Sentenze recenti caparra confirmatoria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere Dott. PICARO Vincenzo - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere Dott. POLETTI Dianora - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18331 DEL 2020 R.G. proposto da: (OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); -ricorrenti- contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS); -controricorrente- avverso l'ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 27491 DEL 2019 depositata il 28/10/2019. Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M. in persona della Sostituta Procuratore Generale ROSA MARIA DELL'ERBA; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA; udito il P.M. in persona della Sostituta Procuratore Generale ROSA MARIA DELL'ERBA, la quale ha chiesto di revocare l'ordinanza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il quarto motivo del ricorso per cassazione e di rigettare il quarto motivo del medesimo ricorso; uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS). FATTI DI CAUSA 1. (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo per la revocazione della ordinanza n. 27491 del 2019 del 28 ottobre 2019. 2. (OMISSIS) si difende con controricorso. 3. Questa Corte, con l'ordinanza n. 27491 del 2019, rigetto' il ricorso di (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.r.l. contro la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano. La Corte di cassazione in particolare giudico' inammissibile il quarto motivo del ricorso per difetto del requisito di forma e contenuto di cui all'articolo 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non essendo stato trascritto "il contenuto delle lettere di garanzia firmate dallo (OMISSIS)". 4. Su proposta del relatore, ai sensi degli articoli 391-bis, comma 4, e 380-bis, commi 1 e 2, c.p.c., che ravvisava la non inammissibilita' del ricorso, il presidente fissava con decreto l'adunanza della Corte perche' la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell'osservanza delle citate disposizioni. All'esito dell'adunanza del 3 dicembre 2021, fu pronunciata ordinanza interlocutoria n. 5274 del 2022, la quale, ritenendo che il ricorso per la revocazione della ordinanza n. 27491 del 2019 non fosse inammissibile, ai sensi dell'articolo 391, comma 1, c.p.c., rimise la causa va percio' rimessa alla pubblica udienza della sezione semplice tabellarmente competente e rinviata a nuovo ruolo. 5. Il ricorso e' stato deciso procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), con istanza di discussione orale. Le parti hanno presentato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.L'ordinanza revocanda ha rigettato il ricorso per cassazione di (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 3465 del 2015 della Corte d'appello di Milano, cosi' motivando: "1. La presente controversia trae origine da tre contratti preliminari di compravendita stipulati il 26/11/2008, con i quali la societa' (OMISSIS) s.r.l. si obbligo' a vendere a (OMISSIS), che si obbligo' ad acquistare, tre unita' immobiliari site in (OMISSIS). All'atto della stipulazione dei preliminari, il (OMISSIS) verso' alla promittente venditrice, a titolo di caparra ed acconto sul prezzo, la somma di un milione di Euro. Contestualmente, il (OMISSIS) chiese e ottenne da (OMISSIS) (amministratore e socio unico della (OMISSIS) s.r.l.) garanzia personale per l'adempimento, da parte della (OMISSIS), degli obblighi nascenti dai preliminari. A seguito della mancata stipulazione dei contratti definitivi di compravendita nei termini pattuiti, (OMISSIS) notifico' alla (OMISSIS) e all' (OMISSIS) atto stragiudiziale, col quale contesto' l'inadempimento della promittente venditrice, dichiaro' l'avvenuta risoluzione dei contratti per colpa della medesima e intimo' il pagamento del doppio della caparra ai sensi dell'articolo 1385 comma 2 c.c.; successivamente, chiese ed ottenne dal Tribunale di Milano l'emissione di un decreto che ingiunse alla societa' (OMISSIS) s.r.l. e ad (OMISSIS), il pagamento, in suo favore, della somma di due milioni di Euro (oltre accessori e interessi legali), corrispondente al doppio della caparra versata. La (OMISSIS) s.r.l. ed (OMISSIS) proposero separate opposizioni avverso il detto decreto ingiuntivo: la prima chiese la revoca del decreto, la pronuncia di risoluzione dei contratti preliminari per colpa del (OMISSIS), la declaratoria del proprio diritto di trattenere la caparra e la condanna del promissario acquirente al risarcimento dei danni; il secondo chiese la revoca del decreto ingiuntivo e la reiezione delle domande proposte nei suoi confronti. Nel costituirsi nei due giudizi di opposizione, il (OMISSIS) chiese la conferma del decreto ingiuntivo opposto e comunque la condanna dei convenuti-opponenti al pagamento in suo favore della somma di due milioni di Euro, pari al doppio della caparra versata. Riuniti i due giudizi di opposizione, il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento delle domande del (OMISSIS), pronuncio' la risoluzione dei contratti per colpa della (OMISSIS) s.r.l. e condanno' quest'ultima e lo (OMISSIS), in solido, al pagamento, in favore del (OMISSIS), della somma di un milione di Euro, pari all'importo versato al promissario acquirente alla (OMISSIS) in sede di stipulazione dei preliminari. Ritenne il primo giudice che le somme versate dal (OMISSIS) alla (OMISSIS), all'atto della stipula dei preliminari, fossero state corrisposte a mero titolo di acconto e non a titolo di caparra. 2. - Sui gravami proposti in via principale da (OMISSIS) e in via incidentale dalla (OMISSIS) s.r.l. e da (OMISSIS), la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiaro' il diritto del (OMISSIS) ad ottenere il doppio della caparra versata, condannando i convenuti al pagamento del residuo importo di un milione di Euro non ancora versato (un milione era stato gia' versato in esecuzione della sentenza di primo grado), maggiorato degli interessi legali. 3. - Per la cassazione della sentenza di appello hanno proposto ricorso la societa' (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Ha resistito con controricorso (OMISSIS). 1.Con la memoria depositata in prossimita' dell'adunanza camerale, il controricorrente ha dedotto l'improcedibilita' del ricorso, ai sensi dell'articolo 369 c.p.c., per il mancato tempestivo deposito di copia della sentenza impugnata, notificata via pec, munita dell'attestazione di conformita' all'originale. Rileva la Corte che, dovendo il ricorso essere rigettato per infondatezza dei motivi (per le ragioni che andranno ad esporsi a par.2), la questione sollevata con l'eccezione in esame risulta assorbita; e cio' sulla base del principio della c.d. "ragione piu' liquida", per cui e' consentito al giudice esaminare i motivi, suscettibili di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Sez. Un., n. 9936 del 08/05/2014; Sez. Un., n. 6826 del 22/03/2010; Sez. 6 - L, n. 12002 del 28/05/2014; Sez. 2, n. 2723 del 08/02/2010). 2. - Cio' premesso, puo' passarsi all'esame dei motivi. 2.1. - Col primo motivo (contrassegnato col n. 4), si deduce (ex articolo 360 c.p.c., n. 3) la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1385 e 1457 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto possibile l'esercizio del diritto di recesso da parte del promissario acquirente, nonostante che il contratto si fosse gia' risolto di diritto per il mancato rispetto del termine essenziale pattuito. Il motivo e' inammissibile, in quanto la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, non ha ritenuto che il contratto si fosse risolto di diritto per l'inutile decorso del termine essenziale, ma ha ritenuto che il promissario acquirente, invece di avvalersi della risoluzione di diritto, aveva inteso esercitare il diritto di recesso e chiedere il doppio della caparra. Tale statuizione e' conforme a diritto. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'e' ragione di discostarsi, la risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli articoli 1454, 1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l'esercizio della facolta' di recesso ai sensi dell'articolo 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiche' dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono percio' essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa (Cass., Sez. 2, n. 14014 del 06/06/2017; Sez. 2, n. 26206 del 03/11/2017; Sez. 2, n. 21838 del 25/10/2010; Sez. 3, n. 1952 del 10/02/2003). 2.2. - Col secondo motivo (contrassegnato col n. 5), si deduce (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1385 e 1455 c.c. nonche' l'omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte di Appello omesso di valutare la condotta delle parti ai fini dell'accertamento della gravita' dell'inadempimento, fondando erroneamente la sua pronuncia sul carattere essenziale del termine pattuito. Il motivo non e' fondato. Premesso che, ai fini della legittimita' del recesso di cui all'articolo 1385 c.c., non e' sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la "non scarsa importanza" prevista dall'articolo 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale (Cass., Sez. 6-2, n. 409 del 13/01/2012; Sez. 2, n. 21838 del 25/10/2010), questa Suprema Corte ha piu' volte affermato che, in materia di responsabilita' contrattuale, la valutazione della gravita' dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'articolo 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e' rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimita' ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. Sez. 3, n. 6401 del 30/03/2015; Sez. 2, n. 12296 del 07/06/2011). Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato che l'inadempimento della societa' (OMISSIS) deve ritenersi di non scarsa importanza, considerato che alla data fissata per la stipula degli atti definitivi gli immobili da trasferire risultavano ancora ipotecati. La motivazione della sentenza impugnata sul punto (p. 4) risulta immune da errori logici e giuridici e supera, pertanto, il vaglio di legittimita'. 2.3. - Col terzo motivo (contrassegnato col n. 6), si deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1455 c.c. e 112 c.p.c. (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la Corte di Appello erroneamente interpretato le "scritture integrative" stipulate tra il (OMISSIS) e l' (OMISSIS) (ritenendo che si trattasse di accordi indipendenti dai contratti preliminari di compravendita) e per avere pronunciato d'ufficio su eccezione di inadempimento non proposta dal (OMISSIS) nei confronti dell' (OMISSIS). La censura e' inammissibile per difetto di specificita' sotto il profilo dell'autosufficienza. Invero, i ricorrenti non trascrivono il contenuto delle scritture integrative in questione (se non in limitata e insufficiente misura nelle note alle pp. 17 e 18), non consentendo cosi' alla Corte di conoscere gli impegni assunti reciprocamente dalle parti e di svolgere l'invocato sindacato. 2.4. - Col quarto motivo (contrassegnato col n. 7), si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto che l' (OMISSIS) avesse prestato garanzia per l'adempimento di ogni obbligazione della (OMISSIS) s.r.l. nascente dai preliminari. Anche questo motivo e' inammissibile per difetto di specificita' sotto il profilo dell'autosufficienza. I ricorrenti non trascrivono il contenuto delle lettere di garanzia firmate dallo (OMISSIS), non consentendo cosi' alla Corte di svolgere il proprio sindacato e di valutare la fondatezza della censura (...)". 2. Il ricorso per revocazione deduce l'errore addebitato all'ordinanza n. 27491/2019 perche' il ricorso per cassazione, in relazione al quarto motivo, conteneva l'integrale trascrizione dei documenti sia nella parte espositiva sia nel contenuto della quarta censura. 3. Per consolidata interpretazione in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l'errore di fatto di cui all'articolo 395 n. 4, c.p.c. deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l'affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realta' del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. E' invece inammissibile il ricorso ex articolo 395, n. 4, c.p.c., ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale e' chiesta la revocazione, ovvero l'errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l'omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022). In particolare, e' consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui una sentenza della Corte di cassazione non possa essere impugnata per revocazione in base all'assunto che essa abbia male valutato i motivi di ricorso, perche' un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell'articolo 395, comma 1, numero 4, c.p.c. (Cass. Sez. 6 - L, 03/04/2017, n. 8615; Cass. Sez. 6 - 3, 15/06/2012, n. 9835). Si e' altresi' gia' affermato che la configurabilita' dell'errore revocatorio sia del tutto da escludersi quando si prospetti che la decisione della Corte di cassazione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, ovvero, in particolare di un errato giudizio espresso dalla sentenza di legittimita' sulla violazione del cosiddetto "principio di autosufficienza" in ordine ai motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti su cui erano fondate le censure (Cass., Sez. 6 - 5, 31/08/2017, n. 20635; Cass. Sez. 2, 22/06/2007, n. 14608; Cass. Sez. 1, 23/05/2006, n. 12154). 3. L'ordinanza n. 27491 del 2019, della quale si domanda la revocazione, in ordine al quarto motivo di ricorso, con cui si sosteneva che l' (OMISSIS) non avesse prestato garanzia per l'adempimento di ogni obbligazione della (OMISSIS) s.r.l. nascente dai preliminari, ritenne la censura inammissibile per difetto di specificita', non avendo i ricorrenti trascritto il contenuto delle lettere di garanzia firmate dallo (OMISSIS). Dall'esame diretto del ricorso per cassazione, risulta tuttavia che in relazione al quarto motivo era stato trascritto in parte il contenuto delle "lettere di garanzia" firmate dall' (OMISSIS) (il controricorrente precisa che era stato riprodotto il testo di tredici righi su trentadue di tale documento), restando in ogni modo illustrata la parte rilevante e indicato specificamente l'atto. L'affermazione dell'impugnata ordinanza di questa Corte, secondo cui non era riportato in ricorso il contenuto delle lettere di garanzia, e', dunque, frutto di errore di fatto, che rende l'ordinanza n. 27491 del 2019 della Corte di cassazione suscettibile di revocazione ex articolo 391 bis c.p.c. L'errore di fatto dell'ordinanza impugnata attiene alla supposizione di inesistenza di un fatto (vale a dire, non aver riportato i ricorrenti, a sostegno della doglianza riguardante la garanzia prestata dall' (OMISSIS), il contenuto delle relative lettere inviate al (OMISSIS)) falsamente percepito, come emerge direttamente dal ricorso per cassazione; tale errore ha altresi' avuto carattere decisivo, in quanto ha costituire la ragione essenziale e determinante della pronuncia di inammissibilita' del quarto motivo di ricorso. Puo' costituire errore di fatto, suscettibile di revocazione ex articolo 391 bis c.p.c., la supposizione di inesistenza della specifica indicazione degli atti e documenti su cui poggia il ricorso per cassazione (Cass. Sez. 2, 16/01/2019, n. 975). 4. Rivelatosi l'errore di fatto ed individuate la parte dell'ordinanza n. 27491 del 2019 della Corte di cassazione da rescindersi nella decisione sul quarto motivo del ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano, in quanto viziata dall'errore stesso, deve ora procedersi entro tali limiti al giudizio rescissorio. 5. Il quarto motivo del ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. contro la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano e' infondato. Tale censura deduceva la violazione dell'articolo 132 c.p.c. e dell'articolo 111 Cost. per omessa motivazione, nonche' dell'articolo 112 c.p.c. e degli articoli 1362 e 1363 c.c., con riguardo alla condanna solidale dell' (OMISSIS) quale garante, sostenendo i ricorrenti che le garanzie prestate non operassero nel caso in esame. La sentenza della Corte d'appello (pagina 4) affermava che (OMISSIS) aveva rivolto la propria domanda monitoria nei confronti sia della promittente venditrice (OMISSIS) s.r.l., sia del garante (OMISSIS), per ottenerne la condanna solidale al risarcimento forfetariamente liquidato nei tre preliminari rimasti inadempiuti, espressamente richiamati nelle tre lettere costitutive di garanzia personale a carico dell' (OMISSIS) Non sussiste percio' la nullita' della sentenza, per violazione dell'articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c., non risultando omesse le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione di condanna di (OMISSIS). D'altro canto, la lamentata omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale inerente alla condanna solidale dell' (OMISSIS) neppure potrebbe dirsi rilevante ai fini della cassazione della sentenza, involgendo una questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (arg. da Cass. Sez. Unite, 02/02/2017, n. 2731). Il documento allegato prevedeva, invero, che l' (OMISSIS) prestasse garanzia per "tutte le obbligazioni della parte oggi promessa e domani definitiva venditrice" societa' (OMISSIS) s.r.l., come derivanti dalla scrittura privata stipulata in pari data. I criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi - tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole - prevalgono su quelli interpretativi-integrativi. Deve pertanto affermarsi che, al pari di quanto evidentemente ritenuto della Corte d'appello, una fideiussione, rilasciata in occasione di un preliminare di vendita immobiliare e prestata a garanzia di "tutte le obbligazioni" della parte promittente venditrice, correttamente puo' essere intesa come riferibile anche all'obbligo di restituzione, in caso di inadempimento, del doppio della caparra ricevuta. 6. In definitiva, va accolto il ricorso per la revocazione dell'ordinanza n. 27491 del 2019 della Corte di cassazione, va revocata l'ordinanza impugnata nella parte in cui la stessa dichiarava inammissibile il quarto motivo del ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano; va infine rigettato il quarto motivo del ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l. contro la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano. 7. Deve provvedersi al regolamento delle spese del giudizio di revocazione, comprensivo sia della fase rescindente che di quella rescissoria, ed autonomo rispetto a quello del giudizio in cui e' stata emessa la sentenza impugnata per revocazione (Cass. Sez. 2, 16/01/2019, n. 975; Cass. Sez. 2, 12/03/1969, n. 786). Le spese processuali del giudizio di revocazione possono essere compensate, in ragione delle esposte sopravvenienze procedimentali relative al quadro di riferimento della controversia. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, - da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per revocazione avverso l'ordinanza n. 27491 del 2019 della Corte di cassazione; revoca l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il quarto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano; rigetta il quarto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza n. 3465/2015 della Corte d'appello di Milano; compensa per intero tra le parti le spese sostenute nel giudizio di revocazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MICCOLI Grazia - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 09/05/2022 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE RICCARDI, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 maggio 2022, la Corte d'Appello di Genova ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale (OMISSIS) era stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. I fatti oggetto dell'imputazione sono stati contestati all'imputato quale amministratore di fatto della societa' Bmimmobiliare srl, dicliiarata fallita in data 7 novembre 2013, per aver distratto denaro attraverso l'emissione di assegni e bonifici bancari, che non hanno trovato riscontro nella contabilita' aziendale, canoni di locazione di immobili, nonche' una caparra confirmatoria di un preliminare di vendita di un immobile di proprieta' della fallita. 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nei motivi qui di seguito sintetizzati a norma dell'articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo e' denunziata violazione della legge processuale e vizi motivazionali in riferimento all'istanza di legittimo impedimento presentata dall'imputato per motivi di salute. La Corte territoriale ha rigettato l'istanza ritenendo non sussistente un impedimento assoluto, non suffragando pero' tale decisione con un accertamento medico di segno opposto alla documentazione presentata dalla difesa, evidenziante una condizione clinica dell'imputato che rendeva impossibile per lo stesso ogni movimento dalla sua abitazione. 2.2. Con il secondo motivo e' denunciata violazione di legge in riferimento alla qualifica di amministratore di fatto. La difesa lamenta la ricostruzione operata dalla Corte territoriale, che ravvisa elementi sintomatici di un non occasionale rapporto gestorio dell'imputato nelle dichiarazioni della teste (OMISSIS), sostenendo che il ruolo svolto dall'imputato e' riconducibile allo svolgimento di mere mansioni d'opera vincolate nell'an e non alla nozione di gestione che deve essere riferita ad un complesso di decisioni relative all'andamento dell'azienda: la teste (OMISSIS), era stata assunta dal (OMISSIS), a lui consegnava i canoni di locazione incassati, ma nulla ha riferito riguardo la determinazione degli stessi o qualunque altra attivita' gestoria svolta dall'imputato. 2.3 Con il terzo motivo di ricorso e' denunziata violazione di legge processuale in riferimento all'articolo 63 c.p.p.. Le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) -amministratore di diritto della societa' fallita, deceduto prima dell'istaurazione del processo- al curatore fallimentare, non possono essere utilizzate in tale procedimento, stante la mancata assunzione delle stesse in conformita' delle forme e garanzie difensive. In particolare, il (OMISSIS), avrebbe dovuto essere assunto a sommarie informazioni testimoniali da parte del curatore (pubblico ufficiale e deputato a riferire al Pubblico Ministero ex articolo 33 L. Fall.) con le forme e le garanzie difensive, la cui mancanza fa ricadere l'atto nella situazione dell'articolo 63 c.p.p., comma 2. Atteso che la sanzione prevista e qui tipizzata e' quella dell'inutilizzabilita' dell'atto, operandosi una diversa ricostruzione degli elementi probatori, il ricorrente evidenzia come la lettura del contesto processuale senza il verbale menzionato non consente logicamente di addivenire alla pacifica ricostruzione del ruolo di amministratore di fatto del (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Il primo motivo e' manifestamente infondato. In tema di impedimento dell'imputato, e' legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisito il certificato medico prodotto dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilita' per l'imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018, dep. 2019, Rv. 275285; Sez. 4, n. 7979 del 28/01/2014, Rv. 259287; Sez. 5, n. 3400 del 15/12/2004, dep. 2005, Sabino, Rv. 231410). Nel caso in esame, anche alla stregua del tenore del certificato prodotto, non emerge una impossibilita' assoluta a comparire dell'imputato, ma una mera "difficolta' a lasciare il domicilio", sicche' correttamente i giudici di merito hanno ritenuto superflua ogni ulteriore verifica. 3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione alla qualita' di amministratore di fatto, e' manifestamente infondato. In tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attivita' della societa', quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita', sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita', ove - come nella specie - sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Faruolo, Rv. 269101; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540; si veda anche Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Rv. 283850). D'altronde, e' incontroverso che, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui alla L. Fall., articoli 216 e 223 vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non gia' rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497). Come correttamente rilevato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la Corte territoriale con la sentenza impugnata ha confermato la sussistenza della qualifica di amministratore di fatto in capo al ricorrente valutando le attivita' dallo stesso svolte in modo continuativo (assunzione di personale, corresponsione della retribuzione ai collaboratori, interlocuzione con i fornitori, intrattenimento dei rapporti con le banche, riscossione dei canoni di locazione dei box, espletamento di attivita' a tutela della societa'), evidenziandone il carattere gestorio e la continuativita' dell'esercizio dei poteri. Peraltro, e' emerso che l'amministratore di diritto non ha mai espletato alcun potere di amministrazione, giacche' tutti i dipendenti (tra cui la segretaria) e gli acquirenti dei box hanno avuto contatti esclusivamente con il (OMISSIS). A fronte delle argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche della sentenza, le doglianze del ricorrente non si confrontano con l'impianto motivazionale e sollecitano una non consentita rivalutazione delle risultanze processuali. 4. Con l'ultima doglianza si contesta la violazione dell'articolo 63 c.p.p., comma 2, e la conseguente inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese al curatore da (OMISSIS), amministratore di diritto della societa' fallita. Il motivo e' nuovo, perche' non risulta dedotto in appello. Esso, peraltro, e' del tutto generico e manifestamente infondato, essendo consolidato il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' l'incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416). Ne consegue che, nell'ipotesi in cui - come nella specie- con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilita' di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita' per aspecificita', l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011). Nella sentenza in esame la Corte territoriale ha chiarito che l'apporto dichiarativo del Canali non e' stato fondamentale ai fini dell'affermazione di responsabilita' del ricorrente, in quanto la stessa e' stata fondata sulle dichiarazioni rese da altre persone informate sui fatti (in particolare la collaboratrice (OMISSIS)), sui rilievi effettuati dal curatore fallimentare, sui documenti acquisiti e sugli accertamenti contabili svolti dalla Guardia di Finanza. Inoltre, il motivo e' manifestamente infondato, in quanto le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all'articolo 63 c.p.p., comma 2, che prevede l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese all'autorita' giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il curatore non rientra tra dette categorie di soggetti e la sua attivita' non e' riconducibile alla previsione di cui all'articolo 220 disp. att. c.p.p. che concerne le attivita' ispettive e di vigilanza (Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018, Castelletto, Rv. 272664). 5. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro t mila in favore della Cassa delle Ammende. motivazione semplificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETUZZELLIS Anna - Presidente Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l.; avverso il decreto emesso dal Tribunale di Napoli il 17/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. SILVESTRI Pietro; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. BIRITTERI Luigi, che ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile, perche' tardivo, l'incidente di esecuzione proposto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, articolo 1, commi 199 - 200, il 5.4.2022 con cui (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. hanno chiesto l'ammissione del credito della societa' indicata per l'importo di 600.000 Euro nei confronti dell'amministrazione giudiziaria relativa al procedimento di prevenzione riguardante (OMISSIS); il credito sarebbe derivante da un contratto preliminare di vendita di un immobile, poi oggetto di confisca definitiva di prevenzione disposta nei riguardi di (OMISSIS) e (OMISSIS), moglie e figlio, entrambi eredi di (OMISSIS), deceduto. Il contratto preliminare sarebbe intercorso tra la societa' promittente venditrice, (OMISSIS) s.r.l., e (OMISSIS) e (OMISSIS), promissari acquirenti, e il prezzo fissato sarebbe stato di 640.000 Euro; in subordine la societa' aveva richiesto di essere ammessa per la somma di 300.000 Euro, quella corrisposta a titolo di caparra confirmatoria. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e la societa' (OMISSIS) s.r.l. articolando quattro motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge, anche processuale. Il Tribunale - individuata la disciplina applicabile in quella prevista dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 - avrebbe erroneamente ritenuto l'istanza, presentata il 5.4.2022, tardiva perche' proposta dopo il termine perentorio di 180 giorni previsto dall'articolo 1, commi 199 e 205 della legge in questione, decorrente: a) quanto alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), dal 5.4.2021, non avendo questi proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello; b) quanto alla quota riferibile a (OMISSIS), dal dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021. Secondo la societa' ricorrente invece, quanto a (OMISSIS), il termine dovrebbe decorrere non gia' dal 5 ottobre 2021, cioe' dalla data della udienza celebrata in Corte di cassazione, ma da quella del deposito della sentenza della Corte, cioe' dal 17.11.2021; si sostiene, citando giurisprudenza, che per le procedure in Camera di consiglio il provvedimento giurisdizionale sarebbe perfezionato solo con il deposito del provvedimento. Ne', si aggiunge, l'immediata conoscenza del dispositivo sarebbe garantita - come ritenuto dal Tribunale - attraverso la possibilita' di accesso al sito della Corte di cassazione, atteso che detto principio potrebbe al piu' valere per le parti del processo definito davanti alla Corte ma non anche, come nel caso di specie, per i terzi. Il dispositivo, si aggiunge, sarebbe solo un atto interno ma non coinciderebbe con la sentenza; diversamente, si dovrebbe ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 e 205, in relazione agli articoli 3, 24, 117 Cost. e articolo 6 Cedu per la parte in cui non collegano la definitivita' della pronuncia al momento del deposito della motivazione della sentenza resa nell'ambito di un procedimento camerale trattato ai sensi dell'articolo 611 c.p.p.. Si chiede anche la rimessione della questione alle Sezioni unite della Corte. Quanto a (OMISSIS), si evidenza che il ricorso per cassazione non fu proposto per la morte dell'interessato, cui era subentrato l'unica erede cioe' (OMISSIS), che invece aveva proposto ricorso per cassazione; quindi, si argomenta, anche per quella quota avrebbe dovuto considerarsi la pendenza del ricorso per cassazione e dunque si sarebbe dovuto fare riferimento alla data del deposito della Corte. Si aggiunge che la societa' (OMISSIS) s.r.l. non aveva chiesto "una domanda di rivendica della proprieta'", ossia un'azione finalizzata alla acquisizione definitiva della cosa, ma un'azione contrattuale volta ad ottenere la restituzione della caparra e il risarcimento del danno ex articolo 1385 c.c.; si tratterebbe di una obbligazione solidale della quale risponderebbe anche solo uno dei contraenti e dunque anche solo (OMISSIS). Anche per questa ragione l'istanza sarebbe stata ammissibile. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riguardo al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 58. L'assunto e' che il Decreto Legislativo in questione ammetterebbe comunque la presentazione di istanze tardive, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutivita' dello stato passivo, previa dimostrazione della ragione dl ritardo e della sua non imputabilita'. Nel caso di specie non sarebbe stata nota nemmeno l'esistenza di un decreto di esecutivita' dello stato passivo e, dunque, non sarebbe possibile individuare il termine per la presentazione della domanda. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 57 ovvero della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206. Ove pure si volesse ritenere, conformemente all'assunto del Tribunale, che la societa', quale terzo creditore, avesse conoscenza della esistenza del procedimento di prevenzione patrimoniale, allora l'ente avrebbe dovuto ricevere avviso di cui all'articolo 57 cit. con la fissazione del termine perentorio non superiore a 60 giorni per la presentazione della istanza di ammissione al passivo. L'avviso sarebbe stato omesso. 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 52 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, e s.s.. Sarebbe errato l'assunto del Tribunale secondo cui nella specie il credito non sarebbe sorto precedentemente al sequestro. Si rappresenta che, se si dovesse ragionare con il Tribunale, si dovrebbe sollevare una ulteriore questione di legittimita' costituzionale in relazione all'articolo 158 e L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 198, della per contrasto con l'articolo 3 Cost. nella misura in dette norme riconoscerebbero tutela solo ai crediti sorti prima del sequestro (si cita Cort. Cost. n. 94 del 2015 e Corte Cost. n. 26 del 2019). 3. E' stata presentata una memoria difensiva nell'interesse di ricorrenti con cui sono ripresi e ulteriormente argomentati le questioni poste a fondamento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili 2. Quanto al primo motivo e alla quota del bene riferibile a (OMISSIS), non e' in contestazione che questi, erede del soggetto proposto, (OMISSIS), non propose ricorso per cassazione avvero il decreto della Corte di appello confermativo della confisca dell'immobile. Dunque, nei riguardi di (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), la confisca della quota del bene divenne definitiva con il decorso del termine per proporre impugnazione avverso il decreto della Corte, cioe' il 5 aprile 2021. Del tutto generica e' peraltro l'affermazione secondo cui a (OMISSIS) sarebbe succeduta come unica erede (OMISSIS), sicche' il ricorso di questa in cassazione avrebbe ad oggetto anche la quota parte del bene riferibile a (OMISSIS). Ne deriva che la domanda di ammissione del credito depositata dalla societa' (OMISSIS) s.r.l. il 5 aprile 2022 e' stata correttamente ritenuta tardiva dal Tribunale, perche' proposta oltre il termine di centottanta giorni previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 199 - 205, cit.. 3. Quanto alla quota parte del bene riconducibile a (OMISSIS), la Corte di cassazione ha gia' condivisibilmente chiarito che in tema di confisca di prevenzione, il termine di 180 giorni per la proposizione della domanda di ammissione del credito, previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, commi 199 e 205, decorre, in caso di sentenza della Corte, per effetto della quale sia divenuto definitivo il decreto di confisca, dalla pronunzia del dispositivo all'esito dell'udienza camerale e non dal deposito della motivazione di tale sentenza (Sez. 6, n. 33677 del 16/10/2020, Island Refinancing s.r.l., Rv. 279952). Nell'ambito di una articolata motivazione la Corte ha testualmente spiegato che: - il dies a quo del termine di decorrenza e' fissato dal legislatore - attraverso il combinato disposto di cui alla L. 24 dicembre 2012, n. 228, commi 199 e 205 - nel "momento in cui la confisca diviene definitiva": vi si stabilisce, infatti, che per i beni di cui al comma 194, confiscati in data successiva all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 199 - ossia quello di centottanta giorni entro cui i titolari dei crediti di cui al comma 198 devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ex articolo 58, comma 2, Decreto Legislativo cit. al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca - decorre dal momento in cui la confisca diviene definitiva; - analogo termine di decorrenza viene altresi' ribadito dal legislatore nel successivo comma 206, ove si stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata, entro dieci giorni dall'entrata in vigore della legge, ovvero "dal momento in cui la confisca diviene definitiva", effettua nei confronti dei creditori di cui al comma 198 (a mezzo posta elettronica certificata ove possibile e, in ogni caso, mediante apposito avviso inserito nel proprio sito internet) le diverse comunicazioni ivi espressamente previste (ossia: " a) che possono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito ai sensi dei commi 199 e 205; b) la data di scadenza del termine entro cui devono essere presentate le domande di cui alla lettera a); c) ogni utile informazione per agevolare la presentazione della domanda "); - muovendo dalla norma generale dettata in tema di impugnazioni dall'articolo 10, comma 3, Decreto Legislativo cit., occorre considerare che la Corte di cassazione "provvede, in Camera di consiglio, entro trenta giorni dal ricorso" e che, in deroga alla regola generale della mancanza di effetto sospensivo delle impugnazioni prevista nel terzo inciso della disposizione or ora richiamata, l'articolo 27, comma 2, Decreto Legislativo cit. stabilisce che "i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitivita' delle relative pronunce"; - per cristallizzare sul piano temporale la definitivita' delle pronunce di merito emesse in tema di confisca il legislatore fa riferimento, dunque, al momento in cui la Corte Suprema "provvede" con una decisione assunta all'esito del rito camerale previsto dall'articolo 611 c.p.p.; - le sentenze della Corte di legittimita', indipendentemente dalla tipologia del modulo procedimentale entro cui si inserisce il correlativo percorso decisorio, sono per legge immediatamente esecutive indipendentemente dalla notifica o dalla comunicazione all'interessato e che l'estratto della decisione costituente titolo esecutivo viene formato e trasmesso all'ufficio di merito in base al dispositivo riportato dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, adempimento normalmente anteriore al deposito del provvedimento in Cancelleria ai sensi dell'articolo 128 c.p.p.; - le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257; Sez. U, n. 11 del 25/03/1998, Manno, Rv. 210607) hanno affermato, con orientamento costante, la scindibilita' del momento deliberativo della decisione rispetto a quello, eventualmente successivo, del deposito del provvedimento camerale completo di motivazione; dette pronunzie hanno, altresi', riconosciuto la piena autonomia del dispositivo, che costituisce una realta' a se' stante, diversa sia dalla decisione che dalla motivazione, potendo dispiegarsi, mediante il suo deposito in Cancelleria e le immediate comunicazioni di rito anche prima che venga redatta la motivazione, il duplice effetto di rendere certo agli interessati che la decisione e' intervenuta e che e' intervenuta con un determinato, irreversibile contenuto e di rendere possibili i provvedimenti occorrenti; - si e' posto altresi' in rilievo che il dispositivo rappresenta un nucleo che costituisce il contenuto e l'oggetto della manifestazione tipizzata del potere autoritativo, tale da richiedere (a completamento) una motivazione che, ancorche' successiva al decisum, non vale a spostare il momento deliberativo dal tempo in cui esso risulta collocato per l'avvenuto esercizio della potestas iudicandi; - come affermato in una successiva decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 14451 del 27/03/2003, Previti, Rv. 223633), tale quadro di principi assume una portata generale, investendo la possibilita' e l'ammissibilita', quanto al provvedimento decisorio adottato in Camera di consiglio, della scissione temporale tra l'autonomo momento