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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. MANCUSO L.F.A. - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandr - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/06/2022 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Alessandro Centonze; udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Assunta Cocomello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udite, nell'interesse del ricorrente, le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 29 luglio 2021 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, procedendo con rito abbreviato, giudicava (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi A (articoli 110, 56, articolo 575 c.p., comma 1, nn. 3, 4, in relazione all'articolo 61, comma 1, n. 1, articolo 416-bis.1 c.p.) e B (L. 14 ottobre 10974, n. 497, articolo 61, comma 1, n. 1, articoli 2, 110 c.p., articoli 10, 12, 14), unificati dal vincolo della continuazione, per i quali l'imputato veniva condannato alla pena di dodici anni di reclusione. L'imputato (OMISSIS), inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge, al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. 2. Con sentenza emessa il 16 giugno 2022 la Corte di appello di Napoli, pronunciandosi sull'impugnazione proposta da (OMISSIS), confermava la decisione impugnata e condannava l'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali. 3. Da entrambe le decisioni di merito, che risultano pienamente convergenti, emergeva che, nella notte tra il 15 e il 16 maggio 2008, mentre si trovava alla guida dell'autovettura Fiat 500, che stazionava tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS), (OMISSIS), veniva attinto da un colpo di pistola, esploso da un gruppo di sicari - composto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) -, che lo attingeva all'addome, imponendone il ricovero presso l'Ospedale (OMISSIS), dove giungeva alle ore 0.40, accompagnato da un amico, (OMISSIS). Giunta in ospedale, la vittima veniva sottoposta a un intervento chirurgico d'urgenza, resosi necessario, secondo quanto attestato dalla cartella clinica acquisita agli atti, a causa delle gravi lesioni personali riportate nel corso dell'agguato, costituite da "una ferita d'arma da fuoco al fianco destro con fuoriuscita del proiettile dalla regione posteriore della gamba sinistra". Nell'immediatezza dei fatti, le attivita' d'indagine, condotte dai Carabinieri del Comando provinciale di Napoli, che assumevano a sommarie informazioni i familiari della vittima e attivano un servizio di intercettazione nei confronti dei soggetti vicini alla stessa, non consentivano l'individuazione degli autori dell'agguato commesso in danno di (OMISSIS), con la conseguenza che il procedimento veniva archiviato. A distanza di alcuni anni, le indagini venivano riaperte grazie all'apertura alla collaborazione con la giustizia di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che consentivano di individuare (OMISSIS) quale autore dell'attentato commesso in danno di (OMISSIS), eseguito in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti non si procede in questa sede processuale. I collaboranti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in particolare, provenivano dal clan (OMISSIS), all'epoca dei fatti egemonizzato da (OMISSIS) e attivo nelle aree di (OMISSIS), nell'ambito del quale erano maturati i fatti di reato oggetto di contestazione. Le dichiarazioni dei collaboranti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) permettevano di individuare anche la causale dell'agguato nell'azione ritorsiva posta in essere in danno della vittima, che, poco prima, aveva picchiato (OMISSIS), un amico di (OMISSIS), che ricopriva un ruolo egemonico all'interno del clan (OMISSIS), che, unitamente a (OMISSIS) e (OMISSIS), aveva organizzato la spedizione punitiva. A sua svolta, il pestaggio di (OMISSIS), che era un macellaio, era stato determinato dalla relazione sentimentale che la vittima della pestata intratteneva con (OMISSIS), che, all'epoca, era fidanzata con (OMISSIS). Si riteneva, al contempo, che le ragioni che avevano indotto (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a organizzare l'attentato contro (OMISSIS) giustificavano l'applicazione dell'aggravante dei futili motivi, contestata all'imputato ex articolo 61, comma 1, n. 1, c.p.. Si riteneva, infine, dimostrato il metodo mafioso con cui era stato organizzato l'agguato in danno di (OMISSIS), ex articolo 416-bis.1 c.p., in conseguenza del fatto che l'azione armata era stata effettuata grazie all'intraneita' dei sicari con il clan (OMISSIS), attestata dalla posizione verticistica ricoperta in tale contesto consortile da (OMISSIS) - che ricopriva un ruolo egemonico nell'ambito della consorteria camorristica, attiva nelle aree urbane di Miano e Secondigliano, nel cui contesto veniva eseguito l'attentato di cui al capo A - e dalla natura ritorsiva dell'agguato, derivante dalla decisione di punire della vittima per il pestaggio subito da (OMISSIS). Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi l'imputato (OMISSIS) veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello (OMISSIS), a mezzo dell'avv. (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre censure difensive. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 582 e 583 c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che consentivano la formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS), tenuto conto delle incertezze probatorie sulla dinamica del ferimento di (OMISSIS), che non permettevano di ritenere dimostrato l'intento omicida dell'imputato, imponendo la riqualificazione del reato contestato al capo A nella diversa fattispecie delle lesioni personali aggravate. Con il secondo motivo si e' denunciata la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, rappresentandosi che la Corte di merito non aveva dato adeguato conto delle ragioni che permettevano di ritenere l'attentato commesso in danno di (OMISSIS), caratterizzato da una metodologia mafiosa, che, al contrario, doveva escludersi sulla base delle emergenze probatorie acquisite nel corso delle indagini preliminari, che imponevano di ricondurre l'azione armata posta in essere dall'imputato e dai complici a un contesto ritorsivo di natura esclusivamente privata, dal quale erano estranee le dinamiche del clan (OMISSIS). Con il terzo motivo si e' lamentata la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame esplicitato le ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell'aggravante dei futili motivi, che era stata riconosciuta a (OMISSIS), senza tenere conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si era concretizzato il ferimento di (OMISSIS), che dovevano essere correlate alla causale che aveva determinato l'imputato e i complici a eseguire l'attentato. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' fondato, limitatamente al riconoscimento della circostanza aggravante dei futili motivi e del trattamento sanzionatorio. Nel resto, l'atto di impugnazione in esame deve ritenersi infondato. 2. In via preliminare, occorre soffermarsi sui principi generali vigenti in materia di chiamate in correita' e in reita' acquisite nel presente procedimento, riguardanti le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si inserivano su un compendio probatorio piu' ampio. Occorre, infatti, premettere che sulla verifica processuale delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si incentravano una parte significativa delle doglianze attinenti al merito delle vicende delittuose ascritte agli imputati, prospettate allo scopo di censurare la ricostruzione dell'attentato commesso in danno di (OMISSIS), nella notte tra il 15 e il 16 maggio 2008, effettuata dalla Corte di appello di Napoli. In questo ambito, innanzitutto, appare indispensabile richiamare il principio di diritto affermato nell'ultimo arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite, applicabile nei confronti dei propalanti esaminati nel presente procedimento penale, secondo cui: "Nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 - 01). In questa cornice, le chiamate in correita' o in reita', in quanto contenute nelle dichiarazioni eteroaccusatorie rese da uno dei soggetti processuali indicati nell'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, non possono che soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione, nel senso che la loro credibilita' soggettiva e la loro attendibilita', intrinseca ed estrinseca, devono trovare conferma in altri elementi di prova, con la conseguente accentuazione, conformemente all'espressa previsione del comma 1 dello stesso articolo, dell'obbligo di motivazione del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario e non frazionabile sulle propalazioni. Tale arresto giurisprudenziale, inoltre, nel solco di un orientamento ermeneutico, collegato e parimenti consolidato, ribadisce che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non puo' che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilita' del dichiarante, desunta dalla sua personalita', dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l'accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; dalla valutazione dell'attendibilita' intrinseca della chiamata effettuata, fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneita'; dalla verifica esterna dell'attendibilita' della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192465 - 01). Deve, tuttavia, evidenziarsi, in linea con quanto opportunamente precisato dalla successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.), che tale sequenza trifasica non deve svilupparsi rigidamente - essendo espressione di un giudizio unitario, omogeneo e non frazionabile sulle propalazioni di volta in volta esaminate -, nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee -separate, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra fonte di prova dichiarativa, deve essere valutata unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali e non prevedendo, per converso, l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica deroga. Non puo', invero, non rilevarsi che le censure difensive proposte dal difensore di (OMISSIS), con riferimento al vaglio delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia escussi nei giudizi di merito - il cui nucleo probatorio essenziale e' costituito, come detto, dalle propalazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) -, pur nella varieta' delle prospettazioni argomentative che le caratterizzano, si muovono in una direzione esattamente inversa a quella prefigurata dalla Suprema Corte tendente a parcellizzare i singoli segmenti dichiarativi di tali propalanti, prospettando un'operazione di ermeneutica processuale irrispettosa del compendio probatorio e incompatibile con la giurisprudenza di legittimita' (tra le altre, Sez. 1, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270367-01; Sez. 6, n. 47304 del 12/11/2015, Messina, Rv. 265355-01; Sez. 6, n. 41352 del 24/09/2010, Contini, Rv. 248713-01; Sez. 6, n. 1472 del 02/11/1998, dep. 1999, Archesso, Rv. 213446-01). In questi termini, ogni operazione di ermeneutica processuale tendente a frazionare i vari passaggi valutativi delle dichiarazioni dei chiamanti in correita' o in reita' escussi deve essere ritenuta inammissibile, atteso che, nel valutare le propalazioni di tali soggetti, eventuali riserve circa l'attendibilita' del narrato devono essere superate vagliandone la valenza probatoria alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, attraverso un percorso argomentativo necessariamente unitario. Non e', pertanto, possibile parcellizzare le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia in esame, atteso che le loro propalazioni devono essere valutate unitariamente, alla luce del compendio probatorio acquisito, attraverso un percorso argomentativo omogeneo e non frazionabile. Quanto, infine, alla tipologia e all'oggetto dei riscontri probatori, la genericita' del riferimento agli elementi di prova da parte dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, legittima l'interpretazione secondo cui, in questo ambito, vige il principio della liberta' degli elementi di riscontro estrinseco, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualita', possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendendo non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo penale e idoneo, sul piano della mera consequenzialita' logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto bisognoso di conferma giurisdizionale (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.). Ne discende che il riscontro estrinseco alla chiamata in correita' o in reita' di un propalante puo' essere offerto anche dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o piu' degli altri soggetti indicati nella richiamata disposizione, in termini analoghi a quanto si verificava nel caso in esame per le accuse formulate dai collaboranti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Infatti, qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purche' estraneo alle dichiarazioni che devono essere riscontrate, puo' essere legittimamente utilizzato a conferma della loro attendibilita', che dovra' essere vagliata rigorosamente dal giudice di merito, verificando l'attendibilita' intrinseca di ogni singola dichiarazione e la sua attitudine a fungere da riscontro estrinseco di quella - o di quelle - che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.). 3. Passando a considerare le singole censure difensive, deve ritenersi infondato il primo motivo, con cui il ricorrente ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articoli 582 e 583 c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che consentivano la formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti di (OMISSIS), tenuto conto delle incertezze probatorie sulla dinamica del ferimento di (OMISSIS), che non permettevano di ritenere dimostrato l'intento omicida dell'imputato, imponendo la riqualificazione del reato contestato al capo A nella diversa fattispecie delle lesioni personali aggravate. Secondo la difesa del ricorrente, la dinamica degli accadimenti criminosi non consentiva di affermare l'idoneita' dell'azione armata posta in essere dall'imputato e dai complici a provocare la morte di (OMISSIS), atteso che le modalita' del ferimento della persona offesa non permettevano di ricondurre la condotta degli attentatori all'ipotesi del tentato omicidio aggravato, cosi' come contestato al capo A. Non risultavano, infatti, dimostrati ne' l'attitudine offensiva a determinare l'evento mortale ne' Vanimus necandi sotteso all'azione armata dei sicari, tenuto conto delle emergenze probatorie, che imponevano di ritenere che l'intento degli attentatori fosse esclusivamente quello di impartire una lezione alla vittima, senza volerla uccidere, per avere picchiato (OMISSIS), un amico di (OMISSIS). Osserva, in proposito, il Collegio che l'assunto difensivo, secondo cui l'aggressione armata posta in essere dall'imputato e dai complici - (OMISSIS) e (OMISSIS) - in danno di (OMISSIS), nella notte tra il (OMISSIS), era inidonea a provocarne la morte, e' smentito dalla sequenza dell'azione criminosa, che risulta correttamente ricostruita nel provvedimento impugnato. Si consideri che la Corte di appello di Napoli fondava il suo giudizio sull'idoneita' dell'aggressione armata del ricorrente e dei due complici a provocare la morte di (OMISSIS) su una pluralita', convergente, di elementi circostanziali, rappresentati dall'uso di un'arma da fuoco di elevata potenzialita' per colpire la vittima; dalle modalita' con cui veniva organizzato l'attentato posto in essere da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in danno della vittima; dalla natura delle ferite riportate dalla persona offesa a seguito dell'attentato, che veniva attinta nell'area addominale da un colpo di pistola, esploso da distanza ravvicinata, che ne imponeva il ricovero ospedaliero, dove veniva sottoposta a un intervento chirurgico d'urgenza. In questa cornice, deve rilevarsi i fatti di reato ascritti a (OMISSIS) ai capi A e B, nella loro consistenza materiale, sono incontroversi, dovendosi ritenere dimostrato che (OMISSIS) veniva attinto da un colpo di pistola, esploso da uno dei componenti del gruppo di fuoco, che ne imponevano il ricovero presso l'Ospedale San (OMISSIS). Giunta in ospedale, la persona offesa dal reato veniva sottoposta a un intervento chirurgico d'urgenza, resosi necessario per le conseguenze lesive riportate a seguito dell'attentato, rappresentate da "una ferita d'arma da fuoco al fianco destro con fuoriuscita del proiettile dalla regione posteriore della gamba sinistra". La ricostruzione della sequenza degli accadimenti criminosi, del resto, veniva accertata grazie alle dichiarazioni, pienamente convergenti, rese dai collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - che provenivano dal clan (OMISSIS), nel cui contesto era maturata la decisione di punire (OMISSIS) per il pestaggio subito da (OMISSIS) -, che si ritenevano corroborate dalle risultanze della cartella clinica acquisita presso la struttura ospedaliera partenopea dove la persona offesa, nell'immediatezza dei fatti, era stata ricoverata. Su questi profili valutativi, al contrario di quanto dedotto dalla difesa di (OMISSIS), la Corte di appello di Napoli si soffermava con un percorso argomentativo conforme alle emergenze probatorie e immune da censure motivazionali, evidenziando che l'azione criminosa del ricorrente e dei complici, per le modalita' esecutive che si sono richiamate, era certamente idonea a determinare la morte di (OMISSIS), avendo provocato il colpo di pistola esploso all'indirizzo della vittima la penetrazione del proiettile nell'area addominale, nella quale si trovano numerosi organi vitali, messi in pericolo dall'azione armata dei sicari. Sulla scorta di questa, ineccepibile, ricostruzione del ferimento di (OMISSIS), che doveva essere correlata alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali maturava la determinazione omicida del ricorrente, la Corte di merito formulava un giudizio affermativo sull'idoneita' degli atti posti in essere dall'imputato a provocare la morte della vittima, nel valutare la quale e' necessario richiamare la giurisprudenza di legittimita' consolidata, secondo cui: "L'idoneita' degli atti, richiesta per la configurabilita' del reato tentato, deve essere valutata con giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalita' dell'azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto" (Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Resa, Rv. 248305 - 01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032 - 01; Sez. 1, n. 1365 del 02/10/1997, dep. 1998, Tundo, Rv. 209688 - 01). 3.1. In questa cornice, la difesa di (OMISSIS) ha censurato ulteriormente la sentenza impugnata sotto il profilo dell'assenza di prova dell'univocita' degli atti che si concretizzavano nel tentato omicidio contestato al capo A, a sua volta incidente sull'assenza di prova della volonta' omicida dell'imputato, che doveva essere esclusa sulla base della sequenza, estremamente concitata, degli accadimenti criminosi e delle ragioni, ritorsive ma prive di connotazioni omicidiarie, sottese all'attentato, imponendo, anche sotto questo ulteriore profilo, la riqualificazione della fattispecie ascritta al ricorrente nel reato di lesioni personali aggravate. L'azione armata del ricorrente, infatti, doveva ritenersi sprovvista dell'animus necandi necessario alla configurazione del reato di cui al capo A, essendo evidente che il ferimento di (OMISSIS) si concretizzava in un contesto esclusivamente ritorsivo, mirando gli attentatori a punire la vittima per avere picchiato (OMISSIS), senza avere alcuna intenzione di uccidere la persona offesa. Osserva, in proposito, il Collegio che l'univocita' degli atti costituisce il presupposto indispensabile per ritenere una condotta delittuosa - analoga a quella ascritta a (OMISSIS) al capo A - riconducibile all'alveo applicativo dell'articolo 56 c.p. Tutto questo risponde all'esigenza di ricostruire in termini processualmente certi la volonta' del soggetto attivo del reato rispetto all'aggressione del bene giuridico protetto della norma penale, che, nel caso in esame, e' rappresentato dalla vita di (OMISSIS), conformemente a quanto statuito da questa Corte, che ai fini dell'accertamento dell'animus necandi sotteso alla condotta esaminata, afferma: "In tema di tentativo, il requisito dell'univocita' degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volonta' dell'agente quale emerge dalle modalita' di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, si' da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo" (Sez. 1, n. 2910 del 18/06/2019, Musico', Rv. 276401 - 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 18747 del 20/03/2007, Di Simone, Rv. 236401 - 01; Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110 - 01; Sez. 1, n. 7938 del 03/02/1992, Lamari, Rv. 191241 - 01). Ne discende che, nel caso di specie, il requisito dell'univocita' degli atti doveva essere accertato sulla base delle connotazioni concrete della condotta illecita posta in essere dal ricorrente in danno di (OMISSIS), nel senso che il suo comportamento aggressivo doveva possedere, tenuto conto della sequenza criminosa in cui si inseriva e della dinamica dell'azione delittuosa, l'attitudine a rendere manifesto il suo intento omicida, desumibile sia dagli atti preparatori sia da quelli esecutivi (tra le altre, Sez. 2, n. 24302 del 24/05/2017, Gentile, Rv. 269963 - 01; Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Macori, Rv. 269931 - 01; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Amatista, Rv. 264589 - 01; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D'Angelo, Rv. 254106 - 01). Non puo', dunque, non rilevarsi che la dinamica del ferimento di (OMISSIS), tenuto conto del contesto criminoso nel quale si inseriva, e' stata considerata dimostrativa del fatto che l'azione dell'imputato e dei complici (OMISSIS) e (OMISSIS) Raffaele - conseguisse a una volonta' omicida univocamente orientata, consentendo di affermare che i sicari intendevano uccidere la vittima predestinata, esplodendo un colpo di pistola al suo indirizzo, noncuranti del rischio di causarne il decesso, che non si verificava esclusivamente per il suo tempestivo ricovero ospedaliero. Sul punto, non si puo' che richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 11 della sentenza impugnata, in cui si evidenziava che le "circostanze e modalita' dell'azione depongono univocamente per la ricostruzione di una volonta' omicidiaria che ha assistito la condotta dei tre (...)", che "hanno avvicinato l'auto a bordo della quale si trovava (OMISSIS) e senza neanche dargli modo di scendere dal veicolo per chiarire quanto era accaduto, lo hanno colpito freddamente,puntando l'arma verso una parte del corpo caratterizzata dalla presenza di organi vitali e importanti vasi sanguigni". (OMISSIS)2Imperatrice Ciro (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Imperatrice Ciro (OMISSIS)11Lo Russo (OMISSIS) (OMISSIS)12De Simone Achille (OMISSIS) (OMISSIS)1Corona (OMISSIS)11Lo Russo (OMISSIS) (OMISSIS)1Corona Marco (OMISSIS)12De Simone Achille (OMISSIS)2Imperatrice Ciro (OMISSIS)12De Simone Achille (OMISSIS)3Siniscalchi Vincenzo (OMISSIS)12De Simone (OMISSIS)13Tipaldi Anna (OMISSIS)2Imperatrice Ciro (OMISSIS) (OMISSIS)1Corona (OMISSIS)12De Simone (OMISSIS)3Siniscalchi (OMISSIS)2Imperatrice (OMISSIS)3Siniscalchi (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2Imperatrice Ciro (OMISSIS)3Siniscalchi Vincenzo (OMISSIS)12De Simone. 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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. MICCOLI Grazia R. A. - Consigliere Dott. CATENA Rossell - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere Dott. CARUSILLO Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CATENA ROSSELLA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, si associa alle richieste del Proc. Gen. e conclude per l'inammissibilita' dei ricorsi. Deposita conclusioni scritte e nota spese; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, per quanto di rilievo, in riforma della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Napoli in data 17/11/2020 - con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti delle parte civile, in relazione al reato di cui all'articolo 110 c.p., articolo 591 c.p., commi 1 e 3, il primo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., societa' di riferimento della struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", il secondo quale figlio di (OMISSIS), che era stata affidata alla predetta struttura dal 08/06/2016, luogo ritenuto non idoneo in riferimento alle condizioni di salute della predetta, poi deceduta in data 28/06/2016 - rideterminava la pena inflitta al (OMISSIS) in anni tre di reclusione e la pena inflitta al (OMISSIS) in anni due mesi sei di reclusione, confermando, nel resto, la sentenza impugnata. 2. (OMISSIS) ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il (OMISSIS), legale rappresentante della societa' cui afferiva la struttura residenziale per anziani, non aveva alcuna relazione di custodia, ne' diretta ne' indiretta, con la (OMISSIS), posto che egli rivestiva unicamente un ruolo di gestione ed amministrazione della societa', non avendo, quindi, svolto alcun ruolo di sorveglianza diretta e/o indiretta della anziana ricoverata; cio' rileva anche alla luce della struttura del reato, di pericolo concreto per la vita o l'incolumita', che deve derivare dalla condotta di abbandono, rispetto alla quale non tutte le relazioni di custodia possono essere considerate rilevanti, ma solo quelle che si estrinsecano in una posizione di sorveglianza diretta ed immediata nei confronti del soggetto incapace; nel caso di specie, all'assistenza dell'anziana era preposta la coimputata (OMISSIS), persona del tutto qualificata, mentre il (OMISSIS) si recava saltuariamente presso la struttura, in ragione del suo ruolo; da cio' discende, anche alla luce delle giurisprudenza di legittimita', la insussistenza dell'abbandono, in riferimento al ricorrente, che aveva comunque predisposto l'affidamento dell'ospite della struttura a persone capaci e abili, come riconosciuto dalla sentenza impugnata; anche in riferimento alla "teoria della garanzia" seguita dalla giurisprudenza di legittimita', infatti, e' stato evidenziato come vengano in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente, non avendo la sentenza impugnata specificato in quali termini sarebbe stato violato l'obbligo di custodia gravante sul (OMISSIS), il quale si era limitato ad accettare il ricovero della (OMISSIS) su richiesta del figlio della stessa, avendo egli predisposto le misure necessarie, ossia una struttura idonea e personale qualificato, misure altresi' idonee come dimostrato dalla carenza di precedenti vicende, indicative di una insufficienza e/o inadeguatezza del contesto di accoglienza; 2.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, escluso, a ben vedere, proprio dalle motivazioni della sentenza impugnata che, al piu', configura, a carico dell'imputato, la colpa cosciente, posto che il dolo richiesto dall'articolo 591 c.p. implica l'accertamento della conoscenza, da parte dell'agente, delle specifiche condizioni del soggetto passivo, unitamente alla coscienza e volonta' di abbandonarlo e, alla luce delle relazione di cura e custodia, la previsione e la volonta' del pericolo per la vita e l'incolumita' del soggetto passivo; in sostanza, la sentenza formula nei confronti dell'imputato un giudizio di rimprovero per la ritenuta inadeguatezza della struttura, facendo discendere da tale presunta condizione la sussistenza dell'elemento psicologico, il che richiama i casi in cui la condotta sia connotata da spiccata irragionevolezza, disinteresse o altro atteggiamento consimile, con evidente integrazione della colpa cosciente, restando irrilevante il profilo del fine di lucro che avrebbe potuto spingere il (OMISSIS) a sottodimensionare l'organizzazione della struttura. In sostanza, il giudizio di inadeguatezza della struttura si risolve nel rimprovero al (OMISSIS) di aver mal governato i rischi connessi alla sua funzione, proprio in riferimento ai criteri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimita' nel caso ThyssenKrupp, in quanto la coscienza e volonta' della condizione di abbandono deve essere esclusa, essendo stato provato che il (OMISSIS) aveva comunque adibito alla cura degli anziani un'infermiera professionista, laddove nella struttura vi erano anche altre persone adibite alle ulteriori incombenze, venivano svolte visite da parte dei medici della ASL, la struttura era dotata di letti e di sedie a rotelle adeguati agli ospiti, ne' mai, negli anni precedenti, all'interno della struttura si erano verificati eventi critici, per cui, al piu', il (OMISSIS) avrebbe potuto essere considerato gravemente negligente; quanto alle condizioni della (OMISSIS), pur dando per scontato che il (OMISSIS) ne fosse consapevole, le stesse non richiedevano cure mediche specialistiche di particolare impegno, ma solo un trattamento farmacologico, per il quale le condizioni assistenziali predisposte dal (OMISSIS) appaiono del tutto confliggenti con la coscienza e volonta' dell'abbandono; sotto altro aspetto, infine, anche l'applicazione degli elementi indicatori citati dalla sentenza ThyssenKrupp, in riferimento al dolo eventuale, escludono tale elemento soggettivo nel caso in esame, posto che non si e' in presenza di una totale carenza della struttura, ma solo di un'inadeguatezza della stessa, ne' la sentenza di merito indica, in riferimento alla posizione del (OMISSIS), l'esito di un eventuale giudizio controfattuale, secondo la cosi' detta formula di Frank, non essendo stati indicati gli elementi indicatori del dolo eventuale; 2.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 591 c.p., comma 1, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, la posizione del ricorrente, opportunamente valutata in funzione dei criteri della pericolosita' del fatto e del contenuto dell'obbligo violato, non puo' che condurre ad escludere tale elemento materiale, atteso che la stessa sentenza evidenzia come, nel caso in esame, la struttura di accoglienza fosse idonea sotto molteplici aspetti (igienico-sanitario, strutturale, assistenziale, medico) e, cio' nonostante, la stessa sentenza ha ritenuto "ragionevolmente inidonea" la detta struttura. Sotto il profilo della pericolosita' del fatto, quindi, le condizioni positivamente individuate dalla stessa sentenza, unitamente all'assenza di pregressi episodi avversi, dimostrano l'inconfigurabilita' del pericolo concreto, mentre, quanto al contenuto dell'obbligo violato, non puo' che ribadirsi come il (OMISSIS) non fosse tenuto a provvedere, in via diretta, all'assistenza e cura degli ospiti, bensi' al solo obbligo di custodia, evidentemente adempiuto; cio' emerge ancor piu' evidente alla luce della giurisprudenza di legittimita' circa la concretezza della condizione di pericolo, laddove la sentenza impugnata ha introdotto un concetto di relativizzazione dello stato di abbandono che riconduce il reato alla struttura del pericolo presunto; 2.4 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), alla luce della contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, considerate le argomentazioni e le circostanze esposte con il precedente motivo di ricorso, posto che non sono stati neanche illustrati i criteri logici alla stregua dei quali, pur in presenza delle premesse richiamate, si potesse giungere alla conclusione di sussistenza di una condizione di abbandono; 2.5 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), sotto l'aspetto della illogicita' del ragionamento seguito dalla Corte di merito, le cui affermazioni risultano meramente assertive, oltre che derivanti da applicazione di massime di esperienza generiche e non afferenti al caso di specie: in riferimento all'organizzazione dei mezzi e del personale, infatti, la sentenza impugnata ha operato una valutazione condizionata dal decesso della (OMISSIS), con evidente sillogismo valutativo non sorretto da adeguato criterio logico, non essendo sorretto da elementi ulteriori; a ben vedere, quindi, la Corte di merito conclude per la inidoneita' della struttura in base alla circostanza che l'unica infermiera non fosse "ragionevolmente" in condizione di prendersi cura, contemporaneamente ed adeguatamente, di ben sei ospiti in gravi condizioni, attraverso una massima di esperienza ne' verificata ne' verificabile, sprovvista di verosimiglianza, meramente ipotetica e, quindi, espressione di un giudizio arbitrario, posto che alla valutazione meramente ipotetica formulata potrebbe essere opposta una valutazione meramente ipotetica di segno opposto, ossia che l'unica infermiera fosse in grado di assistere tutti gli ospiti della struttura, dato che ella era risultata persona dedita e capace, come affermato nella stessa sentenza impugnata. La motivazione della Corte territoriale, inoltre, e' connotata da una evidente circolarita' del ragionamento probatorio, posto che si assume come il decesso della (OMISSIS) avrebbe provato la inadeguatezza della struttura, laddove tale condizione avrebbe dovuto essere oggetto dell'accertamento; la valutazione della Corte di merito, inoltre, risulta frutto di valutazione ex post, in base all'evento verificatosi, senza considerare la radicale carenza di ulteriori elementi, quali precedenti eventi avversi; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 40 c.p., articolo 41 c.p., comma 2, articolo 591 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta di abbandono e l'evento, con particolare riferimento alla persona del (OMISSIS), cio' per la specifica causa del decesso della (OMISSIS), individuato dalla Corte di merito in una condizione di forte disidratazione, intervenuta in un arco minimo di due giorni, a far data dal ricovero della paziente presso la struttura "(OMISSIS)"; cio', evidentemente, esclude che la concausa del decesso possa essere ascritta al (OMISSIS), a cui non puo' essere attribuita ne' l'omissione rilevante ne' la prevedibilita' e, quindi, l'evitabilita' dell'evento, posto che risulta indimostrato che il ricorrente potesse sapere o prevedere che alla (OMISSIS) non fosse stata, inopinatamente, somministrata acqua per circa due giorni, anche alla luce dell'operazione elementare e quotidiana della somministrazione di acqua, per cui, attesa la prevedibilita' logica, da parte dell'amministratore della struttura, che l'infermiera (OMISSIS) somministrasse l'acqua con regolarita' agli ospiti, alcuna cautela avrebbe potuto essere adottata dal (OMISSIS) ai fini della evitabilita' dell'evento ovvero della omissione della condotta; cio' senza considerare che tale omissione si sarebbe verificata nell'arco di un tempo minimo di due giorni dal ricovero della (OMISSIS) presso la "(OMISSIS)", arco temporale che ben avrebbe potuto sfuggire anche alla vigilanza del (OMISSIS), che, per le funzioni svolte, certamente non si recava presso la struttura quotidianamente; in altri termini, la decisione adottata risulta assunta in violazione dei parametri normativi di cui agli articoli 40 e 41 c.p. ed in virtu' di una responsabilita' di mera posizione, senza contare che cio' e' avvalorato anche dal fatto che alla (OMISSIS) e' stata ascritta una condotta consistita nel non essersi tempestivamente attivata per provvedere al rapido deterioramento delle condizioni della (OMISSIS), il che dimostra ancor piu' manifestamente come il (OMISSIS) non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi per impedire l'evento; 2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in relazione alla sussistenza del nesso di causalita' tra la condotta di abbandono e l'evento morte, certamente non ascrivibile al (OMISSIS) a titolo di colpa, posto che la condizione di disidratazione e' stata individuata come mera concausa del decesso, a fronte delle condizioni complessivamente scadute della (OMISSIS), ampiamente descritte in sentenza; cio' nonostante la Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se nell'anamnesi remota della (OMISSIS) fossero presenti sintomi di insufficienza renale cronica, il che sarebbe stato indispensabile per la verifica della genesi dell'insufficienza renale acuta intervenuta, cosi' come nessuna incidenza e' stata data al "marasma senile" pur diagnosticato; complessivamente, quindi, il determinismo causale della morte e' stato individuato nella sola disidratazione della paziente, senza alcuna valutazione delle pregresse e specifiche patologie della stessa, nonostante la consulente della difesa della coimputata (OMISSIS), Dott.ssa (OMISSIS), avesse fatto riferimento alle analisi svolte all'atto del ricovero della (OMISSIS) presso l'ospedale (OMISSIS); cio' emerge di palmare evidenza laddove la sentenza impugnata assume che da almeno quarantotto ore la (OMISSIS) non fosse idratata, salvo poi riconoscere la validita' delle dichiarazioni dibattimentali della (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver somministrato acqua alla paziente la sera precedente il ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; 2.8 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), quanto alla rideterminazione della pena inflitta al (OMISSIS), illogicamente quantificata in relazione alla coimputata (OMISSIS), anch'essa socia della " (OMISSIS) s.r.l.", essendo del tutto assertivo e privo di giustificazione logica la differente gravita' delle condotte a causa di una posizione di maggiore debolezza della (OMISSIS), del tutto indimostrata, alla luce degli accordi intervenuti tra i due soci. 3. (OMISSIS) ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to (OMISSIS), deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 110 e 591 c.p., vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito ritenuto sussistente l'elemento psicologico del dolo eventuale del reato di abbandono di incapaci, attribuendo a titolo di responsabilita' oggettiva l'evento morte, attraverso l'elaborazione della categoria della "inidoneita' oggettiva" della struttura, svincolata dai parametri formali della normativa regionale, laddove tutti i dati emersi dall'istruttoria dibattimentale escludono che "(OMISSIS)" fosse manchevole dal punto di vista strutturale ed organizzativo, con conseguente irrilevanza della mancanza di autorizzazioni; in tal senso vanno considerate le deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), assistenti sociali, nonche' dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), che periodicamente si recavano nella struttura, le cui deposizioni sono riportate per stralci in ricorso ed integralmente allegate allo stesso; la circostanza che detti soggetti, dotati di specifiche competenze, non avessero mai rilevato alcunche', anche in costanza del ricovero della (OMISSIS), dimostra l'insussistenza di qualsiasi pericolo per l'incolumita' della predetta, che, quindi, il (OMISSIS) non avrebbe potuto rappresentarsi. La difesa, inoltre, deduce il travisamento della prova testimoniale della Dott.ssa (OMISSIS), assistente sociale che effettuo' la visita ispettiva all'esito del decesso della (OMISSIS), individuando l'idoneita' della stessa ad accogliere pazienti non autosufficienti. Quanto alla (OMISSIS), madre della (OMISSIS), la stessa si recava ad aiutare la figlia per tutta la giornata, diversamente da come rilevato in sentenza, spesso trattenendosi anche per la notte, per cui la (OMISSIS) non era la sola persona presente nella struttura, circostanza da cui, erroneamente, e' stata desunta la consapevolezza del (OMISSIS) di mettere in pericolo la propria madre. Peraltro, emerge dal "Catalogo dei sevizi residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari", di cui al Regolamento di attuazione della legge regionale 11/2007, che il servizio nelle strutture per persone non autosufficienti prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno. La motivazione della Corte di merito risulta, quindi, carente sotto l'aspetto della dimostrazione dell'inidoneita' organizzativa in concreto, il che incide viepiu' sulla sussistenza dell'elemento psicologico del (OMISSIS), essendo, in ogni caso, indimostrato che egli fosse a conoscenza della presenza della sola (OMISSIS) quale soggetto deputato all'assistenza alle ospiti della struttura; peraltro, il perito prof. (OMISSIS) ha indicato la (OMISSIS) come autonoma o semiautonoma, anche alla luce del livello di assistenza fornitole in precedenza dalla badante, a dimostrazione della compatibilita' tra le condizioni della predetta ed il modulo organizzativo della struttura, non esistendo alcuna documentazione formale che attesti la non autosufficienza della (OMISSIS); in ogni caso, il meccanismo di cui all'articolo 507 c.p.p., attraverso il quale si e' pervenuti all'incarico al prof. (OMISSIS), esclude che si possa prescindere dalle sue conclusioni. Anche la circostanza del licenziamento della badante, (OMISSIS), e' stata valutata senza considerare la documentazione INPS, dimostrativa del fatto che la risoluzione del rapporto di lavoro si fosse verificato solo dopo il decesso della (OMISSIS), essendo stata la predetta (OMISSIS) semplicemente allontanata dall'appartamento, in precedenza, per il pericolo derivante dalle condizioni dell'immobile, che necessitava di urgenti lavori; ancora, e' stato evidenziato come dal testimoniale, con particolare riferimento alla Dott.ssa (OMISSIS), che aveva svolto l'ispezione della struttura dopo il decesso della (OMISSIS), era emerso come, tra la documentazione sanitaria inviata dal (OMISSIS), era presente anche un'attestazione risalente, relativa alla (OMISSIS), che altro non e' se non la cartella clinica del (OMISSIS) del 2008, da cui emergevano le specifiche condizioni della (OMISSIS), a dimostrazione del fatto che effettivamente il (OMISSIS) ebbe a consegnare al (OMISSIS) la documentazione sanitaria relativa alla madre all'atto del ricovero della stessa presso la "(OMISSIS)"; che, poi, il (OMISSIS) conoscesse le condizioni della paziente, affetta da Alzheimer, e' dimostrato da quanto dallo stesso affermato nel corso del suo esame, essendogli stata tale notizia fornita dal (OMISSIS) anche verbalmente, cio' a dimostrazione della perfetta consapevolezza, da parte dei soci della struttura, delle condizioni della (OMISSIS) al momento del ricovero, senza che fosse stata evidenziata alcuna incompatibilita' da parte degli stessi, nonostante la precisa sussistenza di obblighi in tal senso, da parte del responsabile della struttura, come indicato anche dal perito (OMISSIS); il tutto a dimostrazione della radicale insussistenza di elementi a sostegno dell'elemento psicologico del reato, su cui la Corte di merito ha omesso ogni motivazione, nonostante le sollecitazioni difensive, ivi inclusa la mancata opposizione al trasferimento della (OMISSIS) da parte del Giudice tutelare e del fratello del (OMISSIS), nonostante le comunicazioni ricevute. Quanto all'elemento soggettivo, nonostante una memoria difensiva sul punto - il cui contenuto viene illustrato in ricorso in relazione alla linearita' della condotta del (OMISSIS), alla luce delle indicate emergenze dibattimentali - la sentenza non ha affatto affrontato il discrimine tra il dolo eventuale e la colpa cosciente, alla luce dell'insegnamento della Cassazione nel caso ThyssenKrupp, i cui criteri valutativi la difesa illustra in riferimento alla specifica vicenda, al fine di dimostrare come appaia evidente che il (OMISSIS) non avrebbe mai collocato la madre presso la "(OMISSIS)" se fosse stato certo della verificazione della messa in pericolo della stessa; 3.2 violazione di legge, in riferimento all'articolo 41 c.p., comma 2, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito del tutto travisato i dati probatori in riferimento al nesso di causalita', avendo ritenuto errata la diagnosi definitiva di marasma senile, individuata dai medici dell'ospedale (OMISSIS), quanto al decesso della (OMISSIS); la difesa ricostruisce le iniziali emergenze investigative, illustrando come il (OMISSIS) avesse, sin dall'inizio, confutato la tesi dell'abbandono della propria madre presso la struttura, essendo egli immediatamente intervenuto appena saputo delle sue condizioni, ed essendosi recato dapprima alla "(OMISSIS)" e quindi all'ospedale (OMISSIS), senza alcun indugio, come poi ampiamente dimostrato dall'istruttoria dibattimentale illustrata in ricorso; cio' dimostra come i sanitari del (OMISSIS) fossero pienamente a conoscenza delle condizioni della (OMISSIS), anche in quanto riferite dal figlio, per cui mai la loro diagnosi avrebbe potuto essere frutto di fretta e di mancata conoscenza di dati specifici. In ogni caso, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la causa della morte e' stata ravvisata unicamente nell'avere la (OMISSIS) omesso di somministrare acqua alla (OMISSIS), salvo poi, pochi righi dopo, aver escluso che la mancata somministrazione di acqua potesse rappresentare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento letale, in tal modo incorrendo in una palese contraddittorieta'. Seppure si considera la disidratazione l'unica causa del decesso, trattandosi di causa sopravvenuta, non si comprende come potrebbe sussistere il nesso di causalita' con la condotta ascritta al (OMISSIS), trattandosi, tra l'altro, di un evento del tutto non prevedibile o, almeno, sulla cui prevedibilita' la sentenza impugnata e' rimasta del tutto silente; le prove acquisite escludono di ritenere la (OMISSIS) una persona poco attenta alle esigenze delle ospiti della struttura, per cui non si comprende come il (OMISSIS) avrebbe potuto prevedere la dimenticanza della (OMISSIS), risultando, anche alla luce della giurisprudenza di legittimita', la condotta a lui contestata priva di qualsivoglia incidenza sulla produzione dell'evento letale, cio' a prescindere dalla mancata indagine su altre cause della morte, come indicato nei motivi di appello; 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 47 c.p., comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito erroneamente escluso che la condotta del ricorrente fosse scriminata per essere egli incorso in errore incolpevole sulla legge extra-penale e, segnatamente, in riferimento alle norme di cui al Regolamento n. 4 del 7 aprile 2014 della Regione Campania e del Catalogo dei servizio residenziali, semiresidenziali, territoriali e domiciliari di cui al regolamento di attuazione della legge regionale n. 11 del 2017, nonche' della delibera della Giunta regionale n. 107 del 2014, pur avendo la Corte territoriale riconosciuto la condivisibilita' dell'impostazione difensiva; cio' nonostante, la sentenza impugnata ha ritenuto che l'addebito a carico del (OMISSIS) non fosse quello di aver collocato la madre in una struttura priva delle prescritte autorizzazioni, ma in una struttura oggettivamente inidonea, al di la' dei requisiti formali, introducendo l'inedita categoria della "inidoneita' oggettiva", peraltro senza chiarire cosa cio' significasse nel caso in esame, dato che e' stata esclusa qualsiasi condizione di degrado della struttura; in realta', l'unico elemento e' costituito dalla circostanza che la (OMISSIS) fosse l'unico soggetto preposto alla cura delle anziane ospiti della struttura, circostanza non solo non vera, ma soprattutto non nota al (OMISSIS), non essendo stata in alcun modo dimostrata tale sua consapevolezza, essendo, al contrario, emerse dal dibattimento circostanze di segno opposto; in ogni caso, se la carenza di personale fosse stato il vulnus della struttura, cio' integrerebbe una carenza normativa che consentirebbe l'applicazione dell'articolo 47 c.p., comma 3; infine, non va dimenticato che la normativa regionale richiamata, nella parte dedicata alle comunita' di persone non autosufficienti, preveda l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici assistiti durante il giorno e di un solo operatore ogni sedici assistiti durante il turno notturno, il che rende evidente come la presenza della sola (OMISSIS) non fosse affatto al di fuori della regola di settore; peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato come il (OMISSIS) ignorasse i precetti normativi in tema di autonomia e semiautonomia e la disciplina di settore in tema di autorizzazione delle strutture di accoglienza di tali soggetti, essendo, quindi, evidente l'errore scusabile sulla norma extra-penale, come dimostrato dalle stesse deposizioni del prof. (OMISSIS) e del Dott. (OMISSIS) sul punto; 3.4 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento alla L. n. 24 del 2017, articolo 15, articolo 507 c.p.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), avendo la difesa avuto modo con i motivi di appello di rappresentare come, nel caso di specie, la richiamata disposizione del 2017 imponesse la nomina di un collegio peritale e non di un solo perito, circostanza su cui il fugace passaggio motivazionale della sentenza contrasta con quanto affermato dall'ordinanza n. 12593 della Terza Sezione Civile della Cassazione, con conseguente nullita' della perizia, apparendo evidente dalla stessa formulazione del quesito come, nel caso in esame, si versasse proprio in un caso di responsabilita' sanitaria; tanto premesso, il meccanismo di conferimento dell'incarico, ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., rende evidente l'indispensabilita' dell'apporto del perito, sicche' la nullita' della perizia non puo' che coinvolgere l'accertamento nel suo complesso; 3.5 mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d), in riferimento al quarto motivo di gravame, in quanto la difesa aveva, nella propria lista testi, indicato coloro i quali avrebbero deposto sui lavori da effettuarsi all'interno dell'appartamento della (OMISSIS), che ne avevano reso indispensabile il trasferimento altrove; a tali testi la difesa aveva rinunciato, all'udienza del 19/02/2019, su invito del Presidente del Collegio di primo grado, ritenendo la circostanza gia' sufficientemente provata; alla luce delle motivazioni della sentenza di primo grado sul punto, la difesa aveva, quindi, richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per produrre documentazione pertinente alla dimostrazione della indicata circostanza, richiedendo, altresi', l'esame dei testi; l'ordinanza di rigetto da parte della Corte di merito si basa sulla circostanza che la rinuncia difensiva non sarebbe stata motivata dalle ragioni indicate dalla difesa medesima, alla luce del verbale stenotipico dell'udienza del 07/05/2019, avendo, quindi, la Corte territoriale erroneamente individuato l'udienza di primo grado alla luce della quale avrebbero dovuto essere verificate le deduzioni difensive; cio' senza contare che la Corte di merito, del tutto contraddittoriamente, ha motivato la carenza di prove circa l'indifferibilita' e l'urgenza dei lavori da eseguirsi nell'appartamento abitato dalla (OMISSIS), da cio' desumendo la non temporaneita' di tale trasferimento, ulteriore elemento su cui risulta fondato il convincimento che il (OMISSIS) volesse definitivamente liberarsi della presenza dell'anziana madre. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la vicenda processuale e' stata originata dal decesso presso l'ospedale (OMISSIS), in data (OMISSIS), della (OMISSIS) (OMISSIS), che dal precedente (OMISSIS) era alloggiata presso la struttura residenziale per anziani "(OMISSIS)", di cui era legale rappresentante (OMISSIS); la (OMISSIS), affetta da sindrome di Alzheimer ed incapace di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, aveva sino al trasferimento, vissuto presso la sua abitazione, dove era assistita da una badante rumena, (OMISSIS), ed era, quindi, stata collocata presso la struttura per anziani su iniziativa del figlio, (OMISSIS). Presso la "(OMISSIS)" l'anziana era stata affidata alle cure di (OMISSIS), infermiera e socia della struttura; in data (OMISSIS) proprio la (OMISSIS) aveva effettuato una segnalazione al 118, a seguito della quale l'anziana donna era stata trasportata dapprima presso la clinica (OMISSIS), e da qui trasferita subito dopo all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Appare opportuno premettere, altresi', che la sentenza impugnata ha ricordato come, nel caso in esame, non ci si trovasse in presenza di una situazione, non infrequente nella casistica giudiziaria, di un'anziana lasciata in totale balia di se' stessa, in condizioni igieniche o sanitarie pessime, se non addirittura sottoposta a maltrattamenti; al contrario, la struttura coinvolta, come emerso dall'istruttoria dibattimentale, era accogliente, connotata da livelli assistenziali ed igienici del tutto adeguati, le ospiti erano circondate da un clima conviviale ed affettuoso, grazie proprio all'attivita' di (OMISSIS). Tale struttura, tuttavia, era risultata priva delle necessarie autorizzazioni, essendo stato accertato che il (OMISSIS), nel 2014, aveva richiesto l'autorizzazione ad operare come "Gruppo appartamento" - ossia, secondo la normativa regionale di riferimento, come servizio residenziale per soggetti autonomi e semiautonomi che non necessitano di assistenza sanitaria continuativa ed optano per una forma di convivenza -, laddove le ospiti della struttura erano tutte non autonome, tanto e' vero che, dopo le verifiche disposte da parte delle competenti autorita' nel gennaio 2017, era intervenuta un'ordinanza sindacale con cui si disponeva l'immediata cessazione dell'attivita'. La sentenza impugnata, pur dando atto delle soddisfacenti condizioni igieniche ed assistenziali della struttura, ha, tuttavia, individuato un contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della struttura, in quanto (OMISSIS), pur vivendo nell'appartamento, era preposta da sola all'assistenza delle ospiti, non essendo presente nessun altro dipendente, tranne la madre, (OMISSIS), che era stata puericultrice prima del pensionamento, la quale saltuariamente collaborava con la figlia nelle pulizie della struttura e nella cucina, senza prestare alcuna assistenza alle anziane ospiti. La Corte di merito ha quindi ritenuto che, sebbene la (OMISSIS) avesse esperienza nell'assistenza agli invalidi e fosse indubbiamente animata da spirito di sacrificio e dedizione al lavoro, non potesse garantire da sola un adeguato livello assistenziale alla (OMISSIS) ed alle altre cinque anziane non autosufficienti. Quanto alla causa della morte della (OMISSIS), la Corte di merito ha individuato un arresto cardiaco da insufficienza renale acuta, conseguente a sindrome da disidratazione e sofferenza multiorgano terminale in soggetto affetto da morbo di Alzheimer e vasculopatia cerebrale; proprio il forte stato di disidratazione da cui l'anziana era risultata affetta, avevano indotto i sanitari della clinica "(OMISSIS)", dove ella era stata condotta, a trasferirla dopo poche ore all'ospedale (OMISSIS), dove era deceduta. Secondo la sentenza impugnata, tale grave stato di disidratazione era insorto nel periodo minimo di quarantotto ore trascorso presso la "(OMISSIS)", dove, evidentemente, la (OMISSIS) non era stata adeguatamente e sufficientemente idratata, cio' in conseguenza della deficitaria organizzazione della struttura stessa, ossia dell'affannoso e pesante contesto in cui operava la (OMISSIS) che, pressata dalle continue esigenze anche delle altre pazienti, in una situazione climatica caratterizzata da elevate temperature, aveva omesso di dare da bere all'anziana con la dovuta frequenza. Cio' era stato, peraltro, ammesso dalla stessa (OMISSIS), la quale aveva ricordato di aver dato da bere alla (OMISSIS) la sera precedente, ma non anche la mattina in cui, poi, le condizioni della donna si erano aggravate, al punto da richieder l'intervento del 118. Cio' premesso, e rilevato che (OMISSIS) risulta condannata con pronuncia irrevocabile, non avendo formulato ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame, vanno esaminate le posizioni degli attuali ricorrenti. Per (OMISSIS), la Corte di merito ha ritenuto che egli avesse consapevolmente accettato di accogliere presso la struttura, di cui era socio e legale rappresentante, la (OMISSIS), madre di un suo amico, essendo conscio delle condizioni di non autosufficienza dell'anziana e del modulo organizzativo non adeguato della "(OMISSIS)", laddove (OMISSIS), figlio della persona offesa, aveva sradicato la madre dalla casa in cui viveva, recidendo drasticamente il legame con la badante che l'aveva accudita per anni, per collocarla in una struttura della cui inidoneita', alla luce delle indicate circostanze, egli era ben consapevole. 2. Tanto premesso quanto alla ricostruzione della vicenda, occorre anzitutto sottolineare come non vi e' dubbio che i beni giuridici protetti dalla disposizione di cui all'articolo 591 c.p. siano la vita e l'incolumita' individuale, e che scopo dell'incriminazione sia quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per eta' o per altre cause individuate dal legislatore siano esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi e' tenuto ad averne cura. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte affermato che ai fini della configurabilita' del reato in esame, la condotta di "abbandono" e' integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (tra le piu' recenti: Sez. 1, n. 5 del 11/05/2021, dep. 03/01/2022, S., Rv. 282481). In sostanza, quindi, la tutela della vita e dell'incolumita' personale, nell'ambito della struttura del reato, passa attraverso la violazione di un obbligo assistenziale o di custodia; infatti, in tutte le ipotesi di abbandono previste dalla norma in esame la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumita' personale o la vita del soggetto passivo, in quanto, se tale volonta' sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali volontarie o dell'omicidio. Puo', quindi, convenirsi sul fatto che l'essenza del delitto consista nell'abbandono del minore o del soggetto altrimenti incapace, caratterizzato dalla volonta' di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico, essendo, quindi, necessario che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un tale obbligo. Il concetto di "abbandono", quindi, presuppone il cessare di una relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo. Tale precisazione appare necessaria, in quanto la condotta di abbandono non ha, nel diritto penale, la stessa valenza che essa riveste nel linguaggio comune, in cui implica un distacco, una separazione materiale tra due soggetti, mentre la condotta penalmente rilevante non e' integrata da ogni distacco: il concetto di abbandono implica, come evidenziato dalla dottrina, un giudizio di valore, "una valutazione della condotta con cui ci si distacca, anzi una valutazione che investe il fine e la pericolosita' della condotta". La giurisprudenza di legittimita', non a caso, ha concentrato la propria attenzione sulla pericolosita' che deve connotare la semplice separazione materiale, per cui l'abbandono penalmente rilevante e' quello pericoloso, idoneo, cioe', a porre il minore o l'incapace in una situazione di pericolo per la sua incolumita'. Pertanto, il pericolo, pur se non richiamato espressamente dalla norma, deve essere considerato requisito della fattispecie senza che, invece, sia richiesta la sussistenza di alcun particolare malanimo da parte del soggetto agente (tra le altre, Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, Rv. 273479; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, dep. 08/03/2013, T. e altro, Rv. 255173; Sez. 5, n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, Rv. 247305; Sez. 5, n. 337 del 24/10/1980, dep. 22/01/1981, Saccone, Rv. 147371; Sez. 5, n. 12941 del 04/07/1978, Silecchia, Rv. 140268; Sez. 5, n. 8180 del 05/04/1974, Giannini, Rv. 128371). Tale opzione ermeneutica, peraltro, non solo trova fondamento nella previsione di aggravamenti di pena in caso di morte o di lesione della vittima, ma, richiedendo la pericolosita' della condotta, ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 591 c.p., consente di orientare la fattispecie in coerenza con il principio di offensivita'. Ne consegue, pertanto, che il dolo debba avere ad oggetto, oltre che l'eta' minore o lo stato di incapacita' del soggetto passivo e l'obbligo giuridico di cura ed assistenza verso il medesimo, anche lo stato di pericolo a cui viene esposto tale soggetto in conseguenza dell'abbandono. Il dolo, quindi, corrisponde alla volonta' libera e cosciente non solo di abbandonare la persona incapace di provvedere a se' stessa e nei confronti della quale si abbia uno specifico obbligo di assistenza o di cura, ma altresi' nella coscienza del pericolo, ovvero nella previsione che la condotta dell'agente determini una possibilita' di danno per la vita o per l'incolumita' della persona abbandonata. Ovviamente la declinazione dell'elemento soggettivo puo' essere inquadrata anche nel dolo eventuale, quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). 3. Nel caso di (OMISSIS), quindi, il dovere di custodia di cui egli era titolare, scaturente dal suo ruolo di socio e legale rappresentate della struttura e dall'avervi accolto l'anziana, deve essere specificamente considerato, in relazione alla condotta a lui ascritta. Senza alcun dubbio, nel caso in esame, tale dovere aveva fonte contrattuale, in coerenza con quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Sez. 5, n. 18448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126, che, in motivazione ha specificato: "Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'eta' ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive. Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potra' sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilita' del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, puo' anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex articolo 591 c.p. possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui all'articolo 40 c.p., comma 2, con la possibilita' di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Cass., Sez. 4, 22 maggio 2007, n. 25527, Conzatti; Cass., Sez. 4, 5 aprile 2013, n. 50606, Manca)."). Cio' che, per la verita', la sentenza impugnata non ha chiarito in maniera adeguata ed esaustiva e' l'individuazione del contenuto del dovere di custodia in capo al (OMISSIS), non risultando affatto chiarito quale norma cautelare specifica riferita alla posizione di garanzia rivestita - egli abbia violato, ed in quali termini da tale violazione sia derivata una condizione di abbandono dell'anziana. Tale questione appare di rilievo decisivo, posto che nella presente sede non si discute della responsabilita' civile, ma della responsabilita' penale per un delitto punto a titolo di dolo. In ambito civile, infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito come il complesso ed atipico rapporto che si instaura tra la casa di cura ed il paziente non si esaurisce nella mera fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma consiste nella messa a disposizione del personale medico ausiliario e di quello paramedico, nonche' nell'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, con conseguente, autonoma e diretta responsabilita' della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza alle obbligazioni ad essa facenti carico (Sez. U, n. 9556 del 01/07/2002, Rv. 555494; in tal senso anche Sez. 3, n. 13066 del 14/07/2004, Rv. 574562, in cui si e' chiarito come il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che puo' essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente, insorgono a carico della casa di cura, obblighi di vario tipo, come individuati dalle Sezioni Unite). In altri termini, la responsabilita' della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e puo' conseguire, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonche', ai sensi dell'articolo 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal personale sanitario, quale ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, sussistendo comunque un collegamento tra la prestazione effettuata e l'organizzazione aziendale. Inoltre, va ricordato che, del tutto pacificamente, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilita' civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralita' di cause, i criteri che si applicano sono quelli della "probabilita' prevalente" e del "piu' probabile che non", sicche' il giudice di merito e' tenuto, dapprima, ad eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, quindi analizzare le rimanenti ipotesi ritenute piu' probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo cosi' la veste di probabilita' prevalente (tra le piu' recenti: Cass. civ., Sez. 3, n. 25884 del 02/09/2022, Rv. 665948; Sez. 1, ordinanza n. 18584 del 30/06/2021, Rv. 661816). In sede penale, invece, si tratta di accertare la sussistenza di un reato e l'individuazione del suo autore, il che - ed appare veramente superfluo sottolinearlo - involge un accertamento che si fonda sul raggiungimento di una prova che consenta una condanna al di la' di ogni ragionevole dubbio. Nel caso in esame non vi e' dubbio che la sentenza impugnata abbia pacificamente dato atto delle soddisfacenti condizioni della struttura (pag. 15 della motivazione), alla luce del testimoniale, affermando, pero', che "l'abbandono in contestazione non inerisce alla trascuratezza igienica dei locali ne' si ipotizzano contestualmente ad esso maltrattamenti di alcun tipo. Del garbo e della disponibilita' nei confronti delle ospiti palesato dalla (OMISSIS) non vi e' motivo di dubitare ma tale atteggiamento non vale ad escludere il complessivo contesto di grave carenza organizzativa nel funzionamento della casa...", consistente nel fatto che la (OMISSIS) fosse l'unica persona a prendersi cura della sei anziane ricoverate, onere lavorativo gravosissimo, svolto senza alcuna interruzione. In sostanza, la Corte di merito ha posto a carico del (OMISSIS) la violazione di un obbligo di protezione di natura contrattuale, concretatosi nel mancato rispetto di una massima di esperienza, ossia quella secondo la quale l'assistenza fornita dalla sola (OMISSIS), nonostante la sua indiscussa professionalita', fosse insufficiente ed inadeguata. Quindi, al (OMISSIS) sarebbe ascrivibile non solo una condotta attiva - consistita nell'aver aderito alla richiesta di ricovero dell'anziana presso una struttura che egli sapeva carente - ma anche una condotta omissiva - consistente nel non aver posto rimedio a tali carenze. Specularmente, al figlio della anziana, (OMISSIS), sarebbe ascrivibile una condotta attiva - consistita nell'aver trasferito la madre in detta struttura, sottraendola al contesto cui ella era abituata - ed una condotta omissiva consistita nel non essersi preventivamente accertato delle condizioni assistenziali della struttura stessa. Anche a carico del (OMISSIS), quindi, la responsabilita' discenderebbe dalla violazione di un obbligo di assistenza e di cura discendente dal rapporto di filiazione, riconducibile, in concreto, alla medesima massima di esperienza applicata anche in riferimento al (OMISSIS). Cosi' inquadrata la questione che costituisce lo snodo centrale della contestazione, su tale aspetto occorre ricordare come, metodologicamente, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata se non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, puo', tuttavia, avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 30/04/2021, P.G. c. Romano Eric, Rv. 281385). Trattasi di un approdo ermeneutico risalente e consolidato, che trova, tra le altre, un autorevole precedente in Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, P.G. in proc. Abbate ed altri, Rv. 228401, secondo cui "Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita', non puo' estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche' la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l'osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. Ne consegue che la doglianza di illogicita' puo' essere proposta quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe' su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe' una ipotesi non fondata sullo "id quod plerumque accidit", insuscettibile di verifica empirica), od anche una pretesa regola generale che risulti priva, pero', di qualunque e pur minima plausibilita'." (in senso conforme: Sez. 4, n. 8825 del 27/05/1993, P.M. in proc. Rech, Rv. 196428; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, Grilli ed altri, Rv. 186149; Sez. 1, n. 9242 del 04/02/1988, Barbella, Rv. 179165). Il citato orientamento, quindi, non solo ascrive le massime di esperienza alle regulae juris che preesistono al giudizio, ma consente di differenziare tra massima di esperienza e mera congettura: nel primo caso il dato e' stato gia', o viene comunque, sottoposto a verifica empirica - il che consente il ricorso alla formula dell'id quod plerumque accidit -, mentre nel secondo caso tale verifica non vi e' stata, ed essa resta affidata ad un nuovo calcolo di possibilita', sicche' la congettura rimane insuscettibile di verifica empirica e quindi di dimostrazione. Tale impostazione, ovviamente, deve essere inquadrata nella struttura del giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale, che non puo' mai essere di probabilita', ma di certezza. Nella vicenda in esame risulta del tutto pacifico che fino al momento del decesso della (OMISSIS) nessuna situazione critica si fosse verificata in relazione alle modalita' di assistenza alle altre anziane ricoverate, le cui condizioni di accudimento, al contrario, risultavano del tutto adeguate al loro rispettivo stato di salute, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale che, sul punto, ha escusso non solo i familiari delle altre ospiti, ma anche i medici e le assistenti sociali, non dipendenti della struttura, che ivi si recavano ad effettuare i controlli. Da cio' deriva un primo errore metodologico da parte della Corte di merito, consistente nell'aver ritenuto l'inadeguatezza della struttura unicamente sulla base dell'evento verificatosi, con evidente valutazione ex post, laddove, al contrario, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata ex ante. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe dovuto evidenziare specifiche circostanze, preesistenti all'aggravarsi delle condizioni della (OMISSIS), in se' idonee a delineare, con giudizio ex ante, carenze strutturali e/o assistenziali note al (OMISSIS) o, comunque, rientranti nella sua sfera di controllo e valutabili alla luce di una o piu' verificate massime di esperienza. In particolare, sarebbe stato necessario che la valutazione delle risultanze processuali fosse stata svolta in base ad un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze autonome da esso e valevole per nuovi casi. Cio' a maggior ragione se - come dimostrato dalla difesa attraverso la produzione delle disposizioni normative vigenti presso la Regione Campania in tema di strutture assistenziali per persone non autosufficienti - il servizio presso tali strutture prevede l'assistenza di due operatori di primo livello ogni sedici persone non autosufficienti durante il giorno e di un operatore per il servizio notturno, risultando, quindi, evidente, come, in base ai criteri elaborati nello specifico settore, sulla scorta delle esperienze maturate, un'infermiera professionale ben poteva adeguatamente assistere sei persone anziane non autosufficienti, pur non disponendo, durante l'arco temporale di riferimento, di un assiduo aiuto. In tal senso, quindi, appare evidente come la Corte di merito abbia operato una confusione rilevante, in termini di inquadramento normativo e di conseguente svolgimento argomentativo, tra la nozione di massima di esperienza e quella di congettura, omettendo di chiarire sulla scorta di quale inferenza epistemologica si fosse pervenuti alla individuazione della massima di esperienza applicata nella specie. Perche' il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame il valore di prova, e', quindi, necessario che si possa escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile, laddove, in caso contrario, il dato rappresenta solo un criterio di plausibile valutazione, ma non un elemento di prova autosufficiente, risultando necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza piu' verosimile; cio' in quanto il concetto di "probabilita' logica" esprime il concetto secondo cui la constatazione del regolare ripetersi di un fenomeno non ha significato solo sul terreno statistico, ma contribuisce ad alimentare l'affidamento sulla plausibilita' della generalizzazione desunta dalla osservazione dei casi passati (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Cassandro, Rv. 237145; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala e altri, Rv. 230873; Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995 Layne ed altri, Rv. 201152). Non si comprende, quindi, sulla scorta di quale criterio di inferenza scientifica la sentenza impugnata abbia considerato massima di esperienza l'affermazione secondo cui una sola infermiera, di indiscusse capacita' professionali, non possa adeguatamente occuparsi, anche da sola e continuativamente, di un numero limitato di pazienti non autosufficienti e non richiedenti cure mediche specifiche e/o specialistiche, posto che sino al momento del decesso della (OMISSIS) non si era emersa alcuna problematica riferibile a tale modulo assistenziale. Sotto tale aspetto, infatti, non puo' non considerarsi come la (OMISSIS) fosse stata assistita, anche presso la propria abitazione, da una sola persona, (OMISSIS), che, peraltro, non aveva competenze specifiche. Presso la "(OMISSIS)", inoltre, non risultano emerse condizioni di degrado fisico cui era stata sottoposta la (OMISSIS), che, invece, era stata adeguatamente assistita in riferimento alle sue specifiche condizioni, fino al momento in cui si era verificata la mancata somministrazione di sufficienti liquidi, vicenda cronologicamente limitata ad un arco temporale di quarantotto ore precedenti al ricovero. In tal senso, quindi, si palesa anche il vizio di illogicita' della motivazione sotteso al ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, che, alla luce della emergenze probatorie evidenziate - con particolare riferimento sia alla mancanza di fatti pregressi che avessero evidenziato una inidoneita' e/o una carenza della scelta assistenziale praticata, sia quanto alla coerenza del modulo adottato ai parametri della normativa regionale di settore - non ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate. La concreta condotta di abbandono di cui e' stata ritenuta responsabile (OMISSIS), in altri termini, non implica alcun automatismo in termini di disfunzioni organizzative ascrivibili al (OMISSIS) e, tantomeno, al (OMISSIS). In tal senso, infatti, la sentenza impugnata confonde, palesemente, il dato rappresentato dalla carenza di autorizzazione amministrativa della struttura, nonche' quello relativo alla situazione di non autosufficienza della (OMISSIS), con il diverso piano inerente alla indimostrata carenza strutturale ed organizzativa su cui avrebbe dovuto fondarsi la condotta consapevole e volontaria di abbandono penalmente rilevante. Cio', peraltro, senza porsi minimamente il dubbio un possibile inquadramento della vicenda in un'ottica colposa. 4. A tali considerazioni, inoltre, va aggiunto il rilievo concernente la totale carenza - non a caso - di un'adeguata motivazione circa l'indagine concernente il nesso di causalita' tra le condotte ascritte agli imputati e l'abbandono verificatosi, oltre che in relazione all'elemento soggettivo del reato, ossia al dolo. Prima ancora di analizzare le cause del decesso dell'anziana, la sentenza avrebbe dovuto chiaramente individuare la condotta di abbandono, causalmente rilevante, ascrivibile al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), senza alcuna sovrapposizione della posizione di costoro con il profilo concernente la condotta di (OMISSIS). Nell'ottica di un delitto punibile a titolo di dolo, quale la fattispecie di cui all'articolo 591 c.p., l'evento deve essere preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione. La condizione di abbandono, quindi, prima ancora dell'evento morte, non puo' costituire un accadimento accidentale, ma una conseguenza che dipende dal consapevole attivarsi od omettere. Si deve, quindi, ribadire come il dolo del delitto in esame e' generico, potendo assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita' del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumita' fisica di quest'ultimo, persista nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi (Sez. 5, n. 44657 del 21/10/2021, L., Rv. 282173; Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431). Nel delitto doloso cio' che va specificamente valorizzato e' l'aspetto della volonta', il che consente di ricomprendere in tale cornice ricostruttiva anche le situazioni in cui l'evento, senza essere intenzionalmente perseguito, venga posto in correlazione causale con la propria azione e, proprio per questa ragione, voluto - come conseguenza nel momento stesso in cui l'agente decide di porla in essere, conscio del risultato che ne puo' derivare. In tal modo appare possibile consentire, anche in riferimento al dolo eventuale, di cogliere in esso un atteggiamento psichico assimilabile a quello propriamente volontaristico. Inoltre, posto che la rilevanza penale della condotta attiva o omissiva discende dal costituire una condizione necessaria nella sequenza degli antecedenti che hanno determinato la produzione del risultato, senza la quale l'evento del reato non si sarebbe verificato, la sentenza impugnata appare manifestamente carente anche in relazione all'efficacia causale delle condotte ascritte agli imputati, dato che, seppure la massima di esperienza utilizzata fosse condivisibile - cosa che non e' -, cio' non avrebbe comunque consentito di dedurre automaticamente l'esistenza del nesso causale, poiche' il giudice di merito deve verificare la validita' della regola in riferimento al caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, in modo che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresi' escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta degli imputati sia stata condizione necessaria dell'abbandono con alto o elevato grado di credibilita' razionale o probabilita' logica. L'insufficienza, la contraddittorieta' o l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta, rispetto ad altri fattori interagenti, comportano, in definitiva, la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa, in quanto lo standard probatorio richiesto in riferimento alla sussistenza del nesso causale non segue un regime differente rispetto agli altri elementi costitutivi del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare il caso di richiamare quanto gia' affermato da questa Corte in tema di differenza tra il reato di maltrattamento e quello di abbandono di incapaci, laddove e' stato ricordato come le reiterate e gravi carenze di cure ed assistenza a persone anziane non autosufficienti, pur potendo configurare il reato di maltrattamenti, non integra di per se' il diverso reato di abbandono di incapaci, per la cui configurabilita' e' necessario l'accertamento di una condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumita' del soggetto passivo (Sez. 6, n. 12866 del 25/01/2018, M., Rv. 27273). Nell'esaminare tale specifica vicenda appare evidente, peraltro, come la Corte di merito abbia del tutto pretermesso di valutare il possibile inquadramento delle condotte in fattispecie colpose. Quanto al (OMISSIS), la motivazione della sentenza impugnata - e ancor piu' di quella di primo grado - appaiono evidentemente incentrate sulla negativa valutazione della condotta del predetto, che "non ebbe alcuna remora non solo a sradicare l'anziana dall'ambiente in cui viveva da sempre, ma a recidere drasticamente il suo consolidato rapporto con la badante che da tanti anni l'accudiva, non premurandosi neanche di avvertire quest'ultima che da un momento all'altro avrebbe perso il lavoro, facendole trovare al ritorno dalla spesa sinanche rimossi il letto ed il materasso su cui la madre dormiva e imponendole la pronta restituzione delle chiavi di casa. Neanche si premuro' di assicurare, per attutire il distacco che andava operando, che almeno per qualche giorno la (OMISSIS) continuasse ad incontrare la signora, tacendole sinanche l'indirizzo della casa di riposo ove veniva trasportata, alla quale la donna riusci' ad arrivare solo tramite le indicazioni telefoniche del figlio di (OMISSIS) per venirne poi praticamente cacciata visto che l'imputato aveva disposto che non fossero consentite visite di soggetti diversi dai parenti." Appare appena il caso di ricordare come ogni valutazione concernente la condotta umana da punto di vista etico non spetta ne' a questa Corte ne' ai giudici di merito che, al di la' delle affermazioni pur effettuate (pag. 26 della sentenza impugnata), non sembrano aver non solo adeguatamente affrontato le problematiche giuridiche sin qui esposte, ma non hanno neanche ritenuto di dare spazio alle argomentazioni difensive. In tal senso del tutto immotivato appare il diniego di acquisizione della documentazione richiesta dalla difesa del (OMISSIS); seppure, infatti, non appare illogico il rigetto, da parte della Corte territoriale, di rinnovare l'esame dei testi a cui la difesa aveva rinunciato in primo grado, del tutto privo di ogni aggancio motivazionale appare il diniego di acquisire la documentazione avente ad oggetto i lavori da eseguire all'interno dell'appartamento della (OMISSIS). Premesso, infatti, che trattasi di documenti, come tali acquisibili ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. senza alcuna limitazione, la Corte di merito sicuramente avrebbe potuto approfondire la sussistenza di circostanze alla stregua delle quali considerare l'elemento soggettivo dell'imputato, salva, in concreto, ogni valutazione della irrilevanza della documentazione acquisita. Ed infatti, la decisione di (OMISSIS) di sistemare la madre presso una struttura, per quanto possa apparire umanamente non condivisibile o, addirittura riprovevole, alla luce delle condizioni di assistenza di cui godeva la (OMISSIS) presso la propria abitazione, non consente automaticamente di configurare a fattispecie di abbandono di incapaci, posto che nessun rilievo e' stato dato, ad esempio, all'eventuale aggravamento delle condizioni di salute della (OMISSIS) come conseguenza del trasferimento, circostanza che non appare affatto approfondita dall'istruttoria dibattimentale; ne', per la verita', appare presa in considerazione la possibilita' che il (OMISSIS) abbia agito in maniera imprudente o superficiale. In realta', dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico, le sentenze di merito avrebbero dovuto individuare la condizione di abbandono specificamente verificatasi, ancor prima di approfondire la causa del decesso della (OMISSIS), posto che tale evento era, in ipotesi, scaturito dall'abbandono. Una volta individuata, con giudizio ex ante, la condizione di abbandono, sarebbe stato necessario verificare se ed in che misura la stessa fosse causalmente collegata alle condotte - attive e/o omissive - ascritte al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), nelle loro rispettive posizioni di garanzia scaturenti dagli obblighi di custodia di cui erano titolari, passando, poi, a scandagliare in maniera adeguata la sussistenza dell'elemento soggettivo anche sotto l'aspetto di un rimprovero da inquadrare nella categoria della colpa. Al contrario, la Corte di merito, sulla base di un percorso metodologico del tutto carente ed illogico - basato su una indimostrata massima di esperienza - ha asserito la sussistenza di non meglio specificate violazioni di doveri di custodia, senza approfondire, se non attraverso affermazioni apodittiche, l'elemento soggettivo del delitto di abbandono di incapaci e la sussistenza del nesso di causalita' tra le condotte ascritte ad (OMISSIS) ed a (OMISSIS) e la verificazione della condizione di abbandono. In tal senso, quindi, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli che, nella piena liberta' della valutazione delle risultanze processuali, si atterra', nondimeno, ai principi di diritto sin qui illustrati. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. Scarl INI Enrico V. - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/06/2021 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO - PILLA EGLE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. GIORDANO LUIGI; Il Proc. Gen. si riporta integralmente alla requisitoria depositata e conclude per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio per la mancata applicazione delle attenuanti generiche riconosciute in primo grado, rideterminando la pena inflitta a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettando nel resto i relativi ricorsi; conclude per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione alla conferma della confisca disposta nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS); conclude per l'inammissibilita' del ricorso proposto da (OMISSIS); conclude per il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). udito il difensore; Il Difensore di P.C. (OMISSIS) (AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO) chiede la conferma della sentenza impugnata segnatamente quanto alle condanne al risarcimento del danno civile subito dall'AGENZIA DELLE ENTRATE e alle confische in favore dell'Erario. L'avvocato (OMISSIS) (AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO) deposita conclusioni e nota spese. Il Difensore di P.C. (OMISSIS) del foro di FROSINONE deposita conclusioni e nota spese e si riporta alle conclusioni depositate. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA chiede l'annullamento della sentenza impugnata e insiste per l'accoglimento del ricorso proposto da (OMISSIS). Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta alle conclusioni del co-difensore e insiste per l'annullamento della sentenza impugnata. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta ai motivi del ricorso di (OMISSIS) e insiste per l'accoglimento dello stesso. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta ai motivi del ricorso di (OMISSIS) e insiste per l'accoglimento dello stesso. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta alle memorie depositate e insiste per l'accoglimento del ricorso di (OMISSIS). Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA chiede l'annullamento della sentenza impugnata e insiste per l'accoglimento dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Il Difensore (OMISSIS) del foro di LATINA si riporta ai motivi del ricorso di (OMISSIS) e insiste per l'accoglimento dello stesso. Il Difensore (OMISSIS) del foro di LATINA chiede l'annullamento della sentenza impugnata e insiste per l'accoglimento del ricorso di (OMISSIS). Il Difensore (OMISSIS) del foro di TIVOLI si riporta ai motivi dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e insiste per l'accoglimento degli stessi. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e, riportandosi ai motivi dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), insiste per l'accoglimento degli stessi. Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta all'atto di impugnazione e insiste per l'accoglimento del ricorso di (OMISSIS). Il Difensore (OMISSIS) del foro di ROMA si riporta ai motivi del ricorso di (OMISSIS) e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Per quanto qui di interesse, il Tribunale di Roma: - con sentenza del 12 settembre 2016 (proc n. 22166/16), dichiarava responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e meglio indicati in dispositivo (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) , (OMISSIS) e (OMISSIS) condannandoli alle pene (ed al risarcimento dei danni) riportate in sentenza, disponendo la confisca di una serie di beni di loro appartenenza; - con sentenza del 20 marzo 2019 (proc. n. 7578/19), dichiarava responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e meglio indicati in dispositivo (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) condannandoli alle pene (ed al risarcimento dei danni) riportate in sentenza e confiscandone i beni fino alla concorrenza delle somme precisate. Nel procedimento concluso con la prima sentenza era contestata ai prevenuti la costituzione di un'associazione a delinquere, volta alla commissione di reati di bancarotta (patrimoniale ed impropria), di riciclaggio e di violazioni della normativa fiscale, tutti finalizzati a spogliare (con modalita' varie e anche finanziandosi con la stipula di contratti di leasing immobiliare) le societa' degli amministratori di societa' decotte che a tale associazione si rivolgevano, di gran parte del loro patrimonio, trasferendo poi le societa' stesse all'estero al fine di eludere la declaratoria del dissesto nel territorio nazionale. Al delitto associativo si erano aggiunti i reati-fine costituiti dalla violazione delle norme previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, dai delitti di bancarotta, di riciclaggio, di appropriazione indebita meglio descritti in rubrica, consumati in occasione della spoliazione delle societa' indicate. La medesima imputazione associativa veniva ascritta agli ulteriori imputati del procedimento definito con la seconda sentenza citata, con i reati fini afferenti le medesime (gia' contestate ai coimputati) ed altre operazioni di spoliazione delle societa' avviate al fallimento. 1.1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza del 17 giugno 2012, oggi impugnata, previa riunione dei procedimenti e in parziale riforma delle ricordate pronunce, proscioglieva i prevenuti dai reati che si erano, nel frattempo, estinti per prescrizione, assolveva alcuni degli imputati da parte delle accuse loro mosse e rideterminava le pene inflitte agli odierni ricorrenti nella misura indicata in dispositivo. 1.2. Gli imputati che hanno proposto ricorso sono i seguenti. 2. Gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS), articolano nove motivi di ricorso. Pambianchi e' imputato dei reati di cui ai capi 2, 10, 24, 27, 28 e 31 del proc. n. 7578/19 e del delitto associativo. 2.1. Con il primo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 416, 110, c.p. e articolo 192 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del ricorrente per il delitto associativo. Era stato smentito il supposto ruolo del prevenuto di collettore dei clienti per conto dell'associazione. Non si era individuata alcuna specifica condotta ma lo si era ritenuto parte dell'associazione, nel ruolo di organizzatore, per la mera contitolarita' dello studio professionale. Si era contraddittoriamente affermato che non vi era la prova del percepimento, da parte sua, di alcun profitto illecito per poi osservare come, invece, si dovesse dedurre l'intraneita' del (OMISSIS) nell'associazione dal percepimento di profitti rivenienti da alcune delle operazioni contestate. La Corte si era limitata a valorizzare il preteso contenuto della chiavetta usb sequestrata al (OMISSIS). Supporto che, pero', costituiva un unico indizio a carico dell'imputato, che non poteva neppure definirsi grave e preciso, configurando solo un mero sospetto o una semplice congettura e non una piena prova della sua responsabilita'. Quanto al preteso profitto che si assume ricavato da (OMISSIS) nella vicenda (OMISSIS), i 300.000 erano a lui dovuti a titolo di compenso professionale. Il teste (OMISSIS) ne aveva attestato l'estraneita' della vicenda della cessione dell'immobile di (OMISSIS). Ne' ve ne era traccia nella pendrive. Tra i files dello studio (OMISSIS) non era indicato il ricorrente. Non erano emersi contatti fra (OMISSIS) e gli altri presunti associati o il suo coinvolgimento nelle condotte illecite. Quanto alla complessiva vicenda del Gruppo (OMISSIS) si erano travisati i contenuti delle tre conversazioni intercettate. In esse, (OMISSIS) non si era mostrato affatto fiero dell'operazione condotta per sottrarre le societa' al pagamento delle imposte (le si ricordavano da pag. 16 del ricorso), come asserito dalla Corte di merito. 2.2. Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 10 (RG 7578). Si osserva come la stessa Corte di merito aveva convenuto sul fatto che non potesse ascriversi la responsabilita' delle condotte descritte nelle plurime imputazioni impersonalmente allo studio (OMISSIS)- (OMISSIS), senza precisare chi fossero i professionisti che, per esso, avevano concretamente operato, ma che, da tale premessa, non se ne erano tratte le dovute conseguenze in ordine alla responsabilita' del (OMISSIS), che era rimasto sempre estraneo ai fatti, limitandosi ad essere uno dei titolari dello studio. Posto poi che il ricorrente, rispetto ai reati fallimentari, avrebbe potuto ricoprire soltanto la posizione di extraneus, non si erano neppure provati ne' l'accordo criminoso con il soggetto qualificato, gli amministratori delle societa', ne' il suo contributo causale ai reati ascritti, ne' l'elemento soggettivo dei medesimi. Quanto alle operazioni descritte al capo 10 della rubrica (pg. 65 e ss della sentenza), pur attribuendone, la Corte, l'ideazione e la realizzazione a (OMISSIS), si era dedotto il contributo del ricorrente dalla sola compartecipazione allo studio professionale. L'imprenditore di riferimento delle suddette operazioni, infatti, (OMISSIS), non aveva riferito di alcuna concreta condotta del (OMISSIS). Ne' la stessa poteva essere desunta dalla riferibilita' della societa' (OMISSIS), coinvolta nella vicenda, allo studio professionale, tanto piu' che gli stessi dipendenti di questa avevano escluso qualsivoglia interessamento del ricorrente alla societa'. Nulla poi poteva dedursi dal documento sequestrato, il preventivo relativo ai compensi richiesti per la ristrutturazione del gruppo, posto che era stato redatto nel 2009 e, quindi, tre anni dopo i fatti contestati. 2.3. Con il terzo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 24 (RG 7578), in relazione al fallimento (OMISSIS) (pg 75 e ss sentenza). La Corte territoriale aveva illustrato il solo contributo nella vicenda di una coimputata (la (OMISSIS)), limitandosi poi ad affermare che ne doveva rispondere anche il ricorrente posto che si era utilizzata la "collaudata procedura". Non si era pertanto individuato alcun concreto contributo fornito dal (OMISSIS), contributo che non poteva essere surrogato dalla sua assunta partecipazione all'associazione e dalla mera similitudine delle procedure seguite. 2.4. Con il quarto motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 27, 28 e 31 (RG 7578), riferibili alle societa' del gruppo (OMISSIS). Anche in questa vicenda non era stata individuata alcuna concreta condotta tenuta dal (OMISSIS) in riferimento alle operazioni descritte nelle imputazioni. Si era limitato ad incontrare i fratelli (OMISSIS), in un paio di occasioni, in cui ci si era scambiati solo i convenevoli di circostanza. Quanto alle cambiali e ai proventi delle operazioni che, secondo gli appunti contenuti nella pendrive, sarebbero pervenuti alla societa' (OMISSIS) facente capo allo studio professionale, si era gia' osservato come questa fosse stata, invece, utilizzata come strumento per veicolare le somme di denaro rivenienti dal gruppo (OMISSIS) a (OMISSIS) (coinvolto in quella vicenda), dal cui addebito, pero', (OMISSIS) era stato assolto. Anche in questo caso si era pertanto dedotta la responsabilita' del ricorrente dal suo coinvolgimento nelle attivita' dello studio professionale. 2.5. Con il quinto motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 2 (RG 7578), relativo al fallimento (OMISSIS). Lamentano anche la mancata derubricazione delle condotte nella gradata ipotesi della bancarotta preferenziale, con conseguente estinzione del reato per prescrizione. Questo, infatti, secondo la stessa difesa, era l'unico caso in cui era stato individuato un trasferimento di somme ad una delle societa' facenti capo al ricorrente. Non si era risposto pero' adeguatamente alla censura mossa in appello (circa, appunto, l'invocata derubricazione nell'ipotesi di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3) considerando che quelle somme erano state corrisposte a dei creditori della societa' che, proprio per tale ragione, non si erano poi insinuati nel fallimento, vantando titoli che emergevano dai dati di bilancio, come aveva anche osservato il CT della difesa, Dott. (OMISSIS). 2.6. Con il sesto motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, articolo 3, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della natura transnazionale dei delitti ascritti al prevenuto ai capi 1, 2, 10, 27 e 31 (RG 7578) ed alla confisca di beni da questa consentita. Si era speso sul punto uno specifico motivo di appello ma la Corte di merito non aveva argomentato se non in modo del tutto apparente, posto che non si erano raccolti elementi concreti da cui potersi dedurre che una parte essenziale della condotta si fosse svolta all'estero, ove, invece, si erano solo iscritte prima e cancellate poi le societa'. Peraltro, non rispondeva neppure al vero che tutte le condotte erano state consumate dopo l'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006: il trasferimento all'estero di (OMISSIS) datava al 2004 e cosi' i trasferimenti delle societa' di cui ai capi 27 e 31, avvenuti nel corso degli anni 2004/2005. Doveva poi considerarsi che, quanto al capo 10, le condotte dei cittadini stranieri erano state tutte consumate in Italia. Tutti gli atti distrattivi erano stati commessi nel territorio nazionale. 2.7. Con il settimo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 114 e 110 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 10 (RG 7578). In considerazione di tutto quanto sopra rilevato si doveva riconoscere al prevenuto un ruolo del tutto marginale nell'intera vicenda e si sarebbe dovuto applicare l'ipotesi gradata prevista, appunto, dall'articolo 114 c.p.. 2.8. Con l'ottavo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 81 cpv. 132 e 133 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena. Non si era distinto, per quanto attiene al reato contestato al capo 27, ritenuto il piu' grave, fra la pena base e l'aumento per l'aggravante del danno di rilevante entita'. Si era effettuato un identico aumento per tutti gli altri capi, senza precisazione alcuna. La Corte d'appello, nonostante lo specifico gravame, non aveva emendato tali vizi. Cosi' che era rimasto impossibile discernere, per il capo 27, quale fosse stata la pena base. Quanto agli aumenti per la continuazione non si era tenuto conto del fatto che alcune contestazioni prevedevano una o entrambe le aggravanti fallimentari. 2.9. Con il nono motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 597 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. Non si era sanato il contrasto fra le due pronunce di primo grado in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (concesse nel RG 22166 e negate nel RG. 7578) in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS). 2.10. Con una successiva memoria, i difensori del (OMISSIS) articolano motivi nuovi in cui argomentano ancora il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilita' del ricorrente in riferimento al delitto associativo, ed ai reati fine (con particolare riguardo a quelli contestati ai capi 2, 10, 24, 27, 28, e 31). 3. Gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), per (OMISSIS), articolano venti motivi di ricorso. (OMISSIS) era imputato dei fatti descritti ai capi 2, 4, 6, 8, 10, 24, 27, 28 e 31 RG 7578/2029 e del delitto associativo. 3.1. Con il primo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 219 e articolo 223, comma 2, n. 2, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 27 (RG 7578), la bancarotta impropria per il cagionamento del fallimento di (OMISSIS) srl mediante le operazioni dolose ivi indicate. In nessuno dei passaggi motivazionali delle sentenze di merito si erano illustrati gli elementi essenziali del reato, che si ricordava essere "proprio", contestato, quindi, al (OMISSIS) quale extraneus (non avendo il ricorrente ricoperto alcuna carica nella societa', rispetto alla quale aveva assunto il solo ruolo di consulente). Non erano stati specificati ne' il contributo che l'imputato avrebbe apportato, in concorso con gli amministratori della societa', alla causazione del dissesto, ne' il nesso causale di tale comportamento con il dissesto stesso e neppure il dolo del concorso nel reato. Non erano stati richiamati gli atti descritti al capo 26 (che avevano costituito il presupposto del delitto in questione) e non era stato illustrato il concreto contributo fornito dal ricorrente a ciascuno di essi. Non si era tenuto conto del fatto che, trattandosi di scissioni societarie, permaneva comunque la responsabilita' solidale di tutte le societa' e soprattutto della capogruppo. Non si era data risposta alle obiezioni mosse con il motivo d'appello. 3.2. Con il secondo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 192 e 513 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata riapertura dell'istruttoria dibattimentale in relazione al medesimo capo 27 ed alla valutazione delle chiamate in correita' dei fratelli (OMISSIS). Non si erano reperiti riscontri esterni ed individualizzanti alla narrazione dei fratelli (OMISSIS) (che avevano riferito di essersi limitati a effettuare tutte le operazioni loro suggerite dal ricorrente). Ed anzi, non si era neppure tenuto conto del fatto che gli apporti dichiarativi dei fratelli (OMISSIS) costituivano delle chiamate in correita' e se ne sarebbe dovuta valutare l'attendibilita' intrinseca ed estrinseca. Era comunque illogico ritenere che degli imprenditori si limitassero a adempiere supinamente alle richieste di un consulente. 3.3. Con il terzo ed il quarto motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 219 e articolo 223, comma 2, n. 2, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 6 ed 8 (RG 7578). I delitti contestati ai capi indicati erano delle condotte di bancarotta impropria, punita ai sensi della L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, e non di bancarotta per distrazione come in sostanza affermato dalla Corte di merito. Il contributo dichiarativo di (OMISSIS) doveva essere considerato una chiamata in correita' e non una mera testimonianza e si sarebbero dovuti individuare degli elementi di riscontro, esterni ed individualizzanti, che, invece, non erano stati reperiti. Peraltro, (OMISSIS) aveva riferito che, inizialmente, non era neppure previsto il trasferimento all'estero delle societa'. Il ricorrente si era limitato a fornire una consulenza fiscale, in relazione alla possibile istanza di concordato preventivo. Il trasferimento all'estero era avvenuto su indicazione di un altro coimputato, l' (OMISSIS). Coimputato che non era collegato con il ricorrente. Al momento delle operazioni il dissesto non era affatto prevedibile. 3.4. Con il quinto motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219, 223 e 10, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per tutti i delitti di bancarotta ascrittigli, non potendo egli prevedere l'avvenuto mutamento giurisprudenziale in riferimento alla interpretazione della norma da ultimo citata. I trasferimenti delle societa' all'estero erano avvenuti fra il 2004 ed il 2010. La giurisprudenza di legittimita' civile riteneva che si potesse dichiarare il fallimento delle societa' trasferite all'estero solo entro un anno dal mutamento, fittizio, della sede. Solo con la sentenza delle Sezioni unite civili n. 8426 del 2010 si era precisato che, anche in caso di cancellazione della societa' solo fittiziamente trasferita all'estero, se ne poteva dichiarare il fallimento oltre l'anno dalla cancellazione dal registro. Ed era in base a tale nuovo orientamento che erano stati chiesti i fallimenti delle societa' indicate nelle imputazioni. Cosi' che (OMISSIS), al momento delle operazioni, non si sarebbe neppure potuto rappresentare che le societa' coinvolte avrebbero potuto incorrere nelle dichiarazioni di dissesto. Occorreva, allora, applicare i principi dettati dall'articolo 7 della Convenzione EDU, che impediscono che possa essere considerata di rilievo penale una condotta che non era tale al momento in cui era stata commessa, anche alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale dell'epoca. Nel caso di specie, la pronuncia delle Sezioni unite aveva totalmente innovato il presupposto della fallibilita' delle societa' in oggetto. E la sentenza dichiarativa del fallimento e' parte essenziale del reato di bancarotta perche' si inserisce nella struttura stessa del delitto, quantomeno come condizione obiettiva di punibilita'. 3.5. Con il sesto motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 5, 43 e 47 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'errore di diritto inevitabile. Le considerazioni sopra argomentate dovevano valere anche sotto il ricordato profilo, essendo, nel caso, il ricorrente, incorso in un errore di diritto che la precedente giurisprudenza civile di legittimita' aveva avvalorato. 3.6. Con il settimo motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per i delitti ascrittigli al capo 28 e 31 (RG 7578). Innanzitutto, la prima sentenza dichiarativa era stata revocata e la pronuncia di una nuova sentenza non aveva rilievo ai fini penali, tanto piu' che, nel capo di imputazione, era citata solo la prima pronuncia. Si trattava delle societa' del gruppo (OMISSIS). Si erano strutturate operazioni nell'arco di almeno sei anni, con interessamento anche di alcuni enti del gruppo (OMISSIS) (OMISSIS). Che tutto cio' fosse stato ideato dal ricorrente non vi era prova alcuna. Ed era illogico ritenere che un disegno spoliativo si fosse dipanato in un cosi' lungo lasso di tempo. 3.7. Con l'ottavo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 2 (RG 7578) anche in relazione al ruolo di amministratore di fatto attribuito al ricorrente. Di tale ruolo non v'era emergenza alcuna e lo si era ritenuto solo in base a mere congetture. A tal proposito si erano valorizzate delle circostanze del tutto neutre e si erano travisate le risultanze emergenti dalla pendrive. Si era insistito sul "sistema (OMISSIS) (OMISSIS)" ma non si era raggiunta la prova della spartizione dei proventi delle operazioni. Il consulente della difesa aveva ricostruito i passaggi che dimostravano il contrario di quanto affermato dall'accusa. 3.8. Con il nono motivo lamentano la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 4, 6 ed 8 (RG 7578). La sentenza di patteggiamento dei fratelli (OMISSIS) dimostrava soltanto l'ascrivibilita' ai medesimi delle distrazioni loro contestate. (OMISSIS), nel caso di specie, si era limitato a fornite la propria consulenza che era stata adeguatamente remunerata. Che egli fosse stato l'ideatore delle operazioni era smentito dal fatto che il trasferimento delle societa' all'estero non era previsto fin dall'inizio. L'assoluzione del (OMISSIS) travolgeva l'intero costrutto accusatorio. 3.9. Con il decimo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articoli 216, 219 e 223, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi 10 e 24 (RG 7578). Si trattava, al capo 10, della vicenda afferente le societa' del (OMISSIS). Le dichiarazioni del quale, pero', non erano state valutate come una chiamata in correita' come, invece, erano. Quanto alle vicende del capo 24, relativo al fallimento (OMISSIS), non si era riusciti ad individuare alcun coinvolgimento nella vicenda del ricorrente. Ne era stato implicato il solo (OMISSIS) e non vi era prova che questi avesse agito su indicazione dell'imputato. 3.10. Con l'undicesimo motivo denunciano la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 416 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto associativo. Non si era tenuto conto del fatto che (OMISSIS) svolgeva una lecita attivita' professionale di commercialista. Rientrava pertanto nei suoi compiti suggerire le operazioni societarie che solo gli amministratori delle societa' avevano poi effettuato. La fase del trasferimento all'estero di queste era stata seguita esclusivamente da (OMISSIS) (che si avvaleva di una propria struttura), senza che vi partecipasse (OMISSIS) (e neppure (OMISSIS)) come si era anche ammesso, nella sentenza impugnata, nel caso del gruppo (OMISSIS). La comunione dei mezzi finanziari derivava dalle necessita' dello studio associato. Si era ritenuto l'imputato l'ideatore delle operazioni anche smentendo le dichiarazioni che ne confutavano il ruolo, quali quelle di (OMISSIS) ed (OMISSIS). Si erano acquisiti atti di indagini preliminari quali le relazioni L. Fall., ex articoli 33 ed i pvc di constatazione della Agenzia delle entrate. Non si era data risposta ai rilievi mossi con i motivi di appello. Non si era dichiarato prescritto il reato. La prescrizione era maturata il 19 ottobre 2020 considerando la cessazione della permanenza alla data di applicazione delle misure di cautela personale (calcolando la sospensione di giorni 215 relativa al diverso processo, piu' favorevole al ricorrente) o al 6 ottobre 2021 con la sospensione indicata dalla Corte d'appello. 3.11. Con il dodicesimo motivo deducono la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 192 e 533 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza e rilevanza del cosiddetto sistema (OMISSIS)- (OMISSIS). Si erano individuati, sul punto, solo indizi insufficienti ad assurgere al grado di prova e, cio' nonostante, si era fatto largo uso di tale locuzione, per dedurne altri elementi di prova, altrimenti inesistenti. 3.12. Con il tredicesimo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla commistione fra gli elementi di prova tratti dai due diversi procedimenti. Noni si erano tenuti distinti i due diversi compendi probatori. Si erano utilizzate le sentenze di patteggiamento come prova dei fatti e non come mera prova della loro stessa esistenza. 3.13. Con i motivi dal quattordicesimo al diciannovesimo si erano censurati aspetti relativi al trattamento sanzionatorio. Si era fissata la pena base del reato di cui al capo 27 includendovi l'aumento per l'aggravante del danno rilevante. La Corte aveva mantenuto la stessa pena non facendo riferimento alla circostanza aggravante cosi' violando il disposto dell'articolo 597 c.p.p.. La pena base era stata fissata utilizzando i medesimi argomenti per tutti gli imputati, gli aumenti per la continuazione erano stati, per tutti i reati, identici. Le attenuanti generiche erano state negate con una motivazione complessiva non riferibile al solo reato di cui al capo 27. Doveva considerarsi che l'imputato era incensurato, aveva piu' di 80 anni ed i fatti sono risalenti nel tempo. La circostanza aggravante della pluralita' di fatti di bancarotta andava applicata anche in caso di fallimenti di diverse societa'. Non era stato precisato quale reato debba ritenersi di natura transnazionale e dovevano pertanto revocarsi le confische. Si era apoditticamente escluso il recupero della pena indicata nell'istanza di patteggiamento. 3.14. Con l'ultimo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla concessa provvisionale in assenza della prova dell'ammontare del danno. 4. L'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), articola cinque motivi di ricorso. (OMISSIS) era imputato del reato ascrittogli al capo 34 (RG 22166/2016). Dal capo 33 (oggetto di ricorso) del medesimo procedimento era stato prosciolto per prescrizione del reato. 4.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 544 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata risposta ai motivi aggiunti proposti con atto depositato il 15 gennaio 2020. Nella specie si era chiesto di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale consistente nella produzione di un avviso ex articolo 415 bis c.p.p., emesso in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado. Si trattava di un atto relativo alle condotte commesse dagli amministratori della fallita (OMISSIS) srl dal quale emergeva che - del tutto pretermessa la posizione del ricorrente sull'evidente presupposto della sua estraneita' ai fatti erano stati indagati solo i precedenti amministratori, i fratelli (OMISSIS), ed il successivo, l'odierno coimputato (OMISSIS). Una questione che la Corte non aveva in alcun modo trattato. 4.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 533 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 34. Il prevenuto, quale componente del Cda della fallita, non aveva dato il suo contributo ad alcuna condotta illecita, risultando, al contrario, pienamente lecita la scissione deliberata nel dicembre 2003. La medesima, infatti, comportava la permanente corresponsabilita' della cedente srl (OMISSIS) sul debito fiscale contratto. La Corte aveva poi riconosciuto che il dissesto era stato determinato non dalla scissione ma dal successivo trasferimento degli immobili, al quale il prevenuto era rimasto del tutto estraneo. In ogni caso, l'imputato si era limitato a non manifestare il proprio dissenso all'operazione di scissione. I debiti della fallita, poi, proprio quando l'imputato ne era divenuto l'amministratore, si erano fortemente ridotti, da 8,5 a 1,25 milioni di Euro, a seguito dell'esito positivo dei ricorsi intentati. 4.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 129 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata assoluzione dell'imputato dal delitto ascrittogli al capo 33. Peer le medesime ragioni sopra argomentate in ordine al capo 34 della rubrica, doveva assolversi con ampia formula il (OMISSIS) dal delitto di cui al capo 33 in relazione al quale era stato solo prosciolto per prescrizione del medesimo. 4.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 597 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento al prevenuto delle circostanze attenuanti generiche (gia' concesse dal primo giudice in equivalenza alle contestate aggravanti). La pena base inflitta dal primo giudice era stata pari ad anni 6 di reclusione aumentata di un anno ex articolo 81 cpv. c.p.. La Corte d'appello aveva, invece, aumentato la pena base, pari ad anni tre di reclusione, di un ulteriore anno per la ritenuta aggravante (escludendo pertanto sia le attenuanti sia, di conseguenza, il giudizio di comparazione). 4.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 114 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del ruolo (OMISSIS)e rivestito dall'imputato nella vicenda relativa al capo 34 della rubrica. Era infatti evidente come il contributo del prevenuto, se mai vi fosse stato, doveva essere considerato del tutto marginale e perfettamente sostituibile. 5. L'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), articola quattro motivi. (OMISSIS) e' chiamato a rispondere del delitto di cui al capo 39 (RG n. 22166/2016). 5.1. Con il primo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 39. Il prevenuto, cognato dei fratelli (OMISSIS), era il prestanome di costoro nella fallita. Lo stesso (OMISSIS) aveva chiarito come (OMISSIS) rivestisse un ruolo meramente operativo, senza che gli fosse attribuito alcun potere di gestione. Non aveva avuto alcun contatto con lo studio (OMISSIS)- (OMISSIS). Ne' aveva rivestito cariche di amministratore, ricoprendo solo nel 2009 il ruolo di responsabile del settore operativo. Al piu' si sarebbe potuto chiamarlo a rispondere del reato ascrittogli quale concorrente esterno. Ma del suo concorso con gli amministratori della societa' non era stata raccolta prova alcuna. La stessa Corte aveva precisato che egli aveva al piu' partecipato solo ad un segmento della complessiva operazione, non potendosene cosi' prospettare l'esito finale. 5.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare la reformatio in peius della sentenza di primo grado. Non si erano riconosciute le circostanze attenuanti generiche quando il primo giudice le aveva concesse, seppure in termini di equivalenza con l'aggravante contestata. Il motivo di appello era, infatti, solo argomentato al fine di ottenere un diverso esito del giudizio di bilanciamento. 5.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena principale e delle pene accessorie. Si erano trattate unitariamente tutte le posizioni mentre quella del (OMISSIS), per la sua specificita', imponeva un'argomentazione peculiare. Priva di concreta argomentazione era la durata delle pene accessorie fallimentari parametrate alla pena principale cosi' applicando l'articolo 37 c.p. piuttosto che l'articolo 133 c.p.. 5.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla liquidazione del danno a favore delle parti civili. Lo stesso infatti era interamente soddisfatto dalla confisca degli immobili dei fratelli (OMISSIS) operata con la sentenza di patteggiamento. 6. L'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), articola sei motivi di ricorso. (OMISSIS) e' anch'ella chiamata a rispondere del solo delitto di cui al capo 39 (RG n. 22166/2016). 6.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 521, 522 e 429 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla condanna della prevenuta per il capo 39 della rubrica. All'imputata, infatti, era stato contestato il concorso nella sola bancarotta fraudolenta documentale e non quello relativo alle condotte distrattive descritte nel medesimo capo di imputazione. La prevenuta pero' non aveva mai assunto alcuna carica nella societa' fallita, la s.r.l. (OMISSIS). Come aveva anche riconosciuto il PG di udienza. La Corte di merito aveva, cosi', riconosciuto che (contrariamente a quanto affermato dal Tribunale) (OMISSIS) non aveva ricoperto alcuna carica. Cio' nonostante, l'aveva ritenuta responsabile del delitto indicato, quale concorrente, per avere predisposto una nota in cui si riferiva dell'intervenuta distruzione delle scritture contabili, un'accusa che, cosi' formulata, mai era stata mossa alla prevenuta. Sul punto, era stata poi travisata la deposizione del teste (OMISSIS) (che aveva riferito di altro documento, la lettera in cui l'amministratore di facciata avrebbe precisato al consulente del curatore le date della sua assunzione in carica), documento che il ricorrente allegava in forma integrale. L'accusa poi era mutata in un elemento essenziale: all'origine l'imputata era indicata come amministratore della fallita, la condanna era poi conseguita al suo ipotizzato concorso, da esterna, nel reato. 6.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 216, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' concorsuale della prevenuta. La motivazione sull'elemento soggettivo del reato era assertiva perche' dedotta dal mero inserimento della prevenuta nel gruppo che organizzava le operazioni distrattive. Si sarebbe invece dovuto provare il concreto contributo fornito, causalmente rilevante, e la volontaria e consapevole partecipazione alla condotta illecita. Non era neppure corretta la qualificazione giuridica della complessiva condotta, posto che la stessa configurerebbe piuttosto il delitto di cui all'articolo 378 c.p., dal momento che il reato di bancarotta a cui afferiva era gia' stato consumato. 6.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 219, comma 1, ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante entita'. Danno che non era stato quantificato in riferimento alle conseguenze del delitto consumato ma in base a diversi criteri ed in particolare al complesso delle distrazioni, che era pero' un dato non attribuibile alla prevenuta, imputata della sola bancarotta documentale. 6.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli articoli 69 e 133 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena. Il Tribunale aveva riconosciuto alla (OMISSIS) le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti (ritenendo piu' grave il delitto in allora contestatole al capo 16). Assolta la prevenuta per tale capo, venute a cadere le aggravanti della pluralita' dei fatti di bancarotta e della transnazionalita' del reato, si era omesso di considerare il motivo di appello relativo al giudizio di bilanciamento. La Corte poi aveva negato alla prevenuta le gia' concesse attenuanti generiche. Da ultimo, si erano scelti criteri di commisurazione della pena a cui la (OMISSIS) era del tutto estranea (l'entita' del danno erariale e la sistematicita' delle condotte). La pena inflitta alla prevenuta era poi identica a quella comminata all'amministratore formale della societa', che aveva rivestito ben altro ruolo nella vicenda. 6.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 114 c.p. ed il vizio di motivazione in ordine alla conferma del provvedimento di confisca. Lo stesso era stato motivato dalla natura transazionale deli delitti per i quali la stessa era stata condannata dimenticando cosi' che l'imputata era stata assolta dal capo 19, che la giustificava. 7. L'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), articola cinque motivi di ricorso. Il ricorso riguarda il reato, gia' dichiarato prescritto, ascritto a (OMISSIS) al capo 15 e il reato di cui al capo 16 per il quale era stato assolto (RG 22166/2016). 7.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, articolo 11, articolo 322 ter c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 11 e 12 bis, ed il vizio di motivazione in ordine alla confisca, per equivalente, confermata dalla Corte d'appello nonostante il proscioglimento del prevenuto per essere il reato di cui al capo 15 estinto per prescrizione. Era stata confermata dalla Corte la confisca per equivalente, disposta dal Tribunale in riferimento al capo 15 della rubrica e cio' in applicazione del Decreto Legislativo n. 146 del 2006, articolo 11, e, quindi, per la natura transnazionale del delitto. E cio' nonostante che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 31617/2015, abbiano precisato che solo la confisca diretta poteva essere confermata in caso di proscioglimento per estinzione del reato, quando il giudice d'appello confermi, ai fini della confisca, il giudizio di responsabilita' formulato in primo grado. Era pertanto preclusa la confisca per equivalente a causa della sua natura sanzionatoria (natura confermata anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3010 del 2009). Un principio di diritto ribadito anche dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita' (n. 47104/2019). Ne' poteva trovare applicazione l'articolo 578 bis c.p.p. (che consente la confisca per equivalente anche nel caso di prescrizione del reato presupposto), perche' introdotto in epoca successiva alla commissione del reato di cui al capo 15, dovendosi considerare la natura sostanziale della norma proprio per la ricordata natura sanzionatoria (Cass. n. 20793/2021). 7.2. Con il secondo ed il terzo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della Decreto Legislativo n. 146 del 2006, articolo 11, articolo 322 ter c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 11 e 12 bis, in ordine alla proporzione fra il profitto del reato di cui al capo 15 ed il valore dei beni sottoposti a confisca. Al prevenuto erano stati confiscati un terreno ed una vettura. Beni di cui non si era stimato il valore. Nel caso di specie, poi il profitto del reato fiscale non andava parametrato all'ammontare del debito tributario (Cass. n. 32897/2021) ma al patrimonio sottratto alla garanzia dell'esazione. 7.3. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 578 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria. Questo era stato fissato nell'ammontare dell'imposta evasa ma la giurisprudenza di legittimita' aveva precisato che il danno non si identifica con l'importo del tributo evaso, dato che questo poteva essere comunque oggetto di azione di recupero. La Corte costituzionale aveva precisato come, in caso di proscioglimento per la prescrizione del reato, il giudice e' tenuto a valutare se sussiste il danno da reato. Tutti accertamenti che erano mancati: non si era concretamente quantificato il danno ed il nesso di causalita' fra questo e le condotte consumate. Ne' si era valutato se il danno stesso avrebbe potuto essere minore se il creditore, l'Agenzia delle entrate, avesse usato l'ordinaria diligenza nel cautelarsi. L'importo liquidato era poi del tutto sproporzionato perche', come si e' detto, avrebbe dovuto essere parametrato ai beni della societa' sottratti alla garanzia del debito fiscale. E nessuna delle contestate condotte aveva comportato la dispersione delle garanzie. Tranne, forse, la sola cessione delle quote indicate al numero 3 del capo di imputazione, che, pero', potevano essere valutate non piu' di 20.000 Euro. 7.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 216 e articolo 43 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 16 (rectius: 17 della rubrica), un'ipotesi di bancarotta preferenziale, per il quale la Corte l'aveva solo prosciolto per l'intervenuta prescrizione. Si era omesso, invece, di considerare che il pagamento di quei crediti era legittimo perche' volto alla salvaguardia della continuita' aziendale e, ancora, la Corte territoriale aveva compiuto un'inversione dell'onere della prova quando aveva affermato che l'imputato non aveva dimostrato che i creditori soddisfatti non fossero "strategici". Ne' si era accertato se vi fossero stati creditori concretamente sfavoriti vantando dei privilegi. 8. L'Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), articola cinque motivi di ricorso. Il ricorso riguarda i medesimi reati ascritti ad (OMISSIS), il capo 15 reati, gia' dichiarato prescritto, ed il capo 16, per il quale vi era stata assoluzione (RG 22166/2016). 8.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 e articolo 129 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata assoluzione del prevenuto dalle condotte ascrittegli. Quanto al capo 15 della rubrica, tutte le operazioni contestate non avevano avuto diretta incidenza sulla garanzia patrimoniale costituita dai beni propri o della societa' a favore dell'erario, non avendo avuto, come si indicava nel dettaglio in ricorso, riflessi economici negativi. 8.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. Fall., articolo 216 e articolo 43 c.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla responsabilita' del prevenuto per il delitto ascrittogli al capo 16 (rectius: 17 della rubrica), un'ipotesi di bancarotta preferenziale, per il quale la Corte l'aveva solo prosciolto per l'intervenuta prescrizione. Si era omesso, invece, di considerare che il pagamento di quei crediti era legittimo perche' volto alla salvaguardia della continuita' aziendale e, ancora, la Corte territoriale aveva compiuto un'inversione dell'onere della prova quando aveva affermato che l'imputato non aveva dimostrato che i creditori soddisfatti non fossero "strategici". Ne' si era accertato se vi fossero stati creditori concretamente sfavoriti vantando dei privilegi. 8.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, articolo 11, articolo 322 ter c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 11 e 12 bis, ed il vizio di motivazione in ordine alla confisca disposta nonostante il proscioglimento del prevenuto per essere prescritto il reato presupposto di cui al capo 15. Era stata disposta la confisca per equivalente per il delitto indicato con riferimento al capo 15 della rubrica, in applicazione del Decreto Legislativo n. 146 del 2006, articolo 11, per la ritenuta natura transnazionale dello stesso. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 31617/2015, avevano, pero', precisato pero' che solo la confisca diretta poteva essere confermata in caso di proscioglimento per estinzione del reato (quando si confermi, seppure solo a tal fine, il giudizio di responsabilita' dell'imputato). Era pertanto preclusa la confisca per equivalente a causa della sua natura sanzionatoria (natura confermata anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3010 del 2009). Un principio di diritto, quello formulato dalle Sezioni unite nella ricordata pronuncia, ribadito anche dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita' (n. 47104/2019). Ne' poteva trovare applicazione l'articolo 578 bis c.p.p. - che consente la confisca, anche per equivalente, nel caso di prescrizione del reato presupposto perche' si tratta di norma introdotta nel codice in data posteriore alla commissione del delitto di cui al capo 15, e di norma di contenuto sostanziale visti i ricordati effetti sanzionatori (Cass. n. 20793/2021). 8.