadavere fosse del tutto impossibile. Tali dichiarazioni, bollate dalla corte come non decisive, consentirebbero invece di considerare diversamente il repentino ripensamento del (OMISSIS), imputato in procedimento connesso, che dapprima dichiarava che il cadavere venne trasportato con una Jeep di colore nero, salvo a distanza di tempo cambiare versione, asserendo che fu trasportato con una C3. Quest'ultimo e' anche il testimone sentito in udienza nel corso del procedimento di revisione che, pur confermando di avere inviato lettere al (OMISSIS) in cui affermava di sapere della sua innocenza, in sede di esame si e' dimostrato del tutto reticente. Sul punto la Corte arriva a sostenere, con un percorso argomentativo del tutto illogico, che il comportamento processuale del (OMISSIS) fosse finalizzato ad un semplice compiacimento del (OMISSIS). In secondo luogo, la Corte non ha tenuto minimamente conto, ne' ha effettuato alcun vaglio critico di un elemento importante, rappresentato dalla denuncia sporta da (OMISSIS) il 11.6.2012 presso la Procura della Repubblica del Tribunale dei minorenni di Palermo, dalla medesima prodotta in occasione della sua escussione nel processo di revisione. Durante la propria escussione, quest'ultima forniva una valida alternativa in ordine all'omicidio (OMISSIS), descrivendone anche il possibile movente alternativo rispetto a quello da sempre ritenuto l'unico possibile (che sarebbe consistito nella esigenza di tutelare due dottori, che all'epoca frequentavano la casa di prostituzione ove si prostituiva anche la moglie del (OMISSIS) che erano stati oggetto di ricatti da parte del predetto, al pari di un certo (OMISSIS) dal quale il (OMISSIS) pretendeva danaro per il "lavoro" della moglie minacciando di denunciarlo; indi si era deciso di eliminare il (OMISSIS) su proposta di tale (OMISSIS) e - cosi' come descritto in maniera piu' articolata nel memoriale redatto in epoca piu' vicina ai fatti - previo consulto di tale (OMISSIS), che aveva anche detto che, ove si fosse deciso di uccidere il predetto, si sarebbe potuto far ricadere la colpa su (OMISSIS), e cio' per vendicarsi del fatto che qualche tempo prima il padre del (OMISSIS), oramai poliziotto in pensione, lo aveva tratto in arresto; con la precisazione che la casa di prostituzione era frequentata anche dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) oltre che da appartenenti alle forze dell'ordine). La corte liquida tale contributo affermando che "la (OMISSIS) ha reso dichiarazioni successive al consolidamento del quadro indiziario" e che gli elementi forniti "non hanno specifici agganci fattuali e probatori". Tale assunto collide pero', con il sopravvenuto deposito della denuncia sopra indicata e con quanto la signora aveva gia' affermato nel proprio memoriale prodotto in appello unitamente ai motivi aggiunti, e successivamente confermato in udienza. Ella riferiva, infatti: - che si prostituiva in una villetta sita in localita' (OMISSIS); - che tra le ragazze che si concedevano vi era anche (OMISSIS), moglie della vittima; - che tra i mesi di agosto e settembre 2008 assisteva ad una lite tra il (OMISSIS) ed un certo (OMISSIS); - che tale lite era generata dal fatto che (OMISSIS), consapevole del fatto che la moglie si prostituisse, pretendeva delle somme per il lavoro della stessa e che avrebbe minacciato alcuni soggetti, dei quali forniva anche le generalita', ai quali faceva presente di essere in possesso di videocassette compromettenti; - che tale (OMISSIS) e (OMISSIS), due dei soggetti presenti, minacciavano il (OMISSIS) dicendogli, testualmente: "Se tu non te ne vai, noi ti ammazziamo, noi ti ammazziamo"; - che subito dopo la lite, andato via (OMISSIS), questi soggetti chiamarono tale (OMISSIS), al quale, appena questi arrivo' alla villetta, raccontavano tutto, sentendo che questi prospettavano la possibilita' di uccidere (OMISSIS) per poi sistemarlo in un posto; - di aver notato, dopo qualche tempo, strane circostanze relative ad una porzione di terreno della villetta e che, chiedendo a (OMISSIS) se la terra fosse stata lavorata, riceveva la minaccia di fare la stessa fine di (OMISSIS) ( (OMISSIS)); - riferiva, subito dopo, che dopo vari mesi da queste minacce notava che la terra era stata smossa e che mancava un albero, ma che rimase zitta per timore degli avvertimenti precedentemente proferiti. Questa ricostruzione spiegherebbe il fatto che il cadavere era avvolto da una coltre di terra diversa, quanto a consistenza chimico-fisica, rispetto a quella del luogo del ritrovamento e spiegherebbe anche perche' il (OMISSIS) fu ritrovato con addosso i pantaloni da lavoro, circostanza incompatibile con la tesi dell'omicidio avvenuto di notte mentre la vittima riposava nel proprio letto. Inoltre, la teste esibiva e depositava copia della denuncia-querela, gia' sopra indicata, che aveva formalizzato nel 2012 dopo aver appurato che il figlio, nella primavera del 2009, aveva assistito al pestaggio di un uomo alto e magro da parte della nonna ( (OMISSIS)), (OMISSIS) (presumibilmente (OMISSIS)) che aveva preso il bastone dalla sua BMW grigia e (OMISSIS) (presumibilmente (OMISSIS)). Non puo' non notarsi che la circostanza che questo accadesse nella primavera del 2009, unitamente al fatto che questa denuncia fu fatta in totale indipendenza dal processo (OMISSIS), tanto da esserne sconosciuta financo alla difesa, considerando le minacce ricevute dalla (OMISSIS) dove espressamente le si diceva, prima che fosse noto che il (OMISSIS) era stato ucciso, che le avrebbero fatto fare la fine di (OMISSIS), fa comprendere come sia ben possibile che il (OMISSIS) fu ucciso in altro luogo e con modalita' ben diverse da quelle prospettate dall'accusa al tempo del processo. Ci si interroga, inoltre, sul motivo per il quale il (OMISSIS) dovesse uccidere il (OMISSIS), atteso che il movente avanzato dall'accusa fu di tipo passionale. Tuttavia, risulta difficile comprendere come possa nutrirsi un sentimento di gelosia cosi' forte nei confronti di una donna che intratteneva, per ragioni "lavorative" rapporti sessuali con tanti uomini. Di conseguenza, le conclusioni raggiunte in esito al processo originario a carico del ricorrente sono ben lontane dal potere essere considerate unica possibile lettura dei fatti emersi e quanto affiorato nel giudizio di revisione e' sufficiente a mettere quanto meno in dubbio la colpevolezza del (OMISSIS). Eppure la Corte di Appello non ha minimamente tenuto conto di tali rilievi difensivi, in particolare della denuncia formalizzata nel 2012, costituente produzione nuova, sopravvenuta, della quale nemmeno fa menzione nella motivazione, che si rivela quindi generica e priva di reale corrispondenza con gli atti processuali. Altro elemento di contraddizione tra la parte motiva e quanto contenuto in atti e' legato alla valutazione collegiale delle dichiarazioni dell' (OMISSIS) rese in udienza durante il processo di revisione, il quale, dopo aver affermato, in un primo momento, che non era a conoscenza del luogo ove si trovasse l'autovettura sequestrata, ha ammesso, successivamente, di sapere che l'autovettura si trovava presso il soccorso ACI della " (OMISSIS) s.n.c." e di ricordare anche il luogo dove era collocata, affermando che si trovava al chiuso, all'interno di un garage, dove c'era anche la Nissan del padre di (OMISSIS). Da un'attenta disamina degli atti del fascicolo processuale, non di revisione, ma del processo precedente, si puo' notare che la C3 in questione si trovava in un luogo diverso da quello ove era collocata la vettura Nissan, non essendo posta all'interno di un garage ne' sottoposta a sigillatura. Tutto cio' implica che chiunque poteva accedere alla vettura, ivi compreso il (OMISSIS), il quale ha affermato in sede di esame che ha posto lui, su indicazione di (OMISSIS), le pietre insanguinate, prova fondamentale della colpevolezza del (OMISSIS). La difesa ha sempre sostenuto l'impossibilita' per queste pietre, attese le loro dimensioni e caratteristiche, di finire laddove sono state ritrovate, presentando anche una consulenza di parte che dimostrava tale tesi. Inoltre, se davvero il (OMISSIS) avesse colpito con una o piu' pietre la vittima al volto quando questi era ancora all'interno del baule e dell'autovettura, non si spiega come mai non sia stata ritrovata nemmeno una goccia di sangue riconducibile al (OMISSIS) sulla tappezzeria. Si nutrono altresi' svariati dubbi sul fatto che le pietre potessero essere finite nel vano della ruota di scorta sotto di essa, e nonostante la presenza del baule (indi si prospettano le varie possibilita', escludendole, ivi compresa quella di una loro caduta in quel vano in occasione di lavori di pulizia ritenuta inverosimile sul presupposto che siffatti lavori solitamente vengono eseguiti con aspirapolvere e non in maniera manuale). In definitiva, se le circostanze emerse e presentate con l'istanza di revisione, nonche' le prove raccolte nel consequenziale procedimento fossero state prodotte durante il processo, si sarebbe sicuramente giunti ad una conclusione diversa. Tuttavia, la Corte di Appello, pur nutrendo dubbi sulla deposizione dell' (OMISSIS), tanto da disporre l'invio degli atti alla Procura di Sciacca anche per la posizione di questi, ritiene ugualmente attendibili le sue dichiarazioni. Questa palese contraddizione denota un dubbio circa la fondatezza degli assunti del teste, che, conseguentemente, riflettono dovuti ripensamenti sulla colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio del (OMISSIS). Pertanto, si ravvisa manifesta illogicita' della sentenza impugnata in ordine a quanto risulta dalla istruttoria dibattimentale. 2.2 Con il secondo motivo si eccepisce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale. In ossequio alle norme processuali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, il Giudicante deve, a pena di nullita', dare contezza di tutti gli apporti difensivi prodotti, andando a specificare perche' non ne ritiene fondati gli elementi ivi contenuti. In diverse decisioni della CEDU, si e' stabilito infatti che, affinche' possa reputarsi celebrato un giusto processo, occorre che vi sia una motivazione reale e non apparente, posto che, laddove per legge sia previsto l'obbligo di motivare, e' onere dell'organo giurisdizionale "spiegare dettagliatamente le ragioni della sua scelta" (Corte EDU, 20/03/2009, Gorou c. Grecia). A fronte di tale orientamento interpretativo, sembra maggiormente condivisibile quel filone ermeneutico, richiamato anche nella decisione gravata, secondo cui il giudice ha l'obbligo di enunciare concretamente quali sono le ragioni che l'hanno indotto a disattendere le censure prospettate da una delle parti con un atto di gravame. Nel caso di specie, il Collegio non ha minimamente preso in considerazione la denuncia prodotta in udienza dalla Sig.ra (OMISSIS) durante il proprio esame testimoniale, depositata in epoca molto antecedente al processo di revisione, tanto da ritenere che le dichiarazioni della medesima siano poco pregnanti soltanto perche' rese a quadro accusatorio oramai consolidato. Quale che sia l'interpretazione o la valenza da assegnare a questo documento, e' indiscutibile che occorreva una motivazione sul punto che, invece, manca del tutto. Per le suesposte motivazioni si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con le conseguenti statuizioni di legge. 3. Con memoria del 1.11.2020 il nuovo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), nel ribadire quanto gia' esposto in ricorso, ha svolto, tra l'altro, le seguenti ulteriori precisazioni. La sentenza pronunciata all'esito del giudizio di revisione e' sottoposta a gravame perche' in diversi punti gravemente carente, contraddittoria e manifestamente illogica e fondamentalmente viziata da un errore di metodo che di conseguenza ha finito per inficiare la valutazione delle nuove prove. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, nell'ambito del processo di revisione la Corte di Appello deve operare una rilettura delle vecchie risultanze processuali alla luce delle nuove, senza che l'originario compendio probatorio abbia una posizione di preminenza su queste ultime. Invero la Corte di Appello di Caltanissetta, seppure abbia approfondito la vicenda processuale in oggetto con l'esame di diversi testimoni, non si e' spogliata dal "pregiudizio" - nell'accezione letterale del termine - della ricostruzione ormai consolidata dei fatti effettuata in primo grado e poi sempre confermata, acriticamente, in quelli successivi - analizzando cioe' con sguardo neutro il processo, si' da scorgere una valida ricostruzione alternativa che non e' mai stata effettivamente vagliata, a partire dagli organi inquirenti. Indi si reiterano, arricchendoli, alcuni argomenti gia' sviluppati in ricorso relativamente all'impossibilita' di utilizzo dell'autovettura C3 - citandosi, tra l'altro, la deposizione del teste (OMISSIS) che smentisce che il (OMISSIS) potesse essere in possesso dell'auto in quei giorni perche' l'aveva utilizzata lui stesso, in particolare per il trasporto di un paziente -. Si indica una serie di circostanze - analiticamente descritte nella memoria che, sebbene preesistenti e discordanti rispetto alla ricostruzione operata dai giudici di merito, non sarebbero state mai oggetto di idonea confutazione e dunque di adeguata motivazione, e che invece, proprio alla luce della nuove prove con le quali esse si coniugano perfettamente, avrebbero meritato ben altro vaglio da parte della corte territoriale (si allude in particolare alle testimonianze di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Cosi', ad esempio, la deposizione dell' (OMISSIS) nella parte in cui afferma, riscontrando quella del maresciallo (OMISSIS), che sul luogo del ritrovamento del cadavere si era potuto giungere solo mediante un fuoristrada a causa della tipologia dello stato dei' luoghi e delle condizioni atmosferiche piovose (anche la notte del delitto aveva piovuto). Si afferma poi che la motivazione della Corte con precipuo riferimento alla ritenuta inattendibilita' delle dichiarazioni del (OMISSIS) e' estremamente carente, opponendo sostanzialmente a quest'ultima quella (altrettanto inattendibile) del poliziotto (OMISSIS) (e si reiterano a sostegno della inattendibilita' del predetto anche gli argomenti gia' spesi in ricorso) Eppure nella sentenza impugnata si da' atto della frase emblematica con cui si espresse il (OMISSIS), sollecitato a dare spiegazioni sul motivo per il quale non avessero - lui e l'altro imputato (OMISSIS) - parlato prima: "essi tacquero anche perche' non stavano capendo quello che stava succedendo". La ricostruzione delle dichiarazioni di (OMISSIS) e' oggetto altresi' di un evidente travisamento di ordine cronologico dei fatti, non privo di conseguenze sul piano sostanziale, nonche' di una contraddizione interna, descritti alla sesta pagina della memoria, che consentono, in buona sostanza, di giungere alla conferma della circostanza dell'introduzione delle pietre nella Citroen C3 da parte del predetto su sollecitazione dell' (OMISSIS) (questi, in definitiva, con i suoi tentativi di allontanare qualsiasi sospetto da se', ha cercato, in generale, di sminuire enormemente il suo ruolo nell'indagine o comunque di confonderlo nel lavoro di squadra, finendo addirittura col sostenere di neanche conoscere il (OMISSIS) nonostante questi fosse gia' pregiudicato, ma con le sue incertezze, le sue contraddizioni e l'suoi lapsus freudiani ha finito col riscontrare il (OMISSIS)). Indi si conclude che i numerosi dubbi emersi avrebbero dovuto indurre la corte territoriale ad assolvere il (OMISSIS) in quanto questi, a differenza dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) che a diverso titolo hanno dimostrato di sapere e probabilmente di esserne effettivamente coinvolti in prima persona, e' estraneo all'omicidio in oggetto, essendo stata raggiunta la prova che impedisce di ritenere ancora valido il precedente compendio probatorio. Si insta, pertanto, per l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.1. Premesso che nel caso di specie il giudizio di revisione e' giunto nella fase rescissoria, cd. seconda fase, che si instaura mediante la citazione del condannato e nella quale il giudice e' tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalita' di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, e che mira all'accertamento e alla valutazione delle "nuove prove", al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all'affermazione di responsabilita' del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli (cosi' Sez. U, Sentenza n. 18 del 10/12/1997 Cc. (dep. 30/03/1998) Rv. 210040 - 01), si osserva che la corte territoriale ha adempiuto all'obbligo di fornire adeguata giustificazione logica dell'esame delle risultanze processuali indicando i motivi per i quali le "prove nuove" dedotte nel giudizio sono state ritenute o prive del carattere della novita' o inidonee ad incrinare il quadro probatorio posto alla base della sentenza di condanna. Il dubbio che si e' inteso insinuare nel processo, come ben messo in evidenza dalla corte territoriale, non e' stato ritenuto connotato da alcuna certezza; esso investe peraltro circostanze che attengono a temi non direttamente incidenti sull'attribuibilita' del fatto omicidiario anche al (OMISSIS) (se non attraverso la prospettazione del movente cd. alternativo, che di per se' non escluderebbe automaticamente il coinvolgimento del (OMISSIS), rispetto al quale pure e' stato riconosciuta la sussistenza di un movente ben determinato, non sconfessato neppure dalla difesa, se non indirettamente mediante l'ipotesi di una sorta di congiura ordita nei confronti del (OMISSIS)). Esso attiene, piuttosto, ad aspetti di deposizioni che si assumono contradditorie o illogiche o comunque in contrasto con altre risultanze che si ritengono, invece, maggiormente attendibili nell'ottica difensiva; questa mira, in buona sostanza, ad intaccare la solida ricostruzione accusatoria - che si fonda anche sull'ammissione piena di corresponsabilita' di uno dei correi, il (OMISSIS) che ha in buona sostanza confermato anche nel giudizio di revisione l'originaria confessione con contestuale chiamata in correita' anche del (OMISSIS) - attraverso la valorizzazione delle sopravvenute emergenze processuali (non tutte peraltro ritenute nuove, cosi' per il memoriale della (OMISSIS) gia' prodotto, secondo quanto precisato dalla stessa difesa, in appello, tant'e' che in ricorso si batte soprattutto sulla mancata considerazione della denuncia sporta dalla predetta in data 11.6.2012, poco prima della pronuncia della sentenza di appello, prodotta dalla predetta in occasione del suo esame nel giudizio di revisione, denuncia che in realta' ha ad oggetto il presunto pestaggio del (OMISSIS) avvenuto nel 2009, da parte di quei medesimi soggetti indicati dalla (OMISSIS) nel memoriale come coinvolti nell'omicidio del (OMISSIS), a cui avrebbe assistito il figlio della stessa, (OMISSIS), che all'epoca aveva soli sette anni). Esse sono costituite soprattutto dalle missive inviate dai correi (OMISSIS) e (OMISSIS) dal carcere al (OMISSIS) - quelle a firma del (OMISSIS), nei mesi successivi alla pronuncia della sentenza di appello intervenuta il 28.6.2012 - e dalle successive dichiarazioni di conferma del solo (OMISSIS) - che consentirebbero, nella prospettazione del ricorso e della memoria aggiunta, anche di rivalutare diversamente segmenti del compendio probatorio che si assumono posti a base dell'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS); il tutto, pero', senza neppure darsi conto della effettiva decisivita' degli argomenti prospettati ai fini della incrinatura dell'attribuzione del fatto al (OMISSIS); e di cio' costituisce riprova la stessa conclusione in atti raggiunta dalla difesa che nella memoria citata, dopo aver passato in rassegna gli elementi ritenuti inficianti, afferma che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il (OMISSIS) in quanto questi, a differenza dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) che a diverso titolo hanno dimostrato di sapere e probabilmente di esserne effettivamente coinvolti in prima persona, e' estraneo all'omicidio in oggetto, essendo stata raggiunta la prova che impedisce di ritenere ancora valido il precedente compendio probatorio, senza pero' avere specificamente indicato i motivi per i quali le nuove emergenze, coniugate con le precedenti, avrebbero dovuto incrinare il quadro probatorio con specifico riferimento al (OMISSIS) - e non agli altri -, laddove l'intreccio delle posizioni dei correi ha costituito un nodo fondante della ricostruzione recepita dai giudici di merito e, sotto certi aspetti, della stessa linea difensiva. In altri termini le nuove prove, sole o congiunte con le risultanze gia' emerse, non sono state ritenute tali da dimostrare che il (OMISSIS) dovesse essere prosciolto dal reato ascrittogli; in particolare, il giudice della revisione, nel caso di specie, adempiendo all'obbligo che specificamente compete al giudice della cd. fase rescissoria, ha fornito adeguata giustificazione logica dell'esame delle risultanze processuali, indicando i motivi per i quali le "prove nuove" dedotte nel giudizio sono da ritenersi inidonee ad incrinare il quadro probatorio posto alla base della sentenza di condanna (in perfetta aderenza ai principi affermati da questa Corte in materia, anche di recente, cosi', per tutte, Sez. 5, n. 43565 del 21/06/2019 - dep. 24/10/2019, NIKOLLI RESMI, Rv. 27753801 Matilde). 1.2.Cio' premesso con riferimento alle linee portanti del ricorso e della memoria difensiva e alla natura delle deduzioni svolte, passando a valutare piu' da vicino i motivi proposti, balza immediatamente evidente, innanzitutto, come il ricorrente attraverso di essi, al cospetto della disamina di tutti gli elementi gia' dedotti con la richiesta di revisione, e concretamente vagliati nel giudizio che ne e' seguito, deduca, in buona sostanza, doglianze di puro fatto, riproduca censure puntualmente e articolatamente valutate dalla Corte di Appello di Caltanissetta e motivatamente disattese. La Corte territoriale, invero, dopo aver riportato i tratti salienti dell'iter processuale del primo e del secondo grado di giudizio - conclusosi col rigetto del ricorso per cassazione proposto anche dall'imputato - e della stessa vicenda omicidiaria come ricostruita nelle pronunce di merito, ha valutato ogni prospettazione alternativa introdotta dalla difesa, di la' della sua specifica decisivita' ai fini del ribaltamento auspicato, in alcuni casi rinviando alle pronunce di merito per essere state le questioni gia' ampiamente affrontate e risolte in quelle sedi (dalla impossibilita' di (OMISSIS) di fare uso dell'auto Citroen C3 la sera in cui fu ucciso (OMISSIS) alla dedotta inidoneita' dell'auto a percorrere quella strada e con quel carico; dalla tesi che voleva l'omicidio consumato fuori dall'abitazione della (OMISSIS) a quella delle piste alternative). La sentenza impugnata ha, in particolare, evidenziato come su tutti tali aspetti i giudici del merito hanno formulato valutazioni che non risultano sovvertite dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS); ha sottolineato - rimandando in alcuni casi direttamente ai contenuti delle sentenze dei tre gradi di giudizio - come le motivazioni rese dai giudici avessero individuato i profili di fatto e le ragioni per le quali le obiezioni difensive non sono risultate decisive ai fini della contestazione della tesi dell'accusa, compreso il dubbio sulla effettiva collocazione delle pietre. Ha innanzitutto messo in luce come fosse in maniera certa emerso che (OMISSIS) all'epoca del fatto intrattenesse da tempo una relazione sentimentale con (OMISSIS), moglie della vittima, (OMISSIS), e che questi era venuto a conoscenza della circostanza e aveva avuto per tale motivo violenti diverbi col (OMISSIS); aggiungendo, nel prosieguo, che dai tabulati telefonici erano anche emersi diversi contatti tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS) proprio nella notte in cui e' stato collocato l'omicidio, e che era stata la stessa moglie del (OMISSIS) a denunciare la scomparsa del marito solo diversi giorni dopo, adducendo pero' l'allontanamento volontario dello stesso da casa, a sostegno del quale affermava che il marito era fuggito con una donna piu' giovane di lui con la quale intratteneva una relazione extraconiugale (la donna sentita piu' volte dagli inquirenti si contraddiceva nella ricostruzione destando sospetti negli inquirenti che erano sulle tracce del (OMISSIS)). Indi, nel riportare la ricostruzione del fatto come ricostruita nelle pronunce di merito (secondo cui il (OMISSIS) unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS) - allora minorenne - la notte tra il (OMISSIS) si erano introdotti nell'abitazione del (OMISSIS) grazie al contributo della moglie che aveva lasciato appositamente aperta la porta - dopo avergli, forse, anche somministrato un sonnifero - e lo avevano sorpreso nel sonno nel suo letto ove lo stesso veniva colpito ripetutamente dai tre con calci e pugni) ha evidenziato le diverse circostanze che hanno trovato riscontri specifici anche in altre risultanze processuali - cosi' ad esempio, lo strangolamento, e di seguito ai calci e pugni mediante l'utilizzo di un cavo del freno, di cui vi e' traccia nella deposizione del teste (OMISSIS) che ha riferito di aver notato nella disponibilita' di (OMISSIS) prima dell'episodio delittuoso proprio un siffatto filo di ferro. I tre, caricato l'uomo su una Citroen C3 si erano poi diretti in un luogo di campagna, risultato essere nella stessa zona del terreno di proprieta' del padre del (OMISSIS), ove il corpo veniva seppellito nella fosse precedentemente preparata dal (OMISSIS). Al riguardo la corte territoriale non omette di evidenziare anche che il (OMISSIS), nelle sue dichiarazioni confessorie, aveva altresi' specificato che il (OMISSIS), durante il tragitto, avendo udito dei gemiti, aveva fermato il mezzo e aveva percosso violentemente la vittima con delle pietre raccolte sul posto. Solo dopo aver raccolto diverse informazioni confidenziali e avere individuato alcune piste investigative che portavano a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - tenuto anche conto delle contraddizioni in cui era incorsa la moglie della vittima - i primi due partecipavano ad un sopralluogo presso l'appezzamento di terreno dove poi su indicazione del (OMISSIS) veniva rinvenuta nel mese di ottobre del 2009 la salma mummificata della vittima. Quindi (OMISSIS) rendeva dichiarazioni confessorie ed etero accusatorie che si univano ad una serie di ulteriori elementi di prova ampiamente illustrati nella sentenza di primo grado che inducevano il G.u.p., in sede di giudizio abbreviato (rito prescelto dagli imputati maggiorenni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), a ritenere provata la loro responsabilita'. A fondamento della pronuncia venivano richiamati sia le dichiarazioni dei soggetti vicini agli imputati, che avevano raccolto le loro confidenze autoaccusatorie, sia le risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, sia ancora (e per l'appunto) le dichiarazioni confessorie rese dal (OMISSIS) (giudicato e condannato dal tribunale dei minorenni con sentenza dal medesimo non impugnata) oltre che gli esiti di accertamenti tecnici disposti dal P.m.. 1.3.La corte territoriale, pure a fronte di tale coacervo probatorio, tenuto conto delle deduzioni svolte nell'istanza di revisione e delle produzioni difensive (prime tra tutte le missive del 2012 a firma del (OMISSIS), con cui questi invitava il (OMISSIS) a chiedere al (OMISSIS) spiegazioni circa il motivo della loro detenzione, facendo poi esplicito riferimento alle minacce ad opera di appartenenti delle forze dell'ordine di cui parimenti poteva chiedere i dettagli al (OMISSIS), perche' egli temeva di parlarne direttamente; e poi la lettera sottoscritta dal (OMISSIS), risalente al 2015, con la quale questi confessava di aver messo lui stesso le pietre insanguinate e rinvenute nel cofano della Citroen C3 e di averlo fatto, dopo il sequestro della vettura, su richiesta minacciosa di un poliziotto - da lui stesso indicato in (OMISSIS) - che aveva partecipato anche alla attivita' investigativa e che gli consegno' le pietre in un sacchetto di plastica; e poi ancora lo stesso memoriale della signora (OMISSIS) dal quale emergerebbero piste alternative della ricostruzione del movente del delitto; le dichiarazioni del maresciallo (OMISSIS) che dimostrerebbero l'impossibilita' di accedere sul luogo del seppellimento del cadavere mediante una C3; il forte astio che uno dei testimoni, (OMISSIS), nutriva nei confronti del (OMISSIS), suo convivente, da lei accusato ad inizio indagini, come emergente dalla circostanza della intervenuta denuncia allegata sporta dalla predetta nei confronti del (OMISSIS) per lesione personale; il video del ritrovamento del cadavere da cui emergerebbe la presenza di una borsa gettata via da uno dei carabinieri presenti che avvalorerebbe l'allontanamento volontario del (OMISSIS)), disponeva l'apertura del dibattimento e procedeva ad escutere, ex articolo 197-bis codice di rito, (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' (OMISSIS) Vincenzo ai sensi dell'articolo 210 codice di rito, (OMISSIS), e il figlio di questa (OMISSIS) su istanza della difesa (non prima, pero', di aver operato delle