deliberativo che si evidenzia nel dispositivo, che puo' essere depositato immediatamente in Cancelleria e comunicato agli interessati, ed il successivo deposito del provvedimento completo di motivazione che conclude il processo formativo della decisione; - a tale quadro di principii si conforma l'attivita' della Corte Suprema di Cassazione, in quanto caratterizzata dall'immediato deposito in Cancelleria del solo dispositivo attestato dal provvedimento sottoscritto dal Presidente del Collegio sul ruolo di udienza, sicche', qualora dalla decisione debba conseguire - come nel caso qui in esame l'esecuzione del provvedimento impugnato, possa trasmettersene l'estratto "senza ritardo" (ex articolo 15 reg. esec. c.p.p., comma 2 e articolo 28 reg. esec. c.p.p.) al competente ufficio presso il giudice di merito. In tale quadro di riferimento, il Supremo Consesso di questa Corte (Sez. U, n. 39608 del 22/02/2018, Business Partner Italia s.p.a., Rv. 273660) ha affermato il principio secondo cui i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all'esito dei procedimenti per il quali non si applica la disciplina del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, devono presentare la domanda di ammissione del loro credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca nel termine di decadenza previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 199, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto le comunicazioni di cui all'articolo 1, comma 206, della stessa legge, in quanto il termine di decadenza decorre indipendentemente dalle predette comunicazioni. L'applicazione di detto termine e', comunque, subordinata all'effettiva conoscenza, da parte del creditore, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca ed e', in ogni caso, fatta salva la possibilita' per il creditore di essere restituito nel termine stabilito a pena di decadenza, se prova di non averlo potuto osservare per causa a lui non imputabile. Sulla base di tale ragionamento giuridico la Corte di cassazione ha altresi' ritenuto manifestamente infondata la prospettata questione di legittimita' costituzionale, avendo questa Corte gia' osservato, al riguardo, che il decorso del termine di 180 giorni per la proposizione dell'istanza di ammissione del credito, nelle forme indicate dal legislatore, e' conforme a principi di ragionevolezza, tutela del diritto di difesa e certezza dei rapporti giuridici, rientrando nell'ambito della sua discrezionale sfera d'intervento (Sez. 6, n. 51060 del 19/07/2017, Unicredit s.p.a., Rv. 271374). Si e' evidenziato che nelle numerose occasioni in cui la Corte costituzionale e' stata chiamata a pronunciarsi sulla conformita' alla Costituzione di norme che hanno fissato termini di decadenza dall'esercizio di diritti o facolta', ha costantemente affermato che la facolta' del legislatore di fissare tali termini di decadenza incontra soltanto due limiti, e cioe' l'insussistenza di un interesse generale e la fissazione di termini cosi' ristretti da rendere impossibile od eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto (sent. n. 297 del 2008; ordinanze n. 197 del 2006, n. 213 del 2005 e n. 185 del 2009). Come detto, si e' aggiunto che, in considerazione delle ragioni per le quali deve ritenersi che il termine di decadenza previsto nei commi 199 e 205 decorra indipendentemente dalle comunicazioni di cui al successivo comma 206, la decorrenza di tale termine deve comunque essere ancorata all'effettiva conoscenza, da parte del terzo, del procedimento di prevenzione in cui e' stata disposta la confisca o del provvedimento definitivo di confisca. Proprio in forza di tale argomentazione il Supremo Consesso di questa Corte ha affermato che, nel caso in cui il terzo creditore non possa prospettare in sede di domanda di ammissione la mancata conoscenza del procedimento di prevenzione o dell'esistenza di un provvedimento definitivo di confisca, lo stesso potra' comunque accedere alla rimessione in termini, ai sensi dell'articolo 175 c.p.p., comma 1, se prova che, nonostante le informazioni in suo possesso, non ha potuto proporre domanda tempestiva per causa a lui non imputabile (nozione, questa, in cui la Corte non fa rientrare l'omessa o tardiva comunicazione di cui alla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 206 - perche' l'adempimento comunicativo che la disciplina transitoria pone in capo all'Agenzia nazionale si qualifica come mera pubblicita' notizia dettata da una disposizione di carattere organizzativo volta ad agevolare l'obbligo del creditore L. n. 228 del 2017, ex articolo 1, comma 199 -, facendovi di contro rientrare, eventualmente, l'ipotesi in cui, nonostante la conoscenza del procedimento, il terzo interessato non sia venuto a conoscenza dell'esito dello stesso e non abbia comunque conosciuto del provvedimento definitivo di confisca per ragione non imputabile a suo difetto di diligenza). Seguendo tale linea ricostruttiva, conclude la Corte, l'assolvimento dell'obbligo informativo in capo alla predetta Agenzia nazionale non diviene affatto una condizione intrinseca di operativita' del termine per la domanda di ammissione del credito, che continua, in linea di principio, a decorrere solo ed esclusivamente dal dies a quo stabilito dalla legge (nel caso in esame, come si e' visto, dalla definitivita' del provvedimento di confisca), salvo che risulti che il creditore non abbia avuto conoscenza del procedimento di prevenzione o del suo provvedimento conclusivo. In definitiva, cosi' ricostruito nelle sue linee portanti, il sistema congegnato dal legislatore consente, secondo la prospettiva ermeneutica delineata dalla Corte, di porre vieppiu' al riparo il quadro normativo dalle su esposte censure di costituzionalita', poiche' esso, per un verso, esclude la possibilita' di ingiustificati pregiudizi per il creditore in buona fede, danneggiato dall'omissione informativa, per altro verso permette "di prevenire altrettanto ingiustificati ed irragionevoli vantaggi che potrebbero scaturire da un automatismo applicativo di segno opposto: quello che vorrebbe il terzo creditore in incolpevole ignoranza per la sola circostanza che l'Agenzia non abbia adempiuto agli obblighi informativi imposti dal richiamato articolo 1, comma 206; automatismo che, sebbene ridondante a favore del creditore, risulterebbe - in forza delle argomentazioni che precedono - a sua volta di discutibile ragionevolezza.". 4. Sula base di tale quadro di riferimento, il Tribunale ha indicato le molteplici ragioni da cui si e' fatta discendere la prova che la societa' ricorrente fosse chiaramente a conoscenza del procedimento di prevenzione patrimoniale (cfr., pag. 12 del provvedimento impugnato). Sul punto il ricorso e' del tutto silente. Ne consegue che anche in relazione alla quota parte del bene di (OMISSIS), il termine per la proposizione della domanda di ammissione del credito decorreva dalla pronunzia del dispositivo della sentenza n. 41834 della Quinta sezione penale della Corte di cassazione, e cioe' dal 5 ottobre 2021; dunque la domanda, depositata il 5 aprile 2022, fu tardivamente proposta, oltre i cento ottanta giorni previsti dalla legge. 5. Sono inammissibili il secondo e il terzo motivo, che possono essere valutati congiuntamente. Si tratta di motivi il cui assunto costitutivo e' dato dalla prospettazione o di facolta' che la societa' ricorrente avrebbe potuto esercitare - istanze tardive - ovvero di vizi del procedimento in tema di ammissione del credito. Si tratta di doglianze che, da una parte, non sono state dedotte davanti al Tribunale, e, dall'altra, che al piu' possono rilevare per una richiesta di remissione in termini. 6. Il quarto motivo e' assorbito da quanto esposto in relazione al primo. 7. Alla dichiarazione d'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila Euro ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. VILLONI Orlando - rel. Consigliere Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere Dott. DI NICOLA T. Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), n. (OMISSIS); avverso il decreto n. 15/22 del Tribunale di Salerno del 19/09/2022; letti gli atti, il ricorso e il decreto impugnato; udita la relazione del consigliere Dr. Villoni Orlando; letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Serrao d'Aquino Pasquale, che ha concluso per l'inammissibilita'; letta la memoria redatta per la (OMISSIS) dall'avv. (OMISSIS), con cui si chiede il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Salerno ha rigettato l'opposizione proposta nell'interesse di (OMISSIS) avverso il provvedimento - reso dal giudice delegato in data 7 luglio 2022 in sede di reclamo nell'ambito del procedimento di prevenzione a carico di (OMISSIS) e riferito al sequestro del capitale sociale e dell'intero patrimonio aziendale della (OMISSIS) Soc. Coop. - che la obbliga alla restituzione della somma percepita e trattenuta a titolo di caparra confirmatoria in conseguenza della risoluzione del contratto preliminare di compravendita del 30 novembre 2020 stipulato tra essa opponente e la predetta societa', risoluzione dichiarata dall'amministratore giudiziario previa autorizzazione giudiziale ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 56, comma 1. 2. Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione l'opponente, deducendo i motivi di seguito riassuntivamente esposti. 2.1. Violazione degli articoli 1325 e 1385 c.c. nonche' del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 52 e 56; violazione dell'affidamento legittimo ed incolpevole della contraente; violazione dell'articolo 2 Cost., degli articoli 1 e 2 c.c., articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, degli articoli 6 e 13 Conv. EDU, dell'articolo 117 Cost., comma 1, in rel. all'articolo 1 Prot. Addiz. Conv. EDU (protezione della proprieta') ed all'articolo 42 Cost.; violazione dell'articolo 2 Prot. n. 4 Conv. EDU e dell'articolo 1, comma 2, Prot. Addiz. Conv. EDU, secondo cui nessuna privazione della proprieta' puo' avvenire se non alle condizioni previste dalla legge. La ricorrente contesta la decisione del Tribunale che non avrebbe considerato la vera natura del patto di caparra e le modalita' del suo perfezionamento. Il Tribunale, si sostiene, ha immotivatamente negato la natura contrattuale della pattuizione, disconoscendone la natura accessoria nonche' il collegamento funzionale tra le cause dei due contratti (preliminare e caparra), dimenticando che la caparra confirmatoria ha natura reale, con il corollario della perfezione del patto al momento della consegna di una somma di denaro ovvero dell'uscita della somma stessa dalla disponibilita' del promissario acquirente per entrare in quella del venditore. Il Tribunale ha erroneamente negato che la consegna costituisca l'elemento il discriminante della differenza tra negozi reali e negozi consensuali, nella misura in cui ha ricondotto al profilo dell'esecuzione cio' che, invece, rileva sotto l'aspetto della conclusione del patto di caparra confirmatoria. In tal modo e' stato violato l'affidamento legittimo e chiaro della contraente, radicato nella certezza del diritto oltre che nella stabilita' dei rapporti giuridici e che e' tutelato dalle previsioni normative comunitarie, nella misura in cui queste ultime postulano che accessibilita' e prevedibilita' definiscono la base legale per l'imposizione di ogni misura ablatoria. 2.2. Il provvedimento impugnato viola, inoltre, plurime previsioni di legge riguardo al tema della funzione della caparra ed in particolare: il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 56, comma 1, perche' eludendo il limite dei contratti reali, ritiene la funzione della caparra esclusivamente risarcitoria in luogo di garanzia dell'adempimento del contratto principale; l'articolo 1385 c.c. perche' disconosce l'alternativita' della scelta allocata in capo al contraente fedele tra il "puo' recedere dal contratto" (ritenendo la caparra ed il "preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto") con il risarcimento del danno regolato dalle norme generali; poiche', inoltre, pretermette la funzione di garanzia nell'esecuzione del contratto data dalla possibilita' di incamerarla; perche' sconfessa la funzione di autotutela, essendo consentito il recesso, senza necessita' di adire il giudice; perche' nega la funzione di garanzia per il risarcimento dei danni eventualmente liquidati in via giudiziale. Infine, la nozione di proprieta' prevista dall'articolo 1 del Protocollo Addizionale n. 1 della Conv. EDU va interpretata estensivamente nel senso di ricomprendervi sia i "beni esistenti" che i "valori patrimoniali" tra cui rientrano, a determinate condizioni, anche i crediti sempre che il ricorrente possa sostenere di avere una speranza legittima di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprieta' (Corte EDU, 21 febbraio 2008, Maurice c. Francia; Corte EDU, 18 maggio 2010, Plalam Spa c. Italia; Corte EDU, 31 maggio 2011, Maggio e altro c. Italia; Corte EDU, 7 giugno 2011, Agrati e altri c. Italia), come per l'appunto occorso nel caso in esame. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere rigettato. 2. Il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 56, comma 1 del stabilisce che "Se al momento dell'esecuzione del sequestro un contratto relativo all'azienda sequestrata o stipulato dal proposto in relazione al bene in stato di sequestro deve essere in tutto o in parte ancora eseguito, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia gia' avvenuto il trasferimento del diritto. La dichiarazione dell'amministratore giudiziario deve essere resa nei termini e nelle forme di cui all'articolo 41, commi 1-bis e 1-ter, e, in ogni caso, entro sei mesi dall'immissione nel possesso". Come accennato in premessa, nel caso in esame, l'amministratore giudiziario dei beni sequestrati al proposto per la misura di prevenzione (OMISSIS), previa autorizzazione del giudice delegato, ha proceduto a dichiarare risolto il contratto di compravendita intercorso tra la Societa' Cooperativa (OMISSIS), la cui titolarita' e' al primo riconducibile, e l'odierna ricorrente (OMISSIS), cui ha ingiunto di restituire l'importo, pari a 70.000 Euro, stabilito a titolo di caparra confirmatoria, trattenuto anche dopo e nonostante l'intervenuta dichiarazione risolutoria. Cio' premesso, l'intero contenuto dell'impugnazione proposta avverso il decreto del Tribunale che ha avallato l'operato dell'amministratore giudiziario si basa sull'assunto che la caparra confirmatoria abbia natura reale, con il corollario dello avvenuto perfezionamento del patto al momento della consegna della somma di denaro ovvero dell'uscita di quest'ultima dalla disponibilita' del promissario acquirente (nello specifico: la (OMISSIS)) per entrare in quella del venditore (l'odierna ricorrente). Trattasi, tuttavia, di un assunto palesemente infondato. Come chiaramente si desume, anche dalla collocazione nel Capo V (Effetti dl contratto) del Titolo II del Codice civile, la caparra confirmatoria (articolo 1385) non costituisce un negozio ad effetti reali, bensi' una mera clausola accessoria al negozio principale. Il contratto a efficacia reale o contratto ad effetti reali e', infatti, il contratto che abbia per oggetto il trasferimento della proprieta' di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto e nulla di tutto questo avviene con la stipula espressa di una clausola di caparra confirmatoria ovvero per effetto della dazione di una somma di denaro o di una quantita' di cose fungibili a detto titolo, in funzione del rafforzamento della volonta' negoziale di una parte di voler adempiere al negozio. Non v'e' stato, pertanto, trasferimento di alcun diritto, ne' reale ne' di altra natura, in favore della promissaria venditrice e odierna ricorrente, sicche' non puo' darsi violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 56, comma 1. Risultano, pertanto, inconferenti tutte le allegazioni di pretesa violazione di parametri normativi nazionali, Eurounitari o convenzionali, che presuppongono la riconducibilita' dell'istituto ai contratti reali o al piu' generale ambito del diritto di proprieta', riconducibilita' che semplicemente non ha ragione di essere. Sotto altro ma subordinato profilo, alla base dell'impugnazione sta, inoltre, la mancata considerazione della circostanza che il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 56, comma 4 contempla una disciplina speciale rispetto alle pertinenti norme del Codice civile, stabilendo che "La risoluzione del contratto in forza di provvedimento del giudice delegato fa salvo il diritto al risarcimento del danno nei soli confronti del proposto e il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento secondo le disposizioni previste al capo II del presente titolo". La previsione fonda la sua ratio nella circostanza che la risoluzione del contratto interviene in questo caso iussu iudicis (in forza del provvedimento del giudice delegato) nell'ambito della procedura di prevenzione, laddove il ricorso evoca ripetutamente il tema dell'affidamento legittimo ed incolpevole della promissaria venditrice nella stipula del contratto definitivo di compravendita, dimenticando per l'appunto di considerare, come puntualmente ricordato dal Tribunale, che nella fattispecie non si verte in ipotesi di colpa di uno dei contraenti e che proprio per tale ragione trova applicazione la statuizione derogatoria sopra indicata. 3. Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. PILLA Egle - rel. Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/11/2021 della CORTE APPELLO di GENOVA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere EGLE PILLA; Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Udite le conclusioni del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 4 novembre 2021, la Corte di appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata in data 30 settembre 2020 dal Tribunale cittadino nei confronti di (OMISSIS), assolvendolo dal reato di cui al capo N), dichiarando non doversi procedere per il reato di cui al capo O) perche' estinto per intervenuta prescrizione e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, rideterminando la pena principale per i capi J,K,L,M in anni tre e mesi quattro di reclusione e le pene accessorie di cui all'articolo 216, u.c. legge fallimentare in anni tre di reclusione. La sentenza di primo grado aveva condannato il ricorrente alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione per condotte di bancarotta distrattiva e per una condotta di bancarotta semplice, cosi' diversamente qualificato il capo O), in concorso con (OMISSIS) (deceduto) nella sua qualita' di amministratore delegato della societa' " (OMISSIS) S.p.a." il cui fallimento era dichiarato con sentenza del Tribunale di Genova in data 3 ottobre 2013. 2. Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l'imputato, attraverso il difensore di fiducia, articolando i motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo motivo, e' stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo sotto il profilo della non prevedibilita' del fallimento. Evidenzia la difesa che in tutti gli episodi contestati al ricorrente la sentenza non ha considerato che al momento in cui lo stesso ebbe ad assumere la carica di amministratore delegato della societa', la situazione patrimoniale della stessa e le prospettive di vendita di beni immobili ultimati o da ultimare nonche' il potenziale valore economico di alcuni terreni posseduti rendevano poco probabile se non addirittura imprevedibile il rischio del fallimento. Se e' vero che nel reato di bancarotta fraudolenta e' configurabile il dolo sotto forma di dolo eventuale, sussistevano degli elementi di fatto che impedivano siffatta configurabilita'. 2.2. Con il secondo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione in relazione al ruolo svolto dal ricorrente in relazione alla condotta di cui al capo J), alle emergenze della consulenza tecnica (OMISSIS) e ai pregressi rapporti sussistenti tra il dominus della societa' fallita (OMISSIS) e il defunto (OMISSIS). La contestazione si riferisce alla distrazione dal patrimonio aziendale di un credito pari a 110.000,00 Euro, vantato nei confronti della societa' "(OMISSIS) S.a.s. in cui il socio accomandante era (OMISSIS) e il socio accomandatario il figlio (OMISSIS). Secondo il consulente tecnico della difesa (OMISSIS), (OMISSIS)3Pesce Pietro (OMISSIS)3Pesce Pietro (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)4Bianchi Sergio (OMISSIS)3Pietro Pesce (OMISSIS)1Tedone (OMISSIS)4Bianchi (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)4Bianchi Sergio (OMISSIS) (OMISSIS)3Pesce Pietro (OMISSIS) (OMISSIS)2Gasperini (OMISSIS)6Bianchi Matteo (OMISSIS) (OMISSIS), ha dichiarato che il pagamento avvenne in contanti e cio' e' riscontrato dai controlli effettuati dalla Guardia di Finanza che hanno rilevato che effettivamente (OMISSIS), nell'aprile maggio 2005 corrispose alla societa' l'importo di 132.500,00 Euro. 2.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge in relazione alla disciplina in tema di rimborso spese agli amministratori di societa' per azioni quanto alle spese di trasferta di cui al capo L). La contestazione si riferisce alla distrazione dal patrimonio aziendale di una somma pari 48.330,00 Euro per spese di trasferta mai sostenute. Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, conformemente alla sentenza di primo grado, ha considerato quale operazione distrattiva il rimborso per le trasferte in ragione di un calcolo riferito al numero dei giorni che sarebbe risultato superiore rispetto a quelli in cui il ricorrente ha effettivamente ricoperto la carica. Tale metodo di calcolo, a prescindere dalla ipotesi di un errore in buona fede, aggira la natura forfetaria del compenso rimborso, non riferendolo al momento in cui il rimborso fu pattuito. 2.5 Con il quinto motivo e' stato dedotto vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo sotto il profilo della non prevedibilita' del fallimento quanto al capo M). La contestazione e' riferita alla distrazione della somma di Euro 25.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria, a seguito della sottoscrizione di un atto preliminare di compravendita mai onorato in favore di (OMISSIS), consentendo il pagamento delle commissioni a favore della (OMISSIS) s.r.l. per la gestione del (OMISSIS). Lamenta il ricorrente che essendosi trattato di un escamotage per ottenere il pagamento di un debito dal (OMISSIS), appariva chiaro che con queste azioni il (OMISSIS) fosse convinto di potere evitare il fallimento della societa'. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1.II primo motivo e' generico in quanto evoca piu' volte elementi di fatto che avrebbero dovuto condurre ad escludere la sussistenza del dolo in capo al ricorrente, anche nella forma del dolo eventuale, ma non ne indica alcuno. Il motivo risulta altresi' manifestamente infondato non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte sullo specifico punto in base alla quale: "In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oggetto del dolo non e' la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilita' in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori" (Sez.5, n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367) Nel negare la necessita' di un collegamento causale tra le condotte distrattive e il dissesto della societa', i giudici d'appello hanno fatto corretta applicazione del consolidato principio stabilito da questa Corte per cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede l'esistenza del nesso causale menzionato, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza ed a prescindere dalla consistenza del passivo accertato. L'incidenza causale della condotta distrattiva sul fallimento e' infatti un aspetto irrilevante ai fini della configurabilita' reato di bancarotta fraudolenta, il cui evento e' costituito unicamente dalla lesione dell'interesse patrimoniale della massa creditoria gia' riconducibile alla condotta di sottrazione di beni a detrimento della garanzia patrimoniale o di documentazione in pregiudizio delle possibilita' di verifica contabile, e non anche dal dissesto della societa', estraneo alla struttura del reato in quanto mero substrato economico dell'insolvenza. Estraneo al reato e' di conseguenza anche il rapporto causale fra la condotta ed il dissesto; che peraltro, e' espressamente previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria. Si ritiene tradizionalmente che la rappresentazione del fallimento o del dissesto esuli dall'elemento soggettivo del reato, con la conseguente irrilevanza del fatto che nell'agente manchi la consapevolezza di poter fallire, anche perche', oltretutto, siffatta convinzione si risolverebbe in errore su legge extra-penale, richiamata da quella penale. E nel medesimo senso si e' precisato che per la sussistenza del dolo della bancarotta distrattiva non e' necessario che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, risultando dunque irrilevante che questo si sia o meno gia' manifestato al momento della consumazione della condotta illecita (Sez.5, n. 3229 del 14 dicembre 2012, Rossetto e altri, Rv. 253932). 2. Gli ulteriori motivi risultano manifestamente infondati non confrontandosi con le principali argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita', sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944). 2.1. Con riferimento al secondo motivo (capo i) la Corte territoriale ha con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, chiarito che (p.6): - dalle indagini svolte e in base agli esiti delle intercettazioni il credito che la societa' vantava verso il (OMISSIS) era un credito esigibile e non vi era motivo per rinunciarvi; il (OMISSIS), nella sua qualita' di debitore come dominus della Immobiliare Capo e come creditore della societa' fallita bene avrebbe potuto farvi fronte; che si trattasse di una operazione fraudolenta della quale il ricorrente era perfettamente a conoscenza lo si ricava dalla circostanza che il (OMISSIS) abbia imputato il credito non riscosso a sopravvenienze passive (conversazione intercettate del commercialista (OMISSIS)). 2.2. Con riferimento al terzo e al quarto motivo (capo K e capo L), il ricorrente reitera le medesime argomentazioni proposte in appello e disattese dalla sentenza impugnata. Ancora una volta la Corte territoriale ha con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, chiarito che (p.11): -Con riferimento all'attivita' distrattiva dell'appartamento (capo K), dalle risultanze dibattimentali e' emerso che la vendita, nonostante derivasse da accordi del 2005 si era perfezionata nel 2010 allorquando il (OMISSIS) era amministratore ed era a lui chiaro non solo lo stato di dissesto della societa', ma anche le manovre distrattive del (OMISSIS) e "(..)l'uso del nero del (OMISSIS) (..)". A cio' si aggiunga che il prezzo quand'anche fosse stato corrisposto, risultava estremamente agevolato. Le risultanze dell'attivita' di intercettazione ambientale del 15 aprile e del 3 giugno 2014 riscontrano perfettamente la condotta illecita. -con riferimento alle somme distratte per la indennita' di trasferta (capo L), si trattava di una retribuzione non prevista nello statuto, ne' deliberata in sede assembleare. Sul punto la sentenza richiama correttamente la giurisprudenza di questa Corte (sez.5, n. 42762 del 13/06/2017, Campelli, non mass.), secondo la quale risponde del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e non di quello di bancarotta preferenziale, l'amministratore che, in assenza di una delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la societa' in dissesto, la cui congruita' non sia fondata su dati ed elementi di confronto, che ne consentano un'adeguata e oggettiva valutazione; (Sez. 5, Sentenza n. 17792 del 23/02/2017 Rv. 269639). L'elemento della adeguatezza del compenso appare, invero, il criterio discretivo individuato dalla giurisprudenza di legittimita' per stabilire il confine tra le due fattispecie incriminatrici. 2.3. Con riferimento al quinto motivo (capo M), il ricorrente reitera le medesime argomentazioni proposte in appello e disattese dalla sentenza impugnata. Vanno in primo luogo richiamate le argomentazioni a sostegno della manifesta infondatezza del primo motivo in relazione alla prevedibilita' del dissesto. Inoltre, anche in tal caso la Corte territoriale ha con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, chiarito che (p.13): -In una conversazione ambientale del 2 maggio 2014 a fronte del timore del (OMISSIS) di incorrere in una imputazione di bancarotta preferenziale e di una bancarotta distrattiva in concorso con il (OMISSIS), riceve conferma in tal senso dal commercialista con cui dialoga. 3.Alla inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresi', a norma dell'articolo 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' del ricorso, nella misura di Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Giuseppe Ondei - Presidente dr. Massimo Meroni - Consigliere rel. dr. Serena Baccolini - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 776/2022 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIALE (...) 20135 MILANO presso lo studio dell'avv. PO.CH., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all'avv. CO.AL. ((...)) CORSO (...) 20135 MILANO; (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIALE (...), 32 20135 MILANO presso lo studio dell'avv. PO.CH., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all'avv. CO.AL. ((...)) CORSO VERCELLI, 11 20135 MILANO; APPELLANTI CONTRO (...), E LEG. RAPP.PRO TEMPORE DELL'IMPRESA INDIVIDUALE -(...)- (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) BOLLATE presso lo studio dell'avv. MA.SA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti. APPELLATO Oggetto: Mediazione CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) Decisione oggetto dell'impugnazione Sentenza n. 9568 del Tribunale di Milano pubblicata il 19.11.2021 2) Il fatto Vengono di seguito esposti i fatti rilevanti per la decisione che sono pacifici tra le parti (in quanto allegati da una parte e non contestati dalle altre) o che sono indubitabilmente provati dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado: 1) Il 13.4.2016 (...) s.r.l. ha conferito a (...), in esclusiva fino al 12.4.2017, l'incarico di mediazione per la vendita dell'immobile di sua proprietà sito in (...) via P. (...) 5 per il prezzo di Euro 210.000, pattuendo una provvigione pari al 2% del prezzo di vendita e una penale pari al 70% della provvigione pattuita per il caso di violazione dell'esclusiva (doc. 1 appellato). 2) Il 17.6.2016 (...) e (...) hanno sottoscritto presso il mediatore (...), a cui hanno corrisposto la somma di Euro 5.000 a titolo di caparra confirmatoria, una promessa di acquisto dell'immobile suddetto per il prezzo di Euro 200.000 oltre IVA, subordinato alla condizione della vendita di altro immobile di proprietà di (...) e all'ottenimento da parte dei promissari acquirenti di un finanziamento entro il 30.10.2016, obbligandosi a pagare al mediatore una provvigione di Euro 8.000; la proposta è stata accettata dal venditore (...) il 20.6.2016 e l'accettazione della proposta è stata portata a conoscenza dai promissari acquirenti il 30.6.2016 (doc. 2 appellato). 3) Il 26.9.2016 (...) e (...) hanno comunicato a (...) la mancata vendita dell'immobile di (...) e, per conseguenza, l'impossibilità di accedere al finanziamento e quindi hanno revocato la proposta d'acquisto e chiesto la restituzione della caparra confirmatoria corrisposta (doc. 3 appellato). 4) Il 14.10.2016 (...) ha restituito a (...) la caparra di Euro 5.000, da questa in precedenza corrisposta (doc. 4 appellato). 5) Con atto pubblico del 21.12.2016 (...) ha venduto il proprio immobile sito in (...) per il prezzo di Euro 80.000 (doc. 2 appellante). 6) Con atto pubblico del 31.3.2017 (...) e (...) hanno acquistato da (...) l'immobile di cui al punto 1), sito in G. via P. (...) 5, per il prezzo di Euro 215.000 (compresa IVA al 4%), dichiarando nell'atto di compravendita di aver corrisposto la somma di Euro 6.920 a titolo di provvigione al mediatore (...) s.a.s., mentre il venditore (...) ha dichiarato di non essersi avvalso di mediatore (doc. 6 appellante). 7) Il 11.4.2017 (...) ha emesso fattura, asseritamente pagatale, nei confronti di (...) a titolo di penale per violazione dell'accordo di esclusiva per l'importo di Euro 3.940 (doc. 7 appellata). 8) Con assegno del 11.4.2017 (...) e (...) hanno pagato al nuovo mediatore (...) la somma di Euro 6.920 a titolo di provvigione (doc. 5 appellante). 3) Lo svolgimento del processo di primo grado. Con atto di citazione, ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano (...) e (...) allegando che i convenuti: . dopo che il contratto preliminare dagli stessi concluso il 30.6.2016 con (...) s.r.l., con la mediazione di (...) (come da proposta d'acquisto del 17.6.2016), avente ad oggetto l'acquisto di un immobile in (...) per il prezzo di Euro 200.000 aveva perso efficacia per il mancato avverarsi delle condizioni sospensive a cui era sottoposto (cioè il mancato ottenimento da parte di (...) e (...) entro il 30.10.2016 di un finanziamento e la mancata vendita entro lo stessa data da parte loro del proprio immobile sito in (...)), . avevano concluso il contratto di acquisto del medesimo immobile sito in (...) in data 31.3.2017 per il prezzo di Euro 215.000, pertanto ha chiesto il pagamento della provvigione pari a Euro 8.000 (importo pattuito nell'all. A della proposta d'acquisto del 17.6.2016 conclusa dagli acquirenti presso (...)). I convenuti, regolarmente costituitisi in giudizio, hanno chiesto il rigetto delle domande attoree. Il Tribunale, senza svolgere alcuna attività istruttoria, ha pronunciato la sentenza, oggetto della presente impugnazione. 4) La decisione del Tribunale di Milano Il Tribunale di Milano ha così deciso: "Condanna (...) e (...) a pagare a favore di (...) l'importo di Euro 6000,00 più iva più interessi sul capitale ex art. 1284, 4 comma cc, nonché a pagare le spese di lite che liquida in Euro 3800,00 oltre iva cpa e spese generali al 15% con distrazione a favore del procuratore antistatario." A sostegno della propria decisione il Tribunale ha esposto i motivi di seguito integralmente riportati per la parte che interessa il presente giudizio. "La peculiarità della vicenda negoziale per cui è causa (conferimento di mandato per la vendita e riconoscimento di provvigione), risiede, non tanto nella natura sospensiva o risolutiva delle condizioni (con conseguente applicazione dell'art. 1757 c.c. in relazione alle conseguenze sul diritto alla provvigione a seconda della natura della condizione) ma nel fatto che l'affare si sia concluso tra le medesime parti negoziali individuate tramite la mediazione della società attrice. Il termine per l'avveramento della condizione incide sul diritto delle parti soc. (...) e (...)/(...) di non concludere la vendita in caso di avveramento della condizione oltre il termine, ma se entrambe le parti decidono di concludere l'affare, anche se decorso il termine entro cui la condizione avrebbe dovuto verificarsi, il tema decisivo si sposta sull'attività posta in essere dalla (...) per favorire la vendita e concludere l'affare sebbene tale conclusione sia avvenuta successivamente allo scadere del mandato. In questo senso si richiama la Cassazione n. 23842/2008: In tema di mediazione, ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, non rileva che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico conferitogli, purché il mediatore abbia messo in relazione i contraenti con un'attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare. Il fatto che la vendita sia stata conclusa al prezzo di Euro 215.000,00 non convince circa l'interruzione del nesso causale con l'attività posta in essere dal mediatore, e questo tenuto conto del mandato conferito per la vendita al prezzo indicato di Euro 210.000,00 dunque con uno "scarto" di 5000,00 Euro che incide del 2,38% (percentuale così determinata: 100 (5000/2100000) sul prezzo indicato sull'accordo di mediazione. Il diritto al compenso va individuato nel 3% pattuito sul prezzo di Euro 200.000,00 più iva, pertanto in Euro 6000,00 più iva". 5) Le difese delle parti nel giudizio di appello A) Nell'appello e nella comparsa conclusionale (...) e (...) hanno chiesto la riforma dell'impugnata sentenza del Tribunale di Milano per i motivi di seguito esposti. 1) Il contratto, per la cui conclusione ha svolto attività di mediazione (...), non si è concluso, a causa del mancato tempestivo avveramento delle condizioni sospensive previste, mentre il contratto effettivamente concluso dagli appellanti con il venditore si è concluso non in forza della mediazione di (...), ma esclusivamente in forza dell'attività di mediazione di altro mediatore; pertanto, all'appellata non compete alcuna provvigione. 2) Tenuto conto del fatto che, per il contratto concluso, il venditore (...) ha pagato la provvigione di Euro 3.940 al mediatore (...) (al quale (...) aveva conferito l'incarico di vendere l'immobile, in esclusiva fino al 12.4.2017), mentre gli appellanti hanno corrisposto al secondo mediatore la provvigione di Euro 5.672,13 oltre IVA, posto che ai sensi dell'art. 1758 c.c. i due mediatori, che hanno contribuito alla conclusione dell'affare (qualora si ritenesse che questo è quello che si è in concreto verificato), hanno diritto a dividersi l'unica provvigione dovuta dalle parti sulla base dell'attività da ciascuno svolta, l'importo provvigionale pagato da (...) a (...), pari al 41% della provvigione complessiva, è sufficiente a remunerare l'attività da questa svolta. B) Nella comparsa di risposta e nella comparsa conclusionale (...) ha chiesto il rigetto dell'appello per i motivi esposti nella sentenza impugnata nonché per i seguenti ulteriori motivi. Con riguardo al primo motivo d'appello. In ogni caso il contratto preliminare, pur sottoposto a condizione non avveratasi, si era comunque concluso e ciò è sufficiente per il sorgere del diritto alla provvigione (diritto che non era stato sottoposto alla condizione dell'avverarsi della condizione prevista per la sua efficacia). Visti i tempi e la differenza di solo Euro 5.000 nel prezzo di acquisto, vi è la prova che gli appellanti, con comportamento contrario alla buona fede, hanno deliberatamente ritardato la vendita del proprio immobile a data successiva al 30.10.2016 così da determinare l'inefficacia del contratto preliminare del 30.6.2016, stipulato con (...) grazie alla mediazione di (...), e pretendere di non corrispondere la provvigione al mediatore. Con riguardo al secondo motivo d'appello. La somma pagata da (...) a (...) non costituisce provvigione ma penale ex art. 10 dell'incarico conferito da (...) a (...) il 15.4.2016, per violazione dell'esclusiva, e comunque il secondo mediatore non ha in alcun modo contribuito alla conclusione dell'affare. 6) La decisione della Corte d'Appello sui punti controversi La Corte d'appello ritiene di riformare l'impugnata sentenza del Tribunale di Milano. Ai sensi dell'art. 1755 c.c. al mediatore compete la provvigione a carico di entrambe le parti contraenti tutte le volte in cui l'affare tra le parti è stato concluso "per effetto del suo intervento". Nella fattispecie in esame la Corte ritiene che: . in primo luogo, deve escludersi la mala fede degli appellanti e cioè che gli stessi, come sostenuto dall'appellato, abbiano deliberatamente ritardato la conclusione del contratto di vendita dell'appartamento di proprietà di (...) allo scopo di non fare avverare tempestivamente la condizione apposta alla loro promessa di acquisto del 17.6. 