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare della L. n. 146 del 2006, articolo 11, articolo 322 ter c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 11 e 12 bis, in ordine alla proporzione fra il profitto del reato di cui al capo 15 ed il valore dei beni confiscati. Al prevenuto erano stati confiscati dei beni di cui non si era stimato il valore. Nel caso di specie, il profitto non andava parametrato all'ammontare del debito tributario (Cass. n. 32897/2021) ma al patrimonio sottratto alla garanzia dell'esazione. 8.5. Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge, ed in particolare dell'articolo 578 c.p.p., ed il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria. Questo era stato fissato nell'ammontare dell'imposta evasa. La giurisprudenza di legittimita' aveva pero' precisato che il danno non si identifica nell'importo del tributo evaso posto almeno parte di esso poteva essere oggetto di recupero. La Corte costituzionale aveva precisato come, in caso di proscioglimento per prescrizione del reato, il giudice e' tenuto a valutare se sussista effettivamente il danno da reato. Tutti accertamenti che erano mancati: non si era concretamente quantificato il danno, ne' il nesso di causalita' fra questo e le condotte consumate. Ne' si era valutato se il danno stesso avrebbe potuto essere minore se il creditore, l'Agenzia delle entrate, avesse usato l'ordinaria diligenza nel cautelarsi. L'importo liquidato era del tutto sproporzionato. Perche', come si e' detto, doveva essere parametrato ai beni della societa' sottratti alla garanzia del debito fiscale. E nessuna delle contestate condotte aveva comportato la dispersione delle garanzie. Al piu' la sola cessione delle quote, indicate al capo 15 sub 3, che avevano pero' un valore molto modesto, di circa 20.000 Euro. 9. L'imputato (OMISSIS) risponde: - delle condotte di bancarotta patrimoniale documentale di cui al capo 57 (proc. 22166), e di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 2 (proc. 7578) riguardanti il medesimo fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; - del reato di bancarotta distrattiva cui al capo 14 di cui al fallimento (OMISSIS) e del reato di bancarotta distrattiva di cui al capo 16 (proc. 22166) in relazione al fallimento della societa' (OMISSIS); - della fattispecie associativa di cui al capo 1) (proc. 22166); 9.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ordinanza emessa dalla Corte territoriale in data 17 dicembre 2015. In data 20 ottobre 2015 la difesa invitava il collegio del Tribunale che celebrava uno dei processi (successivamente riunito in grado di appello con quello recante il n. 22166), ad una richiesta di autorizzazione all'astensione con particolare riferimento al Presidente del collegio dal momento che la pubblica accusa aveva depositato nel corso del processo una sentenza di condanna a carico di (OMISSIS) (17252/12 R. Dib.) relativa ad una contestazione associativa del medesimo tenore in cui, seppure la posizione del (OMISSIS) era stata oggetto di separazione, tuttavia il Presidente del collegio nella motivazione aveva sia pure incidentalmente valutato la medesima condotta anche a carico del (OMISSIS). Il collegio in quella sede, a fronte di un invito all'astensione, si limitava con ordinanza a trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale senza adottare alcuna determinazione e alla trasmissione degli atti non seguiva alcun provvedimento. La difesa lamenta l'abnormita' del provvedimento. 9.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge avuto riguardo alla acquisizione di una perizia relativa ad intercettazioni telefoniche disposta in altro procedimento. La perizia e' stata acquisita senza il consenso delle parti e nei confronti dei soggetti non imputati in quel procedimento, in violazione degli articoli 238 e 511 c.p.p.. In particolare, ai sensi dell'articolo 511 c.p.p., la lettura della relazione peritale e' disposta solo a seguito dell'esame del perito che non e' stato escusso in questo processo. L'articolo 238 c.p.p. stabilisce che i verbali dichiarativi e dunque l'esame del perito possono essere utilizzati contro l'imputato solo se lo stesso vi consenta. 9.3. Con il terzo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al reato di bancarotta documentale e al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 e le conseguenti statuizioni civili. In relazione alla contestazione sub 57) risulta che il (OMISSIS) abbia assunto la qualita' di amministratore della societa' dal luglio 2003 al settembre 2004 e gli sia succeduto, quale amministratore di diritto sino alla data del fallimento dichiarata in data (OMISSIS), il (OMISSIS) (per il quale si e' proceduto separatamente). Sulla sua responsabilita' la motivazione della Corte e' apparente ed illogica essendo la stessa ricavata dalla circostanza che l'imputato ha preso parte ad un'associazione finalizzata a tali condotte di bancarotta. Quanto poi alle statuizioni civili relative al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 per il quale e' stata dichiarata la estinzione per prescrizione, i debiti contratti dalla societa' fallita verso i creditori (OMISSIS) ed Agenzia delle Entrate sono relativi all'anno 2000, annualita' in cui lo stesso non risultava amministratore con la conseguenza che non puo' essere a lui chiesto il risarcimento dei relativi danni. 9.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, articolo 4. Richiamando le numerose pronunzie di questa Corte anche delle Sezioni unite che si sono specificamente occupate dei problemi interpretativi legati alla circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, articolo 4, il ricorrente evidenzia che per la sussistenza di siffatta circostanza e' necessario che il gruppo criminale organizzato che presti il contributo alla commissione del reato all'estero non coincida per nulla con l'associazione a delinquere operante in Italia o con i concorrenti dello stesso, in un rapporto di alterita'. Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fornito alcuna motivazione sul punto. 9.5. Con il quinto motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla penale responsabilita' del ricorrente in relazione alla bancarotta patrimoniale distrattiva. Lamenta la difesa la carenza della motivazione in relazione alla consapevolezza in capo al ricorrente, che svolgeva funzioni varie ed anche mansioni esecutive in relazione ai complessi meccanismi legati alle operazioni fiscali considerate illecite che di per se' richiedevano profonda conoscenza delle controversie interpretative relative. 9.6. Con il sesto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione. Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si e' attestata sul minimo edittale e la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento, non considerando peraltro il comportamento processuale, l'eta' e le condizioni sociali del (OMISSIS). 10. L'imputato (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta impropria derivante da operazioni dolose cui al capo 27) del proc. n. 7578 riguardante il fallimento della Societa' di (OMISSIS) s.r.l.; 10.1 Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'affermazione della penale responsabilita' quanto alla condotta ascritta. Nella ricostruzione accusatoria il ricorrente, nella qualita' di componente del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) s.r.l. negli anni 2003/2004 e quale legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l. negli anni 2003/2006 avrebbe nel settembre 2003 votato per un progetto di scissione (formalizzato successivamente da altri) a favore della (OMISSIS) ponendo in essere un meccanismo di natura distrattiva. Nella motivazione della sentenza impugnata non e' individuata la efficacia causale della condotta posta in essere dal (OMISSIS) rispetto alla bancarotta; non sono prese in considerazione le caratteristiche di natura civilistica dell'operazione. A tale ultimo riguardo occorre evidenziare che nella ipotesi di scissione il codice civile prevede una norma a tutela dei creditori in ragione della quale ciascuna societa' che partecipa all'operazione di scissione e' solidalmente responsabile nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto dei debiti della societa' scissa non soddisfatti dalla societa' cui fanno carico. Conseguentemente la assunzione della responsabilita' del (OMISSIS) nelle due societa' a tutela dei creditori dei soci e della societa' scissa eliminerebbe in radice qualsivoglia responsabilita' in capo allo stesso. 10.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, articolo 4. Il motivo e' lo stesso proposto dal ricorrente (OMISSIS) con il quarto motivo. 10.3. Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e al giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e la contestata aggravante. Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si e' attestata sul minimo edittale e la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento, non considerando peraltro il comportamento processuale, l'eta', le condizioni sociali, il ruolo marginale del (OMISSIS) e il tempus commissi delicti. Inoltre, nella concessione delle circostanze attenuanti con giudizio di equivalenza piuttosto che di prevalenza sulla contestata aggravante, la motivazione non ha fornito alcuna indicazione concreta sul punto. 11. L'imputato (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva cui al capo 11) del proc. 22116 riguardante il fallimento della societa' (OMISSIS) s.r.l.; 11.1 Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stata dedotta violazione di legge avuto riguardo alla acquisizione di una perizia relativa ad intercettazioni telefoniche disposta in altro procedimento. Si tratta della medesima censura contenuta nel secondo motivo di ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS). 11.2 Con il secondo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo alla penale responsabilita' del ricorrente quanto alla condotta contestata. Lamenta il ricorrente che la impugnata sentenza non ha fornito una motivazione adeguata quanto alla prova della partecipazione del (OMISSIS) all'operazione e alla sua natura fraudolenta ai danni della societa' (OMISSIS). Quanto poi alla contestazione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, dichiarato estinto per prescrizione, lo stesso deve considerarsi assorbito per il principio di specialita' nel reato di cui al capo 11), non ravvisandosi una ipotesi di concorso formale di norme con la conseguenza che, con riferimento al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, vanno revocate le statuizioni civili. 11.3. Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo all'applicazione della circostanza aggravante di cui alla L. 16 marzo 2016, n. 146, articolo 4. Si tratta della medesima doglianza proposta dal ricorrente (OMISSIS) con il quarto motivo e dal ricorrente (OMISSIS) con il terzo motivo. 11.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Lamenta la difesa che la pena base individuata in sede di trattamento sanzionatorio non si e' attestata sul minimo edittale e la sentenza non ha spiegato le ragioni di siffatto discostamento non considerando peraltro il comportamento processuale, l'eta' e le condizioni sociali del (OMISSIS). 12. L'imputata (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 5) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 7) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 9) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 11) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. (in concorso anche con (OMISSIS)); - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 36) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.; - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., esclusa la cessione dell'immobile in (OMISSIS) (fl. (OMISSIS)) in favore della (OMISSIS). 12.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge avuto riguardo alla penale responsabilita' della ricorrente quanto alle condotte contestate. Nella ricostruzione accusatoria le societa', fortemente indebitate verso l'Erario, erano svuotate delle loro attivita' attraverso le condotte dell' (OMISSIS), marito della ricorrente e, una volta che le stesse erano divenute scatole vuote, era nominato amministratore delle stesse un prestanome; la societa' era poi trasferita all'estero, ai fini della cancellazione dell'ente dal registro delle imprese italiano per tentare di evitarne il fallimento, sfruttando il disposto L. Fall., ex articolo 10. Sostiene la difesa che, essendo consistita la condotta della ricorrente nella traduzione di atti giuridici compiuti in (OMISSIS) per la cancellazione della societa' dal registro delle imprese, condotta dunque successiva agli atti distrattivi, la stessa poteva considerarsi un post factum non punibile erroneamente ricompresa nella struttura del reato, in quanto antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento che costituisce condizione obiettiva di punibilita' e non elemento costitutivo del reato. Sulle specifiche doglianze gia' proposte nell'atto di appello, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione inconferente, non chiarendo come possano interpretarsi le condotte attribuite alla ricorrente in termini di apporto concorsuale, nonche' incoerente ed illogica laddove richiama il riscontrato coinvolgimento della imputata nella fattispecie associativa (pur dichiarata prescritta) per ricavarne la responsabilita' in relazione ai reati fallimentari. Considerando la sentenza dichiarativa di fallimento quale condizione obiettiva di punibilita', se successivamente alle condotte distrattive intervengono ulteriori condotte come quelle di trasferimento della sede legale all'estero, tali attivita' non risultano dotate di qualsivoglia attitudine lesiva per il ceto creditorio, in ragione del gia' intervenuto perfezionamento della fattispecie distrattiva. 12.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione delle condotte contestate nella ipotesi di cui all'articolo 379 c.p.. Sulla specifica censura la Corte territoriale ha apoditticamente escluso una possibile riqualificazione dei fatti. Evidenzia la difesa che le condotte realizzate dalla ricorrente, ponendosi come successive ed autonome rispetto alla condotta distrattiva ed essendo finalizzate, attraverso il trasferimento delle societa' all'estero, ad evitare la dichiarazione di fallimento, possono al piu' configurarsi quali condotte agevolatrici riconducibili alla fattispecie di cui all'articolo 379 c.p.. 12.3. Con il terzo motivo e' stata eccepita violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della circostanza aggravante, laddove contestata, del danno patrimoniale di rilevante gravita'. La sentenza impugnata soprattutto con riferimento al reato di cui al capo 5) individuato al fine del trattamento sanzionatorio come reato piu' grave, motiva apoditticamente sulla sussistenza della circostanza richiamando le motivazioni della sentenza di primo grado che aveva operato un richiamo alla entita' del passivo fallimentare. Pur citando la giurisprudenza di questa Corte che costantemente ha affermato che occorre considerare il valore effettivo dei beni sottratti, la sentenza non individua in concreto le circostanze in fatto dimostrative di tale diminuzione patrimoniale pregiudizievole per i creditori. 12.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge in relazione al divieto di reformatio in peius. Pur essendo stata la pena complessivamente ridotta in ragione delle intervenute prescrizioni e di un piu' ragionevole utilizzo dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., tuttavia la Corte territoriale e' incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius dal momento che non ha riconosciuto le gia' concesse circostanze attenuanti generiche, in assenza di una impugnazione dell'ufficio di Procura. Nonostante uno specifico motivo di appello al fine di ritenere le gia' concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti e non equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui alla L. Fall., articolo 219, la sentenza impugnata non ha operato alcuna comparazione neanche in termini di equivalenza, come gia' avvenuto in primo grado (Sez. 5, n. 11730 del 27 gennaio 2020). 12.5. Con il quinto motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della circostanza di cui all'articolo 114 c.p.. La sentenza impugnata, a fronte di una specifica doglianza sul punto, si e' limitata ad una motivazione generica richiamando il concreto apporto dato da ciascuno e i principi di questa Corte sul tema. Senza il contributo della ricorrente, le condotte descritte si sarebbero comunque realizzate in quanto consumate gia' al momento del suo intervento. 13. L'imputato (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., ad esclusione della cessione relativa all'appartamento sito nel Comune di (OMISSIS) (foglio n. (OMISSIS)); 13.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva. Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria, con la laconica motivazione del "non essere necessarie ai fini del decidere", relativa alla escussione testimoniale del colonnello della Guardia di Finanza (OMISSIS) o alla acquisizione dei verbali trascrittivi della sua deposizione avvenuta all'udienza dibattimentale del 6 ottobre 2017 in diverso procedimento (processo per bancarotta fraudolenta relativa ad una societa' facente parte del "Gruppo (OMISSIS)" conclusosi con una sentenza assolutoria per non avere commesso il fatto). Siffatta prova, da assumersi in quanto sopravvenuta, risultava decisiva ai fini di escludere anche la configurabilita' della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, articolo 3, circostanza che ha rappresentato il presupposto fondante della intervenuta confisca in relazione al capo 44) contestato al ricorrente. Il (OMISSIS) avrebbe infatti chiarito che il (OMISSIS), a seguito della cessione delle societa' del suo gruppo, era divenuto completamente estraneo alle vicende patrimoniali delle stesse e quindi anche al trasferimento della sede legale della (OMISSIS) all'estero, trasferimento dal quale e' scaturita la ritenuta condotta transnazionale. 13.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'accertamento della penale responsabilita' del ricorrente in relazione alle condotte contestate. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale non ha considerato che le cessioni immobiliari effettuate dal (OMISSIS) alla (OMISSIS) s.r.l. in ragione di un accordo quadro intercorso nell'ottobre 2008 tra il Gruppo (OMISSIS) e il Gruppo (OMISSIS), analogamente alle cessioni di immobili avvenute alla (OMISSIS) (per le quali vi e' stata una derubricazione in bancarotta preferenziale), erano anche esse collegate all'accordo con il gruppo (OMISSIS) e costituivano la garanzia patrimoniale imposta dal creditore. Dunque, anche siffatta operazione non e' qualificabile quale bancarotta distrattiva quanto piuttosto quale bancarotta preferenziale. A cio' si aggiunga che la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui esclude che vi sia stata la corresponsione di un corrispettivo a seguito della cessione degli immobili e' del tutto apparente e rende dunque la sentenza viziata anche in relazione a siffatto ulteriore profilo. 13.3. Con il terzo motivo di ricorso, e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante della natura transnazionale del reato contestato e alla conseguente confisca per equivalente dei beni. Evidenzia la difesa che e' da escludersi la configurabilita' della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, articolo 3 con riferimento al (OMISSIS). L'imputato, al quale non e' peraltro contestata la condotta associativa di cui al capo 1) e relativa al gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS), a seguito della cessione delle societa' del suo gruppo, e' divenuto completamente estraneo alle vicende patrimoniali delle stesse e quindi anche al trasferimento della sede legale della (OMISSIS) all'estero, dalla quale e' scaturita la ritenuta natura transnazionale del reato posto in essere. Apodittica e' l'argomentazione della sentenza impugnata secondo la quale il solo trasferimento in (OMISSIS) della (OMISSIS) sarebbe tale da riconoscere al reato la natura transnazionale. Le alienazioni di immobili che coinvolgono il (OMISSIS) sono avvenute tutte in Italia in epoca antecedente al subentro nella societa', quale amministratore, del (OMISSIS) e al trasferimento della societa' in (OMISSIS); le alienazioni erano finalizzate a ripianare i debiti e una pregressa ingente esposizione debitoria con il gruppo (OMISSIS) attraverso atti di compravendita rogati dal Notaio (OMISSIS). La richiesta di cancellazione della societa', una volta trasferita in (OMISSIS), al Registro delle Imprese di Roma e' peraltro pervenuta successivamente alla dichiarazione di fallimento. 13.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata che pone sullo stesso piano condotte criminose profondamente differenti e non valorizza la circostanza che il (OMISSIS), come espressamente riconosciuto in sentenza, e' risultato estraneo al sistema " (OMISSIS)- (OMISSIS)" e che alcune delle condotte distrattive allo stesso contestate sono state riqualificate quali ipotesi di bancarotta preferenziale. Lo stesso dicasi in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 13.5. Con il quinto motivo di ricorso e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle disposte confische in relazione alle condotte di bancarotta preferenziale dichiarate estinte per intervenuta prescrizione. Lamenta il ricorrente che in relazione alle fattispecie per le quali e' intervenuta la estinzione per prescrizione non poteva essere confermata la relativa confisca dei beni per equivalente, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio (sez. Un. Lucci). Se e' vero che l'articolo 578 bis c.p.p. ha esteso la confiscabilita', a seguito dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, anche alle ipotesi di confisca per equivalente, tuttavia, la norma e' entrata in vigore in data 06/04/2018 e l'affermata natura sostanziale di tale misura ablativa consente di ritenere che la stessa non si estenda ai fatti commessi anteriormente all'aprile 2018. Con specifico riferimento alla sola condotta di cui al capo 43) la stessa non risultava aggravata dalla circostanza della transnazionalita' e per questo motivo la confisca non era ipotizzabile in radice. 14. L'imputato (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 36) riguardante il fallimento della societa' (OMISSIS) s.r.l.; 14.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dai difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla penale responsabilita' del ricorrente della condotta distrattiva contestata. Lamenta la difesa la lacunosita' dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata quanto alla descrizione del ruolo svolto dal ricorrente (OMISSIS). Richiamando la sentenza di primo grado, la Corte territoriale lo ha descritto quale amministratore e legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l., acquirente dei cespiti venduti dalla societa' (OMISSIS) con pagamenti non tracciabili e non riscontrati o riscontrati solo in parte. Dall'istruttoria dibattimentale e' in realta' emerso che il (OMISSIS) era solo un prestanome della societa', in quanto in possesso dei requisiti richiesti, ma all'interno della stessa non svolgeva alcuna attivita' gestoria, ne' aveva contatti con lo studio (OMISSIS)- (OMISSIS). Non risulta dunque nella motivazione della sentenza sufficientemente esplorato il tema del dolo del ricorrente, inteso quale consapevolezza del piano criminoso ideato dagli amministratori di fatto. L'istruttoria dibattimentale ha escluso che il (OMISSIS) partecipo' all'attivita' di acquisto degli immobili della (OMISSIS) s.r.l. (testimonianza (OMISSIS) del 25 febbraio 2016 e Mar. (OMISSIS) del 16 novembre 2015) limitandosi a sottoscrivere gli atti rogati dal Notaio. La sentenza impugnata non ha nemmeno valutato il dedotto travisamento di fatto contenuto nella sentenza di primo grado che ha indicato il (OMISSIS) come colui che in qualita' di rappresentante della societa' ha incassato il corrispettivo, senza considerare che il ricorrente non ha mai intrattenuto alcun rapporto con la (OMISSIS) s.r.l. e non vi e' alcuna prova della sua consapevolezza del carattere distrattivo delle operazioni realizzate dalla societa' fallita. 14.2. Con il secondo motivo, e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al capo 41) e alla contestazione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10. Il capo 41 relativo all'omesso pagamento dell'imposta Iva mediante utilizzo di un credito IVA inesistente e' stato dichiarato estinto per prescrizione. Lamenta la difesa che il ricorrente doveva essere assolto dalla contestazione: la societa' (OMISSIS) era una societa' inattiva e non poteva avere maturato alcun credito Iva da portare in compensazione con il debito della (OMISSIS); senza considerare che, come emerge dalla testimonianza di (OMISSIS), della "Operazione (OMISSIS)" si era occupato unicamente il fratello (OMISSIS), senza alcun coinvolgimento del (OMISSIS), mero prestanome. Da qui la difesa trae la conclusione della revoca delle statuizioni civili. 14.3. Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge in relazione al divieto di reformatio in peius. La Corte territoriale e' incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius dal momento che non ha riconosciuto le gia' concesse circostanze attenuanti generiche, in assenza di una impugnazione dell'ufficio di Procura. Nonostante uno specifico motivo di appello al fine di ritenere le gia' concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti e non equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui alla L. Fall., articolo 219 la sentenza impugnata non ha operato alcuna comparazione neanche in termini di equivalenza, come gia' avvenuto in primo grado. 14.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio. Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata che pone sullo stesso piano condotte criminose profondamente differenti e non valorizza la posizione soggettiva del (OMISSIS). Lo stesso dicasi in relazione all'applicazione della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici che non fissa un limite temporale di durata. 14.5. Con il quinto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle statuizioni civili. Lamenta la difesa che, quale conseguenza della intervenuta prescrizione del reato di cui al capo 41), la sentenza impugnata ha confermato le statuizioni civili con riferimento alla condanna al risarcimento del danno nei confronti dell'Agenzia delle Entrate senza tenere conto che nell'atto di appello si era evidenziato che il credito vantato e' stato ampiamente soddisfatto a seguito di confisca disposta con la sentenza ex articolo 444 c.p.p. con riferimento ai fratelli (OMISSIS) che ha disposto la confisca di immobili del valore complessivo di circa Euro 3.436.000,00, valore superiore rispetto al credito vantato pari ad Euro 2.608.651,07. Peraltro, proprio con queste motivazioni la sentenza impugnata ha revocato la confisca sui beni del coimputato (OMISSIS). 15. L'imputato (OMISSIS) risponde: - della condotta di bancarotta patrimoniale distrattiva di cui al capo 44) riguardante il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., con esclusione della cessione dell'immobile in (OMISSIS). 15.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata conoscenza del processo. Lamenta la difesa la nullita' della notifica del decreto che dispone il giudizio del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma e del decreto di citazione della Corte di appello di Roma nei confronti dell'imputato. Il decreto che dispone il giudizio era notificato ai sensi dell'articolo 161 c.p.p., comma 4, nonostante in data 6 dicembre 2013 l'allora indagato avesse eletto domicilio presso l'abitazione del padre (OMISSIS). Le medesime modalita' erano seguite per effettuare la notifica del decreto di citazione a giudizio dinanzi alla Corte di appello. 15.2. Con il secondo motivo di ricorso, e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante della natura transnazionale del reato contestato e alla conseguente confiscabilita' dei beni. Evidenzia la difesa che e' da escludersi la configurabilita' della circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2016, articolo 3. L'argomentazione circa la esistenza di un gruppo criminale organizzato nel quale dovrebbe essere coinvolto anche il ricorrente e' completamente omessa nella sentenza impugnata. 15.3. Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'accertamento della penale responsabilita' del ricorrente in relazione alle condotte contestate e qualificate come bancarotta preferenziale. La sentenza impugnata omette qualsivoglia motivazione quanto alla sussistenza del dolo richiesto per siffatta fattispecie. 15.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Lamenta la difesa che la quantificazione del trattamento sanzionatorio si fonda su una motivazione generalizzata. Lo stesso dicasi in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 16. L'imputata (OMISSIS) risponde: - della condotta associativa di cui al capo 1) nella qualita' di organizzatrice. 16.1. Con il primo motivo di ricorso contenuto nell'atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al rigetto dell'impedimento a comparire dell'imputata nelle udienze del 5 febbraio 2015 e del 29 marzo 2018. 16.2. Con il secondo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla contestazione associativa di cui al capo 1). La sentenza impugnata non ha fornito una esauriente risposta alle specifiche doglianze mosse sul punto dalla difesa sin dall'atto di appello laddove si evidenziava che la ricorrente svolgeva, con contratto di lavoro subordinato, funzioni di segretaria presso lo studio (OMISSIS)- (OMISSIS); conseguentemente le condotte alla stessa ascritte rientravano nelle attivita' proprie del suo ruolo. Considerando inoltre che alla stessa non risultano contestati reati fine non si ravvisavano in capo alla stessa comportamenti causalmente rilevanti rispetto alla realizzazione dei fini dell'associazione. 16.3 Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della ipotesi di cui all'articolo 416 c.p., comma 2 e al ruolo di organizzatrice ricoperto dalla ricorrente. La sentenza impugnata ha omesso di motivare in relazione alla qualifica di organizzatrice riconosciuta alla ricorrente, nonostante una specifica doglianza contenuta nell'atto di appello. In particolare, in quella sede si evidenziava che le attivita' svolte dalla (OMISSIS) (conferme di appuntamenti, comunicazione di estremi di conti correnti, archiviazione di documentazione) non presentava caratteri di essenzialita' ed infungibilita' necessari per ritenere integrato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, il ruolo di organizzatrice. La motivazione appare peraltro contraddittoria dal momento che, se da un lato ribadisce la qualifica di organizzatrice in capo alla ricorrente, dall'altro motiva la concessione delle circostanze attenuanti generiche per meglio adeguare la sanzione al ruolo in concreto svolto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, e i motivi di cui si compongono, verranno trattati distintamente nell'ordine gia' adottato nel "ritenuto in fatto", ad eccezione delle parti, interne a ciascuno di essi, ove risultera' o inevitabile o piu' agevole la loro discussione unitaria. Nel contempo, considerando le questioni dedotte, ed in particolare la minuziosa contestazione in fatto riportata nella gran parte dei motivi di tutti i ricorsi, e' necessario ricordare alcuni degli ineludibili principi di diritto a cui questa Corte deve, per la propria consolidata giurisprudenza, attenersi. In particolare, sulla verifica degli elementi circostanziali dei fatti addebitati e sulla valutazione delle prove, occorre ribadire che l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo, il sindacato demandato a questa Corte, essere limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Cosi' che esula dai poteri della Corte di cassazione quello consistente nella riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', invece ed in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944). Ne deriva che i motivi proposti nei ricorsi non possono tendere ad ottenere una ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. 1.1. In estremo sunto, occorre qui ricordare come i giudici del merito avevano ricostruito la complessiva vicenda, sfociata nell'imputazione associativa e nella contestazione dei reati, fiscali e fallimentari soprattutto, agli imputati, odierni ricorrenti. Alcuni imprenditori laziali, amministratori di societa' ormai in irrecuperabile difficolta' finanziaria, si erano rivolti allo studio professionale, di commercialisti, (OMISSIS)- (OMISSIS) per essere consigliati su come fosse meglio procedere. Dallo studio, ed in particolare dal (OMISSIS) (ma si vedra' anche con il concorso dell'altro titolare, (OMISSIS)), veniva loro suggerito sempre lo stesso schema: lasciare che le societa' si avviassero all'inevitabile dissesto, cercando, pero', di garantirsi l'immunita' da eventuali responsabilita' penali, effettuando una serie di operazioni societarie e di cessione di cespiti, volte alla spoliazione dei residui patrimoni sociali, omettendo, nel contempo, di assolvere ai debiti tributari. Le operazioni erano cosi' complesse anche per rendere impossibile, o quantomeno assai difficoltosa, la comprensione, da parte degli organi inquirenti e dei funzionari dell'Agenzia delle entrate, degli illeciti, fiscali e fallimentari, che con esse si andavano consumando. Da ultimo, era previsto il trasferimento delle societa' all'estero per tentare, anche, di eludere la formale declaratoria di fallimento. Un "pacchetto", quello descritto, offerto da (OMISSIS) e (OMISSIS), che, in pochi anni, era stato riprodotto (pur con le variabili necessarie ad adattarlo alle varie situazioni concrete) in tutte le vicende oggetto del presente processo. Quanto ai processi che ne erano derivati, occorre rilevare come la gran parte degli amministratori che si erano rivolti allo studio (OMISSIS)- (OMISSIS) avevano patteggiato la pena - cosi' riconoscendo il fondamento materiale delle ipotesi d'accusa - cosi' che, nel presente procedimento, oltre ai. rimanenti imprenditori, residuano le posizioni dei due principali protagonisti dell'intera vicenda, (OMISSIS) e (OMISSIS), e di alcuni di coloro che, con costoro, avevano collaborato nell'attuazione del ricordato schema offerto ai clienti dello studio (OMISSIS)- (OMISSIS). 2. Il ricorso di (OMISSIS). 2.1. Il secondo motivo (del primo, relativo alle doglianze formulate sul delitto associativo si trattera' piu' avanti, dopo la verifica delle censure sui reati fine) di ricorso - sulla ritenuta responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al capo 10 dell'imputazione, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della s.r.l. (OMISSIS) dei (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e non considera le circostanze evidenziate dai giudici del merito. Si era, infatti, osservato (pg. 67 e 118 della sentenza impugnata e pg. da 187 a 192 della sentenza di prime cure) che (OMISSIS) aveva attribuito la ideazione del complesso delle operazioni che avevano causato alla spoliazione della societa' al (OMISSIS), titolare con (OMISSIS) dell'omonimo studio professionale di commercialisti. Nella successione degli atti veniva interessata la srl (OMISSIS), che si rendeva acquirente del patrimonio immobiliare senza versarne il corrispettivo, societa' riconducibile allo studio professionale indicato. Era allora evidente che tale operazione, cosi' direttamente (ed illecitamente) coinvolgente una realta' appartenente all'associazione professionale non potesse essere realizzata se non con il previo assenso di entrambi l'titolari del medesimo (tanto che, ne' prima ne' poi, nonostante la palese anomalia economico-amministrativa dell'operazione, nulla aveva eccepito il socio (OMISSIS)). Peraltro era stato lo stesso (OMISSIS) ad essere contattato dai (OMISSIS) - proprio per lo stato di grave difficolta' economica in cui versava la societa' - e ad averli presentati al (OMISSIS), che non si era fatto certo scrupolo alcuno (anche nei confronti del (OMISSIS)) a dettare loro tutte quelle operazioni di svuotamento e di successivo trasferimento all'estero della societa' cosi' da occultare le responsabilita' dei (OMISSIS) stessi e da tentare di eludere anche la stessa dichiarazione di fallimento, seguendo il solito schema tipico dello studio professionale. Le conversazioni intercettate dimostravano, poi, come lo stesso (OMISSIS) fosse rimasto in contatto con (OMISSIS) (come lo dimostrava il preventivo, seppure di epoca successiva, sui compensi professionali dello studio) e si interessasse, anche colloquiando con altre persone, delle pratiche che lo riguardavano (pg. 193 della sentenza del Tribunale). Cosi' che appare evidente come (OMISSIS) abbia "curato" gli interessi dei (OMISSIS), con le ricordate illecite operazioni, in pinea sintonia con il proprio socio (OMISSIS). Da tutto cio' si deduce anche la manifesta infondatezza del settimo motivo di ricorso, speso dal ricorrente, sull'invocata configurabilita' dell'ipotesi di cui all'articolo 114 c.p., nell'imputazione sub 10, considerando, invece, il sicuro, ed essenziale, contributo fornito dall'imputato nella complessa vicenda. 2.2. Il terzo motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al capo 24 della rubrica, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della srl (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e non contrasta adeguatamente la motivazione, non manifestamente illogica, offerta sul punto dai giudici del merito. Il Tribunale, infatti, alla cui motivazione la Corte d'appello aveva rinviato, aveva osservato (pg. 278 e ss.) come (OMISSIS) fosse una societa' di cui (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano, in piu' occasioni, serviti per effettuare operazioni destinate ad occultare (o a rendere piu' complesso il loro disvelamento) passaggi di denaro e di beni riconducibili ad imprenditori loro clienti, agendo attraverso il loro sodale (OMISSIS), cosi' che tale societa' doveva considerarsi da loro stessi gestita di fatto. Ne deriva che la sua, finale, spoliazione era certamente riconducibile alla responsabilita' di entrambi, e quindi anche di (OMISSIS). 2.3. Il quarto motivo - speso sulla penale responsabilita' del (OMISSIS) in ordine ai reati ascrittigli ai capi 27, 28 e 31, rispettivamente relativi al cagionamento del dissesto della s.r.l. Istituto di (OMISSIS) ed alle bancarotte patrimoniali della srl (OMISSIS) e della srl (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)) - e' interamente versato in fatto. Tutte le indicate societa' facevano riferimento agli imprenditori fratelli (OMISSIS) che, appunto, si erano rivolti allo studio (OMISSIS) e (OMISSIS) per risolvere (ma non certo con il rilancio delle societa') i problemi delle stesse, entrate in una irreversibile crisi produttiva-finanziaria. La Corte d'appello ed il Tribunale prendevano certo atto del fatto che i fratelli (OMISSIS) avevano riferito di avere incontrato (OMISSIS) (collega di studio di quel (OMISSIS) che aveva suggerito loro tutte le operazioni illecite e decettive di cui alle imputazioni) solo per scambiarsi dei meri convenevoli, ma rilevavano anche come, di converso, fossero stati altrimenti raccolti a carico degli stessi inequivoci elementi di prova (sentenza d'appello da pag. 77 e del Tribunale da pag. 284). Si era, infatti, accertato che, sul conto della S.r.l. (OMISSIS) riconducibile allo studio (OMISSIS) (OMISSIS), era pervenuto un bonifico pari ad Euro 1.300.000 senza che la societa' vantasse titolo alcuno. Un introito di tale entita' (incamerato e non certo restituito), da dimostrare esso stesso il diretto coinvolgimento del (OMISSIS) nella complessa operazione (di spoliazione e di occultamento delle responsabilita') di cui lo stesso era stato uno snodo essenziale. Ed anche la S.r.l. (OMISSIS), implicata nelle operazioni dettata dallo studio (OMISSIS) (OMISSIS) ai fratelli (OMISSIS), era riconducibile sempre allo studio (OMISSIS)- (OMISSIS). Il Tribunale, poi (da pag. 306), aveva ricordato una serie di vicende economiche, facenti capo a Confcommercio (di cui all'epoca (OMISSIS) era presidente), dalle quali era inevitabile dedurre l'interessamento del ricorrente a favore (anche sollevando dubbi nei funzionari dell'associazione di categoria, che avevano deposto su tali vicende) di alcune delle societa' interessate dalle operazioni, illecite, dei fratelli (OMISSIS), dettate dallo studio, cosi' dimostrandosi, (OMISSIS), ancora una volta, perfettamente a conoscenza del loro dipanarsi. Si era cosi' formato un quadro di tale spessore da imporre la conferma della penale responsabilita' del (OMISSIS) anche in ordine alle condotte relative alle societa' del gruppo (OMISSIS). 2.4. Il quinto motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al capo 2, la bancarotta patrimoniale consumata a danno della S.r.l. (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto. Sul punto, i giudici del merito avevano fornito adeguata, e comunque non manifestamente illogica, motivazione, osservando quanto segue. A seguito della distrazione di un immobile della predetta societa', era pervenuto, sui conti dello studio (OMISSIS)- (OMISSIS), un pagamento di ben 1.950.000, senza essere giustificato da titolo alcuno, neppure dalla liquidazione di presunti compensi professionali. Si trattava, ancora una volta, di una somma di tale entita' da non consentire di ritenere che potesse essere stata incassata dallo studio, oltretutto senza titolo, senza il pieno, previo accordo, fra i due titolari del medesimo, (OMISSIS) e (OMISSIS). Oltre a cio', si era accertato che, nella complessa operazione descritta in imputazione, era stata coinvolta anche la societa' (OMISSIS) (che aveva prima acquistato e poi rivenduto un immobile, senza versarne prima e senza ricevere poi alcun corrispettivo, e, quindi, agendo come societa' schermo), riconducibile non allo studio ma al solo (OMISSIS), ed alla sua famiglia (una societa' anch'essa condotta al fallimento, e trasferita, da ultimo e seguendo il solito schema non attribuibile quindi al solo (OMISSIS), nel Regno Unito). 2.5. Il sesto motivo - sulla natura transnazionale dei delitti di cui ai capi 1, 2, 10, 27 e 31 - e' manifestamente infondato oltre che interamente versato in fatto. La Corte d'appello - risolvendo la dicotomia creata dalle due sentenze di primo grado, una delle quali aveva riconosciuto l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 (con riferimento ai capi in cui era stata contestata) mentre l'altra la sola natura transnazionale degli stessi - aveva ritenuto non fossero emersi gli elementi caratteristici dell'ipotesi aggravata (il concorso nei delitti di un ulteriore gruppo criminale operante all'estero), ma vi fossero tutti gli estremi per confermare la nauta transnazionale degli stessi, alla stregua dei criteri dettati dall'articolo 3 della citata legge. La L. n. 146 del 2006, articolo 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'articolo 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'articolo 3) impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si e' visto, era stato dalla Corte di merito escluso. La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perche' erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perche' si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle societa', ideato fin dall'origine; e cio' anche in relazione al capo 10, oggetto di ulteriore specifica censura nel ricorso (OMISSIS), considerando che la srl (OMISSIS) risultava essere stata trasferita, da ultimo, in (OMISSIS)) e parte dei loro effetti sostanziali (le operazioni amministrative, economiche e bancarie) erano avvenuti all'estero. Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici. Quanto ai provvedimenti di confisca conseguiti, appunto, alla natura transazionale dei reati, ad oggi le sole residue imputazioni di bancarotta, deve, inoltre osservarsi, cosi' rispondendo ad un'ulteriore obiezione del ricorrente, come il momento della loro consumazione debba essere fissato alla data della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento (la sentenza divenuta definitiva e non certo quella poi revocata, come e' avvenuto in alcuni dei casi oggetto del presente giudizio), cosi' che tutti risultano commessi in data posteriore all'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006, che aveva legittimato il provvedimento ablatorio. 2.6. In considerazione di quanto si e', per ciascun capo di imputazione, sopra argomentato in ordine alla valutazione degli elementi di prova raccolti a carico del (OMISSIS), risultano manifestamente infondati tutti i motivi dedotti nella memoria successiva che riprendono le censure gia' articolate nel ricorso originario senza pero' scalfire il percorso motivazionale seguito dai giudici del merito. 2.7. L'ottavo ed il nono motivo, spesi sul trattamento sanzionatorio, sono fondati esclusivamente in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Queste, infatti, erano state, al (OMISSIS), concesse nel proc n. 22166/2016 e negate nel proc. n. 7578/2019. e negate, infine, dalla Corte d'appello. Certo e' consentito al giudice il riconoscimento delle medesime solo per alcuni dei fatti ascritti all'imputato (di recente: Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020, Finizio, Rv. 279107) - e quindi, nel caso di specie, mantenendo il diniego per i delitti giudicati nel processo 7578/2019 - ma tale scelta decisoria deve essere assistita da specifica motivazione, motivazione che, invece, e' del tutto mancata. A tacere del fatto che, se si fosse inteso negarle anche in relazione ai delitti contestati nel processo n. 22166/2016 si sarebbe operata una reformatio in peius in assenza di impugnazione della pubblica accusa. Sul punto la sentenza va, pertanto, annullata. La conferma invece, da parte della Corte d'appello, della pena base relativa al capo 27, in essa ricompreso l'aumento per la ritenuta aggravante fallimentare, non mostra manifesti vizi logici, posto che, trattandosi di un unico reato, non vi sono, ne' sono state illustrate, le ragioni che dovrebbero imporre la necessaria scissione della pena fra l'ipotesi base e l'aumento per l'aggravante cosi' che il calcolo cumulativo non puo' dirsi effettuato a detrimento dell'imputato. La doglianza relativa agli aumenti per la continuazione rimane assorbita (ponendosi, nel calcolo della pena, in un momento successivo alla eventuale concessione delle circostanze attenuanti generiche). 2.8. Quanto al delitto associativo, l'annullamento della sentenza in tema di attenuanti generiche determina l'ulteriore decorso del termine di prescrizione, determinando cosi' l'estinzione di tale reato. Un reato sulla cui sussistenza, peraltro, la motivazione spesa dalla Corte di appello e' priva di manifesti vizi logici, considerando il contributo fornito dall'imputato a tutte le operazioni distrattive e dissipative sopra illustrate e la sua posizione di preminenza nell'ambito di quello studio professionale, gestito con l'altro principale protagonista dell'intera vicenda, (OMISSIS), che le aveva proposte, organizzate e curate. Di tutte le altre imputazioni, invece, non e' decorso il termine di prescrizione. 3. Il ricorso di (OMISSIS). 3.1. Il quinto ed il sesto motivo - in cui si deduce l'imprevedibilita' del mutamento giurisprudenziale determinato dalla sentenza delle Sezioni unite civili n. 8426 del 2010 in tema di fallibilita' delle societa' trasferite all'estero - e' manifestamente infondato. E' infatti vero che, nella pronuncia citata, si era affermato che - il termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, previsto dalla L. Fall., articolo 10, per consentire la dichiarazione di fallimento - trova un correttivo nella possibile revoca, ad opera del giudice (su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero), della precedente cancellazione, atteso il rilievo solo dichiarativo di tale pubblicita' se avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge. Ma e' altrettanto vero che la decisione delle Sezioni unite era perfettamente aderente alla lettera della norma citata - la L. Fall., articolo 10, comma 2, come mod. dal Decreto Legislativo n. 169 del 2007 - che consente, appunto, la riapertura del termine annuale e non costituisce pertanto novita' interpretativa alcuna. E, comunque, mai vi era stato un dubbio interpretativo sul fatto che, nell'anno dalla cancellazione della societa' dal registro delle imprese (anche a seguito di trasferimento all'estero: vd. La L. Fall., articolo 9), ne potesse essere richiesto il fallimento, cosi' che ne' (OMISSIS), ne' alcun altro degli odierni imputati, poteva fare concreto e sicuro affidamento sul fatto che, in tale termine, nessuno chiedesse la declaratoria di fallimento delle societa' indicate in imputazione. Non vi era pertanto alcun affidamento, di non rilevanza penale (conseguente alla declaratoria dei fallimenti) delle condotte consumate, in capo al (OMISSIS), da dover salvaguardare. Ne' tantomeno si era verificato un incolpevole errore di diritto sui fatti contestati. 3.2. Il primo, il secondo ed il settimo motivo - spesi sulla responsabilita' del ricorrente in ordine ai fatti contestatigli al capo 27, 28 e 31, rispettivamente, la bancarotta impropria della srl Istituto di Vigilanza (OMISSIS), le bancarotte patrimoniali relative alle srl La (OMISSIS) e alla srl (OMISSIS), tutte appartenenti al gruppo (OMISSIS) - sono interamente versati in fatto, a fronte di una motivazione della Corte di merito priva di manifesti vizi logici. La Corte aveva prima descritto le varie operazioni volte ad occultare ogni possibile responsabilita' degli amministratori (che a (OMISSIS) si erano rivolti proprio a tale scopo), ed a operare lo svuotamento delle societa' ed il loro trasferimento all'estero. Alle ricordate operazioni avevano partecipato alcune societa' riconducibili allo studio professionale di cui l'imputato era socio. Nella pendrive sequestrata al (OMISSIS) (ma attribuibile all'imputato) vi era ampia traccia, anche in una cartella significativamente denominata " (OMISSIS)" (il cognome degli amministratori divenuti clienti dello studio), sia delle illecite operazioni, sia dei cospicui corrispettivi ricevuti. I fratelli (OMISSIS) (la cui attendibilita' poggia sulla ampia confessione degli addebiti) avevano concordemente riferito (cosi', vicendevolmente riscontrandosi) di avere fatto riferimento al (OMISSIS) per tutte le operazioni descritte in imputazione. Trovando ulteriore e congruo riscontro nella documentazione a cui si e' teste' fatto riferimento. 3.3. Il terzo, il quarto ed il nono motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in riferimento ai reati descritti ai capi 4, 6 ed 8 della rubrica, le bancarotte patrimoniali consumate ai danni, rispettivamente, della srl (OMISSIS) della srl (OMISSIS) e della srl (OMISSIS), tutte appartenenti al gruppo (OMISSIS) - sono interamente versati in fatto e non tengono adeguato conto della motivazione, priva di manifesti vizi logici, della sentenza impugnata. La Corte d'appello, infatti, aveva ricordato la successione delle operazioni societarie che avevano condotto alla distrazione dell'intero patrimonio delle predette societa' con il trasferimento delle quote sociali ad un ente di diritto bulgaro e la nomina come amministratore di un cittadino di quella nazionalita'. Evidenti tracce delle operazioni erano state trovate nella pendrive (OMISSIS) (collaboratore del (OMISSIS)), in una cartella denominata, appunto, " (OMISSIS)" (dal cognome degli amministratori del gruppo), e almeno parte dei profitti ricavati erano pervenuti a societa' facenti capo allo studio professionale del (OMISSIS). I coimputati (OMISSIS) aveva patteggiato la pena, e (OMISSIS) (la cui attendibilita' era dimostrata dal leale comportamento processuale di ammissione dell'addebito) aveva riferito come l'intera catena delle operazioni (finalizzate a condurre al fallimento le societa' citate, cosi' salvaguardando il resto del gruppo" fosse stata ideata proprio da (OMISSIS), trovando, tale dichiarazione d'accusa, congruo riscontro nelle ulteriori acquisizioni documentali di cui si e' appena trattato. Irrilevante era sul punto l'intervenuta assoluzione del (OMISSIS) trovandosi costui in posizione processuale ben diversa, nel caso specifico, da quella del (OMISSIS) (basti pensare alle dichiarazioni del (OMISSIS)). 3.4. L'ottavo motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al delitto di cui al capo 2, relativo alla bancarotta patrimoniale consumata ai danni della S.r.l. (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e non tiene adeguato conto della motivazione, priva di manifesti vizi logici, della sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, aveva concluso per la responsabilita' del prevenuto considerando quanto segue. Come gia' rilevato in riferimento a (OMISSIS), buona parte del ricavato della distrazione era pervenuto ad una societa' riconducibile allo studio professionale di cui erano soci e delle operazioni effettuate si era trovato ampio riferimento nella pendrive del (OMISSIS). E, come nel caso delle altre societa', avviate al fallimento dal (OMISSIS), ne era stato svuotato il patrimonio e, da ultimo, la societa' era stata trasferita all'estero. 3.5. Il decimo motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in ordine ai delitti contestatigli ai capi 10 e 24 della rubrica, le bancarotte patrimoniali consumate, rispettivamente, a danno della S.r.l. (OMISSIS), dei (OMISSIS), e della S.r.l. (OMISSIS), direttamente riconducibile allo studio (OMISSIS)- (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e non evidenzia manifesti vizi logici nel percorso argomentativo della sentenza impugnata. La Corte distrettuale, infatti, aveva ricostruito le vicende (gia' ricordate in ordine alla posizione del coimputato (OMISSIS)) che avevano condotto al dissesto ed alla distrazione dei beni appartenenti alla seconda, la S.r.l. (OMISSIS), un diretto strumento in mano ad entrambi i soci dello studio ed utilizzato, in modo spesso strumentale, in plurime vicende dagli stessi curate per conto della loro piu' vasta clientela. Quanto, invece, alla S.r.l. (OMISSIS), (OMISSIS) aveva indicato proprio nel (OMISSIS) l'ideatore di quelle operazioni che avevano condotto alla distrazione dei beni indicati in imputazione. Trovando adeguato riscontro nell'utilizzo, in un passaggio della complessiva vicenda, della societa' (OMISSIS), riconducibile allo studio professionale e, quindi, anche al (OMISSIS). 3.6. Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo sono inammissibili per la loro genericita'. Si lamenta infatti, rispettivamente, una presunta insufficienza del quadro probatorio ed una non consentita commistione fra gli elementi di prova dell'uno e dell'altro giudizio (di primo grado), senza pero' nulla specificare al riguardo, tenendo presenti poi tutte le considerazioni e gli elementi di prova raccolti ed argomentati nei punti precedenti. 3.7. L'undicesimo motivo - sulla responsabilita' del (OMISSIS) in ordine al delitto associativo - e' manifestamente infondato. La Corte d'appello aveva concluso, seguendo un percorso argomentativo scevro di manifeste aporie logiche, per la conferma della condanna di primo grado in ordine al delitto associativo. Del resto, la sistematicita' delle condotte, la pluralita' dei soggetti interessati, sia alle operazioni svolte nel territorio dello Stato, sia al trasferimento delle societa' all'estero - attraverso la struttura, a pieno titolo inserita nell'associazione e nelle attivita' di questa, facente capo al coimputato (OMISSIS) - imponevano di considerarla un'associazione criminale, certo ben distinta dallo studio professionale (OMISSIS) (OMISSIS) in quanto tale, ma in esso operante. (OMISSIS) ne era stato individuato, per tutto quanto si e' accertato in relazione ai delitti fine del sodalizio, come l'ideatore e l'organizzatore dell'associazione stessa. Ne' era possibile, come invocato nel motivo di ricorso, ritenere il delitto prescritto prima della pronuncia della sentenza impugnata dovendosi tenere conto del solo processo, e delle relative sospensioni del termine di prescrizione, di prime cure in cui tale reato era stato contestato all'imputato. Tuttavia, il delitto associativo si e' prescritto in epoca successiva, per quanto si osservera' nel prossimo punto. 3.8. Le censure riferite al trattamento sanzionatorio sono argomentate nei motivi di ricorso dal quattordicesimo al diciannovesimo. Quanto alla commisurazione della pena relativa al reato ritenuto piu' grave, il capo 27 (n. 7578/2019) della rubrica, si rinvia a quanto gia' osservato sulla posizione (OMISSIS) circa il difetto di interesse concreto alla scissione del calcolo fra il reato base e l'aumento per la circostanza aggravante e la possibilita' per il giudice di fissare una pena che gia' tenga conto dell'aumento stesso. E cio' anche considerando che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243) e, nel contempo, rilevando che la pena irrogata, pari ad anni 6 di reclusione, non raggiunge neppure la misura media del delitto di bancarotta privo di aggravanti. La pena rimane fissata in tale misura da rendere del tutto incongrua quella proposta dall'imputato in sede di istanza di patteggiamento. La difesa invoca l'applicazione dell'aggravante specifica anche in relazione ai fatti inerenti le diverse societa' fallite ma tale pretesa e' stata costantemente negata dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Sez. 5, n. 31408 del 04/06/2004, Melloni, Rv. 229277). La sentenza impugnata va, invece, annullata in relazione al diniego delle circostanze attentanti generiche per il medesimo vizio rilevato sulla posizione (OMISSIS): in uno dei processi di primo grado erano state riconosciute e, sul punto, la Corte d'appello, negandole, nulla, di specifico, aveva motivato. Da tale annullamento deriva la declaratoria di prescrizione del solo delitto associativo (non essendo, ad oggi, decorso il termine per le residue imputazioni). 3.9. Il ventesimo motivo e' inammissibile posto che si e' costantemente affermato (da ultimo: Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773) che non e' impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento. 4. Il ricorso di (OMISSIS). 4.1. Il primo motivo - sulla mancata risposta ai motivi aggiunti formulati con memoria del 15 gennaio 2020 - e' inammissibile perche' difetta di specificita' in quanto non si precisa la decisivita' della risposta omessa. Con i motivi aggiunti, infatti, si era chiesta la produzione di un, atto processuale, relativo al medesimo fallimento di cui il prevenuto e' chiamato qui a rispondere, in cui lo stesso non risulta menzionato quale indagato o imputato, ma non e' dato comprendere, ne' nel ricorso lo si precisa adeguatamente, per quale ragione la mera non menzione del (OMISSIS) in altro processo debba considerarsi, nel presente, decisiva, sia che le imputazioni, pur riferite al medesimo fallimento, siano diverse (riguardando cosi' altre condotte, al quale potrebbe essere rimasto estraneo), sia nel caso fossero le stesse (posto che l'omissione allora si spiegherebbe con la regola del ne bis in idem). 4.2. Il secondo motivo - sulla responsabilita' del ricorrente in ordine al reato di cui al capo 34 della rubrica (n. 22166/2016), la bancarotta impropria consumata ai danni della S.r.l. (OMISSIS), appartenente al gruppo (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e, sul punto, la Corte di merito aveva speso argomenti privi di manifesti vizi logici. La Corte, infatti, aveva osservato (pag. 78 e 111) come (OMISSIS) fosse persona di stretta fiducia dei (OMISSIS), cosi' da doversi dedurre che egli, nelle qualita' di amministratore delle societa' del gruppo, avesse, in piena consapevolezza, contribuito a tutte quelle operazioni, dettate dal (OMISSIS), volte a commettere gli illeciti descritti in rubrica. In particolare, (OMISSIS) forniva il proprio indispensabile contributo all'operazione di scissione della societa', che aveva comportato l'assegnazione del patrimonio immobiliare alla S.r.l. (OMISSIS), cosi', gia' con tale operazione, depauperandone il patrimonio e avviandola a quel dissesto che, puntualmente, si era verificato (come, del resto, era fin dall'inizio programmato, secondo lo schema consigliato ai (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS)). Quanto all'operazione di scissione, risultano inconferenti (a confutare la sua natura distrattiva) le permanenti garanzie offerte dai patrimoni delle societa' oggetto dell'operazione societaria perche' il dato che deve essere verificato e' solo la salvaguardia dell'integrita' del patrimonio della societa' fallita, patrimonio che, invece, nel caso concreto, e' stato indubbiamente depauperato, sostituendo ad un cespite immobiliare direttamente posseduto una mera possibilita' d'azione civile risarcitoria nei confronti di altra societa'. Tutto cio' consente anche di affermare che, quanto al reato fiscale contestato al ricorrente al capo 33 (speculare alla contestazione di bancarotta di cui al capo 34), oggetto del terzo motivo di ricorso, la Corte distrettuale non poteva che, al piu', prendere atto, come aveva fatto, dell'avvenuto decorso del termine di prescrizione e non certo assolvere, dal medesimo, il (OMISSIS). 4.3. Il quinto motivo - sulla configurabilita' dell'ipotesi di cui all'articolo 114 c.p. - e' manifestamente infondato. Si e', infatti, affermato (ex plurimis: Sez. 4, n. 35950 del 25/11/2020, Indelicato, Rv. 280081) che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, e' necessario che il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso. In applicazione di tale principio di diritto, emerge evidente il necessario e sostanziale contributo fornito dal (OMISSIS) che, quale amministratore della societa', aveva consentito ed approvato il primo, essenziale, strumento della spoliazione della stessa, l'operazione di scissione del patrimonio immobiliare, cosi' da non potersi ritenere, la sua compartecipazione al fatto, cosi' minima da potere essere considerata trascurabile. 4.4. Il quarto motivo di ricorso - sul diniego delle circostanze attenenti generiche - e' fondato perche' la Corte territoriale le aveva negate pur se il Tribunale di prime cure (del processo n. 22166/2016) le aveva concesse, cosi' da delinearsi, in assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, una indubbia reformatio in peius. La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto. 5. Il ricorso di (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo - sulla responsabilita' del ricorrente in ordine al delitto ascrittogli al capo 39 (proc 22166/2016) dell'imputazione, la bancarotta patrimoniale consumata ai danni della S.r.l. (OMISSIS) (gia' S.r.l. (OMISSIS)), del gruppo (OMISSIS) - e' interamente versato in fatto e non considera adeguatamente la motivazione offerta sul punto dalla Corte d'appello. La Corte, infatti, seguendo un percorso argomentativo privo di manifesti vizi logici, aveva confermato la condanna del prevenuto per tale reato, osservando (pag. 114) che questi aveva attivamente e consapevolmente partecipato alla complessa operazione descritta in imputazione, interponendo la propria ditta individuale (che pertanto a lui solo faceva capo), e cosi' acquistando un ramo di azienda proveniente dalla fallita, senza versarne il corrispettivo, cedendolo poi, senza nulla incassare, ad altra societa', sempre indicatagli dai sodali. Era pertanto evidente la sua consapevolezza di partecipare allo svuotamento di una societa' a favore di quelle designate dai coimputati (dovendo pertanto rispondere del reato proprio quale concorrente esterno). Doveva anche considerarsi che (OMISSIS), parente acquisito dei fratelli (OMISSIS), era persona di loro stretta fiducia. 5.2. Il secondo motivo di ricorso, sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, e' fondato. Come nel caso del (OMISSIS), al (OMISSIS) (nel processo n. 22166/2016) erano gia' state riconosciute le attenuanti in questione, che la Corte territoriale aveva, invece, negato, in assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa. Ne consegue l'annullamento sul punto della sentenza impugnata (e l'assorbimento del terzo motivo di ricorso inerente la misura della pena). 