puntualizzazioni in ordine al concetto di prova nuova in sede di revisione e alla mancanza di tale carattere con riferimento ad alcune allegazioni difensive, cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata, in cui peraltro si precisa che non puo' ritenersi una vera e propria prova nuova quella che verte su circostanze gia' oggetto di approfondito vaglio istruttorio e comunque non decisive, cosi', ad esempio, con riferimento al dato della percorribilita' della strada per giungere al luogo del rinvenimento del cadavere con una C3, gia' ampiamente vagliato nelle pronunce di merito ed in ogni caso ritenuto non connotato da decisvita'). All'esito dell'istruttoria svolta sono state valutate le missive di (OMISSIS) e di (OMISSIS), le dichiarazioni rese dai medesimi nel giudizio di revisione, le dichiarazioni di (OMISSIS); ed e' stata, altresi', effettuata anche una valutazione congiunta delle dichiarazioni dei condannati (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'assistente di P.S. (OMISSIS); e solo all'esito di accurato vaglio delle nuove emergenze, considerate dapprima singolarmente e poi nella correlazione esistente tra loro, e quindi saggiate anche nella concatenazione logico-ricostruttiva, complessiva, che la stessa difesa ha inteso prospettare, la corte territoriale e' giunta alla conclusione, in ragione della coerenza e della logicita' della motivazione della sentenza definitiva, da un lato, e della lacunosita' e incoerenze degli elementi evincibili dalle nuove prove, dall'altro, che il giudizio di revisione non avesse fornito quegli elementi che possono far considerare accertati fatti incompatibili con quelli consacrati nella sentenza irrevocabile. Nel giungere alla conclusione della inidoneita' delle sopravvenute implicazioni processuali, per non essere valutabili in termini di certi riflessi decisivi sulla granitica piattaforma probatoria posta a base delle pronunce di merito, la corte territoriale non ha peraltro esitato ad evidenziare anche la opacita' del comportamento assunto dallo stesso (OMISSIS). Ha, in particolare, ben messo in luce come le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nel giudizio di revisione - il quale, a fronte della sostanziale ritrattazione contenuta nelle lettere spedite al (OMISSIS), aveva, in buona sostanza, comunque, confermato in tale sede le accuse mosse nei confronti del predetto, smentendo, in definitiva, il contenuto delle missive stesse, che aveva pero' ammesso di avere scritto avessero in ogni caso reso nebulosa la vicenda delle lettere - che secondo il racconto del (OMISSIS) avrebbero peraltro trovato la loro genesi in una prima lettera a lui inviata di cui pero' nulla sapeva riferire non ricordando altro al riguardo; e soprattutto avessero segnalato un comportamento poco lineare del (OMISSIS) medesimo (che potrebbe - afferma la corte territoriale - avere giustificazione anche solo nella necessita' di compiacere il (OMISSIS) - se non indirettamente lo stesso (OMISSIS) - recuperare i rapporti con lui e a questo fine rinnegare le sue stesse precedenti dichiarazioni confessorie ed etero-accusatorie). Quanto poi alla ricostruzione resa dal (OMISSIS) in sede di revisione - che prima di allora non aveva mai reso dichiarazioni neppure nel procedimento a suo carico conclusosi con la condanna a trenta anni di reclusione - in ordine, in particolare, alla vicenda delle pietre che l' (OMISSIS) avrebbe chiesto al (OMISSIS) di collocare nella C3 per incastrare il (OMISSIS) (dicendogli che era stato accusato dal (OMISSIS) dell'omicidio, con l'intesa che in cambio lo avrebbe lasciato stare), la corte territoriale evidenzia come il (OMISSIS) avesse spiegato in maniera assai confusa la decisione di non parlare di questo episodio nel processo a carico suo e del (OMISSIS) adducendo sempre motivi legati alla paura di ritorsioni (ritenuti, in buona sostanza, dai giudici della revisione, come meglio si dira' in seguito, non adeguati rispetto alle ben piu' gravi conseguenze derivanti e derivate dal suo silenzio). La corte territoriale in definitiva opera una valutazione puntuale che adombra piu' di un dubbio sull'attendibilita' del (OMISSIS) (cosi' sullo stesso motivo per il quale, pur non conoscendo egli, a suo dire, il contenuto del sacchetto consegnatogli dall' (OMISSIS) - contenente le pietre - avesse deciso di svuotarlo nell'auto invece di riporlo come si trovasse all'interno di essa, rispetto al quale il (OMISSIS) non riusciva sulle prima a fornire adeguata spiegazione, adducendo semplicemente dopo varie domande sul punto che lâEuroËœ (OMISSIS) gli aveva fatto capire che doveva procedere in quel modo). (OMISSIS) ha anche aggiunto che comunque egli e il (OMISSIS) - al quale aveva successivamente raccontato l'episodio delle pietre - avevano deciso di non parlare anche perche' non stavano capendo quello che stava succedendo (frase valorizzata nella memoria difensiva che pero' appare superata dalle successive fasi della vicenda processuale). Evidenzia, invero, in maniera del tutto logica e dirimente, la sentenza impugnata al riguardo come "insomma il (OMISSIS) avrebbe inquinato le prove subendo le pressioni di (OMISSIS) dietro la promessa di essere lasciato in pace. Quando poi si era ritrovato imputato di omicidio in un processo nel quale venivano utilizzate anche prove delle quali egli sapeva l'origine non genuina, avrebbe taciuto sulle sue condotte per timore di piu' gravi conseguenze e per di piu' facendosi convincere dal (OMISSIS) - che secondo quanto dal medesimo raccontato l'avrebbe invitato a non dire nulla e ad attendere gli eventi - un minorenne le cui dichiarazioni sarebbero state utilizzate nel processo contro di lui" (cfr. pag 16 della sentenza impugnata). Le ragioni per le quali - aggiunge la corte territoriale - tanto (OMISSIS) quanto (OMISSIS) avrebbero dovuto accettare di subire pesanti condanne - soprattutto il primo che per di piu' assume, in sostanza, di esser estraneo alla vicenda omicidiaria senza alcuna responsabilita' e avrebbero dovuto consentire di far condannare ingiustamente il (OMISSIS) sono difficilmente comprensibili. A voler ritenere che (OMISSIS) ha operato nel modo indicato da (OMISSIS) - che adombra un agire congiunto dell'ispettore coi colleghi rispetto, quanto meno, al sopralluogo definito fittizio, finalizzato a far individuare il luogo del seppellimento del cadavere dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) nonostante lo stesso fosse gia' noto agli inquirenti - si dovrebbe, comunque, ipotizzare il coinvolgimento anche di altri appartenenti alle forze dell'ordine che sarebbero stati quindi tutti coinvolti nelle finte indagini per incastrare il (OMISSIS), e in definitiva lo stesso (OMISSIS), che nel descrivere i fatti si tiene fuori da essi. E' in ogni caso difficilmente credibile - conclude la corte territoriale - che i due si siano lasciati convincere dagli investigatori - sebbene peraltro le minacce sarebbero provenute dal solo (OMISSIS) - a prestare una collaborazione surrettizia e falsa dalla quale non solo non sarebbe scaturito alcun beneficio per loro ma dalla quale, invece, avrebbero tratto gravi conseguenze sfavorevoli oltre che ingiuste. Quanto al (OMISSIS) - sottolinea altresi' la corte territoriale - di la' della contraddittorieta' del suo comportamento, rimangono la sua confessione e la chiamata in correita' del (OMISSIS) che non e' stata smentita dal predetto neppure nel dibattimento di revisione, ove lo stesso ha piuttosto inteso di non confermare le sole circostanze indicate nelle missive; con la precisazione, tra l'altro, che - come poi precisato nel prosieguo della motivazione - le dichiarazioni auto-etero accusatorie del (OMISSIS) non erano state ritenute di valenza centrale gia' dal giudice di primo grado, essendo ben altri i dati obbiettivi idonei a sorreggere la prova oltre ogni ragionevole dubbio del coinvolgimento degli imputati nel delitto (che vengono poi riassunti a pag. 28 della pronuncia impugnata in cui la corte territoriale, nel chiudere il cerchio della ricostruzione confermativa della responsabilita' del (OMISSIS), fa riferimento alla miriade di elementi - richiamati anche nella sentenza di rigetto della cassazione - emersi attraverso le dichiarazioni rese da svariati soggetti, terzi, che hanno indicato circostanze specifiche attinenti all'omicidio e al diretto coinvolgimento del (OMISSIS), che avrebbe addirittura chiesto aiuto anche ad altra persona - (OMISSIS) che ebbe poi' a riferire il fatto - per uccidere il (OMISSIS), al contesto in cui maturo' - cosi' per gli sms con cui (OMISSIS) aveva avvisato (OMISSIS) della presenza del marito a casa il giorno in cui fu ucciso -, alle modalita' esecutive - cosi' per il cavo del freno con cui il (OMISSIS) fu strangolato visto nella disponibilita' del (OMISSIS) da un testimone, (OMISSIS) -, tutte concordanti con la ricostruzione operata nelle pronunce di merito sulla base delle altre emergenze processuali). E a proposito del dato del rinvenimento delle pietre evidenzia come in realta' anch'esso non era stato affatto ritenuto la "prova regina" capace di cancellare i molteplici dubbi sollevati dalla difesa, avendo i giudici di merito evidenziato tutti i profili di fatto e tutti gli argomenti che rendevano le obiezioni difensive niente affatto decisive di fronte all'ipotesi dell'accusa. Tali fatti e tali argomenti, tutti ampiamente richiamati nelle motivazioni - alle quali la sentenza impugnata rinvia -, non sono intaccati quindi - conclude sul punto la corte territoriale - dall'eventuale dubbio sull'effettiva collocazione delle pietre. 1.4. Nondimeno, la opacita' delle affermazioni rese dai predetti condannati nelle missive e soprattutto la incomprensibilita' del comportamento del (OMISSIS), che si protestava in buona sostanza innocente nonostante il silenzio serbato nei giudizi di merito che hanno condotto alla sua condanna, facevano ritenere al collegio territoriale necessaria l'audizione dell' (OMISSIS), e cio' proprio perche' - come esplicitato a pag. 18 della sentenza impugnata - quelle emergenze sopravvenute - peraltro a distanza di tanti anni - per le loro caratteristiche non erano idonee di per se' a incrinare la forze del giudicato. Nel riportare la deposizione dell' (OMISSIS) - sentito ai sensi dell'articolo 210 - la corte territoriale mette in evidenza come lo stesso dopo un iniziale tentennamento abbia ammesso di sapere dove si trovasse custodita la C3 precisando anche che la stessa si trovava chiusa in un garage nel momento in cui furono eseguiti i rilievi dal R.i.s. di Messina; come il predetto abbia anche confermato la circostanza del sopralluogo descritto dal (OMISSIS), precisando che poi all'atto dello scavo e dell'esumazione del cadavere erano stati presenti sia appartenenti al commissariato di (OMISSIS) sia i carabinieri di quella medesima localita' che per primi avevano iniziato le indagini e che da un certo momento in poi avevano operato congiuntamente con la Polizia di Stato. Ha altresi' evidenziato che dall'esame dell' (OMISSIS) non era emerso che egli potesse avere motivi di avversione e pregiudizio nei confronti dei (OMISSIS), avendo tra l'altro egli riferito di conoscere bene il padre del (OMISSIS) perche' suo collega e di averlo addirittura aiutato in un'occasione a svolgere dei lavori agricoli nella sua proprieta', proprio quella in cui fu poi trovata la salma del (OMISSIS); ed ha quindi conluso che dalle dichiarazioni dell' (OMISSIS) non fosse emerso alcun elemento di conferma alla versione dei fatti offerta dal (OMISSIS) nelle dichiarazioni dibattimentali e dal (OMISSIS) nelle allusioni contenute nelle missive e poi smentite in dibattimento, neppure in termini di spiraglio per gettare una favorevole luce di credibilita' alla versione offerta dal (OMISSIS) (cfr. pagg. 23 e seguenti della sentenza impugnata nella parte relativa alla dettagliatissima valutazione congiunta delle deposizioni acquisite nel giudizio di revisione in cui tra l'altro la corte territoriale evidenzia, quale ulteriore elemento inverosimile, che il ruolo di longa manus inquinante dell'indagine del (OMISSIS) sarebbe stato fatto scaturire tutto ed esclusivamente dall' (OMISSIS) che da solo quindi, senza nemmeno il concorso dei suoi colleghi che accompagnarono (OMISSIS) nel sopralluogo, avrebbe esercitato una carica intimidatrice tale da indurlo a collocare le pietre nell'autovettura, laddove peraltro non si poteva non rilevare che gli elementi a disposizione fossero invece favorevoli ad una rappresentazione dei fatti che vedono il suo protagonismo nelle indagini ben piu' limitato di quello che sembra raccontare (OMISSIS); e apparissero per altro verso affatto conducenti alla tesi del (OMISSIS) circa il motivo che l'avrebbe indotto ad accettare la collaborazione manipolatrice pretesa dall' (OMISSIS); il tutto senza considerare, peraltro, che come emerge dalla sentenza definitiva - non manca di sottolineare la corte territoriale - fu (OMISSIS), allora convivente di (OMISSIS), a indirizzare le indagini si di lui e solo dopo le dichiarazioni da lei rese si procedette all'esame del (OMISSIS) e quindi del (OMISSIS); abbrivio che la difesa ha inteso scardinare producendo quale prova nuova - non ritenuta pero' tale nella sentenza impugnata per i motivi ivi esaurientemente esposti e non oggetto di specifica censura - la denuncia sporta dalla (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS), a dimostrazione dell'astio sussistente tra i due e quindi sostanzialmente della falsita' dell'accusa mossa dalla predetta nei confronti del convivente; laddove peraltro la donna aveva accusato non solo il convivente ma anche il (OMISSIS), la cui indicazione non potrebbe essere giustificata dall'asserito livore della (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS); e questi, a sua volta, sentito subito dopo le dichiarazioni della (OMISSIS), aveva confermato la versione del fatto dell'uccisione del (OMISSIS) ad opera del (OMISSIS), sia pure tenendosi fuori dal fatto omicidiario). In ogni caso - rappresenta altresi' la corte territoriale riguardo alla circostanza specifica della collocazione delle pietre - alla versione dei fatti del (OMISSIS) non si accompagna alcun riscontro mentre gli accertamenti del R.i.s. che pure sono stati svolti con metodiche scientifiche non hanno censito situazioni o elementi inquinanti che potessero pregiudicare l'attendibilita' degli esiti, aggiungendo il particolare di certo non trascurabile secondo cui le pietre furono rinvenute con delle tracce di sangue (laddove (OMISSIS) non ha mai fatto cenno della presenza di sangue sulle pietre che egli avrebbe introdotto nella C3 pur trattandosi di circostanza non ignorabile tenuto conto dell'azione che dovette compiere per metterle nell'autovettura). 1.5. Sono state rigorosamente valutate anche le dichiarazioni tardive di (OMISSIS) con riferimento alla pista alternativa dalla medesima prospettata - rispetto alla quale la parimenti tardiva denuncia prodotta in giudizio dalla predetta costituirebbe un elemento di riscontro proveniente pero' sempre dalla medesima fonte - e si e' giunti alla conclusione che gli elementi da esse estrapolabili, al pari di quelli forniti, parimenti tardivamente, da (OMISSIS) e (OMISSIS), non hanno specifici agganci fattuali e probatori, ne' solidi ne' nuovi, e viaggiano in maniera alternativa ma parallela rispetto alla solida ricostruzione fondativa della responsabilita' del ricorrente che trova invece plurimi addentellati probatori (e cio' di la' degli apprezzamenti gia' svolti riguardo al memoriale prodotto in appello definito dai giudici del merito "allucinato e ripetitivo" per i riferimenti anche ad arti magiche praticate sulla donna, e comunque ritenuto del tutto inattendibile nella parte in cui esso sarebbe stato vergato direttamente dal minore (OMISSIS) che all'epoca aveva solo nove anni e non avrebbe potuto giammai esprimersi nei termini adoperati nel documento). 1.6. Ne' una tale conclusione puo' ritenersi scalfita per il solo fatto che la corte territoriale abbia contestualmente ritenuto doveroso confermare il provvedimento di trasmissione - adottato su istanza del Procuratore generale - alla Procura della Repubblica di (OMISSIS) delle missive a firma del (OMISSIS) e delle dichiarazioni dal medesimo rese nel giudizio di revisione oltre che di quelle rese dall'assistente (OMISSIS) al fine di valutare gli eventuali elementi di reato emergenti a carico dei rispettivi autori, trattandosi di atti doverosamente assunti che, in mancanza dell'esito degli eventuali sviluppi conseguiti, nulla aggiungono, allo stato, al quadro probatorio tracciato nella sentenza impugnata. 1.7. Ed invero, a conclusione della valutazione dell'articolata vicenda processuale che si e' posta all'attenzione anche di questo Collegio, si deve rammentare che ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all'accertamento - in termini di ragionevole sicurezza - di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia piu' in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (cfr. in particolare, perche' specifica al riguardo, Sez. 5, n. 24682 del 15/05/2014, Rv. 260005 - 01; nonche' sul tema, Sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016 - dep. 09/06/2016, Livadia, Rv. 26706701), laddove nel caso in esame le sopravvenienze introdotte dalle difese non recano fatti accertati con ragionevole sicurezza - la stessa pista alternativa, soprattutto nella parte in cui tende ad escludere del tutto il coinvolgimento del (OMISSIS), non e' stata ritenuta, con argomentazioni logiche ed adeguate, gran parte delle quali sopra riassunte, affatto certa -; ed e' da tale premessa - unicamente sulla base di essa e non gia' dei preconcetti adombrati dalla difesa - che la corte territoriale ha tratto il convincimento della inidoneita' delle nuove emergenze a scalfire la piattaforma probatoria posta a base dell'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) e quindi della resistenza della prova raggiunta nel giudizio di merito, la cui solidita' e' peraltro puntellata, come ben messo in evidenza nella pronuncia impugnata, anche da svariati elementi non messi in discussione. L'impostazione seguita dalla sentenza impugnata, in perfetta assonanza con i principi affermati da questa Corte in materia, qui ribaditi, in buona sostanza sostiene che non potesse ritenersi ragionevolmente accertato il dubbio che si e' inteso insinuare nel processo, e che, costituendo tale accertamento il presupposto intorno a cui ruota la valutazione oggetto di revisione, non si potesse in alcun modo ritenere compromessa la ricostruzione passata in giudicato. 2. Il ricorso sollecita, in definitiva, una rivalutazione, una lettura alternativa della ricostruzione dei fatti alla luce delle prospettate nuove evidenze probatorie senza un effettivo confronto con tutte le articolate e plurime argomentazioni con le quali la Corte di Appello di Caltanissetta ha valutato l'idoneita' dei nuovi elementi di prova a sovvertire la ricostruzione dei fatti coperta da giudicato, valutazione in esito alla quale, con motivazioni esente da censure in sede di legittimita', la richiesta di revisione e' stata respinta. Ne discende la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. RICCARDI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 24/01/2020 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale Dr. PIRRELLI FRANCESCA ROMANA, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio. udito il difensore, l'avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), che ha chiesto la nullita' della sentenza impugnata per omessa notifica del decreto di fissazione udienza, riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto del 7.1.2019, emessa in seguito a giudizio abbreviato, con cui (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 200 di multa in relazione al reato di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 7 di due quintali e mezzo di mandarini sottraendoli al proprietario del terreno, (OMISSIS), spezzando i rami degli alberi e direttamente raccogliendoli. All'imputato sono state concesse le attenuanti previste dall'articolo 62 c.p., comma 1, nn. 4 e 6 equivalenti alle contestate aggravanti. 2. Ricorre l'imputato, tramite il difensore avv. (OMISSIS), deducendo dieci motivi differenti. 2.1. Il primo censura violazione di legge e lamenta nullita' della sentenza impugnata ex articolo 185 c.p.p. per omessa notifica del decreto di fissazione di udienza in grado di appello al codifensore dell'imputato, avv. (OMISSIS). La Corte d'Appello ha rigettato l'analoga eccezione proposta prima del giudizio con ordinanza del 24.1.2020, sul presupposto che non vi fosse in atti alcuna nomina conferita al predetto legale (la Corte rileva che non vi fosse al momento della pronuncia della sentenza di primo grado ne' successivamente, essendovi solo atti processuali a sua firma, ma privi in allegato di alcuna nomina, n.d.r.); e tuttavia il ricorrente evidenzia che tale nomina e' stata depositata nella cancelleria del Tribunale di Taranto il giorno 8.2.2019, dopo la rinuncia dell'avv. (OMISSIS), come da copie che allega al ricorso. L'atto di appello, afferma il difensore, e' stato legittimamente proposto da entrambi gli avvocati di fiducia nominati, (OMISSIS) e (OMISSIS), sicche' il decreto di fissazione dell'udienza per il giudizio di impugnazione doveva essere notificato a ciascuno dei due e la relativa omissione della notifica ad uno di essi da' luogo a nullita'. 2.2. Con il secondo argomento di censura si eccepisce violazione di legge in relazione alla mancata rinnovazione istruttoria ed all'omessa assunzione di una prova decisiva, con violazione del diritto di difesa, poiche' erano state scoperte, dopo la sentenza di primo grado, nuove prove (la testimonianza di (OMISSIS)) che avrebbero potuto portare all'assoluzione dell'imputato. Tali dichiarazioni erano state anche depositate agli atti con investigazioni difensive svolte ai sensi dell'articolo 391-bis c.p.p.. Si contestano le ragioni di rigetto della richiesta utilizzate dalla Corte d'Appello (individuate nella non necessita' della prova per l'esaustivita' dell'istruttoria dibattimentale e nella genericita' della richiesta) poiche' nel caso di specie ci si trovava dinanzi ad una richiesta di "prova nuova" in relazione alla quale si doveva applicare la disposizione dell'articolo 603 c.p.p., comma 2 e non quella del comma 1; la rinnovazione, cioe', non era subordinata ad una valutazione dei giudici d'appello sulla decisivita' dell'incombente processuale bensi' dovuta con il solo limite rappresentato dal divieto di assumere prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (si citano in proposito le pronunce di legittimita' Sez. 1, n. 39663 del 7/10/2010, Cascarino, Rv. 248437; Sez. 3, n. 8382 del 22/1/2008, Finazzo, Rv. 239341; Sez. 5, n. 552 del 1373/2003, Attanasi, Rv. 227022). Si deduce, altresi', l'erroneita' del giudizio sulla genericita' della richiesta difensiva di rinnovare l'istruttoria dibattimentale: la richiesta consentiva di individuare in modo inequivoco la tematica che la parte deducente intendeva proporre in relazione alle imputazioni e cio' era sufficiente alla sua ammissibilita' poiche' coerente con le esigenze di tutela delle parti del processo contro l'introduzione di eventuali prove a sorpresa. 2.3. La terza argomentazione difensiva attinge la stessa affermazione di responsabilita' dell'imputato per contraddittorieta' della prova raccolta nel processo e si evidenziano alcune incongruenze che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d'Appello che le ha ritenute "modeste difformita'", a giudizio della difesa, impediscono di attribuire al ricorrente il reato: non sarebbe chiaro chi abbia allertato i Carabinieri intervenuti sul posto (se personale di vigilanza privata o cittadini non identificati); il verbale di arresto in flagranza e quello di sequestro redatti dalla polizia giudiziaria riferiscono circostanze equivoche circa il fatto che il ricorrente sia stato effettivamente colto nell'atto di rubare i mandarini gia' pronti in dodici buste da caricare nella sua autovettura parcheggiata in un terreno vicino a quello di proprieta' della persona offesa; i sedili di tale auto, stando ad accertamenti difensivi, non erano reclinati come annotato negli atti di polizia giudiziaria, sicche' anche questo particolare non puo' essere utilizzato come elemento logico a favore della tesi d'accusa secondo cui l'autovettura era pronta per essere caricata della refurtiva. 2.4. Il quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione dell'istituto della messa alla prova dell'imputato, previsto dall'articolo 168-bis c.p.. Il ricorrente e' stato ritenuto non meritevole del beneficio perche' protagonista di un "lungo vissuto criminale", senza che la Corte d'Appello abbia preso in considerazione il programma di trattamento proposto. Ed invece la difesa rappresenta come la presenza di precedenti penali non sia elemento di per se' sufficiente ad escludere l'applicabilita' della messa alla prova, in quanto quello in esame e' istituto condizionato ad altri presupposti (l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato ed eventualmente il risarcimento del danno cagionato), piuttosto che all'assenza di precedenti penali, potendo applicarsi al recidivo ed essendo escluso solo per le ipotesi di professionalita', abitualita' e tendenza a delinquere, in ragione del richiamo normativo agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.. 2.5. La quinta censura si duole della mancata configurabilita' della fattispecie concreta quale tentativo di reato, con violazione di legge e vizio di motivazione. Le buste di mandarini sono sempre rimaste sul terreno del loro proprietario ed i Carabinieri, prima di intervenire, hanno osservato il ricorrente ancora intento a cogliere i frutti dall'albero, sicche' il reato non puo' dirsi consumato in quanto la condotta dell'agente e' rimasta sempre controllata dagli operanti di polizia giudiziaria ed i beni non sono usciti dalla sfera di disponibilita' del legittimo proprietario ne' entrati nella signoria effettiva dall'autore del reato. Si citano alcune sentenze della giurisprudenza di legittimita' sul tema e in particolare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 40354 del 18/7/2013, Sciuscio. 2.6. Il sesto motivo di ricorso eccepisce l'insussistenza dell'aggravante del danneggiamento della res sottratta quando, in relazione al furto di frutti, la tipologia di essi comporta che l'asportazione risulti necessaria per non comprometterne l'integrita'; neppure si puo' ritenere la tesi della violenza sulle cose costituita dalla recisione dei rami degli alberi, poiche' e' la stessa asportazione del frutto che determina la caduta di piccole porzioni di rami e foglie, da cui non conseguono danni all'integrita' dell'albero in se'. Inoltre, non vi sarebbe prova certa del danneggiamento delle piante. 2.7. La settima ragione difensiva censura il vizio di violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede dei frutti sottratti. Il ricorrente si orienta sulla base di alcune pronunce di questa Quinta Sezione Penale del 29/9/1993, Violante, Rv. 195554 e Sez. 5, n. 18282 del 14/4/2014, Rv. 259885, secondo le quali l'aggravante non puo' ritenersi sussistente quando l'esposizione a pubblica fede non dipende da un atto di volonta' dell'uomo ma e' condizione naturale del bene, come nel caso di furto di frutti pendenti e non distaccati dalla pianta. Inoltre, il fondo di proprieta' della persona offesa non e' luogo aperto al pubblico ma privato in cui l'accesso e' consentito solo alle condizioni fissate dal legittimo proprietario. 2.8. L'ottavo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'articolo 131-bis c.p. che, previa esclusione delle aggravanti contestate e riqualificazione della fattispecie in furto semplice, avrebbe potuto essere applicato al fatto commesso dal ricorrente. 2.9. Il nono argomento di censura attinge il profilo della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 2.10. Il decimo motivo di ricorso, infine, si lamenta della dosimetria sanzionatoria giudicata dal ricorrente troppo severa ed in violazione dei parametri di cui all'articolo 133 c.p., in relazione ai quali deduce anche difetto di motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato quanto al primo motivo, assorbente rispetto alle altre ragioni di censura. 