2016 e così far decadere l'obbligo a loro carico del pagamento della provvigione a (...); tale tesi è infondata; infatti, qualora si fosse conclusa la compravendita dell'immobile di (...) alle condizioni di cui alla proposta di acquisto del 17.6.2016, gli appellanti avrebbero pagato per l'acquisto dell'immobile il prezzo di Euro 208.000 (vale dire Euro 200.000, pattuiti nella proposta come corrispettivo, oltre Euro 8.000 per IVA al 4%) e per la provvigione spettante a (...) la somma di Euro 9.760 (vale a dire Euro 8.000, pattuiti nell'all. A alla proposta, oltre Euro 1.760 per IVA al 22%) e quindi complessivamente la somma di Euro 217.760; con la compravendita effettivamente avvenuta il 31.3.2017 con l'intervento del nuovo mediatore, gli appellanti hanno pagato la somma complessiva di Euro 221.920 (di cui Euro 215.000 per la compravendita dell'immobile e Euro 6.920 per la mediazione), quindi una somma maggiore rispetto a quella che avrebbero pagato se la condizione apposta alla proposta del 17.6.2016 si fosse tempestivamente e questa è un'evidente prova della buona fede degli appellanti; . in secondo luogo, l'affare, per il quale (...) aveva svolto l'attività di mediazione, cioè il contratto di compravendita, avente ad oggetto l'immobile sito in (...) via P. (...) 7, si è effettivamente concluso tra le parti, peraltro, appena cinque mesi dopo la cessazione del rapporto intercorso tra (...) e (...) e (...); . in terzo luogo, il fatto che l'affare si sia effettivamente concluso per l'intervento di altro mediatore non esclude di per sé il diritto alla provvigione per il primo mediatore, qualora l'attività di quest'ultimo sia stata l'antecedente indispensabile per la conclusione del contratto, anche se non abbia riguardato tutte le fasi della trattativa che hanno condotto alla suddetta conclusione; . in quarto luogo, tenuto anche conto del fatto che (...), in virtù del contratto concluso con (...), fino al 7.4.2016 (quindi fino a data successiva a quella in cui la compravendita tra le parti si è conclusa) era incaricato in esclusiva a proporre la vendita dell'immobile in questione e quindi era l'unico soggetto legittimato a intavolare trattative con i potenziali acquirenti, non vi è dubbio che il contratto definitivo si sia concluso, proprio anche in quanto non più di cinque mesi prima, gli appellanti erano potuti entrare in trattative con il venditore e quindi visitare l'immobile e conoscere il prezzo e le condizioni di vendita grazie all'intervento del mediatore (...); . in quinto luogo la compravendita, come già detto, si è conclusa alle condizioni sostanziali già pattuite tra le parti in forza dell'intervento di (...). In conclusione, la Corte ritiene che risulti accertato che la compravendita del 31.3.2017, avente ad oggetto l'immobile sito in (...) via P. (...), si sia conclusa tra gli acquirenti (...) e (...) e la venditrice (...) s.r.l. anche grazie all'intervento del mediatore (...), al quale quindi spetta la provvigione. Nella fattispecie in esame, però, il contratto in questione, pacificamente, è stato concluso grazie anche all'intervento definitivo del nuovo mediatore (...) s.a.s., al quale gli acquirenti hanno regolarmente corrisposto la provvigione, intervenuto successivamente alla cessazione del rapporto intercorso tra gli appellanti e (...); pertanto, ai sensi dell'art. 1758 c.c., la provvigione per la mediazione posta a carico degli acquirenti (essendo, invece del tutto irrilevante la provvigione a carico del venditore, peraltro, neppure corrisposta nella fattispecie in esame, dato che la somma pagata da (...) a (...) costituiva la penale dovuta per la violazione da parte sua dell'obbligo di esclusiva) deve essere suddivisa tra tutti i mediatori intervenuti in quota corrispondente all'attività svolta da ciascuno di loro. La Corte, tenuto conto che l'affare risulta concluso per l'attività preponderante svolta dal secondo mediatore grazie alla quale il contratto è giunto all'effettiva conclusione, ritiene equo determinare la quota spettante a (...) nella misura di 1/4 dell'ammontare complessivo della provvigione, quantificata nel 3% del prezzo di vendita, secondo gli usi della provincia di Milano, posto che la determinazione della provvigione in Euro 8.000, pattuita tra le parti con l'all. A della proposta d'acquisto ha perso efficacia nel momento in cui tale proposta si è risolta. In conclusione, (...) ha diritto ad una provvigione dell'importo di Euro 1.612,50 oltre IVA, cioè 1/4 di Euro 6.450, provvigione intera commisurata al 3% del prezzo della compravendita di Euro 215.000, senza interessi (come eccepito dall'appellante), atteso che nessuna domanda in tal senso è stata proposta in primo grado dall'appellato. Regolamento delle spese di lite In considerazione della soccombenza solo parziale (atteso che a fronte della domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 8.000, la Corte ritiene di riconoscere dovuta la minor somma di Euro 1.612,50) gli appellanti sono obbligati a rifondere 1/4 delle spese di lite di entrambi i giudizi sostenute dall'appellato, che sono liquidate secondo i parametri minimi (attesa la ridotta complessità della causa e il suo valore assai prossimo al limite minimo dello scaglione) dello scaglione da Euro 5.200 a Euro 26.000, con esclusione per il presente giudizio d'appello della fase istruttoria - trattazione, che in tale giudizio non si è tenuta. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, in riforma dell'impugnata sentenza n. 9568/2021 del Tribunale di Milano, così dispone: 1) Condanna (...) e (...) a pagare, in solido tra loro, a titolo di provvigione a (...) di (...) la somma di Euro 1.612,50 oltre IVA all'emissione della fattura. 2) Condanna (...) e (...), in solido tra loro, a rifondere 1/4 delle spese di lite sostenute da (...) di (...) in entrambi i gradi di giudizio, che liquida nell'intero, per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 2.540 e, per il presente giudizio, in complessivi Euro 1.984, oltre spese generali del 15% e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio, e dichiara compensati tra le parti gli altri 3/4. Così deciso in Milano il 19 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA Sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 30/03/2022 della CORTE APPELLO di TRENTO; letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Rosaria Giordano; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, ANDREA VENEGONI, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore dei ricorrenti, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trento, riformando su ricorso del Pubblico Ministero la sentenza assolutoria di primo grado, dichiarava gli imputati colpevoli del reato ascritto agli stessi nel capo di imputazione. In particolare, i ricorrenti erano stati chiamati a rispondere del reato di bancarotta fraudolenta pre-fallimentare distrattiva atteso che, in conformita' alla prospettazione accusatoria, in concorso tra loro, in qualita' di amministratori di fatto della societa' (OMISSIS) s.r.l. - dichiarata fallita dal Tribunale di Trento in data (OMISSIS), avrebbero distratto la somma di Euro 1.829.500 attraverso una simulata compravendita immobiliare, nel luglio 2007, dalla societa' (OMISSIS) s.r.l., versando alla stessa una caparra confirmatoria di Euro 1.720.000 e un acconto di Euro 109.500. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Trento gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con unico atto a firma del comune difensore avv. (OMISSIS), articolando tre motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo (OMISSIS) e (OMISSIS) denunciano violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. in relazione agli articoli 603, comma 3-bis e 533, comma 1, c.p.p. in quanto la Corte di Appello ha proceduto alla reformatio in pejus della sentenza assolutoria omettendo di disporre la rinnovazione delle prove dichiarative con i testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' con l'imputato (OMISSIS), sebbene l'esito assolutorio, nel qualificare non distrattiva l'operazione oggetto dell'imputazione, si fosse basato, in via decisiva, sul contenuto delle relative dichiarazioni. 2.2. Mediante il secondo motivo, i ricorrenti assumono la violazione, da parte della sentenza impugnata, dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), poiche' la motivazione della stessa sarebbe mancante, manifestamente illogica e contraddittoria, anche in violazione dell'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), nell'analisi del compendio probatorio. In particolare, non sarebbe stata addotta, pur a fronte del ribaltamento di un esito assolutorio, una motivazione rafforzata ai fini dell'accertamento della penale responsabilita' degli imputati, anche alla luce dei principi espressi nella giurisprudenza costituzionale in ordine alla portata del principio di non colpevolezza sancito dall'articolo 27 Cost. 2.3. (OMISSIS) e (OMISSIS), deducono, inoltre, violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., ritenendo illegittima la decisione impugnata in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto fondato, in violazione dell'articolo 62-bis c.p., sulla sola sussistenza a carico degli stessi di precedenti specifici. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso e' fondato, con valenza assorbente rispetto agli altri. Occorre considerare infatti che nel giudizio di primo grado, attribuendo peculiare rilevanza alle dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il Tribunale di Trento aveva assolto gli odierni ricorrenti ritenendo di non poter considerare distrattiva l'operazione immobiliare posta in essere, nel luglio 2007, tra le societa' (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., facendo le stesse entrambi capo, in concreto, al gruppo (OMISSIS), poiche', stante la solvibilita' della seconda all'epoca dei fatti e l'ingente valore del compendio compravenduto, l'acquirente ne avrebbe comunque tratto vantaggi. L'assoluzione degli imputati in primo grado si e' dunque fondata in maniera decisiva sulla ricostruzione della natura e della finalita' dell'operazione contestata come non distrattiva ritraibile dalle dichiarazioni dei predetti testi. Di cio' si trae conferma, peraltro, anche dalla lettura dei motivi di appello del Procuratore Generale, che vertevano soprattutto sulla contraddittorieta' di dette prove dichiarative rispetto ad altri elementi istruttori. La stessa sentenza impugnata, pur affermando (âEuroËœirrilevanza per la decisione delle richiamate prove dichiarative assumendo di poter decidere diversamente in forza di altri elementi istruttori, a questi non fa specifico riferimento, limitandosi, pur senza richiamarle, di fatto a confutare le valutazioni delle dichiarazioni dei testi esaminati nel giudizio di primo grado per pervenire alla conclusione che "non puo' escludersi la natura distrattiva dell'operazione", ritenuta dalla Corte territoriale sufficiente ai fini della condanna degli imputati. Vi e' dunque che il ribaltamento dell'esito assolutorio del giudizio di primo grado non e' dipeso, se non in seconda battuta, dalla differente ricostruzione in jure da parte delle sentenze di merito circa la portata della dichiarazione di fallimento quale elemento costitutivo ovvero condizione di procedibilita' rispetto al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bensi', piuttosto, dalla oggettiva qualificazione in termini distrattivi dell'operazione compiuta dalla sentenza di secondo grado in forza di una svalutazione dell'apporto delle dichiarazioni dei testi quanto alle finalita' della stessa ed ai vantaggi in termini compensativi, nella prospettiva delle operazioni infra-gruppo, per la societa' (OMISSIS) s.r.l.. Appare peraltro assolutamente apodittico il passaggio della sentenza impugnata che qualifica come "neutre" le dichiarazioni di testi sui quali pure si erano fondate in maniera preponderante le valutazioni del giudice di primo grado, al punto che l'appello del Procuratore Generale, come gia' evidenziato, aveva speso significative argomentazioni per pervenire ad una differente interpretazione delle stesse. Ne' e' dato comprendere, in effetti, perche' non e' poi specificato in alcun modo dalla decisione impugnata quale sia il compendio probatorio di carattere documentale che avrebbe condotto al ribaltamento della sentenza di primo grado, senza necessita' di tener conto delle prove dichiarative, che pertanto non vi sarebbe stato obbligo di rinnovare ex articolo 603 c.p.p., comma 3-bis. Nel delineato contesto, la Corte di Appello di Trento ha disatteso i principi affermati da tempo nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice nel senso che, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex articolo 603, bis c.p.p., comma 3, per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto e' frutto della percezione soggettiva del dichiarante, sicche' il giudice del merito e' inevitabilmente chiamato a "depurare" il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (ex ceteris, Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019 Rv. 276987 01; Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020 Rv. 279146 - 01). In effetti, le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, cio' che e' essenziale e' che il giudice d'appello, ove ritenga di dare una lettura diversa della suddetta prova, abbia l'obbligo - e non piu' la mera facolta' - di rinnovare l'istruttoria perche' solo tale metodo e' stato ritenuto idoneo a dissipare i dubbi e le incertezze insorti sulla colpevolezza dell'imputato: libero, poi, il giudice di appello, una volta rinnovata l'istruttoria, anche di andare in contrario avviso del giudice di primo grado e, quindi, di condannare l'imputato, fornendo una motivazione rafforzata. Piu' in particolare, le Sezioni Unite hanno affermato che la prova, agli effetti di cui all'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, fermo che puo' riguardare sia dichiarazioni percettive che valutative: a) deve essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni), perche' questo e' l'unico mezzo che garantisce ed attua i principi di oralita' ed immediatezza: di conseguenza, in essa non possono essere ricompresi quei mezzi di prova che si limitano a veicolare l'informazione nel processo attraverso scritti o altri documenti (articolo 234 c.p.p.); b) deve essere decisiva, per tale intendendosi, "in linea con quanto gia' ritenuto da Sez. U Dasgupta, quella che, sulla base della sentenza di primo grado, ha determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunta dal complesso del materiale probatorio, si rivela potenzialmente idonea a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa "proscioglimento condanna". E' da considerarsi parimenti "decisiva" la prova dichiarativa che, ritenuta di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, sia, nella prospettiva dell'appellante, rilevante, da sola o insieme con altri elementi, ai fini dell'esito di condanna; c) di essa il giudice d'appello deve dare una diversa valutazione (Cass., Sez. Un., n. 14426/2019, Rv. 275112). Nella fattispecie per cui e' processo ricorrevano, a differenza di quanto ritenuto dal giudice d'appello, le predette condizioni che rendono obbligatoria la rinnovazione delle prove dichiarative nel giudizio di gravame, in quanto e' stato in concreto ribaltato l'esito assolutorio mediante una diversa valutazione di prove assunte con dichiarazioni orali nel corso del dibattimento in primo grado e che hanno avuto valenza decisiva per la pronuncia assolutoria ai fini della qualificazione come non distrattiva dell'operazione posta in essere dagli imputati. La sentenza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Bolzano per nuovo giudizio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Bolzano.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO Sezione quarta civile nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente dr. Maria Rosa Busacca - Consigliere avv. Paola Ambruosi - Giudice Ausiliario rel ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1248/2020 promossa in grado d'appello DA IMMOBILIARE (...) S.R.L. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20010 BAREGGIO presso lo studio dell'avv. CO.PA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliati in VIA (...) 20123 MILANO presso lo studio dell'avv. DA.NI., che li rappresenta e difende come da delega in atti APPELLATI avente ad oggetto: Vendita di cose immobili SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Immobiliare (...) conveniva in giudizio i coniugi (...) e (...) esponendo che i convenuti, con contratto preliminare del 18/11/2013, si erano impegnati ad acquistare la porzione immobiliare, in costruzione, sita ni M., via di P. A. AT-07 (via M.), posto al piano primo, meglio identificato come appartamento "G" corpo "A", oltre a cantina n. 1 e box n. 1, al prezzo di Euro 270.000,00 oltre IVA. I promissari acquirenti avevano versato, a titolo di caparra confirmatoria, la somma di Euro 30.000,00 e le parti avevano fissato il termine per il rogito definitivo entro e non oltre il 30/12/2015. Il promissario venditore immetteva i promissari acquirenti nella disponibilità dell'immobile sin dal 25/03/2016 e nelle more il complesso residenziale veniva ultimato. Assume ancora l'attore che il contratto definitivo non fu concluso perché i promittenti acquirenti, pur sollecitati con comunicazione del 19/9/2016 - ove li diffidava ex art. 1454 c.c. a fissare la data del rogito - non intesero procedere alla stipula dell'atto definitivo lamentando l'esistenza di vizi e difetti dell'immobile promesso in vendita nonché evidenti differenze rispetto al progetto iniziale. I convenuti, pertanto, nel settembre del 2016 introducevano innanzi al tribunale di Milano accertamento tecnico preventivo la cui consulenza venne depositata l'8/04/2017 i cui risultati, pur rilevando alcuni vizi, non individuavano responsabilità in capo alla società attrice. Pertanto Immobiliare (...) chiedeva al Tribunale che fosse pronunciata la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento dei promittenti acquirenti e di essere autorizzata a ritenere la caparra versata. Chiedeva altresì fossero accertate le opere extra capitolato realizzate su richiesta dei convenuti e la loro condanna al pagamento di Euro 9.630,60. Infine chiedeva di dichiarare l'intervenuta occupazione abusiva dell'immobile con condanna dei convenuti al pagamento dell'indennità di occupazione dal marzo 2016 al 31 luglio 2017 quantificata in Euro 800,00 mensili oltre ad Euro 40.000,00 a titolo di risarcimento del deprezzamento del valore dell'immobile. Si costituivano i coniugi (...) e (...) contestando la domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, di accertare la rilevanza dell'inadempimento della società attrice e di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare con condanna al pagamento del doppio della caparra ricevuta oltre alla somma di Euro 14.345,29 a titolo di refusione spese CTU e CTP. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 1918/2020 resa il 28/02/2020 ha preliminarmente ritenuto che "Ancor prima di valutare ed accertare l'esistenza degli allegati reciproci inadempimenti nonché la loro gravità ai fini dell'attribuzione o meno della responsabilità contrattuale non può che procedersi alla presa d'atto che la voluntas contrahentium non esiste più; anzi è conclamata la contro-volontà (o nolontà) al mantenimento degli effetti del contratto e delle relative obbligazioni". Ciò premesso il giudice di prime cure ha poi analizzato le rispettive domande di risoluzione "al fine di appurare l'esistenza e la gravità dell'inadempimento reciprocamente allegato", ritenendo - quanto al ritenuto grave inadempimento dei promissari acquirenti - che dalla documentazione prodotta (verbale di assemblea, pec dei convenuti, perizia fonometrica di parte del maggio 2016) si evidenziava che l'exceptio inadimpleti sollevata dai convenuti era più che legittima. Inoltre il tribunale evidenziava che l'art.7 del contratto preliminare statuiva che "sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento" e che la richiesta di indicazione della data del rogito, avanzata con diffida dall'attrice, non costituiva una prestazione contrattuale in capo ai convenuti. Quanto poi al ritenuto grave inadempimento della società attrice il tribunale, sulla scorta della CTU espletata, ne ha escluso la sussistenza. Ha difatti chiarito che "L'interesse creditorio dei convenuti è stato "incrinato" in quanto i risultati dell'(...)P. (in modo assai puntiglioso) restituiscono uno stato dei luoghi: - assai migliorato a far dato dal giungo 2016 dopo l'esecuzione di una serie di opere edilizie sulle tubazioni nonché di insonorizzazione all'interno della centrale termica; -con una persistente componente di rumorosità emendabile con degli interventi emendativi di natura tecnica ed economica contenuta rispetto al valore e all'entità del contratto preliminare peraltro su un corpo di fabbrica di natura comune). L'eccezione di inadempimento o l'azione ex art. 2932 c.c. con annessa riduzione del prezzo potevano essere astrattamente legittime e coltivate. Non la risoluzione del contratto poiché il limitato godimento del bene (peraltro emendabile) non poteva essere sussunto nel conetto di inidoneità assoluta all'uso e, quindi, lesivo in modo definitivo dell'interesse contrattuale". In assenza di responsabilità ex art. 1455 c.c., il tribunale ha rigettato le reciproche domande condannatorie procedendo solo alla regolamentazione dei rapporti restitutori discendenti dalla risoluzione del preliminare, condannando l'attrice alla restituzione della caparra confirmatoria ricevuta. Respingendo tutte le altre domande e compensando parzialmente le spese. Con appello ritualmente notificato Immobiliare (...) ha impugnato la sentenza chiedendone la riforma integrale riproponendo le stesse domande svolte in primo grado sulla base dei seguenti motivi: 1. Contraddittorietà della sentenza in punto di risoluzione per mutuo dissenso; 2. Omessa o illogica motivazione in punto di valutazione dell'inadempimento di parte convenuta all'esito dell' ATP espletato; 3. Vizio di ultra petizione della sentenza in virtù del riconoscimento dei lavori svolti da parte dei convenuti; 4. Contraddittorietà della motivazione in punto di mancato riconoscimento dell'indennità di occupazione e del deprezzamento dell'immobile 5. Contraddittorietà della motivazione in punto di parziale compensazione spese di lite. Si costituivano i coniugi (...) e (...) chiedendo il rigetto dell'appello e proponendo appello incidentale chiedendo di accertare la rilevanza dell'inadempimento dell'appellante con condanna al doppio della caparra confirmatoria versata pari ad Euro 60.000,00 sulla base dei seguenti motivi: 1. Omessa statuizione inadempimento attrice; 2. Erronea motivazione e valutazione risultanze probatorie; 3. Errata valutazione sulla risoluzione per mutuo dissenso. All'udienza del 13/10/2022 le parti precisavano le conclusioni e la Corte tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE I primi due motivi dell'appello principale possono essere esaminati congiuntamente ai motivi di appello incidentale in quanto riguardano, pur sotto due angolazioni diverse e contrarie, da un canto l'errata valutazione da parte del Giudice di primo grado dei rispettivi inadempimenti nonché dei documenti e delle prove e dall'altro la statuizione circa la risoluzione per mutuo dissenso. I motivi sono infondati Il Tribunale, in esito a una precisa analisi delle vicende del rapporto, ha riconosciuto che l'Immobiliare (...) aveva diffidato, ai sensi dell'art. 1454 c.c., in data 28/09/2016 gli odierni appellati a fissare la data per il rogito definitivo. In rapporto a ciò la il tribunale, ha correttamente riconosciuto fondato il rifiuto dei promissari acquirenti di stipulare il rogito definitivo se non prima che alcuni vizi lamentati precedentemente alla diffida stessa - sia nel verbale di assemblea del condominio e della perizia fonometrica dell'arch. (...) del maggio 2016, sia nella perizia fonometrica del giugno 2016 dell'Ing. (...) - e relativi alle vibrazioni e alle immissioni rumorose derivanti dalla centrale termica sovrastante l'immobile degli appellati, venissero risarciti dal promissario venditore. Alla luce dunque della documentazione versata in atti, precedente all'invio della diffida ad adempiere del settembre 2016, appare del tutto legittima e fondata l'exceptio inadimpleti svolta dagli appellati. Ad ogni modo la Corte osserva che l'inadempimento al contratto preliminare non può che essere quello di diniego o sottrazione all'obbligo di stipula del definitivo. Pertanto, tale inadempimento presuppone necessariamente un serio invito alla stipula del definitivo per lo meno quando, come nel caso di specie, la scelta del notaio non sia posta a carico di una sola delle parti ma di entrambe. Nella fattispecie l'art. 7 del contratto preliminare statuiva che "Il rogito verrà stipulato entro e non oltre la data del 30/12/2015 (fatto salvo accordo tra le parti per il differimento di detto termine e quanto previsto dal successivo art. 9) che costituisce termine perentorio ed essenziale per le parti, avanti a notaio scelto in accordo dalle parti; sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento". Nella missiva del 19/09/2016 (dunque già ben oltre il termine ritenuto essenziale del 30/12/2015) parte promittente venditrice, invitava i promittenti acquirenti a comunicare il nome del notaio di fiducia e la data del rogito, contrariamente però a quanto previsto dall'art. 7 del preliminare che appunto precisava che sarà cura della parte promittente venditrice comunicare alla parte promissaria acquirente, con preavviso di 30 giorni, luogo, data ed orario del rogito definitivo di trasferimento" Orbene tali atti (scelta del notaio e comunicazione del giorno della stipula) non sono stati compiuti da parte appellante. Pertanto anche parte promittente venditrice ha mostrato disinteresse alla stipula del definitivo: nell'asserire la necessità di ottenere dai promittenti acquirenti la data del rogito non ha mostrato un serio intento alla stipula del definitivo, proponendosi di designare essa stessa il professionista e fissando essa stessa la data. Nondimeno però il tribunale, proseguendo l'analisi, è passato a valutare il reclamato inadempimento grave della società appellante ponendo l'accento sugli interventi tecnici svolti dall'Immobiliare S.-prima dell'introduzione del giudizio - che, come anche evidenziato dal CTU, "hanno portato ad una notevole riduzione del rumore lamentato". La Corte poi osserva che il consulente tecnico ha svolto l'analisi relativa all'eventuale inquinamento acustico, tenendo in considerazione il criterio della normale tollerabilità, sotto il profilo giurisprudenziale e amministrativo, ritenendo che la rumorosità della centrale termica, all'interno dell'appartamento "è nettamente al di sotto dei limite dalla normale tollerabilità ..." ex art. 6 ter L. n. 13 del 09 e che " rispetta il limite di 25 dBA prescritto dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997". La giurisprudenza sul punto ha chiarito che, il DPCM può essere preso come punto di riferimento per il rispetto delle regole dell'arte nella costruzione degli edifici. Si è detto, infatti, che il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, anche se non di immediata vigenza nei rapporti fra privati in favore degli acquirenti, può comunque essere considerato come criterio fattuale di riferimento per determinare lo stato dell'arte esigibile all'epoca di realizzazione del fabbricato al fine di verificare la sussistenza dei gravi difetti di insonorizzazione (Sez. 2, Ordinanza n. 7875 del 2021). In altri termini l'accertamento dell'eventuale responsabilità per un vizio inerente all'isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell'arte tra le quali il suddetto DPCM può essere preso come modello di riferimento (Sez. 2, Ordinanza n. 21922 del 2021 da ultimo Cassazione civile sez. II, 25/01/2022, n.2226). Nella fattispecie i valori rilevati negli appartamenti dal consulente tecnico appaiono conformi ai parametri del D.P.C.M. 5 dicembre 1997. L'eccedenza di rumorosità in base ai criteri giurisprudenziali relativi all'art. 844 c.c. è stata poi dal perito ritenuta di poco eccedente il limite della normale tollerabilità essendo l'eccedenza di immissioni rumorose superiore di un range da 0,1dB a 1,2dB. Sul punto la giurisprudenza ha affermato che il limite della normale tollerabilità deve ritenersi superato per quelle immissioni che comportino un incremento di rumorosità, che diviene apprezzabile e significativo ai fini dell'art. 844 c.c. allorquando superi di 3 dB il rumore di fondo, indipendentemente dalla intensità del rumore ambientale (Cass. Sez. 2, n. 17051 del 05/08/2011e Cass. Sez. 2 n. 28201 del 05/11/2018). Assume poi rilievo centrale quanto accertato dal CTU, ovvero l'agevole rimozione del vizio accertato che va valutato anche sotto il profilo del costo contenuto delle opere rimediali. Di conseguenza correttamente il tribunale non ha ritenuto l'inadempimento degli appellanti tale da giustificare la risoluzione del contratto. Alla luce delle suddette considerazioni, non può quindi ritersi grave nemmeno l'inadempimento dell'odierna appellante non essendo stata dimostrata l'inidoneità assoluta del bene ma al più una mera riduzione del godimento dello stesso che non equivale ad inidoneità abitativa. Quindi, come correttamente ritenuto dal primo giudice, legittimamente gli appellati hanno potuto proporre l'eccezione di inadempimento, ma mancando la dimostrazione dell'esistenza di difformità tali da rendere l'immobile privo delle sue caratteristiche essenziali, ne discende la valutazione di scarsa importanza dell'inadempimento. Alla luce di quanto sin qui esposto, la Corte osserva che quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all'altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale (Cass. n. 26097/2014; n. 19706/2020). Difatti la giurisprudenza è unanime nel ritenere che "Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell'altra, accerti l'inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453 c.c., comma 2, di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all'art. 1458 dello stesso codice" (Cass. n. 10389/2005; n. 6675/2018; da ultimo Cassazione civile sez. II, 09/07/2021, n.19569). Sulle somme richieste per opere extra e deprezzamento immobile. Sostiene parte appellante che la sentenza di primo grado sul punto sarebbe errata poiché non è fondata sull'assunto della mancata contestazione specifica, da parte dei convenuti, delle richieste ed asserzioni attoree, bensì su un esame delle risultanze istruttorie. Sostiene altresì che la mera mancata contestazione, in quanto tale e di per sé considerata, può avere automaticamente l'effetto di prova e che quindi il tribunale avrebbe errato a valutare la documentazione in atti e a rigettare la domanda sul punto. Il motivo è infondato. La valutazione condotta in maniera rigorosa dal tribunale ha rilevato: a) che nel contratto era espressamente previsto che il rapporto giuridico/economico con l'impresa esecutrice dei lavori avrebbe riguardato unicamente il promissario acquirente, non avendo la società appellante alcun coinvolgimento; b) le fatture prodotte a supporto della domanda di pagamento sono emesse da soggetto terzo estraneo al presente giudizio; c) l'appellante non ha fornito prova di aver pagato la somma richiesta e quindi di star esercitando una azione di regresso. La Corte di Cassazione in un'ordinanza del 22 maggio 2019, n. 13828 stabilisce: "Alla stregua del principio di non contestazione, richiamato dall'art. 115 c.p.c., perché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto. D'altro canto, la parte che invoca il cosiddetto principio di non contestazione dovrebbe dare dimostrazione di aver essa per prima ottemperato all'onere processuale, posto a suo carico, di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l'altra parte era tenuta a prendere posizione; ne discende che l'enunciazione delle prestazioni professionali dedotte a sostegno della domanda di pagamento del compenso, operata mediante rinvio alla documentazione allegata, esonera comunque il convenuto dall'onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l'onere di allegare il fatto costitutivo dell'avversa pretesa" (arg. da Cass. Sez. 3, 17/02/2016, n. 3023). La non contestazione scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della domanda, di talché essa non può comunque ravvisarsi ove, come nella specie, a fronte di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di opere extra, dette prestazioni in realtà attengono a terze parti estranee al processo (cfr. Cass. Sez. 3, 24/11/2010, n. 23816; Cass. Sez. 3, 19/08/2009, n. 18399; Cass. Sez. 3, 25/05/2007, n. 12231; Cass. Sez. L, 03/05/2007, n. 10182; Cass. Sez. 3, 14/03/2006, n. 5488). E' del resto altrettanto costante l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, "nel giudizio di cognizione avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali documentato da parcelle, allorché il cliente svolga una contestazione soltanto generica in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività che si assuma prestata, il giudice rimane comunque investito del potere-dovere di verificare il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697 c.c."(Cass. Sez. 2, 11/01/2016, n. 230; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14556; Cass. Sez. 2, 25/06/2003, n. 10150). Anche la domanda di risarcimento da deprezzamento dell'immobile non potrà trovare accoglimento in virtù dell'assenza di responsabilità contrattuale degli appellati. Sull'indennità di occupazione L'appellata si duole che il tribunale abbia erroneamente ritenuto che "la detenzione qualificata dell'immobile non può considerarsi ora per allora abusiva e indebita", rigettando la richiesta. La censura va accolta. Rileva la Corte che diversamente da quanto ritenuto con la sentenza impugnata, non c'era alcuna ragione che potesse sottrarre la fattispecie dalla regola secondo cui la risoluzione comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c.. In base a tale regola il promissario acquirente, il quale abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita, deve non solo restituirlo al promittente alienante, ma deve altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso (Cass. n. 6575/2017; da ultimo Cassazione civile sez. II, 30/11/2022, n.35280). Tali effetti si verificano sia in caso di risoluzione per inadempimento del promittente venditore (Cass. n. 4465/1997; n. 875/1995), sia nel caso di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente (Cass. n. 550/2002; n. 10632/1996). Gli effetti, in quanto conseguenti al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, si verificano indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento (Cass. 28381/2017). In merito al quantum, la Corte ritiene che possa considerarsi congrua la somma richiesta a titolo di indennità pari ad Euro 800,00 al mese in riferimento al valore locatizio medio e anche in base al notorio (considerata la zona, le caratteristiche dell'appartamento), tenuto conto che gli appellati non hanno formulato alcuna specifica contestazione sul punto. Tuttavia la Corte non può non tenere conto del fatto che l'appartamento di cui è causa aveva un vizio costituito da un regime di immissioni rumorose, non tanto grave da giustificare il grave inadempimento ma sicuramente tale da rendere meno appetibile il bene sul mercato. Pertanto si ritiene equo stabilire in Euro 600,00 al mese l'indennità di occupazione, per il periodo marzo 31/03/2016 - 31/07/2017 in cui gli appellati hanno occupato sine titulo l'immobile per una somma complessiva pari ad Euro 9.600,00 oltre interessi dalla domanda al saldo. Il mancato riscontro della rilevanza dei reciproci inadempimenti determina l'assorbimento dei motivi in punto di risarcimento. L'accoglimento del motivo sull'indennità di occupazione determina la parziale riforma della sentenza anche in tema di spese di lite che devono essere rideterminate. Sulle spese di lite Il Tribunale non ha accolto la domanda originariamente spiegata dalla Immobiliare (...), accogliendo solo in parte la domanda degli odierni appellati, procedendo poi alla compensazione delle spese di lite con motivazione esente da censure. E' orientamento pacifico che il giudice possa compensare, in tutto o in parte, le spese, pur non potendole porre per il residuo a carico della parte risultata comunque vittoriosa, sebbene in misura inferiore a quella stabilita in primo grado, posto che il principio della soccombenza va applicato tenendo conto dell'esito complessivo della lite (Cassazione civile sez. VI, 28/09/2015, n.19122). Sul punto da ultimo la suprema Corte ha poi precisato che l'accoglimento in misura ridotta di una domanda articolata in un unico capo se pure non può dar luogo a reciproca soccombenza, giustifica la compensazione totale o parziale (Cassazione civile sez. un., 31/10/2022, n.32061) Sicché del tutto legittimamente il giudice di primo grado accogliendo in misura ridotta la domanda degli appellati e rigettando in toto le richieste risarcitorie avanzata dalla Immobiliare (...), ha compensato parzialmente le spese di lite condannando l'odierna appellante, poiché integralmente soccombente, al pagamento del 50% delle spese di lite nei confronti degli appellati. In ossequio ai principi sin qui espressi in virtù del parziale accoglimento dell'appello e della parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte ritiene di procedere alla parziale compensazione, per il 70% delle spese di lite del I grado di giudizio, ponendo il residuo 30% in capo all'Immobiliare (...). Le spese di lite vanno compensate per il 70% anche per il presente grado ponendo il residuo 30% in capo a (...) e (...). Tanto ritenuto e considerato, la Corte, conclude per il parziale accoglimento dell'appello principale e per il rigetto dell'appello principale. Le spese sono liquidate come da dispositivo. Sussistendone i presupposti la Corte applica il doppio contributo in capo agli appellati. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Milano n. 1918/2020 pubblicata il 28/02/2020 così provvede: 1. Accoglie parzialmente l'appello; 2. Condanna (...) e (...) al pagamento in favore di Immobiliare (...) srl della somma di Euro 9.600,00 oltre interessi al saggio legale dalla data della domanda al saldo; 3. Condanna Immobiliare (...) srl al pagamento del 30% delle spese di lite del I grado in favore di (...) e (...) che liquida per l'intero nella somma di Euro 13.430,00 oltre al rimborso delle spese generali e oneri di legge, disponendo che il residuo 70% resti compensato tra le parti; 4. Condanna (...) e (...) al pagamento del 30% delle spese di lite del presente grado in favore di Immobiliare (...) srl che liquida per l'intero nella somma di Euro 9.991,00 e oltre rimborso delle spese generali e oneri di legge, disponendo che il residuo 70% resti compensato tra le parti; 5. Conferma nel resto la sentenza n. 1918/2020; 6. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellati dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012. Così deciso in Milano il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MESSINI D'AGO. P. - Presidente Dott. BORSELLINO M.D. - rel. Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato in (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza resa il 28 maggio 2021 dalla CORTE di APPELLO di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Piergiorgio Morosini che ha chiesto il rigetto dei ricorsi. Sentite le conclusioni dell'avv. (OMISSIS) per la parte civile costituita Comune di Serramazzoni, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e depositato conclusioni e nota spese; Sentiti l'avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) e di (OMISSIS); L'avvocato (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) che si riportano ai motivi del ricorso e ne chiedono l'accoglimento. L'avvocato (OMISSIS) e l'avv. (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), insistono nei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, parzialmente riformando la sentenza resa il 12 gennaio 2018 dal Tribunale di Modena, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati oggi ricorrenti in relazione a diversi reati loro rispettivamente ascritti perche' estinti per prescrizione e per l'effetto ha rideterminato il trattamento sanzionatorio; ha confermato la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS), al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile Comune di (OMISSIS), frazionando la somma complessiva gia' determinata dal giudice di primo grado. Il processo odierno scaturisce da una indagine effettuata tramite intercettazioni per reati in materia di sostanze stupefacenti, da cui emergevano elementi indicativi di condotte estorsive ed altri illeciti afferenti procedure amministrative ed aventi ad oggetto armi commessi dagli odierni ricorrenti. 