Sentenze recenti canna fumaria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 5570 del 2019, proposto da Mi. Mo., Fe. Mo., rappresentati e difesi dall'avvocato Or. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Fr. Ga., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ca. e Ma. An. Ro. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pa. Bo. in Roma, via (...); Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Ma. Mo., An. Mi., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata Sezione Prima, 5 gennaio 2019, n. 14, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Fr. Ga.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza pubblica straordinaria del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, il signor Mi. Mo. chiede la riforma della sentenza, meglio indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dal signor Fr. Ga. per l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis), di revoca della SCIA da questi presentata per l'installazione di una canna fumaria a servizio dell'appartamento di sua proprietà . 1.1. In fatto, come si evince dalla motivazione della sentenza appellata, occorre precisare che il signor Fr. Ga. ha presentato una SCIA al Comune di (omissis) per l'utilizzo del camino, con funzione anche di caldaia, con la installazione di una canna fumaria su una parete finestrata dell'edificio, dalla quota di 1,50 m. del piano di calpestio dell'appartamento di sua proprietà e fino all'altezza di 3 m. dal lastrico solare. Nella segnalazione si attestava che tali opere edilizie erano state autorizzate dalla maggioranza dell'assemblea condominiale. 1.2. In data 10 ottobre 2016, il Sig. Sa. Er. Mo., proprietario dell'appartamento sito al secondo piano, chiedeva la sospensione e/o revoca della predetta SCIA per la parte relativa alla canna fumaria. 1.3. Il Comune di (omissis), con nota del 25 ottobre 2016, comunicava al Sig. Fr. Ga. l'avvio del procedimento di autotutela. Con provvedimento del 20 dicembre 2016, il responsabile dell'Area Tecnica del Comune di (omissis) revocava la suindicata SCIA, presentata il 10 ottobre 2016, stante la mancata produzione di un idoneo titolo di proprietà da parte del sig. Fr. Ga.. 1.4. Questi ha impugnato il predetto provvedimento con ricorso innanzi al T.a.r. per la Basilicata, che - nella resistenza dei Signori Mi. e Fe. Mo., eredi del Sig. Sa. Er. Mo., i quali facevano rilevare di voler realizzare un ascensore esterno per accedere al loro appartamento, sito al (omissis) piano, realizzabile esclusivamente sul lato del fabbricato, lungo la verticale occupata dalla canna fumaria - lo ha accolto nei termini sopra accennati. 1.5. In particolare, l'accoglimento è basato sulla mancata prova da parte dei Sig.ri Mo. che l'ascensore potesse essere realizzato esclusivamente all'esterno dell'immobile condominiale e proprio lungo il tratto in cui era stata installata la canna fumaria, nella considerazione che la canna fumaria risultava necessaria per il riscaldamento dell'appartamento del signor Ga. (dal momento che nell'edificio condominiale la caldaia centralizzata era stata disattivata). 2. La sentenza, dopo aver disposto una verificazione della situazione esistente tra le diverse proprietà, ha applicato alla fattispecie l'art. 840, comma 2 del codice civile (ai sensi del quale "il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgono a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle"), sull'assunto che l'interesse dei signori Mo. a installare un ascensore, data la situazione dei luoghi, non poteva essere soddisfatto. Pertanto, ai sensi dell'art. 840, gli eredi Mo. non avrebbero dimostrato che la installazione della canna fumaria arrecasse pregiudizio ai loro interessi. 3. I Sig.ri Mo., rimasti soccombenti, hanno proposto appello, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed essenzialmente reiterando le argomentazioni già svolte in primo grado, previa critica della sentenza di cui chiedono la riforma. 4. Resiste in giudizio il Sig. Fr. Ga., che propone anche appello incidentale. 5. All'udienza del 7 febbraio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Con il primo motivo, gli appellanti criticano la sentenza per aver deciso nel merito la controversia, non rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Nel caso di specie verrebbero in rilievo questioni attinenti all'esistenza o ai limiti del diritto di proprietà (presupposto della disponibilità del bene), la cui cognizione spetta al giudice ordinario, unico deputato a dirimere le controversie tra privati. 6.1. Il motivo è infondato, alla luce dell'art. 8 del codice del processo amministrativo, il quale - (anche) nelle materie estranee alla giurisdizione esclusiva - attribuisce al giudice amministrativo la cognizione incidentale "di tutte le questioni pregiudiziali e incidentali relative a diritti", senza efficacia di giudicato, non essendo precluso, pertanto, e anzi dovendo ritenersi doveroso per il giudice esaminare e risolvere tutte le questioni preliminari (salvo quelle espressamente riservate al giudice ordinario ai sensi del secondo comma dell'art. 8 cit.), anche se queste investono diritti. 6.2. Inoltre, la circostanza che la controversia abbia per oggetto la materia edilizia e quindi rientri nella giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133, comma 1, lettera f), del codice del processo amministrativo, non revoca in dubbio tale soluzione poiché, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (per tutte si veda Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2004, n. 367), anche in tale ambito si impone la distinzione tra le situazioni giuridiche fatte valere n giudizio. Nel caso di specie, la situazione giuridica del ricorrente in primo grado ha consistenza di interesse legittimo pretensivo, mentre il diritto di proprietà costituisce solo il presupposto di tale interesse. Di conseguenza anche i poteri di cognizione del giudice vanno calibrati su tale situazione giuridica, venendo in considerazione, per quel che rileva nella specie, l'art. 8 sopra richiamato. Nel caso di specie, il primo giudice si è conformato a tali regole processuali. 7. Con il secondo motivo, l'appellante denuncia l'ingiustizia della sentenza per aver erroneamente valutato gli elementi di prova (perizia) con i quali gli appellanti hanno dimostrato che l'ascensore e/o montacarichi poteva essere realizzato esclusivamente all'esterno dell'edificio condominiale e soltanto nel punto dov'era stata installata la canna fumaria (nella perizia si afferma che "la porzione di parete ovest dell'edificio, della larghezza di mt 4,50, dove attualmente insiste la canna fumaria eseguita da terzi, è l'unica parete utilizzabile per la costruzione in aderenza di eventuali manufatti in ampliamento a servizio delle unità immobiliari di proprietà Mo. (posto che) risulta essere l'unica parete cieca, senza aggetti, finestre e balconi"). Per cui l'interesse ex art. 840 c.c. sussisterebbe. 8. Il motivo è fondato, posto che il giudice di prime cure sembra aver letto male la situazione dei luoghi. 8.1. La canna fumaria installata, come si evince dalla documentazione tecnica e fotografica versata in giudizio, attraversa l'intera parete del secondo piano (di proprietà dei signori Mo.) e quindi impedisce a questi ultimi di installare l'ascensore o montacarichi per collegare la unità immobiliare dell'edificio condominiale in discorso, di loro proprietà, sita al piano terra, adibita ad attività commerciale, e quella del secondo piano, sempre di loro proprietà . 9. Peraltro, è fondato anche l'appello incidentale con il quale il signor Ga. critica la sentenza per i motivi non accolti, e ripropone la violazione dell'art. 21-nonies, posto che la dichiarazione di inefficacia della SCIA e l'adozione del provvedimento inibitorio sono intervenuti una volta decorsi i 60 gg. di cui all'art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990. Non sarebbe pertanto condivisibile la motivazione del T.a.r., incentrata sul fatto che il procedimento per la inibizione degli effetti della segnalazione certificata sia stato iniziato quando ancora i 60 gg non erano decorsi. 9.1. L'art. 19, commi 3, 4 e 6-bis, della legge n. 241 del 1990 prevedono che, una volta decorso il termine perentorio, l'esercizio dei poteri spettanti all'amministrazione in ordine alla SCIA presentata (conformativi, inibitori e repressivi) è subordinato ai medesimi presupposti dell'annullamento d'ufficio disciplinato dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (in particolare l'art. 19, comma 4, della legge generale sul procedimento, come sostituito dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015, dispone che "(d)ecorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies"), In altri termini, secondo la norma, dopo il decorso del termine perentorio per l'esercizio dei poteri inibitori dell'attività, per l'esercizio dell'autotutela debbono ricorrere - ed emergere dalla motivazione del provvedimento - tutti i presupposti delineati sia dall'art. 21-nonies. 9.2. La giurisprudenza formatasi sulla questione ha puntualizzato che, anche dopo la scadenza del termine per l'esercizio dei poteri inibitori degli effetti della SCIA, l'amministrazione competente conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo; si tratta di un potere che non si attua mediante un provvedimento di secondo grado in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti ex lege dalla presentazione della SCIA ed eventualmente dal trascorrere di un determinato periodo di tempo, e che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento (Cons. Stato. Sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717; sez. II, 4 febbraio 2022, n. 782). Scaduto il termine per l'esercizio dei poteri inibitori, l'amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività e ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono in concreto i presupposti per l'autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico (ex multis Cons Stato, sez. VII, 27 settembre 2023, n. 8553). 9.3. Pertanto, la sentenza va certamente riformata per non aver tenuto conto dei principi sopra rammentati, i quali - com'è di tutta evidenza - non possono essere superati dalla considerazione che il procedimento ex art. 21-nonies sia stato avviato dall'amministrazione quando ancora il termine dei sessanta giorni per l'adozione di provvedimenti inibitori non era trascorso. Nel caso di specie, come si è visto, il Comune ha disposto l'interdizione quando era decorso il termine perentorio di cui al sopra citato art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, con la conseguente illegittimità del provvedimento. 9.4. L'accoglimento dell'appello incidentale per il motivo scrutinato, la conseguente riforma della sentenza e l'accoglimento del ricorso di primo grado, sono ragioni assorbenti anche di ogni ulteriore questione posta dall'appello principale, che pertanto -quanto alle censure non esaminate - va dichiarato improcedibile per il sopravvenuto difetto di interesse, considerato che l'eventuale accoglimento di dette censure non produrrebbe alcun vantaggio per l'appellante. 9.5. Va nondimeno precisato, sul piano conformativo della successiva azione amministrativa, che il Comune di (omissis) - a seguito dell'annullamento del provvedimento del 20 dicembre 2016, con il quale il responsabile del servizio ha dichiarato l'inefficacia della SCIA - è comunque tenuto a valutare se ancora sussistano le condizioni previste dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 per la rimozione dell'accertata illegittimità del titolo edilizio formatosi ex lege, per effetto della SCIA presentata dal signor Ga.. 10. Le spese per il doppio grado del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti in ragione della virtuale soccombenza reciproca. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie entrambi, nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato. Compensa tra le parti le spese giudiziali per il doppio grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Alessandro Enrico Basilico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8708 del 2023, proposto dalla ditta Tr. Fa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Ri. e Ci. Fo., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Sa. Co. in Roma, viale (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ne., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; nei confronti dei signori Ci. Im., Gi. Mo., dell'Azienda sanitaria locale di Caserta, non costituiti in giudizio; del Condominio "A", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Co., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, n. 5166 del 20 settembre 2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del Condominio "A"; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il consigliere Emanuela Loria; Uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è costituito dal provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 18954 del 5 aprile 2022 con il quale l'amministrazione, a seguito di un sopralluogo svoltosi il 24 febbraio 2022, ha disposto nei confronti della società appellante l'interdizione del convogliamento dei fumi delle cucine nelle bocchette/griglie di evacuazione che, ai sensi del richiamato art. 30 del Regolamento comunale, dovranno essere canalizzati in apposite canne fumarie nonché dall'art. 30 del Regolamento edilizio comunale e relative Norme di attuazione approvato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 359 del 12 luglio 1994 del quale l'appellante, chiede, la disapplicazione. 2. In punto di fatto si rileva che: a) l'appellante gestisce un'attività di ristorazione in un locale commerciale in locazione nel condominio di Viale (omissis) - Via (omissis) nel Comune di (omissis); b) i condomini signori Ci. Im. e Gi. Mo. hanno presentato al Comune un'istanza diffida al dirigente dell'Area tecnica del Comune di (omissis) affinché adottasse "ogni attività opportuna e necessaria alla rimozione della Griglia/bocchetta utilizzata dalla società Tr. Fa. in violazione dell'art. 30 del Regolamento edilizio comunale". 3. Con il ricorso di primo grado la società ha proposto due motivi di illegittimità dei provvedimenti impugnati deducendo: 1) Violazione di legge (artt. 271 e 272 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; e delle deliberazioni della Giunta regionale Campania n. 243 dell'8 maggio 2015 e n. 465 del 18 luglio 2017); 2) Eccesso di potere per sviamento, errore di fatto, difetto di istruttoria, difetto di interesse pubblico, ingiustizia manifesta e ingiustificata disparità di trattamento. 4. Con sentenza n. 5166 del 20 settembre 2023, il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, ha disposto una verificazione con la quale ha chiesto alla Regione Campania DG Tutela Salute e Coordinamento Sistema Sanitario Regionale, chiedendo all'organo verificatore: "- di verificare il corretto funzionamento dell'impianto a carboni attivi impiegato dalla ricorrente e gli interventi di manutenzione sino ad oggi effettuati; - effettuare più di un sopralluogo, di cui uno almeno il fine settimana, quando l'attività è a regime; - verificare la compatibilità dell'impianto alla luce di quanto previsto con le norme tecniche comunitarie (tra le quali, UNI 7139, UNI 7129 -3, ove applicabili); - verificare la compatibilità ed il corretto funzionamento dell'impianto posto a servizio dei due forni a gas, con griglia di espulsione su Via (omissis); - verificare le distanze tra le griglie di espulsione poste su viale (omissis) e Via (omissis), a servizio della cucina e dei due forni a gas, e le finestre dei balconi sovrastanti". 4.1. La Regione Campania, con nota del 9 settembre 2022, ha comunicato che le valutazioni demandatele sono di competenza dell'ARPA Campania, ente al quale ha trasmesso l'ordinanza emessa dal primo giudice. 4.1. Il T.a.r. ha conseguentemente disposto una nuova verificazione incaricando l'ARPA di valutare nello specifico "se l'esercizio di ristorazione de quo possa effettivamente utilizzare per l'espulsione dell'aria dalle cucine, in alternativa alle canne fumarie, altri strumenti o apparati tecnologici aspiranti / filtranti per lo smaltimento dei fumi (nello specifico, filtri a carboni attivi), la cui idoneità, quanto al grado di abbattimento del livello di emissione inquinanti (dovendosi evitare, altresì, che l'aria esausta, fumi e odori si propaghino ai piani superiori), è parimenti da accertarsi secondo la normativa vigente in materia e lo specifico contesto territoriale ed, in concreto, mediante apposito sopralluogo in loco, all'uopo relazionando, in ordine agli esiti dell'attività svolta, a questo tribunale". 4.2. L'ARPA ha depositato apposita relazione il 24 gennaio 2023, con la quale ha rappresentato, tra l'altro, relativamente agli odori, "che, al momento, non esistono strumenti o apparati tecnologici aspiranti/filtranti in grado di azzerare completamente l'impatto odorigeno presso i ricettori più vicini, in quanto, come noto dalla letteratura tecnica, molte delle sostanze sopra citate presentano dei valori di soglia olfattiva (minima concentrazione alla quale una sostanza viene percepita dall'olfatto) estremamente bassi, talvolta anche inferiori ai limiti di rilevabilità strumentali e, per tale ragione, rilevabili, secondo la succitata norma UNI EN 13725_2022, solo mediante l'utilizzo di panel test con rinoanalisti" e, all'atto del sopralluogo, che "è stata verificata la presenza dei carboni attivi ed il loro corretto posizionamento; dalla documentazione acquisita si evince che la sostituzione dei carboni attivi avviene con cadenza adeguata di circa quattro mesi". 4.2.1. In relazione al quesito concernente la verifica di distanze, confini, ecc. l'ARPA ha fatto presente che non rientra fra le competenze/attività, ma ricade prevalentemente in ambiti tecnico/urbanistico ed igienico/sanitario. 4.2.2. Inoltre, in relazione al quesito relativo alla conformità alla norma UNI 7129-3 dell'impianto, l'ARPA ha rilevato come l'applicabilità della norma la cui cogenza è sancita ex art. 5, comma 9, del d.P.R. n. 412 del 1993 sia circoscritta agli impianti termici. 5. La sentenza impugnata ha argomentato in ordine al fatto che risulterebbe, in via assorbente, indimostrata allo stato e a prescindere dalla normativa di matrice comunitaria applicabile, l'efficacia degli impianti alternativi installati ai fini della riduzione e/o abbattimento e della inibizione alla propagazione dell'aria esausta (fumi e odori) all'esterno e ai piani superiori, dovendo quindi gli stessi essere incanalati in canne fumarie, come disposto dall'art. 30 del R.E.C. e, in base a tale rilievo, ha respinto il gravame. 6. Con l'appello in esame la ditta ha articolato tre motivi con i quali ha dedotto: 1) Violazione degli artt. 271 e 272 D.lgs. 3.4.2006 n. 152 in relazione alle Delibere G.R. Campania n. 243 dell'8.5.2015 e n. 465 del 18.7.2017 - Violazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova - Vizio della motivazione. La sentenza risulterebbe erronea giacché l'impianto in esame, attesa la sua natura, produce emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico e pertanto non è assoggettato a preventiva autorizzazione sicché potrebbe essere vietato soltanto se l'Amministrazione accerti e provi che esso produca un non tollerabile inquinamento, che nel caso in esame, l'ARPAC non ha rilevato. Il Regolamento comunale risale al 1974 e non è applicabile poiché è stato emanato in epoca in cui la tecnologia non aveva ancora realizzato adeguati sistemi di smaltimento ed è in contrasto con le richiamate disposizioni di legge e con le richiamate delibere regionali. 2) Violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c. civ. L'impianto, sulla base delle esposte ragioni, non era sottoposto a preventiva autorizzazione sicché era l'Amministrazione a avere l'onere di provare la presenza di emissioni inquinanti non tollerabili. 3) Ulteriore violazione dell'art. 2697 c. civ. - Ulteriore vizio della motivazione. La sentenza inoltre pretenderebbe una prova impossibile da parte dell'interessata poiché pretenderebbe che sia data la dimostrazione che l'aria proveniente dall'impianto di assorbimento in uso si attesta entro un preciso range normativamente fissato, che, tuttavia, non esiste. L'accertamento sulla tollerabilità delle emissioni olfattive esulerebbe dalla giurisdizione amministrativa per essere rimesso all'accertamento del giudice civile. 7. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis) e il Condominio "A", insistendo per il rigetto dell'appello, la conferma della sentenza di primo grado e la necessità che l'esercizio di ristorazione si doti di apposita canna fumaria con sbocco ad almeno 1 m. al di sopra del tetto dell'edificio. 8. Con ordinanza n. 4633 del 2023 la domanda cautelare è stata respinta al fine di rinviare alla più appropriata sede di merito le questioni sottoposte al Collegio. 9. Alla pubblica udienza del 29 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione sugli scritti. 10. L'appello è fondato. 11. In particolare risulta fondato il primo motivo d'appello. Esaminando nel loro complesso le condivisibili argomentazioni e le conclusioni a cui è pervenuta la Relazione di verificazione disposta in primo grado, si rileva che: a) l'attività in questione, ai sensi dell'art. 272, comma 1 del d.lgs. 152/06 e ss.mm.ii. non è sottoposto ad autorizzazione poiché dal punto di vista atmosferico (e quindi ambientale) le emissioni prodotte dall'attività sono scarsamente rilevanti; b) la previsione normativa è corroborata dalla circolare esplicativa della Regione Campania prot. 0102502 del 10 febbraio 2012 in base alla quale le medesime attività non sono sottoposte ad autorizzazione alle emissioni in atmosfera e non hanno obbligo di presentare la comunicazione di messa in esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività ; c) l'art. 30 del regolamento edilizio comunale (oggetto dell'impugnativa), è comunque risalente nel tempo, e non contempla esattamente l'ipotesi dei vapori e dei fumi delle attività di ristorazione laddove prevede che "i camini degli impianti artigianali e industriali debbono essere muniti di apparecchiature fumivore (...) idonee a evitare l'inquinamento atmosferico"; d) non sono applicabili le norme tecniche sulle caratteristiche costruttive e funzionali degli apparecchi ad accumulazione di acqua calda funzionanti a gas - UNI 7139-1973 - né la norma UNI 7129-2015 che fissa i criteri di evacuazione dei prodotti della combustione e la parte 3 punto 4.1. della UNI 7129-2015, che si riferisce ai vapori di cottura, fornisce soltanto brevi indicazioni circa il loro convogliamento, che può essere effettuato, quando non vi sono camini, "a mezzo di esalazione diretta a mezzo di apertura di evacuazione, senza riportare alcun riferimento alle distanze"; e) in sede di sopralluogo l'ARPA ha verificato che il locale ha griglia di espulsione su via (omissis) e convoglia verso l'esterno i fumi di cottura previo passaggio terminale posto nel celino del piano superiore. All'atto del sopralluogo è stata verificata la presenza dei carboni attivi ed il loro corretto posizionamento; dalla documentazione acquisita si evince che la sostituzione dei carboni attivi avviene con cadenza adeguata di circa quattro mesi. 11.1. Il Collegio, nel condividere le conclusioni in termini di interpretazione normativa a cui si richiama la Relazione evidenzia che, così stando le cose e non essendo classificabili come inquinanti i fumi e gli odori derivanti dall'attività del locale, l'impatto odorigeno e la sua propagazione verso l'alto e la prova della sua intollerabilità per gli abitanti del Condominio "A" attiene al tema delle immissioni e della loro tollerabilità ai sensi dell'art. 844 c.c.; con la duplice conseguenza che: i) il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario; ii) la prova - o quanto meno un principio di prova - circa la il superamento del limite di tollerabilità deve essere dato da chi lo assume ai sensi degli artt. 2697 ss. c.c. (profilo quest'ultimo sollevato con il secondo motivo d'appello, che quini è anch'esso fondato). 12. Conclusivamente, per le suindicate motivazioni ed assorbito ogni altro profilo, l'appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado. 14. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate in ragione della peculiarità del caso concreto, ad eccezione del contributo unificato che deve essere refuso all'appellante. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, con refusione all'appellante del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Oggetto DISTANZE Dott. Felice MANNA - Presidente Servitù altius non tollendi - violazione Dott. Mario BERTUZZI - Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI - Consigliere Rel. Ud. 10/10/2023 – PU Dott. Luca VARRONE - Consigliere R.G.N. 11134/2018 Dott. Danilo CHIECA - Consigliere Rep. ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A sul ricorso 11134-2018 proposto da: PASQUALE DAMIANO e MEDUGNO FRANCESCO, elettivamente domiciliati in Roma, via Ottaviano n. 9, presso lo studio dell'avvocato GIAMPIERO DI LORENZO, che li rappresenta e difende con procura speciale allegata al ricorso; - ricorrenti - contro BERGAMASCO PALMIRA in Spiniello, elettivamente domiciliata in Roma, via della Frezza n. 59, presso lo studio dell'avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI, che la rappresenta e difende con procura speciale a margine del controricorso; -controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 514/2018 della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 5 febbraio 2018; udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Troncone, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale, con ciò confermando le conclusioni di cui alla memoria depositata il 30 agosto 2023; uditi gli Avv.ti Vincenzo Di Monte (con delega orale dell’Avv. Giampiero Di Lorenzo), per parte ricorrente, ed Emilio Paolo Sandulli, per parte resistente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 17 ottobre 1994 Palmira Bergamasco, nella qualità di proprietaria di un fabbricato sito in Grottolella (AV), via Roma n. 19, evocava - dinanzi al Tribunale di Avellino - Damiano Pasquale, proprietario del fondo attiguo, deducendo che il convenuto aveva costruito sul confine parte di un fabbricato, con un forno a legna, a distanza non legale dal proprio edificio, dal quale avrebbe dovuto osservare la distanza di mt 10, essendo peraltro uno dei forni realizzati dotato di una canna fumaria generante immissioni in misura superiore alla normale tollerabilità; tanto premesso, chiedeva la condanna alla demolizione di tutte le opere erette a distanza non legale dal proprio fabbricato e/o dal confine, con rimozione dell’indicato forno in ipotesi in cui non rientrasse tra i manufatti da demolire ovvero statuire tutte le misure per evitare le immissioni moleste e nocive nella sua abitazione, oltre al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che eccepiva la inammissibilità della domanda essendo stato il fabbricato di proprietà dell’attrice realizzato in epoca successiva al proprio manufatto e in tal senso spiegava anche domanda riconvenzionale di demolizione delle opere realizzate dalla Bergamasco, il giudice adito, espletata una prima c.t.u. ed una successiva, con sentenza n.1011 del 2013, accoglieva ‘per quanto di ragione la domanda attorea’, con conseguente ordine allo stesso convenuto di abbattere tutte le opere realizzate a distanza inferiore a quella di cui all’art. 41 quinquies lett. c) legge n. 1150 del 1942, oltre al risarcimento dei danni quantificati in euro 30.000,00 con accessori, rigettata la domanda riconvenzionale, con attribuzione delle spese di lite e di c.t.u. secondo soccombenza. In virtù di gravame che veniva interposto dal Pasquale, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellata, che proponeva anche appello incidentale, svolto intervento volontario da Francesco Medugno ex art. 111 c.p.c., adesivo alle difese dell’appellante, per essere subentrato nella titolarità della res litigiosa atteso che con atto notarile del 18.01.2010 le era stata donata dalla madre la porzione di fabbricato riguardante i locali adibiti a panificio ed ospitanti anche i forni, con sentenza n. 514 del 2018, rigettava l’appello principale e accoglieva, per quanto di ragione quello incidentale, disponendo l’arretramento delle fabbriche realizzate dal Pasquale a mt. 10 dallo sporto del balcone dell’edificio di proprietà della Bergamasco e quantificava in via equitativa in euro 75.000,00, oltre accessori, il risarcimento dei danni, spese di lite secondo soccombenza. A sostegno della decisione adottata la Corte territoriale evidenziava che ai fini del dedotto principio di prevenzione della costruzione invocato dall’appellante non poteva essere dato alcun rilievo probatorio alla relazione peritale dell’arch. Giardullo, né all’avvenuto della concessione in sanatoria n. 3498 del 27.08.1998, annullata dal TAR Campania, trattandosi di provvedimento emesso a seguito di un mero atto notorio, proveniente dallo stesso richiedente. Inoltre dagli atti processuali e dalla c.t.u. il Giudice di prime cure aveva correttamente rilevato che la Bergamasco aveva iniziato a costruire, in base alla concessione edilizia n. 2301 del 17.10.1983, allorquando il Pasquale aveva già realizzato alcuni ampliamenti abusivi, come l’ampliamento del piano seminterrato per la porzione compresa tra il fabbricato assentito e il terrapieno stradale (locale indicato in atti come legnaia), ma non aveva realizzato il c.d. ingresso e il forno di servizio, come emergeva dalla sentenza n. 4265/2002 del Tar Napoli, che aveva annullato la concessione in sanatoria proprio perché le opere non potevano essere condonate perché non esistenti alla data del 1°.10.1983, nonché da altri elementi che militavano per la posteriorità di dette opere di ampliamento al maggio 1984, quali l’aerofotogrammetria del territorio comunale rilevata nel 1988, le foto dell’11.07.1988, data di consegna dei lavori di ampliamento della strada comunale S. Giovanni, epoca in cui siffatte opere erano inesistenti e lo stesso c.t.u. aveva collocato la loro edificazione in epoca posteriore al 1989. Né risultava essere stato impugnato dall’appellante principale il rigetto della domanda riconvenzionale. Alla luce della giurisprudenza di legittimità, la Corte distrettuale riteneva immediatamente applicabile il d.m. n. 1444 del 1968, che, in applicazione dell’art. 41-quinquies legge urbanistica, come modificato dall’art. 17 legge n. 765/1967, prevedeva disposizioni tassative ed inderogabili quanto alle distanze. Veniva, inoltre, riconosciuto un maggiore risarcimento dei danni sull’assunto che le fabbriche erette in violazione delle distanze legali sui distacchi avevano maggiore consistenza, riguardando anche i locali destinati all’attività di panificazione, per i quali l’originaria attrice aveva subito per più di un ventennio sgradevoli immissioni di fumi e calore. Rimanevano assorbiti i restanti motivi dell’appello principale assorbiti dall’accoglimento di quello incidentale, al pari dell’ultimo sulle spese processuali. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione il Pasquale e il Medugno, sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso la Bergamasco, contenente anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Il ricorso – previa proposta stilata dal nominato consigliere delegato - è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla Sesta Sezione civile - 2. All'esito della camera di consiglio, fissata al 16.12.2022, in vista della quale entrambe le parti curavano il deposito di memorie ex art. 380-bis c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 3305 del 2023 depositata il 03.02.2023, il procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza dinanzi alla Seconda Sezione per mancanza dell’evidenza decisoria stante la questione dell’applicabilità dell’art. 41 quinquies legge n. 1150/1942 ove accertata l’assenza di uno strumento urbanistico locale. Per la decisione sul ricorso proposto è stata, pertanto, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 10.10.2023, in vista della quale il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Troncone, ha depositato le conclusioni nel senso dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale; le parti hanno depositato ulteriori memorie ex art. 378 c.p.c. CONSIDERATO IN DIRITTO Il primo motivo di ricorso principale lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 9 D.M. n. 1444/1968 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché dell’art. 132, n. 4 c.p.c. per essere stata l’applicabilità dell’art. 9 cit. espressamente esclusa dalla Corte di cassazione con pronuncia delle Sezioni Unite n. 5889 del 1997, peraltro con motivazione del tutto inadeguata. Del resto, anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato è nel medesimo senso e la stessa Corte di appello pur richiamando una lunga serie di pronunce di legittimità che asseriscono non applicabile l’art. 9 cit. in totale assenza di regolamentazione urbanistica comunale, però poi giunge ad una conclusione diametralmente opposta, senza indicare le motivazioni che conducono a tale decisione. Il mezzo è fondato. Nella impugnata sentenza di appello, la Corte partenopea, nel ricostruire la vicenda, ha precisato che la Bergamasco aveva iniziato a costruire in base a concessione edilizia n. 2301 del 17.10.1983 (v. pag. 6 della sentenza impugnata), presumibilmente nella primavera del 1984 (v. pag. 8 della stessa decisione), allorchè – per stessa ammissione di Damiano Pasquale (v. pag. 25 del controricorso) – il Comune di Grottolella era privo di strumenti urbanistici, per essere stato il P.R.G. adottato con delibera consiliare n. 208 del 30.12.1985. La circostanza era stata acclarata dallo stesso giudice amministrativo (Tar Campania) con la sentenza n. 4265/2002, passata in giudicato dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato la perenzione degli appelli proposti, con la quale era stato accertato anche che la realizzazione di alcune delle opere da parte del ricorrente (la bottega, il forno e il disimpegno) erano stati realizzati in epoca successiva al 1989 (medesima pag. 6 della sentenza impugnata). Nella stessa sentenza di appello la Corte, però, osserva quanto al primo motivo della impugnazione incidentale con cui la Bergamasco lamenta che il primo giudice abbia erroneamente applicato l’art. 41 quinquies lett. c) della L. n. 1150/42, introdotto con l’art. 17 della L. n. 765/67, dovendo ritenersi applicabile, invece, l’art. 9 del D.M. n. 1444/68, disatteso dal primo giudice (pagina 10), che «sarebbe illogico che le prescrizioni di cui all’art. 9 d.m. cit., prevalendo anche sui regolamenti urbanistici in conflitto, ai quali si sostituisce per inserzione automatica (…), traendo la sua forza efficacia precettiva inderogabile dall’art. 41 quinquies della L. n. 1150/42, non trovassero applicazione nei casi di assenza di regolamentazione urbanistica comunale, visto che il divisato difetto di previsioni ne giustifica, a fortiori, e non certo ne esclude, l’applicabilità». Il giudice di secondo grado, cui era stato esplicitamente richiesto di dare risposta al motivo di appello incidentale in ordine alla erronea applicazione nella specie del D.M. n. 1444/68, ha completamente errato la valutazione con riferimento alla individuazione delle distanze legali applicabili nella fattispecie. Risulta dunque per tabulas che la Corte d'appello, nel motivare la decisione impugnata, non abbia doverosamente operato una adeguata, puntuale ed attenta verifica circa la corretta disamina della problematica dedotta in giudizio, individuando correttamente la normativa applicabile. E' opportuno rilevare che, secondo l'indirizzo di questa Corte, «le prescrizioni del d.m. n. 1444 del 1968 necessitano, per la loro applicazione, della previa emanazione degli strumenti urbanistici locali, con i quali i comuni individuano le zone territoriali omogenee. Una volta che i comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dall'art. 9 del citato d.m. n. 1444 del 1968, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi, questa Corte ha da tempo affermato che si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al d.m. n. 1444 del 1968 in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiori a quella minima (Cass., Sez. Un., 7 luglio 2011 n. 14953). Nella seconda ipotesi, quando cioè lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione, della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. Diversamente, la normativa introdotta dall'art. 17 della legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge-ponte), invocata dai ricorrenti, ha trovato applicazione nel periodo di vigenza - e cioè fino all'abrogazione disposta dall'art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Cass. 25 novembre 2011 n. 24984) - nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico, ovvero nei comuni dotati di strumento urbanistico approvato prima dell'entrata in vigore del d.m. n. 1444 del 1968, o ancora nei comuni in cui lo strumento urbanistico, pure se approvato successivamente all'entrata in vigore del citato d.m., non contenesse l'individuazione delle zone territoriali omogenee, che è il presupposto indefettibile dell'inserzione automatica delle prescrizioni sulle distanze previste dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968» (Cass 17 maggio 2018 n. 12119; ma anche Cass. 23 febbraio 2017 n. 4683 conf. a Cass. n. 15458 del 2016). Di conseguenza la statuizione censurata va riformata, non risultando confortata dal divisato insegnamento giurisprudenziale che merita in questa sede ulteriore continuità, senza che possa aver rilievo, ai fini civilistici che qui interessano, la natura abusiva o meno del manufatto e la sua destinazione all’abbattimento per provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria penale, trattandosi di profilo non interferente con la presente fattispecie avente carattere meramente privatistico. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, è ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, in quanto il difetto di concessione edilizia della costruzione esula dal giudizio concernente il rispetto della disciplina delle distanze le cui disposizioni attengono alla tutela del diritto soggettivo del privato. Tale diritto, d’altra parte, non subisce alcuna compressione per il rilascio della concessione stessa che esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico tra l'amministrazione ed il privato che ha realizzato la costruzione. La mancanza di provvedimento autorizzativo non può dunque incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem, come si ricava dalla sentenza di questa Corte n. 594 del 1990, laddove si afferma che l'esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie dà luogo ad un illecito permanente e la cessazione della permanenza è determinata, fra le altre cause, dal decorso del termine ventennale utile per l'usucapione del diritto di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova. Peraltro, la possibilità giuridica di usucapire tutela l'interesse del privato a non sottostare alla possibilità che il vicino possa agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze legali e non interferisce con i poteri riservati in materia alla P.A. che, in quanto autorità deputata al controllo del territorio, può incidere esclusivamente sul rapporto pubblicistico con il proprietario e responsabile dell'abuso e in ogni caso può reprimere l'illecito edilizio anche attraverso l'ordine di demolizione della costruzione eseguita in assenza o totale difformità o variazione essenziale della concessione edilizia (Cass. n. 3979 del 2013; Cass. n. 1395 del 2017). L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale, dovendo rideterminarsi alla luce del dato normativo effettivamente applicabile, ed erroneamente individuato dalla Corte napoletana nell’art. 9 d.m. n. 1444 del 1968, la quota parte dell’edificio da abbattere e, di conseguenza, fonte del danno risarcibile, anche in punto di riferibilità della violazione delle distanze a Pasquale Damiano, accertamento in fatto che va rimesso al giudice del rinvio e da effettuarsi a mente dell’esatto inquadramento normativo della fattispecie. Resta assorbito anche il ricorso incidentale relativo al governo delle spese di lite. In conclusione, il primo motivo del ricorso principale va accolto, assorbito il secondo ed il ricorso incidentale, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda alla luce delle considerazioni sopra svolte. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 ottobre 2023. Il Consigliere estensore Il Presidente Dott.ssa Milena FALASCHI Dott. Felice MANNA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO SEZIONE XIII CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Caterina Canu ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 36830/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. BA.CO., elettivamente domiciliata in (...) presso il difensore avv. BA.CO. INTIMANTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliata in (...) presso il difensore avv. (...) INTIMATA contro OGGETTO: locazione - sfratto per morosità CONCLUSIONI della PARTE INTIMANTE: Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reictis e previe le declaratorie del caso, in rito ed in merito, così GIUDICARE 1) previa conferma dell'ordinanza di rilascio dell'immobile ex art. 665 c.p.c. emessa in data 17 Ottobre 2023 e convalida dello sfratto, adottato ogni altro provvedimento ritenuto utile e necessario, accertare e dichiarare risolto il rapporto di locazione di atti per grave inadempimento del conduttore, con condanna della signora (...) al rilascio immediato dell'immobile concesso in locazione; 2) accertare e dichiarare che la morosità relativa all'alloggio sito in (...) al 29 febbraio 2024presenta un debito pari ad Euro. 32.356,23 e per effetto condannare la signora (...) (...) al pagamento in favore di (...) della suddetta somma o a quella somma maggiore e/o minore che dovesse risultare di giustizia, oltre agli ulteriori canoni e spese maturandi fino alla data di esecuzione dello sfratto ed agli interessi legali dalla scadenza fino all'effettivo soddisfo; 3) rigettare tutte le domande formulate ex adverso in quanto infondate in fatto ed in diritto. In ogni caso con condanna della sig.ra (...) alla refusione delle spese e dei compensi professionali di entrambi i giudizi. Riservata ogni ulteriore ragione di danno derivante dalle inadempienze contrattuali del conduttore. In via istruttoria. CONCLUSIONI della PARTE INTIMATA: Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione (anche istruttoria), previo ogni più opportuno accertamento e/o declaratoria sia di rito sia di merito, così giudicare: in via preliminare - revocare l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. in data 17 ottobre 2023, poiché non sussiste morosità, poiché la presente opposizione è fondata su prova scritta e poiché sussistono gravi motivi ex art. 665, comma 1°, c.p.c., nonché l'istanza di emissione di ingiunzione di pagamento, alla luce di tutto quanto esposto in atti o in subordine sospendere il presente procedimento fino al termine della fase giudiziale della procedura introdotta con istanza 65/2023 davanti all'OCC; nel merito, in via principale - rigettare tutte le domande formulate da (...), poiché infondate in fatto e in diritto, per tutte le ragioni esposte in atti, incluso il credito dell'esponente per i miglioramenti; - accertare e dichiarare l'inadempimento di (...) al contratto di locazione con la sig.ra (...), anche ex art. 1575 ss. c.c., per le ragioni esposte in atti; per l'effetto - condannare (...) al pagamento dell'importo di Euro 12.000, o in subordine Euro 3.564 (o diverso importo, anche maggiore) alla sig.ra (...), eventualmente operando una compensazione, anche parziale, con il debito che dovesse essere accertato in capo alla sig.ra (...); nel merito, in via subordinata (per il caso in cui fosse dichiarato risolto il rapporto) - accertare e dichiarare i miglioramenti effettuati dalla sig.ra (...) all'immobile in (...) e per l'effetto - condannare (...) al pagamento dell'importo di Euro 25.000 (o diversa somma, anche maggiore) alla sig.ra (...) a titolo di indennità di miglioramenti, eventualmente operando una compensazione, anche parziale, con il debito che dovesse essere accertato in capo alla sig.ra (...); in via istruttoria... in ogni caso, con vittoria di spese e competenze di causa, oltre accessori come per legge. Concisa esposizione delle ragioni in fatto e dei motivi di diritto Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà al canone normativo dettato dagli artt. 132, comma 2, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., i quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, specificando che tale esposizione deve altresì essere succinta e possa fondarsi su precedenti conformi. La presente causa trae origine da uno sfratto per morosità intimato da (...) nei con confronti della conduttrice (...), in relazione all'unità immobiliare sita in (...) concessa in locazione con contratto ad uso abitativo del 13.01.2001 a (...) essendosi la conduttrice (subentrata nel contratto in data 10.02.2004) resa morosa nel pagamento dei canoni di locazione e delle spese condominiali per un totale complessivo, maturato al 30.04.2023, di Euro.28.025,79. Si costituiva in giudizio l'intimata (...), opponendosi alla convalida, deducendo di aver effettuato, nel corso degli anni e con il consenso della locatrice, rilevanti interventi di manutenzione (per l'equivalente di circa Euro.25.000); di aver avuto difficoltà economiche e di soffrire di depressione invalidante; di aver negoziato nel 2015 un piano di rientro con la locatrice, regolarmente adempiuto fino a febbraio 2019 e poi volontariamente disatteso a causa dell'insorgere di infiltrazioni nell'immobile; di voler richiedere un piano di ristrutturazione dei debiti e che, in ogni caso, i conteggi del debito forniti dall'intimante non erano corretti. A seguito di un rinvio per valutare la possibilità di un accordo, all'udienza del 26.09.2023 l'intimante dichiarava la persistenza della morosità chiedendo l'ordinanza di rilascio, mentre l'intimata si opponeva effettuando alcune nuove produzioni documentali. A scioglimento della riserva assunta, il Giudice, ritenuto che l'opposizione risultasse fondata soltanto parzialmente su prova scritta, avendo la parte resistente documentato i problemi alla canna fumaria, ma non quelli derivanti dalle lamentate infiltrazioni, nulla provando le fotografe prodotte (prive di data e poco intellegibili) e necessitando l'eccezione relativa agli errori di calcolo, pur apparentemente documentata, di un approfondimento non compatibile con la natura sommaria del procedimento di sfratto, in assenza di gravi motivi in contrario, ordinava il rilascio dell'immobile fissando per l'esecuzione la data del 17.11.2023 e disponendo il mutamento del rito, ai sensi degli artt. 426 e 667 c.p.c., rinviando la causa all'udienza del 6.2.2024 e assegnando termine per l'integrazione degli atti, il deposito di memorie e documenti sino al 30.11.2023 alla parte intimante e sino al 29.12.2023 alla parte intimata. Nella propria memoria integrativa, l'intimante, premettendo di aver avviato il procedimento di mediazione e di non aver ancora dato corso all'azione esecutiva, evidenziava come la correttezza dei propri conteggi fosse provata dall'attestazione ex art.635 c.p.c. rilasciata dal Dirigente Bilancio e Contabilità dott.ssa (...) su delega del Direttore Generale di (...), allegando comunque documentazione attestante l'analisi specifica del debito anno per anno a partire dal 2011, e precisando che, al 15.11.2023, la morosità si era aggravata, ammontando ad Euro.31.973,74. Sui dedotti lavori effettuati dalla conduttrice precisava trattarsi di lavori eseguiti per scelta e volontà degli inquilini, in assenza di qualsiasi accordo con la proprietà. Sulle lamentate infiltrazioni, dava atto di un intervento effettivamente eseguito nel 2013, mentre sul problema alla canna fumaria, evidenziava trattarsi in ogni caso di evento risalente al 2023, dunque non incidente sulla morosità maturata in precedenza. La parte intimata depositava a propria volta memoria integrativa, riportandosi sostanzialmente alla comparsa nella fase sommaria, evidenziando, quanto ai conteggi avversari, l'inapplicabilità dell'art.635 cpc ed evidenziando alcuni indici che rendevano inattendibile il doc.8 avversario prodotto con la memoria integrativa, anche confrontandolo con il doc. 14 prodotto invece dall'intimata. In via riconvenzionale, chiedeva la condanna di (...) al risarcimento del danno per violazione dell'art.1575 c.c. ed in via subordinata, in caso di risoluzione del contratto, al pagamento dell'indennità per i miglioramenti apportati all'immobile da parte della conduttrice. All'udienza del 06.02.2024 la parte intimante chiedeva fissarsi udienza di discussione stante la natura documentale della causa, opponendosi alle istanze istruttorie avversarie e chiedendo, in subordine, l'ammissione delle prove dedotte, mentre la parte intimata, riportandosi alla propria memoria integrativa, insisteva per l'ammissione dei mezzi istruttori dedotti, in particolare la CTU contabile. Il Giudice, a scioglimento della riserva ivi assunta, con ordinanza del 15.3.2024, ritenuto che istanze istruttorie non fossero ammissibili e che la causa fosse matura per la decisione, rigettava le richieste di prove orali e di CTU e rinviava per la precisazione delle conclusioni e discussione all'udienza del 18.4.2024. In detta udienza, tenutasi in forma scritta, discussa la causa mediante il deposito di note scritte, avendo entrambe le parti dichiarato di rinunciare alla lettura del dispositivo e della sentenza nelle forme orali di cui all'art. 429 c.p.c., la causa è stata, quindi, decisa mediante lettura della sentenza. Il Tribunale svolge le seguenti e concise riflessioni. Le domande di risoluzione del contratto e di (conferma della condanna) della conduttrice al rilascio dell'immobile meritano accoglimento, così come quella di condanna al pagamento dei canoni e degli oneri accessori. La parte intimante ha offerto prova documentale del titolo posto a fondamento delle domande, ossia il contratto di locazione sottoscritto dalle parti in data 13.12.2001 e regolarmente registrato il 07.01.2008, della durata, ai soli fini fiscali, di anni uno, il quale prevedeva la corresponsione di un canone annuale teorico di Euro.1.304,20 e soggettivo di Euro.1.565,05, oltre al pagamento delle spese di riscaldamento, ascensore e altri servizi comuni con quantificazione preventiva per il primo anno di locazione e con indicazione dettagliata dei criteri di determinazione all'art.1 delle pattuizioni particolari allegate (docc. 1-3 fasc. intimante). Il rapporto locativo è stato dunque documentato dalla parte intimante, la quale ha dedotto, nell'atto di intimazione, che (...) risultava morosa per l'importo complessivo di Euro.28.025,79, come da attestazione dell'Ufficiale Rogante (doc. 4 fasc. intimante). La parte ha così assolto l'onere probatorio sulla stessa incombente in base alla regola processuale stabilita dall'art. 2697 c.c., giacché ha fornito la dimostrazione del fatto costitutivo delle pretese vantate (si veda Cass., sez. un., n. 13533/2001: "Il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento"). Per contro, la parte intimata non ha dimostrato l'esistenza di fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell'obbligazione di pagamento in questione, che ne giustificassero la totale sospensione, anche in ragione dell'estrema genericità delle deduzioni svolte. La stessa, infatti, già nella propria comparsa di costituzione in fase sommaria, pur ammettendo di non aver più onorato a partire da marzo 2019 il piano di rientro concordato (che prevedeva il pagamento di una somma mensile a titolo di arretrati, oltre a canoni e spese correnti, così ammettendo altresì di non aver più corrisposto alcunché a titolo di canoni e spese), a prescindere o meno dalla fondatezza dell'eccezione di inadempimento sollevata della quale si dirà meglio infra, ha lamentato il fatto che i conteggi forniti dall'intimante non sarebbero stati corretti, e ciò sulle base delle seguenti considerazioni: - avendo la stessa onorato fino a febbraio 2019 il piano di rientro sottoscritto nel 2015 a fronte di una morosità di Euro.6.050,85, pagando anche il canone corrente, la stessa non avrebbe mai potuto maturare un debito di circa Euro.430 mensili alla data del 31.12.2021 (cfr. doc. 6 fasc. intimante) o di circa Euro.345 mensili dal gennaio 2022 all'aprile 2023 (data dell'intimazione di sfratto), a fronte di un canone annuale contrattualmente stabilito di Euro.1.565,00; - la stessa nei primi mesi del 2023 non aveva corrisposto Euro.785,00 alla proprietà (vedi estratto conto bancario prodotto sub doc.11), a differenza di quanto risultante dal doc. 4 avversario; - l'atto di intimazione conteneva una correzione a penna dell'importo richiesto e la lettera di sollecito del 23.01.2018 l'indicazione di due importi diversi. All'udienza del 26.09.2023, nella fase sommaria, ha prodotto documentazione riguardante le spese condominiali, che confermerebbe i problemi contabili evidenziati (doc. 14 fasc. intimata). Quanto alla prima eccezione, la stessa è infondata, in quanto i conteggi comprendono evidentemente non solo il canone di locazione, ma anche gli oneri accessori. Quanto alla seconda, la colonna riportante la somma di Euro.785,00 (rectius 785,85), non si riferisce a pagamenti effettuati. Quanto alle due ultimi eccezioni, trattasi di evidenti refusi, che non possono essere utilizzati come indice di calcoli "confusi", mentre nemmeno la contestazione riguardante il doc. 14 è decisiva, trattandosi invero dei rendiconti e dei riparti consuntivi approvati dall'assemblea, così che non è dato comprendere come questi documenti possano confermare la sussistenza di problemi contabili. In ogni caso, (...) ha prodotto con la propria memoria integrativa gli estratti conto relativi ai singoli anni (doc. 8), dai quali si evince che alcun pagamento era stato effettivamente eseguito dall'intimata nei primi mesi del 2023, essendo state riportate delle somme a credito (Euro.1.042,13) a seguito del "bonus riscaldamento" percepito dalla proprietà. Ora, a seguito di tale produzione documentale, e a prescindere dall'applicabilità o meno, nel caso di specie, dell'art.635 cpc, (...), nella prima difesa utile, abbandonate tutte le eccezioni svolte nella prima comparsa di costituzione, si è limitata ad effettuare una contestazione generica del doc. 8 avversario, evidenziando variazioni nel corso degli anni dell'importo del canone e delle spese, anche raffrontate al doc. 14 di cui si è detto sopra, ma non fornendo alcuna specifica contestazione o parametro di calcolo utile a sostenere la propria tesi. In tema di oneri accessori, la giurisprudenza della S.C. ha affermato che "Il locatore il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali ex art. 9 legge 27 luglio 1978 n. 392 adempie il proprio onere probatorio producendo i rendiconti dell'amministratore approvati dai condomini, mentre spetta al conduttore l'onere di specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate, prendendo all'uopo visione dei documenti giustificativi ovvero ottenendone l'esibizione a norma degli artt. 210 e ss. cod. proc. civ." (Cass. civ. Sez. III, sent. n. 6202/2004; Cass. civ. Sez. III, sent. n. 29329/2019; Cass. civ. sez. VI, ord. 29798 del 18.11.2019). Nel caso di specie, è l'intimata stessa ad aver prodotto i rendiconti, omettendo, come detto, di fare specifiche contestazioni. Come è ampiamente noto, la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo della domanda dedotto da una delle parti lo rende incontroverso e non più bisognoso di prova (cfr. art. 115 c.p.c.). Pertanto, l'intimata va condannata al pagamento della somma di euro, 28.810,03 dovuta al 31.10.2023 secondo la quantificazione effettuata da (...) nella propria memoria integrativa, per come risultante dai docc. 8 e 10 prodotti, dai quali risultano altresì i due pagamenti effettuati a settembre 2023 (doc. 12 fase. intimata). Quanto all'eccezione di inadempimento svolta dalla parte intimata, va premesso che è pacifico che il conduttore non sia legittimato a sospendere il pagamento dei canoni, ovvero a ridurlo unilateralmente, come afferma un orientamento oramai consolidato della giurisprudenza, riaffermato, ex multis, dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 18987 del 27 settembre 2016 secondo cui "al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti". "In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l'exceptio non rite adimpleti contractus di cui all'art. 1460 c.c. si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell'immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore" (Cass. Civ., Sez. VI 26/05/2022 n. 17020). Nel caso di specie, la presenza di infiltrazioni nell'immobile non è chiaramente evincibile dalle fotografie prodotte (come già detto prive di data certa e poco intelligibili), mentre in relazione ai presunti rischi connessi all'uso della caldaia per problemi alla canna fumaria condominiale, (...) ha correttamente osservato trattarsi di evento risalente al 2023, pertanto non incidente sulla morosità già maturata. In ogni caso, per entrambe le lamentele, non è stata dimostrata l'incidenza delle stesse sul diminuito godimento del bene, tale da giustificare l'omesso pagamento del canone, in misura integrale, per oltre 5 anni. La domanda di risoluzione del contratto suddetto deve, quindi, essere accolta, persistendo la morosità da oltre 5 anni, nella misura di Euro.28.810,03 al 31.10.2023 a fronte di un canone annuale di Euro.1.500 circa e spese di Euro.3.000,00 circa, dovendosi considerare l'importanza dell'inadempimento, che, ai fini della risoluzione del contratto, deve essere valutata conformemente a quanto disposto dall'art. 5 della legge n. 392/1978, il quale prevede che "Salvo quanto previsto dall'articolo 55, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile". Inoltre, anche nelle ultime note il locatore ha dichiarato che la morosità è aumentata. Riguardo alle modalità di determinazione del canone, l'art. 1 del contratto così prevede: 1. DETERMINAZIONE DEL CANONE ED ONERI ACCESSORI Il canone di locazione teorico relativo all'alloggio del presente contratto è determinato dalla L.R 5.12.83 n.91 come modificato dalla L.R. 5.12.83 n. 92 art. 27, e dalla L.R. 8.5.90 n. 28 art. 28 ed è soggetto con decorrenza dal 1° gennaio di ciascun anno, all'aggiornamento previsto dalle dette Leggi Regionali. Ai sensi e per effetto di quanto previsto dalle richiamate Leggi Regionali il canone soggettivo di locazione effettivamente dovuto dal Conduttore e le successive variazioni annuali, sono calcolate in funzione del variare del reddito complessivo per il proprio nucleo familiare, secondo i tempi e le modalità previste dalle citate Leggi Regionali. Oltre all'importo del canone, il Conduttore è tenuto a corrispondere gli oneri accessori determinati nella misura preventiva, ai sensi dell'art. 19 lett. D del D.P.R. n. 1035 del 30.10.1972 e delle citate Leggi Regionali. Tal oneri comprendono il rimborso delle spese relativi ai servizi, ove sussistano, di sorveglianza e di pulizia, all'asporto dei rifiuti solidi, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, allo spurgo dei pozzi neri, al funzionamento ed all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, all'erogazione del servizio di riscaldamento o del condizionamento dell'aria nonché alla fornitura di altri servizi comuni in quanto prestati dall'Ente Gestore. Qualora intervenissero variazioni nei costi di erogazione previsti per i servizi sopraindicati, il Conduttore si obbliga a versare, a semplice richiesta, la cifra a conguaglio determinata dall'Ente Gestore ai sensi del richiamato art. 19 del D.P.R. n. 1035 successivamente modificato dalle sopracitate Leggi Ragionali. Il Conduttore ha diritto di prendere visione dei documenti giustificativi di spesa. L'Ente Gestore ha altresì facoltà, con delibera del Consiglio di Amministrazione, di adeguare annualmente, in funzione dell'andamento dei costi di erogazione dei relativi servizi, l'importo della quota preventiva. Tutto ciò spiega il motivo per cui il canone sia stato calcolato e richiesto in modo diverso per i diversi anni. Pertanto, merita accoglimento anche la domanda di (conferma della) condanna al rilascio dell'immobile, così come quella di condanna al pagamento di Euro.28.810,03, dovuti fino al 31.10.2023, oltre a canoni e spese maturati dal 1.11.2023 fino all'effettivo rilascio. Va rigettata, infine, la domanda riconvenzionale di pagamento dell'indennità ex art.1592 c.c. promossa da (...), in quanto, anche alla luce della documentazione dalla stessa prodotta con la memoria integrativa (in particolare il doc. 2), non è stata fornita alcuna prova in merito al consenso che (...) avrebbe prestato per l'esecuzione di opere e miglioramenti all'interno dell'appartamento locato. In ogni caso, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui: "il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell'art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore. Questo consenso, importando cognizione dell'entità anche economica e della convenienza delle opere, non può essere, però, implicito o desumersi da atti di tolleranza, ma deve risultare da una manifestazione esplicita od inequivoca di volontà, senza la quale deve ritenersi applicabile il principio generale stabilito dal predetto articolo, secondo cui il conduttore non ha diritto alla indennità per i miglioramenti apportati alla cosa senza il consenso del locatore (In termini, ad esempio, Cass. 23 marzo 2001, n. 3166). In particolare, il "consenso" in questione deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni (...) così che la mera consapevolezza, o la mancata opposizione, del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta di indennizzo (Cass. 24 giugno 1997, n. 5637; Cass. 20 marzo 2006, n. 6094). (...) Perché sorga il diritto del conduttore ad un indennizzo per i miglioramenti apportati alla cosa locata non è sufficiente la sola scienza o la mancata opposizione del locatore medesimo (...) è palese che è irrilevante che la Cooperativa locatrice fosse a conoscenza delle opere (...) non potendo, palesemente, il mero silenzio sulla questione assurgere il rango di una "autorizzazione espressa" alla esecuzione dei lavori" (Cass. Civ. 30.1.2009 n. 2494). Le spese di giudizio seguono, pertanto, la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell'attività svolta in concreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, contrariis rejectis, così provvede: dichiara risolto per inadempimento della conduttrice (...) il contratto di locazione ad uso abitativo del 13.01.2001, avente ad oggetto l'unità immobiliare sita in (...) condanna la parte intimata (...) al rilascio dell'immobile sito in (...), confermando l'ordinanza del 17.10.2023; condanna la parte intimata (...) al pagamento, in favore di (...), dell'importo di Euro.28.810,03, dovuto al 31 ottobre 2023, oltre agli ulteriori canoni e spese successivi a tale data maturati e maturandi fino all'effettivo rilascio ed agli interessi legali dalla domanda sino all'effettivo soddisfo; rigetta le domande svolte da (...); condanna la parte intimata (...) a rifondere all'intimante le spese di giudizio, che si liquidano in Euro 4900 per compensi, Euro 286 per spese esenti, oltre rimborso spese generali al 15%, oltre IVA e CPA, se dovute. Milano, 18 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1515 del 2021, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Eu. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Pi. Ti. in Roma, via (...); contro Da. Ve., quale titolare della ditta "La Bo. del Fr.", rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Azienda Sociosanitaria Ligure 5 -Asl 5 La Spezia, non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 2006 del 2021, proposto da Azienda Sociosanitaria Ligure 5 - Asl 5 La Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Av., Vi. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Lu. in Milano, viale (...); contro Da. Ve., quale titolare della ditta "La Bo. del Fr.", rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Eu. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; quanto ad entrambi i ricorsi: per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00853/2020, resa tra le parti Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione nei giudizi di Da. Ve. e, nel secondo giudizio, anche del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e dato atto del deposito della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d'intesa del 10 gennaio 2023, da parte degli avvocati Bo. e So.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria ha accolto il ricorso proposto dal signor Da. Ve., nella qualità di legale rappresentante della ditta individuale "La Bo. del Fr.", contro il Comune di (omissis) e l'Azienda Sociosanitaria Ligure 5, per l'annullamento dell'ordinanza sindacale n. 72 del 22.07.2020, notificata in pari data, avente ad oggetto "Ordinanza contingibile e urgente al fine della cessazione delle emissioni fumi ed odori di cottura/frittura nello svolgimento dell'attività artigiana "La Bo. del Fr." di Via (omissis) - modifica e sostituzione dell'ordinanza n. 70 del 21.07.2020"; nonché per l'annullamento, previa sospensione, di ogni altro atto presupposto, preparatorio, conseguente e comunque connesso e segnatamente della nota emessa dall'ASL 5 La Spezia, a firma del Dirigente medico f.f. della Struttura Complessa Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, prot. n. 25961 del 20.07.2020, avente ad oggetto "installazione cappa super tecnologica presso l'attività "La Bo. del Fr." sita in Via (omissis) - Levanto". 1.1.I fatti esposti dal ricorrente sono riassunti come segue nella sentenza gravata: - la ditta "La Bo. del Fr.", titolare di numerose attività di friggitoria, gestisce un punto vendita a (omissis), situato in via (omissis); - ad agosto 2019, l'ASL 5 eseguiva un sopralluogo a seguito degli esposti presentati da alcuni vicini e titolari di esercizi commerciali adiacenti e rilevava la presenza di odori generati dalla cottura dei cibi; - il Comune di (omissis) allora invitava la ricorrente a dotarsi di idonei sistemi di captazione/allontanamento/abbattimento dei fumi e delle esalazioni di cottura; - a tal fine, la ricorrente installava una apparecchiatura più sofisticata per la cottura dei cibi, dotata di un aggiornato sistema di assorbimento dei fumi, e allo stesso tempo presentava al SUAP la pratica per l'installazione di una canna fumaria; - tale richiesta veniva respinta, poiché la canna fumaria avrebbe dovuto essere posizionata oltre il colmo del tetto per garantire un sufficiente sfiato esterno; - successivamente la ricorrente depositava una nuova domanda, in conformità ai rilievi mossi dall'ufficio tecnico comunale; - a giugno 2020, dopo la fase di emergenza sanitaria, la ricorrente riprendeva la propria attività, utilizzando la nuova apparecchiatura a circuito chiuso, con sistema di assorbimento di fumi ed esalazioni; - in data 30 giugno 2020, a seguito di un nuovo esposto dei residenti, la ASL 5 effettuava un altro sopralluogo, rilevando la presenza di un leggero odore di fritto; - il 10 luglio 2020 l'ASL 5 effettuava un ulteriore sopralluogo all'esito del quale emanava il parere prot. n. 9261 del 14.07.2020, nel quale accertava il non funzionamento della cappa aspiratrice e, pertanto, la presenza di fumi di cottura e di odori all'interno dei locali ed all'esterno; - il 15 luglio 2020, la ricorrente ha acquistato ed installato una cappa supertecnologica, dotata di depurazione in ozono e carbone attivo, informando la ASL 5 ed invitandola ad effettuare un nuovo sopralluogo; - ciò nonostante, la ASL ha respinto la richiesta, richiamandosi integralmente al parere reso in sede di SUAP circa la necessità dell'installazione di una canna fumaria; - preso atto della situazione, il Sindaco del Comune di (omissis) ha emesso l'ordinanza contingibile e urgente a carico della ricorrente, intimandole di cessare l'emissione di fumi, odori ed esalazioni di cottura/frittura derivanti dall'attività svolta nei locali di Via (omissis); - successivamente, con nota in data 23.07.2020, il Comune ha chiesto all'ASL una verifica della situazione esistente nel predetto punto vendita a seguito dell'installazione della nuova apparecchiatura di aspirazione, anche al fine di procedere all'adozione di un'ordinanza di revoca di quella già adottata, senza che tuttavia che la ASL si sia espressa. 1.2. Dati i fatti esposti e tenuto conto dei due motivi di ricorso, nonché delle difese delle amministrazioni resistenti, il tribunale ha ritenuto: - quanto al primo motivo, concernente la violazione dell'art. 50, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, che "l'ordinanza impugnata fa genericamente riferimento ad "un possibile danno per la salute derivante dall'inalazione di aerosol di derivati di cottura/frittura grassi e stearati" senza tuttavia prospettare una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per la salute pubblica. Inoltre, lo stesso provvedimento afferma che i derivati di cottura/frittura non sono intrinsecamente caratterizzati da proprietà tossiche. È evidente, quindi, il difetto dei requisiti di contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza ai casi pericolo attuale o imminente per la tutela di un interesse pubblico, ed urgenza, l'esigenza di un intervento immediato ed indilazionabile alla base del potere di ordinanza del Sindaco."; - quanto al secondo motivo, concernente l'illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere, in assenza di una normativa tecnica specifica che imponga, per l'esercizio di un'attività di friggitoria, l'installazione di una canna fumaria, che le Linee Guida di indirizzo igienico-sanitario per l'attività nel campo degli alimenti e bevande adottate dalla Regione Liguria ed il Regolamento edilizio comunale approvato dal Comune di (omissis) con D.C.C. n. 61 del 13 novembre 2017 in vigore dal 26 novembre 2017, art. 64, comma 4, "non individuano un obbligo indefettibile di installazione della canna fumaria", salvo il caso di "accertata inidoneità di altri sistemi di abbattimento di fumi e odori molesti, nella specie non verificata con riferimento alle apparecchiature da ultimo installate da parte ricorrente". 1.3. Accolto perciò il ricorso e annullato "il provvedimento impugnato", le amministrazioni resistenti sono state condannate, in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese processuali, complessivamente liquidate in Euro 3.000 (tremila/00). 2. Avverso la sentenza hanno proposto appelli separati sia il Comune di (omissis), con quattro motivi, che l'Azienda Sociosanitaria Ligure 5 - ASL 5 di La Spezia con due motivi. 2.1. Da. Ve., nella qualità di titolare della ditta "La Bo. del Fr.", ha resistito ad entrambi gli appelli. 2.2. All'udienza dell'8 marzo 2024 le cause sono state assegnate a sentenza, senza discussione, su richiesta delle parti, previo deposito di memorie e repliche. 2.3. Gli appelli - iscritti rispettivamente con i numeri di r.g. 1515/2021 e 2006/2021 - vanno riuniti, ai sensi dell'art. 96 c.p.a., in quanto proposti contro la stessa sentenza. 3. Col primo motivo dell'appello del Comune di (omissis) è censurata l'affermazione della sentenza secondo cui l'ordinanza contingibile e urgente non avrebbe prospettato una situazione di effettivo pericolo di danno per la salute. 3.1. Il Comune evidenzia che: - l'ordinanza faceva proprie le conclusioni dell'Azienda Sociosanitaria Locale di cui alla comunicazione prot. 9261 del 13 luglio 2020, con la quale, a seguito di sopralluogo, era stato rappresentato "un possibile danno per la salute derivante dall'inalazione di aerosol di derivati di cottura/frittura grassi e stereati", sollecitando l'adozione dell'ordinanza sindacale; - l'Azienda Sociosanitaria Locale non avrebbe quindi prospettato soltanto un pericolo attuale per la salute pubblica, cioè la semplice eventualità di un danno futuro, ma l'eventualità che il danno si fosse già verificato; - se i presupposti per l'adozione di un'ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell'art. 54 TUEL sussistono a fronte di un pericolo, per quanto concreto e attuale, di un danno futuro, a maggior ragione devono ritenersi sussistere in ipotesi di un possibile danno, ossia di un danno che potrebbe essersi già verificato. 3.1.1. Il Comune appellante soggiunge che l'erroneità della sentenza di primo grado sarebbe conseguenza dell'errata valutazione dei documenti prodotti in giudizio dalle amministrazioni intimate e di travisamento dei fatti. In particolare, è criticata l'affermazione secondo cui, a seguito del sopralluogo del 30 giugno 2020, l'ASL avrebbe rilevato "la presenza di un leggero odore di fritto". L'appellante sostiene che di tale circostanza non vi sarebbe riscontro alcuno, dato che l'ASL avrebbe certificato che l'attività di friggitoria aveva generato ingenti e intollerabili immissioni di fumi idonee a cagionare un danno alla salute, già nell'estate 2019 e con la successiva comunicazione del 13 luglio 2020 n. 9261. 3.2. Il motivo è infondato. Premesso che l'ordinanza contingibile e urgente ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 è un rimedio residuale atipico ed eccezionale, utilizzabile solo in caso di pericolo imminente per la pubblica incolumità non fronteggiabile con i rimedi ordinari stabiliti dalla normativa di settore, è corretta la sentenza appellata laddove ha escluso, nel caso di specie, la sussistenza dei presupposti della contingibilità e dell'urgenza. Per come emerge dalla stessa prospettazione di parte appellante, ma è desumibile anche dal tenore della comunicazione dell'ASL del 13 luglio 2020, richiamata nell'ordinanza sindacale, non risulta accertato nemmeno a tale ultima data un imminente pericolo di danno grave alla salute pubblica, ma la mera eventualità della sua verificazione, per di più di dubbia qualificazione come effettivo pericolo per la pubblica incolumità, considerata la natura non tossica delle emissioni generate dall'attività di cottura dei cibi all'esterno dei locali di esercizio (pure attestata nella stessa nota dell'ASL). 3.2.1. La valutazione effettuata nella sentenza non tiene affatto conto del riferimento contenuto negli atti di parte al "leggero odore di fritto" che sarebbe stato percepito dai tecnici dell'ASL il 30 giugno 2020, ma, come detto, è piuttosto basata sulla comunicazione del 13 luglio 2020, seguita al sopralluogo del 10 luglio 2020. Quest'ultima comunicazione, priva, per quanto detto, dell'accertamento di un imminente ed irreparabile pericolo di danno grave alla pubblica incolumità, contiene -per come specificato nell'ordinanza sindacale - il riferimento alla "persistenza di odori sgradevoli all'esterno dell'esercizio con percezione degli stessi in attività commerciali e abitazioni attigue", all'evidenza non sufficiente ad integrare i presupposti richiesti dagli artt. 50 e 54 del TUEL. Inoltre la decisione del primo giudice appare supportata dal dato oggettivo che l'ordinanza impugnata è stata emessa sulla base di accertamenti sanitari comunque non più attuali già alla data della sua emissione (22 luglio 2020), in quanto precedenti l'installazione del nuovo impianto, dotato di depurazione in ozono e carbone attivo, avvenuta il 15 luglio 2020. 3.3. La sussistenza del pericolo effettivo che legittima il potere di ordinanza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da sufficiente motivazione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, n. 774 del 2017, citata in sentenza), l'una e l'altra non riscontrate nel caso di specie. Giova aggiungere che - oltre alla mancanza di temporaneità che si sarebbe determinata, secondo la ditta appellata, a causa del rifiuto di rivalutare la situazione esistente all'indomani dall'installazione del nuovo impianto, sì da protrarre sine die l'effetto inibitorio dell'ordinanza sindacale - tale installazione connotava comunque la situazione come priva di un'effettiva urgenza di provvedere (intesa quest'ultima come assoluta necessità di porre in essere l'ordine di cessazione quale intervento non più rinviabile). 3.4. Il primo motivo dell'appello del Comune di (omissis) va quindi respinto. 4. Col secondo motivo è censurata l'applicazione al caso di specie delle Linee Guida della Regione Liguria e dell'art. 64 del Regolamento Edilizio Comunale, che consentono di ovviare alla canalizzazione a tetto, "solo in presenza di idonei ed efficaci sistemi di abbattimento di fumi e vapori". L'inidoneità dei sistemi di abbattimento adottati dalla ditta ricorrente sarebbe stata riscontrata, ad avviso dell'appellante, dalla comunicazione dell'ASL 5 prot. 25961 del 20 luglio 2020 e dal parere della stessa ASL prot. 10303 del 1° agosto 2020, che avrebbero reso superflua la verifica delle "apparecchiature da ultimo installate" dalla ricorrente. Il Comune di (omissis) sostiene infatti che la necessità della canna fumaria sarebbe stata affermata dall'ASL all'esito di una valutazione logica, coerente e completa, espressa in un settore, quello delle emissioni olfattive, connotato da estrema discrezionalità tecnica, che il giudice amministrativo può sindacare solo in caso di manifesta irragionevolezza od incoerenza sotto il profilo scientifico (Cons. Stato, III, 24 settembre 2013, n. 4687), insussistenti nel caso di specie. 4.1. Il motivo non è fondato. Va premesso che il Comune di (omissis) mostra di condividere l'interpretazione data dal tribunale alle Linee Guida regionali (secondo cui "per tutti i punti di cottura che determinino emissioni di vapori o fumi (sono indispensabili) idonei sistemi di captazione canalizzati in canne fumarie aventi sbocco sopra il colmo del tetto e sistemati in modo da non recare molestia nell'abitato; si può ovviare alla canalizzazione a tetto solo in presenza di idonei ed efficaci sistemi di abbattimento di fumi e vapori certificati dalla ditta installatrice....per i forni elettrici e le friggitrici elettriche vale quanto sopra previsto") ed all'art. 64 del regolamento comunale (secondo cui "In tutti i locali, a qualunque uso destinati, in cui la cottura di alimenti avviene avvalendosi di dispositivi privi di fiamma libera (piastre elettriche a induzione e/o similari), è consentita, in alternativa alla canna di esalazione, l'installazione di apparecchiature elettromeccaniche, tipo abbattitore di vapori, che trasformino dette emissioni in residuo acquiforme da convogliare nella pubblica fognatura o l'installazione di gruppo di filtrazione e aspirazione degli odori, adeguatamente dimensionato secondo le caratteristiche dell'attività . In tal caso si dovrà provvedere alla periodica sostituzione dei filtri in relazione alle specifiche caratteristiche dell'apparato".). L'appellante riconosce, infatti, che la normativa applicabile non impone in astratto un obbligo di utilizzo della canna fumaria per l'attività di friggitoria. Piuttosto, sostiene che, in concreto, altri sistemi di captazione dei fumi e vapori sarebbero stati insufficienti ad impedire le emissioni nocive, come accertato dall'ASL nelle comunicazioni e nei pareri citati in atti. 4.1.1. A confutazione del gravame, è sufficiente osservare che, come opposto dalla parte appellata, il tribunale non ha ritenuto illogiche od incongruenti le valutazioni tecnico-sanitarie dell'Azienda Sociosanitaria Locale, così come effettuate a seguito dei sopralluoghi che hanno preceduto l'ordinanza impugnata. Piuttosto ha ritenuto decisivo il diniego di un ulteriore sopralluogo dopo l'installazione del nuovo impianto da parte della ditta ricorrente. La decisione va condivisa poiché tale scelta dell'ASL, alla quale il Comune di (omissis) - cui le specifiche tecniche del nuovo impianto erano pure state inviate - si è adeguato, ha reso irragionevole la conclusione di inidoneità delle misure alternative adottate per lo smaltimento di fumi, odori ed esalazioni, che sorregge l'ordinanza sindacale. In definitiva, l'ordinanza n. 72/2020 è stata emanata sulla base di uno stato di fatto non coincidente con la situazione quale si era venuta a determinare al momento della sua adozione, omettendo un'attività istruttoria indispensabile e fornendo una motivazione perciò irragionevole ed incongruente con la normativa applicabile. 