2. La ricostruzione della vicenda processuale, operata attraverso gli atti allegati al ricorso e le verifiche direttamente svolte dal Collegio nel fascicolo procedimentale, consentite per la tipologia del vizio dedotto, ha evidenziato che effettivamente risulta in atti una nomina in favore dell'avv. (OMISSIS) da parte dell'imputato, datata 4.4.2019 e depositata il giorno 8.2.2019 alla cancelleria del Tribunale di Taranto, preceduta dalla revoca di uno dei due precedenti difensori, l'avv. (OMISSIS), con atto depositato presso la medesima cancelleria il 4.2.2019. Il decreto di citazione a giudizio in appello e' datato 10.9.2019, dunque successivo alla nuova nomina, legittimamente effettuata previa revoca del secondo difensore. Il decreto di citazione in appello, pertanto, avrebbe dovuto essere notificato ai due difensori che risultavano al momento dell'emissione dell'atto nominati dal ricorrente, e cioe' gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS); ed invece, la notifica e' stata diretta ai due difensori di fiducia presenti al giudizio di primo grado: il medesimo avv. (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS), oramai revocata. Orbene, l'omessa notificazione del decreto di citazione per il giudizio ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato configura una nullita' a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, anche quando si tratti del sostituto d'ufficio del difensore di fiducia regolarmente avvisato e poi revocato dall'imputato, mentre la mancata eccezione sana la nullita', gia' nel grado d'appello, ai sensi dell'articolo 184 c.p.p., comma 1, a prescindere dal fatto che l'imputato, regolarmente citato, abbia presenziato all'udienza o sia rimasto contumace (Sez. 3, n. 38021 del 12/6/2013, Esposito, Rv. 256980; Sez. 6, n. 13874 del 20/12/2013, dep. 2014, Di Salvo, Rv. 261529). Del resto, anche nel giudizio di legittimita' l'omessa notificazione ad uno dei due difensori dell'imputato non da' luogo ad una nullita' assoluta, ex articolo 179 c.p.p., ma comunque genera una nullita', benche' a regime intermedio, (Sez. 5, n. 12576 del 14/10/2016, V., Rv. 269703, che ha specificato come tale vizio debba ritenersi sanato, ex articolo 184 c.p.p., comma 1, nel caso di mancata comparizione di entrambi i difensori all'udienza, implicando tale condotta la volontaria e consapevole rinuncia della difesa e della parte, globalmente considerata, a far rilevare l'omessa comunicazione ad uno dei difensori). La giurisprudenza successiva ha ribadito che, in caso di omesso avviso di fissazione udienza ad uno dei due difensori di fiducia dell'imputato, si configura una nullita' a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicche' la mancata proposizione dell'eccezione sana la nullita', a prescindere dal fatto che l'imputato, regolarmente citato, sia presente o meno (Sez. 5, n. 55800 del 3/10/2018, Intoppa, Rv. 274620). Le affermazioni sono tutte, peraltro, coerenti con l'arresto delle Sezioni Unite, n. 39060 del 16/7/2009, Aprea, Rv. 244188 secondo cui la nullita' di ordine generale a regime intermedio, derivante dall'omesso avviso ad uno dei due difensori di fiducia, deve essere eccepita a opera dell'altro difensore al piu' tardi immediatamente dopo gli atti preliminari, prima delle conclusioni qualora il procedimento non importi altri atti, in quanto il suo svolgersi (in udienza preliminare, riesame cautelare o giudizio) presume la rinuncia all'eccezione. 2.1. Nel caso di specie, dunque, la nullita' e' stata tempestivamente eccepita poiche' il difensore di fiducia del ricorrente, l'avv. (OMISSIS), l'ha fatta valere nella fase degli atti preliminari all'udienza del 24.1.2020 svoltasi dinanzi alla Corte d'Appello e poi chiusa dall'emissione della decisione, lamentando l'omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di secondo grado all'altro difensore di fiducia, l'avv. (OMISSIS). Il provvedimento impugnato, pertanto, emesso in violazione del diritto di difesa, deve essere annullato. 3. L'accoglimento del motivo preliminare di ordine processuale determina l'assorbimento delle ulteriori censure del ricorrente, dovendosi procedere ad annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Lecce per il nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Lecce per nuovo giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. VANNUCCI Marco - Consigliere Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO; e da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); nel procedimento a carico di quest'ultima; avverso la sentenza del 10/10/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, ZACCO FRANCA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' di entrambi i ricorsi; udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di TORINO, in difesa di (OMISSIS), il quale conclude chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso e dichiararsi l'inammissibilita' di quello del P.G.; udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di CUNEO, in difesa di (OMISSIS), il quale, associandosi alle conclusioni del codifensore, conclude riportandosi ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 10 ottobre 2018 la Corte di assise di appello di Torino ha confermato quella emessa dalla Corte di assise di Cuneo il 14 luglio 2017 nei confronti di (OMISSIS), chiamata a rispondere dei delitti di omicidio pluriaggravato ed occultamento di cadavere aggravato e condannata alla pena di ventuno anni e tre mesi di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie previste per legge, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, alla corresponsione in loro favore di provvisionali variamente determinate ed alla rifusione, sempre nei confronti delle parti civili, delle spese legali relative all'azione civile. 2. Il procedimento penale nell'ambito del quale e' stata emessa la sentenza impugnata e' scaturito dal decesso di (OMISSIS), il cui cadavere venne rinvenuto la mattina dell'(OMISSIS), intorno alle ore 10, nel noccioleto adiacente alla sua abitazione della frazione (OMISSIS). Le indagini, subito avviate, si indirizzarono verso la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS), la quale, la mattina del giorno precedente, aveva comunicato alla figlia che l'uomo si era allontanato volontariamente in compagnia di una donna originaria della Romania, paese nel quale egli le aveva successivamente rappresentato, a mezzo telefono, di essersi portato: affermazione, quella della donna, poscia rivelatasi falsa. La (OMISSIS), peraltro, aveva manifestato fastidio ed irritazione quando i familiari, postisi alla ricerca del congiunto, si erano diretti verso la zona nella quale il corpo sarebbe stato, di li' a poco, rinvenuto. Ancora, intercettata, la sera del rinvenimento del cadavere, mentre conversava con un conoscente nella sala d'aspetto della caserma dei Carabinieri di Mondovi', la (OMISSIS) aveva riferito di avere trovato il corpo del marito il giorno prima, intorno alle ore 14,00, e di averlo coperto nel timore che fosse oltraggiato dagli animali; la donna, del resto, aveva, colloquiando con varie persone e, poi, nel memoriale fatto pervenire alla Corte di assise di Cuneo il 5 giugno 2017, offerto, sul punto, versioni sempre diverse. Cio' posto, la Corte di assise di primo grado ha ritenuto il quadro indiziario assolutamente grave ed univoco sulla base dei seguenti elementi: - la telefonata alla figlia (OMISSIS) del mattino del (OMISSIS), con la mendace indicazione dell'allontanamento del padre con la "rumena", fingendo che lui fosse ancora presente in casa, quando e' certo che (OMISSIS) era gia' deceduto la sera precedente, addirittura poi inventando la notizia dell'arrivo del marito in Romania; concretamente attuata ("mi portava gli uomini a casa. Mi ha fatto fare una vita... Fino a che mi sono ribellata... All'ultimo ho detto "basta""). La Corte di assise ha poi ritenuto sussistente un preciso movente, maturato nel tempo e recentemente vivificatosi. Oltre al fatto che abituali e recenti erano i litigi tra i coniugi, e' emerso, infatti, il profondo risentimento della (OMISSIS) nei confronti del marito, il quale aveva, a sua insaputa, combinato il matrimonio, in accordo con la madre della donna, quando ella era ancora minorenne. Ella, in sostanza, era stata venduta per il prezzo di Lire 500.000 ed aveva subito pesanti angherie, venendo percossa e minacciata e costretta, sin dall'avvio del rapporto coniugale, a prostituirsi con uomini contattati dal marito; da quei rapporti, peraltro, erano derivate tre gravidanze, che la donna aveva portato a termine contro il volere di (OMISSIS). Dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni rese da alcuni testi e', ancora, emerso, che la (OMISSIS) aveva, nel corso degli anni, accarezzato l'idea di uccidere il marito, proposito che si era sviluppato e consolidato nelle settimane che precedettero la morte di (OMISSIS). Conclusivamente, la Corte di assise ha ricostruito il fatto attestando che, la sera del 6 giugno 2016, la (OMISSIS) aveva sciolto una notevole quantita' di Zolpidem nel piatto o nel bicchiere di vino del marito il quale, rientrato dai lavori di campagna, aveva lasciato il trattore con la legna in cortile; quando il sonnifero aveva prodotto i suoi effetti, l'uomo, che stava uscendo di casa per sistemare la legna rimasta sul rimorchio, era verosimilmente caduto a terra procurandosi la modesta ecchimosi al capo riscontrata in sede autoptica. A questo punto la donna, avvedendosi che il marito era ancora in vita, lo aveva soppresso usando una qualche manovra asfittica. La (OMISSIS), con azione che la Corte di assise ha ritenuto possibile nonostante la sua minuta costituzione fisica, aveva allora nascosto il cadavere in uno dei numerosi locali, tutti disabitati, collocati nei pressi della casa familiare, e li' lo aveva lasciato sino alla tarda serata del giorno successivo, quando lo aveva spostato utilizzando la carriola, non e' chiaro se per occultarlo meglio - manovra non riuscita perche' la carriola si era ribaltata ed il corpo si era incastrato tra i rami di nocciolo senza che avessero successo i tentativi di liberarlo usando la corda - ovvero se per simulare, mediante la stessa corda, un suicidio mediante impiccagione. Era seguito il goffo tentativo di occultamento del cadavere con cassette per la frutta e coperte, al ritorno dal quale era stata vista dalle figlie dirigersi verso casa, sporca di terra; allo stesso modo, la (OMISSIS) aveva inutilmente cercato di evitare che le ricerche di quel mattino si orientassero nuovamente verso il noccioleto. Il giudice di primo grado ha ritenuto la responsabilita' della (OMISSIS) per l'omicidio, aggravato, oltre che dal rapporto di coniugio, dalla premeditazione, e l'occultamento di cadavere ed ha, tuttavia, applicato le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con le aggravanti. Ha, per contro, escluso la circostanza aggravante dell'avere l'agente commesso il fatto con mezzo insidioso, sulla scorta dell'indirizzo ermeneutico che esige che il mezzo insidioso provochi direttamente la morte e non costituisca mera modalita' dell'azione. 3. La Corte di assise di appello, pronunziandosi sulle impugnazioni proposte sia dal pubblico ministero che dall'imputata, ha rigettato tutti i motivi. Ha, innanzitutto, condiviso, quanto alle cause della morte di (OMISSIS), le osservazioni svolte dal consulente del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), a dire del quale il decesso e' stato provocato da asfissia meccanica conseguente ad azione violenta e non a cause naturali, come invece sostenuto dal consulente dell'imputata, Dott. (OMISSIS). Ha, del pari, mutuato le considerazioni espresse dal giudice di primo grado in ordine alla occulta somministrazione, da parte della (OMISSIS), del sonnifero, alla collocazione all'esterno dell'abitazione del luogo in cui la vittima, per effetto dello Zolpidem, perse conoscenza, ai successivi spostamenti del corpo ad opera della odierna ricorrente, all'impossibilita' che l'azione omicidiaria sia stata compiuta da un terzo abusivamente introdottosi nell'abitazione dei coniugi (OMISSIS). Ha, quindi, analiticamente ripercorso, alle pagg. 21-24 della motivazione della sentenza impugnata, tutti gli indizi raccolti a carico della donna e ne ha rimarcato, a confutazione delle obiezioni difensive, coerenza ed univocita'. La Corte di assise di appello ha, analogamente, rigettato i motivi di impugnazione afferenti al reato di occultamento di cadavere ed al formulato giudizio di equivalenza tra le circostanze di segno opposto, nonche' quelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo con riferimento all'esclusione della circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto con mezzo insidioso ed all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 4. La sentenza della Corte di assise di appello di Torino e' stata impugnata sia dall'imputata che dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino. La pubblica accusa articola un unico motivo, con il quale censura l'esclusione della circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto con mezzo insidioso. Rileva, al riguardo, che la somministrazione dello Zolpidem costitui' condizione necessaria (e non mera modalita' dell'azione, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito) dell'evento letale, che non si sarebbe verificato - o, comunque, non si sarebbe verificato secondo quella successione causale -qualora la (OMISSIS) non fosse riuscita a neutralizzare la vittima narcotizzandola con il sonnifero, cosi' inibendole la tutela della propria persona. 5. (OMISSIS) propone a sua volta, tramite il difensore, avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. 5.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello disatteso, con argomenti manifestamente illogici, le obiezioni sollevate in ordine alla plausibilita' della ricostruzione alternativa che ascrive a cause naturali, anziche' all'azione illecita di (OMISSIS), il decesso di (OMISSIS). Espone, al riguardo, che il rinvenimento sul cadavere di un edema polmonare e' sintomo, sia pure aspecifico, di cedimento improvviso del miocardio, che ben potrebbe essere intervenuto in un momento in cui il processo asfittico, protrattosi per alcuni minuti, era ancora in itinere. Rilevato che anche l'enfisema polmonare, cui i giudici di merito assegnano valenza preminente nel determinismo eziologico sfociato nel decesso di (OMISSIS), e' connotato da analoga aspecificita' rispetto alla morte per asfissia, la ricorrente taccia di illogicita' le osservazioni svolte dalla Corte di assise di appello in ordine alla posizione del cadavere ed alla localizzazione della macchie ipostatiche ivi presenti, dalle quali ha desunto l'impossibilita' che l'asfissia sia stata provocata da causa accidentale piuttosto che meccanica. Rimarca, a tal fine, le evidenze raccolte in relazione, tra l'altro, al lasso trascorso tra il decesso ed il rinvenimento del corpo ed ai successivi spostamenti che la (OMISSIS) avrebbe effettuato, per dedurne che la Corte torinese ha finito con il travisare le considerazioni allegate dal consulente di parte (specificamente, in merito alle posizioni via via assunte dal cadavere) che, ove rettamente intese, accreditano una seriazione alternativa rispetto alla sequenza ipotizzata dall'esperto incaricato dalla pubblica accusa, la cui plausibilita' e' ulteriormente attestata dalla presenza, sul volto della vittima, di una ipostasi di colore rosso - violaceo fissa, oltre che di quelle nella regione ventrale che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, non risultano essersi formate in un momento successivo all'originario posizionamento del cadavere. Ne', aggiunge, l'attendibilita' della versione alternativa offerta dalla difesa e' sminuita dall'avere (OMISSIS) assunto, all'atto del decesso e nelle successive ventiquattro ore, una posizione supina o semiseduta ma non prona, conclusione cui i giudici di merito pervengono attraverso un ragionamento non conforme a canoni razionali e smentito da una obiettiva lettura dei dati probatori. 5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione alla riconducibilita' alla (OMISSIS) della condotta omicidiaria, rilevando, in primo luogo, che la Corte di assise di appello ha replicato in modo incongruo alle obiezioni mosse in sede di appello con riferimento allo spostamento del cadavere. Le doglianze difensive si appuntano, in specie, sulla intrinseca coerenza logica della ricostruzione avallata dai giudici di merito e sulla capacita' della donna di sollevare e spostare, senza ausilio esterno e per due volte, il corpo esanime del marito: questioni debitamente proposte con i motivi di appello e nel corso del successivo giudizio e del tutto pretermesse nella sentenza impugnata, acriticamente adagiatasi sulle conclusioni raggiunte dalla Corte di assise di Cuneo. La ricorrente obietta, altresi', che la lettura dei contributi acquisiti in ordine alle ricerche effettuate, senza esito, nella giornata del (OMISSIS) smentisce l'assunto fatto proprio dai giudici di merito, secondo i quali e' ben possibile che coloro - congiunti, paesani, forze dell'ordine e volontari della Protezione civile - che setacciarono i luoghi limitrofi all'abitazione dei coniugi (OMISSIS) - (OMISSIS) non abbiano esaminato con particolare attenzione quei siti nei quali l'imputata avrebbe provvisoriamente celato il corpo del marito, dopo averlo ucciso. Sostiene, sul punto, la ricorrente che, emergendo invece che gli astanti, e specificamente i Carabinieri, controllarono con cura la zona senza tralasciare alcuno degli immobili e dei ricoveri presenti, l'impostazione accusatoria trova un elemento di forte contraddizione nella parte in cui offre una spiegazione al fatto, incontrovertibile, che il cadavere, il (OMISSIS), non si trovava nel luogo in cui fu rinvenuto la mattina del giorno seguente. Rileva, conclusivamente, la ricorrente che le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine al mancato reperimento del cadavere di (OMISSIS) nella giornata del 7 giugno si fondano su una lettura solo parziale e decontestualizzata di alcuni contributi dichiarativi elettivamente individuati, per di piu' smentiti da distinte risultanze, la cui maggiore significativita' probatoria risiede nel fatto di consistere, a differenza del florilegio apprestato dalla Corte torinese, in dichiarazioni, quelle provenienti dal maresciallo (OMISSIS) e dal signor (OMISSIS), propriamente afferenti il tema specifico dell'esplorazione interna dei locali presenti nella zona. I dedotti vizi di motivazione circa le ragioni del mancato rinvenimento del corpo di (OMISSIS) in occasione delle originarie, ma capillari, ricerche appaiono, prosegue la ricorrente, destinati a riverberarsi sull'intero impianto della sentenza impugnata, in quanto la dimostrazione della presenza del cadavere nelle adiacenze dell'abitazione familiare dopo la morte costituisce, per essa, come per quella di primo grado, basilare fondamento della penale responsabilita' della (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello ritenuto la responsabilita' di (OMISSIS) in ordine al delitto di occultamento di cadavere a dispetto dell'inidoneita' della goffa e rudimentale copertura apprestata ad impedire di scorgere il cadavere da parte di un osservatore che non si trovasse quasi a suo contatto, attestata dall'apporto dei testimoni (OMISSIS), il quale avvisto' il corpo del nonno quando ancora si trovava alla distanza di alcuni metri, e (OMISSIS), a dire del quale il cadavere era facilmente visibile. Reputa, inoltre, manifestamente illogica l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la (OMISSIS) avrebbe individuato il luogo in cui celare il corpo del marito ragionando sul fatto che, essendo stata quell'area gia' interessata dalle ricerche del giorno precedente, era altamente improbabile che essa fosse nuovamente oggetto di specifica attenzione; tanto, in contrasto con l'elementare considerazione di ordine logico secondo cui la donna, per raggiungere l'obiettivo sperato, meglio avrebbe fatto a non spostare il corpo dal luogo in cui ella lo aveva in origine riposto e che si era rivelato idoneo a rendere vane le ricerche. 5.4. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce, ancora, violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello confermato il giudizio di equivalenza delle circostanze di segno opposto approntando, a fronte delle obiezioni svolte con i motivi di appello in relazione, specificamente, alla minore intensita' del dolo, una risposta non adeguata perche' parametrata sul solo comportamento processuale della (OMISSIS), alla quale ha finito per imputare, in sostanza, la mancata confessione. 6. Nell'interesse della ricorrente e' stata successivamente depositata una memoria, a firma dell'avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS), nominato in aggiunta all'avv. (OMISSIS), dedicata a confutare gli argomenti spesi dal Procuratore generale territoriale a sostegno del ricorso proposto in relazione all'esclusione della circostanza aggravante dell'essere stato commesso il fatto con mezzo insidioso. Il difensore ha, in proposito, posto l'accento sull'assenza, nel farmaco che si assume essere stato fraudolentemente somministrato dalla (OMISSIS) al marito, di qualsivoglia potenzialita' omicidiaria ed analizzato i piu' rilevanti arresti giurisprudenziali in argomento, ivi compresi quelli evocati dai giudici di merito e dal Procuratore ricorrente, per inferirne l'inidoneita' a supportare l'assunto posta a fondamento dell'impugnazione, della quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' instando, in subordine, per il suo rigetto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino e' passibile di rigetto. 1.1. I giudici di merito hanno concordemente escluso che la somministrazione, ad opera dalla (OMISSIS), di un farmaco ipnotico grazie alla cui azione ella ha sedato la vittima, ponendola in una condizione di incoscienza tale da rendere possibile l'uccisione mediante asfissia, fondi la contestazione dell'aggravante, prevista dall'articolo 577 c.p.p., comma 1, n. 2, dell'essere stato commesso il fatto col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso. Hanno, in proposito, sottolineato che l'utilizzo dello Zolpidem non ha in alcun modo concorso a provocare la morte della vittima ed e', piuttosto, servito ad agevolare la successiva ed autonoma condotta omicidiaria, specificando che la somministrazione del farmaco costituisce mera modalita' dell'azione anziche' causa, anche concorrente, dell'evento letale. 1.2. Il pubblico ministero ricorrente dissente da tale ricostruzione richiamando la teoria condizionalistica della causalita', che attribuisce rilevanza penale a tutti gli antecedenti che costituiscono necessaria premessa dell'offesa, ed osserva come il segmento dell'azione del quale si discute ha consentito alla (OMISSIS) di conseguire un risultato che, altrimenti, le sarebbe stato precluso o, comunque, sarebbe rimasto incerto. Cio', in quanto l'imputata, ove il marito non avesse assunto, per effetto del suo contegno fraudolento, lo Zolpidem, avrebbe incontrato, all'atto del soffocamento, la resistenza della vittima, che ben avrebbe potuto sottrarsi, anche per la maggiore vigoria fisica, all'aggressione. Ricorda che, in passato, la giurisprudenza di legittimita' ha, in ossequio a tale impostazione, riconosciuto che, ai fini dell'integrazione dell'aggravante, non e' necessario che l'utilizzo del mezzo insidioso abbia provocato direttamente la morte, essendo, al contrario, sufficiente che la sua somministrazione abbia agevolato l'intento criminoso ponendo la vittima in una condizione di debolezza. Richiama, al riguardo, l'indirizzo secondo cui "Ai fini della configurabilita' della circostanza aggravante prevista dall'articolo 577 c.p., comma 1, n. 2, l'espressione "mezzo insidioso" indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l'uso, reca in se' un pericolo nascosto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque piu' difficile che di fronte ad ogni altro mezzo, la difesa" (Sez. 2, n. 29921 del 24/07/2002, Leone, Rv. 222117; nello stesso senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 11561 del 05/02/2013, Tavelli, Rv. 255337; Sez. 5, n. 2925 del 18/12/2008, dep. 2009, Perazzi, Rv. 242619). 1.3. Le argomentazioni del ricorrente, quantunque, in certa misura, suggestive, non convincono. L'articolo 577 c.p., comma 1, n. 2, equipara all'uso delle sostanze venefiche l'impiego di "altro mezzo insidioso": la nozione di insidiosita' deve essere intesa obiettivamente, in relazione alla natura intrinseca del mezzo, onde in essa non potrebbero farsi rientrare l'agguato o altre forme di appostamento, le quali sono quasi connaturate all'esecuzione dell'omicidio e realizzano la condotta necessaria per la sua consumazione e quindi, di per se', non possono aggravarlo. D'altro canto, e' insidioso - come correttamente sottolineato dall'indirizzo ermeneutico, sopra evocato, su cui si incentra la tesi del ricorrente - non soltanto il mezzo fraudolento, che inganna il soggetto passivo, ma anche quello violento, allorche' le modalita' dell'uso costituiscano intrinsecamente un tranello di cui non ci si puo' avvedere: a livello esemplificativo, sono tali il mascheramento della buca in cui cada la vittima; il collegamento dell'esplosivo al sistema di accensione dell'auto, in modo che il conducente rimanga ucciso nel momento in cui avvii il motore; lo schiacciamento della vittima sotto un sistema di pesi azionato inconsapevolmente attraverso l'accensione di un interruttore; la predisposizione di un contatto elettrico che provochi la morte attraverso elettrocuzione. E', tuttavia, consolidato, nella giurisprudenza di legittimita', l'ulteriore orientamento - risalente nel tempo, ma mai smentito da contrario arresto (e, anzi, di recente richiamato, in motivazione, da Sez. 1, n. 7992 del 08/11/2018, dep. 2019, Viola) - secondo cui non e' sufficiente ad integrare l'aggravante l'utilizzo, avvenuto nel caso di specie, di uno strumento che non provochi direttamente la morte della vittima, ma costituisca una mera modalita' dell'azione, cioe' una condotta fraudolenta tendente ad agevolare l'azione omicida, compiuta con altro mezzo (Sez. 1, n. 65 del 08/11/1993, dep. 1994, Iakovidis, Rv. 197711; Sez. 5, n. 2491 del 31/01/1991, Piras, Rv. 186478; Sez. 1, n. 5793 dell'8/2/1969, Ponessa, Rv. 181056; sez. 1, n. 920 del 29/05/1968, Ginevra, Rv. 109202). I casi affrontati nei precedenti appena citati contemplavano il ricorso alla somministrazione di un farmaco in dose non letale per assopire la vittima e poterla poi colpire con un corpo contundente, situazione assimilabile a quella verificatasi in quello in esame, in cui la morte e' stata provocata per asfissia meccanica. Il discrimine per selezionare, nell'ambito dei - potenzialmente infiniti -antecedenti della morte quelli causalmente rilevanti deve, pertanto, rinvenirsi nella loro collocazione all'interno della sequenza di comportamenti idonei, da soli, a provocare l'evento lesivo, alla quale e', invece, estraneo l'assopimento di (OMISSIS), che, qualora non fosse sopraggiunta l'azione soffocatrice, non ne avrebbe potuto determinare il decesso. La conclusione teste' enunciata non e', peraltro, contraddetta dall'orientamento, espresso dalla giurisprudenza di legittimita', secondo cui "Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del mezzo di sostanze venefiche nel reato di omicidio, non e' necessario che le stesse siano state la causa esclusiva della morte, essendo sufficiente - in coerenza con il principio di equivalenza causale - che la loro somministrazione, per quantita' e qualita', abbia comunque agevolato, innescandolo o in altro modo favorendolo, il processo causale determinante il decesso della vittima" (Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, dep. 2015, Crivellari, Rv. 263090), che, invece, e' con essa perfettamente coerente laddove attribuisce rilevanza all'uso di sostanze venefiche (cioe' suscettibili di provocare un effetto tossico sull'organismo, che non consegue, invece, all'impiego del prodotto assunto da (OMISSIS)), concretatosi, nel caso sottoposto, in quella occasione, alla Corte di cassazione, in una massiccia ingestione di psicofarmaci che si era posta, unitamente al soffocamento realizzato con un sacchetto di plastica, quale concausa della morte, ovvero quale fattore concorrente nella verificazione dell'evento letale. 2. Il primo motivo articolato nell'interesse di (OMISSIS) attiene alla legittimita' della motivazione con la quale la Corte di assise di appello ha rigettato le doglianze difensive in ordine alla causa del decesso di (OMISSIS). 2.1. La Corte torinese ha diffusamente esaminato la questione alle pagg. 1320 della motivazione della sentenza impugnata, disattendo la tesi sostenuta dall'odierna ricorrente, incentrata sulla possibilita' che l'uomo sia deceduto per cause naturali, cio' che, e' evidente, escluderebbe la stessa sussistenza del fatto omicidiario. Dopo aver premesso che i profili medico - legali devono essere vagliati alla complessiva luce di tutte le emergenze processuali e che la teorica plausibilita' della ricostruzione difensiva non vale, di per se', ad escludere la riferibilita' dell'evento all'azione volontaria di terzi, ha, innanzitutto, attestato la linearita' della ricostruzione operata nelle relazioni scritte e, quindi, in dibattimento dal consulente del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), il quale ha ascritto il decesso di (OMISSIS) ad asfissia meccanica. Ha, per contro, stimato meno attendibile il contributo del consulente dell'imputata, Dott. (OMISSIS), il quale, dopo avere inizialmente condiviso l'assunto del collega incaricato dalla pubblica accusa, ha ipotizzato, dapprima, una soffocazione accidentale, nonche', in dibattimento, il cedimento funzionale del miocardio, favorito dalle precarie condizioni cardiache di (OMISSIS) e dal momento del decesso, intervenuto nel corso della digestione, quando, cioe', maggiore e' l'afflusso di sangue dal cuore. La Corte di assise di appello ha qualificato tale tesi alla stregua di astratta affermazione statistica, slegata dal quadro obiettivo descritto dal Dott. (OMISSIS), secondo cui le condizioni cardiache, che evidenziavano danni remoti (una rilevante fibrosi di vecchia data ed una cardiopatia post-infartuale, ma non anche segni di eventi ischemici recenti), non consentivano di ipotizzare alcun legame con la morte, si' da rendere il dubbio non "ragionevole" perche' privo di qualsivoglia riscontro nell'incartamento processuale. In ordine, poi, all'ipotesi alternativa del soffocamento accidentale, riproposta dalla difesa dell'imputata nel corso del giudizio di appello, i giudici di secondo grado, muovendo dalle condivise valutazioni espresse dal Dott. (OMISSIS), ne hanno ritenuto l'incompatibilita' con la posizione in cui e' stato rinvenuto il cadavere, tale da non determinare impedimento alla respirazione, e con la collocazione delle macchie ipostatiche nella regione dorsale, sintomatiche di una prolungata permanenza del cadavere in posizione supina. Hanno, per contro, reputato inattendibile, in primo luogo dal punto di vista logico, l'assunto difensivo che, facendo leva sulla concorrente esistenza di macchie ipostatiche in area ventrale (delle quali il Dott. (OMISSIS) fornisce una spiegazione compatibile con il costituto accusatorio), postula che (OMISSIS), caduto in terra per un malore con il viso rivolto verso terra, resto' soffocato e che il suo corpo venne successivamente, cioe' post mortem, rivoltato da altro soggetto in posizione supina. Hanno, su un piano piu' generale, osservato che la tesi del soffocamento accidentale e' plasticamente contraddetta dal complesso delle concorrenti risultanze probatorie, che danno conto, tra l'altro, della sedazione mediante assunzione dello Zolpidem, azione la cui ascrivibilita' alla (OMISSIS) e' certa, e delle iniziative poste in essere allo scopo di occultare il cadavere. 