2. (OMISSIS), e' stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli articoli 321, 319 e 352 c.p. (capo 4), dei reati di cui agli articoli 81, 56-423, articolo 614 u.c., artt.423, 56 e 629 c.p., (capo 10), dei reati di cui agli articoli 81, 110, 424, 56 e 629 c.p. (capo 11) e del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 110 c.p., articoli 2 e 7, (capo 12); ravvisata la contestata recidiva reiterata ex articolo 99/4 c.p., e la continuazione tra tutti i reati, individuato il reato piu' grave nella tentata estorsione commessa con uso di arma, descritta sub capo 10. 2.1 Con ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS) deduce vizi di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilita' e alla dosimetria della pena, e in particolare: 2.1.1 vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avanzata con i motivi nuovi depositati il 9 Marzo 2020 in relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e di (OMISSIS), raccolte direttamente dall'imputato mediante registrazione, il cui supporto veniva allegato. In particolare le dichiarazioni del coimputato (OMISSIS), risultano decisive in riferimento ai delitti contestati ai capi 11 e 12 che vedono (OMISSIS), imputato di tentata estorsione. Il ricorrente espone che il contenuto delle dette dichiarazioni attiene a pressioni esercitate dagli inquirenti, affinche' tali soggetti descrivessero fatti in pregiudizio del (OMISSIS). La corte di appello ha respinto la richiesta osservando che la circostanza dedotta attiene alla valutazione della prova e non gia' alla prova di fatti specifici rilevanti, ma questa affermazione e' censurata dal ricorrente il quale evidenzia la rilevanza decisiva di tali elementi ai fini della valutazione delle prove raccolte. Ad avviso del ricorrente si tratta di nuovi elementi di prova con la conseguenza che la censura puo' essere inquadrata nell'ipotesi di cui alla lettera D dell'articolo 606 c.p.p. o comunque come prova assolutamente necessaria ai fini del decidere. Inoltre era stato chiesto di disporre perizia grafologica sui biglietti minatori inviati a (OMISSIS) in riferimento alla tentata estorsione contestata al capo 10 della rubrica, ma i giudici della corte hanno escluso la rilevanza della richiesta sulla scorta del carattere neutro e meramente esplorativo dell'accertamento e della massima di esperienza secondo cui si evita di scrivere personalmente e con la propria grafia ordinaria un messaggio minaccioso. Deduce il ricorrente che la corte territoriale ha concentrato la propria motivazione sulla irrilevanza della perizia grafica, mentre attraverso l'accertamento grafologico invocato avrebbe potuto anche acquisire elementi di valutazione sulle condizioni psicologiche del soggetto che scrive. 2.1.2 Vizio di motivazione in relazione all'ipotesi di corruzione propria di cui al capo 4 poiche' la corte ha ritenuto che la prova del pactum sce/eris tra il sindaco e l'imputato (OMISSIS), ritenuto il gestore di fatto della societa' (OMISSIS) srl, possa desumersi da una serie di dati che non possono assurgere al rango di indizi. Inoltre la Corte ha ritenuto di poter desumere la responsabilita' da tale coacervo di indizi, senza valutare la rilevanza qualitativa di ciascuno di essi e valorizzando due singoli dati: la comune provenienza calabrese dei due soggetti e il legame di carattere professionale tra (OMISSIS) e l'ingegnere (OMISSIS). Il ritenuto vantaggio conseguito dal pubblico ufficiale, e cioe' lo sconto di 80.000 Euro per l'acquisto dell'appartamento, non appare idoneo a dimostrare l'integrazione della fattispecie corruttiva, mentre e' necessario provare che il compimento dell'atto contrario ai doveri di ufficio sia stato la causa della prestazione della utilita' e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale. I giudici inoltre hanno affermato che per celare il patto corruttivo il sindaco invece di versare la caparra di 80.000 Euro avrebbe acceso una fideiussione che, dovendo garantire il mutuo edilizio e il fido di conto corrente accesi da Unione Group srl per l'acquisto dell'immobile di (OMISSIS), vincolava il sindaco nel cercare di favorire la societa' nell'assunzione di appalti. Tale ricostruzione non rispondeva giudizio del ricorrente, alle regole della logica mentre pare piu' congrua e coerente la spiegazione offerta da un teste qualificato, qual e' il direttore di filiale della Banca Popolare di Verona, istituto di credito che presto' la fideiussione. 2.1.3 Vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilita' per l'imputato per i delitti di cui ai capi 10 e 11(gli incendi tentati e consumati, la violazione di domicilio e la tentata estorsione in danno di (OMISSIS) e la tentata estorsione in danno di (OMISSIS)). Secondo il ricorrente gli indizi esposti in sentenza non sono sufficienti poiche' l'indizio ha valore probatorio se il dato di fatto di cui si compone e' connotato dal requisito della certezza, mentre nel caso in esame si opera una doppia presunzione utilizzando come base del ragionamento induttivo un elemento affetto da incertezza; l'attribuzione all'imputato della responsabilita' in ordine alle vicende contestategli non costituisce un dato di fatto storicamente accertato, ma rappresenta il risultato di un ragionamento di tipo induttivo fondato su un elemento fattuale, oggetto a sua volta di prova indiretta, sulla scorta di una deduzione di natura logico induttiva, che non esclude possibili letture alternative. L'unico elemento certo e' il possibile movente ma da solo non puo' fungere da elemento rafforzativo della valenza probatoria degli altri dati. 2.1.4 Vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione al giudizio di responsabilita' di cui al capo 12 poiche' la prova si fonderebbe sul contenuto della conversazione intercettata il 16 novembre 2009, nel corso della quale si darebbe atto di una pistola prestata da (OMISSIS) allo zio, persona che viene identificata nell'odierno ricorrente, mentre dal tenore della conversazione si evince che tale identificazione non e' certa ne' possibile. 2.1.5 Mancanza di motivazione in ordine alla dosimetria della pena poiche' la corte si e' limitata a ritenere congrua la pena inflitta dal tribunale nonostante le specifiche censure formulate in ordine al trattamento sanzionatorio 2.2 Con ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) deduce: 2.2.1 violazione dell' articolo 271 c.p.p., e articolo 268 c.p.p., commi 1 e 3, poiche' il tribunale ha ritenuto che le intercettazioni sono state eseguite nel medesimo procedimento rimesso per competenza dinanzi al pubblico ministero di Modena e che non si verte pertanto in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, sicche' non verrebbero in rilievo i limiti previsti dall'articolo 270 c.p.p.; ha inoltre osservato che comunque i nuovi fatti di reato emersi nel corso delle indagini di droga erano soggetti ad arresto obbligatorio e consentivano pertanto l'acquisizione delle intercettazioni ai sensi dell'articolo 270 c.p.p.. Osserva il ricorrente che la corte ha erroneamente respinto l'eccezione di inutilizzabilita' delle intercettazioni assunte nel processo, osservando che alcuni dei fatti di reato ad arresto obbligatorio risultano provati esclusivamente dalle conversazioni registrate nel procedimento penale pendente dinanzi alla Dda di Perugia, sicche' la mancata acquisizione delle stesse determinerebbe il venir meno di fonti di prova essenziale; cosi' facendo il collegio di merito non si e' attenuto alle indicazioni precise fornite dalla giurisprudenza di legittimita' nella sentenza a Sezioni unite n. 51/2020, Cavallo, in quanto le ipotesi di reato emerse dalle intercettazioni erano la violazione di domicilio e il tentativo di incendio, che non prevedono l'arresto in flagranza. Inoltre l'invalidita' dei primi decreti autorizzativi ha determinato l'invalidita' derivata degli esiti successivi. 2.2.2 Violazione di legge e in particolare dell'articolo 521 c.p.p. poiche' la scelta del tribunale di ritenere contestata anche nei confronti di (OMISSIS) la corruzione e la turbativa d'asta relativa alla vicenda dello stadio oggetto del capo 3 di imputazione, pur in assenza di una formale contestazione della condotta al prevenuto, ha comportato una violazione del diritto di difesa e ha impedito allo stesso di apprestare le opportune strategie al fine di confutare le condotte oggetto del capo di imputazione, a lui non contestato formalmente. La imputazione di cui al capo 3 ha quale unico destinatario il sindaco (OMISSIS), e nella sua formulazione richiama episodi che nulla hanno a che vedere con la concessione del servizio di gestione e ristrutturazione dell'impianto sportivo. 2.2.3 Violazione di legge in particolare degli articoli 603 e 125 c.p.p., poiche' la difesa aveva chiesto la riapertura della istruttoria relativa all'escussione di alcuni testimoni, oltre ad una perizia grafologica tesa a dimostrare la non autenticita' della sottoscrizione dei biglietti minatori; la Corte rigettava le richieste sul rilievo che l'accertamento peritale era meramente esplorativo, a fronte di un dato esperienziale notorio inerentelha consueta alterazione della grafia degli scritti anonimi e minatori tramite accorgimenti che escludono la periziabilita' grafologica e a fronte della incertezza assoluta della individuazione della base di comparazione. Il ricorrente rileva che alcune pronunzie delle Sezioni unite di questa Corte di legittimita', pur ribadendo l'assenza di obbligo di riapertura dell'istruttoria, lasciano trasparire che e' comunque preferibile una rivalutazione del materiale istruttorio. 2.2.4 Violazione degli articoli 321 e 319 c.p., per mancanza di motivazione poiche' e' stata una operata una raffigurazione inesatta della struttura dei reati contestati ai capi 4 e 8 della rubrica in quanto, secondo la corte di merito, l'utilita' economica che (OMISSIS) avrebbe promesso al Sindaco (OMISSIS), al fine di indurlo a porre in essere le attivita' necessarie a recare vantaggio alla (OMISSIS), e' costituito dal preliminare di vendita e dal mancato pagamento di Euro 80.000 come caparra sulla vendita di un immobile in (OMISSIS). Osserva il ricorrente che il preliminare aveva per oggetto la promessa di vendita di un immobile che non era di proprieta' della (OMISSIS), e cioe' della societa' di cui l'imputato era ritenuto amministratore di fatto, ma in relazione al quale la societa' aveva soltanto acquisito un preliminare. Il preliminare stipulato con il Sindaco in questione prevedeva al momento della stipula il rilascio di una caparra confirmatoria di 80.000 Euro e il teste (OMISSIS) ha riferito che in sostituzione della stessa il sindaco rilascio' una fideiussione che garantiva il mutuo edilizio e il fido di conto corrente. Non va poi trascurato che il preliminare di vendita stipulato da (OMISSIS) e' rimasto inadempiuto sicche' la societa' non e' divenuta proprietaria dell'immobile oggetto del preliminare e non ha potuto cederlo al sindaco (OMISSIS). Deduce inoltre che al fine di ritenere provato il delitto di corruzione e' indispensabile dimostrare che l'atto compiuto dal pubblico ufficiale sia stato la causa della utilita' economica ricevuta. Al riguardo la corte e' incorsa in un travisamento della prova nel momento in cui riconosce come vantaggio economico a favore del sindaco quello che invece e' ricaduto sulla (OMISSIS)srl., attribuendo al garante un interesse paragonabile a quello diretto di un socio occulto. Occorre invece ribadire che il sindaco non ha ottenuto alcun vantaggio economico dall'operazione oggetto del preliminare del 12 Marzo 2008, non essendosi neppure realizzata la compravendita. 2.2.5 Violazione di legge e in particolare dell'articolo 353 c.p., poiche' e' stata ravvisata l'aggravante prevista dalla detta disposizione di legge in quanto il sindaco rivestiva posizione di controllo sostanziale sul regolare svolgimento delle gare e ha manovrato per condizionarne l'esito. Il sindaco al contrario, non operando nell'ambito delle funzioni connesse al suo ufficio, non puo' essere ritenuto soggetto proposto alle gare e tale circostanza aggravante non ricorre nel caso di specie. 2.2.6 Violazione degli articoli 56, 423, 614, 56-629 c.p., per mancanza di motivazione poiche' la (OMISSIS) avanzava una legittima pretesa restitutoria per 100.000 Euro nei confronti del (OMISSIS), ritenuto persona offesa della condotta estorsiva. 2.2.7 Violazione degli articoli 56, 629 codice penale per mancanza di motivazione poiche' non si ravvisano gli elementi costitutivi della condotta estorsiva, ma piuttosto quelli dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. 2.2.8 violazione di legge in relazione ai fatti contestati al capo 11 della imputazione poiche' la circostanza che la persona offesa versasse circa 20.000 Euro al mese al (OMISSIS) per avere protezione e' smentita dalle emergenze processuali. 2.2.9 violazione di legge in relazione ai reati in tema di armi per mancanza di motivazione poiche' il ricorrente ha riportato condanna anche per il capo 12 della imputazione sulla base della interpretazione di espressioni intercettate, da cui non e' possibile desumere chi sia il soggetto a cui il (OMISSIS) afferma di avere consegnato una pistola funzionante, che poi era stata danneggiata. Gli indizi su cui si basa la identificazione del (OMISSIS), come il soggetto indicato come "zio" non sono gravi precisi e concordanti. 2.3 Con nota trasmessa via PEC in data 5 gennaio 2023 il ricorrente personalmente ha inviato memoria a cui sono allegati dichiarazioni e accertamenti. 3. (OMISSIS), condannato per il delitto di estorsione aggravata dall'uso dell'arma contestato al capo 10 della rubrica, deduce: 3.1 vizio di motivazione e inosservanza delle norme di cui agli articoli 517 e 521 c.p.p., poiche' e' stata ritenuta sussistente una circostanza aggravante non contestata nel decreto che ha disposto il giudizio; la Corte ha respinto la relativa eccezione formulata dalla difesa con l'atto di appello osservando che la circostanza aggravante e' stata esplicitata in fatto e, di conseguenza, l'imputato ha avuto contezza degli elementi a suo carico. Il disposto dell'articolo 429 c.p.p., impone che la contestazione del fatto e delle circostanze aggravanti debba essere formulata in modo chiaro e preciso e nel capo 10 della rubrica non vi e' alcun riferimento normativo al disposto di cui all'articolo 629 c.p., comma 2. Il ricorrente osserva che lo stesso collegio non ha ritenuto sussistente l'aggravante delle piu' persone riunite in difetto di specifica contestazione. Inoltre lo stesso pubblico ministero ha ritenuto di escludere la circostanza aggravante dell'uso di armi nella determinazione del trattamento sanzionatorio, quantificando la pena richiesta in misura inferiore al minimo edittale previsto per la fattispecie aggravata. Il ricorrente, inoltre, osserva che la contestazione colloca il rinvenimento del foro di proiettile nel mese di novembre 2009, mentre la persona offesa ha riferito di essersene accorto nell'estate dell'anno 2009 e quindi in un lasso temporale ben diverso da quanto indicato nel capo d'imputazione, il che avrebbe giustificato ampiamente la richiesta al pubblico ministero di integrare l'imputazione, specificando il lasso temporale. 3.2 vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'utilizzo dell'arma e all'attribuzione di responsabilita' dell'episodio estorsivo contestato al capo 10 della imputazione, in quanto secondo la corte di merito la minaccia che ha integrato il reato estorsivo si e' realizzata attraverso l'esplosione di un colpo contro una vetrata mandata in frantumi. Sebbene la difesa avesse sottolineato l'assenza di elementi da cui desumere che gli imputati avessero posto in essere le condotte estorsive con l'utilizzo di un'arma, la corte non ha motivato il rigetto delle relative doglianze e si e' limitata a valorizzare genericamente gli elementi ricavati dalle intercettazioni ambientali e da quanto rinvenuto in esito a perquisizione; il ricorrente sottolinea che dal tenore delle conversazioni non emergono elementi per desumere che gli imputati abbiano esploso un colpo di arma da fuoco ai danni dell'abitazione del (OMISSIS), mentre e' possibile soltanto desumere la detenzione da parte del (OMISSIS), di una pistola calibro 9 per 21, detenzione cui e' estraneo il (OMISSIS). 3.3 violazione dell'articolo 270 c.p.p., e vizio di motivazione avendo la corte d'appello utilizzato i risultati delle intercettazioni telefoniche ambientali disposte nel diverso procedimento penale n. 6814/2010 iscritto presso la Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Perugia. L'articolo 270 c.p.p., prevede che per consentire l'utilizzazione delle risultanze investigative e conseguenti ad operazioni di intercettazione disposte in altri procedimenti occorre che tale acquisizione risulti indispensabile per l'accertamento di delitti connessi per il quale sia obbligatorio l'arresto in flagranza. Nel caso di specie l'utilizzabilita' e' preclusa per alcuni specifici elementi: - la mancanza di motivazione in ordine alla mancata acquisizione al fascicolo del pubblico ministero di copia autentica delle richieste di autorizzazione e dei decreti di intercettazione. Nel procedimento penale scritto a carico di (OMISSIS), la attestazione di conformita' risulta mancante ed il collegio di Bologna avrebbe dovuto escludere l'utilizzabilita' delle intercettazioni disposte dalla Procura della Repubblica di Perugia. La corte ha respinto la relativa eccezione, sostenendo che trattandosi di decreti trasmessi da ufficio ad ufficio risulterebbe implicita la attestazione di conformita' senza necessita' di ulteriore formalita'. Tale motivazione elude il disposto dell'articolo 45 disp. att. c.p.p., laddove prevede l'obbligo dell'ufficio di attestare la conformita' all'originalita' del provvedimento trasmesso. - l'insussistenza del requisito della indispensabilita' delle acquisizioni registrate in quanto la motivazione resa dal Tribunale di Modena e' generica ed errata: generica poiche' si limita a riportare il contenuto della norma ed errata poiche' neppure il pubblico ministero nella sua richiesta di trascrizione delle telefonate ha asserito che si trattava di elementi assolutamente indispensabili per il perfezionamento delle prove. Ed in effetti sussistono altri riscontri probatori idonei a ricostruire la dinamica degli eventi e il collegio di Bologna ha confermato la responsabilita' degli imputati in ordine alle contestazioni mosse ai capi 10 e 11 della rubrica non solo in forza delle intercettazioni telefoniche ma anche in forza di altre emergenze processuali. Nonostante il deposito di memorie difensive con cui venivano evidenziate le ragioni della opposizione all'acquisizione delle telefonate, il pm non ha indicato tale requisito dell'assoluta necessita', cosi' evidenziando la mancanza del presupposto della indispensabilita' per l'accertamento dei delitti contestati. Il ricorrente,pur richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'impiego delle intercettazioni puo' attenere anche all'esatta qualificazione del reato, alla determinazione della pena, ribadisce le ragioni della opposizione all'acquisizione delle dette intercettazioni, considerato peraltro che il pubblico ministero avrebbe potuto disporre una consulenza tecnica scientifica per comprovare l'eventuale presenza degli imputati sul luogo del delitto. - Mancata acquisizione dei supporti audio contenenti le registrazioni delle intercettazioni nel procedimento di Perugia e delle attivita' di indagine che avrebbero legittimato la richiesta del pubblico ministero. La difesa aveva sottolineato che non risultavano acquisiti al fascicolo i supporti audio contenenti le registrazioni delle intercettazioni disposte nel procedimento di Perugia. La corte ha dato atto della doglianza ma ha affermato che tutti i supporti audio erano contenuti in doppia copia nel fascicolo delle indagini. La difesa insiste nell'affermare che nel fascicolo delle indagini non vi erano i detti atti e cio' ha determinato una violazione del diritto di difesa, poiche' e' stato impedito ai prevenuti e ai difensori di valutare il materiale investigativo sul quale il pubblico ministero di Modena ha fondato buona parte delle attivita' di indagine. L'impossibilita' da parte degli imputati e dei difensori di apprendere il contenuto della attivita' di indagine richiamata dal pubblico ministero e dal gip negli atti relativi al diverso procedimento di Perugia costituisce un limite invalicabile alla utilizzazione dei risultati delle operazioni disposte in quella sede. A fronte delle deduzioni difensive il Tribunale di Modena ha sostenuto che la produzione dei relativi atti sarebbe stato onere della parte che la vuole addurre a fondamento di una propria eccezione, ma tale affermazione e' illegittima trattandosi di atti riconducibili ad un differente procedimento, rispetto a quello nel quale erano coinvolti gli assistiti del sottoscritto difensore, che non poteva pertanto essere legittimato ad acquisire atti giudiziari propri di altro procedimento. - Incompletezza di alcuni provvedimenti autorizzativi ed inizio delle operazioni di intercettazione in epoca anteriore alla convalida. Il difensore evidenzia, inoltre, che il decreto del gip risultava emesso a distanza di soli 30 minuti dal provvedimento d'urgenza emesso dal pubblico ministero e il magistrato non aveva potuto certamente analizzare la sussistenza dei presupposti per ritenere esistenti i requisiti di urgenza. 3.4 Inutilizzabilita' dei risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nel procedimento penale n. 13022/2010 RGNR per: mancata acquisizione al fascicolo degli atti d'indagine compiuti nel procedimento penale di Perugia sui quali il PM e il gip di Modena hanno fondato la richiesta di autorizzazione al compimento dell'intercettazione n. (OMISSIS) rit.. Come evidenziato nel proprio atto, ne' gli imputati ne' i loro difensori hanno potuto verificare in quale tipo di attivita' fossero consistiti gli accertamenti investigativi sui quali l'accusa aveva fondato la richiesta di compimento delle intercettazioni ambientali e telefoniche; - mancanza di alcuni provvedimenti autorizzativi; -mancanza di classificazione numerica delle intercettazioni telefoniche e ambientali. 3.5 vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche poiche' la corte ha negato tale beneficio sul rilievo che (OMISSIS), era uomo di fiducia di (OMISSIS), e come tale attivamente inserito nella struttura delinquenziale a lui facente capo. Cosi' facendo ha formulato un'inadeguata motivazione poiche' ha valorizzato indici non ricompresi tra quelli indicati dall'articolo 133 c.p.. 4. (OMISSIS), condannato in ordine al reato contestato al capo 8 della sentenza alla pena di anno uno di reclusione ed Euro 600 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale, nonche' al pagamento della provvisionale in favore della parte civile deduce: 4.1 Violazione dell'articolo 74 c.p.p., in relazione all'articolo 185 c.p., poiche' il tribunale ha respinto le eccezioni difensive avente ad oggetto la carenza di legittimazione in capo al Comune di Serramazzoni a costituirsi parte civile nei confronti dell'imputato (OMISSIS), in relazione al reato di cui all'articolo 353 c.p., poiche' il soggetto danneggiato dal reato non era il Comune ma la societa' (OMISSIS) srl, una societa' autonoma il cui amministratore unico all'epoca della costituzione di parte civile era (OMISSIS). 4.2 Mancanza di motivazione in ordine al rigetto dell'eccezione relativa alla carenza di legittimazione a costituirsi parte civile del Comune di Serramazzoni, poiche' la corte sul punto si e' limitata a riportare le motivazioni del tribunale. 4.3 Mancanza di motivazione e contraddittorieta' della sentenza impugnata in relazione all'affermazione di responsabilita' nei confronti dell'imputato, cui si addebita di avere contribuito ad alterare l'esito della gara per l'assegnazione dei lavori presso l'impianto sportivo di Serramazzoni, contando sull'appoggio del sindaco dell'epoca e di altri membri della commissione. La turbativa si sarebbe realizzata attraverso una serie di condotte preordinate a favorire l'associazione sportiva calcistica riferita al (OMISSIS), il quale non era ne' presidente ne' ha provveduto a firmare alcuno degli atti utilizzati per partecipare al bando. La corte di appello ha trattato congiuntamente i fatti contestati ai capi 4 e 8 dell'imputazione, sul presupposto dell'accertata collusione tra il coimputato (OMISSIS), e l'ex sindaco di (OMISSIS), ma tale legame non comprova il legame con l'odierno ricorrente. La corte inoltre formula argomentazioni che risultano smentite dagli atti processuali in quanto la dichiarazione di cui si contesta la falsita', di avere avuto la gestione per almeno un anno dello stadio, e' stata sottoscritta non dall'imputato ma da tale (OMISSIS), presidente dell'associazione sportiva; fu il sindaco e non l'odierno ricorrente a preparare il terreno, affinche' le gare andassero deserte per favorire l'assegnazione diretta dell'incarico attraverso l'induzione alle dimissioni dei vertici della Polisportiva che in precedenza gestiva il campo sportivo; (OMISSIS) non avrebbe potuto far si' che le tre gare andassero a deserte e la frase estrapolata dalla intercettazione di una telefonata intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS) l'(OMISSIS) non puo' considerarsi significativa e dirimente. 5. (OMISSIS), ritenuto responsabile del reato di tentata estorsione continuata e aggravata dall'uso dell'arma contestato al capo 10, deduce: 5.1 vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per i fatti contestati al capo 10 per la mancata risposta alle doglianze sollevate con i motivi di appello. Il compendio probatorio e' costituito esclusivamente dal tenore di alcune conversazioni intercettate e l'attribuzione delle stesse all'imputato e' affidata esclusivamente al riconoscimento della sua voce da parte degli ufficiali di PG che, si legge nella sentenza impugnata, hanno con certezza riconosciuto le voci dei tre imputati. Al riguardo il ricorrente osserva che all'epoca (OMISSIS), era incensurato e non risultano fatti diversi da quelli oggetto del processo, che lo avrebbero potuto portare ad incontrare gli ufficiali e gli agenti di PG impegnati in questa indagine. Inoltre la Corte di appello afferma che (OMISSIS) lavora presso l'allevamento di bovini di (OMISSIS) ma tale circostanza non risponde al vero poiche' (OMISSIS) non ha mai lavorato per (OMISSIS), non lavora in una stalla ed e' titolare di una ditta di impianti. 5.2 Vizio di motivazione in ordine alla contestata aggravante dell'uso dell'arma e mancanza di motivazione poiche' la Corte di appello non indica gli elementi di prova posti a fondamento del suo convincimento. Anche in questo caso la Corte non ha risposto alle doglianze dell'imputato, ne' ha fornito elementi di fatto utili a supportare il proprio convincimento 5.3 vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche poiche' la corte ha sottolineato che l'imputato non ha assunto alcuna condotta collaborativa ma anzi ha continuato a esercitare pressioni sulle vittime dei reati estorsivi ma non ha considerato che (OMISSIS) non e' stato presente in aula e non ha partecipato al processo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono fondati nei limiti che verranno esaminati in breve. 2.Ricorsi (OMISSIS). Come gia' anticipato, (OMISSIS) e' stato condannato per alcune condotte estorsive realizzate anche tramite attentati incendiari ai danni di (OMISSIS) (Capo 10) e di (OMISSIS)(capo 11) nonche' per il reato di corruzione e turbativa d'asta (capo 4) ed ancora per il reato di detenzione di un'arma comune da sparo. i due ricorsi proposti nell'interesse dell'imputato propongono alcune censure di analogo contenuto che verranno pertanto esaminate insieme. 2.1 Per ragioni sistematiche sembra opportuno esaminare per prime le eccezioni processuali relative all'inutilizzabilita' del compendio probatorio e alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Il primo motivo del ricorso a firma dell'avvocato (OMISSIS) con cui si eccepisce la inutilizzabilita' delle intercettazioni assunte nel processo e' generico. La corte di appello ha respinto le numerose eccezioni sollevate in ordine alla legittimita' e utilizzabilita' delle intercettazioni da pagina 26 della sentenza e ha reso congrua e dettagliata risposta alle molteplici censure esposte dai ricorrenti. In particolare, per quel che qui rileva, ha osservato che le intercettazioni disposte su richiesta della Procura di Perugia nel procedimento 1337/2009 DDA,relativo a reati in materia di stupefacenti, avevano fatto emergere condotte estorsive commesse ai danni di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Si applica pertanto l'articolo 270 c.p.p. in forza del quale possono essere utilizzati i risultati delle intercettazioni disposte in procedimenti diversi quando risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali e' obbligatorio l'arresto in flagranza. In particolare era stata registrata in diretta l'esecuzione dell'attentato incendiario commesso con finalita' estorsive ai danni della persona offesa, sicche' la corte ha ritenuto la indispensabilita' delle operazioni di intercettazione al fine di dimostrare la responsabilita' per i reati di incendio e porto d'arma per i quali e' previsto l'arresto obbligatorio. Il ricorrente non censura kmdetta motivazione e si limita ad affermare che le fattispecie di reato emerse dalle intercettazioni erano la violazione di domicilio e il tentativo di incendio, che non prevedono l'arresto in flagranza, ma non allega alcun atto a sostegno di questa affermazione, che risulta eccentrica rispetto all'argomentazione della corte; cosi' facendo incorre nel vizio di genericita', poiche' non espone le ragioni per cui ritiene di non condividere la motivazione offerta dalla sentenza impugnata. 2.2 Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) e il primo motivo del ricorso (OMISSIS), con cui si censura il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, sono manifestamente infondati. La richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e' stata decisa con ordinanza del 24 Marzo 2021 che e' stata riportata integralmente nel corpo della motivazione della sentenza impugnata. In particolare la richiesta di escussione dei testi e' stata respinta perche' in parte relativa a testi gia' escussi e in parte a testi gia' noti alla difesa, sicche' l'acquisizione non riguarda nuove prove in senso stretto ma prove che rientrano nella previsione dell'articolo 603 c.p.p., comma 1, e che possono essere ammesse solo se indispensabili ai fini del giudizio. Si tratta di testi che non sono stati escussi nel corso delle indagini, poiche' non avevano elementi negativi da riferire a carico dell'imputato. Deve convenirsi con la corte che il loro apporto non puo' configurarsi come necessario e dirimente e che la prova asseritamente nuova non riguarda fatti ma vorrebbe indurre ad una diversa valutazione delle prove dichiarative gia' assunte, alla luce di una mera ipotesi difensiva circa una volonta' persecutoria degli inquirenti nei confronti del (OMISSIS), e in quanto tale non risulta integrare i presupposti previsti dall'articolo 603 c.p.p.. Anche l'accertamento peritale sulla grafia dei biglietti minatori e' stato respinto poiche' non assolutamente necessario, con motivazione immune dai vizi di illogicita' manifesta e dalle violazioni di legge dedotti con la censura difensiva. Va peraltro osservato che la richiesta di riapertura istruttoria avrebbe dovuto essere avanzata con l'atto di appello e non con i motivi nuovi, poiche' questi possono soltanto ampliare le ragioni poste a sostegno delle questioni dedotte con i motivi di impugnazione. Nel caso in esame con il gravame neppure si prospettava l'ipotesi di pressioni degli inquirenti sulle prove dichiarative, che peraltro non hanno rilevanza dirimente, in quanto il giudizio di colpevolezza riposa soprattutto su dati documentali e sul tenore delle intercettazioni. 2.3 II secondo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) relativo alla violazione dell'articolo 521 c.p.p., e' invece fondato. La Corte d'appello a pag. 4 della sentenza impugnata afferma che il tribunale ha ritenuto che il reato contestato al capo 4, che descrive la corruzione attiva oltre la turbativa d'asta addebitata al (OMISSIS), deve intendersi integrato dalla descrizione in punto di fatto del capo 3, che descrive la corruzione passiva nei confronti del sindaco (OMISSIS), cosicche' la condotta contestata a (OMISSIS) ricomprende anche la corruzione e la turbativa d'asta consumata in relazione alla procedura amministrativa concernente la gestione e la ristrutturazione dell'impianto sportivo Pio Roccaforti, vicenda che non e' menzionata nel capo 4. A fronte della specifica censura sollevata con i motivi di appello la corte ha affermato che sussiste correlazione naturale tra la corruzione attiva, contestata al (OMISSIS) al capo 4 della sentenza, e la corruzione passiva contestata al sindaco (OMISSIS), al capo 3 e che l'omessa indicazione di una delle condotte in cui si sarebbe esplicitato l'accordo corruttivo e della relativa procedura amministrativa non avrebbe pregiudicato il diritto della difesa di (OMISSIS), la quale ha ampiamente argomentato anche sulla gara relativa all'affidamento della gestione dei lavori dell'impianto sportivo. Questa affermazione non puo' essere condivisa in quanto dalla lettura dei capi di imputazione emerge che al capo 4 vengono riportate soltanto le vicende relative alla riqualificazione del Polo scolastico e ai lavori di manutenzione della scuola primaria di (OMISSIS), e nessun riferimento viene operato alla corruzione e turbativa d'asta avente ad oggetto i lavori relativi alla concessione dell'impianto sportivo. Deve pertanto convenirsi che in assenza di un'adeguata descrizione nel capo di imputazione, b detta condotta non puo' ritenersi ricompresa nella contestazione, perche' descritta nel capo di imputazione relativo ad altro soggetto imputato della corruzione attiva. Si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la responsabilita' di (OMISSIS) in ordine alla concessione relativa all'impianto sportivo, poiche' tale vicenda amministrativa non e' mai stata oggetto di rituale contestazione e i giudici di merito nell'affermare il coinvolgimento del (OMISSIS) hanno indebitamente ampliato il perimetro devoluto alla loro cognizione in quanto indicato dall'imputazione. L'annullamento dell'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) in ordine a questa procedura amministrativa comporta la necessita' di individuare ed escludere la corrispondente sanzione. Al riguardo occorre premettere che tutti i reati ascritti all'imputato sono stati unificati per continuazione ex articolo 81 c.p., e la pena e' stata determinata in modo unitario, applicando un unico aumento sanzionatorio di anno uno mesi sei di reclusione, in relazione ai diversi episodi di corruzione e turbativa d'asta contestati nell'ambito del capo 4 della rubrica, sulla pena base stabilita per il piu' grave reato di estorsione contestato al capo 10. Sarebbe pertanto necessario rinviare gli atti alla Corte di appello perche', previa eliminazione della pena applicata per la vicenda relativa alla concessione dell'impianto sportivo, in ordine al quale la sentenza deve ritenersi nulla per difetto di contestazione, ridetermini il trattamento sanzionatorio per i due episodi di corruzione ritualmente contestati al capo 4 della rubrica. E tuttavia deve rilevarsi che nelle more del giudizio di Cassazione i reati di corruzione e turbativa d'asta effettivamente contestati al capo 4 della rubrica si sono estinti per prescrizione. Si impone pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata poiche' la causa di estinzione intervenuta nelle more prevale sulla dichiarazione di nullita'. 2.4 Il quarto motivo di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e il secondo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) aventi ad oggetto il giudizio di colpevolezza in ordine alle vicende contestate al capo 4 della rubrica deducono censure di fatto non consentite in quanto, pur invocando formalmente vizi della motivazione, mirano ad ottenere una diversa valutazione del compendio probatorio e propongono una ricostruzione alternativa in punto di fatto della vicenda, che e' stata invece ripercorsa dai giudici di merito nel rispetto dei principi di logica e dei criteri legali di valutazione delle prove. La Corte ha ben spiegato la differenza tra caparra e polizza fideiussoria e la circostanza che all'esito della complessa operazione la (OMISSIS) non sia entrata nel possesso dell'immobile promesso in vendita non incide sulla consistenza del vantaggio promesso al sindaco che costituisce il profitto del reato, come correttamente argomentato dai giudici di merito. 2.5 II quinto motivo relativo all'aggravante specifica del reato di turbativa d'asta, deve ritenersi assorbito prescrizione del reato; la corte ha comunque reso adeguata motivazione spiegando come il sindaco nella sua veste e' soggetto comunque in grado di esercitare pressioni sugli incanti e sulle licitazioni e la sua condotta risulta pertanto aggravata. Al riguardo giova ricordare che opera l'articolo 59 c.p., in forza del quale le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute o ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa e nel caso in questione certamente (OMISSIS) non poteva ignorare la qualita' di sindaco del soggetto con cui interloquiva. 2.6 La sesta e la settima censura del ricorso (OMISSIS) e la terza censura del ricorso (OMISSIS) sono manifestamente infondate poiche' la corte a pagina 39 ha reso adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti per qualificare la complessiva condotta ascritta all'imputato come tentata estorsione, osservando che le intimidazioni sono state poste in essere da soggetti del tutto estranei alla legittima pretesa che sarebbe all'origine della condotta illecita; sono state rivolte a soggetti diversi da quelli destinatari della obbligazione, in quanto venivano promesse ritorsioni in danno dei figli della persona offesa e i biglietti minacciosi venivano inviati alla moglie; inoltre le minacce sono state realizzate attraverso la consumazione di una serie di attentati particolarmente gravi, con modalita' tipiche della criminalita' organizzata. Le censure difensive sono generiche ed eccentriche rispetto alla motivazione, poiche' non si fondano su specifiche ragioni di contestazione delle argomentazioni della corte d'appello, ma si limitano a lamentare un'erronea applicazione dei criteri in tema di prova indiziaria, che non ricorre nel caso in esame. Le intercettazioni hanno infatti consentito di acquisire la prova diretta e certa degli attentati, finalizzati alla consumazione dell'estorsione e del collegamento tra gli autori materiali delle condotte e il mandante, cioe' (OMISSIS). Come verra' esposto nel prosieguo, in virtu' dell'articolo 587 c.p.p. (OMISSIS), si giova dell'effetto estensivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) ,relativamente all'aggravante dell'uso di armi ritenuta in relazione al reato di tentata estorsione contestato al capo 10. 2.8 L'ottava censura formulata in relazione al reato di tentata estorsione contestato al capo 11 dell'imputazione e' generica poiche' la sentenza a pagina 41 espone le emergenze processuali da cui risulta che (OMISSIS), pretendeva il pagamento di 20.000 Euro per ogni mese di attivita' svolta e indica in modo specifico i numeri progressivi delle conversazioni intercettate da cui emerge tale condotta. Il ricorrente non si confronta con questa motivazione e formula censure eccentriche rispetto ai dati probatori valorizzati dai giudici di merito. 