5.3. Il quarto motivo di ricorso e' inammissibile, per la sua intrinseca genericita', dal momento che l'apodittica affermazione secondo cui la confisca degli immobili dei fratelli (OMISSIS) avrebbe risarcito tutti di danni patiti dalle odierne parti civili risulta sfornita di ogni concreta allegazione. 6. Il ricorso di (OMISSIS). 6.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso - spesi sulla responsabilita' della prevenuta in ordine al capo 39 della rubrica (n. 22166/2016) - sono fondati, per le ragioni che si diranno e che comportano l'assorbimento delle ulteriori censure (sulla circostanza aggravante fallimentare, sulla misura della pena, sull'ipotesi di cui all'articolo 114 c.p. e sulla confisca). La Corte d'appello, infatti (pag. 83 e 103), osservava che erroneamente la ricorrente era stata ritenuta, dal Tribunale, colpevole del reato proprio ascrittole, posto che la stessa non aveva ricoperto alcuna delle cariche amministrative della societa', come era stato documentalmente provato. E, tuttavia, la medesima, affermava la Corte, doveva rispondere del medesimo reato, quale concorrente esterna, per avere dettato a colui che era divenuto l'amministratore di facciata della societa' una nota, indirizzata al consulente del curatore, in cui riferiva la mancata conservazione delle scritture contabili, cosi' da sottrarle al controllo degli organi fallimentari. Solo che la Corte non aveva chiarito quale fosse stato il letterale contenuto della missiva, nonostante il motivo di appello sul punto, che bene, quindi, avrebbe potuto essere quello, invocato dalla difesa (che ne allegava copia al ricorso), del tutto diverso, e consistente nella sola specificazione della durata in carica di tale amministratore, assenza pertanto, fare cenno alcuno alla dispersione del compendio contabile. La sentenza impugnata va pertanto annullata per il vizio, sopra indicato, di motivazione. Anche considerando il fatto che, seppure, l'imputata avesse inviato una missiva con tale contenuto (di invito all'amministratore prestanome di giustificare il mancato invio del compendio contabile) si dovrebbe pur sempre scandagliare la sua consapevolezza in ordine all'occultamento della contabilita', considerando il fatto che l'imputata era stata assolta o prosciolta da tutte le ulteriori accuse a lei ascritte. 7. I ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) possono essere trattati cumulativamente per la sovrapponibilita' delle censure in essi argomentati. I ricorsi sono fondati limitatamente alla confisca, per equivalente, dei loro beni disposta dal Tribunale e confermata dalla Corte distrettuale. 7.1. Costoro, infatti, dichiarati colpevoli dal Tribunale per i delitti loro ascritti ai capi 15, 16 e 17 (n. 22166/2016), erano stati, dalla Corte d'appello, assolti dal delitto sub 16 perche' il fatto non sussiste e prosciolti dai reati sub 15 e 17 per intervenuta prescrizione dei medesimi. Non veniva pero' revocata la confisca, per equivalente, che si fondava sulla natura transnazionale dei reati estinti (vd. p. 685 e ss. della sentenza di prime cure). La Corte territoriale aveva cosi' omesso di considerare il principio di diritto fissato da questa Corte, con la sentenza delle Sezioni unite n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435, secondo il quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non puo' disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209, avevano anche precisato la disposizione di cui all'articolo 578-bis c.p.p., introdotta dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, (che consente di confermare, motivando sul punto, la confisca, anche per equivalente, nel caso di proscioglimento dell'imputato per la prescrizione del reato) ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, e' inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (e, pertanto ai fatti oggetto del presente processo, tutti anteriori al citato D.Lgs.). La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto, senza rinvio. 7.2. Il disposto annullamento comporta l'assorbimento dell'ulteriore censura proposta in entrambi i ricorsi sulla proporzione fra il valore dei beni vincolati ed il profitto del reato. Restano da affrontare (permanendo le statuizioni civili confermate dalla Corte d'appello) le doglianze relative alla quantificazione del danno patito dall'amministrazione finanziaria (il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) ed il quinto del ricorso (OMISSIS)) e, per il ricorrente (OMISSIS), alla ritenuta responsabilita' del medesimo per il delitto, estinto, contestatogli al capo 16 (rectius 17, nel quinto motivo), e, per il ricorrente (OMISSIS), alla ritenuta responsabilita' per i delitti, estinti, di cui ai capi 15 e 16 (rectius 17: nel primo e nel secondo motivo). 7.3. I motivi di ricorso inerenti la quantificazione del danno - nella misura equivalente al debito tributario non assolto piuttosto che alla diminuzione patrimoniale che era conseguita dalla commissione del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11 - sono manifestamente infondati. Proprio nella pronuncia di questa Corte citata nei ricorsi (Sez. 3, n. 32897 del 2021 non massimata) si ricorda che "quanto invece al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, secondo Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, e' costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e puo', dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario". Il danno, pertanto, ben puo' coincidere con l'imposta interamente evasa. E, nel caso di specie, la norma fiscale contestata, come si e' detto, e' proprio il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11. 7.4. Quanto al capo 15 dell'imputazione - rispetto al quale si e' invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici (pg. 69/70 e 106/107), aveva osservato come il trasferimento dell'attivita' nel Regno Unito doveva considerarsi fittizia non avendo, la societa', affatto li' operato, cosi' da disvelare, l'intera operazione descritta nell'imputazione (gli imputati avevano ceduto le quote a persone di fiducia dello studio (OMISSIS) (OMISSIS)), il solo intento di sottrarre il valore dei beni della societa' alla garanzia del pagamento dell'imposta. 7.5. Quanto al capo 17 della rubrica - rispetto al quale si e' invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato come non vi fosse prova alcuna che i pagamenti descritti in imputazione, assolti a preferenza di altri, fossero stati indirizzati a persone o enti ritenuti strategici per consentire la continuita' aziendale, tanto piu' che la societa', la S.r.l. (OMISSIS), era stata, dai coimputati, destinata al fallimento e non certo alla prosecuzione, in bonis, dell'attivita' stessa. 7.6. In conclusione, i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), accolti in relazione alla confisca, vanno rigettati nel resto. 8. Il ricorso di (OMISSIS). 8.1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Sullo specifico punto gia' la Corte territoriale aveva correttamente disatteso l'eccezione proposta in quella sede evidenziando che (p. 100): - dall'esame degli atti del procedimento emergeva che il Presidente del Collegio cui originariamente era stato assegnato il procedimento in fase dibattimentale avesse dichiarato di astenersi (verbale udienza 4 marzo 2015); - la dichiarazione era stata trasmessa al Presidente del Tribunale ai sensi dell'articolo 36 c.p.p. il quale, con provvedimento del 2 marzo 2015, aveva autorizzato l'astensione, assegnando il procedimento al Collegio Uno, presieduto da altro giudice. 8.1.1. Alla luce delle corrette indicazioni di natura procedurale risulta evidente la manifesta infondatezza del motivo. In ragione della intervenuta astensione, alcuna abnormita' si e' verificata. E' consolidato l'orientamento secondo cui: "L'abnormita' dell'atto processuale puo' riguardare tanto il profilo strutturale, allorche' per la sua singolarita', si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilita' di proseguirlo. (Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014, (2015), Rv. 262275). Nel caso di specie la trasmissione della dichiarazione alla Presidenza non accompagnata da un provvedimento motivato e la mancata risposta sul punto non possono considerarsi atti abnormi non essendosi prodotta alcuna delle situazioni indicate dalla giurisprudenza di questa Corte dal momento che la autorizzata astensione del giudice rende irrilevante qualsivoglia ulteriore doglianza. 8.2 Il secondo motivo e' manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza e con la giurisprudenza di questa Corte. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la giurisprudenza di legittimita', (Sez. 5, n. 7615 del 20/09/2016, (2017), Rv. 269474) confermata di recente, ha stabilito che: "Sono legittimamente utilizzabili in giudizio gli elaborati peritali formati in altro procedimento penale, trattandosi di mezzo di prova sottratto al divieto di cui all'articolo 238 c.p.p., comma 2-bis, concernente i verbali di dichiarazioni di prove di altro procedimento penale ai quali non puo' essere ricondotta la perizia." (Sez.5, n. 22586 del 02/02/2022, Rv. 283373). Anche la sentenza impugnata ha risposto sullo specifico punto evidenziando che la inutilizzabilita' eccepita non e' riferita alla prova intercettiva in se' e al suo contenuto quanto alla acquisizione della perizia del diverso giudizio, questioni non dirimenti in punto di valutazione della prova. Va per completezza espositiva evidenziato che nell'ipotesi di specie la questione e' risolvibile in radice non trattandosi di perizia disposta in "diverso procedimento". Si richiama la giurisprudenza di legittimita' che ha chiarito che "(..)la nozione di "diverso procedimento" va ancorata ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, considerandosi decisiva, ai fini della individuazione della identita' dei procedimenti, l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris, in motiv.; Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; 5 Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591). In altri termini, "(..)se la formale unita' dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non puo' fungere da schermo per l'utilizzabilita' indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale, allo stesso modo, la separazione formale dei procedimenti puo' consentire di ritenere, a condizioni esatte, che tra gli stessi possa esistere un collegamento sostanziale ai fini di escludere la diversita' oggetto della disciplina limitativa di cui al divieto previsto dall'articolo 270 c.p.p. (..)". (Sez. 3, n. 46085 del 28/03/2018, Fersini ed altri, Rv. 275351). Nel caso in esame, trattandosi di processo cumulativo a carico di piu' soggetti, per alcuni di essi e' stato disposto il giudizio immediato custodiale, per altri l'azione penale e' stata esercitata nelle forme tradizionali. Appare evidente, dunque, che "la diversita' del procedimento" e' legata ad un'opzione di natura processuale rispetto ad un processo che e' formalmente e sostanzialmente unico con tutte le conseguenze che ne derivano. Sullo specifico punto la sentenza impugnata ha chiarito che: - il procedimento n. 22166 RG costituisce quello principale, dal quale sono poi stati tratti diversi "stralci" a seguito della individuazione di nuovi indagati, alcuni sottoposti a misure cautelari, con conseguente scelta del giudizio immediato c.d. cautelare; - l'articolo 271 c.p.p., nel prevedere le cause di inutilizzabilita' dei risultati delle intercettazioni, non contempla quella dedotta dai ricorrenti dal momento che la prova non e' rappresentata dalle trascrizioni dei dialoghi, ma dalle conversazioni intercettate. 8.3. Manifestamente infondato risulta il terzo motivo. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944). Anche in tal caso la sentenza impugnata con motivazione in fatto, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede, ha chiarito che: - dalla documentazione acquisita e dalle indagini svolte e' emerso come la societa' fosse stata amministrata da (OMISSIS) dal 14 luglio 2003 al 27 settembre 2004; successivamente da (OMISSIS) allorquando la sede era trasferita all'estero, ed e' stata dichiarata fallita in data (OMISSIS) con richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica L. Fall., ex articolo 7; - la societa' in data 14 settembre 2004 cedeva l'unico cespite del suo patrimonio immobiliare alla (OMISSIS) spa, di fatto senza incassare il corrispettivo e in data 28.9.04 deliberava il trasferimento della sede legale in Inghilterra, con contestuale istanza di cancellazione al Registro delle imprese e sostituzione dell'amministratore nominato nella persona di (OMISSIS); - dall'esame dei bilanci depositati risulta la inoperativita' fin dal 2000; risultano inoltre immobilizzazioni materiali per oltre 2.000.000 di Euro, consistenti essenzialmente nell'immobile oggetto di distrazione; - le scritture contabili sono mancanti dal bilancio relativo all'esercizio 2003 all'esercizio 2010; - e' stato accertato un debito tributario lievitato a 5.000.000 di Euro, con proposta di concordato non accolta dalla Agenzia delle Entrate. - non vi e' prova di passaggio delle scritture contabili dal ricorrente al nuovo amministratore. La sentenza ancora una volta con motivazione logica ha risposto alle censure nuovamente riproposte in questa sede anche in relazione alla ricostruzione del debito fiscale e al coinvolgimento del ricorrente: - con specifico riferimento al credito IVA di Euro 492.699,00 rileva la Corte come la mancanza delle scritture contabili per il periodo compreso tra il 31.12.2003 ed il 2010 precluda qualunque ricostruzione attendibile delle vicende societarie; - la sparizione delle scritture contabili deve ritenersi preordinata, a nulla rilevando che la dichiarazione di fallimento sia intervenuta ad anni di distanza; ne' e' rilevante, come sostenuto dalla Difesa, che la societa' fosse inoperante fin dal 2000, avendo in realta' svolto appieno il suo ruolo di accumulatore di debiti verso l'erario rimasti impagati ed avendo esaurito la sua funzione con il trasferimento all'estero; del tutto irrilevante e' poi la circostanza che i debiti risalissero all'anno 2000, risiedendo il concorso del (OMISSIS) nella alienazione dell'immobile e nella spoliazione del corrispettivo, condotte tutte risalenti al periodo in cui lui era amministratore; 8.4. Manifestamente infondato il quarto motivo. La Corte d'appello - risolvendo la dicotomia creata dalle due sentenze di primo grado, una delle quali aveva riconosciuto l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4 (con riferimento ai capi in cui era stata contestata) mentre l'altra la sola natura transnazionale degli stessi - aveva ritenuto non fossero emersi gli elementi caratteristici dell'ipotesi aggravata (il concorso nei delitti di un ulteriore gruppo criminale operante all'estero), ma vi fossero tutti gli estremi per confermare la natura transnazionale degli stessi, alla stregua dei criteri dettati dall'articolo 3 della citata legge. La L. n. 146 del 2006, articolo 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'articolo 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'articolo 3) impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si e' visto, era stato dalla Corte di merito escluso. La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perche' erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perche' si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle societa', ideato fin dall'origine) e parte dei loro effetti sostanziali (le operazioni amministrative, economiche e bancarie) erano avvenuti all'estero. Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici. 8.5. Manifestamente infondato nonche' generico il quinto motivo non confrontandosi con la sentenza impugnata. La sentenza impugnata richiama la sentenza di primo grado nella parte in cui illustra la tipologia delle attivita' fraudolente oggetto del giudizio. Il modello standard "(..)consiste nella pianificazione e realizzazione di operazioni societarie straordinarie che permettono di portare a compimento importanti ristrutturazioni di gruppi economici rilevanti, gravati da una forte esposizione nei confronti dell'Erario, salvaguardando nella parte attiva che, mediante cessione di rami di aziende, ovvero scissioni, fusioni e incorporazioni, viene fatta confluire in nuovi soggetti giuridici cosi' sottratti alle azioni di riscossione del fisco (...)". Le societa' originarie, gravate da imponenti debiti tributari e ormai svuotate dei propri valori, erano formalmente, ma anche fittiziamente trasferite all'estero in (OMISSIS) o in (OMISSIS): cio' significa che il trasferimento all'estero della societa' non e' qualificabile come l'esercizio di un diritto, ma e' un momento essenziale dello schema fraudolento. 8.6. Generico risulta il quarto motivo in relazione al trattamento sanzionatorio essendosi limitato il ricorrente a lamentare l'eccessivita' della pena concessa senza indicare quali fossero le circostanze da valutare ulteriormente, a fronte della motivazione della sentenza impugnata che ha operato un riferimento alla gravita' delle condotte ed all'entita' del danno cagionato. 9. Il ricorso di (OMISSIS). 9.1. Manifestamente infondato il primo motivo in quanto totalmente versato in fatto. La difesa si duole, in particolare, che la sentenza impugnata non abbia correttamente motivato in relazione alla causa del dissesto della societa' fallita e che non abbia tenuto conto della insussistenza del rapporto di causalita' tra le condotte attribuite al ricorrente e il dissesto societario, valorizzando la normativa civilistica in tema di scissione societaria. Le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all'interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all'esterno dei limiti del sindacato di legittimita'. La decisione del giudice di merito non puo' essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche' illustrati come maggiormente plausibili o perche' assertivamente dotati di una migliore capacita' esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e' in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). In realta', contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la Corte territoriale motiva in modo esaustivo e non contraddittorio sulla specifica censura, argomentando analiticamente sui punti di doglianza. Con specifico riferimento dunque anche alla bancarotta impropria derivante da operazioni dolose, per la quale, differentemente dalla ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva, ai fini della configurabilita' della penale responsabilita' assume indubbia rilevanza il rapporto di causalita' tra la condotta del ricorrente e l'intervenuto dissesto, la sentenza risponde allo specifico motivo di censura e dimostra come proprio la condotta posta in essere dal ricorrente e' stata causalmente determinante ai fini della realizzazione del dissesto. La sentenza con motivazione in fatto logica e non contraddittoria ha chiarito che: - Il ricorrente nella sua qualita' di componente del Consiglio di Amministrazione dell'(OMISSIS) s.r.l., ma anche di legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l. ha svolto un ruolo decisivo nella realizzazione delle operazioni dolose che hanno concorso a determinare il dissesto della societa', in particolare contribuendo alla operazione di scissione dell'(OMISSIS) s.r.l. ed al successivo trasferimento del suo patrimonio immobiliare alle due societa' neo costituite, una delle quale risultava da lui amministrata. - La scissione societaria costituiva solo la prima fase della operazione, poi conclusasi con il trasferimento del patrimonio immobiliare che ha completamente svuotato la societa' madre, determinandone il dissesto. Risultano inconferenti (a confutare la sua natura distrattiva) le permanenti garanzie offerte dai patrimoni delle societa' oggetto dell'operazione societaria di scissione perche' il dato che deve essere verificato e' solo la salvaguardia dell'integrita' del patrimonio della societa' fallita, patrimonio che, invece, nel caso concreto, e' stato indubbiamente depauperato, sostituendo ad un cespite immobiliare direttamente posseduto una mera possibilita' d'azione civile risarcitoria nei confronti di altra societa'. 9.2 Manifestamente infondato il secondo motivo relativo alla circostanza aggravante di cui all'articolo 146/2006 per le ragioni esposte avuto riguardo al medesimo motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) e alle quali si rinvia. 9.3. Generico risulta il motivo relativo al trattamento sanzionatorio e alla invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. A fronte di una esaustiva motivazione in fatto con la quale la Corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali ha condiviso il trattamento sanzionatorio operato dal primo giudice e il discostamento dai minimi edittali, quali: - la gravita' delle condotte poste in essere dagli imputati - ciascuno nel ruolo accertato - con specifico riferimento alla entita' del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti; - la sistematicita' con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con un gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettivita'; - l'incisivita' del "sistema (OMISSIS)" sul tessuto economico della societa', alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato; il giudice di secondo grado ha concesso al ricorrente, al solo fine di adeguare la pena al ruolo in concreto svolto, le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti. Non sono stati offerti, tuttavia, in concreto elementi dalla difesa che potessero comportare un trattamento sanzionatorio piu' favorevole. 10. Il ricorso di (OMISSIS) . 10.1 Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Trattasi del medesimo motivo proposto dal (OMISSIS) relativo alla inutilizzabilita' della perizia trascrittiva di diverso procedimento e in relazione al quale sono gia' in precedenza indicate le ragioni della manifesta infondatezza alle quali si rinvia (par. 8.2). 10.2 Il secondo motivo risulta anch'esso manifestamente infondato. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944). Il motivo ripropone la medesima doglianza contenuta nell'atto di appello e puntualmente disattesa dalla Corte territoriale la quale con motivazione in fatto, logica e non contraddittoria e come tale non censurabile in questa sede ha chiarito che: - In data 29 settembre 2007 (OMISSIS) stipula un contratto preliminare con la societa' (OMISSIS), rappresentata da (OMISSIS) e rientrante nell'orbita dello studio (OMISSIS)- (OMISSIS), per un milione di Euro; - In data 12 novembre 2008 il contratto definitivo e' concluso per un corrispettivo pari ad un milione di Euro, mai realmente corrisposto, apparentemente versato attraverso un giro di fatture false emesse dalla Soc. (OMISSIS) ed utilizzate da (OMISSIS); La consapevole partecipazione del (OMISSIS) alla operazione risulta provata alla luce della posizione qualificata dallo stesso ricoperta nella societa' (OMISSIS) e della inesistenza delle operazioni sottostanti alla emissione/utilizzazione di fatture. 10.2.1. La ulteriore censura articolata nel medesimo motivo di ricorso non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale e' pienamente configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce della diversita' del soggetto-autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e del differente elemento psicologico tra i reati (rispettivamente, dolo specifico e dolo generico) (Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Rv. 270810; Sez. 5, n. 22143 del 14/03/2022, Rv.283257). 10.3 Il terzo motivo risulta manifestamente infondato. Anche in questo caso, si tratta del medesimo motivo proposto nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) rigettato nei precedenti paragrafi e alle cui motivazioni si rinvia (par. 8.4). 10.4. Generico risulta il motivo relativo al trattamento sanzionatorio e alla invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. A fronte di una esaustiva motivazione in fatto con la quale la Corte territoriale ha chiarito le ragioni per le quali ha condiviso il trattamento sanzionatorio operato dal primo giudice e il discostamento dai minimi edittali, quali: - la gravita' delle condotte poste in essere dagli imputati - ciascuno nel ruolo accertato - con specifico riferimento alla entita' del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti; - la sistematicita' con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con un gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettivita'; - l'incisivita' del "sistema (OMISSIS)" sul tessuto economico della societa', alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato; non sono stati offerti, tuttavia, in concreto elementi dalla difesa che potessero comportare un trattamento sanzionatorio piu' favorevole. 11. Il ricorso di (OMISSIS). Il motivo risulta fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 11.1. Il primo motivo e' infondato. Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento si richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la consumazione dei reati di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento, ancorche' la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto detta sentenza ha natura di elemento costitutivo del reato. (Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, Rv. 273800). La sentenza in motivazione precisa che: "(..) Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, piuttosto che come condizione obiettiva di punibilita', va detto, per quanto di rilievo in questa sede, che il Collegio aderisce all'orientamento secondo cui, in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento e' un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilita'; pertanto, il reato si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attivita' di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito.(Sez. 5, sentenza 09/12/2014, dep. 23/04/2015, Caprara ed altri, Rv. 263244; Sez. 5, sentenza n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, sentenza n. 26548 del 19/03/2014, Nauner, RV. 260477; Sez. 1, sentenza n. 1825 del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 1, sentenza n. 4859 del 27/10/1994, dep. 17/01/1995, Ferrari, Rv. 200019)(..)". Questo collegio condivide siffatto orientamento pur consapevole dell'esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale che ha affermato, invece, che la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce condizione obiettiva di punibilita', che circoscrive l'area di illiceita' penale alle sole ipotesi nelle quali alle condotte del debitore - di per se' offensive degli interessi dei creditori in quanto espongono a pericolo la garanzia di soddisfacimento delle loro ragioni - segue la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, sentenza n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, sentenza n. 4400 del 06/10/2017, dep. 30/01/2018, Cragnotti ed altri, Rv. 272256; Sez. 5, sentenza n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269388). 11.1.1 La sentenza impugnata ha operato buon governo della giurisprudenza condivisa da questo Collegio, considerando le condotte poste in essere dalla ricorrente in termini di apporto concorsuale al reato di bancarotta fraudolenta essendo state realizzate prima della sentenza dichiarativa di fallimento. 11.1.2. Alla luce di tali argomentazioni, puo' evidenziarsi come le ulteriori doglianze contenute nel motivo di ricorso siano versate in fatto e si traducano in una inammissibile e non consentita rilettura delle motivazioni della sentenza sul punto. 11.2 Il secondo motivo e' manifestamente infondato in quanto versato in fatto. La sentenza ha, con motivazione immune da vizi logici, correttamente ritenuto inammissibile la riqualificazione della condotta ascritta ai sensi dell'articolo 379 c.p. del quale difettano i presupposti essendo stato riconosciuto a carico della (OMISSIS) il ruolo di concorrente nei reati fine e di organizzatrice all'interno della fattispecie associativa. 11.3. Il terzo motivo di ricorso risulta generico. La sentenza impugnata, a fronte del motivo contenuto nell'atto di appello, ha chiarito che l'entita' del passivo fallimentare non rileva ai fini del riconoscimento dell'aggravante in questione, sul punto la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Rv 271274; n. 49642 del 02/10/2009, Rv 245822). Ha, quindi, correttamente argomentato che, in relazione all'aggravante, occorre considerare il valore dei beni che sono stati sottratti all'esecuzione concorsuale, piuttosto che il pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell'attivo ed indipendentemente dalla relazione con l'importo globale del passivo (nuovamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte in precedenza citata). Ha quindi concluso che, in applicazione dei principi da questa Corte, la circostanza dovesse essere "(..)ritenuta sussistente nei casi in cui e' contestata nel presente procedimento(..)". La doglianza del motivo nella parte in cui denunzia una mancata risposta allo specifico motivo di appello in ragione della "risposta cumulativa" offerta non si confronta con il contenuto della motivazione della sentenza impugnata dal momento che la Corte territoriale ha implicitamente rinviato alla motivazione contenuta in relazione alle singole condotte contestate dalla quale emerge con chiarezza il significativo valore dei beni complessivamente sottratti alla esecuzione concorsuale attraverso le attivita' distrattive realizzate. Ne' sul punto la difesa ha nel ricorso evidenziato gli elementi concretamente riferibili alla ricorrente e non valutati dalla sentenza ai fini della esclusione della contestata aggravante. 11.4. Fondato relativo il quarto motivo relativo al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il Tribunale aveva riconosciuto la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti (pag. 634). La Corte di appello, pur avendo confermato la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219 e, poi, ha negato la possibilita' di riconoscere le attenuanti generiche (pag. 122), gia' e riconosciute dal Tribunale e ha determinato la pena finale senza tenerne conto. In assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, risulta realizzata una indubbia reformatio in peius. La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. 11.5 Il quinto motivo - sulla configurabilita' dell'ipotesi di cui all'articolo 114 c.p. - e' manifestamente infondato. Si e', infatti, affermato (ex plurimis: Sez. 4, n. 35950 del 25/11/2020, Indelicato, Rv. 280081) che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, e' necessario che il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso. In applicazione di tale principio di diritto, emerge evidente il necessario e sostanziale contributo fornito dalla ricorrente nelle plurime condotte distrattive in cui risulta concorrente attraverso la decisiva attivita' di traduzione degli atti al fine di realizzare compiutamente il programma criminoso di trasferimento delle societa' all'estero, cosi' da non potersi ritenere, la sua compartecipazione al fatto, cosi' minima da potere essere considerata trascurabile. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la sentenza impugnata ha con motivazione in fatto logica e non contraddittoria ha evidenziato che l'attivita' della imputata non si e' limitata a tradurre i certificati necessari per i trasferimenti in (OMISSIS) delle singole societa' ma si e' tradotta in un rilevante ruolo di collegamento con i prestanome soprattutto stranieri, ma anche italiani. Il motivo risulta fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 12.1. Il primo motivo risulta infondato. La impugnata sentenza (pag.108), a fronte di una richiesta di rinnovazione istruttoria, ha correttamente qualificato la stessa ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1 escludendo che potesse essere valutata quale richiesta di prova nuova sopravvenuta al giudizio di primo grado (il teste (OMISSIS) e' risultato ufficiale di polizia giudiziaria attivo nella indagine durante la sua durata); quindi, con motivazione priva di vizi logici, ha espresso un giudizio di non indispensabilita' della deposizione del teste (OMISSIS) ai fini della decisione (in ragione della esaustivita' e completezza della testimonianza (OMISSIS) e della genericita' della consulenza di parte). Va al riguardo richiamato l'orientamento di questa Corte al riguardo che ha chiarito che: "Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'articolo 603 c.p.p., comma 1, e' subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e' rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita' se correttamente motivata". (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230). 12.2. Manifestamente infondato il secondo motivo quanto alla responsabilita' del ricorrente per la condotta contestata (capo 44). Si tratta di doglianze interamente versate in fatto, a fronte di una motivazione della Corte di merito priva di manifesti vizi logici. La sentenza impugnata ha evidenziato la ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza circa le operazioni che hanno determinato lo svuotamento del patrimonio immobiliare della (OMISSIS) S.r.l., attraverso la cessione degli immobili, di fatto senza corrispettivo o a fronte di un corrispettivo molto inferiore al pattuito a favore di altre societa' facenti capo al medesimo gruppo e segnatamente la (OMISSIS) S.r.l. (gia' (OMISSIS) S.r.l.) e la (OMISSIS) S.r.l., e dunque in favore del (OMISSIS). La testimonianza di (OMISSIS) e' risultata riscontrata dalla produzione documentale della Pubblica accusa. La sentenza impugnata ha fornito adeguata motivazione, anche in tal caso priva di vizi logici, alla prospettazione difensiva. Ha, infatti, riqualificato le cessioni di cui ai capi 42 e 43 nonche' una delle cessioni di cui al capo 44 quali ipotesi di bancarotta preferenziale (con conseguente estinzione dei reati per intervenuta prescrizione), riconoscendo un collegamento con le esposizioni debitorie del (OMISSIS) con il gruppo (OMISSIS). Ha poi specificato che le altre cessioni effettuate in favore di (OMISSIS) S.r.l., ovvero in favore del (OMISSIS) personalmente, non risultano collegate con la "vicenda (OMISSIS)": siffatte cessioni (avvenute in assenza di corrispettivo e poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento) non possono che avere natura distrattiva, non avendo individuato la difesa i possibili collegamenti tra le la nomina del (OMISSIS) ed il trasferimento in (OMISSIS) della societa' poi dichiarata fallita e il rapporto contrattuale esistente tra il gruppo (OMISSIS) ed il gruppo (OMISSIS). 12.3 Il terzo motivo risulta manifestamente infondato oltre che interamente versato in fatto. La L. n. 146 del 2006, articolo 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'articolo 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'articolo 3) impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si e' visto, era stato dalla Corte di merito escluso. La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perche' erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perche' si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle societa', ideato fin dall'origine. Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici. Quanto ai provvedimenti di confisca conseguiti, appunto, alla natura transazionale dei reati, ad oggi le sole residue imputazioni di bancarotta, deve, inoltre osservarsi come il momento della loro consumazione debba essere fissato alla data della pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento (la sentenza divenuta definitiva e non certo quella poi revocata, come e' avvenuto in alcuni dei casi oggetto del presente giudizio), cosi' che tutti risultano commessi in data posteriore all'entrata in vigore della L. n. 146 del 2006, che aveva legittimato il provvedimento ablatorio. 12.4 Fondati risultano il quarto e il quinto motivo nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 12.4.1. Quanto alla censura relativa al trattamento sanzionatorio la sentenza impugnata nel determinare la pena ha valorizzato: - la entita' del danno determinatosi per l'Erario in conseguenza delle condotte penalmente rilevanti; - la sistematicita' con cui gli imputati hanno attuato il programma criminoso concordato con gravissimo depauperamento per le casse dello Stato, con conseguenze pesanti per la intera collettivita'; - le modalita' con cui il "sistema (OMISSIS)" ha pesantemente inciso sullo stesso tessuto economico della societa', alterando gli ordinari rapporti tra soggetti economici e compromettendo le logiche di mercato. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS), tuttavia, la sentenza: - ha espressamente evidenziato che le condotte allo stesso contestate non erano collegate al Sistema (OMISSIS) (pag. 86); - a fronte delle originarie plurime contestazioni di bancarotta distrattiva, ha riqualificato due delle stesse e parzialmente la terza in condotte di bancarotta preferenziale (dichiarate estinte per intervenuta prescrizione), confermando la impugnata sentenza solo in relazione alle residue cessioni contestate al capo 44 qualificate come condotte distrattive. - ha concesso a due coimputati le circostanze attenuanti generiche "per commisurare la pena alla gravita' del fatto". A fronte delle specifiche censure contenute nell'atto di appello quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione carente e contraddittoria in relazione alle specifiche circostanze richiamate, non valutando gli elementi richiamati che dovevano essere considerati in relazione alla specifica posizione del (OMISSIS). Sul punto (quantificazione della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche) la sentenza va annullata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. 12.4.2 Con riferimento al quinto motivo e alla conferma della confisca disposta in primo grado, va ribadito che il (OMISSIS) e' stato prosciolto dai reati sub 42 e 43, nonche' per una singola cessione di cui al capo sub 44 per intervenuta prescrizione dei medesimi, a seguito della riqualificazione in bancarotta preferenziale. Non e' stata pero' revocata la confisca, per equivalente, che si fondava sulla natura transnazionale dei reati estinti (p. 685 e ss. della sentenza di primo grado). La Corte territoriale aveva cosi' omesso di considerare il principio di diritto fissato da questa Corte, con la sentenza delle Sezioni unite n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435, secondo il quale il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non puo' disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209, avevano anche precisato la disposizione di cui all'articolo 578-bis c.p.p., introdotta dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, (che consente di confermare, motivando sul punto, la confisca, anche per equivalente, nel caso di proscioglimento dell'imputato per la prescrizione del reato) ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, e' inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (e, pertanto ai fatti oggetto del presente processo, tutti anteriori al citato D.Lgs.). Con riferimento alla posizione del (OMISSIS), dunque la confisca per equivalente e' stata correttamente disposta solo in relazione alle residue condotte di cui al capo 44), ma non in relazione alle residue imputazioni (per il capo 43 la confisca era sin dall'origine illegittimamente disposta attesa l'assenza della contestazione dell'aggravante in esame). La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame in relazione alla delimitazione della confisca per equivalente alla sola contestazione di cui al capo 44) per cui e' intervenuta condanna con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. 13. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso e' fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 13.1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato nonche' interamente versato in fatto. La sentenza impugnata con motivazione priva di vizi logici ha confutato la versione difensiva secondo la quale l'imputato, legale rappresentante della societa' (OMISSIS) S.r.l., ma "testa di legno" rispetto ai fratelli (OMISSIS), non avrebbe avuto alcuna consapevolezza del ruolo svolto nella distrazione in danno dei creditori della societa' (OMISSIS) S.r.l. realizzata attraverso la cessione senza corrispettivo dei cespiti alla societa' dallo stesso amministrata. La Corte territoriale ha infatti chiarito con motivazione in fatto che, pur potendosi considerare l'imputato un mero prestanome, il mancato pagamento relativo alle acquisizioni contestate non poteva realizzarsi senza il suo apporto causale. Ha quindi richiamato, quanto all'elemento soggettivo del reato, le motivazioni della sentenza del Tribunale: il (OMISSIS) era stato per molti anni, in quanto funzionario di banca, colui che aveva seguito le societa' della famiglia (OMISSIS) definendole come societa' che "facevano faticare la banca"; la conoscenza delle vicende societarie dei fratelli (OMISSIS) risulta inequivoco indice rivelatore della consapevolezza della condotta distrattiva allo stesso imputata a titolo di concorso. 13.2 Manifestamente infondato nonche' versato in fatto anche il secondo motivo. In relazione al capo 41 della rubrica (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10) - rispetto al quale si e' invocata una formula assolutoria piena a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ha osservato come l'imputato sapesse che la societa' (OMISSIS) era sostanzialmente inattiva e non poteva aver maturato alcun credito IVA da portare in compensazione rispetto al debito fiscale della societa' incorporante; peraltro si e' nel precedente paragrafo (par.13.1)richiamata la sentenza impugnata che con motivazione priva di vizi logici aveva chiarito le ragioni per le quali il (OMISSIS) fosse perfettamente consapevole dell'esposizione debitoria e della situazione economica delle societa' della famiglia (OMISSIS). 13.3. Fondato il terzo motivo relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il Tribunale aveva riconosciuto la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti (pag. 634). La Corte di appello, pur avendo confermato la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., articolo 219 e, poi, ha negato la possibilita' di riconoscere le attenuanti generiche (pag. 122), gia' riconosciute dal Tribunale e ha determinato la pena finale senza tenerne conto. In assenza di impugnazione sul punto della pubblica accusa, risulta realizzata una indubbia reformatio in peius. La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. 13.4 L'annullamento con rinvio in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche assorbe e involge il quarto motivo relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio sia con riferimento alla pena principale che alla pena accessoria. 13.5. Il quinto motivo risulta infondato. L'apodittica affermazione secondo cui la confisca degli immobili dei fratelli (OMISSIS) avrebbe risarcito tutti di danni patiti dalle odierne parti civili risulta sfornita di ogni concreta allegazione, a fronte di una adeguata motivazione della sentenza impugnata in ordine alla conferma delle statuizioni disposte in primo grado per il risarcimento del danno (pag. 127). Ne' la circostanza che sia stata revocata la confisca disposta nei confronti dell'imputato (OMISSIS) (pag. 131 della sentenza di appello) assume un diretto rilievo sulla condanna al risarcimento dei danni; infine, le modalita' con le quali piu' soggetti siano tenuti a risarcire lo stesso danno possono essere individuate in sede di esecuzione della sentenza. 14. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso risulta fondato nei limiti e per le ragioni che seguono. 14.1. Il primo motivo risulta infondato. 14.1.1. Dall'esame degli atti emerge che il (OMISSIS): - eleggeva domicilio presso l'abitazione del padre, in (OMISSIS), in data 6 dicembre 2013; dunque, successivamente alla notifica dell'avviso ex articolo 415bis c.p.p. e alla citazione per l'udienza preliminare; - il Tribunale rivelava la irregolarita' della notifica del decreto che dispone il giudizio presso il domicilio sopra indicato all'udienza del 4 marzo 2015, disponendone la rinnovazione ex articolo 161 c.p.p., comma 4; nonostante all'udienza successiva la notifica ex articolo 161 c.p.p., comma 4 fosse stata ritualmente eseguita presso lo studio dell'avv.to (OMISSIS), in data 5 marzo 2015, alla successiva udienza del 7 maggio 2015 il Tribunale ha nuovamente ritenuto irregolare la notifica al (OMISSIS), disponendone la rinnovazione con nuovo accesso presso il domicilio dichiarato - ritualmente eseguito, con esito negativo in data 18 maggio 2015 - e successiva nuova notifica ex articolo 161 c.p.p., comma 4 presso lo studio dell'avv.to (OMISSIS). L'assenza e' stata correttamente dichiarata. 14.1.2. Quanto all'effettiva conoscenza del processo, va evidenziato che il ricorrente ha nominato un difensore di fiducia. La nomina di un difensore di fiducia costituisce indice di effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza, salva l'allegazione, da parte del condannato, di circostanze di fatto che consentano di ritenere che egli non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo e che questa non sia dipesa da colpevole disinteresse per la vicenda processuale (Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022 Rv. 283019). 14.2 Il secondo motivo e' manifestamente infondato. Il motivo si risolve in una rilettura in fatto delle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata prive di contraddizioni o vizi logici. La L. n. 146 del 2006, articolo 3 richiede, infatti, per ritenere il reato di natura "transnazionale" che lo stesso sia consumato da un gruppo criminale organizzato e sussista, in via alternativa, una delle ulteriori ipotesi ivi previste: o che sia commesso in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; o che sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato; o che sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. Il discrimine di tale fattispecie, rispetto a quella aggravata contemplata dall'articolo 4 della medesima legge, consiste nel contributo, nella seconda ipotesi, da parte di un gruppo criminale organizzato (diverso ed ulteriore da quello indicato nell'articolo 3) impegnato in attivita' criminali in piu' di uno Stato. Gruppo, operante all'estero, il cui coinvolgimento, si e' visto, era stato dalla Corte di merito escluso. La Corte, invece, aveva ritenuto che i delitti (per i quali era stata contestata l'aggravante) fossero connotati dalla "natura transnazionale" perche' erano stati commessi dal un gruppo criminale organizzato (quello descritto ai capi 1 di entrambi i procedimenti, il medesimo delitto associativo) e perche' si erano configurate almeno due delle ulteriori condizioni previste: i delitti erano stati commessi nel territorio dello Stato, ma almeno parte della loro pianificazione (il trasferimento delle societa', ideato fin dall'origine). Sul punto, ne deriva che il giudizio della Corte d'appello sia privo di manifesti vizi logici. 14.3. Manifestamente infondato nonche' versato in fatto anche il terzo motivo. In relazione alla cessione di cui al capo 44 della rubrica riqualificata quale bancarotta preferenziale - rispetto alla quale si e' invocata una formula assolutoria piena per carenza dell'elemento soggettivo a fronte del proscioglimento per la prescrizione del reato - la Corte territoriale, con motivazione priva di manifesti vizi logici, ha valorizzato il ruolo svolto dal (OMISSIS) e le intere vicende che hanno interessato il gruppo (OMISSIS), osservando peraltro che lo stesso aveva preso parte a cessioni senza corrispettivo rivelatrici di una necessaria consapevolezza della natura fraudolenta delle stesse. 14.4. Fondato il quarto motivo relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS) e conseguentemente al (OMISSIS), la sentenza: - ha espressamente evidenziato che le condotte allo stesso contestate non erano collegate al Sistema (OMISSIS) (pag. 86); - a fronte delle plurime condotte distrattive del capo 44), ha parzialmente riqualificato la contestazione in bancarotta preferenziale (dichiarando estinta per intervenuta prescrizione la condotta relativa ad una delle cessioni), confermando la impugnata sentenza solo in relazione alle residue cessioni contestate e qualificate come condotte distrattive. - ha concesso a due coimputati le circostanze attenuanti generiche "per commisurare la pena alla gravita' del fatto". A fronte delle specifiche censure contenute nell'atto di appello quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha fornito una motivazione carente e contraddittoria in relazione alle specifiche circostanze richiamate, non valutando gli elementi richiamati che dovevano essere considerati in relazione alla specifica posizione del (OMISSIS). Sul punto (quantificazione della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche) la sentenza va annullata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. 15. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso risulta nel complesso non manifestamente infondato con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata a seguito della intervenuta prescrizione del reato associativo ascritto alla ricorrente. 15.1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto che le certificazioni mediche depositate relative una ad un ricovero della (OMISSIS) e l'altra ad una malattia della figlia minore dell'imputata non possono essere valutate quale legittimo impedimento dell'imputata a comparire in udienza. Condivisibili sono le argomentazioni secondo le quali: - la prima certificazione risulta rilasciata da una clinica privata; fa riferimento ad un "riferito episodio lipotimico" e prescrive l'esecuzione di esami ECG e ematochimici che lo stesso sanitario descrive come "di routine"; non vi e' dunque alcuna documentata evidenza di un assoluto impedimento a comparire, tenuto conto che l'episodio lipotimico e meramente "riferito" e non documentato e che nessuna specifica patologia risulta accertata. -la seconda certificazione riguarda la figlia minore della (OMISSIS); in ragione della patologia documentata (generico episodio febbrile) non emerge la assoluta ed inderogabile necessita' della presenza dell'imputata accanto alla minore, non sussistendo peraltro documentazione o di eventuali impedimenti dell'altro genitore a prestare assistenza alla piccola. La sentenza opera corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte in tema di legittimo impedimento a comparire in base al quale: "L'impedimento a comparire dell'imputato, oltre che grave ed assoluto, deve possedere il carattere della attualita' in relazione all'udienza, tale da risultare non altrimenti superabile l'impossibilita' a presenziare". (Sez. 5, n. 37440 del 20/07/2021, Rv. 281949). 15.2 Il secondo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata che richiama altresi' gli esiti intercettizi della sentenza di primo grado. La sentenza, con motivazione non contraddittoria ne' manifestamente illogica ha descritto il ruolo della ricorrente: (OMISSIS) era la segretaria di (OMISSIS), che, per un certo periodo, ha svolto la medesima attivita' anche per (OMISSIS); il materiale derivante dalle intercettazioni telefoniche che rivela contatti tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS), tra la (OMISSIS) e (OMISSIS); il sequestro di documentazione presso la sua abitazione comprendente la copia dei documenti di identita' dei prestanomi, consente di escludere il ruolo di semplice dipendente dello studio professionale, come invece sostenuto nel ricorso. La sentenza opera buon governo delle indicazioni di questa Corte che ha ritenuto che in tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volonta' associativa non e' necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell'associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, Rv. 279589). 15.3 Il terzo motivo risulta non manifestamente infondato. La sentenza impugnata, e ancor prima quella del giudice di primo grado, ha ritenuto di qualificare la posizione ricoperta dalla (OMISSIS) nell'organizzazione in ragione della diretta gestione svolta dalla stessa della attivita' sui conti correnti delle varie societa'. Le sentenze di merito individuano, con motivazione logica e non contraddittoria non censurabile in questa sede, nelle conversazioni telefoniche "una discreta autonomia" decisionale accompagnata dalla necessaria consapevolezza delle finalita' perseguite dalla associazione e dei mezzi utilizzati per il loro perseguimento. Nel delineare la figura dell'organizzatore all'interno della contestata associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati fallimentari e tributari, realizzata attraverso uno specifico modus procedendi e facente capo allo studio dei due commercialisti (OMISSIS) e (OMISSIS) (cd. Sistema (OMISSIS)), l'attivita' svolta continuativamente presso lo studio professionale dalla segretaria (OMISSIS) in funzione di raccordo e collegamento dei vari soggetti coinvolti, sia pure in esecuzione di direttive di terzi, e' riconducibile a siffatto modello legale descritto dall'articolo 416 c.p., comma 1. 15.3.1. La non manifesta infondatezza del terzo motivo, considerata la concessione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la decorrenza alla data odierna del termine di prescrizione, determina l'estinzione di tale reato. La sentenza impugnata va dunque in relazione alla ricorrente annullata senza rinvio. 16. Dei precedenti ricorrenti, a carico dei soli (OMISSIS) e (OMISSIS) viene posta la rifusione delle spese del presente grado di giudizio a favore dell'Agenzia delle entrate (posto che questi solo ha citato nelle sue conclusioni); nonche' a carico del solo (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile fallimento (OMISSIS) s.r.l., (citato nelle sue conclusioni). Li si condannano nella misura, ritenuta equa, di cui al dispositivo. Senza rinviare la liquidazione al definitivo posto che l'annullamento riguarda il solo trattamento sanzionatorio, al quale la parte civile non risulta avere interesse. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo 1 nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per essere il reato estinto per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti dei medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) per essere il reato di cui al capo 1 a lei ascritto estinto per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente alla confisca per equivalente e rigetta nel resto i ricorsi. Annulla la sentenza impugnata nei confronti nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla confisca e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma; rigetta nel resto il ricorso. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile fallimento (OMISSIS) s.r.l., che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge. Condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 7.000,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/09/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. EUGENIA SERRAO; udito l'Avvocato Generale Dott. FIMIANI PASQUALE, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha concluso per raccoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, revocate le statuizioni civili, ha confermato agli effetti penali la sentenza con la quale il Tribunale di Roma, il 26/10/2021, aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei delitti di cui all'articolo 81 c.p., comma 1, articolo 589 c.p., comma 1, e L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 17, comma 1. 2. (OMISSIS) era imputato di aver causato per colpa, nell'esercizio della professione medica di ginecologo e di medico di pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS), per imperizia, negligenza e imprudenza e inosservanza di linee guida e buone prassi nella gestione sanitaria della paziente, la morte di (OMISSIS) nonche' l'interruzione della gravidanza con morte fetale endouterina di due feti gemellari in (OMISSIS). In particolare, (OMISSIS), di anni 46, in gravidanza gemellare monocoriale ciamnotica da procreazione medica assistita, affetta da Lupus Eritematoso Sistemico Les, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, sindrome nefrosica, ipoalbuminemia, proteinuria quindi in condizione di gravidanza ad elevato rischio, si era rivolta al medico specialista curante Dott. (OMISSIS) il quale, durante l'accesso della paziente alla DEA dell'Ospedale (OMISSIS), aveva valutato quale medico di pronto soccorso di turno la paziente gia' a lui nota quale medico specialista ginecologo di fiducia; a fronte di edemi agli arti inferiori (annotati in cartella clinica), di referti di analisi di laboratorio che evidenziavano marcata disprotidemia e marcata proteinuria, e a fronte di un considerevole aumento pressorio che, pur diminuito nei due controlli successivi, era rimasto ben oltre i valori di normalita', essendovi elementi per porre il sospetto diagnostico, oltre che di danno renale e quindi un segnale di un danno d'organo LES (nefrite lupica), anche di preeclampsia (patologia caratterizzata da un aumento dei valori pressori associati a perdita di proteine, con evoluzione ingravescente che complica il 5% delle gravidanze mettendo in pericolo la salute del feto e della madre, il legame tra le due condizioni tale che la proteinuria, nelle pazienti affette da nefrite lupica, tendendo ad aggravarsi durante la gravidanza in circa la meta' dei casi e l'ipertensione sviluppandosi e peggiorando in circa un quarto delle donne affette da LES), non aveva prescritto il ricovero della paziente in ambito ospedaliero per proseguire una sorveglianza piu' intensiva e pervenire alla conferma della diagnosi di preeclampsia, a seguito della quale si sarebbero potuti adottare i conseguenti opportuni provvedimenti terapeutici e in particolare valutare l'esigenza, stimato il rapporto rischio-beneficio sul versante neonatale, dell'anticipazione del parto eseguendo parto cesareo, dimettendo invece la paziente alle ore 10:53 del (OMISSIS)con diagnosi di "gravidanza gemellare, proteinuria LES disprotidemia" e con prescrizione di effettuare infusioni di albumina, controlli pressori quotidiani, consulenza nefrologica e continuazione della terapia in corso. Rivalutando, quale medico specialista ginecologo di fiducia della paziente, durante la visita medica ginecologica eseguita privatamente il 27 agosto 2015, la condizione clinica della paziente, la quale si era presentata lamentando edemi agli arti inferiori, cefalea e dispnea, avendo preso visione del referto di analisi ematochimiche da cui emergeva un valore relativo alle proteine urinarie nelle ventiquattr'ore di 15.600 mg e dei rilievi pressori domiciliari che mostravano un progressivo incremento negli ultimi giorni soprattutto della pressione arteriosa sistolica, non aveva posto il sospetto diagnostico di preeclampsia severa e non aveva prescritto l'immediato accesso della paziente in pronto soccorso ospedaliero per valutare l'esigenza dell'anticipazione del parto mediante taglio cesareo. 3. (OMISSIS)propone ricorso per cassazione censurando la sentenza per i seguenti motivi: - mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione sul nesso di causalita' anche in riferimento al comportamento omissivo tenuto dalla paziente di cui all'articolo 125 c.p.p., comma 3. La difesa lamenta che la Corte non avrebbe analizzato il comportamento tenuto dalla signora (OMISSIS)in riferimento all'evento morte dal 18 agosto sino al 28 agosto 2015. Il vizio motivazionale si riscontrerebbe nella ricostruzione del nesso causale in base all'evidenza disponibile di altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, indicati nell'atto di appello; - mancanza di motivazione sulla scelta della linea guida da seguire di cui all'articolo 125 c.p.p., comma 3.Con l'atto di appello la difesa aveva contestato il fatto che il giudice di primo grado non avesse indicato le motivazioni per cui avesse aderito alle linee guida AIPE 2013 pur in presenza di diverse linee guida non omogenee tra loro, ma la Corte ha omesso completamente di confrontarsi con tale motivo di censura; - mancanza di motivazione sulla configurabilita' di profili di negligenza, imprudenza o imperizia incidenti sul corso dell'evento e sul grado della colpa a lui eventualmente ascrivibile di cui all'articolo 125 c.p.p., comma 3. Avendo il giudice ritenuto applicabile la disciplina del c.d. decreto Balduzzi, avrebbe dovuto affrontare la tematica della colpa lieve o grave e avrebbe dovuto specificare chiaramente se si trattasse di colpa per negligenza, imprudenza o imperizia, laddove la Corte territoriale ha omesso di configurare tali profili indicati nell'atto di appello; - mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione sulla causa della morte in riferimento alla "morte improvvisa" di cui all'articolo 192 c.p.p.. La Corte di appello ha aderito alla tesi dei periti ricalcando le motivazioni espresse nella sentenza di primo grado senza confrontarsi con la tesi di "morte improvvisa" prospettata dai consulenti del pubblico ministero e dai consulenti della difesa sul presupposto che all'esame autoptico la paziente avrebbe dovuto, altrimenti, presentare emorragia cerebrale. Le motivazioni della sentenza sono contrarie a quello che e' stato provato documentalmente, posto che la signora (OMISSIS) non si rivolse al pronto soccorso dell'Ospedale (OMISSIS) e non fu rimandata a casa, come asserito a pag. 16 della sentenza, ne ha mai lamentato ad alcun sanitario sintomi di "edemi diffusi, cefalea". Al contrario, dalle risultanze probatorie e' emerso che la signora (OMISSIS) si fosse recata nel pomeriggio presso lo studio privato del Dott. (OMISSIS), il quale aveva prescritto un farmaco per la lieve infezione urinaria e aveva invitato la paziente a recarsi al pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS) in tarda serata, quando sarebbe stato lui di guardia, cosa mai avvenuta per scelta della donna, recepita a pag. 22 della sentenza di primo grado. Anche l'assunto per cui la pressione arteriosa fosse costantemente superiore alla norma contrasta con lo schema dei valori pressori monitorati dalla paziente. Le risultanze probatorie confortavano la tesi dei consulenti del pubblico ministero e della difesa, avvalorata dalla documentazione sanitaria dell'ospedale e dalla testimonianza della madre della donna, secondo la quale la figlia non presentava sintomi che facessero presagire l'evento verificatosi; - mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione sulla causa della morte in riferimento all'esame autoptico di cui all'articolo 192 c.p.p. Secondo la difesa, l'anatomopatologo Dott. (OMISSIS) avrebbe attribuito la morte a ischemia miocardica ascrivibile a eziopatogenesi aritmica, da considerare "morte improvvisa". La Corte territoriale ha, invece, indicato come causa della morte individuata dal Dott. (OMISSIS) l'"edema polmonare massivo", aderendo a quanto espresso dal giudice di primo grado. Nell'atto di appello si era segnalato come un'integrale lettura del verbale redatto dal Dott. (OMISSIS) avrebbe fatto rilevare come fosse indicato il meccanismo fisiopatogenico alla base delle morti improvvise aritmiche ossia il "meccanismo vasospastico protratto" per cui, essendo stato escluso che la causa della morte fosse un picco ipertensivo, non sarebbe stato coerente con tale esito ascrivere la morte alla preeclampsia severa. La motivazione e' contraddittoria perche', da un lato, attribuisce rilievo all'edema polmonare e ai picchi ipertensivi ma, dall'altro, asserisce che tali picchi non vi siano stati; e' altresi' contraddittoria quando assume che la forma di preeclampsia severa sarebbe stata rilevata in sede di esame autoptico, in contrasto con quanto riscontrato dal Dott. (OMISSIS). La Corte ha asserito che il 18 agosto fosse doveroso formulare una diagnosi di preeclampsia e il 27 una diagnosi di preeclampsia severa, mentre in un altro punto della decisione aveva ritenuto corretta la conclusione del primo giudice, il quale in realta' aveva affermato che sin dal 18 agosto si fosse in presenza di preeclampsia severa. 4. All'odierna udienza, previa discussione orale, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilita'. 2. Occorre in via di principio ricordare che il ricorso deve contenere motivi che, a pena d'inammissibilita', indichino in maniera specifica le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. A tal fine e' fondamentale che il motivo di impugnazione si confronti con il contenuto motivazionale della sentenza impugnata. Tale confronto difetta nel caso in esame. 