2.2. Con il ricorso per cassazione, la difesa dell'imputata ripropone, in chiave essenzialmente confutativa, le obiezioni gia' proposte al giudice di merito e da questi disattese in forza di un iter argomentativo esente dai vizi prospettati. Valorizza, innanzitutto, il rinvenimento sul cadavere di edema polmonare, che costituisce frequente conseguenza di cedimento improvviso del miocardio, e precisa, a confutazione dei rilievi dei giudici di secondo grado, che, stante la concomitante presenza dell'enfisema polmonare, l'ipotesi alternativa formulata dal consulente di parte indica, quale possibile causa della morte di (OMISSIS), la convergenza dell'intervenuto evento cardiaco su un processo asfittico gia' in itinere e protrattosi per alcuni minuti. 2.3. L'obiezione non coglie nel segno, perche' trascura che la Corte di assise di appello ha escluso (cfr. pagg. 15-16 della motivazione della sentenza impugnata) che (OMISSIS) sia deceduto in conseguenza - poco importa se in via esclusiva o concorrente - di un cedimento funzionale del miocardio sulla scorta di considerazioni solidamente agganciate al compendio probatorio e scevre da qualsivoglia deficit razionale, vertenti sul carattere aspecifico dell'edema, che si riscontra anche in caso di decesso dovuto a tutt'altre cause, e sull'assenza, nel quadro obiettivo descritto dai consulenti, di evidenze confermative di un'ipotesi che, rebus sic stantibus, puo' essere formulata in termini meramente statistici. L'affermazione, con la quale la ricorrente rinunzia a confrontarsi, induce a negare cittadinanza ad una lettura dei dati medico-legali tale da rendere verosimile, sul piano del concreto accertamento dei fatti di interesse processuale, che (OMISSIS) sia morto per l'improvviso aggravamento di pregressa patologia cardiaca. D'altro canto, va aggiunto, ad ulteriore confutazione della doglianza e la pacifica sottoposizione di (OMISSIS) ad un processo asfittico, preesistente alla ventilata crisi cardiaca e reso manifesto dall'enfisema polmonare, priva, comunque, di rilevanza il punto controverso, spostando il fuoco dell'attenzione verso l'individuazione della natura, accidentale o meccanica, dell'asfissia. 2.4. In ordine a tale ultimo aspetto, la ricorrente deduce che le macchie ipostatiche presenti sul ventre di (OMISSIS) si sono necessariamente formate, tenuto conto dell'ora del decesso, non oltre le ore 16,00 del (OMISSIS), id est in epoca precedente al momento in cui, stando alla ricostruzione accusatoria, il cadavere sarebbe giunto nel luogo in cui, il giorno seguente, e' stato rinvenuto. Escluso, dunque, che dette macchie si siano formate per effetto della posizione assunta dal cadavere nel noccioleto, errata si rivelerebbe la ricostruzione avallata dai giudici di merito, che ricollega le macchie ventrali alla posizione assunta dal corpo nel luogo in cui e' stato, infine, trovato. Non potendo, allora, assumersi la precisa successione cronologica nella formazione delle macchie, rispettivamente, sul ventre e sul dorso del corpo di (OMISSIS) (scrive il ricorrente, a pag. 9 del libello difensivo: "... il Consulente della difesa... (...)... ha... (...)... rilevato l'impossibilita' di ricavare dalla collocazione delle macchie ipostatiche rinvenute sul cadavere del (OMISSIS) inferenze di sorta in ordine alla causa della morte di quest'ultimo, non potendosi escludere l'evenienza che le macchie ipostatiche piu' datate fossero quelle ventrali; cio' che consentirebbe di ipotizzare che il corpo al momento del decesso si trovasse in posizione prona, tale da impedire un'agevole respirazione"), la tesi del soffocamento accidentale mantiene, nella prospettiva difensiva, un coefficiente di plausibilita' tale da integrare, quantomeno, un ragionevole dubbio, al cospetto del quale si impone l'adozione di sentenza assolutoria. Ne', aggiunge la ricorrente, vale rimarcare in senso contrario, come fa la Corte di assise di appello, la presenza delle macchie dorsali, compatibile con la tesi difensiva dell'iniziale, e non breve, posizione prona del cadavere, cui sarebbe seguito il suo ribaltamento. Allo stesso modo, il fatto che il volto di (OMISSIS) non si presentasse cianotico o congesto, come sarebbe stato lecito attendersi in caso di morte per asfissia posizionale, non si porrebbe in contraddizione con la ricostruzione propugnata dalla ricorrente che, a ben vedere, sarebbe positivamente riscontrata dal rinvenimento di un'ipostasi di colore rosso-violaceo fissa, prevalentemente localizzata al volto. A fronte di elementi che accreditano la tesi difensiva, la sentenza impugnata si paleserebbe, vieppiu', illogica nella parte in cui offre, in ordine al decisivo profilo che inerisce a tempi e modi di formazione delle macchie ventrali, spiegazioni incompatibili con i dati circostanziali ovvero affidate a mere illazioni. 2.5. Ritiene il Collegio che anche le censure afferenti alla natura, meccanica o accidentale, dell'asfissia che ha provocato la morte di (OMISSIS) siano prive di pregio perche' frutto di una analisi del compendio probatorio monca, che non tiene conto del complesso di ragioni che hanno convinto i giudici di merito del fatto che (OMISSIS) e' morto perche' intenzionalmente soffocato da terzi e non gia' in conseguenza di una caduta accidentale, che lo ha costretto in una posizione nella quale egli non e' piu' riuscito a respirare. A seguire la ricorrente, dovrebbe, invero, inferirsi che, presenti macchie ipostatiche sia sul dorso che sul ventre del corpo, le due opposte ricostruzioni mantengono, entrambe, uguale plausibilita'. Tale conclusione, ove pure accettata, non giova, tuttavia, alla causa della (OMISSIS), traendosi dagli atti del processo granitici elementi che inducono a privilegiare un percorso euristico piuttosto che l'altro. La Corte di assise di appello (cfr. pagg. 17-18 della motivazione della sentenza impugnata) ricorda, al riguardo, che la tesi alternativa sostenuta dalla ricorrente postula, in palese contrasto con l'id quod prelurmque accidit, che, - l'avere in precedenza accreditato, confidandosi con varie persone, l'ipotesi di un allontanamento volontario del marito; - il comportamento tenuto durante le ricerche del giorno 7 giugno e, il giorno seguente, alla notizia del ritrovamento del corpo; - le diverse versioni fornite circa i tempi e i modi in cui ella aveva trovato il cadavere e lo aveva coperto; - l'avere, in una telefonata intercettata il 10 giugno 2016, parlando con tale (OMISSIS), una sua parente che vive in Calabria, riconosciuto che "gli ho lasciato qualcosa li' e lui l'ha bevuto che non doveva bere"; - il timore (palesatosi infondato) della (OMISSIS) di avere rivelato la conoscenza, da parte sua, di particolari che sarebbero emersi soltanto a seguito degli esami autoptici, quali la presenza del sonnifero ed il probabile numero di pastiglie assunte dalla vittima, come risulta da sue comunicazioni con l'amica (OMISSIS) dell'(OMISSIS); - l'acquisto del sonnifero (Zolpidem) presso una farmacia di (OMISSIS), avvenuto grazie alla prescrizione del farmaco dal proprio medico di famiglia, risalente al 7 aprile 2016; una seconda prescrizione, del 3 giugno successivo, non risulta mai essere stata utilizzata, mentre nel memoriale depositato dalla (OMISSIS), l'imputata ha sostenuto che sia la scatola che le chiavi di casa erano sparite dalla sua borsa; in proposito, la Corte di primo grado ha evidenziato la falsita' di tale affermazione, sia perche', come gia' notato, la prescrizione del 3 giugno non fu mai utilizzata, sia perche' la (OMISSIS) resto' sempre in possesso delle chiavi di casa, cui normalmente fece accesso; - il tentativo di occultamento e distruzione del contenitore del farmaco, frammenti stracciati in piccoli pezzi della cui confezione, oltre ad un blister vuoto da 15 compresse, i Carabinieri rinvennero, nel corso del sopralluogo del 16 giugno 2016 e dell'ispezione del giorno successivo, all'interno di una stufa posta in un locale al primo piano dell'abitazione di (OMISSIS); - la circostanza che in quel luogo vivevano soltanto i coniugi (OMISSIS), sicche' la presenza di estranei sarebbe stata, con ogni probabilita', notata; - il fatto che tutte le tracce di DNA rinvenute sul cadavere e sul materiale circostante sono riferibili esclusivamente alla vittima ed all'imputata; - infine, le numerose interrogazioni rivolte dalla donna ad un servizio di cartomanzia telefonica nei giorni immediatamente successivi al decesso di (OMISSIS), colloqui intercettati, nel corso dei quali la sua preoccupazione non e' mai stata quella di sapere chi e come avesse ucciso il marito, ma soltanto se ella sarebbe stata arrestata e quale sarebbe stato il suo destino giudiziario; nel corso di una di tali telefonate, l'imputata ha chiaramente ricollegato il suo risalente risentimento nei confronti del marito alla definitiva ribellione da lei dopo l'accidentale decesso di (OMISSIS), avvenuto mentre egli si trovava in posizione prona (cioe' con il viso rivolto al terreno), altra persona, imbattutasi nel corpo, lo abbia rivoltato, si' da consentire la formazione delle macchie ipostatiche dorsali, senza avvertire le autorita', e che la stessa persona o altri abbiano spostato il cadavere nel noccioleto ed ivi coprirlo con vecchie coperte e cassette per la frutta. A fronte di tale ricostruzione, in evidente contrasto con elementari canoni di logica ordinaria e di comportamento, si pone quella accusatoria, che ascrive all'azione dell'imputata il soffocamento, con conseguente formazione delle macchie dorsali e, a seguito di un temporaneo spostamento del cadavere, avvenuto nelle 24 ore successive all'exitus, di quelle ventrali. La tesi difensiva si rivela, d'altro canto, di totale inconsistenza laddove omette di confrontarsi con la sedazione di (OMISSIS) mediante ingestione di Zolpidem, effetto prodotto dall'imputata (la quale aveva acquistato il farmaco poche settimane prima della morte del marito), come da lei stessa ammesso nella conversazione telefonica intrattenuta con una parente il (OMISSIS) ("gli ho lasciato qualcosa li' e lui l'ha bevuto che non doveva bere"). Una volta acclarato - come lucidamente esposto dalla Corte di assise di appello alle pagg. 18-19 della motivazione della sentenza impugnata - che (OMISSIS) stordi' il marito somministrandogli occultamente, la sera del (OMISSIS), lo Zolpidem, la tesi del soffocamento accidentale perde il benche' minimo margine di credibilita', mentre risulta, per converso, ancora piu' attendibile quella che vede la donna attuare la strategia da tempo architettata (secondo quanto emergente dalle conversazioni registrate) soffocando il marito, incapace di reagire perche' assopito. 3. Transitando, per questa via, all'esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'illegittimita' del percorso motivatorio attraverso il quale la Corte di assise di appello e' pervenuta ad individuare in (OMISSIS) l'autrice dell'omicidio, va detto che l'istruttoria dibattimentale ha, sotto questo aspetto, offerto notevolissimi e pregnanti spunti a carico dell'imputata, a partire dalla singolarita' dell'atteggiamento serbato nell'immediatezza della scomparsa del marito, a suo dire portatosi in Romania con una fantomatica nuova compagna e, nella conversazione della mattina del (OMISSIS), indicato alla figlia (OMISSIS) come presente sebbene, in realta', deceduto la sera prima. Alla pag. 22 della motivazione della sentenza impugnata, la Corte di assise di appello ha cura, in proposito, di riepilogare le iniziative della donna finalizzate ad accreditare, nei confronti dei parenti, la tesi dell'allontanamento volontario del marito, non altrimenti spiegabili se non nell'ottica della responsabilita' della (OMISSIS) in relazione al perpetrato delitto. Univoca portata accusatoria assumono, inoltre, il reiterato e riscontrato mendacio della donna, l'anomalo contegno da lei serbato durante le ricerche, il mutamento del racconto via via ammannito in merito a tempi e modi della scoperta del cadavere ed alla sua copertura, gli indizi tratti dalle espletate intercettazioni telefoniche, il tentativo di distruggere il contenitore dello Zolpidem, il movente, connesso al risentimento da sempre nutrito nei confronti dell'uomo, espressamente rivendicato in numerose conversazioni con vari interlocutori, a taluno dei quali ella aveva confidato l'intenzione di sottrarsi definitivamente alle trentennali vessazioni cui era sottoposta. Elementi, questi, che la ricorrente non ha posto in discussione e che, nella considerazione unitaria e globale dell'addebito, supportano la valutazione dei giudici di merito assicurandone senz'altro la congruenza logica e giuridica, che trova ulteriore riscontro nella assoluta implausibilita' - efficacemente illustrata dai giudici di merito e non contestata dalla ricorrente - di una ricostruzione che veda altri, e non la (OMISSIS), portarsi nell'isolata abitazione di (OMISSIS) e rendersi protagonista, nell'arco di tre giorni, delle articolate attivita' sopra descritte. 3.1. La Corte di assise di appello - prendendo le mosse dalla ricostruzione della vicenda operata dal giudice di primo grado, sintetizzata alla pag. 10 della motivazione della sentenza impugnata e, si ribadisce, non confutata, nei suoi tratti essenziali, dall'imputata - si e' diffusa, alle pagg. 19-24 della motivazione della sentenza impugnata, sugli unici profili oggetto di dibattito, concernenti, rispettivamente, lo spostamento del cadavere ed il suo transitorio occultamento nella giornata del (OMISSIS). Certo, infatti, che le ricerche eseguite nella giornata del (OMISSIS) furono estese al noccioleto all'interno del quale il corpo venne rinvenuto l'indomani, la Corte di assise di appello ha dedotto che la (OMISSIS) lo abbia nascosto in un sito diverso da quello in cui si recarono, il 7 giugno, familiari, volontari e forze dell'ordine e giustificato il negativo esito delle ricerche con la circostanza che, in quel frangente, si immaginava che (OMISSIS) potesse essere accidentalmente svenuto in area esterna ovvero negli immobili ove era solito recarsi e che non vennero, pertanto, eseguiti accessi particolarmente approfonditi. In ordine, poi, all'ultimo spostamento del cadavere, la Corte di assise di appello, mutuando le considerazioni svolte dal consulente del pubblico ministero, ha reputato difficoltoso, ma non impossibile, il trasporto del corpo, con l'ausilio della carriola, verso il noccioleto, ed ha affermato che, con ogni probabilita', la posizione finale del cadavere, la presenza della corda e la rudimentale copertura erano stato frutto del ribaltamento dell'attrezzo, che aveva determinato la caduta del corpo, proiettato in un punto dal quale era assai arduo estrarlo per rimetterlo sulla carriola, e costretto la donna ad un intervento di fortuna. 3.2. In proposito, la ricorrente nota, in primo luogo, che la versione dei fatti avallata dai giudici di merito e' scarsamente compatibile con la preventiva ideazione, da parte della (OMISSIS), del delitto laddove postula che ella abbia, in prima battuta, celato il cadavere del marito in un nascondiglio provvisorio per provvedere solo in un secondo momento - e quando ormai la notizia della sparizione dell'uomo si era diffusa ed era dunque meno semplice compiere l'operazione senza essere notata da familiari e forze dell'ordine - allo spostamento verso il sito di definitivo occultamento. Argomento, questo, che, e' agevole replicare, non incide sulla coerenza logica della decisione impugnata, che enuclea, in capo alla (OMISSIS), una sequenza di comportamenti compatibili con le sue condizioni personali e con i dati logistici, tutti finalizzati ad attuare - con i modesti e limitati mezzi, intellettuali, fisici, organizzativi, finanziari, di cui ella disponeva - un proposito criminoso maturato negli anni. Ne', sotto altro aspetto, la corporatura tozza e minuta della donna era tale, come condivisibilmente affermato dai giudici di merito, da precluderle lo spostamento, sia pure a fatica e non del tutto coronato da successo, del cadavere del marito, sul quale ella aveva avuto la meglio solo grazie alla somministrazione del farmaco. A questo riguardo, la ricorrente si limita a riproporre le ampie argomentazioni gia' sottoposte ai giudici di merito, imperniate, in sostanza, sulla dedotta impossibilita' che una donna della sua altezza e peso ed in condizioni di salute tutt'altro che ottimali, compisse, senza l'aiuto di terzi e contando solo su una carriola, le operazioni di sollevamento, spostamento e deposizione del cadavere. Osservazioni dalle quali, va qui ribadito, la Corte di assise ha dissentito in forza di considerazioni che, in quanto esenti da tangibili vizi logici e coerenti con le emergenze probatorie, sfuggono a censure rilevanti in sede di legittimita', perche', tra l'altro, ancorate al dato di esperienza che ammette la possibilita' che una donna non ancora sessantenne ed adusa a lavori agricoli, riesca a maneggiare, in un frangente di tangibile emergenza, un corpo umano, quale quello di (OMISSIS), di minuta complessione fisica e peso non superiore a 55 kg. D'altro canto, va conclusivamente rilevato, il fatto stesso che il cadavere sia scivolato dalla carriola per andare ad incastrarsi tra i rami di un albero sottostante dimostra che l'operazione fu compiuta in condizioni di precarieta', quali, e' facile immaginare, erano quelle in cui versava la (OMISSIS) nel momento in cui perse il controllo della carriola. 3.3. Per quanto concerne l'infruttuoso esito delle ricerche effettuate il (OMISSIS), la ricorrente insiste nel sostenere, con il conforto delle deposizioni di alcuni testimoni, che l'intervento di personale della Protezione civile, oltre che dei Carabinieri, e l'accesso a tutti i locali limitrofi all'abitazione dei coniugi (OMISSIS) smentiscono la ricostruzione, accreditata dai giudici di merito, secondo cui proprio in uno di quegli immobili la (OMISSIS) ha occultato, in prima battuta, il corpo del marito. La censura e', anche in questo caso, infondata giacche', per quanto estese ed accurate si stimino le ricerche effettuate, non puo' certo escludersi, alla luce dei medesimi contributi testimoniali valorizzati dalla ricorrente, oltre che di semplici massime di esperienza, che il corpo di (OMISSIS) fosse stato riposto, in quei frangenti, in un sito non ispezionato - ovvero non ispezionato con la dovuta cura - ma che, tuttavia, non poteva costituire definitiva destinazione del cadavere, che l'imputata intendeva, con ogni probabilita', seppellire in un'area nella quale sarebbe stato piu' difficile trovarlo, non raggiunta in conseguenza del ribaltamento della carriola. Al cospetto, dunque, di una motivazione aliena da salti logici o frutto del travisamento delle prove acquisite, la ricorrente svolge critiche che non oltrepassano la soglia della diversa valutazione del compendio indiziario e che non autorizzano, pertanto, il sollecitato intervento censorio. Coglie nel segno, d'altro canto, la Corte di assise di appello nel sottolineare che l'assenza di precise informazioni in ordine al profilo controverso, ovvero alla precisa collocazione del cadavere di (OMISSIS) nella giornata del (OMISSIS), non indebolisce il complessivo impianto accusatorio nella misura in cui non introduce elementi di contraddizione rispetto ad un compendio indiziario della cui assoluta solidita', per le ragioni sopra enunciate, non puo' in alcun modo dubitarsi. 4. Con il terzo motivo di ricorso, la (OMISSIS) sottopone a revisione critica, nell'ottica della manifesta illogicita' della motivazione, le conclusioni raggiunte dai giudici di merito con riferimento alla responsabilita' della donna per l'occultamento del cadavere del marito, da escludersi, obietta, stante la facilita', per un osservatore posto anche ad una certa distanza, di individuare il cadavere, che la goffa e rudimentale copertura apprestata non riusciva a celare. Indica, a supporto della doglianza, il contributo dei testimoni (OMISSIS), il quale avvisto' il corpo del nonno quando ancora si trovava alla distanza di alcuni metri, e (OMISSIS), a dire del quale il cadavere era facilmente visibile. 4.1. La censura e' infondata, perche' non tiene conto dell'offensivita' del reato in contestazione, come delineata dalla giurisprudenza di legittimita'. In proposito, occorre, preliminarmente, chiarire che nel delitto in questione, diversamente da quanto accade nelle fattispecie di soppressione o sottrazione di cadavere, il celamento del corpo deve essere temporaneo, ossia operato in modo tale che il cadavere sia in seguito necessariamente ritrovato, sebbene in esito ad una ricerca accurata (in questo senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 1000 del 11/09/2018, dep. 2019, Santangelo, Rv. 274789; Sez. 1, n. 32038 del 10/06/2013, Belmonte, Rv. 256452; Sez. 1, n. 36465 del 26/09/2011, Misseri, Rv. 250813). Per quanto concerne l'attitudine della condotta a ledere il bene tutelato dalla norma incriminatrice, e' stato, inoltre, chiarito che "L'integrazione del reato di occultamento di cadavere non richiede che il nascondimento sia correlato a particolari accorgimenti, essendo sufficiente la sistemazione del cadavere in modo tale da ritardarne il ritrovamento per un tempo apprezzabile. (Fattispecie di collocamento parziale del cadavere all'interno di una macchia di rovi posta in zona isolata)" (Sez. 1, n. 8748 del 02/02/2011, Paiotti, Rv. 249604). 4.2. Cio' posto, e' del tutto evidente che lo spostamento del cadavere dal punto in cui avvenne l'uccisione a quello in cui fu nascosto per l'intera giornata del (OMISSIS) ne ha determinato il ritardato rinvenimento per un tempo certamente apprezzabile e che la successiva collocazione nel noccioleto e, soprattutto, l'occultamento realizzato con cassette e tappeti e la stessa carriola rovesciata hanno, del pari, impedito una piu' celere e tempestiva scoperta del corpo. Tanto, va aggiunto a confutazione dell'ulteriore obiezione difensiva, quale che sia stata la ragione che ha spinto la donna a rimuovere il corpo dal sito in cui lo aveva collocato subito dopo l'omicidio ed a prescindere dalla genesi, presumibilmente fortuita, del posizionamento finale del corpo. In senso contrario non milita, del resto, il fatto che il nipote della vittima abbia individuato, con relativa facilita', il punto in cui il corpo si trovava, risultato che e' stato ottenuto eseguendo piu' accurate ricerche e grazie alla conoscenza del motivo del maglione in pile indossato dal nonno, particolare a lui noto solo in ragione del rapporto familiare. Atteso, dunque, che la complessiva condotta dell'imputata ha imposto l'esecuzione di ricerche ulteriori e piu' complesse rispetto a quelle che sarebbero altrimenti state necessarie e che la, pure affrettata e rudimentale, copertura realizzata dall'imputata ha precluso la visione dei tratti somatici di (OMISSIS), ineccepibile si palesa, anche in questa parte, la motivazione della sentenza impugnata. 5. Inammissibile si palesa, infine, il quarto ed ultimo motivo di ricorso, afferente alla legittimita' della decisione in ordine alla conferma del giudizio di equivalenza delle circostanze di segno opposto. Sul punto, deve ricordarsi che le statuizioni relative al giudizio di comparazione ex articolo 69 c.p., implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). Peraltro, deve anche ricordarsi che in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2,. n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415). Nella specie, il giudice di appello ha illustrato in maniera adeguata le ragioni per le quali ha condiviso la scelta gia' effettuata dalla Corte di assise di Cuneo, richiamando, tra l'altro, l'estrema intensita' del dolo ed il negativo contegno serbato dall'imputata in sede processuale, cosi' svolgendo una motivazione che si sottrae alle censure difensive, intese, ancora una volta, ad una rivalutazione non consentita in sede di legittimita'. 6. Dalle precedenti considerazioni discende il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS), che va, pertanto, condannata, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IASILLO Adriano - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. TALERICO Palma - Consigliere Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: ( (OMISSIS)) (OMISSIS) nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/07/2018 della CORTE d'ASSISE d'APPELLO di CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BARBERINI ROBERTA MARIA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. uditi i difensori: - avv. (OMISSIS) difensore delle parti civili costituite ( (OMISSIS)) (OMISSIS), in proprio e in qualita' di genitore del minore ( (OMISSIS)) (OMISSIS), e di ( (OMISSIS)) (OMISSIS), quest'ultima ammessa al patrocinio a spese dello Stato di cui al decreto che allega alla nota spese, che deposita in udienza conclusioni e nota spese e insiste per il, rigetto del ricorso con conseguente condanna al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio; - Avv. (OMISSIS), difensore della parte civile costituita ( (OMISSIS)) (OMISSIS), ammesso al patrocinio a spese dello Stato di cui al decreto che allega alla nota spese, che deposita in udienza conclusioni e nota spese e insiste per il rigetto del ricorso con conseguente condanna al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio; - Avv. (OMISSIS), difensore di (VP) (OMISSIS), che insiste per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'Assise d'appello di Catania ha confermato la sentenza pronunciata in data 17/10/2016 all'esito del giudizio abbreviato condizionato dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Ragusa con la quale (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e' stata giudicata responsabile dei delitti di omicidio aggravato in danno del proprio figlio minore ( (OMISSIS)) (OMISSIS) (articolo 575 c.p., articolo 576 c.p., comma 1, n. 2, - capo A), e di occultamento aggravato del relativo cadavere (articolo 61 c.p., comma 1, n. 2 e articolo 412 c.p. - capo B), commessi in (OMISSIS), e condannata, escluse le circostanze aggravanti della premeditazione e delle sevizie ex articolo 577 c.p., comma 1, n. 3 e articolo 61 c.p., comma 1, n. 4, unificati i reati dal vincolo della continuazione e con la diminuzione per il rito, alla pena di trenta anni di reclusione, con le pene accessorie di legge e la condanna al risarcimento in favore delle parti civili ( (OMISSIS) ( (OMISSIS)), ( (OMISSIS)) (OMISSIS) e ( (OMISSIS)) (OMISSIS), anche nella qualita' di genitore del figlio minore ( (OMISSIS)) (OMISSIS)), cui veniva assegnata una provvisionale. In particolare, (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e' stata giudicata responsabile dei delitti di omicidio aggravato in danno del proprio figlio minore, per averne cagionato la morte per soffocamento e strangolamento posto in essere con l'uso di fascette di serraggio in materiale plastico sul collo e sui polsi, nonche' del reato di occultamento del relativo cadavere commesso al fine di occultare il reato di omicidio ed assicurarsi per esso l'impunita', trasportando a bordo della propria autovettura il corpo e gettandolo in un canale di scolo delle acque sito a (OMISSIS) in contrada (OMISSIS) da una altezza non inferiore a 2,50 mt e cosi' procurandogli un'ampia frattura (post mortem) della teca cranica. 