2.9 II nono motivo del ricorso a firma (OMISSIS), che coincide con il quarto motivo del ricorso dell'avv. (OMISSIS), e' manifestamente infondato poiche' non ricorre nel caso in esame alcun travisamento della prova ma piuttosto un'interpretazione della conversazione intercettata che individua nell'odierno ricorrente il soggetto indicato come lo zio al quale l'interlocutore dichiara di avere prestato una pistola che questi avrebbe utilizzato in modo poco corretto tanto da averla danneggiata. A pagina 48 della sentenza la Corte spiega che (OMISSIS) aveva l'abitudine di riferirsi a (OMISSIS) con vari appellativi e tra questi anche quello di zio. E osserva che lo zio di cui parla il (OMISSIS) al quale avrebbe dato in prestito un'arma va identificato nel (OMISSIS) in forza di altre intercettazioni nel corso delle quali si parla di una cena con lo zio alla quale e' dimostrato che abbia preso parte il ricorrente. Anche in questo caso il ricorso non prende neppure in considerazione questa specifica argomentazione per contestarla e cosi' facendo formula una censura del tutto generica che non supera il vaglio di ammissibilita'. 2.10 L'ultima censura formulata dall'avv. (OMISSIS) in ordine al trattamento sanzionatorio rimane in parte assorbita dall'accoglimento della censura relativa alla contestazione della aggravante dell'uso delle armi, ritenuta per il reato estorsivo, con conseguente rinvio alla Corte di Appello per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La stessa risulta comunque manifestamente infondata limitatamente agli aumenti sanzionatori stabiliti per i reati satellite unificati per continuazione, poiche' la Corte ha ridotto sensibilmente la pena complessivamente inflitta e ha fornito adeguato e congrua motivazione in merito alle sanzioni da infliggere per i singoli episodi illeciti attribuiti all'imputato. 2.11 La memoria sottoscritta personalmente dal ricorrente, alla quale risultano allegati una consulenza ed alcuni documenti, trasmessi via PEC il 5 gennaio 2023, non puo' essere presa in considerazione poiche' inviata da soggetto non legittimato. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1 II secondo motivo di ricorso, che sembra opportuno esaminare per primo in quanto attiene alla utilizzabilita' delle intercettazioni e quindi alla rilevanza del compendio probatorio, pur essendo molto articolatoirisulta generico poiche' non si confronta con le risposte dettagliatamente fornite dalla sentenza impugnata che da pagina 26 a pagina 29 affronta una per una le censure relative alla legittimita' delle intercettazioni, poi riproposte pedissequamente con il ricorso; peraltro molte delle censure reiterate nel ricorso erano state ritenute generiche, poiche' non indicavano specificamente i decreti o gli adempimenti a cui facevano riferimento, o manifestamente infondate, sul rilievo che agli atti erano presenti le copie dei decreti autorizzativi di cui la difesa lamentava l'assenza. A fronte di queste risposte, specifiche e dettagliate, il ricorrente non allega nessun atto che possa smentire quanto sostenuto in punto di fatto dalla Corte, ne' si confronta e censura le risposte fornite, limitandosi a ripetere le medesime questioni gia' prospettate con il gravame, con una modalita' di formulazione del ricorso che destina inevitabilmente le censure alla inammissibilita'. 3.2 Fondato e', invece, il primo motivo di ricorso relativo all'irrituale contestazione della aggravante dell'uso dell'arma. E' noto che in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto piu' che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati e' irrilevante e non determina nullita', salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa. (Sez. 1 -, Sentenza n. 30141 del 05/04/2019 Ud. (dep. 09/07/2019) Rv. 276602 - 01). L'indirizzo giurisprudenziale ammissivo della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti consente tale forma di contestazione descrivendola, e quindi delimitandone la legittimita', nei termini in cui l'imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale, permettendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell'aggravante puo' dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perche' la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come queste Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l'accusa e la decisione, sulla concreta possibilita' per l'imputato di difendersi sull'oggetto dell'addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051), Sulla scia di questo orientamento e' stato precisato che in tema di circostanze aggravanti, e' ammissibile la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialita', ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell'imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo cosi' possibile l'adeguato esercizio del diritto di difesa. (Sez. 2 -, Sentenza n. 15999 del 18/12/2019 Ud. (dep. 27/05/2020) Rv. 279335 01). La Corte d'appello affronta la censura sollevata con i motivi di gravame a pag. 26 della sentenza, osservando che nonostante non siano stati indicati nel capo di imputazione gli estremi normativi dell'aggravante dell'uso delle armi la stessa risulta contestata in punto di fatto, sicche' la difesa ha potuto apprestare tutte le necessarie difese al riguardo, in quanto nel capo di imputazione si fa riferimento al fatto che nel mese di novembre 2009 la persona offesa scopriva nella vetrata del salone della sua abitazione un foro provocato da arma. La motivazione non puo' essere condivisa, proprio nel rispetto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' in tema di contestazione in fatto delle aggravanti. Nel caso in esame infatti non soltanto la aggravante non e' stata contestata nei suoi estremi normativi, ma anche in punto di fatto e' stata descritta in modo poco chiaro e certamente non rispettoso del diritto dell'imputato di conoscere, quantomeno nelle linee essenziali, gli addebiti che gli vengono contestati. Ed infatti nell'ambito dell'estremamente ampio e articolato capo di imputazione, che si prolunga, per circa due pagine nel descrivere in dettaglio una serie di condotte minatorie che sono state realizzate, da novembre del 2009 fino al novembre 2010, in pregiudizio della persona offesa e dei suoi familiari, la contestazione di questa aggravante dovrebbe ricavarsi dal riferimento alla scoperta nel novembre 2009 di un foro provocato da un'arma da fuoco calibro 22 nella vetrata del salone dell'abitazione della persona offesa. Deve convenirsi con il ricorrente che, nel caso in esame, pur non versando in tema di circostanza valutativa in senso stretto, non puo' ritenersi adeguatamente contestata neppure in fatto l'aggravante della minaccia realizzata con l'uso dell'arma, poiche' nella congerie di condotte affastellate nel capo d'imputazione non e' stato esplicitato il nesso funzionale tra la constatata presenza del foro dovuto ad un'esplosione da arma da fuoco in epoca non meglio precisata e la minaccia diretta a coartare la volonta' della persona offesa, sicche' il diritto della difesa a ricevere chiara e precisa contestazione delle condotte addebitate ha subito un evidente pregiudizio. In conclusione,proprio in ragione delle peculiari caratteristiche del capo d'imputazione, si rendeva necessario un richiamo piu' puntuale all'utilizzo dell'arma come strumento per la realizzazione della minaccia, mentre invece nella contestazione si fa mero riferimento al foro di proiettile. Senza dire che residuano rilevanti carenze motivazionali anche in ordine alla prova della sussistenza dell'aggravante in questione, non avendo la corte risposto alle specifiche censure sollevate dalla difesa in ordine all'epoca dello sparo, che assume rilevanza dirimente ai fini della interpretazione del fatto storico e della attribuzione all'imputato e ai suoi correi dell'esplosione che ha cagionato il foro. La sentenza di condanna pronunziata riconoscendo una circostanza aggravante mai contestata, neppure in fatto, e' nulla nella parte relativa a tale statuizione, ai sensi dell'articolo 522 c.p.p., comma 2, poiche' il giudice ha il potere di intervenire sulla diversa qualificazione giuridica o sulla diversita' del fatto, ma non di applicare circostanze mai contestate. (Sez. 5, Sentenza n. 32682 del 18/06/2018 Ud. (dep. 16/07/2018) Rv. 273491 - 01). Si impone pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta aggravante, che non puo' ritenersi ritualmente contestata nell'imputazione di cui al capo 10 della rubrica; cio' comporta la diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta al capo 10 come estorsione semplice continuata e non aggravata. Deve a questo punto osservarsi che, in forza dell'articolo 587 c.p.p., l'accoglimento della censura formulata dal (OMISSIS) e relativa alla detta aggravante del delitto di estorsione, contestato in concorso anche a (OMISSIS) e a (OMISSIS), per il suo carattere obiettivo estende i suoi effetti anche ai coimputati del medesimo reato. Cio' posto, la diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta incide anche sui termini di prescrizione previsti dagli articoli 157 e 161 c.p.. Considerato che nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), non opera l'aggravante della recidiva, deve concludersi che nelle more del giudizio il reato di tentata estorsione loro contestato si e' estinto per intervenuta prescrizione. Si impone pertanto, previa esclusione dell'aggravante dell'uso delle armi, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di estorsione loro contestato al capo 10, perche' estinto per intervenuta prescrizione. A diverse conclusioni deve pervenirsi nei confronti di (OMISSIS), a carico del quale e' stata contestata e ritenuta la recidiva qualificata, che incide sui termini di prescrizione. Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'aggravante delle armi e il rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che rideterminera' il trattamento sanzionatorio a suo carico per il reato di tentata estorsione, cosi' diversamente qualificato il fatto contestato al capo 10. 4. Il ricorso di (OMISSIS), condannato per concorso nel reato di turbata liberta' degli incanti di cui all'articolo 353 c.p., comma 2, e' infondato. 4.1 La prima censura e' generica e manifestamente infondata poiche' costituisce reiterazione della doglianza sollevata con i motivi di gravame che la corte ha respinto affermando correttamente che il Comune di (OMISSIS) e' comunque il soggetto danneggiato poiche' unico socio della societa' privatistica che gestisce il patrimonio immobiliare comunale. 4.2 Anche la seconda censura e' manifestamente infondata poiche' la richiesta di esclusione della parte civile e' stata oggetto di specifica e corretta risposta a pagina 23 della sentenza impugnata, laddove la Corte ha affermato che il Comune di Serramazzoni e' soggetto passivo e danneggiato dal reato, sicche' puo' costituirsi parte civile in quanto socio unico della (OMISSIS) srl costituita allo scopo gestire il patrimonio immobiliare del comune. 4.3 Il terzo motivo di ricorso relativo al giudizio di colpevolezza e' infondato poiche' nella sentenza il ruolo del (OMISSIS) viene delineato come colui che di fatto gestiva l'associazione, come riferito anche dal teste (OMISSIS), e aveva tutto l'interesse ad assumere la concessione per la gestione del dello stadio a prescindere dal ruolo formale dallo stesso assunto nell'ambito della detta associazione. Il tenore della conversazione intercettata nel corso della quale (OMISSIS) rende confessione extragiudiziale(dimostra che (OMISSIS) aveva preso accordi per turbare le gare di appalto, concordando la mancata presentazione di offerte, e condivideva le manovre poste in essere dal sindaco per far si' che le gare rimanessero deserte; allo stesso modo non poteva ignorare la circostanza che partecipava ad un bando per il quale la associazione a lui facente capo non possedeva i formali requisiti. 5. Ricorso (OMISSIS). Il ricorso di (OMISSIS), condannato per il reato di tentata estorsione aggravata di cui al capo 10, e' infondato poiche' la corte ha reso congrua motivazione in ordine al suo coinvolgimento nella condotta estorsiva di cui al capo 10 e le argomentazioni esplicitate risultano immuni dai vizi dedotti e forniscono adeguata risposta alle doglianze formulate con il gravame. Va tuttavia osservato che l'esclusione dell'aggravante dell'uso dell'arma per difetto di contestazione estende i suoi effetti ex articolo 587 c.p.p. ed impone di derubricare la condotta ascritta in tentata estorsione semplice ex articolo 629 c.p., reato che in relazione ai massimi edittali e' soggetto a termini di prescrizione ben piu' brevi rispetto alla fattispecie aggravata. Cio' posto, deve rilevarsi che nelle more del giudizio di cassazione e' maturata la prescrizione del reato di tentata estorsione alla stregua dei termini ex articoli 157 e 161 c.p.p.. Si impone pertanto la dichiarazione di estinzione del reato contestato al (OMISSIS). 6. Il principio di soccombenza comporta la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile, comune di Serramazzoni, che si ritiene congruo liquidare in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) perche', esclusa l'aggravante ex articolo 629 c.p., comma 2, per difetto di contestazione, il reato loro ascritto al capo 10) e' estinto per prescrizione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai reati contestati al capo 4) perche' estinti per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato contestato al capo 10), quanto all'aggravante ex articolo 629, comma 2, c.p., che esclude per difetto di contestazione, e rinvia per il trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di (OMISSIS) e irrevocabile l'affermazione di responsabilita'. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, (OMISSIS) e (OMISSIS), alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile comune di Serramazzoni, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 29437/2020 R.G. proposto da: (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avv. Ascanio Parente, con domicilio eletto in Roma, Via dei Monti Parioli n. 44. RICORRENTE- contro (OMISSIS) S.R.L., in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gianluca Sicchiero, con domicilio in Venezia-Mestre, via Torino n. 80. -CONTRORICORRENTE- e (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv.ti Filippo Maria Fasulo e Giorgio Suppiej, con domicilio eletto in Roma, alla Via Tommasini n. 12, presso l'avv. Francesco Prota. -CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 2376/2020, pubblicata in data 15.9.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2.2.2023 dal Consigliere Giuseppe Fortunato. Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Corrado Mistri, che ha chiesto di respingere il ricorso. FATTI DI CAUSA 1. L' (OMISSIS) s.r.l. ha adito il Tribunale di Venezia, esponendo che, con contratto preliminare del 24.2005, aveva promesso di acquistare da (OMISSIS) taluni terreni siti in (OMISSIS) per il prezzo di Euro 360.000,00, di cui Euro 250.000,00 corrisposti a titolo di caparra confirmatoria ed il residuo da versare al momento della stipula del definitivo; che la convenuta non aveva trasferito gli immobili ed aveva iscritto ipoteca sui beni a garanzia di un finanziamento di Euro. 4.560.000,00. Ha chiesto di pronunciare la risoluzione del contratto con rifusione del doppio della caparra o, in subordine, di disporre la restituzione delle somme versate, oltre al risarcimento del danno o al pagamento di un indennizzo ai sensi dell'articolo 2041 c.c.. (OMISSIS) ha resistito alla domanda, sostenendo che era stato il figlio (OMISSIS), gia' amministratore della (OMISSIS), ad iscrivere ipoteca sull'immobile a garanzia di un suo prestito personale, avvalendosi di una procura generale rilasciatagli dalla convenuta; che inoltre la societa' non aveva mai comunicato l'avveramento della condizione sospensiva dell'approvazione della convenzione urbanistica con il Comune di (OMISSIS) che rendeva esigibile il perfezionamento del definitivo, ne' aveva mai corrisposto alcun anticipo, tantomeno a titolo di caparra, non facendo prova l'estratto conto prodotto in giudizio, nel quale era leggibile solo l'annotazione di un bonifico, peraltro eseguito in data diversa da quella indicata nel preliminare. Ha chiesto di respingere la domanda e di chiamare in causa (OMISSIS) per essere manlevata. Disposta la chiamata del terzo ed acquisita documentazione, il Tribunale ha dichiarato la risoluzione del preliminare e ha ordinato alla convenuta la restituzione di Euro 250.000,00, respingendo ogni altra domanda e liquidando le spese. La decisione e' stata confermata in appello, ponendo in rilievo che, a prescindere dalla presenza dell'iscrizione ipotecaria sull'immobile, la promittente venditrice doveva considerarsi inadempiente per non aver concluso il definitivo e che era provato il pagamento dell'acconto, poiche' - dimostrata l'effettuazione del bonifico - la ricorrente non aveva dimostrato di non aver incassato le somme. La Corte di merito ha inoltre asserito che le contestazioni dell'estratto conto erano generiche e tutt'altro che chiare e circostanziate e che le cancellature presenti sul documento non impedivano la lettura dei movimenti, e ha infine respinto l'azione di manleva, osservando che (OMISSIS) aveva sottoscritto il contratto non in proprio o quale procuratore della madre, ma quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l. ed era estraneo al rapporto controverso, non essendo pertinenti tutte le contestazioni concernenti la cattiva gestione del patrimonio della ricorrente. Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) propone ricorso in sei motivi, cui resistono con controricorso l' (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS). Le parti hanno depositato memoria illustrativa. Il ricorso e' stato deciso in camera di consiglio nelle forme di cui al Decreto Legge n. 137/2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni con L. 176/2020, non essendo stata chiesta la discussione orale. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Sono infondate le eccezioni di inammissibilita' del ricorso. L'impugnazione espone in modo sufficientemente dettagliato le vicende di causa, le questioni dibattute e il contenuto delle decisioni di merito, rendendo agevolmente comprensibili le critiche sollevate alla pronuncia di appello; contiene infine un richiamo adeguatamente specifico agli atti del giudizio di merito di cui la parte ha inteso avvalersi. 2. Il primo motivo del ricorso denuncia la violazione dell'articolo 2697 c.c., per aver la pronuncia posto a carico della convenuta l'onere di dimostrare di non aver ricevuto l'acconto, finendo per esonerare la societa', che aveva preteso il rimborso, dalla prova del pagamento. Tale prova non poteva considerarsi raggiunta nonostante l'effettuazione del bonifico, sia perche' inviato in data diversa da quella di pagamento dell'acconto indicata nel preliminare, sia perche' documentato esclusivamente da un estratto conto privo di valenza probatoria, essendo leggibile la sola disposizione impartita dalla banca. Il secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 2712 c.c., per aver la sentenza negato rilievo al disconoscimento dell'estratto conto, benche' il documento presentasse cancellature che non consentivano di individuare le operazioni ivi annotate. Il terzo motivo denuncia la violazione degli articoli 115, 116 e 132 n. 4 c.p.c., denunciando l'evidente contraddizione in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale per aver prima affermato che il disconoscimento dell'estratto conto era generico e poi che il documento presentava numerose cancellature. Il quarto motivo lamenta la violazione degli articoli 115, 116, 132, n. 4 c.p.c., per aver la Corte di merito ritenuto provato il pagamento mediante l'estratto conto, pur trattandosi di prova atipica il cui utilizzo doveva essere specificamente ed adeguatamente motivato. Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 112, 132, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., contestando al giudice distrettuale di aver respinto il secondo motivo di appello, volto a riproporre le contestazioni della copia dell'estratto conto, senza in alcun modo motivare in merito all'eccepita inidoneita' del documento a dimostrare l'effettivo versamento dell'acconto. Il sesto motivo denuncia la violazione dell'articolo 115 c.p.c., per aver la sentenza respinto la domanda di manleva, benche' fosse stato (OMISSIS) ad iscrivere ipoteca sull'immobile a garanzia di un finanziamento personale, la quale iscrizione era stata allegata a fondamento della domanda di risoluzione. 2. Il primo motivo e' fondato. Il versamento della caparra - di cui la pronuncia ha ordinato la restituzione - era stato documentato mediante la copia dell'estratto conto prodotto in giudizio, ove risultava annotata la disposizione di bonifico per l'importo di Euro 250.000,00 impartita alla banca in data 14.3.2015, in favore di (OMISSIS). Tale disposizione era la sola leggibile, essendo state cancellate - per ragioni di riservatezza - tutte le altre operazioni ordinate nel periodo. Secondo la Corte di merito, una volta provata la disposizione di bonifico era onere della ricorrente - per il principio di vicinanza della prova - dimostrare di non aver ricevuto l'importo bonificato. Tale conclusione procede dall'errato presupposto che la semplice disposizione di bonifico costituisse prova del pagamento superabile solo con la dimostrazione, che competeva alla destinataria, di non aver ricevuto alcunche'. E' invece indubbio che la parte che agisca per la restituzione di una somma che assume di aver pagato e' gravata - tra l'altro - dell'onere di dimostrare l'effettivita' del versamento con mezzi idonei. Il pagamento delle obbligazioni per somma di denaro adempiute al domicilio del debitore, ove effettuabile in banca, si perfeziona solo allorche' la rimessa entri materialmente nella disponibilita' dell'avente diritto e non anche quando (e per il solo fatto che) il debitore abbia inoltrato alla propria banca l'ordine di bonifico e questa abbia dichiarato di avervi dato corso (Cass. 149/2003), dovendo soggiungersi che tale disposizione - ove non immediatamente eseguibile - e' revocabile o anche suscettibile di storno ove non andata a buon fine. Il pagamento postula il trasferimento, concretantesi in una "traditio" anche se non necessariamente materiale, della somma dovuta dalla sfera patrimoniale del "solvens" a quella dello "accipiens" e quindi il conseguimento effettivo da parte di quest'ultimo della disponibilita' della somma, effetto che non puo' ritenersi conseguito, neppure in via presuntiva, con il mero ordine di bonifico ove non risulti che le somme siano state sicuramente incamerate (Cass. 10632/1996; Cass. 27520/2008; Cass. 15359/2019). Tale principio ha portata generale ed e' operante anche in materia di indebito oggettivo. La semplice disposizione di bonifico impartita dalla societa', risultante dall'annotazione, non dimostrava - pertanto - l'effettuazione e il buon fine del pagamento, ne' poteva invocarsi il principio di vicinanza della prova: l'incasso delle somme era circostanza che cadeva nella sfera di conoscibilita' della societa' in relazione al mezzo di pagamento prescelto e dalla scelta di una tale modalita' solutoria non poteva conseguire alcuna inversione dell'onere probatorio riguardo all'effettiva ricezione delle somme (cfr., in termini, Cass. s.u. 13533/2001 pag. 12; Cass. 11629/99; Cass. 3232/98). In definitiva, la sentenza d'appello va cassata conformemente alle richieste della ricorrente per il fatto di aver tratto dalla semplice disposizione di bonifico conseguenze giuridiche erronee riguardo alla prova del pagamento e alla ripartizione dell'onere della prova dell'evento solutorio. 3. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo sono assorbiti, atteso che, in ragione della dichiarata insufficienza della prova del versamento dell'acconto mediante la produzione del bonifico e dell'errato riparto dell'onere della prova della ricezione delle somme, non occorre verificare se la conformita' della copia dell'estratto conto fosse stata correttamente disconosciuta e se l'uso del documento fosse precluso, non avendo la societa' dimostrato di aver versato gli acconti, di cui non puo' pretendere alcun rimborso. 4. Il sesto motivo e' inammissibile. La risoluzione del preliminare e' stata pronunciata a causa della violazione dell'obbligo gravante sulla ricorrente di concludere la vendita immobiliare. La pronuncia e' passata in giudicato, non essendo direttamente attinta dai motivi di ricorso. Come si e' gia' precisato, nessun rilievo ha invece assunto l'iscrizione ipotecaria sull'immobile promesso in vendita che, secondo la prospettazione di parte, giustificherebbe l'accoglimento dell'azione di manleva: la ricorrente non ha quindi interesse a contestare la pronuncia di appello per aver affermato che il terzo chiamato era estraneo alle vicende dedotte in giudizio, non potendo ottenere - sotto tale profilo - una decisione diversa da quella adottata. Esclusa ogni rilevanza all'iscrizione ipotecaria, non si ha ragione di coltivare la manleva fondata su presupposti in fatto non suscettibili di un diverso apprezzamento in virtu' del giudicato interno sulla risoluzione fondata su altre ragioni. E' quindi accolto il primo motivo di ricorso, e' respinto il sesto e sono assorbite le altre censure. La sentenza e' cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese di legittimita'. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il sesto e dichiara assorbite le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa M. - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere Dott. POLETTI Dianora - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al R.G.N. 20727-2017 proposto da: (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore (OMISSIS) e (OMISSIS) Societa' semplice, in personale della legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale in atti, dall'avv. ANDREA RECUPERATI; - ricorrenti - contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato RAOUL RUDEL, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato CARLO VAIRA, giusta procura speciale in atti; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 263/2017 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 03/02/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI; lette le conclusioni depositate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELL'ERBA ROSA MARIA. FATTI DI CAUSA 1. Con scrittura privata del (OMISSIS), (OMISSIS) proponeva alla Soc. (OMISSIS) S.r.l. (titolare dell'azienda) e alla (OMISSIS) Ss (proprietaria degli immobili) di acquistare un fabbricato ad uso commerciale "conforme alla normativa edilizia ed urbanistica vigente", nonche' un terreno attiguo da destinare a parcheggio siti in (OMISSIS) e individuati nella planimetria sottoscritta dalle parti (sul quale (OMISSIS) Ss avrebbe mantenuto una servitu' di passaggio), nonche' l'attivita' di ristorazione comprensiva di cespiti svolta in detti immobili. Il prezzo offerto per l'acquisto degli immobili e della licenza era di complessivi Euro 1.200.000,00 che sarebbero stati pagati, per quanto piu' direttamente rileva in questa sede, anche mediante il trasferimento di un appartamento di proprieta' di (OMISSIS) e dell'attivita' di pizzeria sita in (OMISSIS), (OMISSIS), di proprieta' della soc. (OMISSIS). S.n.c. (d'ora innanzi (OMISSIS) Snc). La proposta veniva accettata e la (OMISSIS) consegnava contestualmente a (OMISSIS) Ss assegno bancario di Euro 10.000,00 a titolo di caparra confirmatoria. L'impegno assunto dalle parti prevedeva che il contratto preliminare di vendita dell'azienda e degli immobili sarebbe stato stipulato entro 60 giorni dalla sottoscrizione e il contratto definitivo entro i 30 giorni successivi alla firma del preliminare e comunque dopo il frazionamento. Si conveniva infine il vincolo di forma per ogni modifica della scrittura. Il trasferimento in permuta dell'attivita' di pizzeria di proprieta' di (OMISSIS) Snc era avvenuto nel modo seguente: poiche' (OMISSIS) Snc aveva ceduto con riserva della proprieta' l'attivita' di pizzeria al sig. (OMISSIS), questi - con scrittura privata autenticata del (OMISSIS) - l'aveva ceduta a (OMISSIS) in adempimento di quanto previsto dalla scrittura del (OMISSIS). L'attivita' di pizzeria era esercitata in locali condotti in locazione per i quali il (OMISSIS) si era reso inadempiente del pagamento di canoni e aveva chiesto una "buonuscita" per iniziare una nuova attivita'. (OMISSIS) (socio della (OMISSIS) Snc) aveva emesso due assegni tratti in favore di (OMISSIS), per complessivi Euro 35.000,00, utilizzati per sanare la morosita' e per corrispondere al (OMISSIS) la richiesta "buonuscita". Con lettera del 10 luglio 2012 la (OMISSIS) contestatava a (OMISSIS) Srl e a (OMISSIS) Ss il mancato perfezionamento dell'operazione contrattuale per loro inadempienze, relative in particolare alla mancata messa a disposizione della documentazione attestante la regolarita' amministrativa e edilizia, in specie del dehor. 2. Fallito il tentativo di bonario componimento, con atto di citazione notificato il 14 febbraio 2013, (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) Snc convenivano la Srl (OMISSIS) e la Ss (OMISSIS) avanti al Tribunale di Torino per ottenere la risoluzione della lettera di impegno del 19 febbraio 2012, il ritrasferimento in favore di (OMISSIS) Snc dell'azienda gia' trasferita a (OMISSIS), in adempimento della scrittura, la condanna al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di Euro 35.000,00 oltre accessori e la condanna di (OMISSIS) s.r.l. e di (OMISSIS) Ss al pagamento in favore della (OMISSIS) della somma di Euro 33.570,00 (versata a titolo di acconto prezzo) e di 10.000,00 (versata a titolo di caparra confirmatoria). 3. Con sentenza n. 27 del 7/01/2015, il Tribunale di Torino dichiarava risolta la promessa di compravendita immobiliare per colpa delle convenute (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Ss, condannava (OMISSIS) Srl a ritrasferire l'azienda di attivita' di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande alla (OMISSIS) Snc, al pagamento in favore dell'attore (OMISSIS) della somma di Euro 35.000,00 ed al pagamento, unitamente a (OMISSIS) Ss, in favore dell'attrice (OMISSIS) della somma di Euro 53.500,00. Condannava infine i convenuti al pagamento delle spese di lite. 4. (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Ss proponevano appello. Si costituivano in giudizio tutti gli appellati. Il giudizio si concludeva con la sentenza n. 263 del 3/02/2017, con la quale la Corte distrettuale rigettava tutti i motivi di appello, ad eccezione del decimo motivo, riformando l'importo della somma oggetto della condanna delle due societa' appellanti a favore della (OMISSIS). 5. Avverso tale decisione (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Ss hanno promosso ricorso per cassazione affidando le proprie doglianze a sei motivi. 6. Hanno resistito con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) Snc. 7. Il ricorso e' stato avviato alla trattazione in pubblica udienza ex articolo 375 c.p.c., u.c.. 8. L'udienza si e' svolta con rito camerale, non avendo alcuna parte fatto richiesta di trattazione orale. 9. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte. 8. I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.- Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articolo 342 c.p.c., comma 1 e articolo 345 c.p.c., comma 1, con conseguente nullita' della sentenza, in relazione alla ritenuta titolarita' in capo a (OMISSIS) Snc e a (OMISSIS) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o in subordine n. 3). Con tale mezzo lamentano l'errata pronuncia di inammissibilita' per novita' della domanda del motivo di gravame relativo al dedotto difetto di titolarita' del rapporto sostanziale vantato in giudizio da (OMISSIS), spettando la legittimazione solo alla (OMISSIS). I ricorrenti osservano che la domanda era stata proposta nell'atto di citazione in appello per come emerge dalla narrativa dello stesso e pertanto la pronuncia della Corte sarebbe affetta da nullita' o comunque si pone in violazione o falsa applicazione delle indicate norme processuali. 2.- La seconda doglianza attiene alla violazione dell'articolo 81 c.p.c. e falsa applicazione dell'articolo 100 c.p.c., nonche' alla violazione dell'articolo 1197 c.c. e falsa applicazione dell'articolo 1813 c.c., in relazione alla ritenuta titolarita' in capo a (OMISSIS) Snc e a (OMISSIS) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La decisione della Corte territoriale e' censurata laddove questa avrebbe "a torto opinato" sulla sussistenza di un contratto di mutuo intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale, non essendo titolare del rapporto sostanziale con (OMISSIS), non era legittimato ad avanzare nessuna pretesa nei confronti di questa neppure a tale titolo. Il motivo deduce anche la violazione dell'articolo 81 c.p.c. per avere la sentenza attribuito ad un soggetto ( (OMISSIS)) la sostituzione processuale di un altro ( (OMISSIS)) al di fuori dei casi consentiti dalla legge e per avere ritenuto sussistente l'interesse ad agire del (OMISSIS). 3.- Il terzo motivo e' cosi' rubricato: "Violazione del disposto degli articoli 1352, 2721, comma 1, 2724 n. 3 e 2725 c.c., nonche' violazione dell'articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione al difetto di motivazione dell'ammissione dei mezzi di prova, con conseguente nullita' della sentenza (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o in subordine 3)". Con il motivo in esame i ricorrenti si dolgono del rigetto del terzo e del quarto motivo di appello relativi all'inammissibilita' della prova testimoniale, ritenuti in parte infondati (in quanto la prova dedotta aveva ad oggetto una serie di circostanze e di comportamenti delle parti rilevanti ai fini interpretativi del contratto scritto e non della prova di ulteriori pattuizioni) e in parte non decisivi (non avendo la prova testimoniale avuto alcuna autonoma rilevanza ai fini della decisione, posto che gia' per tabulas emergevano sia il trasferimento della pizzeria sia la dazione di Euro 35.000,00 a cura di (OMISSIS)). Nel merito delle prove i ricorrenti contestano che la relativa capitolazione e' inerente all'oggetto del contratto e non alla sua esegesi, si' che l'ammissione delle stesse e' avvenuta in violazione dell'articolo 2721 c.c., in ragione del valore del contratto, nonche' dell'articolo 2724 c.c., n. 3, operante - in forza del rinvio a quest'ultima norma operato dall'articolo 2725 c.c. - nel caso de quo, in cui la forma convenzionale scritta del contratto era stata voluta dalle parti a pena di nullita'. Rilevano in particolare le ricorrenti che il contratto impugnato non era un preliminare di compravendita (ma una promessa di compravendita immobiliare e cessione di azienda), quindi l'impegno alla consegna della documentazione relativa alla regolarita' "pubblicistica" poteva solo derivare dalla volonta' delle parti, che e' stata illegittimamente dimostrata tramite il ricorso alla prova testimoniale. 4.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 324, 329, 342, comma 1, e articolo 345 c.p.c., comma 1, nonche' dell'articolo 2909 c.c., con conseguente nullita' della sentenza, in relazione alla ritenuta preclusione pro iudicato della questione delle inadempienze contrattuali della Sig.ra (OMISSIS) (in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o in subordine n. 3). Con il mezzo in questione i ricorrenti imputano alla sentenza di avere erroneamente ritenuto inammissibile il motivo di appello relativo all'eccepito inadempimento della promissaria acquirente perche', a dire della Corte, formulato solo nella comparsa conclusionale del giudizio di appello. Secondo i ricorrenti, la relativa doglianza emerge dall'atto di appello e gli appellanti, quindi, non avevano prestato alcuna acquiescenza alla sentenza di prime cure. Sul punto pertanto non si sarebbe formato alcun giudicato. 5. - Il quinto motivo di ricorso e' volto a censurare la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 115 c.p.c., comma 1, e articolo 2697 c.c., comma 1, nonche' degli articoli 1218, 1453, comma 1, 1455 e articolo 1477 c.c., u.c., in relazione al ritenuto inadempimento contrattuale di (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Ss (con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Con il motivo i ricorrenti lamentano l'insussistenza dell'inadempimento attribuito alle societa' (OMISSIS) Srl e (OMISSIS) Ss con riguardo alla mancata consegna della documentazione attestante la regolarita' amministrativa dei beni negoziati, per mancanza di alcuno obbligo al riguardo. Evidenziano che questo non emerge dal contratto impugnato ne' e' rinvenibile nella legge, perche' l'articolo 1477 c.c., u.c. attiene al contratto di compravendita e tale non e' il contratto impugnato. Al riguardo i ricorrenti evidenziano innanzitutto che gravava sul creditore (e quindi sulla promissaria acquirente) l'onere di provare la fonte (legale o negoziale) dell'obbligo di cui lamenta l'inesatta esecuzione. Oltretutto il teste arch. (OMISSIS), professionista incaricato dalla promissaria acquirente, nella dichiarazione testimoniale, pur contestata dalle ricorrenti per alcune imprecisioni, dichiarava di "aver visto le concessioni in sanatoria dell'immobile". In sostanza, la Corte decideva nel merito in violazione della normativa sul principio della disponibilita' delle prove. 6. - Con il sesto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'articolo 345 c.p.c., comma 3, in relazione alla produzione in appello di documenti nuovi, con conseguente nullita' della sentenza (in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o in subordine n. 3), dolendosi del fatto che la pronuncia gravata abbia ritenuto inammissibili alcune produzioni documentali in appello, in mancanza della dimostrazione di non averle potute produrre incolpevolmente in primo grado. I ricorrenti obiettano che le produzioni in questione sono di formazione successiva allo spirare del secondo termine di cui all'articolo 183 c.p.c., comma 6 e alcuni risultano di formazione successiva alla sentenza di primo grado. 7.- Preliminarmente va vagliata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso avanzata dai controricorrenti perche' redatto in spregio al disposto di cui all'articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto, oltre ad essere lesivo dei principi di sinteticita' e chiarezza, non contiene una esposizione intellegibile ed esauriente dei fatti di causa, da cui risultino le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese le deduzione di ciascuna in relazione alla posizione avversaria. Sebbene debba rilevarsi una certa faticosa formulazione, anche dovuta alla deduzione, in piu' di un motivo, di errores in procedendo, da valere, in subordine, quali errores in iudicando, l'eccezione puo' essere respinta perche' si riescono a comprendere le ragioni di doglianza. 8.