3. La Corte territoriale ha puntualmente replicato alle censure difensive con riguardo all'accertamento della causa della morte di (OMISSIS) e dei due feti gemellari. A pag.12 ha, infatti, spiegato, indicando quali fossero i sintomi che la donna presentava gia' tempo prima del momento dell'instaurarsi dei sintomi terminali, le ragioni per le quali non potesse configurarsi nel caso concreto una morte sopraggiunta inaspettatamente, ossia entro un'ora dall'inizio della sintomatologia acuta, quale si definisce tecnicamente la c.d. morte improvvisa, che colpisce soggetti in pieno benessere o soggetti il cui stato di malattia non faccia prevedere un esito cosi' repentino. I giudici di appello hanno, quindi, esaminato il referto redatto dall'anatomopatologo Dott. (OMISSIS) il 29 agosto 2015 evidenziando che lo specialista aveva ritenuto improbabile la morte cardiaca improvvisa rilevando, per converso, la presenza di "edema e congestione polmonare massiva" la cui causa era da individuare in tutte le alterazioni ematochimiche accertate, in particolare l'albuminuria, la proteinuria, che aveva provocato edemi diffusi, l'ipertensione arteriosa e le difficolta' respiratorie riferite dalla (OMISSIS) al ginecologo di fiducia. Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, i giudici di appello hanno chiaramente preso atto del fatto che la causa della morte non fosse stata un picco ipertensivo ma hanno spiegato, con motivazione non manifestamente illogica, che la tesi difensiva, che aveva attribuito efficacia decisiva all'elemento mancante dell'emorragia cerebrale, non fosse sufficiente a sconfessare l'esito della perizia, che aveva valorizzato l'edema e la congestione polmonare massivi, in relazione ai quali i consulenti di parte non avevano saputo offrire adeguata spiegazione. Alle pagg.14-15 sono state analiticamente esaminate le emergenze istruttorie, non specificamente contestate, costituenti plurimi indici certi e non sottovalutabili dell'insorgenza della malattia sin dal mese di maggio 2015; nonostante tali dati e sintomi (alterazione esami ematochimici, edemi agli arti inferiori e prurito generalizzato, incremento dei valori pressori), in una paziente con gravidanza ad alto rischio, si legge a pag.16, il (OMISSIS) il Dott. (OMISSIS) aveva tranquillizzato la (OMISSIS) anche con riferimento ai dati pressori prescrivendole un farmaco per una lieve infezione urinaria e rimandandola a casa; a cio' si aggiunga che il giudice di primo grado, a pag.22 della sentenza, aveva stigmatizzato la condotta del sanitario che, limitandosi a suggerire alla paziente di recarsi in Pronto Soccorso, aveva di fatto delegato alla donna una scelta che sarebbe spettata al medico curante; l'assunto secondo il quale si sarebbe affermato che la (OMISSIS) si fosse recata in pronto soccorso la sera precedente il decesso e' frutto di una lettura del testo a pag.12 non coerente con il senso logico del testo, secondo il quale la sera precedente il decesso la donna lamentava i medesimi sintomi che l'avevano indotta, il 18 agosto 2015 come pacificamente emerge dalla narrazione dei fatti, a recarsi al pronto soccorso. La sentenza contiene anche l'indicazione dell'intervento salvifico (pag.16) concretato dal ricovero urgente della gestante al fine di monitorare i parametri gravemente alterati e di effettuare con urgenza il parto con taglio cesareo. L'omessa o errata diagnosi costituisce pacificamente un'ipotesi di colpa per imperizia e a pag. 17 della sentenza e' espressamente spiegato per quale ragione il mancato apprezzamento dei plurimi e concomitanti segni-sintomi che evidenziavano in maniera eclatante e non sottovalutabile l'insorgere e il progredire della preeclampsia nella gestante non potesse valutarsi in termini di colpa lieve. 4. Tutto cio' premesso, passando ad esaminare i singoli motivi di ricorso, il primo motivo e' inammissibile. In linea di principio occorre ricordare che e' regola di diligenza professionale del medico fornire informazioni corrette e dettagliate, per prevenire il rischio che il paziente adotti scelte o ponga in essere condotte non congrue in relazione alle sue condizioni di salute (Sez. 4, n. 8464 del 17/02/2022, Masone, in motiv.); la difesa allega l'omessa analisi del comportamento omissivo della paziente, trascurando tuttavia di specificare per.. quale ragione tale comportamento si sarebbe potuto inserire nel processo causale come causa eccezionale idonea ad interrompere il nesso di derivazione dell'evento dalla condotta colposa del sanitario e, in particolare, a trasferire sulla paziente il rischio della scelta terapeutica. Il motivo difetta, per tale ragione, di specificita'. 5. Il secondo motivo e' del tutto aspecifico, in quanto trascura che le linee guida prese in esame sono state indicate dai consulenti di parte e non indica il percorso valutativo di tipo scientifico che linee guida non omogenee a quella presa come riferimento dagli esperti avrebbero portato a percorrere, ne' spiega in base a quali linee guida la condotta del sanitario si sarebbe potuta ritenere appropriata. 6. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato essendo ravvisabile a pag. 16 della sentenza specifica valutazione della gravita' della colpa per imperizia ascrivibile al sanitario. 7. Il quarto motivo di ricorso e' inammissibile. Non corrisponde al tenore del provvedimento impugnato quanto asserito dalla difesa a proposito del fatto che i giudici di merito non si sarebbero confrontati con la tesi della morte improvvisa formulata dai consulenti di parte. Nel motivo di ricorso si tendono a riportare nel giudizio di legittimita' esiti istruttori asseritamente contrastanti con quanto ritenuto accertato nelle conformi sentenze di merito senza, tuttavia, allegare il travisamento della prova e senza, in ogni caso, evidenziare la decisivita' della prova contrastante con quanto ritenuto dimostrato dai giudici di merito. 8. Il quinto motivo di ricorso e' manifestamente infondato, posto che ravvisa la contraddittorieta' motivazionale sulla base di una non chiara valorizzazione del picco ipertensivo, laddove e' evidente che i giudici di merito hanno sposato le conclusioni dei periti facendo riferimento anche all'esito dell'esame dell'anatomopatologo, che aveva escluso l'esistenza di picchi ipertensivi. Il riferimento alla diagnosi di preeclampsia severa "rilevata in sede di esame autoptico", non costituisce elemento di contraddizione nella motivazione, essendo la sintesi di quanto affermato dagli esperti periti anche sulla base degli esiti dell'esame autoptico. Giova ricordare che la contraddittorieta' della motivazione e' vizio interno al percorso giustificativo della decisione e ricorre quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine a uno stesso fatto o a un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o piu' ipotesi formulate dal giudice, conducenti ad esiti diversi, siano state poste a base del suo convincimento (Sez.5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105); deve, dunque, escludersi che il vizio di contraddittorieta' della motivazione possa avere come termini di raffronto la sentenza e i dati istruttori sulla base della loro asserita erronea interpretazione. 9. Giova, infine, evidenziare la non decisivita' dell'argomento svolto nel ricorso a proposito della presenza di preeclampsia severa sin dal 18 agosto 2015, affermata dal giudice di primo grado e corretta dal giudice di appello; in alcun modo tale diversa valutazione sarebbe idonea a destrutturare il discorso giustificativo della decisione secondo il quale, in ogni caso, sin dal mese di maggio 2015, il sanitario avrebbe potuto e dovuto diagnosticare la patologia che ha, poi, condotto a morte la paziente. 10. Alla declaratoria d'inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paola - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/12/2022 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Giovine; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata, la Corte di appello di Napoli confermava la condanna a due anni e nove mesi di reclusione per peculato in quanto, in qualita' di amministratore unico e poi liquidatore di (OMISSIS) s.r.l., gestore dell'attivita' commerciale incaricata da (OMISSIS) s.p,a., concessionaria per la gestione del gioco mediante apparecchi da divertimento e intrattenirnento, avendo per ragione del servizio la disponibilita' di denaro provento dell'attivita' delle macchine da gioco, si appropriava dell'importo, non riversandolo al concessionario che avrebbe dovuto, a sua volta, trasferirlo all'erario. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato (OMISSIS), deducendo: violazione della legge penale processuale per aver il giudice negato la rinnovazione dibattimentale (articolo 603 c.p.p.); nullita' della sentenza in relazione agli articoli 453 c.p.p., ss. nonche' articolo 192 c.p.p." e articolo 546 c.p.p., lettera e), mancanza di motivazione; illogicita' e contraddittorieta' della motivazione; errata applicazione della legge penale sostanziale con riferimento alla qualificazione del fatto come peculato. La Corte di appello, nell'escludere che la prova fosse decisiva, ha negato la rinnovazione dibattimentale ed affermato che nell'atto di appello non erano state esplicitate le ragioni specifiche e gli analitici argomenti in ordine ai quali si chiedeva l'escussione del teste, aggiungendo che questi non soltanto sarebbe stato chiamato a riferire su circostanze successive al fatto, come tali inconferenti, ma si sarebbe anche trovato nelle condizioni di avvalersi della facolta' di non rispondere, potendo rendere dichiarazioni auto-indizianti. In tal modo, tuttavia, i giudici di secondo grado non hanno dato conto dei criteri usati nella valutazione degli elementi probatori. In particolare - sembra affermare il ricorrente - essi avrebbero errato nell'individuazione del momento consumativo del reato. I giudici ritengono, infatti, che le dichiarazioni dell'imputato e le allegazioni difensive non fossero idonee a scalfire la piattaforma probatoria in atti e, in particolare, che il generico riferimento ai problemi di salute del ricorrente non avrebbe privato di rilievo penale la sua condotta, posto che la documentazione prodotta si riferisce ad un periodo diverso da quello in contestazione - che va da (OMISSIS) - e soprattutto perche' non e' stato fornito alcun concreto riscontro allo svolgimento della gestione della (OMISSIS) s.r.l. da parte di altri. Tuttavia, in tal modo, trascurano che la contestazione si riferisce al periodo contabile, mentre il versamento avrebbe dovuto essere effettuato proprio durante la fase acuta della malattia dell'imputato, certificata e documentata. La motivazione appare inoltre illogica perche' vi si ritiene non provata la diversa gestione della societa' dopo che e' stata preclusa, sia in primo, sia in secondo grado, l'ammissione della prova contraria alla luce della piu' che sufficiente documentazione medica depositata. Erronea sarebbe, poi, la qualificazione giuridica del fatto come peculato, operata sulla base del pedissequo richiamo alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, senza motivare sul punto della impossibile coesistenza, in capo al concessionario e, di conseguenza, al gestore, dei ruoli di incaricato di pubblico servizio e di soggetto di imposta. Tale incompatibilita' e' stata, d'altronde, evidenziata dalla stessa giurisprudenza di legittimita' con riguardo al tema dell'omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell'albergatore dove a quest'ultimo, a seguito del c.d. decreto rilancio (decreto L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77), e' stato riconosciuto il ruolo di soggetto destinatario dell'obbligo tributario ("responsabile d'imposta" e nemmeno, dunque, "soggetto passivo di imposta", come nel caso del concessionario della rete telematica del gioco lecito). Si e', cioe', ritenuto che la modifica del rapporto intercorrente tra il gestore della struttura ricettiva e l'ente impositore, abbia inciso anche sulla qualificazione giuridica della condotta del mancato pagamento, che ha, dunque, cessato di essere considerata peculato. Analogamente, anche nella disciplina in materia di gioco telematico, la qualifica tributaria di soggetto passivo dell'imposta e quella pubblicistica di agente contabile incaricato alla riscossione - prosegue il ricorrente - non possono convivere e il fatto non dovrebbe poter essere qualificato come peculato. Si rileva, inoltre, come l'incertezza normativa in capo al ruolo del gestore nonche' la malattia siano state del tutto pretermesse nella motivazione sul dolo. Infine, l'aumento della pena per la continuazione e' stato attuato senza indicare i parametri, cosi' come immotivata e' la quantificazione del danno. 3. La parte civile (OMISSIS) s.p.a. presenta conclusioni scritte in cui chiede la conferma della sentenza di condanna e, successivamente, una nota integrativa in cui replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale. 4. Anche il ricorrente presenta conclusioni scritte con le quali, nell'aderire alle conclusioni del Procuratore Generale, insiste per l'accoglimento del ricorso. 5. Il procedimento e' stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalita' di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, come introdotto dall'articolo 5-duodecies del decreto L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e deve essere, dunque, rigettato. 2.1. Invertendo l'ordine delle deduzioni difensive e muovendo dalla qualificazione giuridica del fatto, le osservazioni del ricorrente appaiono prive di pregio, poiche' contrastano con le conclusioni raggiunte, ancora di recente, da Sez. U, n. 6087 del 24/09/2020, dep. 2021, Rubbo, Rv. 280573, secondo cui "integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell'esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all'articolo 110, sesto e comma 7, TULPS, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del Prelievo Erariale Unico (PREU), non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione" e che, in motivazione, ha precisato che il concessionario riveste la qualifica formale di "agente contabile" ed e' incaricato di pubblico servizio, funzione cui partecipano il gestore e l'esercente essendo loro delegate parte delle attivita' proprie del concessionario. Peraltro, la sentenza impugnata, lungi - come afferma il ricorrente - dal limitarsi a richiamare pedissequamente (peraltro ampi stralc de) la sentenza a Sezioni Unite, mostra di condividerne il contenuto, motivando in modo articolato. In tal senso, ricorda, tra l'altro, la giurisprudenza costituzionale sul concetto di "concessione traslativa" (sent. Corte Cost. n. 56 del 2015 e sulla natura pubblicistica beni tutelati dalla disciplina dell'attivita' di gioco: Decreto Legislativo n. 14 aprile 1948, n. 496); cita i plurimi richiami al monopolio statale nella gestione delle entrate fiscali dall'attivita' in oggetto (Decreto Legge n. 269 del 2003); evidenzia che la convenzione di concessione non consente di cedere la stessa, ma soltanto di avvalersi di soggetti addetti a dati compiti; conclude che il gestore non assume mai il possesso autonomo del denaro, essendo mero detentore nomine alieno dello stesso. Ne' le conclusioni cosi' argomentate sono superabili in virtu' del paragone, proposto dalla difesa, con l'esito interpretativo cui questa Corte e' addivenuta in relazione alla casistica dell'albergatore che trattiene la tassa di soggiorno. Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' ha, infatti, recentemente replicato che il mutamento giurisprudenziale, relativo alla non configurabilita' del delitto di peculato, e' stato indotto dall'innovazione normativa - dallo stesso ricorrente peraltro richiamata - che ha determinato un'integrale riscrittura del procedimento tributario di riscossione dell'imposta, la quale ha determinato per tale soggetto il passaggio dalla qualifica di agente contabile, come tale incaricato del servizio pubblico di riscossione del detto tributo, a mero responsabile di imposta (sez. 6, n. 6947 del 11/01/2023, Iannotta, non mass.). 2.2. Del pari infondate appaiono le eccezioni in punto di dolo. Va premesso che e' inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile "ab origine" per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (tra le tante, sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281; sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Rv. 276745). Cio' detto, appare di tutta evidenza che la circostanza c:he l'imputato fosse affetto da malattia nel periodo certificato non esclude la consapevolezza e la volonta', in capo allo stesso, di ritenere le somme in oggetto, anziche' consegnarle al concessionario secondo le prefissate scadenze temporali, mentre, quanto alla dedotta mancata rappresentazione della qualifica soggettiva, l:ale consapevolezza non sarebbe nemmeno necessaria, potendo in tal caso operare l'articolo 117 c.p., sul c.d. mutamento del titolo di reato (da appropriazione indebita in peculato). Nessun vizio e' ravvisabile dunque nella motivazione per non aver espressamente replicato alle deduzioni sull'elemento soggettivo del reato. 2.3. Venendo, dunque, alla denegata rinnovazione dibattimentale e, in particolare, alla mancata escussione del teste (OMISSIS), va in premessa ricordato che, nel caso di specie, non si trattava di prova sopravvenuta bensi' semplicemente "nuova" (articolo 603 c.p.p., comma 1). Di conseguenza, la rinnovazione dibattimentale avrebbe dovuto essere disposta soltanto la' dove la prova da acquisire fosse stata ritenuta dai giudici decisiva. Cio' precisato, il ricorrente, quando replica all'argomentazione della Corte d'appello - in particolare dove esclude tale decisivita' ed afferma che il teste avrebbe dovuto deporre su circostanze inconferenti, in quanto concernenti un impedimento per malattia del 2017, a fronte di condotte che riguardavano i precedenti periodo di imposta (2015 e 2016) -, sembra affermare che i versamenti relativi ai periodi contabili 2015/2016, sarebbero dovuti avvenire proprio nell'anno in cui l'imputato era documentatamente malato. Ebbene, dalle sentenze di primo e secondo grado (che, trattandosi di c.d. "doppia conforme", si integrano a formare un unico corpo decisionale: ex multis, sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) si desume che: l'imputato ha dichiarato in giudizio di aver avuto, negli anni 2015, 2016 e 2017, problemi cardiaci (fibrillazione atriale) che gli hanno impedito di svolgere l'attivita'; la difesa aveva prodotto documentazione (nella specie, copia della cartella clinica dell'Asl di Napoli) che attestava dal (OMISSIS) al (OMISSIS) una ischemia cerebrale transitoria non specificata; l'imputato aveva precisato che, durante la sua assenza per problemi di salute, la gestione della societa' era affidata, di fatto, ad (OMISSIS). Se e' cosi', in modo logico - e dunque insindacabile da questa Corte - i giudici del Tribunale e quelli della Corte d'appello hanno ritenuto (tra le altre cose) che le dichiarazioni dell'imputato e le allegazioni difensive non fossero in grado di scalfire la piattaforma probatoria in atti, atteso che il "generico riferimento ai problemi di salute del (OMISSIS), non scrimina la sua condotta, perche' la documentazione prodotta si riferisce ad un periodo diverso da quello in contestazione". Sul punto, e' appena il caso di precisare, infatti, che i termini per i versamenti al concessionario da parte del gestore sono plurimi e tra loro piuttosto ravvicinati (due scadenze al mese), sicche' la certificazione di un impedimento per 10 giorni nel luglio del 2017 appare, in effetti, irrilevante rispetto al contesto temporale degli inadempimenti. Ne' le asserite saltuarie gestioni di fatto di (OMISSIS), (nel 2015 e 2016) avrebbero comunque esonerato l'imputato dall'obbligo di effettuare i versamenti dovuti e, per contro, totalmente omessi per un periodo di tempo apprezzabile (due anni), rivelandosi, quindi, anch'esse irrilevanti rispetto all'accertamento di responsabilita' dell'imputato 2.4. Non e' valutabile, infine, il ricorso nella parte in cui si eccepisce l'omessa motivazione in tema di continuazione dei reati, non essendo stata tale deduzione devoluta in appello. 3. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) s.p.a., liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, (OMISSIS) s.p.a., che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. BELMONTE T. Maria - Consigliere Dott. ROMANO Michele - rel. Consigliere Dott. MOROSINI E.Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 17/06/2022 della Corte di appello di Torino; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Michele Romano; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giovanni Di Leo, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del 14 dicembre 2018 del Tribunale di Torino che, per quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS), per un delitto di furto pluriaggravato in abitazione (capo A) e del solo (OMISSIS) per altri due reati di furto pluriaggravato in abitazione (capi B e C) e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e, quanto a (OMISSIS), anche alla recidiva reiterata specifica infraquinquennale e ritenuta la continuazione tra i reati, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia. In particolare, la Corte di appello ha prosciolto (OMISSIS), dall'imputazione a lui ascritta al capo A), confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all'affermazione di penale responsabilita' per il delitto di cui al capo A), la mancanza di motivazione sulla attendibilita' del proprio riconoscimento ad opera del teste (OMISSIS). Segnala il ricorrente che la Corte di appello ha prosciolto (OMISSIS), dalla medesima imputazione ritenendo inattendibile il riconoscimento operato dal teste, ma ha omesso di indicare le ragioni per le quali il teste, pur ritenuto inattendibile in relazione all'individuazione del (OMISSIS), quale autore del furto, dovrebbe essere credibile quanto alla individuazione di (OMISSIS). Si aggiunge nel ricorso che, peraltro, il teste, al momento del furto, aveva potuto osservare il soggetto da lui successivamente individuato in fotografia quale (OMISSIS), ad una distanza tra i trenta ed i quaranta metri ed anche (OMISSIS), era posto alla stessa distanza, ma portava un cappellino che ne copriva il volto. Il giudizio di inattendibilita' dell'individuazione relativa acl (OMISSIS), doveva condurre ad identico giudizio quanto al ricorrente. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, in relazione al furto di cui al capo B), dell'omessa ed illogica motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilita'. Quanto al delitto di cui al capo B), la Corte di appello si era limitata a confermare le argomentazioni del Tribunale. Il Tribunale, tuttavia, aveva affermato che la teste (OMISSIS) aveva, a seguito di contestazione del Pubblico ministero, confermato le dichiarazioni predibattimentali con le quali aveva individuato in fotografia l'imputato dichiarandosi certa al 100% del suo riconoscimento. In realta', sostiene, il ricorrente, il ricorrente aveva travisato le dichiarazioni dibattimentali della teste, che non aveva confermato le sue dichiarazioni, ma le aveva smentite, affermando di non averlo riconosciuto con una certezza del 100%, o comunque non era stata in grado di confermarle. A dimostrazione del suo assunto, il ricorrente riporta stralci delle dichiarazioni dibattimentali della testimone. Sostiene il ricorrente anche che le dichiarazioni risultano illogiche, perche' l'individuazione era avvenuta a distanza di nove giorni dal furto, cosicche' non poteva affermarsi, come aveva fatto il Tribunale, che il ricordo fosse ancora "fresco". 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, in relazione al furto di cui al capo C), dell'omessa ed illogica motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilita'. Sostiene che anche in relazione all'imputazione di cui al capo C) il Tribunale ha travisato la prova. Mentre nella motivazione della sentenza di primo grado si afferma che le due vittime, (OMISSIS) e (OMISSIS), avrebbero proceduto ad un'individuazione fotografica poi confermata in dibattimento, integralmente da Giuseppe (OMISSIS) e, sia pure con qualche perplessita', da (OMISSIS), dal verbale dell'udienza dibattimentale del (OMISSIS), risulta che, invece, i due testi non hanno confermato le loro dichiarazioni predibattimentali; in mancanza del travisamento, l'esito della decisione sarebbe stato diverso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il secondo motivo di ricorso e' inammissibile. Questa Corte di cassazione ha piu' volte affermato che, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e' inammissibile ex articolo 606 c.p.p., comma 3, il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiche' in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del devolutum ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimita' (ex multis, Sez. 6, n. 2101.5 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665). Deve, allora, osservarsi che con l'atto di appello l'odierno ricorrente non aveva denunciato il travisamento della deposizione della teste (OMISSIS), ma solo l'inattendibilita' della individuazione fotografica dalla stessa operata, in quanto avvenuta nove giorni dopo il fatto. In particolare, non ha contestato che la teste avesse confermato le sue dichiarazioni predibattimentali o che in sede di indagini avesse dichiarato di averlo identificato con assoluta certezza. Ne consegue, in applicazione del principio sopra esposto, l'inammissibilita' del motivo di impugnazione. 2. Il terzo motivo e' inammissibile per difetto della autosufficienza. Il ricorrente non indica e non allega i verbali dai quali dcvrebbe risultare il travisamento. E' inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Sez, 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723); siffatta interpretazione va mantenuta ferma anche dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 luglio 1989, n. 271, articolo 165-bis, comma 2, inserito dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, articolo 7, secondo il cui disposto, in caso di ricorso per cassazione, copia degli atti especificamente indicati da chi ha proposto l'impugnazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1 lettera e) del codice", e' inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso, prevedendosi che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione; sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l'onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non puo' essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l'interpretazione del ricorso (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432). 3. E', invece, fondato il primo motivo di ricorso. Con il primo motivo di appello l'odierno ricorrente ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto attendibile la sua individuazione fotografica operata da (OMISSIS), che da una distanza di alcune decine di metri aveva assistito alla condotta delittuosa. A tale proposto l'imputato non si era limitato ad evidenziare la poca conoscenza della lingua italiana da parte del dichiarante e la incertezza delle sue dichiarazioni dibattirnentali, ma aveva evidenziato che il riconoscimento non era attendibile sia per la distanza dalla quale aveva visto i due autori del delitto, sia perche', secondo quanto da lui dichiarato, l'uomo identificato nell'odierno ricorrente portava in tale occasione un cappello che ne copriva la fronte. La Corte di appello ha prosciolto il coimputato (OMISSIS), dall'imputazione di avere partecipato al furto contestato al capo A). La ragione del proscioglimento risiede nella inattendibilita' del riconoscimento, essendo state dalla polizia giudiziaria mostrate a (OMISSIS), per il riconoscimento alcune fotografie che ritraevano (OMISSIS), quando lo stesso ancora presentava un grosso neo sul volto che, invece, era stato rimosso chirurgicamente prima della commissione del furto, come risultava dalla cartella clinica prodotta dalla difesa del (OMISSIS). La Corte di appello, tuttavia, non fornisce risposta ai rilievi formulati dall'odierno ricorrente con l'atto di appello in ordine alla attendibilita' della sua individuazione da parte del teste, limitandosi ad affermare che doveva "ritenersi certo l'esito del riconoscimento di (OMISSIS), come correttamente ritenuto dall'organo giudicante, potendosi richiamare al riguardo anche la articolata e condivisibile ricostruzione in punto di diritto della valenza probatoria del riconoscimento informale". Trattasi di motivazione apparente, inidonea a chiarire le ragioni del superamento delle censure del ricorrente volte a sostenere l'inattendibilita' del riconoscimento, non potendo valere a tal fine il mero richiamo della motivazione della decisione di primo grado ed ancor meno le osservazioni in punto di diritto ivi formulate, non potendo esse giustificare la ritenuta attendibilita' in concreto della individuazione operata dal teste. Questa Corte di cassazione ha reiteratamente affermato che manca di motivazione la sentenza d'appello che - nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante - si limiti a riprodurre la decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione in termini apodittici e stereotipati, senza dare conto degli specifici motivi d'impugnazione e senza argomentare sull'inconsistenza o non pertinenza degli stessi (vedi Sez. 6, n. 12148 del 12/02/2009, Giustino, Rv. 242811, che richiama ulteriori precedenti). In tal caso non puo' parlarsi di motivazione per relationern, bensi' di elusione dell'obbligo di motivare, previsto a pena di nullita' dall'articolo 125 c.p.p., comma 3, e direttamente imposto dall'articolo 111, Cost., comma 6. Peraltro, nel caso di specie una specifica motivazione sul punto era resa ancor piu' necessaria dalla accertata inattendibilita' dell'individuazione del coimputato, che imponeva di precisare perche', sebbene questa risultasse smentita dalla documentazione sanitaria prodotta, dovesse comunque ritenersi attendibile la individuazione di (OMISSIS). 4. Concludendo, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui al capo A), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Torino. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) cori rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CAPUTO Angelo - Presidente Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 15/06/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MATILDE BRANCACCIO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale Dott. PERLA LORI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, emessa dal Tribunale di Milano in data 7.4.2021, con cui (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di un anno di reclusione, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile ed al pagamento di una provvisionale alle persone offese, in relazione al reato di atti persecutori, commesso ai danni di due vicini di casa, (OMISSIS) e (OMISSIS), nel periodo da (OMISSIS). L'imputato e' accusato di aver minacciato gravemente e molestato le vittime, con lettere minatorie, intemperanze verbali e fisiche all'indirizzo della porta della loro abitazione ed altre angherie, mosso dalla pretesa di interrompere il disturbo alla quiete che, a suo dire, le persone offese gli arrecavano; determinava, cosi', in queste ultime, l'insorgere di un grave stato d'ansia e timore. 2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo motivi distinti. 2.1. Il primo argomento di censura denuncia vizio di motivazione manifestamente illogica in relazione all'affermazione della sua responsabilita' per il reato ed all'errata valutazione degli elementi di prova. In particolare, si eccepisce la violazione delle regole processuali relative alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, con la mancata perizia sulla personalita' del ricorrente e della persona offesa (OMISSIS), gia' in cura per stati d'ansia e depressione sin dall'eta' di 15 anni (si lamenta, altresi', la mancata acquisizione della cartella clinica di costei e di documentazione afferente all'imputato, tra cui le denunce sporte, a sua volta, contro le vittime): quest'ultima attivita' istruttoria era necessaria al fine di valutare la credibilita' della vittima del reato. Si eccepisce, altresi', la mancata regolare effettuazione dell'interrogatorio del ricorrente nel corso delle indagini preliminari, con ricadute di nullita' sul decreto che ha disposto il giudizio; il mancato rinvio del processo, in due udienze, nonostante un legittimo impedimento del difensore per concomitante impegno professionale; l'erronea ricostruzione in fatto della vicenda, rispetto agli elementi di prova: si ripercorre la narrazione dei fatti, nella prospettiva difensiva, contestando ciascuna delle porzioni specifiche di condotte vessatorie contestate al ricorrente, la cui tesi, in sintesi, e' che egli abbia solo rivendicato il suo diritto alla quiete condominiale, violata dai comportamenti dei vicini di casa, abitanti nell'appartamento posto al piano superiore. Si lamentano ancora comportamenti "di parte" dei carabinieri ai quali l'imputato si rivolgeva per denunciare le vittime, che piu' volte gli avrebbero consigliato di non procedere; la mancata acquisizione in appello della consulenza medica psichiatrica sulle condizioni di salute mentale dell'imputato, stilata da un'esperta nominata da lui stesso, per fugare dubbi sulla sua personalita'; l'erronea valutazione delle dichiarazioni dei testimoni sentiti nel processo, che si ripercorrono nei loro contenuti, e di quelle dell'imputato, decontestualizzate e "manipolate" dal pubblico ministero e dal giudice di primo grado, nel corso dell'esame. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del negativo comportamento processuale del ricorrente e l'erronea statuizione sul risarcimento. 2.3. La terza censura, infine, attinge la qualificazione giuridica dei fatti, eccependo la mancanza di prova degli eventi del delitto di staiking e del dolo del reato nel ricorrente. 3. Il PG Perla Lori ha depositato requisitoria scritta con cui chiede l'inammissibilita' del ricorso. 3.1. La difesa della parte civile (OMISSIS), ammessa al gratuito patrocinio, ha depositato conclusioni nel senso dell'inammissibilita' del ricorso, chiedendo la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute nel giudizio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. Gli argomenti difensivi si muovono su linee di eccezioni afflitte da manifesta infondatezza delle questioni processuali dedotte, affastellate genericamente nel tentativo di individuare una qualche nullita', invece insussistente, e da pedissequa riproposizione delle ragioni di appello, volta a destrutturare la prova attraverso una mera, apodittica prospettazione alternativa dei fatti. Ed e' noto, invece, che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi concreti posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). 2. I motivi dedicati ad eccepire presunte nullita' processuali sono inammissibili perche' manifestamente infondati e soprattutto generici, esplorativi, aspecifici in quanto privi di confronto con la sentenza impugnata, che motiva quanto alla superfluita' della richiesta di perizia sulla personalita' dell'imputato e della parte civile (OMISSIS). In proposito, il richiamo alla sentenza di primo grado appare insuperabile: il Tribunale, infatti, ha dato atto delle condotte ostruzionistiche dell'imputato rispetto al disposto espletamento della perizia psichiatrica, decisa dopo il suo esame in dibattimento; la totale indisponibilita' dell'imputato, una volta accompagnato coattivamente per sottoporsi all'accertamento peritale, non ha consentito di predisporre un elaborato peritale valido sulla sua capacita' di intendere e di volere al momento della commissione dei fatti in contestazione (cfr. pag. 5 della sentenza d'appello, che richiama quella di primo grado). Dunque, una perizia era stata disposta e proprio il comportamento del ricorrente ha fatto si' che essa non si concludesse con una relazione valida: rispetto a tale situazione, il ricorso nulla obietta, si' da alimentare la convinzione della pretestuosita' e superfluita' della richiesta, sfociata nel rigetto dell'istanza istruttoria da parte della Corte d'Appello. In ogni caso, la difesa non ha prospettato al Collegio un solo argomento specifico relativo all'asserito stato di incapacita' di intendere e di volere dell'imputato, che appare, invece, dalle ricostruzioni delle sentenze di merito, una persona intollerante delle regole relative alla convivenza sociale. Del tutto generico anche il motivo sulla necessita' di disporre una perizia psichiatrica della persona offesa (OMISSIS) e di acquisire documentazione medica afferente allo stato psichico di costei: la credibilita' ed attendibilita' della vittima del reato - cosi' come del marito, altra persona offesa - e' stata adeguatamente vagliata e il motivo proposto dalla difesa e' meramente esplorativo ed ipotetico su eventuali deficit psichici. La nullita' denunciata, poi, come derivante dall'omesso interrogatorio dell'imputato, cosi' come il complesso di nullita' che sarebbero scaturite dal mancato accoglimento di istanze di rinvio proposte dal difensore del ricorrente durante il giudizio di primo grado, sono formulate con ragioni anch'esse del tutto generiche, nelle quali non si da' atto di argomenti idonei a superare le risposte dei giudici di merito che, sin dal primo grado, hanno chiarito come non vi fosse prova in atti dell'omesso interrogatorio e che era stato fatto di tutto per rintracciare il ricorrente all'indirizzo dichiarato, ove era, invece, irreperibile; quanto al mancato rinvio per legittimo impedimento, anche sotto tale profilo il ricorso non indica neppure i motivi in base ai quali il Tribunale abbia errato nel determinarsi - in un caso soltanto, peraltro, come emerge dallo stesso ricorso - a non accogliere l'istanza difensiva di doppio impegno professionale. 2.1. Le restanti censure di merito sono inammissibili in quanto finalizzate ad una rilettura degli elementi probatori non consentita in sede di legittimita', poiche' la Cassazione, come si e' gia' chiarito, si muove entro un orizzonte conoscitivo preciso e ben delimitato, diretto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo del provvedimento impugnato, potendo ritenersi inadeguato, con conseguenze di annullamento, soltanto quell'impianto motivazionale che sia afflitto da manifesta illogicita' (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965). La Corte territoriale, con motivazione non illogica ed anzi esauriente, ha affermato l'attendibilita' delle dichiarazioni delle parti civili, con rigoroso vaglio, corrispondente alle richieste della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte, Rv. 253214); le vittime hanno descritto le condotte moleste ripetute ed insostenibili, costrette a sopportare dal ricorrente, evidenziando cosi' gli eventi del reato, alternativamente previsti dall'articolo 612-bis c.p., con specifico riferimento al timore per la propria incolumita' ed al mutamento delle proprie abitudini di vita. A loro conferma, peraltro, una serie di macroscopici, ulteriori elementi di prova, prime tra tutte testimonianze di terze persone (altri vicini di casa, l'amministratore del condominio e gli operanti della polizia giudiziaria, nonche' il medico che ha avuto in cura la vittima (OMISSIS) per le conseguenze psicologiche degli atti persecutori), che hanno smentito la versione difensiva, nuovamente riproposta con il ricorso. 3. Alla declaratoria d'inammissibilita' del ricorso segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche', ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita' (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. 3.1. Non si possono liquidare le spese processuali sostenute dalla parte civile per il presente giudizio, perche' essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d'inammissibilita' del ricorso, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (cfr. Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886, in motivazione, con relativi richiami giurisprudenziali). 3.2. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla sulle spese della parte civile. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. NOCERA Andrea - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/06/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO; Lette le conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato Decreto Legge n. 228 del 2021, ex articolo 16 conv. con modif. dalla L. n. 15 del 2022 e successivamente il Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ex articolo 94, comma 2, come sostituito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, articolo 5-duodecies, di conversione in legge del Decreto Legge n. 162 del 2022), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. COCOMELLO Assunta, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata e del difensore del ricorrente Avv. (OMISSIS) che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Palermo, pronunciando sul gravame nel merito proposto odierno ricorrente (OMISSIS), con sentenza del 11/6/2021 ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, il 26/6/2020, all'esito di giudizio ordinario, lo ha condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, per il reato di cui al capo a) alla pena di mesi 6 di reclusione, con pena sospesa, e ha dichiarato non doversi procedere quello di cui al capo b) per estinzione del reato per intervenuta prescrizione. L'imputato era tratto in giudizio per i seguenti reati: a) articolo 589 c.p., comma 2, per avere cagionato la morte di (OMISSIS), in quanto pur essendo in grado di avvedersi della manovra errata posta in atto da (OMISSIS), non procedeva a ridurre la velocita' e arrestare il proprio veicolo a causa dell'elevata velocita' certamente superiore ai 70 km/h in una zona in cui vigevano i limiti di velocita'. Nello specifico perche', trovandosi sulla strada statale (OMISSIS), al km 281,300, alla guida nella propria vettura Fiat 600 targata (OMISSIS), collideva con il veicolo Fiat Brava targata (OMISSIS), condotto da (OMISSIS), che si accingeva ad effettuare manovra di inversione a U. La condotta inadeguata ed imprudente del (OMISSIS), che procedeva ad elevata velocita', in violazione dei limiti ivi previsti, provocava un violento impatto ad esito del quale il predetto (OMISSIS) si procurava conseguenti gravissime lesioni dalle quali ne derivava il decesso. Cio' faceva in violazione degli articoli 140 e 142 C.d.S.. In (OMISSIS). b) articolo 186 C.d.S., lettera c, n. 2, n. 2 bis, n. 6, per avere guidato in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche. Nello specifico per avere condotto l'autovettura Fiat 600 di proprieta' di (OMISSIS) in stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool con cio' provocando l'incidente a seguito del quale perdeva la vita il signor (OMISSIS). In (OMISSIS). 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS) deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo il ricorrente lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' e inutilizzabilita' dell'alcooltest per mancato avviso della possibilita' di farsi assistere da un difensore. Ci si duole che l'imputato sia stato sottoposto ad alcoltest, esclusivamente su richiesta della P.G. come riportato nella cartella clinica, senza il preventivo avviso della facolta' di farsi assistere da un avvocato. Tale circostanza accertata in dibattimento, in quanto riconosciuta dallo stesso agente di P.G., e' stata ritenuta irrilevante dai giudici di merito. La nullita' che determina l'inutilizzabilita' del referto del test -si evidenzia- e' stata tempestivamente eccepita nel corso del giudizio di primo grado. Pertanto, entrambi i giudici di merito sono incorsi nell'errore di ritenerne l'utilizzabilita'. Con il secondo motivo ci si duole di vizio di motivazione laddove la corte d'appello ha ravvisato la colpa dell'imputato per il reato sub a) nel non aver ridotto la velocita' ulteriormente in considerazione dello stato dei luoghi. Il ricorrente descrive il tratto di strada e le modalita' del sinistro, cosi' come accertate dal consulente del p.m., per evidenziare l'illogicita' della motivazione dell'impugnata sentenza. In particolare, si lamenta l'errato ragionamento che avrebbe condotto la Corte distrettuale ad attribuire un'elevata pericolosita' al tratto stradale e a ritenere irrilevante il rispetto del limite di velocita' da parte dell'imputato. Si contesta la deduzione relativa alla presenza di numerose intersezioni lungo la strada, ribadendo che si trattava di un'ampia strada rettilinea a due corsie costeggiata sulla destra da un'ampia banchina. In realta' le citate intersezioni non erano strade, ma accessi alle attivita' commerciali poste lungo la strada e chiuse nell'orario dell'incidente. Tra l'altro il consulente considerava la presenza delle intersezioni solo per individuare correttamente il limite di velocita', che sebbene rinvenuto in 50 km/h per una zona particolarmente trafficata, a circa 2 km di distanza dal luogo dell'incidente, veniva escluso per tutta la strada proprio per la presenza delle intersezioni e la mancanza di segnaletica in corrispondenza delle stesse. Pertanto, il limite di velocita' veniva individuato in 90 km/h, mentre il teste (OMISSIS), agente di polizia municipale, precisava la presenza di tre o quattro intersezioni per una strada lunga circa 2 km. Di conseguenza secondo il ricorrente puo' dirsi raggiunta la prova contraria rispetto a quanto ritenuto nell'impugnata sentenza e non puo' ritenersi imprudente la condotta dell'imputato che teneva una velocita' di circa 20 km/h inferiore al limite. Errato viene ritenuto l'aver ancorato l'elemento soggettivo della colpa alla presenza di numerosi esercizi commerciali e siti industriali dal momento che all'ora dell'incidente tali attivita' erano chiuse. Sostanzialmente, si aggiunge, la Corte di appello non avrebbe considerato l'effettivo stato dei luoghi, mentre e' emerso nel giudizio che al momento del sinistro non vi fosse alcun traffico proprio perche' le attivita' commerciali erano chiuse da tempo. L'eccesso di velocita' di cui all'articolo 141 C.d.S. e' fondato su dati fattuali inesistenti e considerazioni slegate dagli elementi di prova emersi. Si contesta, poi, la rilevanza attribuita alla dichiarazione dell'imputato di aver bevuto un cocktail qualche ora prima. Tale dichiarazione, resa in un contesto piu' ampio, non consentirebbe certamente di ricavare l'esito positivo di un alcoltest o una condizione di alterazione delle capacita' sensoriali. Pertanto, conclude il ricorrente, nessuna colpa puo' essere attribuita all'imputato, sussistendo la prova che viaggiasse a una velocita' molto inferiore al limite di legge e tenuto conto dello stato dei luoghi. Ne' puo' ritenersi la violazione di norme di prudenza dal momento che la manovra di "inversione a U" eseguita dal conducente dell'altra auto si e' posta come elemento imprevedibile e inevitabile, tale da interrompere ogni nesso causale, tenuto conto tra l'altro che l'imputato ha posto in essere le manovre di emergenza rese vane dall'altro conducente che non ha mai arrestato il proprio veicolo. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione nella parte in cui la corte di appello ha ritenuto la causalita' della colpa. Si lamenta il malgoverno dei principi che regolano la responsabilita' colposa. Sostanzialmente, secondo il ricorrente, l'impugnata sentenza non avrebbe indicato quale era la condotta alternativa richiesta, limitandosi ad affermare che l'imputato avesse dovuto tenere una velocita' piu' moderata. In realta' non viene chiarito quale doveva essere tale velocita', tenuto conto del fatto che il (OMISSIS) teneva una velocita' di 70 km/h su un'ampia strada che prevedeva un limite di 90. E non viene tenuto conto che la manovra di "inversione a U" era certamente imprevedibile. Si evidenzia in ricorso che gli elementi valutati al fine di affermare la responsabilita' dell'imputato, peraltro non condivisibile, non si pongono in correlazione con il sinistro in quanto l'altra autovettura non proveniva da un'intersezione presente sulla strada. Viaggiava piuttosto nella stessa direzione, spostandosi sull'area di sosta per poi avviare improvvisamente un'inversione. Il consulente ha dato atto che l'imputato compiva una lunga frenata spostandosi sulla sinistra, senza che l'altro conducente arrestasse la marcia, rendendo cosi' inevitabile l'impatto e vanificando il tentativo dell'imputato di evitare l'impatto. Chiede, pertanto, annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata perche' l'imputato non ha commesso il fatto o perche' il fatto non costituisce reato; in via subordinata con rinvio. Le parti hanno reso conclusioni scritte come riportato in epigrafe in epigrafe. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati afferenti all'affermazione di responsabilita' per il reato di omicidio colposo di cui al capo a) dell'imputazione sono fondati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente a tale reato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Palermo, altra Sezione. La prima doglianza, riguardante il reato di cui al capo b), per il quale sin dal primo grado e' stata dichiarata l'improcedibilita' in ragione dell'intervenuta prescrizione, e', invece, infondata, e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato nel resto. 2. Dunque, i vizi motivazionali lamentati con il secondo e terzo motivo di ricorso in relazione alla condanna per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale di cui al capo a, sono fondati. Va evidenziato che, in concreto, non siamo di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilita'. Cio' perche' il giudice di primo grado fonda quest'ultima su due aspetti, quali la violazione del limite di velocita' vigente nel tratto di strada in questione (sul presupposto che questo fosse di 50 kmh e che l'imputato viaggiasse a 70 kmh) e l'influenza del fatto che guidava sotto l'effetto dell'alcool, che non trovano poi spazio, come si illustrera' dettagliatamente a seguire, nella scarna motivazione del giudice di appello. Come ricorda il giudice di primo grado, i fatti sono stati ricostruiti attraverso le deposizioni rese dai testimoni escussi (e, in particolare, di (OMISSIS), all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Villagrazia di Carini ed autore del rilevamento tecnico descrittivo del sinistro stradale, di (OMISSIS), ispettore capo all'epoca dei fatti in servizio presso il Corpo di Polizia Municipale di Carini e di (OMISSIS), consulente tecnico incaricato dal PM.), oltre che dalla documentazione acquisita (e, in particolare, dai rilievi tecnico-descrittivi operati nell'immediatezza dei fatti e comprensivi di rilievi fotografici relativi allo stato dei luoghi ed alle condizioni dei due autoveicoli coinvolti), consentono di operare una attendibile ricostruzione delle modalita' di verificazione del sinistro stradale descritto nel capo di imputazione nei termini infra precisati. Si e' appurato, cosi', che il (OMISSIS), alle ore 21.30 circa, si verificava in localita' (OMISSIS), all'altezza del km 281+300, un sinistro stradale in cui restavano coinvolte un'autovettura Fiat "600", targata (OMISSIS) e condotta dall'imputato (OMISSIS) e un'autovettura Fiat "Bravo", targata (OMISSIS) e condotta da (OMISSIS). In conseguenza del sinistro, quest'ultimo riportava lesioni che, una volta portato in ospedale, ne determinavano la morte. Anche l'odierno ricorrente veniva condotto in ospedale per ricevere le necessarie cure e cola' veniva effettuato nei suoi confronti esame per la rilevazione del tasso alcolemico nel sangue dal quale emergeva il risultato di 114 mg/dl. Il tribunale, attraverso la disamina dei rilievi operati sui luoghi e sulle autovetture (cfr. pagg. 4-5 della sentenza di primo grado) perveniva alla, conclusione che (OMISSIS) al momento dell'impatto, era impegnato nell'esecuzione di una manovra di inversione di marcia "a U" -che pure era consentita in quanto la striscia di mezzeria era discontinua- per portarsi in direzione di Trapani e si trovava ad occupare trasversalmente, con la propria vettura, la corsia di sua pertinenza. E che l'auto condotta da (OMISSIS) si muoveva ad una velocita' di "circa 20 km/h". La vettura condotta dall'odierno ricorrente, che sopraggiungeva lunga la medesima corsia di marcia in direzione Palermo di quella condotta da (OMISSIS) e ando' ad impattargli contro, procedeva ad una velocita' acclarata "non inferiore a 70 km/h" (rilevata, come ricorda il giudice di primo grado, secondo le formule dettagliatamente indicate alle pagine 13 e ss. della relazione a firma del consulente tecnico del P.M.). Il giudice di primo grado -ed e' elemento importante sulla cui valutazione, come si dira', dovra' tornare il giudice del rinvio - dava anche atto che le condizioni del tratto di strada lungo il quale si era verificato il sinistro sono descritte nel rilevamento tecnico effettuato dai Carabinieri (il cui contenuto e' stato integralmente confermato dal brigadiere (OMISSIS), escusso come teste all'udienza del 26 ottobre 2016), da cui si evince che: 1. si trattava di un tratto di strada "rettilineo'; 2. al momento del sinistro il tempo era "sereno"; 3. l'entita' del traffico era "scarsa"; 4. si trattava 4i una strada "asfaltata", "ad unica carreggiata a doppio senso" il cui manto appariva nel frangente "asciutto" e "senza anomalie". La stessa sentenza di primo grado, a pag. 6, offre anche un dato sul limite di velocita' vigente su quel tratto di strada evidenziando che dalla relazione a firma del consulente tecnico del P.M. emerge che la segnaletica orizzontale era costituita "dalla linea di mezzeria a tratto discontinuo e dalla linea bianca in tratto continuo che delimita la sede stradale" e che "secondo la direzione di marcia seguita dalle autovetture coinvolte, a circa 1800 in prima del luogo del sinistro" era presente "un limite di velocita' a 50 km/h, non riproposto tuttavia "dopo le numerose immissioni di strade che si inseriscono sulla (OMISSIS)". Da tale ricostruzione, pertanto, il giudice di primo grado sembrava dare atto che, dunque, nel punto in cui avvenne l'incidente il limite di velocita' di 50 kmh non vi fosse. Le conclusioni che ne vengono tratte, in tema di affermazione di responsabilita', alla fine, pero', saranno diverse. In ogni caso, il tribunale da' atto che la ricostruzione della dinamica del sinistro proposta dai tecnici appare coerente con quanto narrato dallo stesso imputato, che, oltre a dichiarare di essersi trovato all'improvviso davanti l'auto di (OMISSIS), che sembrava stesse fermandosi ed invece aveva effettuato un'inversione ad "U". E aveva anche ammesso di avere fatto uso, circa due ore prima del momento del sinistro, di bevande alcoliche (e, in particolare, di avere "fatto un aperitivo con un amico" e bevuto "forse una vodka fragola e redbull"), aggiungendo tuttavia di avere successivamente "cenato a casa" e di essersi sentito "in grado di mettersi alla guida nonostante avesse bevuto"(pagg. 6-7). La conclusione cui era pervenuto il giudice di primo grado, come si legge in sentenza, era che: "Alla stregua delle emergenze sopra richiamate puo' ritenersi che la causa dell'incidente sia da addebitare, in misura comunque decisiva, alla condotta dell'imputato, connotata: - dalla violazione del limite di velocita' prescritto (da ritenersi corrispondente a 50 km/h anche nello specifico tratto interessato pur in assenza di ulteriore segnaletica verticale che lo ribadisse, non apparendo ragionevolmente predicabile che detto limite, sicuramente stabilito circa 1.800 mt prima del luogo dell'impatto, non dovesse considerarsi valido per il tratto immediatamente successivo, contrassegnato secondo quanto evincibile dalla relazione del consulente tecnico del P.M. dalla presenza di numerose intersezioni stradali e, dunque, da una situazione tale da suggerire al conducente, semmai, una ulteriore moderazione della velocita'); - dalla pregressa assunzione di bevande alcoliche tali da determinare un tasso alcolemico nel sangue significativamente superiore a quello consentito e da presumibilmente ulteriormente pregiudicare la possibilita' di una pronta e tempestiva reazione idonea ad evitare la situazione di pericolo verificatasi per effetto della manovra posta in essere da (OMISSIS)". "Sotto quest'ultimo profilo -aggiungeva ancora il giudice di primo grado- e' indubbio che il tentativo di inversione "a U" operato dalla vittima senza preventivamente avvedersi di eventuali veicoli che sopraggiungevano abbia integrato, a sua volta, gli estremi di una condotta di guida estremamente incauta e suscettibile di determinare un pericolo per la circolazione (avendo la vettura in questione occupato trasversalmente la sede stradale in guisa da costituire un insormontabile, ostacolo per gli altri veicoli che procedevano lungo la stessa corsia di marcia). Cio' nondimeno, tratta vasi di manovra comunque astrattamente consentita, in considerazione del carattere discontinuo della linea di mezzeria che separava le due corsie di marcia dell'unica carreggiata (seppur, naturalmente, previa adozione delle necessarie ed opportune cautele prescritte dal Codice della Strada); ne' vi e' prova alcuna - al di la' delle affermazioni in tal senso rese dall'imputato in sede di esame - che la stessa sia stata eseguita in modo assolutamente repentino. Pertanto detta manovra non puo' considerarsi alla stregua di un fattore anomalo, eccezionale ed atipico idoneo ad interrompere il legame di imputazione tra l'impatto e l'azione di (OMISSIS). In particolare, tenuto conto delle condizioni del tratto stradale al momento del fatto (rettilineo e connotato da un manto asciutto ed in buone condizioni, nonche' dall'assenza di elementi suscettibili di ostacolare la visuale dell'imputato) e della pure rilevata adeguata efficienza dell'impianto frenante dell'autovettura condotta da (OMISSIS) (sul punto cfr. p. 6 della relazione a firma del consulente tecnico del PM), deve ritenersi che l'imputato medesimo avrebbe potuto, versando in condizioni psico-fisiche non alterate dal pregresso abuso di sostanze alcoliche e tali da consentirgli ordinari tempi di reazione, nonche' rispettando il limite di velocita' prescritto ed in ogni caso moderando la propria velocita' ed adeguandola alle condizioni dei luoghi, contrassegnati dalla presenza in successione di piu' intersezioni stradali - avvedersi per tempo della situazione di pericolo venutasi a creare ed arrestare la propria marcia ovvero adottare una manovra evasiva idonea ad evitare l'impatto. Del resto, sebbene lo stesso imputato abbia dichiarato di avere comunque visto l'autovettura condotta dalla vittima mentre la stessa "accostava" lungo il margine destro della carreggiata sino quasi a fermarsi (poco prima di intraprendere a suo avviso repentinamente, la manovra di inversione "a U" non risulta che egli abbia a sua volta impresso una decelerazione alla andatura del proprio veicolo (come la prudenza avrebbe consigliato, in presenza di un comportamento comunque anomalo dell'altro conducente): andatura rimasta, invece, costantemente al di sopra del limite vigente in quel tratto di strada sino al momento dell'impatto". Dunque, il giudice di primo grado pronuncia una condanna pienamente corrispondente alle norme contestate, in quanto ritiene violate quelle di cui agli articoli 140 e 142 C.d.S. e, in particolare, il limite di velocita' che, nonostante le interruzioni della strada, ritiene che sia comunque da ritenersi "ragionevole" che fosse di 50 kmh anche sul luogo dell'incidente. E conferisce un rilievo importante alla circostanza che l'odierno ricorrente guidasse in stato di ebbrezza che -va rilevato- non compare nell'imputazione di cui al capo a) (cfr. pag. 8 dove si legge che l'imputato "... ha contribuito, con la propria condotta, all'eziologia dell'evento (segnatamente, tamponando violentemente l'autovettura condotta dalla vittima): condotta a sua volta connotata da colpa per violazione delle norme sulla circolazione stradale in punto di osservanza dei limiti di velocita' e di guida in stato di ebbrezza derivante dall'uso di bevande alcoliche"). In ogni caso, il tribunale riconosce il concorso di colpa della persona offesa e che "avuto riguardo alle caratteristiche obiettive delle condotte concorrenti ed al grado di colpa ascrivibile a ciascuno dei conducenti, deve ritenersi che all'apporto causale arrecato dalla condotta posta in essere dall'imputato possa essere attribuito rilievo in misura quantificabile nel 50%" (pag. 9"). Detto di come l'affermazione di responsabilita' in primo grado si fondi sull'affermata violazione del limite di velocita' di 50 kmh non puo' non rilevarsi come, gia' in quella pronuncia faccia capolino la violazione, in ogni caso, dell'articolo 141 C.d.S.. A pag. 9 si legge, infatti, che: "Sussiste, infatti, anche la circostanza aggravante prevista dal comma 2 della norma sopra citata, avendo l'imputato medesimo violato le disposizioni recate dagli articoli 140, 141 e 142 (in punto di regolazione della velocita' di guida) e dall'articolo 186 C.d.S. (in punto di divieto di guida in Stato di ebbrezza derivante dall'uso di bevande alcoliche) cd avendo, con cio', causato il decesso di (OMISSIS))". 3. Orbene, con l'atto di appello del 3/11/2020 a firma dell'Avv. (OMISSIS) la contestazione in punto di penale responsabilita' del proprio assistito da parte del difensore si era concentrata, tra gli altri, su due aspetti: 1. l'insussistenza in quel tratto di strada, alla luce di quanto emerso in sede di relazione tecnica circa la mancanza di segnali in tal senso dopo le intersezioni con le strade, di un limite di velocita' di 50 km/h. E, per contro, la sussistenza del limite di legge, trattandosi di strada extraurbana, di 90 kmh, che dunque l'imputato non aveva violato 2. Le condizioni della strada al momento del sinistro, che era avvenuto di sera, sul rettilineo di una strada perfettamente asfaltata ed illuminata, quando tutti gli esercizi commerciali che erano presenti lungo la strada erano chiusi, per cui alcuno addebito di velocita' eccessiva poteva operarsi all'imputato che viaggiava a 70 km l'ora. 3. L'impossibilita' di tener conto dello stato di ebbrezza dell'imputato, non provato alla luce dell'utilizzabilita' dell'esame cui era stato sottoposto, richiesto dalla PG in assenza di avviso all'imputato che poteva farsi assistere da un difensore. Ebbene, il giudice di secondo grado, nel confutare le doglianze difensive, offre un'insufficiente e criptica risposta, che si concentra nelle sole pagg. 3-4 del provvedimento impugnato. Ed invero, pur confermando l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS), sembra mutare prospettiva rispetto al giudice di primo grado, di fatto accogliendo le tesi proposte dal difensore -o, almeno, cosi' sembra-quanto all'insussistenza sul luogo del sinistro di un limite di velocita' di 50 kmh. E, comunque, fa scomparire dalle proprie considerazioni in punto di responsabilita' per l'omicidio colposo, la riconducibilita' della stessa alla circostanza che l'odierno ricorrente guidasse in stato di ebbrezza. La Corte palermitana, invece, fonda l'affermazione di responsabilita' del ricorrente sulla violazione dell'articolo 141 C.d.S.. E lo fa, dopo aver ricordato il dictum di questa Sez. 4 n. 42097/2021 con un'affermazione tranciante ed al tempo stesso apodittica: "In conclusione, dunque, non puo' concordarsi con la difesa appellante che all'imputazione formulata oppone il rispetto del limite di velocita' su una strada extraurbana secondaria, giacche' si profila evidente che nella situazione data, se l'imputato avesse proceduto piu' lentamente, i suoi tempi di reazione sarebbero migliorati e avrebbero avuto maggiori possibilita' di evitare l'impatto o anche di ridurne l'effetto lesivo" (pag. 3 della sentenza impugnata). Dunque, il giudice del gravame del merito ritiene che l'odierno ricorrente abbia tenuto una velocita' non adeguata alle condizioni di quel tratto di strada in quel particolare momento, glissa sullo stato di ebbrezza alcolica (che ancora alle sole dichiarazioni dell'imputato) e comunque non risponde adeguatamente al motivo di appello sulla causalita' della colpa. 