1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito i fatti sono stati cosi' ricostruiti: - ( (OMISSIS)) (OMISSIS) non accompagnava il proprio figlio primogenito ( (OMISSIS)) (OMISSIS) a scuola la mattina del 29/11/2014, come invece cercava di fare credere fino al giorno del suo fermo (interrogatorio del 13.11.2015). Al contrario, dopo avere accompagnato (ore 8,40) il secondogenito presso la ludoteca e dopo avere effettuato un primo sopralluogo nel posto dove si sarebbe successivamente recata per lasciare il corpo, faceva rientro da sola a casa alle 8,47; - sono state ritenute credibili le dichiarazioni dell'imputata (rese nel novembre 2015 e confermate a febbraio 2016 e nelle dichiarazioni spontanee) soltanto nella parte in cui descrivono un diverbio con il figlio la mattina dei fatti, proprio prima di accompagnarlo a scuola. E' stato ritenuto irrilevante il motivo del rientro a casa del bambino, se non per il fatto che il suo ritorno nell'abitazione avveniva immediatamente dopo essere usciti dal portone e dopo avere gia' indossato persino il grembiule per la scuola; - ad avviso dei giudici di merito, e' questo il momento nel quale e' scattato l'impulso omicida, tanto che ne costituisce conferma il "sopralluogo" che la donna effettuava subito dopo (ore 8,33) nei luoghi dove in seguito e' stato trovato il cadavere. Quindi la donna si premurava di accompagnare il secondogenito alla ludoteca e, fatto il "sopralluogo", rientrava a casa; - la consegna delle chiavi al primogenito, effettuata immediatamente dopo la prima uscita di casa e quando il bambino si rifiutava di andare a scuola, determinava la condotta anomala dell'imputata, successivamente ripresa dalle telecamere (ore 8,47), che per entrare nell'autorimessa era costretta a scendere dal veicolo e procedere all'apertura della saracinesca dall'interno del condominio; - in modo del tutto inusuale e insolito (come riferito dai vicini di casa, dagli altri condomini, dalla titolare della lavanderia ubicata nel piazzale antistante al condominio e dal marito (DS) Davide (OMISSIS)) la donna parcheggiava il veicolo all'interno del garage per una sosta durata poco piu' di mezz'ora (pur sapendo di dover raggiungere il (OMISSIS) per l'evento culinario al quale era stata invitata e pur essendovi nel piazzale la disponibilita' di un posto auto, come dimostrano i filmati delle riprese delle videocamere che riprendono un altro mezzo che giunge dopo qualche minuto e ivi parcheggia); - l'imputata si tratteneva fino alle 9,23 all'interno del proprio appartamento. Una vicina di casa udiva l'imputata usare l'aspirapolvere e la vedeva stendere i panni tra le ore 8,45 e le ore 9,00; alle ore 9,00 l'imputata riceveva la telefonata del marito e si intratteneva con lui per due minuti, dopo averlo rassicurato, contrariamente al vero, che entrambi i bambini erano a scuola; - dall'arrivo a casa (ore 8,47) la donna permaneva nell'abitazione fino alle 9,23. In quel frangente si consumava l'omicidio; pur dandosi provate le circostanze del disbrigo di faccende domestiche (tra le ore 8,45 e le ore 9,00) nonche' una telefonata di due minuti con il marito, il tempo di permanenza in casa e le obiettivita' dell'autopsia e dei tempi di verificazione della morte del bimbo hanno consentito di affermare che l'assassinio e' avvenuto in quel momento e dentro l'abitazione della famiglia; - la donna, dopo avere strangolato il figlio, ha tagliato con una forbice o con altro strumento da punta e taglio la fascetta applicata al collo e quelle ai polsi, quest'ultime apposte quando era in fase agonica (come si desume dalla mancanza di segni di resistenza e dalla minima risposta tissutale alle analisi istopatologiche) e ha trasportato il corpo del figlio in macchina. Al riguardo non e' apparso in alcun modo anomalo il fatto che la donna abbia compiuto il trasporto da sola, sia in quanto le caratteristiche fisio-somatiche della vittima (che aveva un peso inferiore ai venti chilogrammi) non possono dirsi ostative di un'azione del genere, sia in quanto e' emerso che la donna era abituata a mettere a letto il piccolo quando si addormentava sul divano, sia, infine, grazie alla comodita' del percorso (in discesa) sulle scale che la donna effettuava quella mattina per adagiare il cadavere all'interno del proprio automezzo; - alle ore 9,23 l'imputata risaliva a bordo della propria autovettura posta in garage e si dirigeva nei pressi della strada che porta a (OMISSIS). Le videocamere riprendevano l'ingresso del veicolo nella strada poderale che conduce al (OMISSIS) e, successivamente, il suo passaggio, alle ore 9,36, davanti a un'abitazione privata in contrada (OMISSIS) lungo la strada provinciale. Il tempo impiegato per la percorrenza del tragitto a bordo dell'automobile alla velocita' media dichiarata dall'imputata (70-75 km/ora), ricostruita con la planimetria e le fotogrammetrie dei luoghi, consente di ritenere sussistente un "buco" di sei minuti in cui la donna si e' disfatta del corpo del bambino nei pressi del canalone di Contrada (OMISSIS); - i graffi sui glutei si sono verosimilmente prodotti al momento dell'adagiamento del corpo del bambino sul muretto del canalone dal quale veniva successivamente fatto cadere, anche perche' il piccolo aveva i pantaloni abbassati ed era senza mutande; - dopo avere gettato il cadavere del figlio, trascinandolo lungo il sentiero vicino al (OMISSIS), cosi' determinando l'imbrattamento delle scarpe soltanto nella zona della punta (la suola e' risultata pulita), la donna rientrava a casa per pochissimi minuti per raccogliere le ultime tracce del delitto (forbici, fascette, mutande, zaino) e sbarazzarsene durante il tragitto per andare al corso di cucina. Affermata la responsabilita' di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) per il reato di omicidio volontario, i giudici di merito hanno ritenuto la condotta sorretta da un dolo cd. d'impeto, nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio avuto con la madre, precisando che l'omicidio e' stato dettato da un impulso incontrollabile, da uno stato passionale momentaneo della donna. Piuttosto che di movente, secondo i giudici di merito, sarebbe piu' corretto parlare di mera occasione nella quale e' maturato l'intento omicida, in proposito dovendosi valorizzare il contesto e il momento nel quale e' maturata l'ideazione e la consumazione dell'omicidio, sicche' e' stata esclusa la contestata circostanza aggravante della premeditazione. Circa il movente del delitto, nella ultima versione dei fatti resa dalla imputata volta a chiamare in correita' il suocero, ( (OMISSIS)) (OMISSIS) ha dichiarato che la causa scatenante del delitto e' riconducibile alla scoperta, da parte del figlio, della relazione incestuosa tra lei e il suocero, atteso che il bambino avrebbe assistito casualmente, qualche giorno prima dell'omicidio e all'interno della casa di famiglia, a un loro rapporto sessuale. Lo stato di agitazione e la tensione generate dalla paura che il bambino potesse confessare tutto al padre avrebbero determinato i tentativi di avvicinamento del bambino da parte di entrambi qualche giorno prima dell'omicidio, al fine di distoglierlo dal parlare con il proprio genitore. L'imputata descriveva la situazione convulsa che la mattina dell'evento avrebbe condotto ( (OMISSIS)) (OMISSIS) a perpetrare in sua presenza l'omicidio. Al riguardo i giudici di merito hanno affermato che non e' possibile ritenere provata l'asserita relazione amorosa in quanto la dichiarazione dell'imputata e' rimasta sfornita di ulteriori indizi a conforto ed e' anzi smentita da numerose e concordanti prove dichiarative e documentali. Invero, secondo i giudici di merito le indagini effettuate hanno consentito di escludere la presenza del suocero all'interno della casa e la sua diretta partecipazione all'omicidio tra le ore 8,30 e le ore 9,23 di quella mattina. Sono state, in particolare, ritenute inverosimili e smentite dalle prove raccolte le dichiarazioni rese dall'imputata nel febbraio del 2016 (e confermate in sede di dichiarazioni spontanee) in ordine al passaggio dato ad ( (OMISSIS)) (OMISSIS) proprio pochi minuti prima dell'omicidio: le immagini videofilmate degli impianti e i tempi e gli orari precisi documentati impediscono di ipotizzare che vi sia stato lo spazio temporale per prendere a bordo il suocero (tra le ore 8,46 e le ore 8,47) e per lasciarlo in una strada della periferia al rientro (tra le ore 9,36, orario di avvistamento dell'autovettura dell'imputata lungo la strada provinciale) e l'arrivo a casa della donna per la seconda volta (ore 9,38). Sulla scorta delle superiori considerazioni i giudici di merito hanno ritenuto inattendibile e falsa la chiamata in correita' del suocero da parte dell'imputata e hanno quindi disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per procedere per il delitto di calunnia ai danni di ( (OMISSIS)) (OMISSIS). 1.2. I giudici di merito, sulla base della perizia psichiatrica svolta nell'ambito del giudizio abbreviato condizionato richiesto dalla imputata, escludevano che la stessa, pur presentando "tratti istrionici", fosse affetta da qualsivoglia deficit mentale, malattia o altro non altrimenti specificato disturbo della personalita', precisando che tale condizione, in ogni caso, non aveva inciso sulla capacita' di intendere e volere dell'imputata, cosi' superando le argomentazioni dei consulenti della difesa che, invece, avevano rilevato un "disturbo della personalita' NAS" (non altrimenti specificato) in grado tale da scemare grandemente la capacita' di intendere e volere. Allo stesso modo i giudici di merito superavano le argomentazioni difensive, anche quando supportate da consulenze di parte su aspetti tecnici (uso del cavo USB per lo strangolamento; cronologia delle lesioni e modalita' di rimozione delle fascette dai polsi; esaltazione della presenza di un ombra dalle sembianze umane - secondo la tesi difensiva da identificarsi nel suocero - a bordo del veicolo condotto dall'imputata; analisi del traffico telefonico intercorso tra imputata e suocero), in merito alla esistenza della relazione extraconiugale, alla presenza del suocero dapprima a bordo del veicolo e poi nell'appartamento, all'identificazione dello strumento usato per lo strangolamento e alla cronologia e determinismo delle lesioni repertate. 1.3. Il giudice di appello, poi, rigettava, ritenendola superflua, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria per esperire una nuova perizia sulla capacita' dell'imputata e per procedere al confronto tra la stessa e il suocero, nonche' gli ulteriori motivi di impugnazione: motivo preliminare, con il quale la difesa aveva censurato la metodologia di valutazione della prova adottata dal primo decidente, rappresentando che assolutamente discordanti con tutte le risultanze processuali risultano gli indizi analizzati in sentenza dal GUP dal n. 11 al n. 17 (pagg. 111-112), mentre tutti gli altri indizi precedentemente enucleati sono confermati dalle risultanze probatorie; - primo motivo: errata valutazione e interpretazione delle dichiarazioni rese dall'imputata - illogicita' della motivazione ed errata valutazione dei dati; - secondo motivo: illogicita', contraddittorieta' ed erroneita' della motivazione in relazione al dato telefonico acquisito agli atti - omessa valutazione di elementi probatori di diversa natura; - terzo motivo: illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in relazione all'alibi del suocero - errata valutazione del dato tecnico-scientifico - omessa valutazione di elementi indiziari a favore dell'imputata; - quarto motivo: illogicita' e manifesta contraddittorieta' della motivazione in relazione al movente e all'elemento soggettivo del reato; - quinto motivo: illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine a una crimino-dinamica che vede l'imputata come unico autore del fatto; - sesto motivo: errata valutazione degli indizi a carico - sopralluogo al canalone - ingresso nel garage; - settimo motivo: mancato superamento delle censure difensive in relazione alla contraddittorieta' delle consulenze medico-legali - illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine al dato medico legale; - ottavo motivo: illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in relazione alle modalita' di rinvenimento del cadavere - omessa valutazione della posizione del cadavere all'interno del canalone; - nono motivo: errata qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A) eventuale sussistenza del concorso anomalo ex articolo 116 c.p.; - decimo motivo: la personalita' dell'imputata e il suo rapporto non conflittuale con il piccolo ( (OMISSIS)) (OMISSIS) - contraddittorieta' e illogicita' della motivazione; - undicesimo motivo: illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in punto di capacita' di intendere e di volere; - dodicesimo motivo: illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p.. 2. Ricorre (OMISSIS) ( (OMISSIS)) a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), che chiede l'annullamento della sentenza impugnata, formulando undici motivi di ricorso (di cui il primo non numerato). 2.1. Il primo (non numerato) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale perche' la Corte di Assise di Appello di Catania avrebbe dovuto riformare la sentenza e avrebbe dovuto mandare assolta l'imputata con l'ampia formula per non aver commesso il fatto, anche ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, per il reato di omicidio (capo A); di conseguenza e in subordine avrebbe dovuto ritenere la sussistenza del concorso anomalo ex articolo 116 c.p. ed applicare una pena congrua per il reato di cui al capo A); in ogni caso avrebbe dovuto riconoscere il vizio parziale di mente e rideterminare la pena; avrebbe comunque dovuto concedere le invocate e non concesse circostanze attenuanti generiche e pertanto rideterminare conseguentemente la pena. 2.2. Il secondo (numerato I) motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, in riferimento all'articolo 441 c.p.p., comma 5, articolo 603 c.p.p., comma 3, e il vizio della motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (ordinanza del 03/10/2017) e, in particolare, della rinnovazione della perizia sulla capacita' d'intendere e volere effettuata in sede di giudizio abbreviato condizionato e del confronto tra l'imputata e il suocero (OMISSIS) ( (OMISSIS)). 2.2.1. Le ragioni della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sulla perizia erano motivate dal fatto che secondo la perizia psichiatrica: " (OMISSIS) ( (OMISSIS)) presenta tratti disarmonici della personalita'. Il complesso di elementi clinici e psicodiagnostici raccolti non consente di mettere in luce disturbi mentali clinicamente rilevanti, secondo il DSM. All'epoca dei fatti e con riferimento ad essi, ella aveva la capacita' di intendere e di volere"). Tali conclusioni erano state fortemente censurate anche per lo stridente contrasto con la consulenza della difesa ("disturbo di personalita' NAS di tipo istrionico e dipendente", ritenuto grave e rilevante tanto da scemare grandemente la capacita' di intendere e volere), ma soprattutto per il rilevantissimo contrasto con tutte le diagnosi formulate dai sanitari presso le diverse strutture pubbliche in cui la ricorrente, in epoche diverse della propria vita, e' stata ricoverata. I periti hanno trascurato, e i giudici hanno svalutato immotivatamente, le rilevanti circostanze: a) il primo tentativo di suicidio in eta' preadolescenziale, a scuola, durante le ore di lezione, allorche' voleva buttarsi dalla finestra situata al secondo piano del plesso scolastico; b) il secondo tentativo di suicidio a mezzo della candeggina il (OMISSIS) in eta' adolescenziale; c) l'ulteriore tentativo di suicidio e' stato posto in essere il 30.8.2004, in eta' adolescenziale, per il quale il reparto di Psichiatria dell'Ospedale di (OMISSIS) diagnosticava un "disturbo bordeline di personalita'"; d) i sanitari del carcere di Agrigento il 6.11.2015 hanno diagnosticato "deflessione timica in personalita' patologica", tanto che l'imputata e' stata trasferita in osservazione presso l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, ove e' stato diagnosticato un "disturbo di personalita' NAS"; e) in data 29.01.2016 l'imputata, sottoposta ad interrogatorio in carcere da parte del Pubblico ministero, ha manifestato assoluta incoscienza del luogo in cui era detenuta e dei motivi della detenzione, tanto che ha iniziato a cantare una canzone e ha riferito di essere da due giorni ospitata presso l'"ospedale" perche' accusata da una terza persona di aver raccolto delle arance. Avuto riguardo agli accertamenti psicodiagnostici e strumentali, il ragionamento che ha portato i periti a declassare l'originaria diagnosi di Disturbo di Personalita' NAS effettuata da ben due strutture pubbliche (SPDC di Ragusa e in seguito OPG di Barcellona Pozzo di Gotto) al piu' innocuo tratto disarmonico di personalita', poggia sostanzialmente sui colloqui clinici che, tuttavia, si pongono in contrasto sia con la corposa anamnesi, sia con i risultati dei test somministrati e sia con la risonanza magnetica funzionale. In definitiva, per quanto riguarda le caratteristiche cliniche, i consulenti della difesa concordano coi periti quando depongono per l'assenza di disturbi nell'area psicotica e del pensiero, ritenendo pero' che nell'area dei disturbi di personalita' i test evidenziano due aspetti: quello relativo alla personalita' istrionica e quello relativo alla personalita' dipendente. I periti riducono la rilevanza di questo dato quantitativo, ritenendo che sono da considerarsi "tratti" e non "disturbi" di personalita'. I periti hanno basato le loro conclusioni su una procedura valutativa ad alto tasso di imprecisione e cioe' sulla base del solo colloquio clinico non strutturato. Cosa ancora piu' grave, e' il fatto che i dati del colloquio clinico sono stati sopravvalutati rispetto alle precedenti diagnosi e ai dati dei test psicopatologici che sono chiaramente indicativi di un disturbo di personalita'. E' opportuno ricordare, infatti, che le ricerche in merito all'accuratezza della diagnosi in ambito psichiatrico, dimostrano come l'imprecisione del colloquio clinico sia nettamente superata dai test psicopatologici che, nel caso della imputata, sono stati somministrati ripetutamente con risultati concordi ed indicativi della sussistenza di un disturbo di personalita'. 2.2.2. L'imputata ha piu' volte richiesto il confronto con il suocero ( (OMISSIS)) (OMISSIS) al Pubblico Ministero, sia prima che dopo l'espletamento della perizia psichiatrica, e piu' volte dallo stesso e' stato rigettato "non ritenendo che il confronto possa allo stato sortire alcun esito utile alla conoscenza del reale accadimento dei fatti". In sede di abbreviato e' stata riformulata richiesta di confronto. La richiesta e' stata formulata in sede di discussione sollecitando l'applicazione dell'articolo 441 c.p.p., comma 5, ritenendo che una decisione, allo stato degli atti, priva del chiesto confronto, non avrebbe consentito di emettere una decisione con la presenza di tutti gli elementi necessari a tal fine. In sede di appello sono ancora una volta risollecitati i poteri ex officio della Corte, ma la motivazione di rigetto e' apparente laddove afferma "non ritenendo che il confronto possa allo stato sortire alcun esito utile alla conoscenza del reale accadimento dei fatti". 2.3. Il terzo (numerato II) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale sulla capacita' di intendere e di volere perche' nella sentenza non si da' conto delle motivazioni giuridiche riconducibili ai criteri della prova scientifica (SU (OMISSIS)) che fanno si che il giudice aderisca alle conclusioni dei periti piuttosto che alle conclusioni dei consulenti della difesa. La perizia condotta dai Proff. (OMISSIS) e (OMISSIS) fa uso delle seguenti metodologie, descritte in Tabella: Raccolta anamnestica; colloquio clinico e esame psichico; Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2; Millon Clinica' Multiaxial Inventory III; test di Rorschach; test proiettivi della figura umana di Machover, della famiglia e dell'albero; Dissociative Experience Scale; Esame di Risonanza Magnetica Strutturale del cervello. L'esame Risonanza Magnetica Strutturale del cervello e' stato sottoposto ad ulteriori analisi dai consulenti della difesa tramite le tecniche avanzate di elaborazione dei dati di risonanza magnetica strutturale tramite Voxel Based Morphometry e risonanza magnetica funzionale, anche perche' i periti sono apparsi sin da subito disinteressati a tale tipo di accertamento. Sia i periti che i consulenti della difesa confermano che la caratterizzazione della personalita' di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) sia di tipo narcisistico e istrionico; i primi, tuttavia, si rifiutano di etichettare tale personalita' come disturbo di personalita', ignorando i dati oggettivi provenienti dalla psicometria e sostenuti dalle nEuro immagini, per fare appello ad una superiorita' della intuizione e del colloquio clinico sugli strumenti di valutazione oggettiva e adottando una logica distorta confermatoria. Il ragionamento alla base del parere consiste nel privilegiare sopra ogni altro metodo i risultati provenienti da metodologia altamente inaccurata (colloquio), rispetto a metodiche con tasso di errore minimo, la cui affidabilita' non viene provata con riferimento alla letteratura scientifica, ma unicamente sulla base dell'esperienza. Tuttavia, il colloquio clinico e' considerato altamente inaffidabile; e' stato dimostrato, infatti, che la diagnosi psichiatrica ha un'accuratezza del 53.8% (Miller et al. 2001) e un'inter-rater reliability del 45.5% (Miller et al. 2001). Ancora piu' rilevante e' il lavoro che e' stato effettuato dal gruppo di lavoro responsabile dell'aggiornamento del DSM, che ha dimostrato che l'inter-rater reliability dei disturbi psichiatrici e' molto bassa: per esempio, 46% per la schizofrenia, 54% per i disturbi di personalita', 28% per la depressione maggiore (Regier et al. 2013). La sentenza di appello, elogiando il percorso logico dei Periti, incorre nel medesimo errore. Al contrario, i consulenti della difesa hanno prodotto ampia documentazione scientifica a sostegno di ogni passaggio logico della loro argomentazione, dimostrando, dati alla mano, che il colloquio, metodo di prima scelta su cui si appoggiano i periti per svilire la rilevanza dei dati oggettivi, e' un metodo ad elevata non accuratezza su cui non puo' basarsi la decisione del giudicante su un tema cosi' rilevante come il vizio di mente. I periti, e quindi il giudice di secondo grado, commettono vari errori: a) per quanto riguarda la raccolta anamnestica, emerge che ben due strutture pubbliche hanno diagnosticato la presenza di un disturbo di personalita', ma i periti elaborano la teoria secondo la quale la diagnosi fatta clinicamente (mediante osservazione e colloquio) si sarebbe basata su un'osservazione troppo breve e tentano di sminuire le conclusioni cui sono giunti i sanitari dell'OPG mediante una critica ipotetica e assertiva laddove essi affermano: "La definizione di disturbo di personalita' NAS, usata invece dai sanitari dell'OPG, sta ad indicare che essi hanno osservato di certo disarmonie della personalita' ma che le stesse, sul piano espressivo, non fossero cosi' chiaramente orientate a delineare uno dei disturbi indicati dal DSM". In realta', il disturbo di personalita' NAS e' un vero e proprio disturbo di personalita' e non si riferisce solamente a "disarmonie" come vogliono far pensare i periti; b) i periti hanno basato le loro conclusioni esclusivamente sulla valutazione del colloquio, non rispondendo all'obiezione dei consulenti della difesa che avevano richiamato l'attenzione degli stessi sulla letteratura scientifica che dimostra che il livello di accuratezza del colloquio clinico e' bassissimo. I periti tengono in considerazione solamente i rilievi che ritengono sostenere la propria tesi: l'assenza di sintomi francamente psicotici (assenza che certo non contrasta con la diagnosi di disturbo di personalita', al contrario, e' uno dei criteri per poter formulare la diagnosi di disturbo di personalita' e' l'assenza di altre patologie psichiatriche, per come chiarito dal criterio "E" dei disturbi di personalita' secondo il DSM 5); interpretano come mendaci le sue inconsistenti versioni dell'accaduto, ma nel far cio', pero', trascurano il comportamento manipolatorio che l'odierna ricorrente mantiene durante i colloqui (criterio 2 per il disturbo istrionico di personalita'), la sua manifestazione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale ("instabilita' delle espressioni affettive con rapido viraggio dalla commozione al sorriso" pag. 17 della sentenza di appello, criterio 3 per il disturbo istrionico di personalita'), la teatralita' delle sue espressioni e dei suoi comportamenti (criterio 6 per il disturbo istrionico di personalita'). Inoltre, la mutevolezza delle versioni dell'accaduto, interpretata come mendace dai periti, e' facilmente dovuta alla sua suggestionabilita', che la porta a essere facilmente influenzata dagli altri o dalle circostanze (criterio 8 per il disturbo istrionico di personalita'). Il valore del colloquio e' quindi a singhiozzo o a macchie di leopardo: vale per gli aspetti utili a sostenere la loro tesi e non vale per quegli elementi ricostruttivi che vanno contro la loro tesi; c) con riguardo al test MMPI-2 Minnesota Multiphasic Personalita' Inventory-2) i periti interpretano come nella norma gli elevati punteggi alle scale di isteria (punteggio 74) e deviazione psicopatica (punteggio 66) emersi dal test, sostenendo che i dati sono poco affidabili perche' ( (OMISSIS)) (OMISSIS) assume un atteggiamento simulatorio. Nel far cio' commettono molteplici errori materiali dal momento che il profilo emerso dal test indica una chiara tendenza dissimulatoria invece che simulatoria. L'effetto della tendenza dissimulatoria e' che le scale cliniche, che hanno gia' cosi' un valore in netto range patologico, sono in realta' delle sottostime dell'intensita' del sintomo reale. Inoltre, omettono di riportare che il protocollo e' risultato interpretabile. Secondo il manuale dell'MMPI-2, quindi, i dati indicano la presenza di un disturbo. Il dato oggettivo emerso dal test MMPI-2 e', quindi, stato distorto da un'errata interpretazione in palese contrasto con le istruzioni di somministrazione del test; d) con riguardo al test MCMI-III (Millon Clinica) Multiaxial Inventory-III) i periti interpretano come un "moderato innalzamento" il valore di 105 ottenuto dalla ricorrente nella scala della personalita' istrionica, cosi' squalificando a "tratto" quello che dovrebbe essere considerato un "disturbo"; infatti, secondo il manuale del test punteggi superiori a 75 indicano variabili sub-cliniche ("tratti"), mentre punteggi superiori a 85 sono indicativi di un "disturbo"; e) con riguardo alla Dissociative Experience Scale (DES), i periti interpretano come nella norma il punteggio che l'odierna ricorrente ottiene in questa scala, omettendo pero' di riportare che l'imputata stava dissimulando la presenza di un disturbo, come indicano il MMPI-2 e il MCMI-III; f) con riguardo all'analisi della risonanza magnetica cerebrale con tecnica VBM, in disparte l'irrilevanza dell'assenza di segni alla risonanza magnetica strutturale, i periti non hanno tenuto in considerazione le risultanze dell'analisi VBM - Voxel Based Morphometry, in merito alla quale i consulenti della difesa portano in convergenza i dati clinici e quelli psicopatologici. I consulenti, infatti, usano la VBM a supporto del dato clinico, indicativo di una chiara fenomenologia psicopatologica. Il ragionamento dei consulenti e' il seguente: se fosse vero che ( (OMISSIS)) (OMISSIS) non ha un disturbo di personalita', allora il suo cervello dovrebbe essere del tutto indistinguibile da quello di persone sane senza disturbo di personalita'. Il cervello dell'imputata, confrontato con quello di donne sane, non e' indistinguibile da quello di esse. I periti tentano di screditare questo dato, sostenendo che l'American Psychiatric Association 2012 non raccomanda la neuro immagine in nessuna linea guida per la diagnosi di disturbo psichiatrico, cosi' pero' svalutando il significato di corroborazione offerto dalla VBM; g) con riguardo all'analisi di risonanza magnetica funzionale, non e' possibile comprendere perche' i periti, che immotivatamente deducono l'alterazione della connettivita' del lobo occipitale, possano negare l'anomalia dell'ippocampo destro, visto che questa e' visibile anche a occhio nudo. In conclusione, il mancato utilizzo di una rigorosa criteriologia valutativa ha portato la Corte di secondo grado a privilegiare le conclusioni dei periti che si poggiano unicamente sulla interpretazione soggettiva di una metodologia di per se' a bassa accuratezza diagnostica, quale appunto e' il colloquio. In aggiunta, i periti si sono avvalsi solo di quelle informazioni emerse dal colloquio che potevano essere utilizzate a sostegno della loro ipotesi, ignorando completamente altri aspetti che invece andavano contro la loro ipotesi, essendo indicativi della presenza di un disturbo di personalita'. 2.3.1. Il motivo di ricorso denuncia, infine, l'errata e immotivata esclusione della gravita' di tale disturbo che viene dai periti affermata, ma non dimostrata. I consulenti della difesa, invece, ritengono che il disturbo diagnosticato debba considerarsi grave e quindi rilevante ai fini del vizio parziale di mente per i seguenti motivi: - il disturbo da' origine a frequenti stati dissociativi; - il disturbo ha dato origine a grave deficit di funzionamento sociale come dimostrato dalla CTU minorile; - il disturbo presenta molteplici alterazioni della struttura e della funzionalita' cerebrale che si osservano solo nei casi gravi. 2.4. Il quarto (numerato III) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale sulla errata valutazione e interpretazione delle dichiarazioni dell'imputata, sotto il profilo che le diverse versioni fornite costituiscono indicazione del dedotto vizio di mente, mentre erroneamente sono state ritenute indicative di una deliberata e dolosa strategia manipolatoria e falsificatrice della realta', finalizzata a sottrarsi dalle proprie responsabilita'. Il motivo si dilunga nell'evidenziare come, per ciascuna versione, la Corte di secondo grado abbia erroneamente valutato alcuni elementi ritenendoli indicativi di una preordinata menzogna, senza dare risposta ai motivi di appello. 