4.2. Il secondo motivo dell'appello del Comune va quindi respinto. 5. Col terzo motivo il Comune di (omissis) torna ad eccepire che il signor Vezzi, nella vicenda, ha tenuto comportamenti univoci, posti liberamente in essere, che dimostrerebbero la chiara ed incondizionata volontà di accettare gli effetti e l'operatività delle prescrizioni dell'ASL in merito alla necessità di integrare il sistema di abbattimento di fumi e vapori con una canna fumaria atta a convogliare a tetto, tramite un potente impianto di aspirazione, i fumi e i prodotti di cottura. Si sarebbe trattato delle due pratiche SUAP aventi ad oggetto appunto la realizzazione della canna fumaria, non andate a buon fine in ragione di errori progettuali. Se tale eccezione fosse stata esaminata in primo grado, avrebbe portato, ad avviso dell'appellante, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso. 5.1. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Il ricorrente non risulta aver prestato alcuna acquiescenza alla prescrizione di dotare obbligatoriamente i locali della ditta di una canna fumaria e di una cappa aspiratrice convogliante i fumi al tetto. La presentazione delle pratiche presso l'ufficio SUAP non ha un significato univoco in tale senso, apparendo piuttosto espressione della collaborazione e della disponibilità manifestate dal ricorrente per risolvere la problematica segnalata dalle amministrazioni, in alternativa ad un altrettanto idoneo, moderno sistema di abbattimento dei fumi, quale quello che il ricorrente assume avere infine installato il 15 luglio 2020. 5.1.1. Tale assunto del ricorrente - all'opposto di quanto sostenuto dal Comune nella memoria conclusiva - non appare univocamente smentito dalla sopravvenuta installazione della canna fumaria a seguito di SCIA in variante del 1° aprile 2021, prot. 6360 e comunicazione di fine lavori del 23 luglio 2021, prot. 13826, atteso che si tratta di intervento inserito in un'attività di ristrutturazione e riqualificazione complessiva del fabbricato, deliberata e condotta dai condomini dell'edificio. A ciò si aggiunga che la relativa pratica edilizia non è stata curata dal titolare della ditta ricorrente e comunque è successiva alla sentenza di primo grado, quindi intervenuta in una fase in cui - come sottolinea la difesa della stessa ditta - non vi era alcuna esigenza di adeguamento alle prescrizioni dell'ordinanza n. 72/2020, già annullata dalla sentenza n. 853/2020. 5.2. Il terzo motivo dell'appello del Comune va quindi respinto. 6. Col quarto motivo, il Comune di (omissis) censura, in subordine, la propria condanna al pagamento delle spese del primo grado in solido con l'Azienda Sociosanitaria Locale. Sostiene che l'ordinanza contingibile e urgente impugnata è conseguenza dell'attività istruttoria e delle conclusioni di quest'ultima, nonché del mancato ulteriore sopralluogo da parte della stessa Azienda, pur sollecitato dopo l'installazione dell'ultimo impianto. 6.1. Col ricorso in appello riunito, l'Azienda Sociosanitaria Ligure 5 - ASL 5 di La Spezia censura, a sua volta, la condanna alle spese in solido col Comune di (omissis), per i seguenti due motivi: - "violazione e falsa applicazione degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. Contraddittorietà ": si sostiene l'incoerenza della condanna rispetto alla motivazione ed al dispositivo della sentenza, dato che questa avrebbe riguardato un solo provvedimento impugnato, vale a dire l'ordinanza sindacale n. 72/2020, mentre non era stata impugnata la relazione dell'ASL del 13 luglio 2020, unico atto dell'Azienda richiamato nell'ordinanza contingibile e urgente; poiché l'Azienda appellante non avrebbe potuto essere considerata soccombente, la condanna alle spese sarebbe in violazione degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c.; - "omesso esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso. Erroneità dei presupposti di fatto": si sostiene che, ove si intendesse annullata con la sentenza, anche la nota dell'ASL del 20 luglio 2020, la sentenza sarebbe errata per non aver considerato l'eccezione di inammissibilità della relativa impugnazione, sollevata nel presupposto della natura non provvedimentale dell'atto. 6.2. I motivi, da trattarsi congiuntamente poiché relativi all'unico capo di condanna solidale al pagamento delle spese del primo grado, non sono fondati. 6.1. Il Comune di (omissis) è certamente parte soccombente in primo grado, poiché il T.a.r. ha annullato l'ordinanza contingibile e urgente per difetto dei presupposti di legge. Rispetto alla relativa valutazione, l'amministrazione comunale godeva di ampi margini di apprezzamento discrezionale, senza che fosse configurabile alcun vincolo derivante dagli accertamenti effettuati dall'Azienda Sociosanitaria Locale, per di più privi di attualità al momento dell'adozione del provvedimento impugnato. 6.2. Peraltro anche l'ASL 5 di La Spezia è parte soccombente in primo grado. Sebbene la sentenza non abbia esplicitamente riferito la statuizione di annullamento ad atti e provvedimenti dell'Azienda Sociosanitaria Locale, il tenore complessivo della motivazione rende evidente la ritenuta illegittimità - da parte del primo giudice - di quelli adottati dall'ASL 5 (in particolare, la nota ASL del 20 luglio 2020 e il parere del 1° agosto 2020) con i quali era ribadita la necessità dell'installazione della canna fumaria quale unica soluzione possibile per l'eliminazione delle emissioni di fumi, odori ed esalazioni in concomitanza col diniego di nuovo sopralluogo malgrado la comunicazione di installazione del nuovo impianto. 6.2.1. La nota ASL del 20 luglio 2020, n. 25961 è stata, d'altronde, espressamente impugnata col ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, lamentando, in particolare, la ditta ricorrente l'eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, data l'imposizione della prescrizione della canna fumaria adottata senza considerare la nuova situazione dei luoghi. Contrariamente a quanto sostiene l'Azienda appellante, si tratta di provvedimento immediatamente lesivo della posizione soggettiva della ditta appellata, per le seguenti ragioni: - perché la conferma delle prescrizioni già dettate dalla ASL nell'ambito della pratica edilizia avviata dall'interessato per la realizzazione di una canna fumaria non ha portata meramente ricognitiva delle prescrizioni confermate, ma concretizza una nuova determinazione nel momento in cui ribadisce queste ultime malgrado la comunicazione di una sopravvenienza, che avrebbe richiesto un'integrazione istruttoria; - in senso contrario non può rilevare l'asserito difetto di competenza dell'ufficio dell'ASL interpellato (S.C. Igiene degli Alimenti e della Nutrizione) per l'esecuzione del sopralluogo, considerato che, come detto, la nota impugnata non contiene soltanto il diniego del sopralluogo, ma si esprime nei seguenti testuali termini: "(...) trattandosi di friggitoria sita al piano terra in un locale di modesta ampiezza e prospiciente una via stretta, è assolutamente indispensabile che la canna fumaria e relativo impianto integrativo, da realizzarsi nel rispetto delle norme UNI vigenti, abbiano la propria integrazione in un potente impianto di aspirazione capace di assorbire completamente i vapori provenienti dalla cottura e convogliarli a tetto in maniera da evitare qualsiasi inquinamento olfattivo a livello circostante", con prescrizione la cui portata immediatamente lesiva appare incontestabile. 7. Gli appelli vanno quindi respinti. 7.1. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo a carico di entrambi gli appellanti, in solido fra loro, ed a favore dell'unica parte appellata. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, ne dispone la riunione e li respinge. Condanna gli appellanti al pagamento, in solido fra loro, delle spese processuali, che liquida, in favore dell'appellato, nell'importo complessivo di Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Marina Perrelli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Il Tribunale di Avellino, Prima Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Valentina Pierri ha pronunziato la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite iscritte ai nn. 4284/2020 e 4458/2020 R.G., aventi ad oggetto "Impugnazione di delibera di assemblea condominiale" e vertente TRA Parte_l, C.F. C.F._1 rappresentato e difeso, anche con poteri disgiunti, dall'Avv. Lu.Te. e dall'Avv. Ub.De.; Attore nel proc. 4284/2020 RG E Controparte_l C.F. C.F._2 rappresentato e difeso dall'Avv. Fe.Ra.; Attore nel proc. 4458/2020 RG E Controparte_2 di Indirizzo_1 in ATRIPALDA, Cod. Fisc.: P.IVA_1 in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Di.Al.; Convenuto in entrambi i giudizi riuniti Conclusioni: come da verbale di udienza del 13.9.2023, qui da intendersi integralmente riportato e trascritto. Motivazioni in fatto e in diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, iscritto al n. 4284/2020 RG, Parte_1, in qualità di condomino del Controparte_2 sito in Atripalda (AV) alla (...) Indirizzo_1, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Avellino il predetto Condominio al fine di ottenere la declaratoria di nullità ovvero l'annullamento delle deliberazioni assunte dall'assemblea condominiale del 25.06.2020, o quanto meno delle deliberazioni di cui ai punti 4) e 5) dell'ordine del giorno. All'uopo, l'attore deduceva: a) la violazione dell'art. 1137 comma 2 c.c. per impossibilità di accertare il quorum deliberativo di cui all'art. 1136 c.c., per mancata indicazione, nel verbale dell'adunanza, di alcuna indicazione in merito ai valori delle quote di ciascun condomino partecipante all'assemblea; b) la nullità della deliberazione di cui al punto 4) per illegittimo addebito di spese relative alla sanatoria di opere murarie realizzate in difformità dal progetto approvato nelle unità di proprietà esclusiva di singoli condomini; c) la nullità della deliberazione di cui al punto 5) all'ordine del giorno per illegittima imposizione di servitù di scarico sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva dell'attore. Instaurato il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 7.02.2021, si costituiva in giudizio il Controparte_2 il quale si opponeva all'impugnativa deducendo a propria volta la carenza di interesse ad agire dell'attore per le seguenti motivazioni: a) in relazione alla mancata indicazione del quorum deliberativo, che la verifica della correttezza formale della deliberazione è riservata dalla legge al Presidente dell'assemblea (con eventuale configurabilità di una sua responsabilità in caso contrario) e che lo stesso attore, nella specie, aveva partecipato attivamente all'assemblea prendendo parte a tutte le decisioni, pur dissentendo, senza mai rilevare la carenza del quorum deliberativo; b) quanto alla nullità del punto 5) dell'o.d.g. (illegittima imposizione di servitù di scarico sulle unità di proprietà esclusiva dell'attore), che il CP_2 aveva assunto una posizione contraddittoria, giacché, in sede di assemblea, aveva chiesto di dare attuazione all'accordo sottoscritto dalle parti in data 10.1.2009 (che prevedeva, tra l'altro, l'installazione di 12 pluviali), e che, in ogni caso, nella fase esecutiva dei lavori deliberati, il Direttore dei lavori aveva adottato soluzioni tecniche per escludere la lamentata imposizione e l'aggravio di spesa, prevedendo anche la possibilità per il condomino dissenziente di allacciarsi alle reti ora presenti, qualora lo decidesse in futuro, senza pregiudizio per gli altri condomini; c) quanto alla nullità della delibera di cui al punto 4 (illegittimo addebito di spese afferenti alle unità esclusive dei singoli condomini), che il pagamento della somma di Euro 1.000,00 (Euro 250,00 per il CP_2 come per gli altri sottoscrittori dell'accordo del 10.01.2009) era dovuta al Comune di Atripalda a titolo di sanzione per la difformità urbanistica e che l'esecuzione di tale adempimento aveva consentito il rinnovo dei titoli abilitativi per la prosecuzione dei lavori di completamento dell'intero fabbricato e non delle singole proprietà, con evidente vantaggio anche per il condomino dissenziente. Concludeva, pertanto, per la declaratoria di "carenza di interesse del sig. Parte_1 (...) che non ha determinato alcun danno alla parte che lo contesta" e, in via subordinata e nel merito, per il rigetto della domanda in quanto infondata. Nelle more del giudizio, con atto di citazione ritualmente notificato, iscritto al n. 4458/2020 RG, anche il condomino Controparte_1 conveniva in giudizio il Controparte_2 (...) chiedendo di "accertare e dichiarare nulla e/o annullare la delibera dell'assemblea del 25/6/2020 adottata dal Controparte_3 relativamente ai punti 2), 3), 4) e 5) all'ordine del giorno. All'uopo, Controparte_1 - premesso di aver espresso, unitamente al germano Parte_l in sede assembleare voto contrario a ciascuna deliberazione - contestava: "I) la violazione dell'art. 1136 comma 7° c.c. in quanto il processo verbale della delibera impugnata non era stato preceduto né da un verbale di assemblea di prima convocazione, né tantomeno conteneva un riferimento all'assemblea di prima convocazione andata deserta; II) la violazione dell'art. 67 disp.att. c.c. che vieta il conferimento di deleghe all'amministratore, laddove nel caso di specie, la "maggioranza" aveva approvato la delibera proprio grazie ai voti espressi per delega dall'amministratore; III) la violazione dell'art. 1136 c.c. per assoluta indeterminatezza del quorum; IV) la violazione dell'art. 1123 c.c. per avere l'assemblea approvato una ripartizione millesimale delle spese relative a parti comuni in contrasto con la ripartizione delle spese convenzionale stabilita all'unanimità nella scrittura privata del 10/01/2009, oltre che errata; V) la violazione dell'art. 1123 c.c. per avere l'assemblea approvato l'illegittima ripartizione tra i condomini di spese relative a proprietà individuali (computo metrico del geom. Per_l e oneri per la regolarizzazione urbanistica di difformità riguardanti proprietà individuali); VI) la nullità della delibera per avere l'assemblea approvato il progetto redatto dal geom. Per_l nel quale sono previste colonne fecali e pluviali nuove rispetto al progetto originario con la realizzazione di una servitù di scarico sulle unità di proprietà dell'attore e senza il suo consenso. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 7.02.2021, si costituiva in giudizio il Controparte_2 eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità dell'azione per mancato esatto esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria e nel merito il difetto di legittimazione passiva e/o la carenza di interesse dell'attore. Assumeva in particolare: - che per le presunte violazioni contestate in relazione alle modalità di redazione del verbale doveva ritenersi unico responsabile lo stesso attore in qualità di Presidente dell'assemblea condominiale e redattore del verbale impugnato; - che, con riferimento alla ripartizione delle spese, l'assemblea non si era discostata da quanto previsto dalla scrittura privata del 10.01.2009 circa i lavori deliberati e riferibili alla scrittura privata predetta mentre la tabella millesimale era stata approvata per la ripartizione delle altre spese non riconducibili alla scrittura privata del 10.1.2009. Contestava inoltre la dedotta violazione dell'art. 1123 c.c. nonché la nullità della delibera per illegittima imposizione di servitù. Disposta la riunione dei procedimenti, rigettata l'istanza di sospensione della delibera con ordinanza confermata in sede di reclamo (proc. 1841/2021 RG), disposta ed espletata la CTU, all'udienza del 13.9.2023, sulle conclusioni precisate dalle parti, il Giudice assegnava le cause riunite in decisione con concessione dei termini ai sensi dell'art. 190 c.p.c. 1.- Preliminarmente, va rilevato che l'eccezione di improcedibilità dell'azione sollevata dal CP_2 convenuto con riferimento all'impugnativa introdotta da Controparte_1 non è stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni né in sede di comparsa conclusionale e pertanto deve intendersi rinunciata. Va peraltro osservato che, ai sensi dell'art. 4 comma 2 del D.Lgs. 28/2010 e ss.mm., "La domanda di mediazione deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa". Nel caso di specie, avuto riguardo al petitum ed alla causa petendi, ritiene il Tribunale che sussiste simmetria tra i fatti rappresentati in sede di mediazione e quanto esposto in sede processuale, giacché tale simmetria concerne gli elementi principali posti a fondamento della domanda e nulla esclude che, in sede processuale, l'impugnativa possa essere dettagliata attraverso una più specifica articolazione dei motivi, soprattutto con riferimento ai profili di carattere essenzialmente giuridico (cfr. Trib. Verona, 26.4.2021). 2.- Va altresì disattesa l'eccezione sollevata dal CP_2 convenuto in relazione alla presunta carenza di interesse degli attori rispetto alle formulate impugnative. Occorre rammentare quanto recentemente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha ribadito che "in tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. quale condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni" (Cass. 17294/2020; in senso conforme, Cass. 9544/2023, in cui, con specifico riferimento al valore economico del pregiudizio dedotto, si sancisce che "in tema di condominio negli edifici, sussiste l'interesse del CP_2 a promuovere l'azione di annullamento di una delibera condominiale avente ad oggetto crediti del medesimo di valore minimo, in quanto dal principio che la giurisdizione è risorsa statuale limitata - potendo la legge limitare, espressamente o implicitamente, il ricorso ad essa onde garantire la durata ragionevole del processo ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU - non può, tuttavia, derivare il potere del giudice di stabilire limitazioni all'accesso al giudizio di legittimità, posto che nel nostro ordinamento la giurisdizione si attua mediante il giusto processo ed è sempre ammesso il diritto di ricorrere per cassazione avverso le sentenze per violazione di legge; diritto il cui esercizio non dipende dal valore economico della controversia, soprattutto ove la predetta azione miri ad una verifica giudiziale della correttezza del "modus operandi" dell'amministratore nella generale iscrizione dei pagamenti in bilancio"). Nella specie, sussiste la legittimazione degli attori, condomini dissenzienti, rispetto dell'impugnativa delle deliberazioni assunte così come appare chiaro il loro interesse alla rimozione dell'atto, non solo per i vizi di legittimità dedotti ma anche in ragione della censurata ripartizione delle spese ed alle dedotte limitazioni di godimento alle rispettive proprietà individuali. 3.- Occorre ora esaminare le singole violazioni contestate ed, in primo luogo, quelle che investono la validità dell'intera delibera. 3.1- Quanto al motivo di impugnazione riferito alla mancata verbalizzazione dell'adunanza tenutasi in prima convocazione (come formulato dall'attore Controparte_l, lo stesso non è fondato giacché il CP_2 convenuto ha prodotto in giudizio il verbale dell'assemblea tenutasi in prima convocazione in data 24.6.2020 e allegato alla convocazione per il giorno 25.6.2020. 3.2- Va, parimenti, respinta la doglianza formulata da entrambi gli attori riferita alla mancata indicazione delle quote millesimali dei singoli condomini partecipanti. Dagli atti di causa e dalla stessa disamina del verbale di delibera impugnato, risulta che, al momento dell'adozione della predetta deliberazione, le tabelle millesimali non erano state ancora adottate dal CP_2 tant'è che la loro approvazione era prevista al punto 3) dell'o.d.g. Deve dunque farsi applicazione del principio di diritto per cui "l'assenza delle tabelle millesimali non influisce sulla validità delle delibere se, ai fini della decisione, viene individuato un valore da attribuire alle unità immobiliari in rapporto al valore dell'edificio. La delibera potrà essere invece oggetto di annullamento, qualora il condòmino impugnante provi che il valore proporzionale dei condòmini presenti, rispetto all'intero edificio, era inferiore alle maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c." (Cass. 3295/2023; Cass. 2406/2024). Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell'intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste, dunque, prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi - la cui esistenza non costituisce perciò requisito di validità delle delibere assembleari - e consente sempre di valutare anche "a posteriori" in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell'assemblea e, in genere, la gestione del condominio (così Cass. Sez. 6 - 2, 09/08/2011, n. 17115; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264). La regola in tema di impugnazione della deliberazione dell'assemblea condominiale è che l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (Cass. n. 28262 del 2023; n. 3295 del 2023). In assenza di valide tabelle millesimali, spettava perciò agli odierni attori provare che le deliberazioni adottate dall'assemblea del 25.6.2020 fossero viziate con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall'art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell'intero complesso di unità immobiliari, edifici o condomìni aventi quella o quelle parti comuni in discussione. Tale onere non è stato assolto. Non può invero ritenersi sufficiente il riferimento alle quote di compartecipazione stabilite al 25% per ciascun germano CP_2 nella scrittura privata per notar Per_2 del 2009; dall'elenco dei condomini riportato nel verbale di assemblea del 25.6.2020 risulta che nel condominio sono subentrati, successivamente alla scrittura del 2009, ulteriori soggetti rispetto ai quattro germani originari proprietari (segnatamente, Controparte_3, CP_4 Persona_3 e Persona_4); agli atti non vi è evidenzia delle quote titolarità di tali soggetti e, ciò che più rileva, non vi è evidenza da quali dei germani CP_2 essi abbiano acquistato la rispettiva proprietà; non può dunque ritenersi comprovato che i germani Parte_1 e CP_1 (...) fossero, all'atto dell'approvazione del verbale del 25.6.2020, ancora titolari del 50%. La doglianza va pertanto respinta. 3.3- Va parimenti respinta l'impugnazione formulata dal solo Controparte_1 in merito alla dedotta violazione dell'art. 67 disp. att. c.c. che vieta il conferimento di deleghe all'amministratore, laddove nel caso di specie, la "maggioranza" avrebbe approvato la delibera proprio grazie ai voti espressi per delega dall'amministratore. Non ignora il giudicante che, per effetto della riforma adottata con la legge n.220/2012, il conferimento di deleghe di voto in assemblea all'amministratore è stato in ogni caso e senza eccezioni vietato dall'art. 67, quarto comma, disp. att. c.c. ("all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea"). Se il divieto è violato, la relativa delibera è annullabile e impugnabile ai sensi dell'articolo 1137 c.c. Il condomino che agisce per l'annullamento deve, però, dimostrare che la delibera è stata illegittimamente votata dall'amministratore e tale voto è stato determinante per l'approvazione. Tale prova, nel caso in esame, non è stata offerta, in quanto, pur escludendo il voto dei condomini che hanno conferito illegittime deleghe all'amministratore Persona_5 (ovvero CP_3 (...) e Persona_6, le deliberazioni impugnate sono state approvate comunque con il voto favorevole di 4 condomini su 6. Esclusa la fondatezza delle doglianze formali relative a tutte le deliberazioni assunte in data 25.6.2020, occorre ora esaminare i motivi di impugnazione formulati da ciascun attore in relazione ai singoli punti all'o.d.g. 4.- E' fondato il motivo di impugnazione sollevato da entrambi gli attori con riferimento al punto 4 dell'o.d.g. per avere l'assemblea approvato l'illegittima ripartizione tra i condomini di spese relative a proprietà individuali (oneri per la regolarizzazione urbanistica di difformità riguardanti proprietà individuali) e per l'impossibilità dell'oggetto (presentazione di CILA in sanatoria per opere realizzate in proprietà individuali). Occorre prendere le mosse dal tenore letterale dell'argomento posto all'o.d.g. In sede assembleare, il geom. Per_l, tecnico incaricato dall'amministratore, presente in assemblea, chiariva "che la situazione urbanistica del fabbricato risale alla concessione n. 1842/2004 e pertanto tutti i frazionamenti catastali resisi necessari per il detto atto di donazione e divisione per notar Per_2 non risultano censiti urbanisticamente al Comune e pertanto necessita la presentazione di una pratica in sanatoria per la regolarizzazione dei detti subalterni' (v. p. 7 del verbale). Gli attori sostengono che, poiché alcune porzioni di proprietà esclusiva, comprese nel fabbricato, sono state realizzate in difformità dal progetto approvato (con Permesso a Costruire n. 1842/2004), l'assemblea ne avrebbe illegittimamente deliberato la sanatoria, nominando il geom. cp_5 (...) per l'istruzione della relativa pratica presso il Comune di Atripalda, pur trattandosi, tuttavia, di problematiche afferenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, con conseguente nullità della deliberazione per impossibilità dell'oggetto. Il motivo è fondato. Non vi è dubbio, ad avviso di questo giudicante, che l'assemblea condominiale non ha competenze in ordine alla "sanatoria" di opere effettuate nelle proprietà esclusive dei singoli condomini, in quanto compete a ciascuno di essi decidere se attivarsi per ottenerne la regolarizzazione urbanistica ovvero procedere alla riduzione in pristino. L'assemblea condominiale può deliberare soltanto le spese che riguardano la gestione, la manutenzione e la conservazione delle parti comuni di un condominio (ad es. la richiesta di sanatoria per opere eseguite su parti comuni), e giammai le spese individuali attribuibili ad un singolo condomino né può assumere determinazioni al posto del singolo condomino, come invece accaduto nella specie, laddove l'assemblea ha dato incarico al geom. Per_l per la presentazione della Pt_2 in sanatoria anche per i condomini odierni attori, addebitando ad essi pro quota l'esborso richiesto, sebbene gli stessi fossero contrari alla sanatoria delle opere difformi eseguite nelle rispettive proprietà giacché ritenute pregiudicanti. L'impugnativa va dunque accolta. 5.- Entrambi gli attori dei giudizi riuniti deducono la nullità della delibera assunta in relazione al punto 5) dell'ordine del giorno per le limitazioni al godimento - correlate alla previsione di pluviali e colonne fecali- imposte alle unità immobiliari di proprietà esclusiva degli attori senza il loro consenso. Orbene, all'esito dell'istruttoria espletata a mezzo di CTU, la doglianza è risultata fondata e, conseguentemente, va dichiarata la nullità della deliberazione di cui al punto 5) dell'o.d.g. Vanno richiamate le condivisibili conclusioni della CTU redatta dall'Ing. Per_7 la quale, in relazione al progetto dei lavori a farsi e, in particolare, alle tavole allegate alla convocazione per l'assemblea del 25.6.2020 -in disparte ogni valutazione in ordine allo stato dei luoghi riscontrato e alle opere effettivamente realizzate, profili che non rilevano nella presente sede - ha riscontrato, con specifico riferimento alle unità immobiliari degli attori (le sole che rilevano nella presente sede), quanto segue: "...Le pluviali previste al piano terra, risultando in numero elevato, limitano il godimento delle unità immobiliari di proprietà Controparte_3, Pt_1 _ CP_1 ed Per_6 condizionando le distribuzioni degli spazi interni. Per quanto concerne le colonne fecali... al piano terzo: - la posizione delle fecali dell'u.i. C8 (Controparte_1 non risultano funzionali per l'u.i. servita; l'u.i. C9 (Controparte_1 è carente per l'allaccio degli scarichi della cucina. Al Piano primo: ...Nelle u.i. C6 (Controparte_1 e B6 Parte_1) non sono state previste fecali. Al piano terra: Per le u.i. B4, B5 (Parte_1) e D3 (Persona_6) non sono previste fecali, tuttavia, B5 e D3 potrebbero collegarsi alle fecali dell u.i. adiacenti. L'u.i. B4 resta priva di previsione di fecale. Le criticità rilevate e brevemente esposte risultano lesive per le proprietà richiamate, traducendosi nel godimento non ottimale delle unità immobiliari. Le colonne fecali previste in posizione non ottimale sono diversamente allocabili. Le colonne assenti, inoltre, possono essere integrate". Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello per cui sono affette da nullità le deliberazioni che vanno incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, giacché eventuali modificazioni possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. In mancanza di tale consenso, la deliberazione è nulla, non rilevando ai fini della predetta declaratoria che, in fase esecutiva, siano state apportate modificazioni al progetto deliberato nell'assemblea del 25.6.2020. Né argomento in senso contrario può trarsi dalla scrittura per notaio Per_2 del 2009 giacché essa spiega effetti nei rapporti interni tra i quattro germani originari proprietari del fabbricato e non rispetto all'attuale compagine condominiale ed, inoltre, secondo quanto riscontrato dal CTU (cfr. p. 31 della relazione peritale, ove si legge: "Alla data di sottoscrizione della scrittura privata, il titolo edilizio vigente risultava il Pdc 1842/2004 che contemplava una situazione progettuale differente da quella odierna.."), essa si riferisce al completamento dei lavori comuni secondo il progetto originario (PdC 1842/04) e non al (diverso) progetto deliberato in data 25.6.2020. 6.- E', infine, fondato il motivo di impugnazione sollevato dal solo Controparte_1 in relazione alle deliberazione assunta rispetto al punto 3) dell'o.d.g. L'assemblea ha approvato "le quote millesimali redatte dal geom. Per_1 " facendole "proprie _per la ripartizione dei lavori a ... farsi del computo metrico". L'attore deduce l'illegittimità della deliberazione sia perché in contrasto con la ripartizione convenzionale delle spese prevista nella scrittura privata per notar Per_2 del 10/01/2009 sia perché le tabelle sarebbero errate nelle modalità di calcolo dei coefficienti adottate. Entrambe le doglianze sono fondate. Quanto alle tabelle millesimali, si condividono sul punto le osservazioni del CTU, il quale, a p. 31, precisa: "... il Geom. CP_5 su incarico dell'assemblea ha redatto le tabelle millesimali sulla scorta delle previsioni di progetto allegate ai titoli abilitativi richiesti in data successiva alla scrittura privata. Si precisa che i millesimi rappresentano una "quota" proporzionale al valore del bene di cui ciascun condomino è titolare in rapporto all'intero stabile. Il criterio alla base della redazione delle tabelle millesimali, per quanto condivisibile tecnicamente, di fatto costituisce una forzatura per le seguenti motivazioni: - Tiene conto di previsioni di progetto ad oggi non realizzate (cambi di destinazione, distribuzioni interne, ecc.); - Molte unità immobiliari sono prive di tramezzature; - Quantifica, attraverso la quota millesimale, un valore che auspicabilmente, forse, in futuro l'unità immobiliare potrà avere". Sussiste altresì la violazione dell'art. 1123 c.c.. Tale norma prevede che la ripartizione delle spese comuni siano sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Orbene, nella specie, è documentalmente comprovato che i germani Parte_l, Per_6 Per_5 e CP_1 convenzionalmente stabilirono che la partecipazione alla spesa occorrente per il completamento delle parti comuni sarebbe avvenuta nella misura del 25% ciascuno. Anche il CTU aderisce a tale valutazione affermando che "la ripartizione delle spese, se effettuata sulla base delle quote millesimali, non sia corretta". Deve dunque escludersi che l'assemblea potesse adottare come criterio di ripartizione delle spese riferite ai lavori di completamento un criterio difforme da quello previsto dalla convenzione del 2009 e, segnatamente, le tabelle millesimali predisposte dal geom. Per_l. 7.- Il condomino Controparte_1 impugna la delibera del 25.6.2020 con riferimento al punto 2) dell'ordine del giorno, deducendo che l'assemblea avrebbe approvato, con il computo metrico redatto dal geom. Per_l, la ripartizione di spese che afferiscono ad opere da realizzarsi nelle proprietà esclusive di alcuni condomini ed a loro esclusivo beneficio ed, in particolare, secondo quanto desumibile dall'atto introduttivo del giudizio n. 4458/2020 RG,: - una rampa garage che serve altro fabbricato contiguo; - il maggior costo delle colonne fecali e dell'impianto citofonico (e di tutti i relativi sottoservizi) che servono le dette diverse unità abitative realizzate dal Controparte_6 nel sottotetto; - la canna fumaria prevista al piano terra identificato con la sigla A4, sempre di proprietà di (...) Per_5 A fronte di tale prospettazione, il CP_2 convenuto ha replicato che "Non vi sono spese attribuite per lavori da effettuarsi in proprietà esclusive. Invero, la rampa di accesso al piano interrato, di cui lamenta il sig. Controparte_1 è di esclusiva proprietà del CP_2. Mentre il varco effettuato, con l'abbattimento di un muro della corsia, utile per uscire dal piano interrato attraverso una seconda rampa è di proprietà di un altro corpo di fabbrica come si può evincere dall'atto di divisione per Notaio Per_2 del 13.01.2009, non è assolutamente riportato nel computo metrico come costo". Ora, a fronte della contestazione specifica del CP_2 convenuto - il quale ha espressamente escluso che il computo metrico preveda lavori da effettuarsi in proprietà esclusiva - ritiene il Tribunale che era onere del CP_2 impugnante comprovare la fondatezza della doglianza formulata. Tale onere non è stato assolto. Invero, pur non essendo stato il profilo in esame rimesso alla verifica del CTU, esso non risulta supportato da sufficiente riscontro probatorio. Il CTP Ing. Per_8 nella sua relazione di parte, invero, contesta la circostanza che con la CILA approvata dall'assemblea sia stata richiesta la sanatoria di opere eseguite nelle proprietà esclusive ma non afferma in alcun modo che il computo metrico approvato al punto 2) dell'o.d.g. prevede la ripartizione tra i condomini di lavori da eseguirsi in proprietà esclusive (cfr. p. 8 della CTP, ove si legge: "...Inoltre, molti lavori (ndr. di cui alla CILA) non riguardano opere condominiali ma opere interne alle singole proprietà (tra l'altro la messa in opera di una canna fumaria al piano primo in proprietà esclusiva Persona_5), nonché tante altre, comunque non condominiali. Circa la citata canna fumaria ci si riserva di approfondire e contestare eventuali danni che potrebbero essere arrecati ai committenti atteso che dalla documentazione presentata non è univocamente definita la posizione della citata canna all'esterno (né la sua altezza e sezione) in quanto mancano i relativi elaborati grafici). 8.- In definitiva, in parziale accoglimento dell'impugnativa formulata da entrambi i condomini attori, va dichiarata nulla la deliberazione assunta in relazione ai punti 4) e 5) dell'o.d.g. nonché, in parziale accoglimento dell'impugnativa formulata dal CP_2 Controparte_l va altresì annullata la deliberazione assunta in relazione al punto 3) dell'o.d.g. per violazione dell'art. 1123 c.c. Vanno invece respinti tutti gli altri motivi di impugnativa formulati. 