4. Con l'editto accusatorio, come visto in premessa, si era contestato all'imputato di avere violato il limite di velocita' esistente sulla strada in cui e' avvenuto l'incidente (e, dunque, la violazione degli articoli 140 e 142 C.d.S.). Alla conferma della condanna in appello, si perviene, invece, ritenendo che egli abbia violato la norma di cui all'articolo 141 C.d.S. per non avere tenuto, comunque, una velocita' adeguata alle condizioni di tempo e di luogo in cui guidava. Il primo aspetto che occorre indagare, pertanto, e' se tale cambio di prospettiva sia possibile, senza che sia stata da parte del pubblico ministero modificata un'imputazione che non contiene alcun riferimento alla violazione dell'articolo 141 C.d.S. e che, anche in fatto, vede contestata all'imputato una responsabilita' fondata sulla violazione del limite di velocita' e non sull'aver tenuto un comportamento di guida ed una velocita' non adeguate rispetto a quelle condizioni di tempo e di luogo. In realta', il tema e' estraneo al presente giudizio, in quanto il ricorrente non propone alcun motivo di violazione dell'articolo 521 c.p.p., per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Per completezza sistematica, in ogni caso, ritiene il Collegio che vada precisato che, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimita' che e' seguita alle affermazioni della Corte E.D.U. nel caso Drassich contro Italia (Sez. 2 dell'11/12/2007 e Sez. 1 del 24/2/2018, dalla dottrina comunemente indicate come sentenze "Drassich 1" e "Drassich 2") e anche delle sezioni semplici (vedasi in proposito Sez. 4 n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762, alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda), era possibile. Cio' in quanto costituisce, ormai, ius receptum che si avra' violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, secondo quella che e' un'impostazione tutt'altro che formalistica della Corte di Strasburgo fatta propria da questa Corte di legittimita', quando si sia di fronte ad un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novita' che da quel mutamento sono scaturiti (vedasi in proposito Sez. Un. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438, in motivazione). Ed e' stato costantemente affermato che non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimita' (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961; Sez. 2, n. 32840 del 09/05/2012, Damjanovic e altri, Rv. 253267; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 15 19/02/2013, 3ovanovic, Rv. 254649; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - 17/01/2013, Manara, Rv. 254135; Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, Tirenna, Rv. 254357). In tale prospettiva, e' stato percio' ritenuto che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, perche' l'imputato puo' contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (cosi', oltre alla gia' ricordata Sez. 4 n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762, anche Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Salsi, Rv. 259564; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204; Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep.2020, Petittoni, Rv. 278093, che, in motivazione, ha precisato che nel caso affrontato non poteva porsi alcun problema in punto di prevedibilita' e attuazione del contraddittorio, atteso che la diversa qualificazione giuridica, da reato tentato a consumato, era stata sollecitata dal Pubblico Ministero con i motivi di impugnazione). L'agire della Corte palermitana non e' viziato, pertanto, da un punto di vista processuale. Gia' la sentenza di primo grado, e ancor piu' quella di appello, opera legittimamente una puntualizzazione del profilo di colpa, ma non si discosta dall'alveo della contestazione. Va peraltro ricordata, quanto a tale possibilita' in relazione ai profili di colpa, la consolidata ed estensiva giurisprudenza di questa Corte di legittimita' secondo cui nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversita' o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicche' questi e' posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui e' chiamato a rispondere (cfr. Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 4/5/2005, De Bona, Rv. 232427 nell'ambito di un procedimento penale per il reato di omicidio colposo in cui si era addebitato al proprietario dell'immobile, in relazione al decesso dell'inquilino conseguente ad esalazioni di monossido di carbonio provenienti dallo scaldabagno, di non avere adeguato l'impianto alla normativa di sicurezza, mentre era stato condannato per avere dato l'immobile in locazione senza prima avere verificato la funzionalita' dell'impianto a gas; conf. Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005 dep. il 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973 in relazione ad un infortunio sul lavoro in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per mancato rispetto di norme cautelari, laddove la contestazione riguardava plurimi profili di negligenza e di colpa; Sez. 4, n. 31968 del 19/5/2009, Raso, Rv. 245313). Sviluppando tale orientamento si e' ulteriormente precisato, piu' recentemente, che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cosi' Sez. 4, n. 51516 del 21/6/2013, Miniscalco ed altro, Rv. 257902 in relazione ad una fattispecie in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; conf. Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro ed altro, Rv. 260161in un caso in cui e' stata riconosciuta la responsabilita' degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; Sez. 4, n. 18390 del 15/2/2018, Di Landa, Rv. 273265 in una fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, in cui la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione). Ed e' recente l'ulteriore precisazione che, una volta contestata la condotta colposa e ritenuta dal giudice di primo grado la sussistenza di un comportamento commissivo, la qualificazione in appello della condotta medesima anche come colposamente omissiva non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l'imputato abbia avuto la concreta possibilita' di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell'addebito (cosi' Sez. 4, n. 27389 del 8/3/2018, Siani, Rv. 273588 nella cui motivazione la Corte ha precisato che i profili di colpa commissiva per il reato disastro colposo individuati nella sentenza impugnata non potevano considerarsi estranei alla imputazione originaria, in quanto ricompresi nel fatto storico in essa delineato e, soprattutto, rientranti nella colpa generica contestata all'imputato. 5. Ben poteva, dunque, il giudice di appello ritenere fondata la responsabilita' di (OMISSIS) per la violazione della regola cautelare di cui all'articolo 141 C.d.S., ma, come si andra' di qui a poco ad illustrare, trattandosi di una regola cautelare c.d. elastica, aveva degli oneri di motivazione cui non ha adempiuto. L'articolo 140 C.d.S. e articolo 141 C.d.S., commi 1, 2 e 6, prevedono che, all'interno dei limiti di velocita' consentiti, gli automobilisti devono comunque comportarsi in modo da salvaguardare - in ogni modo - la sicurezza stradale e devono modulare la velocita' tenendo conto di ogni circostanza che caratterizza la circolazione in modo da assicurare l'arresto tempestivo del mezzo entro i limiti del campo di visibilita' e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile e tanto piu' in caso di visibilita' limitata, di ore notturne, in prossimita' di intersezioni quando i pedoni che sono sulla strada siano incerti o tarino a scansarsi, o siano incerti, in modo da compiere le manovre utili e necessarie a tutela della vita umana. L'articolo 141 C.d.S., commi 1 e 4, prevede, in particolare che: 1. "e' obbligo del conducente regolare la velocita' dei veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione"; 4. il conducente deve, altresi', ridurre la velocita' e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimita' degli attraversamenti pedonali e, in ogni caso, quando i pedoni che si trovino sul percorso tardino a scansarsi o diano segni di incertezza e quando, al suo avvicinarsi, gli animali che si trovino sulla strada diano segni di spavento". Rispetto a tale previsione, costituisce ius receptum e va qui ribadito che, in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, neanche il rispetto del limite massimo di velocita' consentito (che pare essere il caso che ci occupa) esclude la responsabilita' del conducente qualora la causazione dell'evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall'articolo 141 C.d.S. (cosi' la recente Sez. 4, n. o' 7093 del 27/1/2021, Di Liberto, Rv. 280549 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita' per omicidio colposo, ai danni di un pedone, del conducente che, pur viaggiando a velocita' moderata, aveva omesso, attese le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilita', di tenere una condotta di guida tale da potergli consentire di avvistare per tempo il pedone ed arrestare il mezzo). L'articolo 141 C.d.S., dunque, impone al conducente di un veicolo di regolare la velocita' in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l'arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilita'. In proposito questa Corte di legittimita' ha anche chiarito che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocita', in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresi' conto di eventuali imprudenze altrui, purche' ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, Luciano, Rv. 270176, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all'attraversamento pedonale nonostante l'insistenza "in loco" di apposito sottopassaggio; conf. Sez. 4 n. 42099 del 14/10/2021, Pinzino, non mass.). Pacifico e' anche che la ritenuta violazione del profilo di colpa specifica di cui all'articolo 141 C.d.S. non necessiti che sia individuata la specifica velocita' di marcia, essendo sufficiente che si proceda ad una velocita' non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui il mezzo si trovava a circolare. Dunque nel formulare il proprio apprezzamento sull'eccesso di velocita' relativa - vale a dire su una velocita' non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocita' - il giudice non e' tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocita' ritenuto innocuo, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocita' accertata e' ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (cfr. Sez. 4, n. 8526 del 13/2/2015, De Luca Cardillo, Rv. 262449, in una fattispecie in cui l'imputato aveva mantenuto una velocita' prossima, per difetto, al limite vigente nel tratto stradale interessato dal sinistro, valutata, tuttavia, non adeguata in considerazione della scarsa visibilita' notturna, della prossimita' sia alle strisce pedonali sia all'intersezione con altra strada nonche' della presenza a bordo del motociclo da lui condotto di un passeggero privo di casco). 6. Premessi i sopra ricordati e consolidati principi giuridici di riferimento, va evidenziato, pero', che siamo di fronte ad una regola cautelare c.d. elastica, che si presta piu' di altre a possibili ed errate connotazioni fattuali ex post. In generale, l'accertamento della violazione cautelare - va ricordato- richiede la preliminare identificazione della regola che doveva essere osservata nel caso concreto. Si tratta di un'operazione talvolta agevole, ad esempio quando la regola cautelare e' "codificata" ed ha contenuto sufficientemente determinato (si parla in questo caso di regola cautelare rigida); piu' spesso, invece, la stessa presenta una notevole difficolta', sia perche' quella prescrizione va tratta dal patrimonio di conoscenze formatesi nel corpo sociale attraverso l'uso dei criteri euristici della prevedibilita' e dell'evitabilita' dell'evento pregiudizievole, sia perche' non di rado - quasi sempre - la regola codificata non esaurisce il quadro disciplinare, concorrendo con regole non codificate. Tuttavia, anche quando si tratta di regole codificate, l'eventuale natura "elastica" pone non irrilevanti problemi di definizione contenutistica (tanto da suggerire il sospetto di incostituzionalita' di quelle norme incriminatrici che rinvengono in simile regola il precetto penalmente sanzionato: Corte. Cost. sent. n. 312/1996, concernente il Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, articolo 41, comma 1). Esemplare, al riguardo, e' proprio l'articolo 141 C.d.S., che impone di tenere una velocita' prudenziale, ma non definisce quale essa sia attraverso parametri "rigidi", valevoli in ogni caso. La norma vuole che essa sia definita in relazione alle condizioni concrete nelle quali si pone l'atto della guida. Il rischio, insomma, e' l'assioma: non hai tenuto una velocita' adeguata perche' hai causato l'incidente. L'insidia che incombe in presenza di regole elastiche, in altri termini, e' che si incorra, piu' o meno inconsapevolmente, nell'errore cognitivo evocato dal bro-cardo post hoc ergo propter hoc. Un errore dal quale le Sezioni Unite hanno messo in guardia, segnalando "il pericolo che il giudice prima definisca le prescrizioni o l'area di rischio consentito e poi ne riscontri la possibile violazione, con una innaturale sovrapposizione di ruoli che non e' sufficientemente controbilanciata dalla terzieta'". Laddove, ben diversamente il giudice e' consumatore e non produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, in quanto egli rinviene "la fonte precostituita alla stregua della quale gli sia poi possibile articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori" nella scienza e nella tecnologia (Sez. Un., n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106; si veda anche Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Testa, Rv. 257112 e Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, Di Pietro e altro, Rv. 269254). Questa Corte di legittimita' ha chiarito in piu' occasioni, in casi che hanno investito i piu' svariati settori della colpa, soprattutto quella professionale, che nei' reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elasticati, cioe' dal contenuto comportamentale non rigidamente definito, e' necessario, ai fini dell'accertamento della condotta impeditivi esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione "ex ante" che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto (cosi' Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, Petti, Rv. 274949, che ha ritenuto immune da censure la sentenza che, in relazione all'omicidio colposo di un lavoratore deceduto per essersi trovato nel raggio di azione di un escavatore, aveva riconosciuto la responsabilita' del datore di lavoro che, nonostante avesse correttamente individuato il rischio e previsto la delimitazione dell'area di scavo ai sensi del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 118, comma 3, aveva omesso di garantire la presenza di una persona che vigilasse l'area, considerato che l'operaio deceduto era incaricato di eseguire alcune misurazioni nella zona dello scavo e che l'addetto all'escavatore aveva la visuale frontale occlusa; conf. Sez. 4, n. 37606 del 6/7/2007, Rinaldi; Rv. 237050). Questo giudice di legittimita' si e' occupata piu' volte di casi che presentano, in fatto, notevoli analogie, se non similitudini, con quello che ci occupa, affermando proprio in relazione all'articolo 141 C.d.S. il principio che va qui ribadito secondo cui, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta "elastica", che cioe' necessiti, per la sua applicazione, di un legame piu' o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l'agente deve operare - al contrario di quelle cosiddette "rigide", che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento - e' necessario, ai fini dell'accertamento dell'efficienza causale della condotta antidove-rosa, procedere ad un'attenta valutazione di tutte le circostanze del caso concreto (cosi' Sez. 4, n. 29206 del 20/6/2007, Di Caterina, Rv. 236905 e Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Leonarduzzi, Rv. 273871 che, in entrambi i casi, hanno annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo da incidente stradale, fondata sul generico riferimento alla inadeguatezza della velocita' tenuta dal conducente, senza esplicitare quale fosse la velocita' adeguata ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del fatto, risultava - non "ex post" ma "ex ante" ragionevolmente in grado di evitare il sinistro). Tale valutazione manca del tutto nella scarna motivazione della Corte palermitana oggi impugnata. Il giudice del rinvio, pertanto, dovra' operare quello sforzo motivazionale che e' mancato sulle circostanze di tempo e di luogo in cui si sono svolti i fatti e, alla luce, di quelle, con una valutazione ex ante sulla variabile velocita'. Occorre -va ribadito- evitare che l'inadeguatezza di quest'ultima sia valutata ex post. Il tema e' quello di partire dall'individuazione di qual era la regola cautelare di condotta in quel momento. Occorrera' -oltre che sgombrare il campo in maniera chiara da dubbi circa la vigenza o meno in quel tratto di strada del limite di velocita' di 50 kmh affermato dal giudice di primo grado in contrasto con la pur riferita circostanza che dai rilievi sul posto emergeva che il segnale di limite non veniva reiterato dopo le intersezioni- indugiare su quegli elementi di fatto (condizioni della strada, visibilita', stato del traffico) che consentano l'individuazione ex ante, in senso oggettivo, della regola cautelare che si assume violata. Una volta individuati tali fattori di rischio - che non dovranno, come ricordato in precedenza, concretizzarsi nel dato numerico di una velocita' da tenere-sara' possibile fare una valutazione in termini di prevedibilita' dell'evento in senso oggettivo e non soggettivo, non dipendente, quindi, dalla personale visione del conducente dell'auto. Cio' in ossequio al principio che la natura elastica della regola cautelare violata, indicando un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, incide sulla esigibilita' della condotta doverosa omessa, richiedendo il previo riconoscimento delle stesse da parte dell'agente (Sez. 4, n. 15258 del 11/2/2020 Agnello, Rv. 279242). Va, pertanto, ribadito che, ai fini dell'accertamento della responsabilita' per fatto colposo, e' sempre necessario individuare la regola cautelare, preesistente alla condotta, che ne indica le corrette modalita' di svolgimento, non potendo il giudice omettere di indicare in concreto quale sia il comportamento doveroso che tale regola cautelare imponeva di adottare (cfr. anche questa Sez. 4, n. 31490 del 14/04/2016, Rv. 267387 che, in applicazione del principio, ha ritenuto non corretta la decisione impugnata che aveva affermato la responsabilita' per omicidio colposo di un medico per il decesso di un paziente a seguito di un intervento chirurgico, ritenendo imprudente e/o imperita la manovra chirurgica attuata senza, tuttavia, indicare le modalita' di condotta che prudenza e perizia prescrivevano di adottare). In altre parole, per stabilire se la velocita' tenuta in concreto fosse stata o meno pericolosa, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare e valutare, cosa che non ha fatto, tutte le peculiarita' del caso concreto (caratteristiche dei veicoli e delle strade, condizioni di traffico, intensita' delle frenate, urti rilevati, danni cagionati, apporto dell'energia cinetica dell'autovettura investitrice, ecc.) per giungere, tra l'altro, a stabilire, una volta accertata la violazione della regola cautelare, l'efficienza causale della medesima. 7. Quanto al primo motivo di ricorso, afferente all'imputazione ex articolo 186 C.d.S., comma 2 e 2 bis, di cui al capo b) per la quale vi e' stata sin dal primo grado declaratoria di improcedibilita' per intervenuta prescrizione, lo stesso e' infondato in quanto i giudici hanno dato atto che andava operata una valutazione di evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato che non sussiste. Si perviene a tale conclusione nonostante il principio affermato dalla Corte palermitana a pag. 4 della propria pronuncia sia ormai superato. Scrive la Corte d'appello, richiamando l'ormai datato orientamento di Sez. 4 n. 53282/2017, 53275/2017 e 54977/2017 che "contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa appellante, va ribadito che i risultati del prelievo ematico, effettuato a seguito di incidente stradale durante il successivo ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica su richiesta della polizia giudiziaria, sono utilizzabili nei confronti dell'imputato per l'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilita' processuale, la mancanza del consenso". Viceversa -ed in tal senso il provvedimento impugnato va rettificato ex articolo 619 c.p.p. - costituisce, ormai, da tempo ius receptum di questa Corte di legittimita' il diverso principio secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, la polizia giudiziaria deve dare avviso al conducente della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia, ai sensi dell'articolo 356 c.p.p. e articolo 114 disp. att. c.p.p., non soltanto ove richieda l'effettuazione di un prelievo ematico presso una struttura sanitaria ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, ma anche quando richieda che tale ulteriore accertamento venga svolto sul prelievo ematico gia' operato autonomamente da tale struttura a fini di diagnosi e cura, sicche', in definitiva, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria si limiti ad acquisire la documentazione dell'analisi (Sez. 4, n. 8862 del 19/2/2020, Zanni Rv. 278676; conf. Sez. 4, n. 11722 del 19/02/2019. Ellera Rv. 275281; Sez. 4, n. 11722 del 19/02/2019, Ellera, Rv. 275281; Sez. 4, n. 40807 del 4/7/2019, Pignataro, Rv. 277621; Sez. 4, n. 16699 del 14/4/2021, Collantes, non mass.; Sez. 4 n. 5891 del 25/1/2023, Bariciu, non mass.). In definitiva, pertanto, detto obbligo non sussiste solo quando la polizia giudiziaria, senza avere operato alcuna preventiva richiesta ai sanitari, si limiti ad acquisire la documentazione delle analisi effettuate (Sez. 4, n. 8862 del 19/2/2020, Zanni, Rv. 278676). Tuttavia, nel caso che ci occupa, a carico dell'imputato ai fini della valutazione della guida in stato di ebbrezza contestatagli sub b), non vi era solo il risultato dell'alcoltest, sulla cui utilizzabilita' si controverte, ma anche, come ricordano entrambi i giudici di merito, le sue stesse ammissioni di avere fatto uso, circa due ore prima del momento del sinistro, di bevande alcoliche (e, in particolare, di avere "fatto un aperitivo con un amico" e bevuto "forse una vodka fragola e redbull"), aggiungendo tuttavia di avere successivamente "cenato a casa" e di essersi sentito "in grado di mettersi alla guida nonostante avesse bevuto". (cfr. pagg. 6-7 e pag. 4 di quella di appello). L'insussistenza del reato di cui al capo b), a fronte di una causa estintiva dello stesso, avrebbe, quindi, necessitato di un approfondimento istruttorio, in assenza di una rinuncia alla prescrizione, incompatibile con il dictum delle Sezioni Unite nella sentenza 35490/2009, Tettamanti, che, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, hanno tra l'altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, e' consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessita' di accertamento o di approfondimento. Si e' precisato in quella pronuncia che il controllo demandato al giudice deve appartenere piu' al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu ocur, che a quello di "apprezzamento". E nel solco della richiamata sentenza Tettamanti si e' reiteratamente affermato che l'"evidenza" richiesta dal menzionato articolo 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verita' processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia. Ancora, e' stato ribadito che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilita' per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorieta' o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (cosi' questa Sez. 4, n. 23680 del 7/5/2013, Rizzo ed altro, Rv. 256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22/1/2014, Culicchia, Rv.259445). Va ricordato che, alla condivisibile opzione ermeneutica sopra ricordata, le Sezioni Unite Tettamanti sono pervenute anche con riferimento ad un principio di economia processuale, avallato in piu' pronunce anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (si vedano le ordinanze 300 e 362 del 1991), laddove si e' evidenziato che l'articolo 129 del codice di rito tende ad assicurare speditezza, immediatezza ed economia del processo ed e' costituzionalmente legittimo purche' bilanciato dalla ri'nunciabilita' alla causa estintiva. L'articolo 129 c.p.p., non conferisce al giudice un potere di giudizio ulteriore rispetto a quello che gli deriva da esplicite norme processuali, ma detta una regola di condotta, che si affianca a quelle proprie della fase in cui il processo si trova e che consiste nell'obbligo dell'immediata declaratoria d'ufficio delle cause di non punibilita' che si ritengono gia' acquisite agli atti. Il bilanciamento necessario tra le esigenze di economia processuale (exitus processus) e la tutela dell'innocenza dell'imputato (favor rei) si realizza - come evidenziavano gia' le Sezioni Unite con la sentenza n. 12283 del 25.1.2005, De Rosa, rv. 230529.- nel momento in cui si impone al giudice di pronunciare il proscioglimento immediato in presenza di condizioni che vanificano la ragion d'essere dell'imputazione o la privano di contenuto, ma si consente all'imputato di rinunciare alla causa estintiva. La Corte Costituzionale ha sempre ritenuto l'articolo 129, ritenuto conforme ai principi costituzionali e bilanciato in termini di massima espressione del diritto di difesa per il perseguimento di un'assoluzione con formula piena, a fronte dell'interessa a non proseguire il giudizio, proprio in ragione della rinunciabilita' da parte dell'imputato alla causa estintiva. Maturata la prescrizione e mancando la evidente prova dell'innocenza, nei termini di cui si e' detto, l'imputato, come nel caso che ci occupa, poteva far valere il proprio diritto alla rinuncia alla causa estintiva, correndo evidentemente il rischio consapevole di una pronuncia sfavorevole all'esito del richiesto approfondimento. Ma ha legittimamente ritenuto di non farlo. A tale condivisibile principio si e' dunque adeguato il giudice della sentenza impugnata (cfr. pag. 4). La sentenza impugnata, pertanto, e' immune dal denunciato vizio di legittimita' quanto alla confermata statuizione d'improcedibilita' per prescrizione in relazione al reato sub b). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di omicidio colposo (lettera a) e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Palermo, altra Sezione. Rigetta il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro e da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro in data 22/12/2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Piergiorgio Morosini, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alla configurabilita' dell'aggravante della premeditazione e il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS); udito, per le parti civili, l'avv. (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e la conferma della sentenza impugnata; uditi, per l'imputato, gli avv.ti (OMISSIS) e Francesca Arico', i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS). RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza della Corte di assise di Catanzaro in data 26/09/2019, (OMISSIS) fu condannato alla pena dell'ergastolo, con isolamento diurno per 2 anni, oltre alle pene accessorie, in quanto riconosciuto colpevole del delitto di cui agli articoli 81, 110 e articolo 112, comma 1, nn. 1, 2 e 3, articolo 575, articolo 577, comma 1, n. 3, articolo 61 c.p., comma 1, n. 1, per avere, in concorso con altri soggetti tra cui (OMISSIS) (collaboratore di giustizia condannato, in sede di giudizio abbreviato, con applicazione della speciale attenuante di cui all'articolo 416-bis.1, comma 3, c.p.), in attuazione del programma della consorteria denominata "locale di (OMISSIS)", deliberato, promosso, organizzato, realizzato il duplice omicidio di (OMISSIS) e (OMISSIS), in particolare: (OMISSIS), quale mandante dell'azione omicidiaria e (OMISSIS), in concorso con soggetti rimasti sconosciuti, cagionato la morte delle vittime, raggiunte all'interno di un bar e attinte da colpi di pistola calibro 9 x 21, con le aggravanti dei motivi futili, della premeditazione, essendo stato il reato commesso dopo avere studiato le abitudini di (OMISSIS) e dell'avere agito al fine di conservare l'egemonia della cosca mafiosa mediante l'eliminazione fisica di (OMISSIS), il quale, pur facendo parte nel medesimo sodalizio, minacciava di vendicare l'eliminazione del capo di una cosca cirotana, (OMISSIS), con cio' contravvenendo al vincolo associativo del sodalizio cui era intraneo e minacciandone l'esistenza, posta la superiore autorita' del "crimine" cirotano (capo 1); nonche' del delitto previsto dagli arti. 110, 81 cpv. c.p., 10, 12 e 14, L. n. 497 del 1974, per avere illegalmente detenuto, occultato e portato in luogo pubblico, una pistola calibro 9 x 21, con l'aggravante prevista dall'articolo 7, Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e, in ogni caso, per agevolare l'attivita' di un sodalizio mafioso; fatti commessi in Rocca di Neto il 18/07/2008. 2. Con sentenza in data 22/12/2021, pronunciata all'esito di una articolata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, la Corte di assise di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha escluso le circostanze aggravanti dei futili motivi e della premeditazione e, per l'effetto, ha rideterminato in 30 anni di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS). Quanto ai futili motivi, i Giudici di appello hanno ritenuto che la sentenza di primo grado non avesse compiuto alcuna verifica della loro sussistenza e che, in ogni caso, essi dovessero essere esclusi in quanto (OMISSIS) non aveva agito per inconsistenti motivi personali o per dare sfogo alla propria aggressivita', ma per adempiere a un mandato ricevuto dal capo del sodalizio e nell'interesse del gruppo criminale, ovvero per un motivo a delinquere assorbito dall'aggravante del metodo e dell'agevolazione mafiosi. Quanto alla premeditazione, essa doveva essere esclusa trattandosi di un delitto deliberato da (OMISSIS), che aveva conferito il mandato omicidiario a (OMISSIS) lo stesso giorno in cui (OMISSIS) aveva lasciato il territorio lombardo, allorche' la decisione di compiere l'omicidio si era rafforzata ed era divenuta definitiva, lasciando all'imputato il tempo strettamente necessario a organizzare la rapida eliminazione della vittima, avvenuta nell'ambito di due o tre giorni dalla ricezione del mandato. Dunque, l'attivita' consistita nel recarsi in Calabria per prendere i contatti con uomini della cosca locale per concordare il necessario appoggio logistico per l'omicidio era idonea a configurare una semplice preordinazione del delitto, non ricorrendo un apprezzabile lasso di tempo tra l'ideazione del reato e la sua concreta attuazione (elemento cronologico), ne' il perdurare, nell'arco di tempo considerato, della risoluzione criminosa nell'animo dell'agente (elemento ideologico). 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro, deducendo violazione di legge e contraddittorieta' della motivazione, che sarebbe caratterizzata da una palese distorsione logico-ermeneutica dei fatti, per come ricostruiti in sentenza. Dopo avere ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimita' gli elementi costitutivi della premeditazione sono rappresentati da un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito delittuoso e la sua attuazione, tale da consentire una ponderata riflessione sulla decisione presa e sull'opportunita' del recesso (c.d. elemento cronologico) e dalla natura, ferma e irrevocabile, della risoluzione criminosa, che deve perdurare senza soluzioni di continuita' nell'animo dell'agente fino alla commissione del reato (c.d. elemento ideologico), il ricorso evidenzia come la stessa giurisprudenza ritenga che l'aggravante in parola debba essere estesa al concorrente che non abbia premeditato il reato qualora lo stesso abbia acquisito, prima dell'esaurirsi del proprio apporto alla realizzazione dell'evento, l'effettiva conoscenza della altrui premeditazione, facendo propria la particolare intensita' del dolo del complice. Su tali basi, il ricorso evidenzia che la Corte territoriale abbia errato nel valutare la rapidita' di azione e la riconducibilita' del disegno criminoso a (OMISSIS), senza uniformarsi alla richiamata elaborazione giurisprudenziale e, in particolare, alla piena cognizione dell'altrui dolo in capo a (OMISSIS), dalla sentenza richiamata per escludere i futili motivi sul presupposto che costui agisse per adempiere a un mandato ricevuto dal capo della cosca e nell'interesse del gruppo criminale, ma in questo modo recependo pienamente il proposito, le ragioni e le finalita' del reato da compiere proprie del mandante e condividendone in toto la premeditazione. Una ricostruzione che sarebbe confermata dal riconoscimento dell'aggravante della finalita' mafiosa dell'omicidio, essendo stato ritenuto che, accettando l'incarico da (OMISSIS) e conferendo con i principali referenti della locale di Belvedere Spinello, (OMISSIS), avesse piena consapevolezza di offrire un contributo fondamentale all'esistenza stessa della cosca e, quindi, del dolo in capo al mandante. Mentre con riferimento al dato cronologico, la sentenza avrebbe contraddittoriamente accertato che (OMISSIS), aveva dato il mandato omicidiario a (OMISSIS), quando entrambi si trovavano in Lombardia; sicche' l'imputato aveva avuto il tempo di predisporre la organizzazione della eliminazione di (OMISSIS), recandosi in Calabria, prendendo i contatti con fiancheggiatori e altri complici, ed eseguendo l'omicidio nei due/tre giorni successivi al suo arrivo a (OMISSIS). 4. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche Pietro (OMISSIS) per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo otto distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 4.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, per assoluta assenza di riscontri individualizzanti alla chiamata in correita', anche sotto il profilo della mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Sotto un primo profilo, la difesa lamenta l'assenza di qualunque riscontro in ordine all'adesione di (OMISSIS), alla richiesta di (OMISSIS), al viaggio di andata, alla sua presenza, per alcuni giorni, a (OMISSIS) e al viaggio di ritorno. La Corte territoriale, pur riconoscendo che quanto dichiarato di (OMISSIS), "appare in molti punti stringato, estremamente conciso, soprattutto per quanto concerne le modalita' dell'omicidio" (pag. 11 della sentenza di appello) e che vi siano parti incerte del racconto in relazione all'identita' della persona che avrebbe accompagnato (OMISSIS), in Calabria e ai particolari dell'azione (pagg. 9-10 della sentenza di secondo grado), non avrebbe, pero', svolto una effettiva ricerca di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del collaboratore; e cio' benche' quest'ultimo, per sua stessa ammissione, non sia certo della veridicita' di quanto narratogli, quanto alle modalita' del viaggio, alla dinamica dell'omicidio e al ruolo svolto dall'imputato, essendo stati, a suo dire, i colloqui successivi, con (OMISSIS) e altri complici, generici e scarni, senza alcun riferimento a (OMISSIS) quale partecipe dell'omicidio. Inoltre, non sarebbe stato riscontrato alcun viaggio dell'imputato in Calabria, in quei giorni, con il mezzo dell'aereo, ne' con altri mezzi; ne' (OMISSIS), pur essendosi trattenuto a (OMISSIS) per due o tre giorni prima del giorno dell'omicidio, sarebbe stato visto da alcuno. Ancora, non sarebbe stato verificato se egli fosse stato in grado di rientrare nel milanese la sera stessa dell'omicidio, secondo quanto riferito dal collaboratore, non essendo stato riscontrato nemmeno il ruolo di accompagnatore in Calabria da parte di un soggetto indicato con il nome di " (OMISSIS)". Quanto al compito asseritamente attribuito a (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) (ovvero "portare la novita'" alla cosca in Calabria), la motivazione peccherebbe di approfondimento in relazione al fatto che (OMISSIS) possa avere eseguito personalmente un omicidio in assenza di una espressa richiesta da parte dei vertici della cosca, atteso che, in contesti di criminalita' organizzata, l'assunzione di un ruolo in una qualche impresa delittuosa in assenza di una specifica investitura da parte dei superiori gerarchici risulterebbe del tutto inverosimile, esponendo l'autore di iniziative non richieste al rischio di severe punizioni. Sotto un secondo aspetto, l'assenza di riscontri individualizzanti in merito alla partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso, alla frequentazione con (OMISSIS) e a collegamenti con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) costituirebbe un ulteriore vulnus al racconto del collaboratore, secondo cui (OMISSIS) sarebbe stato da lui convocato in quanto soggetto gia' attivo nella âââEurošÂ¬Ã‹Å"ndrina di Rho e gia' autore di "altri fatti di reato", in particolare di condotte di spaccio; un'affermazione che, pero', sarebbe rimasta del tutto indimostrata, non essendovi precedenti condanne e avendo il maggiore (OMISSIS), responsabile dell'indagine, dichiarato a dibattimento che non risultavano collegamenti di (OMISSIS) con la criminalita' organizzata, sia in Calabria, sia nel nord Italia. E la stessa compagna di (OMISSIS), (OMISSIS), avrebbe precisato di non aver mai visto (OMISSIS), pur frequentando (OMISSIS) da anni. Sotto un ulteriore profilo, sarebbe inverosimile quanto dichiarato da (OMISSIS) in ordine al movente, indicato nell'avere fatto uccidere (OMISSIS) poiche' amico di (OMISSIS) e perche' la vittima avrebbe aspirato a creare un proprio gruppo criminale, trattandosi di un'informazione non confermata dai familiari, che avrebbero, anzi, escluso l'esistenza di contrasti con (OMISSIS); mentre l'ipotesi di un movente legato all'amicizia di (OMISSIS) con (OMISSIS), sarebbe stata ritenuta poco credibile dallo stesso Pubblico ministero del giudizio di primo grado, essendo del resto inverosimile che (OMISSIS) e i cirotani potessero temere (OMISSIS), che non possedeva una particolare statura criminale. Inoltre, sarebbe inverosimile quanto riferito da (OMISSIS) circa il fatto che la decisione di uccidere (OMISSIS) sarebbe derivata dalla volonta' di evitare problemi con la cosca dei cirotani, considerato che questi ultimi si sarebbero trovati in conflitto con il gruppo criminale dello stesso (OMISSIS). 4.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS), utilizzate a riscontro di quelle rese da (OMISSIS), anche sotto il profilo della illogicita' della motivazione in relazione alla divergenza su diversi punti del racconto (causale, contesto, mandanti, etc.). Anche a prescindere dall'estrema prudenza che avrebbe dovuto guidare la valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS), in rapporto al peculiare contesto in cui le confidenze di (OMISSIS), sarebbero state rese, tale da ascriverle agevolmente alla categoria delle probabili "vanterie da carcere", il contrasto con quanto riferito da (OMISSIS), (ovvero che a guidare lo scooter utilizzato per il delitto sarebbe stato, per quest'ultimo, uno dei (OMISSIS) e non, come per (OMISSIS), (OMISSIS); il movente dell'omicidio sarebbe da rintracciare in un'attivita' illecita delle due vittime ispirata da (OMISSIS) o non contrastata da costui) sarebbe stato risolto in maniera errata. Secondo la sentenza impugnata, infatti, (OMISSIS), avrebbe indicato uno dei (OMISSIS) quale conducente dello scooter in termini di mera possibilita', mentre il collaboratore avrebbe, in realta', riportato tale circostanza come riferitagli con certezza da (OMISSIS) (secondo cui alla guida del mezzo vi era un "(OMISSIS)"). Quanto, poi, al movente e al ruolo di (OMISSIS) (secondo (OMISSIS) il mandante sarebbe stato (OMISSIS) e non (OMISSIS)), la sentenza, pur riconoscendo il contrasto, osserverebbe che comunque (OMISSIS) era stato indicato anche da (OMISSIS) come partecipe dell'omicidio, pur essendosi al cospetto di una differenza obiettivamente significativa; e senza considerare che, dando credito a (OMISSIS), (OMISSIS), "pompato da (OMISSIS)", non avrebbe operato illecitamente contro il parere di (OMISSIS), il quale, al contrario, sarebbe addirittura la vittima indiretta dell'omicidio. Tali considerazioni farebbero risaltare l'assenza della ritenuta convergenza tra i due collaboratori, essendosi al cospetto di ricostruzioni radicalmente diverse in termini di movente, mandanti e contesto, sicche' non verrebbero rispettati i parametri indicati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina. Cio' in quanto: (A) non sarebbero stati accertati rapporti personali tra il dichiarante e la fonte diretta, non avendo (OMISSIS) indicato anche solo un episodio significativo di una sua frequentazione di (OMISSIS); (B) la mancata convergenza delle due chiamate in maniera individualizzante in relazione a circostanze rilevanti quali il movente e il mandante; (C) la mancanza di autonomia genetica delle chiamate, atteso che (OMISSIS) e (OMISSIS) farebbero riferimento ai racconti di (OMISSIS), posto che anche il primo, anche a volerlo considerare il mandante, riferirebbe quanto appreso da quest'ultimo sull'esecuzione dell'omicidio e sulle circostanze rilevanti di esso (dalla discesa a (OMISSIS), agli incontri con altri partecipi; dalla permanenza in loco all'organizzazione dell'agguato; dalla disponibilita' di un'arma al reperimento di un motociclo), non avendo (OMISSIS) incaricato (OMISSIS), di eseguire l'omicidio, ma unicamente di "portare la novita'" ai sodali. Vacuo, e fondato su presupposti erronei, sarebbe l'argomento della Corte calabrese secondo cui non vi sarebbe circolarita' della prova, poiche' le circostanze sarebbero state apprese in luoghi e tempi diversi, posto che sarebbe stato comunque l'imputato, e soltanto lui, a riferire i fatti ai due chiamanti, addossandosi responsabilita' specifiche. 4.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), anche sotto il profilo della mancanza e illogicita' della motivazione. Il collaboratore sarebbe stato ritenuto inattendibile in quanto avrebbe dichiarato di non conoscere (OMISSIS) e perche', nell'indicare (OMISSIS) come partecipe dell'omicidio, lo avrebbe descritto, erroneamente, come soggetto stabilmente residente in Calabria, dipendente di un'azienda agricola, alto circa 1,80 m., da identificare in tale (OMISSIS). Infatti, (OMISSIS) vivrebbe, da anni, nel milanese, sarebbe alto 1,60 n., non avrebbe mai lavorato per un'azienda agricola crotonese; mentre (OMISSIS) sarebbe identificabile in tale (OMISSIS). Per l'insieme di queste ragioni, la deposizione del collaboratore non sarebbe stata utilizzata, mentre, secondo la difesa, le sue dichiarazioni avrebbero dovuto essere utilizzate proprio per dimostrare l'estraneita' dell'imputato all'omicidio e, per converso, il coinvolgimento di (OMISSIS) (il vero " (OMISSIS)"), corrispondendo le caratteristiche di costui a(racconto del teste (OMISSIS), che aveva indicato lo sparatore come soggetto "sicuramente non basso". E del resto, se, come affermato dal collaboratore, (OMISSIS) o il fratello dello stesso (OMISSIS), avessero davvero riferito a quest'ultimo che lo sparatore era da indentificarsi nell'odierno imputato, essi avrebbero certamente sottolineato che si trattava di un soggetto venuto dal nord Italia; cio' che egli, invece, non avrebbe mai riferito. 4.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2, e l'illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla mancata valorizzazione delle sommarie informazioni testimoniali rese da (OMISSIS), unico teste oculare dell'omicidio, secondo cui lo sparatore era di "statura media, sicuramente non era basso". Tale dichiarazione, che contrasterebbe con le caratteristiche antropometriche di (OMISSIS), il quale non raggiungerebbe i 160 cm. di altezza, sarebbe stata obliterata una volta che (OMISSIS), sentito dalla Corte di assise di appello, avrebbe negato di avere mai reso le dichiarazioni riportate nel verbale, affermando che esso fosse falso, tanto da indurre la Corte a disporre la trasmissione degli atti a(Pubblico ministero, ma senza trarne le doverose conclusioni a favore dell'imputato. Infatti, proprio l'affermazione di falsita' del verbale da parte di (OMISSIS) avrebbe costituito una conferma della bonta' della originaria descrizione fornita da parte del teste. 4.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la manifesta illogicita' e mancanza della motivazione nella parte in cui si escluderebbero le prove d'alibi con riferimento alla presenza di (OMISSIS), in Lombardia in prossimita' dell'evento omicidiario, dovuta a motivi di lavoro e per assistere la moglie in una struttura sanitaria, ricoverata dopo un intervento. Quanto all'attivita' lavorativa, l'affermazione secondo cui non sarebbe stata dimostrata la presenza dell'imputato in uno dei cantieri di Milano ove lavorava con il fratello, titolare dell'omonima ditta, contrasterebbe con la deposizione di quest'ultimo, la quale avrebbe offerto puntuali ragioni di certezza in ordine alla presenza del congiunto nei cantieri, corroborata da ampia documentazione proveniente dal committente. Ne' rileverebbe che, come invece evidenziato dalla sentenza impugnata, il giorno dell'omicidio fosse quello di chiusura della settimana lavorativa, posto che l'imputato doveva essere presente in cantiere quantomeno fino alle 17.00, con conseguente impossibilita' di giungere nel crotonese alle 19.00 dello stesso giorno; tanto piu' che, secondo (OMISSIS), (OMISSIS) aveva raggiunto (OMISSIS) alcuni giorni prima del (OMISSIS). Quanto alla testimonianza della ex moglie di (OMISSIS), (OMISSIS), secondo cui il (OMISSIS) ella era stata ricoverata presso l'ospedale di (OMISSIS), ove era stata accompagnata dal marito, il quale l'aveva assistita nei giorni successivi di convalescenza domiciliare, la Corte territoriale, nel ritenere che essa fosse insufficiente a confermare la presenza dell'imputato a (OMISSIS), si sarebbe espressa in modo apodittico, asserendo che il ricordo della donna non potesse che essersi offuscato. In realta', la difesa avrebbe prodotto la copia autentica della cartella clinica dell'epoca, ove il nominativo di (OMISSIS), comparirebbe come soggetto accudente. Inoltre, la (OMISSIS) avrebbe perfettamente rammentato di essere stata, per diversi giorni, in pessime condizioni di salute anche dopo le dimissioni dall'ospedale, precisando che il marito le era restato accanto, pur assentandosi, durante il giorno, per lavoro, ma facendo rientro regolarmente la sera. Cio' che escluderebbe la fondatezza dell'affermazione della Corte di assise di appello, ,secondo cui nulla escluderebbe che, in tale occasione, (OMISSIS) possa essersi assentato, per un paio di giorni, al fine di recarsi in Calabria. 4.6. Con il sesto motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., commi 1 e 2, per omessa valutazione del motivo di appello relativo alla consulenza balistica, pur menzionato in sentenza, anche sotto il profilo della mancanza della motivazione sul punto. Benche' il consulente balistico del Pubblico ministero abbia affermato che le pistole che spararono nell'agguato furono due (una contro (OMISSIS), mentre (OMISSIS) fu attinto da ogive che presentavano caratteristiche differenti, si' da essere riferibili, con fondata ragionevolezza, secondo lo stesso perito, ad armi diverse), la Corte di primo grado avrebbe affermato che, nell'occorso, potrebbe avere sparato una sola pistola caricata con proiettili di forma diversa, pur senza fondare tale conclusione su valutazioni scientifiche formulate dal perito. E rispetto ai rilievi avanzati con l'atto di appello, la Corte territoriale non avrebbe svolto alcuno specifico argomento. 4.7 Con il settimo motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 112 c.p., comma 1, n. 1, anche sotto il profilo della mancanza e illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'aggravante del numero di persone superiore a cinque, affermata a partire dalla partecipazione all'omicidio del mandante, di due esecutori, di (OMISSIS) e (OMISSIS). In realta', la presenza di un secondo esecutore materiale dell'omicidio, conducente del motociclo, sarebbe meramente riferita, non trovando riscontro negli accertamenti; cosi' come ipotetica e non provata sarebbe la partecipazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto e' vero che, nei confronti degli stessi, non risulterebbe neppure iniziata l'azione penale. 4.8. Con l'ottavo motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, anche sotto il profilo della apparenza della motivazione nella parte in cui la sentenza avrebbe ritenuto che (OMISSIS), accettando l'incarico di (OMISSIS), fosse consapevole di offrire un contributo agevolativo alla cosca mafiosa. In realta', la Corte territoriale non avrebbe mai affermato che (OMISSIS) avesse messo a conoscenza (OMISSIS) di tutte le questioni relative a (OMISSIS) (ovvero della sua presunta crescita criminale e della sua volonta' di vendicare l'uccisione di (OMISSIS)), ne' che (OMISSIS), residente da anni a Rho, fosse consapevole del quadro criminale della zona dell'omicidio. La sua partecipazione all'evento, dunque, sarebbe indipendente dalle strategie mafiose sviluppatesi nel contesto socio-geografico di riferimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso del ricorrente e' fondato nei termini di seguito indicati. 2. Gli elementi probatori su cui e' stata fondata l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) per il duplice omicidio di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono costituiti, essenzialmente, dalle dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia, (OMISSIS) e (OMISSIS). Appare, pertanto, necessario riepilogare, preliminarmente, il quadro normativo e giurisprudenziale che riguarda la prova dichiarativa, quando essa sia costituita dalle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rese da chiamanti in correita' e in reita' o, comunque, da soggetti che riferiscano circostanze apprese, eventualmente anche dall'autore del reato, in ragione della loro appartenenza a contesti criminali. 2.1. Secondo quanto stabilito dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, "le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita'"; disposizione che, secondo quanto stabilito dal successivo comma 4, "si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b)". 2.2. Circoscrivendo il discorso, per quanto qui di interesse, alla "chiamata in correita' e in reita'", in questo modo dovendo qualificarsi, come si dira', le dichiarazioni rese da (OMISSIS), la giurisprudenza di legittimita', anche a Sezioni unite, richiede, per riconoscerne il carattere di prova ai sensi delle disposizioni succitate, la sussistenza di tre requisiti, ovvero: 1) la credibilita' soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l'accusato, la genesi e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all'accusa dei coautori e complici; 2) l'attendibilita' intrinseca del contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneita', la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi; 3) la riscontrabilita' oggettiva del chiamante attraverso il riferimento a elementi estrinseci al suo contributo dichiarativo. Si e', peraltro, precisato che il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di siffatti riscontri esterni, deve prima verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni; e che tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, una specifica e tassativa sequenza logico-temporale (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 01). 2.3. Con specifico riferimento ai riscontri estrinseci alla chiamata, la giurisprudenza ha ulteriormente evidenziato alcuni fondamentali passaggi. Si e', innanzitutto, affermato che i riscontri estrinseci, i quali devono essere esterni alla chiamata al fine evitare il fenomeno della c.d. "circolarita' probatoria", non devono necessariamente avere la consistenza di una prova autosufficiente e possono consistere in elementi o dati probatori di qualsiasi tipo e natura (dagli elementi di prova rappresentativa, agli elementi di prova logica e indiziari), ivi compresi, dunque, ulteriori contributi dichiarativi. Questi ultimi possono consistere o in una testimonianza, diretta o indiretta, oppure in un'altra chiamata in correita' o in reita', le quali possono anch'esse essere de relato. E in questi ultimi due casi, ai fini della prova della responsabilita' penale dell'accusato, devono essere rispettate una serie di stringenti condizioni che sono legate alla particolare "contiguita'" tra il dichiarante e il reato oggetto di accertamento, tale da rendere le sue dichiarazioni, per un verso, particolarmente qualificate in quanto provenienti da un soggetto che ha partecipato alla commissione del reato (come nel caso della chiamata in correita'), ma, per altro verso, in qualche misura "sospette", in quanto rese da un soggetto che, almeno in astratto, potrebbe avere un interesse, legato alla propria posizione processuale, di addivenire a una narrazione non vera (per tali stringenti condizioni si veda l'ampia ricostruzione operata nella motivazione della citata Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cui si rimanda integralmente, atteso che, come si dira', l'analisi in essa compiuta non e' pertinente al caso qui trattato, v. infra § 3.1). Per quanto osservato, nell'ambito delle dichiarazioni destinate a riscontrare la chiamata in correita' o in reita' de relato possono rientrare anche quelle aventi ad oggetto circostanze di fatto confidate al dichiarante da terzi soggetti e relative a profili di altrui responsabilita', ivi comprese quelle confidate dallo stesso imputato, che in tal caso hanno valenza confessoria (Sez. 1, n. 18019 del 11/10/2017, dep. 2018, Calabria, Rv. 273301 - 01). In tale ipotesi, si applica sempre l'articolo 195 c.p.p.: e cio' sia, come ovvio, nel caso in cui il dichiarante non sia coimputato o imputato di reato connesso o probatoriamente collegato; sia nel caso in cui il dichiarante che deve riscontrare la chiamata in correita' o in reita' stia operando una (altra) chiamata in correita' o in reita' (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 - 01). Fermo restando che, in tali casi, ove il dichiarante riferisca confidenze ricevute dall'imputato, il disposto dell'articolo 195 c.p.p. non impone l'escussione della fonte diretta, atteso che il potere del giudice di disporre che la fonte diretta sia chiamata a deporre non puo' avere come destinatario l'imputato, il quale puo' essere sottoposto ad esame solo se ne fa richiesta o vi consente ai sensi dell'articolo 208 c.p.p., non potendo costui essere chiamato a rendere dichiarazioni che possono pregiudicare la sua posizione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, in motivazione; Sez. 2, n. 23018 del 31/03/2016, Scaffidi, Rv. 266902 - 01; Sez. 2, n. 17107 del 22/03/2011, Cocca, Rv. 250252 - 01). 2.4. Vanno, inoltre, ricordati due ulteriori, importanti principi di elaborazione giurisprudenziale, il cui richiamo appare pertinente nel caso qui trattato. Innanzitutto, occorre ribadire che, secondo la giurisprudenza di legittimita', l'attendibilita' delle dichiarazioni accusatorie del collaborante, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolge necessariamente, per il principio della cosiddetta "frazionabilita'" della valutazione, tutte le altre, a condizione che: non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti; l'inattendibilita' non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilita' del dichiarante; sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita - per esempio, con riferimento alla complessita' dei fatti, al tempo trascorso dal loro accadimento o alla scelta di non coinvolgere un prossimo congiunto o una persona a lui cara - in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull'attendibilita' soggettiva del dichiarante (Sez. 6, n. 25266 del 3/04/2017, Polimeni, Rv. 270153 - 01; cfr. altresi' Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262309 - 01). In secondo luogo, si deve evidenziare il valore probatorio che, nel vigente sistema processuale, e' riconosciuto alla confessione. Quanto questa sia resa all'autorita' giudiziaria, il consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che essa possa costituire prova sufficiente della responsabilita' di colui che l'abbia resa, indipendentemente dall'esistenza di riscontri esterni, a condizione che il giudice ne apprezzi favorevolmente la veridicita', la genuinita' e l'attendibilita', fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto sul suo contenuto (Sez. 1, n. 35336 del 4/05/2022, Rua', Rv. 283571 - 01; Sez. 4, n. 4907 del 17/10/2017, dep. 2018, Militello, Rv. 271980 - 01; Sez. 6, n. 13085 del 3/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv. 259489 - 01; Sez. 4, n. 20591 del 5/03/2008, D'Avanzo, Rv. 240213 - 01; Sez. 6, n. 3846 del 20/11/2000, dep. 2001, Finini, Rv. 218415 - 01). Quando, invece, la confessione dell'imputato abbia carattere stragiudiziale, essa assume valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che la immette nel processo e, ove si tratti di prova dichiarativa, con l'applicazione dei relativi criteri di valutazione (Sez. 5, n. 11296 del 22/11/2019, dep. 2020, Vegini, Rv. 278923 - 01; Sez. 2, n. 38149 del 18/06/2015, Russo, Rv. 264972 - 01). Pertanto, nel caso in cui essa sia riferita dal chiamante in reita' o correita', si applichera' la regola della necessita' di riscontri esterni (Sez. 1, n. 17240 del 2/02/2011, Consolo, Rv. 249960 - 01), mentre nel caso in cui essa sia riferita dal testimone, si applichera' la regola di valutazione propria delle prove testimoniali, sicche' la confessione stragiudiziale potra' essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice, allorche', valutata in se', nonche' nel contesto dei fatti e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinita' e la spontaneita' in relazione al fatto contestato (Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100 - 01; Sez. 6, n. 23777 del 13/12/2011, dep. 2012, Zedda, Rv. 253002 - 01; Sez. 5, n. 38252 del 15/07/2008, Auriemma, Rv. 241572 - 01). 3. Tanto premesso in termini di inquadramento sistematico, osserva il Collegio che la sentenza impugnata non appare essersi interamente uniformata alle ricordate coordinate ermeneutiche. 3.1. Sotto un primo profilo, va riconosciuto che la Corte territoriale ha correttamente escluso l'applicabilita', erroneamente invocata dalla difesa, dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' in materia di idoneita' di una chiamata in correita' o in reita' de relato a riscontrare un'altra chiamata in correita' o in reita' de relato. A ben vedere, infatti, le dichiarazioni accusatorie rese da (OMISSIS), si compongono di due distinti segmenti: da un lato, una chiamata in correita' diretta, nella parte in cui il collaboratore afferma di avere conferito il mandato omicidiario all'odierno imputato, con conseguente attribuzione del compito di organizzare l'omicidio; e, dall'altro lato, una chiamata in correita' de relato, laddove essa riporta una serie di circostanze, riguardanti il momento esecutivo del duplice delitto, che il dichiarante ha affermato di avere appreso dalla voce dell'imputato, il cui generico racconto sarebbe stato successivamente confermato, anche in tal caso genericamente, da (OMISSIS), esponente della cosca sul territorio, peraltro a quanto consta mai audito sul punto, e al quale (OMISSIS), pur senza scendere nel dettaglio dell'operazione, si sarebbe successivamente rivolto. Viceversa, quanto al racconto di (OMISSIS), costui non e' accusato di concorso nel duplice omicidio ne', a quanto e' dato capire dalla sentenza impugnata, di reati connessi o probatoriamente collegati al primo. Ne consegue che, tecnicamente, la sua non puo' essere definita come una chiamata in correita', ne' come una chiamata in reita', trattandosi, piu' correttamente, di una testimonianza indiretta, ovvero della rappresentazione di un fatto cui il dichiarante non ha direttamente assistito, ma che gli e' stato raccontato da altra persona, nella specie particolarmente qualificata, trattandosi dello stesso autore del delitto; sicche' la testimonianza in parola ha, appunto, ad oggetto una confessione stragiudiziale. 3.2. Ora, benche' alla luce dei gia' richiamati principi in materia di confessione stragiudiziale, la ricostruzione della vicenda, nell'ottica accusatoria, avrebbe potuto essere compiuta piu' agevolmente partendo dalle dichiarazioni di (OMISSIS), la sentenza impugnata ha scelto la strada, piu' impervia, di muovere dalle dichiarazioni di (OMISSIS), che come ricordato presentano una struttura composita. Rispetto alla chiamata in correita' diretta, ovvero alla parte del racconto in cui (OMISSIS) riporta di avere conferito il mandato omicidiario a (OMISSIS), il racconto del collaboratore e' sfornito di riscontri e, anzi, appare contraddetto da quanto riferito da (OMISSIS), secondo cui il mandante dell'omicidio era stato (OMISSIS). Tale discrasia non risulta spiegata dalla Corte territoriale e, anzi, essa viene assunta, illogicamente, a conferma della indipendenza delle due dichiarazioni e, quindi, a elemento di validazione del contenuto probatorio del narrato. Ma soprattutto, la sentenza non spiega, in maniera persuasiva, la forte discordanza che connota il profilo del movente, chiaramente connesso a quello della individuazione del mandante. Cosi' come piuttosto vago rimane l'aspetto, non riscontrato da precedenti penali o giudiziari, di un ruolo di (OMISSIS) all'interno della consorteria mafiosa, su cui la Corte territoriale non si diffonde analiticamente, pur riportando, nel corpo della motivazione, alcuni riferimenti che avrebbero potuto essere all'uopo utilizzati, attraverso una lettura coordinata e sincronica che puo' essere, pero', compiuta solo dal giudice di merito e non certo da quello di legittimita'. 3.4. Se, dunque, il primo segmento del racconto di (OMISSIS) presenta evidenti criticita' connesse al difforme contenuto del racconto di (OMISSIS), occorre verificare se, al contrario, possa soddisfare i requisiti richiesti dai richiamati arresti giurisprudenziali il secondo segmento, relativo alla chiamata in reita' de relato, suscettibile, per i principi gia' ricordati, di una valutazione frazionata. Sul punto, va premesso che la sentenza appare avere compiuto un adeguato scrutinio della credibilita' soggettiva di (OMISSIS), valutata alla stregua del suo passato, dei suoi rapporti con l'accusato, della genesi e delle ragioni che lo avevano indotto a raccontare i fatti e ad accusare il complice. Le sentenze di merito, a questo proposito, hanno evidenziato come la scelta collaborativa fosse stata determinata dal mutamento degli equilibri criminali verificatosi, nella (OMISSIS), a seguito della scarcerazione, nel giugno 2011, di (OMISSIS), il quale aveva assunto la posizione di vertice delle cosche un tempo appannaggio di (OMISSIS) e aveva disconosciuto le cariche mafiose che i cirotani avevano, nel frattempo, attribuito sul territorio, ivi compresa quella di (OMISSIS), che da (OMISSIS), aveva ricevuto l'investitura quale figura di riferimento nell'area di (OMISSIS); e come egli si sia accusato di gravi reati, tra i quali anche il duplice omicidio oggetto del presente procedimento, rispetto al quale, prima della sua confessione, non esistevano concreti elementi a carico del dichiarante. E che egli possa essere stato indotto a muovere accuse calunniose, peraltro suscettibili di comportare una revoca del programma di protezione, e' stato escluso anche a partire dal fatto che lo stesso (OMISSIS), in dichiarazioni spontanee, aveva evidenziato come non vi fossero motivi di astio con (OMISSIS). Del pari, quanto a (OMISSIS), benche' la sentenza impugnata sia estremamente sintetica sul punto, le relative valutazioni possono essere integrate, in presenza di una cd. doppia conforme e in assenza di specifiche deduzioni difensive sul punto, con quelle del primo Giudice, che ha posto in luce come (OMISSIS) fosse, per tale collaboratore, un soggetto ignoto prima della comune detenzione e come, pertanto, non vi fosse stata possibilita' di maturare un intento calunnioso nei suoi confronti, escluso anche dalla cartolina acquisita in atti, attestante l'esistenza di un rapporto di perdurante amicizia tra i due. Inoltre, (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano condiviso la cella per un congruo periodo di tempo, stringendo un rapporto di amicizia, attestato dalla citata cartolina, che giustificava la confidenza fattagli dall'imputato. Quanto, invece, al profilo dell'attendibilita' intrinseca del racconto di (OMISSIS), secondo gli indicatori giurisprudenziali, essa deve essere desunta da dati quali la spontaneita', la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi. Ora, a fronte di una narrazione certamente spontanea e mantenuta inalterata nel corso dell'intero giudizio, la sentenza di appello evidenzia, a piu' riprese, che il collaboratore, per quanto concerne la descrizione dell'organizzazione ed esecuzione dell'omicidio, "non e' prodigo di particolari" e che la sua "dizione (...) e' scarna" (pag. 9) e "laconica" (pag. 10) e, ancora, che "il dichiarato di (OMISSIS) appare in molti punti stringato, estremamente conciso, soprattutto per quanto concerne le modalita' dell'omicidio e i complici di (OMISSIS)" (pag. 11). Nondimeno, i Giudici di appello hanno sottolineato come non potesse "non tenersi conto", in particolare ove adeguatamente riscontrato (pag. 11), del "nucleo essenziale" del racconto, costituito dall'indicazione di (OMISSIS) quale "sicario" e delle "ragioni per cui (OMISSIS) aveva dato il via all'omicidio". 