2.5. Il quinto (numerato IV) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale in relazione al dato telefonico concernente i contatti tra imputata e suocero che sono dimostrativi della effettiva esistenza di una relazione amorosa tra essi, come dichiarato dalla ricorrente. La Corte di secondo grado ha incredibilmente ritenuto irrilevante l'aumento di contatti telefonici tra ( (OMISSIS)) (OMISSIS) e il suocero (fino al 5900%), con picchi fino a 118 contatti a ottobre, 110 a settembre, e con una comprensibile diminuzione nei mesi di luglio e agosto, considerata la presenza del marito a casa. Illogica e' la motivazione relativa alla circostanza che si trattava di comunicazioni piuttosto brevi e in orari assolutamente compatibili con rapporti parentali. Risultano incredibili e fuori da ogni logica, aumenti di contatti telefonici proprio nel periodo indicato dalla imputata e cioe' ad iniziare dal mese di maggio, che e' stato indicato dalla stessa proprio quale periodo in cui e' iniziata la relazione. Tra l'altro, non vi e' chi non veda come risulti semplice avere contatti diretti per due persone che abitano nello stesso paese e il cui ingresso all'interno dell'abitazione non destava alcun sospetto, considerato il rapporto di parentela. Anche la durata delle telefonate, seppur breve, e' dimostrativa della facile possibilita' di incontro e non puo' essere considerata elemento idoneo a dimostrare l'esistenza di una peculiare e temporanea situazione familiare. Ha omesso il decidente di motivare in relazione alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) che ebbe a dire che aveva notato in ( (OMISSIS)) (OMISSIS) un cambiamento sia emotivo che nell'aspetto, divenuto molto piu' curato rispetto a prima. Altro elemento che, a dispetto di quanto acclarato dal decidente, non puo' sottovalutarsi e' la circostanza che la prima persona che l'imputata chiama allorche' si accorge che il figlio non e' uscito da scuola e' proprio il suocero e non il marito. Di poi che il suocero chiami l'imputata "vita mia" non e' normale, tanto che sul punto la motivazione della Corte territoriale e' fortemente illogica. 2.6. Il sesto (numerato V) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'alibi del suocero ( (OMISSIS)) (OMISSIS), anche con riguardo al dato scientifico costituito dalle video riprese. Il decidente, in contrasto con tutte le risultanze processuali e soprattutto con le prove scientifiche offerte dalla difesa (consulenza video-forense), ha ritenuto che ( (OMISSIS)) (OMISSIS) avesse una credibile e forte prova di alibi costituita dalle dichiarazioni della compagna e della vicina di casa e che fosse giustificabile il ricordo postumo dell'accesso della coppia all'interno del negozio ubicato proprio di fronte l'abitazione dell'imputata. Non puo' essere seriamente considerata la testimonianza della vicina di casa che, sentita dopo un anno e tre mesi dal fatto, ha affermato di ricordare con esattezza tutti i propri movimenti e le continue uscite sul balcone la mattina del fatto. Del resto, non e' stato mai valutato il comportamento della compagna del suocero ( (OMISSIS)) (OMISSIS), non solo sotto il profilo della "dimenticanza simultanea" concernente l'emersione del ricordo dell'accesso al negozio, ma anche sotto il profilo dell'abbigliamento utilizzato quella mattina che dimostrava premura, apparentemente ingiustificata, nonche' perche' la donna proprio tra le ore 7.30 e le ore 9.00 dormiva profondamente a causa dell'abbondante dose di sonnifero che aveva assunto, trattandosi di un soggetto che in passato aveva fatto ricorso a uno psicologo ed era stata ricoverata in psichiatria. D'altra parte, le testimonianze a sostegno dell'alibi di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) non sono in grado di superare una prova obiettiva che conferma il racconto della ricorrente che ha riferito, in merito al ruolo decisivo assunto dal suddetto nell'omicidio, di avere incrociato il suocero quella mattina e di averlo fatto salire nell'autovettura, facendolo accomodare nel sedile posteriore e dietro di lei, per poi condurlo a casa. Tale dato, di estrema valenza indiziaria, e' stato scientificamente confermato dalla consulenza - effettuata sui dati originali acquisiti in copia forense - che, pur avendo escluso la possibilita' di distinguere il volto della sagoma, ha fornito la prova che all'interno dell'autovettura era presente una sagoma umana che prendeva posto proprio nel sedile posteriore dietro il conducente, risultando, invece, meramente assertive le contrarie conclusioni esposte dal consulente del Pubblico ministero. Privi di rilievo sono, infine, gli orari ricostruiti dalla Corte di merito che escluderebbero la circostanza dell'incontro casuale con ( (OMISSIS)) (OMISSIS), in quanto il lasso temporale necessario per prendere a bordo lo stesso dipende esclusivamente da un parametro non conosciuto e cioe' la velocita' di marcia dell'autovettura condotta dall'imputata. 2.7. Il settimo (numerato VI) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione con riguardo alla circostanza che l'imputata sarebbe l'unico autore del delitto, mentre la stessa ha indicato come correo ( (OMISSIS)) (OMISSIS) che avrebbe materialmente commesso il fatto mentre essa si trovava in una diversa stanza dell'appartamento. E' proprio la ricostruzione cronologica degli accadimenti che conferma la versione dell'imputata che mai avrebbe potuto, da sola (e' impossibile che abbia trasportato il cadavere per tre piani di scale), porre in essere il delitto in quel ristretto lasso di tempo (8,43 - 9,23), come risulta anche dalle dichiarazioni dei testi (OMISSIS) (che riferisce del disbrigo delle faccende domestiche da parte dell'imputata dalle ore 8,45 alle ore 9,00), (OMISSIS) (che conferma di avere visto l'imputata da sola nei pressi del suo veicolo verso le ore 9,15) e (OMISSIS)- (OMISSIS), mentre risulta illogica l'ipotesi, formulata dai giudici di merito, secondo cui l'imputata sarebbe nuovamente scesa in garage con il corpo del figlio quando ormai il teste si era allontanato. (OMISSIS) ( (OMISSIS)), eliminando i tempi di preparazione e quelli successivi di messa in scena e trasporto del cadavere in garage, avrebbe commesso il fatto nell'arco temporale compreso tra le 9,03 e le 9,10, sicche' appare assolutamente anomalo il fatto che la donna abbia potuto compiere il trasporto da sola, tenendo conto delle proprie caratteristiche fisio-somatiche e di quelle della vittima. Di nessun pregio e contraddittorio appare il convincimento del giudice in relazione al fatto che il bambino sia stato trasportato dalla donna in posizione frontale, facilitata dalla costrizione dei polsi, stante che tale convincimento e' contraddetto dal consulente del Pubblico Ministero Dott. (OMISSIS), il quale ha concluso che la "costrizione dei polsi e la successiva fase di rimozione del mezzo costrittore si e' verificata nello stesso ambiente in cui si e' verificato il fatto omicidiario" e, pertanto, all'interno dell'appartamento, sicche' il mezzo costrittore non poteva essere utilizzato per facilitare la discesa in garage. Tra l'altro, non e' stata fornita motivazione alcuna da parte del decidente in punto di crimino-dinamica e, in particolare, in relazione al senso che avrebbe avuto una costrizione dei polsi a casa post mortem e la loro rimozione sempre post mortem e sempre a casa. 2.8. L'ottavo (numerato VII) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale in relazione al movente e all'elemento soggettivo. Manca qualsiasi indicazione di un movente e, esclusa la premeditazione, risulta incomprensibile la spiegazione offerta dai giudici di merito secondo i quali l'omicidio e' "nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio avuto con la madre e che l'omicidio ascritto alla ( (OMISSIS)) (OMISSIS) sia stato dettato da un impulso incrollabile, da uno stato passionale momentaneo della donna", perche' e' illogico, esclusa la piu' grave forma dolosa della premeditazione, ritenere che la decisione di uccidere il bambino sia insorta proprio la mattina del giorno del delitto, mentre viene descritta una seppur minima pianificazione della condotta criminosa. In realta' non e' dato comprendere quale tipologia di dolo abbia sorretto il comportamento della donna tenuto conto del fatto che l'impulso omicida non pote' sorgere quella mattina per un perdurante stato di rabbia, considerato che il piccolo indossava gia' il grembiule e, pertanto, risulta chiara e manifesta la volonta' della madre di portarlo a scuola. Tra l'altro, non risulta affatto provata alcuna pianificazione, ne' tanto meno risulta provato il sopralluogo al canalone (le video registrazioni non identificano l'auto della imputata), mentre non e' affatto immotivato il parcheggio dell'autovettura in garage (l'imputata doveva caricare un oggetto, come confermato da vari testimoni). Era stato rilevato con il quarto motivo di appello che il movente in un processo indiziario assume notevole rilevanza per la valutazione e la coordinazione logica delle risultanze processuali. Nel caso in esame, il movente e' stato offerto dall'imputata che ne ha indicato uno particolarmente significativo: il piccolo ha assistito casualmente a un rapporto di natura amorosa tra la stessa e il suocero; la successiva volonta' del bambino di voler rivelare quanto visto al padre sarebbe stata la causale del gravissimo episodio. Ma i giudici di merito hanno escluso tale circostanza, sicche' manca una effettiva causale e percio' gli indizi, oltre a essere non gravi e discordanti, non trovano alcun collante logico. 2.9. Il nono (numerato VIII) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla posizione del cadavere all'interno del canalone ove e' stato rinvenuto. E' anzitutto strana - e non indagata adeguatamente - la ragione per cui (OMISSIS) abbia immediatamente trovato il corpo, ancor piu' perche' tale soggetto e' amico di ( (OMISSIS)) (OMISSIS), la prima persona che l'imputata ha avvisato della scomparsa del piccolo. Altra censura difensiva di rilevante interesse e sulla quale la Corte territoriale ha omesso di motivare e' rappresentata dalla distanza pari a un metro e mezzo intercorrente tra il muretto dal quale il corpo e' stato lasciato cadere e il corpo stesso, perche' tale distanza dimostra che il corpo e' stato lanciato e non semplicemente fatto scivolare dal muretto dopo averlo appoggiato sul bordo dello stesso, condotta incompatibile con le caratteristiche fisiche della imputata. Inoltre, in maniera apodittica e' stato affermato che sono state rinvenute delle tracce di terriccio sulla punta e sulla regione dorsale delle scarpe del piccolo e tale circostanza sarebbe idonea a corroborare l'ipotesi che il trasporto e' stato effettuato dall'imputata. A prescindere dalla circostanza che il terriccio in realta' e' stato rinvenuto esclusivamente in una scarpa del piccolo e non in entrambe, e' del tutto apodittica la motivazione della sentenza nel punto in cui ha dato per scontato che il terriccio sia quello che si trova nel terreno di contrada Grotte e non quello che si trova all'interno del canalone stesso, considerato che tale accertamento non e' mai stato effettuato. 2.10. Il decimo (numerato IX) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla contraddittorieta' delle consulenze medico legali e al dato tecnico da esse introdotto. La consulenza medico-legale utilizzata per ricostruire le modalita' e le cause del decesso e' quella del Dott. (OMISSIS); il consulente ha rilevato che la ricostruzione della imputata non sarebbe credibile perche' le fascette ai polsi sarebbero state posizionate in liminae vitae ovvero dopo l'azione di strangolamento. I giudici di merito hanno erroneamente ritenuto che tale dato sia stato confermato da tutti i consulenti del Pubblico ministero, mentre, oltre alla consulenza della difesa che dissente da tali conclusioni, anche il Dott. (OMISSIS) (altro consulente del Pubblico ministero), ha contraddetto il Dott. (OMISSIS) allorche' ha affermato "La costrizione dei polsi puo' essere avvenuta anche prima dello strangolamento, se tale costrizione non e' stata di intensita' tale da indurre segni chiaramente vitali come il solco". Del resto, che la costrizione dei polsi sia avvenuta prima dell'utilizzo del mezzo costrittore al collo, risponde alla logica: che senso avrebbe avuto legare i polsi a casa post mortem o in liminae vitae per poi subito dopo rimuoverli sempre a casa post mortem per come, tra l'altro, ha acclarato il Dott. (OMISSIS). La crimino-dinamica ricostruita dal Dott. (OMISSIS), in merito alla fascetta utilizzata per lo strangolamento, e' fortemente in contrasto con quella del Dott. (OMISSIS) e del Prof. (OMISSIS) (anatomopatologo-entrambi consulenti del Pubblico ministero) e soprattutto con quella medico-legale e con quella bio-ingegneristica prodotte dalla difesa. Si nota, infatti, immediatamente l'assenza di zigrinature lungo tutto il solco cervicale, circostanza che esclude l'utilizzo della fascetta quale mezzo costrittore. Del resto, non e' stata repertata sul collo del bambino alcuna impronta a stampo lasciata dal cd. cricco (strumento di blocco della fascetta), sicche' ha errato il giudice nell'aver ritenuto la fascetta stringi-cavo quale mezzo utilizzato per l'omicidio, anche perche' la consulenza bio-ingegneristica dimostra in maniera inequivocabile quale sarebbe stata l'impronta ove fosse stata veramente utilizzata una fascetta stringi-cavo, cosi' come ha dimostrato che effettuando il serraggio tramite un cavo USB, come riferito dall'imputata, l'impronta rimane omogenea e senza punti di discontinuita', anche in corrispondenza dell'incrocio del cavo. Non si puo' sottacere, ancora, che anche le lesioni al collo del bambino, descritte dal Dott. (OMISSIS) come da punta e taglio e verosimilmente provocate da una forbice, non sono conclusioni scientificamente attendibili: se fosse stata utilizzata la forbice, la lesione, comunque di natura diversa e ben piu' ampia, sarebbe stata rinvenuta molto piu' in basso e comunque prossima al mezzo costrittore, per come si puo' rilevare agevolmente dalla consulenza biomedica prodotta dalla difesa. Del resto, le lesioni in corrispondenza dell'orecchio sono troppo lontane dal solco cervicale e quindi risulta improponibile che le stesse siano state causate dalla forbice durante il taglio della fascetta. Ed ancora, anche sotto il profilo della lunghezza della fascetta, si puo' ritenere che la stessa era inidonea per poter applicare una trazione con conseguente strangolamento, stante il residuo di appena due centimetri e non di 4.5 cm, per come erroneamente e illogicamente ritenuto in sentenza. Rilevanti problematiche sono sorte e sono rimaste irrisolte in punto di cronologia delle lesioni presenti sul corpo del piccolo: l'anatomopatologo Prof. (OMISSIS), consulente del Pubblico ministero, ha rilevato che le lesioni sparse sul collo sono meno vitali di quelle alla teca cranica e che quelle al polso non sono neanche da considerarsi lesioni in quanto "non valutabili". Non risulta corretto, pertanto, quanto sostenuto dal giudice (pag. 117 sentenza) che sia la lesione alla teca cranica che quelle ai glutei sono state prodotte dopo la rimozione dalla fascetta stringi-cavo dal collo. Infatti, non e' possibile, stante la crimino-dinamica indicata in sentenza, che le lesioni alla teca cranica siano piu' vitali delle abrasioni presenti sul collo del piccolo. 2.11. L'undicesimo (numerato X) motivo di ricorso denuncia la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, poiche' dovevano essere valutate a tale scopo le condizioni personali e psicologiche dell'imputata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile perche' propone in sede di legittimita' delle censure e questioni di merito gia' esaminate nel giudizio di appello, nonche' perche' e' generico, assertivo e reiterativo di argomentazioni proposte nel giudizio di merito che sono state esaminate con motivazione che non viene specificamente criticata dal ricorso. 1.1. E' bene ricordare che i seguenti fatti risultano non controversi: - la prima segnalazione della scomparsa di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) proveniva dalla madre (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che, recatasi davanti al plesso scolastico da questi frequentato intorno alle ore 12,30, non vedendolo uscire e avendo appreso che quella mattina non era entrato in classe, contattava i Carabinieri della locale stazione; - con le primissime dichiarazioni la donna sosteneva di avere accompagnato il figlio e di averlo lasciato (intorno alle ore 8,30-8,40) a circa 500 metri di distanza dalla scuola, specificando di avere accompagnato anche il secondogenito di tre anni presso la ludoteca prima di recarsi al (OMISSIS) (a distanza di circa 15 chilometri dalla residenza) per frequentare un corso di cucina. Era poi andata a prendere dapprima il secondogenito e, intorno alle ore 12,25, era giunta nei pressi della scuola del figlio piu' grande, ove apprendeva che era assente. La donna riferiva che era la prima volta che il figlio non si recava a scuola senza informare i genitori e che il bambino aveva un carattere chiuso e che, pertanto, era difficile che socializzasse con qualcuno che non conosceva; - a distanza di poche ore dalla segnalazione di scomparsa e dalla rapida diffusione della stessa nel piccolo centro abitato, anche (OMISSIS), amico del nonno paterno del bimbo scomparso, si metteva alla ricerca del bambino, concentrando le proprie ricerche alla periferia del comune, in direzione di Punta Secca, ove, nel letto di un canalone di scolo di acque, intorno alle ore 16,40, avvistava il corpo esanime del piccolo che si trovava in posizione supina. Detto canalone, la cui profondita' era di circa m. 1,90, era attraversato da un ponticello con muretto, anch'esso in calcestruzzo; - in sede di sopralluogo la polizia giudiziaria evidenziava l'assenza di mutande e i pantaloni abbassati e slacciati. Il medico legale Dott. (OMISSIS) rilevava nell'immediatezza alcuni importanti elementi, tra cui: rigidita' cadaverica totale; suola delle scarpe apparentemente pulita bilateralmente con segni di strisciamento (terriccio) a carico della punta e della superficie superiore della scarpa di destra, il tutto indicativo di mancato camminamento nella campagna circostante il canalone; assenza di lesioni da precipitazione a carico degli arti (suggestiva per una caduta di vertice senza alcun atteggiamento di difesa); assenza di segni di colluttazione sulle vesti e sul corpo; - l'autopsia disposta sul corpo della vittima permetteva di riscontrare l'ipotesi dell'omicidio. Il medico legale (Dott. (OMISSIS)) rilevava innanzitutto che il bambino (dell'eta' di 8 anni) aveva, al momento del decesso, un'altezza di m. 1 20 e un peso intorno ai 18-20 chilogrammi, decisamente al di sotto della media dei bimbi della stessa eta', tanto e' vero che, per la statura rilevata e per l'esile corporatura, tutti gli indumenti indossati erano di taglia inferiore all'eta' anagrafica (ovvero 56 anni). Quindi il consulente evidenziava che sul collo era presente un solco continuo sull'intera superficie del collo, a decorso lievemente obliquo, dello spessore di circa mm. 4,5 (con a cavallo multiple aree petecchiali). Il suddetto solco continuo, di profondita' omogenea, nella regione postero-laterale destra presentava area escoriata compatibile con impronta di nodo (o agente similare); nella regione retro-auricolare destra vi erano tre abrasioni suggestive per lesioni da punta e taglio (a forma di V) e una lesione da taglio con forma a binario, di circa cm. 2. Si apprezzavano impronte arrossate "a bracciale" di spessore di circa mm. 7 a carico della superficie esterna dei polsi, come da compressione da mezzo di forma definita. Nessuna traccia di colluttazione caratterizzava l'ispezione esterna del cadavere. Le uniche ulteriori escoriazioni venivano riscontrate a livello del gluteo sinistro ad andamento orizzontale. La regione anale non presentava tracce di effrazioni recenti. L'esame radiografico evidenziava la frattura della teca cranica; - il medico legale dava atto di avere proceduto a prove di compatibilita' sul cadavere a seguito dell'acquisizione da parte della Polizia di fascette stringi-cavo autobloccanti in plastica che la madre aveva consegnato alle insegnanti della vittima dopo il fatto. Le suddette fascette, aventi lunghezza cm 28 e larghezza mm. 4,5, avevano una superficie liscia, una superficie dentellata e un cricco (blocco meccanico); la superficie dentellata aderiva ai corpi da compattare una volta serrata la fascetta. Una volta inserita all'interno del cricco, non vi poteva essere rilascio della contenzione. Il consulente accertava la piena compatibilita' tra l'impronta del solco rinvenuto sul collo del piccolo con le caratteristiche della fascetta. In merito ai segni rilevati sui polsi il consulente riconosceva una compatibilita' con le fascette; - il medico legale concludeva affermando che la causa della morte e' l'asfissia da strangolamento e che le lesioni alla cute anteriore del collo erano inquadrabili come lesioni in vitam, mentre quelle al di sotto delle ferite laterocervicali (lesioni da punta e taglio e lesione figurata a binario) erano indicative di una loro verificazione in liminae vitae, ossia in fase agonica successiva all'asfissia meccanica. Analogamente venivano considerate in liminae vitae le lesioni a carico della teca cranica e le impronte "a bracciale" dei polsi. Circa l'epoca della morte il consulente precisava che l'intervallo di riferimento e' compreso tra le ore 08.30 e le ore 10.00 dello stesso giorno della scomparsa; - le prime dichiarazioni della madre, rese nelle s.i.t. del 29.11.2014 e negli interrogatori del 9.12.2014 davanti al P.M. e del 11.12.2014 dinnanzi al GIP in sede di udienza di convalida del fermo, con particolare riferimento al tragitto percorso a bordo della propria autovettura, venivano smentite in modo inconfutabile, non solo dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate, ma, soprattutto, dalle immagini di numerosi sistemi di videosorveglianza pubblica e privata collocati nei pressi dell'abitazione della donna e nel centro abitato di (OMISSIS). Anche nel successivo interrogatorio del 24.4.2015 l'imputata, nuovamente sentita dal Pubblico ministero su sua richiesta, ribadiva sostanzialmente quanto riferito in precedenza; - nel corso dell'ulteriore interrogatorio del 13.11.2015 l'imputata forniva una nuova versione (seconda) del tutto differente dei fatti, ammettendo di non avere accompagnato il figlio a scuola (come del resto risultava dalle video riprese) e di essere rientrata a casa anche al fine di consentire l'accesso del bambino a scuola per la seconda ora. Quella mattina il figlio aveva fatto rientro da solo nell'abitazione grazie ad un mazzo di chiavi datogli dalla madre e si era posizionato nella sua cameretta mentre essa svolgeva le faccende domestiche. Improvvisamente, attirata da alcuni rumori provenienti dalla stanza del figlio, si accorgeva che il bambino era in piedi, senza scarpe e mutande, con il busto chinato in avanti e le mani poggiate sul petto. Nel momento in cui il bambino si accasciava al suolo, in posizione supina, notava che il suo collo era cinto da una fascetta; comprendendo che il piccolo non respirava, presa dal panico, cercava, con le dita e le unghie, di allargare la presa che la fascetta esercitava sul collo senza pero' riuscirvi; prelevava quindi dalla cassetta degli attrezzi un paio di forbici con cui tagliava la fascetta che cingeva il collo; in tale frangente si accorgeva che il bambino, oltre a non muoversi, non respirava piu'. Assalita dal panico e preoccupata dall'impossibilita' di poter giustificare l'accaduto, decideva di non rivolgersi alle autorita' e, dopo essersi premurata di togliere al bambino le mutande bagnate di urina, lo rivestiva alla meno peggio, infilandogli soltanto i jeans, le scarpe e gli indumenti della parte superiore senza le mutande. Lo portava in garage, lo riponeva sul sedile posteriore dell'auto e, avviatasi verso Punta Secca, intraprendeva la strada per Punta Braccetto, fin quando, in totale stato di confusione, scendeva sulla strada parallela, quella vicina al canalone, si fermava e lasciava il corpo esanime sul margine destro della carreggiata. Rientrata a casa, prelevava gli indumenti sporchi del figlio, la fascetta da lei poco prima tranciata, gli elastici, nonche' lo zainetto e, ripresa l'auto, si dirigeva fuori dal centro abitato e abbandonava il materiale per poi recarsi al corso di cucina. Riferiva di avere poi consegnato alle maestre del figlio le fascette stringi-cavo rinvenute nell'abitazione. Dopo pochi giorni, in data 17.11.2015, la donna si sottoponeva a nuovo interrogatorio nel corso del quale precisava di avere appoggiato il corpo del figlio sul muretto del canale di scolo per poi spingerlo all'interno di esso; - nel corso del giudizio abbreviato l'imputata forniva una nuova (terza) versione del tutto diversa dei fatti, chiamando in correita' il suocero ( (OMISSIS)) (OMISSIS) con il quale dichiarava di avere avuto una relazione extraconiugale, iniziata nel mese di maggio del 2014. Pochi giorni prima dei fatti (il 19.11.2014), allorquando il suocero si era presentato a casa dell'imputata mentre il marito era assente, essi avevano avuto un rapporto sessuale cui aveva casualmente assistito il figlio primogenito che, difatti, minacciava di dirlo al padre. La mattina dei fatti era insorto un diverbio tra l'imputata e il figlio primogenito che non voleva recarsi a scuola, tanto che la donna decideva di farlo rimanere a casa. Dopo essere uscita di casa per accompagnare il secondogenito e gettare l'immondizia, incontrava casualmente il suocero che decideva di unirsi all'imputata per parlare con ( (OMISSIS)) (OMISSIS) della vicenda alla quale aveva assistito. Fatto salire il suocero sul sedile posteriore lato guida, si erano recati a casa dove aveva parcheggiato il veicolo nel garage, entrandovi in retromarcia per agevolare le successive operazioni di carico di un oggetto. Aveva poi assistito al dialogo tra il suocero e il figlio che, ribadita l'intenzione di raccontare i fatti al padre, veniva trattenuto dall'avo per le spalle, mentre la donna aveva preso delle fascette in plastica per bloccare la reazione scomposta del bambino che si metteva a gridare; ella, allontanatasi dalla stanza per rispondere alla telefonata del marito, vi faceva ritorno scorgendo il suocero che, dopo avere prelevato un cavetto USB, lo avvolgeva al collo del piccolo e lo stringeva. Dopo avere realizzato che il bambino non riusciva a respirare, si recava a prendere una forbice per tagliare le fascette ai polsi; tornata in camera, vedeva ancora il suocero tirare il cavetto al collo del bambino fin quando non cadeva esanime a terra. A quel punto sfilava il cavo, provocando le ferite sul collo del bimbo, e tagliava le fascette. Quindi si recava a prendere il telefono cellulare per chiamare soccorsi, ma veniva intimidita dal suocero che le diceva di non riferire nulla a nessuno perche' non avrebbe potuto giustificare quanto accaduto. Presa dal panico, tagliava le mutande del bambino (che aveva urinato), aderendo al suggerimento del suocero di mantenere abbassati i pantaloni. Il corpo veniva portato dal suocero in garage e poi adagiato sul sedile posteriore del veicolo ove pure gi accomodava il suocero; questi la indirizzava, verso il canalone dove l'uomo gettava il corpo del bambino. Dopo essere rientrati nel centro abitato, il suocero si allontanava a piedi mentre la donna rientrava a casa, raccoglieva alcuni oggetti (la fascetta e le mutandine del bimbo) e li gettava via. Dopo avere preso parte al corso di cucina rientrava in citta', pensando che quanto accaduto non fosse vero; - anche tale versione dei fatti veniva smentita dalle indagini; in particolare, attraverso la visione delle riprese delle telecamere del sistema di videosorveglianza e sulla base delle convergenti dichiarazioni di almeno tre soggetti, veniva accertata la presenza del suocero ( (OMISSIS)) (OMISSIS) e della sua compagna all'interno di un pubblico esercizio proprio durante il lasso di tempo in cui sono avvenuti i fatti. 1.2. E' bene precisare che il ricorso e' la sostanziale, spesso pedissequa, riproposizione dell'atto di appello, tanto e' vero che: - il secondo (numerato I) motivo di ricorso e' la riproposizione delle istanze istruttorie avanzate in via preliminare nell'atto di appello; - il terzo e il quarto (numerati II e III) motivo di ricorso sono la pedissequa riproposizione dell'undicesimo motivo di appello che riguardava la capacita' di intendere e volere; - il quinto (numerato IV) motivo di ricorso e' la parziale riproposizione del secondo motivo di appello che riguardava la valutazione del traffico telefonico tra imputata e suocero; - il sesto (numerato V) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del terzo motivo di appello che riguardava l'alibi di ( (OMISSIS)) (OMISSIS); - il settimo (numerato VI) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del quinto motivo di appello che riguardava la crimino-dinamica che vede l'imputata come unica autrice del fatto; - l'ottavo (numerato VII) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del quarto motivo di appello che riguardava il movente e l'elemento soggettivo; - il nono (numerato VIII) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del sesto e dell'ottavo motivo di appello che riguardavano gli elementi indiziari concernenti il sopraluogo nel canalone, l'ingresso nel garage, le modalita' di rinvenimento del cadavere e le condizioni di esso; - il decimo (numerato IX) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del settimo motivo di appello che riguardava le consulenze medico-legali e il dato anatomopatologico; - l'undicesimo (numerato X) motivo di ricorso e' la pedissequa riproposizione del dodicesimo motivo di appello che riguardava le circostanze attenuanti generiche. 