- Il primo e il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente, per essere accomunati da analoghe ragioni di critica alla sentenza gravata, che ripropongono entrambe l'assenza di titolarita' in capo a (OMISSIS) Snc e a (OMISSIS) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, anche se ad essere investita delle deduzioni contenute in ricorso e' prioritariamente la posizione di (OMISSIS). I motivi sono inammissibili perche' mirano ad ottenere una non consentita revisione della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito. Occorre rilevare che la controversia in questione ha ad oggetto una complessa operazione economica negoziale articolata secondo la sequenza preliminare di preliminare (a cio' corrispondendo la promessa di acquisto accettata)-preliminare-definitivo. Per la sua attuazione, la stessa richiedeva chiaramente, come riconosciuto dal Tribunale e confermato dalla Corte di Appello torinese, una pluralita' di atti collegati, che coinvolgevano anche soggetti terzi ( (OMISSIS) e (OMISSIS) Snc). Il collegamento contrattuale puo' infatti coinvolgere anche atti stipulati tra soggetti diversi, "purche' essi siano concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti" (Cass. nn. 13164/2007, 12454/2012), tanto che "la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi simul stabunt, simul cadent" (Cass. n. 7255/2013; n. 21417/2014). Nel caso de quo, il giudice di appello ha vagliato nel merito la questione della legittimazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) Snc, ravvisando lo "stretto collegamento contrattuale" tra la scrittura 19.01.2012 intercorsa tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) Ss e la previsione del trasferimento in permuta dell'azienda di proprieta' di (OMISSIS) Snc, nonche' dei pagamenti fatti da (OMISSIS) al fine di rendere possibile questo trasferimento, qualificando tali pagamenti come giustificati in forza di un rapporto di mutuo tra il medesimo e (OMISSIS) Srl e sottolineando che "il secondo negozio non aveva una sua autonomia, ma l'esclusiva finalita' di dare attuazione al primo". Come hanno affermato reiterati precedenti di questa Corte, "accertare la natura, l'entita', le modalita' e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non e' sindacabile in sede di legittimita', se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici" (Cass. n. 13164/2007; n. 18884/2008; n. 7255/2013; n. 7041/2015). Sostenendo l'estraneita' alle vicende negoziali coinvolgenti (OMISSIS) Snc e ritenendo, contrariamente all'assunto della Corte del merito, che il (OMISSIS) abbia estinto un'obbligazione della (OMISSIS), sicche' nessun rapporto contrattuale egli ha intrattenuto con (OMISSIS) Srl, i ricorrenti prospettano una non consentita, diversa e piu' favorevole interpretazione dei fatti di causa, di fronte ad una motivazione che si presenta logicamente argomentata e giuridicamente corretta. 8.1.- Il primo motivo e' anche infondato. Con lo stesso i ricorrenti deducono la violazione degli articoli 342 e 345 c.p.c., contestando la sentenza perche' avrebbe ritenuto domanda nuova e in quanto tale inammissibile quella, gia' contenuta nella citazione in appello, volta a dolersi dell'ignorato difetto di legittimazione attiva di (OMISSIS) Snc e di (OMISSIS). Si legge in ricorso (pag. 17) che la Corte distrettuale avrebbe ritenuto "censura inammissibile perche' non formulata con l'atto di appello" quella secondo cui le ricorrenti "non avevano alcun dovere nei confronti del (OMISSIS) (locatore del locale ove veniva esercitata l'attivita' svolta tramite l'azienda ceduta in permuta) ovvero del (OMISSIS) e... invece incombeva sulla (OMISSIS) di sanare la morosita' e di soddisfare le richieste di questi, con la conseguenza che il (OMISSIS) avrebbe dovuto far valere il proprio credito nei suoi confronti e non nei confronti di esse appellanti". In realta', la sentenza gravata ha rilevato l'inammissibilita' del solo profilo di gravame inerente alla dedotta irripetibilita' delle somme versate dal (OMISSIS), in quanto adoperate da (OMISSIS) per sanare la morosita' dell'azienda oggetto della permuta e quindi a favore di terzi nei confronti dei quali (OMISSIS) non aveva alcun obbligo, non essendovi nella citazione in appello nessuna argomentazione difensiva di tale genere, introdotta solo in comparsa conclusionale e nelle note di replica in appello. La Corte territoriale non ha quindi negato che l'argomento in base al quale (OMISSIS) Snc e Carrelli non erano titolari delle pretese azionate in giudizio fosse stato prospettato nell'atto di citazione in appello - come sostengono le ricorrenti - ma ha considerato tale argomento una apodittica affermazione, difettando "il benche' minimo riferimento al profilo (rectius, l'irripetibilita' delle somme versate, NDA) introdotto solo successivamente e fondato su presupposti di diritto e di fatto del tutto differenti". Sono gli stessi ricorrenti, d'altra parte, a tentare nella memoria difensiva (pag. 4) di superare il rilievo sostenendo, ma senza esiti, che "la sottolineatura dell'irripetibilita' degli esborsi da parte di costoro (id est, (OMISSIS) Snc e (OMISSIS)) costituisce automatico corollario dell'esclusiva legittimazione ad causam in capo alla Sig.ra (OMISSIS)". Nessuna violazione, dunque, sussiste in relazione alle norme processuali invocate. 8.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti ripropongono la questione del difetto di legittimazione del (OMISSIS) sotto il profilo - questa volta - della violazione dei principi in tema di sostituzione processuale, avendo la sentenza consentito una impropria sostituzione processuale del (OMISSIS) alla (OMISSIS) e dell'erroneo riconoscimento in capo a lui dell'interesse ad agire, che non sussiste. Si dolgono in particolare della qualificazione del rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in termini di contratto di mutuo, come prospettato dai convenuti-appellati, essendo il (OMISSIS) intervenuto con denaro proprio a fornire i fondi occorrenti per liberare l'azienda-pizzeria della (OMISSIS) Snc dai pesi della pregressa locazione, estinguendo in questo modo un'obbligazione della (OMISSIS) e non di (OMISSIS), sicche' il relativo credito sarebbe maturato verso la di lui moglie (emergendo dagli atti di causa il rapporto di coniugio tra (OMISSIS) e (OMISSIS)) e non nei confronti della societa'. A parte che il motivo attinge chiaramente alla qualificazione dei fatti operata dal giudice di merito e quindi ad un profilo non censurabile in questa sede, lo sviluppo argomentativo su cui parte ricorrente si e' concentrata nel motivo di ricorso - come osservato correttamente dai controricorrenti - e' stato proposto dalla Corte ad abundantiam, avendo questa gia' spiegato le regioni di infondatezza del denunciato vizio di carenza di legittimazione attiva ovvero di titolarita' sostanziale, risultando pacifico in causa che l'importo di Euro 35.000,00 e' stato versato direttamente da (OMISSIS) a (OMISSIS), in relazione al trasferimento in permuta dell'attivita' di pizzeria della (OMISSIS) Snc. "Sul punto, va peraltro sottolineata....", si legge in sentenza, l'estraneita' della dazione di Euro 35.000.00 da parte del (OMISSIS) a (OMISSIS) rispetto alla pattuizione del 19/01/2012, posto che il (OMISSIS) non aveva agito come adiectus solutionis causa della (OMISSIS). In altri termini, la qualificazione del rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in termini di mutuo e' argomentazione aggiunta per giustificare la presenza in giudizio del (OMISSIS), anche in forza del richiamo al cumulo di domande connesse. Pertanto, il motivo si qualifica come inammissibile anche perche' si dirige contro un'argomentazione meramente rafforzativa che non spiega influenza sulle ragioni della decisione (da ultimo Cass. n. 18429/2022). Non si comprende poi il riferimento alla violazione della norma sulla datio in solutum, posto che nella sentenza impugnata non viene in considerazione l'articolo 1197 c.c., per la ragione che la datio in solutum presuppone che il debitore si liberi, con il consenso del creditore, eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, mentre nella specie il trasferimento dell'azienda-pizzeria di proprieta' di (OMISSIS) Snc era stato pattiziamente previso come parte del prezzo di acquisto. 10.- Il terzo motivo e' infondato. Accantonata l'eccezione di novita' della censura avanzata dai controricorrenti a pag. 22 del controricorso, che risulta smentita dall'esame da parte della Corte distrettuale del terzo motivo di appello, non risponde al vero che la decisione impugnata difetti di motivazione sul punto. Le argomentazioni per il rigetto dei motivi sono state riportate dagli stessi ricorrenti e contengono anche la censurata "mancata presa di posizione" riguardo alla ammissione delle prove compiuta dal giudice di prime cure. Il che e' ampiamente sufficiente per respingere la critica di omessa pronuncia, che sussiste solo quando il giudice abbia totalmente mancato di decidere su alcuni capi della domanda, posto che l'insufficiente esame dell'argomentazione delle parti integra semmai un vizio di natura diversa, ma non incide sulla sussistenza del momento decisorio (Cass. n. 5730/2020). Non sussiste dunque alcuna violazione dell'articolo 112 c.p.c., ma neppure delle norme che regolano l'ammissione della prova testimoniale, come specificate - in presenza di contratti redatti in forma scritta o che debbano essere modificati solo con forma convenzionale ad substantiam - dalla giurisprudenza della Corte (per l'affermazione che la prova testimoniale deve ritenersi ammissibile quando essa non miri ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volonta' negoziale: Cass. nn. 1742/22; 5071/2007). Con motivazione insindacabile se correttamente argomentata, come nella specie, la Corte di merito ha accertato che i capitoli avevano un contenuto tale da non integrare il divieto dell'articolo 2721 c.c., che le prove orali non erano state decisive poiche' il Tribunale aveva fondato il suo convincimento sui documenti a cui i capitoli si riferivano e che comunque erano state utilizzate in relazione ad aspetti estranei alle pattuizioni di cui alla scrittura del 19.01.2012. 11.- Parimenti infondato e' il quarto motivo. Con esso le ricorrenti contestano la sentenza, denunciandone la nullita' per avere ritenuto la formazione del giudicato sulla non inadempienza della (OMISSIS), a causa della mancata impugnazione sul punto. La decisione gravata, con motivazione adeguata e puntuale rispetto alla formulazione e al contenuto dei motivi di appello, conferma che nessuno di questi ha investito il punto disatteso dal primo giudice. Il fatto che nella comparsa conclusionale di primo grado di parte ricorrente, in ordine al quinto motivo di appello ("significativamente" intitolato "dell'inadempimento delle parti appellanti"), si introducessero considerazioni riguardo all'inadempimento della (OMISSIS) a nulla rileva, per non essere stata la specifica statuizione oggetto di gravame. L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall'articolo 342 c.p.c., determina l'inammissibilita' dell'impugnazione e costituisce un limite alla possibilita' stessa per il giudice di appello di rilevare d'ufficio questioni attinenti al merito della res iudicanda. Di nessun pregio appaiono le argomentazioni addotte in ricorso e dirette a segnalare che l'atto di appello era volto ad ottenere la riforma totale dell'impugnata sentenza e l'accoglimento delle domande gia' spiegate in primo grado. Anche a volere ritenere, in conformita' a taluni precedenti di questa Corte, che, quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell'atto di appello risulti la volonta' di sottoporre l'intera controversia al giudice dell'impugnazione, il giudice di appello "e' tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell'integrale impugnazione della prima pronuncia" (Cass. n. 17013/2010), resta decisivo il passaggio della motivazione del giudice di appello sul contrasto della volonta' di impugnare l'affermato adempimento della (OMISSIS) con il tenore dei motivi di appello (che hanno messo in discussione non gia' l'inadempimento della (OMISSIS) ma esclusivamente la scarsa importanza di quello delle ricorrenti) e il palese contrasto di questi con l'ottavo motivo, con il quale le appellanti deducevano che la (OMISSIS) avrebbe dovuto intimare loro una diffida ad adempiere, che - come noto - deve provenire dalla parte adempiente. La decisione impugnata fa dunque corretta applicazione dei principi in tema di distribuzione degli oneri probatori, posto che spettava alla (OMISSIS), che agiva in risoluzione, di dare unicamente dimostrazione del titolo, ossia del contratto di cui si invoca la risoluzione e dell'eventuale termine di scadenza previsto per l'adempimento, nonche' allegare l'inadempimento della controparte (Cass. n. 826/2015; Cass. n. 15659/2011; Cass. S.U. n. 13533/2001) e motiva correttamente anche sulla non scarsa importanza dell'inadempimento delle ricorrenti, rilevando che gli attuali ricorrenti non hanno provveduto ad adempiere alla consegna della documentazione idonea a dimostrare la legittimita' amministrativa degli immobili oggetto di cessione in funzione della stipulazione del contratto di compravendita, "negando in radice di essere tenute a fornire detta documentazione". 12.- Anche il quinto motivo e' infondato. Si legge nella sentenza impugnata che non e' onere dell'acquirente quello di procurarsi la documentazione necessaria alla stipula, ma che il rilascio della stessa compete alle cedenti, "quale effetto naturale della loro accettazione della proposta della (OMISSIS) ed anche a prescindere da specifiche clausole che la prevedano espressamente, trattandosi di accertamenti e dell'acquisizione di documentazione da cui desumersi la regolarita' amministrativa dei beni oggetto di cessione da parte loro". La Corte di appello individua dunque nella volonta' delle parti la fonte dell'obbligo di consegna della documentazione attinente alla regolarita' amministrativa dei locali dove si svolgeva l'attivita' di ristorazione. Secondo le ricorrenti, invece, tale obbligo non poteva derivare dalla legge, atteso che quanto previsto dall'articolo 1477 c.c., u.c. attiene al contratto definitivo di compravendita, ma neppure dalla volonta' delle parti, non essendovi traccia, nella scrittura privata, di assunzione di un tale impegno da parte loro. Va ricordato che nel caso di specie si e' al cospetto, come gia' si e' detto (supra, § 8), di una operazione negoziale complessa (avviata con un preliminare di preliminare, gia' impegnativo per le parti: Cass. S.U. n. 4628/2015) che coinvolgeva, oltre la vendita degli immobili, anche la cessione di azienda (il trasferimento dell'attivita' di ristorazione, dunque, con i locali, il terreno adibito a parcheggio e tutti i cespiti, dehor compreso, impiegati per lo svolgimento di questa attivita'), con un programma "esecutivo" che prevedeva la "presa di possesso del locale e dell'attivita'" entro il 1 maggio 2012, dopo la stipula del preliminare fissata al 19 marzo 2012 ma prima della stipula del contratto definitivo da sottoscriversi "entro i 30 giorni successivi alla firma del preliminare e comunque dopo il frazionamento". Il perseguimento di questo scopo e la realizzazione dell'interesse degli acquirenti richiedeva la dimostrazione, da parte delle cedenti, della possibilita' di un regolare esercizio dell'attivita' promessa in vendita prima della stipulazione del contratto definitivo, visto anche il rilevante valore economico dell'acquisto (Euro 1.200.000,00). Questo "effetto naturale" dell'impegno assunto, come lo definisce il giudice a quo, anche non codificato in una specifica pattuizione, trova il suo fondamento nell'interpretazione del contratto secondo il canone della buona fede, che impone di non frustrare l'altrui interesse oltre il ragionevole sacrificio del proprio, "avuto riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contatto, e quindi alla relativa causa concreta" (Cass. 34795/2021). La decisione gravata, dopo avere precisato che non vi e' in atti prova della regolarita' amministrativa dei beni oggetto della cessione, che, tra l'altro "riguardando un'attivita' di ristorazione, presupponevano non solo la regolarita' degli immobili e della loro destinazione ma anche degli impianti destinati all'esercizio di tale attivita'", ha ricostruito puntualmente il comportamento delle parti richiamando anche la lettera datata 10 luglio 2012 con cui la (OMISSIS) aveva intimato a (OMISSIS) e a (OMISSIS) Ss di provvedere alla consegna della documentazione idonea a dimostrare la legittimita' amministrativa degli immobili oggetto di cessione, ritenendola necessaria ai fini della redazione non solo del "compromesso", ma del "contratto di compravendita valido per il subentro alla proprieta'". Questa richiesta non e' stata evasa dalle ricorrenti che hanno negato in radice di essere tenute a fornire detta documentazione, come gia' ricordato, con cio' assumendo - scorrettamente - una posizione di mancata collaborazione per la riuscita dell'operazione contrattuale (si legge a pag. 16 della sentenza: "Se anche la (OMISSIS) aveva messo a disposizione delle cedenti l'arch. (OMISSIS) esse dovevano comunque cooperare e non potevano imporre alla prima tutta una serie di attivita' che contrattualmente non le competevano"). In questo contesto il censurato richiamo compiuto dal giudice di seconde cure all'articolo 1477 c.c. e' chiaramente rafforzativo dei risultati dovuti alla condivisibile operazione di interpretazione della volonta' delle parti, come si evince dall'incipit del periodo ("... anche perche' ex articolo 1477 c.c., u.c. rientra tra le obbligazioni del venditore quella di consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprieta' e all'uso della cosa venduta"). Non sussiste di conseguenza alcuna violazione delle norme denunciate con il mezzo di gravame. 13.- Il sesto motivo e' anch'esso infondato, posto che la Corte di Appello di Torino ha correttamente rilevato la mancanza di prova dei ricorrenti in ordine all'impossibilita' incolpevole di produrre la documentazione con l'atto di appello, compresi i documenti allegati alla denuncia penale sporta contro il teste arch. (OMISSIS). Di nessun pregio il rilievo di parte ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe doppiamente errato in quanto almeno uno di questi documenti allegati alla denuncia penale sporta contro il teste arch. (OMISSIS) (la dichiarazione dell'arch. (OMISSIS) allegata sub n. 11) reca la data del 14.01.2015. Anche per esso manca la prova dell'impossibilita' di non averlo potuto produrre prima (a dispetto della data, l'incarico all'arch. (OMISSIS) avrebbe potuto essere dato in anticipo) e trattasi comunque di dichiarazione di professionista di parte, che al piu' puo' valere come allegazione difensiva, incapace di inficiare la conclusione della sentenza. 14.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. 15.- Stante l'esito, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condannando parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 12.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali forfettarie e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE QUARTA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Anna Mantovani - Presidente relatore dr. Irene Lupo - Consigliere dr. Francesca Vullo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 1433/2021 promossa in grado d'appello DA (...) SRL (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in PIAZZA (...) 00186 ROMA presso lo studio dell'avv. GU.FE., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLANTE CONTRO (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20135 MILANO presso lo studio dell'avv. GE.DA., che lo rappresenta e difende come da delega in atti, APPELLATO avente ad oggetto: Vendita di cose immobili SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) ha convenuto in giudizio (...) s.r.l. chiedendo al Tribunale di Milano di accertare la legittimità del proprio recesso, ex art. 1385, co. 2, c.c., con conseguente condanna di parte convenuta al pagamento della somma di Euro 450.000,00, oltre interessi, e, in via alternativa, di dichiarare la risoluzione, per inadempimento di (...), del contratto preliminare di compravendita concluso dalle parti in data 14/11/2016, con condanna di parte convenuta alla restituzione di Euro 300.000,00, oltre interessi, nonché al risarcimento del danno. A fondamento delle proprie domande, (...) ha esposto di aver stipulato in data 14/11/2016 con (...) - quale impresa costruttrice e promittente venditrice - un contratto preliminare avente ad oggetto l'acquisto di un appartamento, un box e di una cantina, in costruzione, con impegno a rogitare entro il 30/10/2017, con corrispettivo pattuito in complessivi Euro 750.000,00. Alla sottoscrizione del contratto preliminare, aveva provveduto al versamento dell'importo di Euro 150.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, e in data 04/04/2017 aveva versato l'ulteriore importo di Euro 150.000,00 a titolo d'acconto prezzo, come previsto da contratto. Ha esposto altresì di aver denunziato già da maggio 2017, e poi in via formale in data 13/09/2017, con mail indirizzata al Direttore dei Lavori, irregolarità inerenti ai canali di scolo delle acque piovane dei balconi aggettanti (c.d. doccioni). In assenza di adeguato riscontro, in data 24 novembre 2017 il proprio procuratore aveva inviato a mezzo pec una missiva con cui si chiedeva formalmente la consegna immediata del certificato di agibilità dell'immobile, dell'attestazione in conformità dell'appartamento, del vincolo di asservimento dell'area datata 10/03/2016, ed in cui veniva specificamente richiesta un'assunzione di responsabilità da parte del venditore per le irregolarità edilizie eccepite, il tutto entro il termine di gg. 15. Con la stessa mail, si invitava Costruiremilano alla stipula del definitivo nel termine massimo del 29 dicembre 2017. Ha spiegato che, in riscontro a tali comunicazioni, in data 1 dicembre 2017 l'avvocato della società (...), dopo aver negato ogni addebito, a sua volta invitava la (...) alla stipula del rogito per la data del 29 dicembre 2017, dichiarando altresì che la società aveva ultimato l'esecuzione dei lavori. In data 15 dicembre 2017, però, la stessa (...) comunicava formalmente alla (...) l'intenzione di non presentarsi all'incontro per la sottoscrizione del definitivo, sull'assunto che nulla avrebbe fatto promittente venditrice al fine di porre rimedio alle irregolarità contestate. In data 29 dicembre 2017, preso atto della mancata presenza di (...) avanti al notaio, (...) ha comunicato alla promissaria acquirente il proprio recesso, con conseguente risoluzione del contratto di compravendita. A seguito di tale vicenda, (...) ha agito in giudizio, in sintesi deducendo l'inadempimento di (...), per il fatto di non aver portato a termine i lavori di costruzione e completamento dell'appartamento promesso in vendita entro il termine contrattualmente convenuto, da ritenersi quale termine essenziale; nonché la irregolarità edilizia dell'appartamento medesimo, per avere la società costruttrice realizzato pluviali di facciata ("doccioni") che scaricano acqua piovana direttamente in strada anziché all'interno dei canali di raccolta in fogna. Ha quindi chiesto, in via principale, che venisse accertato il grave inadempimento della convenuta e, conseguentemente, la legittimità del proprio recesso ex art. 1385 c.c., con condanna di (...) al pagamento dell'importo di Euro 450.000,00 (pari al doppio della caparra, di Euro 150.000,00, oltre alla restituzione degli ulteriori Euro 150.000,00, versati a titolo di acconto del prezzo), oltre interessi. In via alternativa, ha chiesto che venisse dichiarata la risoluzione del preliminare di vendita del 14/11/2016, per fatto e colpa della promittente venditrice, con condanna di quest'ultima alla restituzione della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi ed oltre risarcimento del danno. Si è regolarmente costituita (...) s.r.l., contestando l'ammissibilità nonché il fondamento della rappresentazione attorea. Nel merito, ha eccepito che l'appartamento promesso in vendita sarebbe stato ultimato a regola d'arte e nel rispetto delle normative edilizie e che lo stesso sarebbe stato in realtà pronto per l'uso sin da data antecedente a quella fissata per la stipula (29 dicembre 2017). Contestando le censure di parte attrice, ha in particolare evidenziato la regolarità dei canali di scolo relativi ai balconi dell'immobile promesso in vendita, in quanto conformi all'art. 11, comma 6, dell'allegato RRIF (Regolamento per le reti interne di fognatura dei fabbricati ed il loro scarico finale) al Regolamento Edilizio di Milano, dalla cui lettura si evincerebbe la piena legittimità dei doccioni di cui trattasi con scarico diretto su strada delle acque meteoriche. In ogni caso, ha dedotto la scarsa importanza delle irregolarità contestate da parte attrice, inidonee, in quanto tali, a costituire motivo legittimante il recesso dal contratto. Ha quindi chiesto il rigetto di tutte le domande di (...), a ragione dell'insussistenza del ritardo nell'ultimazione dei lavori nonché dell'inesistenza, o, comunque, della scarsa importanza del preteso inadempimento relativo ai doccioni, in ogni caso inidoneo a giustificare il rifiuto alla stipula del definitivo. In via riconvenzionale, (...) ha chiesto a sua volta che venisse dichiarata la legittimità del proprio recesso, comunicato con lettera del 29 dicembre 2017, in conformità alla clausola risolutiva espressa contenuta nell'articolo 12 del contratto preliminare, che attribuisce alla parte promittente venditrice la facoltà di sciogliere il vincolo contrattuale ai sensi degli artt. 1456 e 1385 c.c. nel caso di mancata presentazione della parte promissaria acquirente alla stipula dell'atto definitivo. Per l'effetto, ha chiesto che venisse dichiarato il proprio diritto di ritenere la caparra confirmatoria versata dalla (...) (Euro 150.000,00), ai sensi dell'art. 1385, co. 2, c.c.. Sempre in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna di controparte al pagamento a proprio favore degli importi sostenuti per l'esecuzione di opere extracapitolato, oggetto di distinto contratto d'appalto, per Euro 13.805,91, nonché per la loro successiva rimozione, per Euro 28.850,00, oltre interessi, per una somma complessiva di Euro 42.655,91. Ha comunque offerto la restituzione in favore della promissaria acquirente della somma percepita a titolo di acconto sul prezzo (Euro 150.000,00), al netto di quanto da quest'ultima dovuto per le opere extracapitolato e per le spese di rimozione, chiedendo altresì che la (...) restituisse le due fideiussioni di Euro 150.000,00 ciascuna, emesse dalla (...), e consegnate alla promissaria acquirente in sede di sottoscrizione del contratto preliminare e in occasione del versamento dell'acconto del prezzo. Da ultimo, ha chiesto la condanna di (...) ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Il giudice ha disposto, ai sensi dell'art. 186 ter c.p.c., il pagamento da parte di (...) in favore dell'attrice della sola somma non contestata di Euro 107.344,09, come risultate dall'acconto prezzo a suo tempo versato, previa deduzione dell'importo di Euro 42.655,91, richiesto da (...) in via riconvenzionale per le personalizzazioni richieste e per la rimozione delle stesse. Nelle more del processo (...) ha instaurato procedimento cautelare incidentale per sequestro conservativo sui beni di proprietà di (...) s.r.l., che è stato rigettato per difetto di periculum in mora. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3184/2021, ha accertato la legittimità del recesso di (...) in relazione al contratto preliminare di compravendita concluso in data 14/11/2016 con (...) s.r.l., ed ha rigettato le altre domande riconvenzionali proposte dalla convenuta nei confronti della (...), con condanna di (...) a corrispondere all'attrice la complessiva somma di Euro 342.655,91, pari al doppio della caparra versata ed alla parte residua di acconto prezzo versato e non ancora restituito dalla (...), oltre interessi sino al soddisfo. Ha invece condannato parte attrice a restituire alla convenuta le due fideiussioni da quest'ultima rilasciate ed emesse dalla (...), per Euro 150.000,00 ciascuna. Infine, ha condannato (...) alla refusione di due terzi delle spese legali sostenute da (...), con compensazione di un terzo, ed ha rigettato le domande di condanna per responsabilità processuale aggravata rispettivamente proposte dalle parti. Il primo giudice, dopo aver ritenuto non essenziale il termine previsto nel preliminare di vendita per la stipula del contratto definitivo (20/10/2017), ha anzitutto escluso, sotto questo profilo, l'inadempimento imputabile di (...), in quanto i lavori inerenti all'immobile promesso in vendita risultavano ultimati nei primi di dicembre, e, dunque, nei termini in cui ambo le parti si erano rese disponibili per la sottoscrizione del contratto definitivo. Ha invece ritenuto fondata la contestazione attorea in merito alla pretesa irregolarità degli scarichi d'acqua dei balconi aggettanti a quella data, come emergerebbe dalle due ordinanze di regolarizzazione emesse dal Comune di Milano, in data 5 aprile 2018, e 20 novembre 2018. Ha qualificato tali irregolarità alla stregua di "onere non apparente" gravante sulla cosa venduta ai sensi dell'art. 1489 c.c., consistente nel persistere del potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di regolarizzazione), tale da poter incidere sul libero godimento del bene e sul suo valore. Con il che, ha ritenuto la gravità dell'inadempimento del promittente venditore e ha dichiarato, per l'effetto, la legittimità del recesso di (...) dal contratto preliminare, con condanna della convenuta, ai sensi dell'art. 1385, co. 2 c.c., alla corresponsione in favore dell'attrice del doppio della caparra ricevuta (pari ad Euro 300.000,00), oltre interessi. In conseguenza di tale specifico profilo d'inadempimento imputabile a Costruendo, il primo giudice ha rigettato la speculare domanda riconvenzionale di parte convenuta ex art. 1385, co. 2, c.c. Quanto alla domanda di restituzione dell'acconto di prezzo di Euro 150.000,00, ha condannato (...) nei limiti della somma di Euro 42.655,91, posto che Euro 107.344,09 erano già stati corrisposti in corso di causa. Ha quindi respinto la domanda riconvenzionale di (...), con cui si chiedeva accertarsi il suo diritto - trattenendo l'importo da quanto dovuto a titolo di restituzione - al pagamento del corrispettivo per Euro 42.655,91, a titolo di adempimento del contratto di appalto ed a titolo di rimborso delle spese sostenute per rimuovere le modifiche apportate su richiesta. Precisamente, quanto al valore pattuito per la realizzazione di opere di personalizzazione (Euro 13.805,91), ha affermato che a nulla è tenuta (...) non essendosi il contratto definitivo concluso per colpa di C.. In ordine, invece, ai costi di rimozione delle stesse (Euro 28.850,00), ha escluso il diritto di (...) di pretendere i relativi importi in quanto le prove orali assunte non avrebbero dato atto di tale circostanza. Ha invece accolto la domanda riconvenzionale di parte convenuta relativa alla restituzione delle due fideiussioni rilasciate da (...) ed emesse dalla (...), con condanna di (...) alla restituzione in favore della società costruttrice di Euro 150.000,00, per ciascuna di esse. In punto di spese processuali, in considerazione della soccombenza di parte attrice in riferimento all'istanza di procedimento cautelare incidentale, ne ha disposto la compensazione per un terzo, e ha condannato (...) alla refusione in favore di (...) per i residui due terzi. Infine, ha rigettato le domande ex art. 96 c.p.c. rispettivamente proposte dalle parti. Avverso la citata sentenza ha proposto appello (...) s.r.l., chiedendo l'integrale riforma e sollevando sei sostanziali motivi di gravame: I. Con il primo motivo d'appello, ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ravvisato l'inadempimento imputabile a (...) in riferimento all'irregolare collocazione dei canali di scarico acque (doccioni). Contrariamente alla ricostruzione del primo giudicante, ha evidenziato di aver realizzato detti scarichi, relativi ai balconi, in conformità al progetto approvato dal Comune di Milano all'esito di una conferenza di servizi alla quale aveva preso parte, mediante rilascio di parere positivo del 10 giugno 2016, lo stesso Ufficio Fognature; nonché che erano state rispettate le disposizioni del nuovo regolamento fognature del Comune di Milano (art. 11, comma 6, dell'allegato RRIF al Regolamento Edilizio di Milano). Parte appellante, quindi, ha dedotto il proprio affidamento incolpevole circa la regolarità di dette opere, regolarità che veniva solo più tardi disconosciuta con ordinanza di regolarizzazione del 5 aprile 2018 del Comune di Milano. Sul punto, ha altresì evidenziato la scarsa rilevanza dei rilievi segnalati dall'Ufficio Fognature, dal momento che le pretese difformità sarebbero state pacificate con una proposta di definizione concordata, approvata dal Comune medesimo, in data 6 giugno 2018, e con cui (...) ha superato i rilievi, sostenendo un esborso di soli Euro 240,00 per piano. Invece, quanto alla seconda ordinanza di regolarizzazione del 20 novembre 2018, altresì invocata dal primo giudice a fondamento del proprio decisium, ha spiegato che la stessa avrebbe riguardato rilievi del tutto diversi da quelli sollevati con ordinanza del 5 aprile 2018, ed attinenti, piuttosto, ad uno scarico relativo al tetto del fabbricato (e che, dunque, nulla aveva a che vedere con i balconi aggettanti su suolo pubblico di cui alla precedente ordinanza); II. con il secondo motivo, ha chiesto di accertarsi la nullità della sentenza per violazione dell'art. 101, co. 2, c.p.c., per aver il primo giudice d'ufficio riqualificato la domanda di recesso della (...) come legittima in conseguenza della affermata esistenza di un "onere non apparente" sul bene promesso di vendita, ai sensi dell'art. 1489 c.c., prospettazione mai sottoposta all'attenzione delle parti, e sulla quale, dunque, non si sarebbe correttamente formato il contraddittorio; III. con un terzo sostanziale motivo (segnatamente, motivi III, IV e V) ha censurato la sentenza nella parte in cui avrebbe erroneamente ritenuto l'applicabilità dell'art. 1489 c.c., nonché l'imputabilità dell'inadempimento in questione. Ha infatti spiegato che l'art. 1489 c.c., dettato in materia di "vizi non apparenti", non avrebbe potuto trovare applicazione, non solo per la materialità e riconoscibilità dei vizi denunciati relativi ai doccioni, ma anche in quanto il preteso onere non apparente, contrariamente a quanto affermato dal giudice, non avrebbe affatto limitato il libero godimento del bene promesso in vendita, ulteriore condizione necessaria per invocare l'applicazione della citata norma. In ogni caso, ha escluso l'imputabilità a sé di pretesi vizi, posto che, alla data del 29 dicembre 2017, per la parte promittente venditrice la progettazione dei doccioni doveva ritenersi perfettamente regolare in quanto realizzatasi per come a quella data autorizzato dal Comune di Milano insieme al Permesso di Costruire; IV. con un quarto sostanziale motivo (segnatamente, motivo VI), lamenta il fatto che il primo giudice avrebbe omesso ogni indagine relativamente alla gravità del preteso inadempimento di (...) in rapporto all'economia generale del contratto. In particolare, ha esposto che (...) ha rimediato al preteso inadempimento con un complessivo esborso appena superiore ad Euro 500,00 (considerato il costo dell'intervento e la sanzione), dunque vistosamente sproporzionato rispetto al danno da mancata vendita di Euro 750.000,00, al quale andava incontro (...) medesima a causa del rifiuto a contrarre di (...); V. con un quinto sostanziale motivo (segnatamente, motivo VII), l'appellante ha riproposto le domande riconvenzionali già svolte nel primo grado, con cui chiede l'accertamento della legittimità del recesso di (...) dal contratto preliminare e la declaratoria del diritto a ritenere la caparra confirmatoria di Euro 150.000,00; nonché la condanna della (...) a corrispondere i costi sostenuti per la realizzazione delle opere di personalizzazione commissionate alla (...) sulla base del separato e distinto contratto di appalto stipulato tra le parti; VI. con un sesto ed ultimo motivo (segnatamente, motivo VIII), ha censurato la sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna di (...) alla refusione delle spese in favore di (...) per i due terzi, sul punto adducendo che, la corretta comparazione di tutte le domande svolte da (...) e rigettate dal primo giudice, avrebbe dovuto portare quantomeno ad una compensazione integrale. Si è ritualmente costituita (...), contestando la fondatezza dell'appello ex adverso proposto e insistendo per l'integrale conferma della sentenza impugnata. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello proposto da (...) s.r.l. è fondato, nei limiti di seguito esposti, e per le ragioni che seguono la sentenza emessa dal Tribunale di Milano deve essere riformata. 1. Anzitutto, occorre evidenziare che, ai fini del presente giudizio, deve preliminarmente essere valutata la censura svolta dall'appellante rispetto alla decisione del tribunale che ha ritenuto legittimo il recesso di (...), ai sensi e per gli effetti dell'art. 1385, co. 2, c.c. L'appellante (...) ha dedotto che, relativamente al preliminare di compravendita immobiliare, concluso con (...) in data 14/11/2016, parte promissaria acquirente si sarebbe resa inadempiente all'obbligo di stipula del definitivo alla data che era stata comunicata del 29 dicembre 2017. Ha infatti spiegato che, per via di pretese difformità urbanistiche relative all'immobile medio tempore riscontrate da parte di tecnici incaricati dalla (...), quest'ultima decideva di non presentarsi all'appuntamento fissato innanzi a notaio in quella data. In ragione di tale mancata presentazione, con una pec dello stesso giorno, (...) ha comunicato di avvalersi della clausola risolutiva prevista nel preliminare di vendita, con automatico scioglimento del vincolo contrattuale. Dal canto suo, a fronte di tale vicenda, (...) ha citato in giudizio (...), chiedendo che fosse accertato il grave inadempimento della convenuta ex art. 1455 c.c. e, per diretta conseguenza, la legittimità del proprio recesso ex art. 1385, co. 2, c.c., in sintesi dolendosi del ritardo nel completamento dell'appartamento nonché delle irregolarità dei "doccioni" di scarico delle acque realizzati sui balconi aggettanti della palazzina. 1.1. A tal riguardo, deve premettersi che, tra i diversi profili di censura, (...), nei motivi secondo e terzo, ha lamentato che il giudice di prime cure avrebbe, d'ufficio, autonomamente ritenuto legittimo il recesso dell' odierna appellata in conseguenza della esistenza di un "onere non apparente" sul bene promesso in vendita, ai sensi dell'art. 1489 c.c., consistente nel persistere del potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di regolarizzazione), tale da poter incidere sul libero godimento del bene e sul suo valore. Ebbene, si deve ritenere, per contro, che la vicenda per cui è causa deve essere interpretata e trattata proprio quale accertamento della legittimità del diritto di recesso ex art. 1385, co. 2, c.c. esercitato dalla promissaria acquirente, e non alla guisa di vendita gravata da vincolo non apparente - ossia non visibile e non percepibile - ai sensi e per gli effetti dell'art. 1489 c.c. Ciò, non solo perchè si tratta di una ricostruzione della vicenda mai prospetta dalle parti in causa, ed ai limiti del potere di ri-qualificazione delle domande giudiziali di cui il giudice dispone, ma oltretutto in quanto una simile interpretazione del contenuto sostanziale della domanda della (...) non risulta nemmeno strettamente confacente rispetto ai caratteri della presente controversia, che verte attorno ad un vizio attinente alla "materialità" del bene compravenduto (in particolare, vizio dei doccioni), oltretutto visibile e percepibile da controparte. Da ultimo, si aggiunga che l'art. 1489 c.c. non avrebbe potuto comunque trovare applicazione alla luce del fatto che, come meglio verrà di seguito affrontato, il preteso "onere non apparente" non limitava il libero godimento del bene promesso in vendita, ulteriore condizione necessaria per invocare la detta norma. 