9- Tenuto conto dell'esito dei giudizi e dell'accoglimento parziale dei motivi di impugnazione avanzati, valutata altresì la soccombenza degli attori nella fase di reclamo proposta ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., sussistono i presupposti per compensare per 1/3 le spese di lite di ciascun giudizio (comprensive delle spese relative alla fase di reclamo), ponendo i residui 2/3 a carico del CP_2 convenuto. In ragione del principio di causalità e degli esiti dell'accertamento espletato, le spese di CTU vanno poste interamente a carico del CP_2 convenuto. PQM Il Tribunale di Avellino, in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Valentina Pierri, definitivamente pronunciando nell'ambito dei giudizi riuniti n. 4284/2020 e 4458/2020 RG, ogni contraria o diversa istanza e deduzione rigettata e disattesa, così provvede: 1) accoglie parzialmente le impugnative proposte e, per l'effetto, annulla la delibera assunta dal CP_2 convenuto in data 25 giugno 2020 limitatamente ai punti 3) 4) e 5) dell'ordine del giorno; 2) compensa per 1/3 le spese di lite nell'ambito del giudizio n. 4284/2020 RG e condanna il CP_2 convenuto, in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore dell'attore Parte_l, del residuo 2/3 delle spese processuali, che liquida in Euro 186,00 per spese vive ed Euro 3.384,66, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 3) compensa per 1/3 le spese di lite nell'ambito del giudizio n. 4458/2020 RG e condanna il CP_2 convenuto, in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore dell'attore Controparte_l del residuo 2/3 delle spese processuali, che liquida in Euro 186,00 per spese vive ed Euro 3.384,66, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 4) pone le spese di CTU a definitivo carico di parte convenuta. Così deciso in Avellino, 8 aprile 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione Terza Civile composta dai magistrati: Dott. Maria Grazia Federici Presidente Dott. Isabella Ciriaco Consigliere rel.est. Dott. Giampiero Barile Giudice Ausiliario ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa in grado d'Appello con atto di citazione notificato il 14.2.2023 avverso la sentenza n.420/2023 del Tribunale di Milano pubblicata il 19.1.2023 da (...), rappresentato e difeso dall'Avvocato Fi.RU. (C.F. (...), ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in 20124 Milano, alla via (...), giusta procura in atti; appellante Contro (...), in persona dell'amministratore p. t. dott.ssa (...), rappresentato e difeso dall'avv. Si.Si.Ba. ((...), ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Milano, via (...) giusta procura in atti; appellato OGGETTO: Appello per la riforma della sentenza n.420/2023 del Tribunale di Milano pubblicata il 19.1.2023 in materia di altri rapporti condominiali; CONCLUSIONI: per l'appellante: "Voglia l'Ill.ma Corte d' Appello di Milano, omnibus contrariis rejectis, ed in totale riforma della sentenza n. 420 del 2023 emessa dalla Sezione XIII del Tribunale di Milano in persona del Giudice Monocratico dr.ssa Bocconcello in data 19.01.2023 e pubblicata in data 20.01.2023 e notificata in pari data dalla controparte. Nel merito Riformare la sentenza n. 420/2023 emessa dalla Sezione XIII del Tribunale di Milano in persona del Giudice Monocratico, dr.ssa Bocconcello, in data 19.01.2023 e pubblicata in data 20.01.2023 e, per l'effetto accogliere le conclusioni così come rassegnate e precisate nel giudizio di primo grado. In ogni caso Con vittoria di spese legali, rimborso forfettario, iva, e cpa da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi anticipatario." per l'appellato: "Voglia la Corte d'Appello adita, rigettata ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, così giudicare. a) CONFERMARE la sentenza n. 420/2023 emessa dal Tribunale di Milano, Sezione XIII in persona della dott.ssa Bocconcello, in data 19.01.2023 e pubblicata in data 20.01.2023 rigettando, per tutto quanto esposto, l'impugnazione promossa dall'appellante e, per l'effetto b) ACCOGLIERE le conclusioni così come rassegnate e precisate nel giudizio di primo grado e che qui si riportano: Nel merito: - accertata la mala gestio dello (...) in persona del rag. (...) e il consequenziale danno patrimoniale subito dal (...) (...) accogliere la domanda di risarcimento formulata dal Condominio con consequenziale condanna del precedente amministratore (...) in persona del rag. (...) al risarcimento del danno in favore del (...), in persona della sua amministratrice dott.ssa (...), pari ad Euro 14.735,30= (o di quella diversa somma che verrà accertata nel corso del giudizio), oltre interessi legali dai pagamenti (12/20 dicembre 2016) e moratori ex art. 1284, IV comma, c.c. dall'introduzione del giudizio al saldo effettivo; - dato atto della mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione, condannare lo (...) in persona del rag. (...) al risarcimento in favore del (...), in persona della sua amministratrice dott.ssa (...) di una somma da determinarsi in via equitativa ex art. 96, III comma, c.p.c.. In via istruttoria: - si chiede che venga disposta Ctu volta a indicare "quali siano i costi di mercato per la videoispezione della canna fumaria in Condominio, quale sia la ditta qualificata ad effettuare la videoispezione, quali siano i costi di mercato per la redazione della relativa relazione tecnica, da quale soggetto debba essere redatta e, nel caso specifico, quale sia stata l'utilità/necessarietà di effettuare n. 10 videoispezioni presso il Condominio di (...) e quale sia la validità della relazione tecnica a firma di soggetto non idoneo. Si chiede quindi di valutare la congruità degli esborsi sostenuti dal Condominio e l'utilità/necessarietà della videoispezione commissionata dal rag. (...) evidenziando quali sono stati i maggiori costi sostenuti dal Condominio"; In ogni caso: con favore di spese e compensi professionali del presente giudizio." RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Il giudizio attiene all'azione risarcitoria avviata dal(...) in Milano (di seguito solo (...)) nei confronti di (...) quale ex amministratore del condominio, ritenuto responsabile di aver compiuto atti di mala gestio nello svolgimento dell'incarico conferitogli dal (...). A sostegno delle proprie domande il Condominio attore aveva dedotto che: - (...) aveva ricoperto la carica di amministratore del condominio dal 21.4.2016 al 24.3.2017; - ad ottobre 2016 l'allora amministratore aveva ricevuto da (...) un inquilino di un appartamento sito al sesto piano della scala G del Condominio (...), una segnalazione circa la presenza di uno strano odore di gas nella propria unità immobiliare; - l'amministratore (...) aveva incaricato la ditta (...) di effettuare le dovute verifiche e, tramite una videoispezione della canna fumaria, la ditta aveva rilevato la presenza di un'ostruzione che generava un ritorno di gas nell'appartamento ed aveva provveduto ad eseguire i necessari lavori richiedendo per l'intervento l'importo di Euro 477,00; - l'amministratore quindi aveva chiesto ed ottenuto un preventivo dalla medesima ditta per la video-ispezione dell'intera canna fumaria della scala G (che prevedeva una spesa di Euro 1.200,00 per l'intervento di video-ispezione dell'intero condotto di evacuazione fumi, comprensivo di relazione tecnica finale) e lo aveva sottoposto ai consiglieri del Condominio; - a novembre 2016 veniva effettuato l'intervento da parte della ditta (...) su tutte e cinque le scale del Condominio dotate ognuna di due canne fumarie per un esborso mai preventivato e approvato da parte dell'assemblea di Euro 13.200,00, oltre Euro 1535,30 per la relazione tecnica; - conseguentemente, i consiglieri avevano convocato per marzo 2017 un'assemblea condominiale per la revoca del mandato all'amministratore (...) per aver commissionato, senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea e senza acquisire preventivi concorrenziali alla ditta (...), la videoispezione di tutte le canne fumarie del fabbricato, così imponendo al (...) con decisione unilateralmente assunta l'ingente spesa indicata; - (...) su sollecitazione dei consiglieri, aveva quindi convocato un'assemblea per il 24.3.2017 alla quale lo stesso amministratore non si era presentato. Era stata, pertanto, nominata un'altra amministratrice e, successivamente, era stato deliberato l'avvio della procedura di mediazione, cui era a seguita l'introduzione del presente giudizio a causa dell'esito negativo della stessa. Sulla scorta di tali circostanze di fatto, in diritto, il (...) aveva denunciato la mala gestio di (...) il quale, in violazione dell'art. 1135, c.2 c.c., aveva ordinato lavori di manutenzione straordinaria senza che rivestissero carattere d'urgenza e senza riferirne prima all'assemblea; pertanto il Condominio, riteneva l'amministratore responsabile del danno patrimoniale cagionatogli configurato dal maggior costo sopportato per la video-ispezione fatta eseguire su tutte le canne fumarie presenti nei diversi edifici condominiali nonché per il costo della relazione tecnica fatta eseguire dal geom. (...) privo della qualifica di termotecnico, ed ultronea rispetto a quella già prevista nel preventivo della ditta (...). Il Condominio aveva chiesto altresì la condanna dell'ex amministratore a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, c.3 c.p.c. per la mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione. Si costituiva in giudizio il sig. (...) e chiedeva, preliminarmente, la chiamata in causa di (...) al fine di essere dalla stessa manlevato da qualsiasi pretesa economica e/o somma fosse dovuta per responsabilità professionale in caso di propria condanna; chiedeva comunque il rigetto delle domande in quanto infondate in fatto e in diritto. Il Giudice di primo grado autorizzava la chiamata in causa dell'assicurazione la quale aveva eccepito la prescrizione del diritto ex art. 2952 c.c., l'inoperatività della polizza assicurativa e, in ogni caso, la decadenza dal diritto di indennizzo non avendo, il sig. (...) comunicato il sinistro entro trenta giorni dall'avvenuta conoscenza della richiesta di risarcimento del danno. Il Tribunale di Milano con la sentenza gravata ha accolto la domanda attorea, rigettando invece la domanda di manleva del convenuto prescrizione del diritto ad essere indennizzato dalla compagnia assicurativa, sulla scorta delle motivazioni di seguito riportate. Preliminarmente il giudice ha inquadrato la questione riconducendola "tra quelle regolate dalla normativa codicistica civile in materia di condominio ed, in particolare, dagli articoli 1129 e 1130 c.c. in tema di poteri di amministratore di beni in condominio, come integrati e coordinati dagli articoli 1703 e seguenti c.c. in tema di mandato ed in particolare quelle degli articoli 1710 relativo alla diligenza del mandatario nell'esecuzione dell'incarico quindi, ha sottolineato che l'amministratore di condominio configura un ufficio di diritto privato, che è assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con rappresentanza, precisando altresì che l'amministratore di condominio, nell'espletamento delle sue funzioni di mandatario, "deve agire con la responsabilità tipica del buon padre di famiglia, con sua piena responsabilità nell'ipotesi di inadempimento ad uno o più degli obblighi assunti, tra i quali, con tutta evidenza, rientra quello di non utilizzare per fini estranei all'interesse comune dei condomini le somme versate a titolo di spese condominiali e quelle eventualmente già presenti nella cassa condominiale per far fronte alle esigenze urgenti o indifferibili nell'interesse comune dei mandanti ". (cfr. pag. 5 sent. imp). Il primo giudice ha, poi, precisato che in tema di risarcimento del danno grava sul danneggiato l'onere in base all'art. 2967 c.c. di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito sia contrattuale che extracontrattuale. Fatte queste premesse generali in diritto, incontestate dall'appellante, il giudice ha quindi circoscritto l'oggetto del contendere, così motivando: "Nella fattispecie in esame il condominio attore lamenta la carenza del requisito dell'urgenza di cui all'art. 1135 c.c. della spesa effettuata per la video-ispezione eseguita nel novembre 2016 su tutte le canne fumarie presenti nei diversi edifici del condominio per la quale è stato sborsato l'importo di Euro.13.200,00 alla (...) incaricata dall'amministratore oggi convenuto oltre Euro.1537,30 per relazione tecnica. Chiede quindi la condanna del convenuto al risarcimento del danno subito pari alla ripetizione di quanto versato alla ditta (...) per le video-ispezioni e la relazione tecnica al Geom. (...) (v. pag. 6 sent. Imp.). Il primo giudice ha ritenuto fondata la domanda del (...) ritenendo "provato e non contestato che: - Il rag. (...) fosse stato amministratore del (...) dal 21.4.2016 al 24.3.2017; - In data 7.10.2016 la ditta (...), incaricata dall'amministratore (...) a seguito di segnalazione del condominio (...) di presunta perdita di gas, si recava presso l'abitazione del detto condomino del sesto piano della scala G, che aveva segnalato lo strano odore all'interno della sua unità immobiliare e verificava, a mezzo di videoispezione, la presenza di una ostruzione che generava un pericoloso ritorno di gas all'interno dell'appartamento; per il detto intervento il condominio ha corrisposto alla ditta (...) l'importo di Euro. 477,00 (doc 1 e 2 attore); - in data 7 novembre 2016 la ditta (...) si recava presso il (...) per effettuare la videoispezione di tutte le canne fumarie delle scale F, G, H, I ed L del condominio, anche quelle che convogliano nei singoli appartamenti; - la spesa di Euro.13.200,00 sostenuta per la videoispezione eseguita dalla ditta (...) oltre e. 1530,00 per la redazione della relazione tecnica non è stata preventivamente approvata dall'assemblea né all'assemblea è stata sottoposta la delibera di ratifica dell'operato dell'amministratore". Il giudice ha quindi evidenziato "che non vi è contrasto tra le parti sull'esecuzione della prestazione della ditta (...), né sulla circostanza che la prestazione non sia stata preventivamente autorizzata dall'assemblea; vi è contrasto invece sul carattere dell'urgenza della prestazione eseguita, ove il condominio nega l'urgenza e il convenuto ne afferma la sussistenza quale esimente della responsabilità dell'amministratore" (v. pag. 7 sent. imp.). Così circoscritto l'oggetto del contendere, il primo giudice, richiamato il dettato dell'art. 1135 co. 2 c.c. e la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia, ha concluso nei seguenti termini: "Si ha, quindi, urgenza in caso di una stretta, immediata ed impellente necessità di operare al fine di evitare che una situazione di pericolo, anche solo potenziale, si trasformi in breve tempo, in un grave pregiudizio per la collettività condominiale o comunque che si aggravi sensibilmente, arrecando maggior danno al (...); deve trattarsi di un intervento che non può essere rimandato fino alla decisione dell'assemblea condominiale senza danno o pericolo di danno (tra le tante si veda Cass. 28 febbraio 2018 n. 4684). Naturalmente, se l'intervento è frazionabile (ad esempio, nel caso del tetto che rischia di crollare solo in alcuni punti), l'amministratore deve limitarsi ad effettuare lo stretto indispensabile (messa in sicurezza dello stabile), rinviando ulteriori decisioni all'assemblea che provvederà a convocare in tempi brevissimi. Dalla documentazione in atti e dall'istruttoria espletata è emerso come provato che - certamente urgente ed indifferibile era l'intervento del 7.10.2016; - la seconda videoispezione alle altre canne fumarie, per la quale oggi il (...) contesta l'urgenza è stata eseguita in data 7.11.2016 ovvero oltre un mese dopo quella urgente; - tutti i condomini erano a conoscenza della videoispezione alla canna fumaria del 7.11.2016. Da quanto sopra emerge che i due interventi potevano essere frazionati (altrimenti l'amministratore avrebbe potuto disporre la videoispezione contestualmente se non subito dopo il 7.10.2016) e, dato il lasso di tempo tra il primo e secondo intervento, il secondo poteva essere preventivamente autorizzato dall'assemblea. Peraltro, eventuali emergenze legate a fughe di gas come quella riscontrate dal condominio (...) potevano essere gestite anche mediante intervento dei vigili del fuoco e nel frattempo consentire l'espletamento dell'assemblea che avrebbe deliberato in merito all'opportunità della videoispezione su tutte le canne fumarie. A nulla rileva sul punto che tutti i condomini fossero al corrente della situazione d'urgenza sul presupposto che hanno fatto entrare nei loro appartamenti gli incaricati della videoispezione ed hanno firmato i verbali delle operazioni di manutenzione, perché tali circostanze non comportano implicita ratifica della spesa né conferma dell'urgenza della spesa. Ciò posto consegue la accertata sussistenza della responsabilità del convenuto per aver effettuato i lavori in esame, senza la necessaria autorizzazione o ratifica da parte dell'assemblea condominiale e, infine, senza alcuna urgenza e indifferibilità, la cui prova non si rinviene in atti. Ne consegue che stante la prova del danno e la riferibilità dello stesso al convenuto i costi sostenuti dal (...) per le dette videoispezioni debbono essere addebitati all'odierno convenuto, che è stato inadempiente ai suoi obblighi e che è tenuto a rimborsarli al (...) odierno attore in accoglimento della domanda di quest'ultimo. Il convenuto deve altresì essere condannato al pagamento dell'importo di Euro.1535,30 a titolo di rimborso delle spese sostenute per la consulenza tecnica redatta dal geom. (...) pacificamente commissionata dal rag. (...) senza preventiva autorizzazione del Condominio, spesa mai ratificata o approvata dall'assemblea "(pag. 8-9 sent. imp). Il Tribunale ha, poi, accolto l'eccezione ex art. 2952 c.c. formulata dall'assicurazione, terza chiamata in causa, essendo trascorsi più di due anni tra la data di ricezione dell'invito all'amministratore a partecipare alla mediazione promossa dal Condominio e quella di denuncia del sinistro all'assicurazione. Ha ritenuto, infine, non sussistenti i presupposti per la condanna dell'amministratore ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Avverso tale sentenza ha proposto appello il sig. (...) unicamente in relazione alla condanna alla refusione delle spese a favore del Condominio, con conseguente passaggio in giudicato della decisione sulla sancita prescrizione del diritto del (...) all'indennizzo da parte della terza chiamata. Questi i motivi d'appello dedotti: - erronea e superficiale valutazione dei fatti di causa da parte del primo Giudice in quanto l'intervento effettuato dalla ditta incaricata non era limitato ad eseguire la sola videoispezione bensì era finalizzato a capire, tramite la videoispezione lo stato in cui versavano le canne fumarie così da poter eseguire le operazioni di manutenzione/pulizia, poi realmente effettuate; per cui l'amministratore avrebbe posto in essere un intervento conservativo riconducibile al dettato normativo di cui all'art. 1130, n.4 c.c., non valutato dal primo giudice; - erronea valutazione dei documenti e l'omessa valutazione delle prove testimoniali. In particolare, l'appellante si duole del fatto che il Giudice ha errato nel ritenere "non urgente" l'intervento fatto eseguire dal (...) sulle canne fumarie in quanto il pericolo non era solo potenziale ma reale, con conseguente legittimazione dell'amministratore a procedere all'esecuzione dei lavori, la cui omissione (a fronte dell'obbligo dell'amministratore di intervenire con la manutenzione straordinaria urgente) lo avrebbe esposto al rischio di responsabilità penale. A sostegno della doglianza l'appellante ha richiamato le dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado che avevano confermato la presenza di fumi e gas all'interno dell'abitazione di (...) nonché la circostanza che la ditta (...) aveva comunicato la necessità di verificare le canne fumarie dell'intero Condominio al fine di intervenire con la pulizia e le eventuali riparazioni, a tutela della salute dei condomini. A fronte di ciò, secondo l'appellante, il lasso di tempo intercorso tra il primo ed il secondo intervento è irrilevante ai fini della valutazione della sussistenza dell'urgenza e non è irragionevole, tanto più che tutti i condomini erano stati informati tramite circolare ed avevano acconsentito alla videoispezione accettando le operazioni di pulizia, come desumibile dalla sottoscrizione apposta ai verbali di intervento; - l'assenza della prova del danno. L'appellante ritiene che la condanna inflitta all'ex amministratore di restituire l'importo di Euro 14.735,30 per lavori necessari (anche qualora ritenuti non urgenti), di cui il (...) ha beneficiato, è ingiustificata e non provata e che, in ogni caso, la sentenza andrebbe riformata almeno parzialmente "non potendo ignorare che l'intervento della (...) sia stato correttamente eseguito e sia stato certamente utile per il (...) ed i condomini, così come dimostrano la video-ispezione e la relazione del geom. (...) in possesso del (...), ed è stato acquisito alla "storia " stessa del (...) e di ogni singolo condomino quale beneficio e sicuro vantaggio ". Pertanto, in tesi, attesa la mancanza di danno asseritamente subito dal (...), il costo dell'intervento eseguito a tutto vantaggio dei condomini non può essere interamente riversato sul (...) ma deve essere decurtato almeno quei costi relativi alla "manutenzione ordinaria" che l'impresa aveva eseguito contestualmente alla video-ispezione, in relazione alla quale il (...) potendo compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio (ex art. 1130 co. 1 n. 4 c.c.) non necessitava di alcuna autorizzazione assembleare; interventi ordinari peraltro - in tesi, accettati dai singoli condomini. Inoltre, il giudice avrebbe dovuto tener conto del concorso di colpa ex art. 1227 c.c. dei consiglieri del (...) che avevano sottoscritto il preventivo e dai singoli condomini che avevano sottoscritto i verbali delle operazioni effettuate; - l'erronea determinazione degli interessi sulle somme di cui alla condanna ed omessa motivazione sul punto. L'appellante con tale motivo sostiene la non applicabilità degli interessi moratori ex art. 1284 comma 4 c.c. come riconosciuti dal primo giudice, al caso di specie, attesa la condanna risarcitoria emessa dal Tribunale che non ha alcuna fonte negoziale. Si è costituito in giudizio il (...) chiedendo il rigetto dell'appello e la conseguente conferma della sentenza gravata contestando ogni assunto di parte appellante. il (...) ha, inoltre, eccepito la tardività delle eccezioni sollevate dall'appellante in ordine al quantum da risarcire, al presunto arricchimento del (...) ed al concorso di colpa dei condomini. Rispetto al motivo d'appello relativo agli interessi moratori, l'appellato ha affermato che il rapporto tra il (...) e l'amministratore è regolato dalle norme sul mandato per cui l'amministratore è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale per mala gestio. Così instaurato il contraddittorio, alla prima udienza di comparizione i procuratori delle parti hanno congiuntamente chiesto fissarsi udienza per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 12.12.2023, sulle conclusioni come precisate in forma cartolare dai procuratori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio delle memorie conclusionali e delle repliche e discussa nella camera di consiglio dell'11 marzo 2024. L'appello è infondato e va rigettato. L'azione proposta dal (...) è un'azione di risarcimento del danno derivato dagli atti di mala gestio posti in essere dell'allora amministratore che hanno comportato l'esborso a carico del (...) della somma di Euro 14.735,00 per l'intervento straordinario, non autorizzato né ratificato dall'assemblea, fatto eseguire dal (...) sulle canne fumarie presenti in tutti gli edifici componenti il Condominio e ritenuto da questo non urgente. Per ragioni logico-deduttive la Corte ritiene di dover trattare congiuntamente i primi tre motivi d'appello. (...) sostiene che l'intervento di video-ispezione disposto su tutte le canne fumarie deve essere ricondotto nell'alveo degli atti conservativi previsti dall'art. 1130 n.4 c.c. in quanto la video-ispezione era finalizzata ad indagare lo stato in cui versavano le canne fumarie per poi far eseguire le operazioni di pulizia che l'appellante sottolinea sono state effettivamente realizzate. L'intervento di novembre 2016, secondo l'ex amministratore aveva il carattere dell'urgenza atteso il ritorno di gas riscontrato all'interno dell'appartamento posto nella scala G a seguito dell'intervento urgente effettuato il 7.10.2016. È pacifico ed indiscusso il carattere d'urgenza riconosciuto al primo intervento del mese di ottobre 2016, a seguito della segnalazione del condomino (...) trattandosi di una situazione di pericolo e di urgenza che ha necessitato di un intervento manutentivo straordinario (la video-ispezione e la necessaria riparazione) che pacificamente rientrava nei poteri dell'amministratore, che ha dovuto porre in sicurezza l'immobile, rimuovendo la situazione di pericolo (ritorno di fumi segnalati dal sig. (...). Quello che è posto in discussione è invece il secondo intervento, quello del 7 novembre 2016, relativo alla video-ispezione di tutte e dieci le canne fumarie che il (...) ha eccepito non essere qualificabile come un atto conservativo bensì, per le sue modalità e per il suo costo, configurare un atto di straordinaria amministrazione ex art. 1135, II comma, c.c. che il (...) in assenza di altre segnalazioni ed in assenza di urgenza, non aveva alcun potere di disporre. Le considerazioni del (...) appellato sono corrette e vanno condivise. Dai documenti versati in atti, in particolare dalla relazione tecnica redatta dal geometra (...), incaricato dallo stesso sig. (...) nonché dalle fatture emesse dalla ditta incaricata per i lavori che hanno riguardato il secondo intervento, emerge che lo stesso ha avuto ad oggetto unicamente la video-ispezione mentre non risulta essere stato effettuato dalla ditta (...) alcun lavoro di disostruzione o pulizia in alcuna delle dieci le canne fumarie. Anche nelle schede di intervento fatte firmare dai singoli condomini (sub doc. 29 fasc. appellante) non viene riportato alcun intervento di riparazione o pulizia dei condotti. Pertanto, non vi è prova dell'assunto di parte appellante in merito ai lavori di manutenzione e pulizia ordinaria fatti eseguire contestualmente alla video-ispezione (lavori invece che risultano essere stati fatti solo in occasione dell'intervento del 7.10.2016). D'altronde anche nella relazione "tecnica" del geom. (...) viene unicamente indicato quale oggetto dell'intervento espressamente: "Video-ispezione canna fumaria collettiva ramificata di scaldabagni"; ancora, con riferimento al paragrafo sugli interventi realizzati si legge: "Sulla copertura dell'edificio ho eseguito la video-ispezione di n. 10 condotti primari di CCR (canne collettive ramificate) a servizio degli scaldabagni a gas. Tali interventi hanno permesso di conoscere lo stato interno delle canne fumarie e d'individuare le eventuali anomalie, tramite apposite attrezzature" Infine, sempre nella relazione tecnica, il geometra (...) consigliava, per rimuovere le anomalie riscontrate, la "realizzazione di nuove canne collettive semplici esterne, da mettere a servizio di nuovi scaldabagni a gas tipo "C" a tiraggio forzato". Ne deriva che, dalle prove in atti, l'unica attività svolta dalla ditta in relazione all'intervento contestato dal (...) di novembre 2016 ha riguardato la videoispezione che non è di per sé intervento conservativo né può essere considerato tale; ha inoltre sottolineato il (...) che i lavori consigliati nella relazione tecnica non sono stati neppure eseguiti per cui la situazione relativa alle canne fumarie è rimasta di fatto invariata, a riprova della non urgenza dei ravvisati interventi da eseguire e dell'assenza di alcun atto conservativo. La video-ispezione, infatti, come anche sottolinea l'appellante, è finalizzata ad indagare in questo caso la situazione relativa alle canne fumarie ma di per sé non è atto conservativo, ma al più può essere considerata come atto preliminare presupposto alla realizzazione di un eventuale atto conservativo, nel caso di specie, non realizzato. Esclusa, pertanto, la natura di atto conservativo ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'appellante ha comunque sostenuto che l'intervento eseguito nel novembre 2016, seppure di straordinaria amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, rivestiva il carattere dell'urgenza e, come tale, era stato legittimamente disposto dall'allora amministrazione, senza attendere l'autorizzazione dell'assemblea condominiale. Tale deduzione è destituita di fondamento. L'art. 1135 c.c. è chiaro nel prevedere al secondo comma che "l'amministratore non può ordinare lavori di straordinaria amministrazione, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea". Il legislatore ha consentito, quindi, che solo in caso di urgenza l'amministratore possa ordinare lavori di straordinaria amministrazione ma che, in ogni caso, deve riferire nella prima assemblea utile. È opportuno sottolineare che l'urgenza debba essere distinta dalla mera necessità essendo questi due profili totalmente diversi tra loro benché possano sembrare simili. Un intervento, infatti, può essere meramente necessario ma non urgente, essendo l'urgenza caratterizzata dall'indifferibilità dell'intervento da eseguire al fine di evitare che una situazione di pericolo, anche solo potenziale, si trasformi, in breve tempo, in un grave pregiudizio per la collettività condominiale (o al singolo condomino) o anche possa aggravare sensibilmente il danno cui è potenzialmente esposto il (...). Soccorre al riguardo la Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n. 9280/2018, sulla distinzione dell'urgenza dalla mera necessità, ha chiarito che ricorre una situazione d'urgenza "quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa, mentre nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (art. 1110 c.c.)." L'appellante non ha confutato il principio giurisprudenziale richiamato dal primo giudice in base al quale "qualora l'amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 1135, comma 2, c.c., abbia disposto, in assenza di previa delibera assembleare, opere di manutenzione straordinaria caratterizzate dall'urgenza, ove questa effettivamente ricorra ed egli abbia spese, nei confronti di terzi, il nome del (...), quest'ultimo deve ritenersi validamente rappresentato e l'obbligazione è direttamente riferibile al (...). Laddove invece i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell'amministratore non posseggano il requisito dell'urgenza, il relativo rapporto non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dall'amministratore al di fuori delle sue attribuzioni" (Cass. sent. n.2807/2017). Alla luce dei richiamati principi, nel caso in esame non sussistono i presupposti per ritenere che l'intervento fatto eseguire dall'amministratore senza preventiva autorizzazione dell'assemblea e senza successiva ratifica delle relative spese fosse indifferibile ed urgente. Nello specifico l'amministratore non ha dimostrato l'esistenza delle ragioni di urgenza che, sole, avrebbero legittimato il suo agire senza la preventiva autorizzazione assembleare, pertanto non può giungersi ad una conclusione diversa rispetto a quella a cui è giunto il Tribunale. Tutte le argomentazioni addotte dall'amministratore a sostegno dell'urgenza dell'intervento e della conoscenza da parte dei condomini della situazione di fatto e degli interventi disposti sono rimaste mere allegazioni di parte, prive di riscontro nei fatti e negli atti di causa e, come tali, sono irrilevanti ai fini della decisione. L'ex amministratore di (...), di fatto, non ha né allegato né dato prova della sussistenza di ragioni di urgenza ed indifferibilità dell'intervento del 7 novembre 2016 su tutte e dieci le canne fumarie, che lo avrebbe costretto ad agire senza necessaria autorizzazione dell'assemblea né tanto meno ha fornito alcuna giustificazione del motivo per cui nel lasso di tempo di un mese, intercorso tra il primo ed il secondo intervento, non abbia potuto provvedere a convocare un'assemblea, come avrebbe potuto e dovuto fare. Ad avvalorare la tesi secondo cui non sussisteva nessun tipo di urgenza vi è l'ulteriore circostanza secondo cui, una volta realizzato il primo intervento di ottobre 2016, nessun'altra segnalazione di problemi correlati alle canne fumarie è pervenuta dai condomini per cui non vi era ragione di credere che ci fosse una situazione di impellente necessità di procedere per evitare qualsiasi pericolo che avrebbe messo a rischio l'incolumità di tutti i condomini degli edifici coinvolti. Non vale a suffragare la tesi prospettata dall'appellante neppure la considerazione che i consiglieri, tramite la sottoscrizione del preventivo della ditta (...), ed i condomini, che avevano consentito l'ingresso nelle proprie abitazioni dei tecnici e firmato il verbale del relativo intervento, avessero in tal modo accettato le prestazioni della ditta. Intanto il (...) ha eccepito che il preventivo sottoposto all'attenzione dei Consiglieri riguardava la video-ispezione della sola scala G ed, effettivamente, il preventivo in atti fa esplicito riferimento alla canna fumaria della sola scala G e riporta, poi, una postilla manoscritta con la precisazione che deve intendersi "per tutte le colonne" che non si può escludere sia stata aggiunta successivamente alla sottoscrizione della copia. Comunque, la mera "conoscenza" di fatto (da parte dei Consiglieri e dei singoli condomini) dei lavori disposti dall'amministratore non equivale ad accettazione acritica degli stessi e men che meno quale riconoscimento dell'urgenza o autorizzazione ad eseguirli, essendo necessaria la convocazione dell'assemblea e relativa delibera a ratifica dell'operato dell'amministratore. (...) non ha dimostrato di aver agito nel rispetto delle regole del buon padre di famiglia, nell'interesse del Condominio: ha agito in autonomia, incaricando una ditta di espletare lavori straordinari che non presentavano un urgenza tale da giustificare la mancata convocazione dell' assemblea condominiale ed ha esposto il condominio a costi rilevanti (palesemente sproporzionati rispetto a quelli sostenuti nel primo intervento), omettendo di munirsi di più preventivi di spesa per comparare i costi e far sostenere ai condomini la minor spesa possibile; in più l'ex amministratore risulta aver dato l'incarico a quello che era pacificamente un proprio collaboratore di studio (privo di specifiche competenze tecniche) di redigere una relazione tecnica sulle videoispezioni disposte, quando già una relazione di tale specie era prevista e compresa nel preventivo disposto dalla ditta (...) sottoposto all'attenzione dei consiglieri condominiali. Pertanto, (...) non ha rispettato il mandato ricevuto ed ha agito oltre e al di fuori dei propri poteri, con conseguente responsabilità personale dell'ex amministratore, su cui devono ricadere i costi illegittimamente sostenuti dal (...) per la mala gestio del suo amministratore dell'epoca. Non può essere accolta neppure la richiesta del (...) di riforma parziale della sentenza, quantomeno con la decurtazione dalla somma spettante al (...) per la spesa relativa alla manutenzione ordinaria asseritamente eseguita dalla ditta incaricata della video-sorveglianza. L'ex amministratore non ha dimostrato sia mai stata eseguita la dedotta manutenzione ordinaria delle canne fumarie ed anzi, come sopra già sottolineato, nessun intervento manutentivo né di pulizia risulta essere stato realizzato sulle canne fumarie del (...) a novembre 2016. Le eccezioni formulate dall'amministratore in merito alla quantificazione del danno la cui domanda risulterebbe, secondo l'appellante, ingiustificata e sproporzionata, al presunto arricchimento del (...) che avrebbe beneficiato dei lavori eseguiti ed il concorso di colpa dei consiglieri e dei condomini che ben sapevano dei lavori disposti e li avevano accettati, sono eccezioni che oltre ad essere infondate per i motivi fin qui espressi sono anche tardive, in quanto sollevate per la prima volta in grado di appello e, pertanto, in ogni caso, inammissibili. In ordine all'eccezione di ultra-petizione, in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado che non si sarebbe limitato ad accertare la mala gestio, come richiesto dall'appellato, ma si sarebbe spinto a valutare la non riferibilità del contratto al (...) in relazione alle norme sul mandato, la Corte osserva che il riferimento alle norme del mandato è imprescindibile in quanto il rapporto sussistente tra il (...) e l'amministratore è regolato, come correttamente precisato dal Tribunale con motivazione non confutata né contestata, anche dalle disposizioni del mandato. L'accertamento della mala gestio rappresenta, dunque, un'estrinsecazione dei poteri dell'amministratore derivanti dal mandato allo stesso conferito, per cui i due profili devono ritenersi connessi tra loro. Infondato è, infine, anche l'ultimo motivo d'appello inerente la quantificazione degli interessi moratori. Come sopra già evidenziato il rapporto tra amministratore e (...) è regolato dalla disciplina sul mandato per cui il primo deve agire secondo il principio della diligenza del buon padre di famiglia dalla cui violazione discende una responsabilità di tipo contrattuale dell'amministratore il quale, in caso di inadempimento agli obblighi derivanti dal mandato, come in questo caso, è tenuto al pagamento anche degli interessi moratori ai sensi dell'art. 1284 comma 4 c.c.. Consegue la condanna dell'appellante, totalmente soccombente, alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio sostenute dall'appellato che vengono liquidate in dispositivo avuto riguardo ai criteri medi indicati dal vigente D.M. n. 147 del 13/08/2022, attesa la media complessità delle questioni trattate, con riferimento al valore della controversia (che viene indicato dall'appellante in Euro 14.735,30) ad eccezione degli onorari per la fase di trattazione che vengono dimezzati. Al rigetto dell'appello segue, infine, la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo pari al contributo unificato, ex art. 13 comma 1 quater DPR 30.05.2002 n. 115, trattandosi di controversia promossa dopo l'entrata in vigore (il 31.01.2013) della modifica introdotta con l'art. 1 comma 17 L. n. 228/2012. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) contro (...) avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 420/2023, pubblicata in data 19/01/2023, così provvede: 1. rigetta l'appello; 2. condanna l'appellante alla rifusione in favore della parte appellata delle spese del presente grado del giudizio, che liquida ai sensi del D.M. 147/2022 in complessivi Euro 4.888,00, di cui Euro 1.134,00 per la fase di studio della controversia, Euro 921,00 per la fase introduttiva, Euro 922,00 per la fase di trattazione ed Euro 1.911,00 per la fase decisionale, oltre 15 % per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 3. dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo corrispondente al contributo unificato ex D.P.R. n. 115/2002, art. 13 c. 1 quater, comma inserito dall'art. 1 c. 17 L. n. 228/2012. Così deciso, in Milano l'11 marzo 2024.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MONZA SEZ. II CIVILE Nella persona del giudice unico, Dott.ssa Caterina Panzarino Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento iscritto al n. 6810/2021 Promosso da (...); rappresentati e difesi dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultima in Lissone, (...), in forza di procura in atti - attore - contro Con (...) in persona del titolare (...) con sede in Paderno Dugnano, (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Paderno Dugnano, rappresentati e difesi dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Cusano Milanino, (...), in forza di procura in atti - convenuto - CONCLUSIONI DELLE PARTI: parte attrice: "Parti attrici reiterano le istanze già formulate al Tribunale affinché disponga provvedimento inibitorio di cessazione delle immissioni moleste descritte negli atti depositati, con le modalità individuate nel paragrafo 2 (Le misure richieste) della citazione, ovvero: - Quanto alle esalazioni: 1. disporre come obbligatoria la dotazione di cappe aspiranti adeguate ed il loro funzionamento continuo. 2. disporre la rimozione del rudimentale impianto di ventilazione attuale (vetrate forate con ventilatori che disperdono gli odori all'esterno) e l'adozione di diverso impianto che garantisca l'assorbimento degli odori. 3. disporre, in conformità alle indicazioni del CTU Geom (...) nella relazione peritale alla pagina 8, la realizzazione di un sistema che impedisca di accendere i fuochi e tutte le apparecchiature di cottura qualora tutti i ventilatori presenti al servizio della cucina non siano in funzione mediante installazione di un'elettrovalvola che impedisca il passaggio del gas metano e di uno o più relè che impediscano l'accensione delle apparecchiature elettriche presenti. - Quanto alle immissioni sonore: 4. imporre al Ristorante il ritiro di tavoli e sedie alla chiusura del locale, come previsto dall'integrazione al Regolamento di Condominio introdotta con Verbale dell'Assemblea 5. disporre, stante il carente isolamento acustico del locale, l'adozione delle misure tecniche più efficaci per ridurre l'impatto acustico dell'attività del Ristorante, con la realizzazione di idonea opera di insonorizzazione. 6. Si reitera, al tal fine, l'istanza già formalizzata nell'atto introduttivo e riformulata in data 2/11/2022 per integrazione della consulenza tecnica con la rilevazione fonometrica del rumore finalizzata alla individuazione dei più opportuni trattamenti fonoassorbenti ambientali per ridurre il riverbero interno dei locali. 7. obbligare i convenuti, ognuno per la propria competenza, ad adottare le modifiche tecniche e strutturali all'immobile, che risulteranno necessarie a seguito di CTU; 8. condannare i convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale, da quantificarsi secondo equità tenuto conto della pluriennale durata delle molestie; 9. condannare i convenuti al pagamento delle spese, competenze ed onorari della presente procedura nonché al rimborso delle spese di CTU sostenute dagli attori. parte convenuta: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito: rigettare la domanda attorea in quanto infondata in fatto e in diritto; Con vittoria di spese e competenze di lite" Occorre premettere che il presente procedimento è stato assegnato a questo giudice in data 13 settembre 2023, ad istruttoria già conclusa. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione in riassunzione ritualmente notificato(...) e (...), convenivano in giudizio (...) (...) e Con (...) e, in qualità rispettivamente di proprietario dell'Immobile di sito in Paderno Dugnano, (...), e di conduttore del suddetto immobile ed ivi esercente attività di ristorazione, chiedendo che il giudice, accertata e dichiarata la responsabilità dei convenuti nella causazione delle immissioni intollerabili nei confronti della parte attrice, ordinasse la cessazione "delle immissioni moleste individuate nel paragrafo 2 (le misure richieste) e con contestuale previsione dell'applicazione delle misure coercitive di cui all'art. 614 bis c.p.c., obbligare i convenuti ognuno per la propria competenza, ad adottare le modifiche tecniche e strutturali all'immobile che risulteranno necessarie a seguito di CTU, condannare i resistenti al risarcimento del danno non patrimoniale, da quantificarsi secondo equità tenuto conto della pluriennale durata delle molestie; con vittoria di spese ed onorari". A sostegno della propria domanda gli attori deducevano: - di essere residenti in un appartamento sito al primo piano del Condominio (...), in Paderno Dugnano, (...); - che la (...) è proprietaria del suddetto immobile e che ivi è residente unitamente al (...) dal 14.9.1996; - che il suddetto immobile è situato "sopra il locale a piano terra di proprietà del (...), condotto dal ristorante. Con l'esercizio commerciale che si sviluppa sotto 4 appartamenti (...) il Ristorante DI.CI è subentrato nei locali del (...) nel 2008 a seguito di cessione del ramo d'azienda dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande"; - che la predetta attività "di ristorazione viene svolta senza il rispetto delle norme giuridiche, delle regole condominiali e dei basilari principi di convivenza civile, ma nel corso degli ultimi 4 anni la situazione è andata degenerando soprattutto a causa dei rumori (...) ed odori derivanti dalla cottura dei cibi"; - che le immissioni, divenute intollerabili, portavano gli odierni attori ad instaurare un giudizio ai sensi dell'art. 703 c.p.c. e 1170 c.c. che veniva dichiarato inammissibile; - che a seguito del provvedimento emesso nel predetto giudizio "il (...) intraprendeva opere di modifica del locale dando esecuzione ad un progetto di installazione di nuova canna fumaria, installazione nuovo impianto di aerazione e ricircolo. Veniva indetta assemblea straordinaria per autorizzare tali opere"; - che tali immissioni hanno cagionato anche danni non patrimoniali in quanto "lo stato di salute di chi ha il diritto di godere il bene è compromesso dall'immissione (l'esposizione prolungata ai rumori, soprattutto nelle ore notturne, crea dei danni permanenti alla salute psico-fisica) I danni essendo in re ipsa e nel rispetto dei presupposti di legge possono essere liquidati con il criterio equitativo ai sensi dell'art. 1126 c.c.". Si costituivano in giudizio le parti convenute, deducendo nel merito, l'infondatezza della domanda attorea e chiedendone l'integrale rigetto, con vittoria di spese. In particolare, osservavano: - che l'esistenza al piano terra di un'attività di ristorazione risale alla nascita del condominio; ed invero, all'art. 9 del regolamento condominiale redatto contestualmente alla formazione del condominio si legge: "... La (...) assegnataria al piano terreno e al seminterrato potrà esercitare la propria attività di Circolo e Ristorante in ottemperanza alle norme di legge e ha la facoltà di occupare lo spazio all'esterno dei propri locali con tavoli e sedie purché non ingombri totalmente il passaggio" (vedasi doc. 2); inoltre, non ha rilievo alcuno la circostanza che, sino al 2015, i locali venivano destinati in parte ad attività di ristorazione ed in parte al bar, mentre a decorrere da tale data l'intero immobile sarebbe stato destinato a ristorazione; - che "a confutazione dell'inesistenza delle sostenute immissioni rumorose, si produce la dichiarazione rilasciata dalla Stazione Carabinieri di Paderno Dugnano in relazione agli interventi effettuati dal citato comando presso il ristorante (...) in seguito alle ricevute segnalazioni per schiamazzi"; - che "Non corrisponde al vero l'assunto secondo cui il sig. (...) non provvederebbe al ritiro dei tavoli e sedie che, a dire di controparte, verrebbero utilizzati dai ragazzi dopo la chiusura del locale come ritrovo per bivacchi notturni con conseguenti rumori e schiamazzi. Sul punto, in primis, ricordiamo che nel regolamento condominiale è espressamente prevista la "facoltà di occupare lo spazio all'esterno dei propri locali con tavoli e sedie purché non ingombri totalmente il passaggio"; - che "il sig. (...) tutte le sere provvede a ritirare le sedie poste all'esterno proprio per evitare che vengano utilizzate per sostare oltre l'orario di apertura. Solo alcuni tavoli, quelli raffigurati nelle foto prodotte sub doc. 4 che sono di grosse dimensioni e pesanti, vengono lasciati all'esterno. Il tutto, appunto, per evitare di creare rumori e/o fastidi. Come si può rilevare in tutti gli interventi eseguiti (24.12.2019 ore 00.00, 17.01.2020 ore 00.10, 21.06.2020 ore 00.05) i carabinieri hanno accertato che il locale era chiuso e che non vi erano in atto schiamazzi"; - che con riferimento alle immissioni di odori, il titolare del ristorante provvedeva a seguito di apposita autorizzazione del Condominio e prima dell'instaurazione del presente giudizio come da verbale di assemblea in data 8.2.2021 (assemblea a cui era presente il (...) che esprimeva voto favorevole, autorizzando l'effettuazione delle opere) a " sostituire l'intera canna fumaria e le cappe di aspirazione; inoltre, veniva "installato un motore elettrico del tipo UNEL/MEC B3, asincrono 400/3/50 IP 55 con gruppo ventilante composto da ventilatore e motore fissato su ammortizzatori in gomma, con inserimento tra la struttura e la bocca del ventilatore di una guarnizione antivibrante di 10 mm, al fine di evitare la trasmissione di vibrazioni. Attualmente la filtrazione avviene tramite carboni attivi (una tecnologia di depurazione dell'aria per mezzo della quale una corrente gassosa viene privata degli elementi inquinanti facendola passare attraverso una serie di filtri che contengono cardone attivo di tipo F7, G2, G3 EN 779-2012). Con tale intervento, è stata totalmente eliminata l'emissione in atmosfera di odori e i fumi di cottura vengono scaricati all'esterno attraverso la nuova canna fumaria di 0 450mm in sostituzione a quella preesistente da 0 300mm. Di conseguenza i ventilatori apposti sulle vetrate (di cui controparte tanto si lamenta) NON sono più stati utilizzati e sono in disuso". Disposta ed espletata CTU ed espletate le prove per testi e per interpello, la causa veniva rinviata per conclusioni e trattenuta in decisione. Occorre preliminarmente osservare che la ratio dell'art. 844 c.c. è certamente quella di proteggere l'interesse del proprietario al pieno godimento delle utilità ritraibili dal fondo. Tuttavia, alla tutela squisitamente inibitoria prevista dalla disposizione richiamata, può sovrapporsi anche una tutela risarcitoria, sia ove il conflitto sia tra proprietari, sia ove il conflitto sia tra soggetti che effettivamente hanno, a diverso titolo, la disponibilità del fondo. Passando ora al merito della questione, la domanda attorea è parzialmente fondata e deve essere accolta nei limiti in cui si dirà. Orbene, dalle risultanze dell'espletata CTU, le cui considerazioni e conclusioni si condividono pienamente, è emerso che: - "È stata verificata sperimentalmente mediante l'utilizzo di appositi fumogeni, l'efficienza sia della cappa di aspirazione che del sistema di immissione dell'aria esterna, (foto 6) ed è stato appurato che, quando entrambi gli impianti sono in funzione, non vi è fuoriuscita di fumo, e conseguentemente emissione di odori dalla cucina"; - "Per evitare che la cucina possa funzionare senza che le apparecchiature di ventilazioni presenti siano in funzione, si propone di realizzare un sistema che impedisca di accendere i fuochi e tutte le apparecchiature di cottura qualora tutti i ventilatori presenti al servizio della cucina non siano in funzione Indicativamente si tratta di installare un'elettrovalvola che impedisca il passaggio del gas metano e di uno o più relè che impediscano l'accensione delle apparecchiature elettriche presenti. Solo dopo l'accensione dei ventilatori (sia in aspirazione che immissione) il sistema consentirà l'accensione degli apparecchi di cottura (elettrici e a gas) presenti. Ovviamente qualora venisse disattivato anche un solo ventilatore tutte le apparecchiature di cottura si spegneranno automaticamente. Inoltre, nella sala ristorante sono presenti alcune ventole di aspirazione, attualmente parzialmente chiuse e/o inutilizzate, probabile residuo di un vecchio impianto di aspirazione fumi, pertanto necessiterà una sigillatura accurata di tutte le aperture interno-esterno presenti sul fronte di (...) eventualmente rimuovendo anche i ventilatori ancora presenti (foto 7, 8, 9 e 10)"; - "La valutazione economica precisa dell'intervento da eseguirsi non è possibile, in quanto non si è a conoscenza dell'attuale conformazione dell'impianto elettrico esistente, si può tuttavia ipotizzare che il costo complessivo possa essere quantificato in Euro 2.500/Euro 3.000". Sulla base di quanto emerso dalla CTU, le immissioni di odori riescono ad essere contenute entro livelli di normale tollerabilità, ove la cappa di aspirazione ed il sistema di immissione dell'aria esterna, siano entrambi in funzione. In tal caso non vi è fuoriuscita di fumo, e conseguentemente emissione di odori dalla cucina. Al fine di assicurare il funzionamento contestuale delle apparecchiature di ventilazione della cucina occorre creare un sistema che impedisca di accendere i fuochi e le apparecchiature di cottura senza che parimenti siano in funzione le apparecchiature di ventilazione. Pertanto, sulla base delle indicazioni del CTU, deve essere installata un'elettrovalvola che impedisce il passaggio del gas metano e di uno o più relè che consentano solo dopo l'accensione dei ventilatori (sia in aspirazione che in immissione) l'accensione degli apparecchi di cottura (elettrici ed a gas) presenti; inoltre, sarà necessario anche sigillare accuratamente tutte le aperture interno-esterno presenti sul fronte di (...) (...) eventualmente rimuovendo i ventilatori ancora presenti. La domanda relativa alle immissioni di odori deve essere, pertanto, accolta nei termini che seguono, con conseguente condanna delle parti convenute a: - installare un'elettrovalvola che impedisca il passaggio del gas metano e di uno o più relè che consentano solo dopo l'accensione dei ventilatori (sia in aspirazione che in immissione) l'accensione degli apparecchi di cottura (elettrici ed a gas) presenti; - sigillare accuratamente tutte le aperture interno-esterno presenti sul fronte di (...) eventualmente rimuovendo i ventilatori ancora presenti; Per quanto attiene, invece, alle immissioni di rumore occorre osservare che i rumori sono stati allegati in via del tutto generica dalla parte attrice, che si è limitata a fare riferimento allo "strisciare di sedie in orario notturno", alla circostanza che "vengono prodotti rumori sia durante l'attività di ristorazione nelle ore di apertura, sia dopo la chiusura quando il locale viene riassettato con spostamento di tavoli e sedie" o allo stazionamento di avventori all'esterno del locale in grado di produrre moleste immissioni. Sulla base di tali generiche asserzioni, ulteriore attività istruttoria (CTU) sarebbe stata del tutto esplorativa, se poi si considera, da un lato quanto emerso dall'escussione dei testi (ove non vi è conferma di quanto dedotto dalla parte attrice ovvero di continui rumori, molestie, schiamazzi) dall'altro quanto successivamente dedotto dalla stessa parte attrice. Ed invero, il teste (...) sulla cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, dichiarava che "io non sento rumore né di giorno né di notte provenire dal ristorante; io ho un balcone e tre finestre che affacciano sul lato ristorante' ed aggiungeva "posso invece dire che quando il locale chiude non si ferma mai nessuno a "bivaccare ", non ho mai visto bottiglie vuote di birra o di acqua a me sembra che non ci siano sedie di fuori quanto il locale è chiuso; questo lo posso dire con certezza con riferimento al periodo estivo perché io e mia moglie a volte stiamo sul balcone; c'è silenzio e tranquillità, non c'è casino" e, da ultimo, che "posso riferire che quando il locale è aperto, fuori ci sono le persone che aspettano la pizza; quando è chiuso come ho detto io non ho mai visto nessuno, è una zona tranquilla" e che non è vero che "Il titolare del ristorante non ritira i tavoli, e spesso anche le sedie, che vengono impilate di fianco ai tavoli, sui quali al mattino si rinvengono bottigliette d'acqua e di birra, oltre a portaceneri pieni di mozziconi, che attestano la presenza di numerose persone oltre l'orario di chiusura ed i relativi bivacchi fino a tarda ora". La teste (...), sulla cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, ha dichiarato "Non so dire se nella pizzeria vengono organizzate feste di compleanno o ricevimenti, io posso dire che non ho mai sentito rumore provenire dalla pizzeria, io durante il giorno lavoro e la sera vado a letto presto". La teste (...) sulla cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, ha dichiarato "dopo la chiusura io non ho mai sentito rumori di spostamento di tavoli e sedie, preciso che io non sono esattamente sopra il ristorante perché sopra il ristorante c'è l'appartamento dei signori (...) e (...), io sono di fianco all'appartamento degli attori, sotto di me c'è il bagno della pizzeria; cap. 6) Posso riferire che c'è stato un momento in cui i ragazzi si fermavano dopo la chiusura del ristorante, non so dire se c'erano fuori sedie e tavoli, io non ci ho mai fatto caso, so poi che gli attori si erano lamentati e la cosa si era risolta; io personalmente non sento "chiasso" provenire dall'esterno del ristorante, sento solo il vociare normale della gente che si saluta e poi va anche perché alle 11.30 il ristorante chiude". Il teste (...), operante presso le forze dell'ordine che interveniva all'esito delle chiamate della parte attrice, confermando quanto già risultante dai verbali, ha dichiarato "in nessuno degli interventi da me fatti ho trovato persone che stavano facendo schiamazzi, ho invece trovato gruppi che stavano in una occasione indossando il cappotto perché il locale era in chiusura, nell'altra mia uscita c'erano sei persone intente a parlare e a fumare e il locale era chiuso, in un'altra mia uscita il ristorante era chiuso e non ho trovato nessuno fuori il ristorante". Inoltre, gli stessi attori in atti riferiscono, con ciò rendendo contraddittoria la ricostruzione dei fatti dagli stessi resa che "ad inizio del contenzioso era molto importante il problema del propagarsi del vociare all'interno del ristorante, problema che nelle more del giudizio si è ridotto poiché, dopo anni di insistenza da parte attrice, il circolo ha insonorizzato il locale, sebbene parzialmente. Gli attori hanno passato anni in cui la molestia uditiva era intollerabile, poiché in casa venivano nettamente percepite le voci di centinaia di persone. A far data da aprile 2022 si è accertato, quindi, un miglioramento della problematica in quanto l'insonorizzazione attutisce il vociare. Tuttavia, essa non copre i rumori derivanti dallo spostamento e dal trascinamento di tavoli e sedie, che producono fastidiose vibrazioni dovute allo sfregamento sul pavimento ruvido". La domanda relativa alle immissioni di rumori deve essere, pertanto, rigettata. Analizzando ora il profilo risarcitorio, occorre osservare che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all'interno di un'abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (Cass. Sez. Un. 01/02/2017, n. 2611; Cass. 19/12/2014, n. 26899; Cass. 16/10/2015, n. 20927). In ogni caso, Alla luce del sopra esposto principio, i convenuti sono tenuti in solido a risarcire i danni subiti dall'attore, che vengono equitativamente liquidati, per il tempo in cui questi ha subito immissioni di odori intollerabili, nella somma di Euro 2.000,00. Da ultimo deve essere rigettata la domanda formulata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., dalle parti convenute in assenza dei presupposti di legge. Deve essere anche rigettata la domanda formulata ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. in assenza dei presupposti per l'applicazione della stessa ed osservato che all'esito della CTU la parte convenuta si è resa disponibile a scopo transattivo a realizzare le modifiche degli impianti e tutti gli interventi suggeriti dall'ausiliario del giudice. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenuto conto della non particolare complessità delle questioni trattate. Le spese di CTU, così come liquidate in corso di causa, vanno poste definitivamente a carico delle parti convenute. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa: 1. Rigetta la domanda relativa alle immissioni di rumore; 2. Accoglie la domanda relativa alle immissioni di odori ed ordina ai convenuti di provvedere immediatamente: - ad installare un'elettrovalvola che impedisca il passaggio del gas metano e di uno o più relè che consentano solo dopo l'accensione dei ventilatori (sia in aspirazione che in immissione) l'accensione degli apparecchi di cottura (elettrici ed a gas) presenti; - a sigillare accuratamente tutte le aperture interno-esterno presenti sul fronte di (...) eventualmente rimuovendo i ventilatori ancora presenti; 3. Condanna CI. (...) e di (...) (...) in solido tra loro, a pagare in favore di (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 2.000,00, oltre interessi dalla domanda al saldo; 4. Condanna CI. (...) e (...) (...) alla refusione delle spese legali del presente procedimento nei confronti di (...) e (...) che liquida in Euro 3.809,00 per compensi, Euro 518,00 per spese, oltre IVA, rimborso forfettario nella misura del 15% delle spese generali, ed oneri come per legge; 5. Pone definitivamente le spese di CTU, a carico di CI. (...) e di (...) Monza, 20 marzo 2028.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8469 del 2023, proposto dalla signora El. Ca. Al., rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. La. e Vi. Au. Pa., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. No., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, nei confronti dell'Amministrazione condominiale via (omissis) - (omissis), rappresentata e difesa dall'avvocato Giacomo Sgobba, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Puglia, Sezione III, n. 1165 del 2 ottobre 2023, resa inter partes, concernente la conferma del diniego di concessione edilizia in sanatoria dell'ampliamento dell'ex garage e della canna fumaria e conseguente ordine di demolizione. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Amministrazione Condominiale via (omissis) - (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi per le parti gli avvocati Vi. La., Pi. No. e An. Bo. per l'avvocato Gi. Sg.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso n. 395 del 2019, proposto innanzi al T.a.r. Puglia, la signora El. Ca. Al. aveva chiesto l'annullamento: a) del provvedimento del 20 dicembre 2018 n. 74646, notificato per compiuta giacenza il 5 febbraio 2019, di diniego di sanatoria relativa all'ampliamento dell'ex-garage a piano terra, in quanto non rispettoso del requisito della doppia conformità edilizia-urbanistica; b) dell'ordinanza del 7 febbraio 2019 Reg. Ord. n. 46/2019 - prot. 008210, notificata il 12 febbraio 2019, avente a oggetto la demolizione delle seguenti opere abusive: i) ampliamento del vano al piano terra (già utilizzato come garage), per una superficie di circa 5,6 mq e volume di circa 18 mc; ii) costruzione - sul muro perimetrale dell'edificio in prossimità di detto vano - di canna fumaria. 2. A sostegno del ricorso - premesso che il T.a.r., con la sentenza n. 1376 del 23 ottobre 2018, annullava i provvedimenti emessi dal Comune di (omissis) nella parte relativa alla demolizione dell'ampliamento dell'ex garage per difetto di motivazione (sentenza di parziale accoglimento del ricorso di primo grado e pertanto impugnata dallo stesso ricorrente) così da imporre all'Amministrazione di verificare la sussistenza dei presupposti ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 - aveva dedotto l'insussistenza dei contestati abusi e comunque l'antecedenza delle opere rispetto al 1967. 3. Nella resistenza del Comune di (omissis) e con l'intervento ad opponendum dell'Amministrazione condominiale di via (omissis), il Tribunale adì to Sezione III, accolta la domanda cautelare con ordinanza 30-31 maggio 2019, n. 188 e dopo la sentenza parziale n. 92 del 22 gennaio 2020 con cui sono state respinte le eccezioni d'inammissibilità del gravame e la sospensione del giudizio con l'ordinanza 20-21 aprile 2022, n. 551 per attendere la decisione di questo Consiglio sul precedente ricorso, ha così deciso la causa nel merito: - ha respinto il ricorso; - ha condannato parte ricorrente alle spese di lite (Euro 2.500,00 oltre accessori di legge) compensando per il resto. 4. In particolare, il Tribunale, all'esito della disposta verificazione, ha ritenuto che: - "il diniego della sanatoria è pienamente giustificato dalla circostanza che quanto abusivamente realizzato era difforme dalla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell'opera, come sopra chiarito, sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria."; - per quanto riguarda l'utilizzabilità dal "Piano casa" di cui alla legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14, in funzione di "sanatoria", ha confermato quanto sul punto deciso da questo Consiglio con la sentenza n. 10904/2022 così come per quanto riguarda la canna fumaria. 5. Avverso tale pronuncia la signora El. Ca. Al. ha interposto l'appello in trattazione, notificato il 25 ottobre 2023 e depositato il 26 ottobre 2023, lamentando, attraverso quattro complessi motivi di gravame, quanto di seguito sintetizzato: I) avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che sia dato discostarsi dalle precedenti sentenze del T.a.r. Bari e del Consiglio di Stato solo in presenza di elementi nuovi di fatto o di diritto che differenzino la fattispecie, in quanto la disciplina del giudicato amministrativo non è contenuta nel Codice del Processo Amministrativo, ma è mutuata, per rinvio esterno ex art. 39 c.p.c., dal solo Codice di Procedura Civile, senza riferimenti al Codice Civile, per cui al giudizio amministrativo si applica solo il giudicato formale ex art. 324 c.p.c. non anche il giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c.; II) per quanto riguarda il garage si deduce che il progetto approvato dalla Commissione Edilizia e firmato dal Sindaco è il primo di pag.26, non il secondo di pag.27, di tal che il garage era da intendersi interamente autorizzato; si evidenziano gli elementi probatori che attestano la preesistenza delle opere rispetto all'anno 1967 e si rimarca, per quanto riguarda la pretesa appartenenza del cespite al centro abitato, che questa deriverebbe da una circolare che però aveva solo valore programmatico di guisa che il supposto abuso dell'ex garage, essendo anteriore al 1/9/67 ed essendo stato realizzato fuori dal centro abitato, si sottraeva e si sottrae alla normativa della L.765/67; III) la supposta mancanza della doppia conformità, rilevata nel diniego di sanatoria UTC del 23/10/18, è stata espressamente e precisamente contestata nel ricorso introduttivo tant'è vero che sono state offerte approfondite deduzioni e prove sull''antecedenza del muro di causa al 1/9/67', ovvero quanto meno 'al Settembre 68'; si precisa che l'area su cui insisterebbe il supposto abuso è certamente di proprietà della ricorrente; IV) il T.a.r. rinvia alla Sentenza C.d.S. n. 10904/22, che non considera l'istallazione della canna fumaria isolatamente, ma quale componente del più ampio abuso, rappresentato dall'ampliamento abusivo e non sanabile dell'ex garage, con la conseguenza che tale decisione è destinata a venire meno in uno alla supposta illegittimità dell'ex garage; la canna fumaria è in realtà apposta su una facciata laterale di un edificio condominiale e pertanto è da considerare volume tecnico, che non richiede permesso di costruire e non è soggetto ad ordinanza di demolizione. 6. L'appellante ha concluso chiedendo, anche previa istruttoria, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l'annullamento degli atti con lo stesso impugnati. 7. In data 31 ottobre 2023 l'Amministrazione Condominiale di via (omissis) si è costituita in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame. 8. In data 2 novembre 2023 il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio al fine di chiedere il rigetto dell'avverso gravame. 9. In data 9 novembre 2023 entrambe le parti appellate hanno depositato rispettive memorie al fine di insistere per il rigetto dell'appello. 10. In prosieguo di giudizio tutte le parti hanno depositato memorie, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni. 10.1. In particolare, la difesa comunale ha evidenziato che: - il nuovo diniego di sanatoria impugnato col ricorso di primo grado non sarebbe contestato per vizi propri, bensì per gli stessi motivi per i quali erano stati impugnati gli atti precedenti e sui quali il T.a.r. si è già pronunciato con la sentenza n. 1375/18, confermata da questo Consiglio con la sentenza n. 10904/2022; - risulterebbe dagli atti che l'abuso è stato commesso dopo la data del 9 maggio 2007; - si tratterebbe di immobile rientrante nel centro abitato come tale non esonerato dalla necessità del previo titolo edilizio; - con i volumi in ampliamento sarebbe stato superato il limite volumetrico massimo consentito sia dal PRG che dal PUG. 10.2. La difesa del condominio, nel ripercorrere la vicenda di causa, evidenzia che la richiesta di sanatoria di opere edilizie difformi dal titolo autorizzativo ha valore confessorio rispetto all'abusività delle stesse e che sarebbe eloquente nel senso dell'infondatezza delle prospettazioni di parte avversa l'esito delle due verificazioni effettuate nel corso del giudizio di prime cure; l'istanza istruttoria ai fini dell'ammissione delle prove testimoniali ex art. 63 c.p.a. sarebbe inammissibile. 10.3. Parte appellante a sua volta insiste nel ritenere che tutto il volume adibito a garage era stato assentito come emerge dall'analisi del Progetto Approvato di pag.26, dal quale risulterebbe che era stata assentita, anche se poi non realizzata, la chiusura a volume di tutto il piano terra, per cui l'ex garage risultava autorizzato per una metratura e volumetria molto maggiore dell'attuale, comprensiva, non solo dei mq.5,6 e mc.18 ritenuti abusivi, ma anche di tutto il restante porticato. Produce in corso di giudizio ulteriore documentazione a sostegno di tali deduzioni ed oppone che l'istanza di sanatoria non contiene alcuna dichiarazione confessoria. Si insiste sull'ammissibilità della sanatoria solo in via subordinata, ossia nella denegata ipotesi in cui non venga riconosciuta l'assenza di abusività . 10.4. In sede di replica le parti hanno insistito per le rispettive conclusioni. In particolare il Condominio eccepisce, tra l'altro, l'inammissibilità della nuova produzione documentale, il Comune richiama l'esito sfavorevole a controparte del precedente giudizio in appello, mentre l'appellante evidenzia che sarebbe dimostrata, inconfutabilmente, la non obbligatorietà del titolo abilitativo per la costruzione oggetto di causa e insiste nella istanza di Accertamento di Conformità . 11. La causa, chiamata per la discussione all'udienza del 23 gennaio 2023, è stata trattenuta in decisione. 12. L'appello, per le ragioni di cui infra, è da reputare infondato dovendosi premettere che non sono suscettibili di disamina in questa sede le censure di primo grado non appositamente riproposte nel loro tenore letterale. 12.1. Non coglie nel segno il primo motivo, imperniato sulla (ridotta) latitudine del giudicato amministrativo a fronte di quello civile, in quanto "le pronunce in rito definiscono il giudizio in via solo processuale, senza formare cosa giudicata in senso sostanziale mentre le decisioni su questioni di merito, anche di carattere preliminare, spiegano loro effetti anche al di fuori del processo e sono vincolanti in tutti i giudizi futuri, le decisioni su questioni processuali, sono suscettibili di formazione del giudicato soltanto nello ambito dello stesso processo (cosiddetto giudicato formale), e non impediscono la proposizione delle medesime questioni in un successivo e diverso giudizio" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2023, n. 8301). Si è affermato in sede giurisprudenziale, in senso conforme, che "Il giudicato sostanziale (ex art. 2909 Cod. civ.), in quanto riflesso di quello formale (art. 324 Cod. proc. civ.), fa stato ad ogni effetto fra le parti per l'accertamento di merito, relativo al diritto controverso e si estende agli accertamenti di fatto, che rappresentano le premesse e il fondamento logico-giuridico della pronuncia" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2674). Da tale ricostruzione dell'assetto ermeneutico che connota la rilevanza del giudicato formatosi sulle pronunce del giudice amministrativo, è dato riscontrare l'infondatezza del motivo in esame non potendosi non prendere atto delle risultanze emergenti dalle sentenze precedentemente emesse in relazione alla medesima vicenda e delle quali si darà di seguito più esatta contezza. 12.2. Assume carattere centrale quanto dedotto da parte appellante col secondo motivo, ove si afferma che il giudice di prime cure avrebbe errato nel non prendere a riferimento il progetto realmente assentito dall'Amministrazione comunale con la licenza del 16 novembre 1965 con una ben maggiore ampiezza del garage edificando. Osserva, in particolare, l'appellante che "tutto il presente giudizio si poggia su un equivoco di fondo, ossia che l'ampliamento dell'ex garage sia abusivo, in quanto difforme dalla Licenza Edilizia n. 17171 del 16/11/65. In realtà non è così . Infatti, se si analizza la Pratica Edilizia 17171 del 16/11/65, ci si accorge che sono allegati due differenti progetti. Il primo a pag.26, con timbro e la firma del progettista "Dott. Ing. Giuseppe Guglielmi", timbro di deposito "27-10-1965", timbro tondo "Comune di (omissis) - Ufficio Tecnico", timbro della "COMMISSIONE EDILIZIA (omissis) (Bari)", timbro e la firma del sindaco "IL SINDACO Remigio Ferretti". Il secondo a pag.27, solo con firma del progettista "Dott. Ing. Giuseppe Guglielmi" e dell'impresa "Impresa ALBA VINCENZO", senza null'altro, neanche la data di deposito. E' evidente quindi che il progetto approvato dalla Commissione Edilizia e firmato dal Sindaco è il primo di pag.26, non certamente il secondo di pag.27. Dall'analisi del primo progetto, si rileva che il piano terra risultava tutto chiuso a volume, per cui il garage era molto più ampio dell'attuale, comprendendo non solo i mq.5,6-mc.18 ritenuti abusivi, ma anche tutta la restante superfice e volumetria. Dopo di che, evidentemente, in fase esecutiva, non tutto il volume del piano terra è stato realizzato, ma è certo che tutto il volume realizzato era assentito". Ai fini della disamina del rilievo di parte appellante si deve in primis rilevare che esso si fonda sulla produzione documentale avvenuta per la prima volta in questa sede di giudizio e che pertanto risulterebbe in violazione del divieto sancito dall'art. 104 c.p.a. ("Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile"). La irrilevanza della documentazione all'uopo prodotta, per le ragioni che si esporranno, esonera il Collegio dal verificare, come eccepito da parte appellata, la ritualità della sua produzione. Invero occorre rilevare sul punto, potenzialmente decisivo della controversia, che in realtà i grafici allegati alla domanda edificatoria, prodotti per la prima volta in questo grado di giudizio, sono dissonanti in relazione a tutti i piani essendo riprodotte le rispettive piantine con superfici diverse. Da tale documentazione non è quindi consentito evincere che il progetto effettivamente assentito sia quello descritto a pag. 26, di più ampia metratura, rispetto a quello di cui a pag. 27. Risulta ad ogni modo decisivo osservare che la stessa appellante successivamente, in data 2 ottobre 2014 (allegato n. 6 prodotto in prime cure in data 29/04/19), aveva avanzato domanda di accertamento di conformità (cui faceva seguito analoga istanza del 19/6/15) avente ad oggetto proprio il volume costituito dall'ex garage e questo dimostra la tacita ammissione della minore estensione di quello effettivamente autorizzato. Ad ogni modo, circa la esatta consistenza dell'intervento si è già espresso questo Consiglio con la summenzionata sentenza n. 10904/2022, avendo al riguardo rilevato quanto segue: "l'abuso contestato consiste: nell'aver realizzato murature basse con sovrastanti finestre continue su una porzione di piano pilotis che da progetto presentato con licenza del 1965 doveva rimanere libero e a disposizione del Condominio; nell'attuale garage di proprietà dell'appellante risulta realizzato un avanzamento della muratura est su area di proprietà condominiale dell'unità immobiliare che ha occupato una porzione del piano pilotis con aumento di superficie di circa 5,80 mq, corrispondente ad un aumento di volumetria pari a 18,58 mc." (cfr. § 9.1.). L'effetto di giudicato prodottosi su tale pronuncia non consente di sottoporre a revisione critica le considerazioni espresse sul punto dal Collegio di seconde cure con conseguente radicale infondatezza delle relative deduzioni formulate col gravame in esame. 12.3. Viene quindi in considerazione quanto lamentato da parte appellante, con il secondo e terzo motivo di ricorso, suscettibili pertanto di essere esaminati sul punto congiuntamente, in ordine alla mancata considerazione, in sede di disamina della domanda di sanatoria, della preesistenza delle opere rispetto alla soglia temporale dell'anno 1967 da considerare rilevante ai fini della perseguibilità dell'intervento riguardando un manufatto insistente in area esterna al centro abitato. Occorre precisare, in punto di onere della prova, che, come ribadito di recente dalla Sezione, "va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c.d. legge ponte n. 761 del 1967 che con l'art. 10, novellando l'art. 31, l. n. 1150 del 1942, ha esteso l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano; tale conclusione vale non solo per l'ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi; tale criterio di riparto dell'onere probatorio tra privato e amministrazione discende dall'applicazione alla specifica materia della repressione degli abusi edilizi del principio di vicinanza della prova poiché solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l'amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno dell'intero suo territorio" (cfr. Cons. Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 858). Fatta questa necessaria premessa, che attiene alla distribuzione dell'onere della prova in casi siffatti, la deduzione in esame risulta infondata, in quanto non si rinvengono in atti elementi sufficienti che consentano di ricostruire l'epoca di realizzazione delle opere nei termini divisati da parte appellante, secondo cui essa sarebbe antecedente al 1967. Sul punto occorre osservare che parte appellante richiama, a sostegno dell'assunto temporale, una Perizia Grafologica Giurata sull'autenticità di un rilievo fotografico del muro, già agli atti, che però, come evidenziato nello stesso gravame di prime cure, risale a "settembre 68" e pertanto è di epoca successiva all'anzidetta soglia temporale. Né può darsi l'auspicato rilevo alle "Dichiarazioni Testimoniali" essendo prive di autonoma rilevanza probatoria. Ad ogni modo, anche su tale specifico punto si è già negativamente espresso questo Consiglio avendo rilevato che il relativo "onere non è stato assolto dall'appellante. Anzi, sono emersi elementi di segno esattamente contrario. L'intero immobile è stato costruito con la licenza edilizia n. 17171 del 17 novembre 1965. La DIA n. 8821 del 7 novembre 2006, regolarmente corredata di asseverazioni e collaudo finale dell'opera (e che rappresenta ad oggi l'ultimo stato legittimo dell'immobile oggetto di ricorso), riporta in allegato lo stato dei luoghi. Nella "Relazione Tecnica Asseverata" si attesta che lo stato dei luoghi era, a quella data, conforme al progetto originario di cui alla licenza edilizia del 1965. Se ne desume, quindi, che qualsiasi difformità riscontrabile sull'immobile (rispetto al progetto originario) deve farsi risalire ad una data successiva" (cfr. § 9.2.). Da ciò consegue l'infondatezza del rilievo a prescindere dalla effettiva o meno allocazione del manufatto all'interno del centro abitato come pure sostenuto nella sentenza impugnata e contestato da parte appellante, fermo restando che anche su tale aspetto si è già espresso negativamente questo Consiglio, rilevando che "Dalla documentazione agli atti e dalle pratiche edilizie depositate presso l'ente tecnico del Comune di (omissis), emerge che l'intero immobile ricade in area interna di perimetrazione urbana e pertanto era soggetto a licenza edilizia (pure in assenza di uno strumento urbanistico generale), ai sensi dell'art. 31 della legge n. 1150 del 1942" (cfr. § 9.2.). 12.4. A cascata risulta infondato anche il quarto motivo di gravame, col quale si concentrano le proprie deduzioni sulla parte dell'intervento che concerne la canna fumaria, ritenuta, oltre che non autonomamente perseguibile per la sua consistenza e non richiedente il consenso del condominio, anche attratta alle sorti alle quali l'opus principale sarebbe, in thesi, destinata in ragione della risalenza ante 1967 dell'intervento. Per quanto riguarda il primo profilo della censura esso risulta infondato alla luce delle considerazioni espresse da questo Consiglio con la più volte menzionata pronuncia, avendo il Collegio rilevato, con efficacia di giudicato, non solo che "la realizzazione della canna fumaria è connessa con il cambio d'uso e la realizzazione del caminetto all'interno dell'ex garage, il cui ampliamento, come si è statuito sopra, è abusivo e non sanabile" (cfr. § 10.1.), ma anche che "tale installazione è avvenuta invito domino (è stato infatti dedotto che gli altri condomini si sono formalmente opposti alla sua installazione, reputandosi lesi dal godimento comune della cosa). Valgono quindi le medesime considerazioni svolte al punto 9.5. della motivazione" e segnatamente: "Deve ritenersi quindi inammissibile la sanatoria ove l'abuso sia stato realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa il consenso degli altri comproprietari". Per il resto vale quanto già dianzi evidenziato a proposito della collocazione temporale dell'intervento. 13. Tanto premesso, nella insussistenza di ogni esigenza istruttoria rappresentata da parte appellante in calce al gravame, l'appello deve essere respinto. 14. Le spese del presente grado di giudizio, secondo il canone della soccombenza, sono da porre a carico di parte appellante nella misura stabilita in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 8469/2023), lo respinge. Condanna parte appellante al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, in favore del Comune di (omissis) e del Condominio di via (omissis)-(omissis), nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00) per ciascuno di essi, oltre IVA, CPA ed accessori come per legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza - Presidente Giovanni Sabbato - Consigliere, Estensore Cecilia Altavista - Consigliere Francesco Guarracino - Consigliere Maria Stella Boscarino - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. GUIDA Riccardo - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere - Rel. Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 10573/2018 R.G. proposto da: (...) Srl, elettivamente domiciliata in ROMA, (...), presso lo studio dell'avvocato VA. EL. (Omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato DE. BE. GI. (Omissis); - ricorrente - contro Ni.Fr., rappresentato e difeso dall'avvocato RA. BE. (Omissis); - ricorrente incidentale - Pr.Lu., elettivamente domiciliato in ROMA, (...), presso lo studio dell'avvocato FA. SI. (Omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato FR. FR. (Omissis); - controricorrente - avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di CATANIA n. 2035/2017, depositata l'8/11/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS. Sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale FULVIO TRONCONE, che ha chiesto di rigettare il ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Pr.Lu., titolare dell'omonima ditta di panificazione, conveniva innanzi al Tribunale di Catania Ni.Fr., titolare dell'omonima ditta, e la società (...) Srl, chiedendo che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni causati dai difetti di funzionamento di un forno, acquistato nel febbraio del 2006 dalla ditta Ni.Fr. e prodotto dalla (...). L'attore lamentava che, dopo un iniziale buon funzionamento, si erano verificati distacchi della vernice di rivestimento dei tubi interni e l'inconveniente era stato riscontrato da un rappresentante del venditore; che la ditta fornitrice aveva poi effettuato interventi di sabbiatura della struttura interna del forno, ma che, rimontato il forno nel dicembre del 2006, si erano manifestate nuove anomalie nel suo funzionamento; che seguivano altri interventi di riparazione e che poi Ni.Fr., d'accordo con la (...), aveva effettuato un prolungamento della canna fumaria, intervento che si era rivelato anch'esso inidoneo, tanto che nel luglio 2007 era stata finalmente effettuata la sostituzione del forno. Si costituiva Ni.Fr., che eccepiva la prescrizione e la decadenza dell'attore rispetto alla domanda risarcitoria e, nel merito, chiedeva di rigettare la domanda perché infondata e, in subordine, di essere tenuto indenne dalla (...). Si costituiva anche la (...), chiedendo a sua volta il rigetto della domanda. Con sentenza n. 864 del 16 marzo 2012 il Tribunale di Catania rigettava la domanda dell'attore: accertato che il forno oggetto della causa presentava dei difetti originari che impedivano la corretta panificazione, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria dell'attore, per mancata dimostrazione dell'an e del quantum dei pregiudizi asseritamente subiti. 