1.3. Cio' premesso, nell'esaminare i motivi di ricorso si seguira' il seguente ordine: - al paragrafo 2 sara' esaminato il primo motivo (non numerato) che attiene alla responsabilita', - al paragrafo 3 sara' esaminato il secondo motivo (numerato I) sulla rinnovazione dell'istruttoria, - al paragrafo 4 saranno esaminati i motivi concernenti le prove e gli accertamenti tecnici (quinto, nono e decimo motivo, numerati rispettivamente IV, VIII e IX), l'"alibi" del suocero e il concorso nel reato (sesto e settimo motivo, numerati rispettivamente V e VI), il movente e l'elemento soggettivo (ottavo motivo, numerato VII); - al paragrafo 5 saranno esaminati i motivi sulla capacita' di intendere e volere e sulle confessioni (terzo e quarto motivo, numerati rispettivamente II e III); - al paragrafo 6 sara' esaminato il motivo sulle circostanze attenuanti generiche (undicesimo motivo, numerato X). 2. E', anzitutto, inammissibile il primo motivo di ricorso (motivo non numerato) che denuncia genericamente la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione e l'erronea applicazione della legge penale perche' la Corte di Assise di Appello di Catania avrebbe dovuto riformare la sentenza e avrebbe dovuto mandare assolta l'imputata con l'ampia formula per non aver commesso il fatto, anche ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, per il reato di omicidio (capo A). Si tratta di una deduzione generica che non viene in alcun modo sviluppata nel ricorso e che risulta contraddetta dalla prospettazione dei restanti motivi di ricorso, tant'e' che questo, nell'enunciazione dei restanti motivi, muove proprio dall'accertata responsabilita' per l'omicidio che non viene contestata e che, del resto, e' ammessa dalla stessa imputata quanto meno a livello di concorso con il suocero. E' del pari generica la deduzione concernente il concorso anomalo ex articolo 116 c.p. perche' il ricorso omette completamente di contestare il punto della motivazione in cui tale ipotesi e' esclusa (pag. 102 e 103), limitandosi a chiederne l'applicazione a questa Corte di legittimita'. Le restanti enunciazioni di censure (vizio parziale di mente; circostanze attenuanti generiche) trovano, in realta', sviluppo in distinti motivi di ricorso che saranno in seguito esaminati. 3. E' inammissibile il secondo motivo di ricorso (numerato I) che riguarda la rinnovazione dell'istruttoria in appello. E' il caso di ricordare che la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente affermato che "nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all'esito di rito abbreviato e' ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3, e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l'assunzione della prova assolutamente necessaria, perche' potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti" (Sez. 1, n. 8316 del 14/01/2016, Di Salvo, Rv. 266145). Deve, inoltre, essere tenuto presente che "nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio gia' raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attivita' "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente" (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974). Il ricorso e', in proposito, meramente assertivo e ripropositivo delle argomentazioni gia' sommariamente enunciate nell'atto di appello a fronte delle quali la Corte di secondo grado ha fornito un'ampia e documentata risposta, valutando le richieste difensive del tutto irrilevanti sulla base di elementi probatori gia' acquisiti all'esito del giudizio abbreviato, come peraltro integrato dalla attivita' istruttoria svolta in primo grado. 3.1. Per quello che riguarda la perizia, il ricorso si limita a ribadire la ritenuta necessita' di procedere all'integrazione probatoria, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che ha evidenziato come le conclusioni sulla capacita' di intendere e volere dell'imputata, accertata a seguito della perizia svolta in contraddittorio, sono solo assertivamente contestate dalla consulenza della difesa e dai motivi dalla stessa sviluppati. Si tratta di una specifica argomentazione, quella dell'assertivita' delle doglianze, con la quale il ricorso non si confronta, avendo la giurisprudenza di legittimita' precisato che "nel giudizio di legittimita', l'accertamento peritale puo' essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del cd. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di "evidente incontestabilita'"" (Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo Costabile, Rv. 274478), evenienze che non sono neppure ipotizzate dal ricorso. Del resto, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimita' se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento - positivo o negativo - dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, soltanto ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l'obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso (Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro, Rv. 271924; in precedenza: Sez. 4, n. 7591 del 20/04/1989, Pregotto, Rv. 181382), mentre si e' precisato che "costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimita', la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purche' la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti" (Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907). Il ricorso non indica, come neppure faceva l'atto di appello, le ragioni per le quali sarebbe necessario procedere a rinnovare la perizia, non potendo tale necessita' derivare unicamente dal mancato accordo dei consulenti di parte sulle conclusioni assunte dai periti nominati dal giudice, spettando, comunque, a quest'ultimo di valutare la capacita' confutativa delle prime rispetto alle seconde. In sostanza, la richiesta di rinnovazione e' stata giudicata non necessaria perche' finalizzata a esplorare la possibilita' di poter giungere a un diverso giudizio sull'imputabilita', mentre spetta al giudice di verificare tale elemento della colpevolezza sulla base di una motivata e logica valutazione delle risultanze peritali, anche alla luce delle argomentazioni svolte dai consulenti di parte. 3.2. Per quello che riguarda il confronto, il ricorso si limita ad asserirne la' necessita' senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato che ha posto in luce come il contrasto, esistente anzitutto all'interno delle tre diverse versioni rese dall'imputata e, soltanto in seguito, emerso anche rispetto alle dichiarazioni del suocero, e' gia' stato composto, sia in ragione della ritenuta inattendibilita' dell'imputata, sia sulla base di numerose e convergenti prove acquisite nel giudizio che smentiscono le accuse formulate dalla ricorrente (dichiarazioni di altri due testimoni; video riprese; analisi dei tabulati). E' importante evidenziare, infatti, che il presunto contrasto e' sorto soltanto a seguito del terzo mutamento della versione dei fatti esposta dall'imputata all'udienza di giudizio abbreviato del 19/2/2016, dopo che le precedenti due versioni, quella di assoluta estraneita' (dichiarazioni del 29/11/2014; interrogatori del 9/12/2014, del 11/12/2014 e del 24/4/2015) e quella dell'azione di uno sconosciuto (interrogatori del 13/11/2015 e del 17/11/2015), erano state ampiamente e apertamente confutate dagli elementi di prova acquisiti e puntualmente contestati all'imputata, sicche' deve escludersi che, non essendosi tempestivamente richiesto tale mezzo di prova nel corso del giudizio abbreviato, sia possibile sostenerne in modo postumo la rilevanza soltanto sulla base della tardiva introduzione di una nuova versione dei fatti da parte dell'imputata nel corso di detto giudizio. Diversamente opinando, il giudice sarebbe costretto a "inseguire" le mutevoli dichiarazioni dell'imputato, potendo questi - con le proprie dichiarazioni difensive doverosamente raccolte durante tutto il corso del giudizio - allargare ad libitum il compendio probatorio sul quale aveva chiesto di essere giudicato, solo perche', mediante dichiarazioni che gia' risultano confutate sulla base degli elementi acquisiti, egli sollecita l'esercizio dei poteri istruttori del giudice di cui all'articolo 441 c.p.p., comma 5. 4. Sono inammissibili i motivi concernenti le prove e gli accertamenti tecnici (quinto, nono e decimo motivo, numerati rispettivamente IV, VIII e IX), l'"alibi" del suocero e il concorso nel reato (sesto e settimo motivo, numerati rispettivamente V e VI), il movente e l'elemento soggettivo (ottavo motivo, numerato VII). Tali motivi introducono censure generiche e irrilevanti a fini della affermazione della responsabilita', a causa del difetto di una specifica impugnazione sul punto. Il ricorso, infatti, sviluppa censure prive di decisivita' in quanto finalizzate a far emergere l'eventuale concorrente responsabilita' di un terzo soggetto (peraltro neppure indagato), responsabilita' che neppure il ricorso qualifica come escludente quella dell'imputata, essendosi, del resto, gia' giudicata inammissibile ogni questione relativa all'ipotesi di cui all'articolo 116 c.p.. Del resto, le doglianze sono caratterizzate dalla contestazione di singoli aspetti, dei quali non viene neppure illustrata la decisivita' rispetto all'affermazione di responsabilita', del complessivo quadro probatorio che poggia su specifici elementi (video riprese relative ai movimenti dell'imputata; dichiarazioni confessorie dell'imputata; disponibilita' in capo all'imputata delle fascette utilizzate per lo strangolamento) che sono estranei alle censure ovvero vengono criticati in modo generico e assertivo. 4.1. Sono inammissibili il nono (numerato VIII) motivo, relativo alla posizione del cadavere all'interno del canalone ove e' stato rinvenuto, e il decimo (numerato IX) motivo di ricorso che riguarda le consulenze medico - legali e il dato tecnico da esse introdotto. In disparte alcune censure che non sono neppure compiutamente formulate (non si comprende la premessa sullo "strano" ruolo di (OMISSIS)), sono generiche, assertive e meramente confutative le doglianze (sviluppate al nono motivo) che riguardano la distanza intercorrente tra il muretto e il cadavere, la presenza di tracce di terriccio sulla punta delle scarpe, laddove non illustrano la rilevanza delle questioni rispetto alla prova dell'omicidio, avendo l'imputata ammesso (seconda versione) di avere essa stessa gettato il figlio nel canale di scolo, avendo poi dichiarato (terza versione) di avere ivi condotto il proprio presunto correo che avrebbe materialmente provveduto a disfarsi del cadavere. Del pari, priva di concreta capacita' critica e' la ri-proposizione (al decimo motivo) della questione relativa al momento di posizionamento delle fascette ai polsi (in liminae vitae, come sostengono tutti i consulenti, tranne quelli della difesa) perche' si tratta di un elemento di contorno e privo di specifica conducenza rispetto alla morte, anche in considerazione del fatto che e' l'imputata che assume la paternita' del gesto. Sono, del resto, generiche e manifestamente infondate, le doglianze concernenti la fascetta utilizzata per lo strangolamento, sia perche' non esiste affatto un contrasto tra i consulenti del Pubblico ministero, sia perche' essi concordano circa l'utilizzo di tale strumento (esperimento effettuato dal medico legale proprio utilizzando le fascette consegnate dall'imputata) come risulta dai segni lasciati sul collo per tutta la sua lunghezza e dalla presenza di un segno concordemente attribuito dai consulenti al cricco (strumento di serraggio). Risultano, inoltre, meramente assertive le doglianze concernenti la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa circa l'utilizzo di un cavo USB, come riferito dall'imputata, perche' non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha escluso la presenza delle tracce tipiche dell'uso di un tale strumento (mancanza del sormontamento finale e dell'incrocio dei capi corda). Con motivazione logica e immune da vizi entrambi i giudici di merito hanno condiviso le valutazioni dei consulenti in ordine alla natura del mezzo costrittore del collo, in quanto esse risultano esplicative dal punto di vista tecnico-scientifico di dati che gia' emergono dalla visione delle fotografie effettuate in sede autoptica dalle quali e' stato desunto che le caratteristiche del solco rilevato sul collo sono del tutto compatibili con le fascette consegnate dalla imputata alle insegnanti del figlio; in particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che, addirittura, sul collo della vittima e' chiaramente visibile una impronta ecchimotica compatibile con il cricco della fascetta. In proposito il ricorso si limita a contestare le conclusioni cui sono giunti gli esperti e gli stessi giudici di merito, cosi' prospettando delle censure meramente confutative. Sono, del resto, del tutto logiche e coerenti e pienamente aderenti ai dati obiettivi le considerazioni effettuate dal consulente, e condivise dai giudici di merito, per escludere la compatibilita' tra il suddetto solco e un cavo USB, poiche' e' risultato evidente che si sarebbe riscontrato un solco con sovrapposizioni nella regione della nuca, ove il suddetto mezzo costrittivo sarebbe stato necessariamente incrociato per fungere da cappio, sicche' il solco non sarebbe stato singolo su tutta la circonferenza del collo ne' con regolare profondita', come quello effettivamente rilevato; inoltre, nel caso di utilizzo di un cavo USB, la relativa impronta sarebbe stata liscia e non con i segni della dentellatura. I giudici di merito hanno, inoltre, evidenziato - senza che il ricorso prenda posizione sul punto - che la simulazione di serraggio del collo con un cavetto USB effettuata dal consulente della difesa e' fuorviante perche' il cavo e' stato semplicemente sovrapposto e non incrociato, peraltro utilizzando un manichino di stoffa o gommapiuma, avente pertanto caratteristiche del tutto diverse dalla pelle del corpo umano, sicche' l'impronta che ne e' derivata risulta necessariamente differente da quella che si sarebbe riscontrata ove sul collo del bambino fosse stato realmente applicato un cavo USB per effettuare il mortale serraggio. Sono, del resto, inammissibili, perche' in fatto e generiche oltre che irrilevanti, le doglianze concernenti le lesioni al collo del bambino inferte con uno strumento da punta e taglio, perche' il ricorso, oltre a non illustrare le conseguenze che si vorrebbero trarre dalla ipotizzata diversa origine, omette di confrontarsi con le dichiarazioni dell'imputata che conferma di avere utilizzato una forbice per rimuovere le fascette. Sono inammissibili, perche' generiche e confutative, le questioni relative alla lunghezza della fascetta applicata al collo, sia perche' essa non e' stata reperita, sicche' e' impossibile determinarne l'esatta dimensione, sia perche' e' meramente asserita la circostanza, smentita dai rilievi tecnici e dalla sentenza, che la stessa sarebbe piu' corta di quanto ritenuto. Infine, e' inconferente, perche' perplessa, la doglianza sulla cronologia delle lesioni (collo; teca cranica; polso; glutei) perche' viene formulata in termini di incertezza ricostruttiva, senza dedure che da cio' siano derivate conseguenze in punto di responsabilita', essendosi comunque accertato, senza che il ricorso in proposito muova alcuna critica, che la vittima e' deceduta per lo strangolamento. 4.2. Sono inammissibili i motivi concernenti i tabulati e i contatti (quinto motivo, numerato IV), l'"alibi" e il concorso nel reato (sesto e settimo motivo, numerati rispettivamente V e VI) perche', in disparte la manifesta infondatezza e genericita' delle censure, non viene chiarita la decisivita' di esse rispetto alla responsabilita' dell'imputata in quanto il ricorso non deduce l'estraneita' della ricorrente ai fatti contestati. La sentenza impugnata, difatti, ha ricordato, senza essere smentita dal ricorso, che l'imputata, per sua stessa ammissione, ben consapevole del grave rischio che stava correndo a causa della discoperta della presunta relazione incestuosa, aveva condotto il suocero nell'abitazione proprio per indurre il figlio al silenzio; aveva assistito al duro dialogo tra il suocero e il figlio che, ribadita l'intenzione di raccontare i fatti al padre, veniva violentemente trattenuto per le spalle, mentre essa aveva preso le fascette in plastica per bloccare la reazione del bambino che si metteva a gridare; ella, allontanatasi dalla stanza per rispondere alla telefonata del marito, vi faceva ritorno scorgendo il suocero che stava strangolando il figlio, tanto che, dopo avere realizzato che il bambino non riusciva a respirare, invece di aiutarlo impedendone lo strangolamento si recava a prendere una forbice per tagliare unicamente le fascette ai polsi, cosi' aiutando il suocero a porre in essere il definitivo strangolamento del piccolo; del resto, tornata in camera, vedeva ancora il suocero tirare il cavetto al collo del bambino fin quando non cadeva esanime a terra: anche in questo caso non ostacolava l'azione omicida cui prendeva parte attiva fornendo il necessario supporto operativo. 4.2.1. Sono, in ogni caso, inammissibili le questioni concernenti la valutazione dei contatti intercorsi tra imputata e suocero, da cui vorrebbe trarsi conferma del presunto legame incestuoso, perche' generiche e manifestamente infondate laddove non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha chiarito, con logica e adeguata motivazione, come tali contatti non sono indicativi dell'esistenza del ridetto rapporto - non essendo emerso il contenuto dei contatti telefonici - e come, indipendentemente dalla numerosita' di tali contatti, tutti i restanti elementi di prova convergono nel senso di escludere l'esistenza del ridetto rapporto, risultando logicamente spiegata l'espressione affettuosa contenuta nella missiva spedita durante il periodo di detenzione poiche' simile ad altre inviate da altri componenti della famiglia. Non viene, del resto, illustrata la rilevanza, al fine di dimostrare l'anomalia del rapporto esistente tra imputata e suocero, delle dichiarazioni del teste (OMISSIS), fermo restando che il ricorso non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato in merito alla ragione per cui, in assenza del marito, l'imputata, dopo avere "scoperto" la sparizione del figlio, si e' rivolta al suocero per chiedere aiuto, perche' i giudici di merito hanno posto in evidenza come, proprio grazie a costui, le ricerche si siano dimostrare immediatamente fruttuose. 4.2.2. Per quanto concerne la questione dell'"alibi" del suocero e, quindi, l'ipotesi che esso abbia preso parte attiva, cosi' come riferito - peraltro soltanto nel corso del giudizio abbreviato - dalla ricorrente nella terza versione da essa fornita all'autorita' giudiziaria, va anzitutto evidenziato che non puo' concretamente richiedersi al suocero di fornire un "alibi" in senso tecnico, risultando egli del tutto estraneo a ogni addebito di responsabilita' e nemmeno raggiunto da qualsivoglia sospetto da parte del Pubblico ministero, unico titolare del potere di iscrivere un indagato nel relativo registro. E' opportuno chiarire, pertanto, che appare improprio l'utilizzo da parte dell'imputata del processo penale a suo carico per spingere i giudici di merito ad avviare e istruire una diversa indagine sull'eventuale ruolo assunto nell'omicidio da parte di un altro soggetto, mai indagato e, anzi, parte civile nel medesimo procedimento. Se e' vero, infatti, che l'imputato non esorbita dai limiti del diritto di difesa quando affermi falsamente davanti all'Autorita' giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone e' pur sempre richiesto pero' che la mendace dichiarazione costituisca l'unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell'imputazione, secondo un rapporto di stretta connessione funzionale tra l'accusa formulata dall'imputato e l'oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialita', nel senso dell'assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell'addebito (Sez. 6, n. 40886 del 08/03/2018, G., Rv. 274147; analogamente: Sez. 6, n. 5065 del 10/12/2013 dep. 2014, De Benedetto, Rv. 258772), sicche' mancando, come nel caso di specie, la stretta connessione funzionale tra l'accusa mossa al suocero e quella oggetto del giudizio a carico dell'imputata, che non si e' dichiarata estranea ai fatti, la difesa doveva procedere con particolare cautela nella reiterazione - in vari gradi del giudizio e financo in sede di legittimita' - di argomentazioni accusatorie incentrate sulle dichiarazioni dell'imputata che risultavano ictu oculi prive del requisito della indispensabilita' a fini difensivi anche soltanto sotto l'angolo visuale del concorso della stessa nella commissione dell'omicidio. E', infatti, del tutto irrituale, non fosse altro che per la evidente lesione alle garanzie processuali relative al diritto di restare in silenzio, all'assistenza legale, al contraddittorio e in generale al diritto di difesa rispetto a una contestazione neppure formulata dal competente organo pubblico, che nel corso del giudizio abbreviato la difesa abbia tanto ostinatamente riproposto le accuse della ricorrente, in realta' tardivamente e confusamente mosse, all'indirizzo del suocero che non e' stato neppure posto in grado di difendersi, venendo raggiunto da infamanti e gravissime accuse, purtroppo pure strumentalmente rimbalzate sui mezzi di informazione. Tale irritualita' risulta ancora piu' grave laddove si consideri che, secondo la prospettazione della stessa imputata, l'eventuale ruolo svolto dal suocero non sarebbe in grado di escludere la sua responsabilita', sicche' risulta evidente la strumentalita' di un tale comportamento processuale. Cio' premesso, le censure sviluppate con riguardo all'"alibi" del suocero e alla natura mono soggettiva della contestazione mossa all'imputata sono inammissibili perche' generiche, reiterative di quelle gia' sviluppate nel giudizio di merito e motivatamente rigettate da entrambi i giudici e, in ogni caso, manifestamente infondate. Sono, infatti, inammissibili le doglianze relative alla valutazione di attendibilita' e concordanza delle testimonianze, che confermano l'"alibi" di ( (OMISSIS)) (OMISSIS), perche' formulate in termini generici e meramente confutativi nonche' perche' non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha posto in luce la coincidenza degli altri elementi di prova raccolti (video riprese e tracciato dei tabulati). E', d'altra parte, generica e manifestamente infondata la censura relativa alla valutazione compiuta dai giudici di merito sulla consulenza della difesa che evidenzierebbe la presenza di una sagoma umana sul veicolo dell'imputata, perche' non si confronta con la motivazione che ha posto in luce l'erronea e arbitraria esaltazione dell'immagine mediante la completa saturazione dei pixel da cui e' derivata la suggestiva attribuzione di sostanza fisica a quelle che sono in realta' soltanto ombre. Del resto, il ricorso non si confronta con la motivazione che ha ritenuto convergente, nel senso di escludere la presenza del suocero, la ricostruzione dei tempi e del percorso seguito dal veicolo, essendo emersa l'impossibilita' pratica, rispetto alle velocita' desumibili dalle immagini dei sistemi di video sorveglianza, di ipotizzare l'arresto del veicolo, la fermata, l'imbarco del suocero, la chiusura delle porte e la ripartenza nel brevissimo lasso di tempo documentato dalle immagini di videosorveglianza. Sono, del pari, inammissibili le doglianze relative alla dinamica dell'omicidio da cui vorrebbe trarsi la necessita' della compartecipazione di un terzo, oltre all'imputata, perche', senza confrontarsi con la motivazione, reiterano gli argomenti gia' vagliati e scartati - con giudizio logico e coerente - dal giudice di merito concernenti il peso e le caratteristiche fisiche della vittima e la presunta difficolta' di trasportarla a forza fino all'auto e poi di gettarla nel canale di scolo, essendosi logicamente evidenziato che l'imputata era solita trasportare quotidianamente il figlio prendendolo in braccio ed ha, in ultima analisi, ammesso di averlo gettato a forza nel canale di scolo. 4.3. Sono inammissibili i motivi concernenti il movente e l'elemento soggettivo (ottavo motivo, numerato VII). 4.3.1. E' bene premettere che la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente affermato che "l'assenza di movente dell'azione omicidiaria e' irrilevante ai fini dell'affermazione della responsabilita', allorche' vi sia comunque la prova dell'attribuibilita' di detta azione all'imputato; ne' il mancato accertamento del movente puo' risolversi nell'affermazione probatoria di assenza di dolo del delitto di omicidio, o, tanto meno, di assenza di coscienza e volonta' dell'azione" (Sez. 5, n. 22995 del 03/03/2017, M., Rv. 270138; con specifico riguardo all'irrilevanza del movente, quando vi sia prova della responsabilita': Sez. 1, n. 6514 del 27/04/1998, Chiarello, Rv. 210710; con riferimento all'irrilevanza del movente rispetto all'elemento psicologico: Sez. 1, n. 31449 del 14/02/2012, Spaccarotella, Rv. 254143), sicche' risultano inconferenti le doglianze che attengono all'assenza di una specifica causale (movente), avendo i giudici di merito, in ogni caso, chiarito, senza essere sul punto smentiti dal ricorso, che l'azione e' maturata come reazione al comportamento della vittima che la ricorrente ha percepito come oppositivo ai suoi voleri, tale comportamento innestandosi in un rapporto gia' conflittuale. 4.3.2. Sono, del resto, inammissibili le doglianze relative alla caratterizzazione dell'elemento psicologico, avendo i giudici di merito scartato l'ipotesi della premeditazione, individuando piuttosto il dolo d'impeto, perche' illogiche e fuorvianti laddove contestano quest'ultimo evidenziando la programmazione del delitto, come a voler richiedere una sorta reformatio in peius della decisione sotto l'angolo visuale della preordinazione della condotta. Del resto, sono inammissibili le argomentazioni relative all'amorevole e accudente comportamento in precedenza dimostrato dall'imputata, perche' si tratta di censure generiche e de-assiali rispetto alla configurazione del dolo d'impeto che, come bene hanno evidenziato i giudici di merito, non esclude affatto tali precedenti diversi comportamenti dell'imputata. 5. Sono inammissibili i motivi sulla capacita' di intendere e volere e sulle confessioni (terzo e quarto motivo, numerati rispettivamente II e III). 5.1. E' inammissibile il motivo sul vizio parziale di mente, sia perche' le critiche sono ri-propositive di argomenti gia' confutati nel corso dell'esame dei periti svolto in contraddittorio, sia perche' generiche laddove non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato e, infine, perche' prive del carattere di decisivita' con riguardo all'assorbente questione del grado di interferenza dei "tratti di personalita' disarmonici" riscontrati rispetto alla capacita' di intendere e volere (di cio' si dira' al paragrafo n. 5.1.6.). 5.1.1. Il motivo e' anzitutto inammissibile perche' e' prospettato, non tanto attraverso la critica della decisione impugnata, quanto mediante la ri-proposizione delle argomentazioni dei consulenti di parte che, tuttavia, sono state compiutamente esaminate gia' durante l'esame dei periti e comunque da entrambi i giudici di merito nella sentenza di primo e secondo grado con motivazioni che vengono criticate in modo generico. Si ha chiara e univoca testimonianza di tale inammissibile tecnica redazionale, esaminando la sintesi del motivo che si e' sopra riportata (paragrafo n. 2.3. del ritenuto in fatto): esso riporta pedissequamente, peraltro ricopiando intere porzioni dell'atto di appello (che riportano a loro volta integralmente ampi stralci della relazione di consulenza della difesa), le argomentazioni sviluppate dai consulenti della difesa nel proprio elaborato versato al giudice di primo grado e discusso in tale sede, senza in alcun modo confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato nel quale si e' precisato che l'approfondita disamina operata dai periti, con la comparazione dei relativi dati e la valutazione delle risultanze degli accertamenti, induce a considerare maggiormente attendibili le conclusioni rassegnate da questi ultimi (professori (OMISSIS) e (OMISSIS)), in ragione della loro puntualita', esaustivita' e piena rispondenza ai migliori criteri scientifici, oltre che ai dettami della logica nonche' alle emergenze processuali. In particolare, i giudici di merito hanno precisato che la perizia risulta connotata da grande completezza, atteso che i periti hanno analizzato non soltanto i dati clinici nella loro interezza, a mezzo di specifici e diretti accertamenti di natura psichiatrica, psicologica e di diagnostica strumentale nonche' dall'esame della documentazione sanitaria precedente ai fatti di causa e delle osservazioni in corso di detenzione, ma anche sulla base degli elementi emergenti dalle testimonianze, dagli accertamenti medico-legali, dalle consulenze tecniche di parte, dalla corrispondenza epistolare dell'imputata nonche' dalle dichiarazioni rese dalla stessa; cio' al dichiarato fine di contestualizzare la realta' in termini clinici. Dal punto di vista metodologico, i giudici di appello hanno evidenziato che il metodo utilizzato dai periti appare assolutamente corretto sotto il profilo psichiatrico, e in generale scientifico, essendo i medesimi pervenuti alla loro diagnosi a mezzo di ben sette colloqui clinici con l'imputata all'interno della struttura carceraria, della somministrazione di test di valutazione della personalita' (indagine psicodiagnostica), della sottoposizione dell'imputata a risonanza magnetica funzionale, a seguito di specifica richiesta dei consulenti della difesa, nonche' all'esame della documentazione sanitaria in atti, anche relativa all'osservazione clinica della donna nelle diverse strutture ove e' stata ristretta. 