1.2. Tanto chiarito, si osserva ora che, tenuto conto della finalità economica del rapporto contrattuale, ed alla luce altresì della necessaria comparazione tra gli inadempimenti reciproci, come dedotti da ambo le parti in causa, si evince chiaramente che la promissaria acquirente si è rifiutata di concludere il definitivo - rendendosi dunque pacificamente del tutto inadempiente alla propria obbligazione di conclusione del definitivo - in ragione di una problematica di scarsa importanza, con la conseguenza che il recesso di (...) dal vincolo contrattuale non può ritenersi legittimo. S'impone, al riguardo, il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che la disciplina dettata dall'art. 1385, co. 2, c.c., in tema di recesso per inadempimento nell'ipotesi in cui sia stata prestata caparra confirmatoria, non costituisce una deroga alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che allorquando siano prospettati inadempimenti reciproci, il giudice deve adottare quegli stessi criteri che si applicano nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, e, dunque, dovrà procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambi i contraenti in relazione al contratto, di modo da stabilire quale di essi abbia fatto venire meno, con il proprio comportamento, l'interesse dell'altro al mantenimento del negozio (Cass. 9317/16). Nel caso di specie, la promissaria acquirente si è sottratta all'obbligo di stipula di un contratto definitivo del valore di Euro 750.000,00 (per il quale erano già stati versati Euro 300.000,00) a fronte di una problematica risolta con Euro 240,00 (oltre ad una sanzione di Euro 266,00). Parte appellante ha infatti diffusamente spiegato che l'irregolarità accertata con ordinanza di regolarizzazione del Comune di Milano del 5 aprile 2018, in riferimento al sistema di scarico dei balconi aggettanti, è stata risolta con una definizione concordata nella quale (...) ha proposto di superare i detti rilievi a fronte di un esborso minimo pari ad Euro 240,00 per balcone; che tale proposta è stata approvata dall'Ufficio Fognature e che la stessa è stata attuata dalla società, come attestato con documentazione del 31 luglio 2018, e che per le predette irregolarità la sanzione amministrativa irrogata è stata pari ad Euro 266,00, dunque molto contenuta. Quanto emerso porta ad escludere la gravità dell'inadempimento di (...), che è stato rimediato con esborso pari a circa Euro 500,00, rispetto ad un contratto del controvalore di Euro 750.000,00, e, al contempo, a negare la legittimità del recesso di (...), in quanto visibilmente sproporzionato rispetto al risibile valore dei contestati vizi. Ulteriormente, si osserva che un simile giudizio di bilanciamento tra reciproci inadempimenti deve essere effettuato avendo quale riferimento temporale il 29 dicembre 2017, data in cui avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo, anche su espressa richiesta della P.. Giova infatti evidenziare che, a quel momento, non si erano ancora conclusi i controlli amministrativi volti a rilevare le irregolarità urbanistiche, quest'ultimi ultimatisi solo al più tardi, in pendenza del primo grado di giudizio, e comunque a rapporti contrattuali già interrotti. Sicché, a fortori, deve ritenersi del tutto ingiustificata la condotta di (...) che, pur non avendo avuto a quella data piena contezza circa le difformità emerse, decideva comunque di non presentarsi alla sottoscrizione del rogito. Inoltre, è la stessa promissaria che, dopo aver sollevato per la prima volta i dubbi circa il deflusso delle acque meteoriche dei balconi aggettanti, per il tramite del proprio architetto incaricato, in data 13 settembre 2017, con una successiva pec del 24 novembre 2017, forzava i termini per la stipula del definitivo, esortandone la conclusione, di fatto precludendo ogni tentativo di verifica della portata dei vizi e della loro emendabilità. 1.3. Da ultimo, si evidenzia che la sproporzione tra i reciproci inadempimenti, oltre a rilevare in via del tutto inequivoca dal raffronto tra il prezzo pattuito per la vendita, da un lato, ed i costi sostenuti da (...) per riparare alle dette irregolarità urbanistiche, dall'altro, può altresì desumersi dal carattere recessivo che assumono siffatte contestazioni in merito alla stessa funzione economica del bene. Si osserva infatti che, ai fini dell'inadempimento, è necessario verificare l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al godimento ed alla commerciabilità del bene portato in contratto. Ebbene, si deve ritenere che le irregolarità dei doccioni, censurate dalla (...) in prossimità della stipula del definitivo, non incidono, in quanto tali, sull'attitudine dell'immobile promesso in vendita ad assolvere la sua funzione economica-sociale. Di ciò ne è ulteriore prova il fatto che a distanza di qualche mese, nel marzo 2018, lo stesso immobile veniva acquistato da un nuovo acquirente, a prezzo sostanzialmente immutato (Euro 730.000,00). 1.4. Alla luce di tutto quanto emerso, deve perciò accogliersi il primo motivo d'appello (e, di conseguenza, le ragioni sottese ai motivi III, IV, V e VI), non essendo ravvisabile, per contro, un inadempimento imputabile di (...), che, per un verso non poteva ritenersi inadempiente per ritardata consegna, come già affermato dal giudice di primo grado, affermazione non più censurata dalla (...) (che non ha svolto appello incidentale sul punto), e che quindi, a fronte dell'ingiustificato rifiuto in relazione alla conclusione del definitivo di vendita da parte di (...), si è legittimamente avvalsa della clausola risolutiva di cui in contratto, che attribuiva alla promittente venditrice la facoltà di sciogliere il vincolo contrattuale nel caso di mancata presentazione della promissaria acquirente alla stipula del definitivo. Ne consegue, per l'effetto, il rigetto della domanda svolta dalla (...) di accertamento dell'inadempimento di (...), e per contro l'accertamento del diritto di (...) al trattenimento della caparra per Euro 150.000,00, in accoglimento parziale del sostanziale quinto motivo d'appello (segnatamente, motivo VII), con cui (...) ha riproposto la domanda riconvenzionale ex art. 1385, co. 2, c.c. La decisione del Tribunale quindi, relativamente a tali domande, viene integralmente riformata. 2. Non può invece essere accolta la seconda e distinta domanda riconvenzionale svolta in primo grado da (...), e riproposta in appello nel contesto del quinto motivo di censura (segnatamente, motivo VII), con cui si chiede il pagamento della complessiva somma di Euro 42.655,91 a titolo di adempimento del secondo e distinto contratto appalto, per opere extracapitolato richieste da parte promissaria acquirente, ed a titolo di rimborso delle spese sostenute per la rimozione di dette modifiche. Quanto al valore delle opere realizzate, previsto in contratto per Euro 13.805,91, si deve infatti ritenere che, trovando il contratto in questione propria giustificazione causale nel trasferimento della proprietà dell'appartamento, ed essendo tale contratto risolto, nulla è dovuto a (...) per l'esecuzione delle opere medesime. In riferimento ai costi di rimozione, quantificati da (...) per Euro 28.850,00, dagli atti di causa non emerge con sufficiente chiarezza la prova che la società costruttrice avrebbe effettivamente provveduto alla rimozione di dette opere. Non solo, infatti, l'escussione dei testi, nel primo grado, farebbe ritenere che (...) nulla avesse fatto a dispetto di quanto dalla stessa asserito (il Direttore Lavori sul punto aveva dichiarato che "Da quanto ho potuto verificare fino alla consegna dell'immobile al nuovo acquirente, le modifiche extracapitolato realizzate su richiesta della Sig.ra (...) non sono state rimosse dalla convenuta"), ma è altresì verosimile che le opere di personalizzazione siano rimaste nell'appartamento di cui è causa all'odierno proprietario, se è vero che l'immobile originariamente promesso in vendita alla (...) veniva di lì a poco trasferito in proprietà ad un nuovo acquirente, nel marzo 2018. A tal riguardo, si aggiunga altresì che da detto secondo contratto di compravendita immobiliare si desume chiaramente che le opere di personalizzazione eseguite dalla società su richiesta della (...) non hanno comportato alcuna significativa diminuzione del valore dell'immobile medesimo, posto che lo stesso veniva venduto per un importo simile al pattuito (Euro 730.000,00). Quindi sul punto resta ferma la statuizione del tribunale che ha condannato (...) alla restituzione dell'importo di Euro 42.655,91, che la stessa aveva trattenuto quando ha restituito l'importo relativo all'acconto prezzo. Conclusivamente, deve essere riformata la sentenza di primo grado nel senso che viene esclusa la condanna di (...) al pagamento in favore di (...) dell'importo di Euro 300.000,00, mentre resta fermo il capo in cui (...) è stata condannata alla restituzione di Euro 42.655,91, come sopra espresso. Sulla base di tale decisione, nel caso in cui vi sia stato il pagamento da parte dell'appellante dell'importo stabilito dal giudice di primo grado, (...) ha svolto domanda di restituzione, domanda che deve essere accolta, nel senso che la (...) è tenuta alla restituzione di quanto percepito in eccesso, oltre interessi legali dal giorno del percepimento al saldo. 4. Con la riforma della sentenza di primo grado deve essere disposta una nuova regolamentazione delle spese di lite. La (...) risulta prevalentemente soccombente, in quanto la sua domanda è stata integralmente rigettata, salvo che quanto alla domanda di restituzione di parte dell'acconto prezzo per Euro 42.655,91, su cui (...) risulta soccombente. Pertanto, all'esito complessivo della controversia, deve essere disposta la compensazione parziale delle spese nella misura di un quinto delle stesse, e la condanna della (...) alla rifusione a (...) dei residui quattro quinti, secondo la liquidazione di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3184/2021, così provvede: 1) In parziale accoglimento dell'appello, dichiara legittimo il recesso di (...), e per l'effetto accerta il diritto della stessa al trattenimento della caparra di Euro 150.000,00; 2) Conferma la condanna di (...) srl alla restituzione di Euro 42.655,91; 3) Rigetta ogni altra domanda proposta da (...); 4) Condanna (...) alla restituzione di quanto eventualmente percepito in eccesso in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dal giorno del percepimento al saldo; 5) Condanna (...) alla rifusione a (...) srl delle spese di primo e secondo grado nella misura del 80% e compensa il residuo 20%, spese liquidate per l'intero per il primo grado in complessivi Euro 14.100,00 oltre rimborso forfetario spese generali, iva e c.n.p.a., e per il presente grado in complessivi Euro 10.000,00, oltre rimborso forfetario spese generali, Iva e c.n.p.a.. Così deciso in Milano il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. DI PISA Fab - rel. Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/02/2021 della Corte d'appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Sergio Di Paola; Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Ancona, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia, ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, pronunciata nei confronti di (OMISSIS) dal Tribunale di Fermo in data 12 aprile 2019, per il reato di appropriazione indebita. 2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato. deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale, in relazione agli articoli 1140 e 1385 c.c., e vizio di motivazione, illogica e contraddittoria, per aver ritenuto che la mancata restituzione della caparra confirmatoria versata dalla persona offesa al momento della conclusione del contratto, poi rimasto ineseguito, costituiva condotta penalmente rilevante, trattandosi invece di mero illecito civile poiche' la somma versata a titolo di caparra (peraltro sul conto corrente della concessionaria per la quale l'imputato svolgeva attivita' di mediazione) era entrata a far parte del patrimonio della parte che l'aveva ricevuta, non sussistendo quindi il presupposto del possesso nomine alieno della somma da parte del ricorrente. 2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, per contraddittorieta', per aver addebitato al ricorrente la condotta di interversione del possesso delle somme di denaro, pacificamente ricevute non dall'imputato ma dalla concessionaria con cui la persona offesa aveva stipulato il contratto. 2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, per avere ritenuto che la mancata restituzione della somma, indipendentemente dalla qualificazione come deposito cauzionale o caparra confirmatoria, integra l'elemento oggettivo della fattispecie prevista dall'articolo 646 c.p.. 2.3. Con il quarto motivo si deduce ulteriore violazione di legge, in riferimento all'articolo 1140 c.c., poiche' il ricorrente non aveva mai avuto la possibilita' di conseguire il possesso delle somme versate dal promittente acquirente alla concessionaria. 2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'articolo 131 bis c.p., e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilita' del fatto di particolare tenuita'. 2.5. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'articolo 164 c.p., e vizio di motivazione circa il diniego della sospensione condizionale della pena. 3. La Corte ha proceduto all'esame del ricorso con le forme previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, applicabili ai sensi del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, convertito, con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 1.1. Con i primi quattro motivi di ricorso, pur censurando plurime violazioni di legge, il ricorrente persegue il medesimo obiettivo, ossia quello di attaccare la sentenza censurando l'individuazione dell'elemento oggettivo del contestato delitto, perche' ancorata ad elementi fattuali che escluderebbero il dato della disponibilita' della somma di denaro da parte del ricorrente, oltre ad esser quei dati erroneamente qualificati dal punto di vista giuridico. La suggestiva enfatizzazione del versamento della somma da parte del promissario acquirente del veicolo, avvenuto sul conto bancario intestato alla concessionaria (indicata dall'odierno ricorrente), quale sicuro indice dell'ingresso nel patrimonio di un soggetto diverso dal ricorrente, non tiene conto della condizione puntualmente ricostruita dalle sentenze di merito; si e' evidenziato come la destinazione delle somme in favore della concessionaria di autoveicoli fosse stata espressamente richiesta e indicata dal ricorrente, che attraverso quell'operazione mirava a compensare gli ingenti debiti da lui contratti con il Passarelli, titolare della concessionaria, attraverso le provvigioni che gli sarebbero state riconosciute (pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Conseguentemente, la sicura appropriazione (realizzata impegnando somme inerenti ad una vicenda traslativa tra acquirente e venditore per finalita' del tutto diverse e incompatibili con il versamento del denaro operato dall'acquirente) rende ultronea ogni censura in punto di qualificazione del titolo in forza del quale le somme siano state versate. 1.2. Il quinto motivo di ricorso e' manifestamente infondato, poiche' la Corte territoriale ha indicato gli elementi oggettivi e soggettivi che ostavano al riconoscimento della causa di non punibilita' mentre il ricorrente reitera i medesimi argomenti gia' vagliati dalla sentenza impugnata, peraltro evocando la rilevanza di elementi fattuali successivi alla consumazione del reato (il recupero delle somme versate dalla parte acquirente) che non rilevano nella valutazione ex articolo 131 bis c.p. (Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278555 - 01). 1.3. Il sesto motivo di ricorso e' del tutto generico nella formulazione e non si confronta con il dato obiettivo indicato dalla sentenza impugnata circa l'esistenza di precedenti ostativi alla concessione del beneficio. 2. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/04/2021 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CAPPUCCIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. TAMPIERI LUCA, che ha concluso chiedendo, il rigetto dei ricorsi. udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di CATANIA, in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di CATANIA, che si riporta ai motivi di ricorso insistendo per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 15 aprile 2021, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato quella con cui il Giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale, il 13 ottobre 2020, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di trasferimento fraudolento di valori continuato e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato, di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali, e (OMISSIS) colpevole dei reati di trasferimento fraudolento di valori e violazione dell'obbligo di comunicazione prevista dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 80, e, riconosciuta la continuazione, lo ha condannato alla pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato, di due anni, un mese e dieci giorni di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. 2. Il procedimento penale nell'ambito del quale sono state emesse le menzionate sentenze verte intorno alla figura di (OMISSIS), gia' condannato alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione per il reato di associazione mafiosa con sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 26 settembre 2013, divenuta irrevocabile il 16 dicembre 2014. Nella pendenza di quel procedimento, (OMISSIS), con atto notarile, conferi' al figlio (OMISSIS) procura speciale a vendere il suo intero patrimonio. L'(OMISSIS), (OMISSIS), avvalendosi dei poteri attribuitigli dal padre, al tempo ristretto in regime di arresti domiciliari, sottoscrisse un contratto preliminare con il quale si obbligo' a trasferire alcuni beni alla (OMISSIS) s.r.l., che intendeva destinarli ad attivita' estrattiva. Il preliminare era sottoposto a due condizioni sospensive: l'una richiedeva che i sondaggi e le indagini eseguite dalla (OMISSIS) s.r.l. confermassero l'esistenza nel sottosuolo di una riserva di calcare che avesse, a giudizio insindacabile dell'acquirente, i requisiti qualitativi e quantitativi idonei allo sfruttamento della cava; l'altra, che la (OMISSIS) s.r.l., entro il termine di 24 mesi dall'esito positivo delle verifiche, e comunque decorrente dal 30 giugno 2014, ottenesse l'autorizzazione amministrativa necessaria per lo sfruttamento dell'area individuata. Dei terreni promessi in vendita, (OMISSIS) era proprietario pro quota insieme ad altri soggetti, che stipularono lo stesso preliminare per le rispettive quote. Il prezzo globale della futura vendita venne concordato nella somma complessiva di 1.800.000 Euro, con versamento di complessivi 180.000 Euro a titolo di caparra confirmatoria e dei residui 1.620.000 Euro alla stipula del definitivo. La protrazione dei tempi per il rilascio delle autorizzazioni determino' la proroga del termine per la sottoscrizione del contratto definitivo, per effetto di due successivi atti del 10 giugno 2016 e del 25 giugno 2017, cui (OMISSIS) partecipo' in proprio, anziche' quale procuratore del padre, per avere, medio tempore, acquisito la titolarita' della quota degli immobili, gia' di proprieta' del padre, in forza di atto di donazione del 28 dicembre 2013. In quella data, mentre era ancora pendente il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la condanna di (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., quest'ultimo si spoglio' di tutti i suoi beni in favore del figlio (OMISSIS), in parte cedendoli a titolo oneroso, in parte - quella oggetto del preliminare stipulato con la (OMISSIS) s.r.l. - con atto di liberalita'. Il 30 aprile 2018, tuttavia, (OMISSIS) risolse consensualmente, a mezzo atto pubblico, la donazione precedentemente fatta al figlio (OMISSIS), avente ad oggetto i soli beni promessi in vendita alla (OMISSIS) s.r.l., di cui riacquisi', in tal modo, la titolarita' e il 2 maggio 2018 siglo', infine, il contratto traslativo. 3. La partecipazione alla compravendita degli immobili di (OMISSIS), in qualita' di venditore, e del figlio (OMISSIS), nella veste di compratore, e' valsa ad entrambi la contestazione, al capo A), del reato di interposizione fittizia sanzionato dall'articolo 512-bis c.p.. Tanto in ragione: dell'epoca del negozio, concluso tre mesi dopo che (OMISSIS) si era visto confermare dalla Corte di appello la condanna per il delitto di associazione mafiosa, con la conseguente concretizzazione del rischio di essere raggiunto da misure di prevenzione patrimoniale; dell'omessa corresponsione del prezzo di vendita, fissato in 450.000 Euro; dell'incapacita' di (OMISSIS), il quale, tra il 2011 ed il 2016, ha percepito redditi leciti mai superiori a 17.000 Euro annui, sproporzionati per difetto rispetto all'ingente investimento che egli risulta avere effettuato. L'impostazione accusatoria, per la parte trasfusa nell'addebito sub B), assegna valenza fraudolenta anche alla donazione dei beni da parte (OMISSIS) ed in favore del figlio, sul rilievo che essa ha avuto a preponderante oggetto i cespiti per i quali era stato sottoscritto il preliminare di vendita con la (OMISSIS) s.r.l. e che l'atto di liberalita' e' stato consensualmente risolto due giorni prima della stipula del definitivo, consentendo cosi' a (OMISSIS) di incassare direttamente il prezzo corrisposto dalla societa' acquirente. Ulteriore imputazione, elevata al capo D) ed ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 76, comma 7, nei confronti del solo (OMISSIS), attiene all'omissione degli adempimenti previsti dal successivo articolo 80, che (OMISSIS) avrebbe dovuto compiere, dopo avere concluso, il 2 maggio 2018, l'atto di vendita con la (OMISSIS) s.r.l., in quanto rientrante nel novero dei soggetti che, essendo stati condannati con sentenza irrevocabile, hanno l'obbligo di comunicare per dieci anni ed entro trenta giorni dal fatto, al Nucleo di Polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell'entita' e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad Euro 10.329,14. 4. La Corte di appello ha ritenuto, in linea con quanto gia' statuito dal Giudice dell'udienza preliminare, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, materiali e psicologici, dei reati contestati. Pacifico, perche' non contestato neanche dagli imputati, che sia la vendita che la donazione siano atti simulati, i giudici di merito hanno disatteso la prospettazione difensiva, imperniata sulla carenza del dolo specifico che caratterizza la fattispecie incriminatrice ex articolo 512-bis c.p., costituito dalla finalita' di eludere le disposizioni normative in materia di misure di prevenzione. In questa prospettiva, era stato segnalato che la conoscenza, in capo agli imputati, del quadro normativo e, in particolare, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26 che sanziona con la nullita' gli atti che abbiano determinato la fittizia intestazione a terzi di beni suscettibili di confisca, rende del tutto illogica la ricostruzione che legge il compimento delle operazioni de quibus agitur in chiave elusiva del sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, obiettivo cui sarebbe stato, semmai, funzionale il coinvolgimento, quale "testa di legno", di persona non legata da rapporto di parentela o affinita' a (OMISSIS) e, pertanto, estranea all'ambito di applicazione del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, comma 2. La Corte di appello ha, invece, stimato che il ricorso al compiacente ausilio di un parente incensurato non possa considerarsi opzione incompatibile con il dolo specifico del reato ipotizzato. In proposito, ha rilevato, da un canto, che la presunzione prevista dall'articolo 26 ha carattere relativo e, come tale, non impedisce, comunque, al proposto che abbia ceduto i suoi beni ad un congiunto, in presenza di adeguato supporto probatorio, di vincerla ed aggiunto, dall'altro, che l'individuazione nel figlio dell'apparente titolare dei beni, in realta' mai usciti dalla sfera giuridica di (OMISSIS), e' stata, con ogni probabilita', conseguenza necessitata della difficolta' di acquisire la disponibilita' di altri soggetti, incensurati ed estranei ad ambienti criminali, che, meglio di un congiunto, sarebbero risultati idonei e meritevoli di fiducia per costruire l'apparenza di un trasferimento di beni. Ha aggiunto che la qualificazione del reato previsto dall'articolo 512-bis c.p. come una fattispecie di pericolo astratto rende sufficiente, per la sua integrazione, il perseguimento dell'obiettivo indicato dal legislatore, restando, invece, irrilevante la concreta idoneita' della condotta al raggiungimento dello scopo elusivo. Peraltro, ha ulteriormente osservato, (OMISSIS), essendo stato condannato per il delitto di associazione mafiosa, aveva ragione di temere l'avvio, a suo carico, di un procedimento di prevenzione, al cui esito avrebbe potuto essere disposta la confisca del suo patrimonio. Ne', per giungere a conclusioni di segno opposto, ha continuato la Corte di appello, rileva la lecita acquisizione, da parte di (OMISSIS), dei fondi oggetto dei contratti simulati, cio' che, stante il disposto del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 25, comma 1, lo esponeva, comunque, al rischio che detti beni fossero ugualmente confiscati qualora fosse stato accertato che, nel periodo di sua pericolosita' sociale qualificata, egli aveva conseguito altre utilita', non piu' agg red i bili. La fondatezza degli addebiti trova ennesima conferma, nella visione della Corte di appello, nel contegno - volto al mantenimento dell'apparenza destinata ad eludere le eventuali iniziative dell'autorita' giudiziaria - serbato dagli imputati, i quali, pur avendo formato delle controdichiarazioni volte a precisare i reali termini dei pattuiti assetti patrimoniali, si sono astenuti dal portarle a conoscenza delle autorita' competenti a svolgere le verifiche sulle disponibilita' economiche dei soggetti legati alla criminalita' organizzata, tanto che le stesse sono state acquisite dagli inquirenti solo a seguito di attivita' investigativa. La Corte di appello ha, del pari, rigettato la proposta impugnazione con riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 76, comma 7. A fronte, invero, della tesi secondo cui il dies a quo per computare i trenta giorni entro i quali andava effettuata la prescritta comunicazione dovrebbe farsi decorrere dal momento in cui si e' verificata la variazione patrimoniale, da individuarsi, nel caso di specie, nella stipula del preliminare dal quale derivava l'obbligo di trasferimento, i giudici di merito hanno ricordato come l'obbligo di comunicazione discenda dagli atti dispositivi, che incidono sulla composizione del patrimonio del prevenuto, e non da quelli che producono effetti meramente obbligatori. 4. (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono, con unico atto ed il ministero degli avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS), ricorsi per cassazione affidati, nel complesso, su tre motivi. 4.1. Con il primo motivo, comune ad entrambi, eccepiscono violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la sussistenza, in relazione alle fittizie attribuzioni, del dolo specifico sulla scorta di argomentazioni manifestamente illogiche e contraddittorie e di un'errata interpretazione della normativa di riferimento. Segnalano, a tal fine, che la presunzione di interposizione fittizia prevista dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, si pone in contrasto con la richiesta condizione psicologica, cio' che - unitamente alla consapevolezza che i beni immobili in esame erano stati lecitamente acquisiti diversi lustri prima della conclusione dei negozi giuridici in contestazione - rende evidente che la finalita' da loro perseguita non era quella indicata dai giudici di merito, che avrebbe dovuto condurli a seguire strade diverse dal compimento di un atto la cui fittizieta' e' presunta per legge. Sottolineano, in proposito, la differenza tra il rispettivo tenore dei due commi dell'articolo 26, nel caso del primo prevedendosi che la declaratoria di nullita' consegue alla prova, da acquisirsi a mezzo di apposita attivita' investigativa, della fittizieta' dei trasferimenti, laddove, nel caso previsto dal comma 2, la nullita' e' presunta per legge e puo' essere vinta solo dalla prova contraria. Ne discende, aggiungono, che il soggetto sottoposto a misura di prevenzione che trasferisca un bene a terzi e' consapevole del fatto che, nel caso di cessione ad un estraneo, potra' subire lo scrutinio degli inquirenti e che, nel caso in cui non possa provare l'effettivita' del trasferimento, vedra' dichiarata la nullita' dell'atto posto in essere, mentre, nell'eventualita' di trasferimento ad un congiunto, l'autore sa con certezza che il suo atto e' viziato da nullita', salvo prova contraria. L'impossibilita' di vincere la presunzione di legge, vagliata in unione alla conoscenza del quadro normativo, colora di illogicita', secondo questa prospettazione, l'assegnazione all'atto di una finalita' elusiva in concreto non conseguibile. Le specifiche connotazioni della vicenda inducono, piuttosto, sostengono i ricorrenti, il convincimento che l'azione fu diretta a concorrenti scopi di natura familiare e commerciale, ovvero al fine di realizzare la divisione ereditaria con sgravio fiscale e di condurre in porto la fruttuosa operazione con la (OMISSIS) s.r.l.. In questa direzione militerebbe, del resto, l'origine lecita dei beni oggetto di trasferimento, che (OMISSIS) aveva acquistato in epoca largamente antecedente a quella di sua supposta pericolosita' sociale, si' da convincere dell'improbabilita', se non dell'impossibilita', stante l'estraneita' al correlato perimetro cronologico, della confisca. La natura di reato di pericolo astratto, propria del delitto sanzionato dall'articolo 512-bis c.p., non esime, d'altro canto, il giudice, continuano i ricorrenti, dal dovere di verificare l'idoneita' dell'azione ai fini della consumazione del reato, ovvero l'oggettiva attitudine, nel caso di specie mancante, della condotta ad eludere la normativa in materia di prevenzione. 4.2. Con il secondo motivo, (OMISSIS) lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per essere la Corte di appello pervenuta all'affermazione della sua responsabilita' concorsuale in difetto della prova che egli abbia concorso, a livello materiale o morale, alla commissione del reato e sulla base della sola condivisione delle iniziative del padre, elemento assolutamente insufficiente. 4.3. Con il terzo motivo, (OMISSIS) eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato connesso all'omessa comunicazione della variazione patrimoniale. Ascrive alla Corte di appello, in proposito, di avere omesso il dovuto impegno motivatorio in ordine all'elemento soggettivo del reato e, precipuamente, alla consapevolezza, in capo all'agente, della sua sottoposizione ad un obbligo di comunicazione assistito da tutela penale. Nota, in punto di fatto, che, avendo egli dato comunicazione della variazione patrimoniale entro trenta giorni dall'accredito sul suo conto corrente delle somme provenienti dalla vendita, e' venuta meno l'offensivita', in concreto, della condotta, atteso, vieppiu', che, se e' vero che la norma incriminatrice risponde alla necessita' di un monitoraggio preventivo e costante sui beni di persone condannate o indiziate di appartenere ad associazioni mafiose, non e' men vero, per converso, che l'esigenza di verificare l'uso del patrimonio variato nasce, di fatto, solo nel momento in cui si ha la disponibilita' del denaro provento dell'operazione. Cio' si riflette, peraltro, anche sulla sussistenza del dolo richiesto dalla norma, avendo egli effettuato la comunicazione nella positiva convinzione che l'obbligo nascesse dalla effettiva disponibilita' delle somme provenienti dall'atto di vendita. Il ricorrente addebita, poi, alla Corte di appello, sul piano della oggettiva sussistenza del fatto di reato, di non avere tenuto in alcuna considerazione la circostanza che la variazione patrimoniale era avvenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna emessa a carico di (OMISSIS), cioe' nel momento in cui i terreni in contestazione erano stati promessi in vendita alla (OMISSIS), e che gli effetti obbligatori del contratto preliminare di compravendita, regolarmente pubblicato e trascritto e contemplante anche il versamento di un acconto sul prezzo, avevano, dunque, gia' determinato - tenuto conto del fatto che l'eventuale inadempimento del contratto preliminare avrebbe comportato la possibilita' della esecuzione in forma specifica ai sensi degli articoli 1351 e 2932 c.c. - una variazione patrimoniale con riferimento ai terreni promessi in vendita, avvenuta quasi un anno prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso, comune agli imputati, vertente sull'apprezzamento, in capo ad entrambi, del dolo specifico dei reati oggetto di addebito ai capi A) e B), e' fondato e merita, pertanto, accoglimento, con conseguente assorbimento di quello articolato dal solo (OMISSIS) in relazione ai medesimi reati. Il motivo proposto da (OMISSIS) ed afferente alla violazione dell'obbligo di comunicazione della intervenuta variazione patrimoniale e', invece, destituito di fondamento e va, pertanto, rigettato. 2. Incontestato che (OMISSIS) abbia dato vita, con il concorso del figlio (OMISSIS), ad una serie di atti simulati, sfociati nella fittizia attribuzione, per effetto dei contratti del 28 dicembre 2013, di un vasto compendio patrimoniale, formalmente trasferito, in parte per compravendita ed in parte per donazione, il tema controverso concerne la prova dell'avere gli imputati agito al fine di eludere la normativa in materia di prevenzione. La Corte di appello ha imperniato la decisione su alcuni, in effetti rilevanti, presupposti di fatto, nonche' sul richiamo, in termini generali, a consolidati e condivisi canoni ermeneutici. Ha preso le mosse, correttamente, dal plausibile timore di (OMISSIS) di essere sottoposto, in conseguenza della sua accertata appartenenza ad un sodalizio mafioso, a procedimento di prevenzione, personale e patrimoniale, cosi' muovendosi nel solco dell'indirizzo secondo cui "Ai fini della configurabilita' del delitto di trasferimento fraudolento di valori, previsto dall'articolo 12 quinquies Decreto Legge n. 306 del 1992 (conv. in L. n. 356 del 1992), non occorre la preventiva emanazione delle misure di prevenzione, ne' la pendenza del relativo procedimento, bastando soltanto che l'autore ne possa temere l'instaurazione" (Sez. 2, n. 22954 del 28/03/2017, D'Agostino, Rv. 270480 - 01). Ha rilevato che l'individuazione del figlio quale apparente titolare di beni destinati, invece, a restare, di fatto, nella sua disponibilita' non e', di per se', incompatibile con l'impostazione accusatoria, come, del resto, chiarito, nella sua composizione piu' autorevole, dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270087 - 01, che ha stabilito che "L'applicabilita' del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, comma 2, - che prevede presunzioni d'interposizione fittizia destinate a favorire l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali antimafia - non impedisce di configurare il delitto di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, articolo 12 quinquies"). Ha ricordato che alla natura della fattispecie, di pericolo astratto, consegue la superfluita' dell'accertamento della concreta capacita' elusiva della disposizione patrimoniale (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 22568 del 11/04/2017, Francaviglia, Rv. 270035 - 01). Si e' determinata in coerenza con l'assunto per cui "In tema di trasferimento fraudolento di valori, previsto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, il dolo specifico - costituito dal fine di eludere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali - non e' escluso dall'esistenza di finalita' concorrenti, non necessariamente ed esclusivamente collegate alla necessita' di "liberarsi" dei beni in vista di una loro possibile ablazione" (Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, Fotia, Rv. 277598 - 01). Ha sottolineato, con argomenti scevri da fratture razionali, che l'origine lecita dei beni oggetto dei contratti simulati non ne avrebbe precluso l'eventuale confisca, in sostituzione di quelli, acquisiti in costanza di pericolosita' sociale, non rinvenuti nel patrimonio del proposto al tempo della promozione del procedimento preventivo. 3. La decisione impugnata si palesa, nondimeno, viziata perche' emessa all'esito di un percorso motivazionale che trascura alcuni profili, gia' debitamente segnalati con l'atto di appello, suscettibili, almeno in potenza, di incidere sull'apprezzamento - in particolar modo per quanto attiene al capo B) -dell'elemento psicologico del reato di trasferimento fraudolento di valori. Il contratto di donazione del 28 dicembre 2013 ha avuto, invero, ad oggetto beni che, per quanto affermato dalla stessa Corte di appello, sono stati lecitamente acquistati da (OMISSIS) in tempi non sospetti, cioe' molti anni prima dell'epoca cui si riferisce la patita condanna per associazione mafiosa. La confisca di tale compendio immobiliare sarebbe stata, pertanto, possibile solo qualora il procedimento di prevenzione patrimoniale - il timore del cui avvio avrebbe indotto (OMISSIS), secondo l'ipotesi di accusa, concordemente recepita dai giudici di merito, a spogliarsi dei beni in favore dei figli - fosse sfociato nell'accertamento dell'avere il proposto accumulato, in costanza di pericolosita' sociale qualificata, beni sproporzionati rispetto ai propri redditi di fonte lecita divenuti, medio tempore, non piu' aggredibili (perche', ad esempio, obiettivamente venuti meno, come il denaro, ovvero ceduti a terzi di buona fede). Ora, non essendo stato, per quanto consta, promosso alcun procedimento di prevenzione nei confronti di (OMISSIS), il dato segnalato dal ricorrente, il quale ha dedotto che il proprio patrimonio non ha subito consistenti variazioni nel periodo di sua militanza mafiosa, non risulta disponibile; esso, tuttavia, avrebbe potuto essere agevolmente accertato al fine di sottoporre a scrutinio la plausibilita' dell'impostazione accusatoria e, per contro, della versione offerta dai ricorrenti i quali, gia' con l'atto di appello, hanno dedotto che la donazione simulata ha costituito un escamotage diretto ad agevolare il rilascio, in favore della (OMISSIS) s.r.l., delle autorizzazioni cui era subordinatamente condizionata la positiva conclusione del lucroso affare e, al contempo, a non frustrare le legittime aspettative delle figlie del donante, tutelate dalle disposizioni contenute nella scrittura occulta recante traccia dell'effettivo assetto patrimoniale. In questo contesto, segnato dalla sovrapposizione di indicatori di segno diverso, taluni dei quali apparentemente inidonei a mettere in luce la supposta finalita' elusiva della normativa in materia di prevenzione patrimoniale, si inserisce la risoluzione della donazione, immediatamente precedente alla sottoscrizione del contratto di vendita dei beni tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l., che, da un punto di vista puramente logico, sembra rispondere ad una finalita' diversa da quella di occultare la reale titolarita' dei beni che, attraverso di essa, viene invece messa in chiaro. In proposito, se e' vero che il ristabilimento della corrispondenza tra realta' ed apparenza fu sollecitato dal promissario acquirente e, quindi, che i (OMISSIS) potrebbero essere stati costretti dalla volonta' della controparte a rinunziare ad uno stratagemma ideato e realizzato per le finalita' indicate dalla fattispecie incriminatrice che si assume essere stata violata, non puo' trascurarsi, per contro, che la stretta contiguita' temporale tra la risoluzione della donazione e la vendita e la percezione, in capo al cedente, di una cospicua somma di denaro avrebbero consentito di testarne la condizione psicologica attraverso la verifica della destinazione data al prezzo incassato, che i ricorrenti sostengono essere avvenuta in perfetta coerenza con le esigenze di par condicio tra i fratelli (OMISSIS) gia' sottese alla controdichiarazione redatta contestualmente alla donazione simulata. Accertamento, questo, che pur avrebbe potuto essere compiuto e la cui omissione concorre a rendere carente la motivazione che sorregge la sentenza impugnata al punto da imporne l'annullamento, in relazione al capo B), in vista di un nuovo giudizio che, ispirato ai principi di diritto sopra richiamati ed esente dai vizi segnalati, riesamini, in modo piu' completo ed approfondito, il tema del dolo specifico tenendo conto delle peculiarita' del caso concreto e delle allegazioni difensive e disponendo, se del caso, i necessari approfondimenti istruttori. 