4. Le considerazioni appena svolte impongono di evidenziare un primo profilo fortemente problematico nella valutazione compiuta dalle due sentenze di merito, riguardante, appunto, il riscontro di quello che la sentenza di appello definisce come il nucleo essenziale del racconto di (OMISSIS), costituito dal ruolo di mandante che lo stesso si attribuisce e dal movente per cui egli avrebbe dato mandato a (OMISSIS) per la commissione dell'omicidio. Tuttavia, proprio con riferimento a tale profilo, come detto, le stesse sentenze hanno evidenziato una marcata divergenza: mentre (OMISSIS) si attribuisce il ruolo di mandante e riconduce l'omicidio ora alla necessita' di eliminare un proprio concorrente, ora a quella di compiacere i cirotani, preoccupati che (OMISSIS) potesse vendicare la morte di (OMISSIS), ora alle lamentele di quanti erano preoccupati che la vittima si stesse muovendo con troppa autonomia nel territorio controllato da altre cosche, (OMISSIS) riferisce che il mandante, individuato in (OMISSIS), intendeva eliminare un soggetto cui lo stesso (OMISSIS) aveva concesso una eccessiva autonomia, contribuendo "a farlo emergere"; con cio' individuando in (OMISSIS) una sorta di indiretto destinatario dell'azione delittuosa. Detta discrasia viene risolta dalla sentenza di primo grado attraverso l'affermazione secondo cui vi sarebbe stata una narrazione reticente da parte di (OMISSIS), che essendo a conoscenza della scelta collaborativa di (OMISSIS), avrebbe taciuto al compagno di cella di avere ricevuto da lui il mandato omicidiario; mentre la sentenza di secondo grado tenta di comporre il contrasto attraverso l'illogica affermazione per cui le due dichiarazioni, proprio perche' divergenti, sarebbero genuine e reciprocamente indipendenti. E tuttavia, rimane il dato, non superabile, per cui uno degli elementi che gli stessi Giudici di appello definiscono come riferibile al "nucleo essenziale" del narrato di (OMISSIS) sia oggetto di ricostruzioni marcatamente differenti, rispetto a cui le due sentenze di merito offrono giustificazioni diverse. 4.1. Alla luce di quanto osservato, dunque, la chiamata in correita' di (OMISSIS) non puo' ritenersi adeguatamente riscontrata; sicche' occorre verificare l'idoneita' probatoria della chiamata in reita' de relato dallo stesso compiuta, che ha ad oggetto l'esecuzione del duplice delitto, del quale, secondo lo stesso collaboratore, (OMISSIS) non era stato in origine incaricato. Ruolo di esecutore materiale che viene riportato anche da (OMISSIS), al quale (OMISSIS) l'avrebbe parimenti riferito. Dunque, l'elemento su cui entrambe le dichiarazioni concordano senza possibilita' di equivoci e' quello relativo al ruolo di esecutore svolto da (OMISSIS), nel duplice omicidio; ruolo che, pero', deriva, in entrambi i casi, da un racconto compiuto dallo stesso imputato. In altri termini, si e' in presenza di due confessioni stragiudiziali, rese in tempi diversi a un coimputato e a un terzo soggetto, con cui (OMISSIS), intratteneva, all'epoca delle confidenze, rapporti di amicizia, ma che non e' coinvolto nei fatti per cui e' processo, nemmeno, a quanto e' dato conoscere, nella forma del collegamento probatorio. Dunque, se non pare dubitabile che le due dichiarazioni siano indipendenti, non emergendo alcun concreto elemento che consenta di ricondurle a intese fraudolente tra soggetti che, da quanto e' emerso dalle sentenze di merito, non avevano rapporti e che avevano iniziato i rispettivi percorsi collaborativi "in contesti affatto diversi, anche sotto il profilo cronologico" (v. pag. 18 della sentenza di primo grado), deve pero' escludersi che dette dichiarazioni presentino una cd. autonomia genetica, non derivando le stesse da fonti di informazione diverse, quanto dal medesimo soggetto, individuabile in (OMISSIS). Tuttavia, e' appena il caso di osservare che il tema della autonomia genetica assume una rilevanza particolare rispetto alle chiamate in correita' o in reita' de relato, in relazione alle quali la sua mancanza non consente di validare, sotto il profilo probatorio, il giudizio di attendibilita' estrinseca del narrato; mentre nel caso di una confessione stragiudiziale entrata nel processo attraverso una testimonianza indiretta, essa costituira' una semplice circostanza rientrante, insieme ad altre, nella sfera del c.d. libero apprezzamento del giudice (cfr. Sez. 5, n. 32906 del 31/05/2007, Capriati, Rv. 237117 - 01). Invero, il metodo di verifica della testimonianza indiretta implica una doppia valutazione, essendo necessario stabilire non soltanto l'attendibilita' intrinseca, soggettiva e oggettiva, del dichiarante in relazione al fatto storico della narrazione percepita (in questo caso dall'imputato), ma anche l'attendibilita' della fonte primaria di conoscenza e la genuinita' del suo narrato, che integra l'elemento di prova piu' significativo del fatto da accertare. Ne consegue che se alle dichiarazioni dei due collaboratori puo' annettersi, complessivamente considerate, la capacita' dimostrativa del fatto storico costituito dal riconoscimento della propria responsabilita' da parte dell'imputato, cio' non esaurisce l'ambito dell'accertamento del giudice di merito. In altri termini, se le due dichiarazioni conducono a ritenere dimostrato che (OMISSIS), in un preciso momento storico, aveva affermato, davanti a soggetti con cui intratteneva buoni rapporti ( (OMISSIS)) o verso cui aveva addirittura sentimenti di amicizia ( (OMISSIS)), di essere l'autore del duplice omicidio, cio' tuttavia non significa che le stesse dichiarazioni siano di per se' sufficienti a provare anche il contenuto della ammissione confessoria da parte dell'imputato, essendo al contrario necessario, come gia' ricordato, che i(giudice di merito la faccia oggetto di una ulteriore valutazione, riguardante il dichiarato "in se'" e nel contesto dei fatti e degli altri elementi di giudizio acquisiti in istruttoria, al fine di accertarne la veridicita'. Nel caso in esame, tuttavia, questa doppia valutazione non risulta compiuta. In particolare, per quanto concerne il racconto di (OMISSIS), la Corte territoriale si e' soffermata soprattutto sulla questione della credibilita' del dichiarante, in rapporto alla concreta possibilita' che egli avrebbe avuto di ricevere la confidenza da parte dell'imputato, nonche' sulla compatibilita' delle sue dichiarazioni rispetto alla narrazione dell'altro collaboratore, coerentemente con il ruolo, al medesimo assegnato dai Giudici di merito, di elemento di riscontro della chiamata di (OMISSIS). E', dunque, mancata un'analisi approfondita di quel contenuto dichiarativo, volta a verificare, con specifico riferimento al racconto di (OMISSIS), che esso riportava, la tenuta sul piano logico e la compatibilita' con il complesso degli elementi acquisiti all'esito dell'istruzione dibattimentale. Una indagine che dovra' essere, dunque, compiuta, in sede di rinvio, ovviamente anche in relazione a quanto riferito dall'altro collaboratore~ con riferimento alla partecipazione di (OMISSIS), alla âââEurošÂ¬Ã‹Å"ndrangheta, al ruo(o e ai compiti che, per tale motivo, sarebbe stato possibile attribuirgli e, soprattutto, alle concrete modalita' esecutive del delitto. E cio' anche al fine della valutazione della sussistenza delle circostanze aggravanti, in particolar modo quella attinente alla premeditazione, la quale, presupponendo l'esistenza di un significativo arco temporale tra il momento deliberativo e quello esecutivo, presuppone, di necessita', una non imprecisa collocazione temporale del primo. Cio' che, una volta ritenute non sufficientemente riscontrate le dichiarazioni di (OMISSIS), circa il mandato conferito a (OMISSIS), impone, parimenti, un ulteriore vaglio in sede rescissoria. 5. Dall'accoglimento del primi due motivi consegue che i restanti motivi del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) devono ritenersi assorbiti, ancorche' non preclusi nella loro eventuale riproposizione. Del pari deve ritenersi assorbito anche il ricorso proposto dal Procuratore generale, fermo restando che, anche in questo caso, le relative questioni non possono ritenersi precluse nell'ambito del successivo giudizio di rinvio. 5.1. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere accolto, sicche' la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rnvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Catanzaro.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 18/02/2021 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa TOSCANI EVA; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOCCI STEFANO, che ha chiesto la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari ha confermato la decisione emessa il 4 aprile 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sassari, all'esito di giudizio abbreviato (condizionato all'ascolto della teste (OMISSIS)), nei confronti di (OMISSIS), imputato del reato di cui agli articoli 110, 56, 575 c.p., articolo 577 c.p., comma 1, n. 4, per aver posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di (OMISSIS) (capo A), nonche' di quello di detenzione delle forbici (capo B) utilizzate per commettere detto reato. Le sentenze di merito hanno concordemente ricostruito gli avvenimenti del pomeriggio del (OMISSIS), ed evidenziato che l'accusato, dopo una lite occorsa in strada con la sua fidanzata (OMISSIS) nel corso della quale aveva minacciato la donna, intimato da (OMISSIS) (a sua volta sentimentalmente legato alla sorella di (OMISSIS), (OMISSIS)) di allontanarsi, dapprima aveva rivolto minacce anche a lui e alle due sorelle (OMISSIS), poi, con mossa fulminea, lo aveva ripetutamente colpito con una forbice procurandogli numerose ferite da punta e taglio al torace, alle spalle e sui fianchi. A tale ultimo proposito la sentenza di primo grado ha richiamato la comunicazione di notizia di reato del Nucleo operativo della Compagnia dei Carabinieri di Sassari, la cartella clinica del locale nosocomio, gli esiti della consulenza medico legale espletata sulle lesioni patite dalla persona offesa dando atto delle seguenti circostanze: 1) al momento del trasporto presso il pronto soccorso, (OMISSIS) presentava numerose ferite da taglio penetranti, con piccolo tramite di accesso al torace (emitorace destro posteriormente anteriormente), nonche' regione dorsale e sul fianco sinistro; 2) una volta giunta al pronto soccorso fu diagnosticato pneumotorace destro con ferita aperta nel torace che fu immediatamente trattata con drenaggio intercostale, con prognosi riservata; 3) le plurime ferite da taglio riportate (sul tronco, in sede sottoclaveare e pettorale, in zona iliaca, in regione scapolare destra e dorso-lombare) erano certamente idonee a cagionare la morte, sia per l'obiettiva circostanza che le forbici erano state impiegate come fossero un coltello (cioe' impugnate saldamente con piu' dita flesse serrate attorno agli occhielli), quindi con completa esposizione delle componenti metalliche e soprattutto con le lame, lunghe 7 cm, reciprocamente accostate, sia per la particolare forza impressa nello sferrare i colpi (desunta dalla circostanza che le stesse erano deformate sull'asse longitudinale), sia infine per la pluralita' dei colpi e per le sedi corporee attinte. Si tratto' - per i giudici di merito - di un'aggressione che trovava la propria futile ragione nel risentimento provato dall'imputato nei confronti di (OMISSIS) per la ritenuta sua indebita intromissione tanto in occasione della lite occorsa con la fidanzata (OMISSIS) quello stesso giorno, quanto, piu' in generale, nella loro relazione sentimentale che egli avvertiva come osteggiata da (OMISSIS) stesso e dalla fidanzata di quest'ultimo, (OMISSIS). Le sorelle (OMISSIS) e la persona offesa hanno concordemente dichiarato che quel pomeriggio (OMISSIS) aveva chiamato al telefono il ricorrente, che non aveva accettato la fine della relazione sentimentale, per tentare una composizione bonaria della situazione, i due si erano incontrati nel cortile condominiale dell'abitazione e, alle richieste di (OMISSIS) di allontanarsi e di "lasciare in pace (OMISSIS)", (OMISSIS) aveva estratto dalla tasca dei pantaloni un paio di forbici e si era avventato su questi colpendolo ripetutamente, fino a quando un passante era intervenuto riuscendo a separare i due uomini. Il numero di fendenti inferti (una ventina), i distretti corporei attinti (anche in zone vitali, considerato che la zona polmonare e sottoclaveare attinte sono sede di passaggio di vasi di grosso calibro, quali l'arteria e la vena ascellare destra), la forza impressa a ciascuno dei colpi tanto da determinare la deformazione dello strumento da punta e taglio, la distanza ravvicinata tra aggressore e vittima costituivano - ad avviso dei giudici di merito - prova certa dell'animus necandi, nella forma del dolo alternativo, da ascriversi all'imputato ritenuto responsabile, dunque, tanto del tentato omicidio che del porto dell'arma. La ricostruzione del fatto nei termini sin qui sunteggiati consentiva, inoltre, di respingere la richiesta difensiva del riconoscimento dell'attenuante della provocazione, in considerazione della obiettiva circostanza che fu l'imputato a recarsi armato presso l'abitazione della vittima, sicche' colui che versa consapevolmente in una situazione illecita non puo' invocare l'attenuante della provocazione anche ove il suo comportamento sia stato cagionato da un precedente fatto dell'avversario. 2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso (OMISSIS), per il tramite del suo difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento e adducendo quattro motivi a sostegno dell'impugnazione. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione degli articoli 132, 133 e 192 c.p.p. e articoli 40, 56, 575, 52 e 55 c.p. e vizi di motivazione, in punto di valutazione del materiale probatorio. Il ricorrente - dopo avere (da p. 8 a p. 23) riassunto le fonti di prova poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' da parte del giudice di primo grado e, sia pure in sintesi, il ragionamento probatorio con il quale la Corte d'appello e' addivenuta alla conferma della stessa - ha lamentato una lettura delle prove in chiave esclusivamente accusatoria, con immotivata valutazione di inattendibilita' della versione alternativa fornita dall'imputato e confermata dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e con altrettanto ingiustificata valutazione di piena attendibilita' della parola della persona offesa e della fidanzata (OMISSIS) che, al contrario, hanno pacificamente mentito su una circostanza rilevantissima e, segnatamente, quella della presenza di un fucile subacqueo portato sulla scena dei fatti proprio da (OMISSIS). Una rilettura dell'intero materiale probatorio, anche alla luce delle dichiarazioni dell'imputato e di (OMISSIS), consentirebbe di escludere il dolo di omicidio in capo al ricorrente che, dunque, dovrebbe rispondere del solo reato di lesioni personali ovvero riconoscere nei suoi riguardi la scriminante della legittima difesa, anche sotto il profilo dell'eccesso colposo. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di riconoscimento dell'aggravante dei futili motivi e di mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione. Quanto all'aggravante, ritiene la difesa che la vendetta in se' non suscita nei consociati quel senso di ripugnanza e disprezzo richiesta per la configurabilita' dei futili motivi e che, in ogni caso, la circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati causa della rottura della relazione sentimentale tra (OMISSIS) e il ricorrente e' stata confermata proprio da quest'ultimo. Certamente sussiste la provocazione, riscontrabile proprio tanto nella illegittima intromissione della vittima nel rapporto affettivo tra il ricorrente e la sua fidanzata, quanto negli insulti e nelle minacce rivolti in occasione della lite che avevano determinato nel ricorrente un impulso emotivo incontenibile. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di qualificazione delle forbici come arma impropria. Il ricorrente, fumatore, recava con se' delle semplici forbici da tabacco comunemente usate per il taglio di sigari e sigarette che, pertanto, egli portava sulla scorta di un giustificato motivo. 2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di dosimetria della pena. La pena di sei anni di reclusione, determinata partendo da una pena base in misura superiore al minimo edittale, e' eccessivamente rigorosa e ingiusta, frutto di una non corretta valutazione della condotta del ricorrente. 3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso prospetta questioni generiche o manifestamente infondate, nessuna delle quali, dunque, supera il bagno di ammissibilita'. E', al riguardo, opportuno premettere che devono ritenersi non consentite, anche per aspecificita', le doglianze volte a riformulare questioni gia' esposte, vagliate e disattese sulla scorta di congrua motivazione nel giudizio di merito, orientate a sollecitare una valutazione alternativa delle fonti di prova e una rivisitazione meramente fattuale, improponibile e preclusa in sede di legittimita'. In molte parti il ricorso mira a ottenere un non consentito sindacato sulla congruita' di scelte valutative del compendio storico-fattuale, adeguatamente motivate e giustificate da entrambi i giudici di merito. 2. Appare ictu oculi sprovvista di qualsivoglia fondamento la critica mossa ai giudici di appello per avere confermato la ricostruzione fattuale e l'inquadramento giuridico della condotta del ricorrente sulla scorta della parola della persona offesa e della fidanzata (OMISSIS), immotivatamente dequotando la versione alternativa dell'imputato, asseritamente corroborata dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in occasione dell'escussione nel giudizio di primo grado. 2.1. Quanto al primo aspetto, relativo alla ricostruzione del fatto, il giudice di appello ha chiarito con motivazione non manifestamente illogica le ragioni per le quali la vicenda doveva essere ricostruita sulla scorta delle convergenti dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalla teste (OMISSIS) e da quelle rese nell'immediatezza dei fatti da (OMISSIS). Sul punto la Corte territoriale ha in primo luogo evidenziato come dovesse ritenersi pacifico, alla luce delle risultanze investigative, che i rapporti pregressi tra l'imputato e i componenti della famiglia della fidanzata fossero pessimi e di reciproca mal sopportazione, e che il ricorrente nutrisse, soprattutto nella fase immediatamente precedente i fatti oggetto del processo, un profondo risentimento nei confronti di costoro, ritenuti responsabili della rottura della relazione sentimentale. Era del pari ritenuto acclarato che lo scontro fisico tra il ricorrente e (OMISSIS) era stato preceduto da un litigio verbale avvenuto al telefono pochi minuti prima, nel corso del quale gli interlocutori si erano scambiati minacce reciproche, dandosi appuntamento sotto casa di (OMISSIS), appuntamento al quale il ricorrente si era presentato armato di un paio di forbici. I giudici di merito si sono poi fatti carico di superare la divergenza piu' significativa nella versione dei fatti offerta dei protagonisti della vicenda, ovverosia quella concernente la presenza o meno sulla scena del crimine di un fucile subacqueo, nonche' quelle relative alla prima fase della colluttazione tra il ricorrente e (OMISSIS). E, infatti, l'imputato, sia nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, sia in sede di giudizio abbreviato, ha sostenuto di essersi recato a casa della fidanzata con l'intento di trovare una soluzione pacifica, che gli eredi e (OMISSIS) erano invece scesi in strada armati di un fucile subacqueo carico che gli era stato puntato ripetutamente in direzione del volto, che quando stava per allontanarsi spontaneamente da quel luogo (OMISSIS) gli aveva scagliato contro un sasso e l'aveva inseguito, sicche' ne era nata una colluttazione. Ha aggiunto che, nel corso della stessa, al solo fine di non essere sopraffatto, aveva utilizzato le forbici che aveva portato con se'. Anche (OMISSIS), che nell'immediatezza dei fatti non aveva riferito nulla sul punto, aveva poi sostenuto, in occasione delle dichiarazioni rese in sede d'investigazioni difensive e della testimonianza resa nel giudizio abbreviato, che (OMISSIS) e la sorella erano effettivamente armati di un fucile subacqueo, con il quale avevano minacciato (OMISSIS). Diametralmente opposte sono state le dichiarazioni rese da (OMISSIS) che, pur avendo ammesso in sede di esame nel corso del giudizio abbreviato di aver portato fuori dall'abitazione il fucile subacqueo, aveva negato che lo stesso fosse stato impiegato per minacciare in alcun modo il ricorrente. Ebbene, con motivazione non manifestamente illogica, i giudici di merito hanno ritenuto che (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero reso dichiarazioni mendaci per una serie di argomentazioni di ordine logico e fattuale: 1) la tesi difensiva dell'incontro pacificatore era contrastata dalla obiettiva circostanza che l'imputato si era recato sul posto armato; 2) anche ove la persona offesa avesse effettivamente imbracciato il fucile subacqueo e l'avesse utilizzato per minacciare il ricorrente, sarebbe implausibile che questi, armato di un'arma micidiale, avesse rinunciato a tale posizione di vantaggio, decidendo di ingaggiare una colluttazione a mani nude con l'avversario con esiti incerti. Del pari e' inverosimile l'ipotesi che il ricorrente, a fonte di minacce esercitate con una micidiale arma, avesse deciso di affrontare (OMISSIS) in un "corpo a corpo"; 3) le lesioni erano state riportate esclusivamente da (OMISSIS), mentre sul ricorrente non era stata riscontrata alcuna traccia di violenza che, al contrario, avrebbero dovuto essere ben visibile se, come ha dichiarato lo stesso imputato, egli fu aggredito brutalmente tanto da temere per la propria vita e reagire con l'uso dell'arma; iv) del tutto fantasiosa era stata ritenuta la ricostruzione operata dal ricorrente nella parte in cui aveva narrato dell'intervento di terzi soggetti in ausilio alla persona offesa. Piuttosto va detto che l'unico testimone terzo, (OMISSIS), cugino di (OMISSIS), trovatosi casualmente a passare immediatamente dopo la fine della colluttazione, raccolse le immediate e convergenti narrazioni della persona offesa e delle sorelle (OMISSIS) sulla scaturigine dell'episodio e sul suo svolgimento; 5) quanto alle dichiarazioni di (OMISSIS), se ne evidenziava l'epoca in cui erano state rese, coeva alla ripresa della relazione sentimentale con l'imputato, sicche', con motivazione scevra da illogicita' e aporie, la Corte aveva tratto la conclusione che si trattasse di una comune versione difensiva volta ad alleggerire la posizione processuale di (OMISSIS). 2.2. Quanto all'ulteriore censura contenuta nel primo motivo, la stessa si appalesa infondata. Alle notazioni gia' richiamate in parte narrativa basti aggiungere che i giudici di appello hanno svolto un'analisi completa di tutti gli elementi connotanti la fattispecie che, intesi complessivamente e in via sistemica, hanno condotto alla corretta qualificazione del fatto in termini di tentato omicidio. Sul punto la Corte territoriale ha valutato in modo logicamente adeguato la sussistenza sia dell'elemento strutturale, sia dell'elemento psicologico, mediante la verifica specifica dei profili dell'idoneita' e dell'univocita' in senso omicidiario dell'azione posta in essere da (OMISSIS), alla luce anche della valutazione critica dei dati scaturenti dalla consulenza medico-legale, che ha corroborato tale qualificazione. Sul piano oggettivo, la concreta idoneita' e univocita' direzionale degli atti e' stata motivatamente desunta dal tipo e dalla natura del mezzo adoperato, dalla violenta raffica di coltellate inferte (una ventina), dalle parti del corpo attinte (si e' gia' detto in zone vitali), dalla natura e dalla gravita' delle lesioni: elementi che sono stati valutati come concretamente idonei a determinare la morte dell'aggredito, consapevolmente e volontariamente perseguita dall'imputato. Sull'argomento non puo' non riaffermarsi il principio secondo cui, in ordine alla verifica dei requisiti del delitto tentato, l'idoneita' degli atti non va valutata con riferimento a un criterio probabilistico di realizzazione dell'intento delittuoso, bensi' in relazione alla possibilita' che alla condotta consegua lo scopo che l'agente si propone, configurandosi di conseguenza un reato impossibile per inidoneita' degli atti, ai sensi dell'articolo 49 c.p., in presenza di un'inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l'azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto e' stato originariamente voluto dall'agente, risulti del tutto priva della capacita' di attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, Mileto, Rv. 272810 - 01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L. M., Rv. 264567 - 01; Sez. 2, n. 36295 del 22/09/2005, Balestrazzi, Rv. 232529 - 01). Di conseguenza, anche in tema di delitto tentato, l'accertamento dell'idoneita' degli atti deve essere compiuto dal giudice di merito secondo il criterio di prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava all'imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv.277032). A tale principio si e' esattamente conformata la decisione impugnata, senza che il ricorrente abbia svolto argomenti idonei a destrutturarne in qualche misura l'assetto argomentativo. Ugualmente non merita censure la congrua motivazione resa dai giudici di merito in punto di avvenuto riscontro del dolo omicidiario. La sentenza non si espone a critiche sul punto della prova del dolo nel reato tentato oggetto di disamina, posto che la sussistenza del dolo nel delitto di tentato omicidio puo' desumersi, in mancanza di attendibile confessione, dalle peculiarita' intrinseche dell'azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza. Invero, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, tale prova ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialita' offensiva, siano i piu' idonei a esprimere il fine perseguito dall'agente: sicche', ai fini dell'accertamento della sussistenza dell'animus necandi, assume valore determinante l'idoneita' dell'azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post ma con riferimento alla situazione che si presentava all'imputato ex ante, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Polisi, Rv. 257208). La sussistenza della volonta' omicidiaria nel caso che ci occupa e' stata desunta, in ossequio al principio di diritto sopra enunciato, attraverso un procedimento inferenziale, da fatti certi, aventi un sicuro valore sintomatico e idonei ad esprimere il fine perseguito da (OMISSIS). Vengono qui in rilievo lo strumento impiegato, la dinamica dell'azione, il distretto anatomico attinto, sede di organi vitali, la reiterazione dei colpi, la distanza ravvicinata e la forza impressa dall'aggressore nello sferrare i molteplici fendenti, molti dei quali inferti su piani ossei, senza penetrare con conseguenze devastanti; si tratta di elementi che, complessivamente considerati, sono stati posti convincentemente a fondamento di un dolo quantomeno alternativo, caratterizzato dalla rappresentazione e volonta', indifferentemente, dell'uno o dell'altro degli eventi (morto ovvero lesioni) causalmente ricollegabili alla condotta del soggetto agente. 3. Passando alla disamina del secondo motivo, in via preliminare deve osservarsi l'inammissibilita' della parte di doglianza inerente alla sussistenza dell'aggravante dei futili motivi che, per vero, la difesa fa oggetto di censura aspecifica, sostanzialmente ricollegandola al tema - di cui si dira' appresso dell'attenuante della provocazione. L'inammissibilita' discende non solo dalla genericita' del motivo, ma dalla circostanza che si tratta di questione non dedotta con i motivi di appello, come richiamati nella sentenza della Corte territoriale, la cui completezza rispetto alle deduzioni avanzate dall'imputato in secondo grado non e' stata revocata in dubbio. La sua ammissibilita' e', quindi, preclusa dal disposto di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 3. In tema di ricorso per cassazione, la regola desumibile dal combinato disposto dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, e articolo 609 c.p.p., comma 2, - secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello - trova la sua ratio nella necessita' di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo a un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice di appello, perche' non segnalato con i motivi di gravame, punto su cui, quindi, il giudice di secondo grado abbia correttamente omesso di pronunziarsi in quanto esso non era stato devoluto alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577 - 01; Sez. 4, n. 10611 del 4/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv. 256631 - 01). In tal senso, il limite desumibile dalla disciplina indicata, in ordine alla non deducibilita' con il ricorso per cassazione di questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di gravame, e' posto per evitare il rischio che in sede di legittimita' sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento a un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per il solo fatto che lo stesso sia stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 - 01), salvo che la proposizione delle questioni non sollevate prima non costituisca l'effetto della diretta controdeduzione agli argomenti nuovi, enunciati "a sorpresa" dal giudice dell'impugnazione di merito in funzione risolutiva, allorche', per l'assoluta imprevedibilita' della loro rilevanza, tali questioni rientrino tra quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, come tali oggetto di ammissibile delibazione dalla Corte di Cassazione, ai sensi dell'articolo 609 c.p.p., comma 2, (Sez. 3, n. 35494 del 17/06/2021, Razzauti, Rv. 281852 - 01). Quanto alla parte del secondo motivo con cui si e' censurata la sentenza impugnata per la conferma del diniego della circostanza attenuante della provocazione, le deduzioni difensive si infrangono sull'accertamento di merito in base a cui, nella ricostruzione dei fatti descritta, era stato (OMISSIS), dopo il confronto telefonico avuto con (OMISSIS), a recarsi all'incontro con questi armato di forbici. Attese le connotazioni che avevano caratterizzato la progressione minacciosa e violenta scrutinata, la Corte territoriale ha negato il riconoscimento agli imputati della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 2, facendo corretto governo del principio di diritto secondo cui non puo' essere invocata l'attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l'agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni; cio' perche', piu' in generale, si esorbita dall'ambito dell'attenuante in esame li' dove l'esistenza di pregressi contrasti tra autore del fatto e vittima abbia progressivamente condotto a reciproche aggressioni e ripicche in termini tali da non consentire l'attribuzione all'uno o all'altra di uno specifico fatto ingiusto quale causa immediata della reazione (Sez. 5, n. 27698 del 04/05/2018, B., Rv. 273556 - 01; Sez. 5, n. 42826 del 16/07/2014, P. Rv. 261037 - 01; Sez. 1, n. 26847 del 01/07/2010, Rabita, Rv. 247720 - 01). In connessione con questa considerazione, va del resto ribadito che il fatto di accettare o di portare una sfida per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo a un risentimento impedisce l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per l'illiceita' del comportamento di sfida, seppur occasionato da un precedente fatto dell'avversario (Sez. 5, n. 12045 del 16/12/2020, dep. 2021, Rv. 281137 - 03; Sez. 1, n. 16123 del 12/04/2012, Samperi, Rv. 253210 - 01). Il motivo e' da ritenersi, di conseguenza, infondato. 4. Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili. Ricordato che le forbici utilizzate per l'aggressione sono pacificamente considerate arma da punta e taglio e di esse e' sufficiente un porto senza giustificato motivo per la configurabilita' della contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4, devono qui richiamarsi le argomentazioni gia' svolte in merito all'inammissibilita' della censura che non sia stata precedentemente dedotta con l'atto di appello. Non merita considerazione alcuna la censura in relazione alla dosimetria della pena, denunciata come immotivatamente e illogicamente eccedente il minimo edittale per la prima volta nel ricorso per cassazione e, come tale, non consentita. La censura, in ogni caso, omette di considerare che il primo Giudice ha dato contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dal mimino edittale, precisando che si tratta di delitto tentato relativamente a fattispecie punibile con la pena dell'ergastolo (stante l'aggravante dei motivi futili) e che la pena minima, ai sensi dell'articolo 56 c.p., avrebbe dovuto essere quella di dodici anni di reclusione. Va rimarcato che i giudici di merito hanno stimato equa la pena base di otto anni e dieci mesi di reclusione, indicando le ragioni poste a fondamento dell'allontanamento dal minimo edittale e dei riferimento, quale parametro di valutazione della misura della pena, al medio edittale, cosi' correttamente esercitando la discrezionalita' loro affidata in tema di determinazione della pena e giustificando in modo congruo la scelta dosimetrica adottata. 6. Per le considerazioni svolte, l'impugnazione e', nel suo complesso, inammissibile. Alla pronuncia d'inammissibilita' segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all'impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000) - al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione dell'insieme delle questioni dedotte e valutato il contenuto dei motivi, si stima equo determinare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. BRUNO Mariarosar - rel. Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Ange - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso a sentenza del 23/09/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, a seguito di giudizio svoltosi nelle forme del rito abbreviato, ha riformato quoad poenam la pronuncia resa dal Tribunale di Padova nei confronti di (OMISSIS), confermando la penale responsabilita' dell'imputato in ordine ai reati di guida in stato di ebbrezza e di alterazione conseguente all'uso di sostanze stupefacenti, aggravati dall'avere commesso il fatto in orario notturno e dall'avere provocato un incidente stradale. 2. L'imputato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, formulando i motivi di doglianza di seguito indicati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, siccome disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 187 C.d.S., comma 1; contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione in relazione a specifici atti del processo (verbale di Pronto soccorso, risultati degli esami tossicologici). La difesa si duole della motivazione offerta dai giudici di merito in ordine al ritenuto stato di alterazione dell'imputato mentre si trovava alla guida dell'autovettura. Tale stato, evidenzia, non puo' essere semplicemente desunto dalla circostanza che egli fosse uscito di strada, scontrandosi contro un muro di recinzione, e neppure dall'anamnesi riportata nella cartella dell'ospedale in cui fu ricoverato, dove si legge che il ricorrente pronunciava "parole confuse". Il suo eloquio scomposto avrebbe dovuto essere attribuito alla esclusiva assunzione di alcol ed al trauma patito in seguito all'incidente occorso. Difetterebbe, dunque, un elemento costitutivo de reato. Del tutto generiche risultano le conclusioni a cui e' pervenuto il perito nominato nel giudizio di primo grado, Dott.ssa (OMISSIS). L'opinione espressa dal perito e' basata su dati teorici, non agganciati alla realta' del caso. Il perito confonde anche i riferimenti temporali risultanti dagli atti, affermando che il (OMISSIS) sarebbe stato soccorso alle ore 5,00 e che il prelievo fu effettuato alle ore 6,20. Risulta invece dagli atti come l'imputato sia stato soccorso alle ore 3,15, il che lascia evidentemente ritenere che l'incidente sia avvenuto ancora prima. Pertanto, il momento a cui riferirsi per verificare lo stato di alterazione risaliva ad oltre tre ore prima rispetto al prelievo. Non si comprende da quale elemento il perito abbia tratto il convincimento che il prelievo fosse stato effettuato alle ore 6,20. Dalla cartella clinica acquisita agli atti risulta praticata, alle ore 6,36, una iniezione di sostanze terapeutiche. Il risultato delle analisi ha rivelato la presenza di ketamina, pertanto il prelievo che interessa in questa sede deve essere stato effettuato dopo la somministrazione della sostanza, l'ultima delle quali e' avvenuta alle ore 6,32. Il ricorrente deve essersi posto alla guida del veicolo subito dopo l'assunzione della sostanza stupefacente, nel lasso temporale in cui lo stupefacente non aveva ancora prodotto effetti. Alla stregua di tali elementi, deve ritenersi non provato lo stato di alterazione. 2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 186 C.d.S., commi 2-bis e 5 e articolo 187 C.d.S., comma 4; contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Contrariamente a quanto sostenuto in motivazione dalla Corte di merito, il ricorrente, al suo arrivo in Pronto soccorso, era cosciente e non intubato. Il prelievo ematico, effettuato a fini probatori per la ricerca di alcol e sostanze stupefacenti su richiesta della Polizia giudiziaria, e' stato praticato senza il consenso dell'interessato. Il certificato di analisi comprovante la presenza di alcol e cocaina sarebbe affetto da inutilizzabilita' patologica perche' assunto contra legem, in violazione del diritto costituzionalmente garantito della inviolabilita' della persona, non sanata dalla scelta del rito abbreviato. Non vi e' prova che l'accertamento sia stato eseguito su prelievi effettuati nell'ambito del protocollo sanitario; al contrario, dal compendio probatorio in atti si desume che gli accertamenti disposti per la ricerca di alcol e sostanze stupefacenti furono eseguiti esclusivamente per finalita' probatorie. 3. il Procuratore generale presso Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi di doglianza risultano infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato. La motivazione e' sostenuta da coerente apparato argomentativo sotto ogni profilo dedotto dalla difesa. 2. Quanto al primo motivo di ricorso, si osserva quanto segue. Lo stato di alterazione in cui versava il ricorrente all'atto della guida, conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti e' stato ritenuto esistente sulla base di argomentazioni logiche, in alcun modo suscettibili di essere censurate in questa sede. La dimostrazione e' stata desunta dal risultato del certificato di analisi e dei chiarimenti forniti dal perito nominato, corroborati dalla dinamica del sinistro, dalla circostanza che nel certificato di Pronto soccorso e' riportato che il prevenuto avesse un eloquio confuso, dalla circostanza che il ricorrente recasse seco, all'interno del portafoglio, un involucro contenente cocaina. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, si tratta di elementi indiziari idonei a contribuire validamente alla formazione del convincimento dei giudici ai fini che qui interessano. Che lo stato confusionale in cui versava l'imputato al momento dell'arrivo in Pronto soccorso fosse attribuibile unicamente alla mera assunzione di alcool ed allo stato di agitazione dovuto all'incidente occorso e' circostanza che attiene al merito. Si tratta di considerazioni che prospettano una diversa interpretazione del fatto e che non possono formare oggetto di delibazione in sede di legittimita'. Come e' noto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601). La critica alla ricostruzione cronologica dei fatti effettuata dal perito non e' suscettibile di incrinare il discorso giustificativo. Alla stregua di quanto indicato in motivazione e di quanto si ricava dalla produzione documentale allegata dalla stessa difesa al ricorso, il perito, provvedendo ad una disamina dettagliata degli esiti degli esami laboratoriali, confermava che l'assunzione di stupefacente era avvenuta poche ore prima del prelievo a cagione della elevata presenza nel sangue di cocaina, cocaetilene e benzoilecgonina. Quanto alla collocazione temporale del prelievo, a Corte di merito, con argomentare logico, ha osservato che il prelievo e' intervenuto alle ore 6,15, desumendo tale circostanza dall'annotazione in cartella della richiesta pervenuta dalla polizia giudiziaria, orario di poco successivo alla prima somministrazione di Ketamina, avvenuta alle ore 6,13 (cfr. pag. 3 della motivazione). Lo stato di alterazione e' stato confermato dal perito escusso in dibattimento, il quale ha concluso affermando che le condizioni inabilitanti per la guida rispetto al prelievo erano tali anche una o due ore prima, stimando l'assunzione di sostanza stupefacente "recente" ma non "recentissima" rispetto all'accertamento ematico. Tutto cio' ha indotto i giudici a ritenete che: valutata come recente se non recentissima l'assunzione della sostanza stupefacente da parte del perito, essendo pacifico che essa non puo' essere successiva al sinistro, lo stato di alterazione doveva essere rilevante e vicino al picco in concomitanza con l'ultima condotta di guida. Del resto l'imputato e' stato trovato con un involucro contenente cocaina nel portafogli (cfr. pag. 2 della c.n.r. C.C. di Trebaseleghe del 21.6.2019), segno che corrobora il recente consumo della sostanza attestato dai valori ematici valorizzati nella valutazione peritale". Il fatto che il sinistro stradale sia avvenuto all'incirca alle ore 3,00, non esclude la validita' di quanto sostenuto dalla Corte di merito alla luce delle dichiarazioni fornite dal perito, il quale, si esprime in termini approssimativi in ordine al preciso momento dell'assunzione della sostanza. E, d'altro canto, lo stato confusionale osservato all'arrivo in Pronto soccorso e la stessa dinamica del sinistro stradale (fuoriuscita autonoma del veicolo dalla sede stradale con schianto contro un muro di recinzione) avvalorano la logicita' dell'assunto dei giudici di merito in ordine alla condizione di alterazione asseverata dal perito sulla base degli accertamenti ematici. 3. Del pari infondato e' il secondo motivo di ricorso. Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' "In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell'obbligo di dare avviso della facolta' di farsi assistere da un difensore di fiducia al conducente da sottoporre a prelievo ematico presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico esclusivamente su richiesta dalla polizia giudiziaria, determina una nullita' di ordine generale a regime intermedio che puo' essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto dell'articolo 180 c.p.p. e articolo 182 c.p.p., comma 2, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado ma che deve ritenersi sanata, ai sensi dell'articolo 183 c.p.p., qualora l'imputato formuli una richiesta di rito abbreviato" (ex multis Sez. 4, n. 40550 del 03/11/2021, Martini, Rv. 282062 - 01). Quanto al consenso al prelievo, su cui si appuntano i rilievi difensivi, secondo orientamento consolidato di questa Corte, in tema di guida in stato di ebbrezza, principio estensibile alla guida in stato di alterazione dipesa dall'assunzione di stupefacenti, l'assenza di esplicito consenso al prelievo ematico non e' causa di inutilizzabilita', avendo rilievo unicamente l'esplicito dissenso (cfr. Sez. 4, n. 27107 del 1519/2020, Tedesco, Rv. 280047 - 01: "In tema di guida in stato di ebbrezza, la mancanza del consenso al prelievo di campioni biologici compiuto su richiesta della polizia giudiziaria presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma ai fini dell'accertamento del tasso alcolemico, non e' causa di inutilizzabilita' degli esami compiuti, posto che la specifica disciplina dettata dall'articolo 186 C.d.S., nel dare attuazione alla riserva di legge stabilita dall'articolo 13 Cost., comma 2, non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento"; Sez. 4, n. 43217 del 08/10/2019, Monti, Rv. 277946-01:"In tema di guida in stato di ebbrezza, il prelievo di campioni biologici (sangue ovvero urine e saliva) compiuto presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma esclusivamente su richieste della polizia giudiziaria, al solo fine di accertare il tasso alcolemico del soggetto per la ricerca della prova della sua colpevolezza, non richiede uno specifico consenso dell'interessato, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento. (In motivazione la Corte ha precisato che resta ferma la possibilita' del rifiuto dell'accertamento, penalmente sanzionata)"). 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. RICCI Anna Luisa Angel - Consigliere Dott. CIRESE Marina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/09/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DOVERE SALVATORE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita'; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BARI in difesa di (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di LAMEZIA TERME in difesa delle PARTI CIVILI; il quale chiede conferma della sentenza della Corte Appello Catanzaro; deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione, sentenza Tribunale Catanzaro e procura speciale delle gia' costituite parti civili. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro nei confronti di (OMISSIS), giudicato responsabile del reato di omicidio colposo in danno di (OMISSIS) e pertanto condannato alla pena ritenuta equa e al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili. La Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) per essere reato a lui ascritto estinto per prescrizione e confermato le statuizioni civili. La vicenda dalla quale trae vita il presente procedimento attiene all'esito dell'intervento cardio-chirurgico al quale il 14 Febbraio 2012 la (OMISSIS) venne sottoposta, presso la clinica (OMISSIS), ad opera del dottor (OMISSIS), chirurgo operatore. A questi e' stato contestato di aver proceduto all'intervento di "Anulus plastica mitralica con Impianto di anello Carpentier Classic 26 mm. Procedura di Marze. IABI" - ovvero, principalmente, di sostituzione della valvola mitralica - in paziente con insufficienza mitralica di grado moderato, ovvero portatrice di patologia per le quali le vigenti linee guida prevedevano un trattamento farmacologico, e quindi di aver praticato un trattamento sanitario previsto dalle medesime linee guida solo per i casi di insufficienza mitralica di tipo moderato-severo o severo. Entrambi i giudici di merito sono pervenuti al convincimento che la (OMISSIS) forse portatrice di una insufficienza mitralica di grado moderato sulla scorta delle indicazioni offerte dal collegio di consulenti tecnici del pubblico ministero i quali, sulla base dell'ecocardiogramma eseguito sulla (OMISSIS) il 20 gennaio 2012 presso la stessa clinica (OMISSIS), avevano concluso per l'esistenza di una simile patologia. Infatti, nel referto di tale esame veniva menzionata una "ridotta captazione centrale condizionata rigurgito di grado moderato, centrale per origine e decorso". Tale dato e' stato ritenuto prevalente rispetto a quanto riportato nella cartella clinica redatta nell'imminenza de; ricovero il 12 Febbraio 2012, ad opera di soggetto non identificato, ovvero l'indicazione di una insufficienza mitralica degenerativa moderato-severo, e anche rispetto a quanto affermato dalla consulente tecnica della difesa, secondo la quale l'esame condotto il 20 gennaio 2012 era stato erroneamente refertato poiche', oltre a quanto emergente dall'ecocardiogramma, deve tenersi conto di quanto risulta dalla documentazione iconografica formata nel corso dell'esame stesso, dalla quale risulta una malattia della valvola mitralica di gravita' sicuramente maggiore rispetto a quanto evidenziato dal rilevamento doppler. 2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS). 2.1. Con un primo motivo lamenta il vizio della motivazione perche' la Corte di appello, pur avendo correttamente individuato il nucleo delle censure difensive, che si fondano sulla contestazione della valutazione fatta dai consulenti tecnici del pubblico ministero del referto sintetico dell'esame ecocardiografico del 20 gennaio 2012, ha sostanzialmente eluso il tema deviando il percorso motivazionale su altri aspetti, secondari o incontestati, anche facendo riferimento a dichiarazioni di tali consulenti rese nel corso di un'udienza precedente a quella riservata al consulente tecnico della difesa e pertanto rese in assenza della conoscenza della tesi che quest'ultimo avrebbe successivamente esposto. Il dottor (OMISSIS) ha argomentato circa l'insufficienza a fini diagnostici del mero referto sintetico dell'esame ecocardiografico, richiamando tutti gli ulteriori indici e fattori di rischio evidenziati dall'esame strumentale e identificabili attraverso la documentazione iconografica allegata al referto. Si trattava di elementi caratterizzati da elevato grado di tecnicismo, la cui confutazione avrebbe necessitato il vaglio di un esperto; dell'esame di tali argomentazioni non vi e' traccia nel provvedimento impugnato, tale non essendo l'affermazione della Corte di appello secondo la quale, per dare corso a una perizia dibattimentale, che era stata richiesta dalla difesa, sarebbero stati necessari elementi oggettivi idonei a dimostrare l'erroneita' del referto in questione, elementi che nella specie non si riscontrano. La Corte di appello ha opposto anche che la richiesta difensiva non trovava fondamento logico perche' nel caso di specie si era trattato di un esame strumentale la cui analisi e' per lo piu' dinamica, alludendo al fatto che il cuore e' un organo funzionalmente in costante movimento, sicche' e' difficile che le immagini possano risultare esaustive e fornire piu' informazioni del testo del referto del medico che ha eseguito l'esame. In tal modo la Corte di appello non ha colto che si chiedeva la valutazione di tutti gli elementi posti ad obbligatorio corredo delle immagini, quali misurazioni, frequenze, descrizione morfologica, parametri funzionali delle varie strutture, ed altro, che costituiscono il presupposto complessivo della refertazione sintetica Finale. Neppure costituisce motivazione pertinente il passo dove la Corte territoriale afferma che la tesi difensiva non convince e prosegue poi esaminando il non pertinente tema della sintomatologia della paziente. In conclusione, la motivazione sul punto decisivo proposto dalla difesa e' stata sostanzialmente omessa. Con un secondo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 192 e 431 c.p.p. e ancora il vizio di motivazione, con riferimento alla motivazione che la Corte ha reso al riguardo delle dichiarazioni della dottoressa (OMISSIS), cardiologa ed amica della (OMISSIS), che aveva confermato l'inidoneita' della terapia farmacologica e la necessita' di intervenire chirurgicamente. La Corte di appello ha ritenuto tali dichiarazioni, che rinviano alla diagnosi fatta da un altro medico, la dottoressa (OMISSIS), generiche ed imprecise, cosi' svalutandole a dato semplicemente indiziante. Orbene, secondo la difesa, tale valutazione presenta plurimi profili di illegittimita' perche' tali dichiarazioni sono state legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'articolo 431 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che esse hanno piena efficacia probatoria e non meramente indiziante. Inoltre, le dichiarazioni non sono generiche ed imprecise e rappresentano una seconda indicazione all'intervento, posto che confermano quella gia' data dalla dottoressa (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. Il tema posto dal ricorrente, in specie con il primo motivo, attiene alla (manifesta illogicita' della motivazione del giudice che, confrontandosi con cognizioni di carattere tecnico o specialistico, le confuta facendo ricorso ad argomenti che non gli vengono forniti da esperti. Nella sostanza, infatti, il ricorrente lamenta che la superfluita' di un approfondimento specialistico in merito al quadro clinico emergente dalle immagini poste a corredo dell'esame ecocardiografico eseguita il 20.1.2012 sia stata affermata sulla scorta di una asserita incapacita' di tali immagini di fornire piu' informazioni del testo del referto dei medico che ha eseguito l'esame; che la Corte di merito si sia sottratta ad una effettiva confutazione di quanto emerge dalle immagini, secondo la interpretazione fornitane dal consulente tecnico dell'imputato. Si tratta di censure pertinenti e che colgono il segno. In via di principio e' opportuno rammentare alcuni dei principi che, in tema di prova esperta, questa Corte ha elaborato a partire dalla sentenza Cozzini (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Rv. 248943). In particolare, e in considerazione di quanto rileva ai fini che qui occupano, occorre tener conto che il giudice, qualora si discosti dalle conclusioni del perito, e' tenuto a motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltreche' logici. Lo spazio operativo dei canoni della logica, nell'ambito della prova scientifica, si coglie ad esempio nella percezione dei dati storici. Proprio in tema di diagnosi medica e' stato rilevato che, poiche' l'"iter" diagnostico dei periti si sviluppa attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, ovverossia la percezione dei dati storici e il successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, e' su tale percezione che il giudice deve portare la sua indagine, discostandosi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basino su dati fattuali dimostratisi erronei che, viziando l'"iter" logico dei periti, rende inattendibili le loro conclusioni (Sez. 4, n. 37785 del 11/12/2020, Rv. 280165). Ma quando invece si tratti di informazioni specialistiche e della loro applicazione al caso concreto, non solo non e' possibile fare a meno del contributo dell'esperto. Esso rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l'accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l'utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare la perizia, non e' eludibile qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo. Ma al giudice e' allora richiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validita' dei diversi metodi scientifici in campo, della quale e' chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilita' di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un'altra (Sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, Rv. 274045). Tutto cio' non puo' avvenire per "scienza privata" o sulla scorta del mero buon senso. Nel caso di specie la Corte di appello ha ritenuto che la tesi difensiva fondata sull'interpretazione dell'immagine iconografica dell'ecocardiogramma non fosse ricevibile perche' questa era scaturita da un'analisi "dinamica" dell'organo; ha concluso che "e', dunque, molto difficile che delle immagini in fotogrammi possano risultare esaustive e fornire piu' informazioni del testo del referto del medico che ha eseguito l'esame". Si tratta di un'affermazione che non esibisce alcun supporto teorico e che urta le regole della logica, poiche' anche sulla base dell'immagine e' stato redatto il referto. D'altro canto, la Corte di merito attribuisce al referto una valenza assoluta, come se non fosse possibile un errore interpretativo o una diversa lettura del quadro organico. Al fondo vi e' che non si tratta di assegnare maggior valore al testo piuttosto che all'immagine ma di accertare quale fosse effettivamente il grado della patologia della (OMISSIS): moderato o severo. Quindi, da un verso, gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello per rigettare l'istanza di rinnovazione istruttoria con l'espletamento di perizia sono manifestamente illogici. Dall'altro, essi non si confrontano realmente con le indicazioni offerte dal consulente tecnico dell'imputato (riportate a pg. 7 e 13 della sentenza). Questi aveva spiegato le premesse scientifiche della sua conclusione e la Corte territoriale non le ha confutate. Ha esposto che la dichiarazione della Dott.ssa (OMISSIS), secondo la quale in un pregresso colloquio con la (OMISSIS) aveva confermato la diagnosi di insufficienza mitralica di grado moderato-severo fatta dalla Dott.ssa (OMISSIS) a seguito di esame ecocardiografico, non sosteneva la tesi difensiva perche' quelle dichiarazioni sono generiche, imprecise. Ha rammentato che i familiari della (OMISSIS) (persona di ottant'anni) avevano riferito di una vita attiva della stessa prima del ricovero, per la Corte incompatibile con una diagnosi di severita' della sua patologia. Si tratta di argomentazioni che eludono il nocciolo della questione, ovvero la idoneita' delle immagini e dell'altra documentazione a corredo del menzionato referto a rappresentare lo stato della malattia che affliggeva la (OMISSIS). Peraltro, poiche' la stessa Corte di appello afferma che, pur generiche ed imprecise, quelle dichiarazioni (dirette per una parte e de celato per altra) hanno valore indiziario, esse andavano valutate nel complesso degli elementi disponibili. E', quindi, fondato anche il rilievo del secondo motivo che lamenta la mancata valutazione di tali dichiarazioni, pur regolarmente acquisite al compendio probatorio. Mentre non e' condivisibile il rilievo del ricorrente di una violazione degli articoli 192 e 431 c.p.p.: non si tratta di disposizioni la cui violazione importa nullita' degli atti (cfr. Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Rv. 278196) e non e' neppure ravvisabile una violazione dell'articolo 431 c.p.p. posto che non si rinviene in tale disposizione la regola sull'utilizzabilita' dei materiali acquisiti al fascicolo per il dibattimento. 2. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Al medesimo giudice va demandata la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita'. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. PERROTTI Massim - Consigliere Dott. LEOPIZZI A - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO LEOPIZZI; sentite le richieste del PG Dr. BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che si e' riportato ai motivi di ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che si e' riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che si e' riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che si e' riportato ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di assise di appello di Roma, con sentenza del 22 febbraio 2022, depositata l'11 marzo 2022, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 4 dicembre 2020 dalla Corte di assise di Roma, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione ai reati di cui agli articoli 81-110-112630 e 81-110-582-583 c.p. (tutti) e 81-628 c.p. (il solo (OMISSIS)), ha riqualificato ai sensi degli articoli 110 e 605 c.p. il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione in concorso inizialmente contestato e ritenuto in primo grado, e - ritenuta la continuazione tra tutti i reati, concesse le attenuanti generiche prevalenti e l'attenuante della provocazione, esclusa per (OMISSIS) e (OMISSIS) l'ipotesi di cui all'articolo 116 c.p. - ha condannato (OMISSIS) alla pena di cinque anni di reclusione ed (OMISSIS) e (OMISSIS) a quella di tre anni e dieci mesi ciascuno, confermando nel resto la decisione impugnata. La vicenda oggetto del procedimento, secondo l'ipotesi accusatoria, prende le mosse dalla truffaldina attivita' di (OMISSIS), sedicente avvocato, che si proponeva falsamente in giro come persona in grado di agevolare la definizione di pratiche amministrative. (OMISSIS) e (OMISSIS), impossibilitati ad ottenere i documenti per vie legali, chiesero pertanto la collaborazione di (OMISSIS) per il rilascio di una patente di guida ciascuno, versandogli, a titolo di acconto, 600 Euro il primo e 4.500 Euro il secondo. Poco prima delle ore 18:00 del (OMISSIS), accortosi, infine, di essere stato raggirato, nel momento in cui gli fu consegnata una patente di guida palesemente contraffatta, (OMISSIS) percosse e minaccio' (OMISSIS), costringendolo a sedersi sui sedili posteriori della vettura con cui questi si era presentato all'appuntamento e si mise egli stesso alla guida del mezzo, dopo avergli sottratto portafoglio e cellulare. (OMISSIS) mise anche (OMISSIS), incontrato per caso per le vie del paese, a conoscenza della truffa ed entrambi minacciarono e colpirono ripetutamente (OMISSIS). (OMISSIS) poi si allontano', mentre (OMISSIS), ancora alla guida, contatto' telefonicamente diverse persone, tra cui (OMISSIS), a cui chiese aiuto per mettere paura a (OMISSIS). (OMISSIS), raggiunto nei pressi della sua abitazione, sali' dunque anch'egli in auto, munito di un martello e di un falcetto, e colpi' agli arti (OMISSIS) con il martello. L'auto con i tre a bordo fece una lunga sosta presso una zona boscosa, dove intervennero altri soggetti incappucciati, malmenando ancora (OMISSIS) e minacciandolo di amputargli un arto e di strozzarlo. Intorno alle 20:30, (OMISSIS) e (OMISSIS) si fermarono presso l'abitazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) fu costretto ad entrare da solo nell'appartamento, dove fu colpito ancora dal padrone di casa. Ridisceso in auto, (OMISSIS) fu condotto da (OMISSIS) e (OMISSIS) in Piazza delle mimose, dove i tre, a cui si unirono altri soggetti non identificati, sostarono per circa due ore (sempre connotate dal prosieguo di botte e minacce, anche con una scacciacani). Poi, (OMISSIS) se ne ando' e (OMISSIS) condusse (OMISSIS) presso la propria abitazione, dove lo trattenne fino alle 6:00 del mattino seguente, quando gli fu consentito di allontanarsi dietro la promessa del pagamento di Euro 20.000. La Corte di assise di appello ha ritenuto non provata quest'ultima promessa di denaro e ha quindi ricondotto la contestata privazione della liberta' personale alla fattispecie incriminatrice prevista dall'articolo 605 c.p.. 2. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo dei propri difensori, formulando due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo, articolato motivo, si lamenta l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza dei reati di sequestro di persona e di rapina, e la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, in relazione ai criteri di valutazione della prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, ed alla valutazione di irrilevanza delle doglianze sollevate con l'atto di appello, nonche' l'omessa motivazione in merito alla richiesta di confronto tra l'imputato e l'odierno ricorrente. Portata decisiva, nell'ambito della piattaforma probatoria, avrebbero ricoperto le dichiarazioni della persona offesa, (OMISSIS), la cui narrazione e' stata ritenuta attendibile dai giudici di merito, nonostante dalla stessa emergessero importanti lacune logiche e contraddizioni con altre risultanze processuali. La Corte di assise di appello, senza soffermarsi sugli articolati motivi di gravame sul punto, ha ritenuto, in primo luogo, che il corredo probatorio raccolto confermasse la verosimiglianza e la veridicita' di quanto esposto dalla suddetta persona offesa (incurante dei plurimi mendaci affiorati durante la sua deposizione, tali da menomarne la credibilita' soggettiva). Del pari, la motivazione di secondo grado risulterebbe carente anche nello scrutinio dell'attendibilita' oggettiva del racconto, viceversa non conciliabile con altri elementi indiziari emersi nel corso del dibattimento (in particolare, i tabulati telefonici confermerebbero che (OMISSIS) non avrebbe mai perso la disponibilita' del proprio cellulare; la cartella clinica non avrebbe traccia delle percosse asseritamente inflittegli sulle gambe con un grosso martello; il presunto orario in cui sarebbe stata riacquistata la liberta' personale, intorno alle sei del mattino, confliggerebbe logicamente con l'orario molto successivo di ingresso al (OMISSIS), peraltro assai piu' lontano di altri ospedali; il ritrovamento dell'autovettura di (OMISSIS) nei pressi dell'abitazione di (OMISSIS), ben cinque giorni dopo i fatti, darebbe adito a perplessita'). Inoltre, sarebbe stata completamente trascurata la prova d'alibi offerta dai testi a discarico (OMISSIS) e Gieras (che hanno riferito in merito alla partecipazione di (OMISSIS) a una festa tra le 20:00 e le 23:00 del giorno dei fatti, senza che la Corte prendesse minimamente in considerazione il contenuto di queste deposizioni e persino negando che il compendio istruttorio offrisse alcun utile spunto al riguardo). Analogamente, difetterebbe una adeguata motivazione anche in relazione alla richiesta di confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), invocata dalla difesa in ragione delle significative divergenze emerse tra le rispettive versioni dei fatti. In estrema sintesi, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di secondo grado risulterebbe intrinsecamente incoerente e comunque connotata da un alto coefficiente di opinabilita', derivando da un'indebita selezione delle censure difensive. 2.2. Con il secondo motivo, si censura l'inosservanza di norme processuali, in relazione al divieto di reformatio in peius sancito dall'articolo 597 c.p.p., comma 3, e l'omessa motivazione in merito alla diversa riduzione operata per effetto delle gia' riconosciute circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a un terzo. La Corte territoriale, infatti, ha riqualificato il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione in quello di sequestro ai sensi dell'articolo 605 c.p., mantenendo il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62 c.p., n. 2 e articolo 62-bis c.p., ma - contrariamente a quanto fatto in primo grado hanno operato una diminuzione in misura inferiore ad un terzo, in questo modo indicando in maniera deteriore un elemento concorrente al calcolo complessivo, senza peraltro una specifica motivazione sul punto. 3. Ricorre per cassazione altresi' il difensore di (OMISSIS), articolando due motivi. 3.1. Con il primo motivo (rubricato come "motivo unico"), si duole della violazione della legge penale, in riferimento agli articoli 110 e 605 c.p., e della contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione. Ferma restando la sussistenza delle lesioni, ammesse da (OMISSIS) in aula, apparirebbe criticabile, secondo il ricorrente, la valutazione dei giudici di merito in tema di concorso nel sequestro, laddove, essendo (OMISSIS) sempre presente, gli altri due imputati sarebbero fisicamente collocabili sulla scena del delitto solo per un limitatissimo arco temporale. La Corte di assise di appello sarebbe pervenuta a questa conclusione sulla scorta di un'analisi solo parziale del materiale probatorio, trascurando elementi a discarico non irrilevanti (quali, nello specifico, la presenza di un autovelox all'ingresso di (OMISSIS) la sera dei fatti; l'assenza di pregressi rapporti di conoscenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e la totale estraneita' del primo rispetto alla richiesta di riottenere la patente di guida di (OMISSIS) e in genere la mancanza di motivi di rancore o di vendetta; la mancata presenza di (OMISSIS) allorquando (OMISSIS) viene fatto salire in auto; la mancanza di elementi tali da rendere consapevole (OMISSIS) - che, come richiestogli, aveva con se' un falcetto e un martello per intimorire (OMISSIS) - che era in atto un sequestro di persona, dal momento che la persona offesa a bordo del veicolo non era ferita, ne' legata; la mancata conferma da parte di (OMISSIS) della presenza di (OMISSIS) al momento del suo ingresso, dopo qualche peregrinazione per il paese, in casa di (OMISSIS) - fatto viceversa affermato in motivazione come vero e fondante la responsabilita' concorsuale nel sequestro; la mancanza di costrizione fisica o psicologica di (OMISSIS) nel periodo - protrattosi per circa due ore - in cui si trova, insieme agli odierni imputati, in (OMISSIS), dove e' stato libero di andarsi a sciacquare a una fontanella e gli sono stati offerti cibi e bevande; la liberta' ugualmente goduta da (OMISSIS) presso l'abitazione di (OMISSIS); l'accertata presenza di (OMISSIS) in casa propria a partire dalle 22:30; l'impossibilita' di effettivo apporto causale in relazione a un sequestro protrattosi per diciassette ore da parte di (OMISSIS), presente ai fatti per circa due ore e quaranta minuti al piu', al solo fine di mettere paura e malmenare la persona offesa; la totale assenza di elementi a carico di (OMISSIS) negli esiti delle intercettazioni telefoniche, sia pure protrattesi per tre mesi). Risulterebbe dunque non corretta l'esclusione da parte della Corte territoriale del concorso anomalo originariamente ritenuto in primo grado, quale adeguata individuazione del concreto coefficiente di imputazione soggettiva dell'evento. Conforterebbero questa ipotesi l'assoluta mancanza di volonta' del fatto diverso o piu' grave, la negligenza o l'inosservanza di regole di prudenza e la prevedibilita' ed evitabilita' dell'evento (laddove pure non si acceda alla tesi della eccezionalita' della non preventivabile reazione di (OMISSIS)). 3.2. Con il secondo motivo, la difesa deduce la mancanza di motivazione in riferimento all'aumento di pena per la continuazione. La Corte di assise di appello dedica infatti poche righe alla dosimetria della pena in conseguenza della derubricazione del sequestro e, laddove riconosce la sussistenza del medesimo disegno criminoso per gli effetti di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, si limita a indicare il mero computo aritmetico, senza accennare alle ragioni per le quali e' stato ritenuto congruo un aumento di dieci mesi. 4. Ricorre per cassazione, per il tramite del difensore, anche (OMISSIS), che deduce quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo, si lamenta l'omissione ovvero comunque la manifesta contraddittorieta' della motivazione, laddove si afferma che la versione di (OMISSIS) non e' contestata da (OMISSIS) (e da (OMISSIS)), quando invece l'atto di appello espressamente aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto attendibile e credibile la persona offesa. A fronte di questa radicale diversita' di lettura dei motivi di gravame, non potrebbe che reputarsi integrata un'omessa valutazione di allegazioni difensive, in astratto idonee a minare la fiducia accordata al racconto del testimone chiave (con particolare riguardo a quel che concerne la sua permanenza nell'abitazione di (OMISSIS), in cui sono indicati come presenti soggetti non riconducibili ai possibili occupanti, mentre al contrario sfugge al ricordo qualsiasi particolare dell'immobile, a dimostrazione, secondo la difesa, che la circostanza sarebbe inventata di sana pianta dalla persona offesa, al fine di coinvolgere nel processo un proprio creditore, cosi' tacitato indirettamente nelle sue pretese di restituzione del prestito). 4.2 Con il secondo motivo, si eccepisce la violazione di norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale e in particolare degli articoli 192 e 511 c.p.p.. Le dichiarazioni della persona offesa, infatti, soprattutto quando quest'ultima ha un proprio tangibile interesse alla definizione del procedimento, dovrebbero essere valutate non solo sotto il profilo della loro attendibilita' intrinseca (a nulla rilevando la mancata costituzione di parte civile), ma anche confrontandole con l'intera piattaforma probatoria. La Corte di assise di appello non avrebbe valutato la personalita' di (OMISSIS) ("un truffatore professionale, che non si (e') fatto scrupoli di approfittare di una persona con problemi di obesita' che le impedivano di ottenere la patente, per assicurarle con l'imbroglio l'ottenimento del permesso di guidare", secondo modalita' fraudolente ripetute per decine di volte). I giudici di secondo grado, con argomenti stereotipati, eluderebbero la circostanza, ventilata dal difensore di (OMISSIS), che le pendenze debitorie tra i due costituissero un idoneo motivo per muovere contro il ricorrente accuse calunniose. In ogni caso, l'attendibilita' del testimone sarebbe minata dal contrasto tra il contenuto della sua deposizione e le dichiarazioni rese durante la fase delle indagini (restando in ogni caso la querela inidonea a fornire specifici elementi di convincimento). 4.3 Con il terzo motivo, la difesa deduce violazione della legge penale in relazione agli articoli 110 e 605 c.p., sul presupposto che difetterebbero elementi tali da giustificare, quantomeno soggettivamente, la partecipazione di (OMISSIS), a titolo di concorso, al delitto di sequestro. Per quanto riguarda il dolo di legge in capo al concorrente, non e' sufficiente la consapevolezza della esecuzione di un reato permanente, anche in presenza di un potenziale rapporto di causalita' materiale con condotta atipica, ma occorre avere riguardo alla direzione e al contenuto della volonta' dell'agente principale. Nel caso di specie, (OMISSIS) si sarebbe mosso nell'esclusivo intento di punire (OMISSIS) per il torto subito, senza alcuna intenzione di contribuire alla privazione della sua liberta' (come puo' evincersi dalla mancanza di contatti con i presunti rapitori, l'indifferenza con cui (OMISSIS) lascia che (OMISSIS) si allontani dalla sua abitazione, senza consegnarlo a (OMISSIS) e (OMISSIS)). In definitiva, se pure il ricorrente si fosse rappresentato la privazione della liberta' della persona offesa, il suo comportamento non sarebbe comunque stato sorretto dalla volonta' di contribuirvi con il proprio operato. 4.4. Con il quarto motivo, si lamenta l'erronea applicazione dell'articolo 110 c.p. in relazione al delitto di lesioni, in difetto di alcun effettivo contributo causale da parte del ricorrente, non fisicamente presente al momento del pestaggio, ne' altrimenti implicatovi, neppure quale mero concorrente morale. Al piu', accettando come vera, in denegata ipotesi, la circostanza che (OMISSIS) all'interno della propria abitazione avrebbe colpito (OMISSIS), provocandogli il sanguinamento del naso, e' solo di questa azione lesiva che il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere e non della frattura delle costole, come specificata in imputazione, causata da condotte del tutto autonome e poste in essere altrove da terzi soggetti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Tutti i tre ricorsi sono inammissibili, perche' proposti con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti. 2. Possono essere esaminate congiuntamente, pur senza sacrificio di un esame specifico delle peculiarita' di ciascuna, le doglianze relative a lacune motivazionali ed erronea applicazione delle norme sulla valutazione delle prove avanzate dai tre ricorrenti (in particolare, da (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso, da (OMISSIS) con il primo e il secondo motivo, da (OMISSIS) con il primo motivo). Tutte le suddette censure - non senza evocare in larga misura doglianze in fatto non proponibili in questa sede, riproducendo analoghe questioni gia' devolute in appello e ivi puntualmente esaminate e disattese - sono in sostanza connotate dalla richiesta di un nuovo apprezzamento del materiale probatorio, suggerendo alternative ricostruzioni della vicenda, senza confrontarsi con il congruo e tutt'altro che illogico apparato argomentativo offerto dalla Corte di assise di appello (nonche', salvo per quanto attiene alla qualificazione in iure del sequestro, dal giudice di primo grado, trattandosi di una cosiddetta "doppia conforme" di condanna). Si chiede, in buona sostanza, di sovrapporre la valutazione della Corte di legittimita' a quella dei Giudici di merito, cio' che e' impossibile, poiche' esula dai poteri della Suprema Corte ogni possibilita' di "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074. Piu' di recente, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747, ha precisato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' - intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante -, su aspetti essenziali a imporre diversa conclusione del processo, cosicche' sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento). Molte delle doglianze, in particolare, si sono addensate sulle dichiarazioni di (OMISSIS) di cui si contesta con forza la attendibilita'. E' opportuno osservare immediatamente, in proposito, come l'attendibilita' della persona offesa sia questione di fatto, non censurabile in sede di legittimita', salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, e insuscettibili di verifica empirica, o anche a una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilita' (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575). 2.1. La Corte di assise di appello ha rigettato i motivi di gravame proposti da (OMISSIS) dopo una attenta disamina degli stessi. Per quel che riguarda la narrazione offerta da (OMISSIS), i giudici di secondo grado richiamano innanzitutto, condividendole, le approfondite riflessioni gia' spese sul punto nella decisione della Corte di assise (pp. 35-43) e oppongono alle ipotetiche contraddizioni evidenziate dall'appellante alcune circostanze emerse in maniera inequivoca dall'istruttoria dibattimentale, tali da inficiare alla radice le osservazioni di segno contrario della difesa: la posizione in cui e' stata rinvenuta la vettura di (OMISSIS), incompatibile con una sua possibilita' di autonomo movimento; le ammissioni di natura confessoria fatte da (OMISSIS) durante comunicazioni intercettate dagli inquirenti (individuazione del bosco quale luogo in cui poter agire; racconto di sottrazione di documenti dopo avere rotto il vetro dell'altrui vettura); conversazioni telefoniche, parimenti oggetto di captazione, di (OMISSIS), che racconta di essere stato sequestrato, restando segregato una notte intera in un'abitazione, di essere stato derubato del cellulare e dell'auto, di essere stato malmenato sino ad avere le costole fratturate; la perfetta descrizione dei luoghi effettuata in aula dalla medesima persona offesa, in particolare per quanto attiene l'abitazione di (OMISSIS); alcune ammissioni, quantomeno in merito alle sole lesioni, date dagli altri coimputati. A fronte di questo lineare chiarimento - che si salda con quanto esposto nella sentenza di primo grado (dove si accenna anche alla rilevanza dell'esame della madre di (OMISSIS), di quanto rinvenuto nella sua autovettura o sequestrato a casa di (OMISSIS), negli spostamenti e nelle comunicazioni registrati dai tabulati telefonici, nella mancanza di astio e ostilita' manifesta ben percepita nell'oralita' del dibattimento) - non assume rilievo decisivo l'omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell'impugnazione. Non sussiste, infatti, secondo costante giurisprudenza, un vizio di motivazione rilevante a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), qualora, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l'impianto della stessa, nonche' con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227, secondo cui l'emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo' comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita' del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione). In particolare, e' opportuno osservare come, nonostante le doglianze della difesa, non sempre manchi una risposta ai motivi di gravame, ma questa e' talora fornita in maniera sintetica, come quando si esclude la fondatezza dell'alibi che tentano di fornire i testi (OMISSIS) e Gieras (p. 29). Costoro, evidentemente ritenuti non credibili sul punto o quantomeno sugli orari riferiti da entrambi i giudici di merito, non offrono in primo luogo una vera e propria prova d'alibi, dal momento che - pure ammessa, in ipotesi e per mera comodita' di ragionamento, una presenza di qualche minuto o per un tempo piu' consistente di (OMISSIS) alla festa di compleanno - la circostanza non sarebbe comunque in grado di disarticolare la solida ricostruzione operata all'esito dell'istruttoria dibattimentale; peraltro, a che perdura la privazione della liberta', mantenuta dal continuo susseguirsi di una pletora di concorrenti, alcuni dei quali neppure compiutamente identificati, dolersi della mancata considerazione riservata all'ipotetico ed eventuale allontanamento temporaneo di (OMISSIS) da parte dei giudici di appello, senza specifici chiarimenti ulteriori connota di insuperabile aspecificita' il motivo di ricorso. Non sussiste poi uno specifico obbligo motivazionale relativamente a(mancato accoglimento della richiesta di confronto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), a fortiori come rinnovazione dell'istruttoria in appello, dal momento che questo mezzo di prova non costituisce adempimento di cui sia imposta obbligatoriamente l'effettuazione; a fronte di contrastanti versioni fornite dai dichiaranti, spetta infatti al giudice apprezzare, secondo il proprio libero convincimento, il grado di attendibilita' dell'una piuttosto che dell'altra dichiarazione (Sez. 6, n. 37691 del 16/09/2022, B., Rv. 283935-02). 2.2. Per quanto riguarda il primo motivo del ricorso presentato da (OMISSIS), in merito alla asser(ta mancanza di attendibilita' e di credibilita' della persona offesa e alla mancata motivazione su un punto lamentato dalla difesa, oltre che in genere alla natura fattuale delle doglianze, si rimanda a quanto sopra esposto in merito alle analoghe doglianze contenute nel ricorso di (OMISSIS). E' opportuno precisare ulteriormente soltanto come la sentenza di secondo grado non fraintenda affatto il contenuto dello specifico gravame difensivo inerente la mancata contestazione da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) della versione di (OMISSIS), ma semplicemente lo contestualizzi in relazione alle specifiche circostanze poste in evidenza dall'imputato. La posizione di (OMISSIS) in relazione al delitto di sequestro, ad ogni buon conto, e' stata oggetto di attenta disamina, nell'ambito della quale sono state messe a confronto le varie risultanze probatorie (sempre muovendo dalla complessiva solidita' della versione fornita dalla persona offesa). Segnatamente, quale implicita risposta ai motivi di gravame, e' stato sottolineato come, pur se il primo incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in auto con (OMISSIS) potrebbe essere stato fortuito (anche se, in quel frangente, egli si accorse comunque che quest'ultimo e' costretto contro la sua volonta' all'interno dell'abitacolo), la acc(arata presenza in casa di (OMISSIS) della persona offesa e' un fatto voluto e accettato dal ricorrente, che lo trattiene per un tempo significativo contro la sua volonta' (e lo picchia brutalmente), consapevole che "la vittima e' scortata dagli imputati, o quantomeno dall' (OMISSIS)". La sentenza di primo grado offre ulteriori e definitivi contributi esplicativi sul fatto che (OMISSIS), sottoposto alla sorveglianza speciale, non poteva rendersi protagonista di condotte delittuose sulla pubblica via, sui fotogrammi che inquadrano la vettura con a bordo (OMISSIS) e (OMISSIS) a breve distanza dall'abitazione di (OMISSIS), in orario compatibile con le dichiarazioni della persona offesa. 2.3. Per quanto riguarda il secondo motivo del ricorso presentato da (OMISSIS), sempre in merito alla valutazione dell'apporto probatorio offerto della persona offesa, si rimanda ancora a quanto gia' detto in via generale (in particolare in merito alla impermeabilita' delle valutazioni dei giudici di merito sul punto in questa sede di legittimita'). Gli asseriti pregressi rapporti di credito-debito non sono stati ritenuti sussistenti e comunque rilevanti, ma, in ogni caso, il carattere calunnioso delle propalazioni accusatorie e' escluso dal complessivo esame del dichiarante; nell'ambito di questo esame, la mancata costituzione di parte civile, quale indice di disinteresse rispetto agli esiti processuali, viene citato soltanto come mero elemento di contorno, laddove per i giudici di merito e' la presenza, gia' sottolineata, di molteplici riscontri oggettivi a conferire al testimone attendibilita' e credibilita' oggettiva e soggettiva. Valore fondamentale - e pressoche' esclusivo - e' stato dato in primo e secondo grado alla prova testimoniale formatasi in giudizio con la deposizione della persona offesa nel contraddittorio delle parti, restando ininfluente ai fini del decidere la denuncia-querela da lui presentata (a cui fa solo un cenno la sentenza di primo grado). 2.4. Il primo motivo di gravame dedotto da (OMISSIS) presenta molteplici tratti comuni a quelli presenti nei ricorsi dei due coimputati, in particolare in merito alla mancata considerazione in cui sarebbero stati tenuti dalla Corte di assise di appello alcuni elementi istruttori e allegazioni difensive pro reo. Si rimanda pertanto, anche in questo caso, a quanto sopra esposto in tema di impossibile rivalutazione del materiale probatorio in questa sede, in presenza di una motivazione adeguata. In particolare, la sentenza di secondo grado valorizza, inserendole nel piu' ampio contesto istruttorio, alcune determinanti ammissioni dell'imputato (che conferma di essere stato chiamato "per mettere paura" al gia' terrorizzato (OMISSIS), di essersi portato all'uopo un falcetto e un martello ostentandoli alla vittima, di avere malmenato quest'ultima, di essere rimasto per quasi tre ore insieme a (OMISSIS), insultato, minacciato, percosso e soprattutto impossibilitato ad allontanarsi dai suoi guardiani se non per pochi passi). A fronte di cio', e' congruamente illustrata in motivazione la ricostruzione dei fatti, per quanto riguarda la condotta posta in essere da (OMISSIS) e la consapevolezza in capo a quest'ultimo che (OMISSIS) era stato privato della liberta' personale per un periodo piu' che significativo. 3. Anche i motivi di ricorso inerenti l'erronea valutazione della responsabilita' a titolo concorsuale (nella specie, il terzo e il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) e alcune specifiche censure sviluppate nel primo motivo di (OMISSIS)) sono caratterizzati da non corretti presupposti giuridici comuni, che ne consigliano una disamina omogenea. In tema di concorso di persone, il contributo rilevante ai sensi dell'articolo 110 c.p., in caso di azione collettiva, deve essere espressivo di condivisione dell'evento - anche in forma solo verbale ovvero accompagnata da manifestazioni esteriori diverse dalla condotta tipica - e idoneo a semplificare o agevolare l'ideazione o l'esecuzione dell'azione, anche se solo nei confronti di una parte consistente di compartecipi (Sez. 1, n. 6237 del 15/09/2021, dep. 2022, Dell'Aquila, Rv. 282620). Appare indubitabile la rilevanza causale - ai sensi sia dell'articolo 605, sia degli articoli 582 e 583 c.p. - vuoi delle condotte direttamente rilevanti per la tipicita' del fatto di reato, vuoi dei comportamenti meramente rafforzativi o agevolatori delle stesse, anche solo in ragione della fisica presenza in appoggio all'azione di (OMISSIS), pressoche' sempre presente. 3.1. La difesa di (OMISSIS), relativamente al delitto di sequestro, dubita della corretta applicazione della disciplina del concorso di persone, quantomeno per carenza dell'elemento soggettivo. Anche in questo caso, i giudici di appello hanno offerto una motivazione adeguata, tutt'altro che contraddittoria o manifestamente illogica, laddove premesso che, immediatamente dopo l'iniziale diverbio con (OMISSIS) che lo costringe a salire in auto, inizia lo stato di privazione della liberta' personale, penalmente rilevante, di (OMISSIS) - rilevano come (OMISSIS) sia stato informato dallo stesso (OMISSIS), alla guida della vettura di (OMISSIS), obbligato sui sedili posteriori, della falsita' dei documenti richiesti previo versamento di un congruo anticipo; la consapevolezza di essere stato truffato spinse pertanto (OMISSIS) a colpire violentemente (OMISSIS) in una prima occasione quando era ancora accovacciato nell'auto. Se, per questo primo contatto, i giudici di appello concedono il beneficio del dubbio sulla coscienza di (OMISSIS) della restrizione della liberta' in danno di (OMISSIS), quando, diverse ore dopo, la medesima persona offesa, ininterrottamente da allora nelle mani di (OMISSIS) e dei suoi complici, e' condotto con la forza presso l'abitazione del ricorrente, deve darsi per certa la sua consapevolezza che (OMISSIS) si trovasse ancora e da lungo tempo in stato di sequestro. Il doppio intervento di (OMISSIS), per la strada e in casa, costituisce un suo indubbio e consapevole contributo causale alla perpetrazione del delitto, a prescindere dal movente che puo' averlo spinto. 3.2. La motivazione della sentenza impugnata delinea chiaramente i motivi fondanti la valutazione di responsabilita' di (OMISSIS) in relazione al delitto di lesioni aggravate continuate in concorso; e' opportuno precisare che l'aggravante dell'uso di strumenti atti a offendere contestata solo ad (OMISSIS) e (OMISSIS). In primo luogo, la motivazione descrive nel dettaglio le lesioni inferte personalmente da (OMISSIS) a (OMISSIS) all'interno della propria abitazione, ma aveva puntualizzato precedentemente come "stante la concatenazione degli eventi, da cui non si puo' prescindere, e' necessaria la trattazione unitaria dell'intera azione delittuosa, da intendersi quale intreccio di piu' condotte, facenti capo a piu' soggetti, che dovranno si' valutarsi isolatamente ma sempre quali parti integranti di un medesimo disegno criminoso, rappresentato e voluto, con intensita' differenti, da tutti i correi". Come accennato, la sentenza ritiene, su solide basi, acclarata la consapevolezza in capo ad (OMISSIS), che (OMISSIS) fosse sequestrato da (OMISSIS) e dagli altri complici e che in tale veste fosse sottoposto a violenze fisiche. Nel ricorso, foss'anche a livello ipotetico, si ammette peraltro che " (OMISSIS) percuote da solo (OMISSIS) e con l'uso delle mani lo fa sanguinare in volto ma non vi e' alcun concorso nella frattura delle costole". La concessione dell'imputato all'ipotesi accusatoria non tiene pero' in adeguata considerazione la natura non episodica del pestaggio, al contrario parte di un'aggressione fisica posta in essere - talvolta simultaneamente e talaltra alternativamente - da piu' persone (gli odierni imputati, altri soggetti giudicati separatamente ed altri ancora non identificati), in un arco di tempo pari quasi a un'intera giornata. Nota in proposito la sentenza di secondo grado, dopo avere rilevato come "parte integrante dell'azione complessiva e' la condotta di lesioni, posta in essere a piu' riprese e confermata da tutti gli imputati": "infondata, a tal proposito, l'eccezione sollevata dalla difesa (OMISSIS) e relativa all'impossibilita' di ricondurre le lesioni riscontrate alla sua azione, in quanto l'offesa in danno di (OMISSIS), in base a quanto ricostruito, ha invero raggiunto il suo culmine in termini di violenza proprio nell'appartamento dell' (OMISSIS), poiche' questo ha dato avvio all'aggressione fisica nel momento in cui la vittima era ancora sulla soglia della porta di ingresso e le ha cagionato diverse ferite, provocandole anche perdite di sangue". La conclusione dei giudici di merito e' coerente con il consolidato orientamento di legittimita', a mente del quale l'aggressione fisica collettiva, caratterizzata dalla reciproca consapevolezza della convergente, ancorche' non simultanea, condotta dei correi, comporta che ciascuno di essi risponde del complesso delle lesioni riportate dalla vittima e, dunque, anche di quelle non causate in via diretta dall'azione materialmente posta in essere dal singolo (Sez. 5, n. 35274 del 14/07/2022, Taietti, Rv. 283648; cfr. anche Sez. 2, n. 51174 del 01/10/2019, Luca', Rv. 278012, secondo cui, dovendosi valorizzare la struttura unitaria del reato concorsuale, allorche' si realizza la combinazione di diverse volonta' finalizzate alla produzione dello stesso evento, ciascun compartecipe e' chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa per cui, quando l'attivita' del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell'evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l'evento verificatosi e' da considerare come l'effetto dell'azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l'azione tipica del reato). 3.3. Per quanto attiene alle doglianze sul punto avanzate dal difensore di (OMISSIS), limitatamente al solo delitto di sequestro, possono ulteriormente evidenziarsi i passaggi motivazionali della sentenza impugnata che condivisibilmente affermano che, pur se inizialmente chiamato da (OMISSIS) solo per terrorizzare (OMISSIS), l'imputato prese subito contezza della restrizione in atto della liberta' della persona offesa e non esito' a infondere prima sicurezza ad (OMISSIS) e terrore a (OMISSIS), entrando anch'egli nell'abitacolo della vettura con vistose armi improprie, prestandosi poi a malmenare con brutalita' il sequestrato, e trattenendosi in seguito, dopo questo chiarissimo biglietto da visita, per diverse ore in (OMISSIS) in compagnia di (OMISSIS), (OMISSIS) e degli altri co'rrei intervenuti sul posto, pur avendo la costante possibilita' di allontanarsi dopo avere compiuto il pestaggio per cui era stato chiamato. E' appena il caso di notare - seguendo le argomentazioni sul punto della sentenza impugnata - come una presenza prolungata, con partecipazione attiva alle intimidazioni che impediscono alla persona offesa anche solo di pensare di darsi alla fuga senza piu' gravi conseguenze, costituisca un rilevante e consapevole contributo causale alla commissione del delitto in questione e non un'evoluzione, prevedibile ma non voluta, dell'iniziale aggressione fisica. La responsabilita' del compartecipe per concorso anomalo postula che il fatto piu' grave rispetto a quello concordato sia materialmente commesso da un altro concorrente. Nel caso di specie, in cui il sequestro era gia' in essere, e in maniera facilmente percepibile per il ricorrente, al momento del suo primo contatto con (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) ha previsto e accettato (non gia' i'l solo rischio, ma esattamente) la commissione del delitto in fase di esecuzione, a titolo di dolo diretto e non eventuale. Risulta dunque corretta anche la riqualificazione della fattispecie concorsuale ai sensi dell'articolo 110 c.p. piuttosto che del successivo articolo 116. 4. Il ricorrente (OMISSIS) si duole che - a fronte di una diminuzione per le due attenuanti ai sensi dell'articolo 62 c.p., n. 2, e articolo 62-bis c.p., riconosciute prevalenti, operata dal primo Giudice (pena base per il piu' grave reato di sequestro di persona a scopo di estorsione: venticinque anni di reclusione; diminuita a sedici anni per le circostanze attenuanti generiche; ulteriormente diminuita a dodici anni per la provocazione) - il computo operato in secondo grado, all'esito della riqualificazione del reato (pena base per il piu' grave reato di sequestro di persona: cinque anni di reclusione; diminuita a quattro anni per le circostanze attenuanti generiche; ulteriormente diminuita a tre anni per la provocazione), sarebbe stato illegittimamente deteriore per l'imputato, non essendo mantenuta la medesima percentuale di un terzo della pena da ridurre. Si lamenta pertanto violazione dell'articolo 597 c.p.p., comma 3, nonche' l'omessa motivazione sul punto. Il motivo e' manifestamente infondato. E' infatti pacifico che, nel giudizio di appello senza impugnazione del Pubblico ministero, il divieto di "irrogare una pena piu' grave per specie o quantita'" non riguarda soltanto l'esito finale del meccanismo normativo di quantificazione, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, di modo che occorre procedere ad un raffronto tra tutte le diverse componenti sanzionatorie. Al contrario di quanto suggerito implicitamente nel motivo di ricorso, pero', la preclusione per il giudice di appello a non rivedere in termini peggiorativi il trattamento sanzionatorio non riguarda il rapporto proporzionale con la pena base (purche' si rispetti il limite di legge; non oltre un terzo, nel caso di specie), ma l'entita' concreta di ciascun aumento o diminuzione determinato per ciascun singolo segmento che incide sulla dosimetria della pena. In presenza di una riconsiderazione complessivamente (assai) favorevole del trattamento sanzionatorio in ogni sua singola componente, non si riscontra alcuna violazione del divieto di reformatio in peius. In ipotesi di riqualificazione del fatto in un'altra meno grave fattispecie, il giudice di secondo grado non sarebbe comunque tenuto ad individuare neppure una pena base di misura inferiore a quella del primo giudice, purche' venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella inflitta in precedenza (Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, Diop, Rv. 279086-02, secondo cui non integra una violazione del divieto di trattamento deteriore, la riqualificazione del fatto accompagnata dall'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado, fermo restando l'obbligo di irrogare in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta). 5. Il ricorrente (OMISSIS) censura l'omessa motivazione in relazione ai dieci mesi di reclusione computati a titolo di aumento, ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, per il delitto di lesioni aggravate. Non e' in dubbio l'obbligo per il giudice di argomentare, quanto alle modalita' di determinazione della pena complessiva, anche in merito all'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, che sottolinea come il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena sia correlato all'entita' degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall'articolo 81 c.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene; cfr. anche Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005, secondo cui il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non e' tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entita', essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'articolo 132 c.p.). Nondimeno un simile percorso motivazionale non puo' affatto dirsi mancante nella decisione impugnata. Anche tenendo conto della pena edittale prevista dall'articolo 583 c.p., comma 1, (da tre a sette anni di reclusione), l'aumento apportato per la continuazione risulta in primo luogo sostanzialmente contenuto e comunque non particolarmente rilevante, con quanto ne consegue in termini di adeguata ampiezza della giustificazione in parte motiva. Soprattutto, la sentenza della Corte di assise di appello da' preliminarmente conto "della sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati, vista l'eterogeneita', delle violazioni, la contiguita' spazio-temporale e le modalita' delle singole condotte, (nonche') in una prospettiva di proporzionalita' del trattamento sanzionatorio, delle aggravanti contestate e delle attenuanti riconosciute in primo grado" (p. 43), oltre a descrivere in un passaggio precedente la brutalita' del pestaggio prolungato, richiamando i certificati medici che dissipano ogni dubbio sulla violenza delle aggressioni, la deposizione dell'operante che attesta la presenza di traumi inferti a colpi di martello, la ripetuta perdita di sangue in conseguenza dei colpi (p. 32). In conclusione, l'illustrazione offerta dalla Corte di merito quanto al calcolo dell'aumento, calata nel caso concreto, appare assolutamente congrua e funzionale ad esplicitare il rispetto del rapporto di proporzione tra le sanzioni irrogate per i vari illeciti accertati, anche con riferimento ai limiti previsti dalla legge al fine di evitare un surrettizio cumulo materiale di pene. 6. Tutti e tre i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili. In considerazione di tale declaratoria, ciascun ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonche', di una somma in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, da liquidarsi - valutati i profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost., sent. 13 giugno 2000, n. 186) - nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matt - rel. Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), - C.U.I. (OMISSIS) - nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/05/2022 della CORTE APPELLO di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SOCCI ANGELO MATTEO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ORSI LUIGI, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS): "Accoglimento del ricorso". RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza della Corte di appello di Roma, del 3 maggio 2022, e' stata confermata la decisione del Tribunale di Roma del 13 luglio 2021 che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 10 di reclusione per i reati unificati con la continuazione (esclusa la recidiva e le aggravanti di cui al capo A, commessi nei confronti della convivente (OMISSIS)) di cui all'articolo 61 c.p., n. 1, articolo 94 c.p., comma 1, articolo 572 c.p., commi 1 e 3 - capo A, commesso dal (OMISSIS) -, articolo 582, 585 c.p., articolo 576 c.p., n. 5, articolo 577 c.p., n. 1, - capo B, commesso il (OMISSIS) -, articolo 609 bis c.p., e articolo 609 ter c.p., n. 5 capo C, commesso il (OMISSIS) -, articoli 582, 585 c.p., articolo 576 c.p., n. 5, articolo 577 c.p., n. 1, - capo D, commesso in data anteriore e prossima all'(OMISSIS) -, articoli 582, 585 c.p., articolo 576 c.p., n. 5, articolo 577 c.p., n. 1, - capo E, commesso in data anteriore e prossima al (OMISSIS) -, articoli 582, 585 c.p., articolo 576 c.p., n. 5, articolo 577 c.p., n. 1, - capo F, commesso in data anteriore e prossima al (OMISSIS) -, articolo 610 c.p. - capo G, commesso sino al (OMISSIS) -. 2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione, in relazione all'attendibilita' delle dichiarazioni della parte offesa (articoli 609 bis, 572, 583, 576 c.p.). La violenza sessuale non veniva immediatamente denunciata dalla donna, che integrava la sua denuncia in due distinte occasioni. Il riscontro indicato nella sentenza di condanna di cui al punto 4, non sussiste in quanto la visita ginecologica e gli esami clinici non evidenziavano nessun segno di violenza, peraltro emergevano dichiarazioni di un rapporto consensuale tra i due il 10 febbraio 2021. Anche le lesioni evidenziate dalla donna nell'incidente probatorio non erano mai state denunciate prima (rottura dei denti e perdita tangibile del senso della vista). Tutte le prognosi dei certificati erano limitate a pochi giorni, e la donna da molto faceva uso di una protesi dentale (come riferito dai testi). Per il ricovero del 2018 la parte offesa accusa il ricorrente ma non riferisce del suo abuso di alcool, quale causa delle lesioni (abuso negato contro ogni evidenza dalla stessa). Anche relativamente al riscontro individuato nella sentenza alle dichiarazioni di (OMISSIS), la motivazione non tiene conto che al momento dell'intervento del teste il ricorrente era assente e la parte offesa era arrivata da sola nel locale. 2. 2. Omessa motivazione in relazione all'affermazione della responsabilita' (articoli 609 bis, 572, 583, 576 c.p.). Le dichiarazioni della persona offesa risultano inattendibili in quanto la stessa evidenzia circostanze inverosimili sul presunto sequestro di persona patito da gennaio 2020 fino all'intervento della P.G.. La donna era libera di muoversi, come risulta dai tabulati telefonici della sua utenza telefonica e dell'utenza del ricorrente. I testi (OMISSIS) e (OMISSIS) dichiaravano di aver incontrato la donna anche da sola nel periodo in oggetto. Inoltre, il reperimento di tracce biologiche del ricorrente, sugli slip della donna e sugli altri reperti, potrebbero essere causa della stretta convivenza in un bilocale e non prova della violenza sessuale. Sul punto la testimonianza di (OMISSIS) intervenuto il (OMISSIS), non risulta analizzata con attenzione. Infatti, la violenza sessuale non risulta dalle certificazioni mediche (visita ginecologica e altri esami). La sentenza non motiva anche rispetto all'assenza di riscontro diretto della presenza del ricorrente nella struttura ospedaliera dove era ricoverata la donna, e neanche della verifica di una telefonata tra i due. 2. 3. Violazione di legge articolo 507 c.p.p.); illogicita' e carenza della motivazione relativamente alla richiesta di ascolto degli operatori di P.G. che avevano redatto l'annotazione sull'uso dei telefoni da parte della donna. Il Tribunale con l'ordinanza del 13 luglio 2021rigettava la richiesta (acquisendo solo la documentazione) poiche' non rilevante ai fini del decidere, senza una specifica motivazione. Il Tribunale, del resto, nella motivazione della sentenza riteneva non provata la riferibilita' dell'utenza telefonica alla parte offesa, con questo contraddittoriamente rilevava la necessita' della prova richiesta dall'imputato ex articolo 507 c.p.p., proprio per la prova della riferibilita' dell'utenza alla donna. Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta inammissibile, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimita' alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimita'. La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicita', sulla responsabilita' del ricorrente, e sulla piena attendibilita' della donna, parte offesa, peraltro con numerosi e convergenti riscontri alle sue dichiarazioni. In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482). In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non puo' essere utilmente dedotto in Cassazione solo perche' il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiche' cio' si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimita'. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705). 4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicita' o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilita' della parte offesa, convivente dell'imputato sia per la violenza sessuale e sia per gli altri reati. Infatti, in tema di reati sessuali, poiche' la testimonianza della persona offesa e' spesso unica fonte del convincimento del giudice, e' essenziale la valutazione circa l'attendibilita' del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, puo' essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre e' precluso in sede di legittimita', specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578). Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessita' di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilita' penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine e' necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214). 4. 1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l'attendibilita' della parte offesa, rilevando come i fatti di violenza sessuale sono emersi dalle lineari e coerenti deposizioni della donna. La donna aveva riferito della violenza sessuale e delle vessazioni numerose a cui era sottoposta durante la convivenza, con lesioni gravissime ai denti e all'apparato visivo, ampiamente documentati con i numerosi certificati medici. In particolare, il (OMISSIS) il vicino di casa ( (OMISSIS)) della coppia chiamava la P.G. in quanto la donna era "prostrata e sanguinante", dopo le violenze subite dal ricorrente. Il ricorrente spesso per motivi di gelosia e sotto l'abuso di alcol e droghe ha sempre maltrattato e malmenato la convivente arrivando in piu' occasioni anche a rapporti sessuali violenti. Con le conclusioni il ricorrente ha allegato la cartella clinica e la visita ginecologica della donna del (OMISSIS). La valutazione della Corte di appello e' stata ampia e ha considerato anche la certificazione medica, tutta, dell'episodio del (OMISSIS) concludendo per la sussistenza delle violenze fisiche (lesioni) e per la violenza sessuale. Del resto, solo l'intervento del vicino di casa ha interrotto le violenze dell'imputato e la donna sanguinante e' stata poi soccorsa dalla P.G. chiamata dal vicino di casa. Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell'atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimita' nei confronti delle articolate e complete motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito. 5. Infondato e generico anche il motivo sulla violazione di legge e vizio della motivazione per il rigetto dell'istanza ex articolo 507 c.p.p.. In tema di ammissione di nuove prove, il mancato esercizio del potere ex articolo 507 c.p.p. da parte del giudice del dibattimento non richiede un'espressa motivazione, quando dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluita' di un'eventuale integrazione istruttoria. (Sez. 1 -, Sentenza n. 2156 del 30/09/2020 Ud. (dep. 19/01/2021) Rv. 280301 - 01). Nel caso in giudizio il ricorrente non prospetta neanche la decisivita' della prova richiesta, ma rimette in discussione la questione, senza motivi specifici di legittimita'. La Corte di appello evidenzia, comunque, che le utenze dei tabulati telefonici di cui si chiedeva l'acquisizione ex articolo 507 c.p.p. "non erano quelle impiegate dall'imputato e dalla persona offesa", come risultante da un'annotazione di P.G.. La difesa dell'imputato allora chiedeva di ascoltare gli operatori di P.G. (con ammissione della prova ex articolo 507 c.p.p.) che avevano redatto l'annotazione, ma senza specificare i temi di prova. Il Tribunale riteneva, motivatamente, tale richiesta non necessaria, non esercitando i poteri di integrazione d'ufficio delle prove. 6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", alla declaratoria dell'inammissibilita' medesima consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonche' quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati significativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 25/08/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANIA; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO; sentite le conclusioni del PG Dott. ZACCO FRANCA, chiede il rigetto del ricorso. udito il difensore; L'avv. (OMISSIS), conclude chiedendo l'annullamento della ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Catania ha confermato il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania applicava nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto ritenuto gravemente indiziato di un duplice omicidio volontario (pluriaggravato: dalla premeditazione, dai motivi futili e dall'essere stato commesso con l'uso di sostanze venefiche), relativo a due decessi di pazienti ( (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), e (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS)) occorsi nel reparto di Medicina e Chirurgia d'Accettazione e Urgenza (MCAU) dell'ospedale (OMISSIS), ove (OMISSIS) operava quale infermiere professionista. 2. Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione (OMISSIS), tramite il suo difensore. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell'articolo 273 c.p.p. in relazione all'articolo 575 c.p.. La difesa si duole dell'errore di apprezzamento riconnesso alla confessione stragiudiziale dell'indagato. Rileva che i Giudici del riesame, nell'affermare l'affidabilita' dei due sanitari ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) veicolo di introduzione della confessione stragiudiziale, non hanno compreso che la doglianza difensiva non era legata all'attendibilita' di detto veicolo, ma all'affidabilita' del contenuto di detta confessione, ossia del narrato loro riferito dall'indagato, resa dubbia dalla situazione patologica in cui versava il medesimo sotto il profilo psichico, valorizzata, invece, dall'ordinanza di riesame come elemento volto ad individuare il movente delle condotte poste in essere. Si duole, inoltre, che la narrazione in origine ritenuta non del tutto attendibile dal sanitario che aveva in cura (OMISSIS), perche' relativa ad un unico fatto delittuoso, poi sia stata ritenuta attendibile in virtu' di un mero arricchimento quantitativo dei fatti narrati. Il difensore rileva che l'ordinanza di riesame ha adottato argomenti elusivi a fronte dei rilievi difensivi di assoluta incongruenza tra il narrato dell'indagato e gli elementi di verifica dello stesso secondo l'impostazione accusatoria, a partire dall'individuazione delle vittime. Con riferimento al decesso di (OMISSIS) la difesa aveva osservato che l'indagato aveva riferito al Dott. (OMISSIS) di avere constatato il decesso della paziente direttamente e nell'imminenza del fatto e non in un secondo momento e addirittura due giorni dopo, come, invece, verificatosi. Con riguardo, poi, al decesso della seconda paziente la difesa aveva rilevato che lo stesso era avvenuto due ore dopo la cessazione del turno di servizio dell'indagato e non durante detto turno. Lamenta il difensore che in relazione ad entrambe le incongruenze appena riportate ed anche alla riferibilita' della somministrazione del Midazolam e del Diazepam e ai loro tempi di azione, incompatibili col narrato dell'indagato e con la riconducibilita' di detti fatti al medesimo (come prospettati con la memoria difensiva e la consulenza di parte), l'ordinanza di riesame adotta argomenti che antepongono la pregiudiziale valorizzazione della narrazione di (OMISSIS); dando rilievo, ad esempio quanto a tale somministrazione, all'ammissione della stessa da parte dell'indagato, senza considerare il riferimento fatto dal medesimo alla consuetudine, nel reparto, di detta somministrazione anche da parte di altri infermieri. E dimostra in tal modo di volere rendere a tutti i costi collimanti con la narrazione dell'indagato gli elementi di verifica. Si duole il difensore che eguale sorte abbiano avuto i rilievi difensivi circa il nesso eziologico tra la somministrazione delle sostanze e la morte delle due pazienti. Rileva che l'esame autoptico aveva consentito di rinvenire le suddette sostanze, ma non certamente di quantificarne la somministrazione, di individuarne il momento e l'eventuale contestualita' della stessa. Lamenta che l'incidenza causale della somministrazione, in tempi, modalita' e quantita', risulta essere riposta solo ed esclusivamente sulla parola dell'indagato. Con conseguente vizio di motivazione anche in relazione a tale profilo. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso il difensore deduce violazione degli articolo 274 c.p.p., lettera c), e articolo 275 c.p.p. in relazione agli articoli 81 e 575 c.p.. La difesa si duole che l'ordinanza di riesame non individui circostanze in grado di rendere concreto ed attuale il pericolo di recidiva e in particolare non valuti che l'episodio delittuoso piu' recente si fermi al (OMISSIS) e che, dopo lo stesso, l'indagato abbia continuato a lavorare per altri quattro mesi nello stesso reparto e poi in altro reparto senza commettere altri fatti fino all'esecuzione della misura cautelare nel (OMISSIS). Rileva che non ha, inoltre, considerato il raggiungimento di un sostanziale equilibrio psicologico da parte di (OMISSIS), riferito dal Dott. (OMISSIS), e il venir meno del rapporto con l'attivita' lavorativa e col contesto ospedaliero alla base delle condotte in oggetto, che, determinando un affievolimento delle esigenze cautelari, avrebbero imposto una misura piu' tenue come la sospensione dal lavoro o al piu' gli arresti domiciliari. Lamenta il difensore che, invece, l'ordinanza e' incorsa in un giudizio congetturale, valorizzando in termini negativi il solo profilo personologico, oltre che il titolo dei delitti contestati. Il difensore insiste per l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e va, pertanto, rigettato. 1.1. Il primo motivo e' infondato. Il Tribunale del riesame individua quale indizio grave a carico dell'indagato le confidenze rese dallo stesso ai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente psicologo e psichiatra che lo avevano in cura, preoccupandosi di verificarne l'attendibilita'. Premesso che il ricorrente non contesta la genuinita' delle dichiarazioni dei medici, i Giudici del riesame, dopo avere correttamente qualificato le dichiarazioni dell'indagato ai suddetti come confessione stragiudiziale, ne apprezzano la credibilita' in ragione dei plurimi riscontri circa il numero di pazienti deceduti, la dose di medicinale somministrato, la possibilita' per l'indagato di accedere all'armadietto dove erano custoditi i medicinali, la compatibilita' della collocazione temporale delle condotte e dei successivi eventi con i turni lavorativi dell'uomo (p. 4 - 9 del provvedimento in esame). Il Tribunale del riesame fa, quindi, buon governo del principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la confessione stragiudiziale puo' essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in se' e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinita' e la spontaneita' in relazione al fatto contestato (Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017 - dep. 2018, Secolo, Rv. 272100). Si confronta, in primo luogo, con il disagio psicologico dedotto dalla difesa, che avrebbe indotto l'indagato solamente ad avanzare timori sulla riconducibilita' al proprio operato del decesso delle due pazienti, rilevando come tale censura sia infondata e frutto di una lettura parcellizzata del racconto fatto da (OMISSIS) ai suoi medici, che, invece, man mano diventava sempre piu' dettagliato, con l'individuazione di elementi utili all'individuazione delle vittime, delle somministrazioni dei medicinali (Midazolan e Diazepam) in misura superiore al massimo consentito per il tipo di pazienti e del movente (ricondotto al semplice stress lavorativo senza alcun turbamento di tipo morale). E sottolinea l'assoluta precisione della confessione stragiudiziale, tanto da avere ritrovato, nel prosieguo delle indagini, reiterati e significativi elementi di riscontro (offerti: - dalla consulenza medico legale e tossicologica; - dall'assenza in cartella clinica di qualsivoglia prescrizione medica dei farmaci in questione e specularmente dalla loro presenza nei cadaveri riesumati; - dalle dichiarazioni del Dott. (OMISSIS) in ordine alla facile reperibilita' di detti farmaci per il personale infermieristico), che consentono di valutarne la piena genuinita' e affidabilita'. Rileva, inoltre, come la prostrazione psicologica di (OMISSIS) per lo stato di depressione legato a problematiche lavorative con l'Azienda ospedaliera non costituisca fonte di inattendibilita' della sua confessione, quanto piuttosto elemento volto ad individuare il movente delle condotte scellerate contestate e che vale la contestazione dell'aggravante dei futili motivi. Il Tribunale del riesame si confronta, poi, con le dedotte incongruenze sull'individuazione delle vittime. Rileva, con riguardo al primo omicidio, come non infici l'affidabilita' della confessione stragiudiziale il fatto che, secondo quanto riportato dal Dott. (OMISSIS), in un caso il paziente avrebbe constatato il decesso circostanza che presupporrebbe che lo stesso fosse avvenuto durante il suo turno di servizio, mentre la (OMISSIS) risultava deceduta dopo il turno di (OMISSIS) del 2 dicembre 2020 - atteso che la genericita' dell'espressione riferita non consente di collocare temporalmente "la constatazione del decesso", che sarebbe potuta avvenire anche il 4 dicembre ovvero quando l'indagato risultava essere rientrato in servizio. Osserva, inoltre, in ordine al secondo omicidio, come la circostanza riferita da (OMISSIS) che l'indagato ebbe a dirgli che la paziente era deceduta durante un suo turno di notte, qualche ora dopo la somministrazione da parte sua del Midazolam, non crei incertezze sulla vittima, perche' l'espressione riportata e' significativamente generica e non vale a svilire i dati obiettivi rappresentati dal fatto che l'indagato aveva parlato di una donna di 65 anni circa e la (OMISSIS) ne aveva 68, e aveva fatto, poi, riferimento a una donna che si trovava in condizioni di salute in ripresa (era "buona"), come altresi' certificato dal diario clinico, e che era scientificamente accertata la presenza nel cadavere della paziente della sostanza incriminata, non riportata nella cartella clinica e da nessun medico prescritta, che, invece, (OMISSIS) espressamente aveva riferito di averle somministrato. I Giudici del riesame affrontano anche l'altra questione delle incongruenze circa i tempi di azione dei farmaci incriminati, che secondo la difesa sarebbero incompatibili con il narrato di (OMISSIS) ai medici e farebbero pensare ad una responsabilita' ad altri soggetti. Rilevano, a tale riguardo, che e' lo stesso indagato ad avere ammesso la somministrazione delle sostanze in questione alle due donne (nel loro corpo effettivamente rilevate in sede autoptica); e che, comunque, appare logicamente impossibile retrodatare la somministrazione del Diazepam, in virtu' del lungo tempo di assorbimento di detto medicinale, a due o tre giorni prima del decesso delle pazienti, semplicemente perche' il forte dosaggio praticato (per come riferito dallo stesso (OMISSIS)), la somministrazione congiunta al Midazolam e le fragilissime condizioni di salute delle pazienti, inducono necessariamente a ritenere che tra la somministrazione e l'insorgere delle successive complicanze che portavano alla morte delle suddette, sia passato un lasso di tempo certamente breve e di poche ore, anche perche' di tali complicanze vi sarebbe stata traccia nelle cartelle cliniche nei giorni precedenti il decesso. Aggiungono i Giudici a quibus che: - per la (OMISSIS) il decesso era solamente certificato alle 9.00, ma gia' alle 8.30 la donna era in stato soporoso e non vigile e con PA non misurabile, dovendo ritenersi che il farmaco le era gia' stato somministrato da diverse ore, in orario compatibile con il turno di (OMISSIS); - anche per la (OMISSIS), non risultando dagli accertamenti medici svolti il metabolito alfa-idrossimidazolam piu' presente nel fegato ma negli altri organi, la somministrazione era certamente avvenuta oltre due ore prima del decesso, in orario perfettamente compatibile con il turno di lavoro dell'indagato; - per entrambe il consulente dell'accusa colloca la somministrazione di detti farmaci in un range da nove a quindici ore prima del decesso delle medesime. Il Tribunale del riesame, infine, con riferimento al profilo del contestato nesso eziologico, osserva che: - non rileva che l'esame autoptico, eseguito a distanza di troppo tempo dal decesso delle pazienti, non abbia consentito di appurare il quantitativo di benzodiazepina somministrato in vita alle due donne, atteso che tale dato era fornito dallo stesso (OMISSIS) nel corso delle riferite confidenze al Dott. (OMISSIS), allorquando gli raccontava di avere praticato una somministrazione di un quantitativo di 15 mg., superiore da due a cinque volte al dosaggio prescritto per pazienti in buone condizioni di salute; - comunque, costituisce dato obiettivo che la somministrazione di detti medicinali, per l'eta', il precario quadro clinico e le patologie riscontrate sulle due donne, risultava categoricamente controindicata e certamente destinata ad avere esito nefasto sulla vita delle stesse, tanto da avere il consulente del P.m. fatto leva su un indissolubile nesso causale tra somministrazione e decesso; - infine, il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalita' tra l'azione e l'evento; - la difesa avrebbe dovuto, pertanto, esplicitare le concause presenti nella fattispecie in esame e la rilevanza delle stesse tale da elidere completamente il rapporto tra la somministrazione dei farmaci e il decesso delle pazienti. Tali essendo le argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici dell'ordinanza di riesame, che attentamente analizzano le risultanze investigative in relazione a tutti gli aspetti toccati dalle censure formulate dal ricorrente, le deduzioni difensive sopra riportate, che tornano sulle medesime questioni e lamentano delle carenze motivazionali insussistenti, si rivelano infondate, ai limiti dell'inammissibilita'. 1.2. Infondate sono anche le doglianze di cui al secondo motivo di ricorso. Premesso che in relazione al delitto di omicidio ricorre la presunzione di cui all'articolo 275 c.p.p., comma 3 il Tribunale del riesame argomenta ampiamente e logicamente sulla sussistenza del pericolo di recidiva. Lo definisce, invero, "concreto ed attuale in ragione della personalita' ambigua e imperscrutabile dell'indagato, mostrata tanto con riferimento all'esecuzione ed ai momenti immediatamente successivi alle condotte omicidiarie poste in essere, quanto ai racconti fatti ai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle diverse sedute cui si e' sottoposto, avendo anzi l'evolversi degli eventi palesato un allarmante mutamento psicologico del ricorrente che lo ha indotto, in un processo di presa d'atto di quanto compiuto, a passare nel volgere di pochi giorni da un senso di rimorso ad un irrigidimento della posizione con un procedimento mentale di "giustificazione" dell'accaduto, che palesa problemi psicologici di base che permangono e costituiscono l'elemento fondante la valutazione di uno stringente pericolo di recidiva". Evidenzia, inoltre, l'ordinanza impugnata come: - l'estrema gravita' dei fatti e in particolare la loro serialita', in uno con l'allarmante allontanamento dalla realta' dell'indagato attestato dai medici curanti, alla cui sollecitazione a non recarsi piu' al lavoro lo stesso aveva opposto rifiuto interrompendo anche le sedute con il Dott. (OMISSIS), dimostrino la proporzionalita' della misura della custodia cautelare in carcere e l'inadeguatezza di qualsivoglia misura cautelare diversa dalla medesima rispetto alla specificita' del caso concreto; - i problemi di natura psicologica e la sindrome ansiosa depressiva di (OMISSIS) (che ne giustificano la permanenza nel reparto infermieristico della Casa circondariale) rendano "prematura ogni valutazione di attenuazione della misura ove non correlata con la predisposizione di un serio e dettagliato programma terapeutico atto a contenere la fragilita' psicologica dell'indagato, da ritenersi essa stessa matrice dei delitti contestati e, dunque, potenziale fonte di altre azioni dannose per l'incolumita' di terzi, si' da non rendere valutabile, allo stato, una richiesta di attenuazione della misura in essere". Il ricorrente a tale valutazione congrua e immune da vizi logici e giuridici, e, quindi, incensurabile in questa sede, oppone la cessazione del rapporto con l'attivita' lavorativa e col contesto ospedaliero, insistendo su un affievolimento delle esigenze cautelari escluso dalla stessa ordinanza. In essa, invero, si individua l'attivita' professionale di infermiere svolta da (OMISSIS) come l'occasione per la consumazione del primo delitto, sulla quale si e' innestato un processo di distorta rielaborazione psicologica che conduceva l'indagato nuovamente a delinquere, con conseguente trasformazione di detta attivita' e dei "paventati problemi con l'Azienda ospedaliera da "occasione movente del delitto" a mera "giustificazione del delitto", che dunque potrebbe ad oggi essere reiterato anche al di fuori del contesto lavorativo". 2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali. Non derivando dalla presente decisione la rimessione in liberta' del ricorrente deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'imputato trovasi ristretto, perche' provveda a quanto stabilito dal citato articolo 94, comma 1-bis. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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