5.1.2. Secondo i giudici di appello, tale sviluppo diagnostico ha portato i periti a concludere per "un percorso esistenziale non indicativo - neppure in modo indiretto - della presenza di disturbi mentali di significato clinico", emergendo invece precocemente opzioni, scelte comportamentali, modalita' di relazione che rimandano essenzialmente al modo di vivere, alla qualita' delle sue interazioni che orientano cioe' l'attenzione piu' sull'organizzazione della personalita' che sulla ricorrenza di disturbi psichiatrici maggiori, sicche' e' stato possibile escludere "nell'attualita' - e con riferimento al passato - la presenza di disturbi psicotici, di cui non emerge traccia alcuna, cosi' come puo' dirsi che non vi siano elementi documentali, anamnestici o clinici per sospettare disturbi dell'umore di rilevanza clinica (bipolari o unipolari)". In sintesi, secondo i giudici di merito, tutti i test segnalano l'esistenza di "tratti" problematici nell'assetto organizzativo della personalita', ma al tempo stesso puo' dirsi anche che i test escludono la sussistenza di disturbi tali da interferire con le capacita' cognitive, come pure non sono emersi elementi a sostegno di piu' gravi disturbi mentali, ad es. dello spettro psicotico, e segni indicativi di severa patologia mentale. In definitiva, secondo la valutazione clinica peritale accolta dai giudici di merito: "l'unico dato che emerge e' la presenza di tratti disarmonici di personalita'". Si tratta, come logicamente posto in evidenza dai giudici di merito in piena aderenza - come neppure la difesa contesta - al sistema classificatorio DSM, "di modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell'ambiente e di se' stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali importanti", mentre quando i tratti di personalita' sono rigidi e disadattativi e finiscono con l'indurre delle risposte agli stimoli ambientali non adeguate, provocando una compromissione del funzionamento sociale o lavorativo o una condizione di sofferenza soggettiva, si parla di disturbo della personalita'". Tali conclusioni sono state giudicate del tutto conformi agli approdi scientifici piu' consolidati e documentati perche', secondo il DSM, "la caratteristica essenziale di un disturbo della personalita' e' un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell'individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitivita', affettivita', funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi. Il pattern e' stabile e di lunga durata, inflessibile e pervasivo e determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento". Sono, pertanto, risultati "certamente presenti nella donna "tratti" di personalita' disarmonici, che qualificano in sostanza il suo "modo di essere", che delineano "come" ella interagisce con gli altri, la qualita' delle sue relazioni interpersonali e sociali", ma se ne e' esclusa la rilevanza "se e' vero che non hanno prodotto ricadute sostanziali sulla sua vita personale, sul suo funzionamento sociale ed esistenziale", non essendo note "ricadute di natura clinica", sicche' guardando la "vita personale, alla luce dei dati raccolti, come pure indirettamente - dalle testimonianze fornite da terzi sulla donna, non emergono in definitiva dati sufficienti a stabilire ne' un "disagio clinicamente significativo" ne' "compromissione del funzionamento sociale o lavorativo"". Per queste ragioni, ad avviso dei giudici di merito che hanno condiviso la valutazione peritale, "non vi sono sufficienti elementi per giungere ad una diagnosi di disturbo della personalita' secondo il DSM, ma solo quello di personalita' con "tratti disarmonici"". Il motivo di ricorso, che si limita a contrapporre le argomentazioni dei consulenti della difesa a tali motivate valutazioni compiute dai giudici di merito, e' quindi inammissibile. 5.1.3. In ordine alla valenza dei test psicologici somministrati all'imputata, i giudici di merito, rifacendosi alle conclusioni dei periti e alla letteratura scientifica dai medesimi citata, hanno chiarito, senza che il ricorso sviluppi critiche specifiche, che in ambito psichiatrico forense i test psicodiagnostici hanno valenza sussidiaria, e non prioritaria, rispetto al colloquio clinico, in quanto i risultati dei test possono fornire delle indicazioni che devono essere valutate unitamente alle risultanze cliniche, atteso che, da soli, anche quando superano punteggi oltre certe soglie, risultano incapaci di suffragare qualsiasi giudizio diagnostico. In particolare, con riferimento ai test MMPI-2 e MCMI-III (Millon), secondo i giudici di merito si tratta di risultati non del tutto valutabili perche' l'imputata ha cercato di offrire una rappresentazione di se' completamente diversa rispetto alla propria personalita' effettiva, tentando di dissimulare (non mettendo in luce aspetti che avrebbero potuto emergere), tendendo a presentarsi con un'immagine piu' favorevole di quanto non fosse nella realta', sicche' quando, come nel caso in esame, l'approccio al test e' di tipo manipolativo, l'intero risultato deve essere assunto con grande prudenza poiche' sta a indicare che il soggetto non e' stato sincero rispetto al test. Specificamente indicativo della capacita' manipolatoria e dell'azione simulatoria posta in essere dall'imputata e' stato valutato, senza che il ricorso si confronti con tale specifica questione, il comportamento tenuto davanti al Pubblico ministero all'atto dell'interrogatorio del 29.1.2016 quando la donna presentava "condizioni psichiatriche precarie" non riconosceva i presenti, cantava, diceva di essere ricoverata in ospedale per un furto di arance. In proposito, i giudici di merito hanno ricordato la concorde valutazione dei periti e dei sanitari della Casa circondariale che avevano in cura l'imputata, i quali, dopo avere esaminato il filmato e aver letto le sue dichiarazioni, hanno ritenuto che si trattava di comportamenti appartenenti "a una dimensione tra il manipolativo e il recitativo", da iscriversi nel tratto istrionico di personalita' della imputata. Del resto, i giudici di merito hanno rilevato, senza che sul punto il ricorso muova alcuna specifica critica, come i suddetti comportamenti siano stati posti in essere dalla imputata nell'arco temporale intercorrente tra il secondo e il terzo colloquio della stessa con i periti (che stavano procedendo proprio alla verifica della capacita' di intendere e volere), di tal che e' stato ritenuto verosimile, con motivazione logica e aderente agli elementi di fatto disponibili, che i medesimi siano espressione di un intento manipolativo dei risultati degli esami finalizzati all'accertamento della capacita' di intendere e di volere. E' bene evidenziare che, sul punto, il ricorso e' del tutto silente, sicche' risulta inammissibile per genericita'. La difesa ha, inoltre, contestato la metodica del "colloquio clinico non strutturato", ritenendo preferibile quello "strutturato", ma ha omesso di confrontarsi con la specifica argomentazione sviluppata dai giudici di merito che hanno evidenziato che lo standard migliore per la valutazione e' il parere esperto e concorde di clinici, mentre l'intervista strutturata serve soltanto a ridurre la dissonanza tra clinici meno esperti, anche perche', in ambito forense, occorre fare riferimento al maggior numero di elementi esterni (esami documentali, testimonianze, racconti), concordanti o dissonanti rispetto all'ipotesi di studio, anche in ragione della limitata finestra temporale dell'intervento, elementi che possono essere acquisti e confrontati unicamente mediante il colloquio non strutturato. 5.1.4. Con riguardo alla deduzione difensiva secondo la quale sarebbe stata svalutata la diagnosi di disturbo di personalita' effettuata da ben due strutture pubbliche, i giudici di merito hanno evidenziato che i tre piu' risalenti episodi di minaccia di atti autolesivi ("buttarsi dalla finestra" a seguito di un rimprovero subito da un'insegnante; ingestione di candeggina a seguito di un litigio con i compagni di classe; chiamata al 112 per segnalare un tentativo di suicidio con il tubo in gomma per l'irrigazione) sono risultati goffi e teatrali (in tale senso si esprime l'unico referto medico disponibile che e' relativo al terzo e piu' grave episodio), tanto che, nonostante sia stato effettuato (per il terzo episodio) un ricovero cautelativo, non veniva effettuato alcun esame psichico, sicche' manca qualsiasi descrizione psicopatologica relativa a quei momenti, tanto che non furono effettuati accertamenti psicodiagnostici e non furono formulati indicazioni o suggerimenti terapeutici e la diagnosi di dimissione ("disturbo borderline di personalita'") derivava unicamente ed esclusivamente dalle annotazioni anamnestiche e descrittive fornite dai genitori. In proposito, il ricorso e' del tutto generico e non si confronta con tali obiettivi elementi posti a fondamento della ritenuta irrilevanza dei tre episodi e alla ritenuta inaffidabilita' - per la ragioni dianzi ricordate - della diagnosi operata in occasione dell'ultimo episodio, essendosi, inoltre, evidenziato che, superata la fase adolescenziale, la situazione di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) sul piano del comportamento si e' normalizzata, atteso che nel tempo vi sono stati l'incontro col marito, il matrimonio, la nascita di due figli, brevi e saltuarie esperienze lavorative, nell'assenza di qualsivoglia successiva anomalia comportamentale, di disturbi dell'umore e di altri episodi di ricovero o visite specialistiche, tanto che diverse testimonianze descrivono l'imputata come una madre attenta ai problemi dei figli, partecipe e presente. Quanto all'osservazione psichiatrica durante il periodo carcerario, nel corso della quale e' stata effettuata la diagnosi "disturbo di personalita' NAS", i giudici di merito, sulla scorta delle argomentazioni sviluppate dai periti nel contraddittorio, hanno evidenziato, senza che il ricorso svolga critiche specifiche sul punto, che l'osservazione clinica della paziente non aveva permesso di riconoscere le caratteristiche di pervasivita', di durata nel tempo e di compromissione del funzionamento psico-socio-lavorativo, tali da configurare un disturbo di personalita', anche in considerazione della documentata capacita' simulatoria dell'imputata. Risultano percio' generiche le doglianze difensive che non si confrontano con tale logica argomentazione dei giudici di merito che, valorizzando il comportamento manipolatorio posto in essere proprio durante l'effettuazione della perizia, hanno concluso per l'assenza di significativita' della diagnosi effettuata in sede di osservazione psichiatrica inframuraria in quanto strettamente connessa con il ridetto intento manipolatorio dell'imputata. 5.1.5. Con riguardo alla censura relativa ai dati della risonanza magnetica strutturale e funzionale, che evidenzierebbe anomalie nel funzionamento del cervello - anomalie che sarebbero sempre presenti nei disturbi di tipo psichiatrico e che darebbero contezza anche della presunta amnesia dissociativa retrograda -, i giudici di merito hanno evidenziato che i periti, senza essere contraddetti sul punto dalla difesa, hanno escluso l'atrofia dell'ippocampo di destra, emergendo soltanto una riduzione della cognitivita' funzionale di un'area completamente diversa rispetto a quella capace di incidere sul dato mnestico. Del resto, si e' precisato che non esistono elementi per inferire, dall'esistenza di un dato di tipo nEurologico, l'esistenza di una condizione morbosa, facendo riferimento ad uno studio scientifico della "American Psichiatric Association 2012", secondo cui la neuro immagine non e' raccomandata da nessuna linea guida per la diagnosi di un qualsiasi disordine psichiatrico. Tale conclusiva argomentazione viene assertivamente contestata nel ricorso che, anche su questo punto, e' inammissibile. 5.1.6. Ma cio' che, in ogni caso, assume carattere decisivo - tanto che possono essere tralasciate le ulteriori e inammissibili critiche sviluppate in modo generico nel ricorso -, attiene alla "prova di resistenza" che i giudici di merito e i periti hanno positivamente compiuto. Si e', infatti, precisato che "anche nell'ipotesi che il descritto quadro di personalita' fosse definito in termini di "disturbo di personalita'", e' del tutto evidente che non di "grave disturbo di personalita'" si tratta, usando questa aggettivazione tanto in senso clinico quanto in quello medico-legale, con riferimento cioe' alla ben nota sentenza Cass. Pen. Sez. Un. 25 gennaio 2005, n. 9163. Nessun dubbio puo' esservi cioe' che i rilevati tratti di personalita' - da soli considerati - non interferiscano con la capacita' di sintonia cognitiva con la realta', di comprensione dei fatti e anche di adeguamento funzionale dei suoi comportamenti ai propri interessi, come anche il comportamento difensivo mantenuto in corso di perizia dimostra". In effetti, si e' evidenziato che "preso atto della qualita' cognitiva della perizianda - valutata tanto clinicamente quanto attraverso il QI - del suo assetto psichico, riteniamo che nessun dubbio possa essere sollevato sul fatto che ella abbia - ed avesse al momento dei fatti - capacita' utili ad intendere un reato del tipo di quello contestato. Nessun dubbio perche' le qualita' intellettive della ( (OMISSIS)) (OMISSIS) sono piu' che sufficienti in tal senso, perche' adeguate sono le funzioni di previsione, prospettazione e analisi, perche' e' in grado di rendersi conto della portata e delle conseguenze delle scelte, di comprendere l'eventuale dimensione antigiuridica della condotta come pure che dalla violazione di norme possa derivare una sanzione penale. In altre parole, ella ha certamente qualita' intellettive sufficienti a comprendere portata e gravita' del reato di cui e' accusata, puo' percepire adeguatamente peso e riflessi degli atti addebitati. Non traspare poi alcun disturbo del contatto con la realta', nessun disturbo ideativo o percettivo (deliri, dispercezioni, trasfigurazioni della realta' su base psicopatologica) in grado di interferire sulla sua capacita' di intendere, ne' con riferimento all'attualita' e neppure all'epoca dei fatti. Nulla ancora puo' dirsi, di psicopatologico, sulla capacita' di volere, se non che emerge una certa dose di impulsivita', di labilita' emotiva, peraltro poco significativa sul piano clinico. In linea generale nulla che testimoni incapacita' di controllo pulsionale, come il lungo periodo di osservazione detentiva - trascorso in un contesto ambientale peraltro difficile - dimostra. In specie non emergono irregolarita' del comportamento su base impulsiva o violenta". Si e', inoltre, chiarito che "puo' egualmente escludersi che la sig.ra ( (OMISSIS)) (OMISSIS) presenti un disturbo della personalita' cosi' grave da costituire di per se' infermita' rilevante ex articoli 88 e 89 c.p. Questa nostra affermazione non sta a significare che riteniamo irrilevante nel bilancio psicologico individuale i descritti disarmonici "tratti" di personalita'. Gli aspetti di personalita' - per tutti influiscono con le possibilita' di scelta, con la qualita' di risposta al contesto ambientale; cio' che intendiamo ribadire e' che nel caso di specie i rilevati "tratti" di personalita' non producono apprezzabile interferenza con la sintonia cognitiva con la realta', non le impediscono di comprendere la portata dei suoi gesti e le conseguenze - anche giuridiche - che ne possono derivare". In proposito, il motivo di ricorso e' meramente assertivo laddove si limita a denunciare la mancanza della motivazione ovvero a evidenziare: - l'esistenza di stati dissociativi, in realta' mai documentati ed anzi esclusi; - deficit di funzionamento sociale che risulta invece escluso dai periti e dai testimoni che hanno descritto l'imputata come una persona socialmente inserita e una madre amorevole, risultando limitata al giudizio di inidoneita' genitoriale peraltro formulato dopo l'omicidio - la consulenza effettuata nel procedimento minorile di affidamento del figlio superstite; - molteplici alterazioni della struttura e della funzionalita' cerebrale che, invece, sono state escluse non solo dai periti, ma anche dagli stessi consulenti della difesa che, pur rilevando delle anomalie dal referto della risonanza magnetica, non le hanno mai qualificate come rilevanti o gravi. Del resto, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi espressi da Sez. U Raso (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raao, Rv. 230317), secondo la quale: "ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalita'", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermita'", purche' siano di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilita', deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalita' che non presentino i caratteri sopra indicati, nonche' agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro piu' ampio di "infermita'"", evidenziando, senza essere smentiti dal ricorso, che tutti gli esperti (d'ufficio o di parte) hanno escluso la sussistenza di un collegamento eziologico tra la condizione psicologica dell'imputata e la condotta posta in essere. In particolare, i giudici di merito hanno concordemente accertato, senza che il ricorso prospetti critiche concrete e specifiche, che la condizione psicologica dell'imputata non ha determinato in concreto una situazione psichica tale da impedire all'imputata di gestire le proprie azioni e di non percepire il disvalore delle proprie azioni (sulla questione, si veda, in particolare: Sez. 1, n. 14808 del 04/04/2012, Chiodini, Rv. 252289). 5.2. E' inammissibile anche il quarto (numerato III) motivo di ricorso sulla errata valutazione e interpretazione delle dichiarazioni dell'imputata, sotto il profilo che le diverse versioni fornite costituirebbero l'indicazione del dedotto vizio di mente, mentre erroneamente sono state ritenute indicative di una deliberata e dolosa strategia manipolatoria e falsificatrice della realta', finalizzata a sottrarsi dalle proprie responsabilita'. 5.2.1. Va, anzitutto, chiarito che, diversamente da quanto asserito nel ricorso che omette completamente di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, il perito Prof. (OMISSIS) non ha asseverato la prospettata ipotesi dell'amnesia dissociativa retrograda, atteso che lo stesso si e' limitato ad affermarne la plausibilita' in linea astratta senza, tuttavia, ravvisarne la sussistenza in concreto, come pure precisato dal Prof. (OMISSIS). La Corte di secondo grado ha precisato, senza che il ricorso si confronti con tale specifico aspetto, che la prima versione dei fatti fornita dall'imputata non puo' in alcun modo ritenersi frutto dell'asserita amnesia dissociativa, non soltanto per le sopra richiamate considerazioni, ma altresi' in ragione delle plurime e precise circostanze gia' esposte a proposito della ricostruzione dei fatti. Ad avviso di entrambi i giudici di merito le diverse, contraddittorie, contrastanti tra di loro, versioni dei fatti rese dalla imputata non sono in alcun modo riconducibili ad alcun disturbo o disfunzionamento cerebrale, del quale comunque non vi e' alcuna evidenza scientifica e oggettiva, ma costituiscono piuttosto i tasselli di una deliberata e dolosa strategia manipolatoria e falsificatrice della realta', in un'ottica di adeguamento progressivo della propria linea difensiva alle diverse emergenze procedimentali che via via si sono succedute. In particolare, la Corte territoriale ha affermato che la prima versione dei fatti fornita dall'imputata non puo' ritenersi frutto dell'asserita amnesia dissociativa atteso che, non soltanto le suddette osservazioni di carattere scientifico, ma altresi' plurime e precise circostanze di fatto non consentono di asseverare detta ipotesi: la condotta posta in essere dalla imputata subito dopo l'omicidio del figlio risulta lucidamente finalizzata al depistaggio delle indagini che sarebbero inevitabilmente seguite una volta scoperta la morte del bambino, con la immediata risoluzione di disfarsi del cadavere del figlio buttandolo in un canalone in una contrada periferica, con la simulazione di una violenza sessuale ai danni del piccolo (il corpo e' stato rinvenuto con i pantaloni abbassati e senza mutandine), con il disfacimento degli oggetti adoperati per commettere il delitto o comunque a esso riconducibili (fascetta, forbici, mutandine e zaino) e con la successiva partecipazione all'evento culinario. Secondo la logica valutazione dei giudici di merito, la condotta complessivamente considerata dimostra che l'imputata non versava in stato confusionale, come la stessa in seguito ha cercato di far credere, ma che, al contrario, era perfettamente cosciente e orientata nell'attivita' di eliminazione delle tracce del commesso reato e di depistaggio delle indagini, mentre le censure difensive risultano sul punto generiche e confutative perche' si limitano a prospettare una diversa valutazione di detti elementi di fatto. Del resto, i giudici di merito hanno evidenziato che i periti hanno confermato che gli elementi fattuali relativi alla condotta anteriore e successiva al delitto rendono altamente improbabile l'ipotesi dello scompenso psicotico transitorio o temporaneo, evidenziando, al contrario, l'adeguatezza al senso di realta', la consapevolezza dell'agire e la finalizzazione critica dei comportamenti. Anche il comportamento tenuto dall'imputata quando si e' recata presso l'istituto scolastico per prelevare il figlio e' stato logicamente valutato quale condotta di dissimulazione del delitto, valorizzandosi in proposito le sintoniche valutazioni delle persone presenti; i giudici di merito hanno evidenziato, senza che il ricorso sviluppi critiche specifiche, che: (OMISSIS) ha riferito di essere rimasta sorpresa dalla reazione dell'imputata che, nel momento in cui apprendeva la notizia dell'assenza del figlio, gia' voleva accreditare l'ipotesi del rapimento tanto che immediatamente esclamava: "Chi l'ha preso- Chi l'ha preso mio figlio"; (OMISSIS), la quale aveva erroneamente affermato di avere visto il bambino, si sentiva distrattamente rispondere da ( (OMISSIS)) (OMISSIS) che, invece, avrebbe dovuto essere particolarmente interessata ad approfondire l'affermazione (rivelatasi erronea) dell'esistenza in vita del figlio, se avesse effettivamente voluto ritrovarlo e avesse effettivamente dimenticato di averlo ucciso. Non puo' omettersi di considerare, anche perche' il ricorso e' generico sul punto, che l'imputata ha poi mutato la propria inziale versione dei fatti, ammettendo (seconda versione) di non avere accompagnato il figlio a scuola, descrivendo la morte del figlio nei termini di un'azione posta in essere da ignoti mentre essa si trovava in casa, quando oramai la falsita' delle prime dichiarazioni risultava inconfutabilmente acclarata sulla scorta delle risultanze emergenti dalle indagini svolte e, in particolare, dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza pubblica e privata allocati nel comune. Anche tale versione dell'accaduto si e' comunque rivelata assolutamente non rispondente al vero, come del resto il ricorso non contesta, perche' smentita dagli esiti delle indagini volte ad accertarne la credibilita', sicche' anche in forza di cio' i giudici di merito hanno ragionevolmente escluso la tesi dell'amnesia conseguente a un meccanismo di rimozione dell'accaduto. Come si e' visto, anche l'ultima versione (terza versione) fornita dall'imputata, con la chiamata in correita' del suocero, risulta l'ennesimo tentativo di manipolazione attraverso una artata rappresentazione della realta' perche' il narrato di ( (OMISSIS)) (OMISSIS) risulta smentito da molteplici elementi. In conclusione, ad avviso dei giudici di merito, la cui valutazione e criticata solo assertivamente dal ricorso, l'imputata: - soltanto dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, che scoperchiava l'intero panorama accusatorio da cui risultava palese la falsita' dell'iniziale versione, ha ammesso che il figlio era rientrato a casa quella mattina senza andare a scuola; - soltanto dopo la precisa ricostruzione dei suoi spostamenti a mezzo delle immagini videoriprese dai sistemi di sicurezza pubblici e privati, ha ammesso di essere stata impotente spettatrice dell'omicidio commesso da ignoti davanti ai suoi occhi; - soltanto nel gennaio 2016, successivamente al conferimento dell'incarico ai periti psichiatri, ha simulato lo stato di pazzia davanti al Pubblico ministero e ai medici del carcere; - soltanto nel febbraio del 2016 ha fornito la calunniosa versione secondo cui l'omicidio del bambino e' stato commesso dal suocero al fine di impedirgli di rivelare al padre la relazione incestuosa, cercando di accreditare la versione che essa si sarebbe limitata a bloccare i polsi del figlio; con cio', oltre ad avere consapevolmente mutato piu' volte versione dei fatti (non soltanto in ordine all'evento, ma altresi' in relazione al tragitto in automobile percorso quella mattina e ad una pluralita' di circostanze determinanti per la ricostruzione dei fatti: accompagnamento a scuola; doppio passaggio per gettare l'immondizia nei pressi del luogo di ritrovamento del cadavere), non ha esitato a gettare sospetti nei confronti di (OMISSIS) e dei suoi familiari e di (OMISSIS), compagna del suocero, e giungendo financo ad accusare ingiustamente il suocero dell'omicidio. 6. E' inammissibile anche il motivo sulle circostanze attenuanti generiche (undicesimo motivo, numerato X). Il motivo di ricorso, che denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione per quello che riguarda la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, deve essere dichiarato inammissibile in quanto il giudice di merito, che non era affatto tenuto a valutare d'ufficio la concessione di dette attenuanti (l'applicazione della norma necessita di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che e' da escludersi l'esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un "aspetto" del fatto o della personalita' risultante dagli atti del giudizio; tra le molte: Sez. VI 28.5.1999 n. 8668), non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato, anche ai fini dell'articolo 133 c.p., le caratteristiche del fatto e la personalita' del soggetto. Dal complesso della motivazione, in ogni caso, emergono motivate valutazioni negative in ordine alla personalita' dell'imputata. La Corte di merito, con motivazione ampia, congruente, logica e non contraddittoria, ha esposto gli elementi in forza dei quali ha esercitato i propri poteri di quantificazione della pena. E', in particolare, inammissibile perche' risolventesi in censure su valutazioni di merito, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimita', il motivo di ricorso concernente la misura della pena giacche' la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice, si sottrae a ogni sindacato per avere adeguatamente valorizzato la gravita' della condotta - elemento sicuramente rilevante ai sensi dell'articolo 133 c.p. - nonche' per le connotazioni di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell'apprezzamento della gravita' dei fatti. 7. All'inammissibilita' del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00. 7.1. L'imputata va condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e ( (OMISSIS)) (OMISSIS) ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata con separato decreto dal giudice di merito a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato. La medesima va altresi' condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ( (OMISSIS)) (OMISSIS) che si liquidano come indicato nel dispositivo, tenuto conto dello sforzo defensionale profuso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e ( (OMISSIS)) (OMISSIS) ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte d'Assise d'appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83 disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato. Condanna, altresi', (OMISSIS) ( (OMISSIS)) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ( (OMISSIS)) (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4.500, oltre il 15% per spese generali, CPA e IVA come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.

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