4. L'annullamento va esteso al fatto di cui al capo A), per il quale i ricorrenti hanno offerto giustificazioni parzialmente diverse - avuto riguardo sia alla natura onerosa del trasferimento simulato che all'assenza di una sua successiva revoca - adducendo, in sostanza, ragioni di natura fiscale, connesse anche alla qualita' di imprenditore agricolo di (OMISSIS), che avrebbe da lunga pezza detenuto quei beni in comodato, e rilevando che i beni, secondo quanto precisato nella corrispondente controdichiarazione, sarebbero stati destinati, in realta', anche a (OMISSIS), fratello di (OMISSIS), il cui formale intervento dell'atto non avrebbe consentito lo sfruttamento del regime tributario agevolato. La simulazione della compravendita con indicazione, quale unica controparte, di (OMISSIS) avrebbe costituito, in altri termini, lo strumento per consentire a (OMISSIS) di conseguire congrui risparmi (per IMU e TASI, tra l'altro) senza sopportare, per contro, il peso delle imposte connesse alla esplicita manifestazione dell'intento liberale sotteso all'intera operazione. Prospettazione, questa, la cui plausibilita' potra', se del caso, essere riconsiderata alla luce delle conclusioni raggiunte dal giudice del rinvio in ordine all'elemento soggettivo del reato ascritto agli imputati al capo B). Resta, come accennato in premessa, assorbita, ma non preclusa, la doglianza sollevata da (OMISSIS), il quale lamenta l'omessa considerazione, da parte del giudice di appello, delle obiezioni svolte con riferimento alla sua consapevole partecipazione, sul piano morale e/o materiale, a vicende delle quali il padre sarebbe stato deus ex machina. 5. Per quanto riguarda il reato di omessa comunicazione della variazione patrimoniale conseguente alla cessione dei fondi alla (OMISSIS) s.r.l., ascritta sub D) a (OMISSIS), priva di pregio si palesa, in primis, la censura imperniata sull'individuazione del momento di insorgenza dell'obbligo, che il ricorrente pretende ancorare alla sottoscrizione del contratto preliminare ovvero, alternativamente, al saldo del prezzo pattuito. Sul punto, la Corte di appello ha chiarito che la variazione nella composizione del patrimonio non puo' che discendere dall'atto traslativo, come tale produttivo di effetti reali, secondo la disciplina dettata, per la compravendita, dall'articolo 1376 c.c. a mente del quale "Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprieta' di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprieta' o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato". Rebus sic stantibus, e' indubbio che (OMISSIS) avrebbe dovuto effettuare entro il 3 giugno 2018 la prescritta comunicazione che, invece, egli ha eseguito solo il successivo 1 ottobre, e cioe' dopo che la stampa si era interessata dell'operazione relativa al notevole compendio immobiliare, venduto da soggetto condannato per associazione mafiosa ed acquistato da una primaria impresa del Nord Italia. Ininfluente, sulla consumazione del reato, che ha natura istantanea (Sez. 6, n. 24874 del 30/10/2014, dep. 2015, Lo Bello) Rv. 264164 - 01) e sul quale non incide la pubblicita' dell'atto traslativo, soggetto a regime di pubblicita' legale, formalita' che non assicura all'autorita' competente la conoscenza dei mutamenti dello stato patrimoniale dell'obbligato (Sez. 1, n. 44586 del 19/10/2021, Bruzzise, Rv. 282227 - 01; Sez. 5, n. 13077 del 03/12/2015, dep. 2016, Artale, Rv. 266381 - 01; Sez. 2, n. 25974 del 21/05/2013, Mazzagatti, Rv. 256655 01), risulta, pertanto, l'esecuzione dell'adempimento in momento successivo alla scadenza del termine di legge. In ordine, infine, al requisito psicologico del reato, sul quale, pure, si appuntano le eccezioni del ricorrente, e' sufficiente ricordare, con la giurisprudenza di legittimita', che "L'elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalita' organizzata e' integrato dal dolo generico e non e' pertanto necessario che l'autore abbia agito allo specifico scopo di occultare alla polizia tributaria le informazioni cui l'obbligo normativamente imposto si riferisce" (Sez. 5, n. 38098 del 29/05/2015, Clemente, Rv. 264998 - 01; Sez. 6, n. 33590 del 15/06/2012, Picone, Rv. 253199 - 01) e che "L'ignoranza dell'obbligo di comunicare alla polizia giudiziaria le variazioni patrimoniali da parte del condannato per reati di criminalita' organizzata non esclude il dolo del reato, in quanto la L. n. 646 del 1982, articolo 30 che impone tale obbligo, e' la norma integratrice del precetto penale, sebbene la sanzione per la sua violazione sia contenuta nel successivo articolo 31 della stessa legge, e, quindi, l'ignoranza in ordine ad essa si traduce non in errore sul fatto, bensi' in ignoranza della legge penale, rilevante solo in caso di sua inevitabilita'. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'ignoranza inevitabile del precetto osservando che il reo, condannato per il reato previsto dall'articolo 416 bis c.p., aveva in ogni caso l'onere di informarsi della disciplina a lui applicabile)" (Sez. 6, n. 6744 del 07/11/2013, dep. 2014, D'Angelo, Rv. 258991 - 01). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi A) e B) con rinvio per nuovo giudizio sugli stessi capi ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS) e dichiara irrevocabile la sentenza impugnata quanto al reato di cui al capo D) nei confronti di (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia Rosa A - Presidente Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/09/2020 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SESSA RENATA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA; Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta alla memoria depositata via PEC e alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese chiedendo la conferma della sentenza impugnata. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesse chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata del 22.09.2020, la Corte di appello di Ancona ha parzialmente riformato, limitatamente alla durata delle pene accessorie, e confermato nel resto, la pronuncia emessa il 03.10.2018 dal Tribunale di Fermo che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile, quale concorrente extraneus, del reato ascrittogli di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1) e articolo 223 e lo aveva condannato, per l'effetto, alla pena di anni quattro di reclusione e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 200.000,00. Segnatamente, (OMISSIS), in qualita' di consulente fiscale ed elaboratore della contabilita' della "(OMISSIS)" - dichiarata fallita il (OMISSIS) -, nonche' quale socio di maggioranza e accomandante della s.a.s. (OMISSIS) (oggi (OMISSIS) s.a.s.), e' stato ritenuto responsabile della distrazione di alcuni immobili venduti con fattura n. 31 del 05.05.2010 (circa un anno e due mesi prima del fallimento) alla societa' (OMISSIS), in modo tale da determinare uno squilibrio economico in danno della fallita (OMISSIS) s.a.s., non essendo documentati gli avvenuti pagamenti per Euro 438.000,00 e 90.000,00 (somma messa a disposizione della societa' acquirente dalla stessa societa' venditrice). 2. Avverso la predetta sentenza, a mezzo dei propri difensori di fiducia, Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), ricorre per cassazione l'imputato, prospettando dodici motivi. 2.1. Con il primo motivo, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), si deducono violazione di legge ed erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., nonche' totale mancanza e contraddittorieta' della motivazione e travisamento probatorio per omissione con riferimento all'assunto del mancato pagamento della somma di Euro 438.000,00, illustrando in particolare con esso quanto pretermesso nelle pronunce di merito in ordine alla quota di Euro 278.800,00 (proseguendo poi l'esame in ordine agli ulteriori importi che l'accusa e le pronunce di merito assumono parimenti non versati nei motivi immediatamente successivi). Preliminarmente sono evidenziate dalla difesa le attivita' poste in essere in primo grado, volte a dimostrare l'avvenuto pagamento delle somme - che si assumono mancanti - al momento della stipula dell'atto pubblico del 06.05.2010, attraverso, innanzitutto, la produzione di ulteriori documenti, all'udienza del 05.10.2016, l'escussione dei testi della difesa (per alcuni dei quali, il Notaio (OMISSIS) che aveva redatto l'atto del 6.5.2002 e ricevuto i relativi assegni, e il curatore (OMISSIS), era intervenuta revoca poiche' ritenuta "manifestamente superflua"), la richiesta di acquisizione ex articolo 507 c.p.p. presso (OMISSIS) S.p.a. - oggi (OMISSIS) s.p.a. - di copia delle distinte di emissione dei 45 assegni circolari a firma del ricorrente in favore di (OMISSIS) sas; attivita' poi riprese in appello mediante la specifica richiesta di riapertura del dibattimento per disporre l'acquisizione delle distinte e l'audizione dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) non intervenute in primo grado. Complessivamente, secondo quanto sostenuto con l'appello (pag. 6 e 7) e ripreso nel presente e nei successivi quattro motivi di ricorso, il pagamento della somma di Euro 438.000,00 distratta e' stato effettuato con le modalita' descritte nell'atto pubblico prodotto dalla difesa: per Euro 278.800,00 con pagamento in data anteriore al 04.07.2006 - e non il 4.7.2006 come afferma la sentenza impugnata -; per Euro 159.200,00 con A/B n. (OMISSIS) in data 02.10.2008; e per Euro 90.000,00 con A/B n. (OMISSIS) del 30.12.2009. In particolare, riguardo al pagamento per Euro 278.800 di cui al presente motivo, ad avviso della difesa, la Corte, al pari del giudice di primo grado, incorrendo palesemente in un macroscopico vizio di travisamento della prova per omissione tale da comportare la non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti, ha pretermesso la valutazione di una serie di elementi decisivi, comprovanti i pagamenti e tali da disarticolare, sia singolarmente considerati che complessivamente valutati, il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l'intrinseca incompatibilita' degli enunciati. Gli elementi e le circostanze che la difesa assume trascurati o non correttamente considerati sono: a) L'atto pubblico di vendita datato 06.05.2010, mai menzionato dai giudici di merito giacche' le pronunce hanno sempre fatto riferimento solo alla fattura n. 31 del 05.05.2010, dal qual emerge che: il pagamento della somma di Euro 278.800,00 e' avvenuto in data anteriore al 04.07.2006 in quanto, tra gli immobili compravenduti vi e' una parte di quelli realizzati dalla fallita su un lotto acquistato, con riserva di proprieta', in data 22.05.2002, con atto rogato dal Notaio (OMISSIS), da (OMISSIS) e (OMISSIS), per il corrispettivo di Euro 309.865,00 (ossia Euro 159.165,00 di competenza del primo ed Euro 150.700,00 della seconda); b) La vendita con i (OMISSIS) era affare perfezionato per l'importo complessivo, nei 120 gg. dalla stipula, da parte del legale rappresentante della fallita (la quale al momento del rogito non disponeva di sufficiente liquidita') (OMISSIS) mediante n. 45 assegni circolari trasferibili dell'importo di Euro 10.000,00 cadauno ed Euro 5.000,00, emessi da (OMISSIS) S.p.a. (oggi (OMISSIS)) Filiale di (OMISSIS) su disposizione del ricorrente (OMISSIS), tutti intestati a soc. (OMISSIS) S.a.s.. Cosi' come documentalmente provato dall'atto di deposito avvenuto presso il notaio (OMISSIS), l'accordo sottostante a tale disposizione concordato tra il (OMISSIS) e il ricorrente consisteva nel versamento da parte del (OMISSIS) della somma necessaria attingendo da propri conti correnti e libretti di risparmio a corrispettivo della promessa di vendita per se' o per persona da nominare di n. 3 appartamenti, garage e posti auto che sarebbero stati costruiti sul lotto acquistato. La somma portata dai n. 45 assegni circolari, dunque, costituiva il corrispettivo versato a titolo di caparra confirmatoria per il trasferimento degli immobili da realizzare sul lotto acquistato. c) Le dichiarazioni rese delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) pienamente confermanti in maniera precisa e circostanziata l'esistenza degli accordi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei relativi contratti; dichiarazioni dalle quali emerge in particolare che: - gli accordi in questione venivano inizialmente riprodotti in una "minuta a mano" e solo successivamente, a distanza di qualche mese, ottenute le concessioni edilizie, ne era redatto un formale contratto preliminare di promessa di vendita di cosa futura, datato 23.12.2002 con cui la soc. fallita (OMISSIS) s.a.s. si impegnava a vendere al ricorrente (OMISSIS) per se' o per persona fisica o giuridica da nominare i n. 3 appartamenti, garage, mansardine e posti auto, per un corrispettivo complessivo di Euro 370.000,00 ripartito per Euro 309.865,00 quale caparra confirmatoria gia' ricevuta a mezzo dei n. 45 assegni circolari e per Euro 60.135,00 piu' IVA sull'intero corrispettivo rappresentante il residuo prezzo alla data del rogito notarile da stipularsi a richiesta delle parti differita, data la necessita' di realizzare gli immobili, entro il 31.03.2006; - Il debito veniva poi nel 2010 contabilmente ridotto a Euro 278.800,00 poiche', nel frattempo, la societa' aveva venduto uno degli appartamenti, garage e posto auto e quindi il prezzo veniva proporzionalmente ridotto. d) L'atto di trasferimento degli immobili, in adempimento dell'obbligo assunto con la promessi di vendita del 23.12.2002, avvenuto con la fattura di vendita del 06.05.2010 a favore della societa' (OMISSIS) s.a.s. indicata dal ricorrente e della quale lo stesso era socio di maggioranza, dava quindi atto che il pagamento della somma di Euro 278.800,00 era avvento in data anteriore al 04.07.2006. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge ed erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., nonche' totale mancanza e contraddittorieta' della motivazione e travisamento probatorio per omissione con riferimento all'assunto del mancato pagamento della somma di Euro 159.200,00. Si ribadisce la contestazione dell'omessa considerazione da parte della Corte di appello di tutte le prove acquisite al processo, decisive, indicate dalla difesa (nel par. 11.5 dell'atto di appello). In particolare, si lamenta la mancata valutazione dei documenti prodotti all'udienza del 05.10.2016, e delle testimonianze delle testi (OMISSIS), comprovanti l'avvenuto pagamento, quali: a) il gia' richiamato atto pubblico redatto in data 06.05.2010 secondo il quale il pagamento della somma di Euro 159.200,00, come emerge anche dalla relativa distinta allegata, e' avvenuto con A/B n. (OMISSIS), datato 02.10.2008, regolarmente incassato come risulta dal correlato addebito registrato sul c/c n. (OMISSIS) acceso presso la (OMISSIS) s.p.a. di (OMISSIS) e nella disponibilita' del ricorrente; b) il contratto preliminare di promessa di vendita del 02.10.2008 stipulato tra (OMISSIS) e il ricorrente che riservava a quest'ultimo, per se' o per persona fisica o giuridica da nominare entro la data di stipula, la vendita di una serie di porzioni immobiliari (quattro appartamenti e quattro garages, immobili poi descritti nell'atto pubblico del 06.05.2010), per il prezzo di complessivi Euro 320.000,00 oltre IVA da corrispondersi, da parte del promittente all'acquirente, per Euro 159.200,00 quale caparra confirmatoria versata alla sottoscrizione del preliminare (ne vale quietanza a mezzo dell'A/B n. (OMISSIS)); e per Euro 160.800,00 piu' IVA a saldo totale della compravendita, alla data del rogito notarile da stipularsi entro il 31.12.2009; c) il riferimento a tali documenti, riconosciuti durante l'esame dalle testi (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e falsa applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., nonche' la totale mancanza e contraddittorieta' della motivazione e travisamento probatorio per omissione con riferimento al pagamento della somma di Euro 90.000,00. Posto che riguardo a tale capo di imputazione non e' oggetto di discussione che il pagamento per Euro 90.000,00 e' stato effettuato con l'A/B n. (OMISSIS) del 30.12.2009 emesso dalla societa' acquirente (OMISSIS) s.a.s. e regolarmente incassato dalla (OMISSIS) s.a.s. a titolo di "Versamento c/caparra confirmatoria", come indicato dall'atto pubblico del 06.05.2010, sul punto la difesa contesta la tesi accusatoria fatta propria dalla pronuncia di appello secondo cui il precedente bonifico, disposto in data 15.05.2009 (sette mesi prima dell'emissione dell'assegno) dalla (OMISSIS) s.a.s. in favore del ricorrente (OMISSIS) e regolarmente annotato nelle scritture contabili della fallita come "prelievo soci per restituzione prestito personale", era stato predisposto per dare la provvista per il successivo pagamento della somma di Euro 90.000,00 con A/B da parte di (OMISSIS) s.a.s. a titolo di parte del prezzo per la vendita in parola. Si lamenta che in merito non vi e' alcun elemento, nemmeno indiziario, a supporto di tale tesi, circostanza che rende la motivazione assolutamente illogica. A sostegno dell'assenza di conseguenzialita' alcuna tra i due pagamenti vi sono elementi probatori documentali e dichiarativi dedotti dalla difesa quali: a) il bonifico effettuato dalla fallita in favore del ricorrente il 15.05.2009 per Euro 90.000,00, che costituiva la restituzione di prestiti personali garantiti per avallo dalla societa' (OMISSIS) s.a.s avvenuti con n. 10 A/C (n. 4 da (OMISSIS), n. 5 tratti da (OMISSIS) e n. 1 tratto sul (OMISSIS)), comprovanti la consegna da parte di (OMISSIS) della somma complessiva di Lire 171.000.000 sulla cui copia in calce e' apposta la sottoscrizione di (OMISSIS); b) il pagamento della somma di Euro 90,000,00 da parte della societa' (OMISSIS) s.a.s. del 30.12.2009, effettuato esattamente come previsto nell'atto pubblico del 06.05.2010 quale pagamento a titolo di caparra confirmatoria come registrato nelle scritture contabili; c) Le prove dichiarative relative alle deposizioni testimoniali di (OMISSIS) e (OMISSIS) che riferiscono circostanze precisa sull'esistenza dei prestiti e sulla circostanza che il bonifico effettuato dalla (OMISSIS) s.a.s. nei confronti del ricorrente era restituzione di prestito personale (circostanze riferite con riferimento alle scritture contabili di prima nota disposte riguardo all'operazione). 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge ed erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., nonche' manifesta illogicita' della motivazione in riferimento al pagamento della somma di Euro 90.000,00, laddove la Corte, in maniera congetturale, senza qualsivoglia massima di esperienza ne' di elemento alcuno confermativo, neppure indiziario, a supporto, conferma in appello la tesi accusatoria secondo cui la somma di Euro 90.000,00 versata con bonifico datato 15.09.2009 dalla fallita al ricorrente e imputata contabilmente come "prelievo soci per restituzione prestito personale" e' volta, in realta', a fornire i mezzi finanziari alla (OMISSIS) s.a.s. per effettuare, in data 30.12.2009, il pagamento della somma di Euro 90.000,00 a titolo di caparra confirmatoria. Ad avviso della difesa, mediante tale affermazione, la Corte opera un vero e proprio salto logico tra operazioni oggettivamente non connesse, distanti nel tempo e intercorse tra soggetti diversi tale da rendere di macroscopica evidenza il fatto che la valutazione delle risultanze processuali non e' stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento. 2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge ed erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 495 c.p.p., comma 2, nonche' contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in merito alla mancata assunzione della testimonianza del notaio (OMISSIS), autore della redazione dell'atto pubblico del 22.05.2002, indicata nella lista dei testi a difesa ritualmente depositata in primo grado e la cui escussione e' stata nuovamente richiesta con i motivi di gravame. Si contesta la motivazione resa dalla Corte territoriale laddove ha ritenuto la ricostruzione della vicenda chiara, escludendo la necessita' di integrare, ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. l'istruttoria dibattimentale nel senso indicato nell'atto di appello poiche' il notaio (OMISSIS) e' testimone particolarmente qualificato in quanto a conoscenza della circostanza che era stato il ricorrente a fornire la provvista e a richiedere l'emissione dei n. 45 assegni circolari, da lui presi in consegna, utilizzati per il pagamento del lotto di terra acquistato dalla (OMISSIS) s.a.s., oltre che degli accordi intercorsi tra questa e il ricorrente in relazione alla promessa di vendita di alcuni degli immobili che sarebbero stati realizzati sul lotto acquisito. Ove esperita, tale testimonianza, confrontata con le argomentazioni contenute in motivazione che omettono la completa valutazione del compendio addotto dalla difesa e che ritengono che il pagamento non risulti interamente documentato, avrebbe sicuramente determinato una pronuncia diversa sul punto. Inoltre, si evidenzia, sotto altro aspetto, che la mancata assunzione della prova in questione vizia la sentenza nella struttura portante laddove, secondo la Corte il pagamento risulta non interamente documentato, ma e' al contempo valutata immotivatamente come superflua la prova a contrario dimostrante l'effettuazione del pagamento ritenuto mancante. 2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2, articoli 495 e 507 c.p.p. per mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), nonche' la manifesta illogicita' della motivazione in merito alla mancata acquisizione presso la ex (OMISSIS) s.p.a. di copia delle distinte di richiesta di emissione di n. 45 Assegni Circolari. La richiesta, negata al ricorrente dalla banca poiche' trascorsi i termini decennali, aveva lo scopo di rafforzare la dimostrata emissione degli assegni per un importo complessivo di Euro 309.865,00, nonche' la loro destinazione, con somme messe a disposizione dal ricorrente, per Euro 278.800,00 a corrispettivo dell'acquisto degli immobili operato con l'atto pubblico del 06.05.2010. 2.7. Con il settimo motivo si deduce violazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 546 c.p.p., nonche' la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione al materiale probatorio utilizzato per la decisione laddove, secondo quanto gia' affermato in precedenza, la motivazione si fonda - come emerge a pag. 4 e 5 della pronuncia - oltre che sulla relazione L. Fall., ex articolo 33 del curatore utilizzata per valutare la situazione patrimoniale della societa', solo sulla relazione del C.T. del p.m., escusso anche come teste. Si rileva che l'impugnata sentenza e' incorsa in errore percettivo nella parte in cui, travisando, colloca il pagamento della somma di Euro 278.800,00 come effettuato alla data del 04.06.2006, contrastando con la ricostruzione contabile operata dal C.t. del p.m. che descrive tale pagamento come avvenuto anteriormente al 04.06.2006. Questa affermazione, se correttamente valutata, porta a ritenere che il tempo in cui e' avvenuto il pagamento della somma di Euro 278.800,00 coincide con le indicazioni contenute nell'atto pubblico del 06.05.2010 e con la tesi difensiva dell'avvenuto pagamento in occasione dell'atto, redatto dal Notaio (OMISSIS) in data 22.05.2002, di acquisto del lotto di terra a mezzo dei n. 45 assegni circolari emessi su disposizione del ricorrente e intestati alla fallita. Pertanto, si osserva che trattasi di circostanza decisiva, in grado di disarticolare l'intero percorso argomentativo della Corte, perche' contrastante con l'argomentazione resa in motivazione secondo cui il pagamento della somma di Euro 438.000,00 e' priva di riscontri documentali. In proposito, a nulla rileva quanto riferito dal c.t. del p.m. che definisce "bizzarra" e "imbarazzante" la scrittura contabile descritta in quanto e' pur sempre dato contabile di una sola parte contrattuale dell'atto pubblico stipulato in data 06.05.2010. Eventuali omissioni e/o irregolarita' nella tenuta della contabilita' della fallita non potrebbero farsi ricadere su soggetti estranei, anche considerando che la contabilita', come sostenuto dalla teste (OMISSIS), era tenuta all'interno della societa'. Inoltre, essendo massima di esperienza che la contabilita' di una societa' poi dichiarata fallita non e' sempre tenuta in modo da rispettare i corretti criteri di contabilita', sul punto si evidenzia la necessita' di verificare anche le annotazioni contabili dell'altra parte contrattuale, la (OMISSIS) S.a.s. e di verificare se e con quali modalita' i pagamenti risultavano documentalmente effettuati dalla stessa. 2.8. L'ottavo motivo deduce l'assenza di motivazione da parte della Corte territoriale con riferimento allo specifico motivo di appello che censurava il ritenuto a pag. 3 della pronuncia di primo grado - "coinvolgimento di fatto nelle scelte aziendali" del ricorrente, inteso nella qualita' di amministratore di fatto della fallita e non di concorrente estraneo. 2.9. Con il nono motivo si deduce la nullita' della sentenza impugnata per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. per il mutamento del fatto oggetto di imputazione nei suoi elementi essenziali ove la Corte di appello, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale che aveva considerato il ricorrente amministratore di fatto in quanto soggetto che aveva avuto un "coinvolgimento di fatto nelle scelte aziendali", attribuisce al (OMISSIS) il ruolo di concorrente "extraneus in reato proprio dell'imprenditore" (OMISSIS), sul presupposto - di cui a pag. 7 della pronuncia impugnata - che il ricorrente aveva un doppio ruolo di consulente della fallita e di beneficiario del contratto avente natura distrattiva. Si lamenta che la Corte di appello non poteva decidere sul fatto violato poiche' in tal modo ha sottratto all'imputato un grado di giudizio e violato in maniera effettiva il diritto di difesa, ma doveva annullare la pronuncia di primo grado e disporre la trasmissione degli atti al p.m. per procedere a nuovo giudizio, posto che il reato di bancarotta e' reato proprio dell'imprenditore, posizione non sovrapponibile a quella del concorrente esterno in quanto la prima fattispecie richiede un accertamento piu' ampio e "contiene" la seconda, ma non il contrario, stante la diversita' del fatto accertato in primo grado rispetto al fatto contestato. 2.10. Il decimo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli articoli 132 e 133 c.p. in punto di determinazione della pena, per avere la Corte territoriale disatteso le doglianze prospettate in appello secondo cui ai fini della valutazione della gravita' dei fatti erano da considerare: il contesto in cui la vicenda fallimentare e' maturata (la vendita degli immobili era operazione normale, che costituiva attuazione dell'oggetto sociale per la fallita) e la dimensione del disvalore sia sui piano oggettivo che soggettivo (la vendita era avvenuta per un importo tale da non integrare il danno di particolare gravita'); di talche' privi di qualsiasi contenuto concreto, plausibile e logico sono i richiami operati dalla Corte alla categoria generale, impersonale e astratta del "danno provocato" (categoria universalmente rinvenibile in ogni fattispecie di reato, senza alcun riferimento ai criteri di legge, ai fatti oggettivamente ritenuti, accertati e comunque indicati nel motivo di appello) e al "comportamento complessivo dell'imputato", del quale non e' stato specificamente indicato il comportamento ostativo. 2.11. L'undicesimo motivo deduce violazione di legge, mancanza e contraddittorieta' della motivazione in relazione agli articoli 62-bis, 132, 133 c.p., con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche richiesta in appello. Premesso che la ratio della previsione normativa sulle circostanze attenuanti generiche e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto responsabile e che, secondo costante orientamento giurisprudenziale, la loro esclusione, a fronte di specifica richiesta dell'imputato deve essere adeguatamente motivata, si lamenta che, nel caso di specie, la Corte non ha dato conto delle ragioni dell'esclusione, ne' ha valutato, se non apparentemente e in modo contraddittorio e illogico, gli elementi addotti in appello a sostegno della concessione delle attenuanti. In particolare, si contesta la genericita' dei riferimenti in sentenza sul punto: la ritenuta "gravita' del fatto" e' affermazione priva di qualsiasi connotazione concreta; la "personalita' dell'imputato" non e' riferita a specifici tratti; e l'affermazione per cui l'"atteggiamento processuale mostrava la totale assenza di segni di resipiscenza" non indica in cosa tali segni dovessero consistere di modo da permettere all'imputato di difendersi. Riguardo a quest'ultimo aspetto, si rileva altresi' che la Corte, contraddittoriamente, omette di valutare lo specifico elemento addotto e volto a richiedere la valorizzazione del comportamento corretto e collaborativo del ricorrente che ha favorito il normale corso della giustizia e ha prestato il consenso all'acquisizione di tutti gli atti del fascicolo del p.m., permettendo un notevole alleggerimento dell'istruttoria dibattimentale e dei tempi processuali. 2.12. Il dodicesimo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento agli articoli 539 e 549 c.p.p. in relazione alla conferma delle statuizioni civili, ivi compresa la provvisionale di Euro 200.000,00, disposta dalla Corte territoriale solo mediante un mero richiamo alla sentenza di primo grado, senza valutare quanto dedotto con l'atto di appello dalla difesa che censurava l'apodittica motivazione resa dal Tribunale poiche' sul punto erano insussistenti le condizioni di cui all'articolo 539 c.p.p., comma 2 e l'esplicazione dei giustificati motivi di cui all'articolo 540 c.p.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. Fondato e' innanzitutto il rilevo secondo cui la pronuncia impugnata fonda la decisione, oltre che sulla relazione L. Fall., ex articolo 33 del curatore utilizzata per valutare la situazione patrimoniale della societa', sulla relazione del Consulente tecnico del p.m. e sulla deposizione testimoniale dibattimentale di questi per quanto riguarda i ritenuti mancati pagamenti, senza prendere in considerazione gli elementi introdotti dalla difesa attraverso i documenti prodotti (e senza adeguatamente spiegare le ragioni della esclusione di alcune delle prove sollecitate in difesa dell'imputato), pur investendo essi aspetti che potrebbero avere una incidenza sulla ricostruzione della condotta ascritta all'imputato del mancato pagamento della somma di Euro 438.000,00 a fronte della vendita degli immobili di cui alla fattura n. 31 del 05.05.2010. Complessivamente, secondo quanto sostenuto con l'appello, e ripreso nel ricorso in scrutinio, il pagamento della somma di Euro 438.000,00 distratta sarebbe stato effettuato con le modalita' descritte nell'atto pubblico prodotto dalla difesa (peraltro inspiegabilmente mai citato nella sentenza nonostante il suo contenuto, secondo quanto prospetta specificamente la difesa, faccia riferimento alle modalita' di pagamento del prezzo che si assume non versate, avendo le pronunce sempre fatto riferimento solo alla fattura n. 31 del 05.05.2010): per Euro 278.800,00 con pagamento in data anteriore al 04.07.2006 - e non il 4.7.2006 come afferma la sentenza impugnata -; per Euro 159.200,00 con A/B n. (OMISSIS) in data 02.10.2008; e per Euro 90.000,00 con A/B n. (OMISSIS) del 30.12.2009. In particolare, riguardo al pagamento per Euro 278.800, e' fondato il rilievo secondo cui la Corte territoriale, al pari del giudice di primo grado, ha pretermesso la valutazione di una serie di elementi comprovanti dei pagamen1:i, valutazione che si sarebbe imposta tenuto conto che: dall'atto pubblico di vendita datato 06.05.2010 emerge, secondo quanto riporta il ricorso, che il pagamento della somma di Euro 278.800,00 e' avvenuto in data anteriore al 04.07.2006, in quanto, tra gli immobili compravenduti vi sarebbe una parte di quelli realizzati dalla fallita su un lotto acquistato, con riserva di proprieta', in data 22.05.2002, con atto rogato dal Notaio (OMISSIS), da (OMISSIS) e (OMISSIS), per il corrispettivo di Euro 309.865,00 (ossia Euro 159.165,00 di competenza del primo ed Euro 150.700,00 (della seconda); che, sempre secondo la prospettazione difensiva, che andava adeguatamente vagliata in sede di merito, la vendita con i (OMISSIS) era affare perfezionato per l'importo complessivo, nei 120 gg. dalla stipula, da parte del legale rappresentante della fallita (la quale al momento del rogito, non disponeva di sufficiente liquidita') (OMISSIS) mediante n. 45 assegni circolari trasferibili dell'importo di Euro 10.000,00 cadauno ed Euro 5.000,00, emessi da (OMISSIS) S.p.a. (oggi (OMISSIS)) Filiale di (OMISSIS) su disposizione del ricorrente (OMISSIS), tutti intestati a soc. (OMISSIS) S.a.s.. L'accordo sottostante a tale disposizione, concordato tra il (OMISSIS) e il ricorrente, sarebbe consistito - come documentalmente provabile attraverso l'atto di deposito avvenuto presso il notaio (OMISSIS) - nel versamento da parte di (OMISSIS) della somma necessaria attingendo da propri conti correnti e libretti di risparmio a corrispettivo della promessa di vendita per se' o per persona da nominare di n. 3 appartamenti, garage e posti auto che sarebbero stati costruiti sul lotto acquistato. La somma portata dai n. 45 assegni circolari, dunque, avrebbe costituito il corrispettivo versato a titolo di caparra confirmatoria per il trasferimento degli immobili da realizzare sul lotto acquistato. Al riguardo la difesa lamenta anche la mancata considerazione delle dichiarazioni testimoniali rese dille testi (OMISSIS) e (OMISSIS),che avrebbero pienamente confermato l'esistenza degli accordi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei relativi contratti; e correttamente rileva che l'impugnata sentenza e' incorsa in errore percettivo nella parte in cui colloca il pagamento della somma di Euro 278.800,00 come effettuato alla data del 04.06.2006, contrastando cio' con la ricostruzione contabile operata dal C.t. del p.m., che descrive tale pagamento come avvenuto anteriormente al 04.06.2006 (circostanza che va quindi anch'essa verificata da parte del giudice di merito a cui si e' rinviato). Lo stesso e' a dirsi con riferimento all'assunto del mancato pagamento della somma di Euro 159.200,00. Anche rispetto ad esso si registra analoga mancata valutazione dei documenti prodotti all'udienza del 05.10.2016, e delle testimonianze delle testi (OMISSIS). Alcun rilievo da parte del giudice di appello e' svolto in particolare in ordine al fatto che dall'atto pubblico redatto in data 06.05.2010 emergerebbe che il pagamento della somma di Euro 159.200,00, come risultante anche dalla relativa distinta allegata, sarebbe avvenuto con A/B n. (OMISSIS), datato 02.10.2008, regolarmente incassato (stante l'indicato correlato addebito registrato sul c/c n. (OMISSIS) acceso presso la (OMISSIS) s.p.a. di (OMISSIS) e nella disponibilita' dei ricorrente); trattandosi di circostanze specifiche che ove pienamente confermate potrebbero avere incidenza sulla ricostruzione del fatto, appare evidente che di esse avrebbe dovuto farsi carico quanto meno il giudice dell'appello al quale sono state specificamente devolute (si pensi ad esempio anche al riferimento al contratto preliminare di promessa di vendita che sarebbe stato stipulato il 02.10.2008 tra (OMISSIS) e il ricorrente). Anche in tal caso non si sono considerate, neppure, le dichiarazioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) che avrebbero fatto espresso riferimento a tali documenti in sede di esame, riconoscendoli. Quanto, poi, al pagamento della somma di Euro 90.000,00, alcuna adeguata valutazione si registra al riguardo; eppure a sostegno dell'assenza di conseguenzialita' tra i due pagamenti - quello ritenuto costituire la provvista dell'esborso di Euro 90.000,00 e quest'ultimo - erano stati dalla difesa dedotti elementi probatori documentali e dichiarativi, quali: il bonifico effettuato dalla fallita in favore del ricorrente il 15.05.2009 per Euro 90.000,00, che costituiva la restituzione di prestiti personali garantiti per avallo dalla societa' (OMISSIS) s.a.s avvenuti con n. 10 A/C (n. 4 da (OMISSIS), n. 5 tratti da (OMISSIS) e n. 1 tratto sul Banco di (Napoli), comprovanti la consegna da parte di (OMISSIS) della somma complessiva di Lire 171.000.000 sulla cui copia in calce e' apposta la sottoscrizione di (OMISSIS); il pagamento della somma di Euro 90.000,00 da parte della societa' (OMISSIS) s.a.s. del 30.12.2009, effettuato esattamente come previsto nell'atto pubblico del 06.05.2010 quale pagamento a titolo di caparra confirmatoria come registrato nelle scritture contabili; le prove dichiarative relative alle deposizioni testimoniali di (OMISSIS) e (OMISSIS) che riferiscono circostanze precisa sull'esistenza dei prestiti e sul fatto che il bonifico effettuato dalla (OMISSIS) s.a.s. nei confronti del ricorrente era restituzione di prestito personale (circostanze riferite con riferimento alle scritture contabili di prima nota disposte riguardo all'operazione). Trattasi all'evidenza di aspetti che andavano certamente considerati e valutati e non pretermessi sul presupposto della validita' della tesi accusatoria che si fonda in ogni caso su argomenti di tipo logico-ricostruttivo. Si tratta quindi di valutare tutti gli elementi sopra indicati, complessivamente considerandoli, al fine di vagliare la fondatezza dell'ipotesi difensiva, ossia di comprendere se effettivamente quegli esborsi indicati in ricorso possano imputarsi a versamento del prezzo della vendita incriminata; e quanto alla attivita' istruttoria integrativa, pure sollecitata dalla difesa, valutera' la Corte del rinvio la necessita' di procedervi alla luce degli esiti della (ri)valutazione delle emergenze gia' in atti. Quanto, infine, alla dedotta nullita' della sentenza impugnata per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. per il mutamento del fatto oggetto di imputazione nei suoi elementi essenziali, vorra' il giudice del rinvio operare le dovute precisazioni anche al riguardo, fermo restando che l'eventuale mutamento della qualifica da amministratore di fatto a concorrente "extraneus" nel reato di bancarotta, come ha gia' piu' volte avuto modo di affermare questa Corte non si risolve in motivo di nullita' (ha invero avuto modo piu' volte di affermare questa Corte che, in via generale, il principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata e' violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita' sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto cosi', a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilita' di effettiva difesa; e questa stessa Corte ha anche specificato, con riferimento alla bancarotta fraudolenta, che non si integra violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziche' quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascritta Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014 Ud. (dep. 06/05/2015), Rv. 264073; oppure qualora il soggetto, cui sia stato contestato - ad esempio - in concorso, il reato nella sua qualita' di addetto alla sede operativa - o di direttore generale - della societa' fallita, venga condannato come amministratore di fatto, cfr. per tali due ipotesi, rispettivamente Sez. 1, Sentenza n. 2275 del 25/11/2009 Ud. (dep. 19/01/2010) Rv. 245957 - 01 e Sez. 5, Sentenza n. 1842 dei 25/11/1998 Ud. (dep. 12/02/1999) Rv. 212351 - 01). 2.Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata - assorbiti gli altri motivi sul trattamento sanzionatorio - deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia per nuovo esame.

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