2. La sentenza era impugnata da Pr.Lu.. La Corte d'appello di Catania, dopo avere assunto le testimonianze non ammesse in primo grado, con la sentenza 8 novembre 2017, n. 2035, accoglieva il gravame di Pr.Lu.: in riforma della sentenza del Tribunale condannava Ni.Fr. a pagare all'appellante Euro 40.000 a titolo di risarcimento del danno e condannava (...) a rimborsare a Ni.Fr. gli importi che lo stesso era stato condannato a pagare. 3. Avverso la sentenza ricorre (...) Srl, con atto articolato in quattro motivi. Resiste con controricorso Ni.Fr., che fa valere ricorso incidentale. Resiste con controricorso Pr.Lu., che anzitutto eccepisce l'improcedibilità del ricorso per mancata prova della notifica della sentenza impugnata ai fini del rispetto del termine per impugnare. L'eccezione va respinta in quanto - come ha evidenziato il pubblico ministero nelle sue conclusioni - vi è prova agli atti dell'avvenuta notificazione della sentenza impugnata il 2 febbraio 2018 ad opera del difensore di Ni.Fr.. È stata depositata memoria dalla ricorrente Lo Giudice e dal controricorrente Pr.Lu., che ha anche depositato istanza di liquidazione dei compensi ai sensi dell'art. 373 c.p.c. RAGIONI DELLA DECISIONE I. Il ricorso principale di (...) è articolato in quattro motivi. 1. I primi due motivi sono tra loro strettamente connessi: a) il primo motivo denuncia violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in quanto la sentenza d'appello ha accolto la domanda di manleva di Ni.Fr. senza esaminare l'eccezione di tardività sollevata dalla ricorrente in primo grado e riproposta in appello; b) il secondo motivo prospetta la medesima violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, richiamando il diverso parametro del n. 3 dell'art. 360 c.p.c. I motivi sono fondati. Come sottolinea il pubblico ministero, la ditta Ni.Fr. si è costituita in primo grado non nel termine previsto dall'art. 166 c.p.c., ma in occasione della prima udienza del 24 marzo 2009, depositando la comparsa di risposta recante la data del giorno precedente, così incorrendo nella decadenza relativa alla proposizione di domande riconvenzionali di cui all'art. 167 c.p.c. La relativa eccezione è stata sollevata dalla ricorrente nella memoria di cui all'art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. del 23 aprile 2009 (vedere la trascrizione della memoria alle pag. 9 e 10 del ricorso), eccezione che non è stata esaminata dal giudice di primo grado perché assorbita in quanto il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria di Pr.Lu. (e non rigettata implicitamente come invece sostiene il controricorrente Ni.Fr.). L'eccezione di inammissibilità della domanda di manleva è stata riproposta dalla ricorrente nella comparsa di risposta d'appello (vedere la trascrizione alle pag. 10 e 11 del ricorso). Il giudice d'appello doveva pertanto esaminare l'eccezione di tardività della domanda e dichiararla inammissibile in quanto tardivamente proposta. 2. L'accoglimento dei primi due motivi comporta l'assorbimento del terzo motivo (che denuncia la violazione dell'art. 1226 c.c. per avere la Corte d'appello ritenuta raggiunta la prova che a causa dei vizi di funzionamento del forno Pr.Lu. aveva subito un danno economico, danno economico che la Corte ha liquidato con criterio equitativo ai sensi dell'art. 1226 c.c.) e del quarto motivo (che lamenta la violazione dell'art. 116 c.p.c. per avere la Corte d'appello ritenuto provato l'an del pregiudizio in termini di riduzione delle vendite e di perdita di clientela, quando invece all'esito delle prove orali erano sorti seri dubbi circa l'attendibilità dei testimoni escussi). II. Quanto al ricorso incidentale, va precisato che Ni.Fr. ha resistito ai primi due motivi di ricorso di (...), affermandone l'infondatezza (vedere le pagg. 4-8 dell'atto); ha poi ritenuto invece fondati il terzo e il quarto motivo della medesima Lo., motivi che ha fatto "integralmente propri al fine dell'accoglimento del proprio ricorso incidentale" e ha trascritto alle pagg. 8-22 del suo atto. Tali motivi, già sopra richiamati e dichiarati assorbiti per quanto concerne Lo., vanno esaminati in relazione al ricorso di Ni.Fr.. a) Va anzitutto vagliato il motivo che attacca la pronuncia impugnata laddove ha ritenuto raggiunta la prova del danno subito da Pr.Lu. a causa dei vizi del forno. Il motivo non può essere accolto: pur parlando di richiesta di "controllo sulla correttezza giuridica del discorso giustificativo", in realtà si censura la valutazione delle prove testimoniali poste in essere dal giudice d'appello, prove testimoniali che sono state raccolte in secondo grado e che hanno portato il giudice a ritenere raggiunta la prova del fatto che, a causa degli accertati vizi di funzionamento del forno, Pr.Lu. ha subito un danno economico. Le dichiarazioni dei testimoni (analizzate alle pagg. 3-5 della sentenza impugnata) sono state considerate convergenti e attendibili dal giudice d'appello, con valutazione che a quest'ultimo spettava compiere e che, come tale, non può essere sindacata davanti a questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 25166/2019, secondo cui "il giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell'ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità"). b) Va poi esaminato il motivo che rimprovera alla Corte d'appello di avere proceduto alla liquidazione equitativa del danno, senza attenersi al principio secondo cui ciò può avvenire solo qualora la prova del quantum risulti impossibile o difficoltosa. Il motivo non può essere accolto. La Corte d'appello, reputata raggiunta la prova dell'an della pretesa risarcitoria (v. quanto sopra detto in relazione al precedente motivo), compresa la dimostrazione - sulla base delle dichiarazioni testimoniali - che tra ottobre e novembre del 2006 la produzione giornaliera era di circa 250 kg. di pane e di 30 kg. di prodotti "speciali", mentre successivamente all'insorgere delle problematiche di funzionamento del forno e sino alla sua sostituzione, nel giugno del 2007, la produzione si era sensibilmente ridotta, con invendibilità di buona parte del prodotto giornaliero, ha ritenuto di procedere con criterio equitativo alla esatta determinazione del quantum; ha così considerato un valore approssimativo per il pane e gli altri prodotti e ha moltiplicato tale valore per la produzione giornaliera, moltiplicando ancora tale importo per sette mesi e dividendo per metà l'importo ottenuto, così liquidando il danno in Euro 40.000. In tal modo la Corte d'appello si è attenuta al principio secondo cui "il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c. e il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l'unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debito o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo" (così Cass. n. 13515/2022 e Cass. 20990/2011). Il ricorso incidentale va pertanto rigettato. III. L'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione all'accoglimento della domanda di manleva; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ai sensi del comma 2 dell'art. 384 c.p.c. e deve essere pertanto dichiarata inammissibile la domanda di manleva fatta valere da Ni.Fr.. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Per quanto concerne i rapporti tra Ni.Fr. e Pr.Lu., va precisato che rimane ferma la liquidazione delle spese dei gradi di merito operata dalla Corte d'appello che non è stata oggetto di impugnazione. Quanto ai rapporti tra Ni.Fr. e (...), la cassazione dell'accoglimento della domanda di manleva estende i suoi effetti nei confronti della condanna di Lo. al pagamento in favore di Ni.Fr. delle spese del giudizio di appello, spese che vanno invece liquidate in favore di (...). Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti il terzo e il quarto, e rigetta il ricorso incidentale; decidendo nel merito dichiara l'inammissibilità della domanda di manleva proposta da Ni.Fr. nei confronti di (...) Srl; condanna Ni.Fr. al pagamento in favore di (...) delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in Euro 3.500, oltre rimborso spese generali IVA e CPA, delle spese del grado d'appello, liquidate in Euro 4.250, oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA, e delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge; condanna Ni.Fr. al pagamento in favore di Pr.Lu. delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 6.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e ad ulteriori Euro 1.000 per il procedimento inibitorio di cui all'art. 337 c.p.c. Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della seconda sezione civile il 12 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 967 del 2019, proposto da Condominio -OMISSIS- n. 7 - Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Pa. Fr. e Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Ma. in Roma, via (...); Municipio Roma XII, non costituito in giudizio; Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II-bis, n. 11758 del 4 dicembre 2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e -OMISSIS-, e di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 gennaio 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Pa. Fr. e Ca. Ta.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Condominio appellante aveva installato una canna fumaria condominiale in base a dichiarazione di inizio di attività seguita da provvedimento di accertamento di conformità del 19 ottobre 2016 di Roma Capitale. Tale provvedimento è stato annullato dal T.A.R. del Lazio con sentenza n. 7862/2017 - su ricorso dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS- - confermata in appello con sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4816/2019. Nelle more Roma Capitale riesaminava in autotutela la dichiarazione di inizio attività del 23 dicembre 2015, con provvedimento di accertamento di conformità del 19 dicembre 2017. Anche tale provvedimento veniva impugnato dai signori -OMISSIS- e-OMISSIS- davanti al T.A.R. del Lazio, che in accoglimento del ricorso lo annullava con sentenza n. 11758/2018. Tale ultima sentenza è stata impugnata nel presente giudizio con ricorso in appello dal Condominio -OMISSIS- n. 7. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, i signori -OMISSIS- e Wa. Me.; si è altresì costituita in giudizio Roma Capitale, senza svolgere difese scritte. Con ordinanza n. 1011/2019 è stata respinta l'istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza gravata Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 10 gennaio 2024. 2. Il provvedimento in questione riguarda la legittimità del provvedimento di accertamento di conformità della canna fumaria condominiale: esso è stato impugnato dagli odierni appellati che si sono ritenuti lesi dalla posizione della canna fumaria, il cui sbocco, non essendo collocato sul tetto dell'edificio, bensì in prossimità di una finestra della propria abitazione, metterebbe a rischio la propria salute e impedirebbe il pieno utilizzo del bene immobile di proprietà, esposto anche a un sensibile deprezzamento economico. Il T.A.R., ritenuta la legittimazione attiva dei ricorrenti e la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia (in quanto relativa allo scrutinio della legittimità del provvedimento di accertamento di conformità urbanistico-edilizia del manufatto in questione, a tutela dell'interesse legittimo oppositivo dei ricorrenti), ha ritenuto fondato in via assorbente il terzo motivo del ricorso di primo grado, con cui si deduceva la violazione di numerose norme comunali e statali, tra cui l'articolo 64 del regolamento edilizio sanitario comunale, l'articolo 59 del regolamento generale edilizio comunale e l'articolo 5, comma 9, nella formulazione vigente, del d.p.r. n. 412 del 1993. Il T.A.R. è pervenuto a tale decisione a seguito di attività di verificazione, a seguito della quale è stato accertato che esistevano ben due possibilità alternative di collocazione, tali da non produrre le rilevate esternalità in danno dei ricorrenti. 3. Contro la sentenza di primo grado il condominio appellante ha dedotto le seguenti censure: A) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 64 del regolamento edilizio sanitario comunale, dell'articolo 59 del regolamento generale edilizio comunale, dell'articolo 5, 13 comma 9, del d.p.r. n. 412 del 1993, dall'art. 2, commi 1 e 2, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 551, dell'art. 34, comma 53, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, dell'art. 17-bis, comma 1, D.L. 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2013, n. 90"; B) "motivazione erronea della sentenza". C) "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e segg. c.c. e degli artt. 1027 e segg. c.c.". 4. I motivi di appello devono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro stretta connessione. Essi sono infondati. Il primo motivo di appello, relativo alla questione centrale (vale a dire, alla illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per avere assentito un'opera "invasiva" rispetto alla proprietà degli odierni appellati quando erano tecnicamente possibili alternative prive di tali esternalità ), consta quasi esclusivamente del richiamo alle osservazioni critiche che nel giudizio di primo grado il consulente di parte ha rivolto, in argomento, alle conclusioni della verificazione, sulla base delle quali il primo giudice ha ritenuto fondato il ricorso. Orbene, tali osservazioni si risolvono in un infruttuoso tentativo di sostituzione del giudizio del tecnico di parte rispetto all'articolata e motivata conclusione del verificatore. La sentenza gravata, del resto, ha considerato in dettaglio la sussistenza di possibili alternative al percorso assentito con il provvedimento impugnato in primo grado: "Il verificatore, pur riconoscendo attendibile la relazione del tecnico condominiale nella parte in cui la vecchia canna fumaria è stata reputata inidonea allo smaltimento dei fumi e alla certificazione da parte di un tecnico qualificato, ha ritenuto invece inattendibile la relazione del tecnico condominiale in altre parti essenziali. Nello specifico, ha ritenuto di non poter condividere l'attestazione del tecnico sulla impossibilità di installare la nuova canna fumaria sulla facciata dell'edificio, così come ha ritenuto inattendibile la certificazione del tecnico nella parte in cui individua come unico punto possibile per l'installazione della canna fumaria quello riportato nel progetto oggetto di asseverazione. Ciò in quanto l'installazione di una nuova canna fumaria sulla facciata inciderebbe esclusivamente su strutture portanti secondarie dell'edificio, senza toccarne la struttura principale. Quindi, nulla impedirebbe sul piano tecnico lo sviluppo di un progetto per l'installazione di una nuova canna fumaria sulla facciata condominiale. In alternativa, il verificatore ha ritenuto ipotizzabile lo sviluppo di un progetto per il riutilizzo dell'originario percorso di evacuazione dei fumi, previa sostituzione della canna fumaria esistente e ridefinizione del cavedio di contenimento del tratto sub-orizzontale. Quest'ultima soluzione consentirebbe, oltretutto, la bonifica dell'edificio dal materiale eternit rilevato nella vecchia canna fumaria e consentirebbe il ripristino del camino verticale esistente che rappresenterebbe un elemento architettonico coerentemente integrato al progetto originario del manufatto, garantendone il decoro urbano. Le conclusioni del verificatore sono contestate dalla perizia di parte condominiale, ma non vi è ragione per discostarsene da parte del Collegio, tenuto conto della imparzialità dell'organo addetto alla verificazione e della coerenza logica della relazione del verificatore, sorretta da una attenta attività di analisi eseguita accedendo ai luoghi. Pertanto, aderendo alle conclusioni del verificatore, si deve ritenere che nella fattispecie non sussistono i presupposti per l'applicazione della deroga, prevista dall'articolo 5 del d.p.r. numero 412 del 1993, commi 9 bis e ter, rispetto alla regola generale, fissata dallo stesso articolo 5, comma 9, per cui gli impianti termici, quale quello connesso alla canna fumaria controversa, devono essere collegati a camini con sbocco sopra il tetto dell'edificio. La deroga risulta inapplicabile essendo smentito, dall'accertamento eseguito in sede processuale, il presupposto, ravvisato dall'amministrazione municipale in base ad una erronea asseverazione del tecnico progettista, per cui la canna fumaria controversa non avrebbe potuto essere collocata in un luogo diverso da quello nel quale si trova. Di conseguenza, l'accertamento di conformità deve essere ritenuto illegittimo, per travisamento dei fatti e pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, deve essere annullato". 5. Ad avviso del Collegio, la verificazione eseguita nel corso del giudizio di primo grado risulta immune dai profili di censura dedotti nel ricorso in appello. Essa si fonda su considerazioni non illogiche od irragionevoli, e supportate da una valutazione più che plausibile. Il quesito demandato al verificatore riguardava la praticabilità tecnica di soluzioni alternative: l'appellante ne censura le conclusioni perché a suo dire tali alternative implicherebbero maggiori costi, ed il consenso di altri privati proprietari, nonché la costituzione di servitù di passaggio della canna fumaria. Simili argomenti esulano tuttavia dal perimetro dello scrutinio della legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, come delimitato dai motivi di ricorso. Tale provvedimento, infatti, risulta essere stato condizionato dall'affermazione di un presupposto risultato non veritiero, avendo il verificatore accertato la praticabilità tecnica di alternative tali da non pregiudicare l'interesse dei ricorrenti. Gli ulteriori profili utilizzati dall'appellante per criticare la sentenza gravata avrebbero dovuto essere considerati quali fattori ab origine condizionanti la scelta tecnica censurata dai ricorrenti, laddove invece - come correttamente rilevato dal primo giudice nella richiamata motivazione - è risultato erroneo "il presupposto, ravvisato dall'amministrazione municipale in base ad una erronea asseverazione del tecnico progettista, per cui la canna fumaria controversa non avrebbe potuto essere collocata in un luogo diverso da quello nel quale si trova". Risulta pertanto fondata la controdeduzione degli appellati secondo la quale "nel caso di specie non sussistono i presupposti per l'applicazione della deroga rispetto alla regola generale fissata dall'art. 5, comma 9, per cui gli impianti termici, quale è quello connesso alla canna fumaria controversa, debbono essere collegati a camini con sbocco sopra il tetto dell'edificio. Risulta quindi provata in sede processuale l'illegittimità dell'accertamento di conformità viziato da palese travisamento di fatti, con conseguente legittimità del suo annullamento, come disposto dalla sentenza gravata". 6. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata. Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a, l'integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Sergio Zeuli - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10037 del 2023, proposto da Vi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Si. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici della Avvocatura del Comune di Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 18966/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Pe. e Me., in sostituzione dell'Avv. Si.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte su un wine bar a (omissis) ove si somministrano altresì alimenti cotti. Nel 2019 il Comune di Roma ha introdotto una specifica modifica al "Regolamento di Igiene" con cui si stabilisce che, ove non è possibile installare idonee canne fumarie (per problemi di natura condominiale oppure per la presenza di vincoli architettonici) si può introdurre il sistema di "carboni attivi" a condizione, però, di eliminare cucine a gas e di installare unicamente apparecchi elettrici per la cottura degli alimenti. Tale obbligo scattava a partire dal mese di aprile 2021. Dunque gli operatori hanno avuto due anni di tempo per adeguare i propri impianti e riconvertirli, eventualmente, da gas ad elettrico. Nel caso di specie veniva effettuato un controllo, nel mese di marzo 2022, e tale obbligo (a quasi un anno di distanza dalla sua entrata in vigore e a tre anni dalla norma che lo "annunziava") non era stato ancora pacificamente ottemperato, atteso che almeno parte della cucina era ancora a gas. In data 6 maggio 2022 veniva dunque data comunicazione di avvio del procedimento di cessazione della suddetta attività di "cottura alimenti". In data 12 settembre 2022 veniva effettuato ulteriore sopralluogo in esito al quale si appurava che "nulla è mutato" rispetto al precedente sopralluogo di marzo 2022. Dunque ancora fornelli a gas (senza canna fumaria) e non a induzione elettrica. A questo punto il Comune di Roma adottava, in data 26 settembre 2022, provvedimento definitivo di cessazione della "attività di cucina con cottura dei cibi" (la restante attività, ossia di somministrazione di bevande, era invece ancora consentita). 2. La società interessata proponeva allora ricorso davanti al TAR Lazio che, tuttavia, rigettava il ricorso per le ragioni di seguito indicate: 2.1. Risulta pacifico che la cucina funziona con "tradizionali fuochi alimentati a cas" e non tramite fornelli elettrici, come prescritto dall'art. 64-bis del regolamento di igiene del Comune di Roma; 2.2. L'impossibilità di utilizzare impianti elettrici di potenza superiore a 220 volt non può costituire causa esimente del suddetto obbligo, e ciò anche in base al principio di autoresponsabilità ; 2.3. Anche la invocata causa di forza maggiore data dall'asserito rallentamento della produzione industriale di macchinari da cottura elettrici a causa del COVID non può essere ritenuta meritevole di tutela in forza del principio di diligenza professionale; 2.4. In estrema sintesi, non potrebbe invocarsi la causa di forza maggiore dal momento che: a) il gestore della rete elettrica (ARETI) che doveva portare la potenza da 220Va 380V (i fornelli elettrici richiedono infatti una simile potenza per attività di ristorazione questo tipo) è stato investito della questione soltanto nel mese di maggio 2022 (dunque ad oltre tre anni di distanza dalla previsione regolamentare comunale del 2019 e comunque dopo il primo sopralluogo) per poi provvedervi nel mese di settembre 2022 (dunque in termini tutto sommato ragionevoli, considerata la particolare zona di intervento ossia (omissis) che è centro storico); b) non è stato sufficientemente dimostrato che la fornitura di apparecchi elettrici per cucinare abbia subito questi così considerevoli ritardi per via del COVID (anche in questo caso, i primi preventivi prodotti in sede giudiziale risalgono alla primavera 2022 e dunque soltanto dopo il primo sopralluogo della polizia municipale); 2.5. Né potrebbe invocarsi il difetto di istruttoria dato dalla mancata considerazione che, nel corso del 2023, l'attività sarebbe poi stata regolarizzata mediante adeguato voltaggio e installazione di idonei macchinari (cucina elettrica). L'atto di cessazione, infatti, è stato legittimamente adottato in un momento in cui tale situazione fattuale (sostituzione cucina a gas con cucina elettrica) non era ancora pacificamente sussistente. 3. La società stessa proponeva appello, avverso la suddetta sentenza, per ritenuta erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado: 3.1. Non ha tenuto conto o meglio non ha osservato il contenuto della decisione cautelare di questa sezione (ordinanza cautelare n. 59 del 13 gennaio 2023) con cui era stato sospeso il provvedimento di cessazione dell'attività di cottura di cui alla citata determinazione dirigenziale comunale in data 26 settembre 2022; 3.2. Ha omesso ogni considerazione circa il principio del legittimo affidamento nella parte in cui non è stato tenuto conto che, se da un lato il nuovo regolamento che inibisce l'uso dei fornelli a gas (e dunque delle canne fumarie) risale al 2019, l'attività della ricorrente società viene invece svolta da oltre trent'anni; 3.3. Non avrebbe considerato la violazione del principio di proporzionalità nella parte in cui è stata comminata direttamente la sanzione della cessazione (e non della previa sospensione) nonché nella parte in cui non sarebbero stati adottati criteri di maggiore gradualità e comunque applicando la misura che comportasse il "minor sacrificio possibile" a carico della società stessa; 3.4. Non avrebbe tenuto conto che, all'indomani del provvedimento di cessazione, il richiesto adeguamento degli impianti (riconversione da gas ad elettrico) sarebbe poi effettivamente avvenuto ad opera della stessa società ricorrente. 4. Si costituiva in giudizio l'appellata amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame. 5. Con ordinanza cautelare n. 235 del 23 gennaio 2024, questa sezione accoglieva l'istanza di sospensione della sentenza di primo grado "sino alla prossima udienza di merito del 15 febbraio p.v., e tanto anche allo scopo di consentire, nelle more del medesimo giudizio di merito, sia le ulteriori necessarie verifiche comunali sia la possibile adozione di nuovi provvedimenti abilitativi dell'attività qui oggetto di contestazione". Con la stessa decisione cautelare, inoltre: si rimetteva "al Comune la verifica, in tempo utile per tale udienza, che la cottura a gas sia stata dismessa e i fornelli elettrici siano in esercizio" e si invitava "la ricorrente a depositare, in tempo utile per tale udienza, la documentazione utile a comprovare l'esistenza del contratto di utenza dell'energia elettrica per gli impianti di cottura". 6. Ebbene, in seguito a tale ordinanza il Comune di Roma ha effettuato specifico sopralluogo verificando che la cucina era stata effettivamente trasformata da impianto a gas ad impianto elettrico. Più in particolare, con memoria del 9 febbraio 2024 si faceva presente che: "la Polizia Locale ha comunicato che... all'esito del sopralluogo effettuato in data 24/01/2024 "è stato accertato che l'attività di somministrazione in argomento si avvale di impianti di cottura alimentati in via esclusiva elettricamente", e che dunque risultavano sostituiti gli impianti a gas sussistenti al momento dell'emissione del provvedimento di cessazione dell'attività ". Anche la parte appellante ha depositato memoria da cui si evince il cambio di contratto per la fornitura di corrente elettrica (con potenza più elevata) e della modificazione del funzionamento della cucina (da gas ad elettrico). Con memoria in data 13 febbraio 2024 si depositava dunque documentazione "della società di distribuzione attestante l'avvenuta variazione con chiusura della pratica", nonché "relazione di tecnico abilitato attestante la presenza di macchinari esclusivamente elettrici nella cucina della ricorrente". 7. Alla pubblica udienza 15 febbraio 2024, le parti costituite rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione. 8. Tutto ciò premesso, il ricorso in appello è almeno in parte fondato per le ragioni di seguito indicate. 9. Con il primo motivo si lamenta che il TAR non avrebbe tenuto conto o meglio non avrebbe osservato il contenuto della decisione cautelare di questa sezione (ordinanza cautelare n. 59 del 13 gennaio 2023) con cui era stato sospeso il provvedimento di cessazione dell'attività di cottura di cui alla citata determinazione dirigenziale comunale in data 26 settembre 2022. Al riguardo osserva il collegio che, per pacifica giurisprudenza: "non è ravvisabile un vizio motivazionale della sentenza per avere disatteso quanto statuito da questo Consiglio di Stato in sede cautelare". Ed infatti: "non può ritenersi dovuta una motivazione esplicita con riguardo ad un epi decisorio intervenuto su di un incidente del processo basato sul fumus boni iuris e sul periculum in mora, e non già su di una piena cognizione" (Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2021, n. 2528). Ed ancora: "l'ordinanza cautelare, sia essa adottata da un Tar o dal Consiglio di Stato, esplica i suoi effetti solo "fino alla decisione nel merito" della controversia" (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5943). Alla luce di quanto sopra riportato, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato. 10. Con il secondo motivo si lamenta che il giudice di primo grado avrebbe omesso ogni considerazione circa il principio del legittimo affidamento nella parte in cui non è stato tenuto conto che, se da un lato il nuovo regolamento che inibisce l'uso dei fornelli a gas (e dunque delle canne fumarie) risale al 2019, l'attività della ricorrente società viene comunque svolta da oltre trent'anni (la parte appellante sostiene che tale attività di cottura cibi è stata autorizzata sin dal 1994, dunque non poteva essere oggetto di modifica). Osserva al riguardo il collegio come non possa invocarsi un sostanziale divieto di retroattività della richiamata disposizione comunale di cui all'art. 64-bis del Regolamento di igiene, disposizione questa introdotta nel 2019, e ciò in quanto trattasi di rapporti di durata soggetti, come tali, allo ius superveniens. Ed infatti, il potere amministrativo ha carattere dinamico e dunque non può non confrontarsi con la realtà giuridica e fattuale che di volta in volta si presenta innanzi. Ciò tanto più ove - come nella specie - si tratti non di provvedimenti ad effetti istantanei per natura sottratti, in base al principio tempus regit actum, all'efficacia della legge sopravvenuta, quanto piuttosto di situazioni giuridiche durevoli nel tempo in ordine alle quali la normativa sopravvenuta opererà secondo i criteri della successione cronologica nel tempo per quel tratto di interesse che si svolge all'indomani della entrata in vigore della nuova disposizione: lo ius superveniens, in altre parole, è senz'altro idoneo a disciplinare i rapporti di durata quali quelle di specie. Alla luce di quanto sopra riportato, anche il secondo motivo di appello deve dunque essere rigettato. 11. Con il terzo motivo si lamenta che il giudice di primo grado non avrebbe considerato la violazione del principio di proporzionalità nella parte in cui è stata comminata direttamente la sanzione della cessazione (e non della previa sospensione) nonché nella parte in cui non sarebbero stati adottati criteri di maggiore gradualità e comunque applicando la misura che comportasse il "minor sacrificio possibile" a carico della società stessa. Osserva al riguardo il collegio che: 11.1. Non può invocarsi il difetto di proporzionalità della misura in sé della revoca, laddove si poteva applicare per l'appellante la misura meno drastica della sospensione, e ciò dal momento che gli operatori hanno avuto due anni pieni onde provvedere all'adeguamento dei propri impianti. Dunque la proporzionalità era garantita, sotto tale specifico profilo, dall'ampio periodo transitorio. 11.2. Il difetto di proporzionalità rileva invece sotto il complementare profilo del "sacrificio" specificamente imposto al privato. Al riguardo si rammenta che: 11.2.1. In ossequio ad un principio generale dell'ordinamento, deve sussistere una certa proporzionalità tra l'azione amministrativa e l'interesse pubblico concretamente perseguito: e tanto anche in funzione del più generale canone generale di ragionevolezza; 11.2.2. Il rispetto del principio di proporzionalità va in particolare verificato secondo la "tecnica dei tre gradini": l'idoneità, la necessarietà e l'adeguatezza. L'idoneità è la capacità dell'atto a raggiungere gli obiettivi che lo stesso si propone in relazione alle specifiche circostanze di fatto. Il principio di necessarietà orienta la scelta tra più mezzi astrattamente idonei al raggiungimento dell'obiettivo prefissato e permette di individuare quello ugualmente efficace, ma che incida meno negativamente nella sfera del singolo ossia che comporti il minor sacrificio possibile degli interessi di quest'ultimo. Una volta che l'atto è idoneo e necessario, se ne dovrà valutare la tollerabilità da parte del privato in funzione del fine perseguito, ossia l'adeguatezza; 11.2.3. In questa stessa direzione l'autorità non può dunque imporre, con atti normativi o amministrativi, obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile; 11.2.4. Tanto doverosamente premesso si osserva che: a) l'ordine di cessazione ha riguardato tutta la "attività di cucina con cottura dei cibi" senza distinguere, ossia, tra cottura a gas e cottura con impianto elettrico; b) la misura non si rivela idonea in quanto il raggiungimento degli obiettivi della disposizione comunale (salubrità degli abitanti e vincoli architettonici) poteva ben essere garantito mediante una inibitoria limitata ai soli impianti a gas; c) la misura non si rivela neppure necessaria in quanto la limitata (ed espressa) inibitoria degli impianti a gas avrebbe consentito non solo il raggiungimento degli obiettivi ma anche l'imposizione di un minore sacrificio per il privato; d) la misura non si rivela infine adeguata in quanto in alcun modo tollerabile dal privato il quale, a questo punto, onde poter proseguire la propria attività (con impianto elettrico ad oggi pacificamente in funzione), dovrebbe formalmente presentare una nuova SCIA che in ogni caso, al di là dei nuovi oneri istruttori e finanziari, interesserebbe un'area del centro storico ove notoriamente vigono limiti quantitativi assai stringenti (Sito UNESCO); e) in altre parole, il provvedimento comunale di cessazione si rivela illegittimo laddove si estende ad ogni tipologia di cottura e dunque nella misura in cui non si limita alla sola cottura a gas e, in ogni caso, sino a quando tale tipo di cottura non sarà definitivamente sostituita, previo accertamento comunale, con cottura ad impianti elettrici; f) ciò anche allo scopo di evitare che, una volta effettivamente sostituito l'impianto a gas (non in regola), il privato non sia costretto come già anticipato a chiedere il rilascio di nuovi titoli abilitativi che, oltre ad impegnare ulteriormente in termini amministrativi e finanziari la società, riguarderebbero aree del centro storico sottoposte a determinati vincoli di natura quantitativa; g) il provvedimento di cessazione, giova ripetere, doveva pertanto essere limitato alla sola "cottura a gas dei cibi" e non esteso alla più generale "cottura dei cibi", definizione questa idonea a ricomprendere ogni tipo di cottura e senza distinzione alcuna. 11.3. Nei limiti e nei sensi di cui sopra, il terzo motivo di appello deve dunque trovare ingresso in questa sede. 12. In conclusione il ricorso in appello, assorbita ogni altra censura, deve essere accolto nei sensi e nei limiti di cui sopra. Di conseguenza l'ordine di cessazione va interpretato come riferito alla sola "cottura a gas", sicché se la cottura avviene adesso con elettricità (come del resto dimostrato in atti dalla stessa amministrazione comunale con memoria in data 9 febbraio 2024) la stessa può allora proseguire. 13. Data la particolarità assoluta del caso di specie, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti costituite le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte come da motivazione. In riforma della gravata sentenza il ricorso di primo grado va dunque accolto e, per l'effetto, il provvedimento comunale di cessazione in data 26 settembre 2022 va parzialmente annullato, sempre nei sensi di cui in motivazione. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Bari, Prima Sezione Civile, composta dai signori magistrati: 1. dott.ssa Alessandra Piliego - Presidente 2. dott. Oronzo Putignano - Consigliere 3. dott. Gaetano Labianca - Consigliere rel. ha pronunziato, nella causa iscritta al nr. Rg. 1157/2022, la seguente SENTENZA Sull'appello proposto da: Pi.De., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Lu. e Mi.Be. ed elettivamente domiciliato presso il loro studio; Appellante CONTRO Pa.Ch., rappresentata e difesa dall'Avvocato Vi.Pe. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio; Appellato OGGETTO: appello in materia di proprietà. All'esito dell'udienza collegiale del 14 novembre 2023, svoltasi a seguito di trattazione scritta, la causa è stata riservata per la decisione. FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato, Pi.De. proponeva appello avverso la sentenza n. 1045/2022, emessa dal Tribunale di Trani il 24.06.2022, con la quale veniva accolta la domanda di Pa.Ch. e condannato esso convenuto a rimuovere dalla sommità del muro di divisione della terrazza a livello di proprietà dell'attrice tutte le piante ed ogni altro oggetto di sua pertinenza nonché il vano ripostiglio realizzato sul muro di confine ed al risarcimento del danno, liquidato in complessivi Euro2.000,00, oltre che al pagamento delle spese di lite. All'uopo, esponeva: - di essere proprietario di un immobile in T. alla via T. T. n. 42 (fg. (...), p.lla (...), sub (...), (...)) con sovrastante terrazzo confinante con quello di proprietà della sig.ra Pa.Ch., separato da quest'ultimo da un gradone alto dal calpestio lato De. 35 cm. e dal lato Ch. circa 60 cm.; - che sul detto gradone era stato apposto, da tempo immemore, un muretto di mattoni alto 120 cm. e spesso 10 cm, che terminava in corrispondenza della canna fumaria più vicina al parapetto su via T., sicché per la restante parte di circa 197 cm. i due terrazzi erano separati solo dal gradone, che permetteva un reciproco inspicere e prospicere; - che, al fine di impedire ogni reciproca veduta, le parti firmavano nel 1993 una convenzione, che prevedeva il sovrainnalzamento del muro di confine in mattoni a delimitazione dei lastrici fino al raggiungimento dell'altezza di mt. 2,00...; - che quindi realizzava il muretto come concordato, apponendovi, per ragioni di sicurezza, anche una ringhiera nella parte finale di 105 cm. che per un buon tratto si sovrapponeva al muretto; - che, con citazione notificata il 28.5.2001, la Ch. chiedeva l'eliminazione della ringhiera in quanto, a suo dire, limitava la veduta e, con sentenza n. 68/2007, il tribunale di Trani lo condannava ad eliminare la ringhiera con un muro esteso sino allo spigolo del fabbricato prospiciente via T., al fine di evitare la vista e l'affaccio del lastrico solare verso la terrazza di proprietà della Ch., ritenendo incomprensibilmente che il gradone si appartenesse - senza alcuna prova - alla Ch.; - che la sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello; - che, sul presupposto che la proprietà esclusiva dell'originario muro di divisione le appartenesse, la Ch. gli contestava l'illegittimo uso della parte orizzontale del detto gradone, di circa 60 cm., per poggiare vasi con piante, nonchè la realizzazione di un armadietto sul muro di sua proprietà; - che si costituiva, evidenziando che l'armadietto non rappresentava una struttura stabile e che, unitamente ai vasi, non poteva creare alcun nocumento all'attrice; - che, per la presenza del muretto alto due metri che separava i terrazzi, l'attrice non aveva alcuna possibilità di accesso a quella parte del gradone lato De., come si poteva evincere dalle foto; in via subordinata, chiedeva dichiararsi la comproprietà del muro di divisione degli edifici c.d. gradone; - che il primo Giudice aveva ritenuto che fosse provata l'appartenenza del muro di divisione originario degli edifici in favore della Ch. per effetto del giudicato formatosi a seguito della sentenza di conferma della Corte di Appello n. 502/2015; - che conseguentemente all'accertamento della proprietà del muro divisorio, il primo Giudice aveva ritenuto che fosse illegittima la collocazione di oggetti sulla sommità del muro di proprietà e riguardo al ripostiglio aveva rilevato che esso fosse una costruzione e come tale, essendo posta sul confine, doveva essere rimosso, determinando un asservimento di fatto del fondo del vicino, per il quale il danno doveva ritenersi in re ipsa; - che, dovendo qualificarsi l'azione come una domanda ex art. 949 c.c., l'attrice non aveva provato il presupposto dell'azione, rappresentata dalla qualità di proprietario che esercitava legittimamente il possesso sulla res, laddove la Ch. non aveva mai avuto né l'uso né il possesso della testata del gradone, oltre il muro, dal lato De., perché alla stessa da sempre totalmente inaccessibile; - che invero i due terrazzi erano separati da un muro di due metri, che rendeva impossibile l'accesso a quella parte orizzontale del gradone nella sua piena disponibilità; - che ad ogni buon conto nessun danno poteva derivare alla Ch. dalla apposizione di vasi sul gradone, trattandosi di pretesa emulativa e quindi prova di utilità per la attrice, posta in essere al solo scopo di creare molestia; - che il giudice aveva per di più qualificato in modo inesatto il ripostiglio come costruzione; ciò sulla scorta di un CTU assolutamente inaffidabile resa in un altro processo; - che invero "il piccolo vano in muratura usato come ripostiglio e posto sul gradone" altro non era che uno spazio esistente sin dalla edificazione dei fabbricati e l'unica cosa che aveva fatto era stata quella di apporre una persiana in legno; che, in altre parole, si trattava di una originaria nicchia avente come base il gradone, per poggiarvi oggetti; - che peraltro era possibile all'epoca ed anche all'attualità costruire a zero metri dal confine con pareti cieche; nessuna distanza era stata pertanto violata; - che inoltre il giudice avendo condannato esso convenuto al pagamento della somma di Euro 2.000,00 a titolo di risarcimento danni, aveva violato il disposto di cui all'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 99 c.p.c., posto che era stata chiesta la condanna in via generica; - che il tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di comproprietà del muro di divisione egli edifici "gradone" derivante dalla presunzione dell'art. 880 c.c.; - che era irrilevante l'accertamento incidentale contenuto nella sentenza della Corte di appello, di cui non esisteva prova del passaggio in giudicato, che non poteva fare stato sulla proprietà del gradone; tanto premesso, chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata venisse rigettata la domanda dell'attrice Pa.Ch. per la carenza delle condizioni dell'azione e che venisse inoltre dichiarata la nullità della condanna risarcitoria per violazione dell'art. 112 c.p.c. e dichiarata l'irrilevanza dell'accertamento incidentale eseguito nel processo avente nr. Rg. 19206/2001. Si costituiva l'appellata, che resisteva alla domanda evidenziando che l'appello era inammissibile per la violazione del disposto dell'art. 342 c.p.c. ed ex art. 348 bis c.p.c.; con riferimento al primo motivo di appello, evidenziava che la proprietà del muro divisorio posto a confine tra le due proprietà, identificato anche come "gradone", era di sua proprietà esclusiva, come accertato incidentalmente con sentenza della Corte di appello n. 502/2015 e passata in cosa giudicata; che incombeva pertanto al convenuto provare l'esistenza del diritto di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore, una volta dimostrato il proprio titolo di acquisto, mentre nella specie mancava qualsiasi titolo o costituzione di servitù che legittimasse il De. ad apporre vasi o piante o qualsiasi altro oggetto di sua pertinenza nonché a realizzare il ripostiglio come accertato nel verbale di ispezione giudiziale del 2014. Quanto all'armadietto, lo stesso CTU lo aveva qualificato ocme costruzione essendo costruito in muratura e dunque infisso stabilmente al suolo. Con riguardo all'altro motivo attinente la violazione dell'art. 112 c.p.c. esponeva che la sentenza era del tutto conforme ai principi consolidati della Suprema Corte in materia, secondo cui il risarcimento del danno in caso di palese difficoltà di quantificazione economica può essere liquidato in via equitativa. Parimenti infondato era anche il terzo motivo, afferente l'irrilevanza dell'accertamento incidentale, posto che esso faceva stato anche al di fuori del processo nel quale era sorta l'occasione, come nella specie. Tanto premesso, concludeva per il rigetto dell'appello con il favore delle spese di lite. Senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, all'udienza del 14 novembre 2023 svoltasi secondo la modalità della c.d. trattazione scritta, la causa è stata riservata per la decisione, con assegnazione del termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. Diritto Preliminarmente, secondo quanto di recente chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. n.27199/2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado. Tale orientamento, invero, era stato affermato anche nel previgente regime normativo da numerose pronunce della Suprema Corte che, con diversità di accenti, avevano posto in luce che l'appello è una revisio prioris instantiae e non un novum iudicium, e che la necessità dell'indicazione, da parte dell'appellante, delle argomentazioni da contrapporre a quelle contenute nella sentenza di primo grado serve proprio ad incanalare entro precisi confini il compito del giudice dell'impugnazione, consentendo di comprendere con certezza il contenuto delle censure; con la conseguenza che la mancanza di specificità conduce all'inammissibilità dell'appello (sentenze 21 gennaio 2004, n. 967). Sulla scorta dei rilievi che precedono, l'appello deve essere dichiarato ammissibile, risultando rispettato il disposto dell'art. 342 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. n. 134 del 2012, dal momento che l'appellante ha chiaramente indicato le parti della sentenza che intendeva censurare e le specifiche ragioni per le quali riteneva di non condividere l'assunto del primo Giudice. Venendo adesso al merito dell'appello, con il primo motivo l'appellante ha censurato la decisione del giudice di primo grado per essere carenti le condizioni dell'azione, ovvero la mancanza del possesso in capo all'attrice e la carenza dell'interesse ad agire. Ha esposto l'appellante che, non avendo l'attrice mai avuto il possesso su quella parte orizzontale del muro di divisione degli edifici (c.d. gradone), largo circa 60 cm., sul quale era stato apposto qualche vaso - stante la presenza del muretto divisorio alto 1,70 cm. e spesso 10-12 cm., poggiato sul gradone, a filo lato Ch. - a quest'ultima era inibito ogni accesso e dunque ogni possibilità di uso e possesso, con la conseguenza che l'actio negatoria servitutis non era invocabile, stante il difetto del possesso e l'interesse ad agire. Il motivo è infondato. Va premesso che secondo autorevole e condivisibile giurisprudenza di legittimità, "l'azione negatoria servitutis e quella di rivendica si differenziano in quanto l'attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi, mentre, con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, e agisce contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione" (ex plurimis, Cassazione civile sez. II, 14/07/2021, n. 20068; Cass. 11/01/2017, n. 472). Chi agisce in negatoria servitutis non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, essendo sufficiente dimostrare di possedere il fondo in virtù di un titolo valido (cfr. Cassazione civile sez. II - 03/12/2019, n. 31510). Ed ancora (cfr. Cassazione civile sez. II, 11/01/2017, n. 472), "nella rivendica l'attore si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso ed agisce contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione; nella negatoria, invece, l'attore, proponendosi quale proprietario e possessore della cosa, tende al riconoscimento della libertà del fondo contro qualsiasi pretesa di terzi che accampino diritti reali sulla cosa ed attentino al libero ed esclusivo godimento dell'immobile da parte sua; mentre nella confessoria servitutis, infine, l'attore dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù. Sicché, nella prima azione l'attore, dato il carattere rivendicativo e restitutorio della sua pretesa, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; nella seconda, essendo l'azione di accertamento negativo di diritti reali di terzi sul proprio fondo, l'attore deve dare dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; nella terza, l'attore ha l'onere di provare l'esistenza della servitù che lo avvantaggia" (v. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24028 del 27/12/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 732 del 13/03/1972; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 484 del 19/02/1972). Orbene, la Ch., qualificandosi e agendo quale proprietaria esclusiva del muro, in forza della sentenza n. 67/08 del tribunale di Trani e della sentenza della Corte di Appello n. 502/2015, ha dedotto in citazione - e denunciato - che il De. aveva posto sulla sommità del muro di divisione tra le due proprietà delle piante e vasi di fiori e realizzato anche un ripostiglio. Ha, dunque, espressamente agito per l'eliminazione delle opere realizzate dalla controparte, per il ripristino dei luoghi e il conseguenziale risarcimento dei presunti danni subiti per non aver potuto disporre in modo esclusivo del muro in questione. Di contro, parte convenuta, pur negando di aver eseguito le opere indicate in citazione (posto che, per il ripostiglio, si sarebbe limitato ad apporre una persiana e che il ripostiglio in muratura era già presente sul c.d. gradone del muro divisorio), ha dedotto ed eccepito che l'attrice non sarebbe esclusiva proprietaria del muro in oggetto, contestandone il relativo titolo di provenienza (perché l'accertamento incidentale contenuto nella sentenza della Corte di Appello 502/2015, che aveva escluso la comunione del muro, non poteva fare stato - ed essere opponibile - anche nel relativo giudizio). Ora, rilevato che l'azione della Ch. proposta si inquadra pacificamente nell'ambito dell'actio negatorio servitutis, deve osservarsi che, con sentenza n. 502/2015, nel decidere sull'appello incidentale promosso dal De. nei confronti della Ch. (avverso la sentenza del tribunale di Trani n. 67/08), avente ad oggetto la declaratoria della proprietà esclusiva del muro di confine in capo ad esso (ovvero, in subordine, la comproprietà ex art. 880 c.c.), la Corte di Appello ha espressamente preso posizione sulla questione della titolarità del muro, evidenziando, alla pagina 21 della sentenza in questione, che "... correttamente il muro di divisione è stato ritenuto di proprietà esclusiva della C.". Con detta pronuncia, che non risulta impugnata ed è pertanto passata in giudicato nel 2016 - come emerso in sede di udienza del 25.5.2018 (in cui parte appellante ha contestato la decadenza della preclusione documentale, ma non il passaggio in giudicato della sentenza) - può dirsi superata la presunzione di contitolarità del muro di confine tra i due edifici sancita dell'art. 880 c.c., che statuisce che: "il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto" (v. Cass. Civ., Sez. II, 27/09/2013, n. 22275), che è vinta dall'accertamento che "il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 c.c." (Cass. Civ., Sez. II, 03/01/2014, n. 50). Ne consegue che, con tale accertamento di una situazione giuridica (proprietà esclusiva del muro ex art. 881 c.c.), confliggente con quella ritenuta tale dal De. (comproprietà del muro), il giudicato formatosi nel giudizio definito con sentenza n. 67/2008 del Tribunale di Trani sulla proprietà esclusiva del muro divisorio tra i due edifici, instaurato tra le stesse parti, si pone in un rapporto di pregiudizialità-dipendenza rispetto alla materia oggetto del presente giudizio, pur avendo quello ad oggetto l'accertamento della illegittimità di una servitù di veduta e l'eliminazione delle opere che consentivano la veduta. Ed invero, la questione della titolarità del muro divisorio nella causa in questione, pur avendo formato oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della causa sulla servitù di veduta, riveste efficacia di giudicato anche nella presente causa, perché ha formato oggetto di esplicita domanda da parte del De.. Ne consegue che sussiste l'"esplicita domanda di una delle parti", necessaria, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., per la trasformazione della questione pregiudiziale in causa pregiudiziale, e desumibile dal fatto che la proprietà del muro era stata fatta oggetto di appello incidentale (al fine di ottenere sul punto una pronuncia avente efficacia di giudicato). Una volta appurato che il muro si appartiene, per effetto della sentenza passata in cosa giudicata, alla Ch., è del tutto infondato il motivo per il quale la Ch. non aveva mai avuto il possesso del bene; non avendo l'attrice l'onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade nell'azione di rivendica, era sufficiente la dimostrazione, anche in via presuntiva, del possesso del fondo in forza di un titolo valido" (ex multis Cass. civ. Sez. II, 15/10/2014, n. 21851). E nella specie, il possesso del muro derivava all'attrice dalla funzione del muro di divisione tra i due terrazzi, ovvero dalla funzione di delimitazione delle due aree confinanti, appartenenti a diversi proprietari, della sua permanenza all'attualità, seppure con l'ulteriore e distinta funzione di appoggio per la nuova costruzione, rappresentata dalla ringhiera realizzata dal De. sul gradone (che rappresenta il prosieguo, dal piano sottostante, del muro che separa le due proprietà) del muro divisorio. Di qui il rigetto del primo motivo, afferente l'insussistenza di possesso attuale in capo alla Ch. del muro divisorio, posto che dalla sentenza n. 67/08, confermata in toto dalla Corte di Appello, è risultato che il De. aveva apposto la ringhiera (dalla quale esercitava la veduta) proprio sul gradone, che rappresentava il "prosieguo - dal piano sottostante - del muro che separava le due proprietà in causa, trattandosi di un muro, per quanto chiarito, appartenente a Pa.Ch." (cfr. cit. sent. 67/08). Ne deriva che è inconsistente l'eccezione secondo la quale la Ch. non aveva dimostrato il possesso del muro poiché "non aveva mai avuto il possesso della testata del gradone", posto che proprio nella sentenza in questione si dà atto che il muro si apparteneva alla Ch. e che il De. ne aveva leso la proprietà e il possesso apponendovi sul gradone una ringhiera e realizzando sulla stessa un'apertura, in tal modo consentendosi l'inspicere e il prospicere sulla proprietà Ch.. Peraltro, sempre nella sentenza in questione, si dà atto che sul medesimo gradone del muro il De. aveva apposto i sostegni di una tenda, che andavano anch'essi rimossi, costituendo molestia e turbativa al pacifico esercizio del diritto di proprietà (e del possesso) del muro. Venendo adesso al secondo motivo, relativo al difetto di interesse perché mai l'apposizione di vasi da fiore poteva arrecare turbativa al possesso del muro, reputa la Corte che il motivo sia infondato, posto che nel concetto di turbativa o molestia alla proprietà e al possesso rientra ogni attività materiale o psichica che, anche senza investire direttamente la cosa oggetto di possesso, costituisca espressione di un volontà contraria al possesso altrui, anche se non produttiva di un danno attuale, e in quanto lo stato di possesso è stato posto soltanto in dubbio o in pericolo. E dunque, a differenza della condotta di infissione della ringhiera metallica, se l'apposizione di vasi e piante non aveva assunto carattere particolarmente lesivo, comunque essa denota di per sè una pretesa dell'agente in contrasto con la posizione del proprietario/possessore del muro, così da rendere esplicito un disegno di progressiva lesione dell'altrui possesso e di occupazione di spazi altrui, culminato con la costituzione di una illegittima servitù di veduta sul terrazzo di proprietà dell'appellata. Venendo adesso alla questione del ripostiglio, va premesso che il De. ha osservato come in realtà l'armadietto altro non era se non una nicchia in muratura già esistente tra il muro di confine con altra proprietà e la muratura di rivestimento della canna fumaria di sua proprietà avente come "fondo" il muro di separazione dei terrazzi delle parti e come base il gradone. Ora, dalle relazioni tecniche esibite nel giudizio di primo grado è emerso come fosse posizionato sul gradone a confine con la proprietà Ch. "un piccolo vano in muratura" usato come ripostiglio; secondo il CTU della causa nr. Rg. 19206/2001 (vertente tra le stesse parti) detto manufatto è stato realizzato allorquando il De. ha variato la situazione plano altimetrica del terrazzo, ed è stato costruito sul gradone appartenente in proprietà esclusiva Ch.. Peraltro, lo stesso De. ha confermato di aver "collocato un armadietto" e di aver posizionato vasi di fiori nel muro oggetto di causa perché "di mia proprietà", e lo stesso Ing. T., chiamato a testimoniare nel processo di primo grado, ha detto di "ricordare che il De. aveva realizzato dal lato del muro prospiciente la sua proprietà un armadietto chiuso da persiane"; ora, essendo il gradone mera proiezione del muro sottostante, appartenente alla Ch. per quanto ricordato, ne deriva che il motivo afferente l'anteriorità della costruzione in muratura ed il fatto che si sarebbe limitato ad apporre una persiana per chiudere una nicchia preesistente è inconsistente, stante il fatto che il ripostiglio è stato realizzato sul gradone e che, a tutto voler concedere (ossia che il De. si sarebbe limitato a chiudere una nicchia), esso insiste nella proprietà Ch., per cui va rimosso, in quanto costituente indubbiamente una costruzione realizzata sul muro di proprietà altrui. Quanto al fatto che il primo giudice avrebbe fatto leva su una consulenza di un CTU totalmente inaffidabile, va detto che l'allegazione che tale nicchia era da sempre esistita nella originaria conformazione dei luoghi non è stata supportata da alcuna relazione di parte, né tantomeno comprovata da alcuna deposizione. Peraltro, avendo l'attrice proposto una negatoria servitutis, non v'è dubbio che la pretesa di mantenere un ripostiglio sul gradone (costituente, come detto, proiezione del muro di confine della Ch.) costituisce chiaramente una turbativa del diritto dominicale vantato dalla stessa, la cui lesione può essere ritenuta comunque la causa petendi dell'azione proposta dall'attrice, la quale era volta ad ottenere la riduzione in pristino dello status quo ante, a prescindere dalla questione della violazione delle distanze legali (che per il vero non era stata neppure prospettata nell'atto introduttivo dall'attrice), sicchè avendo la Ch. esercitato l'azione disciplinata dall'art. 949 c.c. per tutelare il proprio diritto di proprietà sul terrazzo al fine di respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà del muro, suscettibili di dar luogo alla servitù, la decisione del tribunale di primo grado di rimozione del ripostiglio appare - sia pure con la correzione in parte qua della motivazione - del tutto conforme a diritto. Venendo adesso alla questione del risarcimento del danno e del vizio di ultrapetizione, va premesso che in primo grado l'attrice aveva dedotto che, "essendo la condotta assunta dal De. potenzialmente produttiva di danni", chiedeva "una declaratoria iuris di condanna generica ai danni". A giudizio della Corte, il motivo è fondato. Ed invero, l'azione di condanna "considerata nella completezza delle varie fasi", cioè, quando non è limitata alla condanna generica, "tende all'accertamento di un diritto, della sua violazione, della determinazione di un pregiudizio mediante l'azione lesiva, della quantificazione del pregiudizio patrimoniale integrante un credito che, in quanto accertato sussistente nella sua entità verso un soggetto determinato, è oggetto del titolo esecutivo costituito dalla pronuncia definitiva di condanna" (Cass. S.U. n. 12103/95 cit.); dato tale iter logico della sentenza tipica di condanna, la pronuncia del giudice adito con una domanda "speciale" di condanna, quale è quella generica, si ferma lungo tale percorso decisorio, compiendo soltanto parte dei detti passaggi logico-giuridici; secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, l'oggetto del giudizio sull'an debeatur è costituito dal diritto originario assertivamente leso, dalla lesione avvenuta, ma anche dalla sussistenza del danno (e quindi del diritto al risarcimento), ancorchè quest'ultima valutazione possa essere fatta con apprezzamento sommario e, in relazione alla prova, su base di probabilità; quindi, resta escluso dall'ambito dei poteri del giudice adito con domanda di condanna generica l'accertamento dei danni in concreto verificatisi, pur coinvolgendo la domanda originaria di condanna generica la valutazione del giudice sugli elementi dell'iter logico di una sentenza di condanna finale, fino alla valutazione positiva dell'esistenza del danno, in termini di probabilità (cfr., tra le tante, Cass. n. 10403/01, n. 16123/06, n. 23328/06, n. 1631/09). Nel caso di specie, il Giudice di primo grado, non avvedendosi della tipologia di condanna richiesta, ha liquidato in via equitativa l'ammontare del danno (evidentemente riconoscendolo), in Euro 2.000,00. Ne deriva che la condanna generica al risarcimento del danno pronunziata dal giudice consiste in una mera declaratoria iuris dell'esistenza di un fatto potenzialmente produttivo di danno, la cui esistenza ed entità va accertata nel giudizio civile nel rispetto dei principi sull'onere probatorio. In coerenza con tale principio, deve accogliersi il motivo e respingersi la domanda risarcitoria della Ch., sia perché, in relazione alla scarsa consistenza dell'opera realizzata dal De., era da escludersi la configurabilità di un danno in re ipsa, sia perché nessuna voce di danno è stata allegata e provata. E tanto anche in quanto la domanda dell'attrice che andava qualificata in termini di negatoria servitutis e non come una domanda relativa alla violazione delle distanze tra le costruzioni non presuppone un danno in re ipsa, a differenza della violazione sulle distanze, attesa la natura giuridica del bene leso (v. Cass. 5864/2023), né trattasi di lesione conseguente all'esercizio abusivo di una servitù di veduta, di per sé produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attività probatoria e per il risarcimento del quale il giudice deve procedere ai sensi dell'art. 1226 c.c., adottando eventualmente, quale parametro di liquidazione equitativa, una percentuale del valore reddituale dell'immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta (v. Cass. 12530/2019). Ne deriva che, sotto tale profilo, il motivo di appello va accolto. In ordine alle spese del doppio grado di giudizio, stante il ridimensionamento della pretesa di parte attrice, con l'accoglimento del motivo di appello relativo alla condanna risarcitoria, sussistono dato l'esito della lite, gravi ed eccezionali ragioni per compensare per metà tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, restando parte appellante tenuta al pagamento della residua metà, giusta prevalente soccombenza. Le spese di lite sono liquidate in base al valore della controversia (valore indeterminabile, complessità bassa), con applicazione, data la non particolare complessità delle questioni trattate, dei parametri minimi del D.M. n. 55 del 2014 e succ. modific.. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da De. nei confronti di Pa.Ch. nel giudizio avente n. Rg. 1157/2022, così provvede: - accoglie per quanto di ragione l'appello e, per l'effetto, rigetta la domanda di risarcimento danni proposta da Pa.Ch.; - rigetta l'appello per il resto; - dichiara tenuta e condanna De. al pagamento in favore di parte appellata della metà delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano per l'intero per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 3.809,00 e per il giudizio di appello in complessivi Euro 4.996,00, oltre r.f.s.g., Iva e Cpa come per legge, compensando la residua metà. Così deciso in Bari il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE SESTA CIVILE composta dai magistrati: dott. Antonio Perinelli - Presidente dott. Sandro Venarubea - Consigliere relatore dott. Luca Ponzillo - Consigliere all'udienza del 7 febbraio 2024 ha pronunciato ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 178 del registro generale degli affari contenziosi dell'anno 2018, vertente tra Si. s.p.a. (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, presso lo studio dell'avv. Damiano Forti, che la rappresenta e difende giusta procura in atti - appellante e CONDOMINIO VIA To. n. 10 R. (c.f. (...)), Bu.Gi. (c.f. (...)) nato ad A. To. (A.) il (...), Ca.En. (c.f. (...)) nato a R. di P. (R.) il (...), Ge.Ca. (c.f. (...)) nata a R. l'(...), Gi.Gi. (c.f. (...)) nato a R. il (...), elettivamente domiciliati in Roma, Via (...), presso lo studio dell'avv. Ad.Zi., che li rappresenta e difende giusta procura in atti - appellati RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Si. s.p.a. ha proposto appello avverso la sentenza n. 21778/2017 emessa dal Tribunale ordinario di Roma e pubblicata in data 21 novembre 2017, resa nel giudizio di primo grado promosso nei suoi confronti da Condominio Via To. n. 10 R., Bu.Gi., Ca.En., Ge.Ca. e Gi.Gi.. 1 - I fatti di causa sono esposti nella sentenza impugnata come di seguito riportato. "Gli attori hanno esposto che fra il mese di maggio ed il mese di ottobre 2010 erano comparse nello stabile alcune lesioni nelle murature condominiali ed all'interno di alcuni appartamenti. Hanno esposto di avere promosso accertamenti tecnici per verificare le origini del danno, unitamente ai tecnici della parte convenuta Si. spa proprietaria dell'immobile confinante, e che all'esito di detti accertamenti era emersa la responsabilità della convenuta la quale aveva svolto negli anni precedenti dei significativi lavori di ristrutturazione del proprio immobile. Hanno esposto di avere sostenuto delle spese per eliminare in parte i danni manifestatisi ed hanno concluso chiedendo la condanna della Si. spa alla esecuzione, a propria cura ed a proprie spese, dei lavori necessari alla eliminazione delle cause del fenomeno ed al ripristino delle parti ammalorate; la condanna della convenuta all'integrale risarcimento degli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali, nella misura provata in corso di giudizio e comunque, in caso di impossibilità di una prova completa sul quantum, nella misura ritenuta equa e di giustizia sulla base di una valutazione ex art. 1226 c.c. La parte convenuta ha contestato la domanda. Ha eccepito la prescrizione del diritto sostenendo che i lavori che asseritamente avrebbero causato i danni erano stati effettuati tra il 1999 ed il 2001. Ha contestato l'esistenza del nesso di causalità tra i lavori ed i danni e concluso per il rigetto della domanda". L'adito Tribunale, con detta sentenza, ha così deciso: "1) condanna la società convenuta alla effettuazione dei lavori indicati in ctu come necessari alla eliminazione della causa delle lesioni ed al ripristino dello stato dei luoghi e nell'allegato computo metrico estimativo; 2) respinge nel resto la domanda degli attori; 3) condanna il convenuto al pagamento in favore degli attori delle spese di lite che liquida in Euro 518,00 per spese ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre IVA e Cassa Previdenza e rimborso spese generali; 4) pone a carico del convenuto le spese di ctu liquidate con separato decreto". La decisione è motivata come di seguito riportato. "La domanda degli attori è fondata nei limiti di seguito precisati. Il consulente tecnico di ufficio ha accertato l'esistenza delle lesioni e delle fessurazioni descritte nell'atto introduttivo ed ha sostenuto che, per quanto non sia da escludere la presenza di diverse concause, la scaturigine prima ed il fattore scatenante dei danni deve essere individuato nelle lavorazioni effettuate dalla convenuta per adeguare l'immobile alle normative previste per l'esercizio dell'attività alberghiera. I lavori, consistenti essenzialmente nell'introduzione della scala di servizio e nelle demolizioni eseguite sulla muratura portante in comune con il condominio hanno verosimilmente creato i diffusi dissesti riscontrati. Il ctu ha anche indicato i rimedi necessari ad impedire l'espandersi del fenomeno e quali siano i lavori necessari al ripristino dello stato dei luoghi. Le conclusioni dell'ausiliario del Giudice sono pienamente condivisibili perché giunte all'esito di esaurienti ed approfondite indagini. Il ctu ha risposto in modo convincente ai rilievi sollevati dalla parte convenuta. Con riferimento alle eccezioni sollevate dalla parte convenuta in ordine alla inesistenza dei danni negli appartamenti di proprietà esclusiva degli attori, si rileva che il ctu ha affermato che anche all'interno degli stessi vi sono lesioni che hanno la medesima origine e che negli interni in un primo tempo ristrutturati (l'int. 2 e l'int. 6) si sono manifestate nuovamente le lesioni. La convenuta Si. spa pertanto è responsabile ai sensi dell'art. 2043 c.c. dei danni così riscontrati e deve essere condannata allo svolgimento dei lavori di eliminazione della origine del danno e di ripristino dello stato dei luoghi. Deve, infatti, essere respinta l'eccezione di prescrizione; in primo luogo, perché il termine decorre solo dal momento in cui la parte ha avuto piena contezza della causa dei danni e ciò nel caso di specie è avvenuto con la conclusione della perizia di parte la cui consegna è antecedente al decorso dei 5 anni dalla notifica della citazione. Ma principalmente perché nel caso di specie si verte in una ipotesi di illecito permanente nel senso di illecito le cui cause sono ancora attive e produttive di danni, tanto è vero che oggetto degli accertamenti è stata l'individuazione della origine dei danni allo scopo di rimuovere gli stessi. E' noto che si lamenta un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domanda l'eliminazione di questo ed il risarcimento del danno cagionato dall'immobile, sia l'illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sé e per sé quale fonte di danno come tale all'immobile, sia l'illecito rappresentato dalla verificazione di danni all'immobile, in quanto originatisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall'ultimazione dell'opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo, mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall'immobile in conseguenza dell'esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni "de die in diem", a mano a mano che essi si verificano (Sez. 3, Sentenza n. 5831 del 13/03/2007; Sez. 3, Sentenza n. 19359 del 18/09/2007). Nel caso di specie, pertanto, il tipo di illecito commesso dalla convenuta è un tipo di illecito nel quale i danni si determinano momento per momento e l'azione risarcitoria può essere fatta valere in ogni istante. La parte convenuta, in ragione di ciò, deve essere condannata allo svolgimento dei lavori indicati in ctu e più dettagliatamente descritti nell'allegato computo metrico estimativo, in quanto necessari alla eliminazione della origine dei danni ed al ripristino dello stato dei luoghi (anche degli appartamenti appartenenti ai condomini attori int. 4, 6, 8, 2 e 10). Per il resto la domanda degli attori deve essere respinta. Il pregiudizio sofferto, infatti, non ha determinato una apprezzabile limitazione del godimento del bene e non vi è alcuna prova dei costi sopportati dagli attori per i dedotti parziali ripristini. Sotto quest'ultimo profilo va sottolineato che non è possibile ricorrere alla valutazione equitativa stante la estrema facilità con la quale è possibile provare un esborso di denaro. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza". 2 - Con l'atto di appello Si. s.p.a. formulato le seguenti conclusioni: "accogliere l'appello e per l'effetto riformare la sentenza n. 21778 del 21.11.2017; condannare il Condominio di Via To. n. 10 e i signori Bu.Gi., En.Ca., Ge.Ca. e Gi.Gi., eventualmente in solido fra di loro, a rimborsare alla Si. s.p.a. tutte le somme che verranno, nel caso, spese per l'effettuazione dei lavori alla cui esecuzione la sentenza del Tribunale n. 21778/2017 del Tribunale di Roma ha condannato la stessa Si. s.p.a.; e ciò nella misura di Euro 33.918,23, per come indicata dal CTU Ing. Stefano Cerea, o in quell'altro importo maggiore o minore effettivamente speso dalla Si. s.p.a.; condannare il Condominio di Via To. n. 10 e i signori Bu.Gi., En.Ca., Ge.Ca. e Gi.Gi., eventualmente in solido fra di loro, alla refusione alla Si. s.p.a. delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio, oltre spese generali, IVA e CPA". Si sono costituiti gli appellati, che hanno resistito all'impugnazione formulando le seguenti conclusioni: "rigettare l'appello proposto perché inammissibile e comunque infondato, emettendo al contempo ogni altra consequenziale decisione di legge, e condannando la Si. s.p.a. al pagamento delle spese ed onorari del presente giudizio, maggiorando i relativi importi del 15% per spese forfettarie (ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55), nonché delle percentuali normativamente previste a titolo di I.V.A. e C.N.P.A.F.". All'odierna udienza i difensori delle parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi ai propri scritti, e hanno discusso oralmente la causa. Premesso che, come richiesto dalla Corte, con produzione documentale in data 17 dicembre 2019 il Condominio appellato ha versato in atti copia della delibera assembleare del 29 gennaio 2018 autorizzativa a costituirsi nel presente grado di giudizio, l'appello è infondato. 3.1 - Con il primo motivo di impugnazione, rubricato "erronea ed illogica motivazione a sostegno del rigetto dell'eccezione di prescrizione", l'appellante Si. s.p.a. censura la gravata sentenza deducendo la contrarietà della asserzione secondo cui il termine prescrizionale decorre solo "dal momento in cui la parte ha avuto piena contezza delle cause dei danni" con la giurisprudenza unanime della Cassazione che, invece, ha sempre e soltanto sostenuto che il termine di prescrizione decorresse "dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile" (Cass. 12699/2010; Cass. 19022/2007; Cass. 16148/2007; Cass. 10493/2006; Cass. 12666/2003; Cass. 9927/2000). Pertanto, avendo nel proprio atto di citazione gli attori sostenuto di aver riscontrato delle lesioni fra il mese di maggio ed il mese di ottobre 2010, da tale data sarebbe iniziato a decorrere il termine di prescrizione ex art. 2947 c.c. con la conseguenza che lo stesso è spirato al più tardi nel mese di ottobre 2015, ossia anteriormente al 17 febbraio 2016, data in cui l'atto di citazione è stato notificato. In ogni caso, anche seguendo la tesi del primo giudice, il Condominio di Via To. avrebbe avuto piena contezza dei danni ed individuato la loro causa nei lavori di rifacimento alberghiero già alla data del 20 dicembre 2010, come da missiva inoltrata alla Si. s.p.a. (doc. 1 fascicolo attoreo primo grado), sicché al più il termine prescrizionale sarebbe spirato il 20 dicembre 2015, due mesi prima della suddetta notifica. Né sarebbe condivisibile l'argomentazione del giudice di prime cure secondo cui il caso in esame rientrerebbe nella categoria degli illeciti permanenti e cioè di quegli illeciti in cui le "cause sono ancora attive e produttive di danni", atteso che né nell'atto di citazione, né in nessun altro scritto difensivo, gli odierni appellati avrebbero mai sostenuto, in alcun modo, che i danni di cui chiedevano il ristoro fossero diversi da quelli dagli stessi riscontrati fra il mese di maggio e quello di ottobre 2010 e, quindi, che vi fossero danni che si stessero ancora producendo, del resto neppure specificati dal Tribunale. Si verterebbe, piuttosto, in ipotesi di illecito istantaneo ad effetti permanenti. La censura è infondata. La Suprema Corte, ancora da ultimo, ha statuito che "allorquando si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l'eliminazione di questo ed il risarcimento del danno cagionato all'immobile, sia l'illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sé e per sé quale fonte di danno come tale all'immobile, sia l'illecito rappresentato dalla verificazione di danni all'immobile in quanto originantisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall'ultimazione dell'opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo (salvo che tale condotta non cessi di essere illecita per l'eventuale consolidarsi di una situazione di diritto in ordine al suo mantenimento), mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall'immobile in conseguenza dell'esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni "de die in diem", a mano a mano che essi si verificano (Cass. civ., sez. III, n. 4677 del 15 febbraio 2023). Orbene, atteso che sul rigetto della domanda di risarcimento dei danni per equivalente non vi è stata impugnazione, con conseguente formazione del giudicato interno, ai presenti fini rileva soltanto la domanda di risarcimento dei danni in forma specifica; sicché, protraendosi ininterrottamente nel tempo la situazione di fatto di cui si è chiesta la rimozione, la prescrizione del relativo diritto ex art. 2058 c.c. al momento della instaurazione del presente giudizio non soltanto non era ancora maturata, ma neppure era iniziata a decorrere. 3.2 - Con il secondo motivo di impugnazione, rubricato "erronea interpretazione delle risultanze emergenti dalla CTU", l'appellante Si. s.p.a. censura la gravata sentenza argomentando che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, il consulente tecnico d'ufficio non avrebbe semplicemente ammesso la possibilità teorica che vi fossero delle concause nella verificazione dei danni, ma le avrebbe espressamente indicate nella vetustà della muratura per effetto del degrado della malta legata, che ne ha causato uno scadimento delle proprietà meccaniche, e nei carichi e sovraccarichi che si sono aggiunti nel tempo, dovuti essenzialmente a nuovi elementi strutturali. Sicché il primo giudice non avrebbe chiarito in maniera soddisfacente se i lavori eseguiti dalla Si. s.p.a. fossero del tutto assorbenti, rispetto alle altre cause, nella ricostruzione del nesso eziologico. Infatti, la circostanza che i lavori eseguiti dalla Si. s.p.a. costituissero "fattore scatenante" nella produzione dei danni, ancora non direbbe nulla sulla rilevanza o meno di tali lavori rispetto alle altre cause che hanno contribuito a creare il danno. Il tribunale, pur riconoscendo la presenza di concause nella produzione del danno, non si sarebbe preoccupato di analizzare la serie causale, e verificare quale fosse, fra i vari eventi, quello determinante; ma ha rintracciato una responsabilità esclusiva in capo alla Si. s.p.a., invece di riconoscere, ad esempio, solo una percentuale di responsabilità in proporzione alla reale efficienza causale dell'evento imputabile a quest'ultima. Quanto, poi, ai singoli appartamenti, il giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto di quanto contenuto nella CTU, ove si specificherebbe che il sopralluogo del 20 marzo 2017 avrebbe riguardato solo gli interni 2, 4 e 8 e non anche gli interni 6 e 10, in ordine ai quali, pertanto, il consulente tecnico d'ufficio non potrebbe esprimere alcun parere sulla esistenza o meno di lesioni al loro interno. Inoltre, a pag. 5 della CTU il perito afferma che gli interni 2 e 8 sono stati "recentemente ristrutturati" e che quindi "non è possibile apprezzare nulla di rilevante". La censura è infondata. Il consulente tecnico d'ufficio ha premesso che l'edificio di proprietà della Si. s.p.a. sito in R., Via B. n. 19, adibito ad albergo, ed il Condominio di Via To. n. 10 "nel lato in contiguità hanno una parete portante in comune"; che l'albergo tra il 1999 ed il 2001 ha subito alcuni lavori, regolarmente assentiti, "consistiti nel rifacimento delle scale, onde renderle rispondenti alla normativa sulla sicurezza", ed in particolare, "per quel che riguarda la causa in oggetto, nell'introduzione della scala di servizio e nelle demolizioni eseguite sulla muratura portante in comune con il Condominio". Tanto premesso, il suddetto ausiliario del giudice ha riscontrato nel Condominio di Via To. n. 10 i seguenti malfunzionamenti strutturali: "Lo scrivente, durante i sopralluoghi effettuati nel Condominio di via T., ha accertato la presenza di lesioni sulla muratura di confine tra i fabbricati, particolarmente concentrate e di notevole entità in corrispondenza del vano della nuova scala di servizio dell'albergo; il quadro fessurativo, che appare complesso ed esteso, investe con direttrice verticale e capillare anche murature ortogonali a quella di confine e alcune murature di spina non esattamente vicine. Per cronologia e collocazione topografica deve ritenersi che i lavori di rifacimento alberghiero siano stati la causa delle lesioni. In tal senso il consulente tecnico d'ufficio ha fornito una spiegazione altamente plausibile delle ragioni tecniche di tale nesso causale: "Le indagini effettuate hanno mostrato che la muratura perimetrale, unica e priva di giunti di separazione tra i due fabbricati, è "alla romana", composta da tufo e malta bastarda (calce e pozzolana a debole stato di coesione). Durante le fasi lavorative per l'ancoraggio della scala sicuramente è stato difficile rispettare le dimensioni geometriche dello "scasso" nella muratura, in quanto che i conci litoidei, essendo di grandi dimensioni e non regolari, hanno impedito di eseguire l'asola come esattamente progettata (vedi i dettagli strutturali realizzativi dell'intervento riportati in Allegato 4 - tav. 3). Anche la realizzazione delle sedi di appoggio delle travi in ferro potrebbe aver comportato delle perturbazioni alla situazione statica durante le fasi lavorative, in quanto che una esecuzione a percussione, sicuramente più veloce e speditiva, è facilmente ipotizzabile in assenza di una precisa prescrizione progettuale (non trovata negli elaborati), ma anche potenzialmente dannosa per le strutture esistenti". Il quadro fessurativo presente nel Condominio, dunque, risulta logicamente riconducibile alle modalità realizzative della nuova scala di servizio dell'albergo; mentre non appare rilevare l'incremento di carico sulla muratura di confine (incremento di per sé indiscutibile), atteso che "le verifiche della sicurezza effettuate nel paragrafo 4.2 porterebbero a non imputare ad aumenti di carico le lesioni apparse sulla muratura di confine tra i fabbricati dato che il carico agente è minore rispetto alla resistenza della muratura, anche se, allo stato attuale, non si è a conoscenza della presenza di ulteriori vuoti (ad es. canne fumarie) occulti nel corpo della muratura". La spiegazione alternativa proposta dal tecnico di parte della società appellante, ossia che fattore determinante dello stato lesionativo sarebbe stato, piuttosto, lo scadimento delle proprietà della malta del muro comune è stata adeguatamente confutata dal consulente tecnico d'ufficio, il quale nelle risposte alle osservazioni critiche ha specificato che tale scadimento è stato bruscamente accelerato proprio dai lavori; questi ultimi, pertanto, debbono ritenersi la conditio sine qua non per il verificarsi delle lesioni ed il suddetto scadimento delle proprietà meccaniche della malta ai sensi dell'art. 41 comma 1 c.p. non può assurgere ad evento interruttivo del nesso di causalità tra lavori e lesioni. Né può costituire motivo di riduzione della responsabilità, poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi solo tra una pluralità di condotte umane colpevoli e non tra una condotta umana colpevole (lavori di ristrutturazione alberghiera) ed una condizione ambientale (proprietà della malta del muro comune) cfr. Cass. civ., sez. III, n. 5737 del 24 febbraio 2023. Quanto ai singoli appartamenti indicati con gli interni n. 2, 4, 6, 8 e 10, il consulente tecnico d'ufficio, dopo aver riferito, rispetto alle mura condominiali, del "quadro fessurativo, che appare complesso ed esteso, investendo con direttrice verticale e capillare anche murature ortogonali a quella di confine e alcune murature di spina non esattamente vicine", ha poi precisato che "certamente gli appartamenti contraddistinti interni n. 2, 4, 6, 8 e 10, posti sulla medesima verticale, hanno risentito dei lavori eseguiti, specialmente nell'ultima stanza, adiacente alla nuova scala dell'albergo; qui, nelle zone in cui il quadro fessurativo non è stato coperto da rifacimenti, le lesioni risultano di colore scuro e annerite dalla fuliggine per la presenza di una vecchia canna fumaria nella muratura esaminata". In particolare, l'ausiliario del giudice ha adeguatamente specificato, in sede di repliche alle osservazioni critiche, " di aver visionato tutti gli interni aventi la parete in comune con l'albergo nei due sopralluoghi effettuati: quello del 19 ottobre 2016, durante il primo accesso sui luoghi di causa, quando lo scrivente non aveva ancora a disposizione le planimetrie degli appartamenti e quindi non ha potuto ubicare le lesioni riscontrate (e pertanto il numero degli interni non è specificato nel relativo verbale) e nel sopralluogo del 20 marzo 2017, durante il quale sono stati ispezionati gli interni 2, 4 e 8", con la ulteriore precisazione che "gli appartamenti ristrutturati sono l'int. 2 e l'int. 6, anche se in entrambi sono visibili di nuovo lesioni". L'ubicazione delle lesioni riscontrate, del resto, è stata riportata nella tav. 2 dell'all. 4 alla CTU. 4 - In conclusione, l'appello va respinto. Segue, dunque, la condanna della società appellante a rifondere agli appellati le spese del grado, come liquidate in dispositivo, in applicazione dei parametri medi di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e succ. mod. (D.M. 13 agosto 2022, n. 147, in vigore dal 23 ottobre 2022), tenuto conto dello scaglione di valore (valore della causa, in ragione del costo dei lavori di ripristino quantificati dalla CTU in Euro 33.918,33: superiore ad Euro 26.000,00, tabella 12, scaglione quarto) delle fasi del giudizio e dell'aumento per presenza di più parti aventi la medesima posizione processuale (art. 4, comma 2, D.M. cit.). Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione rigettata, a norma del comma 1-bis, medesimo art. 13. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da S.S.I. s.p.a. avverso la sentenza n. 21778/2017 del Tribunale ordinario di Roma, pubblicata il 21 novembre 2017, così provvede: a) rigetta l'appello; b) condanna S.S.I. s.p.a. a rifondere a Condominio Via To. n. 10 R., Bu.Gi., Ca.En., Ge.Ca. e Gi.Gi. le spese di lite del grado, che liquida in Euro 15.281,20 per compensi, oltre rimborso forfetario (15%) per spese generali, i.v.a. e c.p.a. nella misura di legge; c) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 a carico dell'appellante. Così deciso in Roma il 7 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 146 del 2019, proposto dai signori Sa. Am. e Fr. Vi., rappresentati e difesi dall'avvocato Ge. Ma., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia; contro il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Co. e An. At., con domicilio digitale presso l'indirizzo PEC come da Registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sez. II, 22 novembre 2018 n. 1687, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno e i documenti prodotti; Viste le ordinanze della Sezione 19 febbraio 2019 n. 833, 3 giugno 2021 n. 4229 e 17 gennaio 2022 n. 280, 11 luglio 2022 n. 5758; Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica e le note d'udienza con documenti depositati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza del 21 dicembre 2023 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Ad. To., in sostituzione dell'avvocato Ge. Ma. e Ni. Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sez. II, 22 novembre 2018 n. 1687 con la quale il predetto TAR ha in parte dichiarato inammissibile e in parte ha respinto il ricorso (n. R.g. 1298/2018) proposto, dai signori Sa. Am. e Fr. Vi., al fine di ottenere l'annullamento dell'ingiunzione di demolizione "in danno" emessa dal Comune di Salerno prot. n. 105214 dell'8 giugno 2018. 2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue: - riferiscono gli appellanti che la controversia verte attorno alle opere, ritenute abusive dal Comune di Salerno, realizzate all'interno di un piccolo appartamento sito nel predetto comune di (iniziale) proprietà dell'Istituto autonomo case popolari e del quale erano assegnatari i coniugi Gi. Vi. e Sa. Am.. Attualmente la signora Sa. Am. riveste la posizione di titolare del diritto di abitazione mentre l'altro appellante, il signor Fr. Vi., è comproprietario dell'immobile; - nello specifico gli odierni appellanti riferiscono che gli assegnatari dell'appartamento (i signori Gi. Vi. e Sa. Am.), attorno agli anni ottanta, effettuarono lavori di ampliamento dello stesso, realizzando una veranda e altre opere all'interno del giardino; - detti interventi edilizi furono oggetto di richiesta di condono edilizio presentata dal signor Gi. Vi. il 27 agosto 1986 prot. n. 77714, ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47 nonché oggetto di denuncia di variazione di accatastamento al NCEU di Salerno del 26 marzo 1987; - il Comune di Salerno, con provvedimento n. 145/B/94 del 28 febbraio 1996, quando ancora era pendente il procedimento di condono edilizio, dispose la demolizione delle opere abusivamente realizzate, nelle quali erano incluse anche altre opere effettuate successivamente alla richiesta di sanatoria, sul presupposto che "non risulta a questo Ente alcuna domanda di condono pervenuta nei tempi descritti"; - il signor Gi. Vi. proponeva quindi ricorso al TAR per la Campania al fine di vedere annullata la suindicata ordinanza di demolizione, la cui efficacia venne sospesa in accoglimento della domanda cautelare proposta dal ricorrente. Quel processo fu poi dichiarato perento per inattività delle parti con decreto n. 7334/2012; - riferiscono gli odierni appellanti che, successivamente ai sopra descritti accadimenti e all'esito di interlocuzioni con gli uffici comunali, venne loro riferito che la pratica di condono n. 77714/86 era andata smarrita, sicché il signor Gi. Vi., con richiesta del 14 marzo 2017, invitava gli uffici comunali a completare il procedimento di condono edilizio trasmettendo copia completa degli atti in suo possesso per la ricostruzione del relativo fascicolo; - nondimeno, dopo la suindicata richiesta e quando ancora il procedimento di sanatoria era pendente, il Comune di Salerno con provvedimento n. 37 del 9 giugno 2017 ingiungeva la demolizione delle opere realizzate; - con detta ordinanza veniva comunicato anche che, all'esito del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale in data 6 maggio 2017, si era appurata la presenza di ulteriori opere realizzate senza titolo e, in particolare: "1. apertura di piccola finestra di circa mt. 0,40 x 0,60 in preesistente vano ripostiglio sottostante la scala di accesso all'appartamento del Sig. Forcellino; 2. è stata rilevata la presenza di una tettoia in lamiere coperta da tegole e sorretta da struttura in ferro posizionato lungo il lato sud est del giardino esterno all'abitazione avente dimensioni mt. 4,50 x 3,00 e posta ad un'altezza da terra di mt. 2,00 circa; 3. è stato accertato il cambio di destinazione d'uso del richiamato ripostiglio che allo stato (s)i presenta ad uso w.c.; 4. canna fumaria, posta al di sopra del solaio del vano cucina, di dimensioni, stimate a vista, mt. 0,30 x 0,30 di sezione ed altezza mt. 4,00; 5 tettoia in materiale plastico sorretta da struttura in ferro posta lungo il lato nord della proprietà di dimensioni mt. 5,00 x 1,30 e posta ad un'altezza da terra di mt. 2,80"; - a tale provvedimento ne seguiva un secondo, l'ordinanza prot. n. 105214 dell'8 giugno 2018, con la quale il dirigente del Settore opere e lavori pubblici del Comune di Salerno, sul presupposto che "i Sig.ri Vi. Cl. e Vi. Fr. non hanno ottemperato, entro il termine assegnato, all'Ordinanza di demolizione n. 37/17, giusta verbale di inottemperanza del Corpo di Polizia Municipale, acquisito in data 8.9.2017 con nota prot. n. 149389", era ordinata "la demolizione d'ufficio delle opere descritte nell'ordinanza di demolizione n. 37/17 mediante valutazione tecnico-economica dei lavori necessari (...) ponendo a carico del soggetto inadempiente tutte le spese relative ed ogni altro onere derivante" (così nell'ordinanza di cui sopra); - riferiscono gli odierni appellanti di avere impugnato dinanzi al TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno, la suindicata ordinanza, chiedendone l'annullamento in quanto illegittima e, nel contempo, di avere presentato domanda di accertamento di conformità per le opere contestate come abusive nell'ordinanza di demolizione e non ricomprese nella domanda di condono a suo tempo presentata; - con sentenza 22 novembre 2018 n. 1687 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, ha in parte dichiarato inammissibile e in parte ha respinto il ricorso proposto. In particolare il giudice di primo grado, dopo avere chiarito che l'ordinanza di demolizione d'ufficio prot. n. 105214 dell'8 giugno 2018 costituisce l'atto conseguente dell'ingiunzione di demolizione n. 37 del 6 giugno 2017, mai impugnata e ormai non più impugnabile, sicché le censure legate alla invalidità derivata dell'ordinanza di demolizione d'ufficio sono inammissibili e che quest'ultima costituisce un atto dovuto e vincolato, ha puntualizzato che le ulteriori censure specificamente rivolte nei confronti di tale seconda ordinanza (prot. n. 105214 dell'8 giugno 2018) non si manifestavano fondate nel merito. 3. - Propongono quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 1687/2018, i signori Sa. Am. e Fr. Vi., che ne sostengono la erroneità per quattro complessi motivi di appello, che possono sintetizzarsi come segue: I) Error in iudicando - Violazione degli artt. 2, 3, 35 ed 88 c.p.a.- Difetto di motivazione - Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 d.P.R. 380/2001 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 44 l. 47/1985 - Violazione degli artt. 1 e ss l. 241/1990 - Violazione del principio del legittimo affidamento - Eccesso di potere - Errore nei presupposti di fatto e di diritto - Carenza di istruttoria e di motivazione - Illogicità e irragionevolezza. Gli appellanti sostengono che il giudice di primo grado sia incorso in un evidente errore nel momento in cui ha ritenuto che alcune censure dedotte nei confronti dell'ordinanza di demolizione n. 37/2017 dovessero essere considerate inammissibili, per la mancata tempestiva impugnazione di detta ordinanza, quando invece con esse era denunciata l'illegittimità anche dell'ordinanza di demolizione "in danno" n. 105214 dell'8 giugno 2018. Infatti, tra le altre censure dedotte in primo grado i signori Am. e Vi. ebbero a dolersi che: 1) la demolizione in danno del vano cucina e della veranda sia stata disposta nonostante la pendenza di una istanza di condono edilizio (prot. 77714/1986), rimasta inevasa; b) la sanzione applicata avrebbe dovuto essere suffragata da una motivazione adeguata che avesse ponderato tutti i peculiari fattori che hanno connotato l'intera vicenda. Infatti, come è noto, la presentazione di una domanda di condono edilizio, in base al disposto dell'art. 38 l. 47/1985, determina la conseguenza che l'amministrazione non può emettere alcun provvedimento sanzionatorio, se non dopo l'esame e l'eventuale decisione di denegare la sanatoria, sicché il Comune di Salerno, avendo disposto la demolizione "in danno" quando ancora il procedimento di condono edilizio relativo alle opere da demolire era ancora pendente, ha violato tale precetto. Peraltro l'adozione del provvedimento di demolizione "in danno" intervenuto a distanza di molto tempo dalla presentazione della domanda di condono edilizio e quando ancora era pendente il relativo procedimento, si inserisce in un contesto di legittimo affidamento ingenerato dal comportamento assunto dal comune negli odierni appellanti circa la condonabilità delle opere, che poteva essere superato soltanto da una puntuale e approfondita motivazione che, tuttavia, l'ordinanza del 2018 non reca, neppure con riferimento alla necessaria ponderazione, da parte dell'amministrazione comunale, degli interessi pubblici eventualmente pregiudicati dal mantenimento di quelle opere; II) Error in iudicando et in procedendo - Difetto di motivazione - Violazione e falsa applicazione dell'art. 31, comma 4, d.P.R. 380/2001 per omessa notifica del verbale di inottemperanza all'ordine di demolizione n. 37/2017 - Eccesso di potere per arbitrarietà e irragionevolezza. Premesso che il verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione n. 37/2017, del quale i signori Am. e Vi. hanno avuto contezza solo nel corso del giudizio di primo grado, non è stato mai comunicato agli odierni appellanti, questi ultimi lamentano, come già avevano segnalato in primo grado, la rilevanza di tale mancato adempimento da parte del Comune di Salerno, idoneo a travolgere l'ordinanza del 2018 rendendola illegittima. Sul punto gli appellanti contestano la correttezza della conclusione alla quale è giunto il primo giudice che ha relegato tale adempimento ad un profilo puramente formale attesa la natura meramente "dichiarativo-certificativa" del verbale di inottemperanza, costituendo invece un passaggio essenziale dell'esercizio dei diritti partecipativi dei destinatari di provvedimenti sanzionatori come è quello in esame; III) Error in iudicando - Violazione degli artt. 7 e ss. l. 241/1990 - Violazione del principio di partecipazione del soggetto al procedimento amministrativo - Violazione del principio del contraddittorio - Violazione del giusto procedimento di legge - Illogicità . Contraddittorietà - Ingiustizia manifesta. Errata si presenta la valutazione del primo giudice circa la necessaria comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe dovuto precedere l'adozione dell'ordinanza di demolizione "in danno", trattandosi di adempimento cardine dell'apporto partecipativo che la parte coinvolta può e deve dare all'esercizio del potere, in particolare quando esso è idoneo a produrre l'adozione di provvedimenti gravi come sono quelli sanzionatori e tale regola non patisce eccezione nel caso di esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi. D'altronde, nel caso di specie, il comune ha ordinato la demolizione d'ufficio poggiando su un verbale di inottemperanza del Comando della Polizia municipale, mai reso noto agli odierni appellanti prima dell'adozione di detto provvedimento sanzionatorio, impedendo loro di partecipare al procedimento prospettando quelle ragioni che ben avrebbero potuto indurre il ridetto comune a concludere il procedimento in modo diverso rispetto alla decisione qui avversata; IV) Error in iudicando - Difetto di motivazione - Violazione degli artt. 2, 3 e 88 c.p.a.. Erroneamente il TAR ha ritenuto di non doversi pronunciare sui motivi IV (Violazione e falsa applicazione dell'art. 33, co. 2, D.P.R. 380/01; violazione del principio di proporzionalità e di correttezza amministrativa; errore sui presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per sviamento), VI (Violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. 380/01; violazione e falsa applicazione dell'art. 33 del D.P.R. 380/01; difetto di istruttoria, errore nei presupposti di fatto; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche) e VII (Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del D.P.R. n. 380/01; violazione dell'art. 97 Cost.; violazione dei principi di proporzionalità e di economicità dell'azione amministrativa; eccesso di potere per travisamento, sproporzione, irragionevolezza) del ricorso di primo grado. Tali censure, che vengono riproposte in sede di appello, attengono alle seguenti circostanze: a) mancata valutazione da parte dell'amministrazione della possibilità di disporre la sanzione pecuniaria piuttosto che quella demolitoria; b) mancata puntuale individuazione delle opere che non realizzano superfici ulteriori utili ovvero non sono state effettuate creando "un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente" ovvero che abbiano comportato "modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti", sicché la rilevanza volumetrica delle opere risulta essere inidonea ad incidere sull'assetto del territorio e non rientra tra gli interventi sottoposti a permesso di costruire. Al più il manufatto costruito costituisce un'opera pertinenziale (in particolare la "tettoia in materiale plastico sorretta da struttura in ferro posta lungo il lato nord della proprietà "), né tanto meno può dar luogo a demolizione il mero cambio di destinazione d'uso ovvero la realizzazione della canna fumaria; c) ad ogni modo le opere edilizie realizzate nella specie non rientrano nell'ambito degli interventi soggetti a permesso di costruire ex art. 10 d.P.R. 380/2001, sicché l'amministrazione avrebbe dovuto tutt'al più qualificare le stesse come interventi subordinati alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività ex art. 22 d.P.R. 380/2001 4. - Si è costituito anche nella presente sede di appello il Comune di Salerno che ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni, confermando la legittimità del provvedimento comunale impugnato e chiedendo la reiezione del ricorso stante la correttezza del percorso logico giuridico sviluppato dal giudice di primo grado per come emerge dalla sentenza qui oggetto di appello. Il comune appellato in particolare segnala come l'ordinanza di demolizione "in danno", principalmente impugnata in primo grado dagli odierni appellanti, costituisce un provvedimento adottato in mera esecuzione dell'ordinanza dirigenziale n. 37/2017, con la quale è stata ingiunta la demolizione di numerose opere abusive, ordinanza mai contestata né impugnata in via giurisdizionale e divenuta, pertanto, in quanto inoppugnabile, esecutiva. Da ciò discende l'assoluta inammissibilità delle censure dedotte nei confronti dell'ordinanza prot. n. 105214 dell'8 giugno 2018, come del resto ha già avuto modo di affermare il giudice di primo grado nella sentenza qui oggetto di appello che va, quindi, confermata. 5. - Nel corso del processo di secondo grado si sono registrati i seguenti accadimenti. Con ordinanza 19 febbraio 2019 n. 833 è stata respinta la domanda cautelare di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado proposta dagli odierni appellanti, non sussistendone i presupposti. Con successiva ordinanza 3 giugno 2021 n. 4229 la Sezione, dopo avere appreso che era pendente dinanzi al T.A.R. Campania-Salerno, sez. II, il ricorso n. R.g. 472/2019 con il quale i signori Am. e Vi. avevano chiesto l'annullamento del provvedimento di diniego di condono edilizio prot. 17629 del 29 gennaio 2019 (con cui era stata respinta l'istanza di sanatoria n. 77714/1986, sul presupposto che "il procedimento di cui alla istanza prot. n. 77714/86 deve ritenersi concluso con la emanazione della Ordinanza Sindacale n. 145/B/94 del 28/02/1996 prot. n. 6744 del 29/02/1996, rientrata in vigore nel 2010 dopo la perenzione del ricorso e ripresa poi dall'ordinanza n. 37/2017 che la integra con le ulteriori opere non autorizzate rilevate con il rapporto prot. n. 80361 del 11/05/2017), ha considerato circostanza pregiudiziale attendere l'esito di tale giudizio, ritenendo di non sospendere il processo ma di rinviare soltanto la decisione in attesa della conclusione del processo ritenuto pregiudiziale. Con ordinanza 17 gennaio 2022 n. 280 la Sezione, stante la persistente pendenza del giudizio ritenuto pregiudiziale, disponeva incombenti istruttori a carico del Comune di Salerno al fine di acquisire "una analitica relazione sui fatti di causa, tenuto conto anche di ogni elemento sopravvenuto rispetto alla data di avvio del presente giudizio, con allegazione documentale a corredo". Il Comune provvedeva con il deposito di una nota in data 14 giugno 2022. Con una successiva ordinanza, 11 luglio 2022 n. 5758, la Sezione concedeva un ultimo rinvio per attendere ancora la definizione del processo, ritenuto pregiudiziale. Detto giudizio era definito con sentenza del T.A.R. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sez. II, 3 aprile 3023 n. 754 con la quale il predetto Tribunale amministrativo ha in parte dichiarato inammissibile e in parte ha respinto il ricorso proposto dai signori Sa. Am. e Gi. Vi. nei confronti della nota prot. 17629 del 29 gennaio 2019. Nel corso del processo le parti hanno prodotto memorie, anche di replica e note d'udienza, depositando ulteriori documenti e confermando le conclusioni già rassegnate negli atti processuali precedentemente acquisiti nel fascicolo digitale del processo. 6. - Ai fini della definizione del presente contenzioso in grado di appello occorre brevemente ripercorrere la sequenza cronologica degli atti che hanno caratterizzato l'intera vicenda onde collocare adeguatamente, anche sotto il profilo temporale, l'incidenza delle numerose censure dedotte dai signori Sa. Am. e Gi. Vi. e l'eventuale riflesso della tempestività o meno dell'attività contenziosa sviluppata dagli odierni appellanti (o da altri aventi titolo a farlo) durante il percorso repressivo sanzionatorio curato dagli uffici comunali, la cui legittimità è in questa sede (nuovamente) messa in discussione, insieme con la correttezza della sentenza di primo grado qui oggetto di appello. Orbene, ai suddetti fini, merita di ricordare che: - con ordinanza n. 145 del 22 marzo 1994 fu ingiunto all'allora assegnatario dell'immobile di proprietà dello IACP di Salerno, signor Gi. Vi., di demolire le seguenti opere abusive realizzate nell'appartamento a lui assegnato: 1) tettoia in ferro con pannelli in plastica con superiore incannucciata di circa mt. 6,00 X 4,00 per un'altezza di circa mt. 2,70 delimitata da muretto in muratura alto circa mt. 1,60; 2) box in lamiera di circa mt. 5,00 X 3,00 per un'altezza di mt. 2,50; 3) apertura di piccola finestra di circa mt. 0,40 X 0,60 in preesistente vano ripostiglio sottostante la scala di accesso all'appartamento confinante; - nel suindicato provvedimento di ingiunzione a demolire gli uffici comunali davano conto e prendevano atto dell'esistenza di una istanza di condono edilizio, presentata ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47 dal medesimo signor Vi., prot. n. 77714 del 29 giugno 1986, avente ad oggetto la sanatoria di: 1) un vano cucina in muratura con superiore solaio in c.c.a. di circa mt. 3,60 x 4,80 per un'altezza di circa mt. 2,80; 2) una veranda in alluminio anodizzato e vetri di circa mt. 2,70 x 2,70 per un'altezza pari a mt. 2,80; - nondimeno con la medesima ordinanza n. 145/B/94 del 28 febbraio 1996 venne ingiunto al signor Vi. di demolire anche le opere oggetto di domanda di condono con la seguente motivazione: "per i manufatti non oggetto dell'istanza di condono il sig. Vi. ha presentato bollettino di versamento postale a titolo di anticipazione dell'oblazione (trasmesso in data 11.1.95 prot. n. 2842) senza però procedere alla presentazione dell'istanza. Il sig. Vi., invitato dall'U.T.M. con raccomandata in data 16.6.95 n. 68477/195 ad esibire eventuale documentazione attestante la presentazione della domanda di condono, non produceva alcuna attestazione. Non risulta a questo Ente alcuna domanda di condono pervenuta nei tempi prescritti. Inoltre, in data 25.10.95 è stato notificato al sig. Vi. verbale della commissione edilizia n. 505/95 con il quale, visto il parere contrario deII'IACP, Ente proprietario dell'immobile, veniva espresso parere contrario anche alla vecchia istanza di condono n. 77714/86"; - successivamente, in data 5 maggio 2017, personale tecnico del competente ufficio comunale e agenti della Polizia municipale effettuavano un sopralluogo nell'immobile in questione nel corso del quale emergeva (come da verbale prot. n. 80361 dell'11 maggio 2017) che: 1) le opere oggetto dell'ordinanza n. 145 del 1994, ad eccezione della tettoia e del box, non erano state rimosse; 2) veniva accertata la presenza di una tettoia in lamiera coperta da tegole e sorretta da struttura in ferro posizionato lungo il lato sud est del giardino esterno all'abitazione, avente dimensioni di mt. 4,50 x 3,00 e posta ad un'altezza da terra di mt. 2,00 circa; 3) era stato effettuato il cambio di destinazione d'uso del ripostiglio, che si presentava ad uso w.c.; 4) era presente una canna fumaria, posta al di sopra del solaio del vano cucina, di dimensioni, stimate a vista, di mt. 0,30 x 0,30 di sezione ed altezza mt. 4,00; 5) era presente una tettoia in materiale plastico sorretta da struttura in ferro posta a nord della proprietà di dimensioni mt. 5,00 x 1,30 e collocata ad un'altezza da terra di mt. 2,80; - all'esito di tale sopralluogo il Comune di Salerno ha adottato una seconda ordinanza di demolizione di opere abusive, n. 37 del 23 giugno 2017. Le ragioni di tale secondo, nuovo, intervento provvedimentale sanzionatorio sono da ricercarsi nei seguenti eventi nel frattempo verificatisi: a) il signor Gi. Vi. aveva impugnato dinanzi al TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno, l'ordinanza n. 145/B/94 del 28 febbraio 1996; b) il TAR aveva accolto e sospeso l'efficacia di tale ordinanza; c) tuttavia il signor Vi. non aveva ulteriormente coltivato tale giudizio (n. R.g. 808/1996), che andava perento giusta decreto n. 7334/2012; - da qui la reiterazione dell'ingiunzione demolitoria (con il provvedimento n. 37/2017) che non era sottoposta ad alcuna impugnazione; - acclarata in data 5 maggio 2017 la mancata ottemperanza all'ordine ingiuntivo e la presenza di numerose opere edilizie abusive realizzate nell'immobile, veniva disposta la demolizione "in danno" dei signori Am. e Vi. con provvedimento prot. n. 105214/2018, che veniva impugnato dinanzi al TAR Salerno con il ricorso in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto con la sentenza n. 1687/2018 qui oggetto di appello. 7. - Riprodotti come sopra i fatti salienti della vicenda contenziosa in esame, meritano di essere puntualizzati alcuni profili rilevanti. Anzitutto va rilevato come con l'ordinanza n. 37/2017 il Comune di Salerno, tenuto conto dell'esito del sopralluogo avvenuto in data 5 maggio 2017, riproduceva "pianamente" i contenuti dell'ordinanza di demolizione n. 145/1996, così reiterando l'ordine di demolire, già impugnato con ricorso andato però perento (dichiarato tale con decreto n. 7334/2012), per tutte le opere descritte nel verbale di sopralluogo e nella ordinanza n. 145/1996, ivi comprese quelle oggetto di condono edilizio, stante la contrarietà all'accoglimento dell'istanza di condono prot. n. 77714/86, "visto il parere contrario dell'IACP, Ente proprietario dell'immobile" che aveva espresso avviso non favorevole all'accoglimento della vecchia istanza di condono. Nell'ordinanza n. 37/2017 si dava atto che nel frattempo l'immobile era divenuto di proprietà dei signori Claudia Vi. e Fr. Vi., con diritto di abitazione in favore della signora Sa. Am.. Pare evidente che la mancata tempestiva impugnazione dell'ordinanza n. 37/2017 rende impossibile contestare le potenziali illegittimità nei confronti del suddetto provvedimento in epoca successiva allo spirare di sessanta giorni dalla conoscenza dell'atto, neppure potendole censurare per il tramite della loro asserita proiezione riflessa negli atti ad essa conseguenti e da essa derivati, come va senza alcun dubbio considerata l'ordinanza prot. n. 105214/2018 con la quale è stata disposta la demolizione "in danno" delle opere abusive nei confronti dei signori Am. e Vi.. Non è infatti contestato, né è contestabile in quanto ciò emerge con assoluta chiarezza fin dalle premesse dell'ordinanza prot. n. 105214/2018, che detto provvedimento con il quale si disponeva la demolizione "in danno" delle opere abusive costituiva la naturale prosecuzione della procedura sanzionatoria per come espressamente anticipato e comminato nella parte dispositiva dell'ordinanza n. 37/2017, nel caso in cui gli interessati non avessero dato spontaneamente luogo alla demolizione e ribadendo espressamente il coinvolgimento nell'ordine di demolizione delle opere oggetto di domanda di condono edilizio sia perché tale domanda non era stata rinvenuta negli uffici dell'ente sia perché le opere per le quali era richiesta la sanatoria non erano ritenute condonabili secondo il (risalente) parere dello IACP. E' rilevante segnalare che il signor Gi. Vi., con nota 14 marzo 2017 prot. n. 43492, trasmetteva agli uffici comunali una segnalazione (nota di sollecito) volta ad ottenere la definizione della pratica di condono inviando poi, con nota prot. 54751 del 30 marzo 2017, copia completa degli atti in suo possesso per la ricostruzione del relativo fascicolo. Ma ciò avveniva prima dell'adozione dell'ordinanza n. 37/2017. La mancata impugnazione dell'atto presupposto, costituito dall'ordinanza demolitoria n. 37/2017 rende all'un tempo non contestabili nei confronti dell'ordinanza prot. n. 105214/2018: - la lamentata illegittimità dell'adozione dell'ingiunzione a demolire in pendenza del procedimento di condono, visto che l'ordinanza prot. n. 105214/2018 costituisce mera esecuzione dell'ordinanza n. 37/2017 nei confronti della quale doveva tempestivamente essere contestata detta asserita illegittimità ; - l'accertamento dell'abusività delle opere descritte, dapprima nell'ordinanza n. 37/2017 e poi, quale mera reiterazione descrittiva, nell'ordinanza prot. n. 105214/2018, dal momento che la qualificazione in termini di illecito edilizio di dette opere si era consolidato con la mancata contestazione di tale presupposto espresso nel provvedimento n. 37/2017. 8. - Su tale ultimo profilo e soprattutto con riferimento alla sorte della domanda di condono presentata dal signor Gi. Vi. nel 1986 (istanza prot. n. 77714/86) va poi riferito che, successivamente alla proposizione del presente giudizio di appello, il Comune di Salerno ha adottato la nota prot. n. 17629 del 29 gennaio 2019 con la quale, proprio in relazione alla domanda di condono n. 77714/86, si esprimeva nel senso che "il procedimento di cui alla istanza prot. n. 77714/86 deve ritenersi concluso con l'emanazione dell'ordinanza sindacale n. 145/B/94 del 28/02/1996 prot. n. 6744 del 29/02/1996, rientrata in vigore nel 2010 dopo la perenzione del ricorso e ripresa poi dalla ordinanza n. 37/2017 che la integra con le ulteriori opere non autorizzate rilevate con il rapporto prot. n. 80361 del 11/05/2017". Come è noto alle parti detta nota del 2019 è stata oggetto di ricorso dinanzi al TAR Salerno (n. R.g. 472/2019) e l'esito di tale giudizio è stato ritenuto pregiudiziale dalla Sezione rispetto al presente contenzioso, tanto da provocare un periodo di attesa processuale in vista della definizione del processo di annullamento della predetta nota. Con sentenza 3 aprile 2023 n. 754 il TAR per la Campania, Sezione staccata di Salerno, ha ritenuto: - inammissibile la richiesta di annullamento della nota prot. n. 17629 del 29 gennaio 2019, trattandosi di una nota con la quale gli uffici hanno solo riassunto le ragioni per le quali sono state adottate le ordinanze nn. 145/1996 e 37/2017, nonostante la presentazione della domanda di condono edilizio, senza assumere nuove posizioni; - infondata la domanda di accertamento dell'intervenuto silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio presentata nel 1986, ai sensi dell'art. 35, comma 18, l. 47/1985, in quanto è stata riscontrata la carenza dell'elemento costitutivo della completezza documentale, "ineludibile ai fini del perfezionamento della fattispecie de qua (...)", atteso che "la parte ricorrente non ha dato prova della completezza dei documenti a corredo dell'istanza, circostanza che, peraltro, risulta smentita dalla stessa cornice motivazionale della nota impugnata, ove si rimarca proprio la carenza del modello A" (così, testualmente, nella sentenza 754/2023). La sentenza 3 aprile 2023 n. 754, con la quale non è stato dato seguito favorevole alla richiesta dei signori Gi. Vi. e Sa. Am. di annullare la nota prot. n. 17629 del 29 gennaio 2019, è stata fatta oggetto di appello (con ricorso n. R.g. 8360/2023) senza che però fosse proposta istanza cautelare, di talché attualmente sia la nota prot. n. 17629 del 29 gennaio 2019 sia la sentenza 745/2023 sono pienamente valide ed efficaci nei loro contenuti. Consegue a quanto sopra la infondatezza di tutte le censure dedotte nella sede di appello che abbiano un qualsivoglia riferimento alla ordinanza di demolizione n. 37/2017, alla ordinanza prot. n. 105214/2018 con la quale si dispone la demolizione "in danno" degli odierni appellanti nonché alle contestazioni ricollegate alle vicende che hanno caratterizzato il procedimento di condono edilizio di cui alla domanda n. 77714/86. 9. - Per completezza vanno poi ricordati i seguenti aspetti utili a far emergere la infondatezza degli ulteriori profili di censura dedotti nella presente sede di appello. Nessun legittimo affidamento può essere riconosciuto alla posizione degli appellanti con riguardo alla positiva conclusione del procedimento di condono, stante la mancata tempestiva impugnazione dell'ordinanza n. 37/2017 nella quale evidentemente si coagula la decisione del Comune di Salerno di non tenere conto della procedura di condono edilizio in corso, anche per la mancanza di documentazione a corredo, disponendo comunque la demolizione delle opere non rimosse spontaneamente nel frattempo. Sul tema, in via generale, è appena il caso di rammentare il costante orientamento di questo giudice amministrativo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2023 n. 10913) il quale, richiamando i noti principi espressi dalla sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 17 ottobre 2017, ha affermato che: - il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino; - l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo (ma lo stesso concetto può ripetersi per il diniego di sanatoria), quindi, ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività, sicché non è necessario che l'amministrazione individui un interesse pubblico - diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata - idoneo a giustificare l'ordine di demolizione; - tale principio vale anche nel caso in cui l'ordine di demolizione sia adottato a notevole distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela. Quanto alla contestazione circa la mancata comunicazione del verbale di accertamento di inottemperanza alla ordinanza di demolizione n. 37/2017 va rammentato, al fine di affermare l'infondatezza di tale assunto, che per giurisprudenza costante (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 24 gennaio 2023 n. 755) l'accertamento dell'inottemperanza ha natura meramente dichiarativa, atteso che gli effetti dell'ordine di demolizione si realizzano ope legis alla scadenza del termine assegnato ai destinatari dell'ordine per eseguire la demolizione ingiunta. Va poi ribadito il costante orientamento secondo il quale l'ordinanza di demolizione e tutti gli atti della procedura repressivo sanzionatoria che la seguono costituiscono espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è previsto né richiesto alcun apporto partecipativo del privato, sicché detti atti non debbono essere necessariamente preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2023 n. 10608). Infine va dato atto, tenuto conto dei documenti depositati in giudizio, che sulla richiesta di accertamento di conformità, presentata in data 13 settembre 2018 (prot. n. 162010) ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 6 giugno 2021, n. 380 con riferimento ad alcune delle opere contestate come abusive, è stato espresso dai competenti uffici comunali il parere n. 166 del 27 dicembre 2018, in cui sono stati indicati i motivi ostativi rilevati. Successivamente, con provvedimento n. 3 del 13 febbraio 2019 il Comune di Salerno, ferma restando l'infondatezza della richiesta, ha archiviato la domanda di accertamento di conformità in quanto, con nota prot. n. 25021 del 7 febbraio 2019, la parte richiedente aveva comunicato l'esecuzione di lavori di ripristino delle due opere oggetto della domanda, rinunciando di fatto alla sanatoria richiesta. 10. - In ragione di quanto si è sopra illustrato il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.a., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., sicché i signori Sa. Am. e Fr. Vi. debbono essere condannati a rifondere le spese della presente lite in favore del Comune di Salerno, che possono complessivamente liquidarsi nella misura di Euro 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello (n. R.g. 146/2019), come indicato in epigrafe, lo respinge. Condanna i signori Sa. Am. e Fr. Vi. a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida nella misura